XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di giovedì 21 ottobre 2010

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:

La Camera,
premesso che:
nei giorni scorsi alcuni familiari, mogli, figli, fratelli, di vittime delle Brigate rosse si sono visti recapitare, per posta, una convocazione in commissariato, per rispondere ad un quesito che è decisamente riduttivo definire intimo e doloroso: se hanno intenzione di perdonare chi ha ucciso;
sulla base delle risposte fornite ad un verbale di sommarie informazioni, in seguito debitamente analizzate, il magistrato, deciderà se concedere o meno la liberazione condizionale ad un ex terrorista che si è reso responsabile di terribili delitti, tra i quali può esserci anche l'assassinio di un congiunto della persona che viene direttamente chiamata ad esprimersi;
il motivo della «convocazione» in questo caso riguardava la richiesta di liberazione condizionale da parte di Prospero Gallinari, ex dirigente delle Brigate rosse, uno dei carcerieri di Aldo Moro;
Gallinari, arrestato nel 1979, condannato a svariati ergastoli, attualmente in regime di detenzione domiciliare perché il suo stato di salute è incompatibile con il carcere, ha scontato più di trent'anni, ha dunque maturato i termini per richiedere la liberazione condizionale, che è prevista per chi, condannato all'ergastolo, abbia scontato ventisei anni di reclusione e ha presentato la domanda per la liberazione condizionale al tribunale di sorveglianza di Bologna;
prima di decidere in merito il magistrato ha però ritenuto di interpellare, nel modo sopra descritto, i familiari delle vittime (si tratta di decine di persone, poiché Gallinari è stato condannato, oltre che per gli omicidi commessi materialmente da lui, anche per tutti quelli riconducibili alle Brigate rosse nel periodo in cui lui faceva parte degli organismi decisionali strategici dell'organizzazione terroristica, tra questi anche quello di Guido Rossa, operaio e sindacalista ucciso a Genova per aver denunciato la diffusione di volantini sospetti nel 1979);
anche la moglie di Guido Rossa, una signora di più di ottanta anni, ha ricevuto per posta la convocazione, ma al suo posto si è presentata la figlia Sabina, che ha comunicato alle autorità la sua intenzione di non fornire alcuna dichiarazione in merito alle richieste che le venivano rivolte, in quanto la richiesta in questione non è in alcun modo riferibile ad alcun articolo di legge, oltre a contestare nel metodo e nel merito la richiesta contenuta negli atti;
la vicenda suesposta è, però, purtroppo, solo l'ultima manifestazione di quella che il tribunale di Bologna, così come fanno molti altri tribunali, definisce una «prassi», ma che in realtà non ha alcun fondamento giuridico, in quanto liberissima interpretazione del concetto di «sicuro ravvedimento» previsto dal comma 1 dell'articolo 176 del codice penale, che disciplina la liberazione condizionale, un istituto che è, al contrario, fortemente permeato dalle finalità costituzionali relative alla rieducazione del detenuto attraverso il suo riavvicinamento alla società, riavvicinamento che deve essere perseguito per mezzo di percorsi individuali e valutato dai giudici secondo criteri oggettivi che non prevedono dunque, in alcun modo, il perdono della persona offesa;
negli anni sono stati moltissimi, infatti, i parenti delle vittime del terrorismo che si sono visti così pesantemente coinvolti: spesso questa cosiddetta «prassi» è consistita nell'invio di lettere di richiesta di perdono a congiunti di vittime di altri omicidi;
è facilmente immaginabile che cosa possa significare in termini di costi emotivi e di responsabilità «scaricare» sui parenti delle vittime una decisione che influirà in modo così determinante sul destino di

qualcuno che si è reso responsabile di fatti di tale gravità ma che, nella maggior parte dei casi, ha scontato trent'anni di galera, decisione che spetta, invece, solo ed esclusivamente al giudice,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa di competenza nel rispetto dell'operato della magistratura costituzionalmente garantito, affinché, nella valutazione relativa alla concessione della liberazione condizionale prevista dall'articolo 176 del codice penale, il requisito del sicuro ravvedimento non venga mai e in alcun modo valutato per mezzo di una prassi che coinvolge in modo pesante i parenti delle vittime e che non ha alcun fondamento nelle norme che disciplinano l'istituto.
(1-00461)
«D'Antona, Rossa, Realacci, Bertolini, Maurizio Turco, Santelli, Bressa, Bratti, Levi, Zaccaria, Tabacci, Iannuzzi, Cuomo, Veltroni, Pistelli, Peluffo, Rosato, Braga, Colombo, Damiano, Motta, Touadi, Tullo, Calvisi, Marrocu, Beltrandi, Di Pietro, Messina, Di Stanislao, Zazzera, Barbato, Porcino, Favia, Di Giuseppe, Rota, Monai, Borghesi, Leoluca Orlando, Palomba, Piffari, Paladini, Volontè, Lo Presti, Polidori, Moffa, Pezzotta, Lanzillotta, Lussana, Volpi, Rivolta, Cuperlo».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro del turismo, per sapere - premesso che:
l'articolo 7 del cosiddetto decreto Pisanu (n. 144 del 2005) prevede che in Italia «chiunque intende aprire un pubblico esercizio o un circolo privato di qualsiasi specie, nel quale sono posti a disposizione del pubblico, dei clienti o dei soci apparecchi terminali utilizzabili per le comunicazioni, anche telematiche, deve chiederne la licenza al questore» facendo del nostro Paese un caso unico nel mondo, portando gravi danni all'immagine e allo sviluppo del turismo. In pratica con questa norma qualunque pubblico esercizio - compresi bar, biblioteche, amministrazioni locali o sedi di associazioni e movimenti, deve chiedere una licenza preventiva al questore e - successivamente - procedere all'identificazione degli utilizzatori della connessione telematica previa esibizione di documento di identità conservandone una copia cartacea, assieme ad i dati «relativi alle attività di navigazione» per un periodo di 6 mesi prorogabili per altri 6;
l'articolo in questione è stato promulgato insieme ad altre norme tese a controllare attività sensibili per garantire la sicurezza del nostro Paese dal terrorismo, in seguito agli attentati negli USA (Torri Gemelle) e in Europa (Londra e Madrid) ma - paradossalmente - nessuno degli stati che sono maggiormente coinvolti nella lotta al terrorismo ha approvato dispositivi analoghi a quelli contenuti nel cosiddetto decreto Pisanu;
si rileva inoltre che in sede di discussione di una precedente interrogazione parlamentare il Ministero dell'interno ha detto che questa norma avrebbe portato ad importanti risultati nella lotta al terrorismo sia nazionale che internazionale e per il contrasto del fenomeno della pedopornografia. Se così è, sarebbe opportuno conoscerne i dati, visto che si tratta di una fatto sul quale è importante investigare e diffonderne i risultati, se così non è, sarebbe opportuno - in quanto ad oggi non si ha alcuna notizia su queste

indagini - sapere a cosa si riferisse il Ministro dell'interno in quella risposta;
in realtà questa norma ha avuto delle ricadute negative in termini di libera circolazione delle informazioni e in termini economici poiché - a causa degli obblighi derivanti dal cosiddetto decreto Pisanu - in Italia vi sono solo 4.200 punti (hot spot) che offrono connessione WI-FI, secondo i dati del Ministero dello sviluppo economico: il 20 per cento rispetto a quelli degli altri principali Paesi europei. La sola New York - vittima dell'attentato delle Torri Gemelle - ne conta da sola oltre mille;
si rileva che il presidente di Assinform, l'Associazione di Confindustria che raggruppa le aziende di information technology, ha recentemente dichiarato che «Il ritardo del Wi-Fi ha penalizzato l'alfabetizzazione informatica degli italiani e ha inciso anche sull'acquisto di pc e tablet», causando quindi un danno culturale ed economico;
inoltre un recente appello pubblicato sulla rivista l'Espresso che chiede di abrogare l'articolo 7 del cosiddetto decreto Pisanu è stato sottoscritto da membri di maggioranza e opposizione tra cui Deborah Bergamini (Pdl), Pierluigi Bersani (Pd), Pierferdinando Casini (Udc), Italo Bocchino (Fli), Benedetto Della Vedova (Fli), Antonio Di Pietro (Idv), Giovanni Fava (Lega Nord), Flavia Perina (Fli), Giorgio Clelio Stracquadanio (Pdl);
si rileva che la più penalizzante delle disposizioni contenute nel cosiddetto decreto Pisanu, relativamente all'obbligo di licenza da richiedersi al questore, scadrà il 31 dicembre 2010, ma, nonostante una larga contrarietà al suo rinnovo, negli scorsi anni l'inserimento di tale disposizione all'interno del cosiddetto decreto «milleproroghe» ha impedito una discussione in aula che portasse alla modifica o all'abrogazione della disposizione stessa;
lo stesso senatore Pisanu - estensore della norma - ha dichiarato recentemente «che le esigenze di sicurezza sono nel frattempo mutate e, dall'altro, che l'accesso ad Internet come agli altri benefici dello sviluppo tecnologico deve essere facilitato» -:
quali siano i dati in possesso del Ministero dell'interno sull'impatto dei dispositivi contenuti nella Pisanu come supporto delle attività investigative di contrasto al terrorismo nazionale e internazionale e del fenomeno della pedopornografia;
se i Ministeri dello sviluppo economico, il Ministero della semplificazione e il Ministero del turismo abbiano verificato l'impatto economico e culturale dell'applicazione di tale norma nei comparti di loro interesse, considerando le numerose verifiche compiute dalle associazioni di categoria;
se il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro della semplificazione e il Ministero del turismo assumeranno iniziative affinché non si rinnovino le disposizioni in scadenza il 31 dicembre 2010 contenute nell'articolo 7 del cosiddetto decreto Pisanu che obbligano i pubblici esercizi a richiedere una licenza al questore, non prevedendone il rinnovo nel cosiddetto decreto «milleproroghe», e, in caso negativo, in base a quali considerazioni.
(2-00868)
«Di Pietro, Donadi, Borghesi».

Interrogazione a risposta orale:

PAPA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
in una interrogazione del 13 luglio l'Onorevole Francesco Biava aveva esposto numerosi interrogativi circa la permanenza nel CONI della FIDASC, associazione di conduttori di cani, che tra le sue attività organizza prove con sparo a selvaggina, disciplina questa non prevista in alcuna manifestazione olimpica, integrando a questa sua attività alcune prove

di tiro al piattello tentando così di sovrapporsi all'attività della FITAV, Federazione italiana tiro a volo;
due giorni prima la Padania, organo ufficiale della Lega Nord, in un'approfondita e documentata inchiesta dal titolo già di per sé esplicativo «Caro Ministro, che fine fanno i fondi CONI?» aveva sollevato seri dubbi sulla liceità e congruità della permanenza della FIDASC nel CONI e sul finanziamento da questi erogato sotto forma anche di servizi;
il 15 settembre 2010 con una dettagliata interrogazione l'interrogante chiedeva ulteriori delucidazioni sulla FIDASC affermandone fra l'altro l'incompatibilità con le altre discipline olimpiche a cui era palesemente estranea;
sarebbe opportuno far terminare la presenza della FIDASC nel CONI essendo per l'interrogante una incongrua ed evidente presenza del mondo della caccia come già esemplificato nell'interrogazione dell'onorevole Biava. Il presidente della FIDASC, Felice Buglione, è Presidente dei cacciatori della federazione italiana della caccia in Campania, il Vicepresidente vicario della FIDASC Domenico Coradeschi è Presidente Federazione italiana della caccia di Arezzo e conduttore e titolare di una azienda faunistica nei pressi di Sansepolcro dove avvengono prove e manifestazioni FIDASC e uccisioni di cinghiali, daini, caprioli, cervi e fagiani, e altri alti dirigenti FIDASC sono in organico ad associazioni di cacciatori e di fabbricanti di armi -:
quando la FIDASC venne inserita nel CONI sostituì la Federazione italiana della caccia, oggi presieduta da Gianluca Dall'Olio;
se il Governo non intenda richiedere al CONI dettagliata relazione sui finanziamenti erogati dal CONI medesimo alla FIDASC sia per l'anno 2009 che in quelli precedenti;
quali iniziative, per quanto di competenza intenda assumere con riferimento a quanto riportato in premessa.
(3-01295)

Interrogazione a risposta in Commissione:

BELLANOVA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
in data 15 settembre 2010 l'interrogante ha presentato un'interrogazione ai Ministri interrogati per intervenire con urgenza sulla questione che interessa la chiusura dell'unico sito italiano della British American Tobacco presente nella città di Lecce, invitando gli stessi ad intervenire per scongiurare una scelta devastante per il territorio salentino e per riaffermare il mantenimento del sito e della produzione tabacchicola sul territorio salentino ed italiano. A questo atto di controllo ancora non è stata fornita alcuna risposta in merito;
il 25 settembre 2010 presso la prefettura di Lecce si è tenuto un incontro al quale sono stati invitati i deputati salentini, i consiglieri regionali pugliesi, il presidente della provincia di Lecce, il sindaco di Lecce con l'assessore alle attività economiche e produttive della città, le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil e Cisal, il presidente di Confindustria Lecce, il presidente della camera di commercio di Lecce, il presidente della regione Puglia, il Ministro per gli affari regionali. Nel suddetto incontro si è richiesto, fatte salve le assenze, di «promuovere, nel più breve tempo possibile, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un momento di confronto tra tutte le parti interessate al fine di contrastare nei modi e nei termini più opportuni la decisione della BAT volta a delocalizzare la produzione di sigarette dallo stabilimento di Lecce presso altri siti non nazionali, e così da scongiurare l'interruzione della produzione nazionale nel settore con la conseguente espulsione dal mercato del lavoro di circa 400 addetti»;
nelle date del 5 e 6 ottobre 2010 si è tenuto un incontro tra la dirigenza della multinazionale BAT e le segreterie nazionali delle organizzazioni sindacali FAI-Cisl,

FLAI-Cgil e UILA-Uil volto ad affrontare il tema della chiusura dello stabilimento leccese;
la multinazionale ha comunque illustrato alle organizzazioni sindacali presenti il piano di riconversione, volto a loro dire, a salvaguardare la manodopera. Dal resoconto dell'incontro si apprende che due sarebbero le società indicate sul piano di riconversione dello stabilimento leccese: la società Iacobucci HF e la società Korus srl;
dal medesimo piano sembrerebbe che la società Iacobucci HF, operante nel settore della componentistica degli aerei avendo esigenza di una nuova unità produttiva per far fronte alle crescenti richieste di mercato si sarebbe impegnata ad assumere 150 lavoratori a tempo indeterminato. La società Korus srl, operante nel settore dei profilati di alluminio e dislocata soprattutto nel centro-nord Italia, invece, avendo esigenza di espandersi commercialmente anche al sud Italia si sarebbe impegnata ad assumere a tempo indeterminato 60 unità lavorative. Per le restanti unità lavorative, non direttamente dipendenti dalla società BAT ma che risultano operanti all'interno dello stabilimento a vario titolo (appalti, interinali) le soluzioni prospettate sarebbero indicate in mansioni di cucina, mensa, portineria per 40 lavoratori che a dire della multinazionale sarebbero assunti dalle società che rilevano i relativi appalti ed inoltre per le restanti unità si parlerebbe dell'interessamento della società Call-Gest, gestore di call-center che sembrerebbe essere disposta ad assumere il restante personale a tempo indeterminato;
va inoltre aggiunto che sempre nel suddetto piano di riconversione, presentato dalla società BAT, viene assunto come termine ultimo per gli impegni assunti dalle società il giorno 20 novembre 2010, data entro la quale le parti dovrebbero sottoscrivere l'accordo;
da articoli di stampa si apprende che la società Korus srl, ed il suo attuale amministratore Filippo Piccone, sarebbero balzati sulle pagine di cronaca in merito alla ricostruzione degli alloggi a L'Aquila nella fase post terremoto per il progetto case. Nello specifico Korus srl svolge parte attiva nel progetto case del dipartimento della Protezione Civile per la costruzione di 4.700 alloggi. Nel mese di luglio 2009, sembrerebbe a seguito dell'arresto di un latitante all'interno di uno stabilimento di un'azienda aggiudicataria di un appalto e a seguito di accertamenti delle forze dell'ordine vengono individuate 132 aziende sospettate del reato di subappalto non autorizzato. Il quotidiano Terranews scrive «nella lista di aziende subappaltatrici figura la Korus srl impresa di cui è amministratore e socio unico il senatore Filippo Piccone. Un affare ottenuto per chiamata diretta, scavalcando le leggi ordinarie con la scusa dell'emergenza». Sempre da articoli di stampa si apprende che il senatore Filippo Piccone sarebbe socio anche della Rivalutazione Trara srl, di cui sembrerebbe essere socio anche il signor Dante Di Marco al quale la prefettura avrebbe ritirato il certificato antimafia;
va inoltre sottolineato, e nel caso della questione BAT non è certo irrilevante poiché si tratta di ricollocare manodopera, che il 22 luglio 2010 la Korus srl ha attivato la procedura di mobilità per 20 dei suoi 90 dipendenti e tra le motivazioni compare il calo di commesse;
a destare poi ancora più incertezze su questo piano di riconversione, emerge una strana casualità, vale a dire che proprio Korus srl sarebbe citata tra i fondatori e gli aderenti della Fondazione Magna Carta tra i quali risulta anche la British American Tobacco Italia spa, il cui presidente del consiglio di amministrazione, dottor Francesco Valli, risulta essere anche Presidente della succitata Fondazione;
è peraltro elemento noto e non trascurabile che i lavoratori oggi presenti nel sito leccese della BAT sono professionalizzati per la produzione di sigarette, utilizzando macchinari anche tecnologicamente all'avanguardia. La riconversione messa in atto dalla multinazionale vorrebbe

dire formare nuovamente lo stesso personale per la produzione di altro materiale con un'aggiunta di costi molto più alta;
il 20 settembre 2009 si apprende dalla stampa che una società torinese, la Yesmoke, che gestisce un'azienda privata di sigarette sembrerebbe avesse avanzato l'ipotesi di una proposta per subentrare nella proprietà e rilevare lo stabilimento della BAT a Lecce. Sempre dalla stampa si apprende che la stessa società avrebbe inviato una lettera, riservata, all'attenzione del sindaco del comune di Lecce e del presidente della provincia di Lecce affinché i due enti intervenissero su un positivo riscontro per la cessione del sito, senza tuttavia ricevere risposta -:
se non ritengano di intervenire con urgenza per verificare quanto esposto in premessa esercitando le proprie funzioni per impedire la chiusura dello stabilimento leccese, nel quale lavorano centinaia di lavoratori e che ha un risultato economico operativo positivo;
quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di assicurare la tutela dei livelli occupazionali al tempo stesso garantendo che le imprese eventualmente interessate all'operazione risultino estranee ad ogni forma di illecito e in regola con la certificazione antimafia, questione di particolare rilevanza in un territorio quale quello salentino.
(5-03652)

Interrogazioni a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il 6 ottobre 2010 il Corriere della Sera, a pagina 29, e il sito internet www.corriere.it riportavano la notizia secondo la quale l'Inps avrebbe inviato, nel corso della settimana successiva «circa 4 milioni di lettere ai parasubordinati, dopo quelle spedite a luglio ai lavoratori dipendenti, per spiegare come consultare on line la posizione previdenziale personale, vedere cioè i contributi che risultano versati. Lo ha detto ieri il presidente, Antonio Mastrapasqua, in un convegno di Ania e Consumatori. Lo stesso Mastrapasqua ha confermato che non sarà invece possibile per il lavoratore simulare sullo stesso sito quella che dovrebbe essere la sua pensione, anche perché, ha aggiunto con una battuta che però nasconde un fondo di verità, «se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale». Col sistema contributivo i trattamenti maturati da collaboratori e consulenti spesso non arrivano alla pensione minima. Il presidente dell'Ania, Fabio Cerchiai, pur condividendo una certa cautela ha chiesto di andare verso un'informazione completa, per rendere consapevoli i giovani della necessità di integrare la pensione pubblica»;
la stessa notizia, è stata ripresa e approfondita il 13 ottobre 2010 dal sito internet www.repubblica.it (articolo firmato da Federico Pace nella sezione MioJob) e da Il Fatto Quotidiano (articolo firmato da Eleonora Bianchini), non è stata smentita dal presidente - nonché, al tempo stesso, commissario straordinario dell'ente previdenziale - Antonio Mastrapasqua;
l'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 35, ha istituito presso l'Inps, a decorrere dal 1o gennaio 1996, una Cassa pensionistica (Gestione separata) per i lavoratori atipici (cosiddetti parasubordinati);
per i lavoratori suddetti si previde una aliquota contributiva (fonte del finanziamento della Cassa) che a regime avrebbe dovuto essere del 19,5 per cento, a fronte di una aliquota di computo (si tratta, nel metodo di calcolo contributivo, dell'accredito virtuale, anch'esso percentuale della retribuzione, necessario per determinare il montante sul quale conteggiare

l'importo della pensione), che avrebbe dovuto essere, sempre a regime, del 20 per cento;
secondo quanto sostenuto dal professor Giuliano Cazzola nel volume Lavoro e welfare: giovani versus anziani, nella XIV Legislatura «il governo Berlusconi - sì, proprio quello che voleva rappresentare le partite Iva - al solo scopo di "fare cassa" ha pensato bene di accelerare, con decreto legge, l'andata a regime (inizialmente prevista per il 2014) dell'aliquota piena... consentendo alla Gestione pensionistica presso l'Inps di accumulare enormi saldi attivi "usati per pagare le pensioni dei lavoratori dipendenti e degli autonomi... La Gestione dei lavoratori parasubordinati presso l'Inps è divenuta ormai la gallina dalle uova d'oro" dell'Inps, "la "fabbrica" delle nostre pensioni (e non solo). Dal 1996 (l'anno della sua istituzione)» al 2004 «ha accumulato una situazione patrimoniale pari a 18 miliardi di euro. I suoi saldi di esercizio (dal momento che incassa fior di contributi e paga poche pensioni)... sono in attivo per alcuni miliardi di euro l'anno... Essendo quello dell'Inps un bilancio unico sono ammessi i trasferimenti da una gestione all'altra, sia pure col riconoscimento di un saggio d'interesse formale, che nessuno si incaricherà mai di pagare né di riscuotere, perché si tratta sempre di partite sostanzialmente virtuali, tanto in dare quanto in avere... Con i versamenti dei lavoratori attivi si pagano le pensioni in essere, mentre lo Stato garantisce che il ciclo si ripeterà, in futuro, quando gli attivi di oggi saranno in pensione domani... Pertanto non vi è alcun accantonamento di risorse reali (esse vengono puntualmente usate per altre finalità), ma solo per il riconoscimento di crediti, che saranno esigibili se, al momento giusto, il sistema potrà onorare gli impegni»;
l'articolo 1, comma 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 247 («Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale»), con riferimento agli iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, che non risultino assicurati presso altre forme obbligatorie, ha stabilito l'aliquota contributiva pensionistica e la relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni pensionistiche in misura pari al 24 per cento per l'anno 2008, in misura pari al 25 per cento per l'anno 2009 e in misura pari al 26 per cento a decorrere dall'anno 2010;
la legge n. 247 del 2007 è anche intervenuta (articolo 1, comma 2) sui requisiti necessari per conseguire la pensione di anzianità, confermando che per conseguire il diritto all'accesso al trattamento pensionistico suddetto è necessario avere una anzianità contributiva di almeno 35 anni;
i lavoratori parasubordinati sono quelli che con maggiore difficoltà possono raggiungere i 35 anni di anzianità contributiva minima: si entra sempre più tardi nel mercato del lavoro, e sempre più il lavoro assume forme precarie e intermittenti. Il risultato è doppiamente negativo e iniquo: da una parte, l'età effettiva di pensionamento per queste persone è evidentemente molto più elevata rispetto a quella degli altri lavoratori; dall'altra, coloro che non riescono a conseguire l'anzianità contributiva minima prescritta dalla legge (cosiddetti «silenti»), oltre a non poter accedere alla pensione di anzianità, perdono i contributi versati (sulla base, tra l'altro, di una aliquota altissima, pari a un quarto dello stipendio), che sono utilizzati per pagare le pensioni altrui;
nella stessa situazione si trovano anche coloro che appartengono a professioni il cui esercizio non è regolato da ordini professionali -:
se le dichiarazioni rilasciate dal dottor Mastrapasqua, e in particolare quella in cui dice «se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati

rischieremmo un sommovimento sociale», rispondano al vero;
se il Governo abbia già acquisito o, in caso contrario, se intenda acquisire con urgenza la suddetta simulazione, per metterla a disposizione del Parlamento e di tutti i cittadini italiani;
quale sia la distribuzione dei lavorativi attivi non pensionati per età e classi di anzianità contributiva;
a quanto ammontino i «contributi silenti», ovvero quei contributi previdenziali versati senza che gli stessi abbiano dato luogo alla maturazione di un corrispondente trattamento pensionistico, e quali misure il governo intenda adottare per risolvere il problema;
a quanto si preveda che ammonteranno i contributi silenti nei prossimi anni, a fronte delle difficoltà che i lavoratori parasubordinati avranno nel raggiungere i requisiti necessari per accedere ai trattamenti pensionistici;
se intenda comunicare i dati relativi all'ammontare complessivo e all'utilizzo, da parte dell'Inps, dei contributi versati dai lavoratori iscritti alla Gestione separata istituita dall'articolo 2, comma 26, della legge n. 35 del 1995.
(4-09125)

ZACCHERA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
l'istituzione di un'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni fu salutata come una grande vittoria civile, nel senso che i cittadini avrebbero potuto contare su un'istituzione a loro tutela;
l'interrogante si è rivolto a tale Autorità per un caso personale, fornendo tutta la documentazione dovuta e nei modi richiesti, ma a distanza di alcuni mesi non ha avuto alcun riscontro neppure di ricevimento dell'esposto, a parte la ricevuta di ritorno per l'avvenuto invio postale della documentazione, e teme che questa sia una prassi generalizzata in relazione ad esposti presentati dai cittadini;
pur senza voler sindacare l'autonomia gestionale dell'Autorità, appare necessario che il legislatore acquisisca il maggior numero di elementi in ordine al personale ed ai costi dell'Autorità, anche considerando che l'articolo 1 della legge 31 luglio 1997, n. 249, prevede, tra l'altro, al comma 17, che la definitiva determinazione della pianta organica dell'Autorità medesima è effettuata «con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro delle comunicazioni di concerto con il Ministro del tesoro e con il Ministro per la funzione pubblica, su parere conforme dell'Autorità»;
la relazione annuale 2010 sull'attività svolta e sui programmi di lavoro, presentata dall'Autorità ai sensi dell'articolo 1, comma 6, lettera c), n. 12, della citata legge n. 249 del 1997, reca alcuni dati aggregati concernenti, tra l'altro, le risorse umane e finanziarie e la situazione di bilancio, che, ad avviso dell'interrogante, andrebbero approfonditi, anche al fine di meglio valutare i profili organizzativi e gestionali e le eventuali criticità -:
quale sia il costo complessivo della struttura afferente all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, indicando, ove tali dati siano disponibili, quanto personale, a qualsiasi titolo, sia alle dipendenze di detta struttura e quanti siano ogni anno i casi segnalati dai cittadini e quanti quelli trattati e con quali risultati, e se risulti quale sia la retribuzione annua dei membri dell'Autorità medesima.
(4-09133)

TOTO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
molteplici provvedimenti del commissario ad acta per la realizzazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanità della regione Abruzzo, in materia di sanità, sono stati impugnati innanzi alla

giustizia amministrativa con l'effetto, nella gran parte dei casi, dell'annullamento, totale o parziale, di quei medesimi atti;
un ulteriore gravame, contro commissario ad acta e regione Abruzzo, è stato opposto al «silenzio serbato dalle amministrazioni sull'istanza di accesso in data 14-16 settembre 2009» prodotta da singole case di cura private e dall'AIOP, l'associazione di categoria che riunisce le case di cura istanti, con la quale, tra l'altro, veniva chiesto di acquisire, è detto nella sentenza relativa, n. 63/2010, pronunciata dal TAR Abruzzo in data 13 gennaio 2010, «copia integrale degli accordi negoziali sottoscritti per l'esercizio 2009 tra l'azienda USL di Avezzano-Sulmona e le case di cura ricadenti nel proprio territorio. L'istanza era espressamente giustificata alla stregua del contenzioso in essere tra le case di cura e le Amministrazioni sollecitate, contenzioso inerente la determinazione dei tetti di spesa (budget) assegnati annualmente e, da ultimo, i provvedimenti assunti dal Commissario recanti delega alle aziende USL per l'esercizio delle prerogative in materia di contrattazione con le singole case di cura». L'accesso era, in sostanza, «finalizzato allo scopo di "verificare la legittimità del relativo procedimento e la corretta allocazione delle risorse"». «L'istanza in menzione non era riscontrata in alcun modo» e ne seguiva, giustappunto, il ricorso dei proponenti al Tribunale amministrativo regionale dell'Abruzzo;
il TAR predetto, in data 13 gennaio 2010, con la citata sentenza n. 63/2010, si pronunciava accogliendo il ricorso delle case di cura e della loro associazione di categoria per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio loro opposto a fronte dell'istanza prodotta, come riferito, e per il riconoscimento del diritto ad accedere agli atti richiesti, in relazione al quale era fatto ordine «atta regione Abruzzo, al Commissario ad acta e alla ASL Avezzano-Sulmona, ciascuna per quanto di competenza, di consentire alle ricorrenti l'accesso agli atti richiesti...»;
detta sentenza, da un lato, non risulta essere stata ottemperata e, dall'altro lato, nemmeno appellata da parte soccombente, talché ne risulta un gravissimo vulnus all'immagine e alla sostanza della giustizia sostanziale, disattesa da chi avrebbe non solo l'obbligo giuridico di attenersi alle sue declaratorie ma anche quello etico di corrispondervi con immediatezza o di attivare le difese regolamentate dalle norme procedurali nel rispetto di ogni principio dato;
non ottemperare a sentenza comunque pronunciate in nome del popolo italiano, da un lato, e neppure opporsi, in sede di impugnazione, alla sentenza medesima, è atto che all'interrogante appare inqualificabile e dovrebbe incontrare severissime censure da parte del sistema, indipendentemente dai rimedi offerti dalla procedura codificata in tema di ottemperanza; ciò non solo per le potenziali ricadute negative, anche di natura erariale, in danno della pubblica amministrazione o per i riverberi, in ipotesi complessi e pregiudizievoli, sull'organizzazione del settore interessato alle pronunce giurisdizionali, ma per il sacrale principio di rispetto delle norme in particolare quando vengono coinvolti, in relazione alle stesse, rapporti tra la pubblica amministrazione e soggetti a essa estranea ma che dalla condotta della medesima dovrebbero costantemente percepire e riscontrare uno zelante, scrupoloso, pronto ossequio alle regole date, in particolare a quella dettata dalla Costituzione nell'articolo 97, comma 1, perché «siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione», utilmente sostenendo, in siffatto modo, il prestigio e l'autorevolezza dell'immagine della pubblica amministrazione medesima;
in senso più specifico, è lecito porsi la questione della possibile incidenza, almeno in via astratta, del denegato accesso agli atti richiesti dai soggetti in capo ai quali il tribunale amministrativo adito ha, invece, riconosciuto il relativo diritto e della conseguente inibizione, a danno dei

medesimi soggetti, dell'utilizzo di quegli atti «per l'eventuale difesa delle proprie ragioni in sede giurisdizionale», sulle decisioni assunte, in particolare, dal commissario ad acta circa la determinazione e la ripartizione dei budget individuali attribuiti alle singole case di cura, posto che la conoscenza dei dati contenuti negli atti richiesti è non solo strumento essenziale per «la partecipazione all'attività amministrativa», come stabilito dall'articolo 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi» ma anche imprescindibile strumento di verifica per la «corretta allocazione delle risorse, anche sotto il profilo dell'interesse delle ricorrenti», come ricordato dal giudice amministrativo nelle premesse della citata sentenza;
il Consiglio dei ministri commissariò la regione Abruzzo per l'attuazione del piani di rientro del disavanzo sanitario nella regione medesima, attualmente nelle persone del presidente pro-tempore della giunta regionale, nominato commissario ad acta giusta deliberazione del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2009 n. 75, e della sub commissaria, tale nominata con deliberazione del Consiglio dei ministri del 13 gennaio 2010, n. 78 -:
se, il Governo, non ritenga di dover prevenire ulteriori censure, di qualsiasi natura, e ogni altro eventuale pregiudizio, economico, finanziario o organizzativo, in relazione all'operato della regione Abruzzo e, specificatamente, dell'ufficio del commissario governativo ad acta, nell'ambito del settore sanitario, impartendo precise disposizioni a quest'ultimo perché, senza ulteriore indugio, ottemperi, per la parte di competenza, alla sentenza n. 63 del 2010 del TAR Abruzzo recante la declaratoria dell'obbligo, anche in capo al commissario ad acta, a dare corso all'accesso agli atti nei termini di cui all'istanza dei ricorrenti.
(4-09135)

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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:

COSENZA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il 5 maggio 2010 la Commissione europea ha annunciato l'invio all'Italia dell'ultimo avvertimento, prima del deferimento alla Corte di giustizia delle Comunità europee, per il mancato rispetto delle norme comunitarie in materia di prevenzione e contrasto dell'inquinamento dell'aria causato dalle particelle sottili (pm10);
il richiamo giunto dall'Unione europea conferma come in Italia vi siano vaste aree, senza distinzioni territoriali tra Nord e Sud, in cui la salute dei cittadini e la tutela dell'ambiente sono messe gravemente in pericolo dalla presenza nell'aria di particolato ormai fuori controllo;
particolarmente impressionanti i dati offerti dal commissario europeo all'ambiente, Janez Potocnik, secondo cui «in Italia sono ancora troppi i luoghi dove, per ogni 10 mila abitanti, più di 15 persone muoiono prematuramente solo a causa del particolato»;
tale situazione impone al nostro Paese l'assunzione di un piano di misure organiche e non più solo episodiche per prevenire l'inquinamento dell'aria e anche la necessità di affrontare temi importanti come quelli relativi alla dotazione di filtri antiparticolato su tutti i veicoli pesanti e commerciali inquinanti e, in un'ottica più di lungo periodo, allo sviluppo di mezzi di trasporto ecologici;
con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo n. 155 del 2010, avvenuta il 15 settembre 2010, l'Italia ha finalmente recepito la nuova direttiva europea n. 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più

pulita in Europa, un pacchetto di norme molto importanti per la tutela della salute e dell'ambiente -:
quali urgenti iniziative - alla luce del nuovo contesto normativo richiamato in premessa e dell'urgenza sia di tutelare la salute e l'ambiente che di dare risposte concrete ai richiami della Commissione europea - il Governo abbia avviato o abbia pianificato di avviare al fine di contrastare l'inquinamento dell'aria causato dalle polveri sottili.
(5-03648)

Interrogazioni a risposta scritta:

CAVALLARO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
secondo un articolo pubblicato il 22 settembre da Il Sole 24 Ore e ripreso nei giorni scorsi diffusamente dalla stampa quotidiana locale delle Marche, la Sogin, società controllata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, ha individuato fra le 52 aree idonee alla localizzazione delle scorie nucleari almeno una in territorio marchigiano;
l'area in questione avrebbe dimensioni di circa 300 ettari e sarebbe situata tra i comuni di Jesi, Osimo e Filottrano, anche se la localizzazione precisa non è ancora nota essendo la mappa non disponibile;
la procedura finora seguita per la realizzazione del sito di stoccaggio sembra improntata alla massima segretezza ed alla totale mancanza di coinvolgimento di tutti quei soggetti istituzionali, in particolare la regione Marche, che ha specifiche competenze nel settore della produzione dell'energia e della localizzazione degli impianti relativi;
la notizia sta gettando allarme e rabbia nell'opinione pubblica locale anche perché pare che il criterio della scelta dei siti, da parte della Sogin, non deriverebbe da un accurato e adeguato processo di selezione dei luoghi più adatti ad ospitare impianti preposti allo stoccaggio delle scorie nucleari, ma da un semplice processo di esclusione dei posti dove l'impianto non va messo;
la regione Marche in più occasioni ha dichiarato la propria contrarietà all'utilizzo del proprio territorio per la produzione di energia nucleare sia come sede di centrali nucleari sia anche solo come sede di stoccaggio di scorie atomiche;
con una nota diffusa in data 15 ottobre 2010 anche l'ordine dei geologi delle Marche ha rilevato come il territorio marchigiano non può accogliere scorie nucleari, in quanto tale scelta, specie se riguardasse un'area agricola come quella della media-bassa Vallesina, «andrebbe a cozzare con la politica di sviluppo economico, ambientale ed energetico della Regione Marche, volta al concetto di sostenibilità ambientale e all'utilizzo di energie alternative»;
nel territorio regionale non sussistono le condizioni geologiche, dal punto di vista strutturale e fisico, per accogliere aree destinate allo smaltimento delle scorie radioattive, soprattutto per la presenza di problematiche ambientali che vanno dal dissesto idrogeologico, con frane e possibili alluvioni, al rischio sismico e all'inquinamento sia puntuale sia diffuso delle acque sotterranee e superficiali;
ai fini della sostenibilità ambientale e dello sviluppo economico anche in relazione alla vocazione largamente paesaggistica e turistica della regione Marche è assai più opportuno concentrare l'attenzione sulla potenzialità delle energie rinnovabili, in particolare quella geotermica;
la questione appare di competenza plurima dei Ministri interrogati, in quanto la Sogin è controllata totalmente dal Ministero dell'economia e delle finanze, il compito di realizzare il recente programma di rientro del paese nella produzione di energia nucleare è del Ministero dello sviluppo economico, mentre il Ministero

dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dovrebbe preventivamente vigilare sulla compatibilità paesistico-ambientale e con lo sviluppo sostenibile dell'economia locale della eventuale installazione di siti che fanno capo al ciclo della produzione di energia mediante centrali atomiche -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza della realizzazione di una sede di stoccaggio di scorie atomiche o di altra struttura appartenente al ciclo di produzione dell'energia mediante centrali atomiche in territorio marchigiano, specificando, in caso affermativo, il luogo e le caratteristiche dell'impianto medesimo e se nella localizzazione dei siti per lo stoccaggio di scorie atomiche siano stati tenuti in considerazione, i rilievi sopra esposti dall'ordine dei geologi delle Marche, nonché quello non meno fondamentale dell'alta densità abitativa e della forte e diffusa antropizzazione del territorio marchigiano;
se tale eventuale scelta sia stata o debba essere ancora sottoposta al parere o alla concertazione con gli enti locali e con la regione Marche e quali determinazioni intendano assumere i Ministri interrogati in relazione alla contrarietà ad eventuali installazioni di tal genere già espressa dalle istituzioni interessate.
(4-09126)

SCILIPOTI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il C.I.S. (Consorzio intercomunale servizi) S.P.A., del quale sono azionisti i comuni di Agliana, Quarrata e Montale, in provincia di Pistoia, è proprietario dell'impianto di incenerimento di rifiuti solidi urbani, speciali e ospedalieri, posto in comune di Montale (PT), in area assai prossima alla confinante provincia di Prato;
questo impianto è in funzione, con varie modifiche intercorse, dall'anno 1978. In data 3 maggio 2007 l'Agenzia ambientale toscana (ARPAT) effettuava un prelievo di controllo sulle emissioni dell'inceneritore, riferendo, l'11 luglio 2007, il superamento dei limiti di legge per le diossine di oltre 6 volte;
a seguito di tali risultati, in data 18 luglio 2007, il sindaco del comune di Montale emanava un'ordinanza contingibile ed urgente, con la quale, dato atto del superamento dei limiti emissivi, stabiliti dal decreto legislativo 133 del 2005, ordinava al C.I.S. la chiusura dell'impianto entro 36 ore dalla notifica e dopo che fossero stati eseguiti nuovi prelievi da parte di ARPAT;
anche le nuove analisi effettuate dall'ARPAT confermavano il superamento dei limiti di legge del parametro diossina con referti analitici resi disponibili il 28 luglio 2007;
visti questi ripetuti superamenti dei limiti di emissione delle diossine ed in considerazione della elevata tossicità di tali sostanze accumulatesi nell'area, a causa della presenza dell'impianto, veniva richiesto, da parte dei locali comitati, già all'indomani della chiusura dell'inceneritore, l'emissione di ordinanze di divieto di produzione, consumo e commercializzazione di prodotti alimentari provenienti dall'area circostante l'inceneritore;
ma a questa richiesta non seguivano iniziative a concreta tutela della salute dei cittadini. In data 30 luglio 2007 veniva istituito, presso la provincia di Pistoia e su iniziativa della stessa, un gruppo di lavoro definito «istituzionale» composto, oltre che dalla stessa provincia, dai comuni proprietari dell'impianto, dalla ARPAT e dalla locale ASL, allo scopo di effettuare approfondimenti congiunti sul funzionamento dell'impianto, nonché un monitoraggio ambientale ed un monitoraggio sanitario;
questo gruppo di lavoro «istituzionale» non riteneva di dover emanare ordinanze cautelative di utilizzo e commercializzazione di prodotti alimentari della zona, bensì di dotarsi di un gruppo di lavoro «tecnico» composto da personale dell'ASL e dell'ARPAT con il compito di definire i monitoraggi ambientali e sanitari;

questo gruppo di lavoro «tecnico» stabiliva di effettuare approfondimenti di carattere ambientale e sanitario, tramite un piano di campionamento, dopo aver definito, con metodi scientificamente riconosciuti, l'area di maggiore ricaduta delle diossine emesse dall'impianto di incenerimento, area che interessa parte dei comuni di Agliana, Montale, Pistoia e Quarrata, situati nella provincia di Pistoia ed anche parte dei comuni di Montemurlo e Prato, della provincia di Prato;
l'impianto di incenerimento, dopo una sommaria indagine amministrativa, veniva rimesso in funzione nell'ottobre 2007. L'indagine sanitaria, consistente in campioni su matrici animali, veniva effettuata dalle ASL n. 3 di Pistoia e n. 4 di Prato, i campioni venivano analizzati dall'Istituto zooprofilattico sperimentale delle regioni del Lazio e Toscana;
con una nota 10 febbraio 2009, il predetto Istituto riferiva i risultati dell'indagine, dichiarando che per i campionamenti dell'area posta nell'area di ricaduta della provincia di Pistoia, i risultati della determinazione di diossine (PCDD/F e PCBs diossina simili), denotavano «una pressoché totale presenza», nei 14 campioni di origine animale, di PCB diossina e simili, superiore ai limiti di legge previsti in 4 pg/g TE;
nell'area della provincia di Prato in comune di Montemurlo e nel Comune di Prato veniva rilevato dall'analisi di due campioni di pollo un livello di somma di diossine e PCB fino a circa 40 volte il limite di legge;
in sede di discussione sull'interpretazione dei dati acquisiti e sulle iniziative da intraprendere, si veniva a conoscenza dell'esistenza di un netto contrasto, all'interno del gruppo di lavoro «tecnico», sulla necessità o meno di emanare provvedimenti di divieto di commercializzazione e consumo dei prodotti alimentari provenienti dall'area di ricaduta dell'impianto, provvedimenti che, a tutt'oggi, non sono stati emanati, in quanto i responsabili delle Asl di Prato e di Pistoia sembrerebbe essersi limitati a «consigliare» e solo in un tempo successivo, il non consumo ai soli allevatori indagati risultati essere oltre i limite di legge;
giova anche ricordare che, in assenza di iniziative da parte delle istituzioni locali i comitati dell'area organizzavano l'analisi di latte materno di due mamme, residenti in area di ricaduta, che avevano volontariamente accettato di sottoporre ad analisi il proprio latte a circa due settimane dal parto;
l'indagine eseguita presso il Consorzio interuniversitario nazionale «la chimica per l'ambiente» di Marghera (Venezia), con costi a carico dei cittadini, dava come risultato una consistente presenza di diossine e PCB dioxin-like nei campioni di latte materno analizzati, superiore anche ai limiti normativi per il latte vaccino che è pari a 6 pg/g TE;
in particolare, veniva evidenziato che il profilo di dodici molecole diossino-simili appartenenti ai PCB riscontrati nei campioni di latte materno è del tutto sovrapponibile al profilo dei PCB emessi dall'impianto e al profilo dei PCB riscontrati nella carne di pollo, tanto da far ritenere ragionevolmente certa l'origine della contaminazione ambientale nell'impianto di incenerimento dei rifiuti di Montale;
inoltre, anche ulteriori analisi effettuate da ARPAT nella matrice acqua (compresa l'acqua fornita dagli acquedotti della zona, in provincia di Pistoia) fornivano risultati superiori al valore previsto, quale limite sanitario, per diossine e furani dalla commissione consultiva nazionale del Ministero della sanità del febbraio 1988, limite che non sarebbe riconosciuto tale dai responsabili dalla locale ASL, preferendo a questo limite nazionale, un valore guida assai più elevato dell'Agenzia federale dell'ambiente degli Stati Uniti (U.S.E.P.A.);
i risultati di tutte queste analisi, in particolare quelle disposte dalla pubblica amministrazione sulle matrici animali e quelle disposte dai cittadini sul latte

umano, convergono nel far ritenere la sussistenza di una situazione ambientale e sanitaria di rischio concreto per la salute delle popolazioni della zona, legato anche al consumo di prodotti alimentari di provenienza locale;
sulla vicenda, relativa ai superamenti dei limiti di emissione del 2007, è in corso, dai primi mesi di quest'anno, un processo penale presso il Tribunale di Pistoia, nei confronti dell'allora presidente e direttore dell'impianto -:
di quali elementi dispongano in merito alla situazione di inquinamento ambientale di cui in premessa e se non ritengano di promuovere un'indagine epidemiologica al fine di tutelare la salute delle popolazioni locali.
(4-09127)

MURA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
in Provincia di Piacenza la raccolta differenziata ha raggiunto, nel primo semestre di quest'anno il 54 per cento e si avvia a raggiungere il 60 per cento. Il che comporta un utilizzo dell'incenerimento di rifiuti solidi urbani nell'impianto di termo- valorizzazione inferiore alle 100 mila tonnellate annue;
il termovalorizzatore, con autorizzazione alla gestione n. 1269 del 30 maggio 2003, era stato autorizzato a smaltire 105.000 tonnellate l'anno di rifiuti e successivamente, a seguito di richiesta avanzata da Tecnoborgo spa all'amministrazione provinciale volta ad aumentare la potenzialità di trattamento dell'impianto di termovalorizzazione, è stato autorizzato a smaltire 120.000 tonnellate l'anno;
l'impianto di incenerimento di Piacenza è stato a suo tempo realizzato ed autorizzato per una quantitativo pari a 105 mila tonnellate annue, senza una procedura di valutazione di impatto ambientale, ai sensi delle disciplina comunitaria, per effetto di una norma transitoria della regione Emilia-Romagna, successivamente oggetto di una procedura d'infrazione comunitaria;
l'impianto in questione è collocato nelle immediate vicinanze del fiume Po, con un incidenza degli inquinanti prodotti che riguarda il territorio sia emiliano che lombardo (provincia di Lodi);
l'area delle due province è interessata da gravi fenomeni di inquinamento atmosferico (anche in ragione dell'andamento climatico) ed il numero delle giornate di superamento delle soglie di allarme è stato negli ultimi anni sempre superiore ai limiti consentiti dalla vigente normativa comunitaria;
è pervenuta notizia che i gestori dell'inceneritore hanno avviato una procedura autorizzatoria presso la provincia di Piacenza per l'aumento della capacità di smaltimento fino a 136 mila tonnellate annue, giustificando la richiesta con la volontà di potenziare il servizio di teleriscaldamento, alimentato anche dagli scarichi della vicina centrale elettrica di Piacenza;
si ha il fondato timore che la richiesta di ampliamento, se accolta, porterebbe ad incrementare l'incenerimento di rifiuti speciali, con violazione dei criteri di priorità tra le forme di recupero e smaltimento indicati dalla vigente normativa, nonché determinerebbe il conferimento di rifiuti speciali provenienti da altre province, con aumento, oltre che delle emissioni dell'impianto, anche del traffico pesante;
le norme vigenti fin dal 1997, impongono l'autosufficienza nella gestione dei rifiuti in ambiti territoriali ottimali solo per lo smaltimento, e solo per i rifiuti urbani non pericolosi. Conclusioni affermate dalla stessa Corte Costituzionale che, già con sentenza n. 281 del 2000 e successivamente con sentenza n. 335 del 2001, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il divieto di smaltimento di rifiuti pericolosi di provenienza extraregionale (contro quanto imposto dalla legge regionale Piemonte n. 59 del 1995). E successivamente,

nel 2002-2003, nel pronunciarsi su analoga questione di legittimità sollevata dal Tribunale amministrativo regionale Toscana, ha precisato che il criterio di prossimità va applicato in termini che tengano conto della tipologie e della pericolosità dei rifiuti, della loro quantità, delle condizioni geografiche, degli impianti di recupero e smaltimento disponibili e che tengano, altresì, inadeguata considerazione gli aspetti di tutela dell'iniziativa privata e della concorrenza (analoghe sentenze sono state emesse da diversi Tribunale amministrativo regionale e dalla Corte stessa fino ai giorni nostri, ad esempio sulla legge regionale della Puglia);
non è quindi possibile affermare che l'inceneritore di Borgoforte a Piacenza smaltirà solo i rifiuti speciali provenienti dalla provincia di Piacenza;
sussiste il rischio, ad avviso dell'interrogante, che si realizzino violazioni del principio «chi inquina paga» in ragione dell'utilizzo massiccio di un impianto (con finanziamento a carico delle tariffe pagate dai cittadini) da parte di imprese tenute per legge a farsi carico in proprio e per l'intero degli oneri di smaltimento dei rifiuti industriali -:
se il Ministro, per il tramite dell'osservatorio nazionale sui rifiuti, non ritenga utile acquisire elementi sulle modalità di gestione dei rifiuti riportate in premessa affinché non si determinino aggravamenti significativi nelle condizioni di qualità dell'aria ambiente nella Provincia di Piacenza, pregiudicando il rispetto delle soglie e dei limiti di tollerabilità imposti in sede comunitaria.
(4-09139)

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DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:

LOSACCO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'interrogante ha appreso della bocciatura della richiesta di Guido Laveneziana - 20enne, originario di Ostuni - di rafferma presso l'Esercito italiano, successiva all'anno di ferma volontaria da lui terminato nel dicembre 2009;
a tal proposito, l'interrogante fa presente che l'ex caporale Guido Laveneziana - nell'ottobre 2009 - riuscì a fermare il libico Mohamed Game, mentre stava per far esplodere una bomba all'ingresso della caserma Santa Barbara di Milano;
si apprende, inoltre, che per la suddetta operazione - ovvero il blocco di un kamikaze carico di tritolo che ha permesso di scongiurare una strage all'interno della caserma Santa Barbara di Milano - l'ex caporale Guido Laveneziana ha ricevuto i doverosi elogi ed encomi dai vertici militari italiani;
si apprende, infine, che - a distanza di soli 2 mesi dallo sventato attacco alla caserma Santa Barbara - Guido Laveneziana, all'epoca 19enne, si è visto negare la possibilità di rafferma nell'Esercito italiano, ossia il rinnovo di un anno della permanenza nell'esercito; per ottenere il consenso desiderato, Laveneziana non doveva superare esami e concorsi, sarebbe bastata una valutazione positiva del lavoro svolto da parte dei suoi superiori, ma il punteggio assegnato all'ex caporale è risultato non sufficiente -:
quali siano quindi le ragioni che hanno portato all'assegnazione di un punteggio non sufficiente e se sia possibile rivedere suddetto punteggio in virtù dei meriti acquisiti sul campo da Guido Laveneziana.
(4-09128)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
in attuazione dell'articolo 55, comma 5-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, è stato pubblicato un avviso sulla Gazzetta Ufficiale - 4a serie speciale del 6 agosto 2010 per lo

svolgimento dei corsi oggetto della citata norma dal 13 settembre-1o ottobre 2010 e dal 15 settembre-1o ottobre 2010 (per il corso presso il 313o Gruppo addestramento acrobatico di Rivolto-Udine). Il numero massimo complessivo dei frequentatori è fissato, per l'anno 2010, in 1.200 unità;
il comma 5-quater della citata norma recita che «I giovani ammessi ai corsi assumono lo stato di militari, contraendo una speciale ferma volontaria di durata pari alla durata del corso, e sono tenuti all'osservanza delle disposizioni previste dagli ordinamenti di Forza armata...»;
ad avviso degli interroganti il mero allontanamento dal corso di quei frequentatori che si siano resi responsabili di violazioni del codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010, il cui accertamento è demandato al giudizio insindacabile del comandante del reparto/ente presso cui si svolge il corso, contrasta con il sistema di garanzie che il medesimo ordinamento offre indistintamente a tutti i militari ed introduce una evidente e pericolosa disparità di trattamento con il personale militare in servizio permanente e in ferma volontaria che si venga a trovare nelle medesime condizioni;
l'articolo 37 del codice penale militare di pace recita che «Qualunque violazione della legge penale militare è reato militare. È reato esclusivamente militare quello costituito da un fatto che, nei suoi elementi materiali costitutivi, non è, in tutto o in parte, preveduto come reato dalla legge penale comune. I reati preveduti da questo codice, e quelli per i quali qualsiasi altra legge penale militare commina una delle pene indicate nell'articolo 22, sono delitti.». La Corte costituzionale, con sentenza 23 ottobre-10 novembre 1992, n. 429, ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 263 codice penale militare di pace, nella parte in cui assoggetta alla giurisdizione militare le persone alle quali è applicabile la legge penale militare, anziché i soli militari in servizio alle armi o considerati tali dalla legge al momento del commesso reato. Lo status di militare assunto dai frequentatori dei ripetuti corsi assoggetta i medesimi alla esclusiva giurisdizione militare per quei fatti non preveduti come reati dal codice penale come, solo per citarne alcuni, la disobbedienza, l'insubordinazione o l'attività, manifestazioni o grida sediziose;
inoltre gli interroganti, viste le numerose circolari e disposizioni emanate dal vertice militare in merito all'esercizio di taluni diritti costituzionalmente protetti quali la libertà di espressione, di opinione e finanche il diritto di iscrizione ai partiti politici o di partecipare a manifestazioni o fare propaganda a favore o contro formazioni politiche o sindacali quando non ricorrano le condizioni di cui all'articolo 1350 del codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo n. 66 del 2010), ritengono che nei confronti dei detti frequentatori l'assoggettamento allo status di militare introduca, ancorché per la sola durata del corso, un ingiustificabile vulnus idoneo a concretizzare una sostanziale la riduzione dei medesimi allo status di «minus habentes», al pari di coloro che, anch'essi militari, sono in servizio permanente o in ferma volontaria -:
se il Ministro interrogato nel perseguire la realizzazione del progetto denominato «Vivi le Forze Armate. Militare per tre settimane» abbia opportunamente valutato gli aspetti e le conseguenze che potrebbero coinvolgere negativamente le forze armate e i suoi appartenenti;
quanti siano stati i frequentatori allontanati dal corso perché ritenuti responsabili di violazioni delle norme dell'ordinamento militare, quali siano le violazioni commesse, quanti quelli che siano stati denunciati per reati militari;
quanti siano stati i giovani frequentatori dei predetti corsi che hanno riportato traumi o lesioni fisiche e se i competenti organi militari abbiano istruito il procedimento amministrativo per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio;

se non ritenga di dover sospendere lo svolgimento dei corsi citati in premessa al fine impedire che si possano verificare situazioni di illegittimità, ovvero penalmente rilevanti, con grave pregiudizio per l'istituzione militare o i suoi appartenenti, ivi compresi i frequentatori dei citati corsi.
(4-09138)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:

PEDOTO, FOGLIARDI, BENAMATI e RIGONI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la ripresa economica nel nostro Paese è ancora debole ed occorrono strumenti e risorse dedicate all'ammodernamento e alla crescita delle piccole imprese e dei piccoli commercianti, da affiancare ad un processo di razionalizzazione delle procedure e di semplificazione degli adempimenti fiscali nella pubblica amministrazione, in modo da renderla più efficiente, trasparente e vicina ai cittadini e alle imprese;
è necessario ristabilire un rapporto fiduciario tra il cittadino e l'erario attraverso misure di lotta all'evasione che diano credibilità al concetto di trattamento paritario nei confronti del Fisco;
da tempo la «quarta categoria di attori» della storia economica italiana, ovvero l'artigianato, il commercio e la piccola e media impresa, sollecita confronti su temi vitali come quello della richiesta di abolizione dello scontrino fiscale;
la disciplina generale relativa allo scontrino fiscale e alla ricevuta fiscale - rispettivamente istituiti dalla legge 26 gennaio 1983, n. 18, e dalla legge 10 maggio 1976, n. 249 - è contenuta nell'articolo 12 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, il quale ha disposto, con decorrenza dal 1o gennaio 1993, l'obbligo di certificare i corrispettivi derivanti da cessioni di beni o prestazioni di servizi per le quali non è obbligatoria l'emissione della fattura, se non a richiesta del cliente, mediante il rilascio, rispettivamente, dello scontrino fiscale o della ricevuta fiscale. Lo stesso articolo ha determinato le operazioni esenti dall'obbligo (consentendone l'integrazione con decreti ministeriali);
l'articolo 12 del decreto legislativo 471 del 1997 prevede, in caso di mancata emissione dello scontrino fiscale (quattro distinte contestazioni in giorni diversi e nel corso di un quinquennio), la sospensione della licenza o dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività per un periodo da tre giorni ad un mese;
le sanzioni per mancata emissione dello scontrino sono sproporzionate all'importo dello stesso, atteso che le attività di commercio al dettaglio emettono centinaia di scontrini al giorno anche per somme minime e le ripercussioni per queste contestazioni possono essere anche gravissime;
l'articolo 1, commi da 429 a 431, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005) ha previsto, per le imprese che operano nel settore della grande distribuzione, la facoltà di trasmettere telematicamente, all'Agenzia delle entrate, l'ammontare complessivo dei corrispettivi giornalieri delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuate, beneficiando dell'esonero dell'obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante il rilascio della ricevuta fiscale ovvero dello scontrino fiscale;
nella XV legislatura, attraverso l'articolo 1, commi da 33 a 37-ter, del decreto-legge n. 223 del 2006 si era introdotta la possibilità della trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri anche per imprese esercenti il commercio;
in linea con la previsione di estensione della trasmissione telematica e del progressivo smantellamento dell'obbligo di emissione dello scontrino fiscale, si era

raggiunto, con il Governo Prodi, il protocollo di intesa del 14 dicembre 2006 siglato tra Ministero dell'economia e della finanze, Ministero dello sviluppo economico e organizzazioni di categoria degli imprenditori rappresentate nel CNEL che prevedeva tra l'altro «l'impegno a superare la valenza fiscale dello scontrino, e della ricevuta fiscale, con l'eliminazione delle relative sanzioni, in correlazione all'attuazione del sistema telematico di comunicazione dei corrispettivi all'Amministrazione finanziaria; adottando interventi normativi e/o amministrativi finalizzati, in presenza di difficoltà nel dotarsi degli strumenti di trasmissione telematica, anche connesse alle specifiche modalità organizzative dell'esercizio dell'attività, a disciplinare le modalità di emissione dei documenti di certificazione dei corrispettivi stessi, il relativo contenuto nonché le eventuali sanzioni applicabili»;
l'attuale Governo ha, di fatto, smantellato l'architettura di tale intesa, abrogando le succitate disposizioni normative attraverso l'articolo 16 del decreto-legge n. 185 del 2008 -:
se intenda il Governo agevolare la piccola economia, a tal fine assumendo iniziative anche normative volte ad esonerare dall'obbligo di rilascio dello scontrino fiscale le piccole imprese commerciali e artigianali, anche attraverso la facoltà della trasmissione telematica dei corrispettivi.
(3-01294)

Interrogazione a risposta scritta:

MANTINI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
nell'ambito del processo di conversione in legge del decreto-legge n. 78 del 2010, l'articolo 32 di modifica del regime fiscale dei fondi immobiliari propone una nuova definizione civilistica di fondo comune di investimento rivedendo la definizione del concetto di pluralità degli investitori e di autonomia delle società di gestione del risparmio (SGR) rispetto alle politiche di gestione del fondo di investimento;
la norma titolata «Riorganizzazione della disciplina fiscale dei fondi immobiliari chiusi», che intende perseguire l'obiettivo generale di impedire l'uso improprio dello strumento «fondo immobiliare», individua un nuovo regime fiscale, che si andrà ad applicare ai fondi non rispondenti alle nuove regole «di pluralità e di autonomia» di cui al comma 1 del citato articolo, non risolvendo di contro gli aspetti afferenti ad una migliore definizione di «Fondo comune di investimento» che comunque verrà precisata dal decreto di attuazione di prossima emanazione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze;
con riferimento alla nozione di «fondo comune di investimento» di cui all'articolo 1, comma 1, lettera j), del (decreto legislativo n. 58 del 1998, come modificata dall'articolo 32, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010, sì è omesso di precisare che il requisito della «pluralità di partecipanti» al fondo risulta soddisfatto anche in via indiretta, allorquando il patrimonio del fondo sia detenuto, integralmente o in misura rilevante, da una persona giuridica o altro ente di diritto italiano o estero, preposto a rappresentare gli interessi di una pluralità indistinta di soggetti, indipendentemente dal numero degli altri partecipanti al fondo;
si ricorda che, grazie alla diffusione di un utilizzo appropriato di questo strumento, in alternativa al tradizionale investimento attraverso le società a responsabilità limitata, il nostro Paese, nell'ultimo decennio, è passato nel ranking internazionale della trasparenza predisposto da Jones Lang La Salle, che esamina i primi 50 Paesi/mercati del real estate, dal non essere rilevato, sino al 19o posto, una posizione che lo colloca nella parte alta della classifica per livello della trasparenza del mercato immobiliare;
sulla scorta di una prima rilevazione condotta internamente, Assoimmobiliare,

l'associazione dell'industria immobiliare, utilizzando i dati forniti da un campione rappresentativo costituito da 23 SGR immobiliari (su circa un totale di 46 autorizzate e specializzate), per un Net Asset Value (NAV) aggregato di euro 14.914 miliardi su un totale di mercato di euro 20.905 miliardi (con il solo riferimento ai fondi riservati) e prendendo in considerazione 144 fondi/comparti su un totale di 239, ha denunciato il rischio di estinzione di circa 50 fondi, con una riduzione sul NAV totale di circa euro 4/5 miliardi, oltre alla probabile messa in liquidazione di almeno una decina di società di gestione del risparmio;
sussiste dunque il ragionevole timore di una forte contrazione del comparto, con l'immissione nei prossimi mesi di un'eccessiva offerta di patrimonio immobiliare sul mercato, peraltro in una congiuntura in cui l'assorbimento è quasi nullo e, soprattutto, la sostanziale interruzione di un processo virtuoso di emersione dei valori, di maggiore trasparenza del mercato e di messa in sicurezza dei processi operativi che coinvolgono i diritti dei lavoratori edili, la sicurezza dei cantieri, la tutela e salvaguardia dell'ambiente oltre alla perdita di lavoro per centinaia di operatori specializzati di alta qualificazione (asset managers, prosperty managers, architetti, giuristi di impresa, economisti, e altri);
è pertanto necessario che l'impegno del Governo e delle autorità di vigilanza a correggere la regolamentazione di settore, al fine di evitare usi impropri ed elusivi dei fondi immobiliari, debba comunque preservare l'operatività della parte sana dell'industria, potenziandone le capacità tecniche come collettori di risparmio e investitori verso impieghi in immobili destinati allo svolgimento di attività economiche (uffici, alberghi, logistica, centri commerciali, industria, e altri) ed anche in vista dei nuovi e rilevanti compiti che potrebbero svolgere in campi come l'housing sociale, il federalismo demaniale, lo sviluppo infrastrutturale o l'attuazione di grandi programmi di riqualificazione urbana e recupero del territorio, compresa la ricostruzione delle zone terremotate in Abruzzo;
l'articolo 32, chiarendo solo alcuni aspetti fiscali e l'ambito di applicazione della norma verso gli investitori stranieri, lascia aperta la questione della mancata definizione della «pluralità» che consentirebbe ai «fondi immobiliari» di continuare a esistere e svilupparsi, evitandone l'uso improprio (veicoli con scopi elusivi);
sarebbe pertanto opportuno, nell'ambito dei decreti attuativi:
a) che il requisito della «pluralità di partecipanti» al fondo risultasse soddisfatto anche in via indiretta, allorquando il patrimonio del fondo sia detenuto, integralmente o in misura rilevante, da una persona giuridica o altro ente di diritto italiano o estero, preposto a rappresentare gli interessi di una pluralità indistinta di soggetti, indipendentemente dal numero degli altri partecipanti al fondo.
b) che venisse confermata la risoluzione n. 137/E del 4 ottobre 2005 emessa dall'Agenzia delle entrate, secondo cui «un fondo per essere tale necessita dunque di una pluralità di sottoscrittori a meno che l'unico detentore non rappresenti una pluralità di interessi così da raffigurare una gestione collettiva». Questa interpretazione è determinante per gli investimenti dei Governi sovrani, delle assicurazioni, dei fondi italiani ed esteri e degli enti di previdenza come già attualmente ricompresi nella definizione «altri investitori qualificati» ex articolo 1, comma 1, lettera h) del decreto ministeriale n. 228 del 1999 primi tre alinea, ma occorre altresì che siano tutelati:
1) i soggetti pubblici o istituzionali a prevalente carattere pubblicistico (enti territoriali, enti pubblici, fondazioni, enti no profit) per il rilevante interesse pubblico, diffuso o collettivo da essi stessi perseguiti e ricollegabili al principio costituzionale della tutela del risparmio ex articolo 47 della Costituzione;

2) i soggetti che possano avere una veste societaria (Società a responsabilità limitata, Società per azioni) che tuttavia siano riferibili anche indirettamente a quelli sopra citati;
3) le società di capitali che comunque riflettano una effettiva pluralità di interessi di azionisti plurimi e diversi, non ricollegabili tra loro, che attraverso il fondo decidano di passare da una gestione diretta ad una gestione indiretta dei loro interessi, cioè affidino ad una SGR il loro risparmio (asset class), oltre a favorire con tale scelta un'azione di impresa improntata ai valori della trasparenza -:
quali siano gli orientamenti del Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere per sostenere la crescita ordinata del comparto dei fondi immobiliari in Italia, interpretando la nozione di pluralità in coerenza con i punti sopra indicati.
(4-09129)

...

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:

MANCUSO, BARANI, CICCIOLI, GIRLANDA e DE LUCA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'inchiesta «Why not?», istruita e condotta dall'ex pubblico ministero Luigi De Magistris, si era posta come obiettivo la distruzione di una cupola calabrese collegata a uomini politici corrotti, avidi imprenditori, massoneria occulta, toghe colluse;
l'inchiesta coinvolgeva, come imputate, 150 persone;
gli imputati, in quattro anni circa d'inchiesta, hanno subìto grave vilipendio della privacy e della dignità su tutti i mezzi di comunicazione;
il costo dell'inchiesta per l'Erario è stato di svariati milioni di euro (9 milioni solo per le consulenze esterne);
delle 150 persone indagate, un terzo non è nemmeno arrivato ad essere sottoposto a procedura processuale;
tra questi anche l'allora Guardasigilli Mastella, costretto alle dimissioni proprio dall'inchiesta;
delle restanti 34 persone, 26 sono state assolte;
la pena più alta inflitta alle 8 persone condannate è di 24 mesi, con pena sospesa e non menzione nel casellario giudiziario per concorso in abuso d'ufficio;
il GUP Abigail Mellace, che ha emesso la sentenza, nelle 944 pagine di motivazione afferma che l'inchiesta «Why Not?» «è figlia dell'enorme risalto mediatico che il procedimento ha avuto soprattutto nella fase delle indagini preliminari e che ha portato alla ribalta nazionale i suoi principali protagonisti divenuti nel frattempo veri e propri personaggi pubblici televisivi di grande notorietà». Questo «ha condotto a una distorta e infedele rappresentazione dall'esterno delle reali e obiettive risultanze delle fonti di prova»;
sempre il GUP scrive che «L'ipotesi investigativa non ha trovato alcun conforto probatorio, essendo stata sconfessata già nelle fasi delle indagini preliminari»;
la risonanza mediatica dell'inchiesta, com'è evidente ad avviso degli interroganti, è servita da trampolino di lancio per la carriera politica del pubblico ministero Luigi De Magistris, oggi parlamentare europeo dell'Italia dei Valori -:
se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative di carattere ispettivo ai fini dell'esercizio di tutti i poteri di propria competenza.
(5-03653)

Interrogazioni a risposta scritta:

PIFFARI e CIMADORO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
alcuni quotidiani locali on-line, venerdì 26 settembre 2008, hanno riportato la notizia dell'incontro tra il Ministro della giustizia, Angelino Alfano, e un autorevole esponente della maggioranza per chiudere l'accordo per la realizzazione della scuola di magistratura a Bergamo;
dalla stessa fonte (Bergamonews del 26 settembre 2008) si apprende la soddisfazione del Ministro stesso per la fattiva collaborazione da parte degli enti locali, provincia di Bergamo e comune di Bergamo, nell'individuazione e disponibilità delle strutture idonee allo scopo;
al succitato incontro è seguita la firma di una convenzione, tra Ministero della giustizia, provincia, comune e diocesi di Bergamo, (protocollo d'intesa del 30 settembre 2008) che prevedeva l'affitto, a carico, degli enti locali, del Collegio Sant'Alessandro, di proprietà della diocesi, per ospitare una delle tre nuove sedi della scuola di magistratura previste in Italia, in attesa di futuro trasferimento in altra sede di proprietà del Ministero;
la locazione di tale struttura, grande circa 2 mila metri quadri, avrebbe impegnato finanziariamente il comune e la provincia di Bergamo, per 20.000 euro al mese, pari a 242 mila euro l'anno;
il canone d'affitto è stato regolarmente versato dagli enti locali alla curia di Bergamo per tutto il 2009 senza però che la scuola venisse attivata;
dalla stampa locale si apprende che, a seguito di un anno di pagamento del canone d'affitto senza attivazione della scuola, il 2 ottobre 2009, il sindaco di Bergamo, Franco Tentorio, e il presidente della provincia, onorevole Ettore Pirovano, hanno incontrato il dottor Luigi Birritteri, capo dipartimento organizzazione giudiziaria e del personale del Ministero della giustizia per chiedere conto della situazione e delle reali volontà del Ministero;
dall'incontro sarebbe emersa la rassicurazione da parte del dirigente ministeriale sull'imminente arredo dei locali e conseguente attivazione di alcuni corsi di formazione già nell'anno 2009;
da un articolo pubblicato dal quotidiano on-line Bergamonews del 21 maggio 2010, si apprende che, secondo quanto dichiarato dal direttore generale Benedetto Passarello della provincia di Bergamo, l'avvio della scuola di magistratura a Bergamo ha subito un ritardo nell'attuazione a causa di «problemi formali» che fanno slittare di fatto l'apertura della scuola a «non prima di giugno 2011»;
tra i problemi formali, individuati dal succitato articolo, vi è il rigetto da parte della Corte dei conti della richiesta di indirizzo e messa a punto, avanzata a febbraio 2010 dal Ministero della giustizia, nonché la richiesta dello stesso Ministero agli enti locali di ulteriori interventi sugli spazi, di competenza della curia, che, a sua volta, si sarebbe successivamente rivalsa sul canone d'affitto;
secondo quanto riportato da alcune agenzie, e diffuso dalla stampa on-line il 19 agosto 2010, il Ministro Calderoli, a margine della cena a Calalzo di Cadore per il festeggiamento del compleanno del Ministro Tremonti, ha dichiarato che la scuola di magistratura di Bergamo «aprirà in autunno»;
da quanto riportato ieri, 19 ottobre 2010, da Eco di Bergamo online e Bergamonews, il comune di Bergamo, alla scadenza del secondo anno di affitto il 30 settembre 2010, non ha rinnovato la locazione, pari a 120 mila euro, mentre la provincia ha rinnovato la disponibilità fino al 30 giugno -:
cosa intenda fare il Ministero della giustizia per accelerare l'apertura della scuola di magistratura di Bergamo, interrompendo quello che agli interroganti appare un oggettivo spreco di risorse pubbliche;

se e quando intenda subentrare a comune e provincia di Bergamo nella locazione del Collegio Sant'Alessandro, costata finora 480 mila euro.
(4-09134)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
sul sito del gruppo Everyone è apparso un appello, sottoscritto anche dall'associazione «Il Detenuto Ignoto», dove si sollecita un intervento internazionale per fermare i trattamenti inumani e degradanti cui sono sottoposti i detenuti in Italia;
il predetto appello invoca l'avvio di un'inchiesta parlamentare, oltre che sulle condizioni inumane dei detenuti nelle carceri italiane, anche sul caso di Sebastiano Saia e Beatrice Molnarova;
Sebastiano Saia, siciliano di 62 anni, e Beatrice Molnarova, slovacca, sua compagna, sono stati condannati dal tribunale di primo grado di Milano per reati di natura fiscale e finanziaria (sentenza poi appellata);
sul sito del gruppo Everyone il caso Saia e Molnarova è stato ricostruito nel modo che segue;
la vicenda ebbe inizio nel 2009, quando la Guardia di Finanza, il 27 maggio, su ordine della procura della Repubblica di Milano, prelevava Saia e Molnarova separatamente dalla loro abitazione di Aviano (Pordenone) per condurli alla casa circondariale di San Vittore;
allorché la pattuglia mandata a prelevare Beata Molnarova si accorse del bambino di un anno che la donna aveva con sé (figlio suo e di Sebastiano Saia), l'ordinanza di custodia cautelare fu mutata in arresti domiciliari, e venne disposto il trasferimento della donna a Volvera (Torino), luogo della sua residenza anagrafica, abitazione completamente sprovvista di mobili e assolutamente inadeguata a ospitare una mamma con il suo bambino;
Sebastiano Saia nel frattempo raggiungeva San Vittore e veniva rinchiuso in una cella di 4 metri per 2 con altri 5 detenuti, tutti fumatori mentre lui non lo è, mentre la signora Molnarova veniva trasferita in auto a Volvera, con una scorta di dieci pannolini per il bambino e tre bottiglie di latte, che usava durante il viaggio. Dopo oltre 500 chilometri, trascorsi in auto con il bambino in braccio, la donna veniva costretta a dormire per terra alle 4 del mattino, senza un materasso né una coperta, con il figlioletto in fasce tra le sue braccia;
dopo che ogni autorizzazione ad uscire dalla propria abitazione le fu stata negata, la signora Molnarova veniva soccorsa da alcuni vicini, che le procurarono un materasso, latte, cibo e dei pannolini. Nessuna assistenza sociale veniva predisposta per la donna e il suo piccolo, oltre al serrato controllo delle Forze dell'ordine;
nel frattempo a Sebastiano Saia in carcere venivano negati i più elementari permessi: da quello di telefonare alla compagna agli arresti domiciliari alla richiesta di vedere un medico, dall'essere trasferito in una struttura meno affollata e in condizioni igienico-sanitarie migliori alla domanda di incontrare l'ispettore sanitario e la direttrice del carcere;
il 14 luglio 2009 Saia assiste in carcere a un pestaggio, che viene riferito dal detenuto con le seguenti parole: «Un detenuto asiatico fu picchiato dagli agenti, tramortito e trascinato per i piedi dall'inizio del quinto raggio fino all'infermeria; circa 250 metri di corridoi, sempre strisciando con la schiena per terra. Il giorno seguente feci domanda di vedere la direttrice del carcere e l'ufficio di comando, ma nessuno di questi due appuntamenti mi fu mai fissato». Per questa vicenda Sebastiano Saia presenta un esposto alla procura della Repubblica di Milano, che viene però archiviato poche settimane dopo, senza alcun provvedimento o indagine nei confronti degli agenti;

in data 25 luglio 2009 a Beata Molnarova venivano finalmente revocati gli arresti domiciliari;
da questo momento in poi, Sebastiano Saia inizia ad avere seri problemi di salute: prima una colica renale, poi fortissimi dolori allo stomaco, lo costringono a chiedere ufficialmente il permesso di poter effettuare un'approfondita visita chirurgica. L'istanza viene rigettata dal giudice della cautela;
il 14 settembre 2009, l'uomo inoltra una nuova domanda volta ad ottenere un permesso per sottoporsi a visita chirurgica. Peraltro il giorno seguente, mentre sta raccogliendo firme per una petizione lanciata da Antigone, volta a portare l'Italia davanti alla Corte europea dei diritti umani, Saia viene minacciato - secondo quanto afferma - dall'ispettore di guardia con le seguenti parole: «Smettila o non uscirai mai più di prigione»;
a ottobre, per Sebastiano Saia al malessere fisico comincia ad aggiungersi quello psicologico: l'uomo è depresso e demotivato e inizia a pensare al suicidio; chiede quindi di poter avere un colloquio con uno psicologo o psicoterapeuta, ma quando scopre che il colloquio si sarebbe svolto presso la guardia di turno in infermeria, vi rinuncia. Il 28 novembre 2009, dopo sei mesi di detenzione, la sua richiesta di arresti domiciliari viene respinta, nonostante il parere favorevole del pubblico ministero, con la menzione di «gravi indizi di colpevolezza» operata dal collegio giudicante;
l'uomo ha anche riferito di aver subito il 20 gennaio 2010 un'aggressione da parte di un detenuto venticinquenne riportando tumefazione all'occhio, due denti sbrecciati, l'impossibilità a masticare e un trauma cranico. L'addetto all'infermeria di turno quel giorno ha scritto nel referto che Saia ha sbattuto la testa contro una porta e solo dopo le proteste del detenuto la motivazione delle ferite veniva mutata in aggressione;
il 23 marzo 2010, dopo dieci mesi di carcere, vengono disposti gli arresti domiciliari per Sebastiano Saia;
due giorni dopo il detenuto chiama il 118 a causa di insopportabili dolori allo stomaco, accentuatisi dalla notte precedente; sicché viene condotto al pronto soccorso, dove viene sottoposto a esami e gli viene diagnosticata un'ernia con apertura ombelicale di diversi centimetri. Dimesso in attesa dell'esito degli esami, viene ricontattato il 30 marzo 2010 dall'ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano (Torino), che ne richiede il ricovero per operarlo. Segue sua istanza al Giudice per poter essere ricoverato e operato; in giornata il permesso viene concesso, con espresso divieto che l'eventuale intervento di rimozione dell'ernia si svolga nella data del 20 aprile 2010, già fissata per la prosecuzione del dibattimento. Il 2 aprile Sebastiano viene operato di un'ulcera ombelicale di 16 centimetri per 8 e un altra duodenale di 6 centimetri, e viene dimesso due giorni dopo;
Sebastiano Saia comincia però ad accusare anche dolori ai reni, e richiede al giudice una visita urologica, nonché la possibilità di appuntamento dentistico dovuto alle difficoltà di masticazione conseguenti l'aggressione subita. Richiede inoltre di poter frequentare la chiesa cattolica di Volvera, adiacente alla sua abitazione. Tutti questi permessi, pur riguardando seri problemi di salute ed equilibrio personale, non sono concessi. In data 17 maggio gli viene autorizzata esclusivamente la visita domiciliare da parte di un neuropsichiatra, previa comunicazione ai Carabinieri;
a giudizio della prima firmataria del presente atto i particolari riguardanti i trattamenti subiti da Sebastiano Saia, dalla sua compagna e dal loro bambino di un anno, non rappresentano certo un unicum, ma toccano, in misura più o meno grave, migliaia di detenuti - o persone sottoposte a limitazioni della libertà individuale - nel nostro Paese, come se la pena loro spettante non dovesse essere costituita dalle sole restrizioni previste dalla legge, ma da una condizione di privazione, umiliazione e sofferenza per il giudicato e tutta la sua famiglia;

la vicenda di Sebastiano Saia, della sua compagna e del loro bambino sono state portate, dal gruppo Everyone, a conoscenza del commissario per i diritti umani, del Comitato dei ministri e dell'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, affinché vengano creati finalmente nell'Unione organismi internazionali efficaci a tutela dei diritti delle vittime di abuso giudiziario o poliziesco e leggi europee che definiscano la necessità di rispettare la salute, l'integrità, la sensibilità, gli affetti e la dignità delle persone soggette, dopo procedimento penale, a restrizioni della libertà -:
se non intendano, negli ambiti di rispettiva competenza, aprire un'inchiesta amministrativa interna sui fatti esposti in premessa e, nel caso ne sussistano i presupposti, adottare gli opportuni provvedimenti disciplinari;
se il Governo non ritenga opportuno promuovere l'istituzione di una commissione ministeriale d'inchiesta riguardo alle condizioni di vita degli esseri umani sottoposti, nel nostro Paese, a misure restrittive della libertà individuale.
(4-09141)

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INTERNO

Interpellanza:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere - premesso che:
i cittadini stranieri residenti in Italia al 1o gennaio 2009 sono 3.891.295, pari al 6,5 per cento del totale dei residenti. Rispetto al 1o gennaio 2008 sono aumentati di 458.644 unità (+13,4 per cento); si tratta di un incremento ancora molto elevato, sebbene inferiore a quello dell'anno precedente (+16,8 per cento). Nel 2008 l'incremento è dovuto principalmente agli immigrati dai paesi Ue di nuova adesione (in particolare la Romania) cresciuti complessivamente di 190.403 unità (+24,5 per cento), agli immigrati dai paesi dell'est europeo non facenti parte dell'Unione, aumentati di 100.797 unità (+12 per cento), agli immigrati dal Marocco (+37.684 unità, +10,3 per cento) e da Paesi asiatici quali Cina, India e Bangladesh. In particolare, per questi ultimi due paesi l'incremento è del 18,6 per cento; al pari dei paesi Ue di nuova adesione essi mostrano quindi ritmi di crescita sensibilmente superiori alla media nazionale. Sul totale dei residenti di cittadinanza straniera quasi 519 mila sono nati in Italia (72.472 nel solo anno 2008). Gli stranieri nati nel nostro Paese sono un segmento di popolazione in costante crescita: nel 2001, in occasione del censimento, erano circa 160 mila. Essi costituiscono il 13,3 per cento del totale degli stranieri residenti e, non essendo immigrati, rappresentano una «seconda generazione» in quanto la cittadinanza straniera è dovuta unicamente al fatto di essere figli di genitori stranieri. Complessivamente, i minorenni stranieri sono circa 862 mila. La maggior parte di essi è nata in Italia, di fatto i 519 mila individui di cui al punto precedente, mentre la restante parte è giunta nel nostro Paese al seguito dei genitori. Circa la metà dei residenti stranieri (1.906 mila individui, pari al 49 per cento del totale) proviene dai paesi dell'Est europeo: in particolare, circa un quarto (967 mila) proviene dai "Paesi Ue di nuova adesione" (796 mila sono cittadini rumeni); l'altro quarto è rappresentato dai cittadini dei paesi est-europei non appartenenti all'Ue (940 mila);
in sintesi, quindi, gli immigrati rappresentano il 7 per cento della forza lavoro del nostro Paese, con stipendi netti attorno ai 900 euro mensili ed un'età media di 15 anni più bassa di quella degli italiani, costituiscono l'1 per cento del gettito fiscale complessivo, hanno fatto lievitare di circa l'1 per cento la spesa pubblica nei settori del welfare, forniscono il 4 per cento dei contributi previdenziali, ricevendo per ora una quota minima dei trattamenti pensionistici;

infatti, i contributi previdenziali versati, in linea di massima dagli immigrati rientrano nel sistema contributivo, dove il minimo contributivo è di 5 anni e, d'altra parte, la legge n. 189 del 2002, la cosiddetta Bossi-Fini, prevede che il lavoratore immigrato possa ricevere la pensione soltanto al compimento del sessantacinquesimo anno di età e non per anzianità lavorativa, se il lavoratore, trascorsi i sei mesi di ricerca di una nuova occupazione, prenderà atto che non c'è più prospettiva occupazionale in Italia, farà ritorno al paese di origine e, nel caso non abbia lavorato per almeno cinque anni e in assenza di un accordo di reciprocità tra il suo paese e l'Inps, i contributi da lui versati andranno perduti e resteranno in Italia;
l'accordo di reciprocità vige all'interno dell'Unione europea, ma è stato sottoscritto con pochi altri paesi al di fuori della Comunità, tra questi il più rilevante è la Tunisia. Non è invece in vigore alcun accordo con molti Paesi di origine degli immigrati, come Marocco, Albania, Ucraina, Cina, India e altri;
a questa forza lavoro regolare vanno aggiunti i 422 mila stranieri irregolari, secondo i dati Ismu, che sono quelli che lavorano di più e guadagnano di meno rispetto a chi ha i documenti in regola. È più facile per loro trovare un impiego sottopagato, magari senza contratto e contributi e con turni più pesanti. Lavorano di sabato (80 per cento), di domenica (31,8 per cento), di notte (38 per cento) e guadagnano meno di 5 euro l'ora (il 40 per cento), in media il 12,4 per cento in meno di chi è in regola (il 17 per cento se donne). Sono questi i dati riportati nell'indagine «sicurezza, lavoro nero, immigrazione» condotta dall'economista Tito Boeri per la Fondazione Debenedetti e l'Università Bocconi di Milano;
lo sfruttamento del lavoro nero colpisce in modo particolare le persone più vulnerabili e fragili, tra queste gli immigrati privi del permesso di soggiorno. Essi sono tenuti in condizioni di irregolarità dai loro sfruttatori per procrastinare ed accentuare la vulnerabilità e la debolezza sociale e far apparire senza alternative la condizione di sfruttamento ed inoltre il lavoro nero è l'area in cui maggiore è la competizione tra gli immigrati ed i lavoratori italiani perché lo sfruttamento degli uni abbassa le tutele degli altri;
i lunghi e farraginosi meccanismi dell'ingresso per lavoro (mediante la cosiddetta chiamata nominativa o numerica di uno straniero sconosciuto residente all'estero); la brevità della durata dei permessi di soggiorno, la macchinosità e i tempi lunghi del loro rinnovo sono tutti fattori che rendono alta la probabilità che un lavoratore regolare diventi, suo malgrado, irregolare;
come emerge dai dati riferiti dal viceprefetto al Ministero dell'interno, dottoressa Daniela Parisi «le domande di sanatoria per colf e badanti presentate sono state 295.052, per un totale di 128.151 pratiche già definite. Di queste, 119.142 sono state finora accolte, quasi diecimila quelle rigettate. Ad oggi il totale delle convocazioni davanti agli sportelli unici dell'immigrazione per esaminare le pratiche è di 178.366». ed aggiunge: «È difficile fare previsioni sui tempi della sanatoria. Credo che la maggior parte delle domande inoltrate saranno esaminate entro la fine dell'estate o, al massimo, per le province più grandi, entro l'autunno prossimo»;
in altri termini solo il 59 per cento dei 300 mila lavoratori che hanno fatto richiesta del regolare contratto è riuscito a firmarlo, 4 su 10 continuano a restare irregolari -:
se il Governo non ritenga di inserire nella sua agenda politica come priorità l'emersione del lavoro irregolare contrastando l'economia sommersa le cui dimensioni abnormi sono, nel nostro Paese, potente fattore attrattivo dell'irregolarità nonché prevedere l'introduzione del reato di grave sfruttamento del lavoro (caporalato), aggravato quando interessa minori e migranti clandestini;

se il Governo non ritenga opportuno prolungare la durata del tempo per il rinnovo del permesso di soggiorno quando si perde il lavoro ed estendere ai lavoratori immigrati gli ammortizzatori sociali previsti per i lavoratori italiani nonché ridurre i tempi e dare certezza a questi circa il rilascio ed il rinnovo dei permessi di soggiorno;
se il Governo non ritenga opportuno riattivare le quote dell'ingresso regolare e semplificare le procedure, incentivare e semplificare, in accordo con le Regioni, l'applicazione dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 296 del 1998 relativamente alla formazione di personale all'estero da parte delle aziende;
alla data attuale quante siano le persone a cui è stato riconosciuta l'applicabilità dell'articolo 18 del decreto legislativo n. 286 del 1998 che prevede un permesso di soggiorno umanitario per le persone che denunciano i propri sfruttatori e se non ritenga opportuno inserire i rifugiati e le persone vittime di tratta tra le categorie svantaggiate che possono beneficiare della legge n. 382 del 1991 sulla cooperazione sociale;
alla data attuale quante siano ancora le domande di sanatoria per colf e badanti inevase, quelle accettate e quelle rigettate nonché quali siano i tempi certi affinché tutte le domande possano essere evase.
(2-00867)«Livia Turco, Murer».

Interrogazione a risposta scritta:

FIANO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
risulta che il 28 ottobre 2010 un'organizzazione denominata Hammerskin ha programmato l'inaugurazione di una nuova sede in Milano;
in tale sede e in quella data si dovrebbe svolgere una conferenza in onore e in ricordo del generale nazista delle SS Léon Degrelle, condannato dalla magistratura belga come criminale di guerra;
sulla vetrina di tale sede appare un manifesto con la scritta «Avamposto contro l'immigrazione e gli zingari»;
la locandina di invito all'iniziativa reca la foto del generale nazista in alta uniforme;
l'iniziativa si svolgerebbe in concomitanza con l'anniversario della marcia su Roma -:
se il Governo ritenga che questa attività possa ricadere nelle fattispecie previste dalla legge n. 205 del 1993, cosiddetto decreto Mancino nonché dalle fattispecie previste dalla legge n. 645 del 1952, cosiddetta legge Scelba, laddove ad esempio all'articolo 4 individua il reato di apologia del fascismo e in tal caso se ritenga di denunciare i fatti all'autorità giudiziaria;
se l'organizzazione titolare della sede di cui sopra e organizzatrice dell'iniziativa, sia in possesso di ogni requisito di legge;
quali iniziative intenda assumere il Governo, in accordo con le locali autorità di ordine pubblico, in ordine ai fatti su elencati.
(4-09140)

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:

ZAZZERA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
i tagli previsti dal Governo hanno messo in crisi il regolare funzionamento degli istituti scolastici, al punto da privarli dei servizi indispensabili;
la scuola media «Giovanni Modugno» di Bitetto (Bari) si è vista costretta a ricorrere al contributo economico delle famiglie degli alunni, al fine di fronteggiare le spese di gestione dell'istituto;
in particolare, la preside della scuola ha chiesto ai genitori dei bambini il versamento

di 20 euro per l'acquisto di carta, toner, cartucce delle stampanti, cancelleria, registri degli insegnanti e fogli di protocollo;
la scuola ha precisato che non si tratta di una tassa, bensì di un contributo volontario, cui segue, a richiesta, il rilascio di ricevuta di pagamento ai fini della detrazione fiscale prevista dalla legge n. 40 del 2007;
i genitori sono in protesta, perché se è vero che i contributi volontari sono previsti dalla legge, è altrettanto vero che senza il sostegno economico delle famiglie l'istituto non potrebbe funzionare;
conseguentemente, la norma del nostro ordinamento che prevede la gratuità della scuola pubblica fino all'età dell'obbligo di 16 anni, verrebbe sostanzialmente meno -:
quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare al fine di consentire agli istituti scolastici il rispetto della norma che prevede la gratuità della scuola pubblica fino all'età dell'obbligo di 16 anni, ponendoli in condizione di assicurare i servizi indispensabili per il loro corretto funzionamento.
(5-03647)

CECCUZZI, CENNI, MATTESINI, NANNICINI e SANI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'università degli studi di Siena versa da tempo in una gravissima situazione finanziaria che mette permanentemente a rischio il puntuale pagamento di dipendenti e fornitori, la continuità e la qualità dell'offerta didattica per gli studenti e l'attività di ricerca scientifica e più recentemente il rispetto degli oneri assunti nei confronti dei dipendenti con il contratto di lavoro;
questa condizione che vive l'università di Siena è di crisi più accentuata in un contesto nel quale, in ogni caso, la maggior parte degli atenei italiani vive una carenza di risorse e liquidità aggravata dalla politiche del Governo ed in particolare dalla riduzione del Fondo per il finanziamento ordinario delle università (Ffo);
per far fronte a tale situazione finanziaria gli organi collegiali dell'ateneo senese hanno approvato diversi piani di risanamento, che hanno stabilizzato e solo in parte ridotto l'indebitamento, che rimane intorno ai 200 milioni di euro come il deficit di parte corrente che produce una perdita di circa 30 milioni di euro per esercizio. I primi risultati, che hanno salvato l'ateneo ma non sono sufficienti per rendere efficace, equo e duraturo un percorso di risanamento, sono stati ottenuti in virtù innanzitutto dei sacrifici dei lavoratori, peraltro ripartiti in misura non equa, e in dismissioni immobiliari a cui ha partecipato la regione Toscana e di altri ingenti sacrifici che hanno ridotto il patrimonio immobiliare costituito da edifici di prestigio e importanza storica per l'ateneo e per la città di Siena. I passi successivi non potranno prescindere da una adeguata razionalizzazione dell'offerta didattica ed ancor meno da un accordo quadro con i sindacati ed i lavoratori per una equa ripartizione dei sacrifici;
va segnalato, in questo contesto, che l'università di Siena non ha aumentato le tasse di iscrizione per gli studenti, evitando anche di adeguare l'importi ai nuovi indici Istat;
la crisi dell'università di Siena è stata oggetto, fino ad oggi, di 3 atti di sindacato ispettivo a risposta in Commissione, l'interrogazione numero 5-00744, conclusa il 26 febbraio 2009; l'interrogazione numero 5-01897, conclusa il 29 ottobre 2009 e l'interrogazione 5-02350 conclusa il 18 febbraio 2010;
in questa ultima interrogazione (numero 5-02350) si richiedeva al Governo, in particolare, se intendesse mettere in campo e strumenti normativi e risorse economiche per salvaguardare l'attività didattica dell'università senese, i livelli occupazionali diretti ed indiretti e tutelare il prestigio di uno dei più antichi e rinomati

atenei italiani ed internazionali. Il documento richiedeva inoltre, a quali conclusioni fosse «giunto il gruppo di lavoro istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze del quale si riferisce nella risposta all'atto di sindacato ispettivo numero 5-00495, nell'esaminare il materiale trasmesso dal rettore dell'ateneo in data 6 febbraio 2009» e quando il Governo e Ministero competente avessero intenzione di «concedere l'incontro con i rappresentanti dell'Ateneo di Siena, del Comune di Siena, della Provincia di Siena e della Regione Toscana, già richiesto ufficialmente alcuni mesi fa, per verificare il Piano di risanamento dell'Università e gli interventi necessari per salvaguardare la continuità didattica ed i livelli occupazionali dello stesso ateneo»;
i quesiti sopraelencati non hanno avuto, in sede di dibattito dell'interrogazione in oggetto, secondo gli interroganti una risposta chiara ed esaustiva da parte del Ministero competente;
tra le azioni concrete messe in campo per sostenere economicamente l'ateneo senese va ricordato che la regione Toscana ha stanziato per 40 milioni di euro in 5 anni risultanti da un accordo siglato dalla stessa regione con i tre atenei regionali per la vendita di alcuni brevetti;
sempre la regione Toscana ha acquistato, dall'università di Siena, il policlinico «Le Scotte» per una cifra di oltre 100 milioni di euro;
tale atto segue la vendita nel 2009, da parte dell'ateneo senese, dell'immobile San Niccolò (sede delle facoltà di lettere e filosofia e ingegneria) alla società strumentale dell'INPDAP (Fabrica immobiliare Sgr Spa) e precede il mandato, conferito nelle scorse settimane ad una società milanese, per l'alienazione del complesso immobiliare denominato «Certosa di Pontignano», anch'esso di proprietà dell'università di Siena;
tra gli aiuti finanziari ricevuti dall'università di Siena, nel corso dell'anno 2009, si segnalano anche le erogazioni di circa 5,8 milioni di euro da parte della fondazione Monte dei Paschi di Siena (per finanziare sia la componente strutturale che la didattica);
la crisi finanziaria dell'ateneo senese ha provocato in questi mesi, una diminuzione dei livelli occupazionali che hanno coinvolto alcune categorie di lavoratori, come i ricercatori, i lettori linguistici ed il personale tecnico-amministrativo;
sono infatti circa 48 i lavoratori «stabilizzandi» e 25 assunti con contratto a tempo determinato (con meno di 36 mesi di attività lavorativa negli ultimi 5 anni) che hanno perso il posto di lavoro; a questi vanno sommati oltre 100 dipendenti della Cooperativa solidarietà sociale che non collaborano più con l'ateneo nelle sedi di Siena e di Arezzo. Va inoltre sottolineato come i «Cel» (collaboratori ed esperti linguistici) abbiano avuto una riduzione di due terzi dello stipendio mentre sono stati attuati 30 prepensionamenti di docenti universitari;
sono inoltre numerose le unità di personale tecnico-amministrativo dell'ateneo senese andate in mobilità volontaria (40 fino ad oggi con la previsione di ulteriori 150 entro il 2013);
anche in questo caso il Governo, nonostante le numerose sollecitazioni, non ha prodotto nessuna azione efficace. Gli unici interventi atti a cercare di salvaguardare i posti di lavoro sono stati messi in campo dagli enti locali;
per semplificare ed agevolare, infatti, il ricollocamento del personale tecnico-amministrativo dell'università in mobilità presso altri enti della pubblica amministrazione, la provincia di Siena, i comuni della provincia e l'ateneo senese hanno sottoscritto un protocollo d'intesa e realizzato un apposito sito internet per segnalare la disponibilità di posti di lavoro vacanti nella pubblica amministrazione, a livello territoriale. Un'iniziativa che ha contribuito a ricollocare, ad oggi, circa 40 dipendenti;

nello scorso mese di luglio si sono svolte le elezioni per il nuovo rettore dell'università degli studi di Siena. Il ballottaggio ha visto prevalere il professor Angelo Riccaboni;
sulla regolare elezione del rettore la procura della Repubblica di Siena ha aperto un'inchiesta. Di tale inchiesta non se ne conoscono ancora gli esiti anche se, per gli organi di stampa locale, sembra essere conclusa;
è tutt'ora in corso l'indagine condotta dalla Guardia di finanza, per accertare le responsabilità della grave situazione finanziaria che ha coinvolto da mesi l'ateneo senese;
a partire dai giorni scorsi si sono accese e moltiplicate diverse forme di agitazione e di protesta degli studenti, dei ricercatori, dei docenti e del personale tecnico amministrativo dell'ateneo senese. «Il perdurare della situazione di crisi dell'ateneo a livello locale e l'attacco all'università in quanto amministrazione pubblica a livello governativo - riporta un documento unitario delle Rsu, a seguito dell'occupazione di alcuni locali dell'università - ci vedono costretti a trovare questa forma di protesta ferma, e visibile anche se simbolica, perché non possiamo più accettare lo stato di cose. Il personale tecnico amministrativo non è colpevole dell'attuale situazione, come nemmeno gli altri soggetti precari che sono già stati espulsi dall'Ateneo»;
va ribadita la vicinanza e la solidarietà degli interroganti a tutta la comunità accademica, agli studenti, ai docenti, ai ricercatori che hanno diritto a fruire e produrre una didattica ed una ricerca di qualità come ai lavoratori dell'ateneo che chiedono risposte in ordine alle prospettive dei rispettivi posti di lavoro, del godimento dei propri diritti contrattuali e prima di tutto di un accordo quadro che preveda un ripartizione equa dei sacrifici;
va aggiunto che alla'eccezionalità della situazione dell'ateneo senese si accompagnano manifestazioni di protesta in tutto il paese per i tagli operati dal Governo al Fondo di finanziamento ordinario che hanno già avuto la conseguenza di mettere in ginocchio tutto il sistema formativo superiore come denunciato a più riprese dai rettori, tra altri e recentemente, degli atenei di Roma («La Sapienza»), di Firenze, di Pisa, de L'Aquila, di Genova, di Foggia, di Cagliari, di Padova, di Milano (Politecnico);
l'obiettivo di tale vasta e diffusa mobilitazione va oltre la richiesta di recuperare risorse adeguate al funzionamento del sistema universitario ma chiede il ritiro o una radicale correzione del disegno di legge del Governo sull'università anche nella parte ordinamentale che non soddisfa le esigenze di modernizzazione della didattica e della ricerca, la domanda di strumenti di diritto allo studio, le modalità di reclutamento dei docenti e dei ricercatori, la definizione dello stato giuridico dei ricercatori, l'accesso alle carriere ed alle forme di lavoro stabili;
essendo stati richiamati i precedenti tre atti di sindacato ispettivo e la proposta di legge «Concessione di un contributo straordinario e altre disposizioni in favore dell'università degli studi di Siena per assicurare la salvaguardia dell'offerta formativa e dell'attività didattica, nonché modifica all'articolo 12 della legge 12 marzo 1999, n. 68, in materia di stipulazione di convenzioni di inserimento temporaneo lavorativo di persone disabili da parte delle università», presentata dagli interroganti il 7 gennaio 2009 sempre nell'intento di richiamare l'attenzione del Governo su una gravissima situazione finanziaria che non può risolversi con le sole forze dell'ateneo, degli enti locali e della regione Toscana, né con le necessarie anticipazioni dell'Ffo, a cui peraltro accedono per analogo stato di bisogno molte altre università del Paese, si deve prendere atto della ormai annosa indifferenza del Governo rispetto all'esigenza di aprire un tavolo di

crisi che può coinvolgere anche una pubblica amministrazione -:
quando intenda dare risposta alla più volte reiterata richiesta del comune e della provincia di Siena, dagli enti locali aretini e sempre rimasta inevasa e più recentemente dal febbraio scorso, per la convocazione di un incontro istituzionale tra il Governo, la regione Toscana, gli stessi enti locali senesi e aretini e l'università di Siena al fine di verificare la sostenibilità, l'efficacia e lo stato di attuazione del piano di risanamento adottato dal consiglio di amministrazione uscente e se lo stesso necessiti di essere corretto, aggiornato e/o supportato da idonei provvedimenti;
se e quando il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca intenda emanare il decreto di nomina del rettore dell'università di Siena, previsto dall'articolo 2 del decreto legislativo Lgt. 7 settembre 1944 n. 264, anche in considerazione dei gravi e crescenti problemi che in questa travagliata fase di transizione stanno inficiando l'attività ordinaria dell'ateneo sia didattica, che di ricerca, che amministrativa e delle relazioni sindacali o se, in base alle informazioni in suo possesso, vi siano impedimenti di diverso ordine e grado che a proprio giudizio non consentano l'insediamento del nuovo rettore alla scadenza prevista per il prossimo 1o novembre;
a quali conclusioni sia giunto il gruppo di lavoro istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, già in data il 7 gennaio 2009, come annunciato nella risposta alla interrogazione n. 5-00744, in ordine all'accertamento delle cause e delle responsabilità che hanno portato al dissesto dell'ateneo provocando un danno incalcolabile ad una istituzione culturale e formativa così prestigiosa, a tutta la sua comunità accademica, ai dipendenti, alla città di Siena che ha sempre avuto un legame forte ed inscindibile con lo studio senese, come alla città di Arezzo (dove è presente dal 1969 una prestigiosa sede distaccata le cui facoltà e ed i cui master sono frequentati oggi da circa 3000 studenti).
(5-03649)

Interrogazioni a risposta scritta:

BARANI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'amministrazione comunale di Villafranca in Lunigiana sta svolgendo una campagna di rigore dicendo che ha ridotto di 50 centesimi al giorno, il costo dei pasti mensa delle scuole elementari del paese e il servizio dei trasporti scolastici;
per meno di un caffè, l'amministrazione comunale, ha ridotto la quantità del cibo che viene dato ai bambini, ma soprattutto si arriva a speculare sulla qualità;
non verranno più distribuiti i cibi biologici, che venivano forniti dall'amministrazione precedente, e quelli di altissima qualità, ma cibi OGM (organismi geneticamente modificati) e precotti;
l'interrogante valuta negativamente la decisione di cambiare in questo modo i pasti dei bambini e soprattutto poco opportuno per la loro salute utilizzare i cibi OGM -:
se non intendano assumere iniziative, anche mediante intese con gli enti locali, per definire gli standard di qualità per gli alimenti somministrati ai bambini nelle scuole, al fine di favorire una corretta, sana ed equilibrata alimentazione.
(4-09130)

PISICCHIO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
il Contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto delle Istituzioni di alta formazione e specializzazione artistica e musicale (AFAM) per il quadriennio giuridico 2006/09 ed il biennio economico 2006/07, stipulato all'Aran in data 4 agosto 2010, all'articolo 18 prevede un'apposita sequenza contrattuale per ridefinire le posizione giuridiche del personale docente e non docente di dette istituzioni, mediante l'emanazione di uno

specifico atto normativo diretto a ricollocare risorse già disponibili nel bilancio del Ministero;
in data 19 novembre 2009 si è stipulato un protocollo di intesa tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e le organizzazioni sindacali rappresentative nel comparto, in cui il Ministero si impegnava a reperire le necessarie coperture finanziarie per una compiuta e positiva conclusione della trattativa di comparto;
in data 16 febbraio 2010 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, addiveniva ad un accordo sul tentativo di conciliazione con le organizzazioni sindacali impegnandosi ad assegnare risorse aggiuntive, oltre a quelle previste nell'atto di indirizzo, nella misura di 8.500.000 euro (ottomilionicinquecentomila) una tantum mediante una diversa collocazione delle risorse finanziarie già disponibili nei capitoli di bilancio del Ministero;
in data 20 aprile 2010 veniva consegnata per informativa ai sindacati una bozza di norma, con relativa scheda tecnica, diretta appunto a disporre la nuova utilizzazione delle risorse già disponibili nei vari capitoli -:
quali urgenti interventi i Ministri interrogati intendano adottare per rimuovere le condizioni che ostano all'emanazione dell'apposito atto normativo di assestamento finanziario nei termini necessari per onorare l'impegno assunto.
(4-09137)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

FRONER. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
i dirigenti della Cabot hanno comunicato all'assessore all'industria della provincia autonoma di Trento che la casa madre americana ha deciso la chiusura dello stabilimento di Grigno in Valsugana;
la chiusura non è motivata da deficit prestazionale o da crisi finanziaria (il mercato continua a tirare), ma dalla volontà di una ricollocazione strategica dei siti produttivi, per concentrare in Belgio la produzione europea;
la decisione assolutamente irreversibile, per dichiarazione della stessa proprietà, era del tutto imprevedibile e ciò ha impedito una qualsiasi attività di tipo preventivo;
i 43 operai che rimarranno disoccupati hanno una media di 45 anni e quindi sono difficilmente collocabili nel mercato del lavoro specie in un momento come l'attuale e in una zona, la Valsugana, in crisi industriale con il 30 per cento dei capannoni chiusi -:
quali siano le informazioni del Governo sulla realtà dell'unità produttiva in questione e sulle possibilità di mantenerla attiva nonché di salvaguardare i relativi posti di lavoro;
se non ritenga di dover promuovere, con la massima urgenza, iniziative con l'azienda, con le organizzazioni sindacali e le istituzioni interessate, al fine di accertare ogni utile possibilità di intervento per scongiurare la chiusura di una così importante esperienza produttiva.
(5-03651)

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RAPPORTI CON LE REGIONI E PER LA COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta scritta:

GIAMMANCO, CECCACCI RUBINO, REPETTI, BARANI, DE LUCA, VINCENZO ANTONIO FONTANA, GIRLANDA, MOTTOLA e MANCUSO. - Al Ministro per i rapporti con le regioni e coesione territoriale, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
la regione Veneto ha autorizzato, mediante delibera di giunta regionale del 5

ottobre 2010, la caccia a sei specie di uccelli protetti non cacciabili (fringuello, peppola, frosone, storno, pispola, pispolone) utilizzando le cosiddette «deroghe da lettera c» o della «piccola quantità», di cui all'articolo 9, legge comunitaria della direttiva comunitaria «Uccelli»;
la legge n. 157 del 1992 per la protezione della fauna selvatica e la disciplina della caccia, in recepimento della direttiva uccelli, prevede all'articolo 19-bis che le regioni disciplinino l'esercizio delle deroghe a cacciare uccelli protetti non cacciabili, previste dalla stessa direttiva, dovendosi tuttavia strettamente conformare alle prescrizioni dell'articolo 9, ai principi e alle finalità degli articoli 1 e 2 della stessa direttiva ed alla stessa legge n. 157 del 1992;
a causa di un'applicazione discutibile del regime di deroga da parte di varie regioni italiane, tra cui il Veneto, la Commissione europea ha attivato contro la Repubblica italiana una corposa procedura di infrazione (2006/2131);
tra le più importanti contestazioni della Commissione europea vi è quella circa l'uso «ordinario» e perciò improprio, di uno strumento - quello appunto delle deroghe di caccia - che è invece per sua natura straordinario e utilizzabile solo in via di eccezione e in condizioni di rigido controllo. Scrive infatti la Commissione, al punto 57 del parere motivato della procedura di infrazione 2006/2131 che «il regime delle deroghe previsto dalla direttiva è prevalentemente utilizzato [dall'Italia] per autorizzare una sorta di regime semipermanente di caccia agli uccelli rispetto ai quali la caccia è vietata. Ciò è in contrasto con gli obiettivi della direttiva e del suo articolo 9, il quale prevede un «potere di deroga» esercitabile in via eccezionale non per autorizzare un regime regolare di caccia a uccelli protetti ma per consentire l'abbattimento o la cattura di uccelli selvatici in vista della tutela dei fini di interesse generale indicati dall'articolo 9, paragrafo 1 della direttiva 79/409/CEE);
in Italia e, in particolare nella regione Veneto, si cacciano ordinariamente uccelli appartenenti a specie non cacciabili, venendo così meno la caratteristica principale e più generale dello strumento della deroga, la sua eccezionalità e venendo sostanzialmente meno, con essa, la distinzione tra specie cacciabili e specie non cacciabili;
tra le principali contestazioni della Commissione europea vi è anche il regime di controllo che lo Stato si è dato (articolo 19-bis, comma 4 della legge n. 157 del 1992) sulle deroghe regionali che, secondo la Commissione europea, appare troppo lento e macchinoso e comunque risulta poco utilizzato e quindi inefficace verso i provvedimenti di deroga scorretti;
la Corte di giustizia europea ha accolto in pieno tutte le contestazioni della Commissione europea e condannato l'Italia, il 15 luglio scorso, nella causa 573-08;
si aprirà ora una fase di verifica da parte degli organi comunitari circa l'impegno concreto dell'Italia a sanare le situazioni di infrazione, tra cui appunto l'abuso delle deroghe e il non rapido e non efficace intervento state su di esse. Se ciò non dovesse avvenire si attiverebbe una nuova procedura di infrazione, ai sensi dell'articolo 228 del Trattato dell'Unione europea e, dunque, in caso di seconda condanna, le sanzioni decise dalla Corte;
in sede di Corte di giustizia l'Italia ha ufficialmente riconosciuto le proprie mancanze, impegnandosi esplicitamente, attraverso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, «a porre in essere qualsiasi iniziativa affinché le regioni coinvolte adeguino la loro legislazione» (paragrafo 61 della sentenza C-573/2008);
la regione Veneto, oltre ad avere contribuito alla condanna dell'Italia nella causa succitata, è oggetto di specifica procedura di infrazione sul tema delle deroghe ed è stata deferita alla Corte di

giustizia europea, dalla quale si attende la sentenza;
la regione Veneto, ininterrottamente dall'anno 2003, attiva deroghe a cacciare piccoli uccelli protetti non cacciabili, tra cui fringuelli e peppole, ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 11, lettera c della direttiva uccelli, violando gravemente la distinzione tra specie cacciabili e specie non cacciabili;
il nuovo atto della regione Veneto, che prefigura almeno due gravi violazioni della normativa (utilizzo straordinario, per l'ennesimo anno consecutivo, di uno strumento straordinario e mancanza di condizioni rigidamente controllate), aggraverà senza meno la posizione dell'Italia e della stessa regione Veneto;
la fauna selvatica non cacciabile è patrimonio indisponibile dello Stato, nonché dell'Unione europea e della comunità internazionale e sta subendo un danno irreparabile;
la legge n. 157 del 1992, all'articolo 19-bis, comma 4, prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa delibera del Consiglio dei ministri, può annullare, dopo aver diffidato la regione interessata, i provvedimenti di deroga da questa posti in essere in violazione delle disposizioni della presente legge e della direttiva 79/409/CEE» -:
se i Ministri non ritengano di intervenire, ai sensi della legge n. 157 del 1992 articolo 19-bis comma 4, per diffidare la regione Veneto e, in caso di inadempienza, annullare i provvedimenti di deroga in materia di caccia, come previsto dalla predetta legge, al fine di evitare una probabile condanna pecuniaria in sede europea al nostro Paese e quindi un danno erariale.
(4-09124)

TESTO AGGIORNATO AL 26 OTTOBRE 2010

...

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:

FUCCI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
dopo aver presentato la proposta di legge A.C. 3427, concernente misure per il contrasto all'endometriosi, una malattia che agisce in modo progressivo ed è di difficile individuazione, motivo per il quale si calcola che venga diagnosticata in media nove anni dopo il suo emergere quando circa il 75-80 per cento delle donne da essa colpite è ormai soggetta a numerosi sintomi, l'interrogante ha ricevuto un appello da parte di una cittadina che soffre, oltre che della stessa endometriosi, anche di altre patologie di difficile diagnosi, il che rappresenta una situazione di grave disagio anche psicologico in quanto ad oggi c'è carenza di protocolli che contemplino la diagnosi e la cura di casi del genere -:
se siano in corso di elaborazione o, in caso di risposta negativa, quali eventuali iniziative intenda assumere in proposito il Ministro interrogato, appositi protocolli medico-scientifici per la diagnosi e la cura relativamente a pazienti che soffrono simultaneamente di più patologie di difficile diagnosi.
(4-09131)

FUCCI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo i risultati di una indagine commissionata dalla società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva, cresce nei punti nascita italiani la richiesta, da parte delle partorienti, di poter usufruire delle tecniche relativa al cosiddetto «parto senza dolore»;
allo stesso tempo, sempre secondo l'indagine della SIAARTI, solo il 16 per cento delle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate sono in grado di attuare il «parto senza dolore», oltretutto con fortissime disomogeneità tra le diverse

realtà locali (con per esempio con regioni come Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna che stanziano annualmente risorse importanti e altre regioni in cui invece l'analgesia epidurale rappresenta un miraggio) -:
quali eventuali iniziative intenda assumere il Governo, in sinergia con le regioni, al fine di favorire un processo di sviluppo del «parto senza dolore» sull'intero territorio nazionale sia fornendo risorse che mettendo a punto linee-guida indirizzate agli enti locali.
(4-09132)

MARINELLO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in data 28 agosto 2007, la delibera 2105 del direttore generale dell'azienda ASL n. 9 di Trapani stabiliva un'integrazione al bilancio dell'esercizio 2007 per ammissione a finanziamento dei «lavori di riconversione di una parte del vecchio Ospedale di Castelvetrano in Residenza Assistenziale Sanitaria per anziani e contestuale pagamento all'impresa appaltatrice dell'opera - Stato di avanzamento n. 5»;
nel 2008, il presidente della 5a Commissione Consiliare permanente «Polizia Municipale, Annonaria e Solidarietà sociale» del comune di Castelvetrano sollecitava la consegna dei locali dell'ex ospedale vecchio - per la cui ristrutturazione era stato profuso un significativo impegno finanziario - alla ASL n. 9 di Trapani, al fine di attivare in tempi brevi una residenza sanitaria assistita (RSA) nel territorio comunale;
il piano di riordino della rete ospedaliera e territoriale della provincia di Trapani, elaborato nel quadro del piano di rientro dal deficit della spesa sanitaria - sottoscritto dalla regione Sicilia il 31 luglio 2007 - ed in ottemperanza alla legge regionale 14 aprile 2009, n. 5 e al successivo decreto attuativo del 15 giugno 2009, in relazione alla riorganizzazione del distretto ospedaliero TP2 (presidio ospedaliero di Castelvetrano, presidio ospedaliero di Salemi, presidio ospedaliero di Mazara e presidio ospedaliero di Marsala) definisce: «imminente» l'attivazione di una residenza sanitaria assistenziale con 30 posti letto annessa all'area del presidio ospedaliero di Castelvetrano;
ad oggi non risulta che nel comune di Castelvetrano - o nel suo territorio - sia stata attivata alcuna residenza sanitaria assistenziale;
la mancata realizzazione di questo importante strumento del sistema territoriale dei servizi alla persona si ripercuote negativamente sia sulla dimensione assistenziale - i cittadini sono costretti a rivolgersi alle strutture private RSA di Mazara del Vallo o di Salemi, con grande disagio per i pazienti e per le loro famiglie - che su quella propriamente gestionale-finanziaria, in quanto attualmente gravano sul bilancio della ASP di Trapani le circa trentacinque rette convenzionate per l'assistenza presso le suddette RSA;
l'invecchiamento e la non autosufficienza sono le sfide con le quali i servizi anche ad alta specializzazione socio-sanitaria dovranno confrontarsi nel futuro prossimo e per questo è necessario che esse siano percepite nelle loro reali dimensioni ed implicazioni, in particolare dagli attori istituzionali -:
quali tempestive iniziative, da adottare nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle prerogative attribuite alle regioni in materia sanitaria dalla normativa vigente, ritenga opportuno adottare al fine di garantire a tutti i cittadini - anche, dunque, a quelli residenti nel territorio del comune di Castelvetrano - il godimento del diritto alla salute costituzionalmente sancito e l'applicazione in modo appropriato ed uniforme degli standard minimi qualitativi e quantitativi delle prestazioni sanitarie (LEA).
(4-09136)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:

TULLO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il gruppo Profit operante nelle telecomunicazioni e proprietario dell'emittente Telegenova ha gravissimi problemi economici e ricorre da oltre un anno alla cassa integrazione in deroga per 13 dipendenti;
la chiusura dell'emittente provocherebbe la perdita di 33 posti di lavoro altamente specializzati nel settore tra giornalisti e tecnici;
vi sono forti ritardi nell'emissione dei contributi alle emittenti televisive locali da parte del Ministero;
per il caso in questione significherebbe lo sblocco di circa 3,8 milioni di euro, permettendo il pagamento degli stipendi e degli arretrati -:
in quali tempi e con quali misure intenda sbloccare i fondi in questione a sostegno delle emittenti televisive locali, permettendo la salvaguardia di molti posti di lavoro in questo momento di crisi economica.
(5-03646)

META e VANNUCCI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nel primo semestre del 2011 la regioni Marche, Abruzzo, Molise, Basilicata e Puglia saranno interessate dal passaggio al sistema televisivo digitale terrestre (switch off);
le emittenti locali operanti in tali regioni riscontrano già da tempo problemi di ricezione, dovuti al sovrapporsi dei segnali delle numerose emittenti che trasmettono dagli Stati confinanti con l'Adriatico, quali Croazia, Bosnia, Slovenia, Albania e Montenegro;
in particolare, nelle Marche, in base al piano di assegnazione predisposto dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, le uniche frequenze non soggette alle interferenze stesse verrebbero assegnate alle emittenti nazionali, precludendo di fatto alle nove emittenti locali operanti in tale regione la possibilità di continuare a trasmettere;
tale eventualità determinerebbe una grave limitazione del diritto di informazione dei cittadini, ed avrebbe pesanti ricadute sul versante occupazionale;
il presidente della regione Marche ha nei giorni scorsi sollecitato la costituzione di un tavolo nazionale, con Governo e l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, per ridefinire i criteri di assegnazione delle frequenze relativi a questa area geografica -:
se sussista in concreto la possibilità che lo switch off determini nelle regioni adriatiche il sostanziale oscuramento della maggior parte delle emittenti locali;
quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, ai fini dell'individuazione di una idonea soluzione del problema.
(5-03650)

...

Apposizione di una firma ad una mozione.

La mozione Mecacci e altri n. 1-00460, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 ottobre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vernetti.

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

La mozione Vernetti n. 1-00452, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 ottobre 2010, deve intendersi

sottoscritta anche dai deputati: Della Vedova, Villecco Calipari, Boniver, Volontè, Mura, Brugger, Adornato, Barbieri, Bobba, Calgaro, Carlucci, Marco Carra, Colombo, Cuperlo, D'Antona, Damiano, Di Biagio, Di Stanislao, Esposito, Fadda, Farina Coscioni, Favia, Ferrari, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giulietti, Gnecchi, Goisis, Lanzillotta, Lo Monte, Mancuso, Mantini, Margiotta, Giorgio Merlo, Messina, Mogherini Rebesani, Orsini, Raisi, Realacci, Ria, Ruben, Sarubbi, Speciale, Stradella, Torrisi, Touadi, Maurizio Turco, Zacchera, Zazzera.
Contestualmente, su richiesta del presentatore, l'ordine delle firme si intende modificato.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta in Commissione Fiano e Colombo n. 5-03514, pubblicata nell'allegata B ai resoconti della seduta del 30 settembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Mogherini Rebesani, Ferrari, De Biasi, Ghizzoni, Villecco Calipari.

L'interrogazione a risposta in Commissione Tommaso Foti n. 5-03542, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 ottobre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tortoli.

L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Libè e Nunzio Francesco Testa n. 5-03632, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 ottobre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tortoli.

Pubblicazione di un testo riformulato.

Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in commissione Fiano n. 5-03514, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 376 del 30 settembre 2010.

FIANO e COLOMBO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 20 settembre 2010 il direttore scolastico regionale della Lombardia dottor Giuseppe Colosio, e il comandante regionale dell'Esercito italiano, generale Camillo De Millato, hanno sottoscritto il protocollo d'intesa «Allenarsi alla vita» all'interno del progetto «Incontri esercito scuola» per realizzare un progetto di addestramento alla cultura e alla vita militare, rivolto agli studenti delle scuole secondarie superiori delle province lombarde;
il corso affronterà materie quali «cultura militare» «armi e tiro» «sopravvivenza in ambienti ostili»;
si concluderà con una gara pratica tra pattuglie di studenti;
gli istruttori del corso sono tutti volontari dell'UNUCI (Unione nazionale ufficiali in congedo);
si prevede la partecipazione di circa 1.000 studenti delle scuole lombarde;
un gruppo di studenti ha partecipato ad una manifestazione di contestazione di tale iniziativa che si è svolta a Milano di fronte alla sede dell'UNUCI;
risulta che nel corso di tale manifestazione uno degli studenti manifestanti, Leon Blanchaert, sia stato immobilizzato da due carabinieri e colpito al naso da un terzo, il ragazzo ha riportato la frattura del naso con conseguenze e necessità di intervento chirurgico;
contemporaneamente anche una ragazza sarebbe stata violentemente malmenata dai carabinieri presenti;

sarebbero stati danneggiati e/o distrutti alcuni apparecchi fotografici di proprietà degli studenti -:
se fosse stata data comunicazione della manifestazione alla questura di Milano;
quali siano state le direttive ricevute dai carabinieri circa l'atteggiamento da tenere nei confronti dei manifestanti;
quale fosse il reparto dei carabinieri preposto all'ordine pubblico di fronte all'accesso dell'UNUCI nei fatti in questione;
qualora dovesse risultare confermato lo svolgimento dei fatti così come descritto nelle premesse, quali provvedimenti si intendano adottare;
se sia stata avviata una inchiesta interna per verificare lo svolgimento dei fatti che hanno portato al ferimento del ragazzo e della ragazza. (5-03514)