Allegato B
Seduta n. 405 del 1/12/2010

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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:

AGOSTINI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'amministrazione provinciale di Ascoli Piceno (ente promotore) ha promosso l'istituzione dell'area marina protetta nello specchio di mare antistante il territorio ricompreso nella provincia di Ascoli Piceno e Fermo;
in detto specchio di mare l'attività di pesca è molto sostenuta, in particolare quella della piccola pesca e delle vongole (molluschi bivalvi). Infatti dal 1997 opera un consorzio denominato Co.Vo.Pi. (consorzio vongolai piceni), che ricomprende tutte le vongolare del compartimento;
attualmente per la sola pesca delle vongole operano all'interno del compartimento interessato dall'area marina protetta 55 imbarcazioni e una recente sentenza del tribunale amministrativo regionale delle Marche ha riammesso ulteriori 25 imbarcazioni precedentemente spostate nel compartimento di Ancona;
tale attività di pesca attualmente dà occupazione tra attività diretta e indiretta a circa 200 persone;
le imprese in questione operano ai minimi di redditività e una eventuale riduzione delle aree di pesca, a parità di imprese operanti, comporterebbe un insostenibile aumento dello sforzo di pesca sulle superfici residue, con imprevedibili conseguenze sulle specie presenti;
non ci sono al momento concrete possibilità di riconversione di queste attività;
inoltre, a fronte di detti condizionamenti e sacrifici, il progetto dell'area protetta non ha mai saputo concretamente individuare specifici vantaggi, tanto che numerosi comuni costieri che inizialmente avevano dato la loro adesione, sono usciti dall'accordo di programma. (Porto Sant'Elpidio, Porto San Giorgio, Fermo, Altidona, Massignano, Martinsicuro, Alba Adriatica) -:
a che punto sia l'iter per il riconoscimento dell'area marina protetta del Piceno;
se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda, a seguito della rinuncia di molti comuni, proseguire l'iter per il rilascio dell'autorizzazione per l'istituzione dell'area marina protetta del Piceno;
se i Ministri interrogati intendano aprire un tavolo di confronto con gli operatori economici ed in particolare gli operatori della pesca ed il consorzio Co.Vo.Pi. insieme alle istituzioni locali;
quali e quante risorse siano attualmente destinate all'istituzione dell'area marina protetta del Piceno.
(4-09827)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
secondo notizie di stampa si prospetta una sanatoria a favore dell'Eni,

ossia un possibile protocollo di intesa per la determinazione degli obiettivi di riparazione ai fini della sottoscrizione di atti transattivi in materia di danno ambientale;
l'accordo tra la multinazionale e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; esteso a tutti i centri industriali Eni della penisola, potrebbe permettere alla società di risarcire le comunità colpite dall'incidenza della sua produzione attraverso meccanismi transattivi: un patto preventivo teso ad evitare conseguenze giudiziarie economicamente più dure;
l'8 luglio di due anni fa, il giudice Grillo Dolores del tribunale di Torino depositato le motivazioni di una sentenza tendenzialmente destabilizzante per le sorti della società: una decisione che condanna «Syndial spa-Attività Diversificate», soggetto controllato dalla multinazionale, ad un risarcimento di quasi due miliardi di euro. Secondo il magistrato torinese, infatti, i responsabili dello stabilimento di Pieve Vergente, piccolo centro della provincia di Verbano-Cusio-Ossola, non avrebbero adottato le necessarie precauzioni per evitare sversamenti di ddt tra le acque del lago Maggiore. Un risarcimento da due miliardi di euro, nonostante l'appello già proposto dai legali dell'azienda, potrebbe veramente nuocere ai conti del gruppo. Pertanto, l'obiettivo del protocollo d'intesa sarebbe quello di evitare una seconda Pieve Vergente: niente aule di tribunale ma solo una trattativa privata in sede ministeriale;
l'opzione del protocollo trae origine dalla legge n. 13 del 2009 che a sua volta ha quale base di partenza il decreto-legge n. 208 del 2008, recante «Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente»: questa la denominazione del decreto-legge che dovrebbe consentire ad Eni e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di stipulare un protocollo, già intensamente contestato;
l'articolo 5 del decreto-legge specifica tutte le principali conseguenze legate alla conclusione dell'accordo transattivo. «La stipula del contratto di transazione, non novativo, conforme allo schema autorizzato ai sensi del comma 4 - si legge nel testo - comporta abbandono del contenzioso pendente e preclude ogni ulteriore azione per rimborso degli oneri di bonifica e di ripristino ed ogni ulteriore azione risarcitoria per il danno ambientale, ai sensi dell'articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, o della Parte VI del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nonché per le altre eventuali pretese risarcitone azionabili dallo Stato e da enti pubblici territoriali, per i fatti oggetto della transazione. Sono fatti salvi gli accordi transattivi già stipulati alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché gli accordi transattivi attuativi di accordi di programma già conclusi a tale data»;
si tratta di un muro che, ovviamente, non sbarrerà la strada solo alle pretese dello Stato, per il tramite del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ma, ancora, agli stessi enti locali che ospitano i siti industriali. Le prime reazioni, assai circostanziate, sono giunte da Gela attraverso le parole dei rappresentanti del movimento «lo Amo Gela» che hanno parlato di un'intesa che «lascia solo le briciole a Gela»;
secondo quanto riporta Terra del 30 novembre 2010, il sindaco di Crotone Peppino Vallone contesta la ventilata sanatoria a favore dell'Eni che potrebbe mettere in pericolo la bonifica dell'ex sito industriale di Crotone. Se tale patto venisse confermato, il sindaco Vallone vorrebbe coinvolgere in clamorose forme di protesta anche Gela e Mantova; il fisico nucleare Erasmo Venosi quantifica il problema: in Italia i siti potenzialmente contaminati sono 12 mila, mentre sono cinquanta i siti di interesse nazionale con elevata pericolosità. Di questi 36 sono aree industriali, otto sono discariche e sei hanno un inquinamento d'amianto. Sono oltre 300 i comuni coinvolti per un totale di arca 7 milioni di persone;

Crotone rientra nei siti coinvolti dal protocollo d'intesa firmato tra grandi gruppi industriali e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Alla città calabrese, al suo entroterra e alla «drammatica situazione dell'inquinamento ambientale in cui versano i Comuni di Crotone, di Cassano allo Ionio e di Cerchiara di Calabria», la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha dedicato una serie di trasferte. Le indagini svolte dalla Commissione d'inchiesta - mediante l'audizione dei rappresentanti delle istituzioni, l'acquisizione di una notevole mole di documenti e il sopralluogo eseguito - hanno consentito di mettere in luce una situazione di assoluta drammaticità ambientale, con rischi seri e concreti per la salute dei cittadini in tutte le aree del crotonese che, nel corso degli anni hanno visto, e tuttora vedono, non solo la presenza di enormi discariche non protette di prodotti altamente nocivi per l'ambiente, costituiti dalla «ferrite di zinco» e dal derivato «scoria cubilot», ma anche il loro uso indiscriminato in numerosi edifici, anche pubblici;
nel corso dell'audizione del 10 marzo 2010, Raffaele Mazzetta, capo della procura di Crotone, ha ricordato come a Crotone sia stata significativa per decenni la presenza di due grossissimi stabilimenti: quello della «ex Pertusola Sud», sotto il controllo del gruppo Enichem, e quello della «ex Montedison» (comprensivo delle due aree industriali, denominate «ex Fosfotec» ed «ex Agricoltura»), che produceva fertilizzanti, fosforo, fosforite e altri prodotti chimici e che, dapprima, faceva capo alla Montecatini e, infine dopo varie vicissitudini societarie, era passato anch'esso sotto il controllo del gruppo Enichem;
ad oggi la proprietà di entrambi gli stabilimenti industriali fa capo alla Syndial spa, società del gruppo Enichem. I due stabilimenti, confinanti tra loro, sono in stato di totale abbandono ed occupano un'area prospiciente il litorale ionico per una lunghezza di circa due chilometri. Ognuno di essi aveva una propria «discarica a mare», compresa tra l'area di rispettiva pertinenza e il litorale marino. Tanto che, secondo quanto dichiarato dal procuratore Mazzetta, l'ammontare delle scorie nocive è pari a 450 mila tonnellate ammassate nel piazzale antistante lo stabilimento «ex Pertusola Sud» e nella pertinente «Discarica a mare». Secondo quanto riferito da Teresa Oranges, direttrice provinciale di Crotone dell'Arpacal, lungo tutta la costa crotonese, vi è una discarica «che praticamente comincia dove inizia la Pertusola e finisce dove sbocca l'Esaro», dove sono state «abbancate» le scorie, senza alcuna misura di salvaguardia e «come sottofondo non è stato fatto nulla, perché all'epoca non esisteva la normativa». Inoltre, una parte delle stesse scorie tossiche è stata portata fuori dall'area dello stabilimento industriale e della discarica a mare ed è stata utilizzata in diversi siti, ubicati nella stessa città di Crotone, anche da imprese appaltatrici di lavori pubblici, che le avevano acquistate «a costo zero» e per di più «con una piccola quota di contribuzione per la lavorazione e il trasporto», offerta dalla stessa Pertusola, come ha riferito Mazzetta nella sua audizione del 10 marzo 2010. I risultati scientifici dei carotaggi disposti dalla procura di Crotone sulle scorie dell'ex Pertusola, usate per costruire scuole e strade, hanno accertato la presenza di arsenico, nichel e zinco superiori alla media, considerate sostanze nocive se respirate e a contatto con le persone;
all'interrogazione n. 4-04339 presentata il 28 settembre 2009, nella quale già si evidenziavano le criticità segnalate (oltre ai rischi di patologie provocati dallo smaltimento di sostanze tossiche a Crotone e provenienti dallo stabilimento Pertusola) e si richiedevano informazioni riguardo alle soluzioni per il monitoraggio delle condizioni ambientali e sanitarie e se fosse intenzione del Ministro dell'Ambiente riclassificare la sostanza «cubilot» tra i

rifiuti pericolosi, non è ancora pervenuta risposta -:
se sia vero quanto emerso riguardo ad una eventuale sanatoria a favore dell'Eni, che porterebbe alla mancata bonifica di aree altamente contaminate e dannose per la salute pubblica e l'ambiente, aree come quella di Crotone di cui in premessa.
(4-09839)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta il Sole 24 ore Nord Ovest del 3 novembre 2010, la Gronda autostradale di Genova, considerata unitamente al terzo valico ferroviario - tra le grandi opere liguri maggiormente strategiche, avanza lenta. Mentre in superficie è saldo il presidio degli oppositori, sotto traccia proseguono i negoziati per definire le compensazioni e le ricollocazioni per i cittadini e le imprese che dovranno spostarsi;
i comitati «No Gronda» da oltre due mesi hanno bloccato l'operatività di una trivella che, transitata abusivamente in terreni privati, avrebbe dovuto effettuare sondaggi sulla collina di Murta, il «paese delle zucche», frazione situata in Valpolcevera, presso Genova Bolzaneto. È cento metri sotto, in galleria, che passerà la nuova bretella destinata a decongestionare, raddoppiandolo «fuori sede», il trafficatissimo tratto della A10 fra il casello di Genova Ovest e Voltri, che scorre fra le case. Il nuovo tronco di 26 chilometri (il tratto attuale è lungo circa 13 chilometri, in gran parte in tunnel, alleggerirà il coacervo di autostrade (A10, A26, A7, A12) che qui si incrociano, liberando l'attuale tragitto, che rimarrebbe perlopiù a servizio della città. Quello di Murta è uno degli 88 sopralluoghi e carotaggi in programma, di cui circa 70 eseguiti o faticosamente in corso, da parte di ditte appaltatrici diverse. I tecnici della società Autostrade per l'Italia (Aspi) raccolgono dati propedeutici: «Stiamo predisponendo il progetto definitivo e lo studio di impatto ambientale, che saranno pronti a inizio 2011» (si mette in evidenza tuttavia che, nel corso di un incontro ufficiale avvenuto il 23 novembre tra rappresentanti dei comitati «No Gronda» e l'ingegner Burlando, governatore della regione Liguria, gli uffici tecnici della regione hanno confermato di non avere ancora ricevuto nemmeno il progetto preliminare e che lo stesso governatore ad oggi non ha ancora apposto la sua firma sul protocollo d'intesa);
la stima dei costi è ferma a 3,1 miliardi di euro ma va aggiornata alla luce dell'esito dei sondaggi. La Gronda - per cui l'opzione zero (la non realizzazione del progetto) non esiste - e questa è la principale critica degli oppositori - rientra nella «legge obiettivo», e, anche se ad oggi sono disponibili soltanto 1,8 miliardi di euro per simili opere vale il meccanismo dell'autofinanziamento tramite pedaggiamento della rete;
l'amministrazione comunale genovese guidata da Marta Vincenzi prosegue nel suo test di democrazia partecipata. Sulla gronda era stata, infatti, avviata una sorta di débat public «alla francese», un percorso coordinato da una commissione che, fra il 1o febbraio e il 30 aprile 2009, aveva gestito il brain storming su cinque possibili itinerari (ciascuno dei quali avente un costo preventivato variabile dai quattro ai sei miliardi), con una moltitudine d'incontri con i vari soggetti coinvolti, a partire da abitanti e progettisti. La scelta finale consiste in un sesto tracciato, ovvero la «soluzione 2 ottimizzata», (collocabile tra le più costose) ed è quella per cui adesso sono in corso i rilievi ed i carotaggi. Pertanto, per tentare di ripristinare rapporti più costruttivi, il comune di Genova ha promosso l'iniziativa di istituire un osservatorio nel quale saranno coinvolti dieci rappresentanti dei cittadini, oltre ai dieci nominati dalle istituzioni. Tuttavia, i comitati antigronda non concordano con l'iniziativa e pertanto hanno pubblicamente dichiarato che non parteciperanno alla consultazione per l'elezione dei dieci

«cittadini». I residenti, in modo particolare, non sono disposti a subire un'ulteriore pesantissima servitù che verrebbe a rendere definitivamente invivibile le zone di Voltri e della Valpolcevera (circa 100.000 abitanti);
nel frattempo, procedono i negoziati fra l'Anas-Aspi, che realizzerà l'opera, ed i singoli proprietari delle aree e degli immobili che dovranno essere abbattuti per far passare la bretella. Si tratta di 102 appartamenti, di cui 79 occupati, e circa 40 imprese, senza contare la necessità di allontanare il cosiddetto «campo nomadi» di Bolzaneto, abitato attualmente da oltre 200 sinti di nazionalità italiana, in molti casi radicati sul territorio da oltre due decenni. Inoltre, si deve tenere anche in considerazione che un grande viadotto a sei corsie dovrebbe sovrapassare a non più di dieci metri di altezza il tetto del nuovo grande mercato ortofrutticolo genovese inaugurato nel 2009. Tutto qui si gioca al tavolo istituzionale del Pris, la legge regionale ligure (n. 39 del 2007) sui programmi regionali d'intervento strategico: per fluidificare le grandi opere, lo strumento ha introdotto un bonus di 40 mila euro (con la rivalutazione, saliti oggi a 42.750 euro), per ogni nucleo residente in unità destinate alla demolizione, sia esso proprietario o inquilino (non vale per le case inoccupate e forse per le roulotte dei sinti). L'indennità, a carico del soggetto realizzatore, si aggiunge alla somma della cessione a valore di mercato, fissato ad inizio 2008 (perché nel frattempo, a seguito della ventilata costruzione della Gronda i valori immobiliari di molte abitazioni di Bolzaneto sono letteralmente crollati). Il residente può cercarsi da solo un'altra casa, oppure affidarsi alla mano pubblica (allora intascando solo 10 mila euro), per una soluzione guidata;
secondo alcune testimonianze, i cittadini della Val Polcevera sono preoccupati soprattutto per la prevedibile apertura contemporanea di otto grandi cantieri, per la realizzazione del terzo valico e della Gronda di Ponente, che stravolgeranno per oltre dieci anni la vita della vallata con conseguente inquinamento da traffico pesante (sia emissioni gassose sia polveri) e da rumori, nonché inquinamento derivante dal trasporto dei materiali di scavo (oltre venti milioni di metri cubi) e viabilità in perenne stato di caos;
oltre a ciò, il nuovo tracciato autostradale sarà ulteriormente devastante sia per l'ambiente che per la salute dei cittadini: infatti nelle colline tra Voltri e Bolzaneto vi è una altissima percentuale di rocce amiantifere. Vi è, inoltre, come dichiarato recentemente dal Consiglio nazionale dei geologi, il grosso rischio dell'instabilità delle colline della Valpolcevera interessate dal nuovo tracciato autostradale, e punti di appoggio di un viadotto della lunghezza di circa 900 metri così progettato per sovra passare il torrente Polcevera e il nuovo mercato ortofrutticolo di Genova;
tra l'altro, il comune di Genova ha fatto collocare, successivamente alla conclusione del dibattito pubblico, dei cartelli monitori dove si evidenziano le frane in atto, presso le colline di Murta, Bolzaneto e Geminiano -:
se i Ministri interrogati siano informati dei fatti di cui in premessa;
se sia vero quanto riportato in premessa relativamente alla possibilità di una sovrapposizione temporale dei citati otto grandi cantieri nel fondovalle della Valpolcevera previsti per la realizzazione delle opere già progettate (terzo valico ferroviario) o in corso di progettazione (Gronda di ponente);
quale posizione i Ministri interrogati intendano assumere in relazione al progetto, considerati il devastante impatto ambientale e le conseguenze per la salute e la vivibilità dei residenti.
(4-09840)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:

una nube tossica, causata da un incidente il 29 novembre 2010 nella zona industriale di Mantova, ha portato, in un primo momento, ad uno stato di allarme: secondo quanto riferiva l'azienda regionale emergenza e urgenza (Areu), si era parlato di una decina di persone intossicate. Secondo i vigili del fuoco, intervenuti sul posto con due squadre, sono invece soltanto due le persone che sono ricorse alle cure mediche;
l'incidente, avvenuto verso le 15, ha interessato un impianto della les (Italiana Energia & Servizi), società petrolifera integrata che opera nel mercato dell'energia e dei servizi energetici. Gli operai della Belleli Energy, che si trova ad una cinquantina di metri dall'azienda chimica, hanno avvertito nausea e vomito;
fonti interne alla Belleli raccontano così l'accaduto: «Mentre eravamo al lavoro all'improvviso abbiamo sentito una forte puzza e siamo scappati da tutte le parti. Anche portando la mano alla bocca non riuscivamo a respirare. Abbiamo seguito le procedure di legge previste in caso di evacuazione e ci siamo rifugiati nel punto di raccolta. Ma anche lì la puzza era insopportabile e qualcuno ha accusato mal di testa e nausea». Al momento, al lavoro erano in 250. «Immediatamente abbiamo chiamato le autorità preposte e sono arrivate forze dell'ordine e ambulanze». «La nube», prosegue la testimonianza, «proveniva dalla vicina raffineria les: pare che si sia rotto un coperchio di un serbatoio a causa di un'infiltrazione d'acqua»;
i tecnici dell'Arpa hanno accertato che non vi sono stati altri problemi e hanno dichiarato chiusa l'emergenza, sebbene dall'Asl locale facciano sapere che «occorrerebbe verificare la presenza di idrogeno solforato, una sostanza che spesso si libera in caso di reazioni chimiche di questo tipo e che è molto pericolosa: impedisce la respirazione cellulare»;
secondo i vigili del fuoco di Mantova, i cui esperti del nucleo nucleare biologico chimico radiologico (Nbcr) stanno conducendo tutti gli accertamenti del caso ed eseguendo le analisi dell'aria, si è trattato di un'intossicazione da anidride solforosa: non ci sarebbero stati né un'esplosione né un incendio;
lo stabilimento les, nel corso della sua storia, è stato segnato da incidenti (quali, ad esempio, un incendio e un black out elettrico), «sintomo di un'inadeguatezza della struttura generale della raffineria, dove però continuano a potenziare gli impianti», denunciano dall'Asl. Raggiunto al telefono, l'assessore comunale ai lavori pubblici Giampaolo Benedini conferma: «In un serbatoio di bitume al 70 gradi è entrata dell'acqua e si è verificata una fuga di gas di zolfo. C'è stata, quindi, una reazione chimica che ha causato alcuni intossicati»;
la vicenda dei rischi ambientali legata alla presenza del grande petrolchimico, posto in linea d'aria a poche centinaia di metri dalla città, fu denunciata dalle colonne di Terra il 12 ottobre 2010. In quell'occasione venne raccolta la denuda di Gaspare Gasparini, uno degli animatori dell'Associazione uniti per l'ambiente e sviluppo, che denunciò i pericoli di uno dei petrolchimici più grandi d'Italia, nel cui sottosuolo, peraltro, continua a «muoversi» un enorme e venefico lago di surnatante, un composto di oli, benzine, petrolio. Benedini, sollecitato da Terra, ha definito lo stabilimento les «obsoleto». La società «è stata multata perché non ha adempiuto ad alcune prescrizioni» -:
se i Ministri interrogati siano al corrente della vicenda e se, e con quali mezzi, intendano intervenire per garantire la salute pubblica e la tutela dell'ambiente.
(4-09841)