XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di lunedì 4 ottobre 2010

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:

La Camera,
premesso che:
l'Afghanistan è in una fase cruciale del conflitto e della sua lotta per uscire dalla povertà. C'è una necessità oggettiva che le comunità internazionali facciano di più per aiutare gli afghani a creare istituzioni efficaci e per promuovere una crescita economica equa;
in base al ruolo unico del sistema delle Nazioni Unite e l'ampiezza di competenze, il quadro delle Nazioni Unite a sostegno dell'Afghanistan national development strategy (ANDS) si concentra su tre aree prioritarie: governance di pace e stabilità, vita sostenibile e servizi sociali di base, sostenute da interventi su questioni trasversali come i diritti umani, parità tra i sessi, la tutela dell'ambiente, lotta contro le mine e il narcotraffico. Questi tre settori prioritari sono inquadrati in un contesto in cui l'ONU è nella posizione migliore per sostenere la strategia nazionale di sviluppo, concentrandosi sul nesso tra stabilità e l'alleviamento della povertà, in particolare per i più emarginati e vulnerabili;
eppure a nove anni dalla presenza della Nato, con la missione ISAF i cui obiettivi sono ricostruzione, stabilizzazione e addestramento all'interno di un mandato teso al mantenimento della sicurezza nell'interesse della ricostruzione e degli sforzi umanitari, la situazione in Afghanistan è peggiorata;
le strade rimangono non edificate, una percentuale, seppur non altissima, di afghani rimane senza accesso a servizi di base, la disoccupazione è diffusa. Nel 2005, l'indice di sviluppo umano per l'Afghanistan era di 173 su 178 Paesi. Oggi è 181 su 182. La produzione di oppio è aumentata di 40 volte. I proventi della droga rappresentano oltre il 60 per cento dell'economia. L'Afghanistan ha il peggior record delle morti infantili e ha un'aspettativa di vita di 44 anni;
questo, nonostante centinaia di miliardi di dollari vengono spesi dalla NATO, una forza che sembra impotente a difendere la popolazione dalle attività di un gruppo di signori della guerra;
quello degli aiuti internazionali è stato il problema principale discusso nella Conferenza dei donatori a Kabul del luglio 2010 che ha riunito circa 70 delegazioni di Paesi e rappresentanti delle istituzioni internazionali;
tra il 2002 e il 2009 l'Afghanistan ha ricevuto circa 40 miliardi di dollari di assistenza internazionale. Di questi, solo 6 miliardi sono passati dal Governo centrale del Paese. I rimanenti 34 sono stati veicolati dalle organizzazioni internazionali (Onu, Ong varie, banca mondiale, banche regionali per lo sviluppo, e altre). Una percentuale compresa tra il 70 e l'80 per cento di queste somme non ha mai raggiunto la popolazione afghana. La maggior parte degli aiuti che i contribuenti e i donatori europei e americani intendono destinare a uno dei popoli più poveri del mondo si perde lungo la catena della distribuzione e ritorna sotto altre forme, lecite e illecite, ai centri da cui è partita;
è bene avviare un'opera di refocusing mettendo nel mirino il modus operandi delle principali agenzie di assistenza umanitaria e di sviluppo del sistema internazionale: dagli uffici per la cooperazione e lo sviluppo dei Paesi dell'Unione europea e degli Usa all'Undp, dall'Unops alla Banca Mondiale, fino alle grandi Ong che operano in Afghanistan;
il Governo Usa ha anche istituito un Ispettorato generale sulla ricostruzione dell'Afghanistan (Sigar) che inizia a misurare l'impatto dei fondi stanziati per lo sviluppo del Paese, ricostruirne la mappa, prevenire e identificare gli abusi. Sulla scia di quanto stanno facendo gli Stati Uniti, necessitano forme di controllo più rigorose e un'indagine accurata sul miliardo di

euro di aiuti civili che l'Unione europea e i Paesi membri destinano ogni anno all'Afghanistan. Nessuna pace duratura e possibile in Afghanistan senza una sostanziale riduzione della povertà e una lungimirante politica di sviluppo sostenibile;
il recente rapporto ONU sulla missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, la relazione sulla protezione dei civili nei conflitti armati, rivela delle statistiche scioccanti: il numero dei civili uccisi in Afghanistan nei primi sei mesi del 2010 è salito del 31 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009 a causa di un aumento del numero di azioni ostili intraprese da parte di elementi armati;
secondo la Missione delle Nazioni Unite, UNAMA, le perdite umane in questo periodo ammontano a 1.271 morti e 1.997 feriti. Di queste 3.268 vittime, il 76 per cento è stato attributo alle attività di Anti-goverment elements (un aumento del 53 per cento) e il 12 per cento sono stati causati dalle azioni di governo Pro-Elements (un calo del 30 per cento), mentre il numero di bambini uccisi o feriti è aumentato del 55 per cento;
lo stesso rapporto afferma che i bombardamenti aerei della International security assistance force sono stati la causa principale delle perdite inflitte dagli elementi pro-governo, vale a dire 69 dei 223 civili morti e 45 feriti, anche se il numero delle vittime di questi attacchi era diminuito del 64 per cento nel corso dell'anno;
Georgette Gagnon, direttore dei diritti dell'uomo per UNAMA, ha dichiarato che «A nove anni nel conflitto, le misure per proteggere i civili afghani in modo efficace e per ridurre al minimo l'impatto del conflitto sulla base dei diritti umani sono più urgenti che mai»;
invitando tutti gli interessati a fare di più per proteggere i civili, rispettando i loro obblighi di diritto internazionale, la Relazione raccomanda che le forze militari internazionali dovrebbero rendere più trasparente la loro responsabilità nel caso di perdite umane e di essere più attenti durante le attività aeree, che il Governo afghano dovrebbe creare un organismo speciale per rispondere agli incidenti e che i talebani devono cessare l'esecuzione di civili;
secondo la Convenzione di Ginevra relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra, le clausole prevedono chiaramente che le forze d'invasione hanno la responsabilità di proteggere i civili. Se dopo nove anni le vittime sono in aumento, allora risulta evidente per il sottoscritto una incapacità della NATO di condurre la missione con successo;
tutto questo viene evidenziato e approfondito dall'Afghanistan rights monitor (ARM), l'osservatorio indipendente che pubblica il rapporto di metà anno sulle vittime civili del conflitto;
nonostante le dichiarazioni di alto profilo a Washington e Kabul circa i progressi compiuti in Afghanistan, il popolo afghano ha solo assistito e sofferto un conflitto armato intensificatosi negli ultimi sei mesi. Contrariamente alla promessa del Presidente Barack Obama, secondo cui il dispiegamento di altre 30.000 forze Usa nel paese avrebbe dovuto «distruggere, smantellare e sconfiggere» i ribelli talebani ed i loro alleati di Al-Qaeda nella regione, l'insurrezione è diventata più elastica, più strutturata e mortale;
le informazioni e i dati ricevuti, verificati e analizzati da Afghanistan rights monitor (ARM) dimostrano che circa 1.074 persone civili sono rimasti uccisi e oltre 1.500 sono rimaste ferite nella violenza armata e incidenti di sicurezza dal 1o gennaio al 30 giugno 2010. Questo mostra un lieve incremento del numero di morti civili, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando 1.059 decessi sono stati registrati;
in termini di insicurezza, il 2010 è stato l'anno peggiore dalla caduta del regime talebano nel 2001. Non solo il numero di incidenti è stato maggiore, ma lo spazio e la profondità della rivolta e le guerriglie connesse non aiutano a contrastare

la violenza e hanno, altresì, ingrandito enormemente il pericolo di sicurezza. Fino a 1.200 incidenti per la sicurezza sono stati registrati nel mese di giugno, il più alto numero di incidenti, rispetto a un mese, dal 2002;
ARM è stato allo stesso modo analitico quando si trattava il tema della corruzione e di abuso dilagante nel Governo afghano e della loro forza di polizia;
in mezzo a preoccupazioni diffuse circa la corruzione dilagante e abuso di potere da parte della polizia, la NATO non solo ha continuato ad assumere i mal qualificati agenti, come riferito dai rapporti, ma ha ridotto il periodo di formazione a solo quattro settimane;
la stragrande maggioranza delle forze di polizia è analfabeta e vi è una mancanza di conoscenze adeguate circa i fondamenti della polizia per i diritti civili e umani. Molti agenti di polizia sono tossicodipendenti o hanno famigerati precedenti penali;
la corruzione dominante e l'abuso di autorità da parte della polizia hanno un impatto devastante sugli individui e sulla comunità civile che hanno un disperato bisogno di un senso di sicurezza, di protezione e di regole di diritto. La corruzione e l'abuso delle forze di polizia hanno anche contribuito alla criminalità diffusa, l'impunità penale e diniego di accesso al popolo alla giustizia e altri servizi essenziali;
da un recentissimo rapporto pubblicato da Human rights watch emerge che il governo afghano e i suoi sostenitori internazionali hanno ignorato la necessità di tutelare le donne nei programmi per reintegrare i combattenti ribelli e non hanno garantito che i diritti delle donne saranno inclusi nei colloqui potenziali con i talebani;
il report affronta, tra l'altro, le sfide potenziali per i diritti delle donne derivanti da accordi di governo futuro con le forze ribelli. Il rapporto descrive come nelle zone sotto controllo talebano le donne siano spesso vittime di minacce, intimidazioni e violenze, e donne leader politici e attiviste sono attaccate e uccise impunemente;
«le donne afghane non sono tenute a rinunciare ai propri diritti in modo che il governo possa tracciare un accordo con i talebani», ha detto Tom Malinowski, Direttore a Washington di Human Rights Watch. Sarebbe, infatti, un grave tradimento ai progressi compiuti dalle donne e per le donne e ragazze nel corso degli ultimi nove anni. Nelle zone di controllo o di influenza talebana, hanno minacciato e aggredito le donne nella vita pubblica e donne normali che lavorano fuori casa;
ci sono pochi segni che finora il governo del presidente Hamid Karzai abbia adeguatamente risposto alle preoccupazioni di questi attacchi nei suoi programmi per reintegrare i ribelli;
il Governo afghano ha offerto soltanto garanzie deboli per le donne che intendono salvaguardare la loro libertà che hanno recuperato dopo la caduta del governo talebano nel 2001. Nel marzo del 2009, per esempio, ha firmato la discriminatoria Shia Personal status law (che nega alle donne sciite i diritti di custodia dei figli e la libertà di movimento, tra gli altri diritti), e nel 2008 ha perdonato due stupratori gang per motivi politici;
nonostante le promesse dei sostenitori internazionali dell'Afghanistan per promuovere i diritti delle donne, Human rights watch continua ad essere preoccupata che anche loro possano sacrificare i diritti delle donne come parte di una strategia di uscita dall'Afghanistan;
il Governo afghano ha cercato di cooptare le fazioni dell'opposizione offrendo loro l'impunità per i crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale. Ma la giustizia e la responsabilità dei crimini gravi dovrebbero essere al centro di ogni processo di riconciliazione con i talebani e altri insorti;
la relazione descrive le condizioni che dovrebbero essere incluse in qualsiasi

reintegrazione e negoziazione o di un processo di riconciliazione per garantire i diritti delle donne. Lavorare, ottenere un'istruzione e impegnarsi nella vita politica dovrebbero essere fattori esplicitamente salvaguardati. Gli individui con una storia di gravi abusi contro le donne e le ragazze dovrebbero essere esclusi dal potere. E i leader delle donne devono essere pienamente coinvolti nei processi decisionali sia per reinserimento e la riconciliazione, in quanto essi stessi sono i migliori garanti dei loro diritti;
Human Rights Watch sostiene il documento redatto dalle donne afgane leader della società civile, emesso il 29 gennaio 2010. Esso comprende una serie di raccomandazioni tra cui:
le donne dovrebbero essere consultate e rappresentate in tutte le autorità nazionali di sviluppo della pace e del programma di reinserimento;
i Governi impegnati in Afghanistan per continuare lo sviluppo di una strategia di sicurezza nazionale devono essere coerenti con delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite a favore delle donne e dei loro diritti nelle zone di conflitto (incluse la risoluzione 1325, che riconosce fondamentale il ruolo delle donne per raggiungere pace e sicurezza, le Risoluzioni 1820 e 1888 sulla prevenzione e l'accusa di violenza sessuale nei conflitti armati, e la risoluzione 1889 che mira a promuovere la partecipazione delle donne durante il post-conflitto e nei periodi di ricostruzione);
elaborare un piano d'azione nazionale per la pace e la sicurezza in cui le donne devono essere integrate come elemento centrale della politica di sicurezza nazionale;
Human rights watch chiede, inoltre alle forze internazionali in Afghanistan di:
riconoscere che le vittime civili, le incursioni notturne e le pratiche di detenzione hanno contribuito ad alimentare la rivolta, continuare gli sforzi per ridurre le morti inutili, avviare indagini approfondite e tenere conto del personale militare responsabile di atti illeciti;
garantire che l'assistenza militare internazionale agli sforzi di reinserimento non aggravi l'impunità o la corruzione e che ogni impegno con le comunità o persone in cerca di reinserimento o di riconciliazione implica adeguati controlli dei precedenti per gravi accuse di violazioni dei diritti umani compresi gli attacchi alle donne e all'istruzione delle ragazze;
bisogna garantire una significativa partecipazione femminile nei pertinenti organi decisionali al fine di creare i presupposti per il finanziamento di programmi di reinserimento e garantire che i fondi di reinserimento vadano a beneficio delle famiglie e delle comunità, comprese le donne, piuttosto che ai singoli ex combattenti;
è necessario, inoltre, sollecitare il Governo afghano ad abrogare la legge di amnistia e di astenersi dal sostenere finanziariamente o pubblicamente qualsiasi processo di riconciliazione che non esclude le persone nei cui confronti vi sono accuse di crimini di guerra, crimini contro l'umanità e altre gravi violazioni dei diritti umani;
un altro dato molto drammatico viene dalla condizione dei bambini in Afghanistan che pagano il prezzo più alto. Infatti, secondo il rapporto del Watchlist on Children and armed conflict, un network di organizzazioni umanitarie che si batte contro le violazioni dei diritti dei minori nei paesi colpiti da guerre e conflitti e di cui fa parte Save the children, «l'Afghanistan è di giorno in giorno sempre meno un paese per bambini».
nel 2009 si contano circa 1.050 bambini uccisi in attacchi suicidi, raid aerei, in esplosioni di ordigni e di mine, negli scontri a fuoco tra le parti in guerra; oltre 200 mila minori sono sopravvissuti ad attacchi e attentati ma hanno riportato ferite permanenti e disabilità. Spesso informazioni

errate da parte dell'intelligence sono alla base di operazioni militari che finiscono con il procurare vittime innocenti piuttosto fra i civili che fra i gruppi armati di opposizione. Questi, dal canto loro, attaccano scuole, ospedali, luoghi trafficati e colpiscono deliberatamente i civili per intimidirli e indebolire il governo, nonostante il «codice» talebano stabilisca che debba essere fatto il possibile per evitare: morti di donne, uomini e bambini;
il dato più drammatico emerge dal reclutamento di bambini soldato che è documentato sia a carico delle forze di sicurezza afghana, sia dei gruppi d'opposizione. Nel primo caso molti reclutamenti avvengono in presenza di certificati di nascita imprecisi o inesistenti, in mancanza di verifiche adeguate dell'età e per la crescente domanda di personale fra le forze di polizia e nell'esercito regolare. I gruppi armati di opposizione impiegano bambini soldato per farne dei combattenti, guardie, attentatori suicidi. Il reclutamento e l'addestramento avvengono soprattutto nella zona di confine con il Pakistan. Bambini inoltre risultano essere stati tenuti prigionieri dalle forze militari internazionali: sono stati almeno 90 i minorenni detenuti fra il 2002 e il 2008;
la vendita e trasferimento di minori sfruttati poi in attività spesso illegali con il Pakistan o l'Iran è documentata ampiamente e molte sparizioni e rapimenti di bambini in Afghanistan sono collegati al traffico di esseri umani. Talora sono gli stessi familiari, ridotti in povertà, che vendono a reti criminali i propri figli. I minori vengono impiegati come corrieri e spacciatori di droga o di derrate alimentari. Talvolta vengono rapiti dagli stessi sfruttatori e trafficanti, magari nei campi di sfollati interni dove si stima vivano circa 80 mila minori. Nel 2009 sarebbero stati oltre mille i bambini impiegati nel trasporto e trasferimento di farina dall'Afghanistan al Pakistan;
l'Afghanistan è il secondo Paese al mondo per tasso di mortalità infantile, con 257 bambini con meno di 5 anni morti su ogni 1.000 nati vivi il paese in cui mamme e bambini stanno peggio al mondo, secondo l'indice sullo Stato delle madri di Save the Children. Ancora oggi oltre il 70 per cento dei parti avviene in casa senza alcuna assistenza specializzata. Un dottore segue in media 5.500 pazienti. Molto preoccupante è la diffusione e consumo di droga, che a volte riguarda l'intera famiglia. Si calcolano in 60 mila i bambini sotto i 15 anni dipendenti da droga. Inadeguata è l'assistenza e cura dei bambini tossicodipendenti e anche di quelli colpiti da disturbi mentali e psicologici;
Save the Children, la più grande organizzazione internazionale indipendente per la difesa e la promozione dei diritti dei bambini, lancia un chiaro allarme e chiede «che venga approntato un piano quinquennale per la protezione dei bambini, con degli obiettivi misurabili, come per esempio la riduzione del numero di attacchi alle scuole. Chiede inoltre che sia messo in opera un meccanismo per le vittime che renda facile la denuncia delle violazioni e accessibile l'informazione sul procedimento in corso. Chiede infine la definizione di criteri chiari e validi ovunque per l'assegnazione di sussidi ai familiari delle vittime della guerra e delle violenze. Il successo degli sforzi di portare la pace in Afghanistan risiede nella nostra abilità di proteggere i bambini di questa nazione. È urgente stabilire le giuste priorità per riuscire in questa missione»;
il principale obiettivo della missioni internazionali che vedono impegnato in prima linea il nostro Paese è la cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione;
la strategia europea in materia di sicurezza comune adottata dal Consiglio Europeo ha rivendicato un ruolo più incisivo per l'Unione europea nel contesto internazionale. In particolare, si sottolinea la necessità, da parte dell'Unione, di assumersi le sue responsabilità di fronte ad alcune minacce globali (terrorismo, criminalità organizzata, proliferazione delle

armi di distruzione di massa, conflitti regionali),

impegna il Governo:

a farsi promotore con gli alleati di un maggiore controllo e monitoraggio sulle conseguenze che la missione in Afghanistan ha sulla popolazione civile;
a valutare l'opportunità di individuare misure al fine di agevolare l'azione delle ONG che operano per fini umanitari in Afghanistan e Pakistan;
ad avviare un monitoraggio ed un controllo più diretto e mirato degli aiuti internazionali inviati a sostegno della popolazione civile afghana al fine di dare un concreto aiuto nel processo di ricostruzione del Paese, di legalità e di trasparenza;
ad adottare ogni utile di iniziativa per affrontare le molteplici problematiche che i bambini di questi territori sono costretti a subire con tragiche conseguenze;
a valutare la reale condizione drammatica delle donne e delle ragazze nei territori dell'Afghanistan e dei dati emersi dal rapporto di Human rights watch, una delle maggiori organizzazioni non governative internazionali che si occupa della difesa dei diritti umani, e a recepire le richieste di Human rights watch e delle donne e ragazze che vivono nei territori martoriati dalla guerra in linea con un mandato teso al mantenimento della sicurezza nell'interesse della ricostruzione e degli sforzi umanitari.
(1-00448)
«Di Stanislao, Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Barbato, Cambursano, Cimadoro, Di Giuseppe, Favia, Aniello Formisano, Messina, Mura, Monai, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Porcino, Piffari, Razzi, Rota, Scilipoti, Zazzera».

Risoluzioni in Commissione:

La III Commissione,
premesso che:
l'eventuale ratifica dell'accordo commerciale tra l'Unione europea e la Corea del Sud porterebbe all'abbattimento di quasi tutte le barriere doganali tra queste due aree economiche;
il Governo italiano ha espresso molti dubbi su tale accordo di libero scambio, la cui ratifica arrecherebbe un serio danno ai settori dell'automotive, del tessile, delle macchine utensili e della meccanica in generale, tutti strategici per l'economia italiana;
nel 2009 la Corea ha esportato in Europa circa 700 mila veicoli, a fronte di 600 mila realizzati nel vecchio continente, importandone 39 mila. L'abbattimento dei dazi avrebbe un impatto importante sull'occupazione europea, arrecando la perdita di oltre 30 mila posti di lavoro nell'industria continentale dell'automotive e di 150 mila nell'indotto;
la Corea produce vetture per il mercato europeo, importando numerosi componenti dalla Cina e applicando su tali componenti dazi pesantissimi;
con il nuovo accordo, qualora le merci finissero nel mercato europeo, i dazi versati verrebbero completamente rimborsati ai produttori coreani, i quali trarrebbero un grande vantaggio ad importare componenti dalla Cina per poi rivendere le vetture, indicate come asiatiche, sui mercati europei. Politiche di questo tipo ad avviso dei firmatari del presente atto ostacolano la libera concorrenza e lo sviluppo competitivo dei produttori europei;
i costruttori coreani, a giudizio dei firmatari del presente atto, avrebbero in questo modo un mercato domestico protetto dalla concorrenza cinese e potrebbero operare sul mercato europeo utilizzando i componenti cinesi senza il pagamento di dazi;

i dati diffusi dalla stampa parlano di un beneficio di circa 1.500 euro per automezzo. I danni per gli Stati membri sarebbero enormi e riscontrabili non solo nella perdita di competitività delle imprese europee nei confronti di quelle straniere, ma anche nell'ingresso nei mercati europei di vetture formalmente coreane, i cui componenti sarebbero però per gran parte di origine cinese;
l'obiettivo della presidenza dell'Unione europea sarebbe quello di arrivare alla stipula dell'accordo con la Corea del Sud nell'ambito del prossimo vertice Unione europea-Corea. Prima di tale data, sarebbe opportuno che il Governo italiano procedesse alla convocazione di un tavolo di confronto con tutte le categorie interessate dall'accordo, con particolare attenzione alle piccole e medie imprese,

impegna il Governo:

a promuovere, in ambito europeo, opportune iniziative volte alla modifica del prospettato accordo commerciale tra Unione europea e Corea del Sud, che portino alla rimozione della clausola che permette il rimborso dei dazi sui componenti cinesi utilizzati sui prodotti destinati al mercato europeo, al fine di realizzare una corretta concorrenza e salvaguardare i settori strategici dell'economia italiana;
a valutare l'opportunità di convocare un tavolo di confronto con tutte le categorie interessate dall'eventuale attuazione del suddetto accordo, al fine di analizzare l'impatto che lo stesso potrebbe avere sul sistema produttivo italiano.
(7-00395)
«Dozzo, Torazzi, Allasia, Maggioni, Vignali, Gava, Raisi».

La VII Commissione,
premesso che:
ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della Costituzione, «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura»;
l'Istituto musicale «G.B. Pergolesi» di Ancona, fondato nel 1924, costituisce oggi un'eccellenza nel campo della formazione, ben conosciuto nell'ambito del capoluogo e dell'intera Regione Marche;
nell'ottobre del 2001, con decorrenza dall'anno accademico 2001-2002, l'Istituto Musicale «G.B. Pergolesi» di Ancona è stato pareggiato a tutti gli effetti di legge ai Conservatori di musica statali relativamente alle scuole principali di chitarra, clarinetto, fisarmonica, flauto, strumenti a percussione, pianoforte e materie complementari (cultura musicale generale, storia della musica, teoria e solfeggio, pianoforte complementare, musica di insieme per fiati);
con la legge n. 508 del 1999 (di riforma dei conservatori) stanno realizzandosi le nuove strutture accademiche di alta formazione - denominate AFAM (alta formazione artistica e musicale) - parificate alle Università, e che pertanto l'istituto superiore di studi musicali «G.B. Pergolesi» costituisce - seppur in nuce - un vero e proprio secondo centro universitario della città capoluogo delle Marche segnatamente rivolto alle arti performative;
presso l'istituto già da ora vi sono i corsi accademici di II livello e che dal nuovo anno accademico 2010/2011 dovranno essere avviati i corsi accademici di I livello, come disposto dai decreti ministeriali attuativi della legge n. 508 del 1999;
le gravi difficoltà economiche e finanziarie in cui versano gli altri enti sovvenzionatori dell'istituto (regione Marche, provincia di Ancona e comune di Ancona) a causa dei tagli imposti dalla manovra finanziaria varata dal Governo, hanno comportato un taglio dei trasferimenti in favore dell'Istituto, segnandone profondamente il bilancio e mettendo quindi a rischio il proseguimento delle attività, specie per l'anno in corso;
con la riforma dei licei introdotta dal Ministro Gelmini sono state individuate

le prime 40 sedi di liceo musicale, di cui una proprio ad Ancona, e pertanto è stato ormai avviato il segmento formativo precedente l'alta formazione musicale, che avrà naturale sbocco nei corsi triennali di I livello attivati presso l'istituto «G.B. Pergolesi»;
secondo le dichiarazioni di recente rese dal Sottosegretario all'istruzione Giuseppe Pizza - non essendoci le condizioni finanziarie per un'effettiva autonomia - non può ad oggi essere prevista la statalizzazione dell'istituto G.B. Pergolesi, così come del resto non è prevista per le medesime ragioni la statalizzazione di nessuno dei 21 istituti musicali parificati italiani;
secondo le medesime dichiarazioni, il G.B. Pergolesi di Ancona - nel quadro di un progetto nazionale di regionalizzazione degli istituti musicali su cui stanno lavorando di concerto i Ministeri dell'istruzione, dell'università e della ricerca e per i lavori e le attività culturali - potrebbe verosimilmente continuare le proprie attività a partire dall'anno venturo come sede distaccata del conservatorio Rossini di Pesaro, venendo quindi preso in carico direttamente nel bilancio dello Stato;
il problema di crisi economico-finanziaria gravante sull'istituto, alla luce di quanto ipotizzato dal Governo, è pertanto relativo al solo anno accademico in vista del futuro compimento del processo di regionalizzazione dei conservatori illustrato dal Sottosegretario Pizza,

impegna il Governo

ad assumere le necessarie iniziative normative per un finanziamento straordinario, volto a scongiurare il rischio di chiusura dell'istituto per l'anno in corso, garantendo così continuità negli insegnamenti impartiti ai discenti e tutelando i lavoratori della cultura impiegati presso l'istituto medesimo.
(7-00397)«Zazzera, Favia».

La XIII Commissione,
premesso che:
il decreto-legge 8 luglio 2010, n. 105, all'articolo 1-ter, riguardante l'interpretazione autentica in materia di tariffa onnicomprensiva per gli impianti di potenza media annua non superiore a 1 megawatt, prevede che «la tariffa onnicomprensiva introdotta dal comma 6, lettera a), si applica agli impianti entrati in esercizio dopo il 31 dicembre 2007, fermo restando quanto previsto al comma 8 per gli impianti di proprietà di aziende agricole o gestiti in connessione con aziende agricole, agro-alimentari, di allevamento e forestali, entrati in esercizio commerciale dopo il 31 dicembre 2007»;
la suddetta tariffa si riferisce, ai sensi della legge 23 luglio 2009, n. 99, articolo 42, comma 3, lettera a), ad impianti di produzione di energia da «biogas e biomasse, esclusi i biocombustibili liquidi ad eccezione degli oli vegetali puri tracciabili attraverso il sistema integrato di gestione e di controllo previsto dal regolamento (CE) n. 73/2009 del Consiglio, del 19 gennaio 2009»;
nella legge 24 dicembre 2007, n. 244, all'articolo 2, comma 145, si stabilisce tuttavia che «la tariffa onnicomprensiva di cui al presente comma può essere variata, ogni tre anni, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, assicurando la congruità della remunerazione ai fini dell'incentivazione dello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili»;
data la natura spesso consistente degli investimenti in atto del settore risulta imperativo, specie per l'accesso al credito, definire con certezza i termini da cui decorre il termine dei tre anni scaduto il quale il Ministero dello sviluppo economico può intervenire con decreto per variare le tariffe, non essendo questo punto stabilito con precisione neppure tramite l'interpretazione autentica del decreto-legge n. 105 del 2010,

impegna il Governo

ad assumere iniziative, anche normative, volte a stabilire che il termine di tre anni

entro cui il Ministero dello sviluppo economico può ridefinire la tariffa onnicomprensiva fissata dalla legge 23 luglio 2009, n. 99, articolo 42, comma 3, lettera a), decorre dalla data di entrata in vigore di quest'ultima.
(7-00396)«Bellotti».

TESTO AGGIORNATO AL 19 GENNAIO 2011

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:

BONAVITACOLA e IANNUZZI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
come comprovato da recenti accadimenti, riportati da svariati organi d'informazione locale e nazionale, la situazione di emergenza nello smaltimento dei rifiuti in regione Campania è ben lungi dall'essere superata;
sulla base dei dati ufficiali fin qui disponibili in Campania il totale di produzione annua è pari a tonnellate 2.567.642, di cui 1.997.303 di rifiuti indifferenziati e 570.339 di rifiuti differenziati (22,21 per cento del totale annuo complessivo);
il trend di crescita della raccolta differenziata rimane piuttosto lento e presenta un quadro alquanto differenziato fra le diverse province della regione: Salerno (38,31 per cento); Avellino (36,50 per cento); Benevento (26,59 per cento); Napoli (18,04 per cento); Caserta (13,25 per cento);
a fronte di questi dati spiccano gli esiti del tutto deludenti della capacità di smaltimento del termovalorizzatore di Acerra, con due linee su tre in blocco quasi permanente (con conseguente trattamento di rifiuti ridotto ad un terzo delle 600.000 tonnellate/anno previste a pieno regime);
altrettanto critica è la situazione delle discariche oggi attive - (Savignano (Avellino), S.Arcangelo Trimonte (Benevento), S.Tammaro (Caserta), Chiaiano (Napoli), Terzigno-Cava Vitiello (Napoli) - che a fronte di una capienza complessiva di 4.800.000 tonnellate hanno una residua disponibilità ricettiva di circa 1.600.000 tonnellate;
la capacità ricettiva residua delle discariche attive, conseguentemente, è in fase d'imminente saturazione, mentre permane l'assenza di concrete iniziative volte all'individuazione delle discariche occorrenti a gestire la fase intermedia fino alla realizzazione di un'idonea rete impiantistica di termovalorizzazione; unica eccezione riguarda l'ostinazione ad aprire un sito nel comune di Terzigno, del tutto inaccettabile per le insostenibili ricadute ambientali in un'area di grande valenza paesaggistica nella cinta vesuviana;
l'attuale quadro normativo statale sottopone la Campania ad un persistente commissariamento surrettizio, dando luogo, ad avviso degli interroganti, ad un immotivato regime differenziato nei confronti di tutte le altre regioni, posto, sempre secondo gli interroganti, anche in violazione dei princìpi costituzionali a base del nostro ordinamento istituzionale;
infatti, la Campania è l'unica regione dove è stata proclamata per legge la chiusura della fase di emergenza, ma dove non trova applicazione la normativa statale dettata dal codice dell'Ambiente approvato con decreto legislativo n. 152 del 2006, con grave compromissione delle legittime prerogative dei comuni, nonostante le più recenti modifiche della legislazione regionale introdotte con l'articolo 1 comma 68 della legge regione Campania n. 2 del 2010 (finanziaria regionale per l'anno 2010) -:
se risultino acquisiti, da parte delle fonti istituzionali all'uopo proposte

(ISPRA e SIGER), dati più aggiornati sulla produzione e modalità di smaltimento dei rifiuti in Campania, visto che quelli fin qui resi noti sono riferiti ancora all'anno 2008 ed in caso affermativo, se si intenda renderli noti anche in forma disaggregata fra raccolta differenziata ed indifferenziata, nonché per aree territoriali;
se sia stato effettuato, da parte dell'unità stralcio, l'accertamento economico della massa attiva e passiva connessa alla gestione dell'emergenza, come previsto dall'articolo 3, comma 1, del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito dalla legge n. 26 del 2010; nonché connessa alla gestione del termovalorizzatore di Acerra, ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto-legge n. 195, convertito dalla legge n. 26 del 2010;
quale residua capacità ricettiva sia garantita dalle discariche allo stato attive in ambito regionale e quale sia il prevedibile arco temporale di definitiva saturazione;
se la regione Campania e le relative province, in questa fase di riesplosa emergenza, abbiano chiesto all'unità operativa utili attività di supporto in materia di gestione del ciclo dei rifiuti in Campania, ai sensi dell'articolo 4, comma 3, del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito dalla legge n. 26 del 2010;
quali iniziative, anche indipendentemente da eventuali sollecitazioni delle istituzioni locali, siano state intraprese dalla Protezione civile nell'attuale fase di riacutizzarsi dell'emergenza rifiuti in Campania;
se siano state intraprese iniziative a livello di Governo centrale per evitare la prevista apertura di una nuova megadiscarica nel comune di Terzigno (località Cava Vitiello) in considerazione dei gravi effetti che ne deriverebbero per un'area a forte valenza paesaggistica ricadente nel Parco nazionale del Vesuvio;
se risulti effettuato il collaudo del termovalorizzatore di Acerra nei termini previsti dall'articolo 8 del decreto-legge n. 195 del 2009 convertito dalla legge n. 26 del 2010, ed in caso affermativo, con quali esiti e conseguenze in ordine alla sua proprietà e modalità di gestione;
quali siano i dati sulle emissioni degli scarichi inquinanti in atmosfera, comparati a quelli previsti dall'atto di messa in esercizio del termovalorizzatore di Acerra;
quali siano stati i quantitativi di rifiuti effettivamente smaltiti dall'impianto di Acerra dall'entrata in esercizio all'attualità;
se risultino accertate le ragioni del frequente fermo di singole linee all'impianto di Acerra, ed in caso affermativo, quali siano i tempi di fermo che fino a questo momento hanno interessato, distintamente, ognuna delle tre linee operative;
se il Governo abbia effettuato un bilancio degli effettivi esiti applicativi della provincializzazione del ciclo dei rifiuti disposta dal decreto-legge n. 195, convertito dalla legge n. 26 del 2010 e quali correttivi intenda apportare, anche alla luce delle ripetute e generalizzate sollecitazioni delle amministrazioni provinciali campane;
se sia stato effettuato dall'unità di missione il calcolo delle posizioni debitorie dei comuni nei confronti della gestione straordinaria della fase emergenziale, con rilascio della certificazione prevista dall'articolo 12, comma 2, del decreto-legge n. 195 convertito dalla legge n. 26 del 2010; ed in relazione a tale argomento, se sia stato emanato il regolamento attuativo con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dalla norma citata;
se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere per garantire il prosieguo della realizzazione del termovalorizzatore nel comune di Salerno (le procedure sono state avviate per iniziativa della Presidenza del Consiglio ex ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3639 e 3641 del 2008), a partire dall'attività già posta in essere dallo stesso comune in fase di supporto al

commissario delegato sindaco di Salerno p.t., garantendo le prerogative dello stesso comune in funzione di soggetto attuatore dell'impianto, nel quadro di un accordo di leale cooperazione istituzionale con la regione Campania e le province interessate.
(5-03526)

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 97 della Costituzione prevede che l'accesso al pubblico impiego sia garantito mediante concorso pubblico, e tale previsione non risponde solo a criteri di trasparenza e imparzialità, ma anche alla finalità dell'individuazione del personale più idoneo alle esigenze delle pubbliche amministrazioni;
l'obiettivo di migliorare l'efficienza della pubblica amministrazione non può prescindere da una proporzionata politica di formazione e selezione del personale assunto nelle pubbliche amministrazioni intese nel loro complesso;
una selezione idonea del personale implica l'obbligatorio svolgimento di concorsi pubblici che prevedano prove adeguate a verificare le qualifiche e la capacità dei candidati;
il decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, prevede che i concorsi siano per esami (prove scritte e prove orali) oppure per esami e titoli, a seconda delle qualifiche richieste;
risulta che gran parte del personale precario inserito negli ultimi anni nelle pubbliche amministrazioni non sia stato assunto mediante serie e formalizzate procedure selettive;
sempre più spesso si confonde il concorso pubblico con generiche procedure selettive previste per impieghi diversi da quello a tempo indeterminato nelle pubbliche amministrazioni -:
quanti siano i lavoratori precari assunti negli ultimi tre anni mediante procedure selettive e quali siano state le tipologie di procedure selettive a cui sono stati sottoposti;
quali siano e come si svolgano le procedure selettive oggi adottate nella pubblica amministrazione, statale e non;
quale grado di imparzialità ed equità venga garantito dalle procedure selettive per l'individuazione del personale a oggi impiegato nelle pubbliche amministrazioni;
se non ritengano opportuno avviare una indagine conoscitiva per conoscere nel dettaglio le modalità di svolgimento delle menzionate procedure selettive.
(4-08862)

RIVOLTA, NICOLA MOLTENI e STUCCHI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
l'ente UNPLI, iscritto all'albo nazionale degli enti di servizio civile, ha avuto approvato e finanziato, nel bando pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 3 settembre 2010, i progetti «Itinerari culturali dell'Irpinia, tra fede e dominazione» e «Una provincia in cammino - Fase 2»;
tali progetti hanno come obiettivi specifici quello di «migliorare la fruibilità delle risorse culturali e potenziare le visite guidate in concomitanza di eventi» per il progetto «Itinerari culturali dell'Irpinia», mentre per il secondo progetto si segnala come i volontari dovranno effettuare «lavoro di catalogazione dei beni materiali, erogazione di offerte formative ed informative sui beni presenti sui territori, svolgere attività di promozione culturale»;
una delle sedi di attuazione del progetto «Itinerari culturali dell'Irpinia, tra fede e dominazione», presso cui prenderà servizio 1 volontario, è l'A.M.D.O.S. di Avellino, sita in via Derna 1. L'acronimo sta per «Associazione Meridionale Donne

Operate al Seno» e, come risulta evidente da una banale ricerca effettuata con Google, ha come fine principale quello di informare la popolazione sui rischi dei tumori, attuando un'adeguata opera di prevenzione;
si tratta di fini meritori, ma che nulla hanno a che fare con un progetto di servizio civile avente per obiettivi la fruibilità delle risorse culturali ed il potenziamento di visite guidate;
nel progetto «Una provincia in cammino - Fase due» si trova come sede di attuazione l'ente «Tennis Club Salerno», con sede in Salerno, Via Liberti 2, dove dovrebbero svolgere il loro servizio civile nei prossimi mesi due volontari;
anche in questo caso appare arduo anche solo immaginare quali siano i «lavori di catalogazione dei beni materiali ed immateriali» attuabili in un tennis club -:
ad avviso degli interroganti ci si trova di fronte a due evidenti segnali di uso distorto del servizio civile, non coincidente con obiettivi e finalità dei progetti;
quanto descritto in premessa evidenzia ad avviso degli interroganti una scarsissima capacità di valutazione delle richieste di accreditamento e dei progetti di servizio civile da parte dei funzionari dell'Ufficio nazionale del servizio civile a ciò preposti;
come sia stato possibile che le due sedi di servizio civile sopra menzionate siano state ricomprese, in sede di adeguamento accreditamento, tra realtà operanti nella conservazione e tutela dei beni culturali.
(4-08874)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il giorno 3 ottobre 2010 si è svolta la visita del Pontefice, Benedetto XVI, in Sicilia e in particolare nel capoluogo Palermo;
si legge sul Giornale di Sicilia del 10 settembre 2010, in un articolo firmato dalla giornalista Alessandra Turriti, che è stata prevista dalla Protezione civile una spesa di oltre due milioni di euro, e che la regione, la provincia e il comune «confidano in un aiuto del governo per coprire le uscite»;
risulta infatti che se la visita del Pontefice non sarà inserita tra i grandi eventi, «ci sarebbero serie difficoltà a reperire le somme necessarie»;
si apprende che si sono stimati necessari circa ventidue chilometri di transenne per chiudere il percorso che dovrà essere attraversato dal Pontefice e dal suo seguito;
il comune di Palermo non possiede questo materiale e, come avrebbe dichiarato il dirigente della Protezione civile, dottor Calogero Foti, «vorrà dire che le noleggeremo»; per tale noleggio sarebbe stata preventivata una spesa di circa 250 mila euro -:
se corrisponda al vero quanto riportato in premessa e a quanto ammonti esattamente la previsione di spesa per la citata visita;
come detta spesa verrà ripartita;
quale sia l'entità delle singole voci di spesa.
(4-08875)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il giornalista d'inchiesta specializzato in ecomafie Gianni Lannes, dopo aver chiesto invano alla Sogin, di poter visitare alcuni siti nucleari sarebbe entrato nella più grande centrale nucleare italiana, quella di Caorso;

in pieno giorno e alla luce del sole, sarebbe riuscito a penetrare con estrema facilità nella centrale nucleare - obiettivo sensibile secondo le direttive del Presidente del Consiglio dei ministri e della Sogin - dove sono custodite barre di uranio e rifiuti altamente radioattivi;
avrebbe varcato un ingresso con tre macchine fotografiche e un borsone, avrebbe superato le triple recinzioni metalliche contornate di filo spinato e telecamere, senza che alcuno lo fermasse;
nei panni di un kamikaze avrebbe potuto far saltare in aria il reattore Arturo con conseguenze catastrofiche;
all'interno della centrale il giornalista avrebbe fotografato i tir della Ecoge srl (sede a Genova), della famiglia calabrese dei Mamone che secondo i rapporti della direzione investigativa antimafia, a partire dall'anno 2002, è organica alla 'ndrangheta;
alla Ecoge sarebbe stato affidato dalla Sogin, incaricata dal 1999 di smantellare le centrali nucleari e i centri di ricerca, lo smantellamento delle scorie della centrale di Caorso;
mentre la Sogin ha escluso che il giornalista sia entrato a Caorso, un funzionario della Sogin, tale Marco Sabatini avrebbe affermato (a mezzo di posta elettronica) che gli atti intercorsi tra la Sogin e la Ecoge srl (contratto di appalto e carteggio epistolare) sono di natura riservata e non è possibile mostrarli a un giornalista;
la centrale di Caorso è stata progettata dal raggruppamento Enel-Ansaldo-Getsco e realizzata a partire dal 1970 sulla riva destra del fiume Po, tra Piacenza e Cremona, entrando in funzione nel 1978. Il reattore (Arturo) fermato per la quarta ricarica di combustibile nell'ottobre 1986, dopo il referendum del 1987 non è più rientrato in funzione. Il «decommissioning» prevedeva l'immediata realizzazione di barriere per l'isolamento del materiale radioattivo presente all'interno e il successivo smantellamento. Nel periodo di esercizio, la centrale - alimentata da un reattore ad acqua bollente BWR - ha prodotto 29 miliardi di chilowattora. Il piano di sicurezza a Caorso è ancora quello del 1977 -:
di quali elementi disponga il Governo in merito ai presunti legami tra la Ecoge srl e la 'ndrangheta;
se corrisponda al vero che la Ecoge è operativa a Caorso e quale sia il contenuto degli atti intercorsi tra la Sogin e la Ecoge srl (contratto di appalto e carteggio epistolare);
a distanza di 23 anni dalla chiusura della centrale di Caorso, quale sia lo stato del decommissioning;
quali provvedimenti si intendano adottare in merito all'assenza di misure di sicurezza nella centrale di Caorso come dimostrato dal facile accesso di Gianni Lannes e nei confronti della Sogin che ha addirittura negato che il giornalista sia mai entrato a Caorso.
(4-08890)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
una nota di agenzia (ANSA) del 2 ottobre 2010, delle ore 18:11, afferma che «Due militari italiani - un alpino paracadutista del 4o reggimento, i cosiddetti «ranger», e un incursore della Marina militare («Comsubin») - sono rimasti feriti oggi nell'ennesima battaglia che si è consumata in Afghanistan tra esercito e forze della coalizione internazionale da una parte e talebani dall'altra. I due appartengono alla «task force 45», l'unità delle forze speciali italiane di cui faceva parte anche il tenente Alessandro Romani, morto durante un'operazione nei pressi di Farah il 17 settembre scorso, e che praticamente ogni giorno sono impegnati in scontri a fuoco con gli insorti. I due, di cui non sono stati resi noti i nomi, hanno riportato ferite d'arma da fuoco ad un braccio: già operati, le loro condizioni,

assicurano dal contingente italiano, non destano preoccupazioni. La battaglia è esplosa poco dopo le 10:30 nel distretto di Javand, nella provincia di Badghis, una delle più calde della zona ovest del paese (quella sotto il controllo italiano), quando i militari italiani hanno fatto scattare, assieme all'esercito afghano, un'operazione per arrestare diversi leader talebani. Lo scontro si è protratto per diversi minuti e si è chiuso con l'arresto di cinque insorti e l'uccisione di diversi combattenti talebani. Oltre ai due militari italiani, sono rimasti feriti anche tre afghani, sempre in modo lieve. Solidarietà e vicinanza ai militari italiani e all'intero contingente impegnato in afghanistan è stata espressa dal ministro della Difesa Ignazio La Russa, che si è tenuto costantemente informato attraverso il capo di Stato maggiore della Difesa, dal presidente del Senato Renato Schifani e dal Pd. Gratitudine nei confronti dei nostri militari è stata espressa anche dal ministro degli Esteri Franco Frattini, che ha annunciato per novembre un incontro con gli alleati per decidere la strategia di uscita dal paese. «Il futuro della presenza italiana in Afghanistan - ha detto Frattini - sarà stabilito dalla Nato e dall'Onu: ci troveremo a novembre a Lisbona e lì ci sarà una road map per il graduale passaggio di potere alle autorità civili afghane». «La provincia di Herat, dove ci sono gli italiani - ha poi spiegato Frattini - sarà una delle prime ad essere interessate. Il che ovviamente non vuol dire che i soldati italiani se ne andranno. Il piano è restituire all'afghanistan il pieno controllo della situazione entro il 2014»;
sul sito web http://byebyeunclesam.wordpress.com/ è pubblicato un interessante articolo dal titolo «Complicità politiche ed istituzionali per la task force 45» risalente all'11 ottobre 2009 nel quale si legge testualmente «Dei "professionisti" tricolori della task force 45 si conoscono i reparti di provenienza e la forza approssimativa, 180-200 uomini. Non si sa niente invece delle dotazioni militari, niente degli ufficiali e sottufficiali, niente della effettiva catena di comando locale, niente sugli avvicendamenti e sui cicli di "operazione", niente sulla sorte riservata ai feriti mujaeddin e pashtun catturati sul terreno né esiste agli atti del Ministero della Difesa un solo comunicato che riguardi l'attività operativa dell'unità speciale (...) su tali vicende, secondo l'articolo citato» il silenzio di giornali e televisione è totale: si sa solo, per notizie che rimbalzano in Italia dalla agenzie di stampa afghane nelle provincie di Herat e Farah, che, ad oggi, si contano a centinaia gli insorti «neutralizzati» ed a decine i morti ammazzati tra i residenti per «effetti collaterali» di rastrellamenti, cecchinaggio, tiri di mortaio e «bonifiche» dall'aria. Ora che la Folgore sta per essere avvicendata la task force 45 torna, ad orologeria, alla pratica del rambismo, per alzare il livello dello scontro e per preparare come si deve il «terreno» alla Brigata Sassari. Tutte le Grandi Unità devono lasciare un minimum di caduti nel Paese delle Montagne, sufficiente a cementare solidarietà tra i partner dell'Alleanza Atlantica, a rilanciare sul piano nazionale la necessità della guerra al «terrorismo», ad instillare nelle Forze Armate del Bel Paese l'odio per un «nemico» che predica e pratica l'Islam, a preparare a livello politico una componente militare di élite che offra le esperienze e le specializzazioni necessarie per essere utilizzata, quando sarà «necessario» (...);
una campagna normativa «acquisti-dismissioni» che parte in sordina dal 1999 e ha preso un'accelerazione da capogiro a partire dall'estate 2006. Le riforme nella Pubblica Amministrazione annunciate da Brunetta ed approvate in settimana in CdM vanno in questa direzione, al di là dei settori «civetta» sotto tiro. Per capire cosa si stia muovendo dietro la task force 45, dopo mesi di impenetrabile silenzio su questa «unità antiterrorismo», basterà leggere il seguente comunicato AGI dello scorso 9 ottobre: «Un capo talebano Ghoam Yahya (un nome con tutta probabilità inventato di sana pianta, ndr) e 25 suoi affiliati (!) sono stati neutralizzati oggi nel corso di un operazione congiunta di militari italiani e statunitensi. L'episodio è avvenuto a 20 km da Herat. Secondo

quanto si apprende la task force 45 che seguiva il gruppo di insorti già da ieri, è entrata in azione. Appresa la notizia il Ministro della Difesa si è subito complimentato con il CSM gen. Vincenzo Camporini e con il comandante delle forze italiane di Herat generale Rosario Castellano»;
la posta in gioco, ad avviso dell'articolista, sarebbe la prossima Presidenza della Repubblica; l'articolo continua affermando: «La task force 45 non dipende né da Castellano né dal suo diretto superiore gen. Bertolini ma dall'ammiraglio G. Di Paola (...), eletto il 13 febbraio del 2008 Segretario Generale del Comitato che riunisce i vertici militari dei 28 Paesi aderenti all'Alleanza Atlantica, quando era ancora C.S.M. delle Forze Armate per decisione del CdM del governo Berlusconi. (...) Giancarlo Chetoni»;
sebbene l'articolo a firma di Giancarlo Chetoni non sia recente appare di tutta evidenza che i dubbi e le considerazioni espresse dall'autore sulla task force 45 siano tuttora attuali;
i recenti avvenimenti dove ha trovato la morte il tenente Alessandro Romani, nonché quelli riportati dalla citata agenzia ANSA, accrescono il convincimento degli italiani, ampiamente riscontrabile nei numerosi sondaggi effettuati dai maggiori quotidiani, che l'Italia sia effettivamente impegnata in operazioni di guerra e non invece di supporto umanitario alle popolazioni interessate e che quindi è opportuno l'immediato ritiro dei militari italiani impegnati in Afghanistan;
dalle informazioni reperibili sul web inoltre si può apprendere come sia crescente anche il timore che i militari italiani siano effettivamente responsabili dell'uccisione o del ferimento di civili afghani avvenuto, ancorché accidentalmente, durante operazioni ufficialmente dichiarate di supporto all'esercito afghano effettuate congiuntamente con altre forze armate in ambito ISAF;
in un articolo pubblicato sul quotidiano Il Tempo del 3 ottobre 2010 dal significativo titolo «Caccia ai talebani feriti due commandos» l'autore, riferendosi alla task force 45 scrive che «Una guerra silenziosa condotta da uomini silenziosi. Giovani "fuori ordinanza" con le loro barbe lunghe e le divise prive di stemmi, solo lo scudetto tricolore. Militari professionisti. L'eccellenza delle forze armate di tutte e quattro le Armi: anche i Gis dei carabinieri partecipano alle missioni. Vivono in un compound a Camp Arena a Herat. Un po' orsi, un po' guasconi. Gente "massiccia" che dal 2006 opera in Afghanistan. Il loro compito è stanare i terroristi» -:
quale sia l'effettiva consistenza numerica della forza denominata «task force 45», quale la sua dipendenza funzionale e gerarchica, di quale e quanto armamento dispone, quali siano le regole di ingaggio a cui devono attenersi gli appartenenti alla predetta task force, quali gli obiettivi la durata e i risultati delle missioni svolte dal 2006 ad oggi, quanti i militari feriti, quanti quelli deceduti e quali le cause;
quali siano i soccorsi portati dai militari italiani della task force 45 ai talebani catturati o feriti durante gli scontri armati, quali siano i soccorsi prestati alle popolazioni civili eventualmente coinvolte;
se il Presidente del Consiglio non ritenga opportuno invitare le autorità afghane ad avviare una inchiesta per stabilire se le cause della morte dei talebani deceduti nel corso dei combattimenti avvenuti il 2 ottobre 2010 nel distretto di Javand, nella provincia di Badghis siano deceduti a causa di colpi di arma da fuoco in dotazione ai militari della task force 45;
se non ritenga opportuno e urgente adoperarsi con maggiore concretezza per ricondurre le attività dei militari italiani, ed in particolare della task force 45, nel corretto ambito del mandato ricevuto dal Parlamento, anche attraverso una consistente riduzione dell'armamento impiegato, affinché sia evitata ogni possibile deriva della missione militare verso un inaccettabile conflitto al quale l'Italia non può e non deve partecipare.
(4-08896)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
con il decreto legislativo 15 marzo 2010, n.66, «Codice dell'ordinamento militare», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 106 dell'8 maggio 2010 - Supplemento Ordinario n. 84, all'articolo 2268 (Abrogazione espressa di norme primarie) è stabilito che «A decorrere dall'entrata in vigore del codice e del regolamento, sono o restano abrogati i seguenti atti normativi primari e le successive modificazioni: 297) decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43;»;
la norma abrogata all'articolo 1, comma 1, stabilisce che «Chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare, le quali perseguono, anche indirettamente, scopi politici, è punito con la reclusione da uno a dieci anni.»;
da un articolo pubblicato a pagina 14 del Il Sole 24 Ore del giorno 3 ottobre 2010 si apprende che il senatore Pierfrancesco Gamba, consigliere del Ministro della difesa, avrebbe spiegato che «nei giorni scorsi il dicastero ha chiesto l'autorizzazione ad operare una rettifica da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, togliendo questa dalle norme che verranno abrogate.» -:
se l'abrogazione della norma in premessa sia dovuta ad un mero errore e in caso contrario quali siano state le ragioni di tale abrogazione e se non ritenga doveroso assumere iniziative per ripristinarne con urgenza la vigenza affinché la giustizia possa fare il suo regolare corso attesa l'esistenza di un procedimento penale instaurato nei confronti di alcuni cittadini italiani e il cui proseguimento rischierebbe di esserne compromesso.
(4-08897)

...

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:

VOLONTÈ. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il vescovo della diocesi di Tombura-Yambo, nel Sudan meridionale, Monsignor Eduardo Hiibiro Kussala, ha riportato la notizia della drammatica fine di sette cattolici, rapiti mentre pregavano in chiesa;
il fatto è accaduto verso la metà di agosto ma la notizia è giunta a noi solo in questi giorni a causa delle difficoltà di comunicazione;
si tratta dell'ennesimo raid oltre frontiera dei ribelli ugandesi della Lord's Resistance Army, un gruppo armato nato nel l'Uganda del Nord e responsabile di attacchi contro i civili nella zona confinante con il Sudan;
il fatto si caratterizza per l'efferatezza dell'esecuzione, in quanto chi ha scoperto i cadaveri ha descritto la scena come «una parodia di una crocefissione»;
il vescovo Kussala ha lanciato un appello alla comunità internazionale «senza un intervento esterno non sarà possibile fermare le violenze e garantire la sicurezza di donne, bambine e civili innocenti, divenuti il bersaglio di attacchi quasi quotidiani»;
secondo l'ONU gli attacchi dei ribelli nel Sudan meridionale stanno aumentando nel corso delle settimane;
la comunità cattolica in Sudan conta circa 20 mila fedeli -:
se non ritenga di attivare iniziative urgenti a livello internazionale per garantire la sicurezza di donne, bambini e civili innocenti presenti nel Sudan, minacciata dai raid dei ribelli sanguinari ugandesi.
(4-08857)

VILLECCO CALIPARI e MUSSOLINI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
a seguito dell'apertura delle frontiere in larga parte dell'Europa, ed anche ad una maggior facilità di circolazione nelle diverse parti del mondo, negli ultimi anni sono in costante aumento i figli di coppie di diversa nazionalità, che pagano un prezzo altissimo, nel momento in cui il rapporto di coppia dei propri genitori entra in una fase fortemente conflittuale;
trattandosi di minori con genitori di diversa nazionalità, è assai frequente infatti il verificarsi della fattispecie della sottrazione internazionale di minori, ossia del fenomeno per cui un minore viene illecitamente condotto all'estero ad opera di uno dei genitori che non esercita l'esclusiva potestà, senza alcuna autorizzazione, oppure che si verifica quando il minore non viene ricondotto nel Paese di residenza abituale a seguito di un soggiorno all'estero;
tra i casi più recentemente avvenuti, va menzionato quello della sottrazione di Amira e Saida Zakraoui, due bimbe di 2 e 5 anni di madre italiana e padre tunisino, sottratte dal padre Nabil alla madre Laura Dini e scomparse in territorio tunisino dall'8 aprile dell'anno scorso;
da notizie di stampa risulta che nel giugno del 2001 a Livorno, Laura Dini e Nabil Zakraoui si sposano, e da questa unione nascono Saida nel 2004 e Amira nel 2007, ma il rapporto coniugale entra in crisi e alla fine del 2008 la coppia decide di separarsi; nel novembre 2008, tuttavia, Nabil si reca in Tunisia a seguito di un'operazione subita dalla madre e convince la moglie ad accompagnarlo, portando l'intera famiglia. Al momento di ripartire per l'Italia, il padre le impedisce di riportare con sé le bambine in Italia;
sempre da notizie di stampa risulta che la signora Dini rientra a Livorno e, dopo una settimana, è di nuovo a Tunisi, mentre il 9 febbraio 2010 viene fissata l'udienza per il divorzio, nella quale il giudice tunisino concede l'affidamento delle bambine al padre; tale verdetto verrà ribaltato a seguito di ricorso nel mese di marzo, quando il tribunale di Tunisi stabilisce l'affidamento a favore della signora Dini;
il padre ritira a quel punto la domanda di divorzio allo scopo di far decadere il diritto di custodia ottenuto dalla moglie, e il giudice stabilisce che la coppia tornerà insieme ma sotto diverso tetto coniugale; ma, a seguito del degenerarsi della situazione, il padre Nabil l'8 aprile fa irruzione presso l'asilo fuori Tunisi dove le bambine sono nel frattempo state iscritte, e da allora se ne perdono le tracce;
denunciato dalla direzione dell'asilo, Nabil verrà dichiarato in stato d'arresto per sottrazione di minori ma rimarrà latitante; il 26 ottobre viene arrestato e portato in carcere dove si trova tuttora e dove uscirà ad aprile, senza che delle bambine si sia saputo più nulla;
la sottrazione di minore costituisce un evento molto traumatico per i bambini che ne sono vittime, che si trovano ad essere improvvisamente privati di una delle figure parentali di riferimento nonché ad essere completamente distaccati dal contesto nel quale erano inseriti e che spesso rappresenta non solo la loro «residenza abituale» ma anche il loro unico luogo di vita; appare pertanto indispensabile in questi casi agire con la massima urgenza, al fine di contenere il più possibile i danni psicologici, e talvolta anche fisici, che i minori subiscono durante il periodo in cui vengono sottratti -:
se il Ministro interrogato abbia già provveduto, per il tramite della direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie e in raccordo con le rappresentanze diplomatico-consolari, ad individuare tempestivamente le linee di azione più idonee per una soluzione del caso, anche al fine di esperire immediate azioni in loco, e quali urgenti iniziative

intenda in ogni caso adottare per facilitare, in accordo con le autorità tunisine, il ritrovamento al più presto delle bambine scomparse e il loro rimpatrio in territorio italiano.
(4-08858)

PORTA, BUCCHINO, COLOMBO, D'ALEMA, GIANNI FARINA, FASSINO, FEDI, GARAVINI, NARDUCCI, ANDREA ORLANDO, GIULIETTI e LEOLUCA ORLANDO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in Argentina tra il 1976 e il 1983, durante la dittatura militare, molte persone si rivolsero ai Consolati italiani per segnalare le persecuzioni subite direttamente o da loro familiari;
l'Ambasciata d'Italia di Buenos Aires nel 1983 portò tali incartamenti a conoscenza della procura della Repubblica di Roma, consentendo in tal modo alla stessa procura di avviare azioni penali verso militari argentini, alcune delle quali si sono concluse con esemplari condanne;
in Argentina nel 2004 è stata riconsiderata la precedente normativa favorevole all'impunità per crimini commessi durante il periodo della dittatura militare, con la conseguenza di favorire l'apertura di una fase istruttoria e dibattimentale diffusa e proficua, che ha già portato in diversi casi a rendere giustizia a familiari di desaparecidos;
a distanza di trent'anni, molti di coloro che avevano reso dichiarazioni presso i Consolati italiani sono scomparsi o irreperibili, quindi non più in grado di confermare le loro dichiarazioni davanti ai giudici;
le notizie contenute negli esposti presentati ai consolati italiani, oltre a contribuire all'accertamento delle eventuali responsabilità, possono servire anche a ricostruire il percorso di molti desaparecidos, favorendo l'accertamento dei fatti e l'eventuale ritrovamento dei resti degli scomparsi;
per casi analoghi, i governi di Spagna, Francia e USA hanno già provveduto a consegnare i documenti in loro possesso alle autorità argentine affinché possano essere conosciuti in loco ed eventualmente utilizzati a fini investigativi -:
se il Governo italiano non intenda trasmettere a quello argentino la documentazione in suo possesso e rispondere in tal modo alle attese dei familiari dei perseguitati dalla dittatura e degli scomparsi e concorrere ad affermare un principio di verità e giustizia.
(4-08861)

LO MONTE. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
per richiedere il visto all'ambasciata d'Italia al Cairo bisogna preventivamente concordare un appuntamento attraverso il call center Vodafone, numero 090070678, al costo di circa 30 centesimi di euro al minuto;
il call center, oltre ai cittadini egiziani che vogliono entrare in Italia (come turista o lavoratore), è utilizzato anche da quei cittadini italiani che hanno bisogno di supporto dall'ambasciata e pertanto anch'essi vengono obbligati a chiamare tale numero a pagamento;
inoltre chi chiama, spesso viene lasciato per alcuni minuti in attesa oppure ottiene risposte che invitano a richiamare questo numero, mantenendo sempre il costo di 30 centesimi al minuto;
il call center, come appare sul sito dell'ambasciata d'Italia in Egitto è gestito dall'operatore telefonico Vodafone e attraverso i lunghi tempi d'attesa a cui si è soggetti o l'invito a richiamare, gode di un ulteriore beneficio economico;
tutto ciò avviene contrariamente alle dichiarazioni del Ministero degli affari esteri, che ritiene il call center delle ambasciate solo uno strumento a supporto e non obbligatorio, ma soprattutto avviene dimenticando che l'uso del telefono è il primo contatto che, nel caso, si ha con l'Italia all'estero, per cui richiedere il pagamento

dei costi telefonici non depone favorevolmente per il nostro Paese -:
se il servizio di call center dell'ambasciata d'Italia in Egitto sia stato affidato con bando di gara pubblica o trattativa privata;
se sia intenzione del Ministero degli esteri di intervenire per eliminare una tassa, che ha il sapore di un vero e proprio balzello, rivolta agli egiziani che vogliono venire in Italia come turisti o lavoratori o a quegli italiani, che trovandosi in terra straniera, possono avere la necessità di avere un contatto con l'ambasciata.
(4-08865)

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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:

COMAROLI e LANZARIN. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
dal mese di gennaio 2008, il consorzio dell'Adda è senza presidente e le relative funzioni sono affidate al direttore del consorzio sulla base di una lettera del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore;
il consorzio dell'Adda gestisce la diga di Olginate, che regola il livello del lago di Como con lo scopo principale di dare più acqua agli utenti della valle per l'utilizzo a fini irrigui ed idroelettrici;
il consorzio dell'Adda è un ente di diritto pubblico, finanziato dalle quote contributive obbligatorie dei propri associati;
la regolazione del lago di Como coinvolge ed interessa tutti gli enti ed i soggetti che hanno competenze nell'intero bacino idrografico del fiume Adda;
i rapporti con le istituzioni pubbliche, come Ministeri, protezione civile, autorità di bacino del Po, regione, province, comunità montane, comuni, ARPA, associazioni e altro, sono quotidiani;
la nomina del presidente del consorzio dell'Adda è di diretta competenza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, su indicazione della regione Lombardia;
l'importanza che riveste il consorzio per il territorio Bergamasco e Cremonese rende inspiegabile l'inerzia verificatasi in ordine alla nomina del presidente;
la situazione precaria, che si protrae da circa tre anni, danneggia soprattutto lo stesso consorzio dell'Adda -:
quale sia lo stato del procedimento di nomina del presidente del consorzio dell'Adda e in quali tempi si preveda che possa essere risolta la situazione precaria in cui versa il consorzio attualmente.
(5-03530)

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il 10 settembre 2009, i tribunale di Venezia ha condannato undici imputati finiti sotto processo per il traffico illecito di rifiuti realizzato in mezza Italia, tra il 2003 e il 2005, dalle società C&C e Digamma di Mestre, con impianti a Malcontenta di Mira, in provincia di Venezia, e a Pernumia (Padova), e con la complicità di numerose altre ditte che si occupavano del trasporto di materiali;
gli imputati, in solido con le società di cui sono i responsabili (Tre Esse srl, fratelli Busolin autotrasporti, Marco e Moreno snc, Barbetta srl, Ear srl), sono stati condannati anche al ripristino dei luoghi inquinati, nonché al pagamento di oltre 200 mila euro a titolo di rifusione delle spese legali sostenute

dalle amministrazioni pubbliche e dalle associazioni ambientaliste costituitesi parte civile al processo -:
quale sia ad oggi lo stato dell'attività di ripristino dei luoghi inquinati di cui in premessa.
(4-08877)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 7 febbraio 2008, il tribunale di Venezia ha emesso condanne nei confronti di responsabili di un traffico nazionale di rifiuti tossici;
si tratta di condanne a pene detentive, al ripristino dello stato dell'ambiente e al risarcimento a vario titolo alle varie parti civili, tra comuni, enti ed associazioni, di circa mezzo milione di euro;
l'inchiesta condotta dai carabinieri del nucleo ambientale coordinati dal pubblico ministero Giorgio Gava, ha riguardato l'attività illecita della Nuova Esa di Marcon (Venezia) e della Servizi Costieri di Mestre (Venezia);
secondo quanto riferito da un articolo pubblicato da Gianni Lannes sul sito www.italiaterranostra.it secondo gli investigatori - gli uomini del Corpo Forestale dello Stato e i carabinieri del Nucleo operativo ecologico - a Finadria di Paese sarebbero finiti, in cinque mesi, 20 milioni di chili di rifiuti (quanto seimila camion allineati) che non potevano essere stoccati in quel luogo, che poteva ospitare solo terre e rocce provenienti da scavi. Invece ci sarebbero finiti i rifiuti del Consorzio Dese Sile con tanta fibra di amianto e quelli della Cooperativa ceramica di Imola con idrocarburi e metalli pesanti e nocivi. Il Consorzio aveva pagato 220 lire al chilo alla «Nuova Esa» per lo smaltimento, mentre i modenesi avevano sborsato più di 300 lire. La società di Marcon, al titolare della discarica trevigiana, aveva pagato per i primi 35 lire al chilo, per i secondi 7 lire. La Nuova Esa ha raccolto profitti anche fino al 5000 per cento;
a Bacoli e a Giuliano, invece, sarebbero finiti polveri e schiumature di alluminio e quelli della «Nuova Esa» neppure avevano avvertito che si trattava di materiale da tenere all'asciutto perché pioggia o semplicemente l'umidità avrebbe provocato non solo l'emissione di ammoniaca ma anche il rischio di esplosioni. La società non avvisava mai perché i rifiuti tossici li miscelavano con terra, segatura e altro e li facevano figurare come fossero roccia e terra proveniente da scavi;
per anni nessuno si sarebbe accorto di nulla a causa «della carenza di controlli da parte di pubblici ufficiali distratti o compiacenti» ha sostenuto il pubblico ministero, eppure non sarebbe stato difficile perché le denunce di chi ci abitava vicino sono molte e alla «Nuova Esa» neppure avevano gli impianti per trattare i rifiuti, come invece scrivevano di fare sui certificati fasulli -:
se si sia provveduto al ripristino ambientale;
quali iniziative si intendano avviare per verificare, a distanza di anni che effetto hanno prodotto quei rifiuti sull'ecosistema naturale e sulla salute dei residenti.
(4-08885)

NUNZIO FRANCESCO TESTA e LIBÈ. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il mare di Cuma, in Campania, nell'area vulcanica dei Campi Flegrei, è soggetto da molti anni ad un forte inquinamento che rende impraticabile la balneazione e compromette seriamente l'equilibrio ambientale dell'intera area, nonché il regolare svolgimento delle attività economiche legate al turismo della zona;
gli scarichi industriali, i liquami agricoli e il deflusso delle acque sporche delle case raggiungono il mare senza essere

adeguatamente filtrati e puliti attraverso il canale di scarico di un depuratore che da anni non funziona correttamente e che, con il passare del tempo, utilizza impianti sempre più obsoleti;
l'impianto in questione è affidato alla società Hydrogest Campania Spa a cui è stata assegnata nel 2003 in concessione la gestione e la rifunzionalizzazione di alcuni impianti dislocati nel territorio campano;
da anni è in corso una forte controversia tra la società in questione e gli enti locali interessati per competenza, che ostacola il regolare svolgimento delle opere di manutenzione e adeguamento necessarie per garantire standard qualitativi a norma di legge dell'impianto;
la Commissione ambiente, energia e protezione civile della regione Campania ha approvato in data 28 luglio 2010 all'unanimità la proposta di legge per la costituzione di una commissione di inchiesta sulla gestione del sistema di depurazione in Campania affidato alla Hydrogest Campania;
il sindaco di Bacoli in data 2 settembre 2010 ha inviato una lettera all'attenzione della società Hydrogest allo scopo di conoscere le iniziative che codesta società ha messo in atto ed intende implementare per la risoluzione concreta del problema, per i danni ambientali creati e per la tutela della salute dei cittadini;
a fronte di una questione che dura oramai da decenni, è necessario intervenire celermente circa la risoluzione delle suddette problematiche ed intervenire tempestivamente per scongiurare gravi danni ambientali e, inoltre, per prevenire danni irreparabili della salute dei cittadini -:
se ritenga opportuno attivarsi per verificare l'effettivo stato della situazione e assumere tutte le iniziative in suo potere per far fronte alla risoluzione della problematica della corretta depurazione delle acque per evitare che si metta a repentaglio l'ecosistema e la salute dei cittadini.
(4-08892)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:

MARCO CARRA. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi la Guardia di finanza di Bolzano ha lodevolmente portato a termine l'operazione «Kussen» attraverso la quale sono state poste sotto sequestro 16 aziende (15 in provincia di Modena ed una in provincia di Mantova, in particolare a Moglia) specializzate nella contraffazione di capi d'abbigliamento;
le aziende poste sotto sequestro erano dei veri e propri laboratori clandestini con manodopera cinese;
tale attività illecita aveva delle «diramazioni» in altri Paesi europei per un giro d'affari complessivo di 150 milioni di euro -:
come il Governo intenda contrastare, in termini più efficaci, la lotta ai laboratori ed alla produzione clandestina di capi di abbigliamento, considerato che tale fenomeno risulta essere particolarmente dannoso per le aziende italiane che, al contrario, producono capi di abbigliamento nel pieno rispetto delle leggi vigenti.
(4-08859)

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GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
II Commissione:

MELIS, SORO, CALVISI, FADDA, MARROCU, ARTURO MARIO LUIGI PARISI, PES e SCHIRRU. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
da diverse settimane, all'interno del carcere di Badu e' Carros a Nuoro, sono in atto lavori di sbancamento per la realizzazione di un nuovo padiglione detentivo;

l'amministrazione comunale non è a conoscenza della destinazione che il Ministro della giustizia intende adottare per il nuovo padiglione. Il timore dell'amministrazione comunale, che accompagna l'avvio di questi lavori, è che il nuovo padiglione possa venire assegnato alla custodia dei detenuti in regime 41-bis, cioè in regime di sorveglianza speciale, destinato appunto ai carcerati considerati di «massima pericolosità»;
in passato proprio a Nuoro la presenza di detenuti in simile stato ha generato conseguenze tragiche, sia sul piano dell'ordine interno al carcere sia su quello del «contagio» del territorio (diffusione in Sardegna di inediti reati di banda armata, terrorismo e associazione mafiosa);
la Sardegna è già oggi gravata da pesanti servitù nello specifico settore carcerario, che ne penalizzano ulteriormente lo stato di regione in crisi, con altissimi tassi di disoccupazione e presenza di un manifesto disagio sociale;
esiste un protocollo d'intesa tra regione sarda e amministrazione penitenziaria che prevede l'applicazione del criterio della territorialità della pena, con destinazione ai carceri dell'isola di detenuti sardi (attualmente sui 2.206 sardi custoditi in Italia solo 1.165 sono nelle carceri della Sardegna); gli interroganti si augurano vivamente che il Ministro smentisca gli elementi assolti dal sindaco di Nuoro -:
se il Ministro confermi o smentisca recisamente (come gli interroganti si augurano vivamente) gli elementi assolti dal sindaco di Nuoro e se possa assicurare che non saranno destinati a Badu e' Carros, data la delicata situazione del nuorese, detenuti sottoposti al regime del 41-bis.
(5-03527)

PALOMBA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
rispondendo all'interpellanza urgente n. 2-00391 nella seduta del 18 giugno 2009, il Ministero rispose che era in gestazione un decreto in attuazione delle disposizioni previste dall'articolo 1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e dall'articolo 74 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133, nonché dal decreto legislativo 25 luglio 2006, n. 240, recante disposizioni volte ad attuare il decentramento del Ministero della giustizia. Secondo la bozza in itinere la riorganizzazione consentirebbe, però, di istituire, oltre alla già esistente direzione generale per l'attuazione dei provvedimenti giudiziari - incaricata di dare esecuzione ai provvedimenti emessi dall'autorità giudiziaria minorile - la direzione generale per la formazione e le attività internazionali, incaricata di attendere alla formazione e specializzazione del personale addetto ai servizi minorili e ai compiti di autorità centrale per le convenzioni internazionali in materia di protezione dei minori, in merito alla quale l'ordinamento individua delle peculiari funzioni anche di rilievo internazionale. In alternativa, però, alla direzione generale per la formazione e le attività internazionali sarà valutata anche la possibilità di mantenere in essere la direzione generale che si occupa della gestione del personale;
da notizie ufficiose ma attendibili si apprende che il decreto del Presidente della Repubblica sulla giustizia minorile, già annunciato nel 2008 e poi accantonato anche per le critiche ricevute da operatori del settore ed esperti, nonché dallo stesso capo del dipartimento e dai dirigenti, sarebbe attualmente in fase di ultima redazione presso gli uffici del Ministero secondo una versione che non si discosterebbe sostanzialmente dalla precedente versione, contraddicendo le assicurazioni all'epoca pubblicamente fornite dal Ministro e le aperture del sottosegretario in occasione della discussione sull'interpellanza urgente, in particolare nel punto in cui verrebbero eliminate e/o frammentate tra organi degli altri dipartimenti esistenti le funzioni della giustizia minorile, col risultato che una materia sino ad oggi organizzata e gestita unitariamente secondo criteri di assoluta e forte specificità

sarebbe adesso «governata» da ben tre dipartimenti;
ciò configurerebbe se venisse confermato parrebbe a dir poco un esempio unico di irrazionalità organizzativa ed amministrativa, con inevitabili inefficienze e maggiorazioni di spesa, ben lontano dai risparmi auspicati, ostacolando in modo decisivo lo svolgimento delle specifiche funzioni della giustizia minorile già richiamate ed illustrate nell'interpellanza sopra richiamata, i cui pregi si richiamano ancora brevemente in quanto l'autonomia di quelle funzioni si radica e trova espressione nell'attuale concreta ed evidente specializzazione, a sua volta sostenuta ed avvalorata da una lunga tradizione virtuosa, esprimente una cultura carceraria veramente ispirata al principio costituzionale della rieducazione ed al principio di minima offensività della pena e del processo attraverso la sospensione del processo e messa alla prova, assistita dagli assistenti sociali altamente qualificati ed incardinati nell'USSM, che hanno favorito l'esito positivo nei tre quarti dei casi con conseguente forte abbattimento della recidiva minorile: tutto ciò nel nome della peculiarità dei soggetti (i minori entrati nel circuito penale minorile) al centro dell'attività e dell'attenzione del DGM;
l'esigenza di tale specializzazione, unanimemente riconosciuta a livello nazionale ed internazionale, ha consentito di porre in campo tecniche notevolmente efficaci di gestione trattamentale intra ed extracarceraria dei minori che costituiscono esempi significativi di innovazione in merito alla giustizia riparativa: basti pensare che l'irrilevanza del fatto è già trasfusa nell'ordinamento generale (competenza penale del giudice di pace) e che allo stesso fine si studia attentamente anche l'istituto della «messa in prova»;
pertanto, gli istituti penali previsti nell'ordinamento minorile, quali le comunità, i centri di prima accoglienza, gli uffici di servizio sociale, gli educatori e la gestione delle professioni di ausilio specialistico (psicologi, psichiatri, e altri) devono, per la loro spiccata specificità, continuare a rimanere in una linea di comando unica, facente capo esclusivamente al dipartimento della giustizia minorile;
peraltro, l'adempimento dell'obbligo di riduzione delle spese contenuto nella legge finanziaria che ha previsto le riduzioni delle strutture e degli incarichi nella pubblica amministrazione, ben può, a giudizio dell'interrogante, essere conseguito attraverso la riduzione da tre a due delle direzioni generali accorpando le funzioni, ma al tempo stesso mantenendone il radicamento nel DGM ed il decentramento oggi in atto (fermo restando l'incardinamento degli istituti decentrati nelle due direzioni generali sempre incardinate nel DGM), al quale corrispondono risparmi sicuri, essendo questo decentramento basato su uffici dirigenziali di livello non generale; questa fu la soluzione di equilibrio già da tempo prospettata dall'interrogante e da essi valutata positivamente -:
se non ritenga il Ministro, tenendo conto delle molte sollecitazioni ricevute e delle specifiche caratteristiche della materia (già apprezzate dallo stesso Ministro) la quale richiede d'essere organizzata con strutture autonome e sulla base di una forte specializzazione delle funzioni e del personale, di dover non accettare alcuna ipotesi di smembramento, neppure parziale, della giustizia minorile, semmai realizzando l'unico risparmio possibile e non funzionalmente negativo costituito dalla riduzione delle direzioni generali da tre a due con l'accorpamento in esse di tutte le funzioni minorili in atti, fermo restandone l'incardinamento nel DGM e la gestione ad esso ricollegata di tutte le strutture periferiche minorile, quale unico modo per salvaguardare i grandi risultati della giustizia minorile, eventualmente previamente procedendo alla acquisizione dei dati operativi e dei risultati elaborati dall'ufficio studi e formazione del Dipartimento nonché alle audizioni del caso, che potrebbero riguardare l'associazione dei giudici per i minori e la famiglia, le organizzazioni rappresentative degli operatori della giustizia minorile ed espressioni

della cultura italiana, universitaria e professionale.
(5-03528)

RAO e RIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
stando a quanto riportato da Italia Oggi il 16 settembre 2010, la produttività dei giudici di pace è altissima: i processi si svolgono con estrema celerità e durano meno di un anno, a differenza dei giudizi in Tribunale di primo grado che raggiungono in media 960 giorni;
ciò spiega perché da alcuni anni dinanzi ai magistrati di pace pende più del 50 per cento del contenzioso in materia civile, considerando il raddoppio di competenza per valore nel settore, ma soprattutto l'attribuzione della stessa per il reato di immigrazione clandestina;
in Italia la magistratura di pace definisce due milioni di procedimenti annui: secondo i dati del Ministero della giustizia, meno del 10 per cento della sentenze emanate costituisce oggetto di impugnazione;
si profila dunque la necessità che il Governo rispetti gli impegni assunti già prima della pausa estiva, in modo che i giudici in questione possano pienamente esercitare una giurisdizione che dia attuazione al principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo quanto previsto dall'articolo 111 della Costituzione;
la riforma eviterebbe la dispersione di professionalità formatesi in decenni di esercizio della giurisdizione e determinerebbe un notevole risparmio di spesa per lo Stato, in quanto il reiterato avvicendamento dei magistrati costerebbe svariati milioni di euro per l'espletamento delle procedure di concorso e per la lunga e necessaria formazione dei nuovi assunti;
occorre una forte presa d'atto della situazione, considerando che già dal 2011 circa 800 giudici di pace dovranno lasciare l'incarico (scadono infatti i mandati dei magistrati prorogati e di quelli immessi nelle funzioni nel 1999), con l'impossibilità di essere sostituiti, atteso che le procedure concorsuali sono bloccate e con consequenziale rischio di paralisi della giustizia;
ancora, le continue proroghe dei magistrati in scadenza non consentono agli stessi di esercitare le funzioni serenamente ed in modo efficiente, in quanto risulta estremamente difficile la gestione di un ruolo che dovrebbe esaurirsi al 31 dicembre;
a seguito di modifiche legislative che hanno consentito l'accesso a chi ha compiuto 30 anni di età, lo Stato si avvale di giovani e attrezzati professionisti (per lo più avvocati o ex giudici onorari di tribunale) per i quali il compenso percepito per l'attività di magistrato costituisce l'unico reddito;
non è accettabile che un Paese che vanta una lunga tradizione di civiltà del lavoro lasci i magistrati di pace senza le più elementari tutele costituzionalmente riconosciute -:
se non intenda accelerare il più possibile i tempi di una riforma (che il Governo si era impegnato ad approvare entro l'estate) - di fondamentale rilievo anche sotto il profilo sociale - che possa garantire la rinnovabilità dei mandati sino al compimento dei 75 anni di età, nonché un'adeguata copertura previdenziale ed assistenziale da estendere anche alle lavoratrici madri.
(5-03529)

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
su Secondo Protocollo del 28 settembre 2010 è apparso un articolo intitolato: «Santo Domingo: tre cittadini italiani detenuti nel carcere di San Cristobal in condizioni drammatiche»;

dalla lettura dell'articolo citato è dato apprendere quanto segue: «Si è svolta mercoledì mattina una visita in carcere agli italiani detenuti a Santo Domingo nella struttura di San Cristobal onde verificare sia la loro situazione, specie dopo la nostra denuncia del 14 settembre, sia le condizioni di detenzione. Ad effettuare l'importante visita sono stati Annalisa Melandri, giornalista e attivista dei Diritti Umani che collabora con diverse Ong sudamericane e con le più importanti Istituzioni mondiali, e il Dr. Manuel Mercedes, presidente della Commissione Nazionale dei Diritti Umani della Repubblica Dominicana, nonché avvocato. Il quadro emerso da questa visita è a dir poco drammatico. Annalisa Melandri e il Dott. Mercedes hanno incontrato i tre detenuti italiani presenti nella struttura, Ambrogio Semeghini, Luciano Vulcano e N.M. (il nome al momento è omesso per ragioni di privacy) e li hanno trovati "estremamente provati dalla detenzione". Non solo, da questa visita emerge un quadro a dir poco vergognoso sul comportamento del Consolato Generale italiano che oltretutto fornisce informazioni incomplete e "fuorvianti" sul suo operato allo stesso Ministero degli Affari Esteri. Ma di questo ne parleremo più avanti. Ora la situazione dei tre detenuti. Ambrogio Semeghini, il detenuto che ha fatto lo sciopero della fame citato nell'articolo del 14 settembre, durante lo sciopero è andato subito in disidratazione tanto da essere posto in ricovero. Annalisa ci informa che »il Sig. Semeghini non vede da un occhio, che aveva perso già prima di entrare in carcere ma gli addetti del Patronato (una specie di Ong che ha un piccolo ufficio in carcere e che si occupano delle loro condizioni e situazione, sono volontari) hanno detto che rischia di perdere l'altro e che avrebbe bisogno di visite specialistiche ma che non gli vengono fornite. Gli mancano quasi tutti i denti, almeno dalla parte anteriore e, se le cose non cambieranno, riprenderà lo sciopero della fame lunedì prossimo. Il responsabile dei detenuti dell'Ambasciata italiana lo ha visto la prima volta dopo 59 giorni di detenzione e lo vede una volta ogni tre/quattro mesi. In totale, da quando è detenuto, lo ha visto tre volte. E in carcere dal 19 dicembre 2009 ed è in attesa di giudizio. Luciano Vulcano, anche lui in attesa di giudizio da 11 mesi, è in una situazione di salute «molto compromessa». Ha contratto diverse infezioni in carcere e prende antibiotici da maggio, ha inoltre problemi di ritenzione idrica dovuti alla scarsa qualità dell'acqua. Come gli altri è costretto a dormire in terra e a comprare l'acqua ma non sempre lo possono fare perché non hanno i soldi per farlo. Sono costretti quindi a bere l'acqua malsana del carcere. È stato arrestato con una accusa del tutto inventata il 23.10.2009 ed è stato visitato la prima volta 33 giorni dopo il suo arresto. Da quando è in carcere ha avuto solo due visite consolari. N.M. è l'unico dei tre che ha una pena definitiva. Ha avuto tre pre-infarti e le sue condizioni di salute sono del tutto precarie (per non dire gravi). È a soli quattro mesi da fine pena ma se fosse stato minimamente assistito (non dico nemmeno degnamente) sarebbe fuori di carcere da un anno e mezzo usufruendo della condizionale. Le condizioni igienico sanitarie in cui vivono i tre - continua Annalisa nel suo rapporto - sono terribili, dormono in terra a meno di non pagare 1.500 pesos al mese, bevono acqua igienicamente malsana a meno di non comprare bottigliette, le medicine di cui hanno bisogno in gran quantità le devono comprare a proprie spese, devono pagare per andare in bagno e per tutto»;
i casi di Antonio Semeghini, Luciano Vulcano e N.M., sono parte di quel più ampio problema degli italiani detenuti all'estero che risultano essere attualmente 2820, di cui solo una parte risultano non avere alcun rapporto con il territorio in cui sono stati arrestati e ai quali il Ministero degli affari esteri è tenuto a prestare assistenza attraverso i propri consolati che però spesso sono molto distanti dai luoghi di detenzione, e non hanno dotazioni finanziarie necessarie per prestare l'assistenza

dovuta ai propri connazionali, ai quali peraltro non è neppure garantito il gratuito patrocinio in modo tale che il costo della difesa, spesso molto ingente, ricade tutto sulla famiglia;
il 21 settembre 2009 i deputati radicali, prima firmataria Elisabetta Zamparutti, hanno presentato un progetto di legge (il n. 2703) volto all'estensione dell'istituto del patrocinio a spese dello Stato in favore del cittadino italiano sottoposto a procedimento penale in uno Stato estero non appartenente all'Unione europea -:
quale sia attualmente la situazione processuale relativa ai signori Semeghini, Vulcano e N.M. e quante visite consolari abbiano ricevuto;
quali siano le attuali condizioni di detenzione in cui versano i signori Semeghini, Vulcano e N.M. e se e quali iniziative siano state adottate per assicurare, nel trattamento penitenziario, il loro diritto inviolabile al rispetto della dignità, sancito in particolare dagli articoli 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e dall'articolo 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani;
se e quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di garantire la possibilità, per i cittadini italiani non stanziali detenuti all'estero, di beneficiare del patrocinio a spese dello Stato, ove sussistano i requisiti corrispondenti a quelli previsti dal nostro ordinamento.
(4-08867)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
risulta alla prima firmataria del presente atto, anche sulla base di un articolo apparso il 28 settembre 2010 sul quotidiano Il Centro, che la casa circondariale di Larino (CB) presenta carenze strutturali e problemi di gestione di assoluta gravità;
in particolare, l'istituto di pena di Larino è destinato a contenere 184 detenuti, ma ne ospita circa 305, con evidenti problemi legati al sovraffollamento, alla carenza di servizi di assistenza e di trattamenti in proporzione al numero dei detenuti;
nel carcere di Larino i detenuti stranieri sono 53, il 18 per cento del totale; gli imputati 134 e i condannati 171;
le condizioni di sovraffollamento del carcere aggravano le condizioni di vita dei detenuti, anche in ragione della scarsità del personale dell'amministrazione penitenziaria o medico ivi presente;
le stesse attività lavorative sono estremamente limitate, anche per i detenuti sottoposti a regimi detentivi ordinari, e non di «sicurezza rafforzata»;
secondo Aldo Di Giacomo consigliere nazionale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe «gli istituti penitenziari molisani sono in difficoltà, soprattutto quello di Larino dove sono ospitati il 65 per cento di detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare. Alle enormi difficoltà dell'istituto, relative essenzialmente al sovraffollamento, si contrappongono i dati relativi al personale di polizia penitenziaria. Da uno studio risulta che i poliziotti del carcere di Larino sono i più bravi d'Italia, si sono analizzati diversi elementi tra cui le assenze dal servizio e la qualità del servizio svolto e il numero di eventi critici avuti nell'ultimo anno ecc. Altro record è che l'istituto di Larino è quello con la percentuale più alta d'Italia di detenuti che studiano oltre un terzo dell'intera popolazione detenuta»;
l'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, prevede che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, processo di cui una delle componenti essenziali è rappresentata proprio dalla formazione culturale e dallo studio;
il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviolabile al rispetto della propria dignità, sancito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione; dagli articoli 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea

del 2000; dagli articoli 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977; dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950; dagli articoli 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948; nonché dagli articoli 1, 2 e 3 della raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 12 febbraio 1987, recante «Regole minime per il trattamento dei detenuti» e dall'articolo 1 della raccomandazione (2006) del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa dell'11 gennaio 2006, sulle norme penitenziarie in ambito europeo; tale garanzia è ribadita dall'articolo 1, commi primo e sesto, della legge 26 luglio 1975, n. 354, che prescrive che «il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona», dovendo altresì essere attuato «secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti»;
l'articolo 15, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, prescrive che «il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia»;
gli articoli da 5 a 12 della legge 26 luglio 1975, n. 354, dettano una rigorosa disciplina in ordine ai requisiti strutturali minimi degli istituti di pena, prescrivendo che le carceri siano realizzate in modo tale «da accogliere un numero non elevato di detenuti o internati»; che «i locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente»; analoga disciplina prevedono gli articoli da 8 a 13 della raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 12 febbraio 1987, recante «Regole minime per il trattamento dei detenuti» e gli articoli da 17.1 a 18.10 della Raccomandazione (2006)2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa dell'11 gennaio 2006 sulle norme penitenziarie in ambito europeo -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle gravi condizioni di disagio che caratterizzano la vita penitenziaria nel carcere di Larino;
quali provvedimenti di competenza ritenga opportuno adottare al fine di migliorare le condizioni della vita penitenziaria nel carcere di Larino, così da garantire il pieno rispetto dei diritti alla dignità, alla salute, allo studio ed alla tutela dei rapporti familiari dei detenuti.
(4-08868)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
risulta alla prima firmataria del presente atto, anche sulla base di un articolo apparso il 30 settembre 2010 sul quotidiano Il Mattino (pagina 3), che la casa circondariale di Padova presenta carenze strutturali e problemi di gestione di assoluta gravità;
in particolare, l'istituto di pena di Padova è destinato a contenere 96 detenuti (capienza tollerabile fissata a 140), ma ne ospita circa 270, con evidenti problemi legati al sovraffollamento, alla carenza di servizi di assistenza e di trattamenti in proporzione al numero dei detenuti;
nell'istituto penitenziario patavino, dove non c'è più un centimetro quadrato di pavimento libero per appoggiare un materasso, i letti a castello arrivano ormai fino a quattro livelli, il che espone i detenuti che dormono all'ultimo piano senza essersi legati al rischio di cadere e di riportare contusioni o fratture;
martedì 21 settembre 2010 i detenuti ristretti nel carcere di Padova hanno inscenato una protesta rifiutando il pasto e cominciando a battere sulle inferriate e sulle porte blindate che chiudono le celle. La protesta, motivata dalle insopportabili condizioni di sovraffollamento, partita

dalla prima sezione e presto estesa a tutto l'istituto, è stata sospesa solo allorquando una delegazione di detenuti è stata ricevuta dalla direttrice del carcere, dal comandante e dai responsabile dell'area trattamentale;
la stessa direttrice del carcere, dottoressa Antonella Reale, ha inviato una drammatica richiesta di aiuto (lettera protocollo n. 14318 a limitata divulgazione, datata 21 settembre 2010) alla direzione generale detenuti e trattamento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di Roma, al provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria per il Triveneto con sede a Padova e, per conoscenza, al magistrato di sorveglianza e al prefetto, Ennio Mario Sodano;
con riferimento alla protesta del 21 settembre, la dottoressa Antonella Reale ha rilasciato alla stampa la seguente dichiarazione: «Non si è in grado di dire che cosa potrà succedere nei prossimi giorni se i numeri delle presenze non dovessero scendere drasticamente e rapidamente»;
le condizioni di sovraffollamento del carcere limitano le attività lavorative e aggravano le condizioni di vita dei detenuti, anche in ragione della scarsità del personale dell'amministrazione penitenziaria o medico ivi presente;
il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviolabile al rispetto della propria dignità, sancito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione; dagli articoli 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000; dagli articoli 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977; dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950; dagli articoli 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948; nonché dagli articoli 1, 2 e 3 della raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 12 febbraio 1987, recante «Regole minime per il trattamento dei detenuti» e dall'articolo 1 della raccomandazione (2006) del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa dell'11 gennaio 2006, sulle norme penitenziarie in ambito europeo; tale garanzia è ribadita dall'articolo 1, commi primo e sesto, della legge 26 luglio 1975, n. 354, che prescrive che «il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona», dovendo altresì essere attuato «secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti»;
l'articolo 15, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, prescrive che «il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia»;
gli articoli da 5 a 12 della legge 26 luglio 1975, n. 354, dettano una rigorosa disciplina in ordine ai requisiti strutturali minimi degli istituti di pena, prescrivendo che le carceri siano realizzate in modo tale «da accogliere un numero non elevato di detenuti o internati»; che «i locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente»; analoga disciplina prevedono gli articoli da 8 a 13 della raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 12 febbraio 1987, recante «Regole minime per il trattamento dei detenuti» e gli articoli da 17.1 a 18.10 della raccomandazione (2006) del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa dell'I 1 gennaio 2006 sulle norme penitenziarie in ambito europeo;
le condizioni di sovraffollamento in cui versa la casa circondariale di Padova, l'inadeguatezza delle strutture, la carenza di personale, la scarsa assistenza sanitaria e le precarie condizioni igieniche sono già state oggetto: a) di separati atti di sindacato ispettivo poiché già rilevati nel corso delle numerose visite, effettuate dalla prima firmataria del presente atto, presso la predetta struttura penitenziaria; b) di

un esposto depositato a giugno 2010 in procura dalla Camera penale di Padova;
a fronte della suddetta drammatica emergenza il Sottosegretario alla giustizia, senatrice Elisabetta Alberti Casellati, ha promesso già da diversi mesi l'arrivo di due milioni di euro da destinare al completamento del padiglione adiacente all'immobile penitenziario attualmente esistente, senza che però fino a questo momento nulla di concreto sia stato fatto in questa direzione -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle gravi condizioni di disagio che caratterizzano la vita penitenziaria nella casa circondariale di Padova;
se ritenga opportuno effettuare delle ispezioni all'interno del carcere patavino;
quali provvedimenti di competenza ritenga opportuno adottare al fine di garantire il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione e di migliorare le condizioni della vita penitenziaria nel carcere di Padova, cosi da garantire il pieno rispetto dei diritti alla dignità, alla salute ed allo studio dei detenuti;
se sia stato avviata ed entro quali tempi sarà completata la costruzione del padiglione adiacente all'istituto di pena in questione.
(4-08870)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
dal confronto tra il numero dei detenuti ogni 100.000 abitanti negli anni 1998 e 2010 appare evidente come alcuni Paesi europei siano riusciti a ridurre sensibilmente il tasso di carcerizzazione; poiché il numero complessivo dei reati commessi nell'Unione europea è rimasto pressoché stabile negli ultimi 10 anni, questo risultato è frutto soprattutto di un maggiore utilizzo delle pene sostitutive per sanzionare i reati «minori»;
in altri Paesi dell'Unione europea, come il nostro, il carcere invece è rimasto lo strumento primario per la repressione della devianza, anzi nel corso degli anni si è iniziato ad utilizzarlo in nuovi ambiti. Così se in Germania il tasso di carcerizzazione è diminuito da 96 a 88 (-12) e oggi in carcere ci sono 6.500 persone in meno rispetto a 12 armi fa, in Italia è aumentato da 85 a 112 (+27) e i detenuti sono quasi 20.000 in più. Diminuzioni del tasso e del numero di detenuti si sono registrate anche in Portogallo, Irlanda del Nord, Paesi Baltici, Bulgaria e Romania (che ha visto dimezzarsi il numero di detenuti);
secondo uno studio condotto dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, ad oggi negli istituti di pena italiani in 100 posti branda sono ammassate 152 persone;
soltanto in Bulgaria il tasso di affollamento delle carceri è maggiore (155), mentre la media europea è di 107 detenuti ogni 100 posti -:
se non intenda assumere iniziative normative - anche urgenti - per incentivare il ricorso alle sanzioni alternative alla pena detentiva, anche alla luce dell'elevato tasso di affollamento raggiunto dai nostri istituti di pena.
(4-08873)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
risulta alla prima firmataria del presente atto, anche sulla base di un articolo apparso sul quotidiano Il Messaggero il 1o ottobre 2010, intitolato «Spoleto (PG): oltre 600 detenuti in una struttura che non dovrebbe ospitarne più di 450», che il carcere di Spoleto presenta problemi di gestione di assoluta gravità;
in particolare, l'istituto di pena di Spoleto è destinato a contenere 450 detenuti, ma ne ospita circa 600, e si prevede che nei prossimi mesi il numero possa salire addirittura a 750, il tutto con evidenti problemi legati al

sovraffollamento, alla carenza di servizi di assistenza e di trattamenti in proporzione al numero dei detenuti;
le condizioni di sovraffollamento del carcere aggravano le condizioni di vita dei detenuti, anche in ragione della scarsità del personale dell'amministrazione penitenziaria o medico ivi presente;
in particolare risulta che, a causa della esiguità degli organici, gli agenti del penitenziario sono costretti a doppi turni senza avere accesso alle ferie;
le carenze del personale comportano anche la difficoltà ad accompagnare i detenuti nei laboratori o negli spazi di lavoro del carcere, il che rende molto problematico l'accesso dei detenuti ad eventi formativo-culturali e allo studio;
l'articolo 27, comma 3, della Costituzione, prevede che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, processo di cui una delle componenti essenziali è rappresentata proprio dalla formazione culturale e dallo studio -:
se il Ministro sia a conoscenza delle gravi condizioni di disagio che caratterizzano la vita penitenziaria nel carcere di Spoleto;
se non ritenga opportuno disporre l'immediato incremento degli organici di polizia penitenziaria assegnati presso la struttura penitenziaria indicata in premessa;
quali provvedimenti di competenza ritenga opportuno adottare al fine di migliorare le condizioni della vita penitenziaria nel carcere di Spoleto, così da garantire il pieno rispetto dei diritti alla dignità, alla salute e allo studio dei detenuti.
(4-08876)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
al 30 giugno 2010 il 42,5 per cento dei detenuti era in attesa di giudizio e la metà di loro è destinato ad essere assolto: circa 15.000 persone, che scontano da innocenti mesi e a volte anni di «pena anticipata» e contribuiscono a rendere gremite le celle. La media europea dei detenuti in carcerazione preventiva è del 24 per cento ma scende rispettivamente al 15,2 per cento e al 14,9 in Germania e in Inghilterra. In Polonia, addirittura il 90 per cento dei detenuti ha una sentenza definitiva;
il 12 gennaio 2010 la Camera dei deputati ha parzialmente approvato, su espresso parere favorevole del Governo, la mozione sulle carceri presentata dalla prima firmataria del presente atto e sottoscritta da 93 deputati appartenenti a quasi tutte le forze politiche presenti in Parlamento;
la mozione approvata prevede, tra l'altro, la riduzione dei tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, nonché del potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale -:
se e quali urgenti iniziative di carattere normativo il Governo intenda adottare al fine di ridurre i tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, ed il conseguente potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale, cosi come previsto dalla mozione n. 1-00288 approvata dalla Camera dei deputati il 12 gennaio 2010.
(4-08883)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il primo ottobre 2010 l'agenzia di stampa AGI ha battuto la seguente notizia: «Da lunedì 4 ottobre chiuderanno

i centri diagnostico-terapeutici delle carceri di Buoncammino di Cagliari e di San Sebastiano di Sassari. A partire dallo stesso giorno inoltre i detenuti sardi vedranno drasticamente ridotto il servizio medico-infermieristico-farmaceutico. È una conseguenza della nota del provveditorato regionale che ha richiesto un piano di rientro delle spese per l'assistenza sanitaria». Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione «Socialismo Diritti Riforme» in seguito alla richiesta del provveditore regionale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Felice Bocchino inviata alle direzioni delle case circondariali della Sardegna che mette il personale sanitario nell'impossibilità di garantire l'assistenza sanitaria e farmaceutica alle persone private della libertà. «Questa grave situazione richiama le responsabilità della Regione che - sottolinea Caligaris - non ha ancora provveduto a varare la norma di attuazione relativa al passaggio della sanità penitenziaria al servizio sanitario regionale. La Regione, oltre a pagare pesanti sanzioni pecuniarie, rischia la nomina da parte del governo di un commissario ad acta se con provvedimento urgente e straordinario non garantirà le spese per l'assistenza sanitaria almeno fino all'approvazione della norma. La commissione paritetica Stato-Regione frattanto è stata convocata per il 13 ottobre prossimo per varare definitivamente, dopo le richieste di integrazione avanzate dalla commissione Autonomia del Consiglio regionale, il dispositivo che dovrà poi avere il parere dell'assemblea». «I fondi stanziati per il primo semestre dal Dap (521.000,00 euro) e quelli per il secondo semestre (515.000,00 euro) sono esauriti. La rimodulazione delle somme - sottolinea il provveditore regionale Bocchino nella comunicazione alle Direzioni con la richiesta di un piano di rientro - ha comportato un supero di spesa che non può essere reintegrato in quanto nessuna ulteriore assegnazione è stata concessa dal dipartimento e non si conosce allo stato quando il previsto passaggio alla Regione Sardegna avverrà concretamente». «La drammatica condizione dei detenuti in Sardegna - conclude la presidente di SdR - richiede un urgente provvedimento della Regione e una mobilitazione degli enti locali e delle organizzazioni professionali interessate per evitare che il diritto alla salute dei cittadini privati della libertà sia compromesso da mancate opportune scelte dei Governi regionale e nazionale». Attualmente sono ricoverati nei due centri clinici circa 40 pazienti, 30 dei quali a Cagliari. Se non ci sarà un immediato intervento saranno trasferiti in altri istituti della penisola dotati di strutture idonee. Resta l'impossibilità di garantire adeguate cure a quanti resteranno dentro gli istituti di Pena della Sardegna -:
quali iniziative e quali provvedimenti intendano adottare gli interrogati, negli ambiti di rispettiva competenza, per sanare la grave situazione sopra esposta.
(4-08886)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nelle carceri secondo gli indici di stato di salute (Iss) sono presenti 1296 sieropositivi per Hiv. Questi numeri sono molto sottostimati in quanto si riferiscono soltanto a coloro che si sottopongono previo consenso informato alla rilevazione del test e questi sono ancora pochi perché si riferiscono appena al 30 per cento;
secondo una indagine epidemiologica condotta dall'ufficio di presidenza dell'Amapi i soggetti sieropositivi per Hiv presenti nelle carceri ammontano a circa 2.500;
allo stato non risulta che l'emergenza Aids abbia varcato le soglie degli istituti penitenziari visto che la stessa definizione di incompatibilità fra la condizione di sieropositività e quella detentiva, pur con i decisivi interventi della Corte costituzionale, tendenti a restituire

più ampi margini di discrezionalità all'autorità giudiziaria in materia di concessione di misure meno restrittive ai detenuti sieropositivi o conclamati, è rimasta sostanzialmente lettera morta, superata, del resto, dal fatto che ormai la degenza ospedaliera riguarda per lo più la cura delle malattie opportunistiche, laddove si va sempre più affermando la tendenza al trattamento ambulatoriale dei pazienti affetti da Hiv;
l'infezione da Hiv nell'ambito delle strutture penitenziarie si caratterizza ormai per la sua allarmante incidenza e per il particolare, drammatico coinvolgimento che l'ambiente e i detenuti subiscono. Bisogna avvertire poi la necessità di denunciare a chiare lettere che per il detenuto malato di Aids che esce dal carcere si continua a fare veramente poco;
non esistono ancora i repartini ospedalieri prefigurati dalla legge n. 222 del 93. Continuano a mancare le strutture intermedie tra il carcere e la società per chi non ha la possibilità di contare almeno su una famiglia;
la mancanza di obbligatorietà del test impedisce l'osservazione e il controllo del fenomeno di diffusione del virus all'interno delle strutture carcerarie, rendendo impossibile l'attuazione di qualunque strategia che tenga conto del diritto alla salute dei detenuti sieropositivi, di quelli sani e di tutti coloro che operano all'interno degli istituti penitenziari -:
quanti siano i detenuti malati di Aids e in fase di pre-Aids ristretti all'interno delle carceri italiane;
se e in qual misura stiano coordinando le azioni di reciproca competenza per fronteggiare l'emergenza Aids all'interno delle strutture carcerarie;
di quali dati dispongano, nell'ambito delle proprie competenze, in ordine all'individuazione delle strutture ospedaliere presso cui inviare i detenuti e gli internati affetti da Hiv.
(4-08894)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 29 settembre 2010 l'agenzia di stampa APCOM ha diramato la seguente notizia: «Aveva un tumore ai polmoni e alla spina dorsale, ma nonostante avesse più volte chiesto ai medici del carcere Due Palazzi di Padova, dove era detenuto, di essere sottoposto ad un esame radiologico, non è stato curato». A denunciare la vicenda, ai microfoni della rubrica Radiocarcere di Radio Radicale, è Graziano, ex detenuto del carcere padovano: «Stavo malissimo - racconta - e per un anno ho passato le mie giornate in cella tra atroci dolori. Poi finalmente, qualche giorno fa, mi hanno portato dal carcere all'ospedale di Padova dove mi è stato diagnosticato un tumore ai polmoni e alla spina dorsale. Non solo non mi facevano fare esami clinici o radiografie - continua Graziano - ma per un anno i medici del carcere Due Palazzi di Padova si sono limitati a darmi una piccola pastiglia di antidolorifici e basta». Poi le condizioni di salute sono ulteriormente peggiorate, tanto che intorno al 20 agosto l'uomo era paralizzato dalla pancia in giù e non riusciva neanche a urinare. «Ma anche vedendomi in quelle condizioni i medici del carcere non hanno fatto nulla per me, ed anzi, uno di loro mi ha detto "Eh, quella è l'età". E pensare che ho solo 48 anni». «Solo verso la fine di agosto - conclude - si sono decisi di portami in ospedale, dove appunto mi hanno diagnosticato un tumore in stato avanzato. Un tumore che se mi fosse stato diagnosticato prima sarebbe stato curabile»;
la vicenda di Graziano è stata ripresa anche dal quotidiano Il Mattino del 30 settembre 2010 (pagina 3) -:
se non intendano, negli ambiti di rispettiva competenza, raccogliere elementi informativi finalizzati all'accertamento di come si sono svolti i fatti esposti;
quanti siano, negli ultimi cinque anni i detenuti morti in carcere per malattia e

quanti coloro che, usciti dal carcere in sospensione della pena per malattia, siano successivamente morti in ospedale o nelle proprie abitazioni.
(4-08895)

...

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
la realizzazione dell'infrastruttura autostradale Parma-Nogarole Rocca (Tibre) rappresenta un'opera fondamentale per lo sviluppo economico per tutti i territori interessati dal suo tracciato, tanto che la sua realizzazione è attesa da molti anni dai cittadini e dalle imprese dell'area;
la Tibre, è stata inserita dal Governo nell'elenco delle opere strategiche prioritarie, individuate ai sensi della legge n. 443 del 2001 cosiddetta «legge obiettivo», approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) il 21 dicembre 2001;
nel 2008, il costo per la realizzazione del raccordo autostradale Parma-Nogarole Rocca era stato previsto pari a 1.809,65 milioni di euro e il termine per la realizzazione dello stesso era stato fissato all'anno 2016;
in data 9 novembre 2009, la società concessionaria Autocisa ha presentato al CIPE il progetto definitivo relativo alla realizzazione della tratta Parma-Nogarole Rocca, aggiornando l'importo finale dell'opera a 2.731,97 milioni di euro e al contempo presentando il progetto definitivo di un primo lotto dell'opera tra Fontevivo e Trecasali, di lunghezza pari a 12 chilometri, rispetto agli 85 chilometri complessivi del tracciato, da realizzarsi in totale autofinanziamento;
in data 22 gennaio 2010, il Cipe ha confermato la volontà di realizzare l'opera, ed in particolare ha preso atto del suo costo totale e del termine della concessione, fissato il 31 dicembre 2031, altresì approvando il progetto definitivo del primo lotto «Fonte Vivo-Trecasali/Terre Verdiane» per un importo di 513 milioni di euro, attesa la realizzabilità dello stesso a totale carico del concessionario ed ha, ovviamente, da ultimo, imposto l'adeguamento della convenzione vigente alla mutata realtà;
a tutt'oggi non sono ancora state rilasciate le autorizzazioni necessarie per lo sblocco dei lavori e dell'appalto del primo tratto in provincia di Parma, da Pontetaro al Po con la realizzazione del casello di Trecasali-Terre Verdiane, totalmente finanziato da privati -:
quali iniziative urgenti intenda adottare per garantire il rilascio, in tempi brevi, delle autorizzazioni necessarie per l'avvio dei lavori della Tibre nel tratto da Pontetaro al Po e la relativa realizzazione del casello di Trecasali-Terre Verdiane;
se non ritenga di adottare ogni iniziativa di competenza, anche in considerazione della particolare congiuntura economica che sta attraversando il Paese, nonché delle indiscutibili ricadute economiche e occupazionali che si determinerebbero con l'avvio dei suddetti lavori, per la più sollecita soluzione delle fasi amministrative e burocratiche che ancora impediscono la realizzazione di un'infrastruttura di interesse nazionale, attesa da molti decenni.
(2-00838)
«Rigoni, Motta, Fadda, Cimadoro, Fontanelli, Fogliardi, Rubinato, Mattesini, Mariani, Velo, Castagnetti, Giacomelli, Bocci, Ginoble, Benamati, Scarpetti, Viola, Grassi, Aniello Formisano, Rosato, Carella, Nannicini, Fluvi, Porcino, Morassut, Burtone, Recchia, Giorgio Merlo, Strizzolo, Portas, Pedoto, Corsini, Fioroni, Gasbarra, Mario Pepe (PD), Sanga, Realacci, Gianni Farina, Dal Moro».

Interrogazioni a risposta scritta:

FALLICA, TERRANOVA, STAGNO D'ALCONTRES, GRIMALDI, MINARDO e PAGANO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
in data 24 settembre 2010 un Airbus 300 della Wind Jet, proveniente da Roma con a bordo 143 passeggeri, è uscito fuori pista mentre atterrava all'aeroporto Falcone e Borsellino di Palermo, sfiorando la tragedia;
l'aeroporto di Palermo Punta Raisi è il primo in Italia in termini di frequenza e intensità del fenomeno di windshear, termine tecnico per indicare variazioni improvvise del vento in intensità e direzione: i dati più recenti, dell'Enav, società nazionale per l'assistenza al volo, riferiti al 2008 indicano che sull'aeroporto palermitano ci sono stati 214 riporti di windshear;
già il lontano 29 ottobre 2003 (A.C. 2-00956), uno degli interroganti sottolineava la pericolosità rappresentata dal windshear per l'aeroporto Falcone e Borsellino;
in data 23 ottobre 2008 il Ministro interrogato rispondeva ad una interpellanza dei sottoscrittori, su che cosa intendessero fare ENAC, ENAV e GESAP per migliorare la sicurezza delle operazioni di volo sull'aeroporto di Palermo Punta Raisi, con particolare rilevanza al fenomeno di windshear, che era stato già causa in passato di più di un incidente, nel seguente modo: «già da tempo ENAV ha provveduto a effettuare i coordinamenti e la pianificazione delle attività con la Società Selex-Si, al fine di contrarre al massimo i tempi di esecuzione e di salvaguardare per quanto possibile i finanziamenti del Programma operativo nazionale (PON-T). Fermo quanto rappresentato, posto lo stretto coordinamento con ENAC Società di gestione dell'aeroporto Falcone e Borsellino (GESAP) ed ANSV, ENAV S.p.A. si è adoperata con ogni strumento a disposizione per pervenire all'ottenimento della necessaria autorizzazione per l'installazione del radar non mancando di sottolineare ad ogni passaggio delle azioni intraprese la criticità e l'urgenza pertinente alla realizzazione del programma.»;
a seguito di tale atto di sindacato ispettivo, ENAC, ENAV e GESAP, quale gestore dell'aeroporto di Punta Raisi, formavano un comitato di studio che provvedeva a formulare un piano strategico di azione dal quale Palermo Punta Raisi risultava, tra gli aeroporti nazionali, quello più esposto a questo pericoloso fenomeno;
gli studi effettuati dal CNR e da rilevanti enti stranieri indicavano Palermo Punta Raisi come l'aeroporto più idoneo sul quale concentrare gli sforzi economici e di studio a quel tempo frammentati inutilmente su vari aeroporti, ciò che portava Palermo Punta Raisi ad essere considerato polo di eccellenza internazionale per lo studio e la difesa da questo importante e pericoloso fenomeno meteorologico;
ENAV appaltava la realizzazione sull'aeroporto di Palermo Punta Raisi di un programma suddiviso in due fasi che avrebbe portato in breve tempo a dotare l'aeroporto di Palermo Punta Raisi di infrastrutture idonee per la rilevazione e la difesa dal windshear a tutela dell'incolumità degli utilizzatori dell'aeroporto, già teatro nel passato di gravi incidenti, ed a contribuire quale polo di studio primitivo per l'installazione delle infrastrutture più idonee sugli altri aeroporti nazionali purtroppo interessati dal fenomeno;
il tribunale amministrativo regionale della Sicilia, il 6 novembre 2009, con una propria ordinanza si è pronunciato negativamente sul ricorso del comune di Isola delle Femmine, rigettando la richiesta di sospensiva che era stata avanzata, affermando che «il radar TDWR rappresenta la componente fondamentale del sistema integrato per la rilevazione del windshear nell'Aeroporto di Palermo Punta Raisi» e che «dalla documentazione in atto non emerge, allo stato, l'esistenza di un effettivo

pericolo per la salute dovuta all'installazione del radar, mentre risulta notorio il pericolo per la sicurezza dei voli da fenomeni di windshear» -:
cosa osti all'installazione di un apparato, già acquisito tra l'altro da parte dell'ENAV, talmente fondamentale per garantire maggiore sicurezza alle migliaia di passeggeri che quotidianamente transitano da Punta Raisi.
(4-08864)

CATANOSO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il 24 settembre 2010 un aeromobile A-319 della compagnia aerea siciliana Wind Jet in rotta da Roma per Palermo è uscito fuori pista all'aeroporto «Falcone-Borsellino» di Palermo;
dai primi rilievi dell'Ente nazionale per l'aviazione civile, della Gesap e dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, sembrerebbe che la causa dell'incidente sia stato il wind shear, cioè un fenomeno atmosferico consistente in una variazione improvvisa del vento in intensità e direzione particolarmente pericoloso in prossimità di aeroporti durante la fase di atterraggio, in quanto inganna il pilota sul corretto assetto di discesa che il velivolo deve mantenere, portando così, in alcuni casi, a terribili incidenti;
l'inchiesta della procura della Repubblica di Palermo, comunque, sarà importante per comprendere se l'airbus sia finito sul prato per un errore del pilota o se l'incidente sia stato causato da altri fattori, come la scarsa illuminazione del corridoio che delimita la pista, che potrebbe avere indotto il comandante in errore sulla posizione del velivolo rispetto al suolo. O come il wind shear;
a giudizio dell'interrogante solo la bravura del comandante Simoneschi e una buona dose di fortuna hanno fatto sì che l'esito del fuori pista non abbia avuto conseguenze tragiche ma solo qualche leggera ferita a pochi passeggeri a causa dei colpi dati e ricevuti dai sedili e dalla caduta degli oggetti dalle cappelliere del velivolo;
secondo quanto riferito da molti passeggeri alle televisioni intervenute sul posto ed ampiamente descritte dall'agenzia di stampa AVIONEWS e dal blog http://castrenzesciambra.blogspot.com, sembrerebbe che le operazioni di soccorso dei passeggeri non sarebbero scattate immediatamente ma con notevole ritardo;
i primi soccorritori sono stati i lavoratori della GH Handling e della Pae Mas, due società di assistenza aeroportuale, che si trovavano nel piazzale degli aeromobili per lavoro e che si sono visti arrivare alla chetichella i passeggeri sotto choc del volo Wind Jet;
appare evidente all'interrogante che le procedure di soccorso non sono state avviate secondo le dovute prescrizioni ed in base alle esercitazioni effettuate in precedenza;
l'incidente ha evidenziato, inoltre, che l'antenna per il rilevamento del wind shear, per il cui acquisto l'Enac ha già stanziato 7 milioni di euro da ben 5 anni non è stata installata a causa dell'opposizione dell'amministrazione comunale di Isola delle Femmine e di quelli che all'interrogante appaiono i colpevoli ritardi di una Commissione istituita presso la Presidenza della regione Sicilia e composta dal deputato del Partito democratico Apprendi e da due esperti siciliani;
a giudizio dell'interrogante la sicurezza del trasporto aereo non può essere messa a repentaglio per colpevoli ritardi sia nelle infrastrutture che nelle procedure di attivazione dei soccorsi aeroportuali -:
quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato affinché lo scalo aeroportuale di Palermo possa operare in assoluta sicurezza.
(4-08882)

TESTO AGGIORNATO AL 28 OTTOBRE 2010

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
i fatti e i «misteri» di Reggio Calabria rischiano di condizionare la vita civile e democratica dell'intera regione;
l'attentato al procuratore generale presso la corte d'appello di Reggio Calabria è sconcertante e mette in luce il tipo di impegno che il Governo garantisce nell'offerta di beni pubblici essenziali come la giustizia nel Mezzogiorno. Il Governo, ad avviso degli interroganti, si è dimostrato non in grado di proteggere adeguatamente il procuratore generale dopo ben due attentati, mentre la magistratura calabrese è privata dei mezzi più elementari per poter funzionare: manca perfino la benzina ai mezzi di servizio, non sono utilizzabili gli strumenti di lavoro quotidiano, l'organico delle procure risulta scoperto al 60 per cento, le Forze dell'ordine non sono messe nelle condizioni di agire, tutte le promesse fatti e gli impegni presi in tal senso dal Governo risultano al momento inevasi;
la regione Calabria nella precedente legislatura si era dovuta perfino fare carico di un intervento finanziario di 5 milioni di euro per fare fronte a delle urgenti necessità delle forze dell'ordine e della sicurezza;
a Reggio Calabria non è chiaro il ruolo dei servizi segreti che, a sentire autorevoli magistrati (si vedano le dichiarazioni alla stampa di Cisterna) e importanti giornalisti (Galullo del il Sole 24 ore), sono sempre presenti a vario titolo nelle vicende di snodo della città dal ruolo avuto nelle elezioni comunali del 2002 e riportato nelle inchieste giudiziarie, alla vicenda del tritolo a palazzo San Giorgio, alle vicende di questi giorni;
la vicenda del presunto attentato all'allora sindaco Scopelliti non è mai stata chiarita, mentre le cronache giudiziarie nonché espliciti reportage giornalistici, mai contestati, evidenzierebbero rapporti e legami di amicizia tra lo stesso ed esponenti della criminalità organizzata;
il clima torbido venutosi a creare in questi anni cerca di mettere sullo stesso piano lettere anonime, che puntualmente arrivano quando serve distogliere l'attenzione da altro, bombe e minacce vere -:
cosa intenda fare il Governo, per quanto di competenza, per far luce sugli inquietanti fatti che accadono a Reggio Calabria, dal ritrovamento su segnalazione dei servizi del tritolo a palazzo San Giorgio, alle bombe presso la corte d'appello di Reggio Calabria e davanti l'abitazione privata del procuratore generale;
quali misure intenda adottare per proteggere adeguatamente i magistrati esposti nella lotta alla criminalità;
cosa intenda fare per coprire l'organico delle procure e dei tribunali calabresi e per dotare la magistratura, le Forze dell'ordine e istituzioni impegnate nella quotidiana lotta alla criminalità organizzata dei mezzi finanziari e strumentali necessari all'affermazione dello Stato di diritto.
(2-00839)
«Laratta, Angela Napoli, Barbato, Andrea Orlando, Giachetti, Motta, Losacco, Mattesini, Laganà Fortugno, Esposito, Oliverio, Misiani, Berretta, Grassi, Agostini, Marco Carra, Lo Moro, Cesare Marini, Bellanova, Capano, Trappolino, Villecco Calipari, Minniti, Siragusa, Tullo, Razzi, Zazzera, Messina, Cambursano, Di Stanislao, Scilipoti, Misiti, Servodio».

Interrogazione a risposta orale:

OCCHIUTO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi è stata recapitata al giovane Ferdinando Piccolo, corrispondente de Il Quotidiano della Calabria da San Luca, che già aveva ricevuto una prima intimidazione, una busta di colore giallo davanti alla porta di casa, a Bovalino, contenente alcuni proiettili a salve e una lettera con minacce. Nella missiva c'era scritto: «Giornalista infame che non sei altro...sei un morto che cammina. Devi smettere di scrivere da San Luca. Sei di Bovalino, e scrivi di Bovalino...»;
nello specifico il giornalista Piccolo avrebbe ricevuto il messaggio intimidatorio dopo aver scritto di una strada che collega Polsi a San Luca. Una strada da sistemare da almeno venti anni, di un appalto di 12 milioni di euro vinto nel '96 da una ditta di Crotone che era poi andata in fallimento e del subappalto concesso a un'altra ditta di San Luca il cui proprietario aveva dichiarato di non aver mai ricevuto denaro;
di Polsi e della festa della Madonna della Montagna ne hanno anche parlato lungamente i media nazionali che hanno trasmesso le immagini di un summit tra gli uomini delle cosche della 'ndrangheta nel santuario, «Un santuario - ha dichiarato il vescovo di Locri, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, - in cui si è consumata l'espressione più terribile della profanazione del sacro ed è stato fatto l'insulto più violento alla tradizione religiosa»;
trattasi dell'ultimo episodio di una lunga serie di intimidazioni, minacce, aggressioni e sequestri nei confronti di giornalisti e blogger che lavorano e vivono in Calabria, rei solo di aver riportato notizie raccolte in questura, in tribunale, in caserma: la routine del lavoro di cronista;
negli ultimi mesi in Calabria sarebbero stati oggetto «dell'attenzione» della malavita ben 12 cronisti, minacciati o avvertiti dalla mafia nel 2010, che non tollera intromissioni da parte della stampa -:
quali iniziative intenda adottare per tutelare l'incolumità fisica dei giornalisti calabresi e per garantire la libera informazione in Calabria.
(3-01259)

Interrogazioni a risposta scritta:

BELLOTTI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo la legge 29 luglio 2010, n. 120, Disposizioni in materia di sicurezza stradale, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e quello della salute dovranno emanare un decreto che autorizza e regolamenta la «sperimentazione» del progetto per la valutazione dei «drug testing» rapidi da parte della polizia stradale;
la stessa Polstrada opererà con la partecipazione di 12 equipe operative dislocate su o il territorio nazionale;
è ormai ampiamente acclarato che l'utilizzo dei test rapidi espone al rischio di «false risposte» per la ridotta specificità e sensibilità rispetto alle classiche metodiche di laboratorio;
il rischio che tale iniziativa oltre che risultare un inutile dispendio di denaro pubblico, concorra, in tutta Italia, a far vanificare migliaia di processi a causa della contestata e constatata «insufficienza» probatoria delle attuali indagini tossicologiche medico-legali, e di quelle «rapide» effettuate in strada dagli agenti di polizia ai sensi degli articoli 186-187 del codice della strada;
è allineato con la tesi di cui sopra anche un recentissimo articolo pubblicato dal Sole 24 Ore di venerdì 27 agosto 2010 pagina 18: «Analisi - dietro le norme complicate, contenzioso sicuro»;

l'occasione potrebbe invece essere la riproposizione dell'assoluta priorità dell'interesse pubblico, che non può né deve prescindere dalla massima garanzia di «tutela della salute (individuale e collettiva)», contemplando sia per il conseguimento che per il mantenimento dell'autorizzazione alla guida (con riferimento a tutti i veicoli mossi da «motore», indipendentemente dalla via di mobilità), il soddisfacimento, in maniera corretta, dei requisiti di «idoneità», ancorando l'accertamento analitico medico-legale al «diritto alla tutela della salute» e quindi riconoscendo a questo accertamento la essenziale e pregiudiziale natura amministrativa, che farebbe superare ogni discussione sulla legittimazione/legalizzazione del prelievo/accertamento ematico;
è infatti paradossale, in una realtà qual è quella italiana con migliaia di morti e feriti sulle strade, che l'obbligatorietà del prelievo e l'analisi del sangue sui conducenti siano contemplati a posteriori, in caso di incidenti con morti o feriti gravi, e non preventivamente, per scongiurare tragedie ed evitare costi alla collettività calcolati in 3 miliardi di euro l'anno -:
se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non si ritenga di assumere iniziative al riguardo nel senso indicato in premessa.
(4-08872)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
recenti notizie di stampa pubblicate sui maggiori quotidiani nazionali hanno riproposto gravissimi casi di disagio sociale da parte di minori extracomunitari e nomadi, che evidenziano l'intollerabile situazione di emarginazione in cui versano molti di questi bambini e ragazzi, i quali vengono tenuti in stato di penoso abbandono di tipo morale, educativo ed igienico-sanitario, se non addirittura sottoposti a diverse forme di turpe sfruttamento, o divengono essi stessi manovalanza della criminalità e della prostituzione;
buona parte degli extracomunitari hanno famiglie numerose portatrici di grave disagio sociale che viene totalmente scaricato sul l'ente locale attraverso provvedimenti senz'altro «dovuti» da parte del tribunale dei minorenni competente per territorio, senza che vi sia un'adeguata politica di trasferimenti economici atta a sopperire, o quanto meno a ridurre, la drammatica situazione di aggravi di bilancio dagli stessi provvedimenti provocata;
spesso si registrano casi di affidamento di minori extracomunitari ai comuni i quali non possiedono risorse economiche sufficienti per ottemperare a tali emergenze, se non mettendo in crisi il totale assetto dei propri equilibri sociali ed economici;
a tutt'oggi manca una normativa statale quadro di riforma dell'assistenza, la cui emanazione era prevista nel 1978, che riordini le funzioni e i relativi oneri a carico degli enti locali, ed in particolare dei comuni, costringendoli nel frattempo a versare nella più totale incertezza;
il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, e i successivi regolamenti attuativi si sono rivelati a dir poco disastrosi;
è deplorabile e intollerabile la condizione di abbandono socio-educativo di molti minori extracomunitari fatti entrare più o meno legalmente nello Stato italiano e il cui mantenimento viene scaricato sulle comunità locali -:
quanti siano i minori stranieri presenti in Italia e quanti di questi siano sprovvisti del permesso di soggiorno;
in che modo si intenda mettere gli enti locali nella concreta possibilità di attuare le misure assistenziali loro spettanti;
se non si intenda assumere un'apposita iniziativa normativa per istituire al più presto un apposito fondo volto a coprire gli oneri finanziari derivanti da provvedimenti

del tribunale dei minorenni emanati nei confronti dei minori extracomunitari.
(4-08878)

LABOCCETTA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
i comuni del Sud Italia sono quotidianamente martoriati e mortificati dalla presenza della criminalità organizzata che, avendo, ormai, superato la posizione di contrapposizione alle istituzioni e alla società civile, si colloca, oggi, con la sua invasiva e pervasiva presenza nell'economia e in apparati della pubblica amministrazione in misura tale da generare evidenti distorsioni nell'esercizio dei poteri delle istituzioni pubbliche;
in questa fase storica, in cui si stanno ridefinendo le forme della politica e i suoi rapporti con l'economia e la società, i clan e le famiglie mafiose si mostrano insofferenti e tentano di porsi sempre più al centro di questa rete di relazioni, soprattutto nella gestione del mercato illegale degli appalti, dello sviluppo ed attuazione delle varianti ai piani regolatori, della gestione delle società che forniscono servizi, del riciclaggio di enormi quantità di denaro provenienti da attività illecite, con investimenti in esercizi pubblici, ristoranti, alberghi, sale gioco/scommesse ed altro;
nonostante lo sforzo profuso dalle forze dell'ordine e dalla magistratura, la criminalità organizzata, ma nella fattispecie la «camorra napoletana», con arrogante ostentazione di atti riconducibili a poteri occulti con funzione di antistato, si dimostra capace di resistere agli attacchi degli apparati sani dello Stato;
il nostro ordinamento giuridico include varie norme, nate per contrastare e prevenire l'infiltrazione e il condizionamento mafiosi, soprattutto per quanto concerne le amministrazioni comunali, che sono le sedi privilegiate per le decisioni concernenti appalti e interventi sul e per il territorio;
nella provincia di Napoli, il piccolo comune di Castello di Cisterna, a seguito di una lunga e tortuosa procedura, nel luglio 2009, ha visto i propri organi elettivi sciolti a seguito degli accertamenti svolti da una commissione di nomina prefettizia che, proprio in virtù dell'azione di quei poteri occulti, ha dovuto svolgere il proprio lavoro a più riprese, senza che la competente procura, per quanto a conoscenza dell'interrogante, prendesse in esame tutti gli spunti emersi dalle verifiche amministrative;
proprio in quel comune, prima ancora delle consultazioni elettorali, personaggi vicini alle cosche locali avevano provveduto, come riportato anche in atti allegati alla relazione finale e che non è dato conoscere se siano confluiti in procedimento penale, alla preventiva spartizione di appalti e gestione del piano regolatore, la cui attuazione, ha condotto ad un incontrollato sfruttamento del territorio, con edificazioni, ampliamenti, sovraelevazioni e allargamenti del centro abitato, senza che ve ne fosse il giustificato bisogno e senza il benché minimo rispetto dei principi normativi che tutelano le aree verdi, l'altezza e le distante tra i fabbricati, le volumetrie e le zone di parcheggio;
sin dall'atto dell'insediamento, i commissari straordinari hanno accertato tali violazioni, provvedendo a richiedere un parere pro veritate, circa la variante a quel piano regolatore, ottenendo indirizzi per bloccare la cementificazione che tuttora continua, e agire sul territorio per riportare la situazione alla normalità;
allo stato, nonostante l'autorevole parere ottenuto, nonché una recente sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania, per quanto risulta all'interrogante nessuna ordinanza di abbattimento sarebbe stata formalizzata, ad eccezione di provvedimenti di rigore che hanno visto destinatari solo ex appartenenti alla precedente minoranza politica che, da tempo, venivano, per così dire, vessati dall'ufficio tecnico comunale,oltre ad essere di fatto vittime di persistenti

minacce e atti intimidatori, posti in essere anche dalla locale criminalità organizzata;
a tutt'oggi quell'ufficio tecnico sembrerebbe non aver ancora preteso il pagamento degli oneri di urbanizzazione per le sopraelevazioni, arrecando un ingente danno alle casse comunali, così come non aveva eseguito alcun controllo sugli allacci abusivi, nell'ambito della zona residenziale, asseritamente perché in quelle aree i controlli li potrebbero eseguire solo le forze dell'ordine, atteso l'elevato indice di pregiudicati e affiliati che vi abitano;
alcuni esercizi commerciali, destinatari di recenti licenze, risultano gestiti materialmente da personaggi pregiudicati, o contigui a organizzazioni criminali;
risulta all'interrogante che la Commissione straordinaria non fornisce riscontro alle notizie richieste dai cittadini, riguardo alcune illegalità presenti sul territorio, costringendo questi ultimi a esporre denuncia per «omissione in atti d'ufficio»;
la stessa Commissione straordinaria, nonostante i lavori siano stati ultimati da tempo, risulta che non abbia ancora riaperto le rampe di accesso alla zona industriale, alla cui ristrutturazione hanno lavorato ditte ripetutamente citate nella relazione di accesso, senza che venisse eseguita alcuna mirata verifica, finalizzata ad impedire che fondi pubblici finissero nella disponibilità della criminalità organizzata -:
di quali elementi disponga il Governo circa le questioni riferite in premessa;
se e quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato, al fine di impedire lo spadroneggiare della criminalità organizzata, che ha ormai raggiunto livelli di radicamento territoriale impensabile, impedendo altresì che sia vanificato il lavoro eseguito dalle forze dell'ordine e dai funzionari prefettizi, componenti della Commissione di accesso.
(4-08881)

PINI e STUCCHI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il comune di Faenza era affittuario di un immobile in via degli Insorti, 2, a Faenza, di proprietà dell'Ente Seminario, dove ha sede l'istituto comprensivo Europa ed in particolare le scuole medie del suddetto istituto;
il contratto d'affitto provvisorio è scaduto il 31 agosto 2010 e ad oggi non è ancora stato rinnovato;
il mancato rinnovo è da ascrivere ad un mancato accordo tra il comune di Faenza e l'Ente Seminario per divergenze sull'entità della cifra del canone di locazione;
il motivo del ritocco del canone di locazione da parte dell'Ente Seminario è motivato per lavori urgenti atti ad adeguare lo stabile alle normative di legge;
nonostante da parte del locatore sia stato interdetto l'uso dei locali (pare, a quanto consta all'interrogante, per la mancanza del certificato di conformità elettrica) l'inizio dell'anno scolastico ha preso regolare avvio ed i circa 380 bambini delle scuole medie Europa partecipano alle lezioni nei locali di via degli Insorti;
l'interrogante, per tutto quanto in premessa, ritiene vi siano oggettivi rischi per l'incolumità dei docenti, del personale addetto e degli scolari che usufruiscono dei locali in via degli Insorti 2 -:
se e quali iniziative si intendano assumere per verificare il rispetto delle fondamentali norme di sicurezza nelle strutture di cui in premessa, incluso il possesso delle certificazioni di conformità elettrica e di prevenzione incendio, e per salvaguardare l'incolumità degli scolari e del personale docente e amministrativo.
(4-08893)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca - per sapere - premesso che:
come recita il Regolamento che disciplina il funzionamento del Consiglio nazionale degli studenti universitari, questo è un «organo consultivo di rappresentanza degli studenti iscritti ai corsi di diploma, di laurea, di specializzazione e di dottorato attivati nelle università italiane, nonché alle scuole dirette a fini speciali» (articolo 1, comma 1). Tra gli altri compiti svolti, il CNSU si occupa in primis di formulare pareri e proposte al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in merito alle diverse materie oggetto della competenza universitaria del medesimo Ministero;
il CNSU è costituito da ventotto componenti eletti dagli studenti iscritti ai corsi di laurea triennale e di laurea specialistica, da un componente eletto dagli iscritti ai corsi di specializzazione post laurea e da un componente eletto dagli iscritti ai corsi di dottorato di ricerca. Ogni circoscrizione (Nord, Centro e Sud Italia) elegge i propri rappresentanti. Nella fattispecie, per il Sud Italia è necessario che vengano eletti sette componenti del Consiglio; essi durano in carica due anni e sono rileggibili;
ciò premesso, il 12 e 13 maggio 2010, si sono tenute - presso ciascuna sede universitaria - le elezioni per il rinnovo dello stesso CNSU. Sulla base dei risultati registrati in occasione della consultazione elettorale si è provveduto, in data 25 giugno, a emanare il decreto ministeriale che ha garantito ufficialità alla nuova composizione del CNSU; ciò nonostante, a tutt'oggi, non è ancora stata convocata, da parte del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca - ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del regolamento del CNSU - la riunione di insediamento di tale organo. Ad oggi, l'atto del mancato insediamento, ad avviso degli interpellanti, appare lesivo delle funzioni degli organi studenteschi e della dignità di coloro che hanno espresso democraticamente il proprio voto;
la delicata fase che, nel suo complesso, sta vivendo il mondo accademico, coinvolto nel pieno di una riforma dell'università in attesa di proseguire il proprio iter parlamentare alla Camera dei deputati, richiama la necessità di una effettiva e quanto mai urgente operatività del CNSU, così che tale organo possa svolgere le proprie funzioni di formulazione pareri e proposte rispetto ai «progetti di riordino del sistema universitario»;
a sua volta la mancata convocazione del CNSU impedisce la formazione della componente studentesca all'interno del Consiglio universitario nazionale -:
quali siano le motivazioni che hanno cagionato il ritardato insediamento del Consiglio nazionale degli studenti universitari e se il Ministro interpellato abbia in programma di provvedere al più presto a tale atto formale.
(2-00840)
«Vaccaro, Piccolo, Binetti, Burtone, Cuomo, De Micheli, Gozi, Mosca, Lovelli, Fiorio, Pierdomenico Martino, Losacco, Bocci, Boccuzzi, Bonavitacola, Dal Moro, Garofani, Sposetti, Rosato, Iannuzzi, Margiotta, Realacci, Nicolais, Colaninno, Oliverio, Marchignoli, Bobba, Vassallo, Touadi, Strizzolo».

Interrogazioni a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per le pari opportunità, al Ministro della gioventù. - Per sapere - premesso che:
sul sito telematico del Corriere della Sera è apparsa una notizia che, per la sua

gravità si ritiene di pubblicare integralmente: «Dice che è stato male interpretato», che non vuole «eliminare i più deboli» e chiede scusa se ha offeso qualcuno. Però l'ha scritto. Su Facebook. «Alla Rupe Tarpea bisognerebbe tornare, altro che balle. Non c'è più selezione naturale», ha «postato» Joanne Maria Pini, compositore e docente di armonia al Conservatorio di Milano. Interveniva sulle dichiarazioni, poi smentite, dell'assessore all'istruzione di Chieri, Giuseppe Pellegrino, a proposito della necessità di non inserire i bambini disabili nelle scuole. «E se avesse ragione?», ha chiesto Pini in un forum. In tanti gli hanno risposto indignati. Ma lui si difende: «Volevo solo dire la mia. Alla faccia del politically correct»;
domenica sera, quattro chiacchiere su Facebook, si parla della proposta choc di Pellegrino. Il papà di un bambino autistico commenta invocando «un soprassalto di dignità umana e civile» da parte degli utenti del forum. Anche Pini legge e lancia quella che definisce una provocazione: «E se invece fosse una cosa giusta? Già le classi sono troppo disomogenee, oltre che numerose. D'altronde la funzione della scuola oggi non è di infondere conoscenza, ma di standardizzare la testa della gente»;
eugenetica, selezione della razza, diritto alla sopravvivenza. Si apre il dibattito (che la civiltà pensava di aver superato da mezzo secolo). Un partecipante, scandalizzato, interviene: «Cos'è, un disabile non aiuta a "finire il programma"?». Botta e risposta, le frasi di Pini lasciano tutti basiti. Qualcuno gli dice di andare a fare il salumiere («sarebbe una gran fortuna per i tuoi allievi»), qualcuno gli dà del Mengele, gli altri commentano: «Si torna indietro di quarant'anni». Ed è a quel punto che scatta il commento più controverso. Pini chiede: «Indietro? Alla Rupe Tarpea bisognerebbe tornare. Stiamo decadendo geneticamente. Ovviamente rispetto singoli dolori e situazioni personali, ma il discorso generale è questo. Oggi una pseudoscienza autoreferenziale senza bussole fa campare organismi che non dovrebbero. Datemi pure del nazista, se volete, cosa che non sono: sono invece una persona che ragiona. Liberamente»;
le sopra citate, stupefacenti e indecenti affermazioni hanno suscitato un comprensibile e condivisibile sdegno tra genitori e lettori, e in replica l'interessato ha ulteriormente precisato il suo pensiero: «Prima della didattica viene la genetica, diceva mio padre, maestro elementare...stiamo vivendo nel periodo più triste della storia dell'umanità: tutto è contro natura» -:
quali iniziative, nell'ambito delle loro prerogative e facoltà, intendano adottare, promuovere, sollecitare in relazione a quanto sopra esposto.
(4-08860)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
a pochi giorni dall'avvio del nuovo anno scolastico, molte organizzazioni sindacali hanno rappresentato il drammatico taglio che ha colpito gli insegnanti di sostegno per alunni disabili;
in molte province (Salerno, Cosenza, Potenza, Treviso) si registrano tagli assolutamente incompatibili con la necessità di adeguare le «cattedre di sostegno» al nuovo parametro (1,43 invece che 1,35) previsto nelle ultime leggi finanziarie;
tale situazione appare ancor più incomprensibile ove si accertasse che effettivamente c'è stato un incremento di oltre il 5 per cento delle iscrizioni degli alunni diversamente abili, cosa questa che annullerebbe ogni effetto negativo riconducibile all'aumento del coefficiente di rapporto docente/alunni;
sul Corriere della Sera del 30 settembre 2010 è stata pubblicata la seguente lettera scritta dalla signora Anna De Castiglione: «Caro direttore, sono la mamma di un ragazzo disabile che frequenta la seconda superiore all'Itsos "Albe Steiner" di

Milano. Ecco come inizia l'anno scolastico 2010 per mio figlio affetto da tetraparesi: le ore di sostegno settimanali passano da 18 a 9; nessuno è disponibile a portarlo in bagno (perché tutto il personale è occupato in altre mansioni), così spesso mi fermo io a scuola nell'orario scolastico per aiutare la scuola ad affrontare una situazione che sembra ingestibile. Come si è arrivati a questo punto? Queste le risposte che ho ricevuto: il preside ha fatto domanda al Comune e al provveditorato, documentando tutte le spese sostenute l'anno scorso, ma il rimborso che ha ricevuto è stato poco più che simbolico. In provveditorato mi hanno detto che "i ragazzi crescendo devono diventare sempre più autonomi" e che in ogni caso "mancano le risorse". Non mi resta, così mi hanno detto, che fare ricorso al Tar... Ringrazio per il consiglio, ma... intanto? Ultima considerazione: ho iscritto mio figlio a questa scuola, dopo che in numerose altre mi era stato risposto: "Gentile Signora, la nostra scuola, purtroppo, non è in grado di accogliere suo figlio... si rivolga altrove, perché davvero non possiamo seguirlo come meriterebbe...". Devo concludere che anche l'Albe Steiner avrebbe dovuto rispondermi così?»;
non è, ad avviso degli interroganti, assolutamente possibile operare drastici ed incomprensibili tagli che colpiscono proprio i soggetti più deboli ed esposti -:
quale sia allo stato l'effettiva previsione di riduzione degli organici della scuola;
in che misura colpisca il sostegno agli studenti diversamente abili;
quali immediate iniziative si intendano assumere per ovviare alle situazioni più drammatiche.
(4-08869)

VACCARO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
l'Istituto italiano per gli studi filosofici è stato fondato il 27 maggio 1975, con lo scopo - si legge all'articolo 2 dello Statuto - «di promuovere, attraverso il concorso di docenti e studiosi, lo sviluppo degli studi filosofici, storici, giuridici, economici e scientifici mediante programmi di ricerca e di alta formazione in grado di garantire alle nuove generazioni una formazione umanistica e scientifica». Nel corso del tempo hanno aderito e fatto parte dell'Istituto numerose personalità del mondo accademico e scientifico;
per i primi sedici anni di vita dell'Istituto l'onere finanziario delle attività è stato sostenuto quasi interamente dalle risorse del fondatore, avvocato Gerardo Marotta, e della sua famiglia. A partire dal 1988 si è aggiunto, all'inizio modesto e poi in maniera via via crescente, un contributo finanziario dello Stato, contributo che soltanto nel 1991 è diventato consistente per iniziativa del Ministro per il mezzogiorno, onorevole Giovanni Marongiu. Tale contributo è stato possibile poiché fin dal 1983, nell'ambito delle competenze e dell'azione del Ministero per il Mezzogiorno, l'attività dell'Istituto italiano per gli studi filosofici è stata lungamente ed attentamente vagliata e ritenuta di rilevante e crescente interesse pubblico;
a partire dagli anni 1991 e 1992, il Ministero per il Mezzogiorno e l'Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno, giudicando essenziale il ruolo dell'Istituto, tanto nel campo della ricerca quanto in quello della formazione, gli hanno destinato crescenti finanziamenti; a decorrere dal 1o maggio 1993 - in conseguenza dell'abolizione del dipartimento per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno e dell'Agenzia per la Promozione dello sviluppo del Mezzogiorno - l'allora Presidente del Consiglio dei ministri, Carlo Azeglio Ciampi, assegnò all'Istituto un contributo straordinario di dieci miliardi di lire a valere sulle risorse dell'otto per mille;
le attività dell'Istituto dal 1994 al 2001 hanno ricevuto contributi da una serie di delibere CIPE che hanno destinato puntualmente all'Istituto contributi annui

dell'importo di sei-nove miliardi di lire, comprese le spese di funzionamento;
per la programmazione delle attività degli esercizi 2002 e 2003 l'Istituto aveva riposto fiducia nell'esplicito impegno che il Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica aveva assunto dinanzi al CIPE nella delibera del 3 maggio 2001, per l'adozione di risorse adeguate allo svolgimento delle iniziative dell'istituto e per la predisposizione di un disegno di legge volto ad assicurare all'Istituto stesso adeguate risorse per la sua attività;
tale impegno da parte del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica è venuto meno e dal 2002, il Ministero stesso non ha provveduto ad inoltrare al CIPE la richiesta di fondi da destinare all'Istituto che, al contrario, è stato indebitamente escluso - come riconosciuto dalla sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 10904/05 del 9 novembre 2005 - dall'assegnazione di fondi per la ricerca per il biennio 2002-2003, previsti da un bando di concorso al quale l'Istituto si era presentato con un proprio progetto, al fine di ovviare al venir meno dei finanziamenti del CIPE; l'Istituto è sopravvissuto solo grazie al credito concesso da ditte e fornitori, all'attesa dei borsisti e dei ricercatori, e alla collaborazione gratuita di tanti docenti e collaboratori;
dal 1o gennaio 2010, l'Istituto italiano per gli studi filosofici e l'Istituto italiano per gli studi storici sono rimasti senza risorse poiché alla data del 31 dicembre 2009 è scaduta la proroga prevista dall'articolo 1, comma 1149, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007) - in prosieguo e attuazione della legge finanziaria per il 2005, che stabiliva un contributo annuo a favore dell'Istituto italiano per gli studi storici. In conseguenza di ciò, l'Istituto è rimasto privo di ogni risorsa -:
se il Governo sia a conoscenza della gravità della situazione riguardante l'Istituto italiano per gli studi filosofici esposta in premessa;
se il Governo non intenda assumere iniziative normative che, dopo trentacinque anni di intensa attività ormai riconosciuta in tutto il mondo, consentano finalmente all'Istituto italiano per gli studi filosofici una vita normale e - nelle more dell'approvazione di tali norme - promuovere una proroga della disposizione di cui all'articolo 1, comma 1149, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che prevede una contribuzione finanziaria annua per le attività dello stesso Istituto.
(4-08889)

...

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

BORGHESI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
il Comitato amministratore del Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e per la riqualificazione del personale del trasporto aereo ha approvato in data 16 marzo 2009 la deliberazione n. 22. La suddetta stabilisce la compatibilità dell'integrazione retributiva del Fondo speciale per il sostegno del reddito e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del trasporto aereo con attività lavorativa autonoma o subordinata. Qualora i redditi percepiti da attività lavorativa autonoma o subordinata non superino l'importo delle integrazioni salariali (80 per cento della retribuzione percepita durante i 12 mesi precedenti all'inizio della cassa integrazione), al lavoratore spetta la differenza fra quanto dovuto a titolo di integrazione salariale e la remunerazione ottenuta nello stesso periodo in conseguenza all'attività lavorativa;
in data 7 ottobre 2009 il Comitato SEVENAZ (Comitato dei cassaintegrati del gruppo Alitalia residenti in Lombardia) ha incontrato il dottor Federico Patruno, Direttore generale Inps di Roma Eur, responsabile della gestione, a livello nazionale,

della procedura di Cassa integrazione e Fondo speciale per tutti i lavoratori del Gruppo Alitalia. Durante l'incontro il dottor Patruno ha comunicato che, malgrado la deliberazione n. 22 risalga al 16 marzo 2009, l'Inps non è in grado di procedere alla sua applicazione, in quanto non ha ancora sviluppato una procedura informatica conseguente e non è in grado di fare previsioni per un eventuale start up;
è d'assoluta importanza l'applicazione della suddetta deliberazione, che consentirebbe così ai lavoratori cassaintegrati del Gruppo Alitalia di poter, attraverso il recupero della capienza, accettare contratti di lavoro che prevedono redditi inferiori a quanto percepito attraverso la cassa integrazione ed il Fondo speciale. Ciò costituirebbe un vantaggio sia per i lavoratori, che riscontrano da quasi ormai un anno enormi difficoltà di reingresso nel mondo del lavoro (professionalità troppo specifiche, alti profili professionali, alte età anagrafiche), sia per tutti i contribuenti italiani, sui quali attualmente pesa l'intero sostegno salariale versato ai suddetti lavoratori;
è obbligo del lavoratore recarsi presso i Centri per l'impiego territoriali (ex uffici di collocamento) e firmare il «patto di servizio» come previsto dall'articolo 2 del decreto-legge n. 134 del 2008 che integra il decreto-legge n. 249 del 2004, articolo 1-quinquies, sul regime delle decadenze il quale recita: «Ai fini dell'erogazioni dei trattamenti, i lavoratori beneficiari sono tenuti a sottoscrivere apposito patto di servizio presso i competenti Centri per l'impiego o presso le agenzie del programma di reimpiego;
il Patto di servizio sancisce le «regole di partecipazione» al percorso di ricollocazione; a partire da questo accordo il lavoratore viene inserito in un percorso concordato e progettato sulla base delle sue specificità rispetto al mercato del lavoro. Ai lavoratori firmatari del patto di servizio vengono erogati, in particolare, i seguenti servizi:
a) consulenza in materia di gestione degli ammortizzatori sociali e per l'utilizzazione degli incentivi al reimpiego;
b) consulenza per la progettazione e l'avvio di iniziative di lavoro autonomo o di microimprenditoriali;
malgrado i lavoratori della provincia di Milano si siano tempestivamente recati alle sedi pertinenti dei centri per l'impiego non è stato loro possibile sottoscrivere il patto di servizio in quanto la presa in carico dalle province dei lavoratori Alitalia è subordinata all'emanazione di un decreto interministeriale. Sulla base delle suddette indicazioni, i centri per l'impiego non possono procedere alla sottoscrizione di alcun patto di Servizio. Ciò emerge, per la provincia di Milano, dalla lettera inviata dal Direttore generale del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali alla provincia di Milano e ricevuta dal dottor Milesi, coordinatore dei centri per l'impiego della provincia di Milano. Ad oggi, i lavoratori Alitalia che risiedono in provincia di Milano non hanno avuto ancora facoltà di sottoscrivere il suddetto patto;
si è a conoscenza del fatto che i lavoratori Alitalia residenti in altre regioni, hanno potuto sottoscrivere il patto di servizio immediatamente (ad esempio in provincia di Roma dove risiede il più alto numero di lavoratori cassaintegrati). Ci si chiede per quali motivi in altre località non si sono presentate le difficoltà incontrate con la provincia di Milano;
l'impossibilità di sottoscrizione del patto di servizio rende di fatto invisibili i suddetti lavoratori che, non inseriti nelle liste di collocamento, non verranno mai contattati da quelle aziende che si rivolgono ai centri per l'impiego alla ricerca di risorse professionali da assumere -:
se i Ministri siano a conoscenza dei fatti sopra riportati e se non ritengano di fornire istruzioni urgenti al fine di poter dare la possibilità anche ai dipendenti Alitalia cassaintegrati della regione Lombardia di sottoscrivere il patto di servizio e di rendere operativa la deliberazione n. 22 del 16 marzo 2009.
(5-03522)

CAVALLARO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
al fine di sopperire alla ormai cronica mancanza di personale e di colmare gravi carenze di organico dal 2006 l'INPS fa ricorso all'assunzione di lavoratori a tempo determinato in somministrazione, avvalendosi di agenzie interinali;
tali contratti sono stati rinnovati ad intervalli trimestrali fino allo scorso marzo quando, a seguito di un'ulteriore gara d'appalto, vinta dalla società Tempor spa, già fornitrice di personale all'INPS, tale ente ha sottoscritto con la medesima società un contratto annuale per la fornitura di 900 lavoratori con mansioni di addetto all'acquisizione dati su supporto informatico e ai sistemi di archiviazione, profilo equivalente alla posizione economica B1;
i 750 lavoratori interinali iniziali, diventati 850 ad aprile 2009 ed incrementati di altre 900 unità nel 2010, all'inizio inquadrati come addetti all'acquisizione dei dati ed ai sistemi di archiviazione sono di fatto preposti a svolgere mansioni di livello superiore e comunque sicuramente non riconducibili alla mera attività di acquisizione dati prevista dagli appalti;
il perdurare di tale situazione, che non si può di certo ascrivere a tentativi da parte dell'ente previdenziale in questione di far fronte a situazioni di emergenza specifica, ha fatto in modo che tali lavoratori potessero acquisire nel corso degli anni professionalità ed esperienza, garantendo alti livelli di produzione e permettendo lo smaltimento degli arretrati;
da alcuni anni l'INPS è stato protagonista di un progetto di modernizzazione del proprio assetto strutturale che oltre ad interessare la distribuzione delle sedi territoriali punta sull'aumento della qualità e della quantità dei servizi resi al cittadino;
a norma dell'articolo 9, comma 28, della legge n. 122 del 30 luglio 2010, «a decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, incluse le Agenzie fiscali di cui agli articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, gli enti pubblici non economici, gli enti di ricerca, le università e gli enti pubblici di cui all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni e integrazioni, fermo quanto previsto dagli articoli 7, comma 6, e 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001 e successive modificazioni e integrazioni, possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009. Per le medesime amministrazioni la spesa per personale relativa a contratti di formazione lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio di cui all'articolo 70, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni ed integrazioni, non può essere superiore al 50 per cento di quella sostenuta per le rispettive finalità nell'anno 2009»;
la futura mancata partecipazione di questi lavoratori all'attività dell'ente rischia di compromettere la realizzazione di tale progetto oltre ad interrompere un fruttuoso rapporto lavorativo segnato da grandi risultati conseguiti in condizioni di estrema difficoltà, mediante l'utilizzo di personale adeguatamente preparato e con le competenze e l'esperienza necessarie ad affrontare situazioni di forte ritardo e di arretrato da smaltire;
un parziale riconoscimento della professionalità conseguita da tali lavoratori potrebbe essere ottenuto attraverso il ricorso ad una procedura concorsuale, da parte dell'ente utilizzatore, che ne agevoli la partecipazione dei medesimi, attraverso il riconoscimento di punteggi specifici per le competenze acquisite nel corso degli anni oppure mediante la richiesta ai partecipanti di requisiti tecnici in linea con le attività svolte dagli interinali presso l'ente -:
se, alla luce dei fatti esposti, il Ministro interrogato non ritenga necessario

assumere iniziative per derogare al blocco delle assunzioni per l'INPS e procedere alla graduale stabilizzazione a tempo indeterminato dei lavoratori interinali.
(5-03524)

...

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E INNOVAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il giorno 16 settembre 2010 i rappresentanti delle sezioni del Cocer hanno sottoscritto lo schema di provvedimento di concertazione per il personale delle Forze armate (esercito, Marina, compreso il Corpo delle capitanerie di porto, Aeronautica) relativo al biennio economico 2008-2009;
nei giorni successivi a detta data, su diversi siti internet è apparso il testo dello schema medesimo, sottoscritto con firme autografe dai rappresentanti del Governo, dello Stato maggiore della Difesa e dai Cocer;
l'Aeronautica militare non ha sottoscritto il contratto in argomento;
il giorno 27 settembre 2010 sul sito www.forzearmate.org è apparso un articolo dal titolo «Anteprima: esiste una diversa bozza di contratto da quella firmata e diffusa dai vari siti in questi giorni?» con il quale si dà notizia, allegando il relativo documento in formato elettronico, dell'esistenza di uno schema che rispetto a quello precedentemente diffuso differisce nella parte relativa all'articolo 4;
in particolare, l'autore dell'articolo scrive: «Era questa una voce che già girava da qualche giorno nell'ambiente militare ed oggi se ne ha la conferma. Infatti nella bozza firmata dai Co.ce.r., l'articolo 4 (sull'impiego aggiuntivo pensionabile) del contratto risulta regolarmente scritto e firmato sotto la tabella. Invece nella versione diffusa da organi ufficiali dello S.M.E., l'articolo 4 risulta in bianco e recita la scritta: "tabella in corso di emanazione" e mancano le firme dei delegati Co.ce.r., mentre tutto il resto è firmato. Si tratta di un refuso oppure i Cocer hanno firmato veramente una versione dell'articolo 4 già vecchia e ancora da riscrivere? Poi se l'articolo 4 era ancora da riscrivere veramente, come sembra, a vantaggio di chi andrà? di nessuno? oppure degli Ufficiali, Marescialli o Volontari? Vedremo nei prossimi giorni cosa è successo. Magari i Co.ce.r. faranno chiarezza? oppure come al solito nulla dicono?»;
la pubblicazione di un documento di concertazione difforme da quello effettivamente sottoscritto dai delegati del Cocer, ad avviso degli interroganti, rende credibile il fatto che le procedure per la firma dello schema del provvedimento citato sia siano svolte in momenti differenti da quelli che le parti interessate hanno ufficialmente portato all'attenzione dell'opinione pubblica;
sono noti gli interessi di alcune sezioni del Cocer, in particolare la sezione carabinieri ed esercito, a voler ottenere una nuova proroga del mandato in corso a decorrere dalla scadenza di quella già concessa dal Governo, a giudizio degli interroganti in modo molto discutibile, nel mese di novembre del 2009 -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto in premessa e se non ritengano doveroso fornire elementi volti a chiarire se la diffusione del documento pubblicato sul sito internet citato corrisponda al vero e, in tale caso, quali siano le ragioni dell'esistenza di un simile documento, per quali motivi le parti interessate dalla procedura di concertazione lo abbiano sottoscritto e quali immediati provvedimenti si intendano assumere al riguardo.
(4-08871)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'ispettorato nazionale del Corpo militare della Croce rossa con foglio n. IS-CRI/0014289/10.O.A. del giorno 1o settembre 2010 a firma del Col. Med. Gabriele Lupini, ha reso noto che su base della richiesta dello Stato maggiore della Difesa - ufficio generale della sanità militare - diretto dal Ten. Gen. Michele Donvito, è richiesto il concorso per fronteggiare una esigenza «straordinaria» a tempo «indeterminato» presso il policlinico militare Celio mediante l'impiego di medici anestesisti o d'urgenza ed infermieri;
nella stessa missiva è precisato che il concorso richiesto prevede la copertura di uno dei tre turni di 12 ore dalle 20.00 del sabato alle 08.00 del lunedì mattina. Per l'impiego di predetto personale è precisato che è previsto il richiamo in servizio con trattamento economico stipendiale da rendere valido ai fini dell'avanzamento di grado e per ciascun turno verrà emesso un precetto dal sabato al lunedì compreso;
la struttura sanitaria del policlinico militare Celio risulta avere un organico di personale in attività di servizio superiore alle mille unità -:
quale sia l'esatta natura della straordinarietà e indeterminatezza dell'evento, nella considerazione che non risultano al momento per le sanità militare in atto attività di natura straordinaria;
quale sia la natura del «precetto» ed il peso economico delle attività in questione;
quale sia l'esatta natura dei rapporti tra Croce rossa e Forze armate in relazione al caso in premessa;
se la presenza di medici e infermieri esterni della Croce rossa italiana, senza nessuna fase di inserimento, possa generare rischi per i degenti del policlinico militare, stante la mancata conoscenza di procedure e norme interne di gestione del policlinico;
quale sia l'esatta natura della concentrazione della richiesta nel fine settimana, tale da far sembrare il policlinico militare non in grado di assicurare l'assistenza ordinaria di base nei giorni di sabato e domenica, e di avere la necessità di ricorrere a corpi ausiliari come di fatto possibile solo in fase emergenziale;
quali siano le motivazioni e l'esatta natura dei rapporti convenzionali, anche di tipo economico, con l'azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata per le esigenze del servizio anestesiologico;
se siano stati ravvisati nella circostanza errori nella programmazione da parte della dirigenza militare del policlinico militare, del comando logistico dell'Esercito - dipartimento di sanità, dello Stato maggiore Difesa - ufficio generale sanità militare e del consigliere per la sanità militare del Ministro della difesa;
quale sia il numero di posti letto occupati ed esistenti nella struttura, il numero di sale operatorie attive, il numero di interventi effettuati a personale avente titolo e non avente titolo e quale sia la consistenza numerica delle attività clinico sanitarie svolte dal policlinico militare;
quali siano le motivazioni e le valutazioni poste alla base del prospettato ulteriore aumento, nel corso di riunione con le organizzazioni sindacali nel mese di giugno 2010 di strutture dipartimentali o autonome per personale dirigente medico, ad avviso degli interroganti, già sovrabbondanti rispetto alle attuali modalità di razionalizzazione poste in atto in altri ambiti sanitari e scarsamente coerenti con l'attuale congiuntura economica e soprattutto con le necessità assistenziali del personale militare e civile della Difesa;

se non si ravvisi nella circostanza la necessità di mettere in atto una radicale riforma in senso interforze della sanità militare che possa coinvolgere nelle attività di gestione tutto il personale sanitario medico e infermieristico e che permetta di soddisfare le esigenze di salute della popolazione alle armi.
(4-08863)

MISIANI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 30 gennaio 2010 presso gli ospedali riuniti di Bergamo durante le fasi del parto una bambina ha riportato la compromissione delle facoltà neurologiche;
secondo quanto i genitori della bambina hanno denunciato il 15 febbraio 2010 alla procura della Repubblica, i diverbi e gli errori compiuti dai medici in sala parto sarebbero stati determinanti per il drammatico esito del parto;
la direzione generale degli ospedali riuniti ha smentito fermamente che le condizioni della bambina siano imputabili a un contrasto fra gli operatori, ha avviato un'istruttoria interna e ha nominato una commissione d'inchiesta;
è necessario ed urgente fare la massima chiarezza sull'accaduto, nell'interesse dei familiari della bambina nonché degli utenti e degli operatori degli ospedali riuniti, istituzione di primaria valenza nazionale -:
quali iniziative intenda assumere al fine di verificare quanto si sia verificato in relazione al citato evento.
(4-08880)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
da un'inchiesta di Gianni Lannes pubblicata sul sito www.italiaterranostra.it risulta che nella provincia di Foggia esiste una gravissima situazione sanitaria ed ambientale legata alla presenza di rifiuti industriali pericolosi smaltiti illegalmente;
in particolare il giornale Italia Terra Nostra pubblica ora una serie di documenti che attestano un luogo di sepoltura, ovvero contrada Ponte Rotto in agro di Ordona, nei pressi del fiume Carapelle;
viene citata la nota del formulario di identificazione rifiuto serie e numero xrif 014188/01 emessa dalla società Nuova Esa srl (sede a Marcon in provincia di Venezia), datata 2 luglio 2002, che alla voce «annotazioni» attesta: «vetro, plastica e legno contenenti sostanze pericolose o da esse contaminati». In questo specifico caso il vettore è «Garofalo trasporti e smaltimento rifiuti» con sede ad Acilia in provincia di Roma. L'automezzo (targa BM 162 GS; e rimorchio: RM 89956) che ha scaricato illegalmente 22.200 chilogrammi di spazzatura oltremodo «speciale» porta il nome di Luca Leone;
inoltre la ditta Delca Spa (sede a Vicopisano in provincia di Pisa) ha emesso la bolla xrif. 4400/01 il 3 ottobre 2001, 19.500 chilogrammi di rifiuti pericolosi sotterrati in gran fretta sempre ad Ordona, presso l'azienda Petruzzi Francesco in contrada Ponterotto;
l'articolo cita una serie di altre società come la Recyling Italia srl e la Fin 4 srl con sede a Foggia in corso Roma 62 che però, oggi ha chiuso i battenti, ma ha mietuto affari anche con il vicentino Giuseppe De Munari già socio mediante la società Iao dei Fantini di Lucera (vedi Giardinetto e poi muori). Un'altra spa coinvolta in questo affare illecito è la Gio.Eco di Bari -:
di quali informazioni disponga il Governo in merito a quanto riferito in premessa;
quali iniziative si intendano avviare per verificare, a distanza di anni che effetto hanno prodotto quei rifiuti sull'ecosistema naturale e sulla salute dei residenti e quali azioni per il ripristino sanitario ed ambientale.
(4-08884)

PORFIDIA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
da quanto si apprende dagli organi di stampa una bimba è nata invalida agli Ospedali Riuniti di Bergamo il 30 gennaio 2010 dopo una presunta lite tra due dottoresse. Le due dottoresse non erano d'accordo sul procedere o meno col cesareo ed avrebbero così - a detta del padre della piccola, Saimir Zekaj (38 anni, operaio albanese da 16 anni in Italia occupato all'inceneritore di Dalmine) lasciato la donna due giorni in sala travaglio con dolori fortissimi;
solo i medici arrivati al turno successivo hanno optato per il cesareo. Ma quando la bimba è nata la madre Albana aveva l'utero lacerato: si è scoperto che la bimba non pesava 3 chili e 800 grammi come dicevano le visite, ma quattro chili e mezzo. La rottura dell'utero ha provocato un'emorragia interna che ha sottratto sangue e ossigeno alla bimba, che è nata senza dare segni di vita ed è stata salvata solo da un'attività di rianimazione. Il parto è avvenuto in gennaio, ma la piccola Samanta è uscita dall'ospedale solo pochi giorni fa;
Samanta è uscita da pochi giorni dall'ospedale di Bosisio Parini (Lecco), dov'è stata ricoverata dopo la permanenza agli Ospedali Riuniti e le sue condizioni di salute sono compromesse. La madre soffre invece di una lesione all'utero che non le consentirà di avere altri bambini;
il padre ha rilasciato le seguenti dichiarazioni: «Hanno lasciato mia moglie da sola per due giorni in sala travaglio, limitandosi a dirle di spingere - spiega -. Abbiamo anche assistito a una discussione tra due dottoresse; una invitava a fare il cesareo, l'altra no. Finché è cambiato il turno e altri medici hanno optato per il cesareo. Ma ormai era tardi: mia moglie aveva l'utero lacerato e la bambina è nata con gravissimi problemi»;
le ecografie effettuate in gravidanza non avevano evidenziato anomalie. La bimba, secondo gli esami, era sana. Dal momento della nascita, invece, è invalida al 95 per cento. Samanta è cieca, viene nutrita attraverso un sondino e ha bisogno che qualcuno le aspiri il muco, altrimenti rischia di soffocare. Quando è nata, la bimba non dava segni di vita: i medici l'hanno rianimata, ma le facoltà neurologiche erano purtroppo ormai compromesse;
i primi dolori per Albana Zekaj si erano manifestati il 28 gennaio 2010 e gli esami avevano dato esito positivo, ma nonostante le doglie e le induzioni al parto, la piccola non nasceva. Successivamente, è stata fatta un'ecografia, secondo cui il feto pesava 3 chili e 800 grammi. La bimba è nata di 4 chili e mezzo. Un altro errore, secondo il padre della piccola, commesso dai medici prima del parto;
l'ospedale di Bergamo ha smentito la versione del signor Zekaj; «La signora è stata ricoverata nella serata del 28 gennaio e assistita correttamente per tutta la degenza - si legge in una nota -. Le ecografie e i monitoraggi dei parametri fetali hanno evidenziano una situazione regolare sia per il feto che per l'andamento del travaglio. Il monitoraggio ha evidenziato sofferenza fetale alle ore 20.00 del 30 gennaio e il medico di guardia ha deciso per un cesareo in emergenza. Ottenuto il consenso della donna, che in un primo momento si era opposta all'intervento, i medici hanno proceduto all'operazione e alle 21,00 la bambina è nata gravemente asfittica»;
la procura di Bergamo ha aperto un fascicolo a carico di ignoti con l'ipotesi di lesioni colpose gravi che dovrà ora accertare quanto denunciato;
i genitori di Samanta si sono rivolti a un avvocato per la richiesta di un risarcimento;
negli ultimi mesi casi simili si sono avuti in altri ospedali della penisola, con gravi danni per i pazienti -:
se il Ministro sia a conoscenza dell'accaduto e se non ritenga opportuno assumere iniziative al fine di fare piena luce sui fatti;

se non ritenga altresì opportuno promuovere l'elaborazione di specifiche raccomandazioni a livello nazionale affinché certi episodi non abbiano più a ripetersi.
(4-08888)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
attraverso notizie fornite dall'«Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca» si apprende della penosa e grave situazione del signor Claudio Gabriele, residente a Guidonia Montecelio, ammalato di sclerosi laterale amiotrofica;
i primi sintomi della malattia risalgono al 2002, quando il signor Gabriele ha riscontrato difficoltà crescenti alla deglutizione, anche se la malattia è stata diagnosticata solo nel 2004, dal dottor Mario Sabatelli del Policlinico Gemelli di Roma;
dal 2006, anche in seguito a un grave incidente, il signor Gabriele è praticamente costretto in un letto ortopedico nella sua abitazione di Guidonia, assistito dalla moglie, signora Tommasa Scissione e dalla loro figlia;
la prolungata degenza ha procurato al signor Gabriele un decubito da pressione, che viene medicato ogni sera da un infermiere. Data la situazione il signor Gabriele avrebbe necessità di essere aiutato più spesso a cambiare posizione, ed è necessario con urgenza un intervento di assistenza domiciliare;
nell'estate del 2009 una equipe del servizio sociale ha visitato la famiglia Gabriele, riscontrando la situazione che, a tutt'oggi, non è mutata;
nel frattempo dalla locale Asl veniva negata la fisioterapia, e questo nonostante il signor Gabriele abbia urgente necessità di fisioterapia passiva;
il 9 novembre 2009 il responsabile del servizio sociale ha comunicato alla signora Mina Welby, esponente dell'«Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca», che «non ci sono risorse e si mantiene l'assistenza di due ore settimanali da parte di una assistente del volontariato e un infermiere per 1 ora al giorno»;
la figlia, dai primi di novembre 2010 è ricoverata con frattura di un braccio in seguito a un incidente;
il 14 gennaio 2010, l'assessore alle politiche sociali Ernelio Cipriani del comune di Guidonia, comunicava alla signora Mina Welby il programma di assistenza a 10 ore/settimanali, consapevole che non era sufficiente per assicurare il necessario sostegno al malato e alla famiglia; ciò nonostante, al momento l'assistenza domiciliare è assicurata solo due volte alla settimana;
nel febbraio 2010 è stata presentata la domanda al Centro per l'autonomia, accreditato per le valutazioni degli ausili di Roma, per un sopralluogo, visita effettuata dall'assistente sociale dottoressa Aurora Passi e dal terapista occupazionale, dottor Stefano Bravi; sono così stati valutati i presidi più urgenti e necessari al signor Gabriele per migliorare la sua qualità di vita: un materasso speciale per i malati di SLA e un letto ortopedico a comando digitale, perché alla signora Tommasa è stato riscontrato un danno alla spalla per la difficoltosa manovra della manovella del letto. A tutt'oggi i presidi richiesti e necessari non sono stati concessi. La Asl, infatti, si rifiuta di fornire sia un letto nuovo che il materasso specifico antidecubito -:
quali iniziative di competenza intendano assumere i Ministri interrogati, anche in relazione all'attività della Consulta delle malattie neuromuscolari e in vista dell'adozione dei nuovi livelli essenziali di assistenza, al fine di risolvere le gravi criticità rilevabili nel caso di cui in premessa e in quelli analoghi.
(4-08891)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:

CECCUZZI, MARIANI, SANI e CENNI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
la Sogin (nata nel 1999 per gestire la chiusura del ciclo di vita degli impianti nucleari italiani) è una società costituita nell'ambito della riforma del sistema elettrico nazionale e ha come missione lo smantellamento (decommissioning) degli impianti nucleari e la gestione dei rifiuti radioattivi;
la Sogin, si legge nel sito istituzionale dell'azienda «opera secondo gli indirizzi strategici formulati dal Ministero dello sviluppo economico»;
la Sogin (azienda pubblica controllata interamente del Ministero dell'economia ed incaricata dello smantellamento delle centrali nucleari dismesse e della gestione delle scorie) ha consegnato il 23 settembre 2010 al Governo la mappa delle 52 aree idonee per la localizzazione dei depositi delle scorie nucleari;
tale mappa, secondo quanto si apprende da organi di informazione, «è stata formulata sulla base dei criteri dell'Aiea (l'Agenzia internazionale dell'energia atomica). Tra i criteri utilizzati: la stabilità del suolo, la non sismicità e la bassa densità di popolazione»;
il Sottosegretario per lo sviluppo economico, Stefano Saglia, ha comunque ricordato che la lista dei 52 siti deve essere ora esaminata dall'Agenzia per la sicurezza nucleare. I componenti di tale agenzia, istituita con l'articolo 29 della legge 23 luglio 2009, numero 99, non sono ancora stati comunque nominati dal Governo;
dalla mappa redatta dalla Sogin (benché non siano state identificate e nominate nel dettaglio le porzioni di territorio prescelte) risulta che sono stati inserite, tra i possibili 52 siti, alcune zone della Toscana ed in particolare nelle province di Grosseto, Livorno e Siena;
la Toscana vanta oggettivamente un patrimonio culturale, artistico, ambientale, zootecnico ed agroalimentare tra i più ricchi a livello internazionale: criteri che non sarebbero stati utilizzati dalla Sogin per la scelta delle aree idonee per la localizzazione dei depositi delle scorie nucleari;
facendo alcuni esempi significativi, sono infatti presenti in Toscana 6 siti Unesco patrimonio dell'umanità: il centro storico di Firenze, la piazza del duomo di Pisa, il centro storico di Siena, il centro storico di San Gimignano, il centro storico di Pienza, il territorio della Val D'Oràa. Senza dimenticare che la Via Francigena, lo storico itinerario europeo che collegava Canterbury a Roma e che attraversa la Toscana ed è candidato ad essere dichiarato sito Unesco. Sempre in questo contesto va ricordato che il Palio di Siena sarà candidato ad essere dichiarato patrimonio immateriale dell'umanità da parte dell'Unesco;
va poi segnalato che in Toscana sono presenti numerose zone ad alto pregio ambientale e paesaggistico: ricordiamo i parchi nazionali «Appennino Tosco-Emiliano», «Arcipelago Toscano» e «Foreste Casentinesi, Monte Falterona, Campigna». Zone protette che si estendono per vaste aree e comprendono sia la costa che l'entroterra;
non possiamo poi tralasciare la ricca e diversificata tradizione secolare di prodotti tipici di qualità presenti in Toscana: per fare alcuni esempi i vini «Docg», «Doc», «Igt» (il Brunello di Montalcino, nel 1980, è stato il primo in Italia a ottenere il riconoscimento «Docg» e la Vernaccia di San Gimignano, nel 1966, ad ottenere il riconoscimento «Doc») o la produzione pregiata zootecnica, di oli d'oliva, dei latticini, degli insaccati, dell'apicoltura. Altrettanto eccellenti sono i poi i prodotti del sottobosco come i funghi, le castagne ed i tartufi;

da quanto esposto risulta inoltre evidente che il turismo, nelle sue molteplici accezioni e diversificati target di riferimento, rappresenti una delle maggiori risorse, dal punto di vista economico ed occupazionale della Toscana e che l'installazione di uno o più depositi di scorie nucleari potrebbe rappresentare un elemento di criticità per la futura promozione turistica del territorio e causare una ricaduta negativa in termini di presenze -:
quali siano, nel dettaglio, i siti individuati da Sogin localizzati in Toscana;
quali siano nel dettaglio tutti i criteri adottati da Sogin per la localizzazione dei siti;
quali garanzie si intendano assumere per tutelare, nei futuri passaggi istituzionali inerenti all'individuazione ufficiale dei siti stessi, quei territori che vantano una riconosciuta e secolare ricchezza agroalimentare e zootecnica, che presentano aree ad alto pregio ambientale e paesaggistico, nonché siti Unesco riconosciuti patrimonio dell'umanità.
(3-01258)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

NANNICINI, LULLI, CECCUZZI, CENNI e FLUVI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il 2 settembre 2010 è entrato in vigore il decreto legislativo 13 agosto 2010 di revisione del codice della proprietà industriale pubblicato nel supplemento ordinario n. 195/L alla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 192 del 18 agosto 2010;
il rinnovo della delega per la revisione del codice della proprietà industriale era stato operato dall'articolo 19, comma 15, della legge n. 99 del 2009 che aveva previsto un aggiornamento del suddetto codice, riattivando così un processo di revisione normativa che si era interrotto nel 2006 e che era stato già previsto dall'articolo 2 della legge istitutiva n. 306 del 2004;
l'articolo 123 del suddetto decreto prevede quanto segue:
«articolo 123 (Modifiche all'articolo 239 del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30) - 1. L 'articolo 239 del Codice è sostituito dal seguente:
«Art. 239 (Limiti alla protezione accordata dal diritto d'autore) 1. la protezione accordata ai disegni e modelli ai sensi dell'articolo 2, n. 10, della legge 22 aprile 1941, n. 633, comprende anche le opere del disegno industriale che, anteriormente alla data del 19 aprile 2001, erano, oppure erano divenute, di pubblico dominio. Tuttavia i terzi che avevano fabbricato o commercializzato, nei dodici mesi anteriori al 19 aprile 2001, prodotti realizzati in conformità con le opere del disegno industriale allora in pubblico dominio, non rispondono della violazione del diritto d'autore compiuta proseguendo tale attività anche dopo tale data, limitatamente ai prodotti da essi fabbricati o acquistati prima del 19 aprile 2001 e a quelli da essi fabbricati nei cinque anni successivi a tale data e purché detta attività si sia mantenuta nei limiti anche quantitativi del preuso»;
la nuova formulazione della disposizione transitoria codicistica dell'articolo 239 codice della proprietà industriale, non prevista nella prima bozza del decreto è, come si può vedere, estremamente articolata tanto da risultare assai difficoltosa e problematica la sua interpretazione;
in tal modo già oggi si possono configurare due diverse interpretazioni:
una è portata avanti dal professor Cesare Galli (Il Sole 24 Ore del 24 agosto 2010) facente parte della commissione di esperti insediata nel 2005 presso l'allora Ministero delle attività produttive ed avvocato di Assoluce una delle dieci associazioni della Federlegno Arredo - Federazione di Confindustria che afferma «che tutti i prodotti-copia realizzati in Italia

dopo il 19 aprile 2006 e quelli importati dopo il 19 aprile 2001 sono perseguibili a tutti gli effetti di legge come contraffazioni»;
mentre l'altra, più favorevole per le tante aziende presenti nel mercato italiano del design, garantirebbe alle stesse di continuare a fabbricare e commercializzare i classici, a condizione che lo specifico modello:
a) sia stato da esse fabbricato o acquistato prima del 19 aprile 2001;
b) sia stato da esse fabbricato nei 5 anni successivi al 19 aprile 2001;
c) sia subordinato alla condizione che non vengano oltrepassati i limiti del preuso, da intendersi in senso quantitativo, anche se non rigorosamente numerico;
la prima interpretazione della norma, dando effetto retroattivo alla stessa, la renderebbe sicuramente incostituzionale dal punto di vista penalistico;
la stessa interpretazione, portando la norma ad eccedere gli ambiti della legge-delega conferita dal Parlamento, presenterebbe inoltre un profilo d'incostituzionalità, anche dal punto di vista civilistico, in violazione dell'articolo 77 della Costituzione -:
se il Ministro intenda assumere ogni opportuna iniziativa per chiarire l'esatta interpretazione della norma, nel senso di garantire la prosecuzione dell'attività di tali aziende, evitando eventuali contestazione da parte di terzi che aumenterebbero i rischi insiti in un'attività imprenditoriale proprio in un momento di crisi globale del settore;
quali iniziative intenda assumere il Governo, nell'ambito della sua attività di tutela del sistema produttivo ed industriale italiano e della professionalità dei lavoratori, per salvaguardare gli stabilimenti produttivi, soprattutto del settore dell'arredamento, presenti in molte parti dell'Italia qualora sia avvalorata l'interpretazione negativa della norma, anche in presenza dei suddetti marcati profili d'incostituzionalità.
(5-03523)

BELLOTTI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
in relazione al testo del decreto-legge 8 luglio 2010, n. 105, in materia di energia, e, più precisamente di energie rinnovabili, impianti fotovoltaici con potenza inferiore ad 1 mw di potenza da installare nella regione Veneto emergono alcuni dubbi circa l'interpretazione del testo;
l'articolo 1-quinquies presuppone che il Ministero dello sviluppo economico stabilisca, al fine di contrastare attività speculative, opportune misure affinché l'istanza per l'autorizzazione di progetti di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili sia accompagnata da congrue garanzie di natura finanziaria a carico del soggetto attuatore, senza precisare il significato operativo e a quali fattispecie si applichi;
l'articolo 1-septies della stessa legge, al comma 1, dispone una proroga delle tariffe incentivanti per la produzione di energia elettrica fotovoltaica, di cui al decreto ministeriale 19 febbraio 2007, qualora i soggetti attuatori abbiano concluso, entro il 31 dicembre 2010, l'installazione dell'impianto fotovoltaico (...) ed abbiano comunicato (...) la fine lavori ed entrino in esercizio entro il 30 giugno 2010;
sempre riguardo allo stesso articolo il successivo comma 1-bis parla di comunicazione, redatta da tecnico abilitato, di effettiva conclusione dei lavori;
dal testo non emergerebbe con precisione cosa debba intendersi per «la fine dei lavori» di un impianto fotovoltaico, l'«entrata in esercizio» di un impianto fotovoltaico e la «comunicazione di effettiva conclusione dei lavori» di un impianto fotovoltaico;
ancora in riferimento allo stesso articolo, al comma 2, viene previsto che

l'autorità per l'energia elettrica ed il gas definisca regole finalizzate ad evitare fenomeni di prenotazione di capacità «fittizie», anche con riferimento a richieste di connessione già assegnate, senza precisarne il significato operativo e in quali fattispecie possa essere applicato -:
se ritenga di dover intervenire, con iniziative di propria competenza, per meglio precisare i profili di dubbio sopra esposti e se intenda garantire la possibilità di una piena comprensione del testo in tempi congrui.
(5-03525)

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta Maurizio Bolognetti, direzione nazionale Radicali Italiani, in una dichiarazione di opposizione alla procedura di valutazione d'impatto ambientale per il pozzo di esplorazione «fiume Cavone 1 dir» nell'area dei Calanchi, in territorio di Pisticci, depositata il 30 luglio 2010 presso ufficio compatibilità ambientale del dipartimento ambiente della regione Basilicata, l'area dei Calanchi, oggetto di trivellazione e ricerca petrolifera, è individuata come area unica per le sue caratteristiche naturalistiche ed è destinata a diventare un parco naturalistico per il quale, da decenni, si battono cittadini e associazioni; già esiste un progetto di riserva naturalistica promosso dalla stessa regione Basilicata che interessa una parte dell'estesa area dei Calanchi e che si chiama parco del Geosito dei Calanchi di Montalbano;
il parco e la tutela del territorio sono propedeutici allo sviluppo di un indotto turistico di eccellenza e al mantenimento di una agricoltura di qualità del territorio, economicamente molto più redditizia di qualsiasi royalty a tempo determinato da elargire ai territori, anche perché, per i pozzi già estrattivi in Val Basento, area attigua e confinante con quella dei Calanchi, le royalty non superano i 100 mila euro annui in totale, per tutti i comuni già interessati dall'estrazione mineraria;
nella valutazione d'impatto ambientale presentata dalla società mineraria Medoilgas Civita Ltd, non è stato redatto alcuno studio sulle falde acquifere superficiali e sotterranee;
non sono definite le sostanze chimiche da utilizzare per la perforazione né gli esplosivi che saranno utilizzati per procurare onde sismiche per l'indagine del sottosuolo, né il tipo di rifiuti prodotti, la loro classificazione, le quantità che finiranno nel terreno e quelle generate complessivamente nelle operazioni di ricerca petrolifera;
i prodotti chimici utilizzati per le trivellazioni e per sciogliere la crosta terrestre, nonché i fluidi e i fanghi di perforazione lavorati con sostanze chimiche (in molti casi è stata già dimostrata la loro natura tossica e nociva) costituiscono pericolo per le falde acquifere dei Calanchi, la cui area, oltre alle peculiarità già elencate, ospita il più grande bacino idrico sotterraneo della regione Basilicata, superiore agli stessi invasi artificiali di cui la Basilicata dispone;
non sono definiti la quantità e qualità dei rifiuti tossici, speciali e petroliferi che la ricerca di idrocarburi produrrà e come sarà effettuato lo smaltimento di tali prodotti;
non sono definite la qualità e la quantità degli inquinanti che rimarranno nel sottosuolo e soprattutto nell'aria che ricadrà, per l'effetto «camino», nei campi adiacenti;
non sono definiti, in caso di esito positivo, l'attività estrattiva, le quantità di rifiuti liquidi e gassosi e dei fanghi petroliferi che rischiano di essere assorbiti dall'ambiente esterno;

non esiste alcuna garanzia contro l'inquinamento della falda superficiale, a seguito delle trivellazioni petrolifere, e dei pozzi d'acqua utilizzati dalle abitazioni nei pressi dell'area di trivellazione a scopo sanitario, agricolo e per gli allevamenti;
non esiste un piano di emergenza esterno per le popolazioni locali e per tutelare il territorio e l'ambiente circostante. Un pozzo petrolifero è da considerare come un impianto ad alto rischio, per scoppi, microsismi, subsidenze, inquinamento delle acque, del suolo e dell'aria;
non esiste una rete di monitoraggio regionale e/o locale che controlli gli inquinanti petroliferi e pubblichi periodicamente i dati emersi dalle analisi;
non esiste alcuna garanzia economica da parte dell'esercente del pozzo petrolifero su possibili risarcimenti derivanti da danni a cose e persone o all'ambiente circostante;
le opere per realizzare la piattaforma di trivellazione, anche per i soli permessi di ricerca, riguardano muri e gettate di cemento, realizzazioni di recinzioni e l'installazione di una enorme torre petrolifera. In ogni comune chiunque desideri realizzare un'opera, per quanto ridotta, deve chiedere una regolare concessione edilizia al comune interessato, pagando una serie di oneri;
l'opera è da considerarsi molto impattante e la semplice affissione all'albo pretorio dell'avviso di valutazione d'impatto ambientale, senza avere informato in maniera adeguata la popolazione, costituisce, ad avviso degli interroganti, un oltraggio ad ogni regola di democrazia e partecipazione sociale -:
se risulti che la valutazione di impatto ambientale del progetto in questione presenti le lacune evidenziate in premessa e se, in tal caso, intendano opporsi all'autorizzazione dello stesso.
(4-08866)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
gli imballaggi costituiscono il 60 per cento del volume dei rifiuti, questa quota rappresenta una grande risorsa economica per i comuni italiani;
secondo l'analisi tracciata dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato nell'indagine conoscitiva sul comparto dei cosiddetti rifiuti da imballaggio (IC26) emergono due criticità, quella per cui le gestioni emergenziali del ciclo dei rifiuti e le continue modifiche del quadro normativo hanno ostacolato lo sviluppo ottimale del settore delle attività di recupero di prodotti che, all'origine, valgono 25 miliardi di euro e hanno influito negativamente sul livello di concorrenza del settore;
per superare una situazione che si traduce in un aumento dei costi a carico degli utenti, l'autorità ha proposto una serie di correttivi:
a) prevedere la negoziazione diretta enti locali-industrie del riciclaggio anche in vista della scadenza della Convenzione che regola i rapporti per la raccolta del materiale riciclabile tra l'Anci, l'Associazione nazionale comuni italiani e il Conai, il consorzio nazionale imballaggi;
b) ridurre l'area di «riserva» dei consorzi rispetto a quella prassi di molti comuni della cosiddetta assimilazione, che ha indirettamente contribuito all'estensione delle attività del sistema consortile - finalizzato dalla legge a sostenere la raccolta dei rifiuti affidati dai cittadini alla raccolta su suolo pubblico - anche ai rifiuti speciali prodotti da imprese artigiani e commerciali, il che riduce ulteriormente il grado di concorrenza del settore, sottraendo al mercato una quota di prodotti che dovrebbe invece essere lasciata al rapporto diretto tra chi produce il rifiuto e le imprese di smaltimento;

c) affidare i servizi con modalità trasparenti, atteso che l'Antitrust ha evidenziato il ricorso, da parte di comuni, ad affidamenti diretti dei servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti, con applicazione distorte della modalità cosiddetta in house o del partenariato pubblico-privato, ad imprese ex municipalizzate partecipate dai medesimi enti. In alcune aree del Paese, soggette a regime emergenziale, risulta anche che imprese ex municipalizzate abbiano acquisito senza gara la gestione di impianti finalizzati al recupero dei rifiuti realizzati con fondi pubblici, entrando così in concorrenza nel mercato con le imprese private già operanti nei medesimi settori di attività;
d) rivedere, a distanza di 10 anni dalla sua costituzione, il sistema consortile Conai, che raggruppa al suo interno i consorzi delle varie filiere (vetro, carta, alluminio, acciaio, legno, plastiche) nato come risposta alle prime necessità organizzative di numerose industrie poste di fronte al principio legislativo di matrice comunitaria «chi inquina paga»;
e) ripensare il sistema del contributo ambientale Conai;
f) consentire attività in concorrenza a quelle dei consorzi di filiera dopo le recenti modifiche apportate al testo unico ambientale dal decreto legislativo n. 4 del 2008, che ha abolito l'originaria possibilità riconosciuta ai produttori di imballaggi di costituire consorzi, in alternativa a quelli del sistema Conai, per adempiere ai propri obblighi di recupero;
g) ricorrere alle aste per assegnare i materiali raccolti a fronte delle criticità rilevate nei rapporti tra i consorzi di filiera e le imprese che recuperano e riciclano la raccolta per nuove produzioni -:
se e quando il Governo intenda risolvere le criticità evidenziate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato nell'ambito comparto dei cosiddetti rifiuti da imballaggio;
se ed in che modo si intenda dar seguito alle proposte avanzate dall'autorità e riportate in premessa.
(4-08879)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in merito alla situazione ambientale e sanitaria di Calvello e di tutta la Val Camastra, come già evidenziato nell'interrogazione 4-08499, da un'intervista del 28 settembre 2010 all'avvocato Alfonso Fragomeni, fondatore dell'Associazione SOS Lucania, realizzata per Radio Radicale da Maurizio Bolognetti, segretario di Radicali Lucani e membro della direzione Nazionale di Radica italiani, è emerso che il centro L.P.T (Long Production Test) è ubicato in agro di Calvello e autorizzato nel 2000;
trattasi di un'area che è stata utilizzata per le prove di produzione dei pozzi petroliferi e per i test sulla quantità e sulla qualità del greggio estratto e poi ivi fatto confluire. Il luogo è situato a 3 chilometri dal centro di Calvello e a soli pochi metri dal fiume La Terra, affluente della diga della Camastra -:
se risulti per quali ragioni il Centro oli sia stato costruito in un'area potenzialmente a rischio, in particolare a danno del fiume in questione, e vicinissima ad un centro abitato;
quale sia la situazione attuale del fiume La Terra e, nel caso risulti inquinato dopo validi accertamenti, se siano state assunte iniziative per la bonifica.
(4-08887)

...

Apposizione di una firma ad una mozione.

La mozione Di Pietro e Evangelisti n. 1-00435, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 settembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Di Stanislao.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

L'interrogazione a risposta in Commissione De Biasi e altri n. 5-03491, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 settembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Argentin.

Pubblicazione di un testo riformulato.

Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Stucchi n. 4-02062, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 117 del 20 gennaio 2009.

STUCCHI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
il mobbing è, nell'accezione più comune, un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici, angherie, vessazioni, demansionamento, emarginazione, umiliazioni, maldicenze, ostracizzazione, eccetera) perpetrati da parte di superiori e/o colleghi nei confronti di un lavoratore, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale, nonché della salute psicofisica dello stesso e nell'insieme producono danneggiamenti plurioffensivi anche gravi con conseguenze sul patrimonio della vittima, la sua salute, la sua esistenza;
questa pratica è spesso condotta con il fine di indurre la vittima ad abbandonare da sé il lavoro, senza quindi ricorrere al licenziamento (che potrebbe causare imbarazzo all'azienda) o per ritorsione a seguito di comportamenti non condivisi (ad esempio, denuncia ai superiori o all'esterno di irregolarità sul posto di lavoro), o per il rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste immorali (sessuali, di eseguire operazioni contrarie a divieti deontologici o etici, eccetera) o illegali;
per potersi parlare di mobbing, l'attività persecutoria deve durare più di 6 mesi e deve essere funzionale alla espulsione del lavoratore, causandogli una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post traumatico da stress) ad andamento cronico;
dalle ultime indagini effettuate in 31 Stati europei (l'Europa dei 25 più Bulgaria e Romania, Croazia, Turchia, Svizzera e Norvegia) emerge che la media dei lavoratori vittime di mobbing è del 5 per cento, con picchi nei Paesi del nord Europa (17 per cento in Finlandia, 12 per cento nei Paesi Bassi, 9 per cento in Francia e Regno Unito);
l'Italia si colloca intorno al 2 per cento, ma questa differenza con gli altri Paesi è dovuta, secondo gli studi, al fatto che soltanto pochi casi vengono dichiarati e ad una minore sensibilità al tema e alle differenze nei sistemi giuridici;
l'interrogante è venuto a conoscenza del caso riguardante la signora Antonella Riva, che in data 4 dicembre 2008 ha ricevuto dal Tribunale di Bergamo, dopo tre anni di dibattimento, la sentenza n. 789 del 2006 che condanna INPDAP nella persona del Direttore di Sede Giuseppe Grasso al pagamento e risarcimento danni con interessi legali e rivalutazione monetaria per dequalificazione professionale e mobbing;
risulta all'interrogante che la signora Riva avesse più volte denunciato la situazione, anche tramite le rappresentanze sindacali, e che l'amministrazione fosse perfettamente al corrente di quanto avveniva nei confronti della medesima signora Riva e, ciononostante, abbia consentito che tale comportamento con caratteristiche mobbizzanti continuasse a protrarsi nel tempo, senza intervenire;
si tratta della terza sentenza di condanna nei confronti della direzione della sede provinciale Inpdap di Bergamo. Infatti già altre 2 pronunce hanno avuto esito positivo per il personale;

risulta altresì all'interrogante che analoghe situazioni conflittuali e di incompatibilità avessero riguardato lo stesso dirigente in sedi precedenti;
non sono solo le famiglie dei dipendenti oggetto di mobbing e persecuzioni gratuite che devono provvedere con grossi sacrifici economici al pagamento degli onorari per i propri avvocati, ma anche l'Amministrazione coinvolta è costretta a pagare consulenti giuridici esterni, professionisti e periti con ulteriore aggravio di spesa a carico dell'erario -:
quali provvedimenti intenda assumere al fine di tutelare i lavoratori implicati nei casi di mobbing, denunciati e quindi resi noti alle Amministrazioni di appartenenza;
se, a fronte di sentenze di condanna dei dirigenti pubblici, non sia opportuno adottare provvedimenti disciplinari in modo da allontanare, e non semplicemente trasferire in altre sedi, tali personaggi che, in tempi di contenimento della spesa pubblica e di crisi occupazionale, percepiscono, tra l'altro, un cospicuo stipendio annuo, restituendo in cambio, secondo l'interrogante, un danno economico e di immagine all'Amministrazione.
(4-02062)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interpellanza Villecco Calipari n. 2-00616 dell'11 febbraio 2010;
interrogazione a risposta scritta Soro n. 4-08635 del 20 settembre 2010.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2, del Regolamento).

Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore:
interrogazione a risposta scritta Borghesi n. 4-05096 del 19 novembre 2009 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-03522.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati trasformati su richiesta dei presentatori:
interrogazione a risposta orale Lo Monte n. 3-00359 del 9 febbraio 2009 in interrogazione a risposta scritta n. 4-08865;
interrogazione a risposta orale Volontè n. 3-00703 dell'8 ottobre 2009 in interrogazione a risposta scritta n. 4-08857;
interrogazione a risposta in Commissione Marco Carra n. 5-02260 del 16 dicembre 2009 in interrogazione a risposta scritta n. 4-08859.

...

ERRATA CORRIGE

Mozione di sfiducia Franceschini e altri n. 1-00444 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 376 del 30 settembre 2010. Alla pagina 15925, seconda colonna, dalla riga ventottesima alla riga trentaduesima deve leggersi: «Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Razzi, Rota, Scilipoti, Zazzera, Lanzillotta, Vernetti, Calgaro, Mosella, Tanoni.» e non «Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Razzi, Rota, Scilipoti, Zazzera, Lanzillotta, Vernetti, Calgaro, Mosella, Tanoni»., come stampato.