XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di lunedì 31 gennaio 2011

TESTO AGGIORNATO AL 1° FEBBRAIO 2011

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
gli alloggi di servizio connessi con l'incarico (asi), gli alloggi di temporanea sistemazione per le famiglie dei militari (ast), gli alloggi gratuiti per consegnatari e custodi (asgc), gli alloggi connessi con l'incarico, con annessi locali di rappresentanza (asir) sono circa 18.447, di cui quelli non più utili alle esigenze istituzionali sono 3.439, e se ne prevede l'alienazione, ai sensi del decreto legislativo n. 66 del 2010, nel quale sono confluite le previsioni di cui alla legge n. 244 del dicembre 2007;
le vendite previste saranno effettuate dopo il decreto di passaggio a bene disponibile dello Stato, con le modalità previste dal decreto ministeriale 18 maggio 2010, n. 112, recante il regolamento per l'attuazione del programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio per il personale militare, con la vendita diretta o con la vendita all'asta;
gli alloggi vuoti sono 1.619 e gli alloggi vuoti in attesa di finanziamento sono 2.036, mentre gli alloggi condotti da utenti con titolo scaduto sono 5.117;
la maggior parte del gettito dei canoni proviene dai possessori sine titulo. L'amministrazione della difesa non ha mai erogato mutui al personale in servizio, prevedendo l'accantonamento e la distribuzione delle somme dai canoni versati sine titulo, pari al 15 per cento dell'intero ammontare;
il differenziale tra gli alloggi di temporanea sistemazione per le famiglie dei militari (ast) e gli alloggi di servizio connessi con l'incarico (asi) tende ad annullarsi a favore di questi ultimi. È noto che gli alloggi di servizio connessi con l'incarico (asi) danno un gettito assolutamente inferiore a quello degli di temporanea sistemazione per le famiglie dei militari (ast) e questo aumenta ulteriormente il deficit gestionale;
con lo sfratto già programmato dei conduttori sine titulo per effetto dei recuperi coatti, si prevede la riduzione verticale del gettito, malgrado i previsti aumenti dei canoni di mercato e l'aumento clamoroso di ulteriori alloggi vuoti, a causa della mancanza dei necessari finanziamenti per manutenzione o ristrutturazione;
l'articolo 297, comma 1, del decreto legislativo n. 66 del 2010 stabilisce che, all'interno della riforma organica connessa al nuovo modello delle Forze armate, venga predisposto un piano pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione degli alloggi di servizio;
con l'articolo 306 del medesimo decreto legislativo n. 66 del 2010 viene previsto il diritto alla continuità nella conduzione dell'alloggio, pur rimanendo in affitto, per quanti non siano in grado di acquistarlo, qualora messo in vendita, sancendo «la permanenza negli alloggi dei conduttori delle unità immobiliari e del coniuge superstite, alle condizioni di cui al comma 2, con basso reddito familiare, non superiore a quello determinato con il decreto ministeriale di cui al comma 2, ovvero con componenti familiari portatori di handicap, dietro corresponsione del canone in vigore all'atto della vendita, aggiornato in base agli indici Istat»;
l'audizione del «Comitato famiglie militari per la casa», svoltasi il 25 febbraio 2009 (ma va tenuto conto anche di quelle antecedenti), ha evidenziato l'urgenza della presentazione del regolamento e di misure concrete che prevedano la vendita di tutti gli immobili situati al di fuori delle infrastrutture militari e non più utili alle esigenze della difesa;
nel corso dell'incontro tra il Sottosegretario di Stato per la difesa con delega agli immobili, Guido Crosetto, assistito dal

suo consigliere per gli affari giuridici, e Sergio Boncioli, coordinatore nazionale di Casadiritto, è stata avanzata, nei dettagli, la proposta della soglia di sostenibilità riguardante tutti gli utenti a cui sono destinati i nuovi canoni di mercato. Tale meccanismo si propone di costituire un argine di sicurezza (sostenibilità) a un'eventuale macroscopica applicazione di un canone davvero insostenibile, che potrebbe essere raggiunto con la metodologia indicata attualmente nella bozza del decreto ministeriale, di cui all'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge n. 78 del 2010. La soglia della sostenibilità riguarda tutti i redditi e si controlla attraverso l'introduzione di un coefficiente da applicare sulla base dei redditi complessivi familiari. Essa costituisce appunto un controllo finale e ha il vantaggio di permettere alle famiglie di pagare un canone pur esoso, ma almeno sostenibile, e di permettere all'amministrazione della difesa di fare affidamento su risorse certe e non virtuali. Sono esclusi dall'applicazione dei canoni di mercato e, quindi, dalla necessità di applicare la soglia di sostenibilità (controllo) gli utenti che sono compresi nell'ambito di applicazione dell'articolo 2 del decreto di gestione annuale del Ministro della difesa, cioè gli utenti che l'amministrazione della difesa stessa definisce «protetti»;
è stata poi affrontata la questione della contestualità, cioè dell'entrata in vigore dei nuovi canoni. Il coordinatore nazionale di Casadiritto Boncioli ha prospettato la necessità di uno scivolo della data del 1o gennaio 2011, ormai già trascorso, in quanto l'iter che dovrà affrontare il citato decreto ministeriale, unitamente ai necessari adempimenti dei tecnici che dovranno verificare le vere condizioni degli alloggi, dovrebbe rendere inevitabile lo spostamento di tale data. È comprensibile e ragionevole, oltre che degno di uno Stato di diritto, considerare che un canone totalmente nuovo sia comunicato alla controparte dal proprietario, con decorrenza almeno dal momento in cui avvenga la notifica per raccomandata, e che quindi entri in vigore all'atto dell'avvenuta conoscenza dell'importo del nuovo canone;
parimenti è necessario che i recuperi forzosi, eventualmente in programma per gli alloggi non alienati, non siano resi esecutivi prima dell'inizio delle operazioni effettive delle alienazioni previste;
è stata fatta richiesta di provvedere all'interpretazione delle seguenti disposizioni del decreto ministeriale 18 maggio 2010, n. 112:
a) articolo 7, comma 4, lettera a): in materia di usufrutto, le rate del 20 per cento del reddito comprendono il costo della garanzia della fideiussione bancaria o assicurativa. Dovrebbe essere precisata la validità del citato comma 4, lettera a), nel caso di ultrasessantacinquenni che rientrano nei limiti previsti dal decreto ministeriale, in quanto il versamento della caparra sarebbe del tutto incomprensibile oltre che inutile;
b) articolo 7, commi 13 e 14: i limiti di reddito individuati (19.000 e 22.000 euro) debbono essere calcolati secondo i criteri previsti dall'articolo 21 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e successive modificazioni, così come chiaramente indicato al comma 4 dell'articolo 3 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, richiamato dallo stesso articolo 7, comma 1, del decreto del Ministro della difesa 18 maggio 2010, n. 112;
il rappresentante di Casadiritto ha sottolineato che il Sottosegretario Crosetto si è impegnato a esaminare nel merito le proposte e le osservazioni, trovandole tutte interessanti;
risulta, altresì, che siano stati inviati agli utenti degli alloggi dell'amministrazione della difesa avvisi di sfratto e di canoni al prezzo di libero mercato a partire dal 1o gennaio 2011, senza tener conto del reale fabbisogno abitativo che ne legittimasse l'applicazione;
con il 15 per cento degli affitti degli utenti cosiddetti sine titulo incassati dal Ministero della difesa, che, per legge, dal

1994 avrebbe dovuto impiegare il «fondo casa» per costruire nuovi alloggi, a quanto risulta neppure un alloggio è stato costruito;
in data 19 dicembre 2010, è stata inviata una mail ai componenti della Commissione difesa della Camera dei deputati, nella quale viene messa in evidenza la lettera di un giovane militare, diffusa nella rubrica «Domande & risposte» del sito internet www.casadiritto.it, che è emblematica del clima di tensione che si respira tra i militari delle Forze armate; infatti, nella stessa sono espresse le conseguenze dei danni, riguardo al complesso «problema casa» per i militari, che verrebbero ascritte al Ministro della difesa e al Capo di Stato maggiore della difesa, per effetto del regolamento di cui al decreto ministeriale 18 maggio 2010, n. 112, (con l'introduzione di canoni ai prezzi di libero mercato e il ripristino degli sfratti) e dell'emanando decreto del Ministro della difesa in tema di sfratti e canoni al libero mercato;
nella citata mail il Ministero della difesa è ritenuto responsabile di riportare indietro le «lancette dell'orologio» a prima del 1993, attribuendo nuovamente lo status di «occupante» agli utenti degli alloggi demaniali legittimati fino al luglio 2010 alla conduzione delle loro case con un equo canone anche maggiorato del 50 per cento. Nel contempo, secondo quanto sostenuto nella citata lettera, si cercherebbe di distrarre l'attenzione del personale militare in servizio da quelle che appaiono inadempienze a danno di tutti i militari dipendenti; nella lettera vengono, altresì, riportate le parole, proprio del Ministro della difesa, che, durante lo svolgimento di un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea alla Camera dei deputati il 1o dicembre 2010, ha testualmente affermato nella sua risposta: «Attenzione, però, per ognuno senza titolo che rimane vuol dire che ve ne è uno con titolo che resta fuori». Far credere, denuncia la lettera, ai giovani militari con famiglia che la colpa della mancata assegnazione di un alloggio militare è da ascrivere agli utenti cosiddetti «occupanti senza titolo», oltre che non corrispondente alla realtà dei fatti, è anche moralmente censurabile;
risulta, pertanto, evidente che la situazione in cui versano gli utenti degli alloggi dell'amministrazione della difesa è drammatica e richiede interventi immediati e concreti e non le solite promesse che rischiano di essere disattese, alla luce degli esiti dell'incontro tra il Sottosegretario per la difesa e il rappresentante di Casadiritto e tenendo conto delle problematiche e delle richieste di tutti gli utenti degli alloggi,


impegna il Governo:


ad adottare opportune iniziative, anche normative, volte a:
a) evidenziare la natura pluriennale del programma di alienazione del patrimonio abitativo non più utile, esplicitando che il programma di vendita degli immobili non si esaurisce con l'individuazione di un primo elenco, ma prosegue al fine di un consistente rinnovo e ampliamento del patrimonio abitativo della difesa;
b) garantire la permanenza negli alloggi dei conduttori con basso reddito non sulla base di un limite temporale prefissato, ma in relazione al permanere del reddito familiare al di sotto della soglia determinata annualmente con decreto ministeriale, includendo anche le famiglie con portatori di handicap, dietro corresponsione del canone all'acquirente dell'alloggio comunque venduto dalla difesa «in nuda proprietà», non pregiudicando quindi la vendita dell'intero stabile;
c) individuare un numero consistente di unità immobiliari da alienare non inferiore al 30 per cento, considerando che l'adozione del modello di difesa su base esclusivamente volontaria rende necessaria la disponibilità di risorse finanziarie importanti da investire in unità abitative da assegnare al personale volontario;

d) procrastinare a una data successiva al 1o gennaio 2011 il termine di applicazione di quanto previsto dal decreto-legge n. 78 del 2010, al fine di consentire al Ministero della difesa di espletare i complessi adempimenti relativi alla determinazione dei canoni di mercato, comunicando all'utente l'importo almeno contestualmente alla sua applicazione;
a rendere noto l'elenco degli alloggi alienabili;
a valutare e ad adottare ogni altra possibile iniziativa di sostegno agli utenti degli alloggi del Ministero della difesa e a recepire le richieste delle associazioni rappresentative degli utenti degli alloggi stessi, in relazione alle quali il Governo si è espresso solo verbalmente in maniera positiva.
(1-00543)
«Di Stanislao, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Leoluca Orlando».

La Camera,
premesso che:
secondo i recentissimi dati diffusi il 18 gennaio 2011 dalla Banca d'Italia, la crescita dell'economia italiana resterà «moderata» nel corso del 2011, con un prodotto interno lordo che manterrà, sia nel 2011 sia nel 2012, il basso ritmo di crescita dell'anno 2010, intorno all'1 per cento. In particolare, la Banca d'Italia sottolinea che nel biennio 2011-2012 la ripresa economica sarà ancora trainata dalle esportazioni ma risentirà della debolezza della domanda interna e degli effetti delle misure di riequilibrio dei conti pubblici varate nell'estate 2010. La crescita, dunque, frenata dalla debole domanda interna resterebbe inferiore a quella dell'area euro stimata all'1,5 per cento. Alla fine del 2012, infatti, il prodotto interno lordo dovrebbe recuperare solo circa la metà della perdita subita nel corso di questi ultimi anni di recessione, pari a quasi 7 punti percentuali. Ne consegue, inevitabilmente, che ritmi produttivi così modesti non consentirebbero una ripresa significativa dell'occupazione, che, nel settore privato, si espanderebbe di circa 0,5 punti percentuali sia nel 2011, sia nel 2012. Per tali ragioni, la Banca d'Italia ha evidenziato la necessità di rimuovere gli ostacoli strutturali che hanno finora impedito all'economia italiana di inserirsi pienamente nella ripresa dell'economia mondiale;
su questa stessa linea appaiono anche i dati resi noti solo qualche giorno fa (il 26 gennaio 2011) dal centro studi di Confindustria che confermano come il nostro Paese fatichi ad andare oltre l'1 per cento nella velocità del prodotto interno lordo e, nonostante i dati positivi sulla ripresa globale, l'Italia, rileva Confindustria, non terrebbe il passo con Paesi appartenenti all'eurozona quali la Germania e altri come l'Asia e gli Stati Uniti d'America. La produzione industriale si attesterebbe al 17,8 per cento al di sotto del livelli pre-crisi. Sempre secondo Confindustria, la dinamica dei consumi in Italia continuerà a essere frenata dalle difficoltà nel mercato del lavoro e nei primi tre mesi del 2011 resteranno negative, di conseguenza, anche le aspettative delle imprese riguardo alle assunzioni;
intanto il debito pubblico continua a crescere. Secondo l'ultimo supplemento al bollettino di «finanza pubblica, fabbisogno e debito» della Banca d'Italia, il debito pubblico italiano è salito a 1.869.924 milioni di euro, rispetto ai 1.867.398 milioni nel mese precedente e 1.786.744 milioni di novembre 2009. In un anno, dunque, da novembre 2009 al novembre 2010 il debito pubblico è aumentato di 83,2 miliardi di euro, oltre il costo di tre manovre economico-finanziarie, al ritmo di 6,933 miliardi di euro al mese, ovverosia 1.155 euro l'anno per ognuno dei 60 milioni di abitanti italiani, senza che il Governo si sia posto il problema di attuare una seria politica economica per una sua progressiva riduzione;
il tasso di disoccupazione registrato dall'Istat a ottobre 2010 risulta

pari all'8,7 per cento, il più alto da quando, nel gennaio 2004, sono iniziate le serie storiche mensili. In particolare, i disoccupati in Italia a ottobre 2010 risultano pari a 2.167.000, più del doppio rispetto ad aprile 2007 e, secondo il già citato centro studi di Confindustria, il biennio di crisi economica è costato all'Italia 540 mila posti di lavoro e la contrazione proseguirà per tutto il 2011. Circa 2.000.000 risultano i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che per l'Istat rientrano nella categoria «Neet» (No education, employment, training), ovvero che non lavorano e non studiano. Un dato confermato dagli esperti dell'Ocse, che vedono l'Italia al terzo posto tra i Paesi industrializzati, dopo Messico e Turchia. Il valore del tasso di disoccupazione per i giovani tra i 15 e i 24 anni si attesta al 24,7 per cento, una cifra che sale al 36 per cento per le donne nel Mezzogiorno. Tale aumento, dall'inizio della crisi, è di otto punti percentuali e peggio dell'Italia risulta solo l'Ungheria, in Europa;
nel corso del 2010, le ore di cassa integrazione chieste dalle imprese italiane, secondo l'Istituto nazionale per la previdenza sociale, sono state pari a 1.200.000.000, il 31,7 per cento in più rispetto al 2009, quando erano state 914 milioni. Secondo la Cgil, nel corso del 2010, le aziende che hanno fatto ricorso alla cassa integrazione straordinaria sono state 6.185, mentre l'utilizzo dello strumento della cassa integrazione in deroga è aumentato del 250 per cento. I due istituti insieme hanno riguardato complessivamente 400.000 lavoratori;
il tasso d'inflazione medio registrato in Italia, secondo l'Istat, nel 2010, si è attestato all'1,5 per cento. Rispetto al 2009, il dato è quasi raddoppiato (nei dodici mesi precedenti si era attestato allo 0,8 per cento). A dicembre 2010 l'indice dei prezzi ha raggiunto l'1,9 per cento, in crescita di due decimali rispetto al mese precedente. È il dato più elevato dal dicembre 2008;
la pressione fiscale in Italia nel 2009 rispetto al prodotto interno lordo, secondo le stime preliminari Ocse di dicembre 2010, è pari al 43,5 per cento in lieve aumento (+0,2 per cento) rispetto all'anno precedente. L'Italia è riuscita a scalzare così il Belgio dal poco ambito podio, diventando il terzo Paese dal fisco più esoso, dopo la Danimarca (48,2 per cento) e la Svezia (46,4 per cento);
la spesa media dei mutui per gli italiani rispetto alla media europea è superiore di circa 9000 euro. In sostanza, secondo un rapporto dell'Associazione nazionale costruttori edili (Ance) pubblicato il 3 gennaio 2011, «è come se le famiglie italiane pagassero per dodici mesi in più rispetto a quelle europee il credito nel settore delle costruzioni». L'Italia, secondo l'Ance, è il Paese più caro d'Europa per contrarre un mutuo, con un differenziale dei tassi medi di interesse dello 0,36 per cento (il 4,1 per cento in Italia contro il 3,74 per cento a livello europeo);
secondo Federconsumatori e Adusbef, le famiglie italiane dovranno pagare 1.016 euro in più, nel corso del 2011, per acquistare gli stessi prodotti e servizi acquistati nel 2010. In particolare, 267 euro in più dovranno essere spesi per i generi alimentari, 131 euro in più per i carburanti, 120 euro in più per il trasporto ferroviario. I rincari saranno del 7-8 per cento per il gas, del 4-5 per cento per la luce, del 7 per cento per i rifiuti. Stando poi ai dati comunicati dall'Istat, il 29 dicembre 2010 il 33,3 per cento delle famiglie italiane, nel corso del 2009, non è stato in grado di far fronte a una spesa imprevista di 750 euro. Nel 2008 il dato corrispondeva al il 32 per cento. Infine, il 15,2 per cento delle famiglie, poi, ha presentato tre o più sintomi di disagio economico tra quelli dell'indicatore sintetico previsto dall'Eurostat;
alla luce di quanto precede emerge con tutta evidenza come l'attuale Governo non sia ancora riuscito a proporre una politica economica idonea a stimolare concretamente la domanda interna,

sostenendo i redditi delle famiglie e promuovendo lo sviluppo dell'impresa ed in particolare delle micro, piccole e medie imprese;
gli ultimi dati Istat disponibili, relativi all'anno 2007, confermano la prevalenza di micro imprese nel sistema produttivo del nostro Paese con oltre 4 milioni di imprese con meno di 10 addetti, che rappresentano il 95 per cento del totale ed occupano il 46 per cento degli addetti. Il 21 per cento degli addetti, pari a quasi 3,7 milioni, lavora infatti nelle piccole imprese (da 10 a 49 addetti), mentre la quota rilevata nelle medie imprese (da 50 a 249 addetti) è il 12,6 per cento (pari a oltre 2,2 milioni di addetti). Soltanto 3.630 imprese (0,08 per cento) impiegano 250 addetti;
avendo riguardo alle problematiche specifiche delle micro, piccole e medie imprese, non risultano ancora attuati nell'ambito del nostro ordinamento gran parte degli obiettivi sanciti a livello europeo dallo Small Business Act «Una corsia preferenziale per la piccola impresa» Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (un «Small Business Act» per l'Europa) (COM(2008) 394);
seguendo le indicazioni espresse dal sopra citato documento comunitario, il cambiamento radicale del nostro modello di sviluppo dovrebbe basarsi su di un più decisivo programma di investimenti in materia di educazione, di formazione e di ricerca e le micro, piccole e medie imprese dovranno essere sostenute attraverso l'adozione di specifiche misure nei settori della fiscalità e dell'assistenza agli imprenditori; l'emanazione di provvedimenti volti a favorirne la crescita dimensionale e la capitalizzazione; la creazione di condizioni più favorevoli agli investimenti, anche a livello transfrontaliero; il ricorso all'implementazione di procedure semplificate per la creazione e l'avvio dell'esercizio dell'attività di impresa; il miglioramento della loro governance e visibilità; il rafforzamento del loro potenziale d'innovazione, di ricerca e di sviluppo; l'adozione di misure che incentivino tali imprese a sviluppare nuovi prodotti e servizi rispettosi dell'ambiente e ad adottare sistemi di gestione eco-efficienti; il sostegno al superamento delle barriere commerciali nei mercati esterni all'Unione europea e in particolare nei mercati emergenti, quali la Cina e l'India; la riduzione dei tempi di ritardo di pagamento da parte della pubblica amministrazione; infine, il sostegno e la facilitazione dell'accesso al credito;
secondo una stima del Ministero dello sviluppo economico pubblicata il 24 gennaio 2011 sulla testata del Sole 24 Ore, attuando a regime le indicazioni dello Small Business Act, si potrebbe ottenere un impatto aggiuntivo sulla crescita del prodotto interno lordo del Paese in un triennio, di circa l'1 per cento grazie al maggior valore prodotto dalle piccole e medie imprese. In particolare, adeguando le normative attuali ai principi dello Small Business Act (contesto favorevole per le imprese, maggior facilità di credito, pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle piccole e medie imprese) si potrebbe ridurre il gap di crescita con gli altri Paesi europei, contribuendo anche alla creazione di circa 50 mila nuovi posti di lavoro;
sul tema dell'accesso al credito da parte delle imprese si rileva che l'indagine trimestrale Banca d'Italia - Il Sole 24 Ore sulle aspettative di inflazione e crescita pubblicata il 17 gennaio 2011 - evidenzia come le condizioni di accesso al credito per le imprese presentino sempre profili di particolare criticità e, di fatto, siano rimaste del tutto invariate da settembre 2010 ad oggi, «La quota di imprese che segnala invarianza di condizioni di accesso al credito - si legge nel rapporto - rimane superiore all'80 per cento. Risulta lievemente aumentata sia l'incidenza delle imprese che segnalano un peggioramento di tali condizioni (13,9 per cento, dal 12,4 per cento del trimestre precedente), sia quella di coloro che indicano un miglioramento

(5,1 per cento da 3,4 per cento). Si rileva, peraltro, che il tasso di crescita dei prestiti in Italia si è ridotto, nel giro di un anno, di dieci punti, colpendo in primo luogo le piccole e medie imprese che già risultavano fortemente penalizzate dall'applicazione degli accordi internazionali di Basilea, sia in termini di possibilità di accesso al credito, sia in termini di aumento di tassi di interesse legati all'erogazione del credito stesso;
sul tema dello snellimento delle procedure amministrative si evidenzia che, nonostante l'obiettivo corrisponda a quello di ridurre gli oneri amministrativi sulle imprese, l'Italia rappresenta il Paese europeo a più alto tasso burocratico, dove è stabile una vera e propria diseconomia dell'adempimento, che si ripercuote negativamente soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese. L'avvio di una nuova attività imprenditoriale, nonostante le modifiche normative intervenute recentemente sul punto, resta la fase burocraticamente più critica soprattutto per quanto concerne i costi, superiori del 67,2 per cento rispetto alla media europea. Nel nostro Paese, infatti, il principio di «proporzionalità negli adempimenti amministrativi» non risulta di fatto applicato. Attualmente, quindi, per le piccole e medie imprese italiane non esiste giuridicamente una proporzione fra l'onerosità degli adempimenti amministrativi cui vengono chiamate ad ottemperare e la dimensione dell'impresa, con la conseguente effettiva esigenza di tutela degli adempimenti pubblici;
nel nostro ordinamento, peraltro, non appaiono ancora recepiti i principi sanciti a livello comunitario dalla proposta di direttiva relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (di cui alla comunicazione COM(2009)126), che dovrebbe contribuire all'attuazione dello Small Business Act (di cui alla comunicazione COM(2008)394), al fine di creare eque condizioni di concorrenza per le piccole e medie imprese. Tale direttiva si inserisce, altresì, nell'ambito delle misure prospettate dal piano europeo di ripresa economica (COM(2008)800) che, tra l'altro, invita gli Stati membri e l'Unione europea a garantire che le amministrazioni pubbliche paghino le fatture relative alle forniture di beni e alle prestazioni di servizi entro un mese;
inoltre, appare quanto mai necessario che il Governo avvii una politica commerciale più attenta alle esigenze del nostro sistema e capace di accompagnare le imprese nella sfida dell'internazionalizzazione, promuovendo e tutelando il made in Italy, ma anche sviluppando maggiormente la concorrenza con regole e strumenti adeguati al fine di contrastare gli abusi di mercato e la contraffazione a garanzia delle imprese e a tutela dei consumatori;
occorre promuovere l'immagine dell'Italia all'estero, rafforzando la ripresa dell'export e la presenza internazionale delle imprese italiane, sviluppando politiche di internazionalizzazione anche attraverso il riassetto e la razionalizzazione degli enti operanti nel settore dell'internazionalizzazione, con la conseguente riorganizzazione della rete estera di supporto alle imprese;
occorre investire sulla modernizzazione ecologica dell'economia tramite la riconversione dell'insieme delle attività produttive e dei servizi: riconversione che realmente può rappresentare l'occasione per creare nuovi posti di lavoro qualificati nel settore delle energie rinnovabili, dell'edilizia, dei trasporti, dell'agricoltura e molti altri ancora;
allo stesso modo bisogna investire sul capitale umano salvaguardando i livelli occupazionali, prevedendo la graduale deduzione del costo del lavoro dall'imponibile Irap, in particolare per le piccole e medie imprese. Nei confronti di queste ultime sarebbe auspicabile adottare iniziative volte a prevedere il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto nel momento in cui si incassano le fatture e a consentire il finanziamento di opere pubbliche di piccole e medie dimensioni, più adatte

all'intervento di piccole e medie imprese, anche attraverso l'esclusione dal computo dei saldi validi ai fini del rispetto del patto di stabilità interno delle spese per investimenti per i comuni virtuosi;
occorre adottare iniziative volte a rifinanziare le disposizioni varate durante la XV legislatura in materia di credito d'imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo per importi non inferiori a quelli previsti nell'anno 2008 (ovvero 700 milioni di euro), aumentando la brevettabilità delle innovazioni italiane;
appare quanto mai urgente completare gli interventi di liberalizzazione dei mercati, allo scopo di ridurre le rendite di posizione e favorire la libera concorrenza fra imprese;
occorre adottare adeguate iniziative volte a rendere efficace un meccanismo di finanziamento pluriennale degli interventi per la realizzazione delle infrastrutture per la banda larga, sbloccando lo stanziamento di 800 milioni di euro previsti dal decreto legge n. 78 del 2009 per il finanziamento delle nuove reti tecnologiche, offrendo nuovi servizi ai cittadini e alle imprese e fornendo così al Paese fattori strutturali di competitività nel campo delle comunicazioni, puntando alla copertura a banda larga a tutta la popolazione entro il 2013 in linea con l'Agenda digitale europea;
occorre adottare specifici interventi per l'imprenditoria femminile attraverso l'attuazione del piano straordinario per la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro e l'attivazione di iniziative di sostegno alle lavoratrici e imprenditrici madri, garantendo l'effettiva tutela previdenziale e assistenziale per le madri libere professioniste o assunte con contratti atipici;
occorre prevedere adeguati strumenti per incentivare l'imprenditoria giovanile, riconoscendo alle persone fisiche di età inferiore ai 35 anni che intendano avviare l'esercizio di attività di impresa, per i primi tre anni dalla data dell'inizio dell'attività, di potersi avvalere del regime di fiscalità agevolato di cui all'articolo 1, commi 96-117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, (ovvero il cosiddetto forfettone). Attualmente, infatti, i requisiti richiesti per accedere al cosiddetto forfettone prescindono dal dato dell'età, tanto è vero che possono accedere a questo tipo di agevolazione tutte le persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni che nell'anno solare precedente hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a 30.000 euro; non hanno effettuato cessioni all'esportazione; non hanno sostenuto spese per lavoratori dipendenti o collaboratori di cui all'articolo 50, comma 1, lettere c) e c-bis), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, anche assunti secondo la modalità riconducibile a un progetto, programma di lavoro o fase di esso, ai sensi degli articoli 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, né erogato somme sotto forma di utili da partecipazione agli associati di cui all'articolo 53, comma 2, lettera c), dello stesso testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986. Infine, possono accedere a questo tipo di agevolazione le persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni che nel triennio solare precedente non hanno effettuato acquisti di beni strumentali, anche mediante contratti di appalto e di locazione, pure finanziaria, per un ammontare complessivo superiore a 15.000 euro;
nonostante le massime autorità istituzionali abbiano dichiarato come rappresenti un imperativo forzare la crescita della nostra economia perché le previsioni indicate dalla Banca d'Italia e dal Fondo monetario internazionale risultano troppo inferiori alle aspettative del nostro Paese, suscita forti perplessità, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, che parte della copertura finanziaria del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da

disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie (atto Senato n. 2518), attualmente in esame presso il Senato della Repubblica, venga fatta valere, quanto a 73 milioni di euro per l'anno 2011, mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato di quota parte delle disponibilità dei conti di tesoreria accesi per gli interventi del fondo per la finanza d'impresa che, come noto, dovrebbe invece perseguire l'obiettivo di facilitare l'accesso al credito e al capitale di rischio da parte delle imprese, soprattutto di quelle medie e piccole. Per altro, il fondo nazionale di investimento, nato il 18 marzo 2010, come misura di sostegno dei processi di patrimonializzazione delle piccole e medie imprese, con una dotazione di 1,2 miliardi di euro, non risulta ad oggi ancora operativo, mentre il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese dispone attualmente di risorse che non consentono di fornire un sostegno adeguato alle le piccole e medie imprese soprattutto in questa fase economica;
nonostante il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, insista ripetutamente sulla necessità di investire su ricerca e sviluppo e che, per la ricerca e l'innovazione, la Commissione europea nell'ambito del cosiddetto PNR (Programma nazionale di riforma), nel contesto della strategia Europa 2020 ha indicato nel 3 per cento del prodotto interno lordo il livello minimo di spesa da raggiungere nel prossimo decennio anche attraverso l'adozione di misure fiscali, secondo gli ultimi dati disponibili contenuti nella «Relazione sugli interventi di sostegno alle attività economiche e produttive» del Ministero dello Sviluppo economico, negli ultimi anni le agevolazioni sono in costante diminuzione, mentre tutti gli altri Paesi industrializzati stanno sostenendo con misure rilevanti sia la ricerca e l'innovazione tecnologica sia la green economy quali fondamentali veicoli di crescita e di opportunità per lo sviluppo di nuove imprese e la conseguente creazione di nuova occupazione;
presso la Commissione attività produttive della Camera dei deputati è in corso di esame un testo unificato delle proposte di legge (atto Camera n. 2754) ed abbinate, volto a definire lo statuto giuridico delle imprese prevedendo misure in grado di favorirne l'avvio, lo sviluppo e la competitività, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese, relativamente alle quali si intendono recepire le indicazioni contenute nello Small Business Act adottato a livello comunitario (COM (2008) 394). La medesima Commissione ha svolto un'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi dell'economia internazionale, nell'ambito della quale, il 1o dicembre 2009, ha avuto luogo l'audizione del Ministro dello sviluppo economico,


impegna il Governo:


ad adottare le opportune iniziative finalizzate a rilanciare la domanda interna, il potere di acquisto delle famiglie, sostenendo i redditi da lavoro e da pensione, così da accelerare la dinamica dei consumi in Italia;
a sostenere le micro, piccole e medie imprese assumendo le necessarie iniziative, anche normative, volte ad entrare nella fase operativa dell'attuazione dello Small Business Act, dando attuazione alle principali proposte volte a rilanciare alla competitività delle piccole e medie imprese, mettendo in campo nuovi strumenti finanziari per il sostegno della patrimonializzazione e capitalizzazione delle piccole e medie imprese, avviando l'operatività del fondo italiano di investimento istituito il 18 marzo 2010 presso il Ministero dell'economia delle finanze;
ad adottare le opportune iniziative volte a favorire l'effettivo accesso al credito alle piccole e medie imprese, valutando l'opportunità di incrementare in maniera consisteste le risorse a disposizione del fondo di garanzia per le piccole e medie

imprese, di aumentare il tetto dell'importo del credito garantito e le percentuali sulle quali si applica la garanzia;
a monitorare le condizioni di accesso al credito per le piccole e medie imprese, alla luce del recepimento degli accordi internazionali di Basilea, da ultimo Basilea 3;
a proseguire nel processo di semplificazione degli oneri burocratici e amministrativi, dando concreta attuazione, nell'ambito del nostro ordinamento giuridico, del principio della proporzionalità fra l'onerosità degli adempimenti amministrativi e la dimensione delle imprese;
a dare definitiva attuazione nel nostro ordinamento ai principi sanciti a livello comunitario in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, con particolare riguardo alle pubbliche amministrazioni, valutando altresì la possibilità di istituire presso la Cassa depositi e prestiti un fondo rotativo che anticipi i pagamenti ai fornitori delle pubbliche amministrazioni stesse;
ad individuare specifici indirizzi e risorse finanziarie per sostenere il made in Italy e per promuovere l'immagine dell'Italia all'estero, anche attraverso l'implementazione di strumenti efficaci a contrastare gli abusi di mercato e la contraffazione a garanzia delle imprese e a tutela dei consumatori;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a rifinanziare le disposizioni varate durante la XV legislatura in materia di credito d'imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo per importi non inferiori a quelli previsti nell'anno 2008 (700 milioni di euro), adottando, al contempo, politiche pubbliche realmente efficaci che favoriscano lo sviluppo delle imprese che investono nello sviluppo della ricerca e dell'innovazione tecnologica nei settori dell'ambiente, delle energie rinnovabili, del risparmio energetico, dei servizi collettivi ad alto contenuto tecnologico, ovvero nell'ideazione di nuovi prodotti che realizzino un significativo miglioramento della protezione dell'ambiente;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a proseguire nell'adozione di interventi volti alla liberalizzazione dei mercati, allo scopo di ridurre le rendite di posizione e favorire la libera concorrenza fra imprese e diminuire i costi posti a carico del cittadino-consumatore;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a sostenere la cooperazione strategica tra le università e le piccole e medie imprese in conformità alle indicazioni espresse dalla Commissione europea nelle comunicazioni sulla modernizzazione delle università COM(2006)208 del 1o maggio 2006 e COM(2009)158 del 2 aprile 2009, individuando azioni tese a realizzare una concreta sinergia e forme di partenariato tra le università e le piccole e medie imprese nella partecipazione a programmi di ricerca comunitari e internazionali;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta ad aumentare la brevettabilità delle innovazioni italiane, considerato che molte delle innovazioni italiane non sono brevettate e ciò rappresenta un doppio handicap nella competizione globale, in quanto rende più facili le imitazioni e impedisce al contempo di incassare le royalties e moltiplicare il valore dello sforzo innovativo;
ad adottare iniziative volte a promuovere l'immagine dell'Italia all'estero, attraverso il riassetto e la razionalizzazione degli enti operanti nel settore dell'internazionalizzazione;
a valutare la possibilità di adottare ogni atto di competenza, volto a salvaguardare i livelli occupazionali, prevedendo la graduale deduzione del costo del lavoro dall'imponibile Irap, in particolare per le piccole e medie imprese, nonché ad adottare iniziative volte a prevedere il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto nel momento in cui si incassano le fatture;

a sostenere il finanziamento di opere pubbliche di piccole e medie dimensioni, anche attraverso l'esclusione dal computo dei saldi validi ai fini del rispetto del patto di stabilità interno delle spese per investimenti per i comuni virtuosi;
a valutare l'opportunità di adottare adeguate iniziative, anche normative, volte a rendere efficace un meccanismo di finanziamento pluriennale degli interventi per la realizzazione della infrastrutture per la banda larga, sbloccando lo stanziamento di 800 milioni di euro previsti dal decreto-legge n. 78 del 2009 per il finanziamento delle nuove reti tecnologiche;
a valutare l'opportunità di adottare adeguate iniziative di carattere finanziario volte a sostenere l'imprenditoria femminile e giovanile, anche attraverso il riconoscimento per le persone di età inferiore ai 35 anni che intendano avviare l'esercizio di attività di impresa, per i primi tre anni dalla data dell'inizio dell'attività, di potersi avvalere del regime di fiscalità agevolato di cui all'articolo 1, commi 96-117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, (ovvero il cosiddetto forfettone).
(1-00544)
«Borghesi, Cimadoro, Porcino, Cambursano, Donadi, Evangelisti, Di Pietro, Barbato, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Rota, Zazzera».

La Camera,
premesso che:
la politica agricola comune (PAC), prevista dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, è una delle politiche comunitarie di maggiore importanza, impegnando circa il 34 per cento del bilancio dell'Unione europea;
l'articolo 2 del Trattato di Roma afferma che la Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e il graduale riavvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche. Per raggiungere tale scopo, occorreva:
a) abolire i dazi doganali tra gli Stati membri;
b) istituire tariffe doganali e politiche commerciali nei confronti degli Stati terzi;
c) eliminare gli ostacoli tra gli Stati membri di capitali, servizi e persone;
d) instaurare una politica comune nel settore dei trasporti e in quello dell'agricoltura;
e) creare un fondo sociale europeo e una Banca europea, per promuovere gli investimenti;
la PAC (politica agricola comune o comunitaria), fin dal suo inizio, si era prefissata i seguenti obiettivi:
a) garantire la sicurezza dell'approvvigionamento alimentare;
b) migliorare le condizioni di esercizio dell'attività agricola, garantendo una sostanziale stabilità dei prezzi, anche grazie al prezzo di intervento stabilito dalla Comunità europea. Di fatto, ai produttori, per le rispettive produzioni,era assicurato un prezzo minimo garantito;
c) promuovere la produzione di derrate alimentari di pregio e qualità;
d) orientare le imprese agricole verso una maggiore capacità produttiva (limitando i fattori della produzione, aumentando lo sviluppo tecnologico e utilizzando delle migliori tecniche agronomiche);
e) nell'attuale contesto, non si può non osservare come tali obiettivi non siano stati raggiunti, in quanto il reddito degli agricoltori è al di sotto di quello medio complessivo; inoltre, le crisi ripetute e la volatilità dei mercati penalizzano fortemente i redditi dei produttori agricoli;

il 18 novembre 2010 il Commissario europeo Dacian Ciolos ha presentato la comunicazione della Commissione europea sul futuro della politica agricola comune dopo il 2013. Si tratta di una tappa importante nel percorso che condurrà alla definizione della politica agricola comune per il periodo 2014-2020;
il documento reca le linee di indirizzo generale della futura politica agricola comune, che ha lo scopo di realizzare una riforma capace di soddisfare le molteplici attese dei cittadini e, soprattutto, di mettere in risalto il contributo dell'agricoltura alle nuove esigenze ed emergenze della società;
il documento indica la necessità che la futura politica agricola comune sia rivolta verso i seguenti obiettivi: garanzia degli approvvigionamenti, sicurezza delle produzioni alimentari, sostenibilità ambientale delle produzioni, qualità delle derrate alimentari, tutela dell'occupazione delle zone rurali;
per il settore primario italiano assumono un'importanza fondamentale le decisioni che verranno prese sulle dimensioni del futuro bilancio per la politica agricola comune, questione centrale della nuova riforma insieme ai meccanismi di ripartizione delle risorse a favore degli Stati, sulla riforma del pagamento unico per azienda e sulla remunerazione dei servizi collettivi che gli agricoltori forniscono alla società in materia di tutela ambientale e di sicurezza alimentare;
il documento della Commissione europea, anche se non entra in maniera specifica nelle questioni di maggior rilievo, è una buona base di partenza per puntare ad una riforma robusta e ambiziosa per il nostro Paese;
per affrontare con serenità il futuro, la nuova politica agricola comune deve essere modificata in modo tale che il suo sostegno venga ripartito in modo più equo;
in molte proposte emerge una nuova richiesta per la politica agricola comune: il contrasto all'instabilità dei mercati e il miglioramento della posizione degli agricoltori nella filiera agroalimentare;
gli strumenti della vecchia politica di garanzia (prezzi garantiti, dazi, sussidi all'esportazione, ammasso pubblico, quote, set aside ed altro) hanno mostrato tutti i loro limiti e non sono più applicabili nella prospettiva futura. Tuttavia, l'obiettivo della stabilizzazione dei prezzi e dei mercati rimane ancora attuale;
anziché la vecchia politica di garanzia, si richiede di favorire gli strumenti di regolazione dei mercati gestiti direttamente dai produttori agricoli, attraverso la concentrazione dell'offerta, il miglioramento del rapporto tra produttori e primi acquirenti tramite le strutture di aggregazione, la cooperazione, l'associazionismo e l'interprofessione,


impegna il Governo:


ad assumere una posizione forte a difesa del budget destinato alla politica agricola comune, soprattutto alla luce dei nuovi impegni e delle nuove sfide cui viene chiamato il sistema agricolo europeo;
ad effettuare una valutazione di impatto per l'Italia, inerente al nuovo sistema di pagamenti diretti proposto dalla Commissione europea, in particolare in relazione alla ridistribuzione dei pagamenti diretti e al loro «spacchettamento» in quattro componenti: pagamenti diretti di base, pagamento per l'agricoltura verde, pagamenti per le zone con handicap naturali, pagamenti «accoppiati» per l'agricoltura ad alto valore strategico;
a chiedere, in sede di Unione europea, un congruo periodo di adattamento nell'applicazione della riforma, per consentire il raggiungimento graduale degli obiettivi;
ad individuare soluzioni e proposte per tener conto della particolarità dell'agricoltura italiana, caratterizzata da produzione ad alto valore aggiunto, in

modo da evitare un drastico ridimensionamento dei pagamenti diretti, che - in base alla proposta attuale della Commissione europea - rischiano di essere distribuiti in base al solo parametro della superficie;
a predisporre un ventaglio di proposte per un sistema di pagamenti diretti più confacente con le caratteristiche socio-economico-strutturali dell'agricoltura italiana, in particolare per l'olivicoltura, l'ortofrutticoltura, l'agrumicoltura e le produzioni zootecniche, che saranno fortemente penalizzate dalle ipotesi di ridistribuzione dei pagamenti diretti proposte dalla Commissione europea;
a richiedere l'istituzione di una effettiva «rete di sicurezza», che permetta di affrontare in maniera tempestiva ed efficace le crisi di mercato, prevedendo allo stesso tempo un fondo anticrisi per tutti i settori;
a richiedere che la politica di sviluppo rurale preveda misure di intervento rivolte principalmente alle imprese e all'aumento della loro competitività;
a richiedere che la riforma della politica agricola comune assuma l'obiettivo di semplificarne l'applicazione, prevedendo successivi momenti di verifica e di confronto fra Paesi;
a promuovere un migliore funzionamento delle filiere, richiedendo l'attivazione di politiche di settore che determinino il rafforzamento della posizione competitiva degli agricoltori nella ripartizione della catena del valore;
a incrementare la compatibilità internazionale della politica agricola comune, richiedendo la formalizzazione del principio di reciprocità e l'individuazione di forme di tutela dalla concorrenza insostenibile esercitata dalle produzioni dei Paesi non appartenenti all'Unione europea non assoggettate alle stesse regole sanitarie e di sicurezza del lavoro;
a proporre strumenti innovativi per l'utilizzo ottimale delle risorse disponibili a favore degli agricoltori in attività;
a sostenere il ricambio generazionale;
a qualificare la gestione dei rischi delle imprese agricole, nonché a valorizzare il patrimonio di realtà associative e cooperative presenti nel nostro Paese.
(1-00545)
«Delfino, Galletti, Naro, Volontè, Compagnon, Ciccanti, Libè, Occhiuto, Cera, Marcazzan».

NUOVA FORMULAZIONE

La Camera,
premesso che:
la politica agricola comune (PAC), prevista dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, è una delle politiche comunitarie di maggiore importanza, impegnando circa il 34 per cento del bilancio dell'Unione europea;
l'articolo 2 del Trattato di Roma afferma che la Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e il graduale riavvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche. Per raggiungere tale scopo, occorreva:
a) abolire i dazi doganali tra gli Stati membri;
b) istituire tariffe doganali e politiche commerciali nei confronti degli Stati terzi;
c) eliminare gli ostacoli tra gli Stati membri di capitali, servizi e persone;
d) instaurare una politica comune nel settore dei trasporti e in quello dell'agricoltura;
e) creare un fondo sociale europeo e una Banca europea, per promuovere gli investimenti;
la PAC (politica agricola comune o comunitaria), fin dal suo inizio, si era prefissata i seguenti obiettivi:
a) garantire la sicurezza dell'approvvigionamento alimentare;
b) migliorare le condizioni di esercizio dell'attività agricola, garantendo una sostanziale stabilità dei prezzi, anche grazie al prezzo di intervento stabilito dalla Comunità europea. Di fatto, ai produttori, per le rispettive produzioni, era assicurato un prezzo minimo garantito;
c) promuovere la produzione di derrate alimentari di pregio e qualità;
d) orientare le imprese agricole verso una maggiore capacità produttiva (limitando i fattori della produzione, aumentando lo sviluppo tecnologico e utilizzando delle migliori tecniche agronomiche);
nell'attuale contesto, non si può non osservare come tali obiettivi non siano stati raggiunti, in quanto il reddito degli agricoltori è al di sotto di quello medio complessivo; inoltre, le crisi ripetute e la volatilità dei mercati penalizzano fortemente i redditi dei produttori agricoli;
il 18 novembre 2010 il Commissario europeo Dacian Ciolos ha presentato la comunicazione della Commissione europea sul futuro della politica agricola comune dopo il 2013. Si tratta di una tappa importante nel percorso che condurrà alla definizione della politica agricola comune per il periodo 2014-2020;
il documento reca le linee di indirizzo generale della futura politica agricola comune, che ha lo scopo di realizzare una riforma capace di soddisfare le molteplici attese dei cittadini e, soprattutto, di mettere in risalto il contributo dell'agricoltura alle nuove esigenze ed emergenze della società;
il documento indica la necessità che la futura politica agricola comune sia rivolta verso i seguenti obiettivi: garanzia degli approvvigionamenti, sicurezza delle produzioni alimentari, sostenibilità ambientale delle produzioni, qualità delle derrate alimentari, tutela dell'occupazione delle zone rurali;
per il settore primario italiano assumono un'importanza fondamentale le decisioni che verranno prese sulle dimensioni del futuro bilancio per la politica agricola comune, questione centrale della nuova riforma insieme ai meccanismi di ripartizione delle risorse a favore degli Stati, sulla riforma del pagamento unico per azienda e sulla remunerazione dei servizi collettivi che gli agricoltori forniscono alla società in materia di tutela ambientale e di sicurezza alimentare;
il documento della Commissione europea, anche se non entra in maniera specifica nelle questioni di maggior rilievo, è una buona base di partenza per puntare ad una riforma robusta e ambiziosa per il nostro Paese;
per affrontare con serenità il futuro, la nuova politica agricola comune deve essere modificata in modo tale che il suo sostegno venga ripartito in modo più equo;
in molte proposte emerge una nuova richiesta per la politica agricola comune: il contrasto all'instabilità dei mercati e il miglioramento della posizione degli agricoltori nella filiera agroalimentare;
gli strumenti della vecchia politica di garanzia (prezzi garantiti, dazi, sussidi all'esportazione, ammasso pubblico, quote, set aside ed altro) hanno mostrato tutti i loro limiti e non sono più applicabili nella prospettiva futura. Tuttavia, l'obiettivo della stabilizzazione dei prezzi e dei mercati rimane ancora attuale;
anziché la vecchia politica di garanzia, si richiede di favorire gli strumenti di regolazione dei mercati gestiti direttamente dai produttori agricoli, attraverso la concentrazione dell'offerta, il miglioramento del rapporto tra produttori e primi acquirenti tramite le strutture di aggregazione, la cooperazione, l'associazionismo e l'interprofessione,


impegna il Governo:


ad assumere una posizione forte a difesa del budget destinato alla politica agricola comune, soprattutto alla luce dei nuovi impegni e delle nuove sfide cui viene chiamato il sistema agricolo europeo;
ad effettuare una valutazione di impatto per l'Italia, inerente al nuovo sistema di pagamenti diretti proposto dalla Commissione europea, in particolare in relazione alla ridistribuzione dei pagamenti diretti e al loro «spacchettamento» in quattro componenti: pagamenti diretti di base, pagamento per l'agricoltura verde, pagamenti per le zone con handicap naturali, pagamenti «accoppiati» per l'agricoltura ad alto valore strategico;
a chiedere, in sede di Unione europea, un congruo periodo di adattamento nell'applicazione della riforma, per consentire il raggiungimento graduale degli obiettivi;
ad individuare soluzioni e proposte per tener conto della particolarità dell'agricoltura italiana, caratterizzata da produzione ad alto valore aggiunto, in modo da evitare un drastico ridimensionamento dei pagamenti diretti, che - in base alla proposta attuale della Commissione europea - rischiano di essere distribuiti in base al solo parametro della superficie;
a predisporre un ventaglio di proposte per un sistema di pagamenti diretti più confacente con le caratteristiche socio-economico strutturali dell'agricoltura italiana, in particolare per l'olivicoltura, l'ortofrutticoltura, l'agrumicoltura e le produzioni zootecniche, che saranno fortemente penalizzate dalle ipotesi di ridistribuzione dei pagamenti diretti proposte dalla Commissione europea;
ad adoperarsi per assicurare la conferma all'interno della futura politica agricola comune di uno strumento di flessibilità quale quello previsto dall'articolo 68 attuale (reg. 73/09), capace di intervenire sul sistema agricolo attraverso interventi volti a salvaguardare specifici settori produttivi in crisi strutturale, il sostegno di comparti strategici in aree svantaggiate, oltre che promuovere la qualità, l'origine e la tracciabilità delle filiere;
a richiedere l'istituzione di una effettiva «rete di sicurezza», che permetta di affrontare in maniera tempestiva ed efficace le crisi di mercato, prevedendo allo stesso tempo un fondo anticrisi per tutti i settori;
a richiedere che la politica di sviluppo rurale preveda misure di intervento rivolte principalmente alle imprese e all'aumento della loro competitività;
a sviluppare, all'interno della politica di sviluppo rurale, un'attività di semplificazione e flessibilità finanziaria dei programmi di sviluppo rurale, sia attraverso un coordinamento unitario del Governo, che per mezzo di appositi strumenti finanziari che ne garantiscano il pieno utilizzo delle risorse, sia in termini di efficacia che di efficienza, in un Paese come l'Italia a programmazione regionalizzata;
a promuovere un migliore funzionamento delle filiere, richiedendo l'attivazione di politiche di settore che determinino il rafforzamento della posizione competitiva degli agricoltori nella ripartizione della catena del valore;
a incrementare la compatibilità internazionale della politica agricola comune, richiedendo la formalizzazione del principio di reciprocità e l'individuazione di forme di tutela dalla concorrenza insostenibile esercitata dalle produzioni dei Paesi non appartenenti all'Unione europea non assoggettate alle stesse regole sanitarie e di sicurezza del lavoro;
a proporre strumenti innovativi per l'utilizzo ottimale delle risorse disponibili a favore degli agricoltori in attività;
a sostenere il ricambio generazionale;
a qualificare la gestione dei rischi delle imprese agricole, nonché a valorizzare il patrimonio di realtà associative e cooperative presenti nel nostro Paese.
(1-00545)
(Nuova formulazione) «Delfino, Galletti, Naro, Volontè, Compagnon, Ciccanti, Libè, Occhiuto, Cera, Marcazzan».

La Camera,
premesso che:
secondo i dati forniti di recente dalla Banca d'Italia, nella media del 2010, il prodotto interno lordo dell'Italia è aumentato dell'1 per cento, contro l'1,7 dell'area dell'euro, mentre il volume del commercio mondiale nel 2010 è sostanzialmente tornato ai livelli pre-crisi (+ 7,4);
in tale quadro di sostanziale immobilità che potrebbe perdurare anche negli anni 2011 e 2012, l'Italia, per tornare a crescere, deve promuovere un ventaglio di politiche e di riforme tale da innalzare il potenziale di crescita dell'economia italiana, attraverso riforme specifiche rivolte alle micro, piccole e medie imprese, all'interno di una più generale strategia di sviluppo del Paese;
con l'attuale crisi, tutti i Paesi avanzati si stanno confrontando con la ricerca di un nuovo paradigma di sviluppo in grado di sostenere le contestuali sfide dell'allargamento dei diritti, della globalizzazione, della rivoluzione tecnologica;
è necessario che si affermi, anche nel nostro Paese, un nuovo atteggiamento culturale, sollecitato dall'Unione europea con la comunicazione sullo Small Business Act, per provare a «pensare sempre a misura di piccolo»;
è un dovere, per le future generazioni, che il rigore nei conti pubblici sia sempre accompagnato da politiche di sviluppo;
è necessario costruire il Paese delle opportunità e la libera iniziativa economica

dei cittadini è uno strumento fondamentale di mobilità sociale e di sviluppo della capacità creativa degli italiani;
per tali motivi, alle micro, piccole e medie imprese, quasi il 95 per cento del totale, deve essere riconosciuto il ruolo di «spina dorsale» del Paese, elemento, questo, di solida tenuta del sistema economico e sociale, motore di innovazione e di sviluppo, ma soprattutto veicolo di trasmissione di valori e di promozione della parità e della realizzazione umana, fondata sul merito, sulla fatica e sulla capacità di far fruttare i propri talenti;
le piccole e medie imprese italiane sono caratterizzate da una benefica prevalenza del fattore famiglia-lavoro sul capitale, una peculiarità positiva che deve essere sostenuta promuovendone l'organizzazione in rete e sostenendone la patrimonializzazione;
è, dunque, necessario sostenere, sul piano sia giuridico sia fiscale, le reti d'impresa, l'evoluzione dei distretti e delle filiere e dei consorzi, come formazioni in grado di coniugare i vantaggi in termini di flessibilità produttiva e le necessità di una scala adeguata per affrontare la competizione globale;
a tal fine, deve essere riformato l'attuale sistema di incentivi, eliminando quelli «a pioggia» a favore di un sostegno mirato alle aggregazioni tra imprese e tra imprese e università, per rafforzare e favorire lo sviluppo tecnologico e il radicamento della ricerca e della capacità competitiva di territori;
la diversità dell'Italia nella sua struttura produttiva deve essere riconosciuta e, per questo, è necessario un impegno in sede di Unione europea, affinché, in tutti gli ambiti, le politiche tengano conto della specifica ricchezza italiana, non rintracciabile in alcun altro Paese europeo;
la prima modalità di sano finanziamento dell'impresa è una corretta relazione tra debitore e creditore nell'ambito dei pagamenti, sia della pubblica amministrazione che tra privati, mentre troppo spesso il fabbisogno di credito delle piccole e medie imprese è artificiosamente accresciuto da modalità di pagamento capestro, che generano un cortocircuito anche nei sistemi di autofinanziamento più sani ed evoluti;
è innegabile che la difficoltà di accesso al credito sia esponenzialmente cresciuta con la crisi economica;
il sistema bancario è determinante per rendere la crisi meno profonda e duratura; i punti più critici sono innanzitutto la quantità di credito che attualmente viene allocata sull'economia reale, soprattutto sulle medie e piccole imprese e il costo di tale credito;
in attesa del completamento delle modifiche strutturali di Basilea 2, è indispensabile una moratoria sul rimborso della quota capitale dei prestiti, strada maestra per una trasparente collaborazione tra imprese e sistema bancario, nell'interesse del Paese;
le reti d'impresa, come i distretti e i consorzi, sono un'opportunità da sostenere con una seria normativa che può consentire lo sviluppo di sinergie sui territori; occorre in tal senso considerare le positive esperienze dei distretti;
la vigente tassazione delle imprese presenta una serie di ostacoli alla crescita, perché disincentiva l'utilizzo del capitale proprio rispetto al capitale di debito e tassa differentemente il reddito del capitale investito a seconda della forma giuridica dell'impresa;
per favorire l'occupazione dei molti giovani che, finiti gli studi, non trovano lavoro, vanno sostenuti i progetti di incubazione di nuova impresa collegati a strumenti fiscali innovativi e di basso impatto nella fase di start up, sia per i giovani in cerca di prima occupazione che per le donne e i disoccupati over cinquanta, anche utilizzando le opportunità offerte dal settore cooperativo;

nel Mezzogiorno, in particolare, la promozione e lo sviluppo delle imprese giovanili e femminili devono essere sostenuti poiché in grado di valorizzare le risorse endogene e accrescere il capitale sociale del territorio, permettendo la partecipazione diretta dei cittadini ai processi economici e di cambiamento nelle comunità locali;
deve essere, inoltre, tenuto in grande considerazione il fenomeno nuovo, e quanto mai significativo per l'integrazione e la crescita del Paese, delle 340.000 aziende costituite da immigrati; la promozione dell'autoimpresa per chi viene in Italia, affermandosi nella legalità e nel rispetto delle regole e rispondendo a esigenze reali di mercato, rimane un punto a favore di ogni processo di integrazione,


impegna il Governo:


ad operare per estendere, per tutto il 2011, la moratoria dei debiti bancari delle imprese, ampliandola al lavoro autonomo e alle professioni;
ad adottare ogni opportuna iniziativa affinché la progressiva applicazione dell'accordo Basilea 3 non si traduca in un inasprimento delle condizioni del credito bancario verso le piccole e medie imprese, altresì prevedendo adeguate misure a sostegno delle operazioni di capitalizzazione e di crescita dimensionale e favorendo opportuni meccanismi di garanzia pubblica sui finanziamenti a medio e lungo termine concessi dalle banche alle piccole e medie imprese;
a intervenire in modo definitivo nella lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali sia tra imprese che tra imprese e pubblica amministrazione, con iniziative che obblighino a saldare le fatture in tempi ragionevoli, anche sulla base della direttiva europea attualmente in discussione, attuando nel breve termine la compensazione dei crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione superiori ai 60 giorni con crediti fiscali e previdenziali;
ad assumere iniziative per eliminare gradualmente l'Irap sul costo del lavoro, per esentare dal pagamento delle imposte la parte di reddito reinvestita nell'azienda, nell'attività professionale, nelle società, per ad applicare l'aliquota del 20 per cento al reddito ordinario percepito dai lavoratori autonomi, dagli imprenditori individuali, dal socio in società di persone e per prevedere l'assoggettamento all'Irpef della parte eccedente;
a promuovere la riforma degli studi di settore per semplificarli, evitando che diano luogo ad una sorta di minimum tax, iniqua nei confronti dei contribuenti di dimensioni minori e, al tempo stesso, inefficace contro l'evasione, prevedendo la riduzione del loro numero, la revisione delle modalità di calcolo e un piano straordinario di formazione degli operatori dell'Agenzia delle entrate sul corretto funzionamento degli studi e la modifica dei criteri di attribuzione della retribuzione di risultato;
a promuovere la riforma dell'attuale sistema di incentivi, attraverso un drastico ridimensionamento degli incentivi individuali, per spostare le risorse pubbliche sulla costruzione di grandi reti di collaborazione con radicamento locale, e favorire l'aggregazione tra imprese al fine di intervenire sull'assetto dimensionale del tessuto produttivo;
a sostenere il made in Italy mediante iniziative, anche normative, volte ad agevolare le filiere produttive, in particolare per alcuni comparti, quali ad esempio il settore tessile, abbigliamento e calzaturiero ed altri comparti che risentono di situazioni di crisi «settoriali» precedenti a quella internazionale iniziata nella seconda metà del 2008;
ad assumere iniziative per ripristinare il credito d'imposta automatico in ricerca e sviluppo;
a sostenere l'avvio di nuove imprese di giovani e donne tramite la riduzione dei costi ordinari di costituzione e start up, delle tariffazioni per la tenuta della contabilità, dei costi dei servizi bancari;

a eliminare il gap consistente dovuto all'elevato costo dell'energia rispetto ad altri competitori europei, che vede più svantaggiate le micro e piccole imprese nei confronti delle imprese di più grandi dimensioni;
a promuovere una revisione del patto di stabilità interno al fine di liberare risorse per gli investimenti degli enti locali, con lo scopo di riavviare un ciclo virtuoso collegato all'attuazione di interventi infrastrutturali e al miglioramento dei servizi, indispensabili alla ripresa delle attività produttive in ambito territoriale e al miglioramento della qualità della vita dei cittadini;
a prevedere una drastica riduzione degli oneri burocratici sulle piccole e medie imprese, evitando continue sovrapposizioni normative che hanno dato luogo a ulteriori appesantimenti degli iter e prevedendo obblighi proporzionati alle dimensioni e al settore aziendale;
ad adottare iniziative di competenza affinché nelle gare per appalti di forniture alle pubbliche amministrazioni vi sia una riserva di beni e servizi per le piccole imprese e per i fornitori locali nei piccoli comuni.
(1-00546)
«Lulli, Boccia, Colaninno, Fadda, Froner, Marchioni, Martella, Mastromauro, Peluffo, Portas, Quartiani, Sanga, Scarpetti, Federico Testa, Vico, Zunino, Marco Carra».

La Camera,
premesso che:
la politica agricola comune (PAC) è uno degli impegni comunitari di maggiore rilevanza strategica ed economica, la politica comune in campo agricolo è prevista espressamente dal Trattato delle Comunità;
il Trattato di Roma, all'articolo 2, afferma, infatti, che la Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e il graduale riavvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche. Nel trattato si precisava che per raggiungere tale scopo era necessario:
a) abolire i dazi doganali tra gli Stati membri;
b) istituire tariffe doganali e politiche commerciali nei confronti degli Stati terzi;
c) eliminare gli ostacoli tra gli Stati membri di capitali, servizi e persone;
d) instaurare una politica comune nel settore dei trasporti e in quello dell'agricoltura;
e) creare un fondo sociale europeo e una Banca europea, per promuovere gli investimenti;
la politica agricola comune sin dall'origine si era prefissata due principali obiettivi:
a) soddisfare gli agricoltori grazie al cosiddetto prezzo di intervento. Si stabiliva, cioè, in sede comunitaria un prezzo minimo garantito per i prodotti agricoli. Il prezzo delle produzioni non poteva scendere al di sotto di questo;
b) orientare le imprese agricole verso una maggiore capacità produttiva (limitando i fattori della produzione, aumentando lo sviluppo tecnologico e utilizzando delle migliori tecniche agronomiche);
questo meccanismo ha mostrato nel tempo un difetto di fondo: l'obiettivo della garanzia ha finito per prevalere su quello dell'orientamento, favorendo da parte delle aziende agricole una tendenza ad accontentarsi del profitto garantito dai prezzi di intervento e dai prelievi tariffari. Questa tendenza ha comportato una costante mancanza di propensione all'ammodernamento;
sulla scorta dell'esperienza maturata, dagli anni '90 in poi, progressivamente,

si è cominciato a dare sempre più applicazione al cosiddetto sistema delle quote di produzione, in modo da garantire agli agricoltori un livello minimo dei prezzi dei prodotti e di ripartire equamente tra i vari Paesi comunitari una quota di produzione garantita;
nel 2003 si è avuta poi una profonda riforma della politica agricola comune, che di certo ha costituito un momento chiave della sua evoluzione, adattandola alle nuove esigenze degli agricoltori, dei consumatori e del pianeta;
da ultimo, dal mese di aprile 2010 fino a quello di giugno 2010, su iniziativa di Dacian Ciolos, il Commissario europeo responsabile dell'agricoltura e dello sviluppo rurale, si è sviluppato un dibattito pubblico sul futuro della politica agricola comune. Secondo il Commissario europeo: «La politica agricola europea non è un dominio riservato ai soli agricoltori. È la società intera a beneficiare di questa politica comune europea, che investe aree come l'alimentazione, la gestione dei territori e la protezione dell'ambiente»;
in un contesto globale in rapida evoluzione, si è oggi di fronte ad un panorama particolarmente complesso; se da una parte, infatti, si registra il raddoppio della domanda alimentare, contemporaneamente dall'altra si deve affrontare la diminuzione costante di risorse naturali meno terra da coltivare, meno acqua e, soprattutto, meno energia a causa dell'impatto del cambiamento climatico;
come ha ricordato George Lyon nella discussione tenutasi giovedì 8 luglio 2010 al Parlamento europeo: «Se non affrontiamo la questione, possiamo aspettarci una grave destabilizzazione, un aumento dei rivolgimenti popolari e problemi potenzialmente significativi a livello di migrazione internazionale perché la gente si sposta per evitare penuria di cibo e acqua»;
i flussi migratori sono già oggi, in buona parte, determinati da un evidente squilibrio nel consumo delle risorse naturali ed ancora di più delle tecnologie necessarie per utilizzarle. I Paesi emergenti ed anche molti di quelli del «terzo mondo», denunciano i sostegni economici che quelli più avanzati mettono a disposizione dei propri comparti agricoli, imputando, proprio a questi sostegni, una delle ragioni principali del mantenimento del gap internazionale;
a tale riguardo si sono spesso manifestate contraddizioni lampanti. Non è con un approccio ideologicamente antiglobalizzazione che si può governare la complessa realtà che si ha di fronte. Spesso sono stati invocati aiuti ai Paesi poveri dagli stessi che contemporaneamente proponevano, in nome dell'antiglobalizzazione, sostegni economici a produzioni agricole tipiche dei Paesi più sviluppati. Non è così che si può governare la situazione presente, la globalizzazione impone un'analisi seria ed approfondita, pone di fronte sfide complesse, che devono essere affrontate responsabilmente. Il sostegno al comparto agricolo dei Paesi più industrializzati e, nel contempo, una gestione delle risorse che tenga conto dei margini di sviluppo dei Paesi emergenti sono possibili e possono essere messi in atto solo con la necessaria gradualità; per governare il presente è necessario focalizzare un percorso virtuoso di sviluppo sostenibile a livello planetario;
in questa ottica le riforme della politica agricola comune sono state realizzate anche per rendere il commercio mondiale più equo, ad esempio riducendo il rischio di creare distorsioni sui mercati con le sovvenzioni concesse dall'Unione europea per l'esportazione della produzione eccedentaria. Nel cosiddetto ciclo di negoziati di Doha per la liberalizzazione degli scambi internazionali, l'Unione europea ha proposto di sopprimere integralmente le sovvenzioni all'esportazione entro il 2013 anche in caso di fallimento dei negoziati;
affrontare il cambiamento climatico e rendere la nostra produzione agricola più sostenibile sono obiettivi di primaria

importanza, passaggi indispensabili se si vuole continuare a garantire la sicurezza alimentare dei cittadini europei e contribuire a rispondere a una domanda mondiale di cibo in costante aumento;
il processo di aggiornamento del sistema di sostegno allo sviluppo agricolo prosegue con costanza, la Commissione europea ha pubblicato il 18 novembre 2010 la comunicazione «La politica agricola comune (PAC) verso il 2020. Rispondere alle sfide future dell'alimentazione, delle risorse naturali e del territorio». Tre sono stati gli obiettivi principali delineati:
a) produzione alimentare economicamente redditizia (la fornitura di derrate alimentari sicure e in quantità sufficienti in un contesto di crescente domanda mondiale, di crisi economica e di maggiore instabilità dei mercati per contribuire alla sicurezza dell'approvvigionamento);
b) gestione sostenibile delle risorse naturali e azione a favore del clima (gli agricoltori devono spesso far prevalere le considerazioni ambientali su quelle economiche, ma i relativi costi non vengono compensati dal mercato);
c) mantenimento dell'equilibrio territoriale e della diversità delle zone rurali (l'agricoltura resta un motore economico e sociale di grande importanza nelle zone rurali e un fattore fondamentale per mantenere in vita la campagna);
in particolare, con riguardo ai pagamenti diretti, la comunicazione sottolinea l'importanza di ridistribuire, riformulare e rendere più mirato il sostegno, sulla base di criteri oggettivi ed equi, facilmente comprensibili per il contribuente. I nuovi criteri dovrebbero essere sia economici (data la funzione di «sostegno al reddito» propria dei pagamenti diretti) che ambientali (per tener conto dei beni di pubblica utilità forniti dagli agricoltori) e il sostegno dovrebbe essere maggiormente orientato verso gli agricoltori attivi. Secondo la Commissione europea, andrebbe organizzata una distribuzione più equa dei fondi, in modo fattibile sotto il profilo economico e politico, prevedendo un margine di transizione per evitare gravi perturbazioni;
la Commissione europea presenterà entro l'estate del 2011 una comunicazione sul futuro della politica agricola comune, che si assocerà al progetto preliminare sulle prospettive finanziarie per il periodo 2014-2020, sempre da presentare entro la medesima scadenza. Entro il 2012 si arriverà poi all'approvazione dei relativi testi di legge;
alla fine di questo percorso i contenuti della nuova politica agricola comune dovranno comunque fare riferimento e coordinarsi nel quadro complessivo della strategia «Europa 2020», definita dal Consiglio europeo del 17 giugno 2010;
in questo quadro non appare coerente sostenere di ridistribuire le risorse della politica agricola comune in base a criteri esclusivamente legati alla superficie, perché ciò non premierebbe la qualità che deve invece caratterizzare le coltivazioni. La ricerca costante dell'aumento della qualità deve, infatti, caratterizzare la produzione agricola dei Paesi più industrializzati;
inoltre, appare inaccettabile l'ipotesi di ridurre il budget della politica agricola comune; va ricordato, infatti, che il bilancio della politica agricola comune, che costituiva il 65 per cento del bilancio comunitario nel 1988, oggi rappresenta solo il 34 per cento del totale,


impegna il Governo:


a valutare, con riferimento alle possibili modifiche del sistema dei pagamenti diretti, l'impatto che tali cambiamenti comporterebbero per il nostro Paese, evitando soluzioni troppo radicali e repentine che potrebbero danneggiare diverse imprese agricole italiane, con gravi conseguenze anche occupazionali;
a sostenere, in sede comunitaria, strategie finalizzate a incentivare il sistema agroalimentare italiano, promuovendo

investimenti finalizzati allo sviluppo della qualità del settore agroalimentare;
a fare in modo che le modifiche ai criteri di ripartizione dei fondi destinati alla politica agricola comune tengano conto di fattori fondamentali, oltre quello della superficie, come l'impatto occupazionale, il valore aggiunto e la qualità della produzione;
a promuovere, in sede comunitaria, lo sviluppo degli strumenti necessari per migliorare il raccordo ed il funzionamento delle filiere, fattore determinante per il comparto agricolo italiano, valorizzando anche l'esperienza maturata negli ultimi anni dai nostri produttori ortofrutticoli, in modo da remunerare adeguatamente la fase produttiva agricola, primo anello fondamentale di qualsiasi filiera agroalimentare;
a favorire, a livello comunitario, il rafforzamento delle politiche mirate allo sviluppo delle nuove generazioni di agricoltori, legandole, in particolare, all'innovazione del settore e all'introduzione di incentivi mirati a favorire la dotazione di capitali fissi e l'accesso al credito;
ad investire anche a livello nazionale nello sviluppo della qualità della produzione del settore agricolo, premiando le produzioni di pregio e valorizzando le sue potenzialità occupazionali;
a promuovere l'introduzione nella nuova politica agricola comune, anche in previsione del progressivo smantellamento dei vecchi sistemi di intervento di mercato non più compatibili con le regole dell'Organizzazione mondiale del commercio, di adeguati strumenti di gestione del rischio di mercato, a garanzia del reddito degli agricoltori;
ad assumere ogni iniziativa affinché la proposta di riforma della politica agricola comune presentata dalla Commissione europea, nella sua organizzazione in due pilastri, superi con decisione gli attuali problemi di sovrapposizione e demarcazione tra gli strumenti di intervento disponibili, la cui gestione rappresenta un inutile onere sia per la pubblica amministrazione che per gli agricoltori.
(1-00547)
«Beccalossi, Baldelli, Biava , Catanoso, De Camillis, De Girolamo, Di Caterina, Dima, D'Ippolito Vitale, Faenzi, Gottardo, Muro, Nastri, Nola, Romele, Paolo Russo, Taddei, Ruvolo».

La Camera,
premesso che:
gli obiettivi della politica agricola comune (PAC), fissati oltre 50 anni fa con la Conferenza di Stresa, sono stati recentemente confermati dal Trattato di Lisbona e prevedono: l'incremento della produttività, il miglioramento del reddito degli agricoltori, la sicurezza degli approvvigionamenti, la stabilizzazione dei mercati e prezzi ragionevoli per i consumatori. Purtroppo la recente evoluzione della politica agricola comune non ha consentito di cogliere tutti questi obiettivi: infatti, il reddito degli agricoltori rimane ben al di sotto di quello medio complessivo; la bilancia commerciale dell'Unione europea è andata peggiorando, accumulando un pesante deficit commerciale; infine, i mercati sono tutt'altro che stabili ed espongono i redditi degli agricoltori a continue penalizzazioni;
l'8 luglio 2010 è stata approvata una risoluzione del Parlamento europeo sul futuro della politica agricola comune dopo il 2013, con la quale vengono formulate proposte e raccomandazioni alla Commissione europea al fine di una riforma della politica agricola comune, capace di soddisfare le esigenze socioeconomiche e di tutelare gli interessi di tutti gli agricoltori europei e di offrire più ampi benefici alla società. In particolare, si chiede che la struttura e l'attuazione della nuova politica agricola comune sia incentrata su semplicità e proporzionalità, nonché sulla riduzione della burocrazia e dei

suoi costi amministrativi, in un quadro di equità, sostenibilità ambientale e sicurezza alimentare;
il 18 novembre 2010 la Commissione europea ha presentato il documento d'indirizzo generale sul futuro della politica agricola comune (PAC), denominato «La PAC verso il 2020: rispondere alle sfide future dell'alimentazione, delle risorse naturali e del territorio». Il documento presenta i principi, gli obiettivi e le linee guida volte a riformare la politica agricola comune dopo il 2013, sulla base della strategia «Europa 2020» volta a supportare una crescita sostenibile, intelligente ed inclusiva nell'Unione europea. Le proposte normative per la riforma della politica agricola comune saranno presentate verso la metà del 2011, a seguito della procedura di codecisione che coinvolgerà il Parlamento europeo e la Commissione europea;
la comunicazione esamina dei possibili futuri strumenti da mettere in campo per realizzare al meglio una serie di obiettivi che vanno dalla necessità di una produzione alimentare economicamente redditizia per gli agricoltori, alla gestione sostenibile delle risorse naturali, da azioni in grado di combattere i cambiamenti climatici, al mantenimento dell'equilibrio territoriale e della diversità delle zone rurali;
nel documento si afferma che, per far fronte alle nuove sfide, la politica agricola comune deve essere modificata e, in particolare, è necessario fare in modo che il sostegno della politica agricola comune sia ripartito in modo equo e bilanciato tra i vari Stati membri e tra gli agricoltori e sia più efficacemente mirato agli agricoltori in attività, riducendo le disparità tra gli Stati membri e tenendo conto del fatto che un sostegno forfettario non costituisce una soluzione praticabile;
la prossima riforma della politica agricola comune verrà inserita nell'ambito del nuovo bilancio dell'Unione europea. L'attuale bilancio di lungo termine copre il periodo 2007-2013. Il prossimo (definito anche come «prospettive finanziarie») che partirà dall'anno 2014 è attualmente in via di negoziazione. Le questioni principali includono: le dimensioni del futuro bilancio per la politica agricola comune, l'eliminazione graduale o la riforma del «pagamento unico per azienda» ed il rafforzamento di pagamenti specifici per i beni pubblici ambientali (ad esempio, ricompensare gli agricoltori per servizi di tutela ambientale) ed i beni pubblici sociali (garantire la sicurezza alimentare per i cittadini europei);
i due principali nodi, ancora non risolti dal documento della Commissione europea, nell'ambito del negoziato inerente alla riforma della politica agricola comune dopo il 2013, si sostanziano nell'esigenza di salvaguardare il budget comunitario complessivo destinato al settore agricolo, come pure nella necessità di imperniare i meccanismi di ripartizione di tali somme su criteri di tipo qualitativo, incentrati sul valore della produzione, piuttosto che sul mero criterio dell'estensione delle superfici, che risulterebbe fortemente penalizzante per il comparto agricolo italiano;
l'attuale politica agricola comune risulta del tutto inefficiente, in quanto fornisce sostegno agli agricoltori non sulla base dei comportamenti futuri che essi si impegnano a mettere in atto e dei progetti che intendono realizzare, bensì sulla base del titolo di possesso del fondo e dei diritti acquisiti in passato, determinando così rendite di posizione e discriminazioni, soprattutto nei confronti dei giovani;
sinora i pagamenti «disaccoppiati» sono stati erogati ai beneficiari storici, perché «compensativi» di una situazione pregressa, poi venuta meno, che concedeva agli agricoltori determinate garanzie di prezzo e di mercato. Oggi questa voce di spesa rimane comunque determinante per il reddito degli agricoltori e, conseguentemente, per i beni pubblici che il settore agricolo garantisce alla collettività. Ciononostante, il criterio di assegnazione su

base storica dei pagamenti diretti «disaccoppiati» non risulta giustificabile dopo diversi anni di applicazione. Esso, inoltre, sta rischiando di generare disparità di trattamento tra soggetti beneficiari e comparti produttivi;
le misure intese ad assicurare la stabilità del mercato, disponibili in passato nel quadro della politica agricola comune, sono state progressivamente smantellate. Pertanto, l'instabilità del mercato è in aumento: durante la crisi agricola del 2009, è diventato purtroppo ovvio che le autorità non disponevano più degli strumenti necessari per far fronte a crisi così gravi e i redditi degli agricoltori sono scesi in media del 12 per cento;
per fare in modo che gli agricoltori ricavino una parte più cospicua del loro reddito dal mercato, è essenziale rafforzare la loro posizione nella catena alimentare. I 13,4 milioni di agricoltori europei hanno un potere contrattuale estremamente scarso nei confronti di un gruppo ristretto di fornitori, trasformatori e distributori di grandissime dimensioni. Ne consegue che il valore aggiunto fornito dagli agricoltori in azienda (ad esempio, il pascolo per il latte) viene compensato a un prezzo molto inferiore rispetto a quello creato dagli altri operatori della catena alimentare;
per rispondere alle preoccupazioni dei cittadini, l'Unione europea ha optato per un tipo di agricoltura caratterizzato da costi più elevati, inteso a garantire che tutta la produzione osservi criteri di sicurezza e di sostenibilità molto rigidi (sicurezza alimentare, tracciabilità, rispetto dell'ambiente, benessere degli animali, biodiversità). Questa situazione colloca i produttori europei in una condizione di forte svantaggio competitivo rispetto alle importazioni;
l'aumento della domanda mondiale di prodotti alimentari, le condizioni climatiche avverse sempre più frequenti e una maggiore volatilità del mercato faranno della sicurezza alimentare una delle principali priorità politiche per i Governi di tutto il mondo. L'esigenza di sfruttare il potenziale dell'agricoltura europea per mitigare il cambiamento climatico ed aumentare la sicurezza energetica attraverso la produzione di energie rinnovabili e la cattura del carbonio rivestirà un ruolo essenziale;
nonostante l'enfasi sul tema delle filiere, il documento sul futuro della politica agricola comune non entra nei dettagli, limitandosi a evocare le relazioni contrattuali, la necessità di una ristrutturazione e consolidamento del settore agricolo, la trasparenza ed il funzionamento di mercati di derivati sui prodotti agricoli, ipotizzando di rafforzare gli aiuti alle organizzazioni dei produttori, estendendo il modello dell'ortofrutta a tutti gli altri settori;
la politica agricola comune deve intervenire sull'intero territorio comunitario e deve ispirarsi a principi di equità, seppure differenziati territorialmente, tenendo conto delle necessità espresse anche dai nuovi Stati membri e dell'importanza di non diminuire i budget storici, al fine di mantenere adeguato il livello di stabilità di reddito in questi territori; si chiede di mantenere a livello comunitario un rapporto risorse/superfici commisurato anche a criteri di contesto e di redditività che, diversamente, destabilizzerebbero aree geopoliticamente strategiche dal punto di vista della produttività. Per tutto questo, le risorse finanziarie da destinare alla politica agricola comune, nella sua globalità, devono essere adeguate alle sfide che l'agricoltura è chiamata ad affrontare;
è di estrema importanza che tutti gli aggiustamenti introdotti nella politica agricola comune del dopo 2013 rafforzino la valenza comune della politica, sempre tenendo conto della diversità dell'agricoltura europea. Qualsiasi ulteriore rinazionalizzazione della politica agricola comune causerebbe distorsioni della concorrenza, minacciando il mercato interno e, di conseguenza, sia la crescita che l'occupazione;

i fondi necessari per il rilancio del comparto agricolo, completamente assenti dalla legislazione a livello nazionale e regionale, devono essere ricercati in ambito comunitario; risulta così evidente la strategica importanza della discussione in ambito europeo sulla riforma della politica agricola comune;
oggi la politica agricola comune può contare su circa 54 miliardi di euro, dei quali, oltre due terzi sono riferiti al primo pilastro, ovvero ai sostegni alle aziende, agli aiuti diretti che giungono a tutte le aziende agricole d'Europa in base ad un calcolo che ha portato all'identificazione di un importo per ettaro di superficie coltivata, indipendentemente dall'indirizzo produttivo adottato, e meno di un terzo al secondo pilastro, cioè allo sviluppo rurale e alle politiche qualitative di sostegno alle imprese e ai territori rurali;
l'Italia, nel riparto europeo, percepisce circa il 10 per cento delle somme stanziate per la politica agricola comune. Oggi si intendono azzerare i criteri con i quali tale aiuto diretto era stato calcolato al fine della successiva redistribuzione secondo un nuovo criterio, ed è su questo punto che occorre riflettere, avere piena comprensione della posta in gioco e adoperarsi a livello europeo, con tutti i mezzi possibili, a difesa dell'agricoltura nazionale. Infatti, uno dei criteri proposti sui quali si sono raccolti i maggiori consensi a livello europeo è quello della redistribuzione della spesa secondo la superficie agricola utilizzabile. Ciò porterebbe l'Italia, fortemente connotata da agricoltura intensiva e che ha fatto del lavoro agricolo e dell'investimento per ettaro - si pensi alle serre, ai vigneti, alla zootecnia - un'esperienza di alta tecnologia e di maestria professionale, a ridurre la propria partecipazione all'utilizzo della spesa comunitaria fino a circa 3,5 miliardi di euro, con una riduzione che, seppure graduale, alla fine sarebbe rilevantissima e del tutto insopportabile per gli operatori agricoli nazionali;
l'intero comparto agricolo nazionale, settore primario dell'economia italiana, versa in una situazione a dir poco allarmante, le aziende sono alle prese con una crisi intensa, con costi produttivi insostenibili e con prezzi sui mercati in crollo. Le imprese agricole, nel corso del 2009, hanno registrato enormi difficoltà e perdite di redditività; la crisi è stata incrementata da una flessione della domanda sia interna sia estera, determinata dalla crisi internazionale; a tutti gli effetti, si è verificata una flessione sia delle vendite alimentari al dettaglio sia dell'export agroalimentare;
le nuove politiche devono offrire una spinta affinché l'agricoltura diventi più attrattiva per i giovani e siano salvaguardate le imprese che hanno come obiettivo la qualità e la sicurezza del prodotto;
è evidente che la scelta obbligata e vincente per la nostra agricoltura è che le produzioni agroalimentari siano di qualità; questa scelta non nasce solo dalla difficoltà per le imprese di competere sul fronte dei costi, ma anche dal crescente ruolo dei consumatori nel sistema economico e dalla centralità che le tematiche della salute e del benessere dei cittadini hanno giustamente assunto nelle valutazioni e nelle scelte private e pubbliche,


impegna il Governo:


ad adottare iniziative volte:
a) ad eliminare le incongruenze, iniquità ed inefficienze dell'attuale politica agricola comune, facendo in modo che da semplice politica di sostegno al reddito diventi una vera e propria politica di promozione di beni pubblici e di processi innovativi, ponendo così i sistemi agricoli e alimentari nelle condizioni di essere un motore di sviluppo economico e di gestire, con altri attori economici e sociali, i territori rurali e le loro risorse naturali, contribuendo così non solo all'approvvigionamento alimentare ma anche alla crescita sostenibile e all'occupazione;

b) ad assicurare il mantenimento del budget della politica agricola comune, al fine di consentire agli agricoltori di continuare ad usufruire di benefici economici, sociali e rurali di vasta portata, individuando, altresì, criteri qualitativi di ripartizione dello stesso, incentrati sul valore della produzione, piuttosto che sul mero criterio dell'estensione delle superfici, ciò al fine di contribuire a raccogliere le sfide che l'Unione europea dovrà affrontare in futuro, posto che la solidarietà finanziaria, unitamente a un bilancio adeguato, rappresenta l'unica maniera per assicurare che la politica agricola comune resti una politica comune senza distorsione della concorrenza, garantendo, altresì, un trattamento giusto ed equo di tutti gli agricoltori, tenendo conto delle diverse condizioni;
c) a semplificare, in relazione ai pagamenti diretti, l'attuale criterio di erogazione dei pagamenti, rendendolo più selettivo in maniera da concentrarlo sugli agricoltori professionali, il tutto non consentendo comunque criteri di selettività arbitrari, che determinerebbero una discriminazione tra produttori contraria alle norme del Trattato;
d) a introdurre, in relazione agli interventi di mercato, un'effettiva «rete di sicurezza», che permetta di affrontare in maniera tempestiva ed efficace le crisi di mercato anche istituendo un «fondo anti-crisi» per tutti i settori, basato su parametri e metodi di rilevazione comuni a livello europeo, che preveda strumenti di gestione dell'offerta e che sia adeguatamente finanziato;
e) a indirizzare, in relazione allo sviluppo rurale, la spesa verso alcuni obiettivi prioritari dell'attuale politica dello sviluppo rurale che dovrà concentrarsi su misure a vantaggio delle imprese, puntando principalmente sull'aumento della competitività ed essere finalizzata a sostenere:
1) gli investimenti aziendali, con particolare priorità a quelli indirizzati all'introduzione di innovazione tecnologica e organizzativa delle imprese da coniugare con la tutela della specificità delle produzioni e dei prodotti tipici e la conservazione del territorio;
2) il ricambio generazionale, focalizzando e rivedendo le due misure del primo insediamento e del prepensionamento;
3) il recupero di competitività sui mercati con iniziative di integrazione di filiera e di promozione all'export;
f) a provvedere a garantire la sicurezza alimentare e la tracciabilità, rafforzando il ruolo di produzione economica degli agricoltori e consentendo agli agricoltori stessi di ricavare un reddito equo dal mercato e di contribuire ulteriormente a fornire servizi economici, sociali e rurali di vasta portata, assicurando, altresì, a tutti gli agricoltori europei operanti nel mercato unico di godere delle medesime condizioni;
g) a rafforzare le misure intese a consentire agli agricoltori e alle cooperative di svolgere un ruolo positivo nel far fronte alle nuove sfide, segnatamente a quelle del cambiamento climatico e della carenza di risorse idriche, assicurando, altresì, che il contributo offerto dagli agricoltori per ridurre le emissioni e provvedere alla sicurezza energetica sia massimizzato attraverso la produzione di energie rinnovabili;
h) ad adottare misure volte a migliorare la trasparenza, fornendo agli agricoltori informazioni aggiornate sui mercati, soprattutto riguardo ai margini e alla ripercussione dei prezzi nella catena alimentare, nonché rafforzando il sistema dell'etichettatura, anche al fine di proteggere le indicazioni geografiche nel quadro degli accordi commerciali, cosa che non solo permetterebbe ai consumatori di fare scelte informate, ma offrirebbe anche maggiori incentivi ai produttori per conservare le tradizioni culturali legate alle produzioni e migliorare la qualità dei prodotti;

i) ad assicurare che tutte le importazioni soddisfino i criteri europei di sicurezza alimentare e di tracciabilità e che sia raggiunta una parità di condizioni per la produzione europea;
l) a garantire incentivi agli Stati membri affinché migliorino le misure fiscali applicate agli agricoltori e facilitino l'accesso al credito;
m) ad individuare nella nuova politica agricola comune gli strumenti per contrastare le situazioni di crisi di alcuni comparti produttivi importanti per l'Italia, come tabacco, barbabietola da zucchero e altri, particolarmente penalizzati dall'ultima riforma della politica agricola comune;
n) ad individuare strumenti idonei al miglioramento delle filiere, tali da poter potenziare il valore aggiunto dei produttori, rafforzarne il potere di mercato e valorizzare il sistema di strutture associative presenti in Italia, così come è emerso dalle esperienze positive delle organizzazioni dei produttori ortofrutticoli.
(1-00548)
«Di Giuseppe, Rota, Borghesi, Donadi, Evangelisti, Di Pietro, Piffari, Barbato, Cambursano, Cimadoro, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Porcino, Zazzera».

La Camera,
premesso che:
sebbene il 2011 si presenti come l'anno della stabilizzazione delle aspettative e della riduzione dell'incertezza, secondo l'analisi mensile del centro studi di Confindustria, i ritmi di crescita restano molto differenziati, con l'Italia che fatica ad andare oltre l'1 per cento nella velocità del prodotto interno lordo;
i tribunali tributari registrano numeri significativi relativi alle procedure fallimentari delle piccole e medie imprese. L'aumento medio dei fallimenti è arrivato al 18 per cento nel terzo trimestre 2010, a testimonianza del fatto che la crisi economica-finanziaria non è stata del tutto assorbita dal mondo produttivo ed imprenditoriale e conferma la necessità per il Governo di riformare le politiche e il contesto strutturale legati alla creazione e allo sviluppo delle imprese, tenuto conto che le piccole e medie imprese in Italia hanno da sempre fornito un contributo fondamentale alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro;
in tale ottica e in attuazione della comunicazione della Commissione Europea «Pensare in piccolo», l'Italia è stata tra i primi Paesi europei ad aver dato attuazione allo Small Business Act (SBA), nato con lo scopo di creare condizioni favorevoli alla crescita e alla competitività sostenibili delle piccole e medie imprese;
le nuove misure contenute nello Small Business Act interesseranno una realtà numericamente molto importante: su 4.338.766 imprese, 4.335.448 (il 99,9 per cento) sono, infatti, piccole e medie imprese. Inoltre, la quasi totalità di piccole e medie imprese (il 95 per cento) è costituita da imprese con meno di 10 addetti. Il resto è formato da imprese che impiegano da 10 a 49 addetti (196.090 unità, pari al 4,5 per cento), mentre le imprese di taglia più grande (da 50 a 249 addetti) sono appena 21.867, ossia lo 0,5 per cento del totale;
oltre a costituire numericamente l'ossatura del sistema produttivo nazionale, le piccole e medie imprese impiegano oltre l'81 per cento degli occupati, in particolare nel settore dei servizi;
secondo una stima del Ministero dello sviluppo economico, attuando a regime le indicazioni dello Small Business Act, l'impatto sul prodotto interno lordo italiano, su base triennale, si aggirerebbe intorno all'1 per cento con 50 mila posti di lavoro in più grazie al maggior valore prodotto dalle piccole e medie imprese;

dal confronto tra Italia e la media europea su alcuni degli indicatori individuati dallo Small Business Act giudicati essenziali per favorire la crescita delle piccole e medie imprese, il nostro Paese esce con poche luci e molte ombre;
in particolare l'Italia, oltre a registrare forti ritardi sull'innovazione, l'accesso al credito e nei ritardi di pagamento, evidenzia ancora un forte gap di produttività: i 43.200 euro di valore aggiunto per addetto colloca l'Italia sotto la soglia di Germania, Francia e Gran Bretagna e solo nelle aziende con almeno 50 addetti tale differenza viene meno;
si registra una minor diffusione di competenza per l'innovazione e l'Italia appare indietro nella percentuale di imprese che hanno redditi da nuovi prodotti e nella quota di personale con titoli di studio elevati;
dal punto di vista dell'internazionalizzazione si segnala la lentezza dei tempi dell'export (quasi il doppio dei giorni rispetto agli standard europei) che colloca l'Italia all'ultimo posto dopo Ungheria e Repubblica Ceca;
nonostante si stia consolidando la ripresa dei finanziamenti alle piccole e medie imprese, stando agli ultimi dati della Banca d'Italia, dal confronto emerge che l'Italia è anche penultima nella classifica per quanto attiene alle possibilità di accesso al credito e nei ritardi nei pagamenti;
secondo il tavolo interassociativo delle imprese di servizi, lo Stato deve alle imprese del settore dei servizi tra i 60 e i 70 miliardi di euro (di cui la metà è rappresentata da credito verso enti del servizio sanitario nazionale) con un ritardo medio nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione di 100 giorni. La situazione potrebbe migliorare con l'entrata in vigore della direttiva sui ritardi dei pagamenti, ma allo stato molte piccole e medie imprese si trovano in una posizione drammatica, costrette a «fare da banca alla pubblica amministrazione»;
questi risultati, se rapportati alla quota di aiuti di Stato destinati alle piccole e medie imprese (quasi 4 volte la media europea), evidenziano come il contributo dello Stato non abbia prodotto i risultati attesi. Secondo il Ministro dello sviluppo economico, la riforma degli incentivi, che entrerà in vigore a gennaio 2012, porterà benefici particolari proprio alle medie e piccole imprese;
tra le misure utili al rilancio dell'economia delle zone depresse ad alto disagio sociale ed economico del Paese, attraverso esenzioni fiscali automatiche per le piccole e micro imprese per un periodo di 14 anni, erano state inserite le zone franche urbane, che avevano ottenuto l'autorizzazione anche dalla Commissione europea ma che la manovra d'estate ha, di fatto, cancellato e sostituito con le zone a burocrazia zero che non prevede, tuttavia, una sistema automatico di defiscalizzazione;
le piccole e medie imprese devono poter contare su strumenti nuovi e di semplice attuazione per poter agganciare la ripresa per cui una riforma degli incentivi può rappresentare uno degli interventi utili a questo scopo, soprattutto dal lato della semplificazione delle norme e delle procedure per rendere gli incentivi realmente e facilmente fruibili dalle piccole imprese;
scaduta la moratoria dei debiti delle piccole e medie imprese, è necessario individuare strumenti coerenti con una fase economica, che conserva ancora forti elementi di incertezza, che non penalizzino le imprese nelle condizioni di accesso al credito, che valorizzino le garanzie pubbliche e quelle rilasciate dai consorzi fidi;
nonostante la crisi economica abbia ridotto fatturati e profitti, la pressione fiscale sta penalizzando e pesando comunque sulle piccole e medie imprese. Tassando voci quali il costo del personale, gli oneri finanziari, svalutazioni e perdite su crediti, l'imposta regionale sulle attività produttive è risultata indifferente ai cali di

redditività e mina le possibilità di rilancio drenando risorse fresche dalla casse delle imprese;
l'attività finanziario-imprenditoriale presenta un deficit rispetto ai competitor europei a causa di una cultura finanziaria delle piccole e medie imprese che non considera forme alternative al capitale di debito: nel Sud Italia, per esempio, solo il 4 per cento degli investimenti è destinato al venture capital;
anche se il premio Nobel per l'economia, Joseph Stiglitz ha affermato che «in materia di piccole medie imprese l'America deve imparare dall'Italia», prendendo atto della capacità di reazione delle nostre piccole e medie imprese davanti a una crisi globale come quella attuale, i Governi sanno che la dimensione delle piccole e medie imprese costituisce spesso un ostacolo al loro sviluppo sul piano internazionale. I limiti della dimensione aziendale potrebbero essere superati attraverso l'organizzazione delle piccole e medie imprese in reti di imprese, in cui si condividono gli investimenti in innovazione del prodotto, formazione del personale e ricerca di nuove opportunità di mercato;
il rilancio dell'economia del Paese non può prescindere da un rafforzamento delle misure volte a contrastare il fenomeno dell'evasione e dell'elusione fiscale legata all'economia sommersa;
nonostante uno degli obiettivi fissati al vertice di Lisbona del marzo 2000 era quello di portare la percentuale delle donne occupate dal 51 per cento del 1999 (rispetto al 61 per cento degli uomini) al 60 per cento nel 2010, in base ai dati Istat di agosto 2010 il tasso di occupazione femminile era pari al 46,1 per cento, quasi 22 punti percentuali in meno rispetto al tasso di occupazione maschile,


impegna il Governo:


a procedere in tempi rapidi alla definizione del provvedimento di riforma degli incentivi;
a rafforzare, attraverso un sistema di agevolazioni, le reti di impresa quale strumento per accrescere la competitività e la capacità di innovazione delle piccole e medie imprese e quale strumento propedeutico per forme di aggregazione più profonde;
ad elaborare un sistema di tassazione più favorevole alle imprese prevedendo agevolazioni per gli utili reinvestiti e per ridurre il cuneo fiscale;
a valutare l'opportunità di introdurre nuove misure destinate alle piccole e medie imprese per agevolarne i progetti di ricerca o gli investimenti in alta tecnologia o ambiente, attraverso programmi di promozione delle esportazioni;
a prevedere maggiori tutele dalla concorrenza asimmetrica dei mercati globalizzati senza regole e controlli e favorirne lo sviluppo rimuovendone i molti vincoli che ne ostacolano l'operatività e la crescita sul piano internazionale;
in attesa dell'entrata a regime della direttiva sui ritardi dei pagamenti, a prevedere forme di compensazione di crediti con versamenti da effettuare per imposte e contributi obbligatori o l'anticipazione senza oneri dei pagamenti da parte della Cassa depositi e prestiti o da parte delle banche;
a favorire la formulazione di una nuova intesa sulla moratoria sui debiti delle piccole e medie imprese che privilegi iniziative di crescita e di sviluppo rispetto a operazioni di semplice copertura di perdite relative a finanziamenti pregressi come anche richiesto da Rete imprese Italia;
a valutare l'opportunità di favorire il rilancio del venture capital come fattore di sviluppo per le piccole e medie imprese;
a valutare l'opportunità di procedere ad una più attenta analisi del fenomeno dell'economia sommersa anche attraverso una disaggregazione della stima per settori economici e per tipologia di contribuenti con l'obiettivo di analizzare la concentrazione

del sommerso e della connessa evasione, e di approfondimento degli effetti del contrasto di interessi, già ampiamente e positivamente sperimentato in edilizia, per valutarne l'efficacia come strumento in grado di ridurre l'evasione fiscale;
ad assumere iniziative dirette ad introdurre nuovi strumenti di agevolazioni fiscali, oltre a quelli già previsti dalla normativa vigente, al fine di incentivare la creazione e lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, anche in forma cooperativa.
(1-00549)
«Anna Teresa Formisano, Ruggeri, Pezzotta, Occhiuto, Galletti, Compagnon, Ciccanti, Libè, Rao, Naro, Volontè».

La Camera,
premesso che:
nonostante la gravità della crisi economica in atto, il Governo ha affrontato con efficacia la grave crisi economico-finanziaria che ha colpito il Paese, varando una serie di provvedimenti che hanno evitato all'economia italiana pesanti conseguenze che, invece, hanno colpito altri Paesi dell'Unione europea;
tale crisi economico-finanziaria ha investito tutti i settori dell'economia italiana tra cui le piccole e medie imprese;
in Italia queste ultime costituiscono una realtà numericamente molto significativa: su 4.338.766 imprese, 4.335.448 (il 99,9 per cento) sono, infatti, piccole e medie imprese. Inoltre, la quasi totalità delle piccole e medie imprese (il 95 per cento) è costituita da imprese con meno di 10 addetti; il resto è formato da imprese che impiegano da 10 a 49 addetti (196.090 unità, pari al 4,5 per cento), mentre le imprese di taglia più grande (da 50 a 249 addetti) sono appena 21.867, ossia lo 0,5 per cento del totale;
dal punto di vista dei settori economici, le piccole e medie imprese, soprattutto quelle con meno di 10 addetti, si concentrano nel terziario (circa il 76 per cento del totale delle piccole e medie imprese), in particolare nelle attività immobiliari, di informatica, di ricerca e di altre attività professionali (25,2 per cento) e nel commercio al dettaglio (16,5 per cento);
le piccole e medie imprese non solo costituiscono numericamente l'ossatura del sistema produttivo nazionale, ma anche il loro contributo in termini di occupazione è significativo: impiegano, infatti, oltre l'81 per cento degli occupati, in particolare nel settore dei servizi (circa il 49 per cento). Analoga situazione si registra anche in termini di valore aggiunto: il 72,4 per cento (esclusa l'agricoltura) è prodotto dalle piccole e medie imprese, di cui più della metà dalle imprese del terziario;
pertanto il Governo italiano il 30 aprile 2010 ha firmato, primo Paese in Europa, la direttiva con cui si è data attuazione allo Small Business Act (SBA), che introduce importanti misure innovative per accrescere la competitività delle piccole e medie imprese italiane;
nella duplice prospettiva di affrontare l'emergenza economica, da un lato, e di individuare obiettivi di medio termine di sviluppo del sistema industriale italiano ed in particolare delle piccole e medie imprese, tenuto conto dei dieci principi guida contenuti nello Small Business Act, vengono individuate le seguenti priorità di policy:
a) effettuare una preliminare analisi d'impatto di ogni nuova normativa d'interesse per le piccole e medie imprese (come previsto dalla normativa dell'analisi di impatto della regolamentazione (air)) ed operare affinché i testi normativi siano redatti con disposizioni chiare e facilmente comprensibili;
b) dare piena attuazione e massima evidenza, ai fini della piena conoscenza ed utilizzo da parte delle imprese, agli strumenti normativi ed organizzativi già approvati ed in vigore (come la comunicazione unica per via telematica al registro

delle imprese ai fini dell'iscrizione previdenziale, assicurativa e fiscale, nonché per l'ottenimento del codice fiscale e dell'imposta sul valore aggiunto necessari per l'avvio di nuove attività (articolo 9 del decreto-legge n. 7 del 2007, convertito dalla legge n. 40 del 2007), la riforma dello sportello unico per le attività produttive (con l'articolo 38 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008), la segnalazione certificata di inizio attività sostitutiva della dichiarazione di inizio attività, l'istituzione delle agenzie per le imprese, strumenti tutti orientati a garantire che l'avvio dell'attività imprenditoriale sia il più veloce possibile, in particolare spostando in un secondo momento la verifica dei requisiti necessari all'esercizio della stessa;
c) operare ulteriormente al fine di ridurre il carico degli adempimenti amministrativi che ostacolano l'esercizio dell'attività imprenditoriale, limitando la competitività delle imprese ed imponendo loro un aggravio di costi e procedure;
d) incentivare ed accompagnare le imprese all'utilizzo del «contratto di rete»;
e) agevolare, anche dando attuazione alla recente riforma della legge fallimentare, il ricorso alla composizione negoziale delle crisi d'impresa, attraverso la configurazione dei nuovi istituti di risanamento che favoriscono il raggiungimento di accordi tra impresa in difficoltà e creditori;
f) incoraggiare e sostenere l'imprenditorialità giovanile e sviluppare la cultura d'impresa e l'orientamento al lavoro autonomo nelle scuole;
g) incoraggiare e sostenere l'imprenditorialità femminile anche attraverso l'adozione di misure tendenti a rimuovere gli ostacoli che ne limitano l'accesso al credito;
h) incoraggiare e sostenere l'imprenditorialità presso quegli immigrati che intendono avviare delle attività, anche promuovendone l'istruzione e la formazione;
i) favorire il trasferimento di impresa, con particolare attenzione alla fase del passaggio generazionale all'interno delle imprese familiari, anche grazie alla creazione di un istituto che favorisca l'incontro tra domanda e offerta;
l) favorire la trasformazione, in tutto o in parte, delle aziende in crisi in cooperativa;
m) fare in modo che la già più che positiva azione di sostegno all'accesso al credito a favore del sistema delle imprese svolta in questi anni dal fondo centrale di garanzia (avviato nel 2000, rifinanziato nel picco della crisi con 1,6 miliardi di euro; il fondo ha realizzato 24.600 operazioni nel 2009 ed oltre 50.000 nel 2010, attivando oltre 9 miliardi di euro di finanziamenti nel 2010, per un importo garantito di circa 5,2 miliardi di euro) trovi un ulteriore motivo di rafforzamento sia mediante l'apporto di nuove risorse finanziarie in collaborazione e sinergia con gli analoghi strumenti finanziari attivati dalle regioni, sia perfezionandone la natura di infrastruttura finanziaria, di strumento di politica industriale e produttiva, con particolare attenzione al sostegno dei progetti di innovazione ed internazionalizzazione delle piccole e medie imprese;
n) operare per la diffusione presso le imprese di strumenti complementari di finanziamento quali il ricorso al mercato obbligazionario ed azionario, il private equity ed il venture capital e, per le imprese di più piccola dimensione, il microcredito, così da limitare la loro dipendenza dal tradizionale canale bancario (capitale di debito), alla luce anche dell'evidente carenza di cultura finanziaria che ostacola lo sviluppo di larga parte delle piccole e medie imprese del Paese;
o) verificare l'operatività del nuovo fondo nazionale per l'Innovazione (istituito con decreto ministeriale il 10 marzo 2009 con una dotazione di 80 milioni di euro), che ha come obiettivo il sostegno finanziario a progetti innovativi realizzati dalle piccole e medie imprese

che prevedano lo sfruttamento a fini economici ed imprenditoriali dei brevetti e dei disegni industriali, mettendo a loro disposizione, in collaborazione con il sistema creditizio e finanziario, una linea di finanziamento in capitale di rischio ed una in capitale di debito;
p) dare piena attuazione alla recente riforma del codice della proprietà industriale (in attuazione di quanto previsto dalla legge n. 99 del 2009, cosiddetta legge sviluppo), in particolare per quanto riguarda gli aspetti legati alla semplificazione delle procedure e alla riduzione degli adempimenti amministrativi necessari a privati cittadini e/o imprese per ottenere un titolo di proprietà industriale (procedure per la traduzione delle domande internazionali di brevetto; semplificazione dei procedimenti di trascrizione dei brevetti; previsione che una persona singola possa depositare un brevetto in comunione con e nell'interesse di più soggetti);
q) sostenere l'ulteriore diffusione sul territorio nazionale (in collaborazione e sinergia stretta con le regioni) degli istituti tecnici superiori (ne sono ad oggi stati creati più di 50 in 15 regioni), con l'obiettivo di formare potenziali imprenditori e/o figure tecniche con competenze (tecniche, manageriali, linguistiche) coerenti con le necessità espresse dal sistema delle imprese a livello territoriale (con particolare riferimento alle linee prioritarie di sviluppo industriale identificate nei piani di innovazione industriale di «Industria 2015»), assicurare una migliore collaborazione tra il sistema della ricerca e le imprese, anche attraverso una migliore sinergia tra la rete degli incubatori di impresa, parchi scientifici tecnologici (pst) ed i business innovation centres (bic);
r) identificare nuove direttrici di sviluppo industriale del Paese, in particolare nel campo della cosiddetta green economy, dell'ecoinnovazione e dell'efficienza energetica, dei nuovi materiali, delle bioingegneria e della nuova chimica verde, facilitando la nascita di piccole e medie imprese nel campo ed incentivando le imprese al passaggio a produzioni maggiormente sostenibili ed eco-efficienti;
s) sempre in attuazione della delega al Governo contenuta nella cosiddetta legge sviluppo (legge n. 99 del 2009), completare la riforma del sistema degli incentivi, imperniata sulla drastica riduzione delle leggi di incentivazione vigenti (ce ne sono circa 100 a livello nazionale e circa 1.400 a livello regionale e con la riforma si prevede vengano eliminate oltre 30 leggi o forme di incentivazione diverse), su una riserva almeno del 50 per cento delle risorse a vantaggio delle piccole e medie imprese, sulla semplificazione delle procedure attraverso l'utilizzo delle modalità telematiche e sul ricorso privilegiato agli incentivi automatici (ad esempio quelli fiscali e i voucher);
t) incoraggiare e sostenere le nostre imprese a divenire stabili esportatrici, con particolare attenzione a quelle imprese del Mezzogiorno (al momento sono solo 7.000 le imprese italiane stabilmente presenti sui mercati internazionali) e, nell'ambito della riforma degli enti per l'internazionalizzazione (Ice, Simest, Informest) attualmente in discussione, puntare su una razionalizzazione degli strumenti e delle risorse (ad esempio potenziando il fondo di venture capital gestito dal Ministero dello sviluppo economico in collaborazione con Simest ed il fondo rotativo per favorire i progetti di internazionalizzazione delle imprese) a sostegno delle esportazioni, su una maggior cooperazione tra le reti di sostegno alle imprese all'estero («reti delle reti») e sul collegamento tra le imprese leader già internazionalizzate con alcune di quelle loro collegate in relazioni di subfornitura, quale chiave per l'accompagnamento delle seconde sui mercati esteri;
u) favorire la continuità dell'afflusso di credito alle imprese piccole e medie con adeguate prospettive economiche

e che possano provare la continuità aziendale;
v) attuare la legge n. 55 del 2010 - norme a tutela del made in Italy (cosiddetta Reguzzoni-Versace, approvata in Parlamento con ampio consenso bipartisan ed entrata in vigore il 6 maggio 2010), che disciplina i casi in cui può essere utilizzata la dizione made in Italy, prevedendo un obbligo generale di etichettatura per i prodotti finiti ed intermedi del settore tessile, della pelletteria e calzaturiero,


impegna il Governo:


a continuare ad adottare provvedimenti finalizzati al recepimento ed alla piena applicazione della direttiva sullo Small Business Act, favorendo l'adozione di «SBA regionali» da parte delle regioni e sostenendo le proposte di revisione ed integrazione dello stesso recentemente trasmesse dall'Italia alla Commissione europea;
a fare in modo che tutte le misure di agevolazione finanziaria e fiscali prevedano specifici criteri a favore di tutte le forme di aggregazione delle imprese previste dall'ordinamento, con particolare attenzione al contratto di rete;
a dare piena implementazione ai nuovi modelli di aggregazione industriale, ed in particolare allo strumento del contratto di rete (disciplinato con la legge n. 99 del 2009 e che nei giorni scorsi ha avuto il parere favorevole da parte della Commissione europea), che rappresenta lo strumento giuridico che permette alle imprese di accrescere la propria competitività e capacità innovativa sul mercato tramite accordi di collaborazione con altre aziende, strumento utile a sostenere lo sviluppo di nuove filiere produttive che possano agganciare le nuove dinamiche dei mercati;
a razionalizzare, nell'ambito della riforma degli enti per l'internazionalizzazione, le competenze e le strutture organizzative degli enti coinvolti; ad individuare un modello di nuova presenza all'estero per il sostegno delle nostre imprese; a migliorare il coordinamento con gli altri attori del comparto (Enit-Agenzia nazionale del turismo, Buonitalia, regioni, enti in Italia ed all'estero che fanno capo al sistema camerale), a semplificare e aggiornare i meccanismi di riconoscimento delle agevolazioni pubbliche gestite dal Ministero, migliorando le prospettive di accesso al credito per le imprese esportatrici;
ad avviare un processo di riforma complessiva del sistema tributario, che deve essere orientato anche alla progressiva riduzione della pressione fiscale, in particolare sulle imprese di piccole e medie dimensioni;
ad assumere iniziative volte a prevedere, nel rispetto dei vincoli di bilancio, ulteriori benefici fiscali per le piccole e medie imprese sul modello della cosiddetta «Tremonti-ter»;
a procedere rapidamente alla riforma degli incentivi alle imprese basata su criteri di semplificazione, di ampia telematizzazione e trasparenza nelle procedure di accesso, e che preveda che non meno del 50 per cento delle risorse di incentivazione vengano riservate alle micro e piccole imprese;
a favorire l'accesso agli appalti pubblici delle micro, piccole e medie imprese attraverso l'obbligo della pubblica amministrazione ed alle autorità competenti di suddividere i contratti in lotti; a rendere visibili le possibilità di subappalto nonché a riservare una quota degli stessi, non inferiore al 30 per cento, alle stesse micro, piccole e medie imprese, e a verificare che le misure di semplificazione delle procedure d'appalto di cui all'articolo 17 della legge n. 69 del 2009 siano efficaci, proponendo, se del caso, interventi migliorativi;
ad adottare ulteriori misure per incrementare l'informatizzazione e la semplificazione dei procedimenti amministrativi, al fine di snellire i tempi degli adempimenti

burocratici a carico delle imprese e di ridurre l'onere economico che ne deriva;
a seguire attentamente la fase di transizione dell'entrata in vigore dell'accordo di Basilea 3, al fine di garantire adeguate condizioni di accesso al credito, in particolare a favore delle piccole e medie imprese e delle famiglie;
ad incrementare la lotta alla contraffazione al fine di tutelare i prodotti made in Italy e, in particolare, ad attivare tutti i canali diplomatici e di pressione politica a disposizione, affinché venga definitivamente approvata la proposta di regolamento sul «made in» europeo, recentemente approvata a larga maggioranza dal Parlamento europeo.
(1-00550)
«Vignali, Baldelli, Ventucci, Gava, Abrignani, Berruti, De Corato, Galati, Golfo, Jannone, Lazzari, Marinello, Mazzocchi, Milanato, Mistrello Destro, Pelino, Scajola, Verdini, Versace, Bernardo, Angelucci, Berardi, Del Tenno, Dima, Vincenzo Antonio Fontana, Germanà, Leo, Milanese, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Pugliese, Savino, Soglia».

La Camera,
premesso che:
è da osservare che, di fronte ad una necessità pianificata di alloggi per la difesa, pari a circa 51.000 unità, il patrimonio disponibile oggi è di 18.447 alloggi, di cui 5.384 detenuti da utenti con il titolo concessorio scaduto (cosiddetti sine titulo) e di questi 3.284 detenuti da utenti non ricadenti nelle fasce di tutela stabilite dal decreto ministeriale di gestione annuale del patrimonio abitativo (vedove e famiglie con reddito non superiore a oltre 40.000 euro o con familiare a carico portatore di handicap);
è necessario ricordare che il Ministero della difesa ha presentato il programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio, in coerenza con quanto previsto dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244;
il Ministero della difesa ha promosso, altresì, una strategia innovativa, che, mediante un taglio netto rispetto al passato, porta alla formulazione, nel medio e lungo periodo, di una politica alloggiativa su scala nazionale ed interforze e nel breve ed immediato periodo tendente a recuperare, con mirate assegnazioni straordinarie, quella parte di patrimonio non utilizzato per pregresse carenze manutentive e che alimenta, finalmente, dopo oltre 16 anni, il cosiddetto «fondo casa», per il quale, su impulso del Governo, sono stati, da ultimo, implementati i propedeutici strumenti attuativi ed operativi;
è opportuno anche che a tale azione si aggiunga la previsione dell'adeguamento al cosiddetto prezzo di mercato del canone di utilizzo degli alloggi detenuti in regime sine titulo. Tale adeguamento dovrà essere ricavato, d'intesa con l'Agenzia del demanio, facendo riferimento alle quotazioni riportate dall'Osservatorio del mercato immobiliare dell'Agenzia del territorio, che rileva esclusivamente le quotazioni dei contratti di affitto regolarmente registrati al fine di salvaguardare il personale interessato e, soprattutto, coloro i quali rientrano nelle cosiddette «fasce protette» che il Ministero intende tutelare;
è necessario, altresì, disporre che nella rideterminazione del canone per tutto il personale sine titulo debba essere dedicata particolare attenzione alla tutela del personale rientrante nei parametri fissati dal decreto ministeriale annuale di gestione del patrimonio abitativo della difesa, prevedendo la non applicabilità della rideterminazione dei redditi fino ad una determinata somma;
è, altresì, necessario sottolineare che è fondamentale chiarire l'importanza dell'obbligo di rilascio da parte degli

stessi conduttori con titolo scaduto, ad esclusione delle categorie protette che devono essere tutelate attraverso il decreto ministeriale di gestione del patrimonio della difesa, ciò per rispondere alle richieste alle quali la difesa deve fare fronte. Infatti, lo stesso Ministero abbisogna di ulteriori 51.000 unità abitative per coloro che, pur avendone la titolarità, non possono usufruirne e sono costretti a pagare canoni allineati alla quotazione «reale» di mercato esterna, di gran lunga superiori, in certe aree e città, a quelli che si appresta ad applicare la difesa. In questo caso occorre procedere con gradualità al recupero degli alloggi detenuti dagli utenti sine titulo cosiddetti «non protetti». È necessario, quindi, avviare un piano di recuperi mirato e graduale, proprio nel rispetto della sensibilità e dell'attenzione sugli effetti che tale azione potrebbe produrre sul personale e sulle famiglie interessate,


impegna il Governo:


a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative dirette a prevedere che le eventuali maggiorazioni del canone, rispetto a quello già in vigore, derivanti dall'attuazione dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, non siano applicabili nei confronti degli utenti con reddito familiare lordo non superiore a 19.000 euro;
a porre in essere tutte le possibili iniziative, anche normative, al fine di garantire agli interessati che la decorrenza della rideterminazione del canone avvenga solo a notifica effettuata dall'amministrazione militare, che è tenuta ad effettuare tutti gli adempimenti nei termini previsti, salvo risponderne amministrativamente agli organi competenti;
a chiarire il disposto dell'articolo 7 del decreto ministeriale n. 112 del 2010, garantendo che l'esercizio del diritto di acquisto dell'usufrutto, ai sensi dello stesso articolo, sia riconosciuto ai conduttori, così come definito nel comma 4 del citato articolo, senza la necessità di corrispondere una caparra confirmatoria a mezzo di assegno circolare non trasferibile ovvero fideiussione bancaria o assicurativa pari al 5 per cento del valore dell'usufrutto medesimo, considerato il carattere oneroso di tale garanzia, che, peraltro, risulta non necessaria, in quanto l'amministrazione della difesa è già garantita, così come previsto dal comma 4, lettera a), dello stesso articolo 7, attraverso il pagamento di un importo non superiore al 20 per cento del reddito mensile del conduttore;
a procedere, con la necessaria gradualità, al recupero degli alloggi detenuti dal personale sine titulo e nell'attenta ricerca della salvaguardia delle situazioni di oggettiva criticità riscontrabili in termini reddituali e di condizione familiare dell'utenza interessata.
(1-00551)
«Cicu, Cirielli, Ascierto, Barba, De Angelis, Fallica, Gregorio Fontana, Holzmann, Giulio Marini, Antonio Martino, Mazzoni, Moles, Nola, Petrenga, Luciano Rossi, Sammarco, Speciale, Baldelli, Gidoni, Chiappori».

La Camera,
premesso che:
dall'annuario statistico italiano, pubblicato dall'Istat nel mese di novembre 2010, l'economia italiana si conferma essere incentrata sulle piccole e medie imprese con il 94,8 per cento di aziende con meno di dieci addetti;
le piccole e medie imprese impiegano ben il 47,4 per cento degli addetti e fanno registrare il 32,5 per cento del valore aggiunto;
lo Small Business Act, pubblicato dalla Commissione europea nel giugno 2008, è un pacchetto di proposte che mira a creare condizioni favorevoli alla crescita e alla competitività sostenibili delle piccole e medie imprese europee. A tal fine, lo Small Business Act stabilisce i 10 principi che dovrebbero essere adottati dai Governi

per garantire il sostegno delle piccole e medie imprese, ovvero: dar vita a un contesto in cui imprenditori e imprese familiari possano prosperare e che sia gratificante per lo spirito imprenditoriale; far sì che imprenditori onesti, che abbiano sperimentato l'insolvenza, ottengano rapidamente una seconda possibilità; formulare regole conformi al principio «pensare anzitutto in piccolo»; rendere le pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle piccole e medie imprese; adeguare l'intervento pubblico alle esigenze delle piccole e medie imprese; facilitare la partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici e usare meglio le possibilità degli aiuti di Stato per le piccole e medie imprese; agevolare l'accesso delle piccole e medie imprese al credito e sviluppare un contesto giuridico ed economico che favorisca la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali; aiutare le piccole e medie imprese a beneficiare delle opportunità offerte dal mercato unico; promuovere l'aggiornamento delle competenze nelle piccole e medie imprese e ogni forma di innovazione; permettere alle piccole e medie imprese di trasformare le sfide ambientali in opportunità; incoraggiare e sostenere le piccole e medie imprese perché beneficino della crescita dei mercati;
l'Italia ha dato attuazione alla comunicazione della Commissione europea del 2008 con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2010 sullo Small Business Act;
il Ministero dello sviluppo economico ha recentemente presentato il rapporto di attuazione dello Small Business Act 2010; tale rapporto deriva da un monitoraggio annuale finalizzato ad analizzare costantemente le azioni intraprese per favorire l'attività economica delle piccole e medie imprese italiane;
dal sopra citato rapporto si evince che l'Italia è il Paese dell'Unione europea con il maggior numero di imprese di piccole dimensioni. Infatti, più di una piccola e media impresa europea su cinque è italiana e rappresentano il 99,8 per cento del totale delle imprese europee. Più di nove su dieci hanno meno di dieci dipendenti e in esse trovano occupazione due terzi dei lavoratori europei. Le aziende artigiane, inoltre, sono 5 milioni, e la microimpresa italiana crea il 31,5 per cento del valore aggiunto del Paese, mentre in altri Paesi come Inghilterra e Germania il dato è circa la metà;
dallo studio emergono previsioni positive per l'Italia: una volta a pieno regime, l'attuazione dello Small Business Act potrebbe avere, nel triennio 2010-2012, un impatto sulla crescita del prodotto interno lordo di circa l'1 per cento, riducendo il gap di crescita con gli altri Paesi europei, fino alla creazione di circa 50 mila nuovi posti di lavoro;
nonostante la grave crisi economica e finanziaria che ha colpito il nostro Paese, le piccole e medie imprese costituiscono ancora il volano dell'occupazione italiana;
le difficoltà che le piccole e medie imprese sono chiamate ad affrontare in un periodo di grave crisi economica sono di carattere legislativo, creditizio e finanziario;
la crisi economica e finanziaria ha ridotto drasticamente la possibilità delle piccole e medie imprese di accedere al credito. Ciò le priva, in molti casi, di quell'ossigeno necessario alla sopravvivenza e impedisce alle stesse imprese di programmare nuovi investimenti;
le lentezze di ordine burocratico e i tempi ormai incredibilmente lunghi della giustizia civile costituiscono degli ulteriori ostacoli per le piccole e medie imprese che ne escono fortemente penalizzate per la difficoltà di veder soddisfatti i propri crediti in tempi ragionevoli;
è noto che la crisi ha colpito in maniera particolare l'economia del Mezzogiorno sulla quale grava il divario che la separa dal resto del Paese. A farne le spese le piccole e medie imprese meridionali chiamate ad affrontare una crisi aggravata

dalla carenza infrastrutturale, dalle maggiori difficoltà di accesso al credito, dalla mancanza di adeguati supporti tecnologici e da un livello della domanda ancora più basso rispetto al resto del Paese;
secondo i dati diffusi dal centro studi Cerved, che valuta la solvibilità delle imprese, nell'ultimo trimestre del 2010 sono state aperte poco meno di 2.000 procedure fallimentari (+18 per cento sullo stesso periodo del 2009 e +13 per cento rispetto al trimestre precedente), mentre nei primi nove mesi hanno sfiorato quota 8 mila (+23 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009). Nei primi tre trimestri dell'anno, nel dettaglio, i fallimenti hanno registrato ritmi più elevati tra le società di capitale (+27 per cento rispetto allo stesso trimestre del 2009) contro il +14 per cento osservato tra le società di persone e il +17 per cento tra le altre forme giuridiche;
stando al centro studi Cerved, il Nord rimane l'area in cui l'incidenza dei fallimenti è maggiore ma il terzo trimestre segna l'avvio di un'inversione di tendenza con incrementi delle procedure maggiori nel Mezzogiorno (+23 per cento);
l'associazione Studi e ricerche per il Mezzogiorno (Srm), nel lavoro «Il Sud in competizione», presentato alcuni mesi fa, ha studiato le ragioni del lento sviluppo del Mezzogiorno ed ha evidenziato tra le imprese piccole o piccolissime una scarsa propensione alla cooperazione, all'apertura ai giovani, al management qualificato e all'innovazione. Nel contempo l'associazione Studi e ricerche per il Mezzogiorno ha posto in evidenza le deficienze del sistema amministrativo, spesso incapace di spendere i fondi europei e di rendere più agevole la vita alle aziende, aggravandole con normative poco chiare, con una burocrazia farraginosa e con servizi carenti e infrastrutture deficitarie,


impegna il Governo:


a dare piena attuazione allo Small Business Act secondo quanto disposto dalle Commissione europea, sforzandosi di migliorare ulteriormente il rapporto tra pubblica amministrazione e aziende, potenziando il fondo di garanzia al fine di rendere meno difficoltoso l'accesso al credito dei piccoli e medi imprenditori;
a promuovere un quadro organico di interventi a favore delle piccole e medie imprese sulla scia delle indicazioni dello Small Business Act;
a promuovere le necessarie iniziative normative per ovviare ai ritardi nei pagamenti delle transazioni, in particolar modo quelle che interessano le pubbliche amministrazioni;
ad assumere le necessarie iniziative normative dirette a rivisitare il patto di stabilità interno, in modo da consentire alle amministrazioni locali di disporre delle somme disponibili per completare le opere già avviate, in particolare quelle infrastrutturali delle quali le piccole e medie imprese potrebbero certamente beneficiare;
a portare avanti una politica economica capace di coniugare l'esigenza di garantire gli equilibri di bilancio con la necessità di liberare il più possibile risorse da destinare al sostegno della domanda e ad interventi infrastrutturali, in particolar modo, nell'area dell'obiettivo 1 (Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna);
a proseguire nell'azione di sostegno al regime di fiscalità di vantaggio nelle aree deboli del Paese, in particolare nelle regioni meridionali;
a perseguire l'obiettivo della riduzione della pressione fiscale, in particolare sulle imprese di piccole e medie dimensioni, sulle famiglie e sul lavoro dipendente.
(1-00552)
«Polidori, Iannaccone, Sardelli, Belcastro, Calearo Ciman, Cesario, D'Anna, Gianni, Grassano, Milo, Moffa, Mario Pepe (IR), Pionati, Pisacane, Porfidia, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini».

La Camera,
premesso che:
il patrimonio immobiliare abitativo della difesa ammonta a circa 18.500 alloggi appartenenti alle diverse Forze armate e collocati su tutto il territorio nazionale;
circa 5.000 alloggi sono utilizzati da utenti cosiddetti sine titulo, ovvero da personale in quiescenza che corrisponde un canone fissato in forma variabile, così come definito dall'amministrazione della difesa (canone mensile non negoziato né negoziabile ma «imposto», variabile tra i 400 e i 1.200 euro), che da tali canoni raccoglie circa 35 milioni di euro all'anno;
la legge finanziaria per il 2008, n. 244 del 24 dicembre 2007, le cui previsioni in materia sono ora confluite nel decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ha stabilito che il Ministero della difesa predisponga un programma per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio, anche attraverso la vendita di quelli non più utili alle esigenze delle Forze armate;
l'articolo 306, comma 3, del citato decreto legislativo n. 66 del 2010, pur prevedendo la possibilità di vendita di quella aliquota di alloggi non ulteriormente utili per soddisfare esigenze della difesa, riconosce il diritto di continuazione della locazione agli utenti che non possono sostenerne l'acquisto, «assicurando la permanenza negli alloggi dei conduttori delle unità immobiliari e del coniuge superstite, alle condizioni di cui al comma 2, con basso reddito familiare, non superiore a quello determinato con il decreto ministeriale di cui al comma 2, ovvero con componenti familiari portatori di handicap, dietro corresponsione del canone in vigore all'atto della vendita, aggiornato in base agli indici Istat»;
nel 2008 la cosiddetta problematica alloggiativa concernente gli immobili della difesa è stata oggetto di analisi di uno specifico gruppo di progetto, che è approdato ad un apposito documento redatto sulla base dell'obiettivo 9 indicato nel piano attuativo della direttiva logistica interforze del 2006, che comprende «l'individuazione di soluzioni alternative per soddisfare le esigenze alloggiative del personale in servizio permanente»;
nelle «ipotesi di sviluppo finanziario complessivo», sancite nel documento sopra indicato, viene ipotizzato il rilascio delle unità abitative da parte degli utenti sine titulo attraverso la loro sottoposizione ad un fitto di libero mercato, di portata tale che «il canone elevato che si viene a determinare risulta sicuramente antieconomico/insostenibile rispetto ad altra sistemazione abitativa (anche in zone periferiche) tratta dal libero mercato», determinando, di conseguenza, una maggiore disponibilità abitativa;
nel maggio 2010 è stato emesso il decreto ministeriale n. 112, recante regolamento per l'attuazione del programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio per il personale militare, di cui all'articolo 2, comma 629, della citata legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008);
l'articolo 7 del sopra indicato decreto ministeriale stabilisce che gli alloggi di servizio non più funzionali siano alienati, con diritto di prelazione per il conduttore. In antitesi rispetto al diritto di continuità della locazione chiaramente già sancito dalla legge finanziaria per il 2008, ai conduttori che abbiano manifestato la volontà di continuare nella conduzione dell'alloggio è riconosciuto il diritto di usufruire di un contratto di locazione che abbia la durata di nove anni, se il reddito del nucleo familiare non è superiore a 19.000 euro, ovvero a 22.000 euro nel caso di famiglie con componenti ultrasessantacinquenni o disabili, o di cinque anni, se il reddito del nucleo familiare è superiore a quello sopra indicato, ma non superiore a quello determinato dal decreto di gestione annuale;

in questa prospettiva, si aggiunge la ratio dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, che prevede che, a decorrere dal 1o gennaio 2011, venga ridefinito il canone di occupazione dovuto dagli utenti sine titulo in atto conduttori di alloggi non compresi tra quelli posti in vendita, fermo restando per l'occupante l'obbligo di rilascio entro il termine fissato dall'amministrazione, anche se in regime di proroga. Tale ridefinizione del canone sarà operata sulla base dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall'Agenzia del territorio, del reddito dell'occupante e della durata dell'occupazione,


impegna il Governo:


a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative dirette a prevedere che le eventuali maggiorazioni del canone, rispetto a quello già in vigore, derivanti dall'attuazione dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, debbano tener conto della difficile situazione economica in cui versa il Paese e, quindi, applicarsi senza compromettere in modo grave la situazione economica delle persone e delle famiglie toccate dal provvedimento, anche in ragione del loro servizio svolto verso le istituzioni;
a porre in essere tutte le possibili iniziative, anche normative, al fine di garantire agli interessati che la decorrenza della rideterminazione del canone avvenga solo a notifica effettuata dall'amministrazione militare, che è tenuta ad effettuare tutti gli adempimenti nei termini previsti, salvo risponderne amministrativamente agli organi competenti;
a chiarire il disposto dell'articolo 7 del decreto ministeriale n. 112 del 2010, garantendo che l'esercizio del diritto di acquisto dell'usufrutto, ai sensi dello stesso articolo, sia riconosciuto ai conduttori, così come definito nel comma 4 del citato articolo, senza la necessità di corrispondere una caparra confirmatoria a mezzo di assegno circolare non trasferibile ovvero fideiussione bancaria o assicurativa pari al 5 per cento del valore dell'usufrutto medesimo, considerato il carattere oneroso di tale garanzia che, peraltro, risulta non necessaria, in quanto l'amministrazione della difesa è già garantita, così come previsto dal comma 4, lettera a), dello stesso articolo 7, attraverso il pagamento di un importo non superiore al 20 per cento del reddito mensile del conduttore;
a procedere, con la necessaria gradualità, al recupero degli alloggi detenuti dal personale sine titulo e nell'attenta ricerca della salvaguardia delle situazioni di oggettiva criticità riscontrabili in termini reddituali e di condizione familiare dell'utenza interessata.
(1-00553)
«Porfidia, Sardelli, Belcastro, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Gianni, Grassano, Iannaccone, Milo, Moffa, Mario Pepe (IR), Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini».

La Camera,
premesso che:
il patrimonio immobiliare abitativo della difesa ammonta a oltre 18.000 alloggi collocati su tutto il territorio nazionale, realizzati nel tempo per le esigenze di servizio dei militari;
nell'ambito di detto patrimonio immobiliare risulta che almeno 5.000 alloggi siano utilizzati da utenti cosiddetti sine titulo, ovvero da personale in quiescenza che corrisponde un canone come definito dall'amministrazione della difesa;
il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ha stabilito che il Ministero della difesa predisponga un programma per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio, anche attraverso la vendita di quelli non più utili, tenuto conto delle esigenze delle Forze armate, pur riconoscendo il diritto di

continuazione della locazione agli utenti che non possono sostenerne l'acquisto, «assicurando la permanenza negli alloggi dei conduttori delle unità immobiliari e del coniuge superstite, alle condizioni di cui al comma 2, con basso reddito familiare, non superiore a quello determinato con il decreto ministeriale di cui al comma 2, ovvero con componenti familiari portatori di handicap, dietro corresponsione del canone in vigore all'atto della vendita, aggiornato in base agli indici Istat»;
il decreto ministeriale n. 112 del 2010, recante il regolamento per l'attuazione del programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio per il personale militare, prevede, all'articolo 2, comma 3, il recupero forzoso dei suddetti alloggi;
l'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, prevede che, a decorrere dal 1o gennaio 2011, venga ridefinito il canone di occupazione dovuto dagli utenti sine titulo, fermo restando, per l'occupante, l'obbligo di rilascio entro il termine fissato dall'amministrazione, anche se in regime di proroga. Tale ridefinizione del canone sarà operata sulla base dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall'Agenzia del territorio, del reddito dell'occupante e della durata dell'occupazione,


impegna il Governo:


a prevedere che le eventuali maggiorazioni di canone, da definire all'interno delle fasce minime e medie degli accordi locali, ai sensi dell'articolo 2, comma 3, della legge n. 431 del 1998 , rispetto a quello già in vigore, derivanti dall'attuazione dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, non siano applicabili nei confronti degli utenti con reddito familiare annuo lordo non superiore a quello fissato annualmente, sentite le organizzazioni sindacali degli inquilini, con decreto del Ministro della difesa, tenendo conto della presenza di anziani ultrasessantacinquenni e di portatori di handicap gravi, nonché della sostenibilità dei nuovi canoni da introdurre in relazione ai redditi complessivi familiari dei conduttori degli alloggi;
ad assumere iniziative, anche normative, volte a chiarire che l'applicazione di qualunque variazione di canone abbia efficacia solamente a partire dalla data di notifica al conduttore del nuovo canone in tal modo determinato;
ad assumere iniziative finalizzate a garantire la sospensione dei recuperi forzosi previsti all'articolo 2, comma 3, del citato decreto ministeriale, n. 112 del 2010, ciò almeno sino all'emissione del previsto decreto di trasferimento al patrimonio disponibile dello Stato degli alloggi da alienare;
a riconoscere, anche tramite opportune iniziative normative, alle famiglie occupanti di alloggi sine titulo che vedano la presenza di soggetti ultrasessantacinquenni e/o portatori di handicap gravi, la facoltà di poter continuare nella conduzione dell'immobile mediante l'acquisizione di un usufrutto a vita, secondo quanto previsto dal decreto n. 112 del 2010, articolo 7, comma 4.
(1-00554)
«Lo Monte, Commercio, Latteri, Lombardo, Misiti, Brugger».

Risoluzione in Commissione:

La VIII Commissione,
premesso che:
l'articolo 15 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 prevede l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta di Anas Spa;
il comma 4, dell'articolo 1, del decreto-legge n. 125 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 163 del 2010 specifica che Anas «entro il 30 aprile 2011» debba provvedere alla realizzazione

di impianti e sistemi occorrenti per il «pedaggiamento» di segmenti di infrastrutture viarie interconnesse con le autostrade;
in questo contesto va sottolineato come l'introduzione del pedaggio risulti però inaccettabile qualora le caratteristiche tecniche del tracciato non siano adeguate agli standard europei sia per quanto riguarda la struttura della sede stradale, sia in ordine alla stato del manto stradale dissestato, sia in merito alla presenza delle necessarie infrastrutture accessorie;
risulta quindi evidente come sia indispensabile, prima di prendere in considerazione l'introduzione del pedaggio nelle singole tratte stradali, procedere alla messa in sicurezza e all'ammodernamento di ogni singola tratta i cui requisiti strutturali non siano rispondenti ai livelli minimi di sicurezza e fruibilità;
va evidenziato che l'attuale normativa - articolo 2 del decreto legislativo n. 285 del 1992 e successive modificazioni - non prevede la definizione di «raccordo autostradale» ma di «autostrada» (lettera «A») e, successivamente, di «strada extraurbana principale» (lettera «B»); spesso le peculiarità previste per le «autostrade» (secondo la norma citata: articolo 2, comma 3, lettera a) del codice della strada) non sono oggettivamente presenti in molte delle tratte individuate dal decreto-legge, che possono essere classificate esclusivamente come «strada urbana principale»;
a quanto risulta, ad oggi non esiste ancora un archivio nazionale delle strade poiché il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non ha ancora provveduto alla classificazione delle strade statali prevista dal codice della strada;
l'introduzione del pedaggio, oltre a non essere giustificabile dal punto di vista «normativo» e «strutturale», produrrebbe, in molti casi, ricadute negative per la popolazione residente e per le economie locali, soprattutto laddove non esistono, nel sistema viario territoriale, strade funzionali alternative; di conseguenza il pedaggio (che rappresenta di fatto una ulteriore e pesante tassa per famiglie ed imprese) penalizzerebbe migliaia di cittadini che ogni giorno sono costretti a spostarsi lungo l'asse viario interessato dal pedaggio;
il Governo da un lato impone nuove forme di tassazione nei confronti dei cittadini, dall'altro sottrae risorse agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria della rete viaria;
in data 29 luglio 2010, il Governo ha accolto un ordine del giorno (atto n. 9/03638/166) alla legge n. 122 del 2010 che lo impegnava tra l'altro a «valutare l'opportunità di introdurre ulteriori iniziative normative volte a rivedere il sistema tariffario autostradale in modo da ridurre il costo dei pedaggi e da razionalizzarne le entrate»; «a prevedere l'esclusione dal pedaggio, sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta di Anas Spa per i cittadini residenti nei comuni in cui insistono le rispettive autostrade e i raccordi autostradali»; «a prevedere che l'Anas spa debba destinare le maggiori entrate, provenienti dai singoli pedaggi introdotti per la fruizione delle autostrade e dei raccordi autostradali, ai rispettivi compartimenti regionali per consentire la corretta manutenzione ordinaria e straordinaria dei relativi tratti stradali»;
le tratte autostradali che si interconnettono con le autostrade e i raccordi autostradali in gestione diretta ANAS che saranno soggette alla maggiorazione tariffaria, e per le quali non è stata effettuata alcuna valutazione e verifica della sussistenza o meno dei criteri «strutturali» e «normativi» suddetti, sono state già individuate nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 giugno 2010; tali tratte sono: A90 Grande raccordo anulare; A91 Roma-Aeroporto Fiumicino; A3 Salerno-Reggio Calabria; A18 Diramazione di Catania e RA 15 Tangenziale ovest di Catania; A19 Palermo-Catania; RA 2 Raccordo autostradale Salerno-Avellino; RA 3 Siena-Firenze; RA 6 Bettolle-Perugia; RA 8 Ferrara-Porto Garibaldi; RA 9 di Benevento; RA 10 Torino-Aeroporto di Caselle;

RA 11 Ascoli-Porto D'Ascoli; RA 12 Chieti-Pescara; RA 13 Raccordo autostradale A/4 - Trieste - 14 diramazione per Fernetti;


impegna il Governo:


a stabilire, caso per caso, quali siano le strutture viarie individuate con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attuativo del decreto-legge n. 78 del 2010 su cui disporre l'introduzione del pedaggiamento autostradale e i cui requisiti strutturali siano coerenti con gli standard europei e con il dettato normativo del codice della strada;
a sospendere, sin da ora, l'introduzione di ogni forma di pedaggio sui tratti stradali qualificabili come strade extraurbane fino a quando eventuali lavori di adeguamento e ammodernamento del tracciato, non ne consentano la corretta classificazione come «autostrada»;
a prevedere, comunque, l'esclusione di ogni forma di pedaggio per i cittadini residenti e per le imprese presenti sul territorio ed a stanziare le risorse provenienti dal pedaggio (ivi comprese quelle già incassate nel periodo transitorio) per la manutenzione ordinaria e straordinaria dei tratti dei quali si ritiene necessario l'adeguamento e l'ammodernamento.
(7-00484)
«Bratti, Mariani, Benamati, Realacci, Bocci, Braga, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il 28 gennaio 2011, sono state arrestate 14 persone nell'ambito di un'operazione condotta dai carabinieri del Noe (nucleo operativo ecologico) e dalla Guardia di finanza di Napoli, coordinata dalla procura della Repubblica di Napoli. Tra loro Marta Di Gennaro, ex vice di Guido Bertolaso alla protezione civile ed il prefetto Corrado Catenacci, ex commissario ai rifiuti della regione Campania;
gli arresti sono dovuti all'accertamento dell'esistenza di un accordo illecito tra pubblici funzionari e gestori di impianti di depurazione campani che ha consentito, per anni, lo sversamento in mare di tonnellate di percolato in violazione delle norme a tutela dell'ambiente. Il percolato veniva immesso senza alcun trattamento nei depuratori dai quali finiva direttamente in mare, contribuendo ad inquinare un lunghissimo tratto di costa della Campania, dal salernitano fino al casertano;
secondo notizie stampa dall'ordinanza, che conta un migliaio di pagine, emerge del resto che a molti era nota la gravità della situazione e il potenziale pericolo per l'ambiente e la salute, ma che volutamente tutto questo non veniva fatto trapelare;
per esempio, nella deposizione resa agli investigatori da Antonio De Santis, direttore generale del consorzio di gestione servizi di Avellino che gestisce alcuni impianti di depurazione e che fu incaricato di installare un impianto di pre-trattamento del percolato a Montesarchio e Villaricca, si legge: «In occasione di una riunione del 2007 fatta presso la discarica di Villaricca io contestai il fatto che i valori del percolato relativi al COD e all'ammoniaca oltre che agli sst e ai grassi erano tali per cui non si poteva ritenere che il percolato fosse prodotto solo da rifiuti solidi urbani e piuttosto che ci dovevano anche essere rifiuti di tipo industriale...

La risposta fu quella di interrompermi, dicendo che di queste cose non si poteva parlare»;
il chimico Antonio Pastena, che nel 2007 analizzò il percolato della discarica di Villaricca, invece, racconta: «Allorquando io e altri tecnici notammo che con ordinanza commissariale gli impianti di depurazione dei reflui civili furono obbligati a ricevere il percolato di discarica rimanemmo francamente sbigottiti. Ricordo in particolare l'impianto di Nocera Inferiore, che era di piccole dimensioni e che non era collaudato»; la dirigente della protezione civile Marta Di Gennaro, si sarebbe espressa al telefono con Guido Bertolaso nel senso di modificare i documenti per riprendere a scaricare a Terzigno nonostante i divieti -:
di quali informazioni disponga il Governo in merito ai fatti riferiti in premessa;
se e quali azioni intenda promuovere nei confronti di propri esponenti e funzionari coinvolti nel disastro ambientale;
se e quali azioni si intendano promuovere a tutela della salute e dell'ambiente nell'area compromessa dai fatti riferiti in premessa.
(5-04128)

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 11 del decreto-legge n. 39 del 2009, convertito con modificazioni dalla legge 24 giugno 2009, n. 77 ha istituito un Fondo per la prevenzione del rischio sismico;
la Commissione, nominata con l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 19 gennaio 2010, n. 3843 per definire gli obiettivi e i criteri per l'individuazione degli interventi di prevenzione del rischio sismico, ha concluso i lavori individuando quali interventi finanziabili con le risorse del Fondo di cui al punto precedente: a) gli studi di microzonazione sismica; b) gli interventi di riduzione del rischio su opere pubbliche strategiche e rilevanti; c) gli interventi di riduzione del rischio su edifici privati;
per disciplinare la ripartizione e l'utilizzo delle risorse disponibili per l'annualità 2010 e così dare attuazione alle iniziative di riduzione del rischio sismico, è stata disposta l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3907, che è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 1o dicembre 2010, (n. 281 del 1o dicembre 2010 - supplemento ordinario n. 262);
per l'anno 2010 sono stati stanziati 42 milioni di euro - da ripartire tra le regioni a cura del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri - per la copertura degli oneri connessi alla realizzazione delle seguenti tipologie di intervento individuate nell'articolo 2 dell'ordinanza in oggetto:
a) indagini di microzonazione sismica (per il quale è necessario il cofinanziamento al 50 per cento di regioni e comuni);
b) interventi strutturali di rafforzamento locale o di miglioramento sismico (con eventuale demolizione e ricostruzione) su edifici pubblici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali;
c) interventi strutturali di rafforzamento locale o di miglioramento sismico (con eventuale demolizione e ricostruzione) su edifici privati;
d) altri interventi urgenti e indifferibili;
secondo l'articolo comma 1 dell'ordinanza, il dipartimento della protezione civile ripartisce i contributi fra le Regioni sulla base dell'indice medio di rischio sismico elaborato secondo i criteri riportati nell'allegato 2;
le risorse disponibili sono destinate esclusivamente ai comuni, nei quali l'accelerazione massima al suolo è superiore

a un valore stabilito (0,125G) i quali, ai sensi dell'articolo 3 dell'ordinanza, devono far pervenire alla Regione, entro 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di quest'ultima, le manifestazioni di interesse per l'accesso alle risorse disponibili;
sulla base delle proposte di cui al punto precedente, le regioni predispongono un programma per la realizzazione degli interventi di riduzione del rischio sismico individuati nell'articolo 2, da realizzare con le risorse del Fondo;
l'articolo 5 comma 3 dell'ordinanza prevede che le regioni, sentiti gli enti locali interessati, individuino i territori per i quali è prioritaria l'esecuzione di studi di microzonazione;
per quanto concerne gli interventi strutturali di rafforzamento locale o di miglioramento sismico su edifici pubblici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali - di cui all'articolo 2 comma 1 lettera b) - nell'ordinanza si fa riferimento a quelle strutture la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, e agli edifici e alle opere che possano assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un collasso;
l'articolo 4 dell'ordinanza stabilisce che va riconosciuta una priorità nell'accesso ai contributi per gli interventi su strutture o infrastrutture pubbliche e sugli edifici privati a quelli che interessano:
a) gli edifici prospicienti le vie di fuga previste dal piano di emergenza per il rischio sismico;
b) le strutture che fanno parte dell'infrastruttura a servizio della via di fuga o che interferiscano con essa;
il dipartimento della protezione civile non ha ancora comunicato la ripartizione degli importi stanziati ai sensi dell'articolo 16 della predetta ordinanza, ripartizione che sarà effettuata sulla base dei criteri riportati nell'allegato 2 dell'ordinanza in oggetto;
le regioni, ad oggi, possono procedere alla predisposizione del programma degli interventi, di cui al comma 3 articolo 3 dell'ordinanza, sulla base di una stima presunta delle risorse a loro disposizione -:
quando il Dipartimento procederà alla ripartizione tra le Regioni delle risorse del Fondo per la prevenzione del rischio sismico, di cui all'articolo 11 del decreto-legge n. 39 del 2009, convertito, con modificazioni, della legge n. 77 del 2009;
se sia conoscenza delle iniziative assunte dalle regioni, successivamente alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell'ordinanza in questione, e in particolare di quelle poste in essere per dare adeguata informazione sui contenuti e gli adempimenti connessi all'ordinanza, e per supportare, ove necessario, i comuni, di cui all'allegato n. 7, nella presentazione delle proposte di priorità con l'indicazione degli edifici presenti all'interno dei propri ambiti, per i quali chiedere l'accesso alle risorse messe a disposizione dal Fondo;
se, e in che modo, intenda verificare l'appropriatezza e l'efficacia dei programmi regionali previsti dall'ordinanza, con particolare attenzione alla presenza di interventi sugli edifici pubblici di interesse strategico, sulle opere infrastrutturali, e sugli edifici prospicienti vie di fuga o punti di raccolta e/o luoghi sicuri previsti dai piani di emergenza per il rischio sismico, costituenti quelle strutture urbane minime che, in situazioni di emergenza, devono resistere, assicurare una funzionalità - anche ridotta - dell'organismo urbano, e rendere possibile lo svolgimento delle funzioni pubbliche essenziali.
(4-10644)

ZAZZERA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il Parlamento europeo con risoluzione del 2 aprile 2009 ha espresso forte preoccupazione rispetto agli effetti sulla salute provocati dai campi elettromagnetici (CEM), ed ha esortato gli Stati membri ad adottare provvedimenti cautelativi, considerato

che i CEM «esistono in natura e sono sempre stati presenti sulla terra; che tuttavia nel corso degli ultimi decenni l'esposizione ambientale a fonti di CEM antropogeniche è aumentata costantemente a causa della domanda di elettricità, di tecnologie senza filo sempre più avanzate e dei cambiamenti intervenuti nell'organizzazione sociale, al punto che ogni cittadino attualmente, è esposto a una complessa moltitudine di campi elettrici e magnetici di diverse frequenze, sia a casa sia sul luogo di lavoro»;
il Parlamento europeo inoltre considera «necessario trovare un equilibrio tra le azioni intraprese allo scopo di limitare l'esposizione della popolazione in generale ai CEM e i miglioramenti apportati alla qualità della vita, in termini di sicurezza, dai dispositivi che emettono campi elettromagnetici»;
in materia ambientale, nel nostro ordinamento è stata introdotta una legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (legge 22 febbraio 2001, n. 36), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 7 marzo 2001, n. 55, che è stata definita come la riforma più significativa in campo ambientale della XIII Legislatura;
la legge, come disposto dall'articolo 1, «ha lo scopo di fissare i princìpi fondamentali diretti a:
a) assicurare la tutela della salute dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dagli effetti dell'esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi e nel rispetto dell'articolo 32 della Costituzione;
b) promuovere la ricerca scientifica per la valutazione degli effetti a lungo termine e attivare misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all'articolo 174, paragrafo 2, del trattato istitutivo dell'Unione europea;
c) assicurare la tutela dell'ambiente e del paesaggio e promuovere l'innovazione tecnologica e le azioni di risanamento volte a minimizzare l'intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici secondo le migliori tecnologie disponibili.»;
tale legge prevede una serie di decreti attuativi essenziali perché la normativa raggiunga il suo scopo;
tuttavia, dal 2001 ad oggi, solo 2 degli 11 provvedimenti sono stati approvati. Pertanto la legge quadro è di fatto una riforma incompiuta;
l'adozione di misure precauzionali verso le esposizioni elettromagnetiche è determinante per la salute dei cittadini, soprattutto considerato il frenetico sviluppo di tecnologie inquinanti nel campo dell'energia e delle telecomunicazioni -:
se il Governo intenda emanare i decreti attuativi previsti dalla legge 22 febbraio 2001, n. 36, al fine di rendere pienamente applicabile la normativa.
(4-10649)

DI BIAGIO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la vicenda delle presunte dinamiche fraudolente legate ad un appartamento situato a Montecarlo, al numero 14 di rue Princesse Charlotte, facente parte di un lascito di una nobildonna al partito Alleanza nazionale, ha cominciato a imperversare nel panorama mediatico italiano a partire dal luglio 2010, con il suo carico di accuse, ingiurie e mistificazioni di natura politica;
sulle citate dinamiche anche la procura di Roma ha avviato un'inchiesta ipotizzando i reati di appropriazione indebita e truffa aggravata dopo una denuncia presentata dal movimento politico «La Destra» nell'agosto 2010;
nel settembre 2010 una missiva del Ministro della giustizia dello Stato di Santa Lucia, la cui autenticità è stata successivamente contestata, attribuiva al

signor Giancarlo Tulliani «la titolarità di società offshore intestatarie dell'immobile»;
nell'ottobre 2010 i Pubblici ministeri competenti chiedono l'archiviazione rilevando l'assenza di riferimenti ad alcuna commessa azione fraudolenta e evidenziando che il valore dell'immobile, contestato e oggetto di una tempesta mediatica, fosse inferiore a quello stimato dall'associazione degli agenti immobiliari monegaschi, in virtù delle condizioni di fatiscenza caratterizzanti l'immobile al momento della vendita;
in data 27 gennaio 2011, il Ministro degli affari esteri, destinatario del presente atto di sindacato ispettivo, rispondendo ad una interrogazione a risposta immediata in Assemblea al Senato, presentata due giorni prima da un senatore del PdL e calendarizzata con una grande solerzia, rimette al centro dell'attenzione i documenti provenienti dallo stato di Santa Lucia;
il Ministro Frattini in aula al Senato ha ammesso di aver ritenuto «di chiedere - non ovviamente una rogatoria - ma un chiarimento puro e semplice alle autorità di Santa Lucia circa la genesi e l'autenticità del predetto documento pubblicato da organi di informazione in Italia, e non solo in Italia, onde fugare dubbi, indiscrezioni, retroscena»;
lo stesso Ministro ha affermato che da alcune settimane il primo ministro di Santa Lucia, ha notificato l'autenticità e la veridicità dei dati contenuti nella nota al tempo predisposta dal Ministro della giustizia dell'isola;
la suindicata dinamica istituzionale rivela l'indiscussa volontà del Governo italiano di riesumare un'inchiesta conclusa, avvalorata dalla trasmissione di un nuovo dossier dal Governo di Santa Lucia, avvenuta in maniera per cosi dire «ufficiosa» poiché operata in assenza di una rogatoria internazionale;
a tali criticità di natura politica e procedurale va ad aggiungersi un conflitto di competenza, infatti ai sensi della normativa italiana è il Ministro della giustizia a disporre che si dia corso alla rogatoria di un'autorità straniera per comunicazioni, notificazioni e per attività di acquisizione probatoria;
alla luce di tali evidenze, l'intervento del Ministro interrogato presenta, ad avviso dell'interrogante, dei profili di illegittimità fondandosi su riferimenti e dossier recepiti dal nostro Paese in maniera riservata e ufficiosa, non essendo state rispettate le opportune procedure normative oltre che le riconosciute competenze istituzionali -:
quali siano le ragioni per le quali abbia ritenuto di acquisire documenti e notizie estranee alla competenza del Ministro sulla proprietà di un appartamento, elargiti da uno Stato estero, senza alcuna rogatoria internazionale e senza alcun coinvolgimento del Ministro competente, in aperta violazione della normativa vigente;
se tale prassi non costituisca un non trascurabile e preoccupante precedente, capace di invalidare le legittime dinamiche democratiche alla base della gestione delle informazioni segnatamente quando queste coinvolgono Stati esteri.
(4-10655)

...

AFFARI ESTERI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, per sapere - premesso che:
nel rispondere nell'aula del Senato all'interrogazione 3-01868, il Ministro degli affari esteri ha affermato di avere «a suo tempo», richiesto «un chiarimento puro e semplice alle autorità di Santa Lucia» circa la «genesi e l'autenticità» di un documento, di cui si è molto discusso, come lo stesso Ministro ha ricordato, nella «accesa polemica sulla vicenda riguardante

la proprietà di un appartamento situato a Montecarlo, già facente parte di un legato ad un partito politico italiano, Alleanza Nazionale»;
il Ministro ha giustificato il suo intervento, sostenendo che nella polemica sulla «presunta manipolazione del documento (...) si era indicato anche un presunto ruolo di organi dello Stato»; nondimeno il chiarimento richiesto alle autorità di Santa Lucia non ha evidentemente riguardato il presunto coinvolgimento dei servizi di intelligence italiani (svelato dall'agenzia di stampa il Velino e diffuso dal quotidiano Il Giornale), ma il contenuto stesso del documento, visto che il Primo Ministro di Santa Lucia ne avrebbe confermato «l'autenticità e la veridicità»;
questa sorta di rogatoria extragiudiziaria, disposta dal titolare della politica estera, comporta un'obiettiva interferenza da parte dell'Esecutivo in un procedimento giudiziario ed appare, a giudizio dei sottoscrittori della presente interpellanza, una vera e propria risposta politica agli esiti di un'inchiesta di cui, malgrado gli auspici espliciti di molti esponenti della maggioranza, la procura di Roma ha richiesto l'archiviazione;
il Ministro degli affari esteri, come si evince dalla sua risposta in Senato, ha di fatto pubblicizzato la notizia e secretato la documentazione (ricevuta, o secondo fonti di stampa, per posta ordinaria il 20 dicembre 2010) relativa alle conclusioni delle autorità di Santa Lucia sulla vicenda -:
quando e come - cioè in quale data, attraverso quali canali diplomatici e secondo quali protocolli, in quali e quanti altri casi utilizzati da parte del Ministro degli affari esteri - sia stata avanzata la richiesta di «chiarimento» alle autorità di Santa Lucia su di una vicenda su cui era in corso un'indagine della magistratura;
se, al contrario, quanto riferito dal Ministro degli affari esteri al Senato sia il frutto della sua corrispondenza privata col capo di Governo di Santa Lucia e del suo altrettanto privato interessamento per una vicenda «politicamente sensibile»;
sulla base di quale interesse nazionale e di quale competenza funzionale il Ministero degli affari esteri italiano abbia inteso acquisire elementi oggetto di polemica politico-giornalistica e di un procedimento giudiziario;
se intenda mettere a disposizione degli interpellanti la documentazione completa della corrispondenza intercorsa sul caso in questione, inclusa la richiesta ufficiale inviata alle autorità di Santa Lucia.
(2-00948) «Bocchino, Della Vedova, Giorgio Conte, Moroni, Di Biagio».

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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:

REALACCI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
da notizie di stampa nazionale e locale si apprende dello spiaggiamento, nella mattinata del 26 gennaio 2011, di un esemplare maschio di balenottera comune sulla spiaggia del parco di San Rossore in provincia di Pisa. Dalla posizione della carcassa, a pancia all'aria, si deduce che la balena era già morta quando si è spiaggiata;
la balenottera comune è il secondo animale del pianeta per dimensioni, dopo la balenottera azzurra. Può raggiungere e superare i 26 metri di lunghezza. Attualmente le popolazioni di questo cetaceo sono seriamente compromesse dalla caccia baleniera e dall'inquinamento presente nell'ecosistema marino;
a vederla agonizzare, in mare aperto, sono stati alcuni pescatori di Viareggio. Hanno raccontato che avesse perso l'orientamento e che sembrava respirasse anche a fatica. Per due giorni, «Regina» così è

stata soprannominata, ha lottato davanti alle coste della Versilia spiaggiandosi poi sul litorale compreso tra il fiume Morto e il Serchio, nel comune di San Giuliano Terme, a Pisa;
inoltre, una settimana fa, già a largo del tratto di mare antistante Massa Carrara era stato avvistato un cetaceo di grandi dimensioni. Quest'ultimo presentava una grossa cicatrice sulla pinna dorsale, elemento la cui verifica non è ancora eseguibile sulla balenottera di San Rossore a causa della posizione della balenottera;
tecnici dell'Arpa Toscana, biologi marini dell'università di Pisa, personale del parco regionale di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli sono impegnati, oltre che nella rimozione dell'animale, ad indagare la cause della morte, poiché come spiega il presidente del Parco dell'ex tenuta presidenziale, Giancarlo Lunardi: «Apparentemente la carcassa non presenta segni evidenti di traumi o malattie»;
le ipotesi sulla morte in campo sono però molteplici, si va dalle cause naturali, dal soffocamento a causa delle plastiche (sacchetti ed altri oggetti alla deriva), all'urto con una nave o una malattia -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda dello spiaggiamento della balena a San Rossore; se non ritenga utile affiancare ai tecnici e ai biologi già impegnati, anche le strutture specializzate del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, come i ricercatori dell'ISPRA, al fine di accertare le cause della morte del cetaceo, che è elemento utile a verificare lo stato di salute della fauna e della flora nel Mar Mediterraneo ed un'azione utile alla tutela dell'ambiente marino; se non ritenga di standardizzare e coordinare le procedure per lo studio scientifico del fenomeno e dei compiti da assegnare alle varie autorità e alle istituzioni coinvolte.
(4-10641)

GALATI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
dal primo di gennaio 2011 è in vigore la norma che bandisce l'uso di shopper di plastica negli esercizi commerciali, che recepisce quanto già previsto nella finanziaria del 2007. Il 4 febbraio 2010 Legambiente aveva segnalato all'autorità garante della concorrenza e del mercato il diffondersi sul mercato nazionale di sacchetti in plastica tradizionale che grazie all'aggiunta di un additivo chimico, l'ECM Masterbatch Pellet, venivano presentati dall'azienda Italcom in modo del tutto ingannevole come biodegradabili e compostabili in senso generico, inducendo in errore i comuni italiani, gli esercizi commerciali e le catene della grande distribuzione organizzata che si apprestavano ad adeguarsi alle norme. L'autorità garante della concorrenza e del Mercato ha dato ragione a Legambiente e ha definito ingannevole la pubblicità di Italcom, Arcopolirneri e Ideal Plastik, vietandone l'ulteriore diffusione e prevedendo anche multe di 40 mila per la prima azienda e 20 mila per le altre due. Secondo l'autorità gli shopper di plastica tradizionale, con raggiunta dell'additivo chimico ECM, non posso essere pubblicizzati e venduti come biodegradabili e compostabili perché non rispettano le condizioni e i tempi di degrado previsti dalla normativa comunitaria e nazionale di settore;
oltre al rischio di «contaminazioni» di sacchetti di plastica non propriamente biodegradabili, potrebbe esserci un rischio di annullamento da parte dell'Unione europea del provvedimento citato - che bandisce definitivamente i sacchetti di polietilene - per il ricorso di alcune associazioni di materiali plastici;
la EuPC (European Plastics Converters, la federazione europea delle aziende trasformatrici di materie plastiche), appoggiata e spronata dalla Unionplast (Federazione italiana fra le industrie della gomma, cavi elettrici e affini e delle industrie trasformatrici di materie plastiche

ed affini), ha presentato un esposto alla Commissione europea e si dichiara pronta a compiere ogni sforzo necessario per contrastare il provvedimento, ritenendo che la legge italiana sia una vera e propria violazione della direttiva 94/62/CE Packaging and Packaging Waste. Questa violazione, così come avvenuto anche per la Francia, può indurre l'Unione europea ad attivare una procedura d'infrazione per un ipotetico disallineamento tra il provvedimento italiano e la direttiva europea -:
se il ministero abbia predisposto azioni di controllo che assicurino il rispetto della norma sul divieto di distribuzione di sacchetti in polietilene;
se il ministero intenda agire per evitare ulteriori immissioni nel mercato di sacchetti che non rispettino le condizioni e i tempi di degrado previsti dalla normativa comunitaria e nazionale di settore;
come intenda procedere il ministero in caso di eventuali ricorsi presentati da associazioni del settore plastico e quindi in caso di una possibile procedura d'infrazione da parte dell'Unione europea.
(4-10650)

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BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta orale:

VACCARO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
nel 1997, l'UNESCO ha dichiarato gli scavi di Pompei patrimonio mondiale dell'umanità;
l'iscrizione di tale area tra i patrimoni dell'UNESCO è avvenuta in considerazione degli straordinari e unici reperti presenti nella città di Pompei, sepolta a causa della famosa eruzione del Vesuvio del 79;
gli scavi di Pompei continuano annualmente ad essere un polo di attrazione turistica di grande importanza nel contesto del panorama storico-artistico italiano e riescono a convogliare l'interesse di milioni di turisti da tutto il mondo (nel 2008 il sito di Pompei è stato visitato da 2.253.633 persone). È necessario aggiungere, al fine di valutare al meglio l'estensione del sito archeologico, che gli scavi di Pompei vantano un'estensione di ben sessantacinque ettari;
nel 2009, in considerazione della situazione emergenziale del sito - precedentemente dichiarata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 luglio 2008 - è stato necessario mettere in sicurezza e rivalorizzare l'area degli scavi; così il professor Marcello Fiori è stato nominato commissario delegato dall'articolo 5 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 18 febbraio 2009, n. 3742. Gli obiettivi, le competenze ed i poteri del commissario delegato sono stati poi ulteriormente definiti dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 luglio 2009, n. 3795;
in seguito, nel 2010, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 giugno 2010 è stato revocato il medesimo stato di emergenza, in quanto, in considerazione del complesso delle attività svolte del commissario delegato, sono venute meno le ragioni che ne avevano giustificato la dichiarazione;
con l'ordinanza del 18 giugno 2010 n. 3884 il commissario delegato ha continuato a svolgere le proprie funzioni, fino al 31 luglio 2010, per assicurare il rientro nei regime ordinario, provvedendo ai necessari adempimenti ed atti riguardanti il subentro della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei;
tuttavia, ad oggi, lo stato dell'arte del sito archeologico di Pompei, come denunciato, fra gli altri, da alcuni articoli apparsi sulle colonne del Corriere della Sera e da social network quali Facebook con pagine dal titolo «Stop killing Pompei ruins», è drammatico e desolante;
i problemi che attanagliano il sito sono, infatti, diversi: l'incuria con la

quale sono portati innanzi i lavori di restauro per ciò che riguarda le rovine del foro - il fulcro e cuore pulsante della città antica; la presenza di guide turistiche più o meno autorizzate; le straordinarie bellezze delle Terme, chiuse ormai da tempo; l'Antiquarium, mai aperto per ospitare le migliaia di reperti archeologici prigionieri e impolverati dentro i granai del foro, con conseguente e inevitabile - come scrive il Corriere della Sera, - «calca dei turisti, neanche fossero mosche attorno al miele, pur di rubare foto di statue o di capitelli o di chissà che ben di dio è custodito dentro le cassette di plastica, lì all'interno di quei Granai chiusi con sbarre arrugginite»;
si accompagna poi, a questa situazione emergenziale, la presenza di: strade sbarrate senza alcun cartello che ne spieghi la motivazione; palizzate divelte; cumuli di calcinacci dentro ambienti archeologici mai restaurati, il tutto in strade limitrofe al foro, aree, è bene precisarlo, non periferiche della città antica, ma normalmente frequentate da oltre 5.000 visitatori al giorno. Appare necessario poi sottolineare come sia allarmante lo stato di conservazione del tempio di Apollo, uno dei luoghi più visitati degli scavi, ubicato appena dopo l'ingresso di Porta Marina: architravi in stato di disfacimento con rischio per l'incolumità dei visitatori e colonne del tempio che si sgretolano, pezzo dopo pezzo, tra le mani;
il Teatro Grande di Pompei appare, in ultimo, il manifesto del decadimento del sito, in quanto è stata cancellata l'immagine archeologica del teatro romano, a causa di lavori che all'interrogante appaiono impropriamente definiti di restauro - dal costo lievitato da euro 460.000 a circa sei milioni di euro - con i quali sono state costruite nuove e inesistenti gradinate, usando materiali del tutto inadatti al contesto archeologico. Per l'esecuzione di tali lavori, come documentato da immagini pubblicate da diversi giornali, sono state realizzate invasive colate di cemento ed usati impropriamente, a ridosso di fragili strutture murarie archeologiche, martelli pneumatici, ruspe, scavatrici, betoniere, cavi elettrici;
c'è da sottolineare come dalla Soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei dipende infatti l'intera area archeologica pompeiana. Nell'ultimo anno la guida tecnica e scientifica della Soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei è stata assolutamente precaria (surrogata non da un archeologo, ma dal commissario Marcello Fiori, ex collaboratore di Guido Bertolaso alla Protezione civile) per il fatto che si sono succeduti due soprintendenti ad interim, entrambi decaduti perché posti in pensione, dopo soli pochi mesi dalle rispettive nomine; recentemente poi, nei primi giorni di ottobre 2010 è stata nominato, sempre ad interim, un Soprintendente, Jeanette Papadopoulus. Tutto ciò ha determinato, di fatto, quello che a giudizio dell'interrogante è un grave ed allarmante vuoto gestionale -:
se il Governo, sia a conoscenza della gravità della situazione di conservazione dell'area archeologica di Pompei e quali iniziative abbia in programma di adottare e in quali tempi;
se il Governo, al fine di salvaguardare il sito archeologico di Pompei, dichiarato dall'Unesco «patrimonio dell'umanità» e, inoltre, sito di rilevantissimo interesse turistico, intenda potenziare la Soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei al fine di dotare, come richiesto in un appello da diversi archeologi della comunità scientifica internazionale, la suddetta area archeologica di una conduzione stabile e duratura, nominando un soprintendente stabile, che metta in atto un piano di conservazione, restauro e valorizzazione dell'area archeologica di Pompei;
se risponda al vero, come apparso sulle colonne di alcuni quotidiani, il fatto che sono in atto iniziative destinate a «privatizzare» la gestione del sito archeologico di Pompei, depotenziando e riducendo così le competenze scientifiche e gestionali dei funzionari archeologi della Soprintendenza.
(3-01426)

VACCARO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
in data martedì 19 ottobre 2010, il firmatario del presente atto ha depositato un'interrogazione parlamentare a risposta scritta la n. 4-09080, sul tema della preoccupante situazione di disattenzione e di drammatica incuria in cui versa attualmente il sito archeologico di Pompei; in tale circostanza si interrogava il Ministro per i beni e le attività culturali, principalmente in ordine a quali iniziative il Governo abbia in programma di adottare e in quali tempi al fine della conservazione e della valorizzazione dell'intera area dichiarata, dall'UNESCO nel 1997, patrimonio mondiale dell'umanità. Ad oggi l'interrogazione è ancora pendente in attesa di risposta da parte del Ministro;
successivamente al deposito di tale interrogazione, in data 6 novembre 2010, è avvenuto - all'interno del medesimo sito archeologico - il crollo dell'intera «Schola Armaturarum» (la Domus dei gladiatori), così chiamata perché al suo interno si allenavano gli atleti nell'antica Pompei;
in considerazione della gravità dell'accaduto - lo stesso Presidente della Repubblica, non ha esitato a definire l'intera vicenda «una vergogna per l'Italia» - l'interrogante ha ritenuto opportuno promuovere lo sviluppo di un momento di riflessione aggregativa su Facebook, mediante la creazione ad hoc di un gruppo aperto dal titolo «SALVA POMPEI», soprattutto al fine di sensibilizzare la cittadinanza sulla tematica;
in data 30 novembre, poi, anche in seguito alle precipitazioni temporalesche che hanno interessato negli ultimi giorni l'area campana, si è sciaguratamente verificato uno smottamento di terreno nella medesima area archeologica di Pompei e, nella fattispecie nella zona non scavata posta a nord della casa del moralista. Tale smottamento ha interessato, piegandola in più punti e scalzandola, la viminata a gradini posta a protezione della scarpata e ha determinato il crollo del muro perimetrale nord del giardino della casa del moralista. Il crollo, stando a quando dichiarato dalla Soprintendenza e dallo stesso Ministro interrogato, ha riguardato un muro ricostruito nel dopoguerra;
è notizia poi del 1° dicembre 2010 che, presumibilmente a causa dell'incuria in cui versa l'intero sito, sono crollati altri due muretti negli scavi archeologici di Pompei: il primo muretto crollato (lungo cinque metri) è quello di una bottega in via Stabiana, nella zona dei teatri. L'altro crollo si è verificato in un'area alle spalle della Casa del centenario, in una piccola abitazione denominata «piccolo lupanare», e si tratterebbe di un muretto lungo 4 metri -:
se, in ottemperanza a quanto previsto dall'articolo 9, comma 6, della legge 8 ottobre 1997, n. 352, recante «Disposizioni sui beni culturali», articolo rubricato «Provvedimenti a favore delle aree archeologiche di Pompei» il Ministero per i beni e le attività culturali abbia assegnato alla Soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei una dotazione di personale tecnico quantitativamente e qualitativamente adeguata alle necessità individuate dalla legge stessa, con particolare riferimento alle figure professionali specializzate nelle attività di restauro e manutenzione del sito archeologico.
(3-01427)

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DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
in un articolo di Gianni Lannes sul sito www.costruendo.lindro.it si legge che esisterebbe un sistema di sorveglianza mondiale denominato ECHELON, ideato nel 1947 e realizzato da alcuni Stati durante la Guerra fredda. Viene gestito da Usa, Regno Unito, Australia, Canada e

Nuova Zelanda (accordo Ukusa). L'infrastruttura spaziale è stata insediata nei primi anni '60, lanciando in orbita un gran numero di satelliti spia;
responsabile di questi progetti è la National Security Agency (NSA), la più grande agenzia di intelligence nordamericana, in collaborazione con la CIA e la Nro. I centri elaborazione dati terrestri sono ubicati a Menwith Hill (Gran Bretagna) ed a Pine Gap (Australia). Anche l'Italia ha ospitato una struttura di questa rete spionistica - poi trasferita a Gioia del Colle - nella base di San Vito dei Normanni, dal 1964 fino al 1994. Negli Usa è nata nel 2001, la «Total information awareness», una banca dati unica che ha lo scopo di raccogliere informazioni sui cittadini di tutto il mondo dal comportamento sospetto;
nell'articolo si legge che la base di ascolto di San Vito dei Normanni (attualmente dismessa e recentemente incendiata), in provincia di Brindisi, ha registrato istante per istante la strage di Ustica (27 giugno 1980) e intercettato i sequestratori dell'Achille Lauro nel 1985. Eppure, nessuno ha mai chiesto in sede ufficiale alle autorità Usa un chiarimento sui misteri d'Italia -:
se quanto riferito in premessa corrisponda al vero.
(4-10647)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
una nota di agenzia stampa dell'Ansa del 30 gennaio 2011 ha riportato la notizia secondo cui il «caporalmaggiore della Brigata Sassari, Beniamino Cabras, 31 anni di Selargius (Cagliari), si è tolto la vita ieri sera sparandosi con il fucile d'ordinanza mentre era in servizio nella caserma Gonzaga di Sassari»;
sempre secondo le fonti di stampa il militare «aveva partecipato a cinque missioni all'estero: in Kosovo, Albania, Iraq e di recente due volte in Afghanistan.»;
negli elementi di risposta all'interrogazione n. 4-08181 il Ministro interrogato ha precisato che «Ogni singola Forza Armata ha attivato, per le attività di supporto psicologico/psichiatrico, consultori psicologici - inseriti nelle proprie strutture sanitarie - con accesso facilitato per il personale militare, mentre nei teatri operativi sono sempre presenti, al seguito dei contingenti militari, ufficiali medici specialisti in psichiatria/psicologia clinica, con il compito di valutare ogni possibile disagio o sindrome da stress post-traumatico che si manifesti nel corso di attività operative» -:
se il personale militare sia sottoposto a periodici controlli presso i consultori psicologici di cui in premessa per verificarne il mantenimento dei requisiti di idoneità al servizio militare incondizionato e, in caso contrario, se non ritenga di dover impartire adeguate disposizioni al fine di predisporre maggiori e più rigorosi controlli al fine di prevenire altri drammatici eventi;
negli ultimi dieci anni quanti siano stati i suicidi fra gli appartenenti alle Forze armate.
(4-10648)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
da un articolo di Gianni Lannes pubblicato sul sito www.costuendo.lindro.it si legge che esiste una rete riservata del RIS (Reparto Informazioni e Sicurezza), nata anche per intercettare - senza alcuna autorizzazione della magistratura e all'insaputa di una fetta del Parlamento italiano - particolari soggetti: magistrati, giornalisti, industriali, politici scomodi (pochi in realtà), ecologisti, ambasciatori, poliziotti, carabinieri e finanzieri;
il cuore di questo sistema di controllo, collegato a varie stazioni di ascolto

distribuite capillarmente nella Penisola, sarebbe mimetizzato all'interno di una caserma dell'esercito nel territorio di Cerveteri in provincia di Roma, in collegamento col sistema satellitare Sicral (Sistema Italiano per Comunicazioni Riservate ed Allarmi);
«La base viene utilizzata attualmente come orecchio elettronico per intercettare comunicazioni radio militari e civili (Sigint), segnali elettromagnetici militari (Elint), comunicazioni via satellite (Comint), trasmissioni immagini (Imint), telefonia di vario genere» attesta la documentazione riservata dello Stato Maggiore della difesa, si legge nell'articolo;
il sistema è attualmente in grado di captare e analizzare miliardi di comunicazioni private al giorno che passano attraverso il telefono, il fax, la rete internet;
i messaggi verrebbero trasferiti, trascritti e analizzati a Roma, all'aeroporto militare di Ciampino e a Forte Braschi;
secondo la normativa vigente nel nostro Paese, non si può intercettare nessuno senza l'autorizzazione della magistratura. Nel caso dei servizi segreti occorre il nulla osta delle procura generali della Repubblica presso le corti d'appello. L'assoluta discrezionalità e l'assenza di regole democratiche sembrano essere i tratti essenziali del RIS (Reparto informazioni e sicurezza), peraltro mai sottoposto finora ad un controllo parlamentare;
in questo modo un elevato numero di cittadini sarebbe sottoposto a schedature senza che sia richiesto e nemmeno presupposto che chi è oggetto delle intercettazioni stia violando la legge -:
se quanto riferito in premessa corrisponda al vero e di quali informazioni disponga il Governo;
quale sia il mandato politico di questa struttura e per quali fini venga utilizzato il materiale acquisito.
(4-10651)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:

BOBBA, LENZI e MIOTTO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 117 del Titolo V della Costituzione stabilisce: «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (...) m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;»;
il Titolo V della Costituzione e, in particolare, lo stesso articolo 117 rappresentano la chiave di volta della riforma costituzionale 2001, recependo, proprio nel citato articolo, il principio, caratteristico dei sistemi federali, per cui vengono elencate espressamente le materie spettanti allo Stato e riservando le altre alle regioni;
in una pubblicazione del Forum del terzo settore Lombardia si legge: «Nel quadro del contesto nazionale, a fronte di un'esperienza consolidata dei LEA, sia pure con il tentativo attuale di ricomprenderli nei "costi standard", non è stato finora emanato un atto che definisca i livelli essenziali di Assistenza Sociale. Per questa ragione alcune Regioni, attesa la propria competenza residuale/esclusiva in materia socioassistenziale, hanno definito, in via provvisoria e in attesa della definizione dei LIVEAS nazionali, un proprio quadro di LIVEAS regionali, per garantire i diritti sociali ai propri cittadini, quale garanzia di risposta ai bisogni, tutelati e riconosciuti come appartenenti all'area dei livelli essenziali.» (http://www.forumterzosettore.it/PDF/Fascicolo lombardia.pdf);

la pubblicazione citata del Forum rappresenta in modo puntuale la realtà italiana, nella quale si assiste ad un «principio di cedevolezza» a contrario, generando di fatto «un federalismo senza principi» (http://www.reforme.it/federalismo/contributo_Chiara_Saraceno.pdf), in grado di attuare una sostanziale differenza nella vita quotidiana degli individui e delle famiglie e di creare dei veri e propri sistemi di cittadinanza locale in termini di pacchetti di risorse resi disponibili, ma anche di modalità di riconoscimento e di appartenenza;
in un articolo di Franco Bomprezzi si legge: «Il federalismo deve avere il correttivo di uno sguardo d'insieme sui diritti essenziali. Servizi domiciliari, ausili, prestazioni di riabilitazione, trasporti, inclusione scolastica, lavoro, sono solo alcuni dei temi attorno ai quali le differenze di trattamento, a parità di condizione di cittadinanza, sono talmente evidenti da non dover neppure essere ricordate. E invece l'unico riferimento politico sembra essere quello dell'efficienza e della capacità di spendere meno e meglio i soldi pubblici.» (http://blog.vita.it/francamente/);
diversi sono stati i tentativi di sensibilizzare le istituzioni, nel corso degli anni, da parte delle associazioni di riferimento, in particolare si vuole ricordare la recente lettera scritta dalla Lega per i diritti delle persone con disabilità, Ledha, al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lo scorso 26 novembre, e la petizione promossa dall'ANFFAS per la mancata attuazione della legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, n. 328 del 2000, che all'articolo 24 prevede «la revisione dei sistemi di accertamento di invalidità civile e stato di handicap e delle provvidenze economiche collegate, con il fine di meglio orientare l'obiettivo di tali misure verso il contrasto alla povertà e la promozione di incentivi alla rimozione delle limitazioni e valorizzazione delle capacità ed autonomie delle persone con disabilità, nonché lo snellimento delle procedure connesse (http://www.anffas.net/Page.asp/id=264/N201=6/N101=855/N2L001=Politiche%20Sociali);
a parere degli interroganti, i diritti dei cittadini, specie dei più fragili, dovrebbero avere preminenza rispetto all'attuazione del sistema federale e questo perché lo stesso non potrà essere funzionale al benessere della collettività, né potrà ottemperare i principi costituzionali, se prima non vengono garanti e determinati diritti preordinati, fondamentali e inderogabili -:
se non si ritenga opportuno ed urgente definire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
(5-04127)

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GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:

ANNA TERESA FORMISANO. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
si apprende che per l'anno scolastico 2010-2011 non è stato istituito presso la casa circondariale di Cassino (Frosinone) il corso di «tecnico della ristorazione giunto alla V edizione in collaborazione con l'istituto professionale per i servizi alberghieri e della ristorazione» di Cassino;
in virtù della valenza e del successo riscosso nelle edizioni precedenti, già ben 17 detenuti avevano presentato domanda di iscrizione e si stavano valutando molte richieste giunte da altri istituti penitenziari;
all'origine della soppressione del citato corso, nonostante i buoni risultati ottenuti in questi anni, vi sarebbe la mancanza di risorse, non più garantite dal Ministero della pubblica istruzione -:
quali iniziative urgenti intendano adottare al fine di reperire le risorse

necessarie all'avvio del nuovo corso che ha rappresentato e rappresenta un valido strumento volto al reinserimento dei detenuti nel mercato del lavoro e nella società.
(4-10635)

DI PIETRO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
presso gli uffici giudiziari di Catanzaro vi sono numerose cause di incompatibilità e conflitti di interesse tra magistrati e tra magistrati e avvocati;
il giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Catanzaro, dottoressa Abigail Mellace, ha emesso la sentenza che ha definito il cosiddetto procedimento «Why not»;
è noto al Ministro interrogato che il marito della dottoressa Mellace, l'avvocato e imprenditore Mottola D'Amato, è stato sottoposto ad indagini nel corso del cosiddetto procedimento Splendor, di cui era titolare il dottor De Magistris, ossia lo stesso pubblico ministero che ha condotto inizialmente le indagini sul procedimento «Why not». In particolare, nel corso del procedimento Splendor venne eseguito un decreto di perquisizione nei confronti dell'avvocato Mottola D'Amato, per il quale fu anche chiesta l'emissione di ordinanza di custodia cautelare personale e il sequestro dell'azienda per gravi reati;
è noto al Ministro interrogato - avendo già esercitato azioni disciplinari con riferimento all'indagine «Why not» - che il nominativo dell'avvocato Mottola D'Amato compare anche negli atti dell'inchiesta «Why not», relativamente alla quale, la dottoressa Abigail Mellace, moglie del primo, ha pronunciato sentenza;
all'interrogato sono altresì noti i procedimenti giudiziari, anche per fatti gravi, che hanno riguardato la famiglia della dottoressa Mellace. In particolare, il padre è stato processato per i reati di bancarotta e, addirittura, condannato per il delitto di violenza sessuale. In quest'ultimo procedimento la difesa è stata esercitata dallo studio legale Pittelli. A tal proposito, si rammenta che l'avvocato Giancarlo Pittelli, parlamentare del PdL, è imputato, in concorso proprio con il procuratore generale, dottor Dolcino Favi, e altri magistrati, politici e imprenditori, per il delitto di corruzione in atti giudiziari anche con riguardo all'inchiesta «Why not», rispetto alla quale il Gup Mellace ha pronunciato sentenza;
il Ministro interrogato è a conoscenza che nel decreto di perquisizione e sequestro emesso dalla procura di Salerno ed eseguito il 2 dicembre 2008 nei confronti di taluni magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari di Catanzaro emergono situazioni di incompatibilità per taluni magistrati -:
se non ritenga il Ministro interrogato, avuto riguardo alle gravissime situazioni ambientali e funzionali descritte in premessa e di altre a conoscenza delle autorità giudiziarie competenti (ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale è competente la procura di Salerno), di dover attivare i suoi poteri ispettivi al fine di verificare quelle che all'interrogante appaiono evidenti cause di incompatibilità, mancate astensioni e ricusazioni, nonché conflitti di interesse che ledono oggettivamente l'immagine della magistratura nell'intero territorio calabrese.
(4-10656)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
sul sito www.viadalvento.it si può leggere una segnalazione del professor Tolone Azzariti, a proposito dell'inchiesta sull'eolico a Girifalco, al centro anche di un servizio di Report ed oggetto dell'interrogazione 4-07243, secondo il quale:
«il consulente della Procura di Catanzaro, ingegner Biamonti, non ha allegato le mappe catastali false dell'ingegner Siniscalco alle carte del sequestro, non le

ha proprio ritirate dall'ufficio tecnico al momento in cui il sequestro avveniva, non le ha quindi fatte confluire nel fascicolo! Tutto il parco sequestrato ma "solo" per le violazioni riscontrate nei fatti, sul territorio, le mappe alterate redatte dal Siniscalco, che ne sono una delle cause, non sono nel fascicolo...»;
le mappe false presso il piano d'esproprio (scala di rappresentazione alterata in 1:2500 anziché nei termini reali 1:2000, per ricavare per tabulas la distanza di 500 metri prescritta dalla legge della regione Calabria sulle distanze fra case e torri; soppressione di una novantina di immobili dalle mappe et alia); potrebbe implicare un reato di falso ideologico e materiale in capo al suo autore ed a chi deputato al controllo di regolarità e possono comportare la nullità dell'atto e la nullità dell'intero procedimento, con la conseguente nullità dell'Autorizzazione Unica che ne scaturisce;
occorre rilevare il mancato invito alla conferenza dei servizi, che prelude all'Autorizzazione Unica del parco eolico, del comune di Cortale che pure è parte essenziale in quanto titolare del territorio dove si svolge l'attività del parco eolico e che, ad avviso degli interroganti, determina la nullità degli atti della medesima;
tenuto conto che nel decreto n. 313 del 25 gennaio 2007 (consultabile in supplemento straordinario n. 4 al Bollettino Ufficiale della regione Calabria - parti I e II - n. 17 del 17 settembre 2007) che è allegato al decreto successivo che contiene l'autorizzazione unica dell'8 agosto 2007, a pagina 25558, colonna destra, si può leggere: «nel restituire gli atti progettuali trasmessi, si evidenzia infine che il presente parere non sostituisce in alcun caso i nulla osta e/o autorizzazioni e concessioni previste dalle leggi urbanistiche e dalla legge regionale n. 3/95 che, comunque, dovranno essere acquisiti prima del rilascio della Concessione Edilizia»;
non risultano acquisiti tali atti preliminari (nulla osta ed autorizzazioni) ma ancor di meno risulta che il comune di Girifalco abbia mai rilasciato alcuna concessione edilizia per alcuna torre e più volte interrogati formalmente a mezzo missiva regolarmente protocollata, gli organi del comune non hanno mai risposto sul merito della questione; ancora nel 15 settembre 2008, a fronte di sollecitazione a comunicare gli estremi delle concessioni (ove esistenti) ed a rilasciarne le relative copie conformi, il comune, con numero di protocollo 8769 rispondeva: «si comunica che le copie richieste non possono essere rilasciate in quanto i provvedimenti di che trattasi, a tutt'oggi, non esistono agli atti di questo comune», a parco eolico quasi completato;
il 17 ottobre del 2008 il comune di Girifalco aveva comunque rilevato che la scala delle mappe era stata falsificata ed aveva trasmesso, le carte alla procura;
per quanto risulta agli interroganti, il procuratore aggiunto Murone, recentemente trasferito da Catanzaro dal consiglio superiore della magistratura per incompatibilità ambientale, era nel pieno dei suoi poteri quando Biamonti ricevette il mandato di consulenza nell'autunno 2009 e nel luglio 2007, quando Salvatore Tolone Azzariti avanzò il suo esposto alla procura allegando le mappe false, la procura aveva proceduto come segue:
a) aveva immediatamente avocato l'esposto, così sottraendolo all'assegnazione naturale ad altro pubblico ministero;
b) lo aveva «caricato» a modello 45 (procedimento 2252/2007, mod. 45), atti non costituenti notizia di reato incardinando così un procedimento che consente al pubblico ministero di porre nel nulla un atto o una notizia senza passare al vaglio del giudice per le indagini preliminari;
c) quindi lo aveva archiviato il successivo 3 ottobre del 2007 e la notizia verrà data a voce al diretto interessato su sua richiesta il 24 aprile del 2008 dall'archivio della stessa procura;
la International Power (cessionaria dall'agosto 2008 della Società Parco eolico Girifalco s.r.l.) risulta difesa presso il tribunale

del riesame da avvocati che sono stati coimputati con gli allora capo e aggiunto nella procura di Catanzaro (Lombardi e Murone) nel procedimento presso il GUP di Salerno, conclusosi con il rinvio a giudizio di otto persone -:
se quanto riferito in premessa corrisponda al vero e quali iniziative si intendano adottare in merito a quanto riferito in premessa.
(4-10657)

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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

DELFINO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
a fine anno 2010, l'aeroporto Levaldigi di Cuneo ha superato la quota di 200 mila passeggeri, andando ben oltre le più rosee aspettative dell'anno precedente;
la realizzazione di nuovi collegamenti, da ultimo quello Cuneo-Trapani, ha contribuito positivamente alla crescita del numero dei passeggeri, che a fine 2010 hanno fatto registrare un aumento di oltre il 60 per cento rispetto all'anno precedente;
nonostante in questi anni Levaldigi abbia dimostrato di essere in continua crescita, non risulta, ad oggi, essere stata sbloccata la concessione ventennale accordata con l'Enac, che eliminerebbe l'attuale elemento di precarietà della procedura di rinnovo annuale, procedura che condiziona negativamente il pieno sviluppo dello scalo;
anche la questione della continuità territoriale, che avrebbe potuto ripristinare il collegamento Cuneo-Roma, per la quale erano stati stanziati 3 milioni di euro, sembra essere stata dimenticata in quanto al momento non risulterebbe avviata alcuna gara in merito;
a destare ulteriori preoccupazioni è quanto riportato su La Stampa del 19 agosto 2010, circa l'ipotesi di razionalizzazione degli aeroporti da parte dell'Enac mediante la chiusura di 24 aeroporti minori; unica alternativa possibile alla chiusura sarebbe un intervento finanziario totalmente a carico degli enti locali;
lo scalo di Cuneo è già da tempo a carico degli enti locali, in quanto i principali azionisti sono la provincia, la regione, la camera di commercio e i comuni, intervenuti a suo tempo per evitarne il fallimento;
inoltre, Levaldigi risulterebbe essere l'unico aeroporto a pagarsi autonomamente la torre di controllo (circa 400 mila euro l'anno);
allo stato attuale, risulta quanto mai impensabile caricare ulteriormente gli enti locali di oneri aggiuntivi per mantenere attivi gli aeroporti, essendo già fortemente in crisi dai tagli alle risorse ad essi destinate -:
quale sia il motivo per cui non sia stata ancora formalizzata la concessione ventennale accordata delle società di gestione dell'aeroporto di Levaldigi e l'Enac;
quali iniziative intenda attivare al fine di riaprire la questione sulla continuità territoriale, per la quale erano stati stanziati 3 milioni di euro (per tre anni);
se il Governo abbia valutato l'ipotesi di razionalizzazione degli aeroporti, avanzata dall'Enac sulla base di uno studio effettuato sul settore, che prevedrebbe la chiusura di 24 aeroporti minori, e quali siano gli orientamenti del Governo stesso.
(5-04124)

CATTANEO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'autostrada A26 Genova Voltri-Gravellona Toce, gestita dal gruppo Autostrade, presenta nel tratto terminale, soprattutto fra la barriera di Arona e l'uscita

di Gravellona, numerosi tratti in galleria, contraddistinti da curve che ne aumentano la pericolosità;
il segnale di telefonia mobile dei due principali operatori, anche nei tratti in galleria, a livello nazionale era stato assicurato mediante l'installazione di appositi ripetitori, proprio al fine di consentire l'invio di segnalazioni da parte degli utenti e degli operatori in caso di incidente o di interruzione del transito;
non pare sia stata effettuata una continua e adeguata manutenzione dei suddetti ripetitori, per cui attualmente il segnale per gli apparecchi di telefonia mobile risulta assente in numerosi tratti in galleria, con problemi di ricezione evidenziati da numerosi utenti;
ragioni di sicurezza consigliano di ripristinare quanto prima la copertura del segnale di telefonia mobile laddove sia venuto a mancare, in modo da garantire il servizio in ogni tratto della suddetta arteria -:
se non ritenga di intervenire per far sì che la società di gestione dell'autostrada A26 Genova-Gravellona Toce, provveda, per quanto di propria competenza, al tempestivo ripristino dei ripetitori di telefonia mobile che permettono la copertura del segnale anche nei numerosi tratti in galleria, e successivamente a un'adeguata manutenzione che possa assicurare la continuità del servizio.
(5-04125)

Interrogazioni a risposta scritta:

BORGHESI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il nuovo assetto societario del gruppo Ferrovie dello Stato (Gruppo FS) prevede che, per l'esercizio degli impianti di raccordo, Rete ferroviaria italiana s.p.a. (RFI), rappresentata dalla locale direzione territoriale produzione-struttura organizzativa terminali e servizi, sia deputata a stipulare e gestire i relativi nuovi contratti di costruzione e gestione per i nuovi allacciamenti o di rinnovo gestione per i raccordi in essere;
per quanto concerne il rinnovo dei contratti relativi ai raccordi di Candiolo (Torino) e Gallarate (Milano), risulta all'interrogante che le direzioni territoriali produzione di Torino e di Milano avrebbero manifestato al concessionario, e segnatamente Ambrogio Trasporti s.p.a., la volontà di applicare una sostanziale revisione degli oneri e obblighi a carico del concessionario stesso in deroga alle condizioni generali di contratto preesistenti. In particolare, la predetta sostanziale revisione verrebbe motivata in virtù del nuovo assetto societario del Gruppo Ferrovie dello Stato, del relativo diverso assetto organizzativo ed infine dell'evoluzione della normativa di riferimento, senza peraltro chiarire la portata delle modifiche normative ad oggi intervenute che avrebbero giustificato la ragione della citata revisione;
il nuovo schema di contratto di rinnovo per l'esercizio dei raccordi di Candiolo (Torino) e Gallarate (Milano) prevede una durata di quattro anni;
nelle lettere di comunicazione inviate dalle locali direzioni territoriali produzione di Torino e di Milano al concessionario Ambrogio Trasporti s.p.a. del 23 luglio 2010 e del 10 maggio 2010 vengono evidenziate le parti del corpo contrattuale inerenti l'aspetto economico con il dettaglio delle voci di spesa che il concessionario deve corrispondere a RFI, in sede di rinnovo del contratto per l'esercizio dei raccordi di Candiolo e di Gallarate con particolare aggravio di costi, oneri ed obblighi a carico del concessionario;
ad avviso dell'interrogante, con riferimento ai citati raccordi di Candiolo e Gallarate, la circostanza che in sede di rinnovo dei contratti vengano imposti in modo unilaterale a carico del concessionario nuovi oneri, obblighi e costi configura, di fatto, un'ipotesi di responsabilità precontrattuale in capo a RFI e quindi di

violazione della libertà negoziale del contraente - nella fattispecie il concessionario Ambrogio s.p.a. - avendo questi legittimamente fatto affidamento sulla possibile conclusione di un contratto di rinnovo valido, efficace ed utile;
la responsabilità precontrattuale trova la sua disciplina positiva negli articoli 1337 e 1338 del codice civile che sanciscono l'obbligo di buona fede nella fase delle trattative a carico di entrambi i contraenti e l'obbligo di comunicare le cause conosciute e conoscibili d'invalidità del contratto sulle quali la controparte abbia fatto incolpevole affidamento;
per quanto risulta all'interrogante il concessionario Ambrogio s.p.a. non troverebbe altre alternative a fronte delle risorse economiche già impegnate, di spese e costi già assunti in bilancio per la costruzione e la manutenzione degli impianti in essere, destinati all'attività di trasporto intermodale da oltre 30 anni. Negli ultimi mesi, peraltro, il concessionario ha investito ingenti somme ai fini dell'acquisto di materiale rotabile (circa 12 milioni di euro in corso di ammortamento) e rispetto a tali investimenti ritiene del tutto inadeguata la durata di quattro anni dei nuovi contratti indicata per il rinnovo;
inoltre, per quanto risulta all'interrogante, non risulterebbe chiaro neanche il regime giuridico transitorio applicabile sino al rinnovo;
in ogni caso, l'imposizione da parte di RFI nei confronti del concessionario di un canone annuale pari a 225.000 euro per il raccordo di Candiolo e di 180.000 euro per il raccordo di Gallarate a corpo da versarsi in un'unica soluzione posticipata in deroga alle condizioni generali di contratto appare del tutto iniqua, potendosi ritenere che il canone, anziché costituire elemento incentivante del traffico merci per ferrovia, di fatto drena risorse da poter destinare allo sviluppo del trasporto intermodale con ricadute negative anche nei confronti del vettore viario. Con riguardo all'impianto di Candiolo, oramai inglobata in area urbanizzata, si deve rilevare la sopravvenuta limitazione dell'uso del raccordo dalle ore 7 alle ore 19, per cui la revisione del contratto, come prospettata dalla direzione di FS Torino, rende senza alcun dubbio l'attività intermodale antieconomica in quel sito;
inoltre, per quanto risulta all'interrogante, il predetto canone annuale non terrebbe conto, in detrazione, delle aree già regolarmente destinate ad attività complementari del concessionario senza pregiudicare la funzionalità del raccordo all'interno dello stabilimento -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti e, in tal caso, quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di evitare quella che all'interrogante appare come una penalizzazione della posizione giuridico-contrattuale di imprese - quale appunto l'impresa citata in premessa - che hanno eseguito rilevanti investimenti nel settore del trasporto intermodale e ferroviario.
(4-10636)

GHIGLIA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'amministratore delegato di FS Mauro Moretti avrebbe annunciato la nascita di una partnership Trenitalia-Veolia Transport relativa ai servizi notturni sulle tratte Roma-Parigi e Venezia-Parigi;
sul lato francese del Fréjus sarebbero ancora in corso i lavori di adeguamento e non sarebbe ancora stato installato il sistema di sicurezza Scmt;
tale situazione comporterebbe, di fatto, una marginalizzazione di Torino e del Piemonte rispetto ad una tratta internazionale, con grave danno per il territorio piemontese ed in controtendenza rispetto alla vocazione di una città che ha dimostrato da un po' di anni a questa parte di possedere una grande capacità di attrazione turistica e rispetto alla quale

dovrebbe essere interesse delle imprese ferroviarie, in specie quella leader in Italia, sfruttarne le potenzialità -:
quali siano le cause dei frequenti disservizi del tgv Milano-Torino-Parigi;
quali siano i treni che hanno causato tali disservizi e di quale società sia la proprietà;
quali siano le tempistiche delle procedure relative all'omologazione dei convogli al sistema di sicurezza Scmt e chi sia preposto a fornire l'autorizzazione per i treni che transitano in Italia;
se risponda al vero che alcuni tgv viaggino «sotto scorta» a causa dell'incompletezza della procedura di omologazione;
di che tipo siano e quanto durino le procedure di omologazione dei convogli similari in Francia e Germania;
se sia in atto un processo per adottare sistemi di sicurezza uguali in tutta l'Unione europea;
cosa si stia facendo per agevolare il collegamento transfrontaliero ad alta velocità che è così importante per veicolare i flussi turistici verso la regione Piemonte.
(4-10639)

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INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:

PALADINI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
l'organizzazione sindacale Federazione INTESA è tra le sigle sindacali maggiormente rappresentative nel comparto Ministeri, cui negli ultimi due anni la magistratura del lavoro ha più volte riconosciuto di essere stata lesa nelle proprie prerogative sindacali;
il tribunale di Bari, con decreto n. 27809/08, depositato il 17 marzo 2009, condannava il Ministero dell'interno per comportamento antisindacale poiché era stato impedito lo svolgimento di un'assemblea tra i lavoratori, convocata dalle RSU elette nelle liste della «Federazione Intesa» presso il IX reparto mobile di Bari con conseguente condanna dell'amministrazione alle spese di lite per 1.000 euro più IVA e CPA;
il tribunale di Roma, con decreto n. 74091/08 del 12 giugno 2008, condannava il Ministero dell'interno per comportamento antisindacale poiché non era stato consentito ai rappresentanti della Federazione Intesa la partecipazione ai tavoli contrattuali per questioni riguardanti il biennio 2004-05 e lo stesso Tribunale di Roma, con sentenza n. 21815/08, depositata il 28 aprile 2010, respingeva l'opposizione del Ministero dell'interno e la domanda riconvenzionale da questo proposta condannando lo stesso alla refusione delle spese di lite per 2.500 euro più IVA e CPA. Nella sentenza il giudice specificava: «Le spese del giudizio vanno poste a carico del ricorrente Ministero, tenuto conto anche del comportamento dallo stesso tenuto con la deliberata inosservanza dell'ordine contenuto nel provvedimento in data 12.6.2008»;
il tribunale di Roma, con decreto n. 34926/10 depositato il 13 gennaio 2011, condannava nuovamente il Ministero dell'interno per comportamento antisindacale poiché, ancora una volta e nonostante la pronuncia non opposta del 17 marzo 2009 sopra citata, era stato impedito lo svolgimento di un'assemblea tra i lavoratori, convocata da n. 10 (dieci) RSU elette nelle liste della Federazione Intesa. Il suddetto decreto prevedeva, ancora una volta, la condanna alle spese per 1.800 euro più IVA e CPA;
le dette iniziative giudiziarie si sono rese necessarie a seguito dei formali dinieghi da parte del Ministero dell'interno e nello specifico dall'ufficio relazioni sindacali;
alla luce delle suddette decisioni della competente autorità giudiziaria parrebbe

che l'ufficio relazioni sindacali del Ministero dell'interno da un lato abbia di fatto a più riprese frapposto ostacoli a diritti pacificamente riconosciuti esponendo il Ministero dell'interno ad un illogico ed evitabile esborso di denaro pubblico e dall'altro abbia costretto l'organizzazione sindacale Federazione Intesa a subire danni conseguenti e che per di più tali prese di posizione dell'amministrazione potrebbero esporre la stessa ad ulteriori esborsi per ristoro dei danni subiti dalla Federazione Intesa -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra riportati;
se e quali iniziative intenda assumere il Ministro dell'interno affinché possano essere garantite ai titolati le legittime prerogative sindacali senza dovervi pervenire attraverso decisioni di carattere giudiziario con relativi esborsi per le già esigue casse dell'amministrazione;
quali iniziative intenda assumere il Ministro dell'interno per ripristinare il buon andamento, equità e trasparenza, ai quali deve uniformarsi l'amministrazione pubblica nell'esercizio della propria attività e quindi anche il suo dicastero;
se sia intenzione del Ministro dell'interno accertare che tutte le organizzazioni sindacali ricevano il medesimo trattamento nel più compiuto spirito di rispetto dei princìpi di legge e costituzionali anche a fronte delle decisioni sopra indicate adottate dall'autorità giudiziaria ed aventi ad oggetto la censura di talune determinazioni dell'ufficio relazioni sindacali del dipartimento per le risorse umane e strumentali;
se e quali iniziative intenda porre in essere il Ministro della funzione pubblica e l'innovazione, affinché sia garantita pienamente la rappresentanza sindacale.
(4-10637)

TOUADI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in diverse città d'Italia sono state registrate numerose truffe ai danni di immigrati clandestini raggirati da loro connazionali, finti avvocati, avvocati radiati dall'albo, finte agenzie o vere e proprie organizzazioni criminali; molte denunce sono anche pervenute da comuni cittadini che si sono visti convocare dalla prefettura per incontrare la colf o la badante richiesta, mentre loro non avevano mai presentato alcuna domanda di assunzione;
nel solo 2010 sono giunte all'ufficio immigrazione della questura del comune di Roma - per la regolarizzazione di colf e Badanti - 32 mila pratiche, il 25 per cento delle quali risultano «sospese» per accertamenti penali;
l'ufficio immigrazione della questura di Roma rende noto che nel 75 per cento dei casi riscontrati a produrre le frodi sono vere e proprie associazioni a delinquere con guadagni che possono raggiungere gli ottomila euro a pratica;
la buona fede dello straniero - intenzionato a regolarizzare la sua posizione - lo trasforma in maniera automatica da richiedente di permesso di soggiorno a persona che verrà espulsa, con trattenimento al CIE e denuncia per concorso nei reati di falso e per violazione delle norme sull'immigrazione clandestina -:
se il Ministro interrogato sia al corrente di tali fatti:
quali misure il Ministro intenda adottare, alla luce dei fatti esposti in premessa, per prevenire e contrastare il fenomeno delle frodi ai danni degli immigrati e come intenda tutelare i cittadini che a loro insaputa ne vengono coinvolti;
se il Governo, in linea con quanto affermato dell'articolo 18 del Testo unico sull'immigrazione, intenda rilasciare uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale.
(4-10638)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
un progetto prevede la realizzazione di un centro commerciale a Borgarello in provincia di Pavia con 14.950 metri di superficie di vendita, con quasi 50 mila metri quadrati coperti, una multisala con 6 o 7 cinema, un albergo da 90 camere e decine di altri servizi compresi un planetario e una pista di pattinaggio;
la realizzazione di questo progetto condizionerebbe la viabilità e l'economia commerciale del capoluogo;
dal 16 novembre 2010 il comune di Borgarello è retto da un commissario prefettizio, Michele Basilicata, dopo che una bufera sulla 'ndrangheta, ha determinato le dimissioni dell'ex sindaco Giovanni Valdes, accusato di turbativa d'asta;
le funzioni del commissario sono legate all'ordinaria amministrazione nella quale non rientra, a giudizio degli interroganti, la partecipazione ad una decisione relativa ad un simile progetto;
il 26 gennaio 2011 la regione Lombardia ha approvato con parere favorevole del commissario prefettizio di Borgarello e voto contrario della provincia di Pavia il progetto di centro commerciale;
la conferenza di servizi ha approvato un protocollo di intesa che stabilisce venti milioni di euro di contributi extra che la società che realizzerà il centro commerciale sborserà ad enti e associazioni;
la società che realizzerà il progetto ha un capitale sociale di 250.000 euro -:
se corrisponda al vero quanto sopra riferito;
se e quali azioni si intendano promuovere in merito all'esito della conferenza di servizi che ha visto la partecipazione del comune di Borgarello attraverso il commissario prefettizio.
(4-10646)

DI PIETRO. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
risultano all'interrogante, singolari intrecci che legano la prefettura di Lodi, la Ausl Milano 1, il consiglio regionale lombardo;
i fatti, di seguito esposti, nel loro insieme delineano un quadro che apre interrogativi e necessita di chiarimenti;
il 23 dicembre 2010 la giunta regionale lombarda ha promosso Pietrogino Pezzano da direttore della Ausl di Monza e Brianza a direttore generale della Ausl Milano 1: Pezzano compare nelle carte della maxi inchiesta contro la 'ndrangheta detta «Infinito» della procura di Milano, in quanto soggetto nominato in diverse intercettazioni del boss pavese Pino Neri, risulta fotografato in compagnia dei boss Saverio Moscato e Candeloro Polimeno, risultano alcune intercettazioni, oltre che con Polimeno, con Giuseppe Sgro, fratello di Eduardo Sgro, arrestato per reati di cui all'articolo 416-bis del codice penale;
la nomina di Pezzano è stata oggetto di una mozione presentata il 18 gennaio 2011 da IDV, primo firmatario Giulio Cavalli, e dal PD in consiglio regionale - respinta - nella quale si chiedeva la revoca della nomina, in forza dell'impegno a contrastare fermamente qualsiasi tipo di infiltrazione della criminalità organizzata, soprattutto all'interno delle istituzioni e degli enti pubblici, nonché in nome del ruolo di garanzia cui è chiamato il Consiglio regionale e della necessità che non vi siano ombre relativamente a soggetti chiamati a dirigere enti di particolare importanti quali le Aziende sanitarie in Lombardia;
la sera del medesimo 18 gennaio Giulio Cavalli è messo al corrente del fatto che il prefetto di Lodi, Peg Strano, ha sottoposto all'Ucis la revoca della sua scorta, in quanto, secondo il Prefetto, «non è più esposto», nonostante il lungo elenco di minacce ricevute negli ultimi mesi, così come negli anni precedenti, essendo sotto tutela dal 2008;

qualche giorno dopo, riaccadono due fatti in contemporanea: a Giulio Cavalli viene comunicato l'annullamento della proposta di revoca avanzata dal prefetto di Lodi e, dunque, riottiene la scorta; il direttore generale Pezzano, rimasto al suo posto in quanto la mozione Cavalli presentata per revocarne la recente nomina è stata respinta, nomina direttore sanitario della Asl Milano 1 il dottor Giovanni Materia, il quale risulta essere il marito del prefetto di Lodi;
Giovanni Materia risulta, inoltre, essere il fratello dell'ex procuratore di Reggio Emilia, Italo Materia, dimessosi dall'ordine giudiziario a causa delle ombre che avevano lambito la sua figura, manifestando la sua condizione di vittima di campagna diffamatoria -:
se dai fatti esposti non ravvisino elementi sufficienti per considerare, nell'ambito delle rispettive competenze e nel rispetto di quelle regionali, l'ipotesi di interventi idonei a chiarirli.
(4-10652)

MARINELLO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la stampa ha riportato la notizia della realizzazione, nei pressi della città di Sciacca, in provincia di Agrigento, in Sicilia, di ben tre impianti fotovoltaici con struttura fissa a terra con oltre 25.700 pannelli installati;
si tratta di un significativo investimento sul fotovoltaico di 29 milioni di euro, per una produzione pari a 7 megawatt di energia;
titolare dell'investimento, è la Sun & Soil, una società con un capitale sociale di appena 10.000 euro, e il cui unico socio è a sua volta una società denominata Nextpower 3 s.r.l., costituita il 9 ottobre 2009 ma che non ha mai svolto attività alcuna, dalle cui visure camerali risulta un capitale sociale di euro 27.179,00, di cui 25.179,00 di proprietà della Zouk Sol SARL con domicilio in Lussemburgo e 2.000,00 di proprietà della Nextpower Holding B.V. con domicilio in Olanda, Amsterdam Koningslaan 17;
all'indirizzo della sede legale della Sun & Soil non esiste nessuna insegna, neanche citofonica;
risultano sconosciuti i soci realmente impegnati nell'investimento realizzando, in quanto è stato utilizzato il meccanismo tipico delle scatole cinesi;
le opere in questione insistono su un territorio dove vi sono forti pericoli di infiltrazioni mafiose e dove è necessario esibire il certificato antimafia anche in caso di investimenti di minima portata -:
quali iniziative il Ministro intenda intraprendere per assicurare la massima trasparenza in un investimento così imponente (quasi 30 milioni di euro) in una zona ad alto rischio sotto il profilo della criminalità organizzata.
(4-10654)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
come riferito da agenzie di stampa e siti internet - un operaio è ricoverato in fin di vita all'ospedale Brutzu di Cagliari, in seguito a un infortunio avvenuto intorno a mezzogiorno del 27 gennaio 2011 mentre lavorava in un'azienda agricola a Villa D'Orri -:
quale sia l'esatta dinamica dell'incidente;
se risulti che le misure di sicurezza previste dalla normativa vigente siano state osservate;
quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda intraprendere a fronte di un fenomeno, quello

degli incidenti sul lavoro, spesso mortali, che ogni anno assume una dimensione che non è esagerato definire una strage.
(4-10640)

GALATI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
un invito alla riflessione emerge dall'ultimo rapporto Istat «Noi Italia. 100 statistiche». All'interno della rilevazione uno spazio corposo è dedicato alla categoria dei giovani che rischia di pagare il prezzo più alto della crisi economica. Un giovane italiano su cinque, secondo il quaderno statistico, non studia né lavora. Il dato oggetto di riflessione riguarda più di 2 milioni di ragazzi, il 21,2 per cento tra quelli che hanno fra 15 e 29 anni. L'indicazione, riferita al 2009, fotografa un'intera generazione di giovani che dovrebbero essere il nostro futuro, l'architrave fondante del nostro Stato, e che vengono attualmente definiti come Neet, (not in education, employment or training - non lavorano, non studiano, non si formano). Rimanere in casa con i genitori più a lungo che nel resto dell'Europa, in Italia, è divenuto nel corso del tempo quasi un costume diffuso. Un dato ancor più negativo riguarda l'inattività di un ampio settore di popolazione che va tra i 15 e i 64 anni che è pari al 37,6 per cento, valore tra i più elevati d'Europa e in aumento di oltre mezzo punto rispetto all'anno precedente. Un valore che è sintesi di un livello di inattività maschile pari al 26,3 per cento e, soprattutto, di un tasso femminile straordinariamente elevato: 48,9 per cento. Ciò che è preoccupante, è l'accentuato differenziale di genere, pari ad oltre 22 punti percentuali. In particolare, il tasso di inattività femminile italiano è il secondo in Europa, inferiore solamente a quello di Malta;
il nostro sistema ha bisogno per rialzarsi dell'intraprendenza dei giovani e soprattutto delle loro competenze. L'invito è dunque rivolto a credere fermamente nei giovani affinché ritornino ad essere il motore pulsante della nostra economia -:
quali siano le iniziative che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intende promuovere per aumentare i livelli occupazionali dei nostri giovani e ridurre il numero dei cosiddetti Neet;
quali iniziative il Ministero delle pari opportunità intenda assumere, unitamente al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per cercare di ridurre drasticamente il tasso di inattività femminile.
(4-10643)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:

REGUZZONI, FOGLIATO, CALLEGARI, NEGRO e RAINIERI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il miglioramento genetico e, quindi, sia la selezione delle razze animali di interesse economico, sia la conservazione della biodiversità animale sono obiettivi di rilevanza strategica per la collettività al cui perseguimento è necessario attendere, attraverso il sistematico svolgimento di attività specifiche che si concretano, principalmente, nella tenuta dei libri genealogici e dei registri anagrafici e nell'esecuzione dei controlli funzionali;
lo svolgimento delle attività di cui sopra, unitamente alla regolamentazione della riproduzione animale in senso stretto è disciplinato dalla legge 15 gennaio 1991, n. 30, così come modificata dalla legge 3 agosto 1999, n. 280;
ai fini della tenuta dei libri genealogici e dei registri anagrafici e dell'effettuazione dei controlli funzionali, lo Stato si avvale, rispettivamente, dell'operato delle Associazioni nazionali allevatori (ANA) e dell'associazione italiana allevatori (AIA) che risultano, pertanto, delegate

allo svolgimento di funzioni, che stante la natura degli interessi economici e strategici alle stesse collegate, sono da considerare pubbliche, a tutti gli effetti;
le ANA e l'AIA assolvono alle suddette funzioni valendosi, per quante attiene alle attività a livello periferico, delle associazioni provinciali allevatori (APA), presso le quali hanno sede gli uffici provinciali dei libri genealogici e dei controlli, ai sensi di quanto disposto nei disciplinari, approvati dal Ministero;
la copertura delle spese per lo svolgimento delle attività di cui sopra è stata, fino al 2010, assicurata, per circa l'80 per cento da contributi pubblici (la restante parte è oggetto di compartecipazione finanziaria da parte dei singoli allevatori) corrisposti, ogni anno, in parte, attraverso un contributo concesso dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e, in parte, per tramite di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante uno stanziamento determinato d'intesa con le regioni e, poi, tra le stesse ripartito;
nel 2010, gli importi di cui sopra sono risultati di circa 30 milioni di euro, per quanto attiene il contributo ministeriale e di 62,7 milioni di euro, per quanto messo a disposizione attraverso il su richiamato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
a decorrere dal 2011, per effetto dei recenti interventi correttivi apportati alla spesa pubblica, ai fini della copertura delle spese per le attività di cui trattasi, rimane attivo solo il contributo ministeriale, peraltro su di un livello inferiore rispetto all'anno precedente, mentre le altre risorse sono state azzerate;
lo svolgimento delle attività di cui trattasi è, assolutamente, indispensabile, ai fini, sia della garanzia qualitativa e quantitativa delle produzioni animali, in specie di quelle del settore lattiero-caseario, sia della tutela e della valorizzazione delle risorse genetiche nazionali, rispetto alle strategie commerciali di Paesi esportatori di animali vivi e di materiale da riproduzione;
col venire meno di una quota, peraltro la più rilevante, del contributo pubblico per lo svolgimento delle attività di cui sopra, stante l'indispensabilità delle stesse, i relativi oneri si trasferiscono, inevitabilmente, sulle amministrazioni regionali che, per quanto risulta, si trovano, però, nell'impossibilità di poterli sostenere;
il problema è particolarmente grave per le regioni settentrionali, ove, come è noto, si concentra la gran parte dei capi allevati e, di conseguenza, delle funzioni da svolgere e delle spese da sostenere, al fine di assicurare lo svolgimento delle indispensabili attività di tenuta dei libri genealogici e dei registri anagrafici, nonché di esecuzione dei controlli funzionali. A mero titolo di esempio si consideri che il 76,8 per cento del patrimonio nazionale di vacche da latte si concentra in Lombardia (40,1 per cento), Emilia Romagna (19,7 per cento), Veneto (14,5 per cento) e Piemonte e che, nella sola Lombardia, si trova il 52,5 per cento dei capi suini allevati in Italia -:
se e quali iniziative si intendano assumere per ripristinare le linee di finanziamento statale necessarie ad assicurare il pieno e corretto svolgimento delle indispensabili attività di tenuta dei libri genealogici e degli archivi anagrafici, nonché di esecuzione dei controlli funzionali, ai sensi di quanto disposto dalla vigente normativa.
(4-10645)

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SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:

SARUBBI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
le manovre economiche che si sono succedute in questi due ultimi anni hanno considerevolmente ridotto le risorse finanziarie che lo Stato mette annualmente a disposizione per il servizio sanitario nazionale;

per effetto di tale manovra molte regioni, tra cui la regione Campania, si sono viste costrette a ridurre a loro volta i fondi a disposizione per l'assistenza alle persone disabili;
questo ha comportato la sospensione di molti progetti riabilitativi in atto e, dunque, la necessità di non poter più prendere in carico persone disabili che, fino a quel momento, erano assistite dal servizio sanitario;
tutto ciò ha pesanti ripercussioni, in primo luogo, sui pazienti/utenti che si vedono negare così un diritto fondamentale, sancito dall'articolo 32 della Costituzione come è successo alla signora Felicia Teverola, affetta da distrofia muscolare, una malattia che la costringe a restare attaccata, ogni giorno e per almeno sedici ore, a una macchina per l'ossigeno che l'aiuta a respirare e, a cui l'Asl di Caserta dal 14 gennaio ha tolto ogni assistenza perché affermano i responsabili della sanità «i fondi sono pochi e i tetti di spesa non consentono di assicurare la stessa assistenza a tutti» -:
di quali dati disponga il Ministro in ordine agli effetti determinati dalla riduzione dei finanziamenti statali sul rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
se non ritenga opportuno e doveroso individuare tutte le risorse economiche e finanziarie necessarie affinché i trasferimenti alle regioni siano sufficienti ed adeguati e affinché queste non si vedano costrette a ridurre i servizi e l'assistenza ai quei malati che più di altri necessitano di assistenza in quanto sofferenti di patologie più gravi.
(5-04123)

TESTO AGGIORNATO AL 2 FEBBRAIO 2011

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:

BOBBA, RAMPI e FARINONE. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
in data 17 febbraio 2010 presso la IX commissione permanente della Camera dei deputati, veniva discussa l'interrogazione 5-01203, primo firmatario onorevole Merlo Giorgio, sulle carenza del segnale televisivo digitale terrestre nei territori delle province di Torino e Cuneo;
l'allora viceministro allo sviluppo economico, Paolo Romani, precisava nella risposta: «Con lo switch off già avvenuto nel territorio in esame, fra il 24 settembre ed il 7 ottobre 2009 scorso, le problematiche evidenziate appaiono, quindi, superate, pur se non è possibile escludere la sussistenza di disagi, che le principali emittenti stanno provvedendo a risolvere, in aree in cui la ricezione del segnale si presenta difficoltosa, a causa dell'orografia dei territori»;
dal 19 al 25 novembre 2010 è avvenuta la transizione dall'analogico al digitale terrestre per le province di Alessandria, Asti, Biella, Novara, Vercelli, Pavia e Parma;
nel territorio del vercellese diversi sono i disagi che i cittadini sono ancora costretti a subire, in particolar modo per ciò che concerne la visibilità dei programmi RAI;
gli abitanti della zona, pur corrispondendo il canone di abbonamento annuale, non riescono a visualizzare la programmazione pubblica, mentre quella di reti private, che non richiedono un pagamento, è perfettamente visibile;
il Ministro nella stessa sede aveva inoltre dichiarato: «Il Ministero dello sviluppo economico continuerà, attraverso gli Uffici competenti, ad effettuare puntuali monitoraggi su tutto il territorio nazionale segnalando ai gestori televisivi le tecniche da adottare al fine di garantire a tutti gli utenti la fruizione del servizio pubblico radiotelevisivo» e che «il passaggio al digitale continuerà a garantire il rispetto degli obblighi di copertura del concessionario televisivo pubblico sia in termini di territorio che di popolazione, previsti dal Contratto di servizio in vigore e da quello per il triennio 2010-2012 in fase di approvazione e dalla normativa vigente in materia»;

il prossimo 31 gennaio 2011 è prevista la scadenza dei termini per la corresponsione del canone di abbonamento RAI -:
come mai persistano ancora disagi, a distanza di circa 3 mesi dal passaggio al digitale terrestre, nell'accesso al servizio pubblico radiotelevisivo e quali interventi urgenti di competenza si intendano porre in essere al fine di garantire lo stesso servizio agli abitanti del vercellese.
(5-04126)

Interrogazioni a risposta scritta:

EVANGELISTI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il centro siderurgico di Piombino e le sue acciaierie, di proprietà del gruppo Lucchini, costituiscono un grande patrimonio nazionale a sostegno delle esigenze produttive del Paese e una struttura industriale sulla quale si regge l'economia locale della Val di Cornia e dell'Isola d'Elba;
tuttavia, versano sempre più in condizioni di crisi stante il fatto che l'azionista di maggioranza si è dichiarato non in grado di dare garanzie di mantenimento dell'azienda;
le parti sociali, le istituzioni locali e regionali, le forze politiche e parlamentari hanno più volte interessato il Ministro dello sviluppo economico per la ricerca di soluzioni in grado di salvaguardare la produzione con progetti industriali anche mediante l'intervento di capitali stranieri;
l'interrogante ha già presentato due atti di sindacato ispettivo sull'argomento (4-03693 e 4-08115), ancora senza risposta;
il prossimo 2 febbraio, il nuovo incontro tra il magnate russo Mordashov e gli istituti di credito può diventare una data decisiva per il futuro del gruppo Lucchini, anche se va avanti da mesi senza aver lasciato intravedere alcun risultato;
finora il Governo è venuto meno rispetto agli impegni assunti da più di un anno per aprire un tavolo nazionale sulla siderurgia, chiarire le prospettive di sviluppo - non solo a Piombino - e al tempo stesso lavorare per l'individuazione di acquirenti disposti davvero a investire a lungo termine nel nostro Paese;
un mancato accordo aprirebbe scenari drammatici per l'occupazione, un'ulteriore aggravante alla crisi in termini occupazionali, salariali e per l'economia di tutta la Val di Cornia -:
se non ritenga di verificare lo stato di questa vicenda e di comunicare quali siano le reali intenzioni del Governo affinché venga trovata una soluzione che permetta di sbloccare la situazione drammatica da tempo evidenziata;
se non ritenga indispensabile per quanto di propria competenza favorire un accordo fra le banche e il gruppo di Mordashov per favorire una stabilità che consenta l'ingresso di nuovi compratori capaci di dare garanzie di solidità finanziaria, di progettualità e di investimento nel settore.
(4-10642)

MARINELLO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i rapporti con le regioni e coesione territoriale. - Per sapere - premesso che:
la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti alternative, autorizzati, nella maggior parte dei casi, con provvedimenti di competenza regionale, ha aperto comunque nel Paese una profonda riflessione sul rapporto che tali impianti hanno con il territorio e con il paesaggio nonché con riguardo agli effetti che tali impianti hanno sul turismo, in aree nelle quali l'industria turistica costituisce se non la più importante, una delle più importanti fonti di reddito;

la questione della diffusione sul territorio degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili è stata recentemente affrontata con il decreto 10 settembre 2010 del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dei beni e delle attività culturali, che ha fissato le linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonte rinnovabile;
le regioni hanno 90 giorni per adeguare le proprie normative altrimenti, a decorrere dal 2 gennaio 2011, le disposizioni saranno direttamente applicabili; le linee guida riconoscono un maggior peso delle soprintendenze nel procedimento autorizzatorio, consentono alle regioni di determinare le aree sensibili nelle quali interdire l'installazione di impianti di produzione energetica da fonte rinnovabile ed introducono elementi di mitigazione per l'inserimento degli impianti medesimi nell'ambiente e nel paesaggio; peraltro esse prevedono la possibilità di essere successivamente aggiornate con procedimento analogo a quello che le ha formate;
la stampa ha riportato la notizia della realizzazione, nei pressi di Sciacca, in provincia di Agrigento, di ben tre impianti fotovoltaici con struttura fissa a terra con oltre 25.700 pannelli installati;
si tratta di un significativo investimento sul fotovoltaico di 29 milioni di euro, per una produzione pari a 7 megawatt di energia;
le opere insistono su un territorio ad alta vocazione turistica e di pregio sotto il profilo paesaggistico e, in questo caso, l'installazione di un così grande numero di pannelli solari avrà senza dubbio un impatto assai significativo sul territorio;
sarebbe opportuno che in tutte le regioni si valorizzi adeguatamente il dettagliato contenuto delle linee guida favorendo l'applicazione dei citati principi anche in quei casi nei quali la domanda preceda l'approvazione delle linee guida regionali, e ciò al fine di considerare con la dovuta attenzione tutti i valori costituzionali in gioco -:
quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere in merito all'applicazione delle linee guida nazionali in modo da evitare che zone del territorio nazionale note per la bellezza dei paesaggi, e perciò anche di interesse turistico, possano essere compromesse.
(4-10653)

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Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta in commissione Fadda e altri n. 5-03563, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 ottobre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Siragusa.

L'interrogazione a risposta scritta Angela Napoli n. 4-09699, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Angela Napoli n. 4-09731, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta orale Angela Napoli n. 3-01351, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Angela Napoli n. 4-09832, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o dicembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta scritta Angela Napoli n. 4-09836, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o dicembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carlucci.

L'interrogazione a risposta in Commissione Ghizzoni e altri n. 5-04107, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 gennaio 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rossa.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
interrogazione a risposta orale Anna Teresa Formisano n. 3-01215 del 14 settembre 2010 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10635;
interrogazione a risposta scritta Vaccaro n. 4-09080 del 19 ottobre 2010 in interrogazione a risposta orale n. 3-01426;
interrogazione a risposta scritta Vaccaro n. 4-10154 del 22 dicembre 2010 in interrogazione a risposta orale n. 3-01427.

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ERRATA CORRIGE

Interrogazione a risposta in Commissione Zazzera n. 5-04118 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 425 del 27 gennaio 2011. Alla pagina 19062, seconda colonna, alla riga prima deve leggersi: «il 23 novembre 2010 il signor Totta ha» e non «il 2 novembre 2010 il signor Totta ha», come stampato.