XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di martedì 19 ottobre 2010

TESTO AGGIORNATO AL 20 OTTOBRE 2010

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:

La Camera,
premesso che:
la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza nell'ottobre del 2008 ha dato avvio ad un'indagine conoscitiva per approfondire la condizione dei minori stranieri non accompagnati, ovvero dei minori immigrati nel territorio italiano ed ivi presenti in assenza di familiari, e per ricostruire il percorso di questi minori, una volta che abbandonano i centri di prima accoglienza per gli immigrati, dopo essere stati identificati come minori e, pertanto, esclusi dalla procedura di espulsione dal territorio italiano. Dall'indagine è emersa una situazione di grave allarme sociale; infatti, una larga parte dei minori che vengono rilasciati dai centri di prima accoglienza affrontano un destino incerto, allontanandosi in molti casi senza lasciare traccia dalle comunità alloggio che li ospitano ed esponendosi cosi a pericoli di sfruttamento da parte della criminalità organizzata o a gravi rischi per la loro stessa incolumità;
risulta, altresì, che molte giovani donne, giunte nel nostro Paese in stato di gravidanza a seguito delle ripetute violenze subite durante il tragitto, abbandonano il figlio nel centro di accoglienza dove sono ospitate;
le ragioni dell'allontanamento di questi minori dalle comunità ospitanti sono anche da ricondurre all'insufficienza delle risorse finanziarie a disposizione degli enti locali su cui insistono i centri di prima accoglienza; ai comuni sono, infatti, nella grande maggioranza dei casi affidati i minori con il provvedimento di tutela del magistrato, che segue alla prima accoglienza finanziata dal Ministero dell'interno;
in particolare, il terzo rapporto sui minori stranieri non accompagnati presentato dall'Anci rileva che il numero dei minori stranieri non accompagnati presenti nel nostro Paese tra il 2006 e il 2008 risulta stabile, salvo una lieve flessione dell'8,3 per cento nel 2008, malgrado i minori romeni e bulgari siano nel frattempo divenuti comunitari. Tutto ciò a conferma della gravità della situazione;
sono, invece, aumentati i comuni italiani che hanno preso in carico questi ragazzi, offrendo loro servizi di prima e seconda accoglienza. 93 enti locali hanno assorbito l'85 per cento delle presenze, rispetto ai soli 39 tra i quali era distribuito nel 2006 il 75 per cento dei minori. 4.176 sono stati i minori stranieri inseriti in prima accoglienza e 3.841 quelli accolti in seconda accoglienza. Tra il 2006 e il 2008 si è registrato un aumento esponenziale dei minori afgani e di quelli che giungono da Paesi africani instabili o in conflitto;
l'indagine Anci rileva come quasi il 56 per cento del totale dei minori accolti in strutture di seconda accoglienza si trovi in Friuli Venezia Giulia, Lazio e Sicilia, la quale accoglie quasi il 29 per cento dei minori sul totale nazionale. In continuità con gli anni precedenti, l'aumento più significativo è stato registrato al Sud (+134 per cento), seguito dal Centro (+20 per cento), ma dopo la Sicilia le regioni nelle quali si rileva un aumento significativo dei minori accolti sono la Toscana, la Calabria, la Sardegna, la Basilicata, la Puglia e la Liguria, mentre al contrario le regioni Piemonte (-62,4 per cento), Lombardia (-47,7 per cento) ed Emilia-Romagna (-28 per cento) censiscono una sostanziale riduzione nel numero dei minori inseriti in seconda accoglienza;
dal rapporto Italia dell'European migration network su «Minori non accompagnati - rimpatri assistiti - richiedenti asilo» emerge che in Italia i minori stranieri non accompagnati, provenienti da 78 nazioni diverse, sono stati 7.797, di cui 4.828 segnalati nel corso dell'anno e 2.969 negli anni precedenti. Sempre secondo

l'European migration network, la maggioranza dei minori proviene da Marocco (15,3 per cento), Egitto (13,7 per cento), Albania (12,5 per cento), Palestina (9,5 per cento) e Afghanistan (8,5 per cento). Nei tre quarti dei casi hanno un'età compresa tra i 16 e i 17 anni (76,8 per cento). Mentre alla fine del terzo trimestre del 2009 la banca dati del Comitato per i minori stranieri registrava 6.587 ragazzi giunti da soli in Italia, di cui il 77 per cento non identificato;
purtroppo, però, i dati non possono essere considerati esaustivi rispetto alla reale consistenza del fenomeno, dal momento che da una parte non sono compresi i minori richiedenti asilo e quelli vittime di tratta, dall'altra non si tiene conto di tutti quelli che non sono mai entrati in contatto con il sistema nazionale di accoglienza. Inoltre, dal 2007 non vengono registrati quelli provenienti dalla Romania, da anni uno dei principali punti di partenza dei flussi migratori alla volta dell'Italia. La questione dei minori richiedenti asilo - si legge ancora nel rapporto - risulta poi particolarmente delicata, anche alla luce dell'elevato numero di ragazzi sbarcati nelle regioni meridionali e, in particolare, in Sicilia, dove nell'isola di Lampedusa nel corso del 2008 sono sbarcati 2.326 minori, di cui 1.948 non accompagnati. Nell'anno 2007, invece, erano sbarcati complessivamente 2.180 minori, di cui 1.700 non accompagnati. Mentre i minori approdati in Italia nel 2008 sono stati complessivamente 2.751, di cui 2.124 non accompagnati;
secondo l'organizzazione non governativa Save the children, la presenza dei minori stranieri non accompagnati in Italia è data in crescita, con una concentrazione nelle città con più di 100.000 abitanti, sebbene negli ultimi anni sia emersa una crescente preferenza dei minori per città più piccole (tra i 15.001 e i 100.000 abitanti);
alla Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, ratificata dall'Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176, si accompagnano due protocolli opzionali, che l'Italia ha ratificato con la legge 9 maggio 2002, n. 46: il Protocollo opzionale concernente il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati e il Protocollo opzionale sulla vendita, prostituzione e pornografia dei bambini;
la stessa Convenzione, agli articoli 22, 30, 32, 34, 35, 36, 38 e 39, prevede una tutela particolare a favore di alcuni gruppi di bambini e adolescenti in considerazione della loro maggiore vulnerabilità. Si tratta dei minori in situazione di emergenza, come i minori rifugiati e i minori nei conflitti armati, dei minori in situazione di sfruttamento economico, compreso il lavoro minorile, l'abuso e lo sfruttamento sessuale, delle vittime di tratta o di altre forme di sfruttamento e, infine, dei bambini e adolescenti di minoranze etniche o popolazioni indigene;
le rilevazioni effettuate sono allarmanti, l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) dichiara che arrivano continue denunce di maltrattamenti e discriminazioni su minori e che essi, anche se non hanno commesso alcun reato, vivono sotto regime stretto di sorveglianza da parte dei loro tutori e in ambienti non adeguati. A volte manca un sufficiente grado di assistenza medica e l'accesso all'istruzione o alla formazione professionale;
anche la Commissione europea ha presentato, il 6 maggio 2010 a Bruxelles, un piano d'azione organico per affrontare il problema. In quella sede è stato varato un programma di emergenza, che racchiude norme comuni sulla tutela e la rappresentanza legale, con lo scopo di garantire che le autorità competenti a decidere del futuro di questi bambini e ragazzi si pronuncino quanto prima, preferibilmente entro i sei mesi, in merito alle soluzioni da adottare;
il nuovo piano d'azione europeo propone un approccio basato su tre linee guida: la prevenzione della tratta e della migrazione a rischio, l'accoglienza e le

garanzie procedurali nell'Unione europea, ma soprattutto la ricerca di soluzioni durature;
il fenomeno descritto presenta, altresì, preoccupanti connessioni con i flussi dell'immigrazione clandestina, gestiti dalla criminalità organizzata, spesso con base al di fuori del territorio italiano, a conferma dell'esistenza di gravi fenomeni di tratta di esseri umani, finalizzata allo sfruttamento di minori, soprattutto donne;
la gravità sociale dei fenomeni sin qui descritti e l'urgenza di individuare al più presto gli strumenti per un'efficace tutela di questi minori e per l'affermazione dei loro diritti, accertando tutte le eventuali responsabilità connesse, richiedono che, da parte del Governo, sia posta attenzione ad una politica di accoglienza in sintonia con il quarto rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia 2007-2008, pubblicato dal gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. In particolare, nel citato rapporto si raccomanda, in accordo con i principi e le disposizioni della Convenzione, soprattutto gli articoli 2, 3, 22 e 37, e nel rispetto dei bambini, richiedenti o meno asilo, che l'Italia:
a) incrementi gli sforzi per creare sufficienti centri speciali di accoglienza per minori non accompagnati, con particolare attenzione per quelli che sono stati vittime di traffico e/o sfruttamento sessuale;
b) assicuri che la permanenza in questi centri sia più breve possibile e che l'accesso all'istruzione e alla sanità siano garantiti durante e dopo la permanenza nei centri di accoglienza;
c) adotti, il prima possibile, una procedura armonizzata nell'interesse superiore del bambino per trattare con minori non accompagnati in tutto lo Stato parte;
d) assicuri che sia previsto il rimpatrio assistito, quando ciò corrisponde al superiore interesse del bambino, e che sia garantita a questi stessi bambini l'assistenza per tutto il periodo successivo;
a tale riguardo, sia il Comitato sui diritti dell'infanzia che la rete europea dei garanti dell'infanzia hanno raccomandato linee guida esplicite per la gestione delle operazioni di rimpatrio dei minori, secondo le quali il rimpatrio dovrebbe avvenire solo quando è rispondente al «superiore interesse del minore», ovvero dopo opportuna verifica dei fattori di rischio diretto o indiretto;
come la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha potuto accertare nel corso delle audizioni svolte nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui minori stranieri non accompagnati, molte famiglie già affidatarie sarebbero disponibili ad accogliere in affido temporaneo anche minori stranieri non accompagnati,

impegna il Governo:

a predisporre tutte le misure atte a far sì che la permanenza dei minori nell'ambito delle strutture di accoglienza che li ospitano, dopo il rilascio dai centri di prima accoglienza, non sia in alcun modo condizionata da valutazioni di convenienza economica delle strutture stesse, le quali potrebbero indurre i minori ad allontanarsi, favorendone lo stato di clandestinità;
a coordinare le opportune iniziative per instaurare una rete di comunità alloggio estesa al territorio nazionale, evitando la concentrazione in alcune regioni, attraverso la quale ospitare i minori stranieri non accompagnati all'atto delle dimissioni dai centri di prima accoglienza, per ripartire equamente il carico finanziario di tale ospitalità, valutando se porre a carico dello Stato le spese dell'accoglienza a lungo termine di questi minori;
a verificare se i criteri utilizzati per l'adozione dei provvedimenti di tutela dei minori stranieri non accompagnati siano omogenei su tutto il territorio nazionale;

ad adoperarsi, nell'ambito delle proprie competenze, affinché ogni intervento, anche normativo, che influisca sulla condizione dei minori stranieri non accompagnati, risulti in armonia con i principi della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, nonché con la normativa dell'Unione europea e con le indicazioni del Consiglio d'Europa in materia;
ad adoperarsi per rendere effettivo l'esercizio del diritto d'asilo dei minori stranieri non accompagnati;
a garantire ai minori stranieri non accompagnati uno status giuridico in grado di poterli maggiormente tutelare;
ad attuare tempestivamente il rafforzamento della protezione dei minori stranieri, nonché provvedimenti in linea con la Carta europea dei diritti fondamentali e con la Convenzione sui diritti del fanciullo, con particolare riguardo a quelli non accompagnati, che sono spesso le prime vittime dell'immigrazione clandestina;
ad avviare una strategia di intervento sul tema, in un'ottica di collaborazione tra amministrazione centrale ed enti locali, affrontando alcuni aspetti che hanno importanti ripercussioni sulle caratteristiche che il fenomeno assume in Italia, come l'accertamento dell'età e della nazionalità, l'identificazione, le indagini familiari, il rafforzamento delle capacità operative delle aree di ingresso;
ad adoperarsi affinché siano destinate adeguate risorse finanziarie a favore dei minori stranieri non accompagnati, anche per assicurare, in accordo con la Conferenza unificata, la prosecuzione dei progetti e delle iniziative già avviate, quali, ad esempio, il «programma nazionale di protezione dei minori stranieri non accompagnati», che il Comitato per i minori stranieri gestisce con l'Anci;
a considerare la possibilità di assumere le necessarie iniziative per rilasciare il permesso di soggiorno anche per quei minori stranieri che abbiano raggiunto la maggiore età e che abbiano già intrapreso un percorso documentato di integrazione sociale e civile.
(1-00459)
«Capitanio Santolini, Zampa, Di Giuseppe, Mussolini, Mosella, Misiti, Iannaccone, Lussana, Delfino, Nunzio Francesco Testa, Compagnon, Tassone, Volontè, Naro, Ciccanti, Rao, De Poli, Ruvolo, Livia Turco, Lo Moro, De Torre, Cardinale, Zaccaria, Sbrollini, Touadi, Arturo Mario Luigi Parisi, Farinone, Schirru, Recchia, Siragusa, Bossa, Vannucci, Zucchi, Mattesini, Brandolini, Motta, Lenzi, Donadi, Mura, Palagiano, Favia, Borghesi, Evangelisti, Carlucci, Soglia, Mannucci, Bocciardo, De Nichilo Rizzoli, Marsilio, Paglia, Marinello, Toccafondi, Lo Presti, De Angelis, Di Centa, Cosenza, Calgaro, Tabacci, Brugger, Lo Monte, Commercio, Latteri, Lombardo, Belcastro, Gaglione, Milo, Sardelli, D'Ippolito Vitale, Pes».

Risoluzioni in Commissione:

L'XI Commissione,
premesso che:
la problematica della completa liberalizzazione in ambito europeo del lavoro subordinato per i cittadini rumeni sta assumendo una rilevanza particolare anche in Italia, soprattutto a causa della forte presenza di manodopera rumena sul territorio, significativamente specializzata in determinati settori produttivi;
a copertura dell'intero anno 2010, è stata emanata una circolare congiunta (numero 2/2010) del Ministero dell'interno e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che disciplina la proroga del regime

transitorio in materia di accesso al mercato del lavoro dei cittadini rumeni e bulgari;
alla luce della citata circolare, sino al 31 dicembre 2010, in vista della completa liberalizzazione del lavoro subordinato, viene pertanto confermato senza modifiche, per i cittadini «neocomunitari» di Romania e Bulgaria, quanto già disposto in materia, unitamente alle deroghe a tale regime per alcuni settori produttivi e per alcune professionalità (agricolo e turistico alberghiero; lavoro domestico e di assistenza alla persona; edilizio; metalmeccanico, dirigenziale e altamente qualificato, compresi i casi previsti dall'articolo 27 del testo unico su immigrazione e lavoro stagionale);
una decisione di liberalizzare completamente l'accesso al mercato del lavoro - quanto meno per i cittadini rumeni - rappresenterebbe il giusto riconoscimento del contributo fornito dalla comunità rumena allo sviluppo del mercato del lavoro italiano, nonché alla sua crescita economica e produttiva;
una decisione nel senso indicato avrebbe, inoltre, positive ricadute sui rapporti bilaterali tra Italia e Romania, favorendo lo sviluppo di tutte le iniziative comuni in tema di lavoro e previdenza;
peraltro, la liberalizzazione del mercato del lavoro per i cittadini rumeni potrebbe anche passare attraverso una fase sperimentale, che consenta di attivare i necessari meccanismi di valutazione degli effetti della misura stessa sul territorio italiano,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di sostenere - secondo le modalità che si riterranno più opportune - una decisione favorevole riguardante la completa liberalizzazione, a decorrere dal 1o gennaio 2011, del lavoro subordinato per i lavoratori romeni.
(7-00418) «Moffa».

La XII Commissione,
premesso che:
la Commissione europea ha designato il 2010 quale anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale, intendendo ribadire l'impegno dell'Unione europea a svolgere un ruolo decisivo per l'eliminazione della povertà;
«la lotta contro la povertà e l'esclusione sociale è uno degli obiettivi centrali dell'Unione europea e il nostro approccio congiunto è stato uno strumento importante per orientare e sostenere le azioni negli Stati membri» ha affermato Vladimír Špidla, commissario responsabile per gli affari sociali. «L'Anno europeo porterà avanti questo discorso facendo opera di sensibilizzazione tra il pubblico sul fatto che la povertà continua a incombere sulla vita quotidiana di tanti europei»;
ai giorni nostri, nonostante l'Unione europea sia una delle regioni più ricche al mondo, 78 milioni di persone, ovvero il 16 per cento della popolazione, sono a rischio povertà non disponendo di risorse;
tra i Paesi dell'Europa dei quindici, la situazione italiana è tra le peggiori, insieme a quella degli altri grandi Paesi mediterranei, con un livello di disuguaglianza più elevato e una situazione di gravità della povertà più marcata. In Italia, secondo l'Istat, le famiglie povere sono 2 milioni 623 mila, mentre gli individui poveri sono 7 milioni 537 mila;
la situazione è particolarmente critica nel Mezzogiorno, dove il reddito delle famiglie è pari a circa tre quarti di quello delle famiglie del Centro-nord;
le famiglie numerose, i minori, la povertà femminile e le famiglie con anziani a carico sono le categorie più esposte a sprofondare sotto la soglia della povertà;
in relazione all'«anno europeo della povertà», il programma nazionale dell'Italia, elaborato dal Ministero del lavoro

e delle politiche sociali prevede l'aggiornamento della strategia di lotta alla povertà nel contesto dell'attuale situazione economico-sociale del Paese e del nuovo indirizzo delle politiche sociali del Governo;
il rapporto strategico nazionale 2008-2010 contro la povertà e il libro bianco sul futuro del modello sociale hanno posto l'accento sulle leve della partecipazione sociale, della responsabilità diffusa di tutta la comunità nella prevenzione e nel contrasto alla povertà, dell'attivazione dei processi di inclusione attiva;
nel Programma sono stati individuati questi obiettivi strategici:
a) il riconoscimento del diritto delle persone che vivono in condizione di povertà e di esclusione sociale a condurre una vita dignitosa e a svolgere un ruolo attivo nella società;
b) la responsabilità condivisa e la partecipazione nella realizzazione delle politiche di inclusione sociale attraverso l'impegno di tutti, soggetti pubblici e privati, nelle azioni di contrasto alla povertà ed all'emarginazione;
c) il rafforzamento dei fattori di coesione sociale, attraverso la sensibilizzazione della collettività rispetto ai vantaggi derivanti dalla riduzione delle situazioni di povertà ed esclusione sociale;
con la direttiva del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del 5 maggio 2010 è stata prevista la presentazione di progetti, da realizzare su scala nazionale, finalizzati alla realizzazione del programma nazionale per il 2010, anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale e in base a tale direttiva sono poi stati finanziati 5 progetti presentati dai seguenti soggetti: Comunità di Sant'Egidio ACAP ONLUS; Fondazione banco alimentare ONLUSAICS - Associazione Italiana Cultura e Sport - Comitato Provinciale di Napoli, ACLI - Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani - Roma, Associazione Avvocato di Strada - Bologna;
se ciò è sicuramente un primo passo, non è certo sufficiente ad affrontare la povertà nel nostro Paese come non sono state sufficienti le misure sinora intraprese dal Governo come il bonus gas, il bonus per l'energia elettrica, i contributi per gli affitti, i libri scolastici gratuiti, l'assegno per la maternità, l'assegno per il nucleo familiare dal terzo figlio, la «carta acquisti», per altro finanziata solo per il 2009,

impegna il Governo:

ad adottare tutte le misure atte a prevenire le condizioni di povertà assumendo come riferimento l'Agenda Sociale Europea i cui obiettivi indicati sono:
creare una strategia integrata che garantisca una interazione positiva delle politiche economiche, sociali e dell'occupazione;
promuovere la qualità dell'occupazione, della politica sociale e delle relazioni industriali, consentendo quindi il miglioramento del capitale umano e sociale;
adeguare i sistemi di protezione sociale alle esigenze attuali, basandosi sulla solidarietà e potenziandone il ruolo di fattore produttivo;
tenere conto del «costo dell'assenza di politiche sociali»;
a prevenire e a combattere tutte le forme di povertà incidendo su alcuni aspetti strutturali del nostro Paese attraverso: la buona e piena occupazione femminile; l'adozione di misure fiscali e monetarie a sostegno dei figli; l'elaborazione di politiche di conciliazione tra lavoro nel mercato e responsabilità di cura per donne e uomini; l'accesso ai servizi socio-educativi per la prima infanzia; l'adozione di misure per prevenire, rallentare, prendere in carico la non autosufficienza attraverso la piena, concreta e reale attuazione del fondo; una politica della casa a partire dagli affitti;
a definire, prima dell'entrata in vigore del federalismo fiscale, i livelli essenziali

delle prestazioni sociali (Lep) così come previsti all'articolo 22 della legge quadro n. 328 del 2000 e dall'articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione ed ad assumere iniziative per integrare con risorse economiche adeguate il fondo nazionale per le politiche sociali;
a coordinare e predisporre, insieme gli altri soggetti titolari, ognuno per le proprie competenze, una nuova carta sociale, in una logica di welfare locale e sussidiario, in linea con la riforma federalista dello Stato, che coinvolga tutti i cittadini residenti in Italia, compresi gli stranieri stabilmente presenti nel nostro Paese e che preveda l'integrazione delle prestazioni monetarie con la fruizione di servizi alla persona gestiti dai comuni;
ad assumere iniziative per l'istituzione di un fondo nazionale per il contrasto della grave emarginazione, attraverso il rifinanziamento dell'articolo 28 della legge 328 del 2000 dando così la possibilità di implementare il sistema dei servizi dedicati all'accoglienza, all'accompagnamento ed alla protezione delle persone in grave emarginazione, di contrastare il disagio nelle periferie urbane di migliorare il percorso e l'accoglienza umanitaria dei migranti alle frontiere soprattutto marittime;
a riferire sul rapporto annuale sulla strategia nazionale per la protezione sociale e l'inclusione sociale previsto dalla strategia di Lisbona e che il Governo stesso deve trasmettere a Bruxelles entro il 30 settembre 2008;
a promuovere ogni anno una tavola rotonda sull'inclusione sociale, analoga a quella europea, con il coinvolgimento di tutti i livelli istituzionali e gli attori sociali.
(7-00417)
«Livia Turco, Lenzi, Grassi, Farina Coscioni, Murer, Miotto, Burtone, D'Incecco, Bossa, Sbrollini, Sarubbi, Argentin, Pedoto».

La XIII Commissione,
premesso che:
il settore dell'agricoltura sta attraversando una profonda crisi, legata anche alla congiuntura negativa a livello internazionale;
quello del pomodoro da industria è un settore strategico per l'agricoltura italiana, soprattutto in alcune regioni, quali la Puglia e l'Emilia Romagna;
per le aziende agricole del Mezzogiorno, inoltre, la produzione di pomodoro rappresenta un vero e proprio valore aggiunto;
la crisi del pomodoro da industria è dovuta, in particolare, ad una inferiorità contrattuale nei confronti dell'industria, sia di quella di trasformazione, sia di quella legata alla grande distribuzione;
il 2010 è stata una annata particolarmente difficile e complessa per l'intera filiera, annata caratterizzata da diversi fattori negativi;
gli agricoltori, infatti, si sono visti rifiutare il prodotto, o accettarlo a prezzi molto ridotti da parte di molte industrie, nonostante i contratti firmati durante 2009;
tra i motivi che hanno provocato l'attuale difficile situazione del settore ci sono pure le conseguenze della sovrapproduzione del 2009, a livello nazionale e mondiale, che hanno comportato problemi di smaltimento delle giacenze di prodotto presso le industrie;
le elevate temperature climatiche hanno accelerato la maturazione del prodotto rispetti ai tempi previsti con l'industria conserviera, causando, di fatto, una sovrapproduzione difficile da smaltire;
uno degli elementi principali dell'attuale OCM dell'ortofrutta è il sussidio alla produzione per il pomodoro da industria;
l'Unione europea ha preso in considerazione la possibilità di ridurre e disaccoppiare tale sussidio;

dal 2011, gli aiuti della politica agricola comune per gli agricoltori saranno completamente disaccoppiati, con l'erogazione di un contributo ad ettaro indipendentemente dal prodotto coltivato e dalla resa del terreno,
impegna il Governo:

a convocare, in tempi rapidi, un tavolo di confronto tra tutti i soggetti della filiera per definire una programmazione degli investimenti agricoli e delle attività industriali;
ad adottare misure a sostegno dei produttori e ad intervenire, in maniera tempestiva per definire le regole per la prossima campagna del 2011, al fine di evitare ulteriori crisi del comparto pomodoro;
ad intraprendere le iniziative necessarie, al fine di salvaguardare il prodotto italiano e il made in Italy, di assicurare prezzi equi alle famiglie e di sostenere il reddito dei lavoratori del settore;
a sostenere e negoziare in sede europea, stante lo stato di crisi delle produzioni di pomodori, tempestive misure, anche di carattere straordinario, per assicurare ai produttori contributi economici e agevolazioni fiscali, finalizzati ad approntare una concentrazione di risorse finanziarie idonee a superare la grave crisi che il settore sta attraversando, e soprattutto per assicurare una prospettiva di futura ripresa per le produzioni di pomodori a partire dal 2011.
(7-00416) «Delfino, Volontè».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere - premesso che:
la trasmissione giornalistica Report andata in onda sui Rai Tre il 17 ottobre scorso, ha realizzato un'inchiesta relativa al caso delle ville di Nonsuch Bay ad Antigua e del terreno di quattro acri acquistato dal Premier Berlusconi nel 2007;
prima ancora della sua messa in onda, l'avvocato del Presidente del Consiglio e deputato del PdL, Niccolò Ghedini, aveva sostanzialmente chiesto «preventivamente» di sospendere il suddetto reportage su Antigua;
nell'inchiesta suddetta, ripresa e approfondita dai principali quotidiani del 18 ottobre, viene ricostruita la vicenda che vede protagonista il Presidente del Consiglio e relativa ai suoi investimenti ad Antigua e alle sue ville costate 22 milioni di euro, cercando di far luce su investimenti, acquisti immobiliari, rapporti politici, e sul lussuoso complesso residenziale del premier, definito «il Castello» proprio per la sua imponenza;
la trasmissione della Gabanelli ricostruisce come il 20 settembre 2007 Berlusconi abbia comprato quattro acri di terra da una società di Antigua, la Flat Point Development, impegnata a costruire sull'isola caraibica ville su un'area di 160 ettari. Di questa società Flat non si conoscono i proprietari effettivi. Sono infatti protetti da un certo numero di prestanomi e fiduciari con nomi italiani, e da un sistema di scatole cinesi che sfocia a Curacao, Antille olandesi;
come riportato dal quotidiano La Repubblica del 18 ottobre, relativamente ai reali proprietari della società Flat point, «dai registri pubblici risulta che detta società sia posseduta dalla Emerald Cove Ensineering Nv e a monte dalla Kappomar, due società delle Antille olandesi con sede a Curacao. La società è stata per lungo tempo una scatola vuota, dormiente, poi improvvisamente si è accesa quando a

partire dal 2005 arrivano copiose risorse finanziarie proprio dai conti di Silvio Berlusconi, quelli aperti presso Banca Intesa e il Monte dei Paschi di Siena. Il premier versa qualcosa come 22 milioni di euro. E li versa correttamente da filiali italiane alla filiale italiana di Banca Arner, con tanto di note descrittive. È l'istituto elvetico poi a trasferire quei soldi da Milano a Lugano senza le dovute precauzioni in tema di antiriciclaggio, richieste da Banca d'Italia per i trasferimenti di denaro all'estero. Per l'entourage di Berlusconi, quei soldi sarebbero serviti per acquistare 5 ville, ma i numeri e le dichiarazioni non coincidono con i contratti depositati presso Banca Arner. Così come non coincidono gli spostamenti di denaro. I legali di Berlusconi dicono di aver spiegato tutto, eppure, di quel tutto, basterebbe il nome di chi si cela dietro la facciata della Flat point, amministrata da tre fiduciari tra la Svizzera e l'Italia»;
è evidente quindi come rimanga del tutto oscuro chi sia il reale proprietario dei terreni acquistati dal Premier, e quindi chi ci sia dietro la «Flat Point Development», la società dalla quale Berlusconi avrebbe appunto acquistato i terreni e le sue ville ad Antigua;
nella sede milanese della banca svizzera Arner, dove «arrivano» i suddetti 22 milioni di euro, la famiglia Berlusconi ha quattro conti correnti per un totale di 60 milioni di euro, di cui uno intestato direttamente al Presidente del Consiglio (conto corrente n. 1) per dieci milioni, e altri tre per 50 milioni a capo delle holding italiane amministrate dai figli Marina e Piersilvio;
già nel novembre del 2009 la trasmissione Report affronta le «opacità» della Banca Arner e illustra per quali ragioni e circostanze la banca vicina a Berlusconi è sotto il mirino degli ispettori della vigilanza della Banca d'Italia che vi rintracciano «gravi irregolarità a causa delle carenze e delle violazioni in materia di contrasto del riciclaggio». La stessa Banca d'Italia ha sostenuto l'impossibilità di accertare i beneficiari economici di alcune società che hanno il conto alla Arner Italia e, fra queste, la Flat Point Development Limited di Antigua;
l'inchiesta di Report in quell'occasione si chiudeva con una sorta di «appello». Milena Gabanelli chiudeva «se non sarebbe opportuno, per il Premier, prendere i 60 milioni di euro, spostarli dalla banca Arner e depositarli in un'altra banca italiana un po' più trasparente». Un appello che non ha avuto finora alcuna risposta, e che ha indotto la giornalista a ritentare su questa inchiesta;
tra i clienti della Banca Arner vi sono diversi nomi di persone vicine al Premier alcune delle quali condannate in via definitiva per i casi Imi-Sir e Lodo Mondadori, e altre per corruzione di alcuni funzionari della Guardia di Finanza;
alla Banca Arner vengono gestite le società anonime Centocinquantacinque e Karsira Holding, che a cascata controllano due società amministrate da persone coinvolto nella vicenda del Lodo Mondadori. Infine, ancora la Banca Arner, ha avuto tra i suoi fondatori una persona che, nella sentenza che ha condannato David Mills, è definita l'amministratore di società riconducibili «direttamente a Silvio Berlusconi»;
alla Banca Arner vengono gestite delle società i cui titolari sotto implicati in vicende giudiziarie che vedono coinvolto anche il Presidente del Consiglio. Peraltro alla medesima Banca Arner vengono gestiti i soldi della suddetta immobiliare Flat Point Development Limited;
la stessa Flat Point Development Limited di Antigua ha un conto alla Banca Arner, e gli stessi pubblici ministeri di Milano hanno rilevato le «causali poco verosimili» di «trasferimenti di somme all'estero» tra la società Flat Point, la filiale italiana di Arner Bank. e poi la Arner svizzera;
va altresì sottolineato conce sempre nell'inchiesta di Report, sia emerso come cinque anni fa, lo stesso Presidente del

Consiglio aveva chiesto ai leader europei di ridurre il debito estero dell'isola, nonostante Antigua non sia un Paese sottosviluppato ma un paradiso fiscale inserito nella black-list internazionale criticato dall'Ocse e dal G20. Gli stessi paradisi fiscali a cui il Ministro Tremonti ha detto di aver dichiarato guerra;
in relazione alle vicende appena richiamate non si può non ricordare che la disciplina legislativa in materia di conflitto d'interessi, e specificamente l'articolo 5 della legge n. 215 del 2004, prevede tra l'altro l'obbligo - in capo al titolare di incarichi di governo - di trasmettere entro termini piuttosto stretti (sessanta giorni successivi al termine entro il quale devono essere dichiarate eventuali posizioni di incompatibilità) all'Autorità garante della concorrenza e del mercato i dati relativi alle proprie attività patrimoniali, ivi comprese le partecipazioni azionarie; rientrano nell'obbligo di comunicazione anche la attività patrimoniali detenute nei tre mesi precedenti l'assunzione della carica. Peraltro l'obbligo riguarda anche il coniuge ed i parenti entro il secondo grado. Le dichiarazioni in questione sono rese anche all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, quando la situazione di incompatibilità riguarda i settori delle comunicazioni, sonore e televisive, della multimedialità e dell'editoria, anche elettronica, e quando i dati patrimoniali sono attinenti a tali settori. Va sottolineato che la normativa prevede altresì che il titolare di cariche di governo debba dichiarare ogni successiva variazione dei dati patrimoniali in precedenza forniti, entro venti giorni dai fatti che l'abbiano determinata;
le vicende sopra riportate non possono considerarsi una vicenda privata del Presidente del Consiglio, in quanto pongono rilevanti questioni attinenti sia alla credibilità della figura pubblica del Premier, sia alla coerenza tra scelte di politica generale e scelte individuali dei rappresentanti del Governo, sia al potenziale conflitto di interessi non solo di natura economica ma anche di natura politica in relazione alle attività e alle decisioni dei Governo in carica -:
se, anche alla luce dei vincoli posti dalla disciplina in materia di conflitto di interessi non ritenga indispensabile chiarire quanto esposto in premessa relativamente ai suoi investimenti immobiliari sull'isola di Antigua;
se sia a conoscenza del reale proprietario da cui il Presidente del Consiglio ha regolarmente acquistato i terreni;
se e in quale misura la proprietà effettiva della banca Arner sia riconducibile al Presidente del Consiglio;
se sia a conoscenza del fatto che da più di un anno la banca Arner sia oggetto di accertamenti da parte della Banca d'Italia per gravi irregolarità a causa di carenze e violazioni in materia di contrasto del riciclaggio, e alla luce di ciò quali siano i motivi che lo inducono a continuare a intrattenere rapporti con il suddetto istituto di credito, sotto inchiesta per riciclaggio;
se sia proprietario della immobiliare «Flat Point development limited» di Antigua;
quali siano le ragioni per le quali a suo tempo il Presidente del Consiglio abbia chiesto ai leader europei di ridurre il debito estero dell'isola, nonostante Antigua non sia un Paese sottosviluppato ma un paradiso fiscale inserito nella black list internazionale criticato dall'OCSE e dal G20 e quali siano gli attuali orientamenti del Governo al riguardo.
(2-00861)
«Di Pietro, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Barbato, Cambursano, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Mura, Monai, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Porcino, Piffari, Razzi, Rota, Scilipoti, Zazzera».

Interrogazioni a risposta scritta:

BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la semplificazione normativa, al Ministro del turismo. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 7 del cosiddetto decreto-legge Pisanu, convertito dalla legge n. 155 del 2005, prevede che in Italia, caso unico nel mondo per offrire connettività da un qualsiasi pubblico esercizio, compresi bar, biblioteche, o sedi di associazioni, sia necessaria una licenza rilasciata dal questore, procedere all'identificazione dei clienti previa esibizione di documento di identità, conservandone una copia cartacea, assieme ad i dati «relativi alle attività di navigazione» per un periodo di 6 mesi prorogabili per altri 6;
il suddetto articolo è stato introdotto nell'ambito di un gruppo di disposizioni volte a controllare attività sensibili al fine di garantire la sicurezza del Paese dal terrorismo, in seguito agli attentati negli USA e in Europa;
nessuno degli Stati che come l'Italia sono maggiormente impegnati nella lotta al terrorismo ha approvato dispositivi analoghi a quelli contenuti nel cosiddetto decreto Pisanu;
in una risposta ad una precedente interrogazione parlamentare il Ministero dell'interno ha menzionato importanti risultati in termini di lotta al terrorismo sia nazionale che internazionale e per il contrasto del fenomeno della pedopornografia. Si tratta di una fatto che è importante investigare, in quanto al contrario non si ha alcuna notizia, allo stato, di casi in cui i dispositivi del cosiddetto decreto Pisanu siano risultati utili alle indagini in casi di terrorismo;
è necessario e urgente confrontare tali risultati con le molte altre conseguenze che tali dispositivi hanno avuto sulla diffusione delle connessioni WI-FI nel nostro Paese. In particolare a causa degli obblighi di legge e delle infrastrutture necessarie a soddisfare gli obblighi di legge in Italia vi sono solo 4.200 punti (hot spot) che offrono connessione WI-FI, secondo i dati del Ministero dello sviluppo economico. Si tratta di un quinto rispetto a quelli degli altri principali Paesi europei. La città di New York, vittima dell'attentato delle Torri Gemelle, ne conta da sola oltre mille;
il presidente di Assinform, l'Associazione di Confindustria che raggruppa le aziende di information technology, ha recentemente dichiarato che «Il ritardo del WI-FI ha penalizzato l'alfabetizzazione informatica degli italiani e ha inciso anche sull'acquisto di pc e tablet»;
l'intero arco parlamentare si è espresso per l'abolizione o la modifica dell'articolo 7 del cosiddetto decreto Pisanu. In questa direzione va la proposta di legge n. 3736 con primi firmatari Linda Lanzillotta (ApI), Paolo Gentiloni (PD) e Luca Barbareschi (FLI) o la proposta di legge n. 2962 con primi firmatari Roberto Cassinelli (PdL) e Paola Concia (PD). Un appello in questa direzione è stato lanciato dai Club della Libertà (PdL), che fanno capo al presidente della commissione trasporti e comunicazioni della Camera, Mario Valducci. Inoltre un recente appello pubblicato sulla rivista L'espresso che chiede di abrogare l'articolo 7 del cosiddetto decreto Pisanu è stato sottoscritto da membri di maggioranza e opposizione tra cui Deborah Bergamini (PdL), Pierluigi Bersani (PD), Pierferdinando Casini (UdC), Italo Bocchino (FLI), Benedetto Della Vedova (FLI), Antonio Di Pietro (IdV), Giovanni Fava (Lega Nord), Flavia Perina (FLI), Giorgio Cielio Stracquadanio (PdL);
sempre in una risposta ad una precedente interrogazione, è stato rilevato come tali proposte siano attualmente all'attenta valutazione del Governo e del Ministero dell'interno;
è importante però rilevare che una delle disposizioni contenute nel cosiddetto

decreto Pisanu, relativamente all'obbligo di licenza da richiedersi al questore, è in scadenza il 31 dicembre 2010, ma, nonostante un'ampia contrarietà al suo rinnovo, negli scorsi anni l'estensione di tale disposizione all'interno del cosiddetto decreto «milleproroghe» ha reso impossibile una discussione in aula che portasse alla modifica o all'abrogazione della norma -:
quali siano i dati in possesso del Ministero dell'interno sull'impatto dei dispositivi contenuti nella Pisanu come supporto delle attività investigative di contrasto al terrorismo nazionale e internazionale e del fenomeno della pedopornografia;
se i Ministri dello sviluppo economico, della semplificazione normativa e del turismo abbiano valutato l'impatto di tale norma nei comparti di loro interesse, considerando sia gli elementi citati in questa interrogazione, che le numerose indagini compiute dalle associazioni di categoria;
se il Presidente del Consiglio dei ministri, il ministro dell'interno, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro della semplificazione normativa e il Ministro del turismo si adopereranno affinché non vengano rinnovate le disposizioni in scadenza il 31 dicembre 2010 contenute nell'articolo 7 del c.d. decreto-legge Pisanu che obbligano i pubblici esercizi a richiedere una licenza al questore, non prevedendone il rinnovo nel cosiddetto decreto «milleproroghe», e, in caso negativo, in base a quali elementi.
(4-09082)

ROSATO, DI BIAGIO, FEDI, GARAVINI, MONAI, NARDUCCI, PICCHI, PORTA e STRIZZOLO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
si stima che vivano oggi in Croazia e Slovenia molte migliaia di italiani;
la Edit, con sede a Fiume, è l'unica casa editrice in lingua italiana con diffusione in Croazia e Slovenia, la quale pubblica il quotidiano La Voce del Popolo, il quindicinale d'approfondimento socio-politico Panorama, il mensile per ragazzi Arcobaleno, la rivista letteraria La Battana, tutti i libri e manuali scolastici in italiano per le scuole in Croazia e Slovenia, oltre a curare diverse collane librarie a servizio degli italiani d'Istria, Fiume e Dalmazia e dei croati e degli sloveni interessati a conoscere la cultura italiana;
la casa editrice contribuisce al mantenimento della lingua e della cultura italiana in regioni nelle quali la presenza italiana è da sempre storicamente attestata, favorisce la convivenza di genti diverse e ha ultimamente favorito un delicato percorso di mutua comprensione attraverso il dialogo con gli esuli istriani, fiumani e dalmati;
il direttore dell'Edit, Silvio Forza, ha dichiarato sulla stampa nazionale (Corriere della Sera, 5 ottobre 2010) che la casa editrice è stata costretta a ridurre la fonazione e la tiratura de La Voce del Popolo e di Panorama e ha annunciato la sospensione degli inserti, denunciando altresì la difficoltà a proseguire con le pubblicazioni dei volumi, a causa del mancato versamento, da parte del Dipartimento per l'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, dei contributi pubblici alla stampa, ivi compresa quella in lingua italiana pubblicata all'estero;
Forza ha affermato che tali contributi non verrebbero erogati in quanto l'Edit già percepisce, in virtù di appositi accordi internazionali, finanziamenti dai governi delle Repubbliche di Croazia e di Slovenia;
l'Avvocatura dello Stato ha già chiarito, con proprio parere del 2006, che le sovvenzioni da parte di Stati esteri non costituiscono ostacolo all'erogazione di contributi anche da parte italiana;
nel 2007 l'Edit ha ottenuto, per interessamento del Governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi, un contributo finanziario relativo ai quattro anni precedenti,

al netto dei fondi stanziati da Croazia e Slovenia, ma da quella volta non ha più ricevuto nulla;
si ritiene che l'Edit abbia, in ogni caso, diritto all'intero contributo, a prescindere dai finanziamenti croati e sloveni -:
se non si reputi la casa editrice Edit di Fiume - rappresentativa delle comunità autoctone italiane di Croazia e Slovenia - in diritto di percepire quanto concesso ad altre testate italiane all'estero.
(4-09084)

...

AFFARI ESTERI

Interpellanza:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:
la salma di Daniele Franceschi, arrestato in Francia per la presunta falsificazione di una sola carta di credito irregolare e morto in circostanze poco chiare non si sa bene ancora in quale giorno, il 25 o il 26 agosto 2010, in una cella del carcere francese di Grasse, vicino a Cannes, è giunta il 14 ottobre all'aeroporto di Pisa con un C-130 dell'aeronautica militare italiana;
sull'aereo viaggiava anche la madre di Franceschi, Cira Antignano, che mercoledì - a quanto si appende dalla stampa - davanti al carcere di Grasse, durante una colluttazione avuta con alcuni gendarmi che le volevano strappare un cartello di protesta recante la scritta : «Me lo avete ucciso due volte», ha riportato lesioni a tre costole;
la salma di Franceschi è stata portata all'obitorio dell'ospedale di Viareggio. La procura di Lucca ha autorizzato, su richiesta della famiglia, lo svolgimento di un'autopsia di parte - e l'esame che è stato eseguito dovrà stabilire se sul corpo possa essere eseguita una seconda autopsia, dopo quella effettuata in Francia, mentre l'avvocato della famiglia ha dichiarato: «Speriamo che sia possibile effettuare l'esame autoptico e speriamo che le autorità francesi abbiamo mantenuto la promessa di mantenere il corpo nelle condizioni idonee, altrimenti sarebbe tutto inutile»;
la famiglia di Daniele è convinta che la morte del giovane non sia da attribuire a «cause naturali» come sostengono le autorità francesi, e dichiarano di averlo saputo solo due giorni dopo la morte. Nel certificato di morte, firmato dal medico del carcere alle 17,30, sembra si parli genericamente di arresto cardiaco mentre, secondo il racconto dei familiari, Daniele avrebbe chiesto aiuto alle guardie che lo avevano accompagnato in infermeria, ma dopo un elettrocardiogramma lo avevano chiuso nuovamente nella sua cella da solo;
se un cittadino straniero fosse stato trattato alla stessa stregua in Italia, si sarebbe rischiato un incidente diplomatico ed è quindi necessario che sia fatta piena e completa chiarezza sulle cause del decesso;
nel comportamento delle autorità francesi nei confronti della madre del deceduto si rilevano ad avviso degli interpellanti elementi di violazione della tutela di una cittadina italiana -:
quali iniziative i Ministri interpellati intendano assumere per chiarire le cause della morte del nostro connazionale, tuttora oscure, affinché sia fatta chiarezza al più presto sul grave episodio, e le ragioni per le quali le autorità francesi, nonostante le rassicurazioni al nostro consolato, non sembrerebbero aver conservato il corpo di Franceschi in maniera adeguata per la seconda autopsia.
(2-00857) «Leoluca Orlando, Evangelisti».

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
in un articolo di Gianni Lannes pubblicato sul sito italiaterranostra.it l'11 ottobre 2010, si legge che presso il quartiere San Silvestro di Pescara, su un colle dalla vista mozzafiato, si registra una micidiale concentrazione di onde elettromagnetiche. Secondo i controlli effettuati dal corpo forestale e dal nucleo di polizia giudiziaria dei vigili municipali, risultano emissioni superiori anche di quattro volte ai limiti stabiliti dalla legge;
a San Silvestro operano 67 emittenti, «27 delle quali superano complessivamente - secondo i dati rilevati dall'Agenzia regionale per la tutela dell'ambiente (Arta) - il limite che la legge fissa a 6 volt metro»;
dopo due anni dall'ultimo sequestro ancora nessuno si è messo in regola. I procedimenti giudiziari sono stati avviati il 5 maggio 2008. Si tratta del più grande sequestro mai operato in Italia: 27 ripetitori radiotelevisivi sigillati. Nel mirino giudiziario anche quelli di Rai, Mediaset, La 7, Radio Capital, Radio Maria, Radio Montecarlo e di altri network - ordinati dalla magistratura per «violazione delle norme sull'inquinamento atmosferico». L'azione giudiziaria è stata promossa dal Gip Maria Michela Di Fine, su richiesta del sostituto procuratore Andrea Papalia. L'inchiesta era stata avviata in seguito a centinaia di esposti presentati da migliaia di cittadini. «Il sequestro non prevede l'oscuramento dei segnali qualora i titolari delle emittenti (già raggiunti da informazioni di garanzia) - avverte Guido Conti, comandante provinciale del Cfs -, convocati sul posto dagli investigatori, riducano subito le emissioni entro i limiti»;
addirittura 12 anni fa, tutti gli impianti avrebbero dovuto traslocare altrove, come aveva stabilito il piano nazionale delle frequenze (30 ottobre 1998);
l'area coperta da queste antenne comprende gran parte dell'Abruzzo e del Molise. La vista non spazia più sul mare Adriatico ma su una selva di parabole d'ogni foggia e dimensione. Antenne, tralicci, ripetitori che servono per trasmettere i segnali delle televisioni pubbliche e private e delle radio. Trecento ripetitori concentrati in un fazzoletto collinare: un record europeo pagato a caro prezzo dai 4 mila residenti. La zona è stata trasformata da bosco di pini d'Aleppo in foresta di antenne radiotelevisive. Il sovraffollamento è dovuto all'esposizione orografica che consente di irradiare ampie zone di territorio. «Ma risulta estremamente critica per quanto riguarda i problemi sanitari legati ai fortissimi livelli di campo elettromagnetico, non facilmente riconducibili a livelli di tollerabilità» ammette il ministero delle telecomunicazioni. Lo stesso dicastero ha, comunque, seguitato a rilasciare autorizzazioni in contrasto con leggi e normative di protezione ambientale e sanitaria;
l'assalto collinare decolla nel 1949, quando l'ingegner Marconi della Rai attesta che «la zona non è compatibile». Tuttavia, a viale Mazzini non gli danno retta e le antenne aumentano a vista d'occhio. Nel 1989, gli abitanti di San Silvestro scoprono di avere neoplasie di ogni genere, aritmie cardiache, vuoti di memoria, distacchi di retina. Nasce un comitato contro l'elettromagnetismo. «Dalla magistratura vogliamo sapere chi sono i responsabili di questa strage» argomenta il presidente Lanfranco Fattori. Le denunce s'infittiscono al pari delle interrogazioni parlamentari senza risposta. Eppure gli impianti aumentano uno dopo l'altro: prima Mediaset, poi Rai e Pay tv. Molte strutture non hanno concessione: sovrastano

abusivamente i caseggiati. In via Casone 57 svettano gli impianti di Mediaset e la soglia di tollerabilità alle onde elettromagnetiche - attestano gli strumenti di misurazione - è superata quotidianamente anche di 120 volte. Qui c'è un rumore di fondo sordo e incessante, simile al rullare di un aereo. «I danni sono sul nostro corpo e su quello dei bambini che nascono con gravi malformazioni o muoiono di leucemia» taglia corto Diana Di Girolamo. «Si registrano patologie così strane, come il tumore maschile alla mammella, raramente trattate in letteratura» dichiara il dottor Armando Tartaro;
«Ritengo che l'intervento per la rimozione degli impianti sia doveroso in quanto essi sono al di fuori dei limiti di emissione - spiega il professor Paolo Crosignani, vice direttore dell'Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori -. Le evidenze scientifiche sul rischio da esposizione a campi elettromagnetici sono consistenti. Qui si tratta di un'esposizione ininterrotta, molto dannosa. Le ricerche epidemiologiche - conclude il luminare - servono solo a dilazionare i giusti interventi di prevenzione»;
dal 1989, l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro raccomanda «il decentramento degli impianti in zone lontane dai centri residenziali». Proprio le ultime rilevazioni dell'Ispesl - in contraddittorio con le emittenti - confermano l'ampio sfondamento dei valori massimi tollerati dalla normativa nei luoghi ove si sosta più di 4 ore. Rubens Esposito, direttore degli affari legali della Rai, nega l'evidenza: «Non vi è nessun rischio per i lavoratori addetti né, tanto meno, per la popolazione residente». L'avvocato scrive - in un ricorso al Tar Abruzzo che gli ha dato torto - che «la televisione pubblica non è tenuta a rispettare le leggi nazionali ma le determinazioni dell'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni, a cui deve assoggettarsi l'Amministrazione statale, regionale, comunale». È dal 7 gennaio 1996 che l'autorità sanitaria locale invita senza esito i vertici di «Viale Mazzini» a «ridurre di 120 volte la potenza di emissione»;
inoltre, «da ricerche effettuate presso l'ispettorato provinciale del lavoro di Pescara - si legge in una denuncia presentata dalla comunità locale - è emerso che oltre all'inquinamento elettromagnetico, gli abitanti di San Silvestro sono sottoposti da lunghi anni ad un'intensa radioattività prodotta da rilevatori di fumo a camera di ionizzazione "Fes 5 B-Cerberus", installati presso il centro Rai». In quella sede, l'ingegner Baggio ha depositato nel 1980 una relazione nella quale dichiara la sistemazione di «29 congegni radioattivi». Il tecnico raccomanda che «la verifica ai fini della perfetta integrità dei rilevatori e l'assenza di contaminazione radioattiva superficiale di tipo asportabile sulle parti esterne degli stessi abbia frequenza biennale». In realtà, le centraline sono 30 e non è stata mai effettuata una verifica approfondita. «Comune e Regione giocano sulla pelle dei cittadini» dichiara visibilmente amareggiato Mariano D'Andrea, maggiore della Guardia di Finanza;
l'Italia è il Paese con il maggior numero di ripetitori radiotelevisivi del mondo: circa 62 mila, contro i 10 mila degli Stati Uniti. Un censimento definitivo, tuttavia, non è mai stato realizzato: l'ultimo dato è del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Il rilevamento - che assegna al Lazio la maglia nera delle antenne fuorilegge - viene considerato dalle associazioni ambientaliste «incompleto e poco attendibile». Secondo l'Associazione italiana di protezione contro le radiazioni (Airp) «la cifra è calcolata per difetto, e in realtà negli ultimi anni la mappa dei punti caldi, quelle zone in cui i campi elettromagnetici superano il livello di tollerabilità, si è ampliata ulteriormente». Il monitoraggio delle antenne, in effetti, è solo agli inizi: 32.015 ripetitori tv e 30.550 radio sono una cifra tutta da verificare, basata sulle dichiarazioni degli esercenti pubblici e privati. Numerosi sono gli impianti esistenti, mai autorizzati. Il caso di Pescara è il più eclatante, ma non l'unico: la

regione che ha il maggior numero di antenne e ripetitori è la Lombardia (a quota 6 mila), seguita da Trentino Alto Adige, Piemonte, Liguria, Puglia e Campania -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto in premessa riferito e di quali ulteriori dati dispongano;
quali provvedimenti intendano adottare nei confronti delle emittenti che superano i limiti di emissioni consentiti dalla legge, considerati i gravi danni provocati alla salute e all'ambiente;
per quali ragioni, a seguito dei procedimenti giudiziari avviati nel 2008, i ripetitori radiotelevisivi coinvolti non si siano ancora adeguati alla normativa vigente;
per quali ragioni il Ministero delle telecomunicazioni oggi sviluppo economico abbia continuato a sottoscrivere autorizzazioni, in contrasto con la normativa vigente e con le dichiarazioni rilasciate dallo stesso relativamente agli evidenti problemi sanitari causati dal superamento dei livelli di tollerabilità;
se i Ministri interrogati intendano intervenire urgentemente, con la chiusura degli impianti fuori norma e il decentramento degli impianti lontano dalle zone residenziali, al fine di garantire la salute pubblica;
di quali dai dispongano relativamente all'inquinamento prodotto dai rilevatori di fumo a camera di ionizzazione «Fes 5 B-Cerberus», installati presso il centro Rai, a Pescara e se intendano avviare un'ampia indagine al fine di tutelare la salute pubblica e l'ambiente;
per quali ragioni non sia mai stato realizzato un censimento definitivo dei ripetitori radiotelevisivi in Italia e se i Ministri interrogati intendano provvedere ad una sua situazione immediata, al fine di avviare un monitoraggio costante e indipendente dalle dichiarazioni degli esercenti pubblici e privati, verificando il numero di antenne fuorilegge e i livelli di tollerabilità consentiti.
(4-09076)

ROSATO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
i fenomeni ipogei ed epigei del carsismo costituiscono casi di assoluto interesse per gli scienziati delle discipline più diverse (chimici, etologi, climatologi, biologi, fisici, e altri) e sono universalmente noti a partire proprio da quelli censiti sull'eponimo altopiano del Carso, che si estende in Italia su buona parte delle province di Trieste e di Gorizia;
fonti di stampa (Il Piccolo, 4 ottobre 2010) riferiscono che sarebbero più di trecento le cavità inquinate, almeno cento le discariche abusive sul Carso triestino, e sarebbero gravemente inquinati circa 30 chilometri di costa, sui quali sarebbero stati successivamente insediati stabilimenti industriali, banchine portuali, attività diportistiche, stabilimenti balneari. In tali siti sarebbero stati conferiti rifiuti tossici e speciali quali idrocarburi, metalli pesanti, amianto, acidi, scorie radioattive, fanghi industriali, petrolio; la zona artigianale delle Valli delle Noghere e del Rio Ospo in comune di Muggia sarebbe stata stabilita interrandovi «milioni» di metri cubi di rifiuti tossici;
l'assessore all'ambiente della regione autonoma Friuli Venezia Giulia Elio De Anna sostiene (Il Piccolo, 5 ottobre 2010) che la regione, pur essendo a conoscenza dell'inquinamento dell'altipiano e di molte cavità, e sostenendo di tenerlo sotto monitoraggio, non è in grado di intervenire a causa della mancanza di adeguate risorse finanziarie, per ottenere le quali - egli dice - è necessario «fare pressione su Governo e Unione europea»;
interventi di bonifica tentati nel passato non sono risultati sufficienti a causa della complessa morfologia del sottosuolo carsico, che richiede l'intervento di ditte specializzate a costi molto elevati -:
se il Ministro sia a conoscenza del problema dell'inquinamento del Carso

triestino e delle dimensioni del fenomeno, e se, in tal caso, abbia valutato se tali aree possano essere inserite tra i siti inquinati da bonificare di interesse nazionale;
se risultino al Ministro richieste di sostegno fatte pervenire dalla regione autonoma Friuli Venezia Giulia al fine della bonifica dei siti inquinati sull'altopiano carsico.
(4-09085)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta Terra di venerdì 15 ottobre 2010, a Colleferro si sta realizzando una centrale turbogas, un impianto per la produzione di energia elettrica alimentato a metano che rilascia in atmosfera ossidi di azoto, monossidi di carbonio e particolato. Una tecnologia da più parti criticata per i rischi derivati dalle emissioni di polveri fini e ultrafini;
l'impianto sorgerà in località Valle Secola, in direzione di Artena, a ridosso dell'abitato, a due chilometri dall'inceneritore, dai camini del cementificio e dal resto degli stabilimenti di un polo industriale che ha avvelenato la Valle del Sacco;
senza che i cittadini se ne accorgessero, l'iter di approvazione della centrale è giunto a conclusione. «Non sapevamo nulla di quanto stesse avvenendo - dice Albero Valleriani, portavoce della Retuvasa, Rete per la tutela della Valle del Sacco - e ci siamo trovati a confronto con questa minaccia quando la partita era ormai stata giocata». I cittadini denunciano il «silenzio delle istituzioni» a tutti i livelli: «Come possiamo intervenire sulle scelte che riguardano il futuro della nostra città se nessuno provvede a informarci?» si chiede Valleriani. Stando a quanto racconta la Rete, il comune di Colleferro non avrebbe provveduto a pubblicare sul proprio sito l'avviso relativo al progetto in corso di approvazione e il comitato sarebbe venuto a conoscenza della questione quando il termine per intervenire era ormai scaduto. «La Secosvim spa, società proponente che già gestisce la fornitura di energia del comprensorio industriale ex Bpd - racconta Valleriani - avrebbe depositato gli elaborati di progetto presso il Comune il 20 febbraio del 2009. In piena emergenza ambientale. Solo un mese prima, il sindaco di Colleferro, Mario Cacciotti aveva rassicurato i cittadini ribadendo che "non avrebbe mai dato il suo assenso" alla realizzazione della centrale turbogas»;
la partita della turbogas si gioca quasi tutta nei mesi successivi all'ennesimo allarme ambientale e sanitario che ha scosso i residenti della Valle del Sacco. Sempre tra gennaio e febbraio del 2009, i risultati di uno studio sullo stato di salute delle popolazioni residenti, condotto dal dipartimento di epidemiologia della Asl Roma E, confermavano quelli che a lungo erano rimasti soltanto dei sospetti: il territorio presentava nel suo complesso un quadro di mortalità e morbosità peggiore del resto del Lazio, dovuto principalmente alla lunga attività del complesso industriale;
inoltre, nel marzo 2009 la città scopre che l'impianto di incenerimento rifiuti viene gestito in maniera non legale: nei forni si brucia di tutto con gravi danni per l'ambiente e pesanti ripercussioni per la salute dei cittadini. Dopo appena due mesi parte l'iter autorizzativo per la realizzazione della centrale turbogas. Gli enti chiamati ad esprimere il proprio parere sull'opera votano tutti per il sì e la pratica passa velocemente da un ufficio all'altro;
l'impianto sostituirà quello attualmente in funzione nel comprensorio dell'Avio e fornirà energia anche per altri insediamenti industriali. A decretarne la definitiva approvazione è la conferenza di servizi dell'11 dicembre 2009. All'appello però, almeno dall'analisi del resoconto

stenografico dell'incontro, mancano due importanti attori: la Asl locale e Arpa Lazio. «Come si può rilasciare un'autorizzazione senza il parere di uno dei principali enti di controllo come l'Arpa», si chiede la Rete di tutela della Valle del Sacco. Aggiunge Valleriani: «Perché l'amministrazione comunale di Colleferro non ha richiesto alla Asl di competenza (RmG) di riferire sull'impatto per salute dei cittadini?». Di fronte alle polemiche, la scorsa settimana il sindaco ha riunito titolari del progetto e associazioni (con l'esclusione però del comune di Artena, coinvolto a suo malgrado in questa vicenda per motivi di vicinanza geografica), decidendo la sospensione dei lavori per 7 giorni -:
quali azioni siano state adottate al fine di risalire all'origine dell'emergenza ambientale che incombe sulla Valle del Sacco da oltre un anno e se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, per quanto di competenza, avviare un'ampia indagine al fine di accertare lo stato attuale di inquinamento dell'area e condurre uno studio epidemiologico sullo stato di salute della popolazione locale.
(4-09089)

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BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:

VACCARO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
nel 1997, l'UNESCO ha dichiarato gli scavi di Pompei patrimonio mondiale dell'umanità;
l'iscrizione di tale area tra i patrimoni dell'UNESCO è avvenuta in considerazione degli straordinari e unici reperti presenti nella città di Pompei, sepolta a causa della famosa eruzione del Vesuvio del '79;
gli scavi di Pompei continuano annualmente ad essere un polo di attrazione turistica di grande importanza nel contesto del panorama storico-artistico italiano e riescono a convogliare l'interesse di milioni di turisti da tutto il mondo (nel 2008 il sito di Pompei è stato visitato da 2.253.633 persone). È necessario aggiungere, al fine di valutare al meglio l'estensione del sito archeologico, che gli scavi di Pompei vantano un'estensione di ben sessantacinque ettari;
nel 2009, in considerazione della situazione emergenziale del sito - precedentemente dichiarata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 luglio 2008, è stato necessario mettere in sicurezza e rivalorizzare l'area degli scavi; così il professor Marcello Fiori è stato nominato commissario delegato dall'articolo 5 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 18 febbraio 2009, n. 3742. Gli obiettivi, le competenze ed i poteri del commissario delegato sono stati poi ulteriormente definiti dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 luglio 2009, n. 3795;
in seguito, nel 2010, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 giugno 2010 è stato revocato il medesimo stato di emergenza, in quanto, in considerazione del complesso delle attività svolte del commissario delegato, sono venute meno le ragioni che ne avevano giustificato la dichiarazione;
con l'ordinanza del 18 giugno 2010 n. 3884 il commissario delegato ha continuato a svolgere le proprie funzioni, fino al 31 luglio 2010, per assicurare il rientro nel regime ordinario, provvedendo ai necessari adempimenti ed atti riguardanti il subentro della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei;
tuttavia, ad oggi, lo stato dell'arte del sito archeologico di Pompei, come denunciato, fra gli altri, da alcuni articoli apparsi sulle colonne del Corriere della Sera e da social network quali Facebook con pagine dal titolo «Stop killing Pompei ruins», è drammatico e desolante;
i problemi che attanagliano il sito sono, infatti, diversi: l'incuria con la quale

sono portati innanzi i lavori di restauro per ciò che riguarda le rovine del foro - il fulcro e cuore pulsante della città antica; la presenza di guide turistiche più o meno autorizzate; le straordinarie bellezze delle Terme, chiuse ormai da tempo; l'Antiquarium, mai aperto per ospitare le migliaia di reperti archeologici prigionieri e impolverati dentro i granai del foro, con conseguente e inevitabile - come scrive il Corriere della Sera, - «calca dei turisti, neanche fossero mosche attorno al miele, pur di rubare foto di statue o di capitelli o di chissà che ben di dio è custodito dentro le cassette di plastica, lì all'interno di quei Granai chiusi con sbarre arrugginite»;
si accompagna poi, a questa situazione emergenziale, la presenza di: strade sbarrate senza alcun cartello che ne spieghi la motivazione; palizzate divelte; cumuli di calcinacci dentro ambienti archeologici mai restaurati, il tutto in strade limitrofe al foro, aree, è bene precisarlo, non periferiche della città antica, ma normalmente frequentate da oltre 5.000 visitatori al giorno. Appare necessario poi sottolineare come sia allarmante lo stato di conservazione del tempio di Apollo, uno dei luoghi più visitati degli scavi, ubicato appena dopo l'ingresso di Porta Marina: architravi in stato di disfacimento con rischio per l'incolumità dei visitatori e colonne del tempio che si sgretolano, pezzo dopo pezzo, tra le mani;
il Teatro Grande di Pompei appare, in ultimo, il manifesto del decadimento del sito, in quanto è stata cancellata l'immagine archeologica del teatro romano, a causa di lavori che all'interrogante appaiono impropriamente definiti di restauro - dal costo lievitato da euro 460.000 a circa sei milioni di euro - con i quali sono state costruite nuove e inesistenti gradinate, usando materiali del tutto inadatti al contesto archeologico. Per l'esecuzione di tali lavori, come documentato da immagini pubblicate da diversi giornali, sono state realizzate invasive colate di cemento ed usati impropriamente, a ridosso di fragili strutture murarie archeologiche, martelli pneumatici, ruspe, scavatrici, betoniere, cavi elettrici;
c'è da sottolineare come dalla Soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei dipende infatti l'intera area archeologica pompeiana. Nell'ultimo anno la guida tecnica e scientifica della Soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei è stata assolutamente precaria (surrogata non da un archeologo, ma dal commissario Marcello Fiori, ex collaboratore di Guido Bertolaso alla Protezione civile) per il fatto che si sono succeduti due soprintendenti ad interim, entrambi decaduti perché posti in pensione, dopo soli pochi mesi dalle rispettive nomine; recentemente poi, nei primi giorni di ottobre 2010 è stata nominato, sempre ad interim, un Soprintendente, Jeanette Papadopoulus. Tutto ciò ha determinato, di fatto, quello che a giudizio dell'interrogante è un grave ed allarmante vuoto gestionale -:
se il Governo, sia a conoscenza della gravità della situazione di conservazione dell'area archeologica di Pompei e quali iniziative abbia in programma di adottare e in quali tempi;
se il Governo, al fine di salvaguardare il sito archeologico di Pompei, dichiarato dall'Unesco «patrimonio dell'umanità» e, inoltre, sito di rilevantissimo interesse turistico, intenda potenziare la Soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei al fine di dotare, come richiesto in un appello da diversi archeologi della comunità scientifica internazionale, la suddetta area archeologica di una conduzione stabile e duratura, nominando un soprintendente stabile, che metta in atto un piano di conservazione, restauro e valorizzazione dell'area archeologica di Pompei;
se risponda al vero, come apparso sulle colonne di alcuni quotidiani, il fatto che sono in atto iniziative destinate a «privatizzare» la gestione del sito archeologico di Pompei, depotenziando e riducendo così le competenze scientifiche e gestionali dei funzionari archeologi della Soprintendenza.
(4-09080)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
un agenzia stampa (AGI 18 1310 OTT10) del 18 ottobre 2010 ha riportato la notizia che «Negli ultimi 6 mesi i militari italiani impegnati in Afghanistan hanno subito oltre 200 attacchi. È uno dei dati resi noti in occasione della cerimonia di avvicendamento tra la brigata alpina Taurinese e la brigata alpina Julia alla guida del Regional Command West, il comando Nato responsabile per la regione occidentale dell'Afghanistan. Il bilancio comprende "eventi" di diversa intensità, dagli attentati con gli esplosivi agli scontri a fuoco più duri, costati delle vittime, passando per le banali "scaramucce". In particolare, gli attacchi con led, i micidiali ordigni artigianali "improvvisati", sono stati 5 e hanno provocato due morti, mentre gli led neutralizzati, sempre nell'arco dello stesso periodo, sono stati ben 61. Undici i nascondigli di armi individuati, una ventina le occasioni in cui è stato necessario fare ricorso ai mortai, soprattutto nell'area di Bala Murghab. Una parte consistente di attacchi ricade nella categoria dei "tic", acronimo di troops in contact, che comprende gli scontri a fuoco veri e propri (come quello costato la vita al tenente Alessandro Romani) ma anche, ad esempio, i colpi sparati in segno di avvertimento.» -:
per quali motivi non si rinvenga, a quanto consta agli interroganti, nessuna notizia su quanto riportato dall'agenzia di stampa di cui in premessa nelle dichiarazioni fatte dal Ministro interrogato nelle sedi pubbliche o nelle Assemblee parlamentari;
per ogni singolo evento degli oltre 200 riportati nella notizia di stampa, quali siano la data dell'evento, il numero dei militari italiani coinvolti e gli eventuali feriti o deceduti, eventuali feriti o deceduti fra la popolazione civile, eventuali feriti o deceduti fra le forze talebane, i mezzi e gli armamenti utilizzati.
(4-09081)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
con la delibera n. 34, allegata al verbale n. 10/2010 del 13 ottobre 2010, il Consiglio intermedio della rappresentanza militare del comando della forze operative terrestri, ha chiesto di essere audito dal Capo di stato maggiore dell'Esercito in relazione alle notizie di stampa che hanno sollevato forti dubbi sulla correttezza della procedura di concertazione relativa allo schema di accordo per il biennio economico 2008/2009 per il personale dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica, conclusasi il giorno 16 settembre 2010 con la sottoscrizione delle delegazioni dei Cocer, esclusa la sezione dell'Aeronautica;
il decreto legislativo n. 195 del 1995 stabilisce la composizione delle delegazioni e le modalità di svolgimento dei lavori per la formulazione dello schema di provvedimento riguardante le Forze armate;
la sezione Aeronautica del Cocer non ha sottoscritto lo schema di provvedimento;
in un articolo pubblicato sul sito di CNR-media (www.cnrmedia.com) si legge che: «Si riaccende il dibattito sul rinnovo dei contratti di lavoro alle Forze Armate e alle forze di Polizia. Al centro, l'articolo 4 del nuovo contatto di categoria che riguarda le indennità per i militari, siglato dai Cocer in bianco, come denunciò Luca Marco Comellini del Partito per la Difesa dei Militari (PdM). Per il generale Domenico Rossi, presidente del Cocer Interforze e vicecapo di Stato Maggiore, si è trattato di un semplice disguido: »Non ci sono copie firmate in bianco: il documento firmato, che conteneva la tabella non compilata aveva anche in allegato il prospetto

con tutte le cifre - dice a CNRmedia - Però è stata pubblicata solo la versione in bianco«.» -:
se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
quali immediati provvedimenti intenderà adottare per verificare la correttezza delle azioni compiute dalle delegazioni che hanno preso parte alla procedura di concertazione il giorno 16 settembre 2010 e se, in relazione al contenuto della citata delibera, siano state informate le autorità giudiziarie competenti;
se non ritenga opportuno assumere iniziative al fine di rimuovere dai loro uffici i delegati della rappresentanza militare coinvolti nella vicenda;
se non ritenga inopportuno, per quella che agli interroganti appare un'incompatibilità con la carica di sottocapo di stato maggiore dell'Esercito, che il generale Domenico Rossi continui ad esercitare le funzioni di presidente del Consiglio centrale della rappresentanza militare.
(4-09083)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sul sito web del Ministero della difesa è pubblicato il seguente avviso: «Alla luce dell'eccezionale successo riscosso dal progetto »Vivi le Forze Armate. Militare per tre settimane« è stato disposto lo svolgimento, per il corrente anno, di un ulteriore corso di formazione - della durata di tre settimane - che avrà inizio il giorno 8 novembre e alla cui frequenza saranno ammessi (nel limite di 1.700 posti) esclusivamente coloro che non sono stati convocati al corso terminato il 1o ottobre scorso. I candidati utilmente collocati nelle graduatorie di merito (redatte secondo le stesse modalità previste dall'Avviso di attivazione dei corsi pubblicato il 6 agosto 2010 sulla Gazzetta Ufficiale - 4a serie concorsi) riceveranno nei prossimi giorni, a cura delle Forze Armate/Arma dei Carabinieri, una e-mail di convocazione contenente le modalità e le sedi (invariate) di presentazione.»;
ad avviso degli interroganti tale metodo di selezione si pone in contrasto con lo spirito della norma e comunque rappresenta un comportamento discriminatorio volto ad escludere i cittadini in possesso dei requisiti richiesti che intenderanno presentare la domanda di partecipazione -:
quali siano le ragioni che hanno indotto il Ministero della difesa ad avviare un nuovo corso di formazione riservandolo esclusivamente a coloro che non sono stati convocati al corso terminato il 1o ottobre 2010;
quali siano stati i costi e quanto personale militare in servizio permanente o in ferma volontaria sia stato impiegato durante lo svolgimento del corso terminato il 1o ottobre 2010;
se non ritenga opportuno assumere con urgenza iniziative normative finalizzate alla ridistribuzione delle somme stanziate per l'iniziativa in argomento, al fine di incrementare gli stanziamenti destinati al pagamento delle indennità del personale militare o per sopperire alla cronica mancanza di risorse di cui soffrono le forze di polizia che devono comunque garantire la sicurezza interna del Paese.
(4-09087)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta immediata:

OCCHIUTO, GALLETTI, LIBÈ, COMPAGNON, CICCANTI, NARO, VOLONTÈ, SCANDEREBECH, ANNA TERESA FORMISANO, RUGGERI, RAO, MEREU, DIONISI e MONDELLO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
nel primo semestre del 2010 le imprese cessate operanti nel settore edilizio

hanno superato quota 30 mila, mentre le aperture di procedure concorsuali sono progressivamente aumentate da 334 nel primo trimestre a 650 nel secondo trimestre del 2010;
secondo i dati dell'Ance, l'Associazione nazionale dei costruttori edili, il mercato nazionale si è bloccato e la crisi di liquidità, dovuto all'elevata dilazione dei pagamenti, sta causando la chiusura delle aziende: basti pensare che ci sono stati ben sei cali consecutivi trimestrali dell'indice della produzione nelle costruzioni, con un fatturato sceso del 10,8 per cento nel 2009 e 200 mila posti di lavoro tagliati nel biennio 2008-2009;
la prima causa del default sarebbe legata a problemi finanziari più che economici: le imprese di costruzioni vantano crediti per 14 miliardi di euro, con il 35 per cento dei ritardi nei pagamenti che superano i diciotto mesi. Il ritardo non è riferito unicamente ai pagamenti dei committenti pubblici: anche i privati, infatti, fanno registrare ritardi di oltre un anno, ammesso che paghino realmente;
le imprese sono, pertanto, costrette a chiedere anticipazioni alle banche, che, quando vengono date, hanno comunque un costo che ricade sulle medesime imprese;
a questa situazione si aggiungono gli effetti della manovra economica estiva sui pagamenti ed investimenti degli enti locali ai fini del rispetto del patto di stabilità interno, che ha strozzato ancor di più il mercato;
rispetto agli impegni del Governo si segnala che: dei 12 miliardi deliberati dal Cipe nel 2009 per grandi e piccole opere è stato fatto pochissimo, non si registrano miglioramenti dal punto di vista della semplificazione degli adempimenti normativi e il piano casa è fermo per i veti burocratici incrociati di regioni e comuni;
per il presidente dell'Ance, l'entrata in vigore della direttiva europea, che fissa in sessanta giorni il termine entro cui la pubblica amministrazione deve effettuare i pagamenti, non risolverebbe i problemi, perché avrebbe un effetto devastante sui conti pubblici; meglio sarebbe individuare altre formule, quale, per esempio l'intervento della Cassa depositi e prestiti, che potrebbe fornire le anticipazioni sui crediti e le garanzie alle imprese in crisi di liquidità -:
se non ritenga di individuare, anche in vista dell'imminente sessione di bilancio, idonei strumenti volti a risollevare un comparto che registra solo problemi di liquidità non ad esso imputabili e che riveste un'importanza centrale quale leva per il rilancio economico del Paese.
(3-01291)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:

FLUVI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
dal 1o ottobre 2006, per effetto dell'articolo 3 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, l'agente della riscossione Equitalia Gerit SpA, società a prevalente capitale pubblico attraverso la quale l'Agenzia delle entrate, unitamente all'INPS, effettua la riscossione dei tributi, è diventato operativo sull'intero territorio nazionale;
l'immediato impegno di Equitalia Gerit sin dal 2006 ha tentato di colmare le inefficienze del vecchio sistema di riscossione affidato ai privati;
un sistema di riscossione più efficace aumenta la consapevolezza del cittadino che lo Stato è in grado di far pagare, a chi non lo ha fatto, ciò che doveva all'erario, divenendo la cartella esattoriale un campanello d'allarme che spinge l'interessato ad agire per risolvere le sue pendenze fiscali e aumentando il dialogo tra debitori e fisco;
nonostante l'introduzione di misure volte a favorire il contribuente, come l'eliminazione delle fideiussioni e la rateizzazione della cartelle fino a 72 rate, la crisi

economica ha reso attuale il rischio che molti contribuenti non abbiano le risorse per pagare il debito con l'erario;
molto spesso l'opinione pubblica ha lamentato l'utilizzo di modalità di riscossione estremamente severe con i contribuenti da parte di Equitalia Gerit, e tuttavia il Governo non ha risposto con alcuna proposta costruttiva volta a suggerire metodi più efficienti e meno invasivi di riscossione;
di fronte a situazioni eccezionali occorrono misure eccezionali -:
quali ulteriori misure intenda il Governo assumere al fine di non penalizzare famiglie ed imprese che si trovino in condizioni di effettiva difficoltà nell'onorare il debito con il fisco, in considerazione dell'attuale crisi economica.
(5-03612)

BARBATO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 7, comma 1, lettere d) ed e), del decreto legislativo n. 504 del 1992 esenta correttamente dall'imposta comunale sugli immobili (ICI) i fabbricati destinati esclusivamente all'esercizio del culto, nonché i fabbricati di proprietà della Santa Sede;
la lettera i) del medesimo comma 1 del predetto articolo 7 prevede tale esenzione anche per gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive;
successivamente, l'articolo 7, comma 2-bis, del decreto-legge n. 203 del 2005, come sostituito dall'articolo 39 del decreto-legge n. 223 del 2006, ha esteso l'esenzione prevista dall'appena descritta lettera i), stabilendo che essa si applica anche agli immobili destinati allo svolgimento delle predette attività, qualora queste ultime non abbiano esclusivamente natura commerciale;
in sostanza, tale ultima previsione ha esteso la predetta agevolazione fiscale agli immobili di proprietà di enti ecclesiastici nei quali si svolgono attività che abbiano prevalentemente, ma non esclusivamente, natura commerciale: in tal modo i predetti enti ecclesiastici possono evitare il pagamento dell'ICI sugli immobili nei quali vengono svolte, ad esempio, attività ricettive o assistenziali a pagamento, per il solo fatto che in essi sono anche svolti, in misura del tutto minoritaria, attività di religione o di culto;
appare all'interrogante evidente come tale previsione, introdotta dal Governo di centrodestra nel corso della XIV legislatura, e successivamente modificata nel corso della XV legislatura, costituisca un'ingiustificata disparità di trattamento a vantaggio degli enti ecclesiastici, la quale non trova alcuna giustificazione, né nell'esigenza di garantire la libertà religiosa, né in quella di rispettare le norme concordatarie che regolano i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica;
inoltre la predetta agevolazione comporta la rinuncia ad un gettito di entità non trascurabile, che potrebbe aiutare i comuni a far fronte alla forte stretta finanziaria decisa nei loro confronti dal Governo con l'irrigidimento delle norme sul Patto di stabilità interno;
secondo notizie riportate dagli organi di comunicazione, la Commissione europea starebbe avviando una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia rispetto a tale disciplina per la violazione delle norme europee, ed avrebbe chiesto chiarimenti al Governo italiano in merito;
in tale contesto appare evidente la necessità di intervenire al più presto su tale aspetto della disciplina ICI, al fine di ripristinare il principio della parità di trattamento tra contribuenti che si trovino

nelle medesime condizioni, nonché al fine di evitare un'ulteriore condanna dello Stato italiano in sede europea -:
quali iniziative di carattere normativo intenda assumere, al fine di eliminare tale ingiustificata disparità di trattamento, a salvaguardia degli interessi della finanza pubblica, nonché al fine di evitare un'infrazione comunitaria che, a sua volta, potrebbe determinare pesanti conseguenze finanziarie.
(5-03613)

Interrogazione a risposta in Commissione:

GIBIINO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'analisi del ricorso al mercato finanziario da parte delle regioni, come tra l'altro si legge nella deliberazione n. 17/SEZAUT/2010/FRG della Corte dei conti, è normata da regole comunitarie che comunque impongono la destinazione dell'indebitamento alle spese di investimento, concetto già presente nella legge n. 281 del 1970 e assurto a precetto costituzionale con la riforma del Titolo V (articolo 119 Costituzione);
la massa più consistente dell'indebitamento delle regioni, autorizzata in ogni esercizio finanziario, si riferisce a spese di investimento cumulativamente considerate (l'elenco, per unità revisionali di base, è fornito in apposito allegato al bilancio di previsione);
nelle regioni che non assicurano l'equilibrio tra entrate e spese, come purtroppo da qualche tempo avviene nella regione Sicilia, in gergo tecnico tali finanziamenti sono denominati «mutui a pareggio» per il fatto che sono funzionali al pareggio di bilancio;
la situazione finanziaria complessa che si sta vivendo obbliga ad operare con maggiore chiarezza sull'utilizzo delle risorse economiche di cui le regioni dispongono;
nel bilancio della regione siciliana con la legge regionale 14 maggio 2009, n. 6, sono stati appostati fondi derivanti dall'accensione di mutui già autorizzati ma non accesi;
l'attivazione delle procedure per l'utilizzazione di risorse provenienti dalla stipula dei mutui deve avere una responsabile e ragionata destinazione per investimenti produttivi, al fine di non appesantire inutilmente un bilancio già precario;
alcuni segnali che emergono dalla complessiva situazione, come per esempio il ritardo nei trasferimenti ai comuni siciliani, il blocco dello stesso sistema informativo centrale SIC, fanno temere una paralisi economica, in quanto immediatamente influenti sul normale andamento dell'economia siciliana;
la regione siciliana ha paralizzato la spesa e sta provvedendo a pagare solo gli stipendi dei propri dipendenti;
l'assessore al bilancio Armao ha dichiarato che tale paralisi durerà solo tre settimane, in quanto è in arrivo un maxi mutuo di 862 milioni di euro dalla Cassa depositi e prestiti -:
se nell'eventuale avvio delle procedure per il ricorso al mercato finanziario con l'accensione di mutui non ci si debba attenere scrupolosamente alla normativa che impone di utilizzare detto strumento solo per investimenti utili ad una migliore crescita dell'economia e non per la spesa corrente e su quali basi sia stato autorizzato il citato mutuo di 862 milioni di euro.
(5-03616)

Interrogazione a risposta scritta:

PALADINI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
con la risoluzione n. 83 del 2010 l'Agenzia delle entrate ha chiarito che ai compensi per lavoro notturno e prestazioni di lavoro straordinario ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera c), del decreto-legge

n. 93 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, per gli anni 2008 e 2009 non si applica la tassazione ordinaria, ma gli stessi devono essere assoggettati all'imposta sostitutiva del 10 per cento e di conseguenza, i lavoratori del settore privato riceveranno un rimborso delle somme per la differenza tra la tassazione ridotta al 10 per cento e quella a suo tempo calcolata;
il decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, recante «disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie» prevede all'articolo 2, comma 4, di valutare l'estensione della tassazione ridotta al 10 per cento ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche -:
se sia estensibile anche ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche tale agevolazione e quali iniziative si intendano adottare per sanare una disparita fiscale tra famiglie di lavoratori.
(4-09079)

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GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dagli organi di stampa, è stato un caso di «lupara bianca» quello del rapimento e dell'assassinio di Lea Garofalo, 36 anni, la collaboratrice di giustizia senza più protezione, punita con la morte dal suo ex compagno che, insieme ai fratelli, ha organizzato una vera e propria esecuzione, arrivando a sciogliere il cadavere nell'acido;
cresciuta a Petilla Policastro, paese ad alta densità mafiosa, nel mezzo di una violentissima faida, era riuscita ad infrangere il muro di omertà a seguito dell'omicidio di suo fratello Floriano (considerato un boss), diventando nel 2005 per la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro una collaboratrice attendibile, meritevole di tutela: la giovane iniziò infatti a raccontare tutto quello che sapeva sulla faida che in quegli anni opponeva i Garofalo ai Mirabelli;
nel 2006, quando il programma di protezione doveva diventare definitivo, la richiesta dei magistrati catanzaresi venne bocciata dalla commissione centrale;
secondo l'organismo suddetto, le dichiarazioni della donna «non avevano avuto, fino a quel momento, autonomo sbocco processuale e gli elementi informativi raccolti erano insufficienti circa l'attendibilità, l'importanza e la rilevanza del contributo offerto»; la commissione negava «la rilevanza dell'uccisione di un fratello dell'appellante, ritenendola dovuta a fatti estranei alla sua collaborazione»;
nel giro di un anno, la collaboratrice si ritrovava non solo fuori dal programma di protezione, ma addirittura dimenticata da tutti;
dopo svariati ricorsi ed innumerevoli peregrinazioni nei palazzi di giustizia da parte della Garofalo, il Consiglio di Stato aveva confermato per la donna lo stato di pericolo, non seguito però da alcun provvedimento di sorveglianza;
Carlo Cosco, l'uomo da cui Lea ha avuto anche una figlia ora maggiorenne, e Massimiliano Sabatino sono stati arrestati nel febbraio 2010 per un precedente tentativo di sequestrare e uccidere la donna;
già dal 5 maggio 2009, la collaboratrice aveva denunciato ai carabinieri di Campobasso un tentativo di rapimento, per mano dei due criminali;
l'omicidio di Lea Garofalo non costituisce un caso isolato, ma pone seriamente il problema della tutela dei collaboratori di giustizia, il cui apporto si rivela estremamente utile e prezioso per scardinare organizzazioni criminali pericolosamente ramificate non soltanto nell'area del Mezzogiorno, ma in tutto il Paese;
l'assenza di una protezione crea oggettivi sbandamenti ed indebolisce l'azione

investigativa che va invece potenziata, lasciando da parte approcci decisamente più burocratici che strategici -:
se non ritenga opportuno adottare ogni iniziativa di competenza per fare luce su quanto gravemente accaduto, attraverso una totale revisione della gestione del sistema delle protezioni.
(2-00858)
«Casini, Tassone, Occhiuto, Rao, Ria».

Interrogazione a risposta scritta:

PALADINI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il concorso per il conferimento di 40 posti di dirigente di seconda fascia è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 39 del 18 maggio 2007 e le due prove scritte si sono svolte il 29 e 30 gennaio 2008;
nel decreto ministeriale 7 novembre 1997, n. 488 (attuativo della legge n. 241 del 1990, articoli 2 e 4) il Ministero ha previsto che per il procedimento relativo ai concorsi per la carriera dirigenziale il termine di conclusione è di 540 giorni e la commissione giudicatrice ha visto sostituire, con varie motivazioni, i propri componenti, mentre la correzione degli elaborati risulta essere ancora in corso;
i dirigenti di seconda fascia attualmente in servizio sono 217 su una previsione di pianta organica di 347 e circa un terzo dei suddetti dirigenti è gravato dalla «reggenza» di un altro ufficio, mentre il numero dei dirigenti è destinato a diminuire ulteriormente entro dicembre 2010 in considerazione dei prossimi pensionamenti;
nell'amministrazione giudiziaria, in modo assolutamente discutibile, il decreto legislativo n. 240 del 2006 è stato interpretato nel senso che le funzioni del dirigente amministrativo non possono essere esercitate dai dipendenti inquadrati in aree funzionali corrispondenti alla figura professionale del direttore di cancelleria in caso di mancanza dello stesso dirigente amministrativo, ritenendo che le funzioni dirigenziali vengano assorbite dal magistrato capo ufficio;
la suddetta interpretazione appare in contrasto, da ultimo, con il contratto collettivo nazionale integrativo del personale non dirigenziale del Ministero della giustizia - quadriennio 2006/2009 allegato A (DOG) che testualmente definisce, quale contenuto professionale dei direttori amministrativi: «lavoratori cui è affidata la direzione e/o il coordinamento degli uffici di cancelleria o, nel loro ambito, di più reparti, quando la direzione dell'ufficio nel suo complesso sia riservata a professionalità appartenenti al ruolo dirigenziale» -:
quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda assumere rispetto alla citata problematica per assicurare una celere conclusione dell'iter concorsuale e l'assunzione dei vincitori.
(4-09077)

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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta immediata:

REGUZZONI, LUCIANO DUSSIN, FOGLIATO, LUSSANA, MONTAGNOLI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, DAL LAGO, D'AMICO, DESIDERATI, DI VIZIA, DOZZO, GUIDO DUSSIN, FAVA, FEDRIGA, FOLLEGOT, FORCOLIN, FUGATTI, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, LANZARIN, MAGGIONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, PIROVANO, POLLEDRI, RAINIERI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il mondo dell'autotrasporto si muove tutti i giorni (365 giorni all'anno per alcune tipologie di trasporto) sulle nostre strade;

si tratta di un settore composto principalmente da un notevolissimo numero di conducenti di automezzi, che si relaziona, però, con gli agenti della polizia stradale e gli altri organi di controllo che giornalmente vigilano sulla sicurezza della circolazione di tutti i cittadini;
tutti gli operatori del settore (trasportatori e istituzioni) già sanno: i controlli sono per la maggior parte indirizzati verso le aziende italiane;
basti pensare che nel 2009 solo il 6 per cento dei controlli sui veicoli merci, effettuati con impiego dei centri mobili di revisione, ha interessato veicoli extracomunitari e per il 25 per cento veicoli comunitari (non italiani);
altro problema che risulta da un confronto tra operatori è che i controlli sono concentrati in maniera particolare in alcune zone o regioni d'Italia, con un'evidente penalizzazione per chi opera in questi territori;
la differenziazione relativa al numero di controlli effettuato nelle varie zone del Paese comporta l'insorgere di una concorrenza sleale nei confronti delle aziende che operano correttamente;
il minore numero di controlli nei confronti di trasportatori stranieri, comunitari ed extracomunitari, ed italiani in particolari zone del Paese comporta anche un rischio per gli utenti della strada, considerato il rischio che si viaggi con mezzi sovraccarichi, non in regola o con turni di guida più lunghi del dovuto -:
se il Ministro interrogato, essendo a conoscenza dei dati relativi ai controlli sugli automezzi e la loro localizzazione sul territorio nazionale, non intenda intervenire al fine di distribuire in modo omogeneo le attività ispettive, sia nei confronti degli autotrasportatori stranieri sia nelle zone dove statisticamente sono inferiori.
(3-01292)

Interrogazione a risposta in Commissione:

LOVELLI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il bacino di utenza dei servizi ferroviari, gravitante sull'area metropolitana genovese e savonese, proveniente dal territorio del basso Piemonte è molto elevato e frequentemente riscontra gravi e ripetuti disagi, come spesso evidenziato dalle molteplici segnalazioni pervenute dalle associazioni pendolari;
la situazione in atto conferma quanto già esposto con l'interrogazione n. 5-02479 del 16 febbraio 2010, con la quale venivano in particolare segnalate le criticità dei collegamenti ferroviari della direttrice Torino-Genova e viceversa nonché il disagio degli utenti a causa della mancata reintroduzione, da parte di Trenitalia, della carta «Tutto Treno» a favore dei pendolari piemontesi;
infatti fino al 31 dicembre 2009 i pendolari piemontesi che viaggiavano sulle linee fra Piemonte e Liguria, potevano ricorrere alla carta denominata «Tutto Treno Piemonte», che consentiva agli abbonati dei servizi regionali ed interregionali di accedere anche ad intercity ed eurostar city. Il ricorso alla «Carta Tutto Treno Piemonte» era reso possibile grazie ad un accordo stipulato fra le regioni Liguria e Piemonte con Trenitalia, con oneri a carico delle stesse;
a tale interrogazione il sottosegretario Mantovani ha fornito risposta precisando che la reintroduzione della carta «Tutto Treno» era subordinata al «buon esito delle trattative per la definizione del nuovo Contratto di servizio con la regione Piemonte», che a tutt'oggi non è più stato sottoscritto nonostante nel frattempo sia intervenuto il ricambio dell'amministrazione regionale;
la regione Liguria nel contempo ha deciso le modalità di erogazione delle penali previste per i disservizi subiti dai pendolari che utilizzano il trasporto ferroviario,

precisando che avranno diritto ad un bonus di un mese con le stesse modalità dello scorso anno tutti coloro che iniziano il viaggio in Liguria, anche se la corsa termina al di fuori del territorio regionale. Dalla decisione risultano quindi esclusi i numerosi pendolari che, quotidianamente, dal basso Piemonte si recano in Liguria;
rimane pertanto aperta la situazione a suo tempo già denunciata riguardante il disagio dei pendolari piemontesi, nei confronti dei quali Trenitalia ha posto in essere un'evidente discriminazione sulle tratte concernenti i collegamenti fra Piemonte e Liguria -:
se sia a conoscenza della situazione che riguarda il trasporto ferroviario per i pendolari sulle linee fra Piemonte e Liguria e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(5-03615)

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INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:

BERTOLINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
da agenzie di stampa del 7 ottobre 2010 si apprende che il professor Stefano Allievi dell'università di Padova nel 2009 ha condotto una ricerca, denominata «Conflicts over mosques in Europe», dalla quale risulta che in Italia ci sarebbero 749 luoghi di culto per musulmani, detti in arabo «musalla», e 3 moschee vere e proprie con minareto e cupola, una a Roma, una Milano e una a Catania dette in arabo «masjid»;
la maggior parte delle 749 moschee «musalla», cioè luoghi che vengono adibiti alla preghiera, ma che in realtà sono scantinati, magazzini o garage, si trova nelle regioni del Nord, in particolare in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, per l'elevata presenza di immigrati di religione musulmana, mentre nel Sud, con l'eccezione della Sicilia, il numero è veramente esiguo;
tali luoghi di culto islamici, spesso abusivi, non sempre presentano tutti i presupposti di sicurezza, imposti dalla legge per gli ambienti in cui ci sono assembramenti di persone e ciò rende molto più difficile un controllo delle attività che vi vengono svolte;
non sempre, poi, è chiaro come avvenga il finanziamento delle attività di questi centri culturali islamici; la tradizionale modalità utilizzata dai musulmani è un sistema di sovvenzioni denominato «zakat» (contribuzione individuale prevista dal Corano e dalla Sharia), tuttavia spesso non vi è trasparenza nei bilanci, con il rischio che buona parte dei fondi raccolti possa finire a finanziare attività illecite;
in Emilia Romagna la legge sull'associazionismo, varata nel 2003, consente addirittura alle associazioni di promozione sociale, che inseriscono nel loro statuto l'attività di culto, di poter ottenere dalle amministrazioni locali il cambio di destinazione d'uso, anche di locali palesemente inadeguati a questo utilizzo, per poter appunto svolgere tale attività;
questa normativa sta provocando la proliferazione incontrollata, su tutto il territorio regionale, dei centri culturali islamici, utilizzati spesso come copertura formale di vere e proprie moschee, rischiando di creare gravi problemi sociali e di ordine pubblico -:
se sia a conoscenza dei fatti come sopraesposti e se vi siano ulteriori e nuove circostanze di cui ritenga opportuno mettere al corrente la Camera dei deputati;
se non reputi necessario effettuare maggiori controlli e raccogliere informazioni sui presunti legami tra i finanziamenti ai centri culturali islamici e quelli destinati ad attività illecite;
quanti siano nelle singole province dell'Emilia Romagna gli immobili censiti

dal Ministero dell'interno, utilizzati da associazioni di promozione sociale, ma in realtà utilizzati come luoghi di culto da immigrati di religione islamica;
quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare per impedire che tali luoghi continuino a proliferare nel nostro Paese, spesso senza essere tempestivamente individuati.
(4-09075)

LARATTA. - Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'ARAN ha in corso la trattativa negoziale per il rinnovo del contratto collettivo dei segretari comunali e provinciali per il biennio 2006-2007, senza aver convocato l'Unione dei segretari comunali e provinciali, che - sino ad oggi - ha sottoscritto tutti i contratti collettivi dell'area di applicazione del contratto, né altre sigle rappresentative dei dirigenti;
l'esclusione dal suddetto tavolo negoziale delle sigle sindacali rappresentative dei dirigenti non appare coerente con l'inquadramento giuridico e contrattuale del segretario, quale specifica figura di dirigente pubblico;
sulla qualifica dirigenziale dei segretari, si evidenziano infatti i seguenti dati normativi e contrattuali;
il decreto legislativo n. 267 del 2000, Testo unico degli enti locali prevede che:
ai sensi dell'articolo 97, comma 4, «Il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività»;
ai sensi dell'articolo 97, comma 3, «Il sindaco e il presidente della provincia, ove si avvalgano della facoltà prevista dal comma 1 dell'articolo 108, contestualmente al provvedimento di nomina del direttore generale disciplinano, secondo l'ordinamento dell'ente e nel rispetto dei loro distinti ed autonomi ruoli, i rapporti tra il segretario ed il direttore generale»;
ai sensi dell'articolo 108, comma 1, in caso si nomini un direttore generale non segretario, «... al direttore generale rispondono, nell'esercizio delle funzioni loro assegnate, i dirigenti dell'ente, ad eccezione del segretario del comune e della provincia»;
tra le numerose disposizioni di legge in materia di dirigenti pubblici che si applicano ai segretari, solo a titolo di esempio, si citano le norme in materia di:
mobilità tra pubblico e privato dettate per la dirigenza pubblica (articolo 101, comma 4-bis, del TU.E.L. in combinato con l'articolo 23-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165);
trasparenza della pubblica amministrazione, in base alle quali segretari, sono inclusi nel personale obbligato a pubblicare, oltre che il curriculum (norma che vale anche per i dipendenti titolari di posizione organizzativa, che non sono dirigenti), anche la retribuzione in godimento, norma questa riconducibile solo ed esclusivamente alla dirigenza;
l'articolo 32 del contratto collettivo nazionale dei segretari comunali e provinciali del 16 maggio 2001, per il quale «In caso di mobilità presso altre pubbliche amministrazioni, con la conseguente cancellazione dall'Albo:
il segretario collocato nella fascia professionale C viene equiparato alla categoria o area professionale più elevata prevista dal sistema di classificazione vigente presso l'amministrazione di destinazione;
il segretario collocato nella fascia professionale B, è equiparato al personale con qualifica dirigenziale;
il segretario collocato nella fascia A, è equiparato al personale con qualifica dirigenziale;

quindi tutti i Segretari sono dirigenti (salvo forse solo i neo assunti in fascia C, che hanno una corrispondenza meno chiara);
non da ultimo, conferma la valenza dirigenziale della figura del segretario lo spoil system, che è proprio di figure dirigenziali, anzi di alta dirigenza;
l'ARAN avrebbe posto a fondamento delle posizioni assunte unicamente il comma 2 dell'articolo 9 dell'accordo quadro, non operandone una interpretazione sistematica sia con gli altri commi dello stesso articolo che con le disposizioni prima ricordate, e dunque coerente con la qualifica dirigenziale dei segretari;
finanché per il futuro, nell'ambito della contrattazione attualmente in corso per gli accordi quadro (CCNQ) di definizione dei comparti di contrattazione e delle relative aree dirigenziali per il triennio 2010-2012, in applicazione della cosiddetta riforma Brunetta, l'ARAN avrebbe proposto che i segretari siano inseriti in specifica sezione nel comparto Autonomie Locali e non, viceversa, in specifica sezione nella corrispondente area della dirigenza delle Autonomie Locali;
tale ipotizzata collocazione, significando che i segretari costituirebbero una specificità professionale del personale dei livelli, e non come in effetti essi sono, una specificità professionale del personale dirigenziale, appare totalmente errata ed in palese contraddizione con il ruolo di alta dirigenza dei segretari, previsto all'interrogante dalle leggi innanzi richiamate;
appare quindi necessario che per il futuro i segretari siano chiaramente inseriti in specifica sezione dell'area della dirigenza delle autonomie locali, conformemente alla funzione svolta e qualifica posseduta, senza che questo comporti alcuna variazione del loro profilo o della loro qualifica, essendo profilo e qualifica già interamente previsti e posseduti, ed avendo quindi tale collocazione un valore di corretta ricognizione e corretto inquadramento dei segretari medesimi -:
per quale motivo, con riguardo al Contratto collettivo nazionale di categoria del 2006-2007, l'ARAN dia una interpretazione dei vigenti accordi quadro non collegata e coordinata con i dati normativi richiamati in premessa, che configurano il segretario come figura apicale di alta dirigenza degli enti locali;
per quale motivo, con riguardo ai futuri nuovi Accordi Quadro, l'Aran proponga una collocazione che ad avviso dell'interrogante è in totale contraddizione con il ruolo di alta dirigenza dei segretari;
se sia stato acquisito il parere del comitato di settore ANCI-UPI, competente per i segretari comunali ed eventualmente quale sia il contenuto di detto parere;
quale iniziativa il Governo intenda adottare affinché l'ARAN, nei nuovi accordi quadro, individui i segretari come specifica sezione dell'area della dirigenza, collocando gli stessi in modo coerente con la piena corrispondenza della loro qualifica a quella dei dirigenti, come sancito dalle norme in premessa richiamate e dall'articolo 32 del loro Contratto collettivo nazionale 16 maggio 2001.
(4-09086)

MANNINO. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 23 settembre 2010 il quotidiano L'Unità ha pubblicato un articolo il cui titolo è «Trapani connection le relazioni pericolose del Presidente Turano, informativa della DIA sulle frequentazioni del politico UDC che guida la Provincia. L'ombra del boss Messina Denaro e gli intrecci con aziende in odore di mafia»;
l'articolo non annuncia soltanto l'esistenza del rapporto della direzione investigativa antimafia, ma ne cita parti essenziali;
non vi sono altri organi di stampa che abbiano fatto riferimento o citato il

rapporto della direzione investigativa antimafia che è oggetto dell'articolo pubblicato da L'Unità;
l'articolo in questione afferma che il presidente Turano non è stato iscritto nel registro degli indagati, di conseguenza la pubblicazione del rapporto potrebbe configurare, ad avviso dell'interrogante, una forma di intimidazione e di condizionamento in relazione a importanti scelte che il presidente Turano ha assunto o dovrebbe assumere nella sua azione di governo -:
quali iniziative di carattere ispettivo i ministri competenti abbiano intenzione di intraprendere in relazione a quanto esposto in premessa con particolare riferimento alla fuga di notizie relative all'attività di indagine.
(4-09088)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:

ANNA TERESA FORMISANO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
venerdì 15 ottobre 2010 i lavoratori dell'azienda Rapisarda di Anagni in cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga fino al 31 dicembre, hanno manifestato a Frosinone, davanti alla sede dell'INPS poiché da marzo ad oggi non hanno ricevuto alcun assegno di cassa integrazione guadagni straordinaria;
inoltre, fatto assai strano, secondo quanto riferiscono i sindacati, l'azienda starebbe assumendo personale interinale presso una sua sede a Frosinone -:
quali siano i motivi per cui i circa cinquanta dipendenti della Rapisarda non percepiscano da marzo 2010 gli assegni di cassa integrazione guadagni straordinaria e quale sia l'esatta situazione posto che appare all'interrogante alquanto strano che un'azienda che ha una sua filiale in cassa integrazione guadagni straordinaria riesca ad assumere personale interinale presso una sede poco distante dalla prima.
(3-01285)

Interrogazione a risposta scritta:

PALADINI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
i contratti a progetto (co.co.pro.) costituiscono una tipologia di contratto di lavoro disciplinata dal decreto legislativo n. 276 del 2003, cosiddetta Legge Biagi; come altre forme di contratto precario presentano elementi di criticità in quanto rendono difficile la formulazione di un programma di vita, talora deprivando di diritti fondamentali che spetterebbero ad ogni lavoratore;
a tali forme di contratto precario nel corso degli anni non sono state apportate modificazioni in melius, anzi, esse appaiono sempre più penalizzanti per i lavoratori tanto del settore pubblico quanto del settore privato;
per tale categoria di lavoratori precari la situazione integra elementi di incertezza anche rispetto all'atteggiamento dell'INPS che non fornirebbe loro la simulazione della pensione futura come invece fa con gli altri lavoratori dipendenti; ed invero notizie di stampa riportano che nel corso di un convegno lo stesso presidente dell'Istituto di previdenza, Antonio Mastropasqua avrebbe affermato «Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale»;
i lavoratori parasubordinati, pur nella loro condizione di instabilità versano, all'INPS una quota del proprio reddito (fissata per il 2010 al 26,72 per cento) -:
se il Ministro interrogato, non ritenga utile intervenire incisivamente e costantemente presso l'INPS affinché i lavoratori

con contratti di collaborazione a progetto e con i vari tipi di contratti parasubordinati siano tutelati ed informati con pari dignità e chiarezza rispetto a tutti gli altri lavoratori, considerato che anch'essi versano all'INPS una quota del proprio reddito.
(4-09078)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

CALLEGARI e CHIAPPORI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 19 del regolamento (CE) n. 1967/2006 del Consiglio prevede che gli Stati membri adottino dei piani di gestione nazionale per le attività di pesca;
la regione Liguria ha approvato i piani di gestione per l'utilizzo della sciabica da natante per la pesca del rossetto e del bianchetto;
in riferimento alle specie del rossetto con le predette modalità, la pesca è consentita esclusivamente nel periodo compreso tra il primo novembre e il trentuno marzo di ogni anno;
la Commissione europea sottoporrà ad un comitato specifico il piano di gestione nazionale della pesca nella regione Liguria e tale organo potrebbe pertanto emettere una valutazione solo dopo l'inizio del mese di novembre;
un'eventuale riduzione del periodo di pesca concesso dalla normativa andrebbe ad aggravare la già pesante situazione di crisi che, negli ultimi anni, ha colpito il settore, cagionando ulteriori danni economici ai pescatori -:
quale sia l'impegno del Ministero in riferimento alla questione di cui in premessa e se intenda prendere in esame la possibilità di sottoporre ad approvazione il piano di gestione nazionale con tempistiche tali che una valutazione possa giungere in tempo utile, al fine di consentire l'inizio della pesca per l'inizio del mese di novembre 2010.
(5-03614)

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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E INNOVAZIONE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
secondo quanto prevede l'articolo 14, comma 9, del decreto-legge n. 78 del 2010, a decorrere dal 1o gennaio 2011, è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale per gli enti locali nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 40 per cento delle spese correnti;
la provincia regionale di Enna gestisce, sin dal 1982, due licei linguistici provinciali, ad Enna e ad Agira, riconosciuti scuole paritarie, ai sensi della legge 10 marzo 2000, n. 62, il cui personale docente viene reclutato tramite il ricorso alle procedure ed ai criteri previsti dalle vigenti disposizioni che regolano il funzionamento dei licei linguistici della suddetta provincia, attingendo da apposite graduatorie permanenti in ambito provinciale;
tali procedure vengono utilizzate dalla provincia regionale anche per il conferimento delle supplenze annuali mediante l'instaurazione di rapporti di lavoro a termine, in risposta al reale fabbisogno organico individuato dai rispettivi dirigenti scolastici, al fine di garantire il regolare avvio delle attività didattiche e dunque la funzionalità ed il buon andamento dei suddetti istituti;

nonostante gli sforzi compiuti dalla provincia regionale di Enna per assicurare il regolare avvio del corrente anno scolastico, l'ente si è trovato a dover affrontare una spesa per il personale superiore a quella consentita dal dettato dell'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010;
il personale dei licei linguistici, al fine di ridurre al minimo i disagi degli studenti e delle famiglie, ha dato la sua disponibilità ad effettuare ore aggiuntive e a spostarsi da Enna ad Agira per assicurare l'insegnamento delle discipline scoperte, ma, nonostante gli sforzi compiuti, non è stato possibile assicurare nelle due sedi la copertura di tutte le ore così che, attualmente, restano ancora scoperte le ore di religione e di sostegno per ben 5 alunni diversamente abili;
dal momento che le stesse esigenze connesse alla didattica, presenti nelle scuole statali ricorrono anche per le scuole paritarie gestite dagli enti locali e valendo altresì, per tutte, i principi sanciti dalla Costituzione in materia di diritto allo studio, all'istruzione e all'educazione, si richiama l'attenzione sulla circolare n. 3 del 19 marzo 2008 del dipartimento della funzione pubblica, intervenuta per dettare alcune linee di indirizzo in merito alla stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, in favore di una interpretazione derogatoria della legge finanziaria n. 244 del 2007, da applicarsi alle scuole gestite dagli enti locali, in analogia a quanto previsto per le scuole statali, in ordine al conferimento degli incarichi di supplenza;
tale orientamento è stato ribadito sempre dallo stesso dipartimento anche con il parere n. 56/2008, con riferimento all'applicazione dell'articolo 49 del decreto-legge n. 112 del 2008, come convertito dalla legge n. 133 del 2008, diretto a consentire agli enti locali, nella gestione del personale scolastico, in deroga alle rigide norme previste in materia di rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato, di potersi ispirare alla speciale disciplina prevista per le scuole statali -:
quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di estendere alle scuole paritarie, in materia di reclutamento di personale docente, la disciplina più favorevole prevista per quelle statali, applicando l'interpretazione derogatoria sopra citata rispetto al disposto dell'articolo 14, comma 9, del decreto-legge n. 78 del 2010, consentendo così agli enti locali di gestire, nel rispetto delle autonome capacità di bilancio, la possibilità di reclutamento del personale scolastico, secondo la disciplina vigente per le scuole statali e cioè a prescindere dai rigidi vincoli contenuti nella norma sopra richiamata.
(2-00860)
«Lo Monte, Commercio, Latteri, Lombardo, Misiti, Brugger».

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RAPPORTI CON LE REGIONI E PER LA COESIONE TERRITORIALE

Interrogazioni a risposta immediata:

COMMERCIO, LO MONTE, LATTERI, LOMBARDO e MISITI. - Al Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale. - Per sapere - premesso che:
il federalismo disegnato dalla legge n. 42 del 2009, «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione», ha al suo interno elementi di riequilibrio fiscale e di perequazione infrastrutturale, su cui si misura l'efficienza delle amministrazioni locali: è un modello condivisibile che può essere sperimentato dal Mezzogiorno;
ad avviso degli interroganti, l'impostazione generale dei decreti attuativi adottati dal Governo, in corso di elaborazione, sembra discostarsi dal suddetto modello, snaturandone il significato;
le caratteristiche federali del nuovo sistema di finanza regionale sono prefigurate e disciplinate, con principi e criteri specifici, dal capo II della legge delega n. 42 del 2009, che ha riguardo particolare

alla finanza delle regioni a statuto ordinario, dal comma 2 dell'articolo 1 e dall'articolo 27, che hanno riguardo all'assetto della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, e dall'articolo 20, che disciplina il passaggio dal vecchio al nuovo sistema con principi posti per il complesso delle regioni e criteri direttivi formulati per l'attuale sistema di finanza delle regioni a statuto ordinario;
per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano il comma 2 dell'articolo 1 introduce un principio di esclusività, o di riserva di disciplina, inteso a delimitare l'efficacia delle disposizioni del testo e ad integrarne i principi, così da rendere la disciplina del federalismo fiscale compatibile e coerente con le prerogative dell'autonomia speciale. Il comma in parola elenca nominativamente gli articoli cui deve rifarsi il legislatore delegato: l'articolo 27, che disciplina l'introduzione della riforma tramite norme di attuazione degli statuti speciali, l'articolo 15, recante i principi che informano l'istituzione delle città metropolitane, e l'articolo 22, che estende alle autonomie speciali la particolare procedura rivolta alla perequazione infrastrutturale;
la disciplina speciale dettata dall'articolo 27 adatta, anche avvalendosi di specifici «tavoli di confronto» tra Governo e ciascuna autonomia speciale, alle specialità il procedimento di attuazione del federalismo fiscale in quegli ordinamenti ed elenca, con esclusione degli altri, i principi ed i criteri direttivi che potranno applicarsi. In particolare:
a) le modifiche all'ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome saranno introdotte con la procedura delle norme di attuazione degli statuti speciali, negli stessi termini temporali previsti dalla delega conferita per l'emanazione dei decreti delegati relativi alle regioni a statuto ordinario e agli enti locali;
b) ferme le prerogative statutarie previste per ciascuna regione e provincia autonoma, la nuova disciplina sarà comunque informata ai principi del federalismo fiscale posti come attuazione dell'articolo 119 della Costituzione;
l'articolo 1, comma 2, della suddetta legge n. 42 del 2010, disponendo che «alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in conformità con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27», va, di fatto, ad escludere le autonomie speciali dal meccanismo di perequazione, dall'applicazione dei costi standard e dal principio di connessione tra risorse e funzioni, che possono trovare applicazione solo nei modi stabiliti dall'articolo 27, ossia secondo i criteri e le modalità definiti dalle norme di attuazione dei rispettivi statuti, adottati dalle commissioni paritetiche;
il Governo, nell'esercitare la delega prevista per l'attuazione del federalismo, ha approvato quattro distinti schemi di decreto legislativo che dimostrano di avere un'attitudine lesiva delle prerogative statutarie delle regioni a statuto speciale e dello stesso impianto normativo della legge delega, che detta esplicitamente di mantenere il regime finanziario delle regioni a statuto speciale distinto dal processo attuativo del federalismo e che stabilisce con chiarezza, all'articolo 27 della legge n. 42 del 2009, che l'introduzione del corpus normativo sul federalismo fiscale avviene tramite norme di attuazione degli statuti speciali;
così come anche la giurisprudenza costituzionale ha spesso avuto modo di confermare, la fonte competente a delineare l'autonomia finanziaria delle regioni a statuto speciale è rappresentata dallo statuto stesso e dalle norme di attuazione, elevate al rango di norme parametro del giudizio di costituzionalità, modificabili soltanto con legge di pari rango, o comunque non con semplici leggi ordinarie, come nel caso dei decreti attuativi;
l'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 prevede una ricognizione degli interventi infrastrutturali per individuare eventuali deficit,

per realizzare lo sviluppo economico e la coesione sociale soprattutto nelle aree sottosviluppate e per rimuovere tutti i gap territoriali esistenti nel nostro Paese;
il Governo fino ad oggi ha dimostrato di voler tralasciare la perequazione infrastrutturale, che rappresenta la seconda gamba del federalismo, concentrandosi esclusivamente sulla perequazione fiscale;
in uno Stato autenticamente federale tutte le regioni devono essere dotate degli stessi strumenti di sviluppo e delle stesse infrastrutture. La realizzazione di una perequazione infrastrutturale rappresenta un elemento qualificante del federalismo e la condizione necessaria per un federalismo fiscale equo -:
come il Governo intenda superare le incompatibilità che, ad avviso degli interroganti, presentano i decreti legislativi di attuazione del federalismo con le prerogative costituzionalmente garantite dell'autonomia speciale e quando intenda avviare, adottando il relativo decreto, la cosiddetta perequazione infrastrutturale, al fine di recuperare quei ritardi che costringono Nord e Sud del Paese ad un perdurante dualismo socio-economico e strutturale.
(3-01289)

GIORGIO CONTE. - Al Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale. - Per sapere - premesso che:
nel quadro della discussione sui cosiddetti fabbisogni standard di comuni, province e città metropolitane sembra delinearsi l'intenzione di affidare ad una società per azioni - la Società per gli studi di settore spa (Sose, il cui capitale è detenuto per l'89 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze e per l'11 per cento dalla Banca d'Italia) il compito di individuare le metodologie di calcolo e di definire gli specifici fabbisogni standard per ciascun comune, provincia e città metropolitana;
al momento non sono previste condizioni per l'attività cui sarà soggetta la Sose, in collaborazione con l'Istituto per la finanza e l'economia locale (Ifel), in qualità di partner scientifico, e con gli enti locali, tenuti alla raccolta e alla trasmissione dei dati, ad alcun criterio metodologico;
permanendo il silenzio su tale aspetto, non risulterà possibile al Parlamento, che pure ha il diritto-dovere di adempiere alle proprie prerogative di controllo, compiere valutazioni ex ante su un metodo non ancora definito nelle sue caratteristiche, il quale - una volta redatto - sarà tradotto in norma attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, e quindi svincolato da un qualsivoglia vaglio parlamentare;
atteso che la società Sose spa sarà chiamata a gestire una notevole mole di dati e a individuare sinergie con circa 8.100 comuni e oltre 100 province e che la predetta società appare dotata di competenze e professionalità nel settore fiscale - e, in particolare, degli studi di settore -, che, se pur in parte possono essere utilizzate proficuamente, potrebbero non essere sufficienti a svolgere appieno il compito assegnato e richiedere un incremento o una riqualificazione di competenze e professionalità ulteriori, con connessa manifestazione di oneri aggiuntivi -:
se non ritenga che tale ipotesi rechi una sostanziale violazione della delega parlamentare, prevista dalla legge n. 42 del 2009, che demandava al decreto legislativo stesso e non ad un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la definizione dei fabbisogni standard, e se non ritenga di rivedere radicalmente l'impostazione del relativo decreto legislativo sulla materia.
(3-01290)

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SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
la disastrosa situazione economica della sanità campana, ereditata dalla precedente

Giunta Bassolino, sta costringendo l'attuale presidente della regione nonché commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, ad adottare misure di contenimento della spesa che rischiano di gravare pesantemente su vaste fasce di popolazione;
tale situazione sta portando ad un aumento dei costi a cui purtroppo, in questa fase, non corrisponde neanche un miglioramento del servizio;
con provvedimento adottato nel mese di settembre 2010, il Commissario ad acta, ha deciso un aumento dei ticket per le ricette e le confezioni di farmaci, in particolare: 1,50 euro per confezione più una quota fissa di 2 euro a ricetta;
la quota di compartecipazione non si applica ai farmaci non coperti da brevetto con prezzo allineato a quello di riferimento regionale;
il provvedimento in questione è stato accompagnalo da criteri di esenzione al fine di salvaguardare le categorie più deboli, ma pur essendo apprezzabile tale iniziativa, le persone coinvolte in tali esenzioni sono una minoranza;
in particolare pagano 1 euro a ricetta e non pagano la quota a confezione:
a) invalidi di guerra dalla 1a alla 8a cat.;
b) invalidi per lavoro dall'80 per cento al 100 per cento;
c) invalidi del lavoro con riduzione della capacità lavorativa superiore a 2/3 dal 67 per cento al 79 per cento di invalidità;
d) invalidi del lavoro con riduzione della capacità lavorativa, inferiore a 2/3 dall'1 per cento al 66 per cento di invalidità;
e) infortunati sui lavoro o affetti da malattie professionali;
f) grandi invalidi per servizio appartenenti alla 1a categoria titolari di specifica pensione;
g) invalidi per servizio dalla 2a alla 8a categoria;
h) obiettori di coscienza in servizio civile;
i) invalidi civili al 100 per cento di invalidità con o senza indennità di accompagnamento;
j) invalidi civili minori di 18 anni con indennità di frequenza;
k) ciechi e sordomuti indicati dagli articoli 6 e 7 del decreto ministeriale 1o febbraio 1991 (ex articolo 6 e 7 della legge 2 aprile 1968, n. 482);
l) prestazioni richieste in sede di verifica dell'invalidità civile ex decreto ministeriale 20 luglio 1989, n. 293, e successive modificazioni;
m) pazienti in possesso di esenzione in base alla legge n. 210 del 25 febbraio 1992;
n) pazienti in possesso di esenzione in base alla legge n. 302 del 1990 vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (ex articolo 5 comma 6 decreto legislativo n. 124 del 1998);
o) prestazioni a favore di detenuti o internati;
p) assistiti soggetti, a prescrizione di farmaci analgesici oppiacei utilizzati nella terapia del dolore;
q) soggetti affetti da patologie croniche, rare e invalidanti con reddito familiare ISEE non superiore a 22.000,00 euro;
non pagano alcuna quota di partecipazione:
a) i disoccupati e loro familiari a carico, titolari di pensioni al minimo di età superiore a 60 anni, e loro familiari a carico, appartenenti ad un nucleo familiare con un reddito complessivo inferiore a 8,263,31 euro, incrementato fino a 11.362,05 euro in presenza del coniuge e in ragione di ulteriori 516,46 euro per ogni figlio a carico;

b) titolari di assegno (ex pensione sociale - e loro familiari a carico);
c) soggetti appartenenti ad un nucleo familiare con reddito ISEE non superiore a 10.000,00 euro;
d) cittadini extracomunitari iscritti al Servizio Sanitario Nazionale, con permesso di soggiorno per richiesta di asilo politico o umanitario;
e) cittadini trapiantati d'organo con reddito familiare ISEE non superiore a 22.000,00 euro;
tali disposizioni sono entrate in vigore dal 1o ottobre 2010 e lo resteranno, salvo cambiamenti, sino al 31 dicembre 2011;
a ciò si aggiunge un aumento da 25 a 50 euro per i cosiddetti «codici bianchi» che si rivolgono al pronto soccorso;
e, infine, va ricordato che in Campania per una prestazione specialistica, a meno che non si sia esentati dal pagamento, si arriva a pagare sino a 36,15 euro a ricetta, arrivando alla quota di 50 euro in caso di «pacchetti ambulatoriali»;
come è noto, tale provvedimento, ha fatto seguito alle sollecitazioni della Corte dei Conti, che pur apprezzando le misure adottate a copertura del disavanzo sanitario ha fatto presente che non erano sufficienti a determinare un contenimento strutturale della spesa;
la stessa Corte dei Conti sollecitava l'attivazione di misure di compartecipazione alla spesa e di strumenti di controllo della domanda al fine di risanare il disavanzo ed in questo senso si è mosso il Commissario ad acta;
tali misure, pur rientrando in una necessità di carattere economico, rischiano, in una delle regioni più povere a livello nazionale, di rivelarsi particolarmente esose per quelle fasce sociali di cittadini che pur non rientrando nelle categorie esentate dai pagamenti, non vivono sicuramente situazioni facili -:
se non si ritenga necessario, tenuto conto della particolare situazione di crisi economica che sta colpendo la Campania, verificare la possibilità, nei tavoli di concertazione, per il tramite del Commissario ad acta responsabile dell'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari, di attuare una parziale modifica dei criteri attraverso i quali si sta tentando di recuperare il disavanzo sulla sanità, tenuto conto che le attuali disposizioni rischiano di aggravare la situazione di molti cittadini che, già adesso, faticano a far quadrare i bilanci familiari;
se non sia il caso di valutare la possibilità di utilizzare i fondi FAS per elaborare un piano straordinario d'interventi nelle regioni meridionali dove più grave è, salvo alcune rare oasi di efficienza, il ritardo dell'intero sistema sanitario, ai fine di consentire piani di rientro dal disavanzo del settore sanitario che non gravino in maniera eccessiva sui cittadini consentendo, al contempo, di innalzare lo standard medio delle prestazioni a favore degli utenti che vi devono fare ricorso.
(2-00859)
«Iannaccone, Belcastro, Gaglione, Milo, Sardelli, Brugger».

Interrogazioni a risposta immediata:

BALDELLI e CICCIOLI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il futuro del sistema sanitario nazionale sarà caratterizzato necessariamente, tra le altre cose, dalla risposta che si fornirà su alcuni temi fondamentali, come l'appropriatezza dell'assistenza, l'accessibilità dei servizi e l'equità;
il carattere universalistico del nostro sistema rappresenta una dichiarazione di principio che ha bisogno di trovare una concreta attuazione, sia mediante la corretta organizzazione e programmazione delle attività, sia mediante la giusta allocazione delle risorse nel rispetto dei vincoli economici necessari per gli equilibri finanziari;

l'accessibilità del sistema sanitario nazionale, al pari della sua efficacia, è un aspetto che incide fortemente sulla qualità del servizio offerto;
l'implementazione delle funzioni svolte dalle farmacie, visto anche il ruolo fondamentale che queste già rivestono in tema di tutela della salute, potrebbe incidere positivamente sull'accessibilità del sistema sanitario nazionale -:
quali siano le iniziative del Ministro interrogato per potenziare l'accesso dei cittadini al sistema sanitario nazionale attraverso le farmacie.
(3-01286)

PALAGIANO e MURA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
a sette mesi dall'approvazione della legge 15 marzo 2010, n. 38, recante «Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore», lo stato di attuazione è ancora fermo «al palo» e la sua applicazione sul territorio non è ancora praticamente mai iniziata;
si ricorda che detta legge, dopo un anno e mezzo di esame parlamentare, è stata approvata definitivamente e all'unanimità da tutti i gruppi parlamentari e dovrebbe consentire finalmente a cittadini che hanno bisogno di poter accedere alla medicina palliativa e alla terapia del dolore;
ogni anno 150.000 italiani malati hanno bisogno di accedere al programma delle cure palliative e non hanno i punti di riferimento di strutture e di centri di assistenza. Ci sono tante famiglie che si trovano spesso sole di fronte ai delicati risvolti affettivi e psicologici che comporta la cura di un malato terminale, potendo solo garantire, di fronte alle carenze delle istituzioni, una sorta di «welfare fai da te»;
la legge n. 38 del 2010, seppur migliorabile in diversi suoi aspetti, rappresenta comunque un «atto di civiltà». Si ricorda che il nostro Paese è tra i più arretrati in Europa rispetto alle garanzie di accesso alla medicina palliativa e al diritto a non soffrire. Con questa legge, l'accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore viene finalmente riconosciuto come un diritto per assicurare la dignità della persona umana e ne viene garantita l'uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale;
il 5 ottobre 2010 Il Sole 24 ore ha pubblicato un'indagine con il centro studi Mundipharma e Fadoi (la federazione delle associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti) su 135 reparti di medicina generale, al fine di verificare lo stato di attuazione della legge;
l'indagine traccia un primissimo bilancio della legge piuttosto negativo. Entro fine giugno 2010 Governo e regioni dovevano individuare i requisiti minimi e le modalità organizzative necessari per l'accreditamento delle strutture di assistenza ai malati in fase terminale e delle unità di cure palliative e della terapia del dolore domiciliari presenti in ciascuna regione, con lo scopo di definire la rete per le cure palliative e la rete per la terapia del dolore, con particolare riferimento ad adeguati standard strutturali qualitativi e quantitativi. Andavano, altresì, indicate le strutture e le figure professionali che vi dovrebbero lavorare. Di tutto ciò non vi è praticamente traccia;
entro fine settembre 2010 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca doveva dare vita a percorsi formativi e a un master ad hoc sulle cure palliative e la terapia del dolore per medici e personale sanitario. Ma finora non si è visto praticamente nulla;
la nuova legge ha, inoltre, semplificato le procedure per la prescrizione da parte dei medici delle medicine anti-dolore e degli oppioidi per alleviare le sofferenze dei malati terminali o dei pazienti cronici;
nonostante si tratti, quindi, di farmaci indispensabili per alleviare le sofferenze ad almeno 250 mila malati terminali e a milioni di pazienti cronici, gli oppioidi

prescritti sono cresciuti in maniera estremamente modesta: solo l'8 per cento in più rispetto al passato, e comunque nettamente indietro rispetto ai consumi di altri Paesi europei;
così come risultano ancora troppo pochi gli ospedali che stanno rispettando l'obbligo previsto dalla legge n. 38 del 2010 di riportare all'interno della cartella clinica, in uso presso tutte le strutture sanitarie, le caratteristiche del dolore rilevato e della sua evoluzione nel corso del ricovero, nonché la tecnica antalgica e i farmaci utilizzati -:
quali iniziative si intendano intraprendere per accelerare l'attuazione della legge n. 38 del 2010, ancora praticamente inapplicata, seppure attesa da migliaia di malati che hanno necessità di poter accedere al programma delle cure palliative e delle terapie del dolore e di poter contare su adeguate strutture ed efficaci servizi alla persona.
(3-01287)

FRANCESCHINI, MARAN, BOCCIA, QUARTIANI, GIACHETTI, BELLANOVA, BORDO, CAPANO, CONCIA, D'ALEMA, GINEFRA, GRASSI, LOSACCO, MASTROMAURO, SERVODIO e VICO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la regione Puglia è obbligata a presentare un piano di rientro (da sostanziarsi mediante accordo tra il Ministro interrogato, il Ministro dell'economia e delle finanze e la regione Puglia) non a causa del disavanzo di gestione del servizio sanitario regionale, atteso che, come certificato dal Ministero dell'economia e delle finanze, in tutti gli anni è stata assicurata la piena copertura finanziaria, ma per non aver rispettato i vincoli del patto di stabilità interno negli anni 2006 e 2008 per una serie di motivazioni, ad avviso degli interroganti, del tutto opinabili correlate alla scelta dell'anno posto a riferimento per la base di calcolo per la verifica del rispetto dei parametri/vincoli previsti dalle norme finanziarie;
il piano di rientro è stato, quindi, concordato con le direzioni dei Ministeri e con la struttura tecnica in data 28 luglio 2010, come confermato dalla e-mail del direttore del Ministero della salute del 29 luglio 2010, in cui testualmente «si invia copia della proposta di piano di rientro della regione Puglia da sottoscriversi entro il 29 luglio 2010», specificando che «i testi sono stati concordati con i rappresentanti della regione Puglia»;
con nota protocollo n. 4253 del 28 luglio 2010, il Ministro interrogato ha formalmente convocato il presidente Vendola per il 29 luglio 2010 «per la sottoscrizione dell'accordo con allegato piano di rientro»;
il piano di rientro della regione Puglia concordato si sviluppa su 4 aree di intervento: riorganizzazione e ammodernamento della rete ospedaliera, appropriatezza dell'uso dei farmaci, sviluppo dell'integrazione tra ospedale e territorio, con la riqualificazione e la riallocazione del personale, e razionalizzazione della spesa, anche attraverso la centralizzazione degli acquisti, l'implementazione di procedure di monitoraggio e la verifica della spesa;
il 29 luglio 2010 il Governo ha inteso procedere regolarmente alla firma dell'accordo per il piano di rientro della regione Piemonte, la cui fase istruttoria e di definizione è stata ben più «difficile» di quella della Puglia;
gli accordi sin qui sottoscritti riguardano i piani di rientro di Abruzzo (accordo del 2007), Calabria (2009 nella sua ultima versione), Campania (2007), Lazio (2007), Liguria (2007), Molise (2007) e Sicilia (2007);
con nota ricevuta il 5 agosto 2010, a triplice firma del Ministro interrogato e dei Ministri Tremonti e Fitto, è stata comunicata alla Puglia la disponibilità del Governo alla sottoscrizione dell'accordo «per l'approvazione del piano di rientro e di riqualificazione e riorganizzazione e di individuazione degli interventi per il perseguimento dell'equilibrio economico, ai

sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311», mediante riapertura dei termini di cui all'articolo 2, comma 97, della legge n. 191 del 2009;
in nessuno di questi accordi i Ministeri hanno richiesto l'inserimento di clausole «vessatorie» o «prescrizioni» di sorta, come quella pressantemente inserita nella proposta del Governo e tendente a richiedere la sospensione di norme in tutto o in parte impugnate dallo stesso Governo dinnanzi alla Corte costituzionale;
in particolare, i Ministri hanno richiesto alla Puglia una serie di adempimenti che negli altri casi sono stati richiesti ex post rispetto alla firma degli accordi (piano operativo del piano di rientro ed altro), ma hanno chiesto, punto b), di «sospendere, entro il prossimo 6 agosto, i procedimenti amministrativi di attuazione delle leggi regionali» impugnate dal Governo dinanzi alla Corte costituzionale;
con nota del 6 agosto 2010 il presidente Vendola ha fornito rassicurazioni ai Ministri, pur evidenziando come il punto b) della nota contiene un impegno ultroneo rispetto al piano di rientro e che tra i provvedimenti osservati dal Governo c'è quello relativo alla selezione e nomina dei direttori generali delle aziende e degli enti pubblici del servizio sanitario, che, affrontando innovativamente il delicato rapporto tra tecnica e politica, è stato oggetto di considerazioni positive da parte dello stesso Governo. Inoltre, i provvedimenti della giunta regionale in tema di «internalizzazione» hanno interrotto processi di degenerazione da lunghissimo tempo in atto, più volte osservati anche dalla magistratura, restituendo dignità al lavoro e ai lavoratori, provocando, al contempo, riduzione di spesa; trattasi di norme regionali che sono frutto di un ampio ed articolato confronto con le parti sociali, tra le forze politiche del consiglio regionale, spesso approvate all'unanimità, in grado, tra l'altro, di assicurare un significativo miglioramento del governo del sistema sanitario regionale, una razionalizzazione di costi e il miglioramento delle condizioni sociali ed occupazionali degli operatori;
il presidente Vendola, con propria nota del 6 agosto 2010, ha disposto ai direttori generali delle aziende sanitarie di sospendere l'adozione di ogni ulteriore atto deliberativo relativo alle materie di cui alle leggi citate nella nota ministeriale, per le parti impugnate dal Governo;
gli obiettivi di equilibrio economico-finanziario sostanziati nel piano di rientro della Puglia sono raggiunti comunque senza l'utilizzo dei fondi per le aree sottoutilizzate a copertura dei debiti sanitari, non prevedono nuove tasse e offrono, oltre alle coperture, ulteriori mezzi di copertura a garanzia per 321 milioni di euro sul triennio 2010-2012;
la regione Puglia è l'unica regione, insieme alla Basilicata, a non subire piano di rientro da disavanzo economico del sistema sanitario regionale, avendo sempre ripianato con mezzi propri, e a non poter essere conseguentemente commissariata;
in data 12 ottobre 2010, al termine di nuove interlocuzioni tra il gruppo tecnico interministeriale e la regione Puglia, è stato prodotto un verbale congiunto che sostanzia nuovamente la condivisione da parte delle strutture ministeriali dei contenuti del piano di rientro della Puglia, rimasto sostanzialmente immutato nei suoi obiettivi e nei suoi interventi fondamentali, senza che, peraltro, siano stati osservati elementi di criticità economico-finanziaria a carico della regione Puglia, atteso che la stessa regione ha, altresì, osservato le «prescrizioni» contenute nella lettera dei Ministri di agosto 2010, approvando una specifica legge regionale;
sono gravissimi ed ingiustificati gli effetti economico-finanziari (550 milioni di euro) che la mancata sottoscrizione dell'accordo può determinare per la Puglia -:
quali siano le motivazioni per le quali il Governo non abbia ancora proceduto alla sottoscrizione dell'accordo, facendo spirare, peraltro, i termini fissati dal decreto-legge n. 125 del 2010.
(3-01288)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere - premesso che:
il Piano nazionale di assegnazione delle frequenze (PNAF) che pianifica per le emittenti televisive il passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale terrestre, assegna in ciascuna area tecnica 25 frequenze ad emittenti televisive nazionali ed almeno 13 frequenze ad emittenti locali (articolo 3, comma 5.1 legge n. 249 del 1997);
mentre le frequenze destinate dal PNAF alle emittenti nazionali sono quelle assegnate, a livello internazionale all'Italia, secondo quanto previsto dall'Accordo di Ginevra (2006), per le emittenti locali rimangono le frequenze assegnate ad altri Paesi, il cui libero utilizzo non è pertanto garantito, in quanto gli accordi internazionali le hanno attribuite agli Stati esteri affacciati sull'Adriatico, in particolare Slovenia, Croazia, Bosnia, Albania e Montenegro, e che tale sovrapposizione, indipendentemente dalla legittimità, comporta un rischio di interferenze;
per l'area adriatica, il reperimento delle frequenze deve necessariamente tenere conto degli accordi internazionali (Ginevra 2006) e delle frequenze effettivamente disponibili a livello nazionale per il passaggio dal sistema televisivo analogico a quello digitale terrestre;
il calendario per il completamento del passaggio al digitale terrestre si concluderà entro il 2012 ed è pertanto necessario che le frequenze destinate alle emittenti locali siano conosciute per tempo e verificate sul loro effettivo utilizzo;
l'assegnazione alle sole emittenti nazionali delle frequenze che in sede internazionale sono destinate all'uso esclusivo dell'Italia fa fortemente preoccupare le regioni e le televisioni locali, in quanto proprio queste ultime sono così a rischio di sopravvivenza. Senza garanzie concrete di utilizzo delle frequenze a loro assegnate, le emittenti locali si troverebbero ad affrontare nuovi investimenti con il rischio di oscuramento del loro segnale in parte o in gran parte del territorio su cui operano da anni. Né è agevole ipotizzare una rilocalizzazione delle antenne, in quanto tale operazione comporterebbe un grosso sforzo economico senza alcuna garanzia effettiva di non interferenza con i segnali esteri;
nelle regioni italiane nelle quali è avvenuto, o si sta avviano, lo «switch-off», si è proceduto, o si sta procedendo, ad assegnare frequenze destinate dal PNAF all'emittenza locale senza una preventiva simulazione dei problemi di interferenza che si potranno presentare, ma affrontando la questione solo a pochi giorni dallo switch off o addirittura a switch off avvenuto;
pur essendo la materia delle comunicazioni disciplina concorrente tra Stato e regioni queste ultime, nonostante l'approvazione di uno strumento di pianificazione (il PNAF), non sono state portate a conoscenza delle frequenze sulle quali l'informazione televisiva locale potrà operare;
per le regioni adriatiche le emittenti locali rappresentano un importante patrimonio per la loro identità culturale ed economica, indispensabile per un sistema radiotelevisivo pluralistico e democratico;
è indispensabile garantire la loro sopravvivenza, proprio in attuazione dei principi di «massimo grado di pluralismo del sistema radio-televisivo a livello locale» e la «massima efficienza allocativa», citati in premessa dal Piano nazionale di assegnazione delle frequenze (PNAF), approvato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) il 15 giugno 2010 con delibera 300/10/CONS - pubblicata il 28 giugno 2010 - ma che di fatto non trovano nella stessa adeguata attuazione;
il Coordinamento nazionale dei comitati per le comunicazioni delle regioni e

delle province autonome il 2 luglio scorso, facendo seguito all'appello pervenuto dalle emittenti locali di varie regioni dell'Adriatico, ha approvato un documento che sottolinea l'assoluta necessità di garantire alle emittenti locali la riserva di almeno 1/3 delle frequenze pianificabili effettivamente fruibili, in modo da rispondere alle esigenze di tutte le emittenti delle regioni che si affacciano sull'Adriatico;
anche le organizzazioni di categoria delle emittenti televisive hanno preso posizione in merito, segnalando difficoltà per le aree di confine. In particolare, risulta che nella regione Veneto l'emittente «Rete Veneta», il 19 luglio 2010, ha presentato ricorso al TAR contro la delibera 300/10/CONS dell'Agcom, denunciando il potenziale danno che l'attuazione della delibera arrecherebbe;
per le regioni adriatiche la situazione relativa alle frequenze appare delicata e urgente in quanto il mare Adriatico non costituisce una efficace barriera fisica alla propagazione dei segnali televisivi della prospiciente Croazia e che attualmente in alcune aree costiere si registrano disturbi provenienti dalle tv, nazionali e locali, dei Paesi costieri della ex-Jugoslavia, nonostante non siano utilizzate le medesime frequenze delle tv locali;
per le caratteristiche proprie delle frequenze digitali, l'interferenza tra segnali comporterebbe il totale oscuramento dell'emittente locale e la conseguente scomparsa delle tv locali stesse;
a pochi mesi dallo «switch-off» molte delle regioni adriatiche non sono ancora a conoscenza delle frequenze che verranno attribuite alle emittenti locali del proprio territorio, né è a conoscenza delle frequenze che saranno assegnate alle altre regioni italiane, ancora in attesa di «switch-off». Pertanto, in mancanza di un processo di armonizzazione anche nazionale, non è possibile escludere eventuali problemi di interferenza;
attualmente, non si è a conoscenza di avvenuti studi tecnici e simulazioni che escludano il rischio di interferenze tra i canali che saranno attribuiti all'emittenza locale delle regioni adriatiche e i canali che, secondo gli accordi internazionali, apparterranno alle emittenti degli Stati esteri della medesima costa adriatica;
la mancata comunicazione, con congruo anticipo rispetto al termine per lo «switch-off» previsto per le regioni adriatiche, delle frequenze che saranno loro assegnate, non consente lo studio di soluzioni preventive che potrebbero evitare o limitare i problemi relativi alle interferenze, agendo per esempio sull'orientamento delle antenne di ricezione;
tale scenario rischia di determinare l'oscuramento del segnale ed il conseguente blocco delle trasmissioni e la successiva grave crisi del sistema radio-televisivo locale che rappresenta a tutti gli effetti un importante settore economico e occupazionale del territorio regionale;
tale oscuramento lederebbe, in modo sostanziale, il pluralismo dell'informazione locale -:
se e quali iniziative il Ministro abbia intrapreso o intenda intraprendere a livello nazionale per scongiurare il manifestarsi di uno scenario che porterebbe alla morte del sistema radiotelevisivo locale italiano;
se il Ministro sia a conoscenza di quali siano le frequenze che il PNAF assegna alle regioni adriatiche, con adeguato anticipo rispetto alla data dello «switch-off», in modo da poter consentire a ciascuna regione e agli altri enti locali, lo studio di possibili soluzioni;
se il Ministro intenda costituire e convocare un tavolo tecnico delle regioni adriatiche per rafforzare, in modo condiviso e coordinato, la questione dell'assegnazione delle frequenze alle emittenti locali, in modo da avviare un confronto e un processo di armonizzazione delle frequenze

tra le regioni interessate e tra queste ultime ed i paesi esteri che si affacciano sull'Adriatico, come previsto dalle direttive europee.
(2-00862)
«Di Pietro, Donadi, Favia, Monai, Borghesi, Mura, Di Stanislao, Razzi, Di Giuseppe, Zazzera».

...

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta in Commissione Siragusa n. 5-03164, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o luglio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Pasquale.

L'interrogazione a risposta in Commissione Schirru e altri n. 5-03374, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 settembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Trappolino.

Ritiro di documenti di indirizzo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
mozione Zampa n. 1-00361 del 29 aprile 2010;
mozione Di Giuseppe n. 1-00367 del 18 maggio 2010;
mozione Mussolini n. 1-00371 del 1o giugno 2010;
mozione Capitanio Santolini n. 1-00394 del 22 giugno 2010;
mozione Mosella n. 1-00453 del 14 ottobre 2010;
mozione Misiti n. 1-00455 del 18 ottobre 2010;
mozione Iannaccone n. 1-00456 del 18 ottobre 2010.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta in Commissione De Pasquale n. 5-02812 del 28 aprile 2010;
interrogazione a risposta scritta Montagnoli n. 4-07827 del 1o luglio 2010;
interrogazione a risposta in Commissione De Pasquale n. 5-03483 del 29 settembre 2010;
interrogazione a risposta scritta Lo Monte n. 4-08951 del 7 ottobre 2010.