Allegato B
Seduta n. 398 del 19/11/2010

TESTO AGGIORNATO AL 27 GENNAIO 2011

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE e CARLUCCI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
le cure per un malato di Alzheimer costano alla famiglia circa 40-50 mila euro l'anno. Durante la XVII giornata dedicata a questa malattia, l'associazione Alzheimer's Disease International (Adi) e le sue Federazioni lamentano la mancanza di fatti concreti. «La diagnosi di demenza è l'entrata in un tunnel drammatico - spiega Marco Trabucchi, presidente dell'Associazione italiana di psicogeriatria - scarsi sono i luoghi di counselling, pochi i letti nei Ventri residenziali, infinite le barriere tra medici di base, specialisti e famiglia». Poche settimane fa la Federazione Alzheimer Italia ha richiesto di costruire una rete dedicata alle cure e all'assistenza. «Le demenze continuano ad essere sottovalutate - sottolinea Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione - si deve avviare un censimento dei servizi sul territorio nazionale». Oggi, infatti, è sulla famiglia che ricade per intero la presa in carico del malato. Delle volte, neanche l'indennità di accompagnamento è assicurata al paziente con demenza che però «cammina» ancora. «Con il tempo il paziente peggiora, subentrano complicanze, emergenze, c'è bisogno di accudirlo 24 ore su 24 - aggiunge Trabucchi - e in questo inferno la famiglia è sempre più sola». Osserva Amalia Bruni, direttore del Centro regionale di neurogenetica di Lamezia Terme (Catanzaro): «La stessa prevenzione potrebbe giocare un ruolo importante: la malattia inizia 20-30 anni prima rispetto alla comparsa dei sintomi»;
oggi la diagnosi della malattia di Alzheimer può essere effettuata molto precocemente. A breve, una nuova sostanza, un radio tracciante, permetterà una visione ancora più precisa dei primi stadi. Gli studi più avanzati hanno infatti scoperto che l'Alzheimer è causato dall'accumulo nel cervello di una proteina neurotossica, detta beta amiloide. Questo fenomeno avviene decine di anni prima dei tipici disturbi della memoria. Spiega Giovanni Frisoni, neurologo vice direttore scientifico del Centro nazionale Alzheimer presso l'irccs Fatebenefratelli di Brescia: «Attualmente si possono già eseguire esami sofisticati che individuano l'accumularsi della proteina beta amiloide. Si tratta della risonanza magnetica ad alta definizione, delle Pet (tomografia a emissione di positroni) con fiuorodesossiglucosio e della rachicentesi (puntura lombare). Con la risonanza magnetica si confronta anche il volume dell'ippocampo, una piccola struttura che, nel cervello, ha un ruolo molto importante nel consolidamento dei ricordi. Con l'Alzheimer esso perde cellule nervose e diminuisce sensibilmente di volume fin dai primi stadi della malattia»;
la Pet individua cambiamenti patologici a livello molecolare e li rende visibili. L'accumulo di proteina beta amiloide, tipica dell'Alzheimer, fa sì che i neuroni abbiano difficoltà a utilizzare la benzina necessaria al loro funzionamento, ossia il glucosio. Con la Pet, glucosio debolmente radioattivo (il fiuorodesossiglucosio) viene iniettato endovena e una serie di rilevatori di radioattività permettono di seguire come il glucosio viene utilizzato dal cervello. Prosegue Frisoni: «Ancora: per rilevare le anomalie biochimiche nel cervello è necessario prelevare il liquido cefalorachidiano con una puntura lombare detta anche rachicentesi. È così possibile rilevare la concentrazione di beta amiloide e di un'altra proteina molto utile a rilevare i danni, la proteina tau. Nelle fasi anche iniziali della malattia si registrano bassi livelli di Abeta42 e altri di tau, contrariamente a quello che avviene nelle persone sane»;
è infine in avanzata fase di sperimentazione (Fase III) un nuovo radio tracciante, detto fiorbetaben, presentato all'università di Lipsia, in Germania. Questa sostanza si lega alle placche di beta amiloide nel cervello, riuscendo in tal modo a individuarne la formazione fin dai

primissimi stadi. Tali cambiamenti a livello molecolare, individuati dal fiorbetaben, vengono rilevati tramite una Pet. Accanto alla continua evoluzione delle tecniche di diagnostica precoce, occorre porre un accento di rilievo anche sulla funzionalità delle strutture addette a recepire malati di questo tipo; ad esempio, al Centro Alzheimer dell'Istituto Golgi di Abbiategrasso, Milano, reparto lungodegenti, un punto di eccellenza nazionale per questa patologia, si fa un lavoro che sembra il contrario del normale lavoro ospedaliero. In un ospedale, di solito, la macchina della cura è più importante del paziente. Si affrontano casi clinici, nel modo più efficiente possibile. La vita che sta fuori non ha alcun peso. Qui si fa l'opposto. Si prova a far star bene il paziente, a far recuperare un po' di serenità, si coinvolgono i familiari, si adattano i ritmi del reparto a quelle delle persone che vi vivono, si cercano ostinatamente agganci con la vita di fuori, con i ricordi, con la memoria. Antonio Guaita, che è stato il fondatore di questo centro e ora dirige la ricerca della Fondazione Golgi Cenci, spiega: «Nei primi anni Novanta cominciava ad essere numericamente rilevante la demenza da Alzheimer. Ci rendevamo conto che nelle fasi medioavanzate, per evitare di essere un semplice contenitore di malattia, la riabilitazione tradizionale non bastava. Obiettivo della riabilitazione è il recupero. Per noi è il benessere della persona. Da recuperare c'è la serenità, non sentirsi persone sbagliate non essere sgridati, venire liberati dall'angoscia»;
tutto questo proviene dalla consapevolezza che l'Alzheimer è una malattia degenerativa, e finora non si è trovata una cura per ostacolarla o bloccarla definitivamente. È una malattia trascurata dalle burocrazie pubbliche, che classificano i reparti ad essa dedicati nella generica casella della geriatria. Guaita e i suoi collaboratori sono dei pionieri; in quegli anni Novanta si sono dovuti cercare da soli dei modelli e inventare un metodo. Li hanno trovati nella metodologia Gentle Care messa a punto dalla canadese Moyra Jones, che aveva cominciato studiando il caso del suo stesso padre, ed è infine stata colpita dallo stesso morbo. Ad Abbiategrasso operano sull'Alzheimer un reparto da 20 letti per degenze brevi, due da 20 letti ciascuno per lungodegenti, degli ambulatori e una rete di assistenza collegata al territorio. Guaita lavora a uno studio su tutta la popolazione nata fra il 1935 e il 1939, quasi 1800 persone. «Qui al reparto degenze brevi - spiega Silvia Vitali, aiuto direttore medico - arrivano per lo più pazienti con disturbi comportamentali, che i familiari non riescono più a gestire»;
dietro questa definizione ci sono un'infinità di casi e di storie: persone con deliri o allucinazioni, che escono di casa e si perdono, che urlano la notte, che si barricano in casa, e così via, «Noi non tentiamo subito di eliminare i disturbi, ma cerchiamo di capire che bisogno nascondono: per noi sono una sorta di linguaggio, e prima di tutto bisogna capire. E solo questo permette di limitare la contenzione fisica o farmacologia», come afferma lo stesso Guaita. «Buona parte del lavoro è fatto sui familiari. Ci sono disturbi che sono per loro difficili da affrontare, ma che noi non consideriamo un problema. Per esempio il wandering, e cioè l'affaccendarsi senza senso, o i disturbi del sonno». Ai familiari si insegna come comportarsi, come interpretare, come non spaventarsi. Possono entrare nel reparto liberamente, e restarci fino alle 22. Le stanze, a uno o due letti, sono piuttosto spoglie. Nel reparto lungodegenti, invece, tutto è studiato per contrastare uno dei più grossi problemi dei malati di Alzheimer, l'orientamento nello spazio, il riconoscimento degli ambienti e degli oggetti che vi si trovano. Le stanze, a differenza dei locali di servizio, hanno porte rosse. Nei corridoi sono appesi e dislocati oggetti che richiamano le vite vissute fuori. Ogni porta ha un cartellino dove il paziente è «il signor» o «la signora». Il personale, ogni mattina, chiede permesso, prima di entrare. Qui ogni parola, ogni foto sul

muro, ogni etichetta, ogni ricordo è un appiglio per non perdersi nella dimenticanza -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di promuovere la diffusione in Italia di centri di degenza per malati di Alzheimer, sul modello di quanto realizzato ad Abbiategrasso;
quali iniziative il Ministro intenda attuare al fine di sensibilizzare la popolazione nei confronti della diagnostica precoce, fase cruciale per combattere l'Alzheimer.
(4-09584)

JANNONE e CARLUCCI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il «medico di campagna», o anche detto «medico di famiglia», è una figura che svolge un ruolo molto importante all'interno della medicina moderna; se il suo lavoro funziona, si evita lo spreco di ricoveri ed esami inutili, inutili complicazioni di malattie prevedibili, l'inutile accumulo di medicinali scaduti. Ma le facoltà di medicina, purtroppo, in Italia non insegnano ai giovani studenti cosa significhi curare effettivamente le persone, soprattutto le energie più vitali per il nostro futuro. Il medico condotto è scomparso, almeno sulla carta, nei primi mesi del 1980, con la realizzazione del Sistema sanitario nazionale deciso nel 1978. «Ma i medici di campagna e delle zone emarginate della montagna - afferma Salvio Sigismondi, presidente dell'Ordine dei medici di Cuneo - somigliano molto a quelli che avevano la condotta. E continuano a lavorare in condizioni pesantissime. Orari che non finiscono mai, spese continue. Senza di loro una fetta d'Italia sarebbe abbandonata». In qualsiasi zona di Italia si lavori, lo «stipendio» è uguale per tutti: 38,62 euro all'anno per ogni assistito, che presto diventeranno 40,05. Ma per avere 850 pazienti in montagna occorre occupare un'area di territorio molto vasta. La Federazione nazionale ordine medici chirurghi e odontoiatri ha studiato la curva anagrafica dei medici di medicina generale, scoprendo che fra il 2015 e il 2025 circa 25 medici di medicina legali in pensione e non saranno rimpiazzati perché mancheranno i laureati. Circa 11 milioni di italiani resteranno quindi senza medico di base, e saranno quelli che abitano in campagna o in montagna, dove già i servizi sono al minimo;
alcune testimonianze sono esemplari: fino al 2006 il dottor Carlo Ponte aveva otto ambulatori. Ora ne ha tre, ad Acceglio, Prazzo e Stroppo. «Non ce la facevo più a essere presente ovunque. Anche perché il lavoro è cambiato con l'informatizzazione. Mi spiego. Già prima, negli otto ambulatori, tenevo le cartelle cliniche di tutti i pazienti, con tutti i referti, gli esami, le diagnosi.... Migliaia e migliaia di pezzi di carta che, con la nuova normativa, io devo inserire al computer per conoscere il passato di ogni paziente. Ma questo porta via un sacco di tempo e ho dovuto chiudere i cinque ambulatori, anche per non dover comprare, oltre al pc, anche otto stampanti. Computer e stampanti, con il gelo a meno 15, si bloccano e tanti nostri ambulatori vengono riscaldati solo quando sono aperti»;
«Lo stipendio annuo di un medico agli inizi del '900 - ha scritto Maurizio Benato, vice presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici - che esercita in una condotta per soli poveri è di lire 1.719, mentre il sanitario che esercita in una condotta piena percepisce lire 2.337. Il paragone con altre professioni è impietoso: un pretore guadagna 8.000 lire, un maresciallo dei carabinieri 4.500 con in più l'alloggio». Molte famiglie, magari anche numerose, hanno deciso di rimanere nei piccoli paesi in cui sono nate e cresciute, sia per le condizioni economiche favorevoli, sia per un migliore tenore di vita. In queste piccole realtà provinciali, spesso il medico di condotta non arriva a 400 assistiti, soglia minima per un salario che sia rispondente alla quantità e qualità del lavoro svolto. Per raggiungere un numero che permetta un salario adeguato, bisognerebbe allargare l'area di intervento, affittare altri ambulatori da colleghi disponibili

in comuni limitrofi, attendere anni prima che la gente si fidi del nuovo medico e che qualche collega più anziano vada in pensione -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di migliorare le condizioni di lavoro dei cosiddetti «medici condotti» o «medici di campagna», grazie anche ad un riordino strutturale e contrattuale della categoria.
(4-09588)