XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di giovedì 11 novembre 2010

TESTO AGGIORNATO AL 20 GENNAIO 2011

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione (ex articolo 115, comma 3, del regolamento):

La Camera,
premesso che:
il crollo della Schola Armaturarum di Pompei rappresenta, anche dal punto di vista simbolico, il fallimento della politica in materia di tutela dei beni e delle attività culturali, e più in generale del valore dei saperi, portata avanti dal Governo in carica sin dai suoi primi provvedimenti;
la cultura è stata considerata, nei fatti e con dichiarazioni esplicite, non come un fattore di crescita civile ed economica, ma come un costo per la collettività, da ridimensionare con progressivi tagli degli stanziamenti del bilancio statale e con iniziative volte a snaturare il valore e la finalità del nostro patrimonio culturale;
il crollo dell'Armeria dei Gladiatori rappresenta uno dei più gravi danni al nostro patrimonio artistico degli ultimi decenni e, giustamente, è stato definito dal Presidente della Repubblica come una vergogna nazionale. Un episodio che, ripreso e divulgato dalle principali agenzie d'informazione e dai quotidiani internazionali, ha arrecato un irreparabile pregiudizio per l'immagine dell'Italia nel mondo;
il Ministro per i beni e le attività culturali non è stato in grado di andare al di là di atti puramente simbolici e ininfluenti, quali la mancata partecipazione alle riunioni del Consiglio dei Ministri in cui venivano adottate le misure di taglio alle risorse del Ministero, né di promuovere alcuna seria iniziativa per la tutela del nostro patrimonio artistico e culturale italiano, come dimostra il crollo di Pompei, peraltro preceduto da quelle delle arcate di Traiano alla Domus Aurea e da quelle di elementi del Colosseo;
peraltro, la scelta di procedere nel luglio 2008, con l'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3692, al commissariamento della gestione del sito archeologico «per la realizzazione di interventi urgenti di protezione civile diretti a fronteggiare la grave situazione di pericolo in atto nell'area archeologica di Pompei» così come la decisione di dichiarare conclusa la fase emergenziale nel giugno dell'anno in corso, con l'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3884 ha visto il pieno coinvolgimento del Ministero per i beni e le attività culturali sia per quanto attiene alle procedure adottate, che per quanto concerne la supervisione e la valutazione delle iniziative e dei relativi risultati;
ne discende che appare del tutto priva di fondamento giuridico e fattuale la dichiarazione del Ministro volta ad asserire la sua totale estraneità nella responsabilità di quanto accaduto a Pompei;
del resto, anche sulla gestione commissariale non sono mancate le riserve e le critiche di quanti hanno a cuore la tutela del principale sito archeologico del mondo, circa l'applicazione del modello «Protezione civile», basato su deroghe e gestioni fuori controllo, opere faraoniche e grossolane iniziative di marketing, affidamenti senza evidenza pubblica e mortificazione delle competenze del mondo scientifico che da anni studia e vigila sul delicato equilibrio di un sito unico al mondo;
il nostro sistema dei beni e delle attività culturali risulta penalizzato nel suo complesso dall'azione del Governo e dalla visione che ha imposto il Ministro dell'economia e delle finanze, il quale neanche un mese fa dichiarò che «la gente non mangia cultura» e che, pertanto, alla luce di questa massima, ha proposto con la legge di stabilità e con la legge di bilancio, pesanti tagli di risorse per lo svolgimento delle funzioni del Ministero

per i beni e le attività culturali, in un Paese che ospita un sesto delle risorse artistiche e archeologiche di tutto il mondo e che ricava una parte significativa del suo prodotto interno lordo dal turismo domestico ed estero;
il Ministro ha privilegiato la sua attività di coordinatore nazionale del Partito del Popolo delle Libertà, piuttosto che i difficili compiti di direzione strategica e amministrativa del patrimonio artistico nazionale;
egli si è quindi dimostrato inadeguato al ruolo conferitogli;

per tali motivi:

visto l'articolo 94 della Costituzione;
visto l'articolo 115 del regolamento della Camera dei deputati;
esprime la propria sfiducia al Ministro per i beni e le attività culturali, senatore Sandro Bondi, e lo impegna a rassegnare le proprie dimissioni.
(1-00491)
«Ghizzoni, Zazzera, De Biasi, Bachelet, Coscia, De Pasquale, De Torre, Levi, Lolli, Mazzarella, Melandri, Nicolais, Pes, Rossa, Antonino Russo, Siragusa, Agostini, Albonetti, Amici, Argentin, Barbato, Baretta, Bellanova, Benamati, Berretta, Bersani, Bindi, Bobba, Bocci, Boccia, Boccuzzi, Boffa, Bonavitacola, Bordo, Borghesi, Bossa, Braga, Brandolini, Bratti, Bressa, Burtone, Calvisi, Cambursano, Capano, Capodicasa, Cardinale, Carella, Marco Carra, Castagnetti, Causi, Cavallaro, Ceccuzzi, Cenni, Cimadoro, Ciriello, Codurelli, Colaninno, Colombo, Concia, Corsini, Cuomo, Cuperlo, D'Alema, D'Antona, D'Antoni, D'Incecco, Dal Moro, Damiano, Grassi, Graziano, Iannuzzi, La Forgia, Laganà Fortugno, Laratta, Lenzi, Letta, Lo Moro, Losacco, Lovelli, Lucà, Lulli, Luongo, Madia, Maran, Marantelli, Marchi, Marchignoli, Marchioni, Margiotta, Mariani, Cesare Marini, Marrocu, Martella, Pierdomenico Martino, Mastromauro, Mattesini, Melis, Giorgio Merlo, Messina, Meta, Migliavacca, Miglioli, De Micheli, Di Giuseppe, Di Pietro, Di Stanislao, Donadi, Esposito, Evangelisti, Fadda, Gianni Farina, Farinone, Fassino, Favia, Ferranti, Ferrari, Fiano, Fiorio, Fluvi, Fogliardi, Fontanelli, Aniello Formisano, Franceschini, Froner, Garavini, Garofani, Gasbarra, Gatti, Genovese, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Ginefra, Ginoble, Giovanelli, Gnecchi, Gozi, Minniti, Miotto, Misiani, Mogherini Rebesani, Monai, Morassut, Mosca, Motta, Mura, Murer, Naccarato, Nannicini, Narducci, Oliverio, Andrea Orlando, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Peluffo, Mario Pepe (PD), Piccolo, Picierno, Piffari, Pistelli, Pizzetti, Pollastrini, Pompili, Porcino, Porta, Portas, Quartiani, Rampi, Realacci, Recchia, Rigoni, Rosato, Rossomando, Rota, Rubinato, Rugghia, Samperi, Sanga, Sani, Santagata, Sarubbi, Sbrollini, Schirru, Sereni, Servodio, Soro, Sposetti, Strizzolo, Tempestini, Tenaglia, Federico Testa, Tidei, Tocci, Touadi, Trappolino, Livia Turco, Vaccaro, Vannucci, Vassallo, Velo, Veltroni, Ventura, Verini, Vico, Villecco Calipari, Viola, Zaccaria, Zampa, Zucchi, Zunino, Scarpetti, Merloni, Fedi, Tullo».

Mozione:

La Camera,
premesso che:
ogni anno la Commissione europea sottopone al Consiglio europeo di primavera una relazione sui progressi compiuti per promuovere la parità di genere negli Stati membri dell'UE nonché le sfide e le priorità per il futuro;
la parità tra donne e uomini è un diritto fondamentale e uno dei principi comuni dell'Unione europea;
la parità di genere non è solo una questione di diversità e di equità sociale, essa costituisce anche uno dei presupposti per il raggiungimento degli obiettivi di crescita sostenibile, di occupazione, di competitività e di coesione sociale;
sulla base di tali presupposti le politiche della parità di genere devono essere considerate pertanto investimenti a lungo termine, non costi a breve termine, la lotta contro le diseguaglianze persistenti tra le donne e gli uomini in tutte le sfere della società rappresenta una sfida a lungo termine in quanto comporta cambiamenti strutturali e comportamentali nonché una ridefinizione dei ruoli delle donne e degli uomini;
le donne sono più esposte al rischio di povertà rispetto agli uomini, in parte perché guadagnano di meno, perché occupano più spesso posti di lavoro meno valorizzati e più precari e assumono compiti di cura delle persone dipendenti senza essere retribuite. La povertà colpisce soprattutto le donne in situazioni di vulnerabilità, come le madri nubili, le donne anziane sole, le donne disabili e le donne immigrate o appartenenti a minoranze etniche;
un buon equilibrio tra vita professionale e vita privata sia per le donne che per gli uomini presuppone un'organizzazione moderna del lavoro, la disponibilità di servizi di assistenza di qualità ad un costo abbordabile e una ripartizione più equa delle responsabilità familiari e domestiche. La possibilità di conciliare lavoro e famiglia ha un impatto diretto sull'occupazione delle donne e sulla loro posizione sul mercato del lavoro, nonché sulla loro retribuzione e indipendenza economica lungo l'intero arco della vita. Una sfida importante consiste nell'attuare politiche e incentivi volti ad incoraggiare e a rendere possibile l'assunzione da parte degli uomini di maggiori responsabilità nell'assistenza alle persone non autosufficienti e a livello familiare. Le politiche devono inoltre tener conto del numero crescente di famiglie monoparentali, costituite nella maggior parte dei casi da un genitore donna;
nonostante l'Unione europea abbia contribuito in maniera rilevante alla promozione della condizione femminile e al miglioramento della vita di donne e uomini elaborando un corpus, normativo sulla parità di trattamento e integrando esplicitamente la dimensione di genere nelle sue politiche e nei suoi strumenti, l'evoluzione positiva verso una società e un mercato del lavoro più egualitari è ancora molto lunga e, l'attuale crisi economica porta a temere che i risultati fino qui ottenuti in fatto di pari opportunità possano essere compromessi;
secondo i dati del Global gender gap report 2010 elaborato dal World economic forum e ripresi poi anche dal quotidiano «Il Sole 24 Ore» del 13 ottobre 2010, l'Italia è ultima in Europa nelle opportunità di lavoro per le donne;
tali dati evidenziano come tra i 114 Paesi in esame, nell'arco degli ultimi cinque anni, l'Italia sia tra quel 14 per cento di Paesi che hanno registrato un peggioramento nelle differenze di genere passando dal sessantasettesimo posto nel 2008 al settantaduesimo nel 2009 all'attuale settantaquattresimo posto;
in particolare, nel nostro Paese, è penalizzato l'accesso e le opportunità delle donne nel mondo del lavoro infatti in quest'ambito l'Italia scende addirittura al novantacinquesimo posto su un panel di

134 Paesi dell'ultimo rapporto. La differenza più rilevante è nella partecipazione alla forza lavoro che vede, le donne impegnate al 52 per cento mentre gli uomini raggiungono il 74 per cento e nella corresponsione dei salari dove le donne mediamente guadagnano il 50 per cento degli uomini;
questa condizione così drammatica della condizione femminile nel mondo del lavoro è tanto più significativa e preoccupante se si raffronta con i dati relativi all'accesso all'istruzione sia essa primaria che secondaria, dove le ragazze superano di gran lunga i ragazzi con il 79 per cento contro il 56 per cento e rappresentano ormai il 60 per cento dei laureati italiani con punteggi che in media sono maggiori di quelli dei ragazzi (106 contro 104) in un arco di tempo di studi inferiore (età media 26,8 anni contro 27,5 anni);
dalle tabelle allegate alla proposta di legge di stabilità per il 2011 emerge che al Ministro per le pari opportunità sono state assegnate risorse solo per 2 milioni di euro a fronte di uno stanziamento solo due anni fa pari a 30 milioni di euro nonostante che il Ministro per le pari opportunità sia in prima linea insieme al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per ciò che riguarda le politiche volte alla promozione delle pari opportunità nell'accesso al lavoro, nella conciliazione dei tempi di lavoro e della famiglia,


impegna il Governo:


ad assumere iniziative per definire aiuti economici e fiscali concreti quali, in particolare, incentivi economici all'assunzione di donne sotto forma di credito di imposta per un periodo di almeno 5 anni e in misura maggiore nel Mezzogiorno dove le percentuali di occupazione femminile sono le più basse, un tax credit a copertura delle spese di cura per i figli a carico, sperimentato già in vari Paesi, a cui si possono aggiungere gli aiuti previsti in generale per la cura dei figli onde evitare che queste pesino solo sulle donne e si trasformino invece in occasioni di occupazione professionale qualificata per tutti e l'introduzione di una detrazione fiscale per il reddito da lavoro delle donne in nuclei familiari con figli minori;
a dare piena attuazione al principio della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, così come garantito dall'articolo 157, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione, attraverso l'individuazione di un piano organico di politiche volte alla conciliazione e alla condivisione dei tempi di lavoro e della famiglia dirette ad ampliare le opportunità di scelta professionale e la compatibilità delle scelte di vita personale e familiare delle donne attraverso sostegno al part time e alle flessibilità di orari family friendly, ai congedi fruibili da ambedue i genitori ed adeguatamente retribuiti, nonché attraverso specifici incentivi di riqualificazione professionale rivolti a favorire il reinserimento delle donne al lavoro dopo i periodi di maternità;
a promuovere il rafforzamento delle norme e delle politiche antidiscriminatorie in tutti i settori della vita sociale, economica e politica del Paese favorendo anche la partecipazione equilibrata delle donne alle istituzioni pubbliche e alla vita economica e aziendale;
visto il mancato raggiungimento degli obiettivi del vertice di Lisbona 2010 della copertura territoriale del 33 per cento dell'offerta di servizi alla prima infanzia, ad incrementare le risorse economiche e finanziarie necessarie al perseguimento di tale obiettivo entro tempi rapidissimi nonché ad incrementare e potenziare, secondo i principi della sussidiarietà, tutti i servizi alla famiglia;
ad uniformarsi nel più breve tempo possibile alla nuova risoluzione del Parlamento europeo in materia di congedi parentali che prevede misure più eque a favore della maternità e della paternità: un minimo di 20 settimane per le mamme, un congedo obbligatorio di due settimane per i padri, salario durante il periodo al

100 per cento, maggiori garanzie per il recupero completo delle posizioni precedenti nel rientro al lavoro, promozione di maggiore flessibilità per i neogenitori, misure che corrispondono meglio al principio della genitorialità responsabile e della condivisione del lavoro di cura fra uomini e donne, che si sta facendo strada nei comportamenti delle coppie più giovani, ma che è anche una necessità per consentire la permanenza delle donne nel mercato del lavoro visto che una donna su quattro è costretta a lasciare il lavoro quando nasce il primo figlio per la carenza di servizi e di sostegni;
ad assumere le necessarie iniziative volte a modificare la legislazione esistente al fine di assicurare l'indipendenza degli organismi per la promozione l'analisi il controllo e il sostegno della parità di trattamento nei luoghi di lavoro di tutte le persone senza discriminazioni fondate sul sesso, sia per assicurare che gli organismi siano effettivamente indipendenti e non sottoposti all'invadente controllo e regolamentazione governativa e sia per assegnare a tali organismi quelle funzioni espressamente previste dalla direttiva 2006/54/CE e di cui attualmente ancora non dispongono.
(1-00490)
«Mastromauro, Cenni, Madia, Mosca, Schirru, Ferranti, Froner, Siragusa, Servodio, Bellanova, Brandolini, Giovanelli, Rubinato, Gnecchi, Braga, Concia, Motta, Codurelli».

TESTO AGGIORNATO AL 27 GENNAIO 2011

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

GRAZIANO e CARLUCCI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il consorzio unico di bacino delle province di Napoli e Caserta, a seguito della definizione della dotazione organica ad opera del commissario liquidatore registra ad oggi 424 lavoratori in esubero, dei quali 358 sono operatori diretti e 66 impiegati. L'ente, da un lato, lamenta il mancato subentro delle province nella gestione diretta dei rifiuti e le difficoltà economiche nel sostenere i costi per l'espletamento del servizio, dall'altro, chiede che le amministrazioni comunali contrattualizzate provvedano ad indennizzare gli oneri sostenuti, incluse le spese del personale;
ai sensi dell'articolo 13, comma 1, del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010, il consorzio provvede alla copertura dei posti previsti dalla dotazione organica, mediante assunzioni, anche in soprannumero con riassorbimento, del personale in servizio ed assunto presso gli stessi consorzi fino alla data del 31 dicembre 2008, e, fermi i profili professionali acquisiti alla stessa data, dando priorità al personale già risultante in servizio alla data del 31 dicembre 2001 negli ambiti territoriali provinciali di competenza, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative relativamente alla definizione dei criteri di assunzione. Al comma 2 si prevede che al personale in esubero rispetto alla dotazione organica si applicano le disposizioni in materia di ammortizzatori sociali;
ad avviso del commissario liquidatore permane un'evidente criticità interpretativa della norma citata, in relazione alle modalità di considerazione dell'esubero del consorzio e alle relative modalità di redazione degli elenchi delle persone interessate alla cassa integrazione guadagni in deroga. Su tale problematica, lo stesso commissario ha investito il Dipartimento per la protezione civile, formulando nel mese di luglio 2010 un quesito per avere chiarimenti in merito;
le ipotesi interpretative, finora emerse, divergono sulla considerazione del

consorzio. La prima, facendo leva sul bacino unico del consorzio, considerato nella sua complessità, e sull'anzianità del servizio del lavoratore, porterebbe alla redazione di una sola lista di nomi e gli esuberi, che riguardano soprattutto l'area napoletana, inciderebbero sulla provincia di Caserta. La seconda, fondandosi sull'articolazione territoriale del consorzio e sulla distinzione per provincia, porterebbe alla redazione di due liste distinte, una per ogni provincia, e il peso degli esuberi si scaricherebbe sulla provincia di Napoli, giacché in provincia di Caserta i comuni contrattualizzati per il servizio di igiene urbana sono 64 su 104 totali, mentre in provincia di Napoli soltanto 3;
ad avviso dell'interrogante, la provincializzazione del ciclo integrato dei rifiuti è il criterio fondante del già menzionato decreto-legge n. 195 del 2009, e il citato articolo 13, comma 1, insieme all'articolo 11, comma 1, del medesimo provvedimento - a norma del quale, ai presidenti delle province della regione Campania sono attribuite le funzioni e i compiti spettanti agli organi provinciali in materia di programmazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti da organizzarsi prioritariamente per ambiti territoriali nel contesto provinciale e per distinti segmenti delle fasi del ciclo di gestione dei rifiuti, avvalorano il secondo criterio interpretativo;
la gestione fallimentare del consorzio ha già provocato danni materiali ai cittadini con l'aumento della tariffa di smaltimento e i rifiuti per le strade. Ora, questo problema interpretativo ha un costo sociale elevato, rendendo incerti i livelli occupazionali dei lavoratori del consorzio e il loro destino economico, in un territorio, e relativamente ad un problema, per il quale è difficile parlare di cassa integrazione, quando invece andrebbero moltiplicati gli sforzi di tutti -:
se possa fornire un'interpretazione della norma, al fine di chiarire le legittime preoccupazioni dei lavoratori e delle loro famiglie.
(5-03795)

BINETTI, CAPITANIO SANTOLINI, RAO, BUTTIGLIONE e VOLONTÈ. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'emittente televisiva Telelombardia ha mandato in onda uno spot pro eutanasia dell'associazione radicale «Luca Coscioni», allo scopo di promuovere la libertà di scelta, anche quella di morire: 43 secondi girati da Exit International;
il video shock, vietato già in Australia, ha provocato polemiche, accuse, richieste di interventi e di blocchi per impedirne la trasmissione a gennaio sulle reti nazionali e radiofoniche;
in un Paese in cui va pericolosamente logorandosi il principio di responsabilità, occorre stare in guardia di fronte a simili attività di violento impatto politico e culturale che finiscono per scavare nella coscienza collettiva, ingenerando confusione e disorientamento;
il codice penale sanziona con chiarezza l'«omicidio del consenziente», fattispecie sotto la quale ricadono eutanasia e suicidio assistito;
è inammissibile, ad avviso degli interroganti, che si permetta la pubblicizzazione di un reato per via mediatica su un tema così drammatico e complicato, sul quale il Parlamento deve ancora esprimersi;
risulta chiaro ed evidente il tentativo di propagandare con immagini shock la «cultura della morte», che invece va contrastata con forza e determinazione, attraverso la diffusione di messaggi che vadano esattamente nella direzione contraria -:
se il Governo non intenda assumere iniziative di competenza per promuovere, in ogni forma e in ogni sede, la «cultura della vita», così contrastando atti, come quello di cui in premessa, che appaiono agli interroganti provocatori, fuorvianti e contrari alla legge e al senso etico e che offendono fortemente la sensibilità di

quanti vivono direttamente o indirettamente il dramma di una malattia incurabile.
(5-03798)

Interrogazioni a risposta scritta:

BELLOTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
la generalità dei Ministeri e la Presidenza del Consiglio dei ministri in particolare si sono avvalsi, negli anni, dell'impiego di personale in posizione di comando e fuori ruolo, in ragione delle effettive necessità funzionali e organizzative, acquisendo in tal modo, una dotazione di funzionari qualificati a fronte di una notevole esperienza e peculiare professionalità, non rinvenibile nell'ambito del personale in ruolo;
tali figure, si trovano in posizione di utilizzo temporaneo, che viene riconfermato di anno in anno dall'amministrazione, che beneficia dell'apporto di professionalità del personale di che trattasi;
pertanto, a detta dell'interrogante, tali risorse umane sono di fatto penalizzate e discriminate in quanto, oltre a rimanere in una paradossale anomala situazione di perenne precarietà, derivante dall'incertezza circa la futura sede di servizio, vedono anche la cristallizzazione della propria posizione economico-giuridica, dovuta all'impossibilità di sviluppo di carriera sia nell'amministrazione di appartenenza, sia nell'amministrazione ove sono comandate a prestare servizio, con una conseguente ricaduta negativa anche sui trattamenti pensionistici;
la stabilizzazione del predetto personale è del resto in linea con le scelte operate dal Governo in materia di risparmio della spesa pubblica, in quanto si otterrebbero consistenti economie di gestione, perché ogni «comandato» è contemporaneamente gestito dagli uffici del personale dell'amministrazione di appartenenza e da quello ove presta servizio, con dispendio di risorse umane e strumentali -:
quali iniziative si intendano intraprendere al fine di stabilizzare il personale in posizione di comando che da anni presta servizio presso le amministrazioni pubbliche e, fra queste, la Presidenza del Consiglio dei ministri;
se non si ravvisi la necessità di assumere le opportune iniziative, anche di natura normativa, volte a consentire al personale «de quo» di regolarizzare la propria posizione, realizzando in tal modo la stabilità degli organici e superando così l'anacronistica distinzione tra organici di diritto e organici di fatto.
(4-09389)

NEGRO e RAINIERI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che
tra il 31 ottobre ed il 2 novembre 2010, nel Nord-Est del Paese ed in particolare nella regione Veneto, si sono verificati fenomeni di avversità meteoriche di eccezionale portata con nubifragi e piogge persistenti di particolare intensità;
il carattere di eccezionale avversità atmosferica dei fenomeni in questione sono il risultato dell'irruzione sul Mediterraneo nord-occidentale di una profonda saccatura nord-atlantica, da cui si è originato, in particolare, un esteso fronte caldo di natura sciroccale che ha risalito il Mar Adriatico e si è addossato al settore alpino italiano;
il sollevamento forzato dell'aria umidificata al contatto col Mediterraneo, una volta raggiunti i primi contrafforti delle Prealpi (effetto stau), è stata la causa delle piogge forti e persistenti che dalla giornata di domenica hanno interessano le montagne venete;
le precipitazioni hanno in qualche caso superato i 500mm nell'arco di poco più di 48 ore e la situazione è risultata aggravata dal fatto che la quota neve,

come è comune durante le avvezioni sciroccali, fosse particolarmente elevata (in genere attorno ai 2500 metri);
la pioggia scesa copiosa in montagna, unita allo scioglimento delle nevi precedentemente cadute, ha fatto ingrossare gradatamente, ma piuttosto rapidamente, i fiumi che attraversano la Pianura veneta, allagando vasti tratti di pianura soprattutto nel vicentino, ma anche tratti nel padovano, nel veronese e nel trevigiano;
la situazione emergenziale provocata dall'eccezionale evento meteorico è risultata particolarmente pesante nel Vicentino, nel veronese (segnatamente nei comuni di Monteforte e di Soave), così come nelle province di Padova e Treviso. Ad oggi risultano essere centinaia le famiglie evacuate e con sfollati che si possono enumerare in oltre 2.500 in tutta la regione;
il presidente della regione Luca Zaia, che ha stimato danni per 100 milioni, ha predisposto uno stanziamento di 2 milioni di euro, per gli interventi d'urgenza;
in tali circostanze, particolarmente critica risulta essere la situazione del settore agricolo della regione Veneto con danni ingenti alle produzioni ed alle aziende rurali, ciò che non solo ridurrà i redditi relativi all'annata agraria, ma potrà incidere anche sulle produzioni dei prossimi anni o addirittura sulle strutture;
la già fragile condizione del sistema idrogeologico sottoposto alla violenza delle precipitazioni in questione sembra essere stato peggiorato dagli effetti dannosi provocati dalle nutrie al tessuto idrogeologico del territorio, in particolare alla rete scolante, ai canali che in alcune aree specifiche come quelle del Veneto, sono pensili e quindi maggiormente a rischio idraulico per lo scavo delle tane da parte del miocastoride. Tali problematiche sono state già più ampiamente illustrate in un precedente atto di sindacato ispettivo presentato dall'interrogante il 2 febbraio 2009 (5-00922);
in questi frangenti, al fine di dare maggiore velocità e coerenza alle procedure di ricognizione dei danni ed a quelle di approvazione degli interventi urgenti diretti al ripristino delle opere danneggiate, sarebbe opportuno riconoscere maggiore incisività e poteri decisionali ai sindaci dei comuni coinvolti, nell'ambito delle sedi tecniche che allo scopo vengono istituite -:
quali provvedimenti urgenti intenda adottare per assicurare una rapida fuoriuscita dall'emergenza dei territori Veneti colpiti dall'eccezionale avversità atmosferica dei primi giorni del mese di novembre;
se non ritenga necessario stanziare congrue risorse per finanziare gli interventi che dovranno essere attivati nell'ambito dell'applicazione del Fondo di solidarietà nazionale e contestualmente attivare anche ulteriori operazioni di lunga durata tese a rafforzare la sicurezza attiva e passiva del territorio rurale e la produttività delle strutture agricole, soprattutto al fine di garantire il reddito degli agricoltori e favorire la ripresa economica e produttiva delle imprese danneggiate;
se anche in considerazione delle motivazioni già precedentemente illustrate nell'atto di sindacato ispettivo 5-00922, non intenda attivare urgenti iniziative tese a risolvere la questione della presenza delle nutrie nel tessuto idrogeologico della pianura padana;
se non ritenga opportuno intraprendere iniziative anche normative, ove necessario, tese a riconoscere ai sindaci dei comuni colpiti dalla avversità in questione, maggiori ambiti decisionali nei tavoli tecnici istituiti per affrontare le emergenze provocate dalle stesse avversità.
(4-09390)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto ha rilevato l'Arpa Lombardia, che da febbraio 2010 monitora mensilmente le acque del fiume, l'emergenza

Lambro non è finita: a 9 mesi di distanza dal disastro dell'onda nera, i suoi sedimenti restano carichi di sostanze tossiche, gravemente inquinanti per il territorio e minacciose per l'uomo. Gli interventi di bonifica tardano ad arrivare;
lungo il corso d'acqua sono stati rilevati accumuli di sedimenti particolarmente nocivi: non solo perché contengono alte concentrazioni di metalli pesanti (come cromo, piombo, stagno), ma per i composti pcb, i policlorobifenili. Queste sostanze, molto stabili a livello molecolare, si accumulano nei tessuti organici (anche umani, inseguito a contatto o ingestione) e hanno effetti simili alla diossina. L'Agenzia internazionale per le ricerche sul cancro (Iarc) di Lione li ha classificati come probabili agenti cancerogeni per l'uomo. Dal 1999 sono banditi dallo Stato italiano, che ne ha decretato la dismissione completa;
le concentrazioni rilevate dall'Arpa nel Lambro non sono affatto trascurabili, a detta degli esperti: al 26 settembre, i sedimenti contenevano 0,407 mg/kg di pcb nei pressi di Cologno Monzese (Mi). Solo due mesi prima, al 21 luglio risultavano essere addirittura 2,852 mg/kg. Anche a Orio Litta, vicino alla foce del Lambro nel Po, a Peschiera Borromeo o a San Zenone i valori restano compresi tra 0,677 e 0,556 mg/kg. Tutti valori al di sopra del livello massimo previsto per le aree residenziali. La situazione non è migliore per i metalli, come spiega anche la professoressa Silvia Canepari, dell'università di Roma La Sapienza: «I valori riportati sono abbastanza alti e sicuramente inadatti ad un uso agricolo»;
la recente esondazione del fiume Lambro, insieme al Seveso, ha risvegliato l'allarme per la zona. Dal punto di vista scientifico, i sedimenti pericolosi potrebbero non essersi mai mossi dal letto del fiume. «Bisogna capire quale quantità di sedimenti contaminati si è effettivamente depositata sui terreni agricoli, durante queste esondazioni», sottolinea la professoressa Sabrina Saponaro, docente del dipartimento ambientale del politecnico di Milano. «Sicuramente i pcb sono sostanze molto pericolose, ma si muovono pochissimo. E non sono solubili in acqua. Quindi, dove sono, restano». Una caratteristica che ne rende estremamente complessa, e costosa, la bonifica. Per ripulire un terreno dalla presenza di pcb, infatti, si può ricorrere soltanto al bulldozer per asportare la terra, collocarla in discariche «sicure» (posto che esistano) e intervenire con trattamenti termici che volatilizzino le sostanze in altre, biodegradabili. Si tratta di operazioni costose che richiedono, oltre ad approfondite indagini sui suoli, anche una volontà politica precisa per rintracciarli;
come sottolinea da mesi Lorenzo Baio, responsabile Legambiente, «il Lambro è stato dimenticato. Non c'è stata ancora nessuna bonifica, al di là della prima emergenza per frenare gli idrocarburi: e tutte le sostanze nocive che la Lombarda Petroli ha sversato si sono depositate su rive e fondali». Secondo i conti della Protezione civile, furono 400 le tonnellate disperse nel fiume negli ultimi giorni di febbraio. I fondi sono ancora fermi: dopo i 250 mila euro messi a disposizione dal Governo per gli interventi della prima ora (conclusi già con la prima settimana di marzo), sono stati previsti 20 milioni di euro per interventi di medio e lungo periodo attraverso il Contratto di Fiume. Il documento, che prevede la collaborazione di diverse autorità locali per la tutela e il miglioramento dei bacini fluviali, è stato da poco ratificato. I tempi di bonifica, comunque, restano lunghi. È certamente necessario un monitoraggio sulle rive del Lambro: ma, come sottolinea Baio, «non basta fare rilevamenti, servono interventi concreti» -:
se siano a conoscenza della presenza di sedimenti nocivi (metalli pesanti e pcb) lungo il corso d'acqua;
se non si ritenga opportuno, considerato anche il danno provocato dalle recenti esondazioni, avviare un'ampia campagna di informazione sui rischi derivanti

dalle concentrazioni di sostanze tossiche presenti nelle aree considerate;
se non si ritenga opportuno valutare misure di arresto temporaneo delle attività agricole nelle aree contaminate, previa valutazione dei rischi.
(4-09400)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta un servizio tratto dal programma televisivo Report del 31 ottobre 2010, l'11 aprile 1991 la petroliera Haven si incendia nel porto di Genova: si tratta della più grande catastrofe ambientale del Mediterraneo. La Haven poteva trasportare fino a 230 mila tonnellate di greggio: quel giorno nelle cisterne ce n'erano 144 mila;
nell'estate 2010 presso il porto di Savona, come ad ogni alba, gli uomini del peschereccio Bacicin si preparano per uscire in mare: intorno al relitto della Haven è vietata la pesca anche se è facile riconoscere un gruppo di barche ferme proprio in quell'area, perché il mare è ricco di pesce. Il peschereccio Bacicin si porta a circa 4 miglia e mezzo di distanza dal relitto, quindi in una zona decisamente meno contaminata, e lì getta le reti: da oltre 20 anni il mare sui fondali è ancora pieno di petrolio «molle», che i pescatori devono scartare per recuperare un po' di pesce. Finita l'operazione «pulizia», rigettano il catrame solidificato in mare. Oltre al petrolio lanciano in mare lattine e bottiglie;
addirittura due terzi del pescato è catrame. I pescatori cercano di salvare il pesce pulendolo in fretta affinché le temperature estive non sciolgano il petrolio sporcando il raccolto. Tentano soprattutto di recuperare i pregiati scampi e gamberi tanto richiesti dai mercati. Per salvare il pesce lo puliscono con il «gattuccio», una sorta di carta vetro; quanto, tuttavia, è proprio sporco lo passano con l'olio d'oliva;
inoltre, i pesci depositano le uova sui resti di petrolio solidificato (uova di moscardino) perché li confondono con pietre;
se i pescatori fossero stati dotati di opportuni contenitori e fossero stati educati ed incentivati a raccogliere il rifiuto e a smaltirlo una volta a terra, in vent'anni di attività, loro che rastrellano i fondali per pescati sempre magri, avrebbero ripulito il mare. Al contrario, ai pescatori quasi non viene ritirato l'olio esausto, pertanto comprare fusti per contenere il petrolio risulta decisamente sconveniente, considerato che nessuno lo ritirerebbe;
non si deve dimenticare il fattore disinformazione: la maggior parte della popolazione non sa, infatti, che in quel mare c'è petrolio, perché il mare sembra pulito. Il petrolio è ancora lì perché nessuno si è preoccupato di asportarlo;
nel 1995, a quattro anni dal disastro della Haven, i ricercatori dell'ICRAM (Istituto per la ricerca applicata al mare), incaricati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio di preparare un piano per la bonifica, si calano con un batiscafo fino a 700 metri di profondità per trovare distese interminabili di catrame e pesci rintanati negli anfratti di bitume;
Ezio Amato, allora responsabile scientifico del Governo per la bonifica Haven, spiega: «Il problema di questi residui di idrocarburi è che sono una sorgente di molecole teratogene, cioè capaci di indurre prole malferme, e cancerogene». Continua: «Nel corso del tempo abbiamo trovato, ad esempio, pesci che vivono a stretto contatto col fondo, si è potuto notare come una specie in particolare mostrasse sintomi di tumore al fegato, in ragione significativamente superiore a quella dei pesci della stessa specie

pescati in altre zone». Si è, tuttavia, deciso di non fare nulla, come se il problema non esistesse;
Milena Modena, biologa marina, afferma: «La maggior parte delle persone non sanno che c'è catrame sul fondo, ma anche molte istituzioni. Perché non sono ancora stati fatti degli studi mirati a capire quanto catrame c'è nei fondali. [...] Dopo vent'anni la mappatura dei fondali non è ancora stata fatta»;
dopo l'incidente, nel 1992 l'Eni e l'Iri stimano il danno in circa 2.000 miliardi di lire. Il Governo Andreotti avvia un accordo, poi ratificato da Prodi nel 1998 con gli armatori, l'assicurazione e il Fondo internazionale per l'inquinamento da idrocarburi, che però, dopo l'incidente della Haven aveva modificato il protocollo in materia di risarcimenti. Inoltre, nel 1992, si decide che fossero da pagare soltanto le misure di ripristino tecnicamente «ragionevoli»;
alla fine l'Italia ottiene dal Fondo un risarcimento di soli 117 miliardi di lire: una miseria rispetto ai 2.000 stimati da Eni e Iri che non bastano per bonificare il mare;
«In una lettera di Ronchi a Romano Prodi del 1996 chiedeva, tra l'altro, di uscire dal fondo su nostro input» - spiega Stefano Lenzi, responsabile ufficio legislativo del Wwf - «In realtà, quando il Governo italiano si sedeva ai tavoli del Fondo, sosteneva e appoggiava le tesi del Fondo stesso e quindi degli interessi economici che stavano dietro a questa partita. E l'Italia, è confermato, ancora oggi è il secondo contribuente a livello mondiale [...] perché è trasformatore di petrolio». L'Italia non aveva dunque interesse, avendo una quota così importante, ad ottenere un risarcimento del danno ambientale;
nel 1999 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio destina i fondi del risarcimento alla regione Liguria che li distribuisce in tal modo: 32 miliardi di lire per gli interventi della bonifica in mare, più di 62 miliardi, invece, ai comuni colpiti. Ad Albisola li utilizzano per riqualificare l'ex ferrovia e sistemare la passeggiata degli Artisti, a Cogoleto per sistemare la passeggiata lungomare, ad Arenzano per il depuratore. Tutto ciò nonostante la Corte dei conti, nel 2000, avesse dichiarato che non era giusto destinare la maggior parte dei fondi per questo tipo di interventi: bisognava prima preoccuparsi di bonificare il mare, come prevede la legge del 1998; la legge viene disattesa anche perché, ad un certo punto, la regione Liguria decide che è «opportuno non bonificare il mare», in quanto meno rischioso;
non avendo predisposto alcun piano per la bonifica sono avanzati 30 miliardi di lire, in euro 16 milioni circa. Nel 2005, il Presidente del Consiglio Berlusconi decide con un'ordinanza di affidare la gestione della bonifica alla Protezione civile. Il capo della Protezione civile Bertolaso li utilizza per appaltare la bonifica della parte più superficiale della Haven. Il resto della petroliera e i fondali, ancora una volta, vengono dimenticati, nonostante nella stessa ordinanza si legga chiaramente che il Governo è ben consapevole della presenza sui fondali di migliaia di tonnellate di petrolio e dei gravissimi danni che esso provoca all'ambiente;
nessuno ha mai più indagato sull'argomento perché i fondi sono stati destinati, tramite ordinanza del 2009, alla messa in sicurezza del sito dell'azienda Stoppani che aveva contaminato di cromo terreni e acqua, oltre ad essere stati utilizzati come ammortizzatore sociale per i lavoratori dell'azienda;
ad oggi per la Protezione civile, in mare non c'è traccia di petrolio, conferma anche il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che tuttavia si dichiara pronto a raccogliere ogni segnalazione e ad effettuare ogni conseguente verifica in merito ad eventuali persistenti situazioni di pericolo per l'ecosistema -:
se il Governo sia a conoscenza del disastro ambientale che ancora oggi, a

distanza di vent'anni, devasta il nostro mare, con conseguenze evidenti per la fauna e la flora marine e anche per la salute dell'uomo che si nutre dei prodotti di un mare contaminato;
se e quali interventi immediati si intendano adottare per fare fronte ad una simile situazione;
se sia vero quanto riportato in premessa relativamente al risarcimento da parte del Fondo internazionale per l'inquinamento da idrocarburi;
per quali ragioni non sia ancora stata predisposta una mappatura dettagliata dei fondali marini nell'area considerata;
per quali ragioni l'ordinanza del 2009 del Presidente del Consiglio dei ministri abbia destinato i fondi rimanenti alla messa in sicurezza del sito dell'azienda Stoppani;
se non si ritenga opportuno acquisire elementi in relazione alla qualità del pescato proveniente dall'area contaminata a tutela della salute pubblica.
(4-09403)

...

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:

ROSATO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il professor Yuri Ivanovich Bandazhevskt, cittadino bielorusso, fondatore e già rettore dell'università di medicina di Gomel' e oggi direttore del Centro «ecologia e salute» di Kiev, patrocinato dal Parlamento europeo, ha dimostrato che i dati sulla radioattività nella zona di Chernobyl nel 1974 e quelli successivi al disastro del 1986, erano sostanzialmente sovrapponibili;
in seguito a tali affermazioni, il 18 giugno 2001 fu condannato da un tribunale militare a otto anni di lavori forzati, ma fu liberato nel 2005 grazie al vasto movimento d'opinione sorto in ambito internazionale a suo favore. L'Unione europea gli conferì nel 2001 il passaporto della libertà e Amnesty International lo riconobbe «prigioniero di coscienza»;
il professore ha affermato il 6 novembre 2010 sulla stampa italiana che i dieci milioni di persone residenti nell'area interessata dalla radioattività di Chernobyl, a cavallo tra le Repubbliche di Ucraina e Bielorussia e la Federazione Russa, risultano essere accomunati dal presentarsi delle medesime patologie e che in quell'area, a tutt'oggi, il tasso di mortalità supera quello di natalità, mentre sono ancora numerose - se non in crescita - le nascite di bambini con gravi malformazioni;
il versante bielorusso di tale area è oggetto di cosiddette politiche di incentivazione al ripopolamento che mettono in serio pericolo la salute di migliaia di cittadini, trasferiti contro la loro volontà e senza adeguate informazioni sui rischi ai quali vanno ad esporsi;
nonostante le esperienze negative subite dalla Bielorussia a causa dell'impiego dell'energia atomica, il presidente Aleksandr Lukashenko ha recentemente affermato la volontà del suo Governo di costruire una nuova centrale nucleare nelle vicinanze della città di Grodno, in prossimità del confine polacco e dunque dell'Unione europea -:
se il Ministro intenda, anche alla luce dei buoni rapporti che il nostro Paese intrattiene con la Repubblica di Bielorussia, testimoniati dalla visita del Presidente del Consiglio dei ministri a Minsk nel novembre 2009, assumere iniziative presso quel Governo per rappresentare la preoccupazione dell'Italia per le condizioni di salute del popolo bielorusso, e per significare la richiesta di maggiore trasparenza e rispetto del metodo democratico.
(4-09395)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:

ANNA TERESA FORMISANO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
si apprende da organi di stampa che la prosecuzione delle indagini iniziate nel giugno 2010 dalle autorità giudiziarie competenti presso il sito industriale Oliovieri a Ceprano (provincia di Frosinone) ha portato alla luce uno sconcertante rinvenimento di materiali pericolosi e tossici frutto di attività illecite;
in particolare, nel sottosuolo sono stati scoperti fusti contenenti scarti di lavorazione industriale, fanghi, materiali in cattivo stato di conservazione e finanche materiali di risulta della lavorazione di medicinali, che per quantità ed entità rappresentano, a detta degli inquirenti, una «bomba ecologica» senza precedenti nel Lazio ma probabilmente per l'intero Paese, come peraltro affermato dai tecnici operanti il servizio di polizia ambientale;
il ritrovamento rappresenta una vergognosa attività criminale di inquinamento di una grande area del territorio laziale, utilizzata come discarica abusiva per lo smaltimento di materiali e rifiuti provenienti da più parti;
è necessario un intervento urgente di bonifica e messa in sicurezza dell'intera zona interessata per ripristinare il recupero dell'ecosistema circostante e soprattutto scongiurare ripercussioni sulla salute dei cittadini, fortemente minacciata dalla presenza di materiali altamente tossici e inquinanti -:
se, vista la gravità del pericolo ambientale, che è stato definito senza precedenti nel nostro Paese dagli stessi tecnici che hanno realizzato il servizio di polizia ambientale, non ritenga sussistano i presupposti per l'inserimento dell'area tra i siti da bonificare di interesse nazionale, così da finanziare celermente le attività di bonifica.
(3-01327)

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta Terra del 10 novembre 2010, Molfetta, e dintorni, è diventata l'ultima spiaggia per tartarughe e delfini. Più di cento le prime, almeno sei i secondi: è il bilancio tutt'altro che definitivo di una strage di animali trovati morti negli ultimi sei mesi lungo il litorale barese. Un tratto di costa lungo circa 50 chilometri, dove il mare finisce di nuovo «sotto accusa»;
i sospetti sono diversi: un mare forse troppo inquinato o fitto di residuati bellici che si trovano sul fondale. A farne le spese sono i figli di quelle stesse acque, forse uccisi da alimenti diventati veleno ma anche dalle esplosioni, provocate artificialmente, di ciò che resta delle guerre dell'uomo. I corpi degli animali non presentano i segni di una responsabilità umana. Molte delle tartarughe spiaggiate, e lo stesso vale per i delfini, non riportano tracce di ami, lenze, reti da pesca o di urti contro imbarcazioni;
l'ultimo recupero risale a sabato mattina: un mammifero lungo quasi due metri e soprattutto era giovane. Si potrebbe pensare a un esemplare in buona salute, magari ucciso da uno scontro accidentale con un peschereccio. Invece, quando i volontari del Wwf di Molfetta lo hanno prelevato era già in stato di decomposizione, così come tante delle creature che hanno perso la vita al largo e poi condotte a riva dalle mareggiate. Tutte morte da un

po' di tempo e senza portarsi addosso degli indizi troppo chiari sul loro decesso;
Pasquale Salvemini, responsabile del Centro di recupero tartarughe di Molfetta, parla di un dato sottostimato, perché alle oltre cento tartarughe censite si affianca un numero indefinito di carcasse che non è stato possibile mettere a referto. Salvemini riterrebbe colpevole proprio l'attività di bonifica dei fondali da parte della Marina militare, che sta cercando di fare piazza pulita dei tanti residuati bellici abbandonati nell'Adriatico durante la Seconda guerra mondiale e il conflitto in Kosovo. «La Marina - denuncia Salvemini - li sta facendo brillare direttamente in mare, e questo accade quasi quotidianamente. Si tratta di grossi quantitativi di tritolo, e questo significa provocare un disastro ai danni dell'intero ecosistema marino»;
anche la pesca a strascico, che non lascia segni sui corpi degli animali ma che può provocare loro sofferenze potenzialmente mortali, non è da sottovalutare. Tuttavia, la moria di tartarughe e delfini potrebbe anche essere causata dall'inquinamento delle acque dalla conseguente contaminazione del cibo. Proprio in questa direzione il Wwf locale sta cercando di indagare, con un doppio programma di ricerca che da qui a qualche mese potrebbe far luce su quanto sta accadendo: in collaborazione con l'università La Sapienza di Roma e la facoltà di medicina veterinaria dell'università di Bari, vengono monitorate le abitudini alimentari delle tartarughe in cattività e, mentre si spia la routine degli animali ancora in vita, si studiano alcuni campioni prelevati sia da questi esemplari sia dalle carcasse -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
di quali informazioni dispongano in merito al problema evidenziato in premessa;
quali iniziative intendono avviare, di comune accordo, al fine di accertare i motivi della strage di tartarughe e delfini e salvaguardare la biodiversità marina.
(4-09391)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per saper - premesso che:
secondo quanto riporta Terra del 31 ottobre 2010, l'Italia dovrà pagare una multa di quasi 200 mila euro al giorno se entro il 31 dicembre 2010 le circa 280 mila tonnellate di rifiuti industriali che ancora avvelenano gli oltre 300 mila metri quadri dell'ex area Sisas, nel milanese, non saranno smaltiti. A questa cifra si aggiungerebbero circa 20 mila euro per ogni 24 ore di ritardo sul completamento della bonifica;
i cittadini del milanese stanno pagando da anni un prezzo molto alto con la loro salute e il degrado del territorio a causa della mancata bonifica;
la Commissione europea non ha dubbi: «Le discariche contengono rifiuti pericolosi e costituiscono una minaccia per l'aria e per le acque locali». Tra le sostanze che ancora contaminano l'area, quella più presente è il nerofumo, la fuliggine prodotta dalle ciminiere dell'ex polo chimico. Si tratta di un cocktail di idrocarburi, che nell'area ex Sisas è stato contaminato da mercurio, un vero e proprio veleno per l'ambiente. Tuttavia, questo dettaglio non ha allarmato più di tanto chi si sarebbe dovuto occupare dello smaltimento di quei rifiuti, visto che le ceneri prodotte dall'attività dell'ex polo chimico sono state per anni abbandonate a cielo aperto;
si teme per la salubrità dell'aria, del suolo e delle acque, sebbene a partire dal 2001 siano state attivate delle pompe per evitare il contatto della falda con la discarica C, la più pericolosa;

Carlo Monguzzi, a lungo consigliere regionale, ricorda che l'intera vicenda iniziò nel 2001, quando la regione Lombardia fece causa a Falciola, proprietario della Sisas, chiedendo un risarcimento di 100 miliardi di lire per danni ambientali. Soldi che il Pirellone non incassò mai perché preferì sottoscrivere un accordo con Falciola sulla base del quale, in cambio della bonifica dell'area, la regione avrebbe rinunciato all'azione giudiziaria. Poco dopo l'accordo, però, la Sisas fallì e fu allora che la bonifica del polo chimico venne affidata alla Tr2 Estate, la società controllata da Giuseppe Grossi, arrestato nell'ottobre 2009 per lo scandalo Santa Giulia insieme a Rosanna Gariboldi;
«L'accordo tra il Pirellone e Grossi che prevedeva la bonifica dell'area in cambio della cessione del terreno - ha commentato Monguzzi durante l'incontro organizzato dalla Lista per Pioltello - prevedeva che Grossi versasse alla regione una fideiussione di 60 milioni di euro a garanzia del termine lavori. Ma l'accordo non è stato rispettato». La bonifica non è mai stata conclusa, Grossi è ancora proprietario dell'area e al Pirellone i soldi della fideiussione non sono mai arrivati. «Grossi - ha dichiarato Bottasini - ha chiesto un risarcimento per 28 milioni di euro. Soldi che la Regione e il Comune di Rodano erano disposti a sborsare, ma noi di Pioltello no». «Per la pessima gestione di questa vicenda i cittadini italiani rischiano di pagare 400 milioni di euro, quando con un quinto o un sesto di questa cifra l'intera area sarebbe stata liberata dai rifiuti pericolosi»;
a settembre 2010 la gestione della bonifica è passata nelle mani di Daneco, che si è impegnata a portare a termine i lavori entro il 31 marzo 2011. Oggi dall'ex Sisas partono ogni giorno circa dieci camion carichi di rifiuti pericolosi, un numero che presto salirà a cento per accelerare il processo di smaltimento. Una volta risolta l'emergenza dei rifiuti pericolosi, rimarrà da decidere come gestire lo smantellamento degli impianti industriali e i controlli per escludere ulteriori contaminazioni del terreno;
i punti oscuri rimangono, così come le domande riguardo alla destinazione dell'area. C'è chi al posto dell'ex polo chimico vorrebbe un centro commerciale, ma c'è anche chi parla di un inceneritore. I cittadini hanno le idee chiare: «Dobbiamo investire sulle industrie pulite per le energie rinnovabili - ha affermato uno dei partecipanti all'incontro dell'8 ottobre 2010 - e ricreare i posti di lavoro che abbiamo perso con la chiusura della Sisas» -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
se e quali iniziative di competenza intendano adottare, anche di concerto con la regione Lombardia e gli enti locali, al fine di giungere nel più breve tempo possibile ad una soluzione definitiva della controversa vicenda, anche al fine di tutelare la salute pubblica e l'ambiente;
quale sia lo stato attuale delle operazioni di bonifica condotte dalla Daneco.
(4-09402)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta L'espresso n. 45 anno LVI, l'amianto è causa di asbestosi, carcinomi polmonari, mesoteliomi bronchiali e della pleura. Patologie gravi, a volte gravissime e non di rado omicide. «Eppure c'è chi le sottovaluta» denuncia Paolo Fasani, presidente dell'Unione tra i comuni Albaredo Arnaboldi e Campospinoso, 1.100 persone a due passi da Pavia;
Fasani racconta di operai extracomunitari che per pochi euro smantellano l'amianto a martellate, alla faccia del buon senso e della comune sicurezza. Costeggiando

l'argine del Po, nel suo segmento lombardo, si apre un paesaggio in teoria chiuso al traffico, ma in realtà attraversato da camion, automobili e motorini ed è facile individuare scarichi abusivi di amianto sul ciglio della strada, davanti ad un cespuglio: «Sono le famose onduline in eternit, quelle di cemento amianto un tempo usate per i tetti», spiega Fasani;
un pericolo ingestibile, su una strada dove qualcuno potrebbe anche spostarle a mano. Tuttavia, il problema di Albaredo è anche un altro: scendendo dall'argine verso il fiume, infatti, e calpestando il fitto reticolo della vegetazione, lo scenario peggiora. Dal niente, appena percepibili sotto le suole, spuntano metri di eternit in condizioni pessime, che ogni istante può sprigionare fibre cancerogene;
si tratta di una distesa di materiale segnalata al comune di Albaredo il 2 marzo 2010 da un agente in perlustrazione. A quel punto il materiale killer avrebbe dovuto essere tolto con la massima urgenza. Tuttavia, nulla è stato fatto. Lo stesso agente, tornato nella zona a maggio, certifica: «A tutt'oggi le lastre non sono ancora state rimosse»; anzi, «sono state quasi completamente ricoperte dall'erba»;
ciò, a causa di un ostacolo semplice ma evidentemente insormontabile: «Noi dell'Unione», afferma il presidente Fasani, «riteniamo che rimuovere l'asbesto spetti all'Aipo, l'Agenzia interregionale per il Po». Aggiunge, inoltre: «Il 2 ottobre il sindaco Francesco Preda di Albaredo ha emesso un'ordinanza affinché l'Aipo intervenga entro 45 giorni». Da parte sua, l'Aipo ribatte di avere competenze strettamente idrauliche sul fiume, quindi «tocca al Comune spostare l'amianto». Per il momento tutto rimane al suo posto -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa e se i Ministri interrogati non ritengano opportuno intervenire, per quanto di competenza, considerata la pericolosità della fibra di amianto.
(4-09404)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nel video «L'ottavo colle», realizzato da Alessandro Gaeta per Tv7 il 29 ottobre 2010, emerge in tutta la sua gravità il problema della discarica di Malagrotta: una collina dalle dimensioni imponenti che «ti si para davanti venendo dal mare e la si vede da tutti e quattro i punti cardinali». Una montagna naturale alla quale, al posto della terra, hanno sostituito rifiuti: lo sanno bene gli abitanti di Massimina, comune di Roma, che vedono ogni giorno crescere, davanti alle loro case, la montagna di immondizia e ne sentono il fetore;
l'odore nauseabondo dipende dagli addetti alla discarica: se rispettano le norme, se coprono i rifiuti con il terreno fresco si resiste, altrimenti se la ricopertura coincide con tempi più lunghi, la vita per la popolazione può diventare un incubo, soprattutto in particolari condizioni meteorologiche (a seconda di quale e quanto vento soffi). Gli abitanti cominciano a pensare al trasferimento ma risulta difficile vendere;
un abitante di Massimina racconta di aver avuto rassicurazioni, prima di comprare casa, tramite l'amministratore delegato dell'Ama Roma spa, riguardo alla chiusura della discarica che sarebbe dovuta avvenire entro il dicembre 2007. Nulla di fatto;
Salvatore Damate del comitato di Malagrotta spiega che, oltre all'olezzo, sono presenti le polveri sottili, spesso con valori molto più elevati rispetto a quanto prevede la normativa, cioè 50 μg/m3: in alcuni punti si sfiorano livelli di polveri sottili anche di 14 volte superiori al limite di legge;
le emissioni vengono prodotte dai camion che circolano nei pressi della discarica: i comitati di Malagrotta hanno

contato dall'alba a mezzogiorno fino a 1.300 fra camion, compattatori e cisterne. Un inferno di polvere e gas che si aggiunge agli scarichi della raffineria di Roma, che produce benzina per combustibile per una bella porzione del centro Italia;
le centraline utilizzate per misurare la qualità dell'aria vengono osteggiate in quanto «non ufficiali, non a norma»: è utile pertanto domandarsi quali mezzi usare per difendere il territorio e la salute degli abitanti;
la collina ha iniziato a moltiplicare la sua rendita: dalla putrefazione dei rifiuti si ricava il biogas, dall'inceneritore arriva il syngas e con un gassificatore si produce energia elettrica pagata tre volte tanto il prezzo di mercato, grazie ai finanziamenti sull'energia rinnovabile;
la collina di Malagrotta è imponente con i suoi 200 ettari di terreno, pari a quattro volte la città del Vaticano, e 40 metri di altezza: se funzionasse la raccolta differenziata le sue dimensioni sarebbero incredibilmente più ridotte;
il putridume di Roma marcisce strato dopo strato all'aria aperta, accompagnato dagli scarichi della raffineria del gassificatore e dell'inceneritore di rifiuti sanitari: un concentrato di miasmi e di inquinanti che, di certo, nuoce alla salute -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione di Malagrotta;
se i Ministri interrogati non ritengano opportuno acquisire elementi in relazione al livello di inquinamento nell'area che potrebbe causare gravi danni alla salute della popolazione ed adottare le misure conseguenti di propria competenza;
di quali elementi dispongano in relazione alle attività di gestione del ciclo dei rifiuti conferiti a Malagrotta.
(4-09405)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportano i giornali locali del 4 novembre 2010, la discarica di Roncajette a Ponte San Nicolò è quasi completamente sommersa a causa dell'inondazione che ha rotto l'argine proprio di fronte all'ingresso della discarica, travolgendo alcune aree del deposito di rifiuti dell'Acegas-Aps;
dei tre lotti della discarica uno è completamente sommerso: si tratta del lotto A, quello più vecchio, che segna il confine con il comune di Casalserugo, mentre gli altri due non avrebbero subito grossi problemi;
non si vedevano più i quattro contenitori cilindrici che contengono ognuno trecento quintali di percolato, la sostanza nociva solubile dei rifiuti;
si tratta di un'area di 25 ettari dove, dal 1978 al 1983, sono stati depositati 535 mila metri cubi di rifiuti da cui erano filtrati ingenti quantitativi di percolato prima dell'impermeabilizzazione;
coloro che hanno coordinato i lavori di messa in sicurezza, secondo quanto riferito dal Mattino di Padova del 5 novembre 2010, sanno che le reti di captazione che dalle trincee di drenaggio portano il materiale alla testa dei pozzi non sono a tenuta stagna e quindi vi sarebbe una via di fuga per il percolato che potrebbe diffondersi nella campagna circostante e finire nelle falde acquifere;
i test dell'Arpav sull'acqua intorno all'impianto di Roncajette, secondo quanto riferito dalla stampa locale, sono negativi, ma la gente è allarmata e diffidente;
il lotto A, nuovamente all'attenzione della magistratura, era già stato oggetto di un'indagine della procura della Repubblica conclusasi, dopo un processo in cui anche il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si era costituito parte civile, con una condanna in primo grado ed una prescrizione in

appello. Il tribunale di Padova, in data 14 febbraio 2007 aveva condannato, oltre che al risarcimento dei danni, al ripristino dello stato dei luoghi e a ulteriori interventi, in particolare la decontaminazione della falda superficiale e il rimboschimento del canale Roncajette, nei limiti della fattibilità tecnica dettata dalla migliore tecnica disponibile -:
se i Ministri non intendano monitorare lo stato dei lavori relativi alla messa in sicurezza operativa e permanente della discarica e quali iniziative di competenza intendano assumere al riguardo, posto che la salute dei cittadini padovani e veneti è messa seriamente a rischio dal possibile e riscontrato inquinamento delle acque di superficie e di acquedotto;
se il Governo non intenda avviare delle iniziative di verifica e informazione alla cittadinanza al fine di rendere edotte le popolazioni residenti dei rischi che hanno subito e pertanto potenziare i presidi sociosanitari della zona.
(4-09406)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
in un comunicato stampa dell'Associazione LIPU-BirdLife Italia del 5 novembre 2010 si legge che una rara coppia di cicogna nera, una delle dieci presenti a livello nazionale, e altre numerose specie di rapaci, tra cui nibbio reale e bruno, biancone e lanario, tutte superprotette da leggi nazionali e direttive comunitarie, potrebbero essere minacciate da due impianti eolici di grande taglia autorizzati dalla regione Campania in Irpinia, un territorio già da anni massicciamente colonizzato da insediamenti di questo tipo. Si tratta degli impianti di Agro di Aquilonia, dove l'Ivpdc10 Srl costruirà una centrale da 10 megawatt, e di Monteverde, dove Genco Srl realizzerà una centrale di 38 megawatt;
sezioni della LIPU Campana, Pugliese e Lucana sono impegnate per scongiurare un grave degrado territoriale nel territorio compreso tra le tre regioni;
«Si tratta - dichiara la LIPU - di aree ancora integre nelle quali, vista la presenza di specie selvatiche di grande importanza e rarità, non dovrebbero sorgere impianti simili a quelli proposti. Non capiamo dunque perché queste autorizzazioni siano state concesse»;
già nel luglio 2009 la LIPU, in una nota urgente a vari uffici della regione Campania, all'Arpa Campania, alla provincia di Avellino e al Ministero dell'ambiente, chiedeva di intervenire per fronteggiare la proliferazione di pale eoliche. Tale rischio era annunciato dalla presenza, osservata dalla LIPU, di strumenti per studiare la direzione e l'intensità del vento (anemometri) a brevissima distanza dal sito di nidificazione della cicogna nera;
un'altra nota inviata dalla LIPU 1o giugno non ha ottenuto, come la prima, alcuna risposta -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della minaccia a danno della biodiversità dell'area considerata causata dai progetti dei due parchi eolici e quali iniziative di competenza intenda assumere a tutela degli uccelli oggetto di protezioni secondo la normativa comunitaria.
(4-09407)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta l'Espresso n. 44 anno LVI, Santa Giulia, quartiere residenziale di Milano, ha le fondamenta inquinate da fiumi di scorie cancerogene: «bombe ecologiche e sanitarie», come la definiscono i periti della procura, sepolte per anni accanto agli uffici e alle case del

super quartiere da un miliardo e 600 milioni di euro che avrebbe dovuto ridisegnare l'area sud-est della metropoli;
sotto i piedi della nuova città c'è un sistema di discariche abusive che contaminano le acque delle prime due falde: tra meno sette e meno venticinque metri la terra è morta, uccisa da montagne di rifiuti tossici che le nuove indagini collegano ai clan della 'ndrangheta;
gli abitanti della zona sanno poco o nulla del disastro che incombe sotto le loro residenze: il comune è rimasto in silenzio. Finora sui giornali si è parlato solo di mancata bonifica;
nel 2005 il comune di Milano autorizza il gruppo Zumino a costruire su oltre un milione di metri quadrati di aree contaminate dell'ex acciaieria Radaelli e dell'ex Montedison. Il tecnico Vittorio Tedesi, ora indagato, si accontenta di un «piano scavi»: ripulire tutto è inutile, basta e avanza cambiare terra solo nelle zone da ricostruire. A questo punto Zumino appalta il disinquinamento a Giuseppe Grossi, il quale subappalta a due imprese collegate: Lucchini-Artoni ed Edilbianchi. In seguito arrivano i magistrati. Nel frattempo, un sindacalista della Cgil manda ai pm una mappa di Santa Giulia piena di zone nere: i veleni sono ancora lì, i misuratori di inquinanti «sono stati distrutti», il «percolato» tossico delle discariche ha invaso le falde. Ddt, pesticidi e scorie che i tecnici classificano così: «Sostanze cancerogene, che mettono a rischio la fertilità e possono danneggiare i bambini non ancora nati»;
due operai delle imprese subappaltatrici, terrorizzati, hanno per primi il coraggio di testimoniare: invece di portar via la terra malata, i camion scaricavano nuovi veleni. Voragini riempite di rifiuti tossici «d'ignota provenienza». A est si vede un lunghissimo muraglione in cemento, costruito da poco, da cui straripano tonnellate di amianto e altre sostanze pericolose. Secondo un rapporto della Guardia di finanza, i trasportatori erano pregiudicati calabresi, usciti dal carcere dopo condanne per «omicidio, associazione mafiosa, droga e reati ambientali»;
i Tir che hanno riavvelenato Santa Giulia, invece di bonificarla, arrivavano «dalla Stazione Centrale», rispondono le indagini. Si tratta del cantiere che ha trasformato in un caotico centro commerciale il monumentale portone d'ingresso dei treni in città;
inoltre, tonnellate di scorie sarebbero state sepolte dalla 'ndrangheta anche lungo i binari dell'alta velocità, sia per Torino sia per Venezia, e persino sotto la quarta corsia dell'autostrada A4 e tra i nuovi «quartieri ecologici» spuntati come alveari sull'asse dei Navigli;
relativamente alla vicenda di Santa Giulia, gli interroganti hanno già presentato l'interrogazione n. 4-08111 il 21 luglio 2010, con la quale richiedevano informazioni dettagliate riguardo alla bonifica e alla messa in sicurezza dell'intera area, operazioni ancora non realizzate, a distanza di almeno tre mesi -:
quale sia lo stato attuale delle misure di intervento per la bonifica, considerata l'emergenza ancora presente nell'area;
quali azioni immediate i Ministri interrogati intendano adottare al fine di scongiurare il disastro ecologico e limitare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel territorio;
se i Ministri interrogati non ritengano opportuno acquisire elementi in relazione a quanto riportato in premessa al fine di tutelare la salute pubblica.
(4-09408)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in un articolo a firma Riccardo Bocca, pubblicato dal settimanale l'Espresso n. 45 anno LVI, si legge che in

Friuli, a Montereale Valcellina, 4.600 abitanti in provincia di Pordenone, il torrente Cellina - come avvertono alcuni cartelli arrugginiti - è «zona soggetta a interventi di bonifica: è severamente vietato oltrepassare il limite»;
sulle sponde del torrente, tra pile di copertoni, bombolette, plastiche varie, bottiglie sbriciolate, abiti bruciati e quant'altro di rifiuti ordinari, c'è l'amianto. Senza protezione né sorveglianza, sebbene sia sufficiente respirare una sola fibra, di questo minerale killer, per rischiare un futuro di tumori e guai alla vie respiratorie;
nella zona tutti sono a conoscenza di quanto successo nel 1982: «Sono stati buttati nell'alveo, sia nel tratto di Montereale che altrove, 16 blocchi di rifiuti della ditta Sivocci», ricorda il sindaco Pieromano Anselmi. «E cosa produceva, quella piccola azienda? Guarnizioni di testa per motori: in amianto, per l'appunto...». Da allora, spiega il sindaco «la situazione è peggiorata anno dopo anno, mentre le autorità locali sono rimaste a lungo immobili. Niente è ancora stato rimosso, infatti. La salute della popolazione è a rischio e la politica non si è rivelata all'altezza, per usare un eufemismo». In primo luogo a livello regionale: "Nel febbraio 2008 - spiega un funzionario - si è preparato un intervento complessivo di recupero del Cellina da oltre 5 milioni di euro» ma i lavori hanno subito una battuta d'arresto con la nuova Giunta Renzo Tondo;
ogni giorno, da quasi due anni, la popolazione friulana aspetta novità sull'amianto del Cellina, novità che non giungono mai. Il comune di Montereale, da parte sua, ha stanziato 360 mila euro (ottenuti dalla regione) per ripulire il proprio tratto di fiume, e l'azienda specializzata che ha vinto l'appalto si è attivata. «Ma giusto sulla carta», specificano all'ufficio tecnico municipale. «L'Asl 6 di Pordenone ha bocciato il piano di sicurezza proposto dalla ditta per la rimozione dell'amianto, e tra reciproche accuse non esiste ancora un progetto alternativo»;
in Friuli, gli iscritti al registro degli esposti all'amianto sono 8.400 e dal 2000 al 2009 l'esposizione da asbesto ha causato in regione 522 mesoteliomi (tumori della pleura);
il dossier «Fiumi d'Italia», curato dal Wwf, testimonia come lo scarico di asbesto lungo argini ed alvei sia un'abitudine, una scelta dettata dall'impunità. Gli esiti di questo malcostume sono l'asbestosi, i carcinomi polmonari, i mesoteliomi bronchiali e della pleura -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa e di quali ulteriori informazioni dispongano;
se e quali azioni urgenti intendano adottare al fine di promuovere trasparenza e pubblicità dei dati sulla situazione amianto in Italia, di incentivare lo smaltimento legale della fibra e di predisporre un numero adeguato di aree attrezzate per il suo smaltimento;
quali iniziative, anche di tipo normativo, i Ministri interrogati intendano introdurre al fine di evitare l'impunità diffusa relativa allo scarico abusivo di amianto, anche legato al fenomeno della criminalità organizzata, e se e quali iniziative di competenza intendano promuovere rispetto ai gravi fatti riferiti in premessa.
(4-09410)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta Terra del 29 ottobre 2010, due aziende del brindisino, l'americana Basell Chimica e la Polimeri Europa, che fa capo al gruppo Eni, hanno rilasciato nell'atmosfera - da sette torce di emergenza, cinque la prima e due la seconda - dei gas non ancora identificati;
la liberazione di questi gas sarebbe avvenuta spesso, quando invece si dovrebbe trattare soltanto di misure cautelative.

Le telecamere della Digos hanno registrato centinaia di emissioni in sette mesi;
dopo oltre due anni di indagini, nei giorni scorsi è scattato il sequestro: uno stop che per le due principali società del petrolchimico della provincia potrebbe durare parecchio. Quattro le persone coinvolte tra dirigenti e responsabili;
le accuse sono di getto di rifiuti (gassosi, in questo caso), emissione in atmosfera senza autorizzazioni ed emissioni in ambiente di sostanze pericolose;
l'indagine è iniziata nell'agosto del 2008, dopo un incidente che portò al dirottamento di circa 60 tonnellate di propilene in due candele da cui salirono fiammate alte decine di metri. Fu solo l'inizio di una serie di episodi a cui hanno fatto seguito i rilevamenti dell'Arpa, che hanno individuato sostanze cancerogene cadute sul terreno in quantità che non possono essere ignorate;
fatti «gravissimi», secondo il segretario dei Verdi pugliesi Domenico Lomelo. «I cittadini del brindisino sanno da anni che i loro polmoni e la loro salute sono quotidianamente sottoposti a fonti di inquinamento che portano ad un'alto indice di mortalità tumorale». Ha confermato, inoltre, che «in questi anni, con la complicità del buio notturno, era diventata normalità bruciare i rifiuti gassosi in atmosfera». Lomelo ha, infine, sottolineato l'importanza di un adeguamento degli impianti -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
se i Ministri interrogati non ritengano opportuno avviare anche per il tramite dell'istituto Superiore di Sanità di un'indagine epidemiologica per accertare le condizioni di salute della popolazione locale che da diversi anni subisce l'elevato inquinamento dell'area.
(4-09411)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta Il Mattino di Padova del 3 novembre 2010, in seguito alla piena dei fiumi che ha inondato campi e case nel Padovano, a Camin, il nuovo inceneritore San Lazzaro, gestito dalla Acegas-Aps (ex Amniup), si è fermato perché l'acqua sarebbe penetrata nei motori;
durante la mattinata del 2 novembre 2010 residenti a Camin hanno accusato malessere (nausea, vomito, mal di testa) a causa del forte olezzo che sarebbe provenuto dall'inceneritore. Un odore acre, forte, tanto da provocare fastidi alla gola, mal di testa e nausea è stato avvertito nelle stesse ore anche dai residenti di San Gregorio Magno, zona vicina non solo all'inceneritore di San Lazzaro, ma anche alle acciaierie e a un'industria farmaceutica;
i residenti della zona hanno telefonato alla polizia municipale chiedendo spiegazioni su cosa stesse avvenendo. «Senza però ottenere alcuna risposta - hanno sottolineato - infatti siamo stati rimpallati al settore Ambiente, dove però nessuno ci ha risposto. Da tre mesi stiamo aspettando i dati sulle emissioni della terza linea. Quanto dobbiamo ancora attendere? Il nostro desiderio è conoscere cosa sta accadendo e se queste esalazioni che abbiamo percepito anche ieri devono essere riferite all'inceneritore oppure a qualche altro impianto presente nell'area»;
secondo Maria Grazia Lucchiari, presidente dell'associazione Aduc: «La questione è questa: l'impianto in collaudo ha dei momenti in cui si spegne e si riavvia e in atmosfera si producono in maniera massiccia monossido di carbonio e diossine. Anche se i limiti in questa fase possono sforare fino al doppio rispetto ai parametri normativi, noi vogliamo conoscerli in tempo reale per scegliere se tenere a casa i bambini, gli anziani o

evitare un'oretta di footing lungo gli argini». «È vero che in questo momento l'impianto è controllatissimo, siamo sicuri che stia dentro i parametri e che la ditta garantisca la dovuta documentazione agli organi di controllo. Tuttavia, sta di fatto che le sostanze cancerogene (vedi monossido) vengono fuori nell'assoluto silenzio dell'amministrazione comunale: l'assessore all'ambiente Zan e il suo collega della partecipazione non ci permettono di tutelarci attraverso l'informazione»;
l'inceneritore, secondo l'amministratore delegato Cesare Pillon, sarebbe rimasto fermo durante tutta la giornata proprio a causa del guasto provocato dall'inondazione;
a preoccupare gli abitanti è soprattutto la scarsa trasparenza: i dati che compaiono sul sito dell'Aps non sono ritenuti infatti sufficienti e viene chiesto un osservatorio tra istituzioni (comune e provincia) e tecnici (compresi quelli di Aps);
l'Italia è parte della Convenzione di Arhus sull'accesso all'informazione, partecipazione dei cittadini e accesso alla giustizia in materia ambientale -:
di quali informazioni dispongano in merito a quanto segnalato in premessa i Ministri interrogati;
quali iniziative intendano assumere per un pieno rispetto da parte delle amministrazioni coinvolte della Convenzione di Arhus sull'accesso all'informazione, partecipazione dei cittadini e accesso alla giustizia in materia ambientale.
(4-09413)

TESTO AGGIORNATO AL 19 NOVEMBRE 2010

...

DIFESA

Interrogazione a risposta orale:

VILLECCO CALIPARI, ARGENTIN, CONCIA, GOZI, META, POMPILI, MOGHERINI REBESANI, MARCO CARRA e STRIZZOLO. - Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per le politiche europee. - Per sapere - premesso che:
da notizie a mezzo stampa si è appreso che nel corso della riunione dei Ministri della difesa che si è tenuta a Bruxelles il 14 ottobre 2010, è stata approvata la direttiva NATO secondo la quale l'Alleanza atlantica manterrà un arsenale nucleare in Europa;
da notizie a mezzo stampa si è appreso che nel corso di detta riunione alcuni Paesi membri - Germania, Olanda, Lussemburgo, Norvegia e Belgio - avrebbero mostrato l'intenzione di porre questo punto all'ordine del giorno della prossima riunione di Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri della NATO, in programma il 19-20 novembre 2010 a Lisbona, perché contrari alla presenza di armi nucleari sul suolo europeo;
secondo il rapporto «U.S. non-strategic nuclear weapons in Europe: a fundamental NATO debate» presentato a fine ottobre 2010 da un comitato dell'Assemblea parlamentare della NATO, non si conoscerebbero con esattezza quante armi nucleari non strategiche gli Usa mantengono in quattro Paesi europei, Italia, Belgio, Olanda e Germania;
secondo stime ufficiose citate nel rapporto si parlerebbe di 70-90 testate in Italia, ad Aviano e a Ghedi-Torre e le testate presenti sul suolo italiano sarebbero bombe B-61 con una potenza che va da 45 a 170 kiloton;
secondo lo stesso rapporto vi sarebbe l'intenzione, da parte della NATO, di «raggruppare le armi nucleari in meno località geografiche» e secondo la maggior parte degli esperti «le località più probabili per tale ridislocazione sono le basi sotto controllo Usa di Aviano in Italia e Incirlik in Turchia»;
in occasione della riunione dei Ministri degli esteri della NATO dell'aprile 2010, sempre secondo il rapporto, mentre Germania, Belgio e Olanda avrebbero sollevato

la questione delle armi nucleari degli Usa in Europa, mentre Italia e Turchia sarebbero rimaste in silenzio;
il 3 giugno 2010 la Camera ha approvato una mozione filmata da tutti i gruppi parlamentari con la quale si impegnava il Governo «ad approfondire con gli alleati, nel quadro del nuovo concetto strategico della NATO di prossima approvazione, il ruolo delle armi nucleari sub-strategiche, e a sostenere l'opportunità di addivenire - tramite passi misurati, concreti e comunque concertati tra gli alleati - ad una loro progressiva ulteriore riduzione, nella prospettiva della loro eliminazione» -:
se sia fondata la notizia circa la possibilità che parte delle armi atomiche della NATO, attualmente dislocate in diversi Paesi europei, vengano stoccate in Italia;
se i Ministri interrogati intendano riferire sulle posizioni assunte dall'Italia e su quelle che assumerà nel prossimo vertice di Lisbona, prima della approvazione del nuovo concetto strategico della NATO;
se i Ministri interrogati intendano accettare la presenza di armi nucleari di tale portata sul suolo italiano e se abbiano maggiori informazioni sulla quantità, tipologia e il periodo di stoccaggio di tali armi.
(3-01326)

Interrogazione a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il programma pluriennale di A/R n. SMD 01/2010, relativo all'acquisizione del nuovo siluro pesante per sommergibili U-212A, per un costo stimato di 87,5 milioni di euro, avrà inizio nel 2010 e termine nel 2019. La IV Commissione Difesa, esaminato il Programma pluriennale e preso atto dei chiarimenti del Governo secondo cui «la documentazione trasmessa in allegato al programma non contiene gli ulteriori elementi di valutazione richiesti dalla Commissione in ossequio ai contenuti del citato documento conclusivo dell'indagine conoscitiva in materia, in quanto predisposta prima dell'approvazione dello stesso; non sono state fornite informazioni in ordine al riparto annuale dell'onere né sui tempi di consegna in quanto il processo di definizione degli impatti derivanti dalle consegne dei sistemi d'armamento può realisticamente trovare avvio solo in fasi successive rispetto all'approvazione politica preliminare dei programmi, ossia quando i fattori industriali, contrattuali ed amministrativi sono individuati e definiti, mentre la contabilizzazione delle spese avviene sulla base delle convenzioni fra la Ragioneria generale dello Stato, l'Istat e lo stato maggiore della Difesa, in attuazione delle disposizioni e direttive sull'argomento emanate da Eurostat; solo nella fase di realizzazione - una volta definite le modalità tecnico-amministrative dirette all'individuazione del soggetto realizzatore - si avrà piena conoscenza dell'eventuale necessità di avvalersi della deroga prevista dal richiamato articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea; preso atto della disponibilità dell'Esecutivo a fornire, in un momento successivo, le ulteriori informazioni che si ritengano necessarie, anche mediante l'aggiornamento del rolling document, strumento cui il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva effettua sulla materia affida un ruolo determinante nelle procedure parlamentari di controllo sui programmi di armamento; ribadito che la Commissione, come espressamente indicato nelle conclusioni del citato documento, ritiene di prioritaria importanza che nella documentazione trasmessa sia precisato se si intenda ricorrere alla deroga prevista dall'articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, anche per esigenze di segretezza, indicandone le ragioni» ha ugualmente ritenuto di esprimere parere favorevole;
il programma pluriennale di A/R n. SMD febbraio 2010, relativo all'acquisizione

di una unità navale di supporto subacqueo polivalente di ARS/NAIT e del relativo supporto logistico, per un costo stimato di 125 milioni di euro, avrà inizio nel 2010 e termine nel 2017. La IV Commissione difesa, esaminato il programma pluriennale e preso atto dei chiarimenti del Governo secondo cui «la documentazione trasmessa in allegato al programma non contiene gli ulteriori elementi di valutazione richiesti dalla Commissione in ossequio ai contenuti del citato documento conclusivo dell'indagine conoscitiva in materia, in quanto predisposta prima dell'approvazione dello stesso; non sono state fornite informazioni in ordine al riparto annuale dell'onere né sui tempi di consegna in quanto il processo di definizione degli impatti derivanti dalle consegne di sistemi d'armamento può realisticamente trovare avvio solo in fasi successive rispetto all'approvazione politica preliminare dei programmi, ossia quando i fattori industriali, contrattuali ed amministrativi sono individuati e definiti, mentre la contabilizzazione delle spese avviene sulla base delle convenzioni fra la Ragioneria generale dello Stato, l'Istat e lo stato maggiore della Difesa, in attuazione delle disposizioni e delle direttive sull'argomento emanante da Eurostat; solo nella fase di realizzazione - una volta definite le modalità tecnico-amministrative dirette all'individuazione del soggetto realizzatore - si avrà piena conoscenza dell'eventuale necessità di avvalersi della deroga prevista dal richiamato articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea; la previsione relativa all'inizio del programma nel 2010 ed alla sua conclusione nel 2017 implica che gli oneri finanziari previsti per l'anno 2010 si riferiscono alla sola fase di studio della riduzione del rischio, mentre l'acquisizione del supporto tecnologico sarà ultimata nel 2017; preso atto della disponibilità dell'Esecutivo a fornire, in un momento successivo, le ulteriori informazioni che si ritengano necessarie, anche mediante l'aggiornamento del rolling document, strumento cui il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva effettuata sulla materia affida un ruolo determinante nelle procedure parlamentari di controllo sui programmi di armamento; ribadito che la Commissione, come espressamente indicato nelle conclusioni del citato documento, ritiene di prioritaria importanza che nella documentazione trasmessa sia precisato se si intenda ricorrere alla deroga prevista dall'articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, anche per esigenze di segretezza, indicandone le ragioni; ha ugualmente ritenuto di esprimere parere favorevole;
il programma pluriennale di A/R n. SMD marzo 2010, relativo all'acquisizione e all'integrazione di trentadue (più sedici opzionali) sistemi di osservazione e acquisizione obiettivi (OTS) e di trentadue sistemi completi controcarro (c/c) di terza generazione con sedici ulteriori predisposizioni e relativo munizionamento operativo, per l'elicottero A129 EES, per un costo stimato di 200 milioni di euro. Detto programma avrà inizio nel 2010 e termine nel 2014. La IV Commissione Difesa, esaminato il programma pluriennale e preso atto dei chiarimenti del Governo secondo cui «la documentazione trasmessa in allegato al programma non contiene gli ulteriori elementi di valutazione richiesti dalla Commissione in ossequio ai contenuti del citato documento conclusivo dell'indagine conoscitiva in materia, in quanto predisposta prima dell'approvazione dello stesso; non sono state fornite informazioni in ordine al riparto annuale dell'onere né sui tempi di consegna in quanto il processo di definizione degli impatti derivanti dalle consegne di sistemi d'armamento può realisticamente trovare avvio solo in fasi successive rispetto all'approvazione politica preliminare dei programmi, ossia quando i fattori industriali, contrattuali ed amministrativi sono individuati e definiti, mentre la contabilizzazione delle spese avviene sulla base delle convenzioni fra la Ragioneria generale dello Stato, l'Istat e lo stato maggiore della Difesa, in attuazione delle disposizioni e direttive sull'argomento emanate da Eurostat; il termine previsto per la conclusione del programma si riferisce

all'acquisizione del bene, e non alla disponibilità operativa che potrebbe essere suscettibile di aggiornamenti discendenti dal perfezionamento dell'attività tecnico-amministrativa, mentre il termine riportato nella Nota aggiuntiva considera anche il supporto logistico, per complessivi cinque anni dalla consegna dei primi mezzi; solo nella fase di realizzazione - una volta definite le modalità tecnico-amministrative dirette all'individuazione del soggetto realizzatore - si avrà piena conoscenza dell'eventuale necessità di avvalersi della deroga prevista dal richiamato articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea; preso atto della disponibilità dell'Esecutivo a fornire, in un momento successivo, le ulteriori informazioni che si ritengano necessarie, anche mediante l'aggiornamento del rolling document, strumento cui il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva effettuata sulla materia affida un ruolo determinante nelle procedure parlamentari di controllo sui programmi di armamento; ribadito che la Commissione, come espressamente indicato nelle conclusioni del citato documento, ritiene di prioritaria importanza che nella documentazione trasmessa sia precisato se si intenda ricorrere alla deroga prevista dall'articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, anche per esigenze di segretezza, indicandone le ragioni;», ha ugualmente ritenuto di esprimere parere favorevole;
il programma pluriennale di A/R n. SMD 04/2010, relativo all'acquisizione di mortai da 81 millimetri di nuova generazione e del relativo munizionamento, calcolatore balistico per la determinazione dei dati da tiro e supporto logistico, per un costo stimato di 22,3 milioni di euro, avrà inizio nel 2010 e termine nel 2013. La IV Commissione Difesa, esaminato il Programma pluriennale e preso atto dei chiarimenti del Governo secondo cui «la documentazione trasmessa in allegato al programma non contiene gli ulteriori elementi di valutazione richiesti dalla Commissione in ossequio ai contenuti del citato documento conclusivo dell'indagine conoscitiva in materia, in quanto predisposta prima dell'approvazione dello stesso; non sono state fornite informazioni in ordine al riparto annuale dell'onere né sui tempi di consegna in quanto il processo di definizione degli impatti derivanti dalle consegne di sistemi d'armamento può realisticamente trovare avvio solo in fasi successive rispetto all'approvazione politica preliminare dei programmi, ossia quando i fattori industriali, contrattuali ed amministrativi sono individuati e definiti, mentre la contabilizzazione delle spese avviene sulla base delle convenzioni fra la Ragioneria generale dello Stato, l'Istat e lo stato maggiore della Difesa, in attuazione delle disposizioni e direttive sull'argomento emanate da Eurostat; il programma in oggetto è ricompreso, unitamente agli oneri iniziali per il relativo avvio, nel complessivo stanziamento di 88,5 milioni di euro, previsto dalla Nota aggiuntiva 2010, destinato all'«Armamento ed equipaggiamento per unità e forze» (pagina II-i.D/8), nei termini compiutamente espressi, su base pluriennale, nella documentazione allegata; solo nella fase di realizzazione - una volta definite le modalità tecnico-amministrative dirette all'individuazione del soggetto realizzatore - si avrà piena conoscenza dell'eventuale necessità di avvalersi della deroga prevista dal richiamato articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea; preso atto della disponibilità dell'Esecutivo a fornire, in un momento successivo, le ulteriori informazioni che si ritengano necessarie, anche mediante l'aggiornamento del rolling document, strumento cui il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva effettuata sulla materia affida un ruolo determinante nelle procedure parlamentari di controllo sui programmi di armamento; ribadito che la Commissione, come espressamente indicato nelle conclusioni del citato documento, ritiene di prioritaria importanza che nella documentazione trasmessa sia precisato se si intenda ricorrere alla deroga prevista dall'articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, anche per esigenze di

segretezza, indicandone le ragioni;», ha ugualmente ritenuto di esprimere parere favorevole;
il programma pluriennale di A/R n. SMD maggio 2010, relativo all'acquisizione di dieci nuovi elicotteri di categoria media per l'espletamento della funzione di SAR (search and rescue) militare nazionale, per un costo stimato di 200 milioni di euro, avrà inizio nel 2010 e termine nel 2018. La IV Commissione Difesa, esaminato il Programma pluriennale e preso atto dei chiarimenti del Governo secondo cui «la documentazione trasmessa in allegato al programma non contiene gli ulteriori elementi di valutazione richiesti dalla Commissione in ossequio ai contenuti del citato documento conclusivo dell'indagine conoscitiva in materia, in quanto predisposta prima dell'approvazione dello stesso; non sono state fornite informazioni in ordine al riparto annuale dell'onere in quanto il processo di definizione degli impatti derivanti dalle consegne di sistemi d'armamento può realisticamente trovare avvio solo in fasi successive rispetto all'approvazione politica preliminare dei programmi, ossia quando i fattori industriali, contrattuali ed amministrativi sono individuati e definiti; il presente programma risulta disgiunto da quello finanziato dall'articolo 3-bis, commi 1 e 2, della legge n. 166 del 2009, che attiene allo svolgimento di compiti istituzionali della Capitaneria di Porto, esclusivamente riferiti alle attività in mare (ricerca, soccorso, monitoraggio pesca e traffico mercantile, eccetera) e non al servizio di soccorso aereo per attività militari su tutta l'area delimitata dallo spazio aereo di competenza nazionale nonché per il concorso alle attività di salvaguardia della vita umana (trasporto ammalati in imminente pericolo di vita, ricerca e soccorso di dispersi, eccetera) e di protezione civile in caso di pubbliche calamità; solo nella fase di realizzazione - una volta definite le modalità tecnico-amministrative dirette all'individuazione del soggetto realizzatore - si avrà piena conoscenza dell'eventuale necessità di avvalersi della deroga prevista dal richiamato articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea; preso atto della disponibilità dell'Esecutivo a fornire, in un momento successivo, le ulteriori informazioni che si ritengano necessarie, anche mediante l'aggiornamento del rolling document, strumento cui il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva effettuata sulla materia affida un ruolo determinante nelle procedure parlamentari di controllo sui programmi di armamento; ribadito che la Commissione, come espressamente indicato nelle conclusioni del citato documento, ritiene di prioritaria importanza che nella documentazione trasmessa sia precisato se si intenda ricorrere alla deroga prevista dall'articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, anche per esigenze di segretezza, indicandone le ragioni;», ha ugualmente ritenuto di esprimere parere favorevole;
il programma pluriennale di A/R n. SMD 06/2010, relativo alla realizzazione di un hub aereo nazionale dedicato alla gestione dei flussi, via aerea, di personale e di materiale dal territorio nazionale per i teatri operativi, e viceversa, con tempestività e efficacia, ha un costo stimato di 63 milioni di euro, avrà inizio nel 2010 e termine nel 2013. La IV Commissione Difesa, esaminato il Programma pluriennale e preso atto dei chiarimenti del Governo secondo cui «la documentazione trasmessa in allegato al programma non contiene gli ulteriori elementi di valutazione richiesti dalla Commissione in ossequio ai contenuti del citato documento conclusivo dell'indagine conoscitiva in materia, in quanto predisposta prima dell'approvazione dello stesso; non sono state fornite informazioni in ordine al riparto annuale dell'onere né sui tempi di consegna in quanto il processo di definizione degli impatti derivanti dalle consegne di sistemi d'armamento può realisticamente trovare avvio solo in fasi successive rispetto all'approvazione politica preliminare dei programmi, ossia quando i fattori industriali, contrattuali ed amministrativi sono individuati e definiti, mentre la contabilizzazione delle spese avviene sulla base delle convenzioni fra la Ragioneria

generale dello Stato, l'Istat e lo stato maggiore della Difesa, in attuazione delle disposizioni e direttive sull'argomento emanate da Eurostat; solo nella fase di realizzazione - una volta definite le modalità tecnico-amministrative dirette all'individuazione del soggetto realizzatore - si avrà piena conoscenza dell'eventuale necessità di avvalersi della deroga prevista dal richiamato articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea; preso atto della disponibilità dell'Esecutivo a fornire, in un momento successivo, le ulteriori informazioni che si ritengano necessarie, anche mediante l'aggiornamento del rolling document, strumento cui il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva effettuata sulla materia affida un ruolo determinante nelle procedure parlamentari di controllo sui programmi di armamento; ribadito che la Commissione, come espressamente indicato nelle conclusioni del citato documento, ritiene di prioritaria importanza che nella documentazione trasmessa sia precisato se si intenda ricorrere alla deroga prevista dall'articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, anche per esigenze di segretezza, indicandone le ragioni;», ha ugualmente ritenuto di esprimere parere favorevole;
il programma pluriennale di A/R n. SMD 07/2010, relativo alla realizzazione di una infostruttura evoluta (Defence Information Infrastructure - DII) attraverso il parziale sviluppo di sette pacchetti capacitivi nella sola area di vertice della Difesa (progetto pilota), per un costo stimato di 236 milioni di euro, avrà inizio nel 2010 e termine nel 2014. La IV Commissione Difesa, esaminato il Programma pluriennale e preso atto dei chiarimenti del Governo secondo cui «la documentazione trasmessa in allegato al programma non contiene gli ulteriori elementi di valutazione richiesti dalla Commissione in ossequio ai contenuti del citato documento conclusivo dell'indagine conoscitiva in materia, in quanto predisposta prima dell'approvazione dello stesso; non sono state fornite informazioni in ordine al riparto annuale dell'onere né sui tempi di consegna in quanto il processo di definizione degli impatti derivanti dalle consegne di sistemi d'armamento può realisticamente trovare avvio solo in fasi successive rispetto all'approvazione politica preliminare dei programmi, ossia quando i fattori industriali, contrattuali ed amministrativi sono individuati e definiti, mentre la contabilizzazione delle spese avviene sulla base delle convenzioni fra la Ragioneria generale dello Stato, l'Istat e lo stato maggiore della Difesa, in attuazione delle disposizioni e direttive sull'argomento emanate da Eurostat; solo nella fase di realizzazione - una volta definite le modalità tecnico-amministrative dirette all'individuazione del soggetto realizzatore - si avrà piena conoscenza dell'eventuale necessità di avvalersi della deroga prevista dal richiamato articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea; preso atto della disponibilità dell'Esecutivo a fornire, in un momento successivo, le ulteriori informazioni che si ritengano necessarie, anche mediante l'aggiornamento del rolling document, strumento cui il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva effettuata sulla materia affida un ruolo determinante nelle procedure parlamentari di controllo sui programmi di armamento; ribadito che la Commissione, come espressamente indicato nelle conclusioni del citato documento, ritiene di prioritaria importanza che nella documentazione trasmessa sia precisato se si intenda ricorrere alla deroga prevista dall'articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, anche per esigenze di segretezza, indicandone le ragioni;», ha ugualmente ritenuto di esprimere parere favorevole;
pertanto il costo complessivo degli investimenti che la Difesa dovrà sostenere fino al 2018 ammonterà a 933,8 milioni di euro;
gli interroganti ritengono grave che il Governo non abbia messo a disposizione gli atti idonei a consentire ai deputati piena cognizione del Ministero dei citati programmi pluriennali, a comprendere le ragioni poste a fondamento di ciascun atto

e conoscere gli effettivi riparti annuali degli impegni di spesa;
a fronte delle numerose manifestazioni di protesta pervenute alla cronaca ed alle sedi parlamentari da parte dei rappresentanti del personale militare, in ordine agli indiscriminati tagli economici effettuati sul bilancio della difesa, con particolare riguardo alle spese per il personale e alla disastrosa politica economica in materia di sicurezza e difesa attuata dal Governo, il costo complessivo degli investimenti di 933,8 milioni di euro che il Ministero della difesa dovrà sostenere fino al 2018 appare agli interroganti illogico e oltremodo contraddittorio con le rassicurazioni e gli impegni derivanti dall'accoglimento degli ordini del giorno presentati da esponenti della maggioranza di Governo all'indomani dell'approvazione della manovra finanziaria aggiuntiva di cui al decreto-legge 78 del 2010 -:
se non ritenga di dover sospendere i programmi di acquisizione pluriennale in premessa e conseguentemente destinare le risorse eventualmente disponibili all'adeguamento dei trattamenti economici del personale militare ed alla stabilizzazione dei precari delle Forze armate.
(4-09396)

...

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta Terra del 9 novembre 2010, il trenino che in 4 minuti porta da un capolinea all'altro della ex linea tranviaria rapida di Napoli si presenta un po' vecchio. In effetti, è lo stesso che quasi vent'anni fa trasportò trionfanti assessori e Ministri per il primo viaggio inaugurale di questa linea metropolitana di Napoli, progettata e costruita in occasione dei Mondiali di calcio del 1990. Tuttavia, ad essere inaugurata fu solo parte della tratta nelle vicinanze dello stadio San Paolo. Il treno si fermò subito, dopo la corsa inaugurale, a causa dei collaudi che non erano completati. In seguito alle vicende politiche degli anni novanta della linea tranviaria, che rapida non fu mai, si persero le tracce e tutto rimase abbandonato per anni: le stazioni rimasero sbarrate al pubblico, il trenino cominciò a marcire, la talpa che stava continuando a scavare le gallerie, già impantanata, si bloccò. Negli anni, le infrastrutture di superficie furono quasi demolite dai vandali;
si tratta di un monumento alla malagestione della cosa pubblica: stanziati 300 miliardi di lire a cavallo degli anni Novanta, solo dieci anni dopo il progetto viene rivisto e rimodulato dal comune. Considerato troppo costoso e invasivo per l'ambiente il tracciato iniziale, la linea è stata pertanto accorciata e progettata per svilupparsi su 8 fermate: dalla zona dello stadio San Paolo a piazza Municipio, passando per Ghiaia. Solo nel 2006 il Cipe stanzia altri cento milioni di euro per il completamento, Infine, altri soldi per rimettere a posto stazioni, scale mobili e treni. Il servizio viaggiatori riparte il 4 febbraio 2007: quattro fermate in esercizio, quattro ancora in costruzione;
ora, dopo tanti anni e tanti fondi, la linea 6 si fermerà di nuovo, almeno per un anno, a causa del taglio dei fondi al trasporto pubblico e della mancanza di viaggiatori. Per il momento, questi ultimi sono ben lontani dai «7.600 passeggeri previsti a regime per ora e per direzione» da Metronapoli, la società del comune di Napoli che dal 2001 gestisce il trasporto pubblico su ferro della città. In effetti, i viaggiatori sono davvero pochi: il cronista a bordo, intorno alle 19 di giovedì scorso, ne conta solo 5 nella corsa Mergellina-Mostra. «Sono circa duecento al giorno», racconta un operatore;

già quest'estate gli ingressi sono stati sbarrati per l'intero mese di agosto. Agostino Nuzzolo, assessore ai trasporti del comune, spiega: «A poche centinaia di metri corre la vecchia metropolitana sull'asse Pozzuoli-Gianturco (est-ovest di Napoli). Al momento questa linea 6 non è competitiva». Il quartiere di Fuorigrotta, dove corrono le fermate in esercizio, ha 76.521 abitanti: forse, potenziando la linea, si potrebbe contare qualche passeggero in più. «Non pensiamo che si arriverà ad una chiusura totale, potremmo lasciarla attiva in orari mattutini la linea è usata soprattutto da studenti», rivela l'assessore. «Certo, per tutti i soldi che quella infrastruttura è costata si tratta di un paradosso». «Il governo ha annunciato riduzioni del 60 per cento dei fondi al settore del trasporto pubblico. E quindi dobbiamo tagliare. La mobilità sostenibile? Lo si spieghi a Tremonti e alla Regione. Il Comune fa il possibile. Ma la coperta è corta. E quindi preferiamo tagliare su una linea che, al momento, può essere considerata "monca": in attesa del completamento delle altre quattro stazioni verso piazza Municipio, la tratta in funzione non è competitiva. Quando si completerà andrà certamente molto meglio. E comunque, sarebbe stato peggiore il paradosso di non averla fatta proprio camminare»;
a detta del geologo Riccardo Caniparoli, che da anni denuncia i problemi di questa linea sotterranea, la parte ancora in costruzione è anche pericolosa: «Lungo il percorso si troverà ad intercettare tre tipi di acque sotterranee ora in equilibrio tra loro: le acque dolci della falda superficiale che dalle colline di Posillipo e del Vomero si versano in mare con una direzione di flusso perpendicolare alla linea di costa; le acque salate della falda di intrusione marina che hanno una direzione di flusso opposta e si rinvengono al di sotto delle acque dolci perché più pesanti; le acque della falda artesiana profonda minerale e termominerale con direzione di flusso dal basso verso l'alto». Queste le conseguenze: «Le gallerie e le opere al contorno creeranno di fatto una diga che impedirà il deflusso sotterraneo delle acque della falda superficiale producendo un enorme lago sotterraneo a monte del tracciato: Così tutti i fabbricati della zona della Torretta e della Riviera di Ghiaia, e le strade limitrofe, si allagheranno, e non solo quando pioverà. Già si stanno verificando i primi casi in corrispondenza dei cantieri». «Inoltre le acque dolci, che sono trattenute dalla diga, non potendo raggiungere (la storica area a verde del lungomare di Napoli) e poi il mare, favoriranno l'intrusione delle acque salate della falda marina con la morte di tutti gli alberi secolari della villa comunale. Già ora molti alberi di alto fusto in prossimità dei cantieri sono morti». A complicare lo scenario, sottolinea Caniparoli, «sono tutte quelle perforazioni profonde che si stanno già realizzando e che, sfondando i livelli impermeabili che contengono la falda artesiana termominerale, provocheranno la risalita in pressione di acque mineralizzate ricche di sostanze chimiche aggressive che accelereranno i processi di corrosione di metalli e rocce, favorendo così i processi di invecchiamento precoce, specie delle strutture in cemento armato». Infine, «pensare di aspirare l'acqua dal sottosuolo in continuo per abbassare il livello di falda è impensabile sia per i notevoli costi di gestione e sia perché innescherebbe il fenomeno di subsidenza, cioè il lento abbassamento del suolo. Nel lontano 1997 ho presentato pubblicamente un progetto alternativo, ma nessuno mi ha ascoltato» -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa e, in particolare, dei gravi rischi che potrebbe provocare il completamento della linea e quali iniziative per quanto di competenza intendano assumere in proposito.
(4-09399)

TESTO AGGIORNATO AL 16 NOVEMBRE 2010

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:

FERRANTI e CONCIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
da notizie giornalistiche si è appreso che dalla direzione generale di statistica del Ministero della giustizia sarebbe stata inviata nei mesi scorsi una nota indirizzata ai capi degli uffici giudiziari, contenente una direttiva ministeriale volta a consentire, per una dedotta finalità di aggiornamento statistico, l'accesso remoto ai registri generali degli uffici della procura della Repubblica, mediante il rilascio di copia del software di interrogazione dei log degli archivi Rege in uso all'assistente informatico individuato per ciascun ufficio;
peraltro non risulta siano stati predisposti idonei programmi volti a realizzare e a garantire una distinzione tra i dati relativi alla attività di conduzione dei sistemi informatici e quella attinente ai dati giudiziari di pertinenza dell'ufficio -:
quale sia il contenuto delle comunicazioni dalla direzione generale di statistica del Ministero della giustizia indirizzate ai procuratori della Repubblica in merito alla questione indicata e quali siano le risposte ottenute in merito;
come la direzione generale di statistica del Ministero della giustizia intenda dare concreta attuazione all'active directory nazionale (ADN) garantendo la sicurezza e la funzionalità del sistema e la criptatura dei documenti sensibili presenti su ciascun computer.
(5-03797)

FERRANTI, ROSATO e CONCIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
risulta insoluto il debito pluriennale maturato nei confronti del Ministero della giustizia a fronte delle prestazioni fornite dalle aziende impegnate nel supporto tecnologico delle attività tecnico-investigative della polizia giudiziaria e della procura della Repubblica, con specifico riferimento alle operazioni di intercettazioni telefoniche e ambientali;
l'ammontare di tale debito al 31 dicembre 2009 era di 350 milioni di euro e, ad oggi, come risulta da recenti notizie stampa, è lievitato a 500 milioni di euro;
il perdurare della situazione debitoria senza interventi adeguati nei documenti di bilancio 2011, né nel patto di stabilità 2011-2013, ha conseguenze gravi e pressoché irreparabili sul piano economico ed occupazionale, per quanto riguarda la situazione delle imprese che forniscono il servizio, di cui 50 associate nell'I.L.I.LA. (Associazione italiana per le intercettazioni legali e l'intelligence), il cui presidente, Walter Nicolotti, ha dichiarato: «se non verrà risolta al più presto la questione del debito che il Ministero della Giustizia ha nei confronti delle imprese che attualmente realizzano le intercettazioni, molte di esse si troveranno costrette a cessare la propria attività e quindi a sospendere il proprio prezioso servizio a supporto delle investigazioni, con prevedibili ripercussioni sia sull'occupazione sia sulla lotta alla criminalità»;
il persistere del debito, nonostante le ripetute promesse di soluzioni definitorie, può rappresentare di fatto una misura volta indirettamente a limitare l'utilizzo dello strumento investigativo delle intercettazioni telefoniche, nonostante la mancata approvazione del disegno di legge Alfano (AC 1415-B) -:
se risulti al Ministro interrogato a quanto ammonta l'importo attuale dei debiti suindicati, se risulti che i debiti citati siano iscritti nel bilancio dell'anno 2011, quale sia il relativo importo e con quali modalità e tempi intenda provvedere in via definitiva ai pagamenti dovuti alle aziende creditrici.
(5-03799)

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la prima firmataria del presente atto, il giorno 23 ottobre 2010, ha visitato il carcere di Carinola in provincia di Caserta, assieme all'avvocato Michele Capano e al dottor Francesco Giaquinto, referenti locali di Radicali Italiani, il primo della provincia di Salerno, il secondo di quella di Caserta;
nel carcere di Carinola sono detenuti 367 uomini a fronte di una capienza regolamentare di 332 posti; 9 sono i detenuti stranieri; solo 70 detenuti hanno la possibilità di lavorare, peraltro per brevi periodi;
per quanto riguarda gli agenti di polizia penitenziaria, a fronte della pianta organica che ne prevede 250, ne sono stati assegnati 232 ma, effettivamente in servizio, se ne registrano 211;
nell'istituto - che dovrebbe essere una casa di reclusione, ma nella realtà dei fatti è anche un circondariale - sono ristretti ben 160 ergastolani che, convivendo con altre tipologie di reclusi, non scontano la loro pena in uno degli stabilimenti destinati agli ergastolani come stabilisce l'articolo 22 del codice penale; alcuni di loro sono sistemati in cella con un altro ergastolano, altri addirittura in celle da quattro, assieme a detenuti che scontano altro tipo di pene il che impedisce evidentemente l'isolamento notturno previsto dal citato articolo 22 codice penale e, sempre riguardo a quanto stabilito da questo articolo del codice penale è palesemente violato il previsto accesso al lavoro «obbligatorio», visto che la quasi totalità non lavora;
in alcune celle l'interrogante ha registrato un'illuminazione assolutamente carente con lampade da appena 20 watt, il che ostacola enormemente la lettura; nella sala colloqui persiste il vietatissimo muretto divisorio che nell'istituto di Carinola è così largo da costringere i detenuti ad inginocchiarsi su uno sgabello di ferro fissato al pavimento per essere più vicini ai parenti in visita e, magari, approcciare un abbraccio; in molte celle singole destinate agli ergastolani c'è ancora il wc a vista cosicché i reclusi cercano di guadagnare un minimo di privacy allestendovi attorno tende di fortuna;
la situazione sanitaria del carcere di Carinola è a dir poco difficile sia sotto il profilo dell'approvvigionamento dei farmaci sia in merito alla tempestività delle visite; lo stesso medico di guardia lo ha confermato: qui la «riforma» - ha detto - ha segnato un passo indietro, giacché le inefficienze della sanità campana si sono riversate sul carcere il cui circuito sanitario «interno» rappresentava, prima del passaggio al SSN, un fattore di salvaguardia almeno per la disponibilità dei farmaci e per la soluzione dei casi sanitari più urgenti;
secondo quanto riferito dai detenuti, il tribunale di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere rappresenta il problema principale che si frappone all'esercizio di diritti fondamentali anche per chi è sottoposto ad un regime detentivo particolarmente duro;
si riportano di seguito alcune testimonianze:
a S.R.S. il tribunale di sorveglianza ha rifiutato, un anno fa, di rilasciare il permesso di partecipare ai funerali della moglie a Reggio Calabria;
G.F., in carcere dal 1983 e mai sottoposto al «4-bis», dunque un detenuto «comune», si trova trasferito da Augusta, in Sicilia, a Carinola dal luglio 2010; qui è lontano dalla famiglia e sottoposto al regime, che afferma non competergli, di alta sorveglianza;
G.C., è stato trasferito a Carinola da Catanzaro il 6 ottobre; a Catanzaro fruiva, da ergastolano, di una cella singola

che ora non ha più; inoltre la famiglia, che viene da Catania, aveva più facilità a raggiungerlo;
D.A. è stato trasferito a Carinola da Larino (Campobasso); avendo una figlia ventenne affetta da Sindrome di Hagerman (forte ritardo mentale) il tribunale di sorveglianza di Campobasso gli concedeva il permesso di tre ore per andarla a trovare e mantenere con lei una continuità affettiva; il tribunale di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, invece, gli ha negato questo permesso; a questa situazione si è aggiunta la diminuzione dei colloqui telefonici con la figlia;
S.C. di 64 anni, è stato trasferito a maggio da Poggioreale dove poteva fruire di una sedia a rotelle e della degenza in infermeria; adesso, in cella, ha a disposizione solo le stampelle;
C.F. aspetta da anni di essere operato ai legamenti; pur avendo affrontato la lista d'attesa all'ospedale Bentivoglio di Bologna, il tribunale di sorveglianza gli ha negato il trasferimento per l'operazione già fissata per il 15 febbraio 2010, sostenendo che l'intervento era di competenza della sanità campana e che sarebbe stato effettuato presso il policlinico Umberto di Napoli; ma a dieci mesi di distanza il detenuto non ha avuto alcuna notizia e, intanto, i legamenti continuano a deteriorarsi;
(L.S.) ha le sue tre figlie a Caltanissetta e, nonostante abbia scontato 24 anni di carcere, non riesce ad ottenere un avvicinamento che consenta alle figlie di venirlo a trovare con minor sacrificio personale;
F.M. universitario iscritto alla facoltà di agraria, lamenta i ritardi del carcere nei contatti con l'Ateneo per gli esami e le difficoltà nell'approvvigionamento dei libri;
S.M. da anni chiedeva di essere trasferito dal carcere di Spoleto in un istituto della Toscana, per poter scontare la propria pena più vicino alla moglie impossibilitata ad affrontare lunghi viaggi; ma, subito dopo aver sottoscritto una lettera assieme ad altri ergastolani di Spoleto per denunciare il fatto che nel carcere umbro si intendeva raggruppare gli ergastolani a due a due allocandoli in celle originariamente singole, viene trasferito anziché in un carcere toscano in quello campano di Carinola;
A.C. anch'egli ergastolano, fa presente che da 10 anni non ha avuto più la possibilità, nonostante le numerose istanze avanzate, di incontrare suo figlio, arrestato e condannato a 18 anni di reclusione; inoltre, A.C. denuncia il fatto che il magistrato di sorveglianza gli nega costantemente la possibilità di andare a trovare i genitori ultranovantenni che non possono spostarsi da Gela a Carinola: «mi si nega - afferma - un permesso di necessità con questa motivazione "permesso non accordato perché i genitori sono ancora in vita"»;
F.D.D., ergastolano trentaseienne, finito in carcere dall'età di 18 anni, pronuncia parole disperate quando parla dell'ergastolo ostativo che non consente l'accesso a qualsiasi tipo di beneficio a coloro che sono condannati per determinati reati (articolo 4-bis O.P): «anche l'immondizia - afferma F.D.D. - è riutilizzata e, se ben trattata, può divenire un bene produttivo di risorse che altrimenti andrebbero perdute» -:
se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e, in caso affermativo, come mai gli ergastolani ristretti nel carcere di Carinola non scontino la pena negli appositi istituti previsti dal codice penale;
come mai del carcere di Carinola vi sono ergastolani che non lavorano e per quale motivo ve ne siano diversi che non scontano la loro pena in isolamento notturno;
cosa intenda fare per attuare l'articolo 22 del codice penale nell'istituto di Carinola ed, eventualmente, negli altri istituti ove tale disposizione normativa non sia applicata;

se intenda colmare la grave carenza degli agenti di polizia penitenziaria, carenza che rende ancora meno praticabili le già scarse attività trattamentali che si svolgono nell'istituto;
cosa intenda fare il Ministro della giustizia per rimuovere quelle carenze strutturali (muretto divisorio ai colloqui, wc a vista e illuminazione del tutto carente) che rendono il carcere di Carinola non rispondente a quanto previsto dall'ordinamento penitenziario oltre che da elementari principi ispirati al senso di umanità, previsto dalla nostra Costituzione;
cosa intenda fare il Ministro della salute per assicurare i livelli essenziali di assistenza nel carcere di Carinola, visto che è lo stesso personale sanitario presente sul posto a denunciare ritardi e omissioni;
quanti siano in Italia gli stabilimenti destinati all'espiazione della pena dell'ergastolo, dove siano ubicati e di quanti posti regolamentari dispongano;
quanti siano gli ergastolani detenuti nelle carceri italiane;
se il Ministro della giustizia intenda proporre modifiche legislative che riconsiderino l'ergastolo ostativo.
(4-09394)

ZAZZERA. - Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'acciaieria Nuova Siet, ex consociata dell'Ilva, ha operato per anni nello stabilimento siderurgico tarantino;
sin dal 1971, i lavoratori dell'azienda si sono occupati degli appalti per i trasporti, del trattamento delle scorie liquide, loppe, minerali, calcari, materiali ferrosi, dimostrando grandi capacità tecniche ed organizzative. L'azienda arrivò ad occupare circa 600 dipendenti con alta specializzazione nei trasporti collegati al ciclo integrato per la produzione dell'acciaio e derivati;
alla fine degli anni '90 tuttavia l'Ilva, guidata dalla famiglia Riva, decise di non rinnovare la commessa e di disdire tutti gli appalti con la Nuova Siet, costringendola a cedere tutti i beni aziendali. Dunque l'Ilva assorbì le attività svolte dalla consociata e mise in mobilità tutto il personale;
ai lavoratori fu poi proposto di rientrare in azienda sulla base di un nuovo contratto. Molti accettarono, costretti dalla morsa della disoccupazione. In tal modo l'Ilva attinse ai benefici contributivi per il personale in mobilità;
conseguentemente i lavoratori tornarono a svolgere la medesima attività, con gli stessi mezzi e procedure, ma non alle stesse condizioni. Infatti risulta che i nuovi contratti non riconoscevano le anzianità né quanto maturato in anni e anni di lavoro dai dipendenti, che peraltro subirono decurtazioni salariali (circa un milione di lire gli operai e due milioni gli impiegati). Tutto ciò in violazione di ogni accordo sindacale;
grazie all'esposto depositato da Slai Cobas, la vicenda fu oggetto di una approfondita indagine da parte della procura di Taranto, che ascoltò i lavoratori, l'ufficio provinciale del lavoro e sequestrò molta documentazione, tra cui un accordo transattivo, che a quanto risulta, sarebbe stato fatto firmare in bianco. Sia le famiglie dei lavoratori che l'INPS si costituirono parte civile per i danni subiti;
la magistratura accertò l'ipotesi del ricatto e la violazione dei princìpi sul trasferimento di azienda. Secondo quanto rilevato dal pubblico ministero l'azienda avrebbe agito con animo speculativo, e sarebbe incorsa nei reati di estorsione e di tentata estorsione ai danni dei lavoratori che si sarebbero rifiutati di sottoscrivere il nuovo contratto;
il 20 settembre 2007 il giudice di primo grado ha emesso la sentenza di condanna a carico degli imputati. Il presidente Emilio Riva, il figlio Claudio e il capo del personale dell'acciaieria, Italo Biagiotti, sono stati condannati a quattro

anni di reclusione per truffa ai danni dell'INPS ed estorsione, mentre il rappresentante della Nuova Siet, Giovanni Perona, è stato condannato ad un anno e due mesi per truffa;
secondo la magistratura l'Ilva avrebbe internalizzato illegalmente l'azienda e avrebbe violato le leggi che tutelano i lavoratori;
i Riva, Italo Biagiotti e Giovanni Perona hanno proposto appello e l'11 dicembre 2009 la Corte ha emesso la sentenza, riservandosi di depositare le motivazioni nel termine di 90 giorni. Il dispositivo tuttavia, ribaltando completamente l'esito del processo di primo grado, assolve gli imputati perché «il fatto non sussiste»;
l'esito del processo di secondo grado certamente lascia stupiti, e nega ai lavoratori e alle famiglie il riconoscimento dei danni subiti. Inoltre risulta che non siano ancora state depositate le motivazioni, nonostante il termine fissato dal presidente della Corte -:
se i Ministri siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
se e quali iniziative di competenza intendano assumere al fine di evitare che il ritardo delle motivazioni possa pregiudicare eventuali azioni di impugnativa da parte dei lavoratori.
(4-09398)

TESTO AGGIORNATO AL 1° FEBBRAIO 2011

...

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
da notizie di stampa si apprende che Trenitalia ha predisposto un piano che prevede la soppressione dei treni a lunga percorrenza che collegano la Sicilia al resto del Paese;
tale decisione dovrebbe decorrere dal prossimo 12 dicembre 2010, con l'entrata in vigore dell'orario invernale;
un provvedimento di tale natura avrebbe l'effetto immediato di strozzare i già carenti collegamenti dell'isola;
peraltro, come conseguenza è facile prevedere un abbandono da parte dei viaggiatori di questa modalità di trasporto, non potendosi sobbarcare i gravissimi disagi a cui andrebbero incontro, dovendo prima raggiungere Messina, con pullman o con mezzi propri, quindi imbarcarsi su un traghetto per attraversare lo Stretto, ed infine a Villa San Giovanni salire sui treni diretti verso il Nord;
un'ulteriore perdita di utenti non potrebbe che comportare poi, ulteriori riduzioni di collegamenti in una spirale che può avere come sbocco la riduzione drastica del traffico ferroviario, in controtendenza rispetto agli indirizzi europei che invece stimolano ed obbligano gli stati membri ad incentivare il trasporto ferroviario come modalità di trasporto più economica e meno inquinante -:
se sia al corrente di un tale orientamento di Trenitalia;
se consideri tali scelte coerenti con i programmi del Governo in materia di trasporto ferroviario;
quali iniziative intenda eventualmente adottare per impedire che si compia un vero e proprio misfatto ai danni, non solo dei siciliani, ma dell'intero Paese.
(2-00889)«Capodicasa».

Interrogazioni a risposta in Commissione:

CALEARO CIMAN. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
i medici militari in servizio permanente effettivo sono abilitati al rilascio ed al rinnovo della patenti di guida. Gli stessi

hanno l'obbligo di trasmettere gli allegati per il rinnovo o rilascio attraverso gli uffici da cui dipendono;
alla luce delle recenti novità legislative, l'articolo 119 del codice della strada, modificato dalla legge n. 120 del 2010, prevede che anche i medici militari in quiescenza possono rilasciare o rinnovare le patenti di guida;
per quest'ultimi, però, la norma di cui sopra demanda ad un decreto attuativo, ancora non adottato, la definizione puntuale delle modalità di trasmissione della certificazione necessaria ai fini di cui sopra;
nelle more dell'adozione di tale decreto, permane una situazione di assoluta incertezza in quanto i medici in quiescenza, sebbene, come già detto, autorizzati al rilascio e/o al rinnovo di patenti, sono impossibilitati a trasmetterne gli allegati;
ciò, oltre alle evidenti perplessità del caso, genera un palese stato di incertezza e di evidente danno economico -:
con quali modalità e in quali tempi debba avvenire la trasmissione della certificazione necessaria al rilascio o rinnovo di patenti di guida per i medici che si trovano in quiescenza in attesa dell'emanazione del decreto attuativo.
(5-03793)

ALESSANDRI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la mattina del 10 ottobre 2010, alle ore quattro, si è aperta una voragine di circa 15 metri di diametro e 3 metri di profondità in via Carracci nella città di Bologna;
da notizie di stampa sembrerebbe che lo smottamento sia collegato con i lavori del cantiere Astaldi per la realizzazione della stazione di Alta velocità di Bologna;
il comitato dei residenti locali da anni si batte contro i problemi conseguenti al cantiere, che già ha messo in pericolo la salute della popolazione e la stabilità degli edifici ed ha provocato la necessità di puntellamento di molte abitazioni;
il crollo è avvenuto proprio all'entrata dei mezzi pesanti e ha anche trascinato con se un container; la mancanza di feriti è fortuita e dovuta esclusivamente all'orario notturno in cui è accaduto l'incidente -:
se il Ministro non intenda effettuare un accertamento in merito all'incidente esposto in premessa, presso le Ferrovie dello Stato, anche attuando un esame analitico sulla messa in sicurezza dei cantieri della TAV, con particolare attenzione ai progetti di attraversamento in sotterraneo dei centri cittadini.
(5-03796)

Interrogazione a risposta scritta:

PILI e CARLUCCI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il rappresentante della città di Cagliari del Gruppo di democrazia partecipativa «Parlamentares» Maurizio Porcelli, consigliere comunale di Cagliari, ha sottoposto all'interrogante la seguente grave situazione in cui versa la viabilità primaria della città di Cagliari e la connessione della stessa con i principali servizi di trasporto, ferrovia, porto e aeroporto;
sono materie di legislazione concorrente tra Stato e regioni il governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione;
la legge 21 dicembre 2001, n. 443, ha avviato l'azione della cosiddetta «legge obiettivo», con il compito di rilanciare il sistema infrastrutturale del nostro Paese;
la legge 1 agosto 2002, n. 166, reca «Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti»;
in Sardegna, la viabilità interessa 49.800 chilometri di strade asfaltate. Di

questi, 3.100 chilometri sono di competenza statale ed attribuiti in concessione all'ANAS S.p.a., Vmentre i restanti 46.700 chilometri rientrano nelle competenze delle amministrazioni provinciali e comunali. L'ANAS S.p.A. e gli altri enti sono pertanto competenti nella realizzazione di nuove tratte stradali e nella manutenzione di quelle esistenti;
la delibera CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001, ai sensi della «legge obiettivo», ha approvato il 1o programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi, che assumono carattere strategico e di preminente interesse nazionale per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese;
il Governo e la regione autonoma della Sardegna hanno sottoscritto apposite intese quadro e accordi di programma Quadro relativamente alla materia della viabilità statale d'interesse nazionale ricadenti nel territorio della regione Sardegna con particolare riferimento alla città di Cagliari;
l'intesa generale quadro, stipulata in data 11 ottobre 2002 tra il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il presidente della regione autonoma della Sardegna, ha stabilito che le risorse finanziarie occorrenti per la realizzazione degli interventi ivi previsti «saranno comunque rese disponibili fino alla completa realizzazione delle opere secondo gli importi che risulteranno dai quadri economici dei progetti approvati» e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «si impegna fin d'ora a sostenere, con risorse proprie e/o delle aziende vigilate, gli oneri economici per la progettazione di specifiche opere rientranti fra quelle per le quali le Parti determineranno di collaborare»;
l'11 luglio 2003 viene sottoscritto l'Accordo di programma quadro della viabilità (A.P.Q. Viabilità) per realizzare un programma di opere viarie per un importo complessivo stanziato pari a 1.078,228 milioni di euro;
l'accordo suddetto prevede come obiettivi fondamentali:
a) Rete fondamentale, rivolta al completamento della grande maglia di intercomunicazione nazionale, mediterranea ed europea e alla connessione dei capoluoghi di provincia, dei porti, degli aeroporti e dei poli rappresentativi di ogni singola area programma e tale da possedere, anche attraverso interventi di adeguamento, elevate caratteristiche di percorribilità, sicurezza e velocità;
b) Rete di interesse regionale (e di connessione nazionale) di primo e secondo livello, rivolta all'ottimizzazione dei collegamenti, entro le singole aree-programma, dei sistemi urbani di riferimento e dei principali nodi di interscambio, a completamento della rete fondamentale;
c) Sistema dell'accessibilità ai nodi urbani, portuali ed aeroportuali, oggetto di riordino al fine di eliminare disorganiche articolazioni, elevati livelli di incidentalità e congestione ed incrementare le soglie di servizio, attualmente inadeguate rispetto alle reali esigenze del traffico, in coerenza con le scelte strategiche del Piano nazionale dei trasporti e dello strumento operativo per il Mezzogiorno;
nell'ambito degli interventi strategici era stato inserito un ampio progetto per l'area metropolitana di Cagliari con l'interconnessione sotterranea nella centrale via Roma tra la via san Paolo e l'asse mediano di scorrimento;
la mancata realizzazione di tale opera strategica fondamentale per l'interconnessione tra l'asse mediano di circonvallazione della città di Cagliari e il fronte mare congestione l'intera area metropolitana rende di difficile fruizione i principali servizi portuali, ferroviari e aeroportuali;
con la mancata realizzazione di tale opera viene praticamente reso inutilizzabile a scopi turistici il fronte mare della città di Cagliari;
il fronte mare risulta inutilizzabile per la stessa attività diportistica che se

fosse sviluppata causerebbe ulteriore congestionamento nella ricaduta a terra -:
se non ritenga di voler rendere noto lo stato dei progetti e dei finanziamenti relativamente a tale infrastruttura primaria;
se non ritenga di dover urgentemente promuovere un incontro con i soggetti interessati al fine di avviare le procedure necessarie per la realizzazione dell'opera;
se non ritenga di dover stanziare, di concerto con la regione Sardegna, tutte le risorse necessarie alla realizzazione dell'intervento e inserire lo stesso intervento tra le opere urgenti e inquadrabili nelle opere commissariali dell'unità d'Italia considerata la funzione strategica della connessione della città di Cagliari e quindi della Sardegna con porti e aeroporti;
se non ritenga necessario e corretto destinare a tale opera la somma di 30 milioni di euro già stanziati per un'opera che l'interrogante giudica inutile e irrealizzabile sia sul piano tecnico che normativo come il Betile inserito proprio nell'ambito della programmazione dei fondi dell'Unità d'Italia.
(4-09397)

...

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:

MARCO CARRA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 31 dicembre 2010 scadranno i contratti di lavoro per 650 lavoratori e lavoratrici della pubblica amministrazione in servizio presso la prefettura e la questura del nostro Paese;
tra questi 650 dipendenti, evidenzio che 6 di loro sono in attività presso gli uffici sopra richiamati della provincia di residenza dell'interrogante, cioè Mantova;
per questa particolare vicenda il Governo ha accolto, alla Camera dei deputati, nella seduta n. 361 del 29 luglio 2010 un ordine del giorno (9/3638/336) che impegna lo stesso Governo «in attesa della stabilizzazione, a prorogare di ulteriori 12 mesi i contratti di lavoro individuali a tempo determinato in scadenza il prossimo 31 dicembre 2010»;
il punto precedute richiama ad una responsabilità precisa il Governo, il quale non dovrebbe disattendere un impegno assunto in sede parlamentare, ma, al contrario, darvi corso;
se il contratto di lavoro in questione non sarà rinnovato, questi dipendenti perderanno l'occupazione e la speranza di un'assunzione stabile ed il danno di questa eventuale decisione ricadrebbe sulle famiglie dei lavoratori;
il Ministero dell'interno si priverebbe di competenze e professionalità importanti, difficilmente sostituibili anche a causa delle croniche carenze di organico in cui versano gli uffici della questura e della prefettura, per garantire un servizio efficiente nei confronti di tanti cittadini immigrati;
l'eventuale soppressione di questi livelli occupazionali potrebbe determinare uno spostamento di agenti di polizia, preposti ai servizi esterni di mantenimento della sicurezza pubblica, presso gli uffici resi vacanti dalla mancata proroga del contratto -:
se il Ministro intenda dar corso all'ordine del giorno di cui in premessa e procedere conseguentemente al rinnovo dei contratti di lavoro, in scadenza il 31 dicembre 2010, dei dipendenti della questura e della prefettura.
(5-03794)

Interrogazioni a risposta scritta:

GARAVINI, BORDO, BOSSA, BURTONE, GENOVESE, MARCHI, ANDREA ORLANDO, PICCOLO e VELTRONI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nell'ambito della legge riguardante gli «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella

regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile» con l'articolo 16, del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito, con modificazioni, della legge 24 giugno 2009, n. 77 - articolo specificamente dedicato alla «Prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata» - è stata inserita al comma 5 la previsione della «tracciabilità dei flussi finanziari» in relazione a tutti i contratti pubblici (ed i successivi subappalti e subcontratti), aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture e nelle erogazioni e concessioni di provvidenze pubbliche;
ai fini di dare attuazione a tale proposito, nella disposizione di legge sopra citata si è anche testualmente previsto che entro trenta giorni dall'entrata in vigore della stessa (28 aprile 2009 per quanto concerne il decreto e 28 giugno 2009 per quanto concerne le modifiche introdotte dalla legge di conversione) avrebbe dovuto - su proposta dei Ministri dell'interno, di giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti, dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze - essere emanato un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, con il quale dovevano:
a) essere definite le modalità attuative della disposizione di legge di cui trattasi;
b) essere costituiti, presso i prefetti territorialmente competenti, gli elenchi dei fornitori e prestatori di servizi, non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, cui possono rivolgersi gli esecutori dei lavori citati;
sempre nel comma 5 del citato articolo 16 è, poi, contenuta la previsione obbligatoria per il Governo di presentare una relazione semestrale alle Camere concernente l'applicazione delle disposizioni di cui trattasi;
il Ministro dell'interno, nelle Linee guida antimafia di cui al comunicato 8 luglio 2009, (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'8 luglio 2009, n. 156) ha richiamato: «La necessità di specifiche forme di controllo anche con riguardo ai flussi finanziari relativi agli interventi disciplinati dal presente documento»;
alla data odierna e nonostante siano trascorsi oltre 17 mesi dall'entrata in vigore della normativa di cui trattasi e che sia scaduto da oltre 16 mesi il termine per l'adozione del relativo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nulla risulta ancora essere stato fatto al riguardo;
la «deregolamentazione» degli appalti in assenza delle disposizioni di cui all'articolo 16 del decreto-legge n. 39 del 2009 crea il rischio di infiltrazione di imprese mafiose -:
se il Ministro abbia notizia del rischio che appalti ovvero subappalti possano essere affidati a imprese «a rischio» mafioso;
quali e quante certificazioni antimafia negative siano state rilasciate dalla prefettura de L'Aquila e se per tali imprese e società vi siano stati pagamenti pubblici e se gli stessi siano stati tracciati;
quale sia la ragione per cui non è stato emanato il decreto per il controllo della tracciabilità dei flussi finanziari e non è stato costituito l'elenco di fornitori e prestatori di servizio «non soggetti a rischio di inquinamento mafioso»;
come intenda il Governo sanare la carenza di presentazione delle relazioni semestrali (previste per il novembre 2009 e per il maggio 2010) concernenti l'applicazione delle disposizioni inerenti alla tracciabilità dei flussi finanziari e all'istituzione dell'elenco dei fornitori non soggetti a rischio di inquinamento mafioso.
(4-09393)

ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
la sera di sabato 30 ottobre 2010, un gruppo di attivisti ambientalisti, in maggioranza ragazze, si trovava a Correzzana (MB) per distribuire dei volantini contro la

vivisezione intitolati «Fermiamo Harlan» e firmati dalle associazioni Gaia Onlus e Animalisti Italiani;
il gruppo di giovani che si trovava nella strada (via Fermi, civico 8) dove sorge lo stabilimento di allevamento di animali destinati alla sperimentazione, risultava accompagnato dall'ex deputato Stefano Apuzzo, quando, all'improvviso dal capannone della ditta «Harlan Italy» sono usciti due individui (uno dei quali sarebbe stato identificato come il «responsabile della sicurezza» dell'azienda), che hanno iniziato a seguire minacciosi con la propria auto gli animalisti, sfrecciandogli vicino;
a quanto riferito dagli ambientalisti, uno dei due individui usciti dalla «Harlan» si è recato in un bar nella piazza commerciale di Correzzana, uscendone in tutta fretta;
i giovani, preoccupati dal «pedinamento» dei due individui e temendo una «chiamata di rinforzi» hanno telefonato ai carabinieri;
sul posto risulta essere giunta una autovettura dei carabinieri di Seregno, i quali hanno identificato sia i due individui usciti dallo stabilimento «Harlan», sia gli animalisti;
il gruppo di giovani ha proseguito a incasellare i volantini quando all'improvviso, è apparso (parrebbe, usciti dal medesimo bar dove pochi minuti prima era entrato di corsa l'individuo identificato come «responsabile della sicurezza» di «Harlan Italy» di Correzzana) un gruppo di circa una decina di ragazzi armati di spranghe e bastoni - inneggiando a Mussolini e a Hitler - che hanno rincorso e aggredito le ragazze che distribuivano i volantini;
secondo quanto riferito dagli organi di stampa, i giovani animalisti si sono sottratti all'aggressione citofonando ad un caseggiato e rifugiandosi nel cortile e in casa di una famiglia del posto;
l'abitazione sarebbe stata, nel frattempo, fatta oggetto di lancio di sassi e bastoni e il gruppo di facinorosi non accennava a voler abbandonare il campo;
il reiterato e pronto intervento dei carabinieri della stazione di Seregno, ha consentito di riportare la calma scortando i giovani ambientalisti fuori da Correzzana -:
se quanto riportato dagli organi di stampa e riferito dalle associazioni ambientaliste, corrisponda al vero e, in tal caso, se siano stati identificati i protagonisti dell'aggressione;
se l'allevamento di animali da esperimento della «Harlan Italy» di Correzzana risulti in risulti in regola con tutte le autorizzazioni, all'esercizio ed alla commercializzazione di animali a tale scopo (vivisezione);
se le forze dell'ordine intervenute sul posto abbiano potuto accertare o meno l'identità degli aggressori e l'eventuale collegamento tra l'uscita dei custodi dallo stabilimento della «Harlan» e la successiva aggressione della squadra di giovani armati di spranghe e bastoni;
se a Correzzana esistano gruppi organizzati di tifoseria violenta o organizzazioni seppur informali di estrema destra che si richiamano la nazionalsocialismo;
se i responsabili delle istituzioni locali e dell'ordine pubblico sono in grado di garantire il sereno svolgimento di pacifiche manifestazioni, come la semplice distribuzione di volantini.
(4-09409)

PICIERNO. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
aggiudicarsi il trasporto dei rifiuti dalle fabbriche e dai siti di stoccaggio, soprattutto quelli chimici e pericolosi, per poi disperdere illegalmente parte del carico e consegnare l'altra parte al depuratore di Termoli, che percepisce così solo

una frazione del denaro pubblico erogato per la depurazione, è un metodo già utilizzato in passato dalle organizzazioni criminali per fare profitto con il settore «ecologico e ambientale», in particolare da Cipriano Chianese negli anni '80, l'«inventore» delle ecomafie. Da quanto si evince dalle dichiarazioni di alcuni pentiti, Raffaele Piccolo e Emilio Di Caterino, e da notizie apparse su organi di stampa relative a inchieste in corso della direzione distrettuale antimafia di Napoli, attraverso il monopolio del trasporto di scorie dall'inceneritore di Acerra e del percolato delle discariche di Taverna del Re e Santa Maria la Fossa-San Tammaro, il clan dei Casalesi avrebbe incassato centinaia di milioni di euro provenienti dalle casse pubbliche;
la presenza delle organizzazioni mafiose in Molise non è un fatto nuovo: regione dalle dimensioni limitate, confinante con le province di Caserta, Benevento e Foggia, affacciata sul mare Adriatico proprio di fronte ai Balcani, anche grazie al basso livello di attenzione della politica locale e nazionale rispetto alla possibilità di infiltrazioni criminali in quest'area, è da tempo luogo di transito di traffici internazionali, tra cui quello di stupefacenti, e di approdo degli interessi mafiosi. La relazione 2009 per il distretto di Campobasso della direzione nazionale antimafia riporta considerazioni chiare sia sui traffici internazionali che sulla presenza di organizzazioni mafiose «operanti in altre regioni, interessate alle speculazioni nel settore dell'illecito smaltimento dei rifiuti nonché al controllo di appalti pubblici». Continua la relazione della direzione nazionale antimafia, «il Molise si sta rivelando non come zona di transito, ma punto finale di arrivo per lo smaltimento di rifiuti pericolosi, terra idonea ad occultare discariche abusive con la compiacenza di alcuni proprietari di cave e terreni e scempio dell'ambiente»;
questo vero e proprio «cimitero dei veleni», creato in oltre trent'anni di sversamenti abusivi, si estende in un quadrilatero compreso tra la statale Bifernina, la Trignina, le province di Isernia e Campobasso. A sud-ovest incontra Vairano Patenora e l'area industriale di Venafro, dove sorgono gli stabilimenti dismessi della Fonderghisa, azienda della Gepi rilevata dall'imprenditore Giuseppe Ragosta, arrestato per truffa collegata proprio a questo stabilimento; sulla fonderia grava il sospetto che vi siano state bruciate tonnellate di rifiuti di ogni genere, compresi automezzi militari impiegati nell'ex Jugoslavia e contaminati da uranio impoverito. L'area suddetta confina con la discarica di Montagano, il depuratore di Termoli e con boschi e aree disabitate ed è qui che andrebbero a finire rifiuti tossici provenienti dalle fabbriche della Lombardia e dai siti di stoccaggio del Consorzio unico Napoli-Caserta, lungo un tracciato, ad avviso dell'interrogante scarsamente battuto dalle forze dell'ordine;
il depuratore di Termoli, gestito dal Consorzio industriale Valle del Biferno (Cosib), venne costruito a metà degli anni '70 per lo smaltimento e la depurazione di rifiuti prodotti dagli stabilimenti che hanno sede nel perimetro del consorzio industriale, più lo smaltimento del percolato da discarica di qualche piccolo comune della regione. Dopo oltre trent'anni di quest'uso limitato, nel 2009 il Cosib chiede al Governo regionale di poter allargare il proprio campo d'azione, aprendo le porte allo smaltimento di rifiuti provenienti da fuori regione, nonché aumentando il tetto massimo di rifiuti pericolosi a 10 mila metri cubi, motivando la richiesta con la necessità di aumentare gli utili del consorzio. La delibera della giunta regionale molisana, a cui fa seguito la determina dirigenziale n. 405 dell'8 ottobre 2009, autorizza l'ampliamento del raggio d'azione del depuratore di Termoli;
è così che cominciano le segnalazioni degli abitanti, di tanti cittadini preoccupati per l'ambiente in cui vivono, di un via vai preoccupante di camion autobotti con le provenienze più disparate, che giorno e notte percorrono la strada statale che collega il capoluogo molisano alla costa adriatica. Sono autobotti che perlopiù tra

sportano percolato da discarica («liquido che si origina dall'infiltrazione di acque nella massa dei rifiuti o dalla decomposizione degli stessi» secondo l'articolo 2 del decreto legislativo n. 36 del 2003). Il percolato altro non è che un rifiuto derivato dai rifiuti stessi, una miscela liquida che si origina per mezzo delle reazioni chimiche, fisiche e biologiche, che s'instaurano all'interno del corpo della discarica in funzione della composizione dei rifiuti e del regime idrico della discarica stessa. La sua composizione è quindi piuttosto varia, al suo interno si possono trovare sostanze inquinanti, ma anche elementi necessari per il naturale sviluppo delle piante. Per valutarne la pericolosità è necessario effettuare controlli e analisi chimiche su ogni carico in arrivo al depuratore;
la rivista Primonumero.it ha riportato molte irregolarità e anomalie riscontrate nella documentazione relativa al piano di lavoro e controllo del conferimento dei rifiuti liquidi al Consob, nonché sulla loro provenienza. Rispetto al processo di depurazione, quando i rifiuti liquidi arrivano in discarica dovrebbero essere controllati, analizzati e depositati in un silos fino al momento del trattamento. Inoltre, appena arriva il carico, è buona prassi effettuare tre diverse campionature del contenuto, una all'inizio, una a metà e una alla fine del travaso. Solo una volta accertato il grado di tossicità si deve dare inizio alla depurazione. Al depuratore di Termoli, sempre secondo l'inchiesta citata, tutto questo non avverrebbe: il campione dei liquami trasportati viene presentato in una bottiglia di plastica precedentemente riempita, che l'autista del camion consegna ai responsabili dell'impianto. Appena consegnata la bottiglia, avviene il travaso, senza aspettare l'esito delle analisi e senza alcuna conferma che il campione consegnato corrisponda all'effettivo carico. Facendo riferimento ai documenti di accompagnamento, emerge che la Indeco srl, una delle imprese che conferisce il percolato al depuratore, che tratta percolato proveniente dall'area di Fondi, si avvale ad ottobre 2010 di un certificato del 2009 (n. 824), come se in 12 mesi la Indeco avesse consegnato liquame con le stesse identiche caratteristiche chimiche;
per quanto concerne i controlli esterni all'impianto, quelli eseguiti sul materiale scaricato dall'impianto dopo la depurazione, che prende la via del mare, essi vengono eseguiti dall'Arpam non più di due o tre volte l'anno. Infine, i fanghi di risulta, che dovrebbero essere essiccati, compattati e trasportati in discariche specializzate, vengono almeno in parte dispersi nelle campagne adiacenti, di proprietà del nucleo industriale o di privati che autorizzano lo spargimento. Primonumero.it sostiene che questi fanghi non vengano nemmeno analizzati prima di finire nei campi;
nel mese di luglio 2009 sono stati osservati 17-18 scarichi quotidiani per un totale di oltre 500 metri cubi la settimana. Anche i dati di altri mesi sono risultati in linea con un intensissimo traffico diretto al depuratore di Termoli, proveniente in buona parte da Napoli e Caserta. Molte delle bolle di accompagnamento dei carichi non portano indicazioni né sulla provenienza né sulla quantità, ma solo una generica dicitura «lotto successivo al primo», o, in altri casi «carico di prova»;
i fogli di viaggio dei camion indicano le provenienze dei carichi: la discarica di Montagano (Campobasso, rifiuti solidi urbani), hinterland molisani (fanghi e liquami) e Abruzzo. Poi la discarica di Tufo Colonoco (sequestrata dalla procura di Isernia alla metà di luglio per un ampliamento su suolo sottoposto a vincolo ambientale e sversamento di percolato nel fiume Vandra, affluente del Volturno), la discarica Villaricca (percolato del Consorzio unico Napoli-Caserta), il Consorzio Ce-4, sotto indagine della procura di Napoli per legami con la camorra, infine Colleferro, alle porte di Roma, una delle discariche più grandi d'Europa. Infine, alcune aziende portano il proprio percolato a Termoli: la Ecologica Sud di Calvizzano (Napoli), l'Ecoambiente di Casoria (Napoli) e l'Agecos di Foggia, di Rocco Bonasissa, arrestato il 7 dicembre 2009

per reati legati all'inquinamento ambientale in alcune discariche da lui gestite, molte delle quali chiuse in via preventiva dalle autorità;
alcuni cittadini molisani hanno dichiarato alla stampa di avere assistito all'arrivo dei camion nell'area industriale di Pozzilli-Venafro, altri all'ingresso delle autobotti nella discarica di Tufo Colonoco in piena notte, altri ancora di aver notato camion, con gli inconfondibili colori giallo-rossi della ditta Caturano, disperdersi tra la Trignina e la Bifernina o entrare nell'impianto depuratore, nonostante la smentita della Cosib sulla possibilità che Caturano sia un committente;
sulla ditta Caturano di Maddaloni (Caserta) si sono rivolte le attenzioni degli investigatori campani in indagini passate sullo smaltimento illegale dei rifiuti e più di recente in un'indagine della direzione distrettuale antimafia in corso, secondo quanto appreso da fonti giornalistiche. Il nome di questa ditta è stato fatto dal pentito Raffaele Piccolo, braccio destro e cassiere del gruppo Schiavone fino al 2009, a proposito di un elenco di imprese prestanome o socie in affari del clan. Anche Emilio di Caterino, collaboratore di giustizia del clan Bidognetti, cita la ditta Caturano. Nonostante la condanna del responsabile, la società Veca Sud (acronimo per Ventrone-Caturano) si è aggiudicata l'appalto del commissariato straordinario di Governo nel 2009 per il trasporto delle ceneri del termovalorizzatore di Acerra. Nel luglio 2010, inoltre, la ditta è stata scoperta dai Nas mentre utilizzava container contaminati dalle ceneri per il trasporto del mais proveniente da Veneto ed Emilia Romagna e destinato ai mangimifici del centro-sud;
in seguito alla pubblicazione delle inchieste citate sulla rivista Primonumero.it, poi in parte riprese dal quotidiano Il Mattino, il sindaco di Termoli, Antonio Di Brino, ha affermato di essere stato all'oscuro di questo ampliamento dell'azione del depuratore e di aver attivato tutte le procedure necessarie ad avere tutte le informazioni e i chiarimenti per tranquillizzare la popolazione. Il gruppo consiliare di minoranza ha inoltrato una richiesta di accesso agli atti del depuratore, ma il Consorzio ha risposto negativamente, motivando tale posizione con il fatto che i dati sui rifiuti possono essere messi a disposizione solo all'autorità di controllo competente;
il presidente del Cosib, Antonio Del Torto, ha comunicato che smentirà il contenuto dell'inchiesta solo davanti all'autorità giudiziaria e ha annunciato una querela nei confronti degli autori;
la questione del depuratore di Termoli non è l'unico motivo di preoccupazioni fondate e legittime dei cittadini molisani, che sono impegnati in queste settimane in altre proteste civiche a difesa dell'ambiente e contro le infiltrazioni della criminalità organizzata;
a montagano si è installato un presidio permanente promosso da 97 associazioni molisane contro l'ampliamento della discarica e la costruzione di un inceneritore. Le associazioni sostengono che la popolazione molisana, attualmente, produce non più di un decimo dei rifiuti che gli impianti della regione sono in grado di smaltire. La preoccupazione legittima è quindi che nel nome dell'ottenimento di profitto dallo smaltimento di rifiuti provenienti dall'esterno si continui un'operazione di ampliamento degli impianti con gravi rischi per la salute dei cittadini, soprattutto viste le ombre presenti su discariche e depuratore già in funzione;
anche la produzione di energia alternativa in Molise sta destando preoccupazioni per l'impatto ambientale e per la presenza di interessi criminali. La legge regionale n. 22 del 7 agosto 2009 ha aperto la possibilità di installare sul territorio impianti per la produzione di energia alternativa. In breve tempo sono state concesse autorizzazioni per l'installazione di 5000 pale eoliche su una regione con la superficie totale di 4000 chilometri quadrati. La regione dispone già di 430 torri

eoliche, che insieme alla centrale turbogas di Termoli producono energia sufficiente a soddisfare il fabbisogno del Molise e di alcuni comuni vicini. Le domande per i nuovi impianti eolici sono già state presentate per due terzi dei comuni molisani, aggiungendo 3.030 pale a quelle già presenti, per un totale di una ogni 1,4 chilometri quadrati. Dirigenti del PD del Molise assicurano che con questa operazione ci saranno profitti per le imprese coinvolte fino a 4 miliardi di euro l'anno. Attualmente, secondo i dati forniti dall'assessorato all'ambiente della regione Molise, le aziende che hanno presentato domanda per la realizzazione di impianti eolici sono 43, molte delle quali vengono dalla dalla Calabria, dalla Sicilia e dalla Sardegna, e secondo le associazioni in protesta c'è il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata;
il 7 agosto 2010 due automezzi di un'azienda che trasporta torri eoliche sono stati dati alle fiamme a Guardiaregia e nonostante sia stato scritto, che si è trattato di un «corto circuito», cresce la preoccupazione che si tratti invece di intimidazioni da parte di clan malavitosi nei confronti di «concorrenti» nel settore eolico;
il 3 novembre 2010, con la sentenza n. 07761/2010, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso della ditta Essebiesse Power srl contro il Ministero per i beni culturali inerente all'installazione di 16 torri eoliche nella valle del Tammaro a ridosso dell'area archeologica Saepinum-Altilia. Nonostante le proteste delle associazioni molisane, che hanno raccolto in pochi giorni 2500 firme contro la creazione di questo impianto, la sentenza del Consiglio di Stato dà il via libera all'azienda. Anche questa vicenda lascia dubbi e perplessità sugli interessi che si stanno muovendo in Molise attorno al settore ambientale ed energetico, con conseguenze ancora sconosciute per la salute della popolazione e le devastazioni ambientali che ne conseguiranno -:
quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di raccogliere tutte le informazioni, di svolgere tutte le attività di contrasto ad eventuali attività criminose connesse allo smaltimento dei rifiuti nel depuratore di Termoli e nell'area circostante, con particolare riferimento a possibili sversamenti abusivi nella zona tra la Bifernina e la Trignina di fare piena luce sull'eventuale presenza di imprese legate ad interessi della criminalità organizzata.
(4-09414)

TESTO AGGIORNATO AL 16 NOVEMBRE 2010

...

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:

CALLEGARI, CHIAPPORI e STUCCHI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 19 del regolamento (CE) n. 1967/2006 del Consiglio prevede che gli Stati membri adottino dei piani di gestione nazionale per le attività di pesca;
la regione Liguria ha approvato i piani di gestione per l'utilizzo della sciabica da natante per la pesca del rossetto e del bianchetto;
in riferimento alle specie del rossetto con le predette modalità, la pesca è consentita esclusivamente nel periodo compreso tra il primo novembre e il trentuno marzo di ogni anno;
la Commissione europea sottoporrà ad un comitato specifico il piano di gestione nazionale della pesca nella regione Liguria e tale organo potrebbe pertanto emettere una valutazione solo dopo l'inizio del mese di novembre;
un'eventuale riduzione del periodo di pesca concesso dalla normativa andrebbe ad aggravare la già pesante situazione di crisi che, negli ultimi anni, ha colpito il settore, cagionando ulteriori danni economici ai pescatori -:
quale sia l'impegno del Ministero in riferimento alla questione di cui in premessa

e se intenda prendere in esame la possibilità di sottoporre ad approvazione il piano di gestione nazionale con tempistiche tali che una valutazione possa giungere in tempo utile, al fine di consentire l'inizio della pesca per l'inizio del mese di novembre 2010.
(4-09392)

...

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta Terra del 4 novembre 2010, l'acqua che esce dai rubinetti di Velletri sarebbe contaminata da arsenico e le istituzioni non avrebbero dato l'allarme;
«La presenza di questo come di altri metalli nell'acqua distribuita per uso umano è documentata da almeno 5 anni» spiega Astrid Lima, portavoce del comitato Acqua pubblica di Velletri. Dal 2006 al 2008 la questione venne liquidata con un'ordinanza del sindaco. «Per più di due anni l'acqua è stata erogata con parametri fuori dai limiti di legge senza nessuna deroga - precisa Lima -. Né il ministero della Salute, né la Regione Lazio rilasciarono, infatti, le autorizzazioni necessarie». La prima e unica deroga concessa per il comune di Velletri è stata decretata dal presidente della regione Lazio il 21 aprile del 2009. La scadenza era previste alcuni mesi dopo, ma il 30 dicembre dello stesso anno, su proposta del Ministero della salute, con un ulteriore decreto il presidente della regione ha prorogato la scadenza a data da destinarsi;
«La legge 31 del 2001 e la direttiva Ue del 1998 sulla qualità dell'acqua non prevedono però lo slittamento della scadenza per questo tipo di deroghe - spiega la portavoce del comitato -. Attualmente dunque non esiste una deroga su questi parametri, poiché sulla richiesta della regione Lazio dovrà pronunciarsi la Commissione europea»;
in un dettagliato dossier intitolato «Il libro nero delle acque», presentato a Velletri, il Comitato cittadino ha ricostruito i passaggi fondamentali di una vicenda che riguarda il territorio dei Castelli romani ormai da tempo. «L'intossicazione cronica, ovvero l'assunzione anche a minime dosi per lunghi periodi di tempo, dell'Arsenico è una delle più conosciute cause di tumori - si legge nel documento -. Attualmente il limite di legge è di 10 microgrammi per litro, ma l'Organismo mondiale della sanità e l'Unione europea stanno valutando la riduzione ulteriore di questo parametro, portandolo a cifre vicine allo zero»;
in tutt'altra direzione si stanno muovendo, invece, le istituzioni, per quel che riguarda il caso di Velletri: i cittadini lamentano una politica «basata sulla deroga» e la mancanza dei necessari interventi da parte del gestore idrico. «Nel programma presentato alla Regione nel 2008, quando Acea ha chiesto e ottenuto il decreto di deroga ai limiti di legge - dice Astrid Lima -, il gestore si impegnò a risolvere il problema dell'arsenico in buona parte entro il 2009. Le promesse però sono rimaste sulla carta». Il comitato denuncia pure l'assoluta mancanza di collaborazione da parte dell'azienda sanitaria locale, la Asl-Rmh, che ad oggi, nonostante l'insistenza della popolazione, non si è ancora resa disponibile a rendere pubblici i dati relativi all'analisi delle acque. I cittadini non si arrendono e l'acqua spesso la controllano da soli. Ci sono zone della città come piazza Mazzini e Contrada Rioli dove la percentuale di arsenico sarebbe cresciuta rispetto all'anno precedente. «In località Ponte di ferro - spiega il portavoce del Comitato - è stata riscontrata una concentrazione pari a 75 microgrammi!». A via Lata, invece, nei pressi di una fonte dove spesso si creano delle piccole code perché i cittadini sono soliti riempire delle bottiglie da portarsi a casa,

l'Arpa ha evidenziato una concentrazione di ben 57 microgrammi. «Quando lo abbiamo saputo - racconta Astrid Lima - ci siamo immediatamente recati sul posto per affiggere degli avvisi. Ma il gesto non è stato apprezzato, e ora sulle nostre teste pende una denuncia per procurato allarme». Sull'acqua però non si scherza, «i cittadini hanno il diritto di sapere che acqua stanno bevendo - conclude la portavoce del comitato -, l'accesso ai dati deve essere garantito cosi come i controlli» -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda e di quali ulteriori dati disponga;
quali iniziative il Ministro ritenga opportuno avviare per rendere pubblici i dati relativi alle analisi, non solo nell'area considerata ma anche nei comuni circostanti;
se non ritenga, infine, opportuno avviare un'indagine epidemiologica sul rischio tumori nell'area considerata.
(4-09412)

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:

PELUFFO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
da notizie apparse sulla stampa risulta che nelle casse del gruppo Profit spa, editore di Odeon Tv, Telereporter, Telecampione, Canale 10 (Toscana) e TeleGenova (Liguria) con circa 160 dipendenti, non vi sia più liquidità per onorare le scadenze tra cui 22 milioni di euro con fornitori e 38 milioni con banche;
il proprietario del gruppo Profit spa, Raimondo Lagostena, tuttora detentore del 100 per cento assieme alla moglie Tiziana Grilli, appare non in grado di poter trovare una soluzione per risanare la società sia per le vicende giudiziarie che lo hanno visto coinvolto per tangenti corrisposte all'ex assessore regionale lombardo Gianni Prosperini concluso con il patteggiamento a due anni 11 mesi, sia per l'impossibilità di ricapitalizzare la holding, che solo lo scorso anno ha registrato 43,4 milioni di perdite;
dopo le vicende giudiziarie del fondatore di Profit spa Raimondo Lagostena, si è avviato un processo di riorganizzazione del gruppo che a febbraio 2010 ha portato alla nomina, in accordo con le banche creditrici, di un nuovo consiglio di amministrazione, presidente l'avvocato Munari e amministratore delegato il professor Carlo Bassi;
a luglio 2010 dal nuovo consiglio di amministrazione viene presentato un piano industriale che ha riscosso da subito gli apprezzamenti delle banche, piano presentato alle parti sociali solo nelle linee guida;
il piano tra l'altro prevedeva investimenti anche della proprietà, ma non risulta mai eseguito, determinando le conseguenti dimissioni di Bassi e di tutto il consiglio di amministrazione;
il 2 ottobre 2010 la proprietà provvede a nominare un nuovo consiglio di amministrazione presieduto dall'avvocato milanese Discepolo, che ad oggi non ha ancora presentato un nuovo piano di rilancio industriale -:
se corrispondono al vero le notizie apparse sulla stampa e quali iniziative si intendano intraprendere affinché venga garantito ai 160 lavoratori il posto di lavoro e tutto ciò che spetta loro a livello economico;
se non ritenga opportuno convocare la proprietà e le parti sociali per trovare una soluzione, che da tempo si sta cercando senza alcuna concretezza, utile per dare impulso per un nuovo piano di rilancio industriale o riprendere e attuare il piano industriale precedentemente presentato

dall'amministratore delegato Bassi.
(3-01328)

Interrogazione a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta un servizio tratto dal programma televisivo Report del 2 novembre 2008, dopo l'alluvione del 2000 il borgo nella zona di Trino, in provincia di Vercelli, è stato evacuato. A poche decine di metri dal borgo si trova, sull'altra riva del Po, la centrale nucleare: ha resistito a tutte le alluvioni, ha cominciato a produrre energia nel 1964. Tuttavia, complessivamente, ha funzionato solo per 13 anni perché per altri 9 è stata ferma per manutenzioni straordinarie. Eppure sono stati sufficienti a produrre 2.800 fusti di rifiuti radioattivi, tutto materiale che avrebbe dovuto essere nel sito nazionale già da tempo. A questi rifiuti se ne aggiungeranno presto altri perché, se è vero che la centrale di Trino tra tutte è quella che è più avanti nel decommissioning, il cuore radioattivo è ancora tutto lì. Sotto uno schermo in acciaio si trova una piscina dove sono custoditi i 47 elementi di combustibile rimasti nell'impianto di Trino: uranio 235 e 239, plutonio, prodotti di fissione (cesio, stronzio), e altro. Tutto materiale che andrà trattato con precauzioni notevoli (tramite interventi sott'acqua) a causa delle componenti che hanno la maggiore pericolosità;
da sempre esiste il sospetto che la barriera costruita sul Po per favorire l'approvvigionamento idrico della centrale sia stata una delle cause delle continue alluvioni di Trino;
nel 2003 il Governo Berlusconi ha deciso di indennizzare gli enti locali per i disagi provocati dagli impianti nucleari. Finalmente nel 2008 arrivano i soldi. Secondo logica questi avrebbero dovuto essere ripartiti in base alla concentrazione di radioattività. Al Consorzio di Monferrato, che sostiene spese significative con continui carotaggi per garantire la qualità dell'acqua, non è arrivato un euro. Sono arrivati, invece, in Val Sesia, situata in montagna a 80 chilometri dagli impianti. A Saluggia, dove c'è il 90 per cento di concentrazione di radioattività, è arrivato spio il 30 per cento delle compensazioni, mentre a Trino, dove ce n'è un decimo, è arrivato più del 50 per cento;
a «Terre d'Acqua», una fondazione che si occupa di promozione turistica, sono stati destinati 2 milioni e 300 mila euro, cifra significativa in rapporto ai 3,6 milioni destinati, invece, al comune di Sessa Aurunca, provincia di Caserta, dove si trova la famosa centrale del Garigliano, che nel corso degli anni ha creato diversi problemi;
collocata nella campagna di Caserta, questa centrale è spenta dal 1978 a causa di un guasto a un generatore di vapore. Mentre l'Enel cercava di ripristinarla accadde l'imponderabile: «si stavano effettuando le attività per riattivare l'impianto - racconta Severino Alfieri, project manager di Latina e Garigliano - quando nel 1980, con il terremoto dell'Irpinia, è stata qualificata tutta la zona come zona sismica (prima non lo era). Pertanto, l'ente di controllo chiese una rivalutazione di tutto l'impianto dal punto di vista antisismico»: di conseguenza, economicamente, non era più conveniente riattivare l'impianto, che venne arrestato nonostante il rischio sismico sia tuttora presente;
sulla centrale svetta una ciminiera di 90 metri di altezza che mostra tutti i segni dell'abbandono. Da anni l'ente di controllo sul nucleare ha chiesto, invano, di abbatterla: la paura è che ceda schiantandosi sulla sfera che custodisce il reattore;
in 30 anni l'unico materiale radioattivo allontanato è stato il combustibile nucleare, trasferito a partire dagli anni Sessanta. Ora si trova in Inghilterra, nel sito di Sellafield: l'Italia, dalla fine degli

anni '60, sta pagando un affitto di circa un miliardo e 600 milioni di euro per poter lasciare le scorie agli inglesi. Inoltre, dal giorno del terremoto, un centinaio di persone veglia per controllare che la radioattività non esca dagli impianti. Tutto ciò costa circa 2 milioni di euro l'anno;
negli Stati Uniti esisteva una centrale gemella a quella di Garigliano (Big Rock Point, nel Michigan) che gli americani hanno chiuso nel 1997 e con 350 milioni di dollari hanno smantellata e trasformata in un parco. Per la centrale di Garigliano si dovrà attendere almeno il 2024, considerato che il progetto di smantellamento deve ancora essere approvato. Si parla di sessant'anni di spese per una centrale che ha lavorato appena 15 anni. In attesa che vengano approvate le pratiche si stanno ampliando gli accessi controllati agli impianti per poter fare entrare più persone alla volta: i costi di questi ampliamenti ammontano a 350 mila euro;
nei pressi della centrale in questione sono stati sepolti, in buste di plastica, 3 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media radioattività, perché non si sapeva cosa farne -:
se i Ministri siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa e di quali ulteriori dati dispongano;
quali cambiamenti siano intervenuti, a distanza di due anni, relativamente allo stato di smantellamento dei due siti nucleari considerati;
quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di avviare il recupero e la riqualificazione dei territori sui quali sorgono centrali nucleari abbandonate;
quale sia la situazione attuale nel nostro Paese riguardo ai siti nucleari dismessi;
quali iniziative intendano adottare riguardo alle scorie radioattive ancora presenti sul territorio e senza alcuna protezione;
per quali ragioni i fondi destinati nel 2003 agli enti locali danneggiati dalla presenza di impianti nucleari siano stati ripartiti secondo un criterio, ad avviso degli interroganti, scarsamente razionale che non ha tenuto conto delle effettive concentrazioni di radioattività.
(4-09401)

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Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Fedriga n. 4-08736, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 settembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Rainieri e Fava n. 4-08962, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 ottobre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Bitonci n. 4-08967, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 ottobre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Bitonci n. 4-08997, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 ottobre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi e Nicola Molteni n. 4-09092, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 ottobre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi n. 4-09192, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 ottobre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi n. 4-09211, pubblicata nell'allegato

B ai resoconti della seduta del 27 ottobre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Fugatti n. 4-09225, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 ottobre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Fugatti n. 4-09306, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Pini n. 4-09349, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta in commissione Ferranti e altri n. 5-03785, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 novembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Graziano.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza Calearo Ciman n. 2-00848 del 12 ottobre 2010.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in commissione Callegari e Chiappori n. 5-03614 del 19 ottobre 2010 in interrogazione a risposta scritta n. 4-09392.