XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di lunedì 21 giugno 2010

TESTO AGGIORNATO AL 7 OTTOBRE 2010

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:

La VIII Commissione,
premesso che:
le città italiane sono sempre più soffocate dal traffico e dallo smog prodotti da uno dei parchi automobili più numerosi e mediamente più vecchi dei panorama europeo. Non a caso città quali Napoli, Milano e Torino - ad appena quattro mesi dall'inizio del 2010 - hanno già ampiamente sforato le soglie annuali di tolleranza nel numero di giornate in cui la concentrazione delle polveri sottili è stata maggiore;
è evidente come, a peggiorare le cose per la qualità della vita, soprattutto per quella dei bambini e degli anziani, vi sia anche la generalizzata mancanza di adeguati spazi verdi, in particolare nei centri storici e nelle periferie delle metropoli italiane, che invece potrebbero offrire sollievo ai passanti ed esercitare quell'essenziale funzione di assorbimento delle sostanze inquinanti disperse nell'aria;
tale situazione spiega perché ad esempio, negli ultimi mesi, nelle due più grandi città italiane - Roma e Milano - siano stati più che mai d'attualità significativi dibattiti, che hanno coinvolto sia le rispettive amministrazioni comunali che alcuni dei più importanti architetti del mondo, sul come garantire una maggiore vivibilità sia nei centri storici che nelle periferie;
si pone quindi il problema di rivisitare le impostazioni urbanistiche attuali alla luce di una nuova consapevolezza in evoluzione su quanto il verde sia fondamentale per garantire una vita di maggiore qualità sia a livello ambientale, sia come fattore che favorisce anche forme più profonde di aggregazione sociale;
eppure in Italia, benché di fatto quasi mai applicata, esiste una normativa puntuale che, addirittura dagli ormai lontani anni Sessanta, detta precisi criteri, in termine di rapporti di superficie, per garantire la presenza in ogni insediamento residenziale di adeguati spazi verdi. Si tratta del decreto ministeriale 2 aprile

1968, n. 1444. Vi è poi una legge, la n. 113 del 1992, che addirittura pone l'obbligo, in capo ai comuni, di piantare un albero per ogni nuovo nato;
è necessario, da un lato, far sì che le leggi esistenti siano effettivamente applicate, al tempo stesso valutando le eventuali necessarie migliorie e aggiornamenti, e, dall'altro, un impegno da parte delle istituzioni per instillare nei giovani una nuova cultura ambientale;
tali tematiche sono peraltro già da tempo al centro dei dibattito politico in materia ambientale negli altri grandi Stati membri dell'Unione europea (a partire dalla Gran Bretagna, dove è in atto un grande piano per dotare le aree metropolitane di vere e proprie «cinture verdi» che limitino l'espansione urbanistica e contribuiscano alla preservazione dell'ambiente a fronte dell'inquinamento cittadino),

impegna il Governo:

ad effettuare un monitoraggio sull'applicazione data, sull'intero territorio nazionale, alle norme di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444;
a valutare i criteri in base ai quali, qualora i risultati dei monitoraggio dimostrassero che le norme di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, sono generalmente male o non applicate, formulare le necessarie modifiche migliorative;
ad elaborare strumenti in grado di far sì che i comuni, i quali, a norma dell'articolo 6 dello stesso decreto ministeriale n. 1444 del 1968, si trovano nell'impossibilità, per mancanza di aree disponibili, di rispettare integralmente le norme in vigore in materia di rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi riservati alle attività collettive e al verde pubblico, possano attuare piani volti a rivedere i propri assetti urbanistici in modo da aumentare la superficie riservata al verde pubblico;
ad elaborare un piano nazionale che fissi standard e linee guida per la creazione di aree verdi permanenti intorno alle maggiori conurbazioni, allo scopo di limitare l'espansione urbanistica e di preservare l'ambiente naturale;
ad elaborare linee guida per il recupero, nelle aree rurali circostanti agli insediamenti abitativi urbani, dei casali e dei terreni agricoli abbandonati per finalizzarli a utilizzi di carattere sociale, educativo o imprenditoriale;
ad effettuare un monitoraggio sull'applicazione data, sull'intero territorio nazionale, alle norme di cui alla legge 29 gennaio 1992, n. 113;
a valutare i criteri in base ai quali, qualora i risultati del monitoraggio dimostrassero che le norme di cui alla legge 29 gennaio 1992, n. 113, sono generalmente male o non applicate, formulare le necessarie proposte di modifiche migliorative;
ad inserire, nell'ambito dell'educazione ambientale, specifici programmi volti a diffondere tra gli alunni il rispetto e la promozione del verde pubblico, per esempio prevedendo l'organizzazione, in ogni provincia, di manifestazioni pubbliche che consentano agli alunni delle scuole primarie di mettere a dimora una piantina in parchi pubblici e spazi all'aperto, per poi poterne seguire nel tempo la crescita.
(7-00352) «Cosenza».

La XIII Commissione,
premesso che:
la nutria (Myocastor coypus) è un roditore originario dell'America Latina, la cui introduzione in Italia è avvenuta nei primi anni del secolo scorso per attività di allevamento, finalizzate alla produzione di pellicce;
la progressiva perdita di interesse economico di tali attività è stata, nel tempo, la principale causa del rilascio in natura delle nutrie e della loro, conseguente, massiccia espansione, concentratasi nelle zone dell'Italia centro-settentrionale, caratterizzate da un fitto reticolo idrografico;
la diffusione della nutria in Italia ha avuto numerose e documentate conseguenze negative riferibili, sia ai danni alle colture agricole ed alle infrastrutture, sia ai rischi di natura igienico-sanitaria;
la nutria è un roditore erbivoro dalla dieta generalista che arriva a consumare fino a 2,5 kg di prodotto fresco al
giorno e che, pertanto, in caso di forti diffusioni è in grado di arrecare, gravi e generalizzati danni alle diverse coltivazioni presenti sul territorio;
la nutria è solita scavare tane ipogee, in aree prossime all'acqua e, pertanto, predilige gli argini dei fiumi, dei bacini artificiali e dei canali di scolo e di irrigazione, creando situazioni di grave pregiudizio per la stabilità delle arginature medesime, con tutti i rischi che ciò comporta ai fini del mantenimento degli assetti idrogeologici e della regimazione delle acque;
la nutria può costituire il serbatoio per la diffusione di diverse patologie, la più pericolosa delle quali è la leptospirosi, rispetto alla quale sono stati riscontrati casi di trasmissione, sia ad animali di affezione e di allevamento, sia all'uomo;
nelle ultime quattro legislature si sono succedute diverse proposte di legge aventi per oggetto il contenimento delle popolazioni di nutrie che, però, mai hanno completato il loro iter legislativo, in quanto sono sempre confluite, in più generali proposte di modifica della legge n. 157 del 1992, a loro volta, mai giunte all'approvazione da parte del Parlamento;
in molte aree del Paese e, in specie, nelle regioni settentrionali, la presenza di nutrie ha raggiunto livelli insostenibili determinando danni di gravità assimilabile a

vere e proprie calamità, senza considerare l'incombenza di un rischio sanitario potenzialmente grave,

impegna il Governo

ad adottare iniziative urgenti per adeguare il quadro normativo vigente alla necessità di attuare un sistematico intervento di contenimento delle popolazioni di nutrie nelle aree, da esse, già danneggiate e in quelle esposte a danni da parte di tale roditore.
(7-00351)«Negro».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per il turismo. - Per sapere - premesso che:
da quanto si apprende dal quotidiano Il Piccolo del 16 giugno 2010 sarebbe stata stampata in 130 mila copie un numero della rivista ufficiale della regione Friuli- Venezia Giulia, in occasione dell'Expo 2010 di Shanghai, che nelle intenzioni, dovrebbe offrire un quadro generale della regione: «A Trieste è dedicata un'ampia sezione, ma la sua provincia è pressoché assente e di porto commerciale non si parla. Si verifica invece il contrario nel caso di Udine: ampia trattazione della provincia, mentre la città scompare. Un fantasma è anche la provincia di Gorizia di cui, a parte Grado e il capoluogo, non si fa menzione: sparite Redipuglia e i luoghi della Grande Guerra, Gradisca e il Collio, salvo sporadiche menzioni. A Pordenone, invece, tocca qualche paginetta a fine volume. Singolare è anche la presenza, in una pubblicazione a carattere turistico, di diverse pagine dedicate al porto di Nogaro e alle sue valenze mercantili. Un'aggiunta che potrebbe portare l'ignaro lettore dell'Expo di Shanghai a pensare che Nogaro sia la più importante, se non l'unica, realtà portuale regionale»;
la rivista risulta essere promossa dalla Presidenza del Consiglio, dai Ministeri degli affari esteri e per i beni e le attività culturali e dall'Agenzia nazionale al turismo;
sorprendente come i luoghi a cui si dedica più spazio risultano essere quelli amministrati da giunte di centrodestra, mentre quelli amministrati dall'opposizione risultano pressoché assenti;
la brochure è destinata a pubblicizzare la regione Friuli-Venezia Giulia negli appuntamenti internazionali più importanti, dall'Expo di Shanghai, attualmente in corso, a quelli che precederanno l'Expo di Milano del 2015 -:
chi abbia redatto la sopraccitata brochure;
quali siano stati i criteri adottati nella redazione dei testi, e se non si ritenga perlomeno discutibile che alla città di Trieste sia dedicata un'ampia sezione, ma la sua provincia sia pressoché assente e ignorato il porto commerciale, al contrario di Udine: ampia trattazione della provincia, mentre la città scompare;
per quale motivo si sia ritenuto di non fare cenno a Redipuglia e ad altri significativi e storici luoghi della Grande Guerra;
chi abbia visionato il materiale elaborato, e approvato il piano editoriale;
come si spieghi la singolare «coincidenza» che luoghi e località amministrate da giunte di centrodestra abbiano più evidenza e «pubblicità» delle giunte amministrate dall'opposizione;
quanto sia costata la brochure in questione;

chi abbia stampato la brochure in questione;
se non si ritenga auspicabile il ritiro di detta brochure, che - per come è stata realizzata - fornisce in tutta evidenza un'immagine della regione Friuli-Venezia Giulia che non corrisponde alla realtà.
(4-07672)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto si legge da www.corriere.it, da uno studio interdisciplinare sull'eruzione del Vesuvio, i vulcanologi dell'Osservatorio vesuviano-Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia Giuseppe Mastrolorenzo e Lucia Pappalardo e i biologi Pierpaolo Petrone e Fabio Guarino dell'Università Federico II hanno tratto le seguenti conclusioni: i pompeiani non furono uccisi dalla cenere ma da una spaventosa ondata di calore. La morte a Pompei, nel 79 dopo Cristo, non arrivò per soffocamento dopo una lunga agonia: al contrario, fu istantanea, causata dall'esposizione ad altissima temperatura (fino a 600 gradi) dovuta al passaggio di una nube ardente a bassa concentrazione di cenere ma di grande spessore, in grado di trattenere il calore fino a distanza notevole dal vulcano. Un'ondata d'aria assassina che fa pensare a quelle causate dalle esplosioni nucleari;
la ricerca, appena pubblicata sulla prestigiosa rivista Plos One, svela i meccanismi dell'eruzione sulla popolazione di Pompei e degli altri siti investiti dall'evento e inquadra in una nuova prospettiva l'entità del rischio, l'estensione dell'area potenzialmente esposta e le precauzioni da adottare. «I nuovi risultati - spiegano i ricercatori - dimostrano come nel caso di futura eruzione, il rischio per la vita umana potrebbe estendersi anche a distanze superiori ai 15 chilometri dal vulcano fino a oggi ritenute sicure»;
gli studiosi concludono: «Questi nuovi dati confermano l'inadeguatezza dell'attuale Piano di emergenza e la necessità di estendere la zona rossa ben oltre gli attuali limiti». Pertanto, fino a tutta Napoli da un lato e a Castellammare dall'altro;
il gruppo ha analizzato composizione e consistenza delle stesse ceneri vulcaniche e simulato l'avanzamento delle nubi ardenti. Il risultato è stato che sono arrivate ben oltre il limite di Pompei, appunto 15 chilometri circa dal Vesuvio, finora considerato «estremo». Se non ci fu una strage anche a Stabiae, dove arrivò una folata di fuoco successiva a temperatura addirittura più elevata, è probabilmente solo perché intanto c'era stato il tempo di evacuare l'antica città. I ricercatori hanno poi valutato la postura delle vittime e studiato le modificazioni subite dalle ossa. È risultato evidente, per esempio dalla loro posizione, che erano morti in un attimo senza quasi rendersene conto: basta pensare alla donna con un bimbo in braccio o all'uomo rimasto ucciso mentre era nell'equivalente della nostra toilette. I resti degli scheletri umani e animali, infatti, presentano caratteri di esposizione a temperature altissime, confermate dall'analisi delle modificazioni subite dal Dna e da esperimenti effettuati in laboratorio su altre ossa animali;
«Il parametro della pericolosità è dunque l'alta temperatura - spiegano gli scienziati - e l'area da evacuare in caso d'allarme è molto più estesa di quella considerata finora attribuendo la causa delle morti a ceneri e gas». «Inoltre è paradossale - puntualizza Mastrolorenzo - che la Protezione civile prepari i propri piani ipotizzando un'eruzione subpliniana, cioè meno pericolosa, del Vesuvio. In geologia il passato è la chiave di lettura del futuro: l'eruzione descritta da Plinio il Giovane, e per questo definita pliniana, non fu forse quella del 79 dopo Cristo che uccise i pompeiani?» -:
se i Ministri siano al corrente dei recenti studi sull'eruzione del Vesuvio e

sui rischi dell'eventuale ripresentarsi del fenomeno;
se intendano adottare in via immediata un piano di emergenza adeguato ai rischi emersi dalle nuove ricerche, che estenda la zona rossa oltre gli attuali limiti, comprendendo anche le aree di Napoli, da una parte, e di Castellammare di Stabia dall'altra.
(4-07694)

REALACCI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il dossier Greenpeace «Le navi tossiche: lo snodo italiano, l'area mediterranea e l'Africa», pubblicato il 18 giugno 2010 sul settimanale L'espresso e sul quotidiano Financial Times, riassume più di vent'anni di traffico di rifiuti tossici e radioattivi tra l'area mediterranea e il continente africano;
vengono diffuse per la prima volta alcune foto risalenti al 1997, che mostrano chiaramente come centinaia di container di ignota provenienza siano stati interrati nell'area portuale di Eel Ma'aan in Somalia: porto somalo, a trenta chilometri da Mogadiscio, costruito per ovviare al blocco di guerra del porto della capitale, la cui realizzazione fu affidata ad imprenditori italiani, tra cui Giancarlo Marocchino;
dagli atti della Commissione parlamentare di inchiesta sull'omicidio di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin, il dottor Marcello Fulvi, dirigente della Digos di Roma, in un'informativa del 3 febbraio 1995 cita il sopraddetto Marocchino e scrive: «si comunica che [...] personale di questo ufficio ha avuto un incontro con una fonte di provata attendibilità, la quale ha confidato che mandante sarebbe il noto Marocchino Giancarlo, il quale avrebbe ordinato l'uccisione della giornalista». Lo stesso imprenditore racconta alla Commissione parlamentare d'inchiesta di essere accorso per primo a Mogadiscio sul luogo dell'omicidio;
Giancarlo Marocchino non risulta, ad oggi, essere mai stato indagato né per l'omicidio della troupe italiana né per l'attività illecita di traffico di rifiuti tossici;
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin furono uccisi, il 20 marzo 1994, mentre si trovavano a Mogadiscio come inviati del TG3 per seguire la guerra civile somala e per indagare su un traffico d'armi e di rifiuti tossici illegali in cui probabilmente la stessa Alpi aveva scoperto che erano coinvolti anche l'esercito ed altre istituzioni italiane;
il sopraccitato documento elenca inoltre numerosi casi di esportazione illegale di rifiuti. Da questo dossier emergerebbe poi come il traffico illegale di rifiuti pericolosi si sia evoluto e ramificato: da attività individuali, si è organizzato in una «rete», in cui i nomi di persone e imprese sono stati segnalati più volte da investigatori e magistrati ricorrendo con cupa frequenza;
emerge altresì un ulteriore elemento di novità in merito alla ricerca in mare, nel 2009, del presunto relitto della «Cunski», al largo di Cetraro, che si aggiunge agli altri già evidenziati a febbraio 2010. Per le indagini della procura di Palmi (RC), nell'ottobre del 2009 il Governo italiano ha utilizzato una nave per le ricerche sottomarine «Mare Oceano» di proprietà della famiglia Attanasio;
Diego Attanasio è un armatore napoletano con una flotta di sette navi oceanografiche e teste centrale dell'inchiesta «Mills-Berlusconi»;
sembrerebbe che il Ministero britannico della difesa abbia offerto mezzi e personale qualificato a un prezzo inferiore rispetto a quello proposto dai proprietari di Mare Oceano; non sono tuttavia note le ragioni per cui l'offerta britannica sarebbe stata rifiutata così come i termini del

contratto tra la nave «Mare Oceano» e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
l'Agenzia europea dell'ambiente in un rapporto del 2009, ha chiarito come il traffico illegale di rifiuti tossici sia un problema rilevante e non sanato e che il divieto dell'export di rifiuti tossici tra Paesi OCSE e non-OCSE sancito dalla convenzione di Basilea, sia ben lontano dall'essere pienamente applicato;
da operazioni investigative effettuate dalla magistratura e da indagini delle forze dell'ordine emerge l'esistenza di decine di «relitti sospetti». Il loro numero varia da cinquantacinque (deposizione dall'ammiraglio Bruno Branciforte al Copasir: come riferita dal quotidiano Calabria Ora, 26 settembre 2009), a quarantaquattro (comunicazione trasmessa dalla direzione marittima di Reggio Calabria alla Commissione antimafia il 27 ottobre 2009) a trentanove (per il periodo 1979-1995: relazione conclusiva del 25 ottobre 2000 della Commissione bicamerale sui rifiuti);
a tal proposito, risulta all'interrogante che l'iter dell'atto di sindacato ispettivo numero 4-01342 del 15 ottobre 2008 sul presumibile affondamento doloso della nave Jolly Rosso sia, nonostante i numerosi solleciti, ancora in corso -:
se corrisponda al vero quanto denunciato nell'articolo pubblicato dal settimanale L'espresso e, in caso affermativo, per quale motivo non sia stata fatta ancora piena luce su queste vicende inquietanti, soprattutto visto che i fatti sono noti oramai da decenni;
se intendano riferire urgentemente agli organismi parlamentari competenti sulla questione del traffico illecito di rifiuti e sul traffico illegale di armi, in modo che la vicenda finalmente sia chiarita, anche all'opinione pubblica, a partire dalla drammatica vicenda di Ilaria Alpi e Miriam Hrovatin, uccisi tre anni prima che venissero scattati i fotogrammi sopradetti;
se non sia opportuno intervenire diplomaticamente presso l'ONU perché finalmente e concretamente sia verificata la presenza, o meno, di rifiuti tossici a Eel Ma'aan e, al contempo, intervenire urgentemente, anche in sede comunitaria, perché siano aumentate le misure di sicurezza per la prevenzione della produzione e traffico di rifiuti tossici;
se corrisponda al vero che il Ministero britannico della difesa abbia offerto mezzi e personale qualificato ad un prezzo inferiore rispetto a quello proposto dai proprietari di Mare Oceano per le ricerche del relitto del Cunski e, in caso affermativo, per quali motivi l'offerta sia stata rifiutata;
se non si reputino oramai improcrastinabili, garantendo le opportune risorse economiche e umane, l'istituzione di un coordinamento tra le autorità investigative e l'avvio di un censimento delle attività già effettuate per la ricerca e rimozione dei relitti delle «navi dei veleni»;
se non intendano assumere iniziative volte a stanziare adeguati fondi affinché sia avviato un monitoraggio chimico delle acque marine italiane e sanitario per gli eventuali rischi per la popolazione e per l'ambiente marino e costiero, a partire dalle zone di Cetraro, Capo Spartivento e Amantea, in modo da provvedere all'eventuale bonifica delle aree inquinate.
(4-07697)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta una video-denuncia di mercoledì 17 giugno 2010, realizzata dal giornalista Gennaro Savio, direttore di PCIML-TV e pubblicato sul sito web youreporter.it, a partire dalla mattina di mercoledì 16 giugno 2010, medici e infermieri precari stanno occupando la direzione sanitaria dell'ospedale Anna Rizzoli di Lacco Ameno - isola d'Ischia -

e il dottor Domenico Loffredo, chirurgo, ha iniziato lo sciopero della fame;
l'iniziativa è motivata dal mancato rinnovo del contratto in scadenza il 30 giugno 2010; si tratta di quattordici medici tra cui quattro chirurghi, tre ginecologi, due ortopedici, tre pediatri e un cardiologo, cui bisogna aggiungere due radiologi e ben quaranta tra infermieri e operatori sanitari vari che operano presso l'unico ospedale pubblico dell'isola d'Ischia, che serve una popolazione residente di oltre sessantamila abitanti e milioni di turisti che ogni anno scelgono l'isola per trascorrervi le vacanze;
il nosocomio lacchese, rischia la paralisi totale poiché, circa il 50 per cento degli operatori sanitari tra poco più di quindici giorni potrebbe lasciare il posto di lavoro e la struttura sarà in grado di assicurare solo l'emergenza, mentre, a causa della carenza di organico, il reparto di nefrologia ubicato nel comune di Ischia, in via Alfredo De Luca, già da tempo non riesce più a soddisfare la richiesta dell'utenza e alcuni malati sono costretti a raggiungere la città di Napoli per potersi sottoporre alla dialisi con tutti i disagi e i pericoli per la loro incolumità che i continui e intollerabili spostamenti in terraferma comportano -:
se il Governo sia a conoscenza della condizione precaria dei medici ed infermieri dell'ospedale di Ischia, se tale situazione sia determinata dalle misure di contenimento della spesa connesse all'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali e se le criticità di cui in premessa non determinino una lesione dei livelli essenziali di assistenza considerato che l'ospedale di Lacco Ameno è l'unico dell'isola di Ischia;
per quali ragioni, poco dopo l'inizio dello stato di agitazione, siano intervenute le forze dell'ordine che hanno provveduto ad identificare alcuni operatori sanitari presenti, considerato lo scopo pacifico della manifestazione.
(4-07698)

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AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:

ZACCHERA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
notizie di stampa, come quelle apparse sul Corriere della Sera del 16 giugno scorso, danno ampia notizia del processo in corso in Perù a carico di Don Mario Bartolini, sacerdote missionario marchigiano, da molti anni schierato a fianco dei suoi parrocchiani nel nord del paese, che protestano per la cessione di una larga parte del loro territorio ad aziende multinazionali finalizzate allo sfruttamento delle risorse naturali dell'area;
risulta che Padre Bartolini rischia addirittura una condanna ad 11 anni di carcere ed è intanto detenuto agli arresti domiciliari;
nella zona scontri tra forze di polizia ed abitanti resistenti alla occupazione delle terre hanno portato recentemente a circa 100 morti alimentando una forte tensione tra la popolazione locale e le autorità peruviane;
Padre Bartolini è già stato minacciato di morte, accusato di terrorismo e di istigazione alla rivolta, ma è stato assolto da simili accuse -:
come si configuri l'attuale situazione giuridica e giudiziaria del caso sollevato;
quali iniziative abbia intrapreso il Governo italiano per tutelare il nostro connazionale, assicurandogli un processo equo e coerente con i princìpi internazionali di correttezza giuridica e tutela della difesa;
quale sia la posizione del Governo italiano sulla situazione in Perù, con particolare riferimento alla zona di Lamas e Barranquita;
se non si ritenga indispensabile una forte iniziativa diplomatica non solo per garantire la persona del nostro connazionale, ma anche per sottolineare come

l'Italia abbia interesse a che vengano correttamente utilizzate le risorse ambientali ed ecologiche dell'intero pianeta, nonché la difesa e la tutela delle minoranze etniche della zona che da sempre convivono con un ecosistema delicato e prezioso come la foresta amazzonica.
(5-03087)

TESTO AGGIORNATO AL 15 FEBBRAIO 2011

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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:

ZAZZERA, PIFFARI e PALAGIANO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il benzo(a)pirene è una sostanza altamente cancerogena per l'uomo e può essere assorbita nell'organismo per inalazione, attraverso la cute e per ingestione. L'esposizione ripetuta o a lungo termine può causare danni genetici ereditari alle cellule germinali umane;
una delle principali fonti di questo pericoloso inquinante è l'Ilva, il più grande stabilimento industriale di Taranto, dove viene emesso il 92 per cento della diossina industriale italiana. Taranto è la città più inquinata d'Europa;
alcune analisi ventoselettive hanno infatti accertato che un'alta percentuale di tale sostanza è emessa proprio dall'impianto siderurgico tarantino;
secondo la relazione dell'ARPA Puglia (Agenzia regionale protezione ambiente), la centralina ambientale sita in via Macchiavelli, Rione Tamburi, ha rilevato che la cokeria Ilva è responsabile dell'emissione del 99,74 per cento degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), il cui componente più cancerogeno è il benzo(a)pirene;
«Il quartiere Tamburi, dopo Padova e Pordenone - si legge nella suddetta relazione - è la zona d'Italia maggiormente inquinata dal benzopirene, ma la convivenza tra la cokeria e la città non è impossibile. La Regione Puglia deve tener conto di questa emergenza. Bisogna scendere sotto il valore di 1,3 nanogrammi e deve esserci il contributo di tutti: delle istituzioni, delle associazioni ambientaliste e dei cittadini. L'Ilva ricordi che oggi si sta sul mercato con una siderurgia eco-compatibile»;
nonostante nel 2009 lo stabilimento abbia ridotto la produzione di coke, l'emissione della sostanza cancerogena nel Rione Tamburi è di 1,3 nanogrammi al metro cubo, cioè ben il 30 per cento in più rispetto ad 1 nanogrammo stabilito dal decreto legislativo n. 152 del 2007;
il direttore dell'ARPA, Giorgio Assenato, ha manifestato preoccupazione riguardo ai rischi per salute legati all'emissione di benzo(a)pirene;
l'associazione Altamarea di Taranto ha chiesto alla Regione di provvedere ad un piano di azione e di risanamento per la qualità dell'aria, mentre il sindaco Ippazio Stafàno ha firmato un'ordinanza per limitare l'impatto ambientale dello stabilimento sulla città;
in particolare, il sindaco ha imposto all'Ilva di predisporre un piano di ottimizzazione degli impianti secondo le migliori tecniche disponibili ed avviare un sistema efficace di monitoraggio delle emissioni diffuse e convogliate;
il 7 giugno 2010 l'assessore regionale alla qualità dell'ambiente Lorenzo Nicastro ha incontrato Altamarea, e ha accolto pienamente le ragioni della diffida lanciata dall'associazione ambientalista. Altamarea ha inoltre evidenziato anche problemi strutturali per le cokerie che, «anche se dotate delle migliori tecnologie disponibili, non sarebbero in grado di far scendere le proprie emissioni di benzopirene sotto i 5 nanogrammi al metro cubo, precludendo alla radice la compatibilità ambientale con un centro abitato vicino. Per questa ragione le cokerie costituite accanto ai centri abitati ormai vengono chiuse in molte

parti d'Europa e questa scelta radicale viene considerata una buona prassi per garantire una qualità dell'aria accettabile». Inoltre considerato che l'ARPA ha accertato che alcuni decessi sono collegati alla sostanza prodotta dalla cokeria Ilva, stabilimento quindi identificato con precisione, si pone «un grave problema sanitario di tutela del diritto alla vita in termini di legalità ed urgenza»;
per queste ragioni l'autorizzazione di impatto ambientale (AIA) potrebbe essere negata per la cokeria qualora dovessero permanere gli attuali valori di emissione, e comunque la regione chiede al ministero competente di inserire nella suddetta autorizzazione prescrizioni e misure più severe delle migliori tecnologie disponibili (BAT);
secondo l'assessore Nicastro, vista la situazione emergenziale che vive la città di Taranto, l'esigenza è ormai quella di ridurre la concentrazione di benzo(a)pirene addirittura entro il 2010, e cioè ben prima del termine indicato dal ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (31 dicembre 2012). La regione quindi si sarebbe attivata per un piano di azione diretto all'immediato ripristino dei valori stabiliti dalla legge -:
alla luce dei gravi fatti riportati in premessa, se il Ministro intenda rilasciare all'Ilva l'autorizzazione di impatto ambientale e quali prescrizioni il Ministro intenda fissare nei confronti della proprietà dell'Ilva al fine di far rispettare i parametri di emissione di benzo(a)pirene nei limiti previsti dalla legge;
se il Ministro escluda che l'emissione di benzo(a)pirene possa determinare rischi per la salute dei cittadini.
(5-03086)

FALLICA, TERRANOVA e CARLUCCI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
le sorgenti di Scillato in Sicilia, rappresentano una risorsa fondamentale per l'approvvigionamento idrico della città di Palermo, in quanto forniscono mediamente 700 litri/sec. sui circa 3.500 sec. litri/totali;
nel secolo scorso fu realizzato un apposito canale per il trasporto dell'acqua proveniente dalle predette sorgenti, utilizzato per servire utenze lungo il percorso nonché alcuni centri abitati della costa, a cui seguì successivamente la costruzione di un acquedotto;
da più di un anno, un tratto del medesimo acquedotto è soggetto a movimenti franosi che determinano continue rotture;
la società addetta al servizio di manutenzione dell'infrastruttura idrica, (AMAP) nonostante gli interventi effettuati al fine di riparare le falle, dopo il novembre scorso non ha proseguito nelle operazioni di sistemazione, in quanto a giudizio della stessa società, non esistevano le condizioni tecniche per la continuazione dell'assistenza all'acquedotto;
secondo la stessa società AMAP, la soluzione definitiva alle continue rotture dell'acquedotto, sarebbe la realizzazione di una deviazione lunga 5 chilometri dello stesso acquedotto, il cui costo valutato in 5 milioni di euro, che rappresenterebbe un vero e proprio investimento, non rientrerebbe nelle competenze della società addetta al servizio di manutenzione;
il servizio idrico integrato nella provincia di Palermo, è affidato all'ATO idrico dell'APS spa (acque potabili siciliane) cui spetta la competenza della realizzazione degli investimenti e sui quali dovrebbe ricevere una copertura finanziaria pari al 50 per cento della regione Sicilia;
alla società AMAP, secondo gli stessi vertici aziendali, spetta soltanto la gestione del servizio idrico della città di Palermo fino al 2021, e la competenza dei lavori di manutenzione straordinaria per un importo massimo annuo pari a 3 milioni e 500 mila euro;

il problema dell'acquedotto di Scillato è stato affrontato nella conferenza di servizi ATO, APS e AMAP in seguito alla quale APS ha provveduto a redigere una modifica al piano d'ambito, ovvero alla programmazione degli investimenti da effettuare nei 30 anni di durata della convenzione che prevede la destinazione di 5 milioni di euro per la realizzazione della necessaria deviazione dell'acquedotto di Scillato;
affinché tale modifica, diventi operativa, deve essere approvata dalla conferenza dei sindaci della provincia e successivamente potrà essere realizzata dalla società APS, che tuttavia sembra abbia difficoltà economiche per reperire le somme necessarie e che pertanto richiederebbe il finanziamento della regione Sicilia almeno fino all'80 per cento per la realizzazione della deviazione dell'acquedotto di Scillato, salvo poi ridurre la quota a carico della stessa regione Sicilia sui successivi investimenti;
ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera e) del decreto del Presidente della Repubblica n. 140 del 2009, il Ministero oltre al monitoraggio delle attività delle autorità d'ambito e dei gestori del servizio idrico integrato ha il compito di monitorare «i relativi piani e progetti nonché promuovere il completamento dei sistemi di approvvigionamento idrico, di distribuzione, di fognatura, di collettamento, di depurazione e di riutilizzo delle acque reflue»;
appare opportuno che il Ministro assuma ogni possibile iniziative di competenza affinché la questione possa essere affrontata -:
se sia a conoscenza dei problemi dell'acquedotto di Scillato, essenziale per l'approvvigionamento idrico della città di Palermo e come, nell'ambito dei propri poteri, il Governo intenda intervenire per favorire la realizzazione delle opere necessarie per rendere funzionale tale fondamentale infrastruttura.
(5-03090)

PILI, MURGIA, VELLA, PORCU e NIZZI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con decreto ministeriale del 27 aprile 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 31 maggio 2010 n. 125, ha disposto l'approvazione dello schema aggiornato relativo al VI elenco ufficiale delle aree protette, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 3, comma 4, lettera c), della legge 6 dicembre 1994, n. 394 e dall'articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
il Comitato per le aree naturali protette, di cui al citato articolo 3 della richiamata legge 6 dicembre 1991, n. 394, è stato soppresso e le relative funzioni sono state trasferite alla Conferenza Stato-regioni ai sensi dell'articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
la Conferenza Stato-regioni del 17 dicembre 2009 con repertorio atti n. 262/CSR, ha approvato il VI aggiornamento dell'elenco ufficiale delle aree protette;
il VI elenco aggiornato allegato al decreto richiama al n. 21 il Parco nazionale del golfo di Orosei e del Gennargentu per complessivi 79.935 ettari;
nei verbali della Conferenza Stato-regioni non risulta nessuna richiesta di modifica da parte della regione autonoma della Sardegna;
la legge 23 dicembre 2005, n. 266 recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria per il 2006) all'articolo 1, comma 573, ha disposto: «La concreta applicazione delle misure disposte ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 110 del 14 maggio 1998, avviene previa intesa tra lo Stato e la regione Sardegna nella quale si determina anche la ripartizione, tra i comuni interessati, delle risorse finanziarie già stanziate sulla base dell'estensione delle aree soggette a vincolo. I comuni ricadenti

nell'area individuata potranno aderire all'intesa e far parte dell'area parco attraverso apposita deliberazione dei propri consigli»;
tale norma aveva sostanzialmente e formalmente reso inattiva l'istituzione del parco del Gennargentu, la cui definizione e perimetrazione era sta decisa in dispregio della volontà delle comunità e istituzioni locali;
la volontà del legislatore era chiaramente quella di affidare l'eventuale istituzione e attivazione del parco alla volontà espressamente dichiarata sia dai consigli comunali interessati che dalla stessa regione autonoma della Sardegna;
la legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette), ha provveduto alla classificazione delle aree naturali protette e ha istituito, altresì, l'elenco ufficiale delle aree naturali protette, nel quale vengono iscritte tutte le aree che rispondono a criteri stabiliti dalla deliberazione 21 dicembre 1993 del comitato per le aree naturali protette, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 62 del 16 marzo 1994;
la classificazione delle aree protette è stata integrata, ad avviso dell'interrogante arbitrariamente, con la deliberazione 2 dicembre 1996 del Comitato per le aree naturali protette, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 17 giugno 1997, che ha incluso nell'elenco, sottoponendole ai vincoli previsti dalla legge n. 394 del 1991, le seguenti tipologie:
a) zone di protezione speciale (ZPS) designate ai sensi della direttiva 79/409/CEE, costituite da territori idonei per estensione o localizzazione geografica alla conservazione delle specie di uccelli di cui all'allegato I della direttiva citata, concernente la conservazione degli uccelli selvatici;
b) zone speciali di conservazione (ZSC) designate dallo Stato, mediante un atto regolamentare, amministrativo o contrattuale, ai sensi della direttiva 92/43/CEE (cosiddetta «direttiva habitat»). Contengono zone terrestri o acquatiche che si distinguono grazie alle loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche, naturali o seminaturali (habitat naturali), e che contribuiscono in modo significativo a conservare, o a ripristinare, un tipo di habitat naturale o una specie della flora e della fauna selvatiche di cui alla direttiva 92/43/CEE.
l'inclusione, ad avviso dell'interrogante arbitraria, di tali zone nella classificazione delle aree protette ha generato di fatto un'illegittima applicazione a tali siti delle misure di salvaguardia e i divieti previsti dalla legge sulle aree protette; e poiché l'articolo 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, di attuazione della direttiva habitat, riserva alle regioni l'adozione di specifiche misure, tale inclusione ha di fatto provocato un palese contrasto normativo sia nel quadro delle competenze istitutive che in quelle attuative;
il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il decreto ministeriale 25 marzo 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 155 del 6 luglio 2005, ha correttamente proceduto all'annullamento della deliberazione 2 dicembre 1996, definendo nel contempo una specifica disciplina di tutela da applicare alle ZPS e alle ZSC;
il decreto citato è stato impugnato. Il tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con le ordinanze n. 6854/2005, n. 6856/2005 e n. 6870/2005, accogliendo la richiesta dei ricorrenti, ha disposto la sospensione del provvedimento, che è stata confermata dal Consiglio di Stato con le proprie ordinanze del 14 febbraio 2006, n. 797, n. 798 e n. 799;
la complessa situazione normativa venutasi a creare dopo la sospensione del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 25 marzo 2005 rende contrastanti gli obiettivi di tutela con quelli dello sviluppo sostenibile, provocando un conseguente blocco di tutte le attività economicamente sostenibili nelle aree oggetto di nuova classificazione;

in particolar modo, si evidenzia che l'adozione di nuove perimetrazioni costituisce l'estensione di nuovi vincoli legati alla conseguente applicazione della legge quadro sulle aree protette n. 394 del 1991;
tale estensione adottata sul piano amministrativo costituisce di fatto una sostanziale modifica legislativa intervenuta con una deliberazione di un organismo che lo stesso Parlamento ha successivamente soppresso con il decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
il venir meno dell'organismo che ha inizialmente adottato la nuova classificazione e l'intervenuta decisione di sospendere l'efficacia del provvedimento del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha di fatto provocato un'insostenibile paralisi sia sul piano della fruizione del patrimonio ambientale che della chiara interpretazione della norma;
a 19 anni dall'adozione della normativa quadro in tema di aree naturali protette si pone con forza l'esigenza di rivedere il concetto di fondo della tutela ambientale;
troppo spesso estremismi interpretativi e normativi hanno profondamente minato il rapporto tra l'ambiente e l'uomo, rendendo quest'ultimo un soggetto estraneo alla vita stessa dell'ambiente;
le reiterate restrizioni intervenute a seguito di nuove arbitrarie classificazioni territoriali hanno comportato un sempre maggiore distacco tra le comunità locali e l'esigenza di una condivisione della tutela ambientale, fino a provocare vere e proprie contrapposizioni sociali;
è indispensabile riproporre con forza la necessità di perseguire una politica di tutela ambientale condivisa e partecipata, ispirata al concetto fondamentale che l'uomo è protagonista dell'ambiente;
in quest'ottica, quindi, devono essere favorite le opportunità di sviluppo e di tutela partecipata delle comunità locali, facendo prevalere questa impostazione a quella meramente vincolistica;
la prevalente impostazione vincolistica ha finito per rendere l'ambiente un'entità estranea alle comunità locali con il rischio di mettere a repentaglio la stessa tutela di questo patrimonio -:
per quali ragioni il parco nazionale del golfo di Orosei e del Gennargentu sia stato inserito nell'elenco allegato al decreto ministeriale 27 aprile 2010 e se ciò sia conforme alla disposizione di cui all'articolo 1, comma 573, della legge n. 266 del 2005;
se tale previsione contenuta nel decreto relativa al parco del Gennargentu comporti l'applicazione di norme vincolistiche a prescindere dal contenuto della citata legge n. 266 del 2005 che subordina l'attivazione del parco all'intesa con la regione e i comuni ove ricadesse l'eventuale perimetrazione del parco stesso;
se non ritenga con urgenza di dover specificare che tale richiamo al parco del Gennargentu costituisca un mero richiamo a norme preesistenti e che nessuna deroga verrà concessa alla chiara previsione di legge che subordina qualsiasi tipo di misura vincolistica all'intesa tra regione e comuni;
se non ritenga di dover stralciare dall'elenco il parco del Gennargentu al fine di rispettare le indicazioni normative e le reiterate volontà delle comunità locali da sempre contrarie ad imposizioni che appaiono all'interrogante irragionevoli e irrazionali che non solo non tutelano l'ambiente ma costituiscono un limite alla fruizione del patrimonio e alla conseguente positiva salvaguardia dello stesso.
(5-03091)

Interrogazioni a risposta scritta:

GRAZIANO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
la mancanza di fondi sta costringendo i centri di recupero per la fauna selvatica della Campania a chiudere. Le

loro funzioni di tutela della fauna selvatica, ricovero degli animali abbattuti illegalmente, impallinati o resi inabili al volo o alla vita normale da altri strumenti di caccia, educazione e promozione di una giusta coscienza ambientale sono duramente compromesse;
l'articolo 2, comma 382, della legge n. 244 del 2007 - legge finanziaria 2008 - ha istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il Fondo nazionale per la fauna selvatica destinato agli enti morali che, per conto delle province e delle regioni, gestiscono i centri per la cura e il recupero della fauna selvatica. La gestione del fondo è regolata con decreto ministeriale;
l'articolo 2, comma 384, della legge citata attribuisce al fondo una somma pari a un milione di euro per gli anni 2008, 2009 e 2010. Tuttavia, la riduzione di autorizzazione di spesa, pari a 1,5 milioni di euro per il 2008 e a 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010 è confluita nel Fondo per gli interventi strutturali di politica economica, come previsto dall'allegato al decreto-legge n. 93 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 126 del 2008;
come denunciato dal Wwf e riportato dalla stampa specializzata, il bracconaggio sembra aumentato vertiginosamente e decine di specie sono a rischio di estinzione nel Paese. La Campania è una delle terre maggiormente colpite dal fenomeno, che si concentra nelle province di Napoli e Caserta e sul litorale domizio flegreo, luogo di una biodiversità peculiare, riscontrabile in pochi altri luoghi italiani, ma anche terra di caccia di frodo;
ad oggi, nessun centro di recupero per la fauna selvatica risulta attivo: i due centri del Wwf, uno nel casertano, l'altro nella zona di Napoli sono stati chiusi con l'influenza aviaria e non più a norma; per quello della Lega italiana protezione uccelli (LIPU) di Caserta, la stessa causa e difficoltà non solo burocratiche e organizzative ne hanno impedito l'attività. La mancanza di risorse costituisce per i centri un limite ostativo importante all'apporto di quelle modifiche necessarie ad ottenere le autorizzazioni per poter compiutamente operare;
il centro autorizzato più vicino è il centro LIPU del Molise a Casacalenda, in provincia di Campobasso, ma la distanza porta gli animali ad essere ricoverati presso il dipartimento veterinario dell'Asl, negli uffici del Frullone, a Napoli -:
se non ritenga opportuno assumere le necessarie iniziative, anche normative, per ripristinare le risorse inizialmente previste per le finalità di istituzione del fondo, e a emanare il relativo decreto, allo scopo di tutelare la fauna, come patrimonio indisponibile dello Stato, e consentire agli operatori e ai centri di restituire alla vita selvatica e al loro importante ruolo ecologico il maggior numero di animali.
(4-07675)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
secondo notizie stampa, pesanti condanne contro funzionari pubblici, accusati di associazione per delinquere, truffa e violazione del segreto d'ufficio, sono state inflitte dai giudici del tribunale di Padova nell'ambito dell'inchiesta sulle escavazioni abusive portate avanti per anni sui fiumi Po, Brenta e Adige;
il risarcimento riconosciuto anche al WWF, costituitosi parte civile nel processo, «conferma la gravità dei danni ambientali inflitti ai fiumi dalle escavazioni selvagge per procurarsi profitto illecitamente», spiega l'associazione ambientalista;
i giudici hanno accolto le motivazioni del Pubblico Ministero e riconosciuto la gravità dell'attività illecita degli imputati, ai quali sono state contestate le accuse di associazione a delinquere, concorso in

furto di sabbia, falsificazione dei verbali di escavazione, truffa e violazione del segreto di ufficio;
come conferma il censimento fatto il 2 maggio 2010 nell'ambito di Liberafiumi, il WWF denuncia che proseguono le escavazioni spesso anche illegali. Sono state trovate 15 cave di ghiaia e sabbia lungo l'Adda; anche sul Piave, il fiume veneto censito dal Wwf, vi sono 12 cantieri di lavorazione di ghiaia che occupano ben 134 ettari di fasce fluviali -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza - e se ciò corrisponda al vero - dell'esistenza di ulteriori escavazioni abusive lungo l'Adda e il Piave;
se non ritenga opportuno avviare un'ampia campagna di accertamento di tali pratiche e di verifica delle condizioni dei fiumi su tutto il territorio nazionale;

quali iniziative intenda adottare per porre fine a tali pratiche abusive ed evitare il protrarsi del danno ambientale.
(4-07688)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta il quotidiano Terra di giovedì 17 giugno 2010, un terzo del nostro Paese è a rischio desertificazione: 10 milioni di ettari di suoli in via di progressivo e veloce inaridimento;
clima che cambia, cementificazione e agricoltura industriale stanno esasperando la caratteristica principale della penisola, quella di essere un vero e proprio ponte tra la sponda africana e quella europea del Mediterraneo;
l'Italia è, dunque, terra di confine climatico, tradizionalmente sottoposta a ondate di caldo e siccità, ma oggi soprattutto assediata da usi esasperati del territorio e da condizioni meteorologiche sempre più estreme;
secondo le ultime ricerche, la graduatoria di vulnerabilità del nostro territorio all'inaridimento dei suoli vede in prima e poco felice posizione la Sicilia, con il 50 per cento del territorio a rischio. All'altro estremo della scala, il Trentino Alto Adige, con porzioni minime di suoli degradati. Sono nella parte alta della classifica della desertificazione italiana per ampiezza di aree coinvolte anche il Molise, la Puglia, la Basilicata e la Sardegna, mentre vanno sotto la denominazione di «media vulnerabilità» territori ben più settentrionali, come la Maremma tosco-laziale e la parte orientale della Pianura padana;
in tutta la penisola, secondo gli studi nazionali, il fenomeno è in continuo peggioramento. Il picco si registra nelle aree costiere, a causa della «diminuzione delle precipitazioni e dell'aumento generalizzato delle temperature, responsabile dell'espansione delle aree aride e semi-aride», ma anche grazie «all'aumento della pressione antropica, nonché al landscape change (sigillamento dei suoli) accompagnato da processi di intensificazione agricola e salinizzazione», come si legge nel documento «La desertificazione in Italia. Processi, indicatori e vulnerabilità del territorio», elaborato per il Comitato nazionale per la lotta alla siccità e alla desertificazione;
ciò non significa che il nostro Paese si stia muovendo per fare fronte al fenomeno di degrado generalizzato. Ad oggi Sardegna, Sicilia, Calabria e Puglia si sono attrezzate con progetti pilota per il contenimento e la lotta alla desertificazione, mentre esistono solo due piani di azione locale elaborati su scala regionale, quelli di Emilia Romagna e Puglia. L'Abruzzo, la Sardegna, la Calabria e la Basilicata hanno invece avviato degli studi di area. Qualcuna, tra le regioni più colpite, ha anche avviato dei progetti di collaborazione e gemellaggio con regioni del continente

africano, affrontando tra l'altro il primo e più evidente dei risultati dell'avanzare della infertilità dei suoli, ossia l'abbandono di grandi aree tradizionalmente coltivate, con conseguenti spostamenti di enormi masse di migranti verso le aree urbane e verso i paesi del nord del mondo. Un esodo di massa è in corso, mentre alle nostre latitudini avviene spesso un rovesciamento del rapporto causa ed effetto ed è l'abbandono dei suoli agricoli marginali a produrre un più alto rischio di desertificazione -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza del fenomeno progressivo di desertificazione del suolo italiano e come intendano occuparsene;
se i Ministri interrogati non ritengano opportuno affrontare il problema predisponendo un piano di contenimento del fenomeno valido per l'intero territorio nazionale;
se il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali intenda sostenere e promuovere lo studio e l'utilizzo di tecniche e conoscenze agricole a ridotto impatto ambientale.
(4-07693)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta il quotidiano Terra di venerdì 18 giugno 2010, lo scorso 26 maggio il questore di Latina Niccolò D'Angelo, nel corso di un'audizione preso la Commissione bicamerale sui rifiuti, ha affermato che «quel che c'è sotto la discarica di Borgo Montello andrebbe monitorato approfonditamente. L'Enea ha detto al di là di ogni ragionevole dubbio che esiste una massa metallica. E allora andiamo a vedere di cosa è fatta questa massa metallica»;
a Borgo Montello, sarebbero infatti stati sotterrati i fusti di rifiuti tossici della nave Zenobia, partita da Massa Carrara e arrivata a Ravenna dopo che i porti di molti Stati l'avevano rifiutata a causa del carico nocivo (10500 barili si scorie provenienti dalle industrie chimiche di mezza Europa, la cui sorte è ignota);
l'inchiesta è partita dalle dichiarazioni rese dal pentito di camorra Carmine Schiavone già nel marzo del 1996 che trovano riscontro con quelle di un altro collaboratore di giustizia, Francesco Fonti oltre che con un'indagine della Digos di Latina che indagò sulla denuncia di un operaio - licenziato - che raccontava di aver partecipato ad operazioni di scarico ed interramento notturno di fusti nella discarica di Borgo Montello;
il comune di Latina, infatti, nel 1995 aveva chiesto all'Enea di fare uno studio dell'area della discarica. I risultati furono sorprendenti perché evidenziavano la presenza di tre diverse masse metalliche (due di 10 metri per 20 e uno di 50 per 50). Quello studio, però, sparì misteriosamente fino al 2007;
in generale, il quadro che ne emerge è che sarebbero quindi a rischio gran parte dei terreni dell'area, essenzialmente a vocazione agricola e le falde acquifere in un basso pontino in mano alla criminalità organizzata, dove camorra e 'ndrangheta si spartiscono territorio e affari;
il commissario straordinario dell'Arpa Lazio Corrado Carrubba sottolinea che la situazione «vive una fase di stallo. La decisione di scavare deve essere presa dalla conferenza dei servizi, di cui fa parte il comune di Latina, che tuttavia è commissariato» -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti;
se intendano procedere ad accertamenti per fare luce sull'annosa vicenda e quali informazioni abbiano in merito allo studio dell'ENEA citato in premessa e alla sua sparizione e se intendano avviare un'ampia campagna di monitoraggio nelle aree descritte.
(4-07695)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
il presidente della «Fondazione Alberto Sordi» Giorgio Assumma ha lanciato un appello osservando che «mentre la cinematografia di Alberto Sordi si studia nelle università e negli Istituti di cultura oltre che nelle scuole artistiche, molti dei suoi film risultano irreperibili, o perché sono scomparsi i produttori e i distributori, o perché i supporti in pellicola non sono più reperibili o se lo sono, risultano usurati dal tempo e dunque non più utilizzabili»;
i quasi duecento film che Alberto Sordi ha interpretato sono infatti tutti fissati su supporti in pellicola, che con il tempo distrugge le immagini;
il presidente della «Fondazione Alberto Sordi», in occasione del novantesimo anno della nascita del grande attore, ha lanciato un grido d'allarme: «Non si può seppellire nel dimenticatoio una parte importante della cultura cinematografica, e chiedo al Ministro Bondi di farsi promotore di un provvedimento di legge che solleciti l'intervento di sponsor privati affinché finanzino il trasferimento dei film in digitale permettendone l'uso gratuito a chi intende studiarli; le spese investite in questa operazione dovrebbero essere detratte dalla dichiarazione delle imposte» -:
se non ritenga di dover raccogliere l'appello-denuncia del presidente della «Fondazione Alberto Sordi»;
quali iniziative si intendano promuovere, adottare, sollecitare in relazione a quanto sopra esposto ed evidenziato.
(4-07673)

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DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il consiglio intermedio di rappresentanza militare dell'Esercito italiano, con delibera n. 20 del 12 maggio 2010, ha chiesto di rendere noto il numero, l'ubicazione e le modalità di accesso agli alloggi per il personale di passaggio (APP) per la propria giurisdizione e al COCER sezione esercito, per tutto il resto del personale -:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto in premessa;
per la giurisdizione del Comando delle forze operative terrestri ed in particolare per la sede di Verona, quanti siano gli alloggi per il personale di passaggio, la loro ubicazione, la data di richiesta di trasformazione di alloggi della difesa in alloggi per il personale di passaggio, con il nominativo dell'occupante e la data di inizio di fruizione e canone pagato;
quale sia il numero degli alloggi destinati ad uso esclusivo per il personale di passaggio e la loro ubicazione, relativamente a tutto il territorio nazionale;
quale sia il costo complessivo di eventuali servizi di pulizia a carico dell'amministrazione militare, suddiviso per ogni sede di servizio.
(4-07676)

TESTO AGGIORNATO AL 15 FEBBRAIO 2011

...

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:

MISTRELLO DESTRO e CARLUCCI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
i grandi invalidi ciechi di guerra e per servizio militare recano incisi, nel proprio

corpo, i segni della guerra, ferite che testimoniano il sacrificio compiuto in nome della patria;
la pensionistica risarcitoria è ferma al livello di venti anni fa, eccezione fatta per il modesto adeguamento automatico annuale, mai tale da compensare il crescente costo della vita e dei servizi assistenziali di cui i grandi invalidi hanno particolarmente bisogno;
il decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1978 ha sancito il criterio di «risarcitorietà» delle pensioni di guerra;
le pensioni di guerra assegnate ai grandi invalidi e conseguite ad un conflitto conclusosi ben sessantacinque anni fa, risalgono ad accertamenti scrupolosamente effettuati quaranta, cinquanta e più anni fa;
le mutilazioni e le invalidità accertate in termini di adeguata assistenza denunciano oggi una gravità determinata dall'invecchiamento biologico che sempre più precariamente viene sostenuto dal risarcimento rivalutato circa venti anni fa;
sarebbe opportuno che alla pensionistica risarcitoria di guerra fosse abbinata la valutazione del danno biologico, come riconosciuto dal codice civile per i risarcimenti dei danni non di guerra;
anche per i congiunti superstiti dei grandi invalidi sussistono pesanti difficoltà quotidiane poiché, nella maggior parte dei casi, essi hanno rinunciato in passato a svolgere un lavoro retribuito e dunque alla possibilità di maturare una pensione previdenziale diretta, per garantire agli invalidi che, alla morte del coniuge si trovano a dover vivere con una reversibilità inadeguata e poco dignitosa;
sarebbe necessario intervenire con un riordino generale della legislazione in materia di pensioni di guerra, al fine di rendere più efficace e rispondente alle effettive esigenze degli interessati in riferimento al diritto giuridico-risarcitorio, ad una valutazione medico-legale più aggiornata e al riconoscimento del danno biologico. Questo anche perché la naturale progressiva riduzione della platea dei beneficiari, dato che l'ultimo grande conflitto in cui siamo stati coinvolti si è concluso nel 1945, sta comportando notevole riduzione della spesa complessiva, il che consente margini finanziari per migliorare i trattamenti in essere -:
quali urgenti iniziative i Ministri interrogati intendano adottare al fine di garantire agli invalidi e mutilati di guerra, che hanno onorato la patria italiana, condizioni di vita dignitose, prevedendo un adeguamento delle pensioni risarcitorie di guerra, anche attraverso il riconoscimento del danno biologico.
(4-07678)

MORONI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 1 comma 343 della legge 23 dicembre 2005 n. 266 prevede che «per indennizzare i risparmiatori che, investendo sul mercato finanziario, sono rimasti vittime di frodi finanziarie e che hanno sofferto un danno ingiusto non altrimenti risarcito, è costituito, a decorrere dall'anno 2006, un apposito fondo nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze. Il fondo è alimentato con le risorse di cui al comma 345, previo loro versamento al bilancio dello Stato»;
il comma 345 del citato articolo 1 della legge 23 dicembre 2005 n. 266 prevede che «il fondo è alimentato dall'importo dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti come dormienti all'interno del sistema bancario nonché del comparto assicurativo e finanziario, definiti con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze; con stesso regolamento sono altresì definite le modalità di rilevazione dei predetti conti e rapporti»;

il decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2007 di attuazione del citato articolo 1, comma 345, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, ha definito, all'articolo 1, comma 1, lettera b), dormienti «i rapporti contrattuali di cui all'articolo 2 in relazione ai quali non sia stata effettuata alcuna operazione o movimentazione ad iniziativa del titolare del rapporto o di terzi da questo delegati, escluso l'intermediario non specificatamente delegato in forma scritta, per il periodo di tempo di 10 anni decorrenti dalla data di libera disponibilità delle somme e degli strumenti finanziari di cui all'articolo 2, comma 1»;
l'articolo 2 comma l del citato decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2007 ha previsto che rientrano nel campo di applicazione del presente regolamento i seguenti rapporti contrattuali:
a) deposito di somme di denaro, effettuato presso l'intermediario con l'obbligo di rimborso;
b) deposito di strumenti finanziari in custodia ed amministrazione;
c) contratto di assicurazione di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, in tutti i casi in cui l'assicuratore si impegna al pagamento di una rendita o di un capitale al beneficiario ad una data prefissata;
di recente talune società finanziarie, invitano i titolari di fondi pensione o strumenti finanziari in generale, ad effettuare operazioni finanziarie al di là della loro volontà nonché indipendentemente dalla convenienza delle stesse e dalle dinamiche di mercato, adducendo come giustificazione di tale segnalazione il preteso superamento delle conseguenze derivanti dall'applicazione della disciplina sui conti dormienti;
la situazione appena descritta è inaccettabile in quanto è diretta ad ingenerare, contrariamente a quanto avviene nell'ambito di un rapporto con un istituto bancario, una situazione di eccessivo timore nel risparmiatore portando ad eseguire operazioni non necessarie né da questo volute -:
quali iniziative, anche di natura interpretativa o normativa, intenda adottare, onde evitare che possa proseguire la grave situazione descritta nelle premesse e contenere fenomeni che possono pregiudicare la libera scelta dei risparmiatori.
(4-07690)

...

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:

ZAZZERA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la situazione delle carceri italiane è notoriamente drammatica per le profonde carenze igienico-sanitarie, la radicata insufficienza di personale e turni di lavoro anche da 23 ore consecutive, il sovraffollamento dei carcerati e l'assenza di adeguati supporti psicologici;
il 2009 si è chiuso con il più alto numero di morti per suicidio in carcere nella storia italiana (72 casi);
negli ultimi sei mesi il numero dei decessi è salito a 31, mentre ben 46 sono stati i tentativi sventati dai poliziotti penitenziari o dai compagni di cella: per il segretario generale della UilPa Eugenio Sarno, «con questi numeri ci sembra che si possa parlare di strage, senza poter essere smentiti»;
soltanto nella giornata del 12 giugno 2010 si sono verificati due decessi nel carcere di Milano Opera e nella casa circondariale di Lecce;
proprio nel carcere di Borgo San Nicola (Lecce) è scattato l'allarme a causa di due suicidi nell'arco di pochi giorni. La struttura accoglie 1.400 detenuti a fronte di una disponibilità di 660 posti regolari;

l'agenzia stampa «Adnkronos» del 4 gennaio riporta che «Nel complesso delle carceri pugliesi [...] - denuncia l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere - i detenuti sono oltre 4.300 (la capienza è di 2.535 posti) e nel 2009 si sono verificati 3 suicidi (a Foggia, all'IPM di Lecce e a San Severo), mentre i tentativi di suicidio sono stati circa 80. Nel 2008 i suicidi erano stati 2 ed i tentativi di suicidio circa 60»;
il vicesegretario del sindacato di polizia penitenziaria (Osapp) di Puglia e Basilicata ha annunciato su La gazzetta del Mezzogiorno del 15 giugno una manifestazione di protesta davanti alle carceri se le istituzioni non provvederanno a risolvere «le condizioni disumane in cui versano le carceri pugliesi: sovraffollamento del 100 per cento rispetto alla capienza reale, nelle sedi di Lecce, Bari, Foggia e Taranto, con rischi per la sicurezza di detenuti e poliziotti, a causa dei continui scontri; caserme di Bari, Taranto e Turi fatiscenti, con condizioni igienico-sanitarie da Terzo Mondo» -:
quali misure urgenti il Ministro intenda assumere per fronteggiare il sovraffollamento del carcere di Borgo San Nicola (Lecce) considerate le condizioni disumane in cui vivono detenuti e polizia penitenziaria;
se il Ministro sia a conoscenza di dati ufficiali circa il numero di suicidi e/o tentativi di suicidio avvenuti negli ultimi due anni nelle carceri italiane e in modo particolare nelle carceri pugliesi.
(5-03085)

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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
nella stazione di Milazzo (Messina) i viaggiatori che partono, nei giorni festivi, ovvero dopo le ore 19,00 non possono acquistare il titolo di viaggio perché la biglietteria è chiusa;
le due emettitrici elettroniche non sono utilizzabili, ormai da diversi mesi, e non sono presenti nelle vicinanze punti vendita autorizzati aperti nei giorni festivi;
puntualmente i controllori delle Ferrovie dello Stato, incuranti dell'impossibilità oggettiva dei viaggiatori ad acquistare il biglietto alla stazione, permettono l'acquisto sul treno ma con l'applicazione di un sovrapprezzo e con la maggiorazione del biglietto;
si sono già verificati diversi casi di protesta da parte dei viaggiatori, soprattutto da parte dei pendolari, che da tanti mesi ormai sono costretti a pagare un costo aggiuntivo causato dai disservizi di Trenitalia;
molti viaggiatori hanno presentato ricorso sulle multe che sono state loro elevate in questi mesi -:
quali iniziative intenda assumere presso la direzione delle Ferrovie dello Stato al fine di verificare le responsabilità di tale disservizio.
(2-00766) «Antonino Russo».

Interrogazioni a risposta scritta:

TASSONE. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la diga sul Melito sia per volume di investimento, circa 260 milioni di euro totalmente finanziati, sia per la complessità e durata dei lavori ha un rilevante impatto sul territorio della provincia di Catanzaro e dell'intera regione Calabria;
la realizzazione di tale opera, programmata nel 1978 e il cui progetto di costruzione è stato approvato nel 1982, ha subito nel tempo continui rinvii fino a quando nel 2008 la situazione di stallo che si era creata per più di trent'anni sembrava oramai sbloccata ed era stata prevista

la data del 2015 per l'inaugurazione dell'opera;
allo stato attuale la situazione non sembra essersi sbloccata, come inoltre sottolineato in una nota inviata al Ministero presentata dal presidente del consorzio di bonifica Ionio Catanzarese, per sollecitare perizia esecutiva del progetto delle opere di completamento necessaria per il completamento dell'infrastruttura;
il Ministro interrogato risulta aver dichiarato recentemente che il progetto della diga in questione, sarà sottoposto entro il mese di giugno 2010 al parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, a complemento dell'istruttoria prevista, e che nessuna omissione si sarebbe configurata da parte del Ministero e della direzione generale competente;
l'importanza della realizzazione di questa infrastruttura appare di notevole rilevanza per l'economia del luogo e per garantire l'approvvigionamento idrico di decine di comuni e di centinaia di aziende ed imprese e il suo mancato compimento arrecherebbe grave nocumento per tutta la regione Calabria -:
quali siano le iniziative che intenda assumere per permettere la risoluzione della problematica relativa alla diga di Melito, in modo da sbloccare risorse importanti per 1' economia del Sud e per i cittadini che da quest'opera dovrebbero essere serviti;
se il Ministro intenda assumere una funzione di vigilanza sulla realizzazione dell'iter necessario, in modo da evitare che si possano creare situazioni di stallo come quelle sopra lamentate.
(4-07681)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riferisce il settimanale L'espresso n. 25, tre anni fa fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il bando per il potenziamento del depuratore di Napoli est gestito da Termomeccanica per un importo di 89 milioni di euro;
il cantiere però non sarebbe mai stato aperto poiché, prima c'è stato un ricorso al Tribunale amministrativo regionale da parte di un'azienda che aveva partecipato alla gara, poi 30 milioni di euro destinati al progetto sono stati assorbiti dall'emergenza rifiuti, mentre 10 ettari dell'area sono stati assegnati al costruendo termovalorizzatore;
il depuratore presenta quindi forti criticità: ha un solo sistema chimico-fisico di disinfezione, nonostante le norme comunitarie impongano di utilizzare batteri capaci di digerire liquami; non elimina i composti dell'azoto responsabili dell'eutrofizzazione né è allacciato alla condotta destinata a portare a 50 metri di profondità i reflui;
le acque luride che provengono da un bacino di 800 mila persone finiscono dunque direttamente nel porto -:
di quali elementi dispongano i Ministri interrogati in ordine a quanto riportato in premessa e quale uso sia stato fatto dei restanti 59 milioni di euro destinati al potenziamento del depuratore di Napoli est per realizzare il quale Termomeccanica aveva vinto la gara.
(4-07691)

TESTO AGGIORNATO AL 23 GIUGNO 2010

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INTERNO

Interrogazione a risposta orale:

GINEFRA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella città di Locorotondo, in provincia di Bari, è sorto un circolo politico-culturale intitolato a Benito Mussolini;
così come è possibile leggere nel blog del suddetto circolo all'indirizzo http://benitomussoliniblog.blogspot.com,

definito il «blog dei fascisti Locorotondesi», gli adepti del gruppo discutono tra loro appellandosi «camerati», inneggiando al fascismo e portando avanti iniziative finalizzate alla volontà di non dimenticare l'operato di Benito Mussolini;
il 25 aprile 2010 la cittadina si è ritrovata agli onori della cronaca locale per un manifesto listato a lutto apparso per tutte le strade di Locorotondo, il quale celebrava il 65o anniversario dalla scomparsa del Duce, la commemorazione dei caduti della Repubblica Sociale Italiana e di «tutti coloro che hanno creduto nell'onore e nella grandezza del popolo d'Italia»;
la Digos della questura di Bari, incaricata del controllo del territorio, ha cercato di far luce sulla vicenda e sulle reali finalità di questa discutibile iniziativa, soprattutto in vista delle imminenti celebrazioni del 25 aprile;
il sindaco di Locorotondo, Giorgio Petrelli, in un primo momento avrebbe affermato che: «non sussiste reato, in quanto l'affissione dei manifesti non comporta apologia al fascismo»; tuttavia dopo poche ore è stata disposta la copertura dei manifesti ed è stato revocato il permesso a tenere la manifestazione promossa dallo stesso circolo, sul tema del signoraggio bancario: l'autorizzazione era stata concessa dallo stesso sindaco, per il 1o maggio invece che per il 25 aprile come richiesto, poiché il primo cittadino in un comunicato avrebbe dichiarato che « il Sindaco, a seguito di sopraggiunti motivi di ordine pubblico ed all'affissione di manifesti nonché alla distribuzione di volantini non consoni alla tradizione di grande democrazia e moderazione che caratterizza la cittadina di Locorotondo, ha disposto la revoca immediata dall'autorizzazione a svolgere la manifestazione del 1o maggio organizzata dal Circolo Culturale «Benito Mussolini» e la immediata copertura di tutti i manifesti oltre che il sequestro del materiale oggetto di volantinaggio.»;
la «legge Scelba» (20 giugno 1952, n. 645), nell'articolo 1 definisce le basi per poter parlare di organizzazione in contrasto con quel principio antifascista, baluardo per la nostra costituzione italiana; infatti sancisce che «si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando un'associazione, un movimento [...] rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, princìpi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista.» -:
quali iniziative il Ministro intenda assumere per contrastare la diffusione di messaggi che risultano essere inneggianti al fascismo, contro la Costituzione e per porre fine a questi atti di inciviltà che ledono fortemente l'immagine delle istituzioni;
se la prefettura di Bari fosse stata informata dell'iniziativa e, qualora ne avesse avuto notizia, quali motivazioni l'hanno indotta a non vietarne lo svolgimento per ragioni di ordine pubblico.
(3-01135)

Interrogazioni a risposta scritta:

SCHIRRU e PES. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
come si apprende dalla stampa, risulta che due algerini nella notte tra martedì 15 e mercoledì 16 giugno 2010, abbiano cercato di fuggire dall'ex caserma avieri, l'attuale centro di prima accoglienza di Elmas, sito all'interno della base dell'aeronautica militare;
poco dopo l'una il primo ragazzo, ospite della struttura dalla fine di maggio, è riuscito a calarsi dal secondo piano senza problemi e si è allontanato oltrepassando la barriera che separa il Cpa dalla pista dell'aeroporto civile. Una rete metallica alta 4 metri coperta da lastre di plexiglass, che la rendono liscia e quasi impossibile da scalare. Per il secondo ragazzo, diciannovenne, anche lui algerino, che durante la fuga pare sia caduto infortunandosi, è scattato l'allarme: due agenti di polizia e due carabinieri - di guardia alla struttura, gestita da una società

privata - hanno soccorso il ragazzo e chiamato un'ambulanza. Il diciannovenne è stato ricoverato al Brotzu, dove gli è stata ricomposta una frattura alla gamba ed è stato sottoposto a diversi accertamenti per una sospetta lesione spinale;
nella notte sono iniziate le ricerche del fuggitivo. L'Enac ha chiuso l'aeroporto Mario Mameli dalle 2.30 fino alle 6.30, per consentire alle forze dell'ordine di cercare il ragazzo. La pista è stata riaperta in tempo per far partire il primo volo di linea, alle 7. Il ragazzo è stato ritrovato durante la mattinata vicino al porto di Cagliari ed è stato riportato al Cpa;
risulta anche che durante la notte sia iniziata una piccola rivolta: gli animi degli algerini, dopo la fuga dei due connazionali, si sarebbero scaldati al punto da far scattare una rissa con il personale di guardia, sedata dagli agenti che vigilano sul centro. L'episodio però è stato smentito da questura e prefettura;
tuttavia, il segretario nazionale del Siap, sottolinea il numero esiguo di forze dell'ordine a guardia del centro: «Non si può controllare con quattro persone, di cui due agenti di polizia che vengono sottratti ad organici già ristretti. In tutto abbiamo una carenza di almeno 100 unità. Se il centro continuerà a funzionare, il ministero dovrà inviare rinforzi»;
dal 16 giugno il servizio di vigilanza del centro è stato rinforzato: da quattro uomini (due agenti di polizia e due carabinieri) si è passati a dieci persone;
il Cpa è stato riaperto (dopo una lunga chiusura) negli ultimi giorni, dopo la ripresa degli sbarchi di clandestini sulle coste sud-occidentali della Sardegna. Al suo interno sono ospitati circa 40 immigrati che nei prossimi giorni verranno trasferiti nella Penisola -:
se sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali delucidazioni intenda fornire per spiegare l'accaduto;
se non ritenga opportuno intervenire per verificare se le attuali condizioni logistiche del Cpa di Elmas, siano ancora idonee, da un punto di vista sanitario e della sicurezza alla prima accoglienza dei profughi immigrati e quali misure intenda intraprendere per il incrementare le forze di presenza del personale in servizio.
(4-07674)

CAPARINI, ALLASIA, TOGNI, CAVALLOTTO e STUCCHI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro per i rapporti con le regioni. - Per sapere - premesso che:
nei giorni 18 e 19 marzo 2007 si è svolto nel comune di Carema (Torino) un referendum, dall'esito positivo, al quale ha partecipato più del 75 per cento degli aventi diritto, in merito al distacco di detto comune dalla regione Piemonte e la sua aggregazione alla regione Valle d'Aosta in base all'articolo 132, secondo comma, della Costituzione;
ai sensi della norma costituzionale sopra richiamata, così come novellata dall'articolo 9, comma 1, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, infatti, «si può, con l'approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un'altra»;
nella passata legislatura, su iniziativa del Ministro dell'interno e del Ministro per gli affari regionali, era stato presentato un disegno di legge costituzionale che andava nella stessa direzione, ma a causa dello scioglimento anticipato delle Camere esso non ha terminato il suo iter di approvazione;
lo scioglimento anticipato delle Camere non inficia in alcun modo la volontà del corpo elettorale comunale, espressa attraverso lo strumento del referendum, di attivare il procedimento di migrazione ad altra regione, anche in ragione del fatto che l'efficacia della volontà

popolare deve intendersi temporalmente almeno pari ad un quinquennio in conformità con la norma dell'articolo 45, quinto comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352, che prescrive, in caso di esito referendario negativo, la decorrenza del predetto periodo di tempo prima della richiesta di svolgimento di una nuova consultazione;
per il distacco di province e comuni da una regione per l'aggregazione ad un'altra è previsto lo strumento dell'iniziativa ordinaria in luogo di quella costituzionale richiesta esclusivamente per la creazione di nuove regioni o la fusione di regioni esistenti, in ossequio al disposto dell'articolo 45, quarto comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 -:
se non ravvisino l'opportunità di una rapida iniziativa normativa di variazione territoriale per il distacco del comune di Carema dalla regione Piemonte e la sua aggregazione alla regione Valle d'Aosta, ex articolo 132, secondo comma, della Costituzione, al fine della sua presentazione in Parlamento, in conformità all'articolo 45, quarto comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352.
(4-07679)

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:

MARCHIONI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
gli esami del primo biennio del corso di laurea in biotecnologie del vecchio ordinamento, comune a tutti gli indirizzi del corso (matematica, fisica, chimica generale e inorganica e chimica organica, microbiologia, biologia generale e genetica, biologia molecolare e genetica molecolare, biologia cellulare e biotecnologie cellulari, biologia delle piante agrarie e vegetali, biochimica 1, biochimica cellulare, biochimica strutturale, immunologia e laboratorio di tecnologie genetiche, entomologia e zoologia agraria) sono in larga parte comuni al corso di laurea in scienze biologiche e ad altri corsi di laurea in materie scientifiche;
con decreto dei Ministri dell'istruzione e della funzione pubblica, nel 2005 è stata riconosciuta l'equipollenza della laurea in biotecnologie alla laurea in scienze e tecnologie agrarie, limitatamente all'indirizzo «agrario vegetale»;
le classi di concorso per l'insegnamento a cui possono accedere i laureati in biotecnologie sono: A060 (scienze naturali, chimica e geografia, microbiologia nella scuola superiore) e A057 (scienze degli alimenti) limitatamente ai laureati, secondo il nuovo ordinamento, in vigore dal 2001, con specializzazione in indirizzo agroindustriale, mentre le classi di concorso a cui possono accedere i laureati in scienze biologiche sono: A012 (chimica agraria), A040 (igiene, anatomia), A057 (scienze degli alimenti), A059 (matematica e scienze nella scuola media), A060 (scienze naturali, chimica e geografia, microbiologia nella scuola superiore) e quelle a cui possono accedere i laureati in scienze agrarie sono: A012 (chimica agraria), A033 (educazione tecnica scuola media), A057 (scienze degli alimenti), A058 (scienze e mec. agraria), A059 (matematica e scienze nella scuola media), A060 (scienze naturali, chimica e geografia, microbiologia nella scuola sup.), A074 (zootecnica e scienza della riproduzione animale);
l'insegnamento di matematica e scienze nella scuola media, classe A059 è consentito ai laureati in matematica, fisica, biologia, chimica, scienze naturali, scienze ambientali, scienze geologiche, scienze agrarie -:
se non ritenga di valutare l'opportunità di inserire la laurea in biotecnologie del vecchio ordinamento in altre classi di concorso, oltre la A060, in particolare nella classe A059 (matematica e scienze nella scuola media).
(4-07671)

DI GIUSEPPE e ZAZZERA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
è stata emanata dall'ufficio scolastico regionale per il Molise la nota n. 3801 del 17 maggio 2010 in base alla quale l'ufficio dichiara di non poter considerare le richieste di attivazione di nuovi corsi di strumento musicale presso gli istituti di istruzione secondaria di primo grado, e di diminuire i corsi già esistenti;
in varie altre regioni del Paese sono state emanate note di contenuto analogo;
esiste una circolare ministeriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (n. 37 del 13 aprile 2010) recante indicazioni per le dotazioni di organici del personale docente per l'anno scolastico 2010/2011 - trasmissione schema di decreto interministeriale che stabilisce: «nulla è innovato relativamente all'insegnamento dello strumento musicale. Al fine della costituzione delle cattedre e dei posti rimangono, pertanto, confermati i criteri previsti dalla normativa vigente (decreto ministeriale 6 agosto 1999, n. 201). Fermo restando il mantenimento in organico di diritto dei corsi attivati negli anni precedenti, la costituzione di eventuali nuovi corsi deve avvenire in organico di diritto, in quanto i relativi posti debbono rientrare nelle complessive risorse di organico individuate ed assegnate con l'allegato al decreto interministeriale. Nel caso in cui l'insegnamento dello strumento sia stato attivato in scuole in cui funzionino solo corsi a tempo prolungato, le due ore (da 38 a 40 ore) di approfondimento che le scuole possono autonomamente scegliere, vanno destinate, in un corso completo, allo strumento musicale»;
è evidente una incongruenza di normative perché in base a quanto emerge dalla posizione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca i corsi di strumento musicale nelle scuole secondarie di primo grado non dovrebbero subire alcuna riduzione, in base all'applicazione della nota dell'ufficio scolastico regionale del Molise, invece in 17 scuole verranno soppressi corsi di strumento musicale;
in particolare, nell'istituto comprensivo statale di Jelsi (Campobasso) sono state tagliate ben 4 cattedre di strumento musicale mentre l'orchestra di detta scuola composta di 70 allievi si produce in concerti, saggi e partecipa ad eventi e rassegne musicali e a febbraio scorso 28 allievi della quinta classe delle scuole elementari dei tre plessi di Tufara, Gambatesa e Jelsi hanno sostenuto e superato l'esame di ammissione a conferma di un antico e radicato studio della musica in quelle comunità;
il governo della regione Molise ha avviato politiche scolastiche sull'istruzione musicale volte alla creazione di una rete territoriale della cultura e della musica tra scuole, liceo e conservatorio -:
se il Ministro intenda promuovere il ritiro delle note emanate dagli uffici scolastici regionali aventi contenuto analogo alla nota n. 3801 del 17 maggio 2010 emanata dall'ufficio scolastico regionale per il Molise e, nello specifico, il ritiro della predetta nota, in modo tale da permettere l'attivazione dei corsi di strumento musicale presso gli istituti in cui sono previsti dalla normativa vigente.
(4-07683)

DI GIUSEPPE e ZAZZERA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
a fronte dell'applicazione dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, recante «norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale utilizzò delle risorse umane della scuola» e dei decreti attuativi ad esso correlati, nell'anno scolastico 2009-2010 la riduzione di cattedre ammontava a 42.100 unità, come riportato nella circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 38 del 2 aprile 2009;

nell'anno scolastico 2010-2011 il taglio di cattedre riguarderà circa 25.600 unità, come risulta dalla circolare n. 37 del 13 aprile 2010 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
nell'anno scolastico 2009-2010 le assunzioni del personale docente risultano di 8.000 unità, nell'anno scolastico 2010-2011 si prevede l'assunzione di un contingente pari a 8.000 unità, come risulta dal decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 74 del 30 marzo 2010;
facendo il bilancio delle cattedre eliminate e delle assunzioni realizzate e programmate negli anni scolastici 2009-2010 e 2010-2011, emerge un quadro estremamente preoccupante perché a regime risulteranno cancellati circa 51.700 posti di lavoro precedentemente esistenti non assorbiti dai pensionamenti;
il conferimento di cattedre a tempo determinato e indeterminato superiori alle 18 ore che, sebbene sia anticontrattuale, spesso viene imposto ai docenti, ha comportato e comporterà un'ulteriore perdita di migliaia di posti di lavoro nella scuola superiore;
il Ministero è intervenuto con il decreto «salva-precari» per l'anno 2009-2010 (confermato nell'anno 2010-2011 con il decreto-legge «mille proroghe») con la presunzione di arginare una situazione che invece assume i connotati di un licenziamento di massa;
il precedente decreto è per i precari una misura assolutamente inadeguata oltre che dequalificante per i seguenti motivi:
a) risulta un provvedimento tampone che interviene solo nell'immediato senza offrire nessuna garanzia per il futuro dei precari; non prevede infatti alcuna prospettiva di stabilizzazione e pertanto non risolve il problema occupazionale che i tagli per la razionalizzazione e il contenimento della spesa stanno comportando e comporteranno nei prossimi anni;
b) è rivolto prevalentemente al personale precedentemente impiegato con incarichi conferiti dall'Ufficio scolastico provinciale e nei confronti del citato personale risulta un provvedimento dequalificante perché obbliga gli insegnanti che hanno lavorato per anni su cattedre vacanti, ad accettare il primo contratto di supplenza temporanea - anche breve - offerto loro, pena la decadenza da qualsiasi diritto collegato al salva-precari. In questo modo si verifica frequentemente il caso che chi ha posizioni più alte in graduatorie è costretto ad accettare un incarico di pochi giorni in un comune della provincia in cui non risiede e chi lo segue in graduatoria potrebbe ottenere un contratto di diversi mesi vicino casa;
c) l'estrema flessibilità che il salva-precari implica, in associazione alla dequalificazione professionale di personale che ormai non svolgeva più attività di supplenza breve, è del resto rivolta a lavoratori consapevoli della loro graduale estromissione dal mondo della scuola, in considerazione della progressione dei tagli del Ministero;
di fronte ad una situazione così critica, il Ministro ha rilasciato dichiarazioni estemporanee che lasciano decisamente assai interdetti gli interroganti, come quella rilasciata il 9 settembre 2008 al quotidiano La Repubblica «Visto che il sistema scolastico non è in grado di assorbire tutti - dice la Gelmini - bisogna trovare il modo di collocarle altrove i precari senza un posto. Un settore dove ci sono possibilità è quello del turismo, e ci stiamo lavorando»;
sempre dallo stesso organo di stampa emergono le dichiarazioni del Ministro Brambilla «Abbiamo un progetto che vede da una parte lo Stato, che ha delle esigenze di formazione molto sentite, e dall'altra un certo numero di professionisti che a questa esigenza potrebbero dare risposta. Stiamo verificando se c'è la possibilità di fare incontrare queste due istanze»;
il personale precario della scuola, formato e specializzato a seguito del superamento

di percorsi articolati e procedure selettive, ha garantito per anni e continua a garantire il servizio scolastico in condizioni lavorative sempre più svantaggiose e dequalificanti;
il Ministero si sta adoperando per istituire nuove forme di reclutamento a fronte della mancata conferma per il personale precario anche solo di contratti a tempo determinato, creando illusorie prospettive di lavoro in un settore evidentemente arrivato alla saturazione -:
se il Ministro intenda finalmente elaborare un piano per l'assorbimento dei docenti precari mediante una proposta davvero risolutiva e oramai impellente, ovvero l'istituzione di graduatorie nazionali ad esaurimento per l'assunzione a tempo indeterminato dei precari abilitati in modo da razionalizzare in una prospettiva realmente meritocratica le risorse umane in ottemperanza dell'articolo 64, comma 4 del decreto-legge del 26 giugno 2008 n. 112.
(4-07684)

MARCHIONI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
a seguito del passaggio dei comuni della Valmarecchia (Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant'Agata Feltria e Talamello) dalla provincia di Pesaro a quella di Rimini, (legge 3 agosto 2009 n. 117), il personale insegnante precario, che finora ha prestato servizio nelle scuole dei sette comuni, inserito nelle graduatorie ad esaurimento della provincia di Pesaro, perde la possibilità di ottenere contratti nelle scuole del territorio, passate nella provincia di Rimini, a favore del personale inserito nelle graduatorie di quest'ultima provincia, che può insegnare nelle suddette scuole;
si segnala che questo personale insegnante precario, era inserito da anni nelle graduatorie della provincia di Pesaro, quindi anche prima del passaggio dei comuni alla provincia di Rimini, nelle operazioni di conferimento dei contratti a tempo indeterminato e dei contratti di durata annuale e sino al termine delle attività didattiche e che alcuni tra gli insegnanti precari sono residenti nei sette comuni, e sono quindi divenuti a tutti gli effetti cittadini della provincia di Rimini;
la percentuale di personale insegnante precario inserito, per portare un esempio concreto, nella scuola «Einaudi» di Novafeltria raggiunge il 60 per cento del personale: gli effetti sull'organico di una impossibilità di riconfermare gli insegnanti porterebbe allo sconvolgimento della continuità didattica dell'assetto attuale;
senza un intervento risolutivo, al momento attuale quindi questi insegnanti hanno perso la possibilità di insegnare nel territorio dei sette comuni passati in provincia di Rimini; e in più, parte di essi, soprattutto quelli di più recente inserimento nella graduatoria di Pesaro, rischiano anche di non stipulare alcun contratto di lavoro col Provveditorato di Pesaro;
non risulta all'interrogante che sia stato attivato localmente alcun provvedimento che si faccia carico di questa particolare e critica situazione; la circolare diffusa l'8 giugno 2010 fa riferimento al mantenimento della situazione attuale, con gli insegnanti che resterebbero nelle graduatorie pesaresi, cosa che lascerebbe aperto e irrisolto il problema finora esposto -:
se non ritenga necessario intervenire sia per salvaguardare il diritto al lavoro di questi precari, che hanno insegnato nelle scuole di ogni ordine e grado nei sette comuni passati in provincia di Rimini, sia per tutelare la continuità didattica scolastica, valutando con l'apporto degli uffici scolastici provinciali e regionali, di trovare una soluzione transitoria per l'anno scolastico 2010-2011, in attesa dell'aggiornamento delle graduatorie, previsto per l'anno scolastico 2011/2012.
(4-07689)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:

LUSSANA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto emerso nel corso di una recente audizione in Commissione antimafia, personaggi di spicco della criminalità sarebbero beneficiari di trattamenti previdenziali di vario tipo;
numerosi boss mafiosi, al raggiungimento dei requisiti anagrafici, percepirebbero la pensione sociale o, comunque, il trattamento pensionistico spettante per l'attività lavorativa svolta come copertura della carriera criminosa;
addirittura sembrerebbe che taluni mafiosi abbiano ottenuto l'indennità di disoccupazione durante i loro periodi di latitanza;
tale vicenda inquietante ha provocato dure reazioni nel mondo politico, tanto da comportare la immediata presentazione di una proposta di legge per escludere che cittadini indegni come i superboss mafiosi possano maturare il diritto alla prestazione solo in presenza di requisiti contributivi e, talvolta, di reddito;
è doveroso evitare che simili criminali possano fruire di qualsiasi trattamento previdenziale da parte dello Stato, tale da determinare un clamoroso spreco di danaro pubblico, oltre che una palese ingiustizia nei confronti dei familiari delle vittime e dei cittadini onesti;
appare scandaloso che lo Stato italiano, fatti salvi diritti realmente acquisiti, versi un vitalizio a persone che si sono macchiate di feroci delitti, considerati tutti i cittadini onesti che attendono da tempo e dopo lunghi e faticosi anni di lavoro l'accoglimento della domanda di pensione -:
se i Ministri intendano rendere noto, attraverso la comparazione dei dati in loro possesso, quanti e quali criminali mafiosi usufruiscano di un trattamento previdenziale, quali siano giuridicamente le condizioni di acquisizione di tali pensioni e se in tale situazione si trovino persone che percepiscono, oltre al trattamento previdenziale, anche assegni previsti dal piano di protezione pentiti;
se i Ministri vogliano appurare e rendere noto l'onere a carico dello Stato per l'erogazione dei trattamenti previdenziali in questione.
(4-07677)

SCILIPOTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
lo Stato dice di voler favorire l'occupazione, ma ostacola in tutti i modi l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. In piena crisi occupazionale, si fa sempre più usuale e consueta la pratica di assumere pro tempore pensionati tolti dai processi produttivi e subito richiamati dallo Stato o da aziende che i lavoratori avevano lasciato, magari a seguito di un lauto compenso composto da TFR e buonuscita. Il danno si associa alla beffa costituita dal fatto che molti di questi lavoratori erano andati in pensione usufruendo dei benefici di legge previsti per i lavoratori esposti all'amianto, arrivando così a usufruire di sconti contributivi utili per il conseguimento della pensione che, in alcuni casi, arrivano fino a otto anni. E sono soldi a carico della collettività. Se questi lavoratori hanno voluto a tutti i costi anticipare la pensione, non si comprende perché non continuino ad essere impiegati nel ciclo produttivo. Sarebbe giusto lasciare spazio ai tanti giovani disoccupati: viviamo in tempi nei quali, per un salariato, è difficile arrivare a chiudere la terza settimana. Le aziende, volano produttivo del Paese, avrebbero il dovere di offrire opportunità ai giovani e di investirli di nuove opportunità, piuttosto che ridare spazio chi ha già operato

la scelta di uscire dal ciclo produttivo. Sarebbe dunque auspicabile rimarcare i bei propositi manifestati, da parte datoriale, in presenza dei media, abbandonando atteggiamenti di totale chiusura verso il futuro rappresentato dalle nuove generazioni. Da parte sindacale, anche se completamente disarmati dall'azione del Governo che dice di voler contrastare la disoccupazione, occorre indirizzare lo sguardo verso il futuro concertando l'ingresso di nuove e giovani forze in un mondo sempre più competitivo e necessariamente specializzato. Di tossico non c'è solo l'inquinamento dell'ambiente, o gli oltraggi paesaggistici, ma anche l'avversità con la quale le popolazioni locali nutrono verso le aziende del Petrolchimico: sempre meno occupati, sempre più giovani senza futuro e identità. È compito sinergico di tutti gli attori in campo il far sì che questo malcostume cambi: ai pensionati tocca riposare e godersi la tanto agognata meta; ai politici far sì che si possano apportare modifiche e correttivi ad una legge che, di fatto, nega un futuro alle nuove generazioni; alle organizzazioni sindacali spetta il compito di fare pressioni presso le aziende per frenare questa tragica anomalia che contribuisce del lavoro negato ai giovani e riciclato ai pensionati;
la politica occupazionale della Polimeri Europa di Priolo, la quale ha proceduto alla riorganizzazione semplicemente eliminando due posizioni di lavoro senza badare agli aspetti legati alla sicurezza sconcerta l'interrogante, è una pratica abbastanza diffusa, quella di ridurre il personale, con discussione a tavolino tra le organizzazioni sindacali confederali CGIL, CISL e UIL con il risultato finale di condurre a casa, senza essere stati rimpiazzati, tantissimi lavoratori. Il risultato: le aziende del Petrolchimico siracusano sono tutte sottodimensionate dal punto di vista del personale -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta in premessa;
se sia intenzione del Governo procedere ad interventi volti a salvaguardare e promuovere la creazione di posti di lavoro per le nuove generazioni.
(4-07680)

DI GIUSEPPE e ZAZZERA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il comma 4 dell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008 (convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 6 agosto 2008), concernente «norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale utilizzo delle risorse umane della scuola» stabilisce che il rapporto docenti/alunni debba essere portato da 20,6 alunni per classe a 21 alunni per classe;
il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nello specifico, con la circolare n. 37 del 13 aprile 2010 ha ulteriormente stabilito che:
a) le sezioni di scuola dell'infanzia «saranno costituite con un numero di bambini non superiore a 26 e non inferiore a 18. Eventuali eccedenze saranno ripartite fino a 29 alunni per classe»;
b) le classi di scuola primaria saranno formate «da non meno di 15 e non più di 26 alunni, elevabili a 27 in presenza di resti»;
c) le classi prime di scuola secondaria di 1o grado saranno costituite, di norma, «da non più di 27 alunni e non meno di 18. Le eventuali eccedenze sono ripartite fino ad un massimo di 29 alunni. Si costituisce una sola classe qualora il numero degli iscritti sia inferiore a 30. Le classi seconde e terze dovranno essere, di norma, pari alle prime e alle seconde a condizione che la media non sia inferiore a 20 alunni per classe»;
d) le classi di scuola secondaria di 2o grado saranno costituite di regola «con 27 alunni: il numero delle classi in un'istituzione scolastica, si calcola dividendo il

numero complessivo degli alunni iscritti per 27. Eventuali eccedenze saranno distribuite nelle classi fino ad un massimo di 30 alunni»;
il decreto interministeriale del 18 dicembre 1975, emanato dai Ministeri dei lavori pubblici e della pubblica istruzione, stabilisce i parametri spaziali minimi che vanno messi a disposizione di ogni persona presente nelle aule scolastiche (docenti compresi), quantificati improrogabilmente in 1,80 metri quadrati netti per la scuola dell'infanzia, la scuola primaria, nonché per la scuola secondaria di primo grado, mentre i parametri vengono quantificati in 1,96 metri quadrati netti per le scuole secondarie di secondo grado;
il decreto del 26 agosto 1992 del Ministero dell'interno recante «Norme di prevenzione incendi per l'edilizia scolastica», al punto 5, stabilisce nel numero di 26 il limite massimo di persone presenti in un'aula (docenti compresi);
il decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 (che ha preso il posto del decreto legislativo n. 626 del 19 settembre 1994), recante l'applicazione delle norme in tutti i luoghi pubblici ed in tutti i luoghi di lavoro, non è che la versione italiana della direttiva europea in merito e che segnatamente per la parte relativa alla sicurezza nelle scuole la sua applicazione è stata rinviata, appunto dal 1994, con grave nocumento dell'immagine del nostro Paese;
nonostante la tragedia dell'Aquila, in materia di messa in sicurezza, relativamente al rischio sismico, la proroga stabilita ha termine al 10 giugno 2010, mentre, a tutt'oggi, nulla risulta sia stato fatto di pianificato ed operativo in merito;
il regime di prorogatio della normativa risalente al decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, recante l'applicazione delle norme di sicurezza nelle scuole, sta esponendo ogni giorno milioni di persone a rischi incalcolabili;
per la vera e propria messa in sicurezza delle scuole, secondo le dichiarazioni del responsabile della Protezione civile, Guido Bertolaso, per il 2008 e 2009 questo Governo ha messo a disposizione solo 600 milioni, quando sarebbero stati necessari 13 miliardi di euro (dichiarazione resa in Parlamento dopo il disastro derivato dal crollo del soffitto avvenuto al liceo di Rivoli) -:
se, nelle more di un'applicazione integrale della risistemazione strutturale delle scuole, non si ritenga di scongiurare almeno i rischi maggiori, promuovendo il rispetto di elementari misure di precauzione inerenti all'affollamento delle aule;
se non si ritenga quindi giunto il momento, onde prevenire «tragedie annunciate», di regolare l'affollamento delle aule in modo preciso ed uniforme su tutto il territorio nazionale, considerato che la semplice definizione della capienza delle aule da parte dei dirigenti scolastici responsabili della sicurezza negli edifici non comporterebbe in sé costi aggiuntivi, eliminando tuttavia i rischi incombenti;
se non si ritenga quindi di dover disporre l'affissione, fuori da ogni aula, della metratura e cubatura, nonché del numero massimo di persone che l'aula stessa può contenere (docenti inclusi) e che eventuali deroghe alle citate norme in materia vengano, come espressamente prevede il decreto del 26 agosto 1992 del Ministero dell'interno, verificate e controfirmate dai dirigenti scolastici, cosa non disposta dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e, di fatto, non effettuata nelle scuole;
se non si ritenga, di converso, di dover almeno disporre la formazione delle classi conformemente al decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008;
come intendano, ciascuno per la parte di competenza, rendere effettiva l'applicazione dei decreti ministeriali del 26 agosto 1992 e del 18 dicembre 1975 nelle scuole.
(4-07685)

PARI OPPORTUNITÀ

Interrogazione a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano Il Messaggero nella sua edizione del 16 giugno 2010 ha informato di un increscioso episodio patito da un disabile in carrozzella in attesa di poter accedere su un autobus della linea 310, alla fermata di viale Ippocrate a Roma;
arrivato l'autobus, l'accompagnatrice avrebbe chiesto all'autista di estrarre la pedana di cui l'autobus dovrebbe essere munito per sollevare la carrozzina; il conducente avrebbe sostenuto che l'autobus ne era sprovvisto, cosa palesemente non vera dal momento che a bordo della vettura c'erano tutti gli strumenti per l'ancoraggio della sedia a rotelle e gli appositi pulsanti per il bloccaggio e lo sbloccaggio della stessa; solo dopo svariate insistenze da parte dell'accompagnatrice, che mostrava come l'autobus fosse provvisto dell'apposita pedana, finalmente il conducente provava ad attivare il meccanismo, senza peraltro riuscirci; la carrozzina con il giovane doveva quindi essere issata a mano, con l'aiuto di alcuni passeggeri;
racconta l'accompagnatrice all'autrice dell'articolo pubblicato da Il Messaggero, Ebe Pierini, «abbiamo fatto decine di reclami al numero per la segnalazione dei disservizi indicando i numeri di vettura di autobus con pedane non funzionanti ma non cambia nulla. Dovremmo trovare il coraggio di bloccarlo davvero un giorno un autobus e di pretendere che il servizio a favore dei disabili venga fornito»;
quanto accaduto appare inaccettabile -:
quali iniziative si intendano promuovere per garantire il diritto alla mobilità dei disabili.
(4-07692)

TESTO AGGIORNATO AL 15 FEBBRAIO 2011

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

NASTRI e CARLUCCI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il maxisequestro di circa 70 mila mozzarelle dal colore «blu», da parte dei carabinieri dei Nas di Torino, provenienti da uno stabilimento industriale tedesco, ripropone nuovamente il problema della sicurezza alimentare e dei controlli da parte delle autorità preposte nel nostro Paese;
le mozzarelle sequestrate, destinate ad essere messe in commercio presso una importante catena italiana di supermercati discount, secondo quanto risulta ai militari che hanno provveduto al sequestro cautelativo sanitario, a seguito della denuncia di una donna, all'atto dell'apertura mutavano rapidamente colore, assumendo una impressionante pigmentazione blu;
il responsabile della colorazione blu sarebbe, a giudizio della procura di Torino, un batterio contenuto nel liquido della confezione, sebbene le analisi presso l'Istituto zooprofilattico, siano appena iniziate;
secondo una ricerca effettuata dalla Coldiretti, circa la metà delle mozzarelle in vendita in Italia, è prodotta con latte straniero o addirittura una su quattro con cagliate industriali (semilavorati) provenienti dall'estero e soprattutto a giudizio della stessa Coldiretti, per un prodotto su due non è obbligatorio indicare in etichetta la provenienza, e conseguentemente

il rischio di aumento di frodi alimentari aumenta notevolmente;
appare pertanto indispensabile aumentare non soltanto i livelli di controlli della qualità dei prodotti agro-alimentari sia italiani che quelli provenienti dall'estero, ma anche le analisi che consentano come nel caso dei latticini, di rilevare se una mozzarella sia stata realmente prodotta con latte fresco o se invece è stata realizzata utilizzando cagliate congelate o refrigerate vecchie -:
quali iniziative intendano intraprendere, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di tutelare e salvaguardare la produzione agro-alimentare italiana, nonché quella in particolare riconducibile al cosiddetto made in Italy come la mozzarella, che a seguito del sequestro avvenuto, rischia la perdita di immagine e di competitività in Italia e all'estero;
se abbiano avviato le opportune verifiche, al fine di accertare se nella regione Piemonte e in tutto il Paese, siano stati messi in vendita prodotti similari provenienti dalla Germania e sfuggiti dal controllo dei carabinieri dei Nas;
in caso affermativo, se sussistano pericoli per la salute dei consumatori, ove avessero consumato a loro insaputa la mozzarella proveniente dalla Germania;
se non ritengano opportuno assumere iniziative, anche normative, per prevedere l'obbligatorietà dell'indicazione nell'etichetta dell'origine del latte impiegato.
(5-03088)

Interrogazione a risposta scritta:

NEGRO e STUCCHI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'UNIRE (Unione nazionale incremento razze equine) versa, da tempo, in una grave crisi finanziaria e funzionale che, recentemente acuitasi, ha reso necessaria la nomina di un commissario straordinario avvenuta il 13 marzo 2010; in data 13 aprile 2010, il commissario straordinario ha presentato al Ministero vigilante un programma di risanamento sulla base delle «Linee di indirizzo strategico per il rilancio dell'ippica» elaborate dallo stesso dicastero;
punto nodale del suddetto programma di risanamento era la risoluzione della posizione debitoria dell'ente, attraverso la presa in carico della stessa, da parte del Ministero vigilante; tale passaggio era fondamentale per consentire all'UNIRE di continuare a svolgere i suoi compiti istituzionali e, quindi, anche ai fini della predisposizione, da parte delle stesso ente, del bilancio preventivo per il 2010;
alla presentazione del programma di risanamento sono seguiti scambi di documentazione, tra il commissario straordinario ed i competenti uffici ministeriali che, in ultimo, hanno richiesto puntualizzazioni ed ulteriori proposte, comunque, fornite dallo stesso commissario; nonostante ciò, il Ministero vigilante, in data 13 maggio 2010, in modo, apparentemente, inaspettato ha comunicato di non avere approvato il bilancio preventivo per il 2010 e, quindi, di avere rigettato le proposte di risanamento avanzate dal commissario straordinario, lasciando sull'ente l'onere del rientro dalla posizione debitoria e, costringendo, di fatto, il commissario alle dimissioni -:
se e quali provvedimenti urgenti si intendano assumere per risanare l'UNIRE e consentire la prosecuzione delle indispensabili funzioni istituzionali a sostegno dei settori dell'allevamento equino e dell'ippica;
se non si ritenga di riconsiderare il programma di risanamento presentato il 13 aprile 2010, rinnovando l'incarico al commissario dimissionario.
(4-07686)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:

PALAGIANO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 10 maggio 2010, in occasione dell'Euromelanoma Day, giornata dedicata alla prevenzione e alla diagnosi precoce del melanoma e dei tumori della pelle, è stata illustrata una ricerca statunitense pubblicata su Lancet Oncology e condotta da un gruppo di venti esperti, provenienti da nove Paesi, secondo la quale l'utilizzo delle lampade solari è aumentato dall'1 per cento della popolazione nel 1988 al 27 per cento nel 2007;
da uno studio condotto dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) e pubblicata sull'International Journal of Cancer, risulta che l'uso delle lampade abbronzanti prima dei 35 anni aumenta del 75 per cento il rischio di sviluppare il melanoma;
il melanoma è uno dei tumori maligni della pelle più aggressivi e la sua causa - oltre a fattori di rischio genetici e quindi non eliminabili - è da attribuire all'eccessiva e scorretta esposizione ai raggi ultravioletti (UV);
secondo i dati dell'Istituto superiore di sanità, in Italia ogni anno se ne registrano 10 nuovi casi ogni 100 mila uomini, 9 casi ogni 100 mila donne. A causa del melanoma muoiono 5 abitanti su 100 mila all'anno e l'incidenza di questa grave patologia aumenta dal 3 per cento al 7 per cento ogni anno;
per ridurre in maniera significativa il rischio di sviluppare un melanoma attraverso un'adeguata prevenzione è necessaria una corretta esposizione solare e di conseguenza un corretto uso delle lampade abbronzanti, molto diffuse nel nostro Paese, specie tra le giovani donne;
già in un documento pubblicato nel 2003 dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) erano riassunti in tre punti i rischi associati all'esposizione ai raggi Uv: cancro alla pelle, invecchiamento cutaneo, danni alla vista;
constatando le attuali evidenze scientifiche, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Organizzazione mondiale della sanità ha deciso di classificare le apparecchiature Uv nella categoria dei «cancerogeni per l'uomo»;
le lampade solari in California sono vietate ai minorenni e sono sempre state considerate dagli esperti molto dannose;
in Europa i lettini solari sono vietati ai minori in Spagna, Francia e Germania;
in Gran Bretagna sta per essere introdotto un provvedimento attraverso il quale si pensa di proibire l'uso di lettini e docce Uv ai minori di 18 anni; questa decisione è stata supportata dai risultati di un rapporto commissionato dal governo inglese, dal quale è emerso che il 6 per cento dei ragazzini di età compresa tra gli 11 e i 17 anni ha usato un lettino solare almeno una volta;
in Italia, invece, non esistono limiti ed è assente una normativa che stabilisca delle regole da rispettare per le caratteristiche tecniche delle apparecchiature usate nei centri di bellezza e per la formazione del personale che aiuta il cliente;
in Italia sono circa 13.000 gli esercizi commerciali autorizzati (solarium, centri estetici) che utilizzano apparecchiature provviste di sorgenti di radiazione Uv per l'abbronzatura artificiale della pelle, non tutti però - secondo le associazioni di categoria - sarebbero autorizzati; inoltre, un numero non trascurabile di palestre, negozi di parrucchieri e alberghi, offre alla loro clientela l'uso di apparecchiature e lampade abbronzanti;
pochissimi centri chiedono al cliente se stia assumendo farmaci, se faccia uso di una pillola anticoncezionale, se abbia usato cosmetici prima dell'esposizione; quasi nessuno si informa sul grado di sensibilità della pelle al sole, solo la metà fornisce gli occhialini, essenziali per proteggere

gli occhi dai raggi, troppo pochi sconsigliano l'uso delle lampade ai minori -:
se non intenda, sulla base di quanto esposto e sulla scia di quanto fatto da altri Paesi d'Europa e del mondo, assumere iniziative per prevedere il divieto all'utilizzo delle lampade abbronzanti per i minori di 18 anni;
se non intenda promuovere uno studio scientifico sul tema così che i dati relativi al legame tra melanoma e lettini abbronzanti siano tarati sul nostro Paese;
se intenda promuovere un'iniziativa normativa ad hoc che regolamenti nel nostro Paese l'uso delle lampade abbronzanti, evidenziando gli eventuali rischi, obbligando il personale che gestisce i centri autorizzati ad una determinata formazione professionale al fine di fornire una corretta informazione al cliente e tutelarne così la salute.
(4-07682)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro per i rapporti con le regioni. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano Nuova Venezia nella sua edizione del 16 giugno 2010 ha pubblicato un articolo nel quale si riferisce di un impegno della regione Veneto per la realizzazione a Lavagno (Verona) di un centro di ricerca «Quo Vadis», il cui obiettivo, secondo il suo promotore don Luigi Verzè è riuscire, sulla base della genomica, a preconizzare le patologie alle quali una persona può andare incontro nel corso della sua vita, e portare l'età media dell'uomo a 120 anni -:
se il progettato centro di ricerca «Quo Vadis» sarà realizzato interamente con fondi privati, o se sia prevista una partecipazione pubblica di Stato;
in caso vi sia una partecipazione pubblica, a quanto ammonti lo stanziamento.
(4-07696)

TESTO AGGIORNATO AL 22 GIUGNO 2009

...

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:

PILI, MURGIA, VELLA, NIZZI e PORCU. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 11, comma 14, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, concernente «Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale», risulta così modificato dalla legge n. 99 del 2009:
«14. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 8, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 56 del 9 marzo 1994, la regione Sardegna assegna una concessione integrata per la gestione della miniera di carbone del Sulcis e la produzione di energia elettrica con la cattura e lo stoccaggio dell'anidride carbonica prodotta»;
al concessionario è assicurato l'acquisto da parte del Gestore della rete di trasmissione nazionale s.p.a. dell'energia elettrica prodotta ai prezzi e secondo le modalità previste dal citato decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994. La regione Sardegna assicura la disponibilità delle aree e delle infrastrutture necessarie e assegna la concessione mediante procedure di gara «entro il 31 dicembre 2010»;
il Comitato di coordinamento istituito ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994 esercita funzioni di vigilanza e monitoraggio, fino all'entrata in esercizio dell'impianto di produzione di energia elettrica oggetto della concessione. Gli elementi da prendere in considerazione per la valutazione delle offerte, previo esame dell'adeguatezza della struttura economica e finanziaria del progetto ai fini dell'assegnazione della concessione sono:
a) massimizzazione del rendimento energetico complessivo degli impianti;

b) minimizzazione delle emissioni con utilizzo di tecnologia idonea al contenimento delle polveri e degli inquinanti gassosi, in forma di gassificazione, ciclo supercritico o altro equivalente;
c) contenimento dei tempi di esecuzione del progetto;
d) definizione di un piano industriale quinquennale per lo sfruttamento della miniera e la realizzazione e l'esercizio della centrale di produzione dell'energia elettrica;
e) presentazione di un programma di attività per la cattura ed il sequestro dell'anidride carbonica emessa dall'impianto;
l'unica risorsa carbonifera italiana è concentrata nel bacino del Sulcis Iglesiente, localizzato nella Sardegna sud-occidentale;
si tratta di un deposito di carbone sub-bituminoso di età eocenica, costituito da numerosi strati di carbone, con potenze variabili da pochi centimetri a qualche metro, intercalati a calcari, marne, argille carboniose ed arenarie;
l'attuale area di interesse minerario, che ricopre solo una limitata parte del bacino (circa 20 chilometri quadrati) contiene, in base alle più recenti stime sulle riserve coltivabili nelle attuali condizioni, oltre 57 milioni di tonnellate di carbone mercantile con potere calorifico maggiore di 5000 kcal/kg ed elevato contenuto di ceneri e zolfo;
il bacino carbonifero, le cui attività estrattive erano state sospese nel 1972, è stato riattivato nel 1997 nel quadro del piano di disinquinamento del territorio Sulcis Iglesiente;
in particolare, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 gennaio 1990, il territorio del Sulcis Iglesiente è stato dichiarato «area ad elevato rischio di crisi ambientale» in relazione all'elevata concentrazione di impianti industriali ed energetici. Il relativo piano di disinquinamento e risanamento, approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 aprile 1993 ed attuato con successivo decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994, prevede fondamentalmente due piani di azione:
a) interventi sugli impianti industriali esistenti, finalizzati ad un adeguamento dei limiti di emissioni nell'ambiente ed al ripristino di specifiche situazioni di degrado;
b) promozione dello sviluppo congiunto minerario ed energetico del Sulcis Iglesiente, la cui origine risale alla legge n. 351 del 1985 («Norme per la riattivazione del bacino minerario del Sulcis») ed ai successivi studi finalizzati all'utilizzo energetico ed eco-compatibile del carbone Sulcis. In sintesi, il decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994 («Attuazione del piano di disinquinamento del territorio del Sulcis Iglesiente») stabilisce che, ai fini dello sviluppo del bacino carbonifero del Sulcis, venga affidata una «concessione integrata per la gestione della miniera di carbone del Sulcis e la produzione di energia elettrica e cogenerazione di fluidi caldi mediante gassificazione»;
attualmente la miniera ha una capacità produttiva di circa 400.000 tonnellate all'anno. Alla centrale ENEL Produzione di Portovesme sono destinate 300.000 tonnellate annue di carbone, conferite in quantità mensili di 20-25.000 tonnellate, compatibilmente con le esigenze produttive dell'ENEL. La società Carbosulcis dispone di un organico complessivo di circa 500 minatori;
il coordinamento regione/Ministero delle attività produttiva ha elaborato nel corso del 2002 e dei primi mesi del 2003 alcune ipotesi alternative in linea con quelle previste dal regolamento comunitario (CE) n. 1407 del 2002 sugli aiuti di Stato all'industria carbonifera;
l'Italia importa via mare circa il 99 per cento del totale del proprio fabbisogno di carbone ed esso viaggia, per la metà, su

navi bulk carrier della flotta italiana, composta da circa 60 imbarcazioni con una capacità complessiva di carico superiore ai 4,6 milioni di tonnellate. Per quanto riguarda le provenienze, esse sono molto diversificate in relazione alla qualità ed agli impieghi dei carboni richiesti dal sistema industriale nazionale. I principali Paesi d'importazione sono gli USA, il Sud Africa, l'Australia, l'Indonesia e la Colombia, con quote significative provenienti anche dal Canada e dal Venezuela;
le importazioni totali di combustibili solidi fossili sono diminuite dell'1 per cento circa, passando dai 20,1 milioni di tonnellate del 2001 ai 19,8 del 2002: il contributo maggiore è derivato dal carbone da vapore (+11 per cento) e dal coke metallurgico (+12 per cento), mentre il carbone da coke ha fatto registrare un calo del 24 per cento;
l'impiego pulito del carbone potrebbe inoltre beneficiare delle iniziative avviate nel settore delle tecnologie per la cattura ed il sequestro dell'anidride carbonica, che risulta anche fortemente complementare a quello della produzione di idrogeno come vettore energetico. In tale prospettiva nel giugno 2003 l'Italia ha aderito al «Carbon Sequestration Leadership Forum», un'iniziativa di collaborazione internazionale promossa dagli Stati Uniti per finalizzare e concentrare gli sforzi per lo sviluppo di tecnologie per la cattura ed il sequestro dell'anidride carbonica;
l'allora Ministero delle attività produttive e la Regione autonoma della Sardegna hanno siglato il 25 febbraio 2003, una piattaforma programmatica per il rilancio dell'area del Sulcis. In tale ambito hanno previsto l'affidamento di uno «studio di fattibilità per gli approfondimenti riguardanti l'individuazione delle opportune soluzioni tecnologiche, la sostenibilità economico-finanziaria, amministrativa e soprattutto ambientale con particolare riferimento alle condizioni circa la realizzazione di una capacità produttiva termoelettrica, che, oltre al rilancio della miniera, possa consentire favorevoli ricadute anche come alimentazione elettrica per le industrie di base dell'area, verificando la possibilità di costi dell'energia comparabili con quelli attualmente riconosciuti dai regimi speciali in essere»;
in attuazione di quanto previsto nella citata piattaforma programmatica, la Regione Autonoma della Sardegna - assessorato dell'industria ed il Ministero dello sviluppo economico, hanno costituito un comitato tecnico per sovrintendere all'affidamento ed alla realizzazione dello studio di fattibilità ed hanno incaricato la società Sotacarbo spa per la predisposizione dello stesso;
lo studio «progetto integrato miniera-centrale», partendo dall'analisi di fattibilità tecnica, ambientale, normativa, economica e finanziaria di un progetto integrato finalizzato allo sviluppo della miniera di carbone del Sulcis ed alla sua verticalizzazione con una nuova centrale termoelettrica, con disponibilità di energia in eccesso, al fine di favorire lo sviluppo socio economico dell'area, ha individuato uno schema progettuale realizzabile e le azioni necessarie alla sua implementazione;
l'analisi del quadro normativo è stata incentrata sul decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 aprile 1993 «Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio del Sulcis Iglesiente», sul decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994, quale strumento di attuazione per lo sviluppo congiunto minerario ed energetico del Sulcis Iglesiente, sulle modifiche intervenute nell'ambito della legge n. 99 del 2009 e sui regolamenti comunitari in materia;
il piano di disinquinamento si pone come obiettivo quello di individuare le misure più urgenti per rimuovere le situazioni di rischio e per favorire il ripristino ambientale dell'area;
il piano contestualmente indica l'importanza di avviare un processo parallelo di innovazione tecnologica in grado di incrementare la produttività e l'occupazione;

tra i programmi di sviluppo che devono conciliarsi con l'operazione di disinquinamento dell'area, il piano fa riferimento esplicito a quelli relativi allo sfruttamento minerario del bacino carbonifero del Sulcis;
il decreto del Presidente della Repubblica prevede l'affidamento di una concessione integrata, di durata trentennale, per la gestione della miniera del Sulcis e la realizzazione e gestione di un impianto IGCC per la produzione di energia elettrica;
per favorire il perseguimento degli obiettivi di sviluppo e disinquinamento, già definiti dal piano di disinquinamento, il decreto prevede la concessione di un articolato quadro agevolativo (la messa a disposizione gratuita dell'area, il trasferimento a titolo gratuito della titolarità delle concessioni minerarie della Carbosulcis SpA, la concessione di agevolazioni finanziarie, l'assimilazione della gassificazione del carbone Sulcis alle fonti rinnovabili, la possibilità di cessione all'Enel del carbone prodotto fino all'entrata in esercizio degli impianti di gassificazione, un prezzo di cessione incentivato per l'energia elettrica prodotta) nel rispetto di precisi vincoli (l'utilizzo della tecnologia di gassificazione integrata a ciclo combinato, l'adozione di una potenza elettrica netta di impianto compresa tra 350 e 450 megawat, il rispetto dei vincoli ambientali prefissati, il mantenimento dei livelli occupazionali per tutta la durata della concessione, e, da ultimi, la cattura e lo stoccaggio di CO2. A questi vincoli si sono aggiunti anche quelli scaturiti dal giudizio di compatibilità ambientale emesso dal Ministero dell'ambiente il 4 agosto 1999 (DEC/VIA/3865);
a causa della mancata realizzazione del progetto integrato così come predisposto da ATI Sulcis, in ottemperanza al dettato del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994 e delle prescrizioni ad esso collegate, la ristrutturazione e il rilancio della miniera richiedono necessariamente l'individuazione di nuove soluzioni tecnologiche in grado di coniugare esigenze ambientali ed economiche;
dall'analisi del sistema elettrico regionale è risultata evidente la condizione di notevole svantaggio della Sardegna rispetto alle altre regioni italiane ed europee in ordine ai seguenti fattori:
mancanza di disponibilità del gas naturale;
più elevato costo dell'energia;
più limitate possibilità di innovazione tecnologica nel settore energetico;
maggiore costo della protezione ambientale;
maggiore vulnerabilità del sistema in caso di crisi petrolifera;
esigenze di autosufficienza e maggior costo dell'infrastrutturazione in relazione alla situazione di insularità;
è risultato inoltre evidente che il processo di liberalizzazione del mercato dell'energia potrebbe avere effetti non immediati e comunque più limitati in Sardegna rispetto al resto del territorio nazionale. È prevedibile infatti che ciò determinerà senz'altro benefici sensibili e immediati nel resto dell'Italia dove esistono maggiori potenzialità di sviluppo della concorrenza per la presenza di numerosi soggetti produttori e distributori pubblici e privati e per la possibilità di integrazione con le reti di altri Paesi comunitari. Non altrettanto potrà avvenire in Sardegna, almeno nel breve periodo, in relazione alla sua condizione di insularità, al limitato territorio e alle ridotte possibilità di integrazione con il resto del sistema nazionale e, quindi, alle scarse potenzialità di sviluppo della concorrenza nel settore energetico;
per le altre regioni in condizioni di continuità territoriale la situazione di deficit o surplus, energetico, nell'ambito di un sistema basato su reti energetiche integrate a livello nazionale e transnazionale, non riveste particolare rilevanza; ciò non è per la Sardegna, per la quale è viceversa richiesta una maggiore autonomia, stante la mancanza di disponibilità di

gas naturale e i vincoli strutturali e di rete per quanto riguarda l'energia elettrica;
la carenza di riserva di potenza rappresenta un notevole elemento di criticità e di vulnerabilità per l'esercizio della rete sarda; il problema è aggravato dalla condizione di insularità poiché il supporto della rete nazionale è in ogni caso limitato dalla modesta potenzialità e dalla precarietà del collegamento con il resto del Paese;
il sistema elettrico della Sardegna necessita pertanto di un'adeguata riserva di potenza, ovvero di un adeguato sovradimensiona mento del parco di generazione;
il decreto del Ministro dell'industria del commercio artigianato del 7 agosto 2000, tra l'altro, stabilisce che «Nella regione Sardegna, ove è necessario assicurare nei prossimi anni una percentuale di riserva di potenza non inferiore all'80 per cento, anche in considerazione del fatto che la sicurezza del sistema elettrico sardo rende necessario esercire l'attuale interconnessione con flusso verso la penisola, il Gestore, nel programmare l'articolazione temporale dei contratti del servizio di riserva di potenza, assegna la priorità a nuove realizzazioni di impianti che utilizzano carbone e che non godano di strumenti di incentivazione in conto energia»;
gli scenari possibili di evoluzione del sistema di generazione elettrica della Sardegna evidenziano che il deficit di riserva è destinato ad accentuarsi nel prossimo futuro in considerazione dei seguenti fattori ed eventi:
nella sua attività di pianificazione il Gestore della rete di trasmissione nazionale considera un aumento della domanda di energia elettrica in Italia per il prossimo decennio al tasso medio annuo del 3 per cento, con un maggior valore, del 3,2 per cento, al sud e nelle isole;
la punta oraria di potenza richiesta dalla rete sarda aumenta con un tasso di crescita perfino superiore al tasso annuo di crescita della domanda di energia elettrica;
l'evoluzione della potenza del sistema di generazione del sistema elettrico regionale al 2012, considerando i soli impianti di generazione, evidenzia l'esigenza di porre rimedio con urgenza alla situazione di sofferenza del sistema di generazione elettrica della Sardegna che nel prossimo futuro sarà chiaramente caratterizzato, senza prospettive di immediata soluzione, da una crescente vulnerabilità e insicurezza di gestione;
l'esame degli scenari effettuati sull'evoluzione del sistema di generazione elettrica della Sardegna ha dimostrato che la realizzazione di una nuova centrale a carbone localizzata nel Sulcis e di una sua presunta entrata in servizio nei minimi tempi tecnici necessari, non è affatto strumentale alla sola soluzione del «problema Sulcis» ma può rappresentare un importante elemento di razionalizzazione del sistema di generazione elettrica della Sardegna, fondamentale per la ricostituzione della riserva di potenza dello stesso, a prescindere dai benefici che ne risulterebbero per i settori minerario e metallurgico del Sulcis;
l'analisi sulla domanda di energia elettrica si è incentrata sui consumi di energia delle industrie energivore del polo di Portovesme (stabilimento Eurallumina, stabilimento ALCOA, stabilimento ILA e stabilimento Portovesme srl) e loro previsioni;
la realizzazione di una nuova centrale da 650 megawat consentirebbe teoricamente di coprire l'intera domanda individuata, nei limiti dettati dalle esigenze di una gestione economicamente sostenibile, nonché dai vincoli di natura tecnico- normativa stabiliti dagli eventuali provvedimenti legislativi approvati ad hoc e dagli accordi che potranno essere liberamente stipulati dai vari operatori industriali coinvolti;
la centrale potrebbe teoricamente soddisfare l'intero fabbisogno di energia

elettrica del sistema industriale di Portovesme, per una potenza complessiva dell'ordine di 400 megawat, e la restante produzione, corrispondente ad una potenza di 250 megawat circa, potrebbe essere ceduta al Gestore della rete di trasmissione nazionale a prezzo incentivato. In alternativa la centrale potrebbe cedere al Gestore della rete di trasmissione nazionale, a prezzo incentivato, la massima quantità possibile di energia elettrica (corrispondente ad una potenza di 450 megawat con riferimento al decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1994) destinando allo sviluppo economico dell'area la restante quota corrispondente ad una potenza di circa 200 megawat, pari al 50 per cento circa dell'intero fabbisogno del sistema industriale di Portovesme;
la possibilità «teorica» di soddisfare il fabbisogno di energia elettrica del sistema industriale di Portovesme è pertanto verificata. Peraltro, la realizzazione della nuova centrale a carbone va oltre le specifiche esigenze del sistema industriale in questione;
l'Unione europea ha adottato il regolamento (CE) n. 1407/2002 del Consiglio del 23 luglio 2002 sugli aiuti di Stato all'industria carboniera;
tale regolamento comunitario esamina lo squilibrio concorrenziale del carbone comunitario rispetto al carbone importato, che ha imposto all'industria carboniera negli ultimi decenni l'adozione di importanti misure di ristrutturazione e riduzione di attività;
la Comunità è diventata sempre più dipendente dalle importazioni di fonti di energia primaria. Secondo il libro verde su una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento energetico, adottato dalla Commissione il 29 novembre 2000, una diversificazione delle fonti energetiche per zone geografiche e per prodotti consentirà di creare condizioni di approvvigionamento più sicure. Tale strategia prevede anche lo sviluppo di fonti interne di energia primaria, con particolare riferimento a quelle utilizzate nella produzione di elettricità;
risulta quindi necessario, come afferma il libro verde su una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento energetico, in base agli attuali parametri energetici, adottare misure che permetteranno di garantire l'accesso a riserve carboniere, e quindi una disponibilità potenziale di carbone comunitario;
il Parlamento europeo ha adottato il 16 ottobre 2001 una risoluzione sul libro verde della Commissione su una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento energetico, che riconosce l'importanza del ruolo del carbone in quanto fonte autoctona di energia. Il Parlamento ritiene che occorra prevedere un sostegno finanziario alla produzione carboniera, pur riconoscendo la necessità di accrescere l'efficacia di questo settore e di ridurne le sovvenzioni;
il rafforzamento della sicurezza energetica dell'Unione - che è espressione del principio generale di precauzione - è un obiettivo che giustifica quindi il mantenimento di capacità di produzione carboniera sostenute da aiuti di Stato;
una produzione minima di carbone contribuirà, unitamente ad altre misure, in particolare quelle dirette a promuovere le fonti rinnovabili, a mantenere una percentuale di fonti interne di energia primaria che consentirà di rafforzare significativamente la sicurezza energetica dell'Unione. Inoltre, una percentuale di fonti comunitarie di energia primaria contribuirà alla promozione degli obiettivi ambientali nel quadro di uno sviluppo sostenibile;
il regolamento (CE) n. 1407/2002 richiamato, conformemente al principio di proporzionalità, prevede che la produzione di carbone sovvenzionato deve essere limitata allo stretto necessario per contribuire efficacemente all'obiettivo di sicurezza energetica. Gli aiuti accordati dagli Stati membri saranno quindi limitati alla copertura dei costi di investimento o delle perdite alla produzione corrente quando lo sfruttamento si inserisce in un piano di accesso alle riserve carboniere;

gli aiuti di Stato volti a contribuire al mantenimento di un accesso a riserve carboniere a titolo della sicurezza energetica dovrebbero essere destinati alle unità di produzione che potrebbero contribuire a tale obiettivo a condizioni economiche soddisfacenti. L'attuazione di questi principi permetterà di erogare aiuti decrescenti all'industria carboniera;
una produzione minima di carbone sovvenzionata, secondo quanto previsto dal regolamento (CE) n. 1407/2002, contribuirà inoltre a mantenere la posizione preminente della tecnologia europea in fatto di estrazione e combustione pulita del carbone e consentirà di trasferirla nelle regioni grandi produttrici di carbone fuori dell'Unione. Tale politica contribuirà ad una riduzione significativa delle emissioni inquinanti e dei gas a effetto serra a livello mondiale;
sempre che siano compatibili con il regime istituito dal richiamato regolamento comunitario, gli Stati membri possono anche concedere, all'industria carboniera, aiuti alla ricerca e allo sviluppo, aiuti a favore della tutela dell'ambiente ed aiuti alla formazione. La loro concessione dovrà essere conforme alle condizioni e ai criteri stabiliti dalla Commissione per queste categorie di aiuti;
il regolamento (CE) n. 1407/2002 che stabilisce regole per la concessione di aiuti di Stato volti a contribuire alla ristrutturazione dell'industria carboniera si applica fino al 31 dicembre 2010;
il rilancio del progetto integrato «Miniera centrale» rappresenta la soluzione ottimale e decisiva per l'intero comparto energivoro del Sulcis senza il quale l'intero sistema produttivo rischia di trovarsi ad un punto di non ritorno con la cessazione delle tariffe speciali energetiche;
la legge nazionale n. 99 del 2009 ha dunque stabilito che la concessione mediante procedure di gara deve avvenire «entro il 31 dicembre 2010», così come il regolamento comunitario resta in vigore sino al 31 dicembre 2010;
i tempi a disposizione appaiono assolutamente ristretti e impongono un'immediata accelerazione di tutte le procedure tecniche e amministrative che risultano decisive per l'avvio del progetto richiamato in premessa;
sia la Regione Sardegna che il Governo nazionale non hanno ancora compiuto atti formali e sostanziali che possano far ritenere possibile il raggiungimento dell'obiettivo di rilancio del progetto «Miniera centrale Sulcis»;
il mancato raggiungimento di questo obiettivo costituirebbe un danno irrimediabile che andrebbe a sommarsi ai tanti e colpevoli ritardi del quinquennio 2004/2009 -:
se non ritenga il Ministro di dover convocare con urgenza un'apposita conferenza di servizi per verificare lo stato di attuazione delle norme previste nella legge n. 99 del 2009 relativamente all'utilizzo, del carbone del Sulcis e alla realizzazione del sistema integrato «Miniera centrale»;
se non ritenga indispensabile attivare le opportune interlocuzioni con la Commissione europea al fine di prevedere un percorso condiviso sia per la realizzazione del progetto «Miniera centrale» che per l'inserimento tra gli oneri a carico dello Stato anche di quelli relativi alla ricerca applicata relativa alla cattura e stoccaggio della CO2;
se non ritenga opportuno valutare, anche alla luce dei tempi ristretti, l'ipotesi di coinvolgimento diretto, in regime di autoproduzione, delle industrie energivore del Sulcis per la realizzazione della nuova centrale, considerato che a luglio 2003 Portovesme srl, Alcoa e Eurallumina avevano presentato al Ministero, attraverso la Regione, apposito progetto;
se non ritenga di valutare sin d'ora l'ipotesi di promuovere in sede comunitaria uno slittamento dei tempi di scadenza del regolamento (CE) n. 1407/2002, al fine sia di poter adempiere agli obblighi di

legge in materia di appalti e concessioni sia di poter meglio affrontare la questione rilevante degli oneri relativi alla cattura e stoccaggio della CO2.
(5-03089)

Interrogazione a risposta scritta:

COSENZA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la normativa comunitaria attualmente in vigore in materia di indicazione di origine geografica dei prodotti non protegge le produzioni artigiane di qualità dell'Italia e delle altre Nazioni europee rispetto a quelle provenienti dall'estero in virtù della globalizzazione;
dopo che, soprattutto a causa delle pressioni politiche da parte dei Paesi del Nord Europa, la proposta di regolamento (COM(2005)661) della Commissione europea sull'indicazione obbligatoria di origine geografica in etichetta non è stata approvata, oggi non è previsto un espresso obbligo di indicazione in etichetta dell'origine geografica per i prodotti provenienti da Paesi terzi;
ciò ha riflessi concretamente negativi anche nello specifico caso del nostro Paese, che a suo tempo varò - con l'articolo 6 del decreto legislativo n. 206 del 2005 - l'obbligo di indicazione di origine geografica per i prodotti importati in Italia dai Paesi non aderenti all'Unione europea senza poter però emanare il prescritto decreto attuativo a causa del suo contrasto con l'interpretazione prevalente che la Corte di giustizia delle Comunità europee dà al concetto di libera circolazione delle merci e al principio di non discriminazione commerciale basata su fattori geografici;
ciò danneggia inevitabilmente, da una parte, il diritto dei consumatori ad avere una piena e completa informazione sull'origine dei prodotti che si trovano ad acquistare e, dall'altra, la competitività delle varie economie nazionali, le cui eccellenze perdono la loro unicità finendo con l'essere indistinte, sugli scaffali di negozi e supermercati, rispetto ai prodotti di bassa qualità e a basso prezzo importati da Paesi terzi;
inoltre, la mancanza dell'obbligo di indicazione di origine geografica in etichetta favorisce anche il fiorire del grave fenomeno della contraffazione, aumentato a dismisura negli ultimi anni parallelamente all'affermazione della globalizzazione dei commerci, che per quanto riguarda il nostro Paese colpisce pesantemente il made in Italy. Le stime più attendibili sulle dimensioni della contraffazione - per esempio quella dell'Istituto di contromarca per la lotta alla contraffazione - parlano di un giro di affari annuo compreso tra 3,5 e 7 miliardi di euro. Di questi, il 60 per cento si riferisce a prodotti di abbigliamento e di moda (tessile, pelletteria, calzature). Il resto è riconducibile ai settori dell'orologeria, dei beni di consumo, della componentistica nonché al settore audiovisivo e software. Vi è inoltre la cosiddetta agropirateria che ogni anno, secondo l'Istat, costa all'agricoltura italiana perdite per circa 2,8 miliardi di euro, una cifra davvero enorme se si pensa che il settore agricolo ha un fatturato al consumo di 8,9 miliardi di euro ed un export di 1,8 miliardi di euro;
a parere dell'interrogante, alla luce dell'allarmante quadro esposto in premessa e tenendo anche conto delle positive prese di posizione del Governo in materia con alcune dichiarazioni del Viceministro Urso, sarebbe necessario che il nostro Paese avviasse un forte azione politica presso gli altri Paesi europei dotati di un tessuto produttivo di piccole e medie imprese di qualità simile al nostro per riavviare l'iter di approvazione del regolamento europeo in materia di indicazione di origine geografica in etichetta -:
se e in che modo sia possibile per l'Italia una normativa nazionale che, rispondendo ai legittimi allarmi degli imprenditori e nel rispetto dei princìpi comunitari, consenta di tutelare i prodotti italiani, quantomeno nei settori più strategici, come il tessile-abbigliamento-calzaturiero

e l'agroalimentare, attraverso l'obbligo di indicazione di origine geografica in etichetta per i prodotti importati dai Paesi non appartenenti all'Unione europea.
(4-07687)

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TURISMO

Interrogazione a risposta orale:

MARCHIONI. - Al Ministro per il turismo. - Per sapere - Premesso che:
il 3 giugno 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri, insieme al Ministro del turismo, ha presentato il progetto Italia & Turismo, un protocollo d'intesa con gli istituti di credito: Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banco popolare, Banca popolare di Milano e Banca popolare di Sondrio e con le tre confederazioni del turismo: Confturismo-Confcommercio, Federturismo-Confindustria e Assoturismo-Confesercenti;
il progetto, con l'obiettivo dichiarato di mettere a disposizione del comparto turistico disposizioni finanziarie aggiuntive, a condizioni vantaggiose, non prevedeva alcun contributo dello Stato, nessuna risorsa a fondo perduto e nessun incentivo; puntava tutto su un plafond creditizio messo totalmente a disposizione dalle banche di 1,6 miliardi di euro sotto forma di mutui da concedere in modo privilegiato alle aziende che operano in campo turistico;
il contributo delle banche doveva attuarsi, secondo il protocollo di intesa, non solo attraverso il sostegno creditizio allo sviluppo di nuovi investimenti, ma anche con «progetti pilota» finalizzati soprattutto ad aumentare la competitività delle piccole e micro imprese -:
se il Ministro, ad un anno dalla presentazione del progetto, sia in grado di fornire i dati relativi al numero degli operatori turistici che vi hanno aderito, i dati sull'entità dei finanziamenti erogati dalle banche, la loro distribuzione territoriale e per categorie di richiedenti e d'indicare per quali finalità sono stati richiesti ed erogati;
quanti «progetti pilota» siano stati presentati e finanziati, in quali settori e in quali regioni le piccole imprese ne hanno maggiormente usufruito.
(3-01134)

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Apposizione di una firma ad una mozione.

La mozione Polledri e altri n. 1-00008, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 maggio 2008, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Nicola Molteni e altri n. 4-00943, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 agosto 2008, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Nicola Molteni n. 4-02262, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 febbraio 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Nicola Molteni e Reguzzoni n. 4-03863, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 luglio 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Torazzi n. 4-04560, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 ottobre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

Ritiro di un documento di indirizzo.

Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: risoluzione in Commissione Dima n. 7-00345 del 9 giugno 2010.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta scritta Zazzera n. 4-07336 del 25 maggio 2010;
interrogazione a risposta orale Rao n. 3-01108 dell'8 giugno 2010.

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ERRATA CORRIGE

Interrogazione a risposta in Commissione Laratta n. 5-03075 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 339 del 17 giugno 2010, alla pagina 13873, prima colonna, dalla riga terza alla riga quarta, deve leggersi: «LARATTA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere -» e non «LARATTA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere -».