XVI LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Risoluzioni in Commissione:
La Commissione III,
premesso che:
nel settembre 2010 i media europei hanno dato particolare audience alla nomina degli ambasciatori nell'ambito Servizio diplomatico europeo (EEAS), costituito a seguito dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona, evidenziando il ruolo subalterno del nostro Paese nelle dinamiche di spartizione degli incarichi;
all'Italia è stata riconosciuta la rappresentanza dell'Albania e dell'Uganda, un riconoscimento particolarmente limitato se messo a confronto con quello degli altri Paesi del nocciolo duro dell'Unione europea;
i suindicati riconoscimenti sono stati legittimati dal fatto che l'Italia è un Paese storicamente e culturalmente oltre che geograficamente vicino all'Albania, e sul versante africano si è affermato che l'Uganda rappresenta un tassello importante per le relazioni italiane con il Corno d'Africa;
le legittimazioni suindicate non giustificano in alcun modo il profilo basso e ridimensionato che sul versante diplomatico l'Italia sta mantenendo;
a tali – non trascurabili – criticità che certamente ci fanno poco onore sotto il profilo internazionale, va ad aggiungersi la mancata collocazione di un referente italiano ai vertici della struttura del nuovo corpo diplomatico dell'Unione europea, considerando che la nostra candidatura non è stata accolta da Catherine Ashton, Alto rappresentante della politiche estera dell'Unione europea;
il Ministro degli affari esteri Franco Frattini ha avuto modo di evidenziare che quello testé indicato non si configura come «un insuccesso»;
stando alle informazioni a disposizione dello scrivente, molti ambasciatori italiani il cui profilo professionale è riconosciuto a livello internazionale non hanno presentato la propria candidatura;
sotto il profilo regolamentare, l'Unione europea ha sancito determinati vincoli d'età a cui i candidati diplomatici sono costretti ad attenersi per poter presentare le proprie candidature ai vertici delle strutture diplomatiche europee;
buona parte degli ambasciatori italiani ha un'età superiore ai 61 anni, limite fissato dall'Unione europea, elemento che ci colloca in una posizione di evidente svantaggio rispetto ai nostri interlocutori nonché concorrenti europei;
il livello della nostra diplomazia e di conseguenza della nostra politica estera è stato messo ancora una volta alla prova ed il risultato che n’è derivato impone una indifferibile riflessione circa i livelli di preparazione e di competenza dei nostri referenti diplomatici,
impegna il Governo:
a predisporre tutte le più opportune iniziative volte alla valorizzazione della diplomazia italiana nei consessi internazionali;
a garantire la valorizzazione della qualità e dell'efficienza del personale diplomatico attraverso l'introduzione di meccanismi premiali che siano realmente rispondenti alle esigenze di meritocrazia nell'amministrazione;
a valutare la possibilità di avviare eventuali percorsi di riforma del profilo professionale diplomatico al fine di renderlo maggiormente rispondente alle esigenze e ai parametri operativi dettati da Bruxelles.
(7-00401) «Di Biagio».
La XIII Commissione,
premesso che:
nell'ambito del settore del pomodoro da industria, l'Italia è leader assoluto per i prodotti di qualità e di maggiore valore aggiunto, rimanendo all'avanguardia nell'innovazione di prodotto e di packaging: le industrie italiane di trasformazione del pomodoro, che sono poco meno di 200 con oltre 15.000 addetti e sono distribuite in due principali distretti (il distretto Centro-Nord localizzato tra Emilia e Lombardia e il distretto del Sud localizzato principalmente in Campania) trasformano circa l'80 per cento del pomodoro prodotto in Italia (circa 5 milioni di tonnellate nella campagna 2008) ed esportano le eccellenze del «made in Italy» (pelati, passata, polpa, sughi, concentrati) per oltre 750 milioni di euro nei Paesi dell'Unione europea;
il pomodoro da industria è una delle nostre più importanti produzioni; strategico per alcune regioni ma diffuso in quasi tutta Italia, con la Puglia, maggiore produttrice, seguita da Emilia Romagna e poi di seguito tutte le altre;
il comparto del pomodoro da industria soffre dello stesso problema che affligge il resto dell'agricoltura italiana, vale a dire una netta inferiorità contrattuale nei confronti dell'industria in generale, sia di quella di trasformazione, come in questo caso, sia di quella legata alla grande distribuzione;
le relazioni difficili, all'interno di questa filiera, sono ormai una costante da tantissimi anni e a questo punto non possono essere che affrontate con interventi e comportamenti incisivi e coerenti. Quanto è avvenuto negli anni è frutto di una programmazione carente, che ha alimentato comportamenti non corretti all'interno della filiera;
quella del pomodoro è una delle coltivazioni ortofrutticole a maggiore valore aggiunto per le aziende agricole del Meridione su cui ora rischiano di scaricarsi gli effetti negativi indotti da almeno due macrofattori: l'incremento delle superfici, quindi degli investimenti, e il prezzo non remunerativo imposto dalla parte industriale a quella agricola. Quest'ultima è particolarmente debole, dunque esposta alle manovre speculative che alcune industrie stanno attuando, riducendo le quantità di prodotto ritirato;
le elevate temperature meteo hanno fatto maturare il prodotto in anticipo rispetto al previsto e hanno stravolto il calendario concordato con l'industria conserviera, causando una sovrapproduzione;
a fronte di questa situazione i produttori stanno subendo una ulteriore penalizzazione a causa del mancato rispetto degli accordi contrattuali, a suo tempo stipulati dalle associazioni dei produttori con l'industria di trasformazione;
quintali di pomodori sono lasciati marcire nei campi perché le industrie che trasformano il prodotto non stanno rispettando gli impegni pattuiti con gli agricoltori sia nelle quantità sia nei prezzi a quintale;
quasi la metà del raccolto è ormai da buttare e gli agricoltori rischiano il tracollo e il rallentamento delle operazioni di ritiro dei pomodori pesa drasticamente sul calo del prezzo già contrattato;
la questione ha creato innumerevoli problemi soprattutto riguardo al rischio di vedersi togliere la parte di aiuto «accoppiato» legato alle produzioni medie regionali;
a fine agosto 2010, nel corso di una riunione svolta presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali è emerso che senza il rispetto delle regole contrattuali il futuro dei produttori può essere solo quello di accettare le riduzioni imposte dall'industria che, forti anche della mancata prosecuzione dell'aiuto «accoppiato» per il prossimo anno, hanno messo in pratica comportamenti vessatori, imponendo prezzi molto al di sotto di quelli concordati (40 euro/tonnellate contro 70 euro /tonnellate);
fino al 2010, la normativa europea prevede l'erogazione di un sussidio alla produzione di pomodoro cosiddetto «accoppiató» ovvero che impone di fatto accordi tra produttori e industria di trasformazione, ma a partire dal 2011, ci sarà il passaggio all'aiuto «disaccoppiato» con l'erogazione di un contributo ad ettaro indipendentemente dal prodotto coltivato e dalla resa del terreno;
il comparto del pomodoro si trova infatti davanti a una sfida decisiva: nel 2010 si conclude la fase transitoria prevista dall'applicazione della nuova organizzazione comune di mercato (Ocm), e dal 2011 gli aiuti della Politica agricola comune per gli agricoltori saranno completamente disaccoppiati;
con questo cambiamento verranno meno anche altri elementi che fino ad ora hanno rappresentato un importante supporto, sia pure indiretto, per il buon funzionamento delle relazioni entro il comparto: il ruolo delle organizzazioni dei produttori (Op), le relazioni contrattuali tra queste e l'industria di trasformazione, le attività di supporto e controllo della pubblica amministrazione;
le cooperative aderenti a Fedagri-Confcooperative lamentano la «grave situazione» verificatasi al Sud e già oggetto di denunce esposte nei giorni scorsi da parte delle organizzazioni professionali agricole e dei produttori. «Prendendo a pretesto discutibili problemi qualitativi del prodotto, le industrie aderenti ad Anicav (l'Associazione degli industriali delle conserve alimentari vegetali) non rispettano i contratti sottoscritti pagando il pomodoro ai produttori agricoli, ancorché ritirato in quantità insufficienti, a prezzi notevolmente inferiori e addirittura concorrenziali con il pomodoro cinese, così come hanno sempre fatto quando il mondo agricolo è stato in difficoltà»;
a fronte di questa situazione anche il vicepresidente della Coldiretti ha precisato che alcuni industriali del Sud hanno minacciato di non ritirare il prodotto, se non a fronte di prezzi più bassi del contrattato, facendo leva sul fatto che il regime parzialmente accoppiato comporta l'obbligo, per il produttore, di consegnare una resa minima, per poter ottenere la parte accoppiata del premio;
sono stati anche evidenziati i problemi per il mancato rispetto delle rese minime previste per l'erogazione della parte accoppiata del premio (rese minime pari al 70 per cento della resa media storica di quella regione), in alcuni casi a causa di calamità naturali (precipitazioni o temperature troppo elevate), in altri a causa del mancato o rallentato ritiro da parte dell'industria;
il risultato – ha detto il vicepresidente Coldiretti – è una assurda situazione di un mercato a due velocità, dove gli industriali e le cooperative corrette, che pagano i prezzi pattuiti, devono sopportare la concorrenza sleale, non solo di chi trasforma il prodotto cinese in made in Italy, ma anche di chi pretende di produrre in Italia, ai prezzi che connotano l'industria cinese, per poi andare sullo scaffale con i prezzi italiani;
se si vuole mantenere una filiera efficiente è quindi necessario mettere in atto una seria programmazione della produzione di pomodoro da industria, una contrattazione sul prezzo partendo dai costi di produzione, decisa entro l'anno e non a campagna iniziata. È inoltre indispensabile definire regole di etichettatura che forniscano al consumatore le informazioni necessarie per poter scegliere consapevolmente cosa acquistare,
impegna il Governo:
ad intraprendere le opportune iniziative volte a contrastare la grave crisi del pomodoro da industria e a risolvere il problema delle rese minime per evitare che le imprese agricole, oltre ai danni derivanti dai comportamenti scorretti dell'industria, perdano anche la parte «accoppiata» del premio;
ad adottare misure a sostegno del redditi dei produttori e ad intervenire tempestivamente per definire le regole per la programmazione della campagna 2011 al fine di evitare ulteriori crisi del comparto pomodoro;
ad intraprendere le opportune iniziative volte a sostenere il vero made in Italy attraverso la creazione di una vera e propria filiera agricola tutta italiana, con l'obiettivo di combattere le inefficienze e le speculazioni, di assicurare acquisti convenienti alle famiglie e di sostenere il reddito degli agricoltori.
(7-00402) «Di Giuseppe, Rota».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministro per le pari opportunità, per sapere – premesso che:
il prefetto di Reggio Calabria, il giorno venerdì 1o ottobre 2010, ha presieduto una riunione in merito alla situazione degli immigrati presenti nella piana di Gioia Tauro, cui hanno preso parte i vertici provinciali delle forze di polizia, i componenti della commissione straordinaria del comune di Rosarno, i rappresentanti della provincia di Reggio Calabria, della direzione provinciale del lavoro di Reggio Calabria, dell'azienda sanitaria provinciale n. 5 nonché di associazioni operanti nel settore dell'agricoltura e del sociale. L'obiettivo dell'incontro era quello di monitorare la situazione territoriale in vista dell'inizio della stagione della raccolta degli agrumi che richiama ogni anno migliaia di immigrati, clandestini e non, ed esaminare soluzioni utili ad evitare momenti di tensione sociale come già accaduto nel comune di Rosarno nel dicembre 2008 e ancora più violentemente nel gennaio 2010 quando, dopo l'aggressione a colpi di arma da fuoco di alcuni lavoratori immigrati, circa seicento tra loro inscenarono manifestazioni di dura protesta per le strade del paese;
secondo i dati forniti nella suddetta riunione è emerso che, attualmente, sono presenti a Rosarno circa un centinaio di lavoratori stranieri stagionali, alloggiati in casolari dispersi nelle campagne, un altro centinaio circa sono ospitati in analoghe strutture di fortuna nei comuni limitrofi di Gioia Tauro, Laureana di Borrello, Rizziconi e San Ferdinando, Si è ipotizzato inoltre che, nei prossimi due mesi, potrebbero arrivare circa 2 mila immigrati in cerca di lavoro;
lo scorso anno erano presenti nella piana circa 2.500 lavoratori stagionali immigrati, sfruttati e sottopagati. Secondo quanto ricostruito dalla procura di Palmi, che ha seguito le indagini sui fatti del 7 gennaio 2010, i braccianti stranieri impiegati a Rosarno nella raccolta degli agrumi percepivano ventidue euro al giorno per lavorare dalle 10 alle 14 ore. I datori di lavoro pagavano 1 euro a cassetta per la raccolta dei mandarini e 50 centesimi per le arance. I caporali, a loro volta, incassavano la somma di 10 euro su ogni lavoratore e tre euro da ogni immigrato per accompagnarli nei luoghi di lavoro. Gli immigrati che si ribellavano a queste condizioni venivano minacciati di morte e spesso anche aggrediti fisicamente;
anche la condizione degli alloggi dei braccianti era disumana: secondo un rapporto di Medici senza frontiere, che ha operato nella zona, il 65 per cento degli immigrati stagionali vive in strutture abbandonate; il 55 per cento dorme per terra, il 64 per cento di essi non ha accesso all'acqua potabile, il 62 per cento non ha accesso ai servizi igienici, e nella più totale mancanza di igiene contraggono infezioni all'apparato respiratorio (13 per cento), che portano a gravi complicazioni polmonari, a malattie osteo-muscolari (22 per cento), a pesanti gastriti, ed in molti casi a scabbia e tubercolosi. Il 75 per cento di quei lavoratori non accede ai servizi sanitari di base; il 71 per cento non ha tessera sanitaria e non va, in ogni caso, a cercare l'assistenza per la paura di essere denunciati e perché l'assenza di ambulatori che applichino il codice STP in molte regioni impedisce loro di ricorrere ai servizi pubblici;
rispetto allo scorso anno, il problema dell'alloggio dei lavoratori non solo non risulta risolto ma sembra addirittura aggravato dal fatto che alcune delle fabbriche in disuso che i lavoratori hanno utilizzato gli scorsi anni come alloggi di fortuna sono oggi inagibili: distrutta dalle ruspe la «Rognetta», sgomberata un anno fa la «Cartiera», chiusa da mesi l’«Opera Sila»;
l'agricoltura, a Rosarno ed in tutto il Sud d'Italia, si regge sul lavoro stagionale di lavoratori extracomunitari, spesso irregolari. Secondo i dati del primo rapporto Inea su «Gli immigrati in agricoltura» gli irregolari arriverebbero al 95 per cento in Calabria, un dato che la Cgil quantifica in 6000 unità, la maggior parte provenienti dal Maghreb e dall'Africa nera. Dietro questa anomalia, come evidenziato dalla procura di Palmi, ci sono spesso organizzazioni criminali. La politica attuata dal Governo non sembra però aver considerato questo dato reale di partenza e, proponendo azioni essenzialmente repressive sintetizzate dai respingimenti del ministro Maroni e dallo slogan «tolleranza zero» del ministro Sacconi, non sembra essere riuscita a scalfire le radici di un problema cogente che rischia di esplodere nuovamente;
i controlli repressivi, se non accompagnati da politiche costruttive di integrazione, rischiano infatti di fare più danni che benefici in quanto possono alimentare paure, sospetti e sentimenti di xenofobia nei cittadini della Piana. Senza voler entrare nel merito delle indagini e delle accuse, va considerato il risvolto sociale di alcune azioni di polizia che hanno visto coinvolti cittadini rosarnesi come, ad esempio, il 28 settembre 2010 quando è stato denunciato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina il proprietario di un garage allestito a dormitorio. Gli stessi arresti dei produttori per associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della manodopera clandestina e per truffe ai danni degli enti previdenziali, operati nell'aprile 2010 nell'ambito delle indagini sul caporalato, per quanto lodevoli in sé, hanno comunque generato tensione sociale nella piccola comunità di Rosarno, dove tutti conoscono tutti; la conseguenza è che molti produttori oggi hanno paura dei controlli e degli arresti e non assumeranno nessuno che non sia in regola ma i braccianti arriveranno lo stesso con il conseguente stazionamento sul territorio di migliaia di giovani inattivi e affamati, ancora più deboli verso situazioni di sfruttamento. La situazione potrebbe anche degenerare in una pericolosa guerra tra poveri a causa di una sicura preferenza dei proprietari ad assumere come braccianti cittadini comunitari provenienti dai Paesi dell'Est;
il Ministro dell'interno Maroni il 13 gennaio 2010, intervenendo alla Camera nel corso dell'informativa urgente sui fatti del 7 gennaio 2010 ha affermato che le politiche di integrazione rimangono di competenza delle autorità locali e della regione Calabria ed, in un certo senso, degli stessi produttori agricoli che sono obbligati dalla legge Bossi-Fini ad assicurare un alloggio idoneo ai propri lavoratori stagionali. È chiaro però che gli agricoltori e le autorità locali, gravate dalla crisi e dal taglio di risorse, non possono essere lasciate soli in queste fondamentali battaglie. Soprattutto i comuni interessati, non sono in grado di sobbarcarsi spese straordinarie per fronteggiare l'eventuale emergenza umanitaria;
il territorio non sembra in definitiva pronto all'emergenza che potrebbe scattare tra circa 20 giorni e allo stato risultano numerosi progetti bloccati o ancora in fase di avvio e fondi spesi male. In particolare risulta fermo il progetto avviato nel 2007 per trasformare l'ex «Cartiera» in un centro di aggregazione sociale, risultano inutilizzati i box doccia realizzati con uno stanziamento di 200 mila euro all'interno dell'ex fabbrica «Opera Sila». L'osservatorio migranti Africalabria, che lavora a stretto contatto con la realtà degli immigrati, ha denunciato inoltre l'inutilità di un progetto in via di approvazione all'interno della fabbrica Beton Medma, confiscata al clan dei Bellocco. Il progetto finanziato con 2 milioni di euro di stanziamento del Ministero dell'interno e dell'Unione europea sul PON sicurezza, prevede la costruzione di un centro di formazione per gli immigrati, lasciando irrisolto il problema più immediato degli alloggi. Il centro che non sarà comunque completato prima di un anno sarà diviso in tre grandi spazi: ci sarà la sezione per l'intrattenimento e il supporto scolastico dei bambini, poco utile perché i braccianti non vengono con le famiglie e si fermano solo d'inverno, l'area degli sportelli informativi che duplica un servizio già coperto dagli info point del progetto Assi della provincia ed, infine, l'area per la formazione professionale con aule e laboratori, con cui si perde di vista che lo sfruttamento dei braccianti non deriva da un problema di formazione ma da un sistema economico prosciugato dalla ’ndrangheta, dominato da sciacalli che si sono arricchiti con le truffe, drogato dai falsi braccianti, e, in ultima analisi da un sistema agricolo sempre più ostaggio della criminalità organizzata, come denunciato nel terzo rapporto della Cia su Criminalità in agricoltura e dalla Confcommercio, che stima in 3,5 miliardi di euro l'impatto negativo del business criminale sulle imprese del Sud –:
in considerazione di quanto sopra esposto e della estrema complessità di problemi che non possono essere demandati completamente alle autorità locali, quanto sia stato fatto in questo anno dal Governo per rimuovere le cause che hanno portato ai fatti di Rosarno del 7 gennaio 2010 e come si intenda procedere per affrontare la nuova emergenza umanitaria che sia avvia ad aprirsi con la stagione della raccolta, per garantire ai lavoratori stagionali dimore in luoghi dalle condizioni igienico-sanitarie adeguate e per evitare che pericolose tensioni sociali possano degenerare nuovamente in episodi di violenza.
(2-00846) «Messina, Donadi, Evangelisti, Borghesi».
Interrogazione a risposta in Commissione:
CODURELLI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
il 28 settembre 2010 è apparsa sui giornali locali della provincia di Lecco la notizia, corredata da diverse fotografie, di alcune auto blu che, lungo la strada da Merate verso Milano, con guida spericolata superavano una colonna di vetture, ferma a causa del traffico;
pur di superare la colonna di vetture, le auto blu non hanno esitato a farsi largo gettandosi sull'altro lato della carreggiata dove provenivano, in senso opposto altre automobili, ignorando completamente la doppia riga continua, le curve e non preoccupandosi minimamente dell'incolumità di coloro che si trovavano sulla strada in quel momento –:
se sia noto chi fosse la personalità trasportata in quel momento e quale reale urgenza potesse giustificare una situazione di pericolo e per gli automobilisti e per la scorta stessa;
se non si reputi doveroso prendere provvedimenti contro le palesi e numerose violazioni delle regole del codice della strada da parte di questi conducenti che mettono a rischio la sicurezza del cittadino. (5-03538)
Interrogazioni a risposta scritta:
PIONATI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
i comuni vesuviani stanno vivendo in questi ultimi mesi una nuova emergenza rifiuti;
questa situazione sta determinando un grave disagio per i comuni interessati (Boscoreale, Terzigno, Boscotrecase, Trecase e Pompei) ed i loro 120.000 abitanti, contrapponendo pericolosamente forze di polizia e cittadinanza;
le forme di protesta, perdurando l'attuale condizione di crisi, assumeranno sicuramente, col passare dei giorni, toni sempre più accesi;
l'apertura di una seconda cava-discarica (Cava Vitello) in località Pozzelle (territorio ente parco nazionale del Vesuvio), aggraverebbe lo status quo, comportando:
a) gravi problemi sanitari da esalazioni tossiche e nauseabonde, quali riniti, allergie e patologie asmatiche;
b) inquinamento idrico, atmosferico e del suolo;
c) danni all'agricoltura (in particolar modo ai vigneti che sono noti, tra l'altro, per la coltivazione di uve pregiate destinate alla produzione di vini a marchio DOC, conosciuti in ambito nazionale e internazionale, come il Lacryma Christi);
d) svalutazione degli immobili e dei cespiti;
e) danni all'immagine del territorio con conseguenti ripercussioni negative sul turismo verso le mete di interesse artistico e storico (Pompei, Ercolano, Costiera Sorrentina e lo stesso Vesuvio);
f) ricadute negative sulle attività di ristorazione e alberghiere, fiore all'occhiello della provincia di Napoli;
g) danni al settore manufatturiero, con particolare attenzione alla pietra lavica dalla quale Boscoreale prende la denominazione di comune della Pietra Lavica, annoverando i maggiori operatori nel settore a livello internazionale;
h) ulteriori disagi nei territori limitrofi alla discarica causati dalla presenza massiccia di mezzi (camion e autocompattatori), causa di inquinamento acustico e ingorghi stradali;
i) violazione della legge istitutiva dell'ente parco Vesuvio –:
se non intendano soprassedere a tale decisione che sicuramente, per i motivi elencati, resterebbe di particolare gravità, e di identificare – se assolutamente necessario – altro sito, pur nel rispetto del criterio di provincializzazione del ciclo dei rifiuti che appare, al momento, l'unico metodo incontestabile per affrontare l'emergenza. (4-08924)
REGUZZONI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
l'Italia ha, da tempo, disciplinato l'istituto delle adozioni internazionali, dapprima nel 1983 con la legge n. 184, e poi, più compiutamente, attraverso la ratifica della convenzione internazionale de L'Aja sottoscritta il 29 maggio 1993 su «L'adozione dei minori e la cooperazione internazionale», avvenuta con la legge n. 476 del 1998;
com’è noto la Convenzione de L'Aja è lo strumentò utile e necessario per armonizzare le legislazioni degli Stati aderenti, affinché si pongano regole comuni relativamente ai presupposti di adottabilità dei bambini che versino in stato di abbandono, ai requisiti che devono essere soddisfatti dalle famiglie adottanti e infine sotto il profilo della predisposizione di procedure, uniformi, corrette e trasparenti, effettivamente svolte al fine di realizzare il superiore interesse del bambino;
a tal fine la convenzione prevede un'autorità centrale, che in Italia è rappresentata dalla Commissione per le adozioni internazionali (CAI), la quale è competente per verificare la regolarità di ogni procedura di adozione avviata dalle competenti autorità di un Paese straniero; in aggiunta a questa funzione di controllo, la Commissione per le adozioni internazionali ha anche funzioni di raccordo tra le istituzioni coinvolte nel percorso di adozione, nonché un ruolo di verifica e di vigilanza sugli enti che essa stessa ha autorizzato quali intermediari tra la coppia ed il paese straniero;
i requisiti per l'adozione internazionale sono gli stessi previsti per l'adozione nazionale, e sono stabiliti dall'articolo 6 della legge n. 184 del 1983 (come modificata dalla legge n. 149 del 2001) che disciplina l'adozione;
riguardo all'età, secondo la legge:
la differenza minima tra adottante e adottato è di 18 anni;
la differenza massima tra adottanti ed adottato è di 45 anni per uno dei coniugi, di 55 per l'altro. Tale limite può essere derogato se i coniugi adottano due o più fratelli, ed ancora se hanno un figlio minorenne naturale o adottivo;
il Regno della Cambogia ha aderito il 13 luglio 1998 alla convenzione de L'Aja, che è entrata in vigore in quello Stato il 1o novembre 1998, e l'Italia intrattiene regolari rapporti con detto Stato ai fini di consentire le adozioni internazionali;
alcune segnalazioni provenienti da famiglie che intendono procedere ad adozioni internazionali evidenziano farraginosità e lentezze nell'attività della Commissione per le adozioni internazionali (CAI);
si consideri in particolare il caso della famiglia dei coniugi S. e F., che hanno adottato nel novembre 2007, previo esperimento di tutte le procedure previste, un bambino cambogiano dell'età di 4 anni e mezzo;
poco dopo l'adozione sono stati informati dell'esistenza di una sorella del bambino adottato, di cui hanno avuto effettiva conferma dall'ente autorizzato prescelto (nel caso di specie C.I.F.A. Onlus – Centro internazionale per infanzia e la famiglia), nel mese di maggio del 2008;
non sussistendo l'istituto giuridico del ricongiungimento familiare verso la Cambogia, la pratica finalizzata a ricongiungere i due fratelli ha ripercorso tutte le tappe del processo di adozione. Al momento del deposito della richiesta presso il tribunale per i minorenni di Milano è stato chiesto se fosse possibile, per accelerare i tempi, l'utilizzo del decreto di idoneità della prima adozione (che già prevedeva la possibilità di adozione di uno o più minori) e per questo fu consigliato dagli uffici del medesimo tribunale, di inviare copia dei documenti alla Commissione adozioni internazionali, informata, sin dal settembre 2008, del progetto dei coniugi in questione (ossia l'adozione della sorella del figlio adottivo);
i coniugi citati hanno ottenuto il decreto di idoneità dal tribunale per i minorenni di Milano per un'adozione speciale nominativa, in data 18 marzo 2009, superando con questo i problemi di primogenitura del primo bambino adottato (non è tipico, nel mondo delle adozioni che si adotti prima il fratello più piccolo e poi la sorella più grande, e a volte l'autorità giudiziaria eccepisce il tema della primogenitura del primo bimbo adottato);
a metà giugno 2009 i coniugi hanno sottoscritto l'incarico all'Ente C.I.F.A. Onlus – Centro internazionale per l'infanzia e la famiglia ed il 21 luglio 2009 i documenti sono stati depositati presso l'Ente (così detto dossier) ai fini dell'inoltro allo Stato cambogiano;
la Commissione per le adozioni internazionali (CAI), nel contempo, però, non consentiva all'Ente prescelto l'inoltro dei documenti allo Stato della Cambogia, e purtroppo, poco dopo, a fine novembre 2009 le autorità cambogiane annunciavano il blocco totale delle pratiche di adozione, anche quelle già depositate, in attesa del perfezionamento della nuova legge che poi è stata promulgata a dicembre 2009;
solo grazie ad un intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro degli affari esteri nel gennaio 2010, le autorità cambogiane hanno emesso un provvedimento che consentiva alle pratiche già incardinate e depositate, presso lo Stato del Regno della Cambogia, di essere evase in base alla legislazione precedente;
i coniugi in questione poiché non è stato loro consentito, per il tramite dell'ente prescelto, l'invio della documentazione (così detto dossier) sono rimasti esclusi dall'efficacia di tale provvedimento;
il 12 maggio 2010 gli stessi coniugi hanno incontrato, presso gli uffici della Commissione per le adozioni internazionali (CAI) il vicepresidente della Commissione e la responsabile della segreteria tecnica. I rappresentanti di detta Commissione avrebbero comunicato ai coniugi la loro indisponibilità ad effettuare un deposito dei documenti stante una situazione di «blocco», dovuta all'entrata in vigore della nuova legge e all'attesa dell'emissione da parte degli organi competenti dei decreti attuativi, prospettando, per converso, un progetto alternativo per la permanenza temporanea della bambina in Italia, ad esempio per motivi di studio, che tuttavia ad oggi non ha avuto alcun seguito;
l'azione dispiegata nel caso di specie dalla Commissione per le adozioni internazionali (CAI) appare all'interrogante carente ed inadeguata a garantire un'accettabile tempestività nelle procedure di adozione –:
quali urgenti iniziative il Presidente del Consiglio dei ministri intenda assumere per consentire alle pratiche di adozione verso lo Stato del Regno della Cambogia, tra cui quella in premessa, una rapida conclusione in modo da corrispondere all'affermazione del superiore interesse del fanciullo (proclamato nella Carta delle Nazioni Unite e fatto proprio dalla convenzione firmata a New York il 20 novembre 1989), a vedersi, nel caso di specie, ricongiunto con la propria sorella nella nuova famiglia adottiva. (4-08925)
LO MONTE, COMMERCIO, LATTERI, LOMBARDO e MISITI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
il 30 agosto 2008 è stato firmato a Bengasi un trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia (entrato in vigore il 19 febbraio 2009 a seguito della legge di ratifica e esecuzione del 6 febbraio 2009, n. 7), a coronamento degli sforzi compiuti negli ultimi anni tra i due Paesi, per trovare una soluzione soddisfacente ai passati contenziosi storici legati ai danni di guerra del colonialismo;
il capitolo più importante del suddetto accordo di cooperazione, che definisce un nuovo e bilanciato partenariato politico ed economico tra i due Paesi, è quello rappresentato dal ruolo determinante che l'Italia avrà nella realizzazione di progetti infrastrutturali di base che saranno affidati ad imprese italiane attraverso fondi che verranno gestiti direttamente dal nostro Paese;
la Libia rappresenta da tempo un sito importante per l'Italia, che lì ha fatto ingenti investimenti economici per le forniture di petrolio e gas e per il controllo dei flussi migratori dall'Africa, ed, in ragione anche di questi interessi, l'Italia si è impegnata, con questo Accordo, a realizzare progetti infrastrutturali di base che dovranno essere concordati fra le parti nei limiti di una spesa annua di 250 milioni di dollari per venti anni, mentre la Libia si è impegnata ad abrogare tutti i provvedimenti e le norme che impongono vincoli o limiti alle imprese italiane operanti nel Paese;
la preferenza per le imprese italiane, che non è incompatibile con le regole comunitarie, è già stata attuata anche in altri settori dove sta dando i suoi frutti. L'Italia oggi risulta essere il terzo Paese investitore in Libia, tra quelli europei, ed il sesto a livello mondiale con una presenza di oltre 100 imprese presenti stabilmente nel Paese, prevalentemente collegate al settore petrolifero (come ENI, Snam Progetti, Edison, Tecnimont, Saipem), alle infrastrutture, ai comparti della meccanica, dei prodotti e della tecnologia per le costruzioni (Impregilo e Bonatti), dell'ingegneria ed impiantistica (Techint e Technip), dei trasporti (Iveco e Calabrese) o delle telecomunicazioni (Sirti e Telecom Italia), solo per citarne alcune;
risulta agli interroganti che, nell'ambito dei suddetti accordi Italia-Libia per la realizzazione della superstrada Rass Ajdir-Imsaad (cosiddetta «autostrada dell'amicizia» che attraverserà per circa 1.700 chilometri la Libia dal confine con l'Egitto a quello con la Tunisia), il Governo italiano ha recentemente promosso la formazione di tre consorzi che comprendono 20 imprese italiane, ma che nessuna, tra queste, è meridionale;
l'avvio delle procedure di aggiudicazione delle commesse per la realizzazione dell'opera è previsto entro il 30 ottobre 2010;
sono numerose le imprese meridionali che si vanno affermando nel settore dell'edilizia, in quello dell'informatica, nella produzione dei pannelli fotovoltaici come nell'impiantistica, nelle infrastrutture, nella formazione professionale e universitaria, nell'assistenza sanitaria, e che sarebbero pronte a consorziarsi tra loro o con le grandi imprese nazionali per la realizzazione delle suddette infrastrutture, imprese che non meritano di trovarsi escluse dall'albo che il Governo italiano potrà aggiornare e segnalare alle autorità libiche per l'affidamento delle commesse –:
se il Governo non ritenga di dover assicurare alle imprese meridionali pari opportunità di accesso, anche attraverso la segnalazione, per quanto di competenza, alle autorità libiche, sostenendone la partecipazione alla realizzazione delle grandi opere infrastrutturali previste in Libia nell'ambito degli accordi di partenariato di Bengasi del 2008. (4-08927)
SIRAGUSA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
l'emergenza rifiuti in Sicilia replica da anni sempre lo stesso copione: il sistema di raccolta collassa, si creano nuovi lavoratori precari, si distribuiscono consulenze e favori e quando le città sono invase dall'immondizia si lancia l'allarme sociale. Allora si nominano commissari straordinari a cui si dà carta bianca per intervenire in deroga alle norme vigenti;
la vicenda di Amia è, in questo senso, emblematica;
l'interrogante ha ricostruito e denunciato in diversi atti di sindacato ispettivo la situazione dell'Azienda municipalizzata di igiene ambientale che qui si richiamano: 3-00875; 5-02533; 5-02491; 5-01546; 5-01479; 5-00867; 5-00472;
un articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 22 luglio 2010 denuncia come di fronte al dissesto economico-finanziario di Amia, che chiama direttamente in causa il comune di Palermo, socio unico dell'azienda, la relazione dei commissari sulle cause dell'insolvenza di Amia sorvoli su tali responsabilità e attribuisca le cause del dissesto ai crediti che la stessa vanta nei confronti dei comuni limitrofi, utilizzatori della discarica di Bellolampo;
tale relazione non farebbe cenno alcuno, ad esempio, ai contratti stipulati con la Pea, collegati all'entrata in funzione dell'inceneritore di Bellolampo, valutati in bilancio 44 milioni di euro pur non avendo alcun valore dopo l'annullamento delle gare, né si farebbe cenno alle infiltrazioni mafiose: il lavaggio degli autocompattatori dell'Amia sarebbe avvenuto in una società del clan Lo Piccolo;
dall'articolo si evince altresì che il comune di Palermo ha ripatrimonializzato l'azienda conferendole due immobili (almeno uno dei quali, in realtà, non è mai passato nella proprietà di Amia) e il terreno di Bellolampo originariamente destinato all'inceneritore e sperando nell'arrivo di 59 milioni di euro di fondi Fas per ricostruirne il patrimonio;
tale operazione, di fatto, lascia insoluto il problema di liquidità dell'azienda. Senza contare i debiti: 2.500 creditori iscritti allo stato passivo di Amia;
è difficile immaginare quale sarà il futuro di un'azienda che si trova in queste condizioni;
una delle ipotesi fatte da Il Sole 24 Ore è che al termine dei due anni di commissariamento Amia venga privatizzata e nell'articolo si fa perfino riferimento a chi potrebbe essere interessato ad entrare nell'affare dell'acquisto dell'azienda, una volta sgravata dai debiti;
intanto si legge, in un articolo apparso su il Giornale di Sicilia del 3 ottobre 2010, che la quinta vasca della discarica di Bellolampo che ospita i rifiuti di Palermo è satura per poco più della metà della capienza complessiva e si stima che a fine ottobre sarà colma;
nello stesso articolo si legge che è partito l’iter per la realizzazione della sella di collegamento tra la quarta e la quinta vasca: l'unica valvola di sfogo possibile per raccogliere la spazzatura, del capoluogo siciliano e di alcuni comuni limitrofi, a breve scadenza;
in questi giorni l'ufficio del commissario per l'emergenza rifiuti dovrà affidare l'appalto per la realizzazione della sella di collegamento con una spesa prevista 2 milioni di euro e tempi di realizzazione di 45 giorni: una vera e propria corsa contro il tempo;
tale operazione consentirà alla discarica una autonomia di 10-12 mesi dopo di che sarà necessaria un'altra vasca – la sesta – con un anno di tempo per progettarla e realizzarla –:
se il Governo sia al corrente dei contenuti della relazione dei commissari sullo stato di insolvenza di Amia;
se risponda altresì al vero, che in tale relazione non si faccia cenno alcuno alle spese ad avviso dell'interrogante molto discutibili degli amministratori dell'azienda di cui si fa conto negli atti di sindacato ispettivo di cui in premessa e presentati dall'interrogante;
se risulti verosimile, allo stato dei fatti, l'ipotesi di privatizzazione dell'azienda;
se il Governo possa dare conferma delle stime temporali ipotizzate per la realizzazione della sella e della sesta vasca e se le ritenga sufficienti ad affrontare il problema dello smaltimento, anche alla luce del nuovo piano rifiuti in Sicilia. (4-08939)
AFFARI ESTERI
Interrogazione a risposta in Commissione:
DI BIAGIO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
la priorità della rete consolare italiana nel mondo è inderogabilmente quella di offrire supporto e sostegno ai connazionali residenti o operativi in loco, attraverso servizi ed assistenza adeguata;
malgrado le buone prassi evidenziate dal Ministero sussistono molteplici criticità in merito all'erogazione dei servizi primari nei confronti dei connazionali residenti ed operativi all'estero, non sussistendo – in molteplici casi – un'adeguata strutturazione degli uffici in grado di far fronte alle istanze degli utenti sul territorio;
stando alle evidenze di molti connazionali residenti all'estero, comunicare con le cancellerie consolari, riferimento per gli iscritti all'AIRE segnatamente per le questioni concernenti il rinnovo dei documenti, è una prassi complessa, stressante e spesso senza adeguati riscontri;
entrare in contatto con un impiegato dei suindicati uffici è un'operazione complessa che necessita – in alcuni casi – di previa prenotazione. Prenotazione che spesso non può accadere via telefono poiché ai numeri indicati sul sito della Farnesina spesso non risponde nessun operatore ma si affida la comunicazione ad una voce registrata che ripete sempre le stesse informazioni. Esistono poi numeri di telefono alternativi a pagamento;
stando ai dati a disposizione dell'interrogante, le comunicazioni tramite posta elettronica sono strumenti poco fattivi non essendo garantita una repentina risposta all'interlocutore che necessita di informazioni o riscontri ad una determinata richiesta;
negli ultimi mesi l'amministrazione degli esteri ha avviato progetti di digitalizzazione degli archivi e di modernizzazione degli strumenti informativi ad amministrativi miranti alla ottimizzazione dell'operatività delle strutture consolari, purtroppo senza significativi risultati sotto il profilo operativo;
dal portale del Ministero degli affari esteri si legge che in virtù della sua forte proiezione esterna e della costante interazione con diversificate realtà pubbliche e private in Italia ed all'estero, il Ministero degli affari esteri intende caratterizzarsi sempre più come amministrazione aperta al cambiamento ed all'innovazione –:
se si sia a conoscenza degli aspetti evidenziati in premessa;
quali iniziative si intendano predisporre al fine di consentire nella maniera più semplice e meno dispendiosa per l'utente – senza necessariamente auspicare farraginosi progetti di digitalizzazione e di informatizzazione delle strutture consolari usufruibili sul lunghissimo periodo – l'opportuna quanto doverosa erogazione di servizi e di prestazioni amministrative basilari agli italiani residenti oltre confine. (5-03540)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazione a risposta scritta:
GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
nel nostro Paese sono presenti numerosi cementifici che possono causare notevoli problemi di inquinamento, come quello insediato nel territorio del comune di Castel Focognano, in provincia di Arezzo;
alcuni di questi cementifici sono inseriti nella categoria «Coincenerimento-Cementificio» e producono ingenti quantità di sostanze nocive quali anidride carbonica, ossidi di azoto e monossido di carbonio; sono altresì da considerare gli ossidi di zolfo e le emissioni dei contaminanti non principali quali metalli pesanti (arsenico, mercurio, cadmio, zinco, cromo, nichel rame, piombo) I.P.A. (idrocarburi policiclici aromatici) PCDD/PCDF, cloro e fluoro inorganici, benzene;
tutte queste sostanze sono connesse alla produzione di clinker, come risulta dal Manuale ANPA delle emissioni, dall'inventario EPER dell'Unione europea (EPER, Emission Inventory Notebook, p. B3311-8, 2000) dal documento dell’European IPPC Bureau («References Document on BAT in the cement and lime manufacturing industries» marzo 2000) e dal documento ANPA sulle LCA («I-LCA, Banca dati italiana a supporto della valutazione del ciclo di vita» – versione 2 ottobre 2000): tra l'altro la produzione di cemento è definita dal decreto ministeriale del 5 settembre 1994 come lavorazione insalubre di prima classe ed è un'attività altamente energivora, essendo necessarie circa 970 Kcal. per produrre un kg. di clinker;
i cittadini che risiedono nelle zone interessate manifestano periodicamente preoccupazione per la loro salute –:
quali azioni il Ministro intenda intraprendere affinché siano salvaguardati gli interessi delle popolazioni che risiedono nelle zone interessate e l'ambiente circostante;
quali organi siano deputati al controllo delle emissioni inquinanti e se questi controlli siano effettivamente svolti periodicamente, nel rispetto delle leggi vigenti. (4-08917)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI
Interrogazione a risposta in Commissione:
PILI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
il soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici della Sardegna ingegner Gabriele Tola, il 22 luglio 2009, Prot. 7157/Ca, ha dato «comunicazione dell'inizio del procedimento di riconoscimento di notevole interesse storico artistico» ex articolo 10, comma 1, comma 3 lett. a), comma 4, lett. h), articolo 13, comma l e articolo 14, c. 1 decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni – del «complesso minerario industriale di Tuvixeddu», perché «si rende necessario esplicitare la dichiarazione di interesse culturale del complesso di cui all'oggetto ... avviando d'ufficio il procedimento di verifica dell'interesse culturale per la porzione di proprietà pubblica» ... e del «particolare interesse storico-artistico ... per la restante parte di proprietà privata»;
in data 8 luglio 2010 il direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna, dottoressa M. Assunta Lorrai, ha firmato il decreto con il quale viene apposto il vincolo all'immobile definito «complesso minerario industriale di Tuvixeddu» sito nel comune di Cagliari;
l'area oggetto della proposta di vincolo è denominata «Colli di San Avendrace» («Colli di Tuvixeddu e Tuvumannu»). Un compendio collinare della città di Cagliari, di circa 50 ettari di superficie, dove venivano coltivate insignificanti cave, causa di una rilevante aggressione e degrado del paesaggio urbano, per l'estrazione del tufo per l'edilizia e dove fino agli anni ’80 del secolo scorso era attiva una modesta e invasiva fabbrica di calce, a significare che si trattava di una zona ritenuta marginale e sulla quale, sin dall'istituzione della Soprintendenza ai giorni nostri, non si era mai ritenuto di dover intervenire proprio per l'evidentissima insignificanza del tipo di intervento minerario che aveva degradato oltre misura l'intero comparto;
considerato lo stato dei luoghi, secondo l'interrogante appare evidente, anche ad un profano, che gli interventi di tutela posti in essere dalla Soprintendenza mai avrebbero potuto prendere in considerazione la possibile apposizione di un vincolo di natura mineraria che qualsiasi esperto della materia avrebbe ritenuto improponibile sia sul piano tecnico che storico culturale un simile vincolo di tutela;
è evidente da tutti i verbali dei sopralluoghi richiamati negli atti adottati negli ultimi vent'anni dagli organismi preposti che mai nessuno aveva ipotizzato e proposto l'apposizione di un vincolo di natura mineraria sul colle di Tuvixeddu;
l'atto con il quale viene apposto il vincolo minerario, ad avviso dell'interrogante, costituisce, infatti, una vera e propria sconfessione per tutti i tecnici e per lo stesso Ministero per i beni e le attività culturali, che in almeno due decenni di storia amministrativa e di tutela non si sarebbero mai accorti dell'esistenza del valore minerario di quell'area;
sul piano del diritto e delle soggettive responsabilità emerge, dunque, l'esigenza di comprendere come sia stato possibile ignorare tale «immenso» valore minerario sul quale viene ora apposto un vincolo che si dice teso a salvaguardare pezzi rari di un complesso minerario intriso di storia e cultura;
in realtà, chiunque, con un minimo di buon senso, decidesse di recarsi sul posto, così come hanno fatto negli ultimi vent'anni insigni studiosi, mai riuscirebbe ad individuare valenze di archeologia mineraria e tantomeno quello che pomposamente viene definito addirittura «complesso minerario di Tuvixeddu»;
l'atto di apposizione del vincolo pone l'esigenza che il Ministro per i beni e le attività culturali si faccia carico di individuare eventuali responsabilità in capo all'indistinta struttura del Ministero o a precise figure dirigenziali, relativamente all'omissione storica del cosiddetto bene minerario; a detta dell'interrogante si è dinnanzi ad un atto illogico, irrazionale, che volontaria mente o involontariamente persegue l'obiettivo di pregiudicare l'attuazione degli interventi di valorizzazione dell'intera area con il potenziale effetto di spostare l'interesse immobiliare verso altre aree urbane e non della città;
le numerose sentenze, che per sintesi non si enunciano, hanno reiteratamente accertato che i tentativi posti in essere dall'amministrazione regionale precedente (2004 – 2009) di bloccare il progetto di riqualificazione di Tuvixeddu – Tuvumannu fossero in realtà atti riconducibili all'esercizio di un «potere deviato»;
tali atti della regione Sardegna, riconducibili secondo l'interrogante in maniera inequivocabile al tentativo di bloccare la riqualificazione di quell'area, hanno coinciso con reiterate azioni poste in essere dal precedente direttore regionale dottor Garzillo, il quale in accordo e a sostegno dell'amministrazione regionale precedente, ha posto in essere innumerevoli azioni tese di fatto a rimettere in discussione l'operato dei suoi predecessori e della stessa Soprintendenza archeologica che ha sempre, e puntualmente, sconfessato le affermazioni del direttore regionale in merito all'esigenza di estendere il vincolo su quell'area;
è agli atti di questa vicenda quella che appare una pervicace disposizione messa in atto contro il piano di riqualificazione urbana e la valorizzazione del parco archeologico di Tuvixeddu;
l'atteggiamento dello Stato, e in particolar modo della direzione regionale, sia con la direzione Garzillo sia con quella successiva che ne ha avallato e confermato l'operato, ha posto in essere, ad avviso dell'interrogante, delle oggettive responsabilità a carico dell'amministrazione statale che, anche alla luce dell'avviato arbitrato per definire i danni causati alle imprese appaltataci delle opere pubbliche e quelle sottoscrittrici dell'accordo di programma su Tuvumannu-Tuvixeddu, rischia di provocare un grave danno erariale allo Stato;
tale atteggiamento a giudizio dell'interrogante ostruzionistico può essere sintetizzato con la seguente cronologia autorizzativa, vincolistica e le sentenze conseguenti al tentativo di bloccare il progetto parco archeologico urbano Tuvixeddu:
il 20 ottobre 1998 Prot. 4904/1, il Ministero per i beni culturali ed ambientali – soprintendenza archeologica di Cagliari – ha espresso il proprio parere favorevole alla «linea di indirizzo dell'Accordo di Programma» per il Progetto di riqualificazione urbana ed ambientale dei colli di S. Avendrace;
con deliberazione del 20 febbraio 2003 la giunta comunale di Cagliari ha approvato il «progetto esecutivo delle opere di urbanizzazione primaria inerente al progetto di Riqualificazione urbana ed ambientale dei Colli di S. Avendrace – PIA – CA17 sistema colli, relativo alle aree di Tuvixeddu-Tuvumannu in Cagliari, composta da n. 167 elaborati», dando atto che sul progetto hanno espresso parere favorevole tutte le competenti divisioni del comune, la commissione edilizia comunale, la soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici (con atto 27 maggio 2002), la soprintendenza per i beni archeologici (con atto 11 giugno 2002), l'ufficio tutela del paesaggio della regione (con atto 21 maggio 2002);
con la determinazione 11 gennaio 2007, n. 4 – oggetto «provvedimento cautelare di sospensione dei lavori in corso nel Colle di Tuvixeddu-Tuvumannu» – il Direttore del servizio tutela del paesaggio di Cagliari (in seguito a direttiva 11 gennaio 2007 n. 19/Gab/XIV.12.2 impartitagli dall'assessore regionale ad interim della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport) ha «inibito» e «sospeso» tutti i lavori relativi ad opere pubbliche e private in corso di realizzazione nelle zone del Colle di Tuvixeddu-Tuvumannu;
in seguito a «verificazione tramite sopralluogo», disposta con ordinanza collegiale 30 luglio 2007 n. 102, ed espletata dal Collegio il 20 settembre 2007, con sentenza 8 febbraio 2008 n. 127, la Seconda Sezione del Tribunale amministrativo regionale della Sardegna ha annullato la deliberazione della giunta regionale 12 dicembre 2006 n. 51/12 istitutiva della Commissione regionale per il paesaggio, la proposta di vincolo della commissione del 21 febbraio 2007, la deliberazione della giunta regionale 22 agosto 2007 n. 31/12 di approvazione della proposta della commissione regionale per il paesaggio e tutti gli atti del procedimento;
il Consiglio di Stato non ha concesso la richiesta misura cautelare e, con sentenza 4 agosto 2008 n. 3894, ha respinto l'appello della regione, confermando integralmente la sentenza del TAR ed integrandola con ulteriori motivazioni;
con ordinanza 18 settembre 2008 n. 366 la sezione seconda del TAR Sardegna ha accolto la domanda incidentale cautelare. L'ordinanza n. 366/2008 è stata poi riformata dalla sezione sesta del Consiglio di Stato, con ordinanza 11 novembre 2008 n. 6026, perché «ferme le conclusioni cui la Sezione è pervenuta con sentenza n. 3894/2008» «il provvedimento amministrativo impugnato in primo grado ... è destinato a perdere irreversibilmente effetti alla data del 4 dicembre 2008» e, «per espressa previsione normativa, il potere esercitato dall'Amministrazione regionale non potrà essere reiterato»;
prima della pubblicazione delle due sentenze n. 541-542/2009, con decreto 15 aprile 2009 n. 27 il Soprintendente ingegner Gabriele Tola ha sottoposto a vincolo «culturale-storico-artistico, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, e articolo 10, comma 3, lettera a) decreto legislativo n. 42 del 2004» il «Complesso delle pertinenze della Villa Mulas già Massa», compresa nell'areale di Tuvixeddu;
dagli atti adottati dal 2007 dalla regione Sardegna e avallati con atti e interventi in giudizio della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna si evince come quell'area sia stata reiteratamente dichiarata «esente dal diritto», considerato che l'altalenarsi di provvedimenti tesi a pregiudicare in ogni modo l'intervento di riqualificazione appare all'interrogante, palesemente ostruzionistico e manifestamente pretestuoso;
il nuovo vincolo minerario apposto dalla Direzione regionale è l'ennesimo di una lunga serie di pretestuosi tentativi di impedire la realizzazione dell'intervento di riqualificazione in quell'area strategica e degradata di Cagliari;
la pretestuosità di tali atti risulta in maniera emblematica dai presupposti adotti per argomentare il vincolo minerario: «trattasi – è scritto nella relazione di accompagnamento alla proposta di vincolo minerario – di un complesso minerario impiantato alla fine dell'Ottocento ed attivo per quasi un secolo in ambito urbano, comprendente manufatti, gallerie sotterranee, tunnel di trasporto dei materiali, nastri trasportatori, tramogge, piani di carico, fronti di cava ed altre evidenti tracce dell'attività estrattiva che costituiscono un unicum di particolare interesse culturale»;
la definizione di «sito minerario di interesse storico od antropologico» è, poi, il coronamento di una relazione di accompagnamento secondo l'interrogante superficiale, che suscita dubbi sul piano delle valutazioni tecniche e che lascia intravedere un'azione che niente ha a che vedere con la tutela e la salvaguardia;
il confondere, poi, l'attività di cava con quella di miniera rappresenta la palese infondatezza sostanziale, giuridica, tecnica e concettuale del vincolo stesso, considerato che nessun tecnico confonderebbe i siti di cava né i siti di torbiera con miniere;
non a caso la normativa in materia di tutela del paesaggio fa riferimento esclusivamente ai «siti minerari» ed appare, dunque, illegittimo e illogico equiparare ad essi i «siti di cava»;
i «siti minerari di interesse storico ed etnoantropologico» che la norma tutela, non sono e non possono essere devastanti scavi su terra, con arrugginiti e insignificanti «nastri trasportatori» e «tramogge», ma quelli che formano un complesso di opere – edifici, industriali e abitativi – che abbiano un particolare interesse storico od etnoantropologico;
con l'apposizione di questo ennesimo vincolo si blocca di fatto un intervento di rilevante importanza per la città capitale della Sardegna, con un danno rilevantissimo allo sviluppo economico, culturale e infrastrutturale;
con il blocco di tale intervento viario e di riqualificazione archeologica e urbana si potrebbe generare l'effetto, diretto o indiretto, di favorire lo sviluppo immobiliare di inedite aree periferiche, basti pensare che alla periferia di Cagliari, nell'area e nei volumi della ex Fas di Elmas, è stato presentato un progetto di sviluppo immobiliare per migliaia di nuovi residenti e quasi mezzo milione di metri cubi;
l'accordo di programma relativo ai Colli di Cagliari persegue tre sostanziali obiettivi: a) la valorizzazione del Colle di Tuxixeddu con la realizzazione del parco archeologico; b) la realizzazione di una strategica mobilità infrastrutturale interna capace di collegare con efficacia i due poli est ed ovest di Cagliari; c) la realizzazione di un piano pubblico/privato destinato alla riqualificazione urbana e residenziale dell'area più degradata di quel comparto;
i primi due effetti di tali reiterati vincoli, tralasciando quelli di natura privata, per i quali, come detto, è avviata la procedura per la definizione e il risarcimento dei danni causati ai privati, sono appunto quelli di impedire la realizzazione del grande parco archeologico di Cagliari e di determinare il blocco di quel progetto infrastrutturale teso a connettere le parti est e ovest di Cagliari attraverso un'asse viario centrale che dalla via San Paolo arriva sino all'asse mediano opposto;
è fin troppo evidente dall'esame dell'accordo di programma che il parco archeologico si può realizzare solo se tutte le parti contraenti sono adempienti rispetto ai propri obblighi contrattuali;
nel momento in cui viene meno uno solo degli obblighi è evidente che l'intero accordo risulta inficiato;
l'effetto di questo ulteriore vincolo, ben lungi dal tutelare un bene minerario che non esiste, è quello di compromettere per sempre il patrimonio archeologico di Tuvixeddu, che risulta essere nel più completo stato di abbandono;
il vincolo minerario che di fatto blocca il progetto di valorizzazione del Parco archeologico di Tuvixeddu, a meno di uno stanziamento del Ministero per realizzare a proprie spese quanto previsto nell'accordo;
l'area di Tuvixeddu e Tuvumannu è un'area strategica per la città di Cagliari che da sempre risente di innumerevoli problemi a partire dal grave problema di traffico, e conseguente degrado ambientale, che caratterizza non solo il bacino in questione, ma tutto il più ampio territorio comunale che lo circonda;
gli assi viari di viale Trieste, la via Pola, il viale Merello, la via V.Veneto, la via Is Mirrionis, la via Cadello, risultano oggi fortemente congestionati perché pur avendo la conformazione di una viabilità di quartiere sono chiamate ad assolvere alla gravosa funzione di viabilità di attraversamento e a questo si aggiunge che lo snodo principale di queste arterie urbane è la piazza d'Armi oggetto di gravi crisi statiche che la rendono pericolosa e instabile;
la viabilità in fase di realizzazione, per la quale le pubbliche amministrazioni hanno stanziato ingenti risorse e le cui opere sono oggi in avanzato stato di esecuzione, ha la funzione di collegare la città lungo un asse est-ovest, ad oggi inesistente, restituendo alle strade locali le originarie funzioni di quartiere rispetto allo stato attuale che le vede utilizzate per itinerari di lunga percorrenza;
la viabilità è parte fondamentale e imprescindibile dell'accordo di programma, di questo ne è perfettamente consapevole il Ministero, che, attraverso le proprie Soprintendenze, il 27 maggio 2002 ha dato parere favorevole all'esecuzione delle opere;
le premesse del verbale della conferenza di servizi che approvò l'opera precisano in maniera inequivocabile la rilevanza dell'opera;
a distanza di pochi anni da quell'autorizzazione e nel pieno delle attività, nonostante le innumerevoli sentenze di TAR e Consiglio di Stato passate in giudicato che hanno chiarito la legittimità dell'intervento, nonostante un chiarimento dell'amministrazione regionale che ha rinnovato la propria volontà a proseguire nell'attuazione dell'accordo di programma, nonostante il comune ritenga strategico l'asse di interconnessione in questione e nonostante i lavori per la sua realizzazione siano stati avviati con un'ingente impegno di risorse pubbliche, il Ministero, attraverso la Direzione Regionale, ha proposto un nuovo vincolo che inequivocabilmente preclude la prosecuzione delle opere della viabilità con evidenti gravissime ripercussioni per le casse pubbliche, che si vedono esposte a una lunga serie di contenziosi e azioni risarcitorie, e per i cittadini che rimarranno privi di un asse di collegamento strategico che garantirebbe una migliore vivibilità della città di Cagliari;
in funzione dell'approvazione da parte del Ministero per i beni e le attività culturali dell'opera di viabilità avvenuta il 27 maggio 2002 sono stati sottoscritti tutti i successivi accordi (tra cui la Convenzione del 2003 con il comune di Cagliari) in ottemperanza ai quali i privati:
a) hanno trasferito al comune di Cagliari la proprietà di tutte le aree necessarie per la realizzazione del «Parco Archeologico e Parco Urbano», ivi incluse tutte le aree di interesse archeologico presenti sul colle di Tuvixeddu;
b) hanno ceduto al comune di Cagliari la proprietà delle aree da destinare agli standard aggiuntivi per il riequilibrio urbanistico dei due complessi di edilizia economica popolare limitrofi all'area d'intervento (ulteriori 11 ettari con una capacità edificatoria complessiva di 44.000 metri cubi);
c) hanno trasferito al comune di Cagliari la proprietà delle aree e i fabbricati dell'ex cementificio, per la realizzazione del polo museale archeologico mirato alla catalogazione ed esposizione di tutti i reperti rinvenuti nell'area archeologica circostante;
d) hanno eseguito, a proprie spese, la progettazione esecutiva del recupero della Villa Mulas, edificio storico di proprietà della «Nuove Iniziative Coimpresa», destinato da progetto ad un utilizzo pubblico quale centro per attività culturali e tempo libero;
e) hanno bonificato integralmente, a proprie spese, tutti i 44 ettari del sito industriale dismesso interessati dal progetto;
f) hanno avviato, a proprie spese, i lavori propedeutici alla messa in sicurezza degli oltre due chilometri di pareti rocciose (parte sulla via Is Maglias, parte all'interno del cosiddetto canyon) rese instabili dalle attività di cava;
g) hanno avviato, a proprie spese, la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria così come previste dal Piano Attuativo e autorizzato dal comune di Cagliari;
l'approvazione da parte del Ministero di tale opera infrastrutturale viaria e l'apposizione intervenuta successivamente di un vincolo su quella stessa area dove prima l'opera era stata autorizzata fa emergere ad avviso dell'interrogante un'evidente responsabilità oggettiva e soggettiva sull'operato del Ministero e dei suoi uffici periferici;
il vincolo minerario apposto in data 8 luglio 2010 costituisce di per sé il blocco definitivo dei cantieri già avviati con importanti risorse già spese per realizzare quell'asse stradale di strategica rilevanza per la città di Cagliari;
il cantiere della nuova arteria viaria presenta rilevanti opere ingegneristiche già realizzate con il pericolo che si trasformino presto in eterne incompiute con grave danno per la comunità e per lo sviluppo della città stessa;
la strada bloccata riguarda la realizzazione del collegamento del nuovo «asse mediano» e della via San Paolo con la rete locale in diversi nodi urbani ed in particolare con quelli localizzati all'interno del Progetto di Riqualificazione Urbana ed Ambientale dei Colli di Sant'Avendrace – PIA CA 17 – Sistema dei Colli;
l'infrastruttura stradale nel suo complesso, infatti, sviluppandosi tra l'asse litoraneo cagliaritano (Via San Paolo, svincolo Scaffa, Via Roma, Viale Colombo appartenente alla rete principale) e l'asse mediano (554,131 dir., svincolo ex Motel Agip, svincolo Viale Marconi, Genneruxi, Amsicora anch'esso appartenente alla rete principale) consente di collegare la viabilità principale (gli assi litoraneo e mediano) con la rete locale;
l'asse viario si inquadra nel processo di completamento dell'assetto viabilistico della città di Cagliari ed, in particolare, nella strategia di «rottura» della attuale configurazione radiale delle principali direttrici di accesso urbano e di integrazione interquartiere;
il collegamento, infatti, nel suo sviluppo trasversale (rispetto alla longitudinalità dell'asse litoraneo e di quello mediano) favorisce il riequilibrio degli effetti di gravitazione consentendo di meglio diffondere e ripartire il traffico sul territorio locale urbano (penetrazione dei flussi);
la realizzazione di questa infrastruttura viaria, restituisce a diverse strade le originarie funzioni locali rispetto allo stato attuale che le vede utilizzate per itinerari di media percorrenza, ed avvia in modo significativo il processo di gerarchizzazione funzionale della rete urbana cagliaritana. Ambedue questi effetti sono quantitativamente valutati dalle simulazioni dei flussi di traffico riportate nella relazione di impatto trasportistico della nuova infrastruttura e dei nuovi insediamenti;
il collegamento in progetto costituisce attuazione delle indicazioni del piano urbanistico comunale di Cagliari, in quanto realizza parte del «sistema di strade interquartiere trasversali (fronte mare – entroterra urbano)» che il piano urbanistico comunale ha posizionato, in modo equilibrato rispetto ai pesi insediativi, tra i tre assi longitudinali, litoraneo, mediano e tangenziale (viabilità principale);
nel piano urbanistico comunale sono state studiate diverse soluzioni alternative che hanno riguardato sia ipotesi di nuove viabilità che l'utilizzo di quelle esistenti, ma la scelta non è stata semplice in quanto l'ambito di intervento era caratterizzato da diversi vincoli sia di natura orografica, che insediativa, ambientale, paesistica ed archeologica;
la soluzione inserita nel piano urbanistico comunale ha cercato di mediare le diverse esigenze con una soluzione che risulta essere razionale convincente sia dal punto di vista trasportistico che di inserimento nel contesto urbano attraversato;
la strada servirà anche gli insediamenti residenziali, universitari e di servizio previsti dal progetto di riqualificazione urbana ed ambientale e il Parco archeologico urbano di Tuvixeddu, previsto dal piano integrato d'area approvato dalla giunta regionale con delibera n. 32/8 il 30 agosto 1997 –:
se non ritenga, in sede di autotutela propria e dello Stato, di proporre, anche formalmente, la revoca con immediatezza del vincolo di cui al decreto n. 81 dell'8 luglio 2010, al fine di evitare il rischio di danni erariali;
se non ritenga di dover con immediatezza intervenire per porre rimedio al grave danno che tale nuovo vincolo genera sulla tutela del grande patrimonio archeologico della città con il blocco dei progetti riqualificazione e realizzazione del parco archeologico di Cagliari;
se non ritenga di dover urgentemente favorire un confronto con l'amministrazione del comune di Cagliari e la regione Sardegna, al fine di riavviare l'accordo di programma relativo al progetto di riqualificazione urbana ed ambientale del Colle di S. Avendrace-sistema Colli;
se non ritenga indispensabile porre in essere tutte le azioni necessarie per far riprendere con urgenza i lavori relativi all'asse viario est-ovest di Cagliari nella consapevolezza che, oltre al grave danno ai cittadini, per ogni giorno che passa aumenta la richiesta di risarcimento danni da parte delle imprese esecutrici delle medesime opere pubbliche;
se non ritenga necessario valutare il comportamento tenuto dalle direzioni regionali in relazione al progetto richiamato, considerato che, soprattutto con quest'ultimo vincolo minerario, si è inteso di fatto mettere sotto accusa il lavoro delle precedenti direzioni generali e quindi dello stesso Ministero;
se non ritenga necessario, per quanto di propria competenza, nominare un commissario straordinario, al fine di favorire la rapida ripresa ed esecuzione dei lavori tesi a salvaguardare e valorizzare il compendio archeologico di Tuvixeddu;
se non ritenga necessario valutare le eventuali responsabilità relativamente alle procedure seguite per apporre i vincoli poi annullati, anche al fine di far fronte ad una possibile richiesta di risarcimento. (5-03545)
Interrogazione a risposta scritta:
PISICCHIO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
il Piano delle Fosse di Cerignola – 626 fosse granarie su una superficie di 25.000 metri quadrati – è l'unica testimonianza sopravvissuta, in Italia e forse nel mondo, di una modalità di conservazione dei cereali databile con certezza almeno al XVI secolo, benché singole fosse nella zona medioevale della città siano documentate già nel 1225;
questo singolare bene monumentale è stato parzialmente sottoposto a vincolo tutelativo con decreto ministeriale del 5 luglio 1982: e quantunque la nota ministeriale di notifica dell'apposizione del vincolo dichiarasse in corso il vincolo delle rimanenti fosse, ciò non risulta avvenuto;
nel 1982 e nel 1988 il Piano è scampato a due distinti progetti di «sistemazione», che non tendevano alla salvaguardia del bene ma alla sua quasi totale distruzione, mentre nel 2000 è stato posto in essere un intervento «leggero» di «messa in sicurezza»;
quello che oggi si prospetta – nell'ambito del Piano strategico Area vasta. Capitanata 2020 – è un intervento che ancora una volta tende a danneggiare irreparabilmente l'integrità del monumento. Tale Piano prevede infatti «Recupero e salvaguardia del Piano delle fosse agrarie», ma sembra poi intervenire concretamente – con una spesa iniziale di 1.500.000,00 euro su un totale di 8.000.000,00 euro – solo la realizzazione di un primo stralcio relativo ad un «museo ipogeo» con lo sventramento di 4 fosse e la realizzazione di un camminamento sotterraneo di accesso che parte da un'area esterna adibita a parcheggio e attraversa una strada ad alta intensità di traffico pesante;
su tale progetto la Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia – con nota prot. 7537 del 13 settembre 2010 – ha già espresso perplessità vincolando altresì l'eventuale attuazione del progetto ad un «controllo continuativo di un archeologo» da essa stessa valutato;
il Comitato per la salvaguardia delle Fosse, costituitosi a Cerignola tra liberi cittadini, ha più volte sollevato il problema della priorità di natura manutentiva del Piano delle Fosse, osservando che la salvaguardia e la messa in sicurezza del Piano debbano essere realizzati senza ulteriori ritardi, mentre sarebbe opportuno rinviare a fasi successive l'eventuale realizzazione di interventi di valorizzazione turistico-culturale, la cui invasività deve essere assolutamente limitata e i cui contenuti resi preventivamente pubblici e democraticamente discussi –:
quali urgenti interventi intenda attuare al fine di verificare le condizioni di staticità del bene e la congruità di un intervento che, così come ipotizzato, rischia di provocare un'irreparabile offesa ad un patrimonio culturale raro, e forse unico al mondo. (4-08919)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazioni a risposta scritta:
GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
dallo studio sulle imposte più evase dagli Italiani, condotto da KRLS Network of Business Ethics, per conto dell'Associazione contribuenti italiani, su un campione di 1500 cittadini maggiorenni residenti in Italia è emerso che l'evasione del canone RAI si attesta intorno al 38 per cento con punte che arrivano fino al 87 per cento in alcune regioni quali Campania, Calabria e Sicilia;
tra i maggiori evasori figurano i cittadini residenti nelle province di Caserta, Ragusa e Catanzaro, dove si sfiora il 90 per cento delle famiglie;
all'opposto le province più «oneste» sono quelle di Aosta, Ferrara e Pisa dove l'evasione si attesta al 12 per cento;
dall'ultimo bilancio consolidato disponibile, riferito all'anno 2006, il canone RAI costituisce il 47,4 per cento (1.491 milioni di euro) degli introiti della televisione di Stato, mentre la pubblicità si attesta sul 39,2 per cento (1.232,7 milioni di euro) –:
se il Ministro non intenda assumere iniziative affinché l'evasione del canone RAI, diffusa soprattutto nel centro-sud, possa essere contrastata;
se non ritenga opportuno procedere con uno studio affinché il canone RAI possa essere direttamente riscosso da enti territoriali, come le province, che hanno un controllo più diretto del territorio ed alle quali potrebbe essere destinata una parte degli introiti attualmente non riscossi. (4-08921)
MURER, MARTELLA, BARETTA e VIOLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la legge n. 244 del 2007, all'articolo 2, comma 291, autorizza l'utilizzo di contributi pluriennali per le finalità di cui alla legge n. 139 del 1992, recante: «Interventi per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna»;
è stato registrato presso la Corte dei conti il decreto interministeriale con il quale il comune di Venezia è stato autorizzato all'utilizzo di un contributo quindicennale con decorrenza dal 2008 e fino al 2022, assegnato a valere sulle risorse stanziate dall'articolo 2, comma 291, della legge n. 244 del 2007, per il proseguimento degli interventi per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna;
ai sensi dell'articolo 1 del suddetto decreto l'utilizzo del contributo pluriennale in questione viene ripartito tra:
a) una quota ad erogazione diretta (2.422.500,00 euro corrispondenti alle annualità 2008 e 2009);
b) una quota mediante attualizzazione (15.746.250,00 euro corrispondenti alle annualità dal 2010 al 2022), al netto ricavo attivabile a seguito di un'operazione finanziaria di attualizzazione da perfezionare con istituti di credito, secondo un piano di erogazioni stimate in complessivi 12.560.500 euro;
il comma 3 del suddetto decreto prevede altresì che eventuali variazioni del piano di erogazioni derivanti da esigenze – adeguatamente documentate – del soggetto beneficiario dei contributi dovranno essere preventivamente comunicate al Ministero delle infrastrutture e trasporti che provvederà a richiedere autorizzazione in tal senso al Ministero dell'economia e delle finanze;
il comune di Venezia ha chiesto l'autorizzazione alla modifica del soprarichiamato Piano di erogazioni, al fine di ripartire il piano tra una maggior quota ad erogazione diretta (3.633.750,00 euro corrispondenti alle annualità 2008 2009 e 2010) e una conseguente minor quota mediante attualizzazione (14.535.000,00 euro corrispondenti alle annualità dal 2011 al 2022;
le variazioni richieste al piano di erogazioni derivano da motivazioni oggettive come il ritardo, pari ad un anno, intercorso tra la data di richiesta da parte del comune del piano di erogazioni (11 settembre 2009) e la data di comunicazione dell'avvenuta registrazione del Decreto (13 settembre 2010). Ne consegue che l'annualità 2010 inizialmente destinata a confluire nella quota da utilizzare mediante attualizzazione possa essere ora riallocata nella quota ad erogazione diretta; altro motivo è la consistente riduzione dei tassi di mercato verificatasi nel periodo intercorrente tra la data della precedente richiesta e la data odierna, durante il quale il tasso di riferimento delle operazioni di attualizzazione in questione (Eurirs 10) è sceso di circa un punto, al 2,6 per cento, il che si riflette proporzionalmente in un minor onere per interessi che a sua volta impatta positivamente sul netto ricavo stimabile dall'operazione finanziaria di attualizzazione;
con riferimento a quest'ultimo aspetto, esiste il problema di adeguare alle mutate condizioni di mercato la normativa vigente sui limiti massimi di tasso applicabili sui mutui destinati agli interventi per la salvaguardia di Venezia attualmente dettata dal decreto ministeriale 9 marzo 1999 come modificato dal decreto direttoriale 23 gennaio 2003. In particolare appare necessario adeguare la normativa in questione ai limiti massimi di tasso applicabili ai mutui da stipulare con onere a carico dello Stato di importo inferiore a 51.645.689,91 euro, ai sensi dell'articolo 45, comma 32 della citata legge 448 del 1998 attualmente dettata dalla Comunicazione del Direttore generale del Tesoro pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 13 luglio 2010;
sempre in tema di contributi per la salvaguardia di Venezia, Il Comitato di Indirizzo Coordinamento e Controllo (ex articolo 4 legge 798 del 1984), in data 23 dicembre 2008, ha deliberato di sottoporre al Cipe una proposta di contributo pluriennale pari a 50 milioni, finalizzato agli interventi di salvaguardia, nelle competenze della Regione Veneto, del Comune di Venezia, Chioggia e Cavallino, stabilendo, nello specifico, che le risorse a favore del comune di Venezia ammontassero a 29.750.000 euro;
il Cipe con delibera 59 del 31 luglio 2009 dava corso al deliberato del Comitato misto a valere sul Fondo infrastrutturale, stabilendo che l'intero importo di 50 milioni, comprensivo del contributo per Venezia, fosse «girato» alla Regione e da questa ripartito; i 50 milioni venivano, poi, suddivisi in due annualità: 30 milioni nel 2009 e 20 milioni nel 2010; su quest'ultimo contributo non risultato prodotti atti conseguenti;
la delibera del Cipe è stata registrata alla Corte dei conti in data 22 dicembre 2009 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 21 gennaio 2010;
su sollecitazione del Comune di Venezia, il Sottosegretario alla Presidenza del consiglio, in data 28 aprile 2010, comunicava che spetta alla regione ogni azione volta alla effettiva erogazione delle risorse;
ad oggi nulla risulta ancora stabilito né attivato in sede regionale e, a quanto pare, neppure in sede ministeriale sull'effettiva erogazione di tale contributo –:
se siano a conoscenza e da cosa sono causati i ritardi nell'erogazione dei contributi per gli interventi di salvaguardia di Venezia, sia del contributo quindicennale assegnato a valere sulle risorse stanziate dall'articolo 2, comma 291 della legge n. 244 del 2007, sia del contributo pluriennale di cui delibera Cipe n. 59 del 31 luglio 2009; se intendano accogliere la richiesta di variazioni al piano di erogazioni ai sensi del comma 3 del Decreto interministeriale, con il quale il comune di Venezia è stato autorizzato all'utilizzo di un contributo quindicennale assegnato a valere sulle risorse stanziate dall'articolo 2, comma 291, della legge n. 244 del 2007, per il proseguimento degli interventi per la salvaguardia di Venezia e della sua Laguna, così come motivato da richiesta dei soggetto beneficiario; se intendano adeguare alle mutate condizioni di mercato la normativa vigente sui limiti massimi di tasso applicabili sui mutui destinati agli interventi per la salvaguardia di Venezia attualmente dettata dal decreto ministeriale 9 marzo 1999 come modificato dal decreto Direttoriale 23 gennaio 2003; se intendano intervenire, e come, sul ritardo, nell'erogazione al Comune di Venezia, del contributo di cui alla delibera Cipe n. 59 del 31 luglio 2009. (4-08935)
GIUSTIZIA
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
nel mese di febbraio 2010, ai dottori Corrado Marino e Giuseppe Vitale, biologi regolarmente iscritti all'Ordine nazionale dei biologi, è stato recapitato in forma anonima, un plico contenente una relazione con i relativi allegati informatici dalla quale si evincono gravissime irregolarità nella gestione economico finanziaria dell'Ordine nazionale dei biologi per il periodo 2000-2009. La relazione, a dire dell'ignoto estensore, sarebbe stata redatta attraverso la revisione contabile dei libro giornale e dei bilanci di esercizio dell'Ordine. In particolare, dall'analisi della documentazione contabile effettuata dall'anonimo, sarebbero emerse precise e circostanziate violazioni dei principio di corretta gestione dell'ente che vanno dall'anomala appostazione di consistenti investimenti di cui si perde traccia nel corso degli anni alla realizzazione di interessi privati da parte dei legale rappresentante dei consiglio dell'Ordine fino alla ipotizzata vera e propria appropriazione indebita di fondi ad opera dei presidente ovvero di alcuni componenti dei consiglio dell'Ordine;
in data 23 aprile 2010, i dottori Corrado Marino e Giuseppe Vitale hanno denunciato mediante esposto al Ministro interpellato, a direttori generali ed agli uffici competenti, la sussistenza di ipotesi di reato e di violazione contabile che si evincono dallo scritto anonimo, chiedendo l'intervento del Ministro al fine dell'esercizio del potere di vigilanza di cui lo stesso Ministro è titolare;
in data 12 maggio 2010, il Ministero della giustizia, con una generica comunicazione, prot. n. 404 del 2010, a firma del direttore dell'ufficio III dottoressa Luisa Bianchi ha interessato il Consiglio nazionale dei biologi, cui competono i poteri di vigilanza e di disciplina, affinché venga inoltrata apposita denuncia al procuratore regionale della Corte dei conti ai sensi dell'articolo 90 del decreto del Presidente della Repubblica 27 febbraio 2003, n. 97, previo accertamento delle irregolarità contabili denunciate;
in merito ai fatti sopra descritti, in data 28 maggio 2010, i dottori Corrado Marino e Giuseppe Vitale, hanno depositato presso la procura di Roma, un atto di denuncia/querela contro gli eventuali autori dei reati che il procuratore generale della Repubblica di Roma dovesse ravvisare. Il procedimento (n. 4151/2010 registro notizie di reato) è stato affidato alla dottoressa ML Golfieri, la quale ha incaricato la Guardia di finanza di acquisire sommarie informazioni testimoniali dalle persone informate dei fatti;
in data 7 giugno 2010, è stato notificato al Ministero della giustizia, un atto di invito e diffida ad esercitare direttamente e tempestivamente il potere di vigilanza di cui all'articolo 46 della legge n. 396 del 1967;
con lettera indirizzata al presidente ed ai componenti del consiglio dell'Ordine, acquisita e posta a verbale nella riunione dei consiglio dell'Ordine dei biologi del 30 settembre 2010, i consiglieri dell'Ordine nazionale dei biologi Michele Ascione e Nicola Tafuri hanno ribadito la gravità dei fatti emersi circa la mala gestione dell'Ordine ed hanno invitato il Consiglio ad attivarsi per il recupero delle somme indebitamente sottratte al fondo dei biologi e per ricostituire l'integrità del patrimonio dell'ente;
con lettera aperta del 4 ottobre 2010, pubblicata sul sito www.ilbiologo.it il presidente PT dell'Ordine nazionale dei biologi Fiorenzo Pastone, unitamente ai consiglieri Nicola Tafuri e Michele Ascione, ha comunicato gli esiti degli accertamenti di una commissione interna dell'Ordine. Dagli accertamenti emergono gravi irregolarità gestionali: «Sono stati così verificati e riscontrati i conferimenti di cospicue somme di denaro percepite da diversi soggetti negli ultimi 5 anni di gestione, in ragione delle quali è stato dato mandato ad un insigne avvocato napoletano di procedere in modo opportuno. È stato, altresì, accertato l'utilizzo di carte di credito intestate all'Ordine Nazionale dei Biologi per acquisti e spese estranee ai compiti ed ai fini istituzionali dell'Ente. Ulteriori accertamenti dovranno essere eseguiti sull'intera movimentazione bancaria dei conti corrente intestati all'Ordine Nazionale dei Biologi al fine di accertare la regolarità delle operazioni bancarie e degli incassi anche per quanto concerne gli interessi attivi maturati sui titoli e sugli investimenti fatti dall'Ente. Parimenti occorre verificare la corretta e completa acquisizione del corrispettivo finanziario spettante all'Ordine Nazionale dei Biologi per la vendita dell'immobile sito in Roma alla via Sicilia, adibito a sede della Cassa di Previdenza Interprofessionale» –:
se, e con quali iniziative, ritenga, necessario, per garantire il corretto svolgimento delle attribuzioni proprie dell'Ordine nazionale dei biologi, esercitare il potere di vigilanza di cui è titolare ai sensi dell'articolo 46 della legge n. 396 del 1967.
(2-00847) «D'Anna, Petrenga, De Siano, Cesaro, Stasi, Ciccioli, Pugliese, Ghedini, Pagano, Iapicca, Paolo Russo, Landolfi, Di Caterina, Castiello, Papa, Rivolta, Mario Pepe (PdL), De Girolamo, Laffranco, Bianconi, Gottardo, Gioacchino Alfano, Milo, Sardelli, Belcastro, Iannaccone, Porfidia, Sbai, De Luca, Barani, Mussolini, Grimaldi».
Interrogazioni a risposta in Commissione:
CODURELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
la procura della Repubblica di Lecco, in data 2 Settembre 2009 (protocollo n. 1160) ha attivato una procedura urgente di mobilità del personale proveniente da altre amministrazioni per sopperire alla mancanza di 3 figure professionali nella sua pianta organica;
la signora Luisa Vanalli, impiegata da 10 anni presso il comune di Milano e residente a Lecco, ha presentato formale richiesta di mobilità presso la procura della Repubblica di Lecco, ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Il comune di Milano con protocollo n. 417938 del 24 novembre 2009, ha dato, alla signora Vanalli, parere favorevole ad un eventuale trasferimento per mobilità, ai sensi dell'articolo 30 decreto legislativo n. 165 del 2001, senza comando finalizzato;
la richiesta di trasferimento risulta ormai inoltrata da mesi presso gli uffici centrali competenti del Ministero della giustizia a Roma, con parere favorevole del procuratore di Lecco, ma ancora non è stata evasa. Tutto ciò ha comportato problemi enormi al funzionamento stesso della procura vista la carenza di organico –:
quali siano le motivazioni che ostano all'accoglimento della suddetta richiesta di mobilità, visti i parere positivi della procura di Lecco e del comune di Milano, al fine di garantire un servizio indispensabile alla cittadinanza. (5-03539)
NICOLA MOLTENI e RIVOLTA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
la situazione di disagio in cui versa ormai da tempo il tribunale di Como dovuta alle gravi carenze di organico tanto del personale amministrativo quanto dei magistrati giudicanti sia civili che penali è divenuta insostenibile per gli operatori del diritto e per i cittadini che attendono giustizia;
infatti, ben quattro giudici della sezione civile diverranno inattivi presso il tribunale di Como (due giudici si avviano al pensionamento, altri due giudici hanno già ottenuto il trasferimento presso altra sede) con un accumulo del contenzioso civile a carico dei rimanenti 8 giudici e ciò evidentemente rischia di determinare una seria paralisi di tutta l'attività giudiziaria del tribunale comasco con danno evidente nei confronti dei cittadini-utenti del sistema giustizia;
questo notevole ridimensionamento dei magistrati civili si colloca inoltre in un contesto di evidente crisi economica che ha colpito anche il territorio comasco, da sempre caratterizzato da una significativa attività produttiva grazie alle numerose aziende che vi operano;
il malfunzionamento o un non adeguato funzionamento del tribunale e della giustizia civile in generale in tale situazione di crisi riversa pertanto anche sul tessuto economico produttivo del territorio lariano ulteriori elementi di difficoltà e di criticità in termini di ritardi oltremodo negativi per l'economia territoriale, disincentivando anche eventuali investimenti stranieri frenati dalla farraginosità e dalle lungaggini della macchina giustizia italiana;
si calcola infatti che circa 1500 fascicoli, quindi circa 1500 contenziosi civili rischiano notevoli rallentamenti e ritardi in attesa di essere riassegnati e ridistribuiti ad altri giudici della sezione civile;
tale situazione già in passato segnalata dagli interroganti attraverso altre interrogazioni parlamentari rischia di compromettere il funzionamento del tribunale con un evidente rischio di cortocircuito giudiziario;
il presidente del tribunale di Como, dottor Laudisio, recentemente ha provveduto a segnalare al Ministero della giustizia i disagi sopra indicati, senza però ottenere ad oggi alcuna risposta in merito;
alla situazione sopra descritta si aggiunga anche che i giudici di pace – le cui competenze oggi sono state notevolmente incrementate tanto in ambito civilistico quanto nel campo penale a seguito dei provvedimenti legislativi varati dal Parlamento – attualmente in servizio sono 7 rispetto ai 15 previsti dalla pianta organica, e due di questi sono prossimi al pensionamento, con la conseguenza che l'organico scenderà a sole 5 unità;
tali carenze rischiano di compromettere seriamente il funzionamento degli uffici dei giudici di pace i quali oggi più che mai, unitamente alla magistratura onoraria di tribunale (GOT, VPO, GOA), svolgono un ruolo determinante anzi indispensabile per il dignitoso dispiegarsi del sistema giustizia in Italia evitando grazie alla loro attività il blocco del sistema nel complesso;
croniche carenze di personale si segnalano anche tra i giudici onorari, dato che mancano 11 giudici rispetto ai 20 indicati dal Consiglio Superiore della Magistratura, e tra i vice procuratori onorari, dove mancano 3 unità;
la situazione complessiva rischia di determinare entro breve la paralisi di tutte le attività esercitate, vanificando i risultati positivi mantenuti per lungo tempo –:
quali siano i motivi che impediscono di intervenire efficacemente per riportare a normalità l'organico del tribunale di Como, implementando adeguatamente le carenze sopra segnalate al fine di consentire il puntuale e corretto svolgimento dell'attività giudiziaria oggi seriamente compromessa;
quali immediate iniziative di competenza il Ministro intenda adottare in merito, al fine di ripristinare una situazione di efficienza presso il tribunale di Como nell'interesse degli operatori del diritto comaschi e dei cittadini lariani. (5-03541)
PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
il Direttore del carcere di Buon Cammino di Cagliari ha annunciato un piano di emergenza sanitaria per l'istituito penitenziario;
la situazione sanitaria nel carcere cagliaritano sarebbe gravissima;
i problemi sarebbero legati alla mancata definizione delle responsabilità inerenti alle specifiche competenze sanitarie tra Stato e regione;
il Ministero della giustizia avrebbe disposto il trasferimento della competenza a curare i pazienti in cella;
la commissione competente del consiglio regionale ritiene che in assenza di risorse certe sia impossibile il trasferimento della competenza;
da domani il centro clinico del più grande carcere della Sardegna sarebbe destinato alla chiusura;
sarebbero destinate ad essere negate anche cure dentistiche, visite specialistiche e tutto ciò che riguarda la salute dei detenuti;
i fondi stanziati dal Ministero per la sanità penitenziaria sarebbero da tempo esauriti;
risulta non essere stato approvato uno stanziamento della regione necessario per lo svolgimento del servizio sanitario sino al 31 dicembre 2010;
il carcere di Buon Cammino risulta essere sovraffollato;
si registrerebbero all'intero dell'istituto penitenziario 170 malati psichiatrici, 100 tossicodipendenti e 100 alcolisti;
il piano emergenza sanità che il direttore del carcere è stato obbligato ad adottare prevede: «è sospesa l'attività specialistica ordinaria con pagamenti a prestazione. Lo specialista in odontoiatria terminerà le cure in corso. L'attività di fisioterapia viene sospesa; verranno ultimati solo i cicli già avviati dal mese di settembre. L'attività psichiatrica è ridotta a 50 ore mensili. I tecnici di radiologia svolgeranno la loro attività solo il martedì e il sabato. Il servizio infermieristico è ridotto a 92 ore giornaliere; è abrogato il turno notturno infermieristico. Il servizio integrato di assistenza sanitaria è ridotto a 24 ore giornaliere»;
il piano d'emergenza prevede la chiusura del centro medico;
i pazienti detenuti verranno trasferiti negli istituti della penisola;
anche il reparto riservato ai malati psichiatrici sarà chiuso e i ricoverati in osservazione su disposizione della magistratura dovranno essere trasferiti in ospedali giudiziari psichiatrici in altre regioni italiane;
negli anni passati sono stati effettuati importanti investimenti al fine di dotare la struttura sanitaria interna di nuove e moderne attrezzature comprese sale operatorie di nuova generazione;
il personale medico del carcere di Buon Cammino ha maturato una notevole competenza sul piano della specializzazione sulle problematiche sanitarie legate alle patologie maggiormente ricorrenti nella struttura penitenziaria;
il centro sanitario e clinico del carcere di Buon Cammino ha messo a punto un importante archivio relativo alle casistiche sanitarie dei singoli detenuti che costituisce un rilevante strumento di prevenzione e tutela sanitaria dei detenuti –:
se non ritenga di assumere le iniziative di competenza per impedire la chiusura del centro sanitario e clinico del carcere di Buon Cammino di Cagliari;
se non ritenga di dover convocare con urgenza un incontro con la regione autonoma della Sardegna per definire un piano sanitario che consenta il prosieguo e il rafforzamento della struttura sanitaria all'interno del carcere sardo;
se non ritenga di dover salvaguardare, anche alla luce della condizione insulare della Sardegna, tale centro sanitario proprio per evitare a carico della struttura penitenziaria ulteriori aggravi economici che finirebbero per pesare ancor di più sul bilancio dello Stato.
(5-03543)
Interrogazione a risposta scritta:
TOMMASO FOTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
in data 19 maggio 2010 è stata presentata l'interrogazione a risposta scritta n. 4-07261 in materia di semplificazione del procedimento di cancellazione dell'ipoteca per i mutui immobiliari;
tale procedimento – introdotto nel nostro ordinamento dall'articolo 13, commi da 8-sexies a 8- quaterdecies, del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40 – reca, come evidenziato nel predetto atto di sindacato ispettivo, sulla base di decisioni giurisprudenziali e di una circolare dell'Agenzia del territorio, seri pregiudizi alla sicurezza delle transazioni e alla tutela dell'affidamento dei terzi, con la conseguenza che, per coloro tra questi ultimi che vogliano avere certezza in ordine all'inesistenza dell'ipoteca, si impone di ottenere la cancellazione dell'ipoteca stessa con il sistema ordinario previsto dal codice civile (sistema che unico tutela effettivamente i terzi contro eventuali reviviscenze di una ipoteca ritenuta – erroneamente – estinta);
ad oggi non è stata data risposta all'interrogazione sopra indicata né sono state assunte iniziative normative per il caso prospettato in occasione del varo del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, che ha introdotto nel decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), l'articolo 40-bis che riproduce sostanzialmente il contenuto del predetto articolo 13 –:
se il Ministro interrogato non intenda assumere le necessarie iniziative normative per porre rimedio all'inconveniente indicato in premessa. (4-08926)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
BELTRANDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
le disposizioni contenute nell'articolo 57 del TULPS, recepite nel codice penale all'articolo 703, recitano: «Accensioni ed esplosioni pericolose: Chiunque, senza la licenza dell'Autorità, in un luogo abitato o nelle sue adiacenze, o lungo una pubblica via o in direzione di essa spara armi da fuoco, accende fuochi d'artificio, o lancia razzi, o innalza aerostati con fiamme, o, in genere, fa accensioni o esplosioni pericolose, è punito con l'ammenda fino a lire duecentomila. Se il fatto è commesso in un luogo ove sia adunanza o concorso di persone, la pena è dell'arresto fino a un mese»; alcuni vigili urbani stanno interpretando in modo letterale l'articolo citato, impedendo ai piloti di aerostati la libera navigazione aerea;
l'impedimento è dovuto al fatto che, applicando ad avviso dell'interrogante la norma citata, le forze di polizia municipale impediscono ai piloti di aerostati l'utilizzo dei serbatoi aeronautici, che sono i contenitori del propano che vengono alloggiati all'interno della cesta per alimentare il bruciatore mediante appositi tubi flessibili, i quali devono essere sottoposti a controlli periodici sia da parte del fabbricante, sia da parte delle autorità aeronautiche;
l'autorità aeronautica in questione è l'ENAC (Ente nazionale per l'aviazione civile) che è titolare dell'onere del controllo, infatti ha attribuito il compito istituzionale di vigilare sulla sicurezza dei voli, sicurezza che è garantita da un complesso di regole internazionali e dai controlli sull'applicazione di tali regole da parte dell'ENAC stesso;
attualmente, in Italia, le licenze di pilota di aerostato sono oltre un centinaio, ma i piloti che volano regolarmente sono molti meno. Una ventina sono quelli che partecipano più o meno regolarmente al campionato nazionale che si svolge ogni anno. Non sono molti ma in proporzione al totale dei piloti che volano effettivamente in Italia non sono nemmeno pochi. Anche nel Regno Unito i piloti che partecipano al campionato nazionale sono una ventina, ma su un totale di 1500, mentre in Francia, che in Europa vanta il campionato più numeroso, su circa un migliaio di piloti in attività, i partecipanti sono una cinquantina;
nonostante i piccoli numeri della nostra aerostatica, ogni anno in Italia si svolgono dai quindici ai venti raduni ed anche più (in pratica una media di oltre uno al mese). Ad alcune di queste manifestazioni partecipano alcune decine di palloni provenienti da tutto il mondo;
attualmente, a causa della falsa interpretazione della norma citata, i nostri aerostati sono inutilizzabili ed i piloti impossibilitati al volo giungendo, in un caso, a dover costringere un pilota a difendersi in tribunale per aver voluto esercitare il proprio diritto al volo in aerostato, nel pieno rispetto di ogni norma vigente;
le motivazioni con le quali si vieta il volo aerostatico sono molto simili in tutti i casi riscontrati: la norma viene interpretata in modo errato, poiché si ritiene che l'autorità che debba concedere la licenza non sia l'ENAC, bensì il comune;
non è superfluo aggiungere che tutte le mongolfiere sono condotte da pilota con regolare licenza di volo emessa dall'ENAC e regolamentata dal codice della navigazione aerea –:
se sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e, nell'eventualità positiva, se essi corrispondano al vero;
quali iniziative gravi ed urgenti intenda assumere per dare soluzione al vulnus arrecato ai piloti di aerostati, in particolare se intenda assumere iniziative per fornire un'interpretazione autentica della norma di cui in premessa al fine di evitare che le forze dell'ordine ostacolino illecitamente il libero volo aerostatico. (5-03537)
TOMMASO FOTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
l'interrogante ha evidenziato, in diversi atti di sindacato ispettivo, lo stato di grave trascuratezza e di conseguente pericolosità che caratterizza, sul versante piacentino, la strada statale 45 di Val Trebbia, in particolare nel tratto compreso tra Bobbio e Gorreto;
l'intervento, attualmente in fase di realizzazione, che interessa l'ammodernamento del tratto Perino- Cernusca, ancorché significativo, non risolve la situazione di pericolo sopra richiamata;
il 4 ottobre 2010, nel tratto fra Marsaglia e San Salvatore della strada statale 45, un masso del diametro di circa un metro, probabilmente a causa del maltempo che imperversava sulla zona, si staccava dalla parete rocciosa precipitando verso la strada e colpiva una jeep sulla fiancata sul lato del guidatore che, per le gravissime ferite riportate, decedeva il giorno seguente –:
quando verranno realizzati i lavori previsti dal progetto stralcio di Ponte Lenzino (in comune di Cortebrugnatella) – del costo ipotizzato di 450 mila euro – che consentiranno di rimuovere la limitazione alla circolazione stradale, imposta qualche anno fa e tuttora presente, per i veicoli di portata uguale o superiore alle 5 tonnellate, resa necessaria dal cedimento di fondazione e dal distaccamento delle pile, oltre che da lesioni sulla parte in elevazione del ponte;
se risultino o meno avviati i seguenti già progettati interventi:
a) ripristino della stabilità della scarpata stradale a seguito di eventi franosi verificatisi nel gennaio 2010 in comune di Marsaglia e Bobbio;
b) ripristino della stabilità della scarpata stradale a seguito di eventi franosi verificatisi nel gennaio 2010 in comune di Perino di Coli e Travo;
c) manutenzione straordinaria delle opere idrauliche per prevenzione smottamenti e allagamenti e lavori di allargamento dei ponticelli e messa in sicurezza delle barriere di sicurezza in località Travo, in località Casino Agnelli e dal chilometro 62+100 al chilometro 95+000 in tratti saltuari nei pressi del comune di Ottone;
se e quali ulteriori lavori si intenda prevedere e realizzare, in ragione anche di quanto evidenziato in premessa. (5-03542)
Interrogazione a risposta scritta:
PIONATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
l'aeroporto «Marco Polo» di Venezia e l'aeroporto «Antonio Canova» di Treviso costituiscono un consolidato sistema aeroportuale, quest'ultimo con particolare vocazione per il traffico low-cost, soprattutto per l'est Europa, l'aviazione privata e d'affari, stabilmente al terzo posto per livelli di traffico dopo Roma e Milano;
i due scali operano in stretta sinergia gestionale (Save Spa gestore dello scalo di Venezia detiene il 45 per cento del pacchetto azionario di AerTre, gestore di Treviso) e di pianificazione delle rotte aeree;
il rapporto sulle strategie di programmazione per gli aeroporti italiani trasmesso dall'ENAC al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a luglio del 2010 ha individuato tale sistema aeroportuale fra quelli di principale interesse strategico nazionale e ha previsto un incremento di passeggeri in transito dagli attuali 8,5 milioni/anno a 20 milioni/anno entro il 2030;
è previsto in tempi brevi, secondo l'accordo interministeriale di ottobre 2004, il passaggio dell'aeroporto di Treviso all'aviazione civile e quindi il conseguente trasferimento delle competenze per quanto riguarda la fornitura dei servizi del traffico aereo dall'Aeronautica militare ad ENAV Spa;
fino al 2001 entrambi gli aeroporti si trovavano entro un'unica zona di controllo di avvicinamento (CTR) entro cui il servizio di controllo al traffico in partenza e arrivo da/per tali aeroporti oltre che dall'aeroporto militare di Istrana era fornito di fatto dall'Aeronautica militare di quest'ultima base. Successivamente tale area è stata suddivisa in due zone denominate CTR Treviso gestito dall'Aeronautica militare e CTR Venezia gestito dall'ENAV Spa di Venezia;
buona parte delle rotte in partenza e in arrivo da/per Venezia passano inevitabilmente attraverso la zona di Treviso, così come molte delle rotte in partenza/arrivo da e per Treviso interessano la zona di Venezia, essendo questi due aeroporti distanti appena 20 chilometri in linea d'aria;
in considerazione di questo gli aeromobili sono quasi sempre costretti a percorrere rotte più lunghe e quindi ad un consumo maggiore, che si traduce in maggiori costi per le compagnie aeree già in difficoltà per la difficile congiuntura economica e in una maggiore emissione di inquinanti nell'atmosfera;
il sistema attuale di gestione separata dei due spazi aerei potrebbe non essere più in grado di affrontare il notevole incremento di traffico aereo che qui si prevede per i prossimi anni costituendo un gravoso «collo di bottiglia», con quello che ne consegue per i ritardi e la perdita di competitività del sistema trasporti nazionale;
l'Italia ha aderito al progetto europeo «Single Sky» che ha fra gli obbiettivi principali l'incremento dell'efficienza e della capacità dei sistemi di controllo del traffico aereo;
Enav Spa ha investito ingenti risorse nell'aeroporto di Venezia dove a breve sarà inaugurata una nuova struttura all'avanguardia comprendente una nuova torre di controllo oltre all'implementazione di apparati tecnologici di ultima generazione;
Enav Spa già da qualche mese opera e gestisce il traffico nella zona di controllo di avvicinamento di Garda (ex Aeronautica Militare) che serve gli aeroporti di Verona Villafranca, anche questo prossimo al passaggio all'aviazione civile, di Montichiari e l'aeroporto militare di Ghedi, dove operano 3 gruppi di volo dell'Aeronautica militare;
la tecnologia presente nel sito di Venezia consente al sistema radar di utilizzare i dati provenienti dal radar militare di Istrana. I controllori del traffico aereo dell'Enav Spa di Venezia possono essere opportunamente addestrati in brevissimo tempo per gestire anche traffico aereo militare operativo, così come è avvenuto per il sito di Verona Villafranca nei primi mesi del 2010 –:
se intenda assumere tutte le iniziative ritenute più idonee, in qualità di autorità di vigilanza e controllo sul sistema di trasporti nazionale, presso Enav Spa e unitamente agli altri Ministeri competenti, al fine di concordare una riunificazione delle due zone di controllo di avvicinamento sotto la gestione unica dell’ ENAV Spa di Venezia, ciò per consentire una gestione più spedita ed economica delle rotte aeree, un notevole risparmio economico per i vettori e di tempo per gli utilizzatori nonché un risparmio per lo Stato, considerato l'attuale sdoppiamento di compiti e quindi di personale, unificazione che si sottolinea potrebbe avvenire con costi e in tempi minimi a fronte di un notevole risparmio per il bilancio del Ministero della difesa ed un significativo aumento dell'efficienza e delle capacità di traffico dei due scali del nord-est. (4-08922)
INTERNO
Interrogazioni a risposta scritta:
BERTOLINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
all'alba del 4 ottobre 2010 un peschereccio tunisino, o egiziano, si è arenato sul litorale della provincia di Latina, a soli 70 chilometri da Roma, sbarcando un numero imprecisato di clandestini, di cui solo alcuni catturati, mentre di almeno altri 25 se ne sono perse le tracce –:
se questo episodio, che fa seguito al ritrovamento di un barcone abbandonato in località Torre Astura, cioè a pochi chilometri dalla località dello sbarco avvenuto il 4 ottobre, possa far presumere che sia stata inaugurata una nuova rotta per gli immigrati clandestini –:
come sia potuto accadere che questa grossa imbarcazione sia arrivata sulle nostre coste vicino alla capitale, senza che nessuno se ne accorgesse;
quali misure si intendano adottare, affinché episodi sconcertanti come questo non si ripetano. (4-08916)
NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il 1o ottobre 2010 a Padova si sono verificati due omicidi a distanza di un'ora l'uno dall'altro. Nel dettaglio, sono stati rinvenuti i corpi senza vita di due cittadini magrebini: si tratta di Khalid Anoir, 19 anni, marocchino, accoltellato in piazzale Cuoco in zona Guizza, e Khaled Chokri, 35 anni, tunisino, ucciso in via Vecellio in zona Arcella. Entrambi risulterebbero essere vittime di un «regolamento di conti»;
a poche ore dai fatti il sindaco di Padova Flavio Zanonato ha convocato d'urgenza i parlamentari eletti nella circoscrizione cittadina per una prima analisi degli episodi e per raccogliere proposte, iniziative, idee e progetti volti a garantire la sicurezza in città;
la squadra mobile e i Carabinieri di Padova hanno già individuato e arrestato i presunti autori degli omicidi, dimostrando anche in questa occasione un notevole livello di capacità di intervento e di efficienza;
come ripetutamente evidenziato dagli organi di stampa e dalle più recenti analisi in materia, si registra una crescente domanda di sicurezza e legalità da parte dei cittadini padovani, preoccupati per il possibile ripetersi degli episodi sopra descritti;
il Ministro dell'interno si è già interessato alla situazione della sicurezza a Padova –:
quali misure intenda porre in essere per aumentare la presenza delle forze dell'ordine a Padova. (4-08918)
D'AMICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
da notizie apparse su Il Messaggero del 28 settembre scorso si apprende di un'indagine dell'ufficio immigrazione di Roma che avrebbe fatto emergere una consistente truffa nell'ambito della regolarizzazione di colf e badanti attualmente in corso;
secondo quanto riportato dal citato quotidiano un'indagine avviata qualche mese fa avrebbe portato a scoprire che su 30.000 richieste di regolarizzazione presentate per Roma e provincia, circa 8.000 sarebbero in odore di truffa e 1.500 sicuramente false;
la falsità delle domande consisterebbe nel fatto che le richieste di assunzione sarebbero state avanzate da datori di lavoro fittizi, utilizzando identità rubate o nomi di persone defunte;
la truffa sarebbe stata architettata da avvocati radiati dall'albo e da persone a capo di finte agenzie di servizi o di Onlus, che incassavano cifre variabili tra i 2.000 e i 7.000 euro per ciascuna pratica –:
se i fatti in premessa corrispondano al vero e se siano state disposte o se il Ministro intenda attivare verifiche presso tutte le prefetture al fine di smascherare eventuali truffe, simili a quelle illustrate in premessa. (4-08920)
BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nella giornata di domenica 3 ottobre 2010, a Palermo, numerosi agenti della polizia si sono resi protagonisti di comportamenti che appaiono in contrasto con le norme dell'ordinamento giuridico;
tra questi, si riporta il racconto di uno di essi fattone da un testimone oculare di una scena a cui non immaginava di dover assistere. Egli ha dichiarato alla stampa: «Ho assistito a una scena da brividi: la polizia che strappa di mano un cartello strattonando un anziano ben vestito solo perché aveva osato scrivere »Difendiamo i bambini e non i preti«»;
il testimone oculare così prosegue il racconto: «l'episodio è avvenuto all'altezza dei Quattro Canti intorno alle 13, poco prima del passaggio del papa a bordo della sua papamobile – Se per la polizia quell'uomo, mostrando quel cartello, stava commettendo un reato allora avrebbe dovuto portarlo in commissariato e denunciarlo. Invece, tutto è successo solo perché un normale cittadino stava esprimendo la propria opinione, tra l'altro senza offendere nessuno»;
sempre nella stessa giornata, in precedenza, alle ore 11,30, numerosi agenti della polizia di stato, in divisa, assieme ad agenti della Digos, hanno intimato la rimozione di uno striscione posto all'interno della vetrina della libreria AltroQuando in via Vittorio Emanuele, 143, a Palermo;
lo striscione recitava la frase: «I love Milingo»;
gli agenti lo hanno sequestrato assieme alle locandine della mostra «La Papamobile del futuro», da tre giorni allestita presso la stessa libreria. La motivazione addotta al provvedimento è stata quella di ritenere offensiva una simile frase proprio nel momento in cui il corteo del pontefice sarebbe passato da corso Vittorio Emanuele;
i titolari della libreria hanno dichiarato: «Riteniamo che questo provvedimento mini fortemente i diritti costituzionali sulla libertà di manifestazione del proprio pensiero, sia attraverso la critica che la satira. Riteniamo che il messaggio in questione non offendeva nessuno, né tantomeno istigava a comportamenti violenti»;
quanto dichiarato è ragionevole poiché, effettivamente, appare agli interroganti violato l'articolo 21 della Costituzione, quello che garantisce a ciascuno la libera manifestazione del pensiero; infatti «manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altri mezzo di diffusione» è quanto prescrive il dettato costituzionale;
la libera manifestazione del pensiero comprende, ovviamente, anche libertà di critica. Le forze di polizia non possono rimuovere un manifesto solo perché da essi considerato inopportuno. Possono rimuoverlo se la sua esposizione costituisce reato, oppure se crea un pregiudizio all'incolumità pubblica. Nessuna delle due ipotesi si è verificata;
per tacere il fatto che gli agenti hanno sequestrato lo striscione senza il mandato di alcun magistrato, violando anche l'articolo 14 della Costituzione, che recita: «Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale» –:
se le notizie riportate in premessa corrispondano al vero;
nell'eventualità positiva, quale sia il motivo in base al quale la Digos ha sequestrato, illegittimamente ad avviso dell'interrogante, il manifesto;
quali iniziative gravi ed urgentissime intenda assumere per ripristinare l'effettività del libero godimento di alcuni dei diritti di libertà più preziosi, in un contesto democratico, poiché i diritti di cui gode il papa non possono conculcare quelli della cittadinanza, diritti costituzionalmente protetti la cui violazione appare particolarmente grave e odiosa perché perpetrata proprio ai danni di liberi cittadini i quali hanno avuto la ventura di manifestare legalmente il proprio pensiero. (4-08934)
BERTOLINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
la denuncia formulata dal direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, di episodi di spionaggio dei telefoni in uso al quotidiano da lui diretto è un fatto assai grave ed inquietante;
la giornalista televisiva, Lucia Annunziata, nel suo programma andato in onda domenica scorsa, ha affermato di avere ascoltato un'intercettazione, che non appare certo effettuata in conformità alle norme di legge, il che conferma che in questo campo siamo di fronte ad una situazione di diffusa illegalità;
siamo, quindi, ancora una volta a constatare un eccesso di intercettazioni telefoniche, sia illegali, sia disposte da pubblici ministeri, che spesso vengono fatte trapelare ad arte e, secondo l'interrogante, con evidenti finalità politiche –:
quali iniziative intendano adottare, nell'ambito dei propri poteri, i Ministri interrogati per fare applicare effettivamente le norme vigenti contro le intercettazioni abusive e quali iniziative normative intendano assumere per limitare quelle disposte dall'autorità giudiziaria alle reali esigenze investigative per reati gravi e per garantirne comunque la riservatezza nel rispetto della normativa vigente. (4-08938)
MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il 18 settembre 2010, sul quotidiano Il fatto è stata pubblicata la lettera con cui il sindaco Antonio Scalzone ha cercato di vietare l'installazione della targa commemorativa degli immigrati uccisi a Castel Volturno. È indirizzata a un padre comboniano, ma è rivolta a tutti i movimenti antirazzisti del casertano. È stata inviata anche al prefetto e al questore di Caserta:
«Gentilissimo Padre,
Sono convinto almeno quanto lei che il 18 settembre sia un giorno da non dimenticare per la tristezza che ha colpito la nostra comunità fatta di castellani e di extracomunitari.
Tutti abbiamo sofferto soprattutto per la crudeltà e l'efferatezza con cui la camorra si è manifestata, una violenta ferocia che ha attirato l'opinione pubblica nazionale e internazionale e ha fatto conoscere nel modo peggiore la nostra città al mondo intero.
La strage di San Gennaro ha attirato nel nostro territorio decine di televisioni e di giornalisti della carta stampata sia nazionali che stranieri, l'immagine che ne è venuta fuori della città è stata sicuramente non edificante e gratificante e ha scosso le coscienze di noi castellani, ma ha anche ulteriormente appestato questa città dalla quale si fugge per lasciarla al definitivo e inarrestabile degrado.
Sono anche rammaricato perché la vostra rete antirazzista sembra essere sbilanciata solo verso un colore e non si è mai attivata per le altre vittime della camorra in questo territorio. Infatti, le vostre associazioni non ricordano che anche quella sera stessa fu ammazzato un altro cittadino, di colore bianco, in località Baia Verde.
Tralasciando le polemiche che non fanno bene alla nostra città, ritengo inopportuno e improponibile l'allocazione della scultura commemorativa della strage in ragioni di indagini che ancora non sono concluse, ma che gettano più di un'ombra sulla strage.
Secondo notizie di stampa la sartoria Exotic Fashion era una base di spaccio per la droga gestita da un'organizzazione criminale di cui facevano parte immigrati dal Ghana. Pertanto invita le associazioni a rinunciare di commemorare, probabilmente, bande di criminali, e condividere la scelta dell'amministrazione comunale che nelle prossime settimane dedicherà una piazza a due poliziotti che dopo la strage sono morti nel compiere il loro dovere: Francesco Alighieri e Gabriele Rossi».
il 20 settembre sul quotidiano La Repubblica è stato pubblicato l'articolo «Castel Volturno, bufera sul sindaco. Mantovano: “Frasi poco felici”» in cui tra l'altro è scritto:
«Si è opposto alla scultura in memoria dei sei ghanesi assassinati nella strage del 18 settembre 2008 sostenendo che “le vittime forse spacciavano droga”. Non ha rinunciato ad affermazioni pesanti nei confronti degli immigrati: “Vivono sulle nostre spalle, fosse per me farei come a Rosarno”. E ha persino accusato le associazioni di volontariato di lucrare “su questa umanità disperata”. Ma adesso è bufera sul sindaco di Castel Volturno Antonio Scalzone. Renato Natale, presidente una delle associazioni bersagliate, quella intitolata a Jerry Masslo, parla di “dichiarazioni sconvolgenti” e annuncia una querela per diffamazione. E anche il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano prende le distanze da Scalzone e, a Repubblica, spiega: “Con i sindaci e gli amministratori locali il Governo e il ministero dell'interno intrattengono un filo diretto costante, che per un verso impedisce di polemizzare. Per altro verso, però, non costringe a condividere tutto quel che si dice. Sicuramente il contesto ambientale in quella zona esercita una certa pressione. Personalmente, preferisco non polemizzare né giustificare. Mi pare però che si sia trattato di frasi poco felici, sono sicuro che il sindaco per primo se ne sarà già reso conto”. Ricorda, il sottosegretario all'Interno, “che dalla strage di due anni fa è partito lo straordinario impegno quantitativo e qualitativo messo in campo dal governo nel territorio della provincia di Caserta: l'invio dell'esercito, di 500 uomini fra poliziotti e carabinieri, mezzi e strutture. Il progetto era già in incubazione prima di quel massacro, perché nella zona si erano verificati già altri delitti gravissimi. Ma da quel momento il “Modello Caserta” è entrato nel vivo»;
il 24 settembre il consiglio comunale di Castel Volturno ha approvato un documento con i voti di maggioranza ed opposizione e con il solo voto contrario dell'unico consigliere di opposizione del PD Caprio in cui tra l'altro si afferma che:
«Una città con circa 21.000 castellani e 15.000 extracomunitari: una follia che solo in un territorio accogliente e tollerante poteva accadere. Una follia avere circa 15.000 extracomunitari di cui solo 2.000 iscritti all'anagrafe del comune, il resto clandestini. Centinaia di case, in parte occupate abusivamente oppure detenute in affitti perlopiù a nero, in condizioni igienico sanitarie preoccupanti per la salute pubblica, una follia. Ogni mattina gli extracomunitari partono a migliaia con mezzi pubblici per tutta la provincia di Napoli e Caserta per trovare lavoro nero, decine di negozi gestiti da loro perlopiù attività che coprono presumibilmente altre attività illecite, attività di transfer money nelle quali transitano fiumi di danaro, quasi tutti i giorni la stampa locale riporta notizie di arresti tra extracomunitari, quintali di droga trafficati e spacciati in questi ultimi anni: Castel Volturno crocevia di traffico internazionale di droga. Solo dopo varie lotte siamo riusciti ad allontanare le centinaia di prostitute che affollavano la nostra tristemente famosa strada Domitiana. Negli ultimi cinque anni vi sono migliaia di arresti e di denunce a piede libero. Molti demagoghi ed alcuni affaristi continuano a ripetere che gli immigrati sono una risorsa, è vero lo sono per i proprietari che affittano porcilaie a nero, per datori di lavoro a nero, per la camorra e per la mafia nigeriana ed extracomunitaria.
Il 100 per cento degli immigrati in questa città non paga la tassa sui rifiuti, il 100 per cento non paga il trasporto pubblico, il 99 per cento viaggia su motoscooter sprovvisti di targa, il 99 per cento guida auto sprovviste di assicurazione rca, quasi tutti non pagano le multe, non pagano gli avvocati d'ufficio, non pagano i ricoveri, non pagano l'assistenza sanitaria, non pagano la tassa di possesso, non pagano le condanne giudiziarie, molti regolari ottengono il permesso di soggiorno su attività presumibilmente fittizie, alcuni hanno il permesso di soggiorno nonostante hanno riportato condanne penali passate in giudicato»;
il 30 settembre sul quotidiano «il Manifesto» è stato pubblicato l'articolo «Castelvolturno – Il sindaco accoglie Forza Nuova, la questura vieta il corteo – Dopo il rifiuto di sistemare una lapide nel luogo in cui vennero trucidati i sei lavoratori africani» nel quale si afferma:
«Stasera a Castelvolturno erano attesi i valorosi patrioti al seguito di Roberto Fiore in corteo: “Per Forza Nuova e per l'Italia è iniziata una sfida che avrà come esito o il crollo sociale di una città o la prima liberazione di una parte del territorio occupato da crimine e caos”, scrivono sui loro blog. Chiedono l'espulsione di tutti i clandestini. La questura di Caserta, però, ha vietato la manifestazione. Se arriveranno lo stesso, daranno il loro contributo, in termini di tensione sociale, alla campagna di odio contro la popolazione migrante.
I riflettori si sono accesi il 18 settembre, quando il sindaco del Pdl Antonio Scalzone (la sua prima amministrazione sciolta nel ’98 per infiltrazione camorristica, accusato da più di un pentito di collusione con i Casalesi) rifiutò di dare l'autorizzazione ai comitati che hanno posto un'installazione sul luogo della strage di sei migranti, due anni fa, ad opera del gruppo di fuoco capeggiato da Giuseppe Setola. La pubblica accusa, che sta processando mandanti ed esecutori, ha accertato che erano semplici lavoratori, in cinque avevano il permesso di soggiorno, il sesto aveva denunciato il datore di lavoro che si era rifiutato di metterlo in regola. Per il sindaco non è sufficiente, gli extracomunitari sono tutti criminali, o sospettati di esserlo, girano in macchinoni, aprono negozi di lusso, non pagano le tasse e hanno più soldi dei castellani.
Sulla manifestazione di Forza Nuova, poi, il primo cittadino risponde: “Vengono per portarmi la loro solidarietà, e io li accoglierò volentieri”. Sabato prossimo chiama in piazza i suoi elettori contro lo sciopero delle rotonde proclamato l'8 ottobre (dove i migranti si presenteranno con il cartello “oggi non lavoro per meno di 50euro”), corteo a Castelvolturno il giorno dopo. “Il sindaco invoca una nuova Rosarno a Castelvolturno e Forza Nuova accorre per fare proseliti”, dice Mimma D'Amico del centro sociale ex Canapificio. “Evidentemente i razzisti di questo partitino si sentono esaltati dalle gesta di un sindaco”, commenta il Forum antirazzista della Campania. Le associazioni, poi, si domandano a chi affitterebbero a nero le ville abusive i castellani, chi farebbe i lavori nei campi in tutto il sud e nell'edilizia, sempre in nero, fino all'Expo di Milano e chi sono i clienti delle prostitute».
detto documento appare agli interroganti un puntuale e preciso atto di denuncia contro il sindaco per violazione delle attuali leggi e in particolare dell'articolo 6 (Modifica del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000, in materia di attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale) del testo coordinato del decreto-legge 23 maggio 2008 n. 92 (Gazzetta Ufficiale n. 173 del 25 luglio 2008);
va ricordato che Forza Nuova nel proprio programma su «immigrazione e sicurezza» propone che «Noi affermiamo il diritto degli italiani all'autodifesa dalla criminalità a livello di base, per lo meno dove lo Stato è palesemente incapace di proteggere i cittadini. Le strade e le piazze della nostra Patria che appartengono di diritto al popolo italiano devono tornare ad appartenergli anche di fatto. Lo Stato deve riconoscere e tutelare il diritto naturale degli italiani alla pratica dell'autodifesa, individuale, familiare e comunitaria, a livello di paese, quartiere o città» –:
se quanto riportato nel documento adottato dal consiglio comunale sia vero e, in particolare, che Castel Volturno avrebbe 36.000 abitanti di cui 15.000 extracomunitari e di questi ben 13.000 clandestini e che vi sono «centinaia di case, in parte occupate abusivamente oppure detenute in affitti per lo più in nero, in condizioni igienico-sanitarie preoccupanti per la salute pubblica»;
se e quali iniziative di competenza intenda assumere per evitare che siano in vario modo sostenute attività di stampo razzista. (4-08941)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazione a risposta in Commissione:
FRASSINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
da numerose fonti di stampa risulta che nel novembre 2009 un docente dell'Istituto tecnico industriale statale liceo scientifico «Ettore Molinari» di Milano ha effettuato sperimentazioni didattiche tramite la dissezione di quattro conigli, due dei quali portati in classe ancora vivi;
al fine di dare avvio all'esercitazione, il docente provvedeva personalmente all'uccisione dei due animali, dapprima legando intorno al collo degli animali uno spago con l'intento di provocare il distacco osseo della zona cervicale dal cranio, successivamente, visto il tentativo fallace, tentando di strangolarli e colpendoli ripetutamente alla testa con pugni; ma, sopravvivendo agonizzante un coniglio, il docente è quindi ricorso alla rottura cranica tramite percosse con martello;
sui fatti come descritti è stata presentata denuncia all'autorità giudiziaria;
la nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e dalla ricerca n. 2219 del 29 aprile 2008 «impiego di animali nelle scuole primarie e secondarie, divieto di uso di animali e obbligo di utilizzo metodi alternativi», si esprime chiaramente sulla materia a tutela degli animali al fine di assicurare un'efficiente didattica senza il loro utilizzo;
l'uccisione di animali per fini didattici e con le modalità suddescritte, al di fuori di quanto espressamente previsto dal decreto legislativo n. 116 del 1992, costituisce reato ai sensi dell'articolo 544-bis del codice penale per aver cagionato la morte di animali senza necessità;
sono attualmente disponibili svariati metodi alternativi alla dissezione che insegnano fisiologia, anatomia, genetica ed etologia dell'animale, in grado di ricreare anche varie patologie e sintomatologie –:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di evitare e prevenire simili episodi nelle scuole. (5-03536)
Interrogazioni a risposta scritta:
CESARE MARINI. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
la minoranza arbëreshe è tra le grandi etnie esistenti in Italia e la più numerosa tra quelle insediate nel Mezzogiorno;
l'arrivo di esuli albanesi nel 1468 dall'Albania e nel 1530 dalla Grecia fu causato dalla morte dell'eroe Giorgio Castriota Sacanderbeg e dall'occupazione da parte dei Turchi, prima della regione albanese e successivamente del Peloponneso;
attualmente i discendenti delle ondate migratorie di massa del quindicesimo e sedicesimo secolo abitano in cinquanta comuni, disseminati in più regioni, in particolare in numero elevato in Calabria per essere stati accolti con favore dai feudatari locali che hanno utilizzato l'imponente esodo per ripopolare contrade disabitate e incolte;
nonostante siano trascorsi dal loro arrivo più di cinque secoli e si siano integrati completamente alle popolazioni indigene, conservano la lingua delle origini, le tradizioni, costumi di vita, il rito religioso bizantino e i caratteristici ambienti urbani delle loro abitudini di vita sociale;
gli elementi specifici di questa popolazione consistono nell'uso quotidiano della lingua, tramandata da generazione in generazione e custodita come patrimonio inviolabile di ogni famiglia;
a San Demetrio Corone, comune albanofono, in provincia di Cosenza, esiste un liceo ginnasio che ha il merito di essere stato la prima scuola superiore sorta in Calabria nel 1794;
il collegio italo-albanese «S. Adriano», con annesso liceo classico di San Demetrio Corone, ha svolto egregiamente il compito di preparare i giovani intellettuali calabresi e per un certo periodo, per espressa volontà dei governi succeduti dopo il 1861, anche giovani d'Albania;
i rapporti di amicizia tra l'Italia e il popolo di Albania, esistenti tutt'ora, hanno favorito l'impegno dello Stato italiano nella formazione delle classi dirigenti del piccolo Paese dei Balcani e che, nel passato, un ruolo centrale lo ha avuto il collegio S. Adriano;
vi è il concreto interesse del nostro Paese di preservare il rapporto privilegiato con l'Albania in prospettiva del suo ingresso nell'Unione europea nonché della non lontana realizzazione, come deciso nella conferenza di Barcellona, di un'area di libero scambio nel Mediterraneo tra l'Unione europea, i Paesi dell'Africa del Nord e dei Balcani;
l'importanza del liceo ginnasio di San Demetrio Corone ha avuto nel passato ampi riconoscimenti circa la sua specificità di istituto di formazione preposto alla preparazione dei giovani italo-albanesi, dei calabresi e alla funzione di penetrazione culturale nei Balcani, utilizzando il rapporto con l'Albania;
per soddisfare l'esigenza della minoranza linguistica Arbëresh di conservare la lingua di origine, utilizzata nei rapporti interpersonali, fu ritenuto, fin da epoca remota, di prevedere tra le materie di insegnamento la lingua e letteratura albanese;
il Governo del regno di Napoli istituì fin dal 1849 l'insegnamento curriculare di lingua e letteratura albanese, affidando la cattedra al maggiore poeta arbëreshe Girolamo De Rada, sospesa nel 1852 per le idee nuove che professava il docente, ripristinata successivamente nel 1892 fino alla morte dell'insigne linguista, avvenuta nel 1903;
la cattedra fu di nuovo ripristinata con decreto ministeriale del 16 aprile 1924 e, dopo una sospensione, avvenuta alla fine degli anni 30 motivata dalle difficoltà di reperire docenti qualificati nella materia, in via parzialmente sperimentale, fu definitivamente attivata nell'anno accademico 1988/89 ed è tutt'ora in funzione come disciplina caratterizzante lo stesso istituto;
per l'anno scolastico iniziato i ridotti trasferimenti pubblici hanno comportato un minor numero di ore alla prima classe del ginnasio che prelude, con la riduzione annuale delle ore, alla sparizione della cattedra;
erroneamente si ritiene la lingua e letteratura albanese una seconda lingua straniera, mentre, invece, si tratta di un insegnamento curriculare, indispensabile per la tutela della minoranza arbereshe e per i rapporti di amicizia e interscambio economico con l'Albania;
è esigenza, ritenuta prioritaria da parte delle minoranze linguistiche, la tutela delle lingue parlate per cui si vanificherebbe il dettato della legge 15 dicembre 1999, n.482, qualora dovesse essere abolita la cattedra;
le nuove disposizioni ministeriali degli ultimi anni in materia di formazione delle classi secondo un certo rapporto docente-alunni e di abolizione di corsi erano temperate dalle necessarie eccezioni per alcune particolari situazioni, quali l'esistenza di minoranze linguistiche e di diffuse devianze gravi –:
se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza al fine di assicurare dal prossimo anno scolastico il mantenimento nel liceo ginnasio di San Demetrio Corone dell'insegnamento di dieci ore, che si traducono in due ore per classe, della lingua e letteratura albanese e se non reputi opportuno, conformemente alle indicazioni contenute da più anni nelle direttive dei Ministri dell'istruzione, dell'università e della ricerca, promuovere cattedre di lingua e letteratura albanese in tutti i comuni a maggioranza Arbëreshe. (4-08928)
MARIO PEPE (PdL). — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. — Per sapere – premesso che:
la legge 21 dicembre 1999, n. 508, ha trasformato l'Accademia nazionale di danza (AND) in istituto dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica;
con il decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132, è stato emanato il regolamento applicativo della legge n. 508 del 1999, recante criteri per l'autonomia statutaria, regolamentare e organizzativa delle istituzioni artistiche e musicali;
ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003, il presidente e il direttore sono organi necessari delle istituzioni, durano in carica 3 anni e possono essere riconfermati una sola volta;
il presidente è nominato dal Ministro entro una terna di soggetti, designata dal consiglio accademico, in possesso di alta qualificazione professionale e manageriale (articolo 5); il direttore è eletto dai docenti dell'istituzione, nonché dagli assistenti, dagli accompagnatori al pianoforte e dai pianisti accompagnatori, tra i docenti, anche di altre istituzioni (articolo 6);
l'attuale Presidente dell'AND è stato nominato nel 2001 e l'attuale direttore è in carica ininterrottamente dal 1996 e, grazie alla «norma transitoria» di cui all'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003, manterrà le funzioni «fino alla cessazione del rapporto per effetto del verificarsi di cause previste dalla normativa vigente»;
l'ininterrotto mantenimento delle cariche per un lasso temporale così lungo rischia di aver dato luogo ad una gestione «domestica» della cosa pubblica, senza alcun effettivo controllo, come sembra dedursi dagli atti di sindacato ispettivo presentati nell'ultimo anno sull'AND;
tale gestione ha avuto pesanti ripercussioni anche sulla collegata fondazione dell'AND (FAND), che è stata amministrata dagli attuali presidente e direttore dell'accademia nazionale di danza almeno sino al gennaio 2010;
i nuovi organi di amministrazione della FAND hanno già segnalato in più sedi, ivi compresa quella giudiziaria, il discarico sulla Fondazione di ingenti oneri economici inerenti ad attività dell'AND, segnalando altresì che il presidente e il direttore dell'AND non hanno dato conto della loro gestione in FAND;
ad avviso dell'interrogante sussiste il rischio che siano state violate se non le disposizioni, quanto meno la ratio dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132, in materia di limiti di rieleggibilità degli organi dell'AND;
il combinato disposto degli articoli 5 e 7 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003 («Il presidente è nominato dal Ministro entro una terna di soggetti, designata dal consiglio accademico», laddove il suddetto consiglio è composto da docenti e studenti interni), nonché 6 (Il direttore è eletto dai docenti dell'istituzione), rischia altresì di favorire, a causa della ristrettezza della base elettorale, il formarsi di una struttura di potere che detenga in contrasto con lo spirito della normativa indefinitamente il controllo dell'istituzione, al di fuori di qualunque valutazione qualitativa –:
se non ritenga assolutamente opportuno sopprimere l'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132, ovvero lo stesso debba essere considerato ormai abrogato per effetto della vigente normativa di riferimento, con particolare riferimento all'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, secondo cui tutti gli incarichi di funzione dirigenziale nelle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, devono avere durata predeterminata ed individuare gli obiettivi da conseguire e al titolo II del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, che disciplina il sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, al fine di assicurare elevati standard qualitativi ed economici del servizio tramite la valorizzazione dei risultati e della performance organizzativa e individuale. (4-08937)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
BOBBA, LIVIA TURCO e DAMIANO. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 1 comma 2 lettera b) della legge 21 novembre 1988, n. 508, prevede che l'indennità di accompagnamento viene oggi concessa alle persone con inabilità totale quando i cittadini si trovino nella impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore, oppure, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, necessitino di una assistenza continua;
l'indennità viene, quindi, concessa nel caso in cui ricorra o il grave impedimento alla deambulazione, tanto grave da non potersi muovere senza l'aiuto di un accompagnatore, oppure qualora vi sia la necessità di assistenza continua, riscontrabile ogni qualvolta una persona non sia in grado di compiere gli atti quotidiani della vita;
dal 1o gennaio 2010 la domanda di accertamento di invalidità, handicap e disabilità si presenta all'INPS e non più alle aziende USL e le competenti commissioni delle ASL sono integrate da un medico dell'INPS, così come disciplinato dal decreto-legge n. 78 del 2009 all'articolo 20, e dalla circolare 28 dicembre 2009, n. 131 dell'INPS;
in sede di conversione del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito definitivamente dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, le proposte avanzate di una modifica dei criteri di concessione dell'indennità di accompagnamento per le persone disabili, che incidevano sulla qualifica delle capacità deambulatorie e sulla capacità di svolgere gli atti elementari della vita e che avrebbero portato ad una sensibile riduzione delle erogazioni degli assegni a favore di persone realmente disabili piuttosto che di una lotta all'abusivismo non ebbero seguito;
non è pertanto rilevante ai fini del riconoscimento dell'assegno la necessità di assistenza continua nel caso di impossibilità allo svolgimento degli atti strumentali della quotidianità, ovvero quegli atti che includono la capacità di usare il telefono, di fare acquisti e gestire il denaro, di preparare il cibo, di governare la casa, di cambiare la biancheria, di usare i mezzi di trasporto, di essere responsabili nell'uso dei farmaci, di essere capaci di maneggiare il denaro;
nonostante quanto emerso dall'attività parlamentare l'INPS, con una Comunicazione del 20 settembre 2010, ha stabilito che «si rende indispensabile potenziare (...) il ricorso all'accertamento sanitario diretto sulla persona con l'obiettivo di verificare la sussistenza ovvero la permanenza dei requisiti sanitari (...).»;
nonostante la nota affermi che l'intento è di rendere «definitivo il giudizio medico legale dei sanitari INPS, con il dichiarato obiettivo di evitare futuri disagi al cittadino conseguenti a successive verifiche sanitarie straordinarie», non appare inverosimile che il vero obiettivo sia quello di stringere ulteriormente i meccanismi di controllo e di restrizione delle provvidenze concesse;
le stesse «Linee Guida operative per l'invalidità civile», allegate alla nota del direttore generale (paragrafo «Visita diretta»), a cui dovrebbero attenersi i medici dell'INPS nell'esame delle domande di invalidità, sottolineano «che l'accertamento sanitario diretto è da ritenersi prioritario al fine di garantire la massima coerenza metodologica e la trasparenza dell'iter valutativo e del conseguente giudizio medico-legale. Ciò soprattutto nei casi in cui si evidenzi una severa minorazione dell'integrità plico-fisica da cui derivano benefici assistenziali»;
le linee guida intervengono nel limitare il concetto di autonomia nella deambulazione, restringendo notevolmente il campo di applicazione anche per persone che possono muoversi solo a stento in modo autosufficiente, escludendoli addirittura se in grado di muoversi su una sedia a ruote senza accompagnatore;
intervengono, altresì, sulla definizione di atti quotidiani della vita, anche in questo caso restringendo l'applicazione rispetto alle attuali valutazioni, di modo che potrebbe essere esclusa dall'assegno una persona affetta da sindrome di Down o in grado di svolgere singoli atti quotidiani ma assolutamente incapace di muoversi in modo autonomo fuori da casa propria, come avviene anche per gravi forme di disabilità intellettiva;
la Circolare 131/2009 prevedeva una valutazione sugli atti o con visita diretta presso la commissione INPS, mentre con le nuove disposizioni, l'INPS suggerisce il ricorso prioritario alla visita diretta;
il ricorso alla visita diretta è prioritario, secondo INPS, anche nel caso in cui il giudizio della, Commissione ASL, integrata con il medico INPS, sia stato unanime, soprattutto nei casi in cui siano previsti benefici assistenziali, ovvero, in particolare, pensioni, assegni, indennità;
non si esclude che molti disabili verranno, d'ora in poi, sottoposti ad una doppia visita: prima all'ASL e poi all'INPS, con l'esponenziale aumento di disagi e ritardi, a causa della dubbia motivazione di INPS relativa al fatto che tali procedure siano rivolte ad un minor disagio per il cittadino;
secondo quanto affermato, il permanere dei medici dell'INPS in seno alle commissioni delle ASL, perde il requisito di opportunità di accelerare e ottimizzare i procedimenti e, dopo le nuove indicazioni, appare piuttosto come un costo per INPS senza vantaggio per il sistema;
a parere dell'interrogante, contenuti nelle linee guida riconosciuti alle persone disabili, ponendosi in chiaro contrasto con l'intenzione del legislatore;
l'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 2009, stabilisce che «In ogni caso l'accertamento definitivo è effettuato dall'INPS», rischiando in questo modo di determinare la prevalenza delle indicazioni interne dell'INPS sulle stesse disposizioni di legge interpretate dall'Istituto e generando verosimilmente nuovi e copiosi contenziosi –:
se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali abbia espresso delle direttive in materia all'INPS;
se i Ministri interrogati non ritengano di intervenire per assicurare chi sia pienamente applicata la normativa in materia senza violare i diritti del cittadini inabili, previsti dalle vigenti leggi in materia di invalidità e dalla Costituzione. (5-03544)
CODURELLI, DAMIANO, MADIA, GNECCHI, GATTI, RAMPI, FIORIO e SCHIRRU. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
un ex dipendente dell'azienda Badoni-Costameccanica, da luglio in regime di cassa integrazione guadagni straordinaria e alla ricerca di nuova occupazione, ha sostenuto nei giorni scorsi un colloquio con il direttore amministrativo della «Caimi Export S.p.A.» di Novedrate (Como), un'azienda produttrice di articoli di arredamento in metallo e di accessori per mobili. Al primo colloquio, con esito positivo per il lavoratore ne segue un secondo, al quale prende parte, oltre al direttore amministrativo, anche il direttore dell'ufficio tecnico e la dottoressa Adele Caimi, proprietaria dell'azienda;
il colloquio procede molto bene, vengono appurate le competenze del candidato, che trovano corrispondenza nel profilo ricercato. Al termine del colloquio la proprietaria dell'azienda, la dottoressa Caimi, rivolgendo un'ultima domanda, chiede al candidato se abbia eventuali rapporti con il sindacato. Il lavoratore risponde di essere iscritto alla Fiom-Cgil e la Caimi ribatte che lei per principio non assume nessuno che abbia la tessera di un qualsiasi sindacato;
dopo una lunga discussione il lavoratore viene invitato ad uscire e ad andarsene, perdendo una seria opportunità di lavoro;
da articoli apparsi sulla stampa locale si evince che la proprietà dell'azienda non è nuova a fatti di questo genere –:
quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di accertare le condizioni di esercizio delle libertà di pensiero e sindacali all'interno della citata impresa, considerato che, ad avviso degli interroganti, i fatti di cui in premessa evidenziano una palese violazione dell'articolo 39 della Costituzione e degli articoli 14 e 15 dello Statuto dei lavoratori.
(5-03548)
Interrogazioni a risposta scritta:
ROSSA e TULLO. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
con l'articolo 13 della legge 27 marzo 1992 n. 257, nel quadro di una più ampia disciplina concernente la dismissione dell'amianto, successivamente modificata ed integrata ripetutamente anche in vista dell'avanzamento e della conclusione dell'attività di bonifica, sono state accordate ai lavoratori specifiche «misure di sostegno» in ragione dell'essere stati esposti all'amianto medesimo;
con dichiarazioni rilasciate tra il 1998 e il 2005, sulla base degli atti di indirizzo ministeriali e dei pareri della CONTARP l'INAIL ha riconosciuto l'esposizione all'amianto ai lavoratori dipendenti della società Ansaldo Energia s.p.a. di Genova, in relazione alle numerose figure professionali e ai diversi reparti degli stabilimenti di Sampierdarena e Campi;
secondo le previsioni di legge, sulla base della certificazione dell'avvenuta esposizione all'amianto rilasciata dall'INAIL, i lavoratori hanno chiesto ed ottenuto dall'INPS l'accredito della rivalutazione della propria anzianità contributiva secondo il coefficiente 1,5 potendo così accedere al trattamento pensionistico;
con una serie di provvedimenti emessi nell'ambito di una ricognizione tutt'oggi in corso e riguardante l'attività di accertamento e la certificazione dell'esposizione all'amianto ai fini pensionistici, effettuata dalla polizia giudiziaria, l'INAIL, come da indicazioni ricevute dalla direzione regionale Liguria, ha avviato procedimenti volti al riesame dei presupposti oggetto dei provvedimenti certificativi già emanati dalla sede di Genova;
tali procedimenti hanno condotto in numerosi casi all'annullamento delle certificazioni rilasciate e alla sospensione della loro efficacia impedendo ai lavoratori l'accesso al trattamento pensionistico, in alcuni hanno provocato la revoca delle pensioni già erogate;
le situazioni di esposizione ad amianto e il conseguente rilascio delle certificazioni si fondavano sul verbale di incontro del 14 maggio 2004 svoltosi tra il prefetto di Genova, il direttore dell'INAIL, il rappresentante di Ansaldo Energia e le organizzazioni sindacali di categoria e le RSU Ansaldo, in relazione proprio all'interpretazione dell'atto di indirizzo ministeriale del 9 febbraio 2001;
in tale sede veniva esaminata la possibilità di attuare una ricostruzione storica molto approfondita delle vicende societarie, oltre che logistiche, che avevano riguardato nel tempo Ansaldo, al fine di concretizzare che indipendentemente dall'attuale collocamento dei lavoratori, gli stessi potessero comunque essere stati esposti alle fibre di amianto;
in data 6 maggio 2010 si è svolto presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, alla presenza del sottosegretario Pasquale Viespoli, un incontro sulla vicenda e in detto incontro i vertici centrali e territoriali dell'INAIL hanno dichiarato la massima disponibilità al confronto costruttivo con le parti sociali secondo un percorso condiviso e documentato nell'elaborato dell'INAIL;
nei casi specifici, riguardanti i signori Antonio Bertolucci, Carlo Cambiaso e Ivano Cereseto, con comunicazione del 25 agosto 2010, l'INAIL di Genova comunicava loro l'avvio di un procedimento per il riesame dei provvedimenti certificativi nonché la sospensione dell'efficacia dei provvedimenti certificativi emessi fino alla conclusione del provvedimento di riesame e alla definitiva conferma o annullamento delle precedenti certificazioni;
tali soggetti sono stati collocati in pensione nel periodo compreso tra il 1o agosto 2009 e il 1o luglio 2010, pertanto non risultano tutelati dalla norma «salva-pensioni» contenuta nel decreto-legge n. 5 del 2009 articolo 7-ter, comma 14, e di conseguenza decorsi i tempi previsti dai procedimenti si vedranno revocate le pensioni;
nel rispetto dell'indagine in corso da parte della magistratura per accertare se si sono verificate irregolarità, appare fortemente penalizzante assumere decisioni drastiche fino a quando non saranno provate in sede giudiziaria eventuali responsabilità –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'evolversi della situazione nonché dello stato di grave allarme sociale che coinvolge centinaia di lavoratori genovesi e le loro famiglie generato dalle scelte compiute dall'INAIL;
se e come ritenga intervenire al fine di garantire i benefici per l'esposizione all'amianto che erano stati precedentemente riconosciuti dall'INAIL attraverso il rilascio di certificazioni di avvenuta esposizione;
quali risposte intenda fornire ai soggetti non tutelati dalla norma «salva-pensioni» sopra citata. (4-08923)
MURER. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
l'8 settembre 2010, le direzioni nazionali delle associazioni Anmic, Ens, Uic, Anfass sono state convocate presso la direzione nazionale dell'Inps per ricevere, sotto forma di informativa, la notizia che l'Istituto si apprestava a predisporre «correttivi» al sistema di accertamento dell'invalidità civile;
secondo l'associazione Anmic, l'Inps avrebbe proceduto quindi unilateralmente ad emanare ulteriori e diverse direttive rispetto ai criteri fissati dalla legislazione vigente nonché dai provvedimenti procedurali che lo stesso Inps, con determina n. 189/2009 e circolare n. 131/2009, aveva introdotto;
alcune di queste procedure appaiono all'interrogante discutibili sotto il profilo della legittimità e sono causa di enorme disagio per gli utenti;
il 20 settembre, il coordinamento generale medico legale dell'Inps ha emanato alcune linee guida come disposizioni interne ai propri uffici periferici, che risultano in contrasto con l'intesa raggiunta con le associazioni di categoria;
la novità introdotta è rappresentata da una seconda visita diretta compiuta dall'Inps, dopo la visita di accertamento di prima istanza compiuta dalle commissioni Asl;
la modifica introdotta arriva dopo una ulteriore riforma, quella del 2009, che portò a introdurre nelle commissioni Asl di prima istanza un medico dell'Inps;
tali modifiche sono ritenute dall'Inps necessarie per affrontare il problema dei «falsi invalidi» nei termini di una più forte stretta alle concessione delle prestazioni economiche;
l'obiettivo è chiamare a verifica nei prossimi tre anni altri 600 mila utenti, già beneficiari della pensione, dopo i 200 mila già verificati nel 2009;
il secondo passaggio di visita medica aumenta naturalmente il disagio dei cittadini disabili chiamati due volte a visita, introduce il rischio di pesanti contraddizioni tra i vari livelli, denota una mancanza di fiducia nei medici preposti nelle commissioni Asl, oltre che negli stessi cittadini –:
se sia a conoscenza delle disposizioni interne dell'Inps che hanno modificato le procedure burocratiche di accertamento delle invalidità e quali iniziative intenda assumere al riguardo, considerato che tali disposizioni, con la verifica complessiva su 600 mila posizioni e con una doppia visita medica di accertamento, oltre ad essere di dubbia legittimità, comportano, ad avviso dell'interrogante, costi e insostenibili disagi a carico dell'utenza, composta, com’è nota, da disabili e quindi, già di per sé, portatrice di uno svantaggio. (4-08936)
POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazione a risposta in Commissione:
ZUCCHI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali elabora e coordina le linee della politica agricola, forestale, agroalimentare e per la pesca a livello nazionale, europeo ed internazionale;
nelle attività di sua competenza il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali si avvale dell'operato di importanti enti collegati: l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA); Buonitalia; il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA); l'Istituto nazionale di economia agraria (INEA); l'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA); l'Istituto nazionale per gli alimenti e la nutrizione (INRAN); l'Istituto sviluppo agroalimentare S.p.A. (ISA); l'Unione nazionale incremento razze equine (UNIRE);
nell'espletamento delle proprie missioni istituzionali, alcuni dei suddetti enti vigilati dal il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, si avvalgono essi stessi di altri organismi a cui sono stati delegati particolari compiti;
ad esempio, l'Agea utilizza i CAA (Centri di assistenza agricola) i quali svolgono le attività di supporto nella predisposizione delle domande di ammissione ai benefici comunitari e nazionali su mandato degli imprenditori interessati; inoltre l'ufficio monocratico di AGEA, che svolge le funzioni di organismo pagatore ai sensi del Reg. (CE) n. 885/2006, assicurando la conformità delle erogazioni effettuate dall'organismo pagatore alle normative comunitarie, attraverso il governo della struttura di gestione e controllo degli aiuti, premi e contributi comunitari, mediante l'adozione di procedure dirette alla più razionale utilizzazione delle risorse, strumenti e mezzi, si avvale, ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo n. 173 del 1998, dei servizi del SIAN, attraverso opportune convenzioni;
il SIAN viene gestito e sviluppato dalla società SIN srl partecipata al 51 per cento dall'AGEA, Agenzia per le erogazioni in agricoltura, e al 49 per cento da un socio privato, quale sistema di servizi complesso ed interdisciplinare a supporto delle competenze istituzionali del comparto agricolo, agroalimentare, forestale e della pesca;
la società mista è un soggetto giuridico di diritto pubblico, nell'ambito del quale il socio pubblico (Agea) si fa carico delle competenze e delle responsabilità amministrative, mentre i soci privati (RTI vincitore della gara) mettono a disposizione il loro patrimonio di competenze e di conoscenze tecniche, informatiche ed organizzative necessarie a garantire l'erogazione dei servizi per la realizzazione degli obiettivi di legge;
anche l'ISMEA (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), è un ente pubblico economico istituito con l'accorpamento dell'Istituto per studi, ricerche e informazioni sul mercato agricolo (già ISMEA) e della Cassa per la formazione della proprietà contadina, con decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 419, concernente il «riordinamento del sistema degli enti pubblici nazionali»;
nell'ambito delle sue funzioni istituzionali l'ISMEA, anche attraverso società controllate, realizza servizi informativi, assicurativi e finanziari e costituisce forme di garanzia creditizia e finanziaria per le imprese agricole e le loro forme associate, al fine di favorire l'informazione e la trasparenza dei mercati, agevolare il rapporto con il sistema bancario e assicurativo, favorire la competitività aziendale e ridurre i rischi inerenti alle attività produttive e di mercato;
l'ISMEA affianca le regioni nelle attività di riordino fondiario, attraverso la formazione e l'ampliamento della proprietà agricola e favorisce il ricambio generazionale in agricoltura in base ad uno specifico regime di aiuto approvato dalla Commissione europea;
in Agea e in generale alcune società controllate dal MIPAF accade che componenti del management o componenti del consiglio di amministrazione abbiano anche incarichi nelle società controllate e tale incrocio di incarichi si estende anche a doppi e tripli ruoli tra gli stessi enti –:
se il Ministro sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e se non ritenga opportuno affidarsi, nel definire i diversi assetti del Consiglio di amministrazione, a criteri tendenti ad evitare sovrapposizione di funzioni, e se non ritenga altresì che la situazione esposta in premessa rechi pregiudizio all'operatività delle singole società laddove capita che ente controllore e ente controllato siano gestiti da medesime persone. (5-03549)
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E INNOVAZIONE
Interrogazione a risposta in Commissione:
MOSCA. —Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. — Per sapere – premesso che:
l'Agenzia per la diffusione delle Tecnologie per l'innovazione, istituita con la legge finanziaria per il 2006, opera a livello nazionale ed è sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione;
l'Agenzia, come enunciato all'articolo 2 del suo statuto (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 aprile 2008), ha finalità di:
promuovere l'innovazione nel tessuto economico dei Paese e contribuire alla realizzazione dello Spazio europeo della ricerca e dell'innovazione collaborando e coordinando la sua azione con le istituzioni e gli organismi europei, nazionali e regionali aventi analoghe finalità;
svolgere compiti di supporto e di istruttoria tecnico-scientifica, economica e finanziaria nell'ambito della valutazione dei progetti di innovazione industriale ed in particolare di quelli previsti dall'articolo 1, commi 842 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni;
promuovere e coordinare le attività finalizzate alle previsione delle linee di tendenza dello sviluppo tecnologico-scientifico ed economico;
svolgere compiti di promozione e coordinamento di appositi percorsi formativi, nonché di accompagnamento dei processi di innovazione, fatte salve le specifiche competenze attribuite dalla normativa vigente al Ministero dell'università e della ricerca;
realizzare studi e ricerche sui modelli di collaborazione pubblico-privato in materia di innovazione industriale;
secondo il piano triennale di attività 2010-2012, l'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione prevede di acquisire personale così da avere una pianta organica adeguata e avvalersi di collaborazioni e di strutture, enti e in particolare esperti qualificati in outsorcing che apportino necessarie e altamente qualificate competenze sia gestionali sia tecnico-scientifiche;
la nomina diretta da parte del Ministro di Davide Giacalone a presidente dell'Agenzia (13 maggio 2010) non è dovuta passare al vaglio delle Commissioni parlamentari ed è già stata oggetto di interrogazioni alla Camera (26 maggio 2010) e al Senato (21 giugno) –:
quali criteri meritocratici ritenga debbano essere adottati per l'acquisizione di personale che l'Agenzia per la diffusione delle Tecnologie per l'innovazione dichiara necessari per le sue attività;
se ritenga proporzionate le risorse finanziarie in dote all'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione;
come intenda razionalizzare le spese dell'Agenzia, la quale, secondo la relazione programmatica 2010 prevede solo per il piano comunicazione una dotazione finanziaria di 240.000.00 euro necessaria alla stesura di comunicati stampa, realizzazione logo Agenzia, preparazione materiale divulgativo (brochure, volantini, emissione Newsletter bimestrale, produzione video di presentazione dell'Agenzia, ingresso dell'Agenzia nei principali social networks, redazione contenuti del sito internet e continuo aggiornamento. (5-03547)
SALUTE
Interrogazione a risposta orale:
BINETTI, NUNZIO FRANCESCO TESTA e DE POLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
sono in tutto 66 mila le richiesta di risarcimento giunte nel corso degli ultimi anni da parte di persone contagiate dai virus Hiv e Hcv, a causa di trasfusioni non sicure e somministrazione di farmaci emoderivati, e circa 5 mila, al netto delle migliaia di persone scomparse nel frattempo, quelle che attendono un adeguato risarcimento dallo Stato, ma che probabilmente non riusciranno ad ottenerlo a causa della prescrizione;
la legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007) ha stabilito per le transazioni da stipulare con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o da anemie ereditarie, emofiliaci di emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie che abbiano instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti, una spesa 180 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008;
tuttavia, ci sono ancora tanti cittadini che hanno contratto gravi malattie dal virus Hiv, all'epatite B o C, che hanno cause pendenti, sono ancora in attesa della quantificazioni dell'indennizzo, e restano senza rimborso. Inoltre, l'indennità di 500 euro al mese circa riconosciuta alle vittime delle trasfusioni da una sentenza della Corte di Cassazione del 2005 è stata tagliata con la recente manovra finanziaria;
nel 2003 c’è stata una prima transazione che ha riguardato circa 700 emofiliaci. Successivamente si è arrivati alle leggi del 2007 con il Governo Prodi, che hanno previsto lo stanziamento di oltre 300 milioni di euro per riconoscere una indennizzo e chiudere le cause contro il Ministero della salute, non solo egli emofiliaci ma anche a talassemici, trapiantati, anemici ereditari ed emotrasfusi occasionali;
purtroppo il diritto alla percezione dell'indennizzo per il 60 per cento dei «beneficiari» è caduto in prescrizione. Qualcuno potrebbe cinicamente pensare, in un tempo in cui le risorse sono contingentate, ad un risparmio complessivo dello Stato. Ma una tale ipotesi segnerebbe davvero il fallimento di qualunque linea etica in politica, perché, ad avviso degli interroganti, indicherebbe il trionfo della superficialità delle istituzioni nel comparto della sanità prima e dell'economia dopo, sempre e solo a scapito di malati che in molti casi non possono più difendersi e far valere la loro voce, compromettendo i principi di cui al comma 1 dell'articolo 32 della Costituzione;
gli interroganti evidenziano che non bisogna dimenticare che dietro gli articoli della legge finanziaria, dietro gli emendamenti, le interrogazioni e gli ordini del giorno presentati in merito ci sono sempre e solo persone malate, che sanno che la loro malattia è destinata ad aggravarsi con il tempo e che probabilmente saranno sempre meno quelli tra loro che si presentano a quest'appuntamento con un risarcimento dovuto e finora negato –:
quali puntuali e urgenti iniziative, anche normative, intenda attuare al fine di garantire, a tutti coloro che hanno diritto all'indennizzo, un adeguato e paritario trattamento economico, evitando così discriminazioni tra soggetti già fortemente penalizzati sapendo intravedere nei loro bisogni e nelle cause che li hanno scatenati una forma concreta di giustizia prima ancora che di solidarietà. (3-01268)
Interrogazioni a risposta scritta:
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
come riferiscono agenzie di stampa, siti giornalistici on line e quotidiani una ragazza ventiduenne, la signora Antonella Mansueto, di Noci vicino Bari, ricoverata per un banale intervento chirurgico per asportare una cisti al coccige, è deceduta dopo tre mesi dall'operazione;
la causa del decesso sarebbe stato uno choc settico che alcuni sanitari non avrebbero saputo diagnosticare, e che altri avrebbero scambiato per virus influenzale;
nell'esposto presentato alla procura a Bari dalla famiglia Mansueto, è allegata una perizia fatta da un esperto internista e da un medico legale nella quale si spiegherebbe come la ragazza avrebbe potuto essere salvata se l'infezione fosse stata diagnosticata in tempo e curata con medicine specifiche;
secondo la ricostruzione dell'accaduto la signora Mansueto, dopo essere stata operata sarebbe stata dimessa il giorno successivo; tornata in ospedale per il ciclo di medicazioni, uno dei medici avrebbe osservato: «Questa ferita non mi piace, lo dica domani al dottor Calò», vale a dire il professore che aveva effettuato l'intervento; il giorno successivo il professor Calò avrebbe assicurato che il decorso post-operatorio procedeva bene e che tutto era normale;
il 6 febbraio 2010 le condizioni della signora Mansueto peggiorano, la febbre arriva a 42 gradi; i genitori chiamano il medico di guardia che dopo una rapida visita assicura: si tratta di un virus influenzale, e prescrive gocce di Novalgina. All'alba del giorno dopo la situazione precipita e la signora Mansueta viene trasportata all'ospedale di Noci. Lì, dopo un'attesa di sei ore, ai genitori viene finalmente comunicato che la signora Mansueto ha una setticemia diffusa;
la paziente a quel punto viene portata nel più attrezzato ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti, e ricoverata in rianimazione;
il 22 marzo 2010 un’equipe di medici bolognesi scende a Bari per amputare le gambe e le dita della mani, fatta eccezione per i pollici, un ultimo tentativo, che si rivela inutile;
il 26 marzo la signora Mansueto muore per una «cancrena conseguente a una trombosi arteriosa per choc settico» –:
di quali elementi disponga in relazione alla vicenda di cui in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo. (4-08929)
DI VIZIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il controllo ufficiale sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti rappresenta una funzione amministrativa di primaria importanza ai fini della garanzia della sicurezza alimentare e della tutela di elevati livelli di protezione del consumatore;
l'attività di controllo si esplica primariamente attraverso lo svolgimento di analisi per la ricerca di residui di prodotti fitosanitari, che vengono effettuate dai laboratori di controllo ufficiali (operanti nell'ambito delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente – ARPA), dai presidi multizonali di prevenzione (PMP) e dagli Istituti zooprofilattici sperimentali (II.ZZ.SS.);
i criteri generali per lo svolgimento dei controlli ufficiali per la verifica della conformità alla normativa sono disciplinati dal regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, il quale definisce anche le procedure, le attività, i metodi e le tecniche per l'effettuazione dei controlli; per poter svolgere le loro funzioni di controllo, i laboratori devono garantire piena conformità alla normativa europea, anche sotto il profilo del personale e della strumentazione tecnica impiegata;
i controlli riguardano indistintamente prodotti italiani o di altra provenienza destinati ad essere commercializzati sul territorio nazionale ovvero ad essere esportati in altro Stato dell'Unione europea o in altro Stato terzo;
il coordinamento e la definizione dei programmi di controllo sui prodotti alimentari (inclusi i piani annuali in materia di residui di prodotti fitosanitari negli alimenti) è affidato, in Italia, al Ministero della salute, Dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, direzione generale della sicurezza degli alimenti e della nutrizione;
i dati del controllo ufficiale sono inoltre utilizzati dall'Istituto superiore di sanità per ricavare una stima dell'assunzione giornaliera dei residui dei prodotti fitosanitari con la dieta in Italia;
nella regione Liguria, il piano controllo pesticidi è attuato dall'ARPAL e rientra nelle attività istituzionali obbligatorie dell'Agenzia; come evidenziato dall'Allegato A della legge regionale 4 agosto 2006, n. 20, recante «Nuovo coordinamento dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente Liguria», l'ARPAL è responsabile delle determinazioni analitiche di controllo mediante un laboratorio per il controllo ufficiale dei pesticidi negli alimenti a matrice vegetale;
il direttore generale dell'ARPAL, con delibera n. 244 del 23 aprile 2001, nel procedere alla riorganizzazione delle attività analitiche correlate alla determinazione dei residui di fitofarmaci in un unico centro a valenza regionale, ha individuato nel laboratorio di La Spezia il proprio centro di riferimento regionale, in virtù dell'esperienza maturata dal suddetto laboratorio e della sua partecipazione a circuiti di qualità europei;
con ordinanza del 6 novembre 2003, n. 14117, il direttore scientifico dell'ARPAL ha attivato il «Centro pesticidi a valenza regionale» presso il dipartimento di La Spezia;
il 9 agosto 2004, l'ARPAL ha stipulato un protocollo di intesa (n. 11046) con gli uffici di sanità marittima e area liguri al fine di garantire un programma di controlli analitici delle derrate alimentari in importazione, confermando le competenze del laboratorio del dipartimento dell'ARPAL di La Spezia sulla ricerca dei residui di prodotti fitosanitari;
dal 18 al 22 luglio 2007, gli ispettori FVO (Food Veterinary Office) hanno effettuato una missione presso l'USMAF di La Spezia, in conformità alle disposizioni dell'articolo 5 del Reg. (CE) n. 882/2004 e dell'articolo 45 del Reg. (CE) n. 645/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio; la missione, effettuata in particolare per valutare come venissero eseguiti i controlli dei residui di antiparassitari nei o sui prodotti di origine vegetale, ha evidenziato alcune problematiche afferenti il laboratorio per il controllo ufficiale cui la Regione Liguria ha affidato i controlli de qua;
in risposta alle rilevazioni degli ispettori FVO, la direzione scientifica dell'ARPAL Liguria, con propria nota, ha informato gli ispettori europei che i laboratori si stavano predisponendo ad avviare le procedure di accreditamento, comprese le prove relative ai residui di prodotti fitosanitari secondo quanto previsto dal Reg. (CE) n. 882/2004 e dal Reg. (CE) 2076/2005; inoltre, la suddetta nota garantiva che l'ARPAL aveva avviato la fase di acquisizione degli strumenti (LC-MS e GC-MS) per ampliare la gamma di pesticidi analizzabili;
in data 10 giugno 2010 il direttore del dipartimento de La Spezia contestava al dirigente del centro pesticidi a valenza regionale l'inserimento nell'elenco dei laboratori per i controlli ufficiali dell'Unione europea in categoria B (che include i laboratori che hanno attività insufficienti allo scopo richiesto dall'Unione europea), in quanto i risultati ottenuti nell'ultimo circuito di intercalibrazione avevano evidenziato come le analisi sui pesticidi non fossero correttamente eseguite;
in particolare, le analisi svolte hanno dimostrato che il laboratorio di La Spezia non aveva rilevato un pesticida su 19 determinati (l'OXAMIL); tale pesticida necessita, per poter essere analizzato, del predetto strumento LC-MS, che da oltre 8 anni doveva essere acquistato dal Centro pesticidi di La Spezia;
il suddetto macchinario è attualmente in dotazione presso il laboratorio del dipartimento di La Spezia, che tuttavia, a quanto consta all'interrogante, non ne consentirebbe l'utilizzo al Centro pesticidi preposto al controllo ufficiale dei residui di pesticidi in alimenti del mercato domestico e d'importazione;
il comitato scientifico dell'Unione europea raccomanda l'adozione da parte di tutti i laboratori di controllo del suddetto strumento, in quanto molti importanti pesticidi (in particolare i composti polari) possono essere analizzati solo usando la cromatografia liquida con rilevatore di massa (LC-MS);
la mancanza di tale strumento presso il Centro pesticidi di La Spezia rischia di produrre conseguenze di primaria importanza non solo nel territorio ligure, ma in gran parte dell'Italia e dell'Unione europea, se si considera il flusso di campioni di alimenti di origine vegetale del mercato nazionale ed internazionale provenienti dagli Arpal liguri di Imperia, Savona, Genova e Le Spezia;
l'elevata tossicità dei pesticidi che possono essere rilevati solo attraverso l'utilizzo della suddetta strumentazione pone in serio pericolo la tutela della sicurezza alimentare relativa alla derrate alimentari che transitano nei porti liguri, la cui destinazione è difficilmente controllabile, avendo come bacino di utenza non solo il mercato nazionale, ma anche quello europeo –:
di quali informazioni disponga il Ministro interrogato in ordine alle criticità evidenziate in premessa e quali ulteriori elementi intenda acquisire al riguardo data l'esigenza di evitare che la mancata rilevazione di alcuni pesticidi nei campioni di alimenti di origine vegetale sottoposti al controllo determini un grave pericolo per la salute dei consumatori italiani ed europei. (4-08932)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazione a risposta in Commissione:
PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il decreto-legge 8 luglio 2010, n. 105, recante misure urgenti in materia di energia ha previsto, all'articolo 3-bis (Modifica del termine per la concessione della miniera di carbone del Sulcis): «1. Al comma 14 dell'articolo 11 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, come modificato dall'articolo 38, comma 4, della legge 23 luglio 2009, n. 99, le parole: “entro il 31 dicembre 2010” sono sostituite dalle seguenti: “entro il 31 dicembre 2011”»;
tale proroga risulta funzionale a consentire il corretto svolgimento di tutte le procedure necessarie previste per l'indizione della gara;
i termini previsti per l'espletamento della gara devono essere ridotti al minimo, ben sapendo che risulta indispensabile, al fine del buon esito del progetto, l'utilizzo delle opportunità previste a livello europeo necessarie a rendere economico il progetto integrato miniera centrale Carbosulcis;
per l'attuazione del programma energetico europeo per la ripresa (EEPR), la Commissione europea ha previsto azioni nazionali coordinate, integrate dall'azione diretta dell'Unione europea, destinate ad apportare potere d'acquisto nell'economia e a rilanciare la domanda attraverso un incentivo finanziario immediato del valore di 200 milioni di euro;
la Commissione europea, con l'avanzare della crisi finanziaria ed economica, ha ritenuto fossero necessari interventi di spesa pubblica destinati a favorire gli investimenti nelle reti di energia e nella produzione innovativa di energia rinnovabile, nonché per accelerare lo sviluppo delle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio;
per perseguire questi obiettivi, il piano energetico è sovvenzionato con una dotazione finanziaria di 3.980 milioni di euro a sostegno di tre sottoprogrammi. Il regolamento assegna 2.365 milioni di euro a progetti di infrastrutture per il gas e per l'energia elettrica; 565 milioni di euro a progetti di energia eolica in mare e 1.050 milioni di euro a progetti di cattura e stoccaggio del carbonio;
il contributo dell'Unione viene assegnato sotto forma di sovvenzioni ai promotori dei progetti nei tre ambiti del programma. I progetti vengono individuati preventivamente e riportati nell'allegato al regolamento, mentre le misure pratiche per attuare tali progetti, e i loro promotori, vengono selezionati attraverso un invito a presentare proposte, sulla base di criteri dettagliati di ammissibilità, selezione e aggiudicazione; i finanziamenti possono coprire fino all'80 per cento nel caso della cattura e stoccaggio del carbonio. In termini di impegno finanziario è la prima volta che viene reso disponibile un finanziamento di tale entità nell'ambito del bilancio dell'Unione europeo. Si tratta di un cambiamento importante rispetto alle somme relativamente esigue erogate finora dalla Commissione nel quadro del programma delle reti transeuropee dell'energia (TEN-E), dei programmi quadro di RST e del programma energia intelligente – Europa (EIE);
il concetto cardine del piano europeo è legato alla tempistica dei progetti e della loro esecuzione, funzionalmente alla ripresa economica. L'obiettivo della Commissione è quello di mettere il denaro rapidamente nel circuito dell'economia. Tale principio si riflette nel regolamento del programma europeo per l'energia e la ripresa economica, il quale richiede che gli impegni legali destinati ad attuare il piano EEPR vengano presi entro il 31 dicembre 2010;
il regolamento richiede che i criteri di concessione delle sovvenzioni comprendano l'immediata attuabilità delle misure proposte per il finanziamento EEPR, in particolare la loro capacità di avviare la spesa del capitale in arrivo nel 2010;
le sovvenzioni vengono assegnate sulla base della capacità dei richiedenti di contribuire all'ammodernamento e al completamento delle reti energetiche a livello europeo, nonché allo sviluppo e all'attuazione di tecnologie strategiche a basse emissioni di carbonio;
l'obiettivo del programma prevede il raggiungimento entro il 2020 degli obiettivi che tutti gli Stati si sono impegnati a realizzare: ossia la riduzione delle emissioni di gas serra e del consumo di energia primaria del 20 per cento e l'aumento della parte di energia rinnovabile al 20 per cento del consumo finale di energia;
tra i sottoprogrammi europei uno riguarda la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS);
le centrali elettriche a combustibile fossile e l'industria pesante sono tra i principali responsabili delle emissioni di CO2, e insieme raggiungono il 52 per cento delle emissioni totali di CO2 a livello mondiale. I combustibili fossili continueranno a essere utilizzati per la produzione di elettricità e, anche se le fonti di energia rinnovabile hanno acquisito una porzione di mercato sempre più ampia, non si prevede un calo dell'uso del carbone per i prossimi decenni;
la tecnologia della cattura e stoccaggio del carbonio può apportare un contributo significativo, insieme all'efficienza energetica e alle fonti di energia rinnovabili, per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2;
questa tecnologia non è ancora accessibile sul mercato e deve essere sottoposta a prove;
il piano europeo affronta questo problema sostenendo sei progetti di dimostrazione di cattura e stoccaggio del carbonio, che, si prevede, svilupperanno il concetto di CCS, ridurranno l'investimento e i costi operativi e sensibilizzeranno il pubblico nei confronti di questa tecnologia;
il piano europeo energetico per la ripresa sostiene tra i progetti di cattura e stoccaggio del carbonio, che mirano a essere operativi entro il 2015, anche quello dell'Enel a Porto Tolle (Italia) dove viene proposta l'installazione per la cattura e stoccaggio del carbonio post combustione su un nuovo impianto a carbone da 660 megawatt. La parte di cattura tratterà i gas di combustione corrispondenti all'uscita di 250 megawatt di energia elettrica. Viene pianificato lo stoccaggio in un acquifero salino offshore nel mare Adriatico;
il 19 maggio 2009 la Commissione europea aveva lanciato un unico invito a presentare proposte per coprire i tre sottoprogrammi, invitando i potenziali promotori del progetto a presentare le proposte entro il 15 luglio 2009;
la Commissione ha ricevuto 12 proposte per la cattura e lo stoccaggio del carbonio. Per ogni sottoprogramma è stato condotto un esercizio di valutazione separato. La valutazione è iniziata nella seconda metà del luglio 2009 per i tre sottoprogrammi. È stata completata in settembre per i progetti relativi alla cattura dello stoccaggio del carbonio. La Commissione ha adottato le decisioni di assegnazione, in data 9 dicembre 2009, per i sottoprogrammi per la cattura e lo stoccaggio del carbonio;
la quasi totalità della dotazione finanziaria del programma energetico europeo per la ripresa (EEPR) (3,98 miliardi di euro) risulta essere stata impegnata nella primavera del 2010. Rimane un importo di circa 115 milioni di euro (meno del 3 per cento del totale) che non può essere impegnato;
non si prevedono modifiche di questo importo, tranne nel caso in cui uno o più promotori del progetto non riescano a ottenere le sovvenzioni a causa dei vincoli normativi e dei rischi tecnologici o correlati al mercato. L'importo preciso dei fondi non impegnati sarà reso noto nell'autunno del 2010;
non appena sono state adottate le decisioni di assegnazione, la Commissione ha iniziato i singoli impegni legali. Nel caso della cattura e dello stoccaggio del carbonio, gli impegni legali assumono la forma di convenzioni di finanziamento, che devono essere sottoscritte dalla Commissione europea e dal beneficiario;
per i progetti per la cattura e lo stoccaggio del carbonio, come detto, sono state presentate 12 proposte in totale. Nel complesso, è stato richiesto il sostegno finanziario di 1.770 miliardi di euro, a fronte di una dotazione finanziaria di 1.050 miliardi assegnati al sottoprogramma CCS;
la Commissione ha assegnato 1 miliardo di euro alle sei proposte che si trovano nelle sei posizioni migliori dell'elenco;
sono state firmate tre convenzioni di finanziamento mentre, altre tre sono attualmente in corso di ratifica;
il 2 febbraio 2010 la Commissione europea ha approvato la decisione ”che definisce i criteri e le misure per il finanziamento di progetti dimostrativi su scala commerciale mirati alla cattura e allo stoccaggio geologico della CO2 in modo ambientalmente sicuro, nonché di progetti dimostrativi relativi a tecnologie innovative per le energie rinnovabili nell'ambito dello scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità istituito dalla direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;
il 21 settembre 2010 il comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE e per il supporto nella gestione delle attività di progetto del protocollo di Kyoto ha adottato la deliberazione n. 23/2010 relativa alla manifestazione di interesse per progetti sul territorio nazionale potenzialmente finanziabili con la decisione della Commissione europea NER 300;
la deliberazione prevede l'invito alla manifestazione d'interesse per la presentazione di progetti dimostrativi su scala commerciale relativi alla cattura e allo stoccaggio geologico di CO2 e alla produzione di energia da fonti rinnovabili nell'ambito dello scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità istituito dalla direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (dispositivo «NER 300»);
l'articolo 10-bis, paragrafo 8, della direttiva 2003/87/CE istituisce un meccanismo per il finanziamento di progetti dimostrativi su scala commerciale, mirati alla cattura e allo stoccaggio geologico di CO2 realizzabile in maniera sicura dal punto di vista ambientale (progetti CCS) e di progetti dimostrativi relativi alle energie rinnovabili tecnologicamente innovative (in seguito «progetti FER»). In particolare il meccanismo di finanziamento è dotato di 300 milioni di quote di emissioni che provengono dalla riserva dei nuovi entranti del sistema di scambio comunitario;
l'Italia, ai sensi dell'articolo 5, della decisione, ha la responsabilità di effettuare la raccolta e la pre-selezione delle domande di finanziamento per progetti da attuare sul proprio territorio nazionale;
l'invito ha quindi lo scopo di effettuare una ricognizione, preliminare all'apertura del bando comunitario, dei progetti dimostrativi che verranno sottoposti alle autorità italiane nel corso del 4o trimestre 2010, nel quadro della procedura di preselezione;
i progetti caratterizzati da un forte potenziale individuato già nel corso del presente invito potranno altresì beneficiare, senza attendere l'apertura dei bando, di un sostegno dell'amministrazione allo scopo di assicurare loro le migliori possibilità di successo nel quadro della procedura concorsuale comunitaria prevista dal NER 300;
l'entrata in esercizio dei progetti è prevista entro il 31 dicembre 2015 e tutte le autorizzazioni nazionali relative al progetto devono essere disponibili e in linea con la relativa regolamentazione comunitaria o va assicurato che le procedure di autorizzazione già avviate siano sufficientemente avanzate da garantire che l'inizio dell'attività commerciale possa avvenire entro il 31 dicembre 2015;
il 23 settembre 2010 l'avvocato generale Niilo Jääskinen ha presentato alla Corte di giustizia europea le conclusioni con la proposta di respingimento del ricorso relativo alla causa C-194/09 Alcoa trasformazioni srl avente ad oggetto «impugnazione – regimi di tariffa agevolata per la fornitura di energia elettrica a talune imprese ad alta intensità energetica in Italia – misura che non costituisce aiuto – proroga dei regimi da parte delle autorità italiane – decisione di avvio del procedimento di cui all'articolo 88, n. 2, CE» –:
se non ritenga di dover individuare il progetto strategico della miniera centrale Sulcis come prioritario rispetto ai programmi europei in essere e futuri;
se non ritenga necessario accelerare le procedure di individuazione del percorso relativo al bando per l'individuazione del soggetto destinatario della concessione del progetto integrato miniera centrale Sulcis;
se non ritenga di dover destinare le risorse di cui alla sentenza definitiva della Corte di giustizia europea relativamente alla decisione Alcoa della Commissione europea esclusivamente e integralmente a tale progetto integrato, considerato l'elevato squilibrio energetico da cui è gravata l'area del Sulcis con pesanti conseguenze sul sistema produttivo;
se non ritenga di dover promuovere, anche attraverso un preliminare avviso pubblico, l'individuazione di eventuali soggetti privati interessati alla partecipazione a tale progetto miniera centrale, anche in regime di autoproduzione energetica;
se non ritenga necessario dover predisporre un piano economico specifico per tale progetto anche in relazione alla previsione di ulteriori contribuzioni, previste nelle stesse procedure avviate nell'ambito dei progetto NER 300;
se non ritenga necessario far conoscere le ragioni per le quali non è stato avanzato nell'ambito europeo il progetto integrato miniera centrale Sulcis, considerato che lo stesso era già previsto da leggi nazionali e faceva parte dei programmi relativi alla cattura e lo stoccaggio di CO2;
se non ritenga necessario dover verificare le procedure di finanziamento di cui ha goduto la società Enel per la centrale di Porto Tolle da parte della stessa Unione europea, in considerazione del fatto che il progetto miniera centrale del Sulcis e la relativa cattura e stoccaggio di CO2 risale agli anni 2002/2003;
se non ritenga di dover valutare con gli stessi organismi europei la necessità di rimodulare tale stanziamento assegnandolo all'unica centrale integrata alla miniera o, in subordine, ripartendolo anche a favore del progetto relativo alla regione Sardegna considerata l'importanza strategica legata all'unico bacino carbonifero del nostro Paese. (5-03546)
Interrogazioni a risposta scritta:
NACCARATO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il 4 ottobre 2010 il responsabile delle relazioni sindacali del Gruppo Carrier – multinazionale statunitense della refrigerazione – ha comunicato ai rappresentanti sindacali l'intenzione dell'azienda di chiudere lo stabilimento «ex Criosbanc» con sede in via Montegrotto 125, a Torreglia (Padova), e il conseguente trasferimento della produzione di celle frigorifere nella Repubblica Ceca e in Moldavia;
in seguito di tale decisione si profila lo stato di crisi per 193 dipendenti del sopra citato stabilimento, unitamente al rischio di gravi ripercussioni economiche sulle altre realtà produttive della zona coinvolte nell'indotto del «ciclo del freddo»;
la scelta di chiudere lo stabilimento di Torreglia non è in alcun modo imputabile a una crisi strutturale del settore della refrigerazione – come dimostrato dalle numerose ore di straordinario regolarmente svolte dai dipendenti del gruppo Carrier nel mese di luglio 2010 – ma deriva dalla strategia industriale adottata dalla dirigenza locale della multinazionale intenzionata ad abbassare il costo del lavoro delocalizzando la produzione nell'Est Europa;
il «ciclo del freddo» è da considerarsi a tutti gli effetti una produzione strategica nell'attuale sistema produttivo del Veneto;
la chiusura dell’ «ex Criosbanc» di Torreglia rappresenta solo l'ultimo tassello di un processo di smantellamento delle realtà produttive più significative della regione e del paese –:
se siano al corrente dei fatti esposti in premessa;
in che modo intendano assicurare la continuità di produzioni strategiche per il Veneto e per l'Italia, quali le lavorazioni relative al «ciclo del freddo» nello stabilimento del gruppo Carrier a Torreglia;
quali misure concrete intendano porre in essere per una tempestiva risoluzione dello stato di crisi nello stabilimento padovano, mediante l'attivazione degli strumenti e dei percorsi istituzionali previsti in simili casi. (4-08930)
REGUZZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
la scelta della Donati Sollevamenti, storico marchio produttore di apparecchi di sollevamento, di procedere in modo unilaterale alla ristrutturazione dell'azienda e al conseguente licenziamento di 38 dipendenti, ha sorpreso e scosso i lavoratori del sito di Daverio;
la Donati, vista attraverso i numeri, è un'azienda che gode di ottima salute. Essa impiega 91 dipendenti ed alimenta l'economia dell'indotto con altri 200 posti di lavoro, con un fatturato che ha toccato, negli anni più duri della crisi, i 23 milioni di euro. I bilanci relativi al triennio 2007-2009, infatti, sono stati caratterizzati da utili;
l'annunciato piano di ristrutturazione del sito di Daverio non trova quindi una correlazione diretta, logica e consequenziale con la riduzione del fatturato e dei volumi produttivi;
la decisione di trasferire all'estero la produzione, secondo quanto si apprende dalle organizzazioni sindacali, sembra dettata dalla mancanza di una seria strategia industriale, che fino ad oggi ha creato soltanto vantaggi per le imprese concorrenti;
l'operazione avrà un fortissimo impatto su tutto il territorio che ad oggi rappresenta un importante bacino di occupazione ed apre diversi interrogativi sul futuro dello stabilimento di Varese, anche alla luce dell'importante ruolo che lo stesso riveste nel sistema produttivo italiano;
scelte industriali come quelle prospettate dalla Donati, rappresentano un forte ostacolo non solo allo sviluppo dell'economia del territorio, ma anche alle azioni di tutela e di rilancio del made in Italy –:
se non ritenga necessario convocare immediatamente l'azienda e i rappresentanti dei lavoratori al fine di individuare ogni utile soluzione, il più possibile condivisa, che tuteli l'occupazione e la continuità della produzione nello stabilimento di Daverio;
quali iniziative intenda adottare per porre fine ai fenomeni di depauperamento e di delocalizzazione in atto che danneggiano il sistema produttivo del Paese.
(4-08933)
MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
l'Autorità per l'energia elettrica e il gas (di seguito: Autorità) con deliberazione 16 ottobre 2009 – GOP 44/09 (di seguito: delibera GOP 44/09) ha proposto al Ministero dello sviluppo economico il finanziamento di progetti a vantaggio dei consumatori di energia elettrica e gas, ai sensi dell'articolo 2, comma 142, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (di seguito: progetti);
con la delibera GOP 44/09, l'Autorità ha, altresì, proposto al MSE di individuare nella cassa il soggetto destinatario delle risorse finanziarie dei progetti, ai fini della loro erogazione ai soggetti attuatori, affidando ad essa le attività materiali, amministrative, contabili, di rendicontazione e, in generale, strumentali alla gestione dei progetti medesimi;
il MSE, con decreto del 23 dicembre 2009 ha approvato i progetti, nonché tutte le proposte formulate nella delibera GOP 44/09;
il direttore generale della direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica del MSE, con decreti del 30 e del 31 dicembre 2009, ha impegnato a favore della cassa la somma complessiva di 881.240,00 euro per finanziare i primi due progetti, ovvero il Progetto di conciliazione stragiudiziale (PCS1) ed il contributo ai costi dei conciliatori della Associazione dei consumatori (PCS2), incluso il contributo per lo svolgimento dell'attività di gestione a favore della cassa nella misura massima del 3 per cento dei fondi ad essa trasferiti e comunque in misura non superiore a 80.000,00 euro;
con delibera GOP 7/10, l'Autorità ha dettato alla cassa gli indirizzi per la definizione dei bandi inerenti i progetti per la diffusione della conciliazione stragiudiziale, ed ha stabilito di coprire con risorse proprie la differenza fra le somme previste dai progetti (PCS1 + PCS2, pari ad 890.00,00 euro) e gli impegni di spesa assunti dal MSE nei confronti di cassa (pari ad 881.240,00 euro) per un importo pari ad 8.760,00, ove nelle more non siano stanziate ulteriori risorse da parte del MSE;
in data 10 marzo 2010, il Comitato di gestione ha approvato il bando PCS1 e l'avviso PCS2 ed ha provveduto a trasmetterli all'autorità per l'approvazione ai sensi della delibera GOP 44/09;
con delibera GOP 13/10, l'autorità ha approvato i suddetti atti;
la Cassa conguaglio per il settore elettrico, ha pubblicato sul sito il 30 giugno 2010 la deliberazione del comitato di gestione del 23 giugno 2010, approvazione verbale e graduatoria bando PCS1 in materia di progetti a vantaggio dei consumatori, deliberazione GOP 13/10, da cui si evinceva la seguente graduatoria finale:
a. 1) CONSUMERS’ FORUM (p. 5,62);
b. 2) ALTROCONSUMO (p. 4,68);
l'Associazione dei consumatori Codici Onlus-Centro per i diritti del cittadino, ha presentato ricorso, con istanza di sospensiva, al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, rilevando che Consumers’ Forum si presenta (http://www.consumersforum.it/) come «un'associazione indipendente di cui fanno parte le più importanti Associazioni di Consumatori, numerose Imprese Industriali e di servizi e le loro Associazioni di categoria, Centri di Ricerca», ed è composta dalle associazioni di consumatori Acu, Adiconsum, Adoc, Assoutenti, Casa del Consumatore, Cittadinanzattiva, Conconsumatori, Federconsumatori, Lega Consumatori, Movimento Consumatori, Movimento Difesa del Cittadino e Unione nazionale Consumatori ma anche dalle aziende di produzione e fornitrici di servizi, tra cui le Società Edison, Enel, Eni e Sorgenia, cioè le stesse Società che sono vigilate e sanzionate dalla stessa autorità. Enel, Edison e Eni sono componenti di Consumers’ Forum, per cui si troveranno ad essere beneficiari diretti o indiretti di somme di denaro direttamente riferibili alle sanzioni a loro erogate e che, quindi, la CCSE non doveva ammettere alla partecipazione al bando Consumers’ Forum in quanto soggetto in evidente conflitto di interessi ed in violazione dell'articolo 137 del Codice del Consumo che vieta alle associazioni dei consumatori e degli utenti del Consiglio nazionale consumatori e utenti (CNCU) «ogni attività di promozione e di pubblicità commerciale avente per oggetto beni o servizi prodotti da terzi» nonché «ogni connessione di interessi con imprese di produzione e di distribuzione»;
la sentenza definitiva del Tar del Lazio, Sezione Terza Ter, n. 1560 del 22 Febbraio 2007, stabilisce che alle associazioni di consumatori e utenti è preclusa, «ogni connessione di interessi con imprese di produzione di distribuzione» e che si «preclude non solo qualsiasi forma di pubblicità, a qualunque titolo sia fatta, ma anche ogni rapporto con imprese di produzione e di distribuzione, dovendosi porre, proprio per il delicato ruolo che svolgono, in una posizione di totale terzietà con tutte le aziende produttrici di beni e fornitrici di servizi»;
è di tutta evidenza che esiste un rapporto, per di più organico, nella associazione Consumers’ Forum, tra le associazioni di consumatori iscritte al CNCU e le imprese, in contrasto con quanto stabilito dalla predetta sentenza del Tar del Lazio;
di Consumers’ Forum fanno parte anche Eni, Ferrovie dello Stato, Poste Italiane, Telecom, Vodafone e Wind, tutte aziende sanzionate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, per cui si troveranno ad essere beneficiari, diretti o indiretti, di somme di denaro riferibili alle sanzioni loro erogate –:
se non si ritenga di dare attuazione ai principi fissati dalla sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione terza ter, n. 1560 del 22 febbraio 2007, che preclude «ogni rapporto» tra imprese e associazioni di consumatori iscritte al Consiglio nazionale consumatori e utenti (CNCU), assumendo le necessarie iniziative normative affinché venga sancita come incompatibile la presenza contestuale di associazioni di consumatori in Consumers’ Forum e nel Consiglio nazionale consumatori e utenti unitamente a imprese produttive di settore e si eviti così il rischio di finanziarie le imprese, direttamente o indirettamente, oggetto di sanzioni da parte delle Autorità. (4-08940)
TURISMO
Interrogazione a risposta scritta:
MARIANI. — Al Ministro del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il 16 maggio 1996 è stata stipulata tra la Fondazione Carnevale di Viareggio e la Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per il turismo, una convenzione ai fini della realizzazione della Cittadella del Carnevale con finanziamento agevolato ai sensi del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 149, recante «interventi urgenti in favore dell'economia», convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 237;
la Fondazione Carnevale di Viareggio ha come unico socio fondatore il comune e tutti i membri del consiglio di amministrazione sono nominati dal sindaco;
la Fondazione è priva di risorse proprie e per le proprie attività riceve annualmente risorse direttamente dal comune di Viareggio per un ammontare di alcune centinaia di migliaia di euro;
in base all'articolo 7 della citata convenzione, la Fondazione ha chiesto autorizzazione al dipartimento del turismo per l'alienazione al comune di Viareggio del complesso immobiliare Cittadella del Carnevale, ottenendola in data 3 agosto 1998. L'atto di compravendita definitivo è del 19 luglio 2006;
successivamente, con atto d'obbligo del notaio Rizzo del 16 maggio 2002, la Fondazione ha vincolato, ai sensi dell'articolo 2 della citata convenzione, il complesso immobiliare Cittadella del Carnevale alla destinazione e all'uso previsti. Tale vincolo risulta tutt'ora iscritto a favore del Ministero delle attività produttive e del turismo (oggi Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo della Presidenza del Consiglio dei ministri), con scadenza 30 luglio 2011;
attualmente il comune di Viareggio è proprietario del complesso immobiliare denominato Cittadella del Carnevale, complesso che è in uso alla Fondazione;
in data 16 aprile 2010 il comune di Viareggio ha richiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo, il parere e l'autorizzazione alla vendita del suddetto complesso alla Fondazione Carnevale di Viareggio;
dal documento di richiesta di parere del comune di Viareggio del 16 aprile 2010 al dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo della Presidenza del Consiglio dei ministri, si evince che la Fondazione si è dimostrata disponibile all'acquisto e si è rivolta per il finanziamento ad una società di leasing che acquisirebbe il complesso immobiliare per cederlo in leasing alla Fondazione, con l'obbligo (e non possibilità) per quest'ultima di acquistarlo al prezzo di riscatto al termine del periodo;
nella risposta del 30 aprile 2010, il capo dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo della Presidenza del Consiglio dei ministri, non configura alcun elemento ostativo all'autorizzazione alla vendita trattandosi di un atto di cessione uguale e contrario a quella per cui era stata concessa l'autorizzazione alla vendita. Essa tuttavia deve avvenire alle seguenti condizioni:
a) che permanga il vincolo di destinazione e d'uso iscritto contro la Fondazione Carnevale di Viareggio;
b) che rimangano in vigore gli impegni presi dal gestore (Fondazione e successivamente dal comune) in relazione all'utilizzo secondo quanto previsto dalla convenzione sulla cui base è stato concesso il contributo pubblico;
la cessione, organizzata con un'architettura negoziale complessa, vede protagonisti: il comune che vende l'immobile alla banca BNP ed incamera le risorse necessarie per riportare in pareggio il bilancio, e la Fondazione Carnevale di Viareggio, di fatto ente strumentale del comune, privo di adeguate risorse patrimoniali e finanziarie proprie, che sottoscrive con la BNP Paribas Lease Group spa un contratto di leasing immobiliare, di durata ventennale, per l'acquisto dell'immobile le cui condizioni sono state modificate in data 3 settembre 2010, con lettera della BNL indirizzata alla Fondazione Carnevale di Viareggio, con la quale la banca dichiara di accettare l'operazione acquisto della Cittadella insieme al Monte dei Paschi di Siena precisando che la stessa operazione necessita di ulteriori approfondimenti preliminari e dell'assunzione di una specifica approvazione creditizia e comunque solo in presenza di formali approvazioni degli organi deliberanti delle banche interessate; la nuova proposta prevede: durata 240 mesi; canoni mensili 24 di euro 40.500,00 + iva cadauno; 216 canoni mensili da euro 86.774,90 + iva cadauno, valore di riscatto 30 per cento + iva; tasso indicizzato euribor tre mesi 0,87900 per cento; spese istruttorie euro 800,00 + iva; modalità di pagamento prelievo RID;
in relazione a quanto sopra esposto, le risorse che annualmente l'amministrazione comunale dovrà trasferire alla Fondazione saranno superiori ad un milione di euro. Tale impegno si tradurrà nei fatti in una obbligazione diretta e presumibilmente crescente del comune;
si rileva che la forma del leasing, pur consentendo di iscrivere a bilancio il bene patrimoniale, non configura la proprietà e quindi, poiché si tratta di una vendita da ente pubblico (il comune) a un gruppo privato (le banche), essa non ricadrebbe nella fattispecie di un atto di cessione uguale e contrario; in questo caso, ad avviso dell'interrogante, essendo il parere viziato, potrebbe venir meno anche la clausola che prevede la permanenza del vincolo di destinazione e d'uso che scade il 30 luglio 2011;
inoltre, l'articolo 6, comma 19, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, vieta alle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 la possibilità di effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito, e di rilasciare garanzie a favore delle società partecipate non quotate che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali;
infine, la Corte dei conti, in una relazione inviata al Parlamento nel gennaio 2010, ha sottolineato che le operazioni di leasing immobiliare, pur previste dall'ordinamento, pongono evidenti problemi quando si ricorra ad esse con finalità elusiva della disciplina relativa all'indebitamento ovvero al rispetto del patto di stabilità e che pertanto lo strumento non può essere utilizzato dagli enti locali per eludere i vincoli di finanza pubblica che l'ente è tenuto ad osservare –:
se il ministro condivida le preoccupazioni esposte in premessa e come intenda garantire la necessaria permanenza del vincolo di destinazione d'uso sulla Cittadella del Carnevale. (4-08931)
Apposizione di firme ad una mozione.
La mozione Zamparutti e altri n. 1-00450, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 ottobre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Argentin, Sardelli, Sbai, Di Stanislao.
Apposizione di una firma ad una interrogazione.
L'interrogazione a risposta in Commissione Mosca n. 5-03429, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 settembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Farinone.
Pubblicazione di un testo riformulato.
Si pubblica il testo riformulato della mozione Zampa n. 1-00361, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 314 del 29 aprile 2010.
La Camera,
premesso che:
la Commissione bicamerale per l'infanzia nell'ottobre del 2008 ha dato avvio ad un'indagine conoscitiva per approfondire la condizione dei minori stranieri non accompagnati, ovvero dei minori immigrati nel territorio italiano ed ivi presenti in assenza di familiari e per ricostruire il percorso di questi minori, una volta che abbandonano i centri di prima accoglienza per gli immigrati, dopo essere stati identificati come minori e pertanto esclusi dalla proceduta di espulsione dal territorio italiano. Dall'indagine è emersa una situazione di grave allarme sociale; infatti, una larga parte dei minori che vengono rilasciati dai centri di prima accoglienza affrontano un destino incerto, allontanandosi in molti casi senza lasciare traccia dalle comunità alloggio che li ospitano ed esponendosi così a pericoli di sfruttamento da parte della criminalità organizzata o a gravi rischi per la loro stessa incolumità. Le ragioni dell'allontanamento di questi minori dalle comunità ospitanti sono principalmente da ricondurre alla soppressione dei fondi dedicati, ai tagli al Fondo sociale, e alla conseguente insufficienza delle risorse finanziarie a disposizione degli enti locali su cui insistono i centri di prima accoglienza; ai comuni sono infatti nella grande maggioranza dei casi affidati i minori con il provvedimento di tutela del magistrato, che segue alla prima accoglienza finanziata dal Ministero dell'interno;
l'Italia ha ratificato il 27 maggio 1991 con legge n. 176 la Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia che all'articolo 1 definisce «bambini» gli individui di età inferiore ai 18 anni;
tale Convenzione rappresenta lo strumento normativo internazionale più importante e completo in materia di promozione e tutela dei diritti dell'infanzia, tra cui il diritto alla vita (articolo 6), il diritto alla salute e a godere delle prestazioni sanitarie (articolo 24), il diritto ad esprimere la propria opinione (articolo 12) e ad essere informati (articolo 13), il diritto al nome, tramite registrazione anagrafica, nonché alla nazionalità (articolo 17), il diritto all'istruzione (articolo 28 e 29), il diritto al gioco (articolo 31) ed il diritto ad essere tutelati da ogni forma di sfruttamento e di abuso (articolo 34);
alla Convenzione sui diritti dell'infanzia si accompagnano due protocolli opzionali che l'Italia ha ratificato con legge n. 46 del 9 maggio 2002 il Protocollo opzionale concernente il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati e il Protocollo opzionale sulla vendita, prostituzione e pornografia dei bambini;
la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, negli articoli 22, 30, 32, 34, 35, 36, 38 e 39, prevede una tutela particolare a favore di alcuni gruppi di bambini e adolescenti in considerazione della loro maggiore vulnerabilità. Si tratta dei minori in situazione di emergenza, come i minori rifugiati e i minori nei conflitti armati; dei minori in situazione di sfruttamento economico, compreso il lavoro minorile, abuso e sfruttamento sessuale; delle vittime di tratta o di altre forme di sfruttamento; infine dei bambini e adolescenti di minoranze etniche o popolazioni indigene;
la presenza dei minori stranieri non accompagnati in Italia, secondo l'organizzazione non governativa Save the Children è data in crescita, con una concentrazione nelle città con più di 100.000 abitanti, sebbene negli ultimi anni sia emersa una crescente preferenza dei minori per città più piccole (tra i 15.001 e i 100.000 abitanti);
secondo i dati contenuti nel Rapporto ANCI 2009 oggi i minori stranieri provengono soprattutto dall'Afghanistan (+170 per cento in due anni) – e non più dalla Romania in quanto ora fa parte dell'Unione europea –, preferiscono fermarsi nelle città medio piccole, che dal 2006 al 2008 hanno registrato un aumento della loro presenza del 200 per cento e fuggono meno dalle strutture di prima accoglienza rispetto a qualche anno fa (il 40 per cento contro il 62 per cento del 2006). Seguono poi l'Albania, l'Egitto e il Marocco. In aumento anche il numero di minori che arrivano dai Paesi africani instabili o in conflitto (Nigeria, Somalia ed Eritrea), e dunque potenziali richiedenti asilo. E per la prima volta fa capolino il Kosovo (non presente fino a oggi nelle statistiche in quanto Stato autonomo solo dal febbraio 2008);
secondo il comitato per i minori stranieri, al 30 settembre 2009, vi erano in Italia 6.587 minori stranieri non accompagnati, tra questi il 77 per cento è ricompreso nella fascia d'età che va dai 16 ai 17 anni. Il 90 per cento dei minori è di sesso maschile e più della metà ha 17 anni. Il 74 per cento dei minori censiti è alloggiato presso una struttura di prima o seconda accoglienza, il 16 per cento presso un privato, mentre 70 si trovano in Istituti penali minorili;
il Comitato per i minori stranieri al 15 novembre 2009 diffondeva i seguenti dati relativi al flusso di minori stranieri non accompagnati:
a) 2.503 minori segnalati per la prima volta nell'anno in corso e ancora minorenni, i quali in larga parte presumibilmente subiranno gli effetti negativi della legge n. 94 del 2009 in tema di conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età;
b) 926 minori segnalati nell'anno in corso e già divenuti maggiorenni, molti dei quali hanno già subito o subiranno sicuramente gli effetti negativi della legge n. 94 del 2009 in tema di conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età;
c) 4.559 minori segnalati negli anni precedenti e divenuti maggiorenni nel 2009, i quali potrebbero subire in minima parte gli effetti negativi della legge n. 94 del 2009 in tema di conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età;
questi dati forniscono in parte la misura di quanto potrà incidere l'entrata in vigore dell'articolo 1, comma 22, lettera v), legge n. 94 del 2009 sulle prospettive di vita di migliaia di minori (sulla base della stima più di 3.000). Minori che in relazione alle scelte istituzionali e alla gestione delle politiche migratorie, potrebbero utilmente portare avanti un percorso di crescita ed integrazione nel nostro Paese, o che al contrario potrebbero trovarsi al compimento del diciottesimo anno di età in posizione di clandestinità per l'impossibilità di convertire il proprio permesso di soggiorno. Per il rilascio del permesso di soggiorno, infatti, sono necessarie una seria di condizioni che difficilmente il minore può soddisfare: il minore non accompagnato, infatti, deve essere sottoposto a tutela o affidamento, deve essere inserito da almeno due anni in un progetto di integrazione, avere la disponiblità di un alloggio, deve essere iscritto a un regolare corso di studio o svolgere un'attività lavorativa. Le condizioni devono essere soddisfatte tutte contemporaneamente;
in caso di interpretazioni restrittive della normativa si calcola che, più di 3.000 neomaggiorenni diverranno invisibili per le istituzioni, dunque irregolari e «clandestini» (imputabili del reato di ingresso e soggiorno illegale, assoggettabili a detenzione amministrativa fino a sei mesi e non più regolarizzabili), e saranno esposti ad un altissimo rischio di essere attratti dal mercato del lavoro irregolare o, ancor peggio, in circuiti criminali;
secondo uno studio condotto da Save The Children, si verifica nel nostro Paese una difformità di prassi in merito all'interpretazione degli articoli 10-bis e 32 del decreto legislativo n. 286 del 1998 e dell'articolo 61-bis del codice penale in riferimento ai minori stranieri non accompagnati. Il reato di ingresso e soggiorno illegale viene contestato ai minori in alcune città ed in altre no, così come l'aggravante dell'irregolarità. Per quanto riguarda la conversione del permesso di soggiorno, alcune questure stanno di fatto applicando un regime transitorio, mentre altre no. In sostanza la condizione giuridica di un minore straniero non accompagnato cambia a seconda della città dove viene accolto;
il fenomeno descritto presenta altresì preoccupanti connessioni con i flussi dell'immigrazione clandestina, gestiti dalla criminalità organizzata, spesso con base al di fuori del territorio italiano, a conferma dell'esistenza di gravi fenomeni di tratta di esseri umani, finalizzata allo sfruttamento di minori, soprattutto donne;
la gravità sociale dei fenomeni sin qui descritti e l'urgenza di individuare al più presto gli strumenti per una maggiore tutela di questi minori e per l'affermazione dei loro diritti, accertando tutte le eventuali responsabilità connesse, necessita, da parte del Governo, di porre attenzione ad una politica di accoglienza in sintonia con il 4o rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della convenzione ONU in Italia, 2007-2008, pubblicato dal gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. In particolare nel citato rapporto si raccomanda, in accordo con i principi e le disposizioni della Convenzione, soprattutto gli articoli 2, 3, 22 e 37, e con il rispetto dei bambini, richiedenti o meno asilo, che l'Italia: a) incrementi gli sforzi per creare sufficienti centri speciali di accoglienza per minori non accompagnati, con particolare attenzione per quelli che sono stati vittime di traffico e/o sfruttamento sessuale; b) assicuri che la permanenza in questi centri sia più breve possibile e che l'accesso all'istruzione e alla sanità siano garantiti durante e dopo la permanenza nei centri di accoglienza; c) adotti, il prima possibile, una procedura armonizzata nell'interesse superiore del bambino per trattare con minori non accompagnati in tutto lo Stato parte; d) assicuri che sia previsto il rimpatrio assistito quando ciò è nel superiore interesse del bambino, e che sia garantita a questi stessi bambini l'assistenza per tutto il periodo successivo,
impegna il Governo:
a predisporre tutte le misure atte a far sì che la permanenza dei minori nell'ambito delle strutture di accoglienza che li ospitano, dopo il rilascio dai centri di prima accoglienza, non sia in alcun modo condizionata da valutazioni di convenienza economica delle strutture stesse, le quali potrebbero indurre i minori ad allontanarsi, favorendone lo stato di clandestinità;
a coordinare le opportune iniziative per instaurare una rete di comunità alloggio estesa al territorio nazionale, evitando la concentrazione nella Regione Sicilia, attraverso la quale ospitare i minori stranieri non accompagnati all'atto delle dimissioni dai centri di prima accoglienza, per ripartire equamente il carico finanziario di tale ospitalità, valutando se porre a carico dello Stato le spese dell'accoglienza a lungo termine di questi minori;
a verificare se i criteri utilizzati per l'adozione dei provvedimenti di tutela dei minori stranieri non accompagnati siano omogenei su tutto il territorio nazionale;
a prevedere il rilascio del permesso di soggiorno anche per quei minori stranieri che abbiano raggiunto la maggiore età e che abbiano già intrapreso un percorso documentato di integrazione sociale e civile.
(1-00361)
«Zampa, Livia Turco, Lo Moro, De Torre, Cardinale, Zaccaria, Sbrollini, Touadi, Arturo Mario Luigi Parisi, Farinone, Schirru, Recchia, Siragusa, Bossa, Vannucci, Zucchi, Mattesini, Brandolini, Motta, Lenzi».
Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.
Il seguente documento e stato ritirato dal presentatore: Interrogazione A Risposta Scritta Holzmann n. 4-08604 del 15 settembre 2010.