XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di martedì 30 marzo 2010

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
la decisione annunciata da Fiat auto di chiudere lo stabilimento automobilistico di Termini Imerese dal 2012 mette a rischio oltre duemila posti di lavoro e, quindi, oltre duemila famiglie, senza contare le altrettanto gravi ricadute occupazionali che inevitabilmente si determineranno sull'indotto, nel mezzo di una crisi che - come rilevato dai più importanti e prestigiosi istituti nazionali - colpisce maggiormente le aree e le fasce deboli del Paese;
la dirigenza Fiat ha motivato la propria intenzione di abbandonare lo stabilimento siciliano, affermando che produrre automobili a Termini Imerese costa all'azienda circa mille euro in più a vettura rispetto al resto d'Italia. Su questo calcolo gravano condizioni infrastrutturali pesantemente inadeguate e la mancanza di un indotto non sufficientemente sviluppato, che non permette attualmente all'azienda di esaurire il ciclo produttivo in Sicilia;
tuttavia, furono proprio queste difficoltà a portare Fiat, appena nel 2007, a dichiararsi favorevole alla sottoscrizione di un contratto di programma specifico, mediante il quale l'azienda si diceva pronta a raddoppiare gli occupati e triplicare indotto e produzione;
tale documento prevedeva investimenti da parte di Fiat auto per 1,2 miliardi di euro, risorse che sarebbero servite a sviluppare un indotto in grado di completare in loco il ciclo produttivo. Nello stesso testo lo Stato si impegnava a eliminare le diseconomie infrastrutturali e a sostenere il superamento di quelle industriali, assicurando all'impianto isolano una reale produttività, anche nel segno delle nuove tecnologie;
inoltre, nel 2008 Fiat auto ha sottoscritto con le parti sociali un accordo per aumentare di 250 unità l'occupazione nello stabilimento ed incrementare la produzione, con l'assegnazione a Termini Imerese di un nuovo modello di autovettura destinato a sostituire la Lancia Ypsilon;
quanto ai costi aggiuntivi dovuti ai gap infrastrutturali del territorio è utile sottolineare che è stata la stessa Fiat a dichiarare il proprio disinteresse sull'utilizzo del porto di Termini Imerese piuttosto che di un altro porto;
la decisione di Fiat di chiudere l'impianto produttivo di Termini Imerese appare quantomeno incoerente rispetto al piano industriale del gruppo, che, in maniera apprezzabile, prevede di aumentare la quantità di automobili prodotte in Italia;
va assolutamente scongiurata, in questa fase di recessione, l'ipotesi che il rafforzamento di Fiat sullo scenario internazionale possa tradursi nella riduzione della presenza del gruppo nel nostro Paese, o in una dequalificazione del ruolo degli stabilimenti che rimarranno in Italia, e, in particolare, che possa trasformarsi in un alibi per abbandonare proprio i territori più deboli e sottoutilizzati;
dopo anni di sostegno pubblico, appare grave e inaccettabile che Fiat auto si limiti a invocare le leggi di mercato per giustificare il proprio defilarsi dalla Sicilia. La dirigenza del Lingotto non può sottrarsi alle proprie responsabilità sociali. Se ciò accade è anche perché, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, fino a questo momento il Governo nazionale non ha espresso con dovuta chiarezza e precisione quali siano le priorità strategiche nazionali;
oggi più che mai è necessario che tutti gli attori in grado di salvaguardare il futuro industriale delle zone deboli facciano

la loro parte: un'azienda come la Fiat non può né deve sottrarsi a questa responsabilità di portata strategica e nazionale;
l'ipotizzato spin off dell'auto potrebbe rischiare di tradursi nell'emigrazione della Fiat dall'Italia se si considera che già oggi Fiat è un'azienda transnazionale: nel 2009 gli impianti brasiliani (750 mila vetture prodotte) hanno superato quelli italiani (722 mila vetture prodotte), sul totale della produzione automobilistica; il valore aggiunto creato in Italia raggiunge i 7 miliardi di euro, contro i 61 della Germania, i 19 della Francia e i 13 miliardi della Gran Bretagna;
la stessa cosa vale per gli occupati, la cui quota italiana è infinitamente minore di quella degli altri mercati; per la prima volta, oggettivamente, l'Italia non è più il centro di produzione per la Fiat e ciò impone un diverso atteggiamento da parte del Governo e diversi livelli e piani di interlocuzione politica, industriale e sindacale;
in tale quadro il Governo, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, si è mostrato superficiale e persino liquidatorio, specie per quanto riguarda la questione degli incentivi per il settore auto, tanto da insinuare il dubbio che non intenda spendersi fino in fondo per mantenere Fiat a Termini Imerese;
più in generale, il Governo non è apparso sinora in grado di affrontare seriamente il tema del futuro dell'industria dell'automobile nel nostro Paese, industria che sarà trainante anche negli anni a venire se si considera che molti Paesi, Stati Uniti in testa, stanno investendo molte risorse nella green economy e, in particolare, nei motori ecologici (elettrico, idrogeno e altri), il cui mercato è previsto nei prossimi decenni in forte espansione e che vedrebbe il nostro Paese del tutto assente;
al riguardo, sarebbe particolarmente grave se venissero confermate le notizie di stampa relative alla decisione di Fiat auto di produrre esclusivamente negli Stati Uniti la «500» con motore elettrico;
d'altra parte, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, anche il Governo siciliano non solo ha fatto molto poco per migliorare il contesto infrastrutturale e per creare un indotto anche al fine di trasformare il sito di Termini Imerese da stabilimento di solo assemblag gio a stabilimento pienamente produttivo, ma addirittura sotto la presidenza Cuffaro ha disatteso gli impegni che avrebbero consentito di dare attuazione all'accordo sottoscritto dal Governo Prodi con Fiat auto;
la ricaduta di un tale atteggiamento può essere grave non solo in termini occupazionali, ma anche per quanto riguarda la ricerca e l'innovazione; infatti, nel sistema manifatturiero italiano, la qualità e l'innovazione del settore dell'automobile costituiscono la più larga parte dell'innovazione e della ricerca dell'intero sistema industriale;
il 2010 sarà un anno difficile sia per la fine degli incentivi, sia per l'annunciato cambiamento societario della casa torinese, in una fase nella quale il mercato dell'auto tornerà alla normalità, senza che sia in vista una reale ripresa;
la virulenza e le peculiarità della recessione in atto rendono più che mai necessarie azioni di rilancio da parte del Governo dei comparti produttivi nelle zone deboli e non ammettono accordi al ribasso o peggio atteggiamenti passivi di fronte alla dismissione di importanti realtà industriali nelle aree depresse;
dopo la terza riunione del tavolo tra Governo e parti sociali sul polo industriale siciliano di Termini Imerese, convocato il 5 marzo 2010 presso il ministero dello sviluppo economico, secondo quanto riferito dagli organi di stampa, il ministero dello sviluppo economico ha reso noto di aver ricevuto ad oggi 16 manifestazioni di interesse, di cui 4 nel settore auto;
nelle stesse ore in cui diffondeva tali dichiarazioni, in maniera, ad avviso

dei firmatari del presente atto di indirizzo, del tutto contraddittoria, il ministero dello sviluppo economico ha annunciato che pubblicherà un bando internazionale «per attrarre investitori interessati» allo stabilimento della Fiat di Termini Imerese, con ciò facendo intendere di non considerare adeguate le annunciate manifestazioni d'interesse;
in particolare, il bando dovrebbe vedere la luce verso la fine di marzo 2010, quando, spiega ancora il ministero dello sviluppo economico, «verrà pubblicato sulle principali testate economiche internazionali un avviso finalizzato a ricevere ulteriori manifestazioni di interesse»;
in occasione dell'informativa su Termini Imerese svoltasi presso il Senato della Repubblica il 17 febbraio 2010, il Ministro dello sviluppo economico, onorevole Claudio Scajola, ha affermato che sul tavolo «ci sono 100 milioni da parte dello Stato» per migliorare le infrastrutture e per sostenere la ristrutturazione del polo produttivo. Tuttavia, non è ancora chiaro come il Governo abbia intenzione di investire queste risorse, posto che risulta di tutta evidenza l'inadeguatezza di tale dote per raggiungere gli obiettivi dichiarati, specialmente in ambito infrastrutturale;
a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, la linea del Governo appare ancora troppo vaga e gli stanziamenti decisamente sottodimensionati rispetto alle misure adottate e alle dotazioni stanziate dagli altri Stati europei e occidentali, come Germania e Stati Uniti, a salvaguardia delle proprie realtà industriali strategiche;
nel 2005 sul territorio siciliano erano attive 22 aziende che gravitavano nel sistema dell'indotto Fiat. Oggi ne operano appena 4, per la decisione di Fiat auto di lasciare a Melfi l'indotto relativo alla produzione del modello Ypsilon;
la chiusura di una delle poche realtà produttive importanti siciliane determinerebbe una desertificazione industriale e sociale difficilmente reversibile nell'attuale contesto congiunturale. L'effetto destabilizzante sull'intero «sistema Sicilia» creerebbe ripercussioni devastanti, facendo precipitare ulteriormente le condizioni di vita di una popolazione già allo stremo;
secondo dati Istat, infatti, in molte aree della Regione siciliana lavora in maniera regolare meno di una persona su due. E si tratta di un dato relativo al 2008, antecedente, quindi, il deflagrare della recessione;
uno studio Svimez pubblicato a febbraio del 2010 evidenzia che nel biennio 2008-2009 nell'industria meridionale sono stati persi 93 mila posti di lavoro, pari al 10 per cento degli occupati industriali. Una quota pari al triplo del calo registrato nelle regioni del Centro-Nord, che ha subito nel comparto industriale una flessione occupazionale pari al 3,7 per cento;
secondo elaborazioni effettuate su dati Istat, nello stesso periodo di riferimento l'occupazione nel compatto industriale è calata soprattutto in Campania, Puglia e Sicilia. In questi tre territori si sono persi complessivamente 69 mila posti di lavoro. Solo in Sicilia sono andati perduti nel comparto industriale oltre l6 mila posti di lavoro;
la realtà industriale di Termini Imerese, presente sul territorio da oltre quaranta anni, ha elevato ai massimi livelli gli standard di qualità e di professionalità delle maestranze inserite, ad ogni livello, nel ciclo produttivo automobilistico; questo patrimonio non può andare dissipato;
l'alta specializzazione e l'alta professionalità raggiunta dai lavoratori di Termini Imerese ha protetto il territorio da un destino di emigrazione collettiva. L'area di Termini Imerese è, infatti, tra le poche in Sicilia che non subisce una copiosa migrazione della popolazione giovanile qualificata;
l'esistenza sul territorio siciliano di importanti e affermate realtà pubbliche e private che si occupano di ricerca rende

possibile e auspicabile una sinergia con Fiat auto nel segno della progettazione e della produzione di autovetture eco-compatibili;
la tenuta del tessuto industriale in una zona a potenziale geopolitico elevato, come la Sicilia, appare in tutta evidenza una priorità strategica nazionale e in tale chiave va evidenziata l'importanza della dimensione euromediterranea;
la prospettiva di una stabile crescita economica dei Paesi che fanno riferimento al bacino euromediterraneo rappresenta un importante sbocco per le imprese meridionali e, in particolare, per quelle siciliane, che si pongono in una posizione assai privilegiata. La Sicilia deve trovare in questa area una dimensione ideale di sviluppo, sia in termini di piattaforma logistica che di vera e propria integrazione economica;
anche alla luce di questa prospettiva, di fronte al rischio di una vera e propria desertificazione del tessuto economico e sociale della Sicilia, il Governo ha il dovere di rilanciare con atti concreti e risorse vere il sistema produttivo siciliano e, in particolare, quello di Termini Imerese,

impegna il Governo:

a recuperare integralmente le linee del contratto di programma ideato dal Governo Prodi, mettendo in campo risorse adeguate per eliminare le diseconomie infrastrutturali e industriali e rilanciando cosi la produzione automobilistica in Sicilia e, in particolare, la presenza di Fiat auto, che, di fronte a una priorità strategica nazionale come la tenuta del comparto industriale sull'isola, non può venir meno alle proprie responsabilità;
a garantire la presenza costante e continuativa di Fiat al tavolo della trattativa, facendo sì che il gruppo torinese si assuma pienamente le responsabilità connesse alla ricerca di nuove e adeguate soluzioni industriali, in grado di assicurare un futuro allo stabilimento industriale di Termini Imerese nel segno della produzione automobilistica;
a mettere in campo nuovi e concreti progetti tesi a creare sinergie tra la realtà industriale di Termini Imerese ed enti di ricerca pubblici e privati, così da favorire lo sviluppo di nuove tecnologie e la produzione di modelli a basso impatto ambientale e ad alto contenuto tecnologico, a tal fine ipotizzando anche l'adozione di nuovi incentivi per l'acquisto di modelli ecologici;
ad assicurare e garantire, in ogni caso e con ogni mezzo, il mantenimento degli attuali livelli occupazionali e l'alto livello professionale di tutte le maestranze inserite nel circuito produttivo di Termini Imerese.
(1-00348)
«Bersani, Franceschini, Boccia, D'Antoni, Lulli, Damiano, Berretta, Burtone, Capodicasa, Cardinale, Causi, Genovese, Levi, Pierdomenico Martino, Antonino Russo, Samperi, Siragusa».

La Camera,
premesso che:
nel corso degli ultimi anni, il settore automotive ha subito profondi cambiamenti e l'offerta di automobili, nel mondo, è stata superiore alla capacità di assorbimento del mercato;
detta crescita dell'offerta si è sviluppata al di fuori di un disegno strategico complessivo;
in tale quadro, il gruppo Fiat auto ha manifestato la volontà di cessare la propria attività presso lo stabilimento di Termini Imerese (Palermo), anche a causa di alcune difficoltà strutturali del territorio;
quest'ultimo fattore, unitamente agli elevati costi fissi di produzione, renderebbe anti-economica la gestione dello stabilimento, sia per la produzione di

vetture, sia per la produzione di componenti o di altri prodotti del perimetro Fiat;
la notizia della chiusura dello stabilimento a fine 2011 ha destato vivo allarme e preoccupazione in Sicilia e nel Paese;
attualmente sono impegnati nello stabilimento citato 1.658 lavoratori, oltre a altri 300 occupati nell'indotto;
il gruppo Fiat ha più volte beneficiato, direttamente e indirettamente, di interventi a sostegno della politica industriale, come quelli previsti dalla cosiddetta «legge sulla rottamazione» o da quella concernente gli ecoincentivi. In particolare, per ciò che riguarda gli interventi diretti, solo ai sensi della legge n. 488 del 1992 sono stati concessi contributi per circa 208 milioni di euro: in tale ambito risulta essere stato agevolato, per il sito di Termini Imerese (4o bando ai sensi della legge n. 488 del 1992, emanato nel 1998), un investimento di 48,27 milioni di euro;
la crisi denunciata dall'azienda torinese è apparsa a numerosi esperti economici inaspettata ed eccessivamente accentuata;
le regole dell'Unione europea non consentirebbero agli Stati membri di intervenire a sostegno delle imprese in difficoltà se non in casi espressamente previsti, quali, ad esempio, lo sviluppo economico regionale e la salvaguardia o la creazione di nuovi posti di lavoro. Appare evidente, infatti, che la chiusura di importanti realtà nel settore delle autovetture potrebbe comportare un vero e proprio cedimento della politica industriale del Paese,

impegna il Governo:

a far conoscere quali iniziative intende adottare per il mantenimento e lo sviluppo dell'attività industriale nell'area di Termini Imerese;
a evidenziare le azioni che intende porre in essere per salvaguardare i vasti interessi che sarebbero colpiti dalle annunciate prospettive, evitando così un nuovo e grave pregiudizio per l'economia di una zona già in grande sofferenza;
a sostenere, anche d'intesa con gli enti locali e le organizzazioni sindacali, un piano di interventi che rilanci la presenza industriale nella regione Sicilia, facendo perno sulla possibilità di utilizzare risorse statali, regionali ed europee, al fine di risolvere le criticità di carattere infrastrutturale e logistico dell'area;
a prevedere, insieme ad enti accademici e di ricerca e successivamente ad un'adeguata fase di riqualificazione professionale dei lavoratori interessati, la realizzazione di iniziative volte anche a favorire l'innovazione tecnologica legata al settore automotive, con particolare riguardo ai veicoli eco-compatibili.
(1-00349)
«Cicchitto, Bocchino, Fallica, Terranova, Vincenzo Antonio Fontana, Garofalo, Germanà, Giammanco, La Loggia, Marinello, Minardo, Misuraca, Pagano, Palumbo, Stagno d'Alcontres, Torrisi, Baldelli, Vignali, Raisi, Abrignani, Angelucci, Berruti, De Corato, Della Vedova, Faenzi, Galati, Gava, Golfo, Lazzari, Mazzocchi, Milanato, Minasso, Mistrello Destro, Pelino, Polidori, Versace, Grimaldi».

La Camera,
premesso che:
il gruppo Fiat ha intenzione di chiudere lo stabilimento di Termini Imerese, con gravi ripercussioni sull'economia siciliana;
da notizie riportate dalla stampa, il gruppo Fiat avrebbe intenzione di presentare un piano industriale che prevederebbe una riduzione di minimo 5 mila dipendenti;
in modo particolare gli stabilimenti che subirebbero riduzione maggiori di

personale sarebbero la Fiat Mirafiori a Torino e gli stabilimenti di Termini Imerese, Pomigliano d'Arco e Cassino;
a questi dati andrebbero aggiunti quelli, ancora sconosciuti, che riguarderebbero il futuro dei due principali produttori di motori Fiat, la Fma di Pratola Serra e il sito produttivo di Termoli;
appare chiaro, stante anche la reticenza a tutt'oggi da parte della Fiat a sciogliere questi interrogativi, che l'opzione di produrre la maggioranza dei motori presso lo stabilimento di Bielsko Biala in Polonia sia ormai la scelta prioritaria dei vertici del gruppo;
nei ripetuti incontri portati avanti dal Governo con i vertici Fiat, a dimostrazione della sensibilità e dell'attenzione dell'attuale maggioranza su tale delicata questione, si è teso a salvaguardare i livelli occupazionali, ma, a tutt'oggi, sono ancora molte le questioni aperte;
è indispensabile che i vertici della Fiat si pronuncino in maniera definitiva sul riassetto industriale di ogni singolo stabilimento, al fine di aprire una serie di confronti sulle specifiche realtà produttive;
allo stabilimento Fma di Pratola Serra, ad esempio, si è registrato un forte calo della produzione, che ha determinato un massiccio calo delle maestranze occupate, determinando una crescente preoccupazione tra i lavoratori e le loro famiglie;
in un recente incontro l'azienda ha affermato che l'impianto di Pratola Serra dovrebbe essere inserito in un ampio contesto di ristrutturazione di tutto il comparto motori, senza però entrare nel merito delle competenze e delle produzioni che spetterebbero allo stabilimento Fma;
per poter garantire l'occupazione della totalità dei dipendenti della Fma occorre tenere un livello di produzione pari a circa 570.000 motori, a fronte di un potenziale di circa 800.000 motori, mentre attualmente lo stabilimento ne produce solo 170.000;
in provincia di Avellino vi sono 80 mila disoccupati; su una popolazione di 400 mila abitanti si raggiunge una percentuale di circa il 30-35 per cento di disoccupazione. Se a questi malauguratamente si dovessero aggiungere i 2.500 operai della Fma e complessivamente i 5 mila operai dell'indotto Fiat, quella provincia avrebbe un crollo e si inserirebbe in un contesto difficile ed estremamente problematico;
situazioni come quelle di Termini Imerese, Termoli e Pratola Serra destano enorme preoccupazione, poiché se si dovesse registrare una crisi irreversibile di tali stabilimenti, con gli effetti a catena su tutto l'indotto, si registrerebbe, sul fronte occupazionale, una crisi profonda che colpirebbe l'economia meridionale in territori dove già sussiste uno storico problema su tale fronte;
a questo si deve aggiungere il danno legato alla mancanza di sviluppo, data l'enorme influenza che il polo industriale Fiat ricopre in tutto il Mezzogiorno;
non va dimenticato, come hanno fatto i vertici Fiat, che nel corso della sua lunga storia, più volte, il gruppo ha beneficiato del sostegno economico pubblico, sia in maniera diretta che indiretta, attraverso la minaccia del disastro economico e della crisi di settore e attuando quella che da tutti è conosciuta come la «socializzazione delle perdite e la privatizzazione dei profitti»;
tale elemento non può, in nessun modo, essere tenuto fuori dai confronti con il gruppo Fiat;
occorre che maturi nelle classi dirigenti la consapevolezza che in questo momento la Fiat, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sta assumendo atteggiamenti antimeridionali, diventando un pericoloso fattore di destabilizzazione della nostra economia e della nostra pace sociale, e che il Governo deve conseguentemente assumere iniziative forti, decisive e concrete per evitare che vi siano chiusure di stabilimenti localizzate soprattutto nel Sud d'Italia,

impegna il Governo:

a chiedere alla Fiat l'impegno a non chiudere Termini Imerese e a continuare la produzione;
a far conoscere quali iniziative il Governo intenda assumere per garantire il mantenimento dei livelli occupazionali dello stabilimento Fiat di Termini Imerese e per evitare che l'eventuale decisione da parte del gruppo torinese di chiudere lo stabilimento possa determinare la crisi dell'attività industriale della zona legata all'indotto;
a proseguire, con ancora più determinazione, il confronto con il gruppo Fiat al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e le possibilità di sviluppo che gli impianti Fiat, soprattutto nel Mezzogiorno, rappresentano, individuando le reali intenzioni del gruppo;
a confermare la volontà del Governo a non prevedere incentivazioni statali a filiere produttive, in questo caso alla Fiat, in assenza di una volontà di mantenimento dei livelli occupazionali;
a verificare, con il concorso di tutte le parti sociali ed istituzionali coinvolte, nel confronto aperto con il gruppo Fiat, la possibilità di arrivare ad un'innovazione, soprattutto negli stabilimenti siti nel Mezzogiorno e che sono a rischio di chiusura definitiva, con particolare riferimento allo stabilimento di Termini Imerese, del ciclo produttivo, al fine di rendere competitivi gli stessi nel mercato globale della produzione del settore automobilistico, dando nuovo vigore alla produzione e rilanciando, in tal modo, anche un più ampio piano di sviluppo del territorio;
a studiare tutte le misure possibili per salvaguardare il futuro e la sicurezza del reddito per i lavoratori che dovessero in qualche modo essere colpiti dai processi di ristrutturazione produttiva del gruppo Fiat.
(1-00350)
«Iannaccone, Sardelli, Belcastro, Gaglione, Milo, Brugger».

La Camera,
premesso che:
secondo quanto dichiarato dall'amministratore delegato del gruppo Fiat, Sergio Marchionne, alla fine del 2011, dopo oltre 40 anni di attività, chiuderà lo stabilimento del gruppo Fiat a Termini Imerese (Palermo);
circa due anni fa, tuttavia, la Fiat aveva definito un accordo con la Regione siciliana per il rilancio dello stabilimento, attraverso il superamento delle principali diseconomie del territorio;
tale accordo prevedeva un importante intervento finanziario della Regione siciliana (150 milioni di euro) per finanziare la costruzione di nuovi capannoni nell'area industriale di Termini Imerese che avrebbero dovuto essere ceduti in locazione alla Fiat ed al suo indotto a prezzi di mercato. La conclusione traumatica della precedente legislatura regionale non ha permesso al Parlamento siciliano di esaminare e varare il relativo provvedimento di legge;
la recente decisione di interrompere la produzione presso lo stabilimento di Termini Imerese dopo il 1o gennaio 2012 è conseguenza, secondo il management, della scarsa integrazione della filiera produttiva e dell'indotto e degli elevati costi fissi di produzione, soprattutto connessi al trasporto, oltre ad una sovrapproduzione rispetto al reale assorbimento sul mercato;
secondo Marchionne la Fiat «ha la capacità di produrre circa 94 milioni di vetture, circa 30 milioni in più di quante se ne vendono. Il settore automobilistico è l'unico a non aver razionalizzato la produzione nonostante un terzo di questo disavanzo arrivi dal vecchio continente. Lo scorso anno l'Europa ha utilizzato circa il 75 per cento della propria capacità e quest'anno potrebbe scendere al 65 per cento. Il motivo è semplice: i costruttori non chiudono gli impianti. L'ultimo impianto

a chiudere in Europa ha smesso la produzione prima della seconda guerra mondiale»;
a fronte di un aumento dell'offerta, si è, infatti, verificata una contrazione della domanda a causa della crisi economica e gli interventi di sostegno messi in campo dai Governi nazionali per salvaguardare i livelli occupazionali e le imprese hanno aggravato l'eccesso strutturale del settore;
in tale ottica la decisione del Governo di non prorogare gli incentivi per il settore dell'auto si pone in linea con le scelte adottate dalla maggioranza dei Paesi europei, a fronte di un mercato che appare oggi saturo;
l'annunciata chiusura dello stabilimento ha destato preoccupazione ed allarme nei lavoratori, nelle loro famiglie e negli abitanti di un territorio in cui non esistono molte alternative occupazionali e che vedrebbe improvvisamente perdere circa 1400 posti di lavoro, senza contare le conseguenze sull'indotto;
il Governo, con l'obiettivo di individuare nuove imprese e soggetti produttivi che possano garantire la sopravvivenza e lo sviluppo produttivo dell'area, mantenendone i livelli occupazionali e la vocazione industriale, ha sollecitato l'acquisizione dello stabilimento da parte di nuovi investitori interessati a subentrare alla Fiat;
Governo nazionale e Regione siciliana hanno stanziato un contributo di 450 milioni di euro; affinché l'area rimanga destinata alla produzione di automobili e alla ricerca nel settore dei veicoli elettrici, nel tentativo di rendere lo stabilimento appetibile per eventuali futuri investitori;
le proposte arrivate da potenziali investitori per Termini Imerese che hanno superato il vaglio delle richieste dell'advisor e giudicate concrete sono in totale nove, di cui quattro operanti nel settore automobilistico;
il 13 aprile 2010 si svolgerà un nuovo incontro e nelle due successive settimane potrebbe essere definita una prima short list in attesa di valutare eventuali nuove offerte;
poiché l'area da riconvertire è occupata solo per un terzo dall'attuale stabilimento Fiat, verranno valutate anche le combinazioni di più progetti;
in assenza di una valida proposta industriale alternativa, la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese, unitamente alla crisi dell'indotto e alle inevitabili perdite occupazionali, produrrà conseguenze insostenibili per la Sicilia, con ricadute anche in termini di coesione, di sicurezza e legalità,

impegna il Governo:

ad adottare ogni utile iniziativa volta a salvaguardare i livelli occupazionali, la professionalità dei lavoratori e la capacità produttiva dell'area di insediamento dello stabilimento siciliano della Fiat;
a salvaguardare la vocazione industriale di Termini Imerese favorendone il rilancio, anche con il coinvolgimento della regione e delle organizzazioni sindacali di settore;
a favorire un rapido utilizzo dei fondi comunitari, al fine di dotare l'area delle infrastrutture necessarie per attirare gli investimenti di grandi gruppi industriali;
a prevedere la realizzazione nell'area di Termini Imerese di una zona franca;
a completare in tempi contenuti l'infrastrutturazione dell'area industriale termitana;
a promuovere per quanto di competenza sperimentalmente un contratto di lavoro regionale valido per l'intero territorio della Sicilia, d'intesa con le organizzazioni sindacali e finalizzato a precostituire

condizioni più favorevoli all'insediamento nella regione di attività produttive.
(1-00351)
«Romano, Naro, Mannino, Ruvolo, Drago, Vietti, Anna Teresa Formisano, Pezzotta, Ruggeri, Delfino, Poli, Compagnon, Ciccanti, Volontè, Libè, Galletti, Occhiuto».

Risoluzioni in Commissione:

Le Commissioni riunite VIII e IX,
premesso che:
la voce trasporto, di cui quello urbano compone una fetta molto significativa, rappresenta in Italia circa un terzo delle emissioni totali di gas-serra. Una quantità di veleni ancor più impressionante e si considera che per grossa parte viene prodotta e respirata nelle grandi città, ovvero nelle zone più densamente abitate del nostro Paese. Un problema questo che rende fondamentale il potenziamento del trasporto pubblico e la riduzione progressiva del trasporto privato a vantaggio di una mobilità alternativa, dal trasporto collettivo, a quello pedonale e ciclabile, a quello privilegiato per vetture elettriche o ibride, al fine di favorire il decongestionamento e la riduzione dei gas inquinanti nelle nostre città;
i temi dell'inquinamento atmosferico e della mobilità sostenibile, sono da tempo al centro dell'attenzione della stessa Unione europea;
il 16 dicembre 2008 la Commissione europea ha presentato, in seguito ad un ampio processo di consultazione delle parti interessate, un piano d'azione (COM(2008)886) corredato di una proposta di direttiva (COM(2008)887) destinati a favorire l'applicazione in tutta l'Unione europea delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (ITS) al trasporto su strada e alle sue interconnessioni con altre modalità di trasporto (cosiddetti «sistemi di trasporto intelligenti»). Nell'ambito del piano europeo per il rilancio dell'economia, approvato dal Consiglio europeo nel dicembre 2008, è stata lanciata l'iniziativa «auto verdi» (green cars) intesa a finanziare, attraverso la collaborazione tra settore pubblico e privato, i progressi nell'uso di fonti di energia non-inquinanti e rinnovabili per il trasporto stradale;
le iniziative messe in campo in questo ambito dall'Unione europea, sono - tra l'altro - intese: a) a contenere l'impatto della notevole crescita del traffico su strada prevista entro il 2020 - stimata al 36 per cento per il trasporto passeggeri e al 55 per cento per il trasporto merci - mediante una gestione ottimale della mobilità e della domanda di trasporto; b) alla promozione di un sistema di trasporto maggiormente rispettoso dell'ambiente considerato che allo stato attuale il trasporto su strada produce il 79 delle emissioni di CO2 di tutto il comparto dei trasporti; c) al miglioramento dell'efficienza del sistema di trasporto e alla riduzione della congestione del trasporto stradale il cui costo è stimato tra lo 0,9 e 1'1,5 per cento del prodotto interno lordo dell'Unione europea;
l'11 dicembre 2009 la Commissione ambiente della Camera dei deputati ha approvato il documento finale sul Libro bianco in materia di adattamento ai cambiamenti climatici e verso un quadro d'azione europeo (COM2009)147), con il quale - tra l'altro - ha ribadito la necessità di introdurre misure volte a favorire la diffusione di veicoli elettrici e ibridi nel trasporto pubblico e privato, soprattutto nei grandi centri urbani; di promuovere sistemi di mobilità alternativi, come tramvie e piste ciclabili; di mettere in atto efficaci politiche di incentivazione del trasporto pubblico rispetto al trasporto privato, attuando al contempo politiche della mobilità in grado di favorire - soprattutto nel settore del trasporto merci - il trasporto su rotaia rispetto a quello su gomma;
la situazione delle grandi aree urbane del nostro Paese è sempre più critica, con un preoccupante livello di inquinamento,

e con i residenti costretti a convivere in perenne emergenza smog, e con livelli fuori controllo di polveri sottili ben oltre la soglia consentita (biossido di azoto, metalli pesanti e altri), il tutto con evidenti ricadute pesantissime sulla stessa salute dei cittadini;
l'Organizzazione mondiale della sanità ha stimato in oltre 8 mila ogni anno i decessi a seguito degli elevati livelli di Pm 10 e di ozono, e a livello globale in 800 mila le morti per lo smog;
l'Unione europea ha recentemente aperto nei confronti del nostro Paese una procedura di infrazione, in quanto la Commissione europea ha ritenuto l'Italia inadempiente agli obblighi di cui all'articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 1999/30/CE, sul contenimento dell'inquinamento da Pm 10 entro i valori limite previsti;
in occasione dell'iniziativa del 28 febbraio 2010 in 169 comuni del centro-nord, con il blocco del traffico per le auto inquinanti, è stato dato vita a un coordinamento di tutti gli amministratori comunali del nord, per portare avanti iniziative condivise contro l'inquinamento e al tempo stesso sottoporre proposte a Governo, regioni e province per stabilire interventi strutturali e reperire le necessarie risorse finanziarie. Fra queste, si legge nel documento di costituzione del comitato di coordinamento, la richiesta al Governo di permettere ai comuni di investire risorse escludendo dall'atto di stabilità gli investimenti per la lotta ai cambiamenti climatici e per riduzione delle emissioni inquinanti;
puntare su sistemi di mobilità più efficienti e sostenibili ormai una scelta ineludibile sia, lo nella lotta all'inquinamento globale sia nel migliorare la qualità della vita di milioni di cittadini;
per quanto riguarda il trasporto pubblico nelle aree urbane più grandi, dove il problema congestione e inquinamento rappresenta una vera e propria emergenza quotidiana, è necessario incentivare la mobilità pubblica, agendo in particolare a favore del suo svecchiamento dell'introduzione graduale di autobus a metano ed elettrici;
per quanto concerne invece il trasporto privato, da un lato va incentivata la diffusione e la commercializzazione delle auto elettriche e a metano, non solo con incentivi fiscali mirati, ma anche e soprattutto attraverso la realizzazione capillare sul territorio di reti di distribuzione (colonnine per la ricarica elettrica e stazioni di rifornimento per il metano), attualmente praticamente inesistenti, dall'altro va favorito lo sviluppo della mobilità ciclistica attraverso un incremento delle piste ciclabili e dei percorsi protetti e l'estensione delle zone a traffico limitato;
si ricorda per esempio, come a Madrid l'amministrazione ha già messo in cantiere - con l'obiettivo di renderla operativa in due anni - la trasformazione delle vecchie cabine telefoniche (ormai soppiantate dalla telefonia mobile) in altrettanti punti di ricarica per le vetture elettriche, ossia vetture ad emissioni zero;
và altresì sottolineato che il Fondo per la mobilità sostenibile, istituito dalla legge finanziaria per il 2007, non è stato più rifinanziato. Và evidenziato che detto Fondo, strumento efficace e fondamentale per le politiche di mobilità urbana ecosostenibile, finanzia una serie di interventi tra i quali: a) il potenziamento ed aumento dell'efficienza dei mezzi pubblici, con particolare riguardo a quelli meno inquinanti e a favore dei comuni a maggiore crisi ambientale; h) 1'incentivazione dell'intermodalità; c) la valorizzazione degli strumenti del mobility management e del car sharing; d) la riorganizzazione e razionalizzazione del settore di trasporto e consegna delle merci, attraverso la realizzazione di centri direzionali di smistamento che permetta una migliore organizzazione logistica, nonché il progressivo obbligo di utilizzo di veicoli a basso impatto ambientale; e) la realizzazione e potenziamento della rete di distribuzione del gas metano del gpl e dell'idrogeno; f) la promozione di

reti urbane di percorsi destinati alla mobilità ciclistica;
se nelle aree urbane il traffico su gomma rappresenta il primo responsabile della presenza nociva delle polveri sottili e degli altri inquinanti, il secondo responsabile è il riscaldamento;
in una grande città il pm10 viene principalmente per circa il 48 per cento dal traffico veicolare, per ben il 28 per cento dagli impianti di riscaldamento, per il 9 per cento da porti e aeroporti, per il 10 per cento dall'industria;
poco o nulla però si sta facendo per favorire l'efficienza energetica e l'utilizzo delle fonti rinnovabili per gli edifici pubblici e privati, in grado entrambi di ridurre sensibilmente l'inquinamento prodotto dal riscaldamento degli edifici;
al contrario, si continua a rimandare l'attuazione di quanto previsto dalla legge finanziaria per il 2008, che aveva disposto che dal 1o gennaio 2009, per gli edifici di nuova costruzione, i regolamenti edilizi comunali dovevano subordinare il rilascio del permesso di costruire all'installazione sugli edifici stessi di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili;
finora si è scelto di prorogare questa data per due volte, prima con il decreto-legge n. 207 del 2008, portandola dal 1o gennaio 2009 al 1o gennaio 2010, quindi recentemente con il decreto-legge n. 194 del 2009, in materia di proroga termini, che ha ulteriormente spostato al 2011 l'obbligo per le nuove costruzioni dell'utilizzo di energia rinnovabile,

impegnano il Governo:

a far proprie le proposte del coordinamento degli amministratori comunali del nord in materia di lotta all'inquinamento, con particolare riferimento alla proposta di consentire ai comuni di poter investire risorse escludendo dal patto di stabilità gli investimenti per la lotta ai cambiamenti climatici e per la riduzione delle emissioni inquinanti;
ad assumere iniziative per lo stanziamento delle necessarie risorse finanziarie, anche con il ricorso ai finanziamenti europei, per l'individuazione di interventi strutturali da coordinare con gli enti locali, e finalizzati alla riduzione dell'inquinamento atmosferico nelle aree urbane e allo sviluppo della mobilità sostenibile e del trasporto pubblico, individuando anche opportuni meccanismi premiali nei confronti delle amministrazioni più virtuose;
a incentivare l'utilizzo delle fonti rinnovabili negli edifici con particolare riferimento a quelli pubblici, prevedendo contestualmente, in collaborazione con le amministrazioni locali, un programma di graduale sostituzione degli impianti termici più inquinanti;
a mettere in atto una più efficace politica fiscale di incentivi/disincentivi, in grado di orientare il mercato verso le tecnologie più efficienti dal punto di vista dell'ecosostenibilità;
a sostenere la crescita del settore dei veicoli elettrici o comunque a ridottissimo impatto ambientale, che oltre ad avere una evidente valenza ambientale, rappresenta una concreta opportunità di crescita industriale e occupazionale, per una mobilità urbana alternativa agli attuali modelli alimentati da combustibili fossili;
a dare un forte impulso, anche attraverso appositi accordi di programma con gli enti locali coinvolti e le associazioni e le categorie interessate, allo sviluppo della rete di distribuzione sul territorio nazionale di carburanti a minore impatto ambientale, con specifico riferimento al metano per autotrazione;
a individuare le opportune risorse e iniziative, in collaborazione con gli enti locali, volte a sostenere la realizzazione di una rete di punti di ricarica, al fine di favorire lo sviluppo del mercato dei veicoli

a propulsione elettrica, quale premessa indispensabile per la crescita del medesimo mercato;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative volte a rifinanziare il Fondo per la mobilità sostenibile, quale fondamentale strumento a disposizione delle grandi aree urbane per interventi finalizzati alla riduzione inquinamento atmosferico e per lo sviluppo della mobilità urbana a minore impatto ambientale.
(7-00305)
«Monai, Piffari».

La VIII Commissione,
premesso che:
sono circa 400 mila le aziende alle prese con la mancata proroga delle vecchie modalità di denuncia della produzione e dello smaltimento dei rifiuti (il cosiddetto Mud);
finora le imprese erano tenute a una dichiarazione annuale unificata e in forma cartacea da presentarsi entro il 30 aprile in base a quanto stabilito dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 dicembre 2002;
il successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2 dicembre 2008, ha introdotto un nuovo Mud (modello unico di dichiarazione ambientale) in forma telematica per semplificare le modalità di trasmissione delle informazioni relative alla filiera dello smaltimento dei rifiuti, con conseguenti inevitabili ricadute in capo alle imprese coinvolte in termini di studio, formazione degli addetti e spese per i relativi software;
per andare incontro alle suddette difficoltà, per la dichiarazione del 2009 era stata concessa una proroga del vecchio Mud, destinato ad essere appunto sostituito dal 2010, dalla nuova versione informatica del Mud, che è più complesso e comprende un numero maggiore di sezioni e di schede;
sennonché con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 17 dicembre 2009, è stato istituito il cosiddetto SISTRI (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti), un sistema elettronico che consente l'informatizzazione e la tracciabilità dell'intera filiera dei rifiuti speciali a livello nazionale, nonché dei rifiuti urbani in Campania, attraverso la trasmissione dei relativi dati in tempo reale ad un unico centro di elaborazione dati;
si tratta di un sistema certamente positivo per quanto riguarda la necessità di un maggiore controllo sul ciclo dei rifiuti e sulla loro tracciabilità, con indubbie garanzie in termini di maggiore trasparenza, conoscenza e prevenzione dell'illegalità. Un importante cambiamento nella gestione dei rifiuti delle imprese, soprattutto nei settori dell'industria e dell'artigianato, oltre che per la filiera di chi svolge professionalmente l'attività di gestione dei rifiuti nelle sue varie fasi;
si ricorda che ogni anno nel nostro Paese si producono circa 147 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, dei quali il 10 per cento è classificabile come «pericoloso», e che la legislazione attuale non è in grado di fornire garanzie assolute sullo smaltimento, a tutto vantaggio delle ecomafie o di imprenditori senza scrupoli. Il SISTRI consentirà quindi il tracciamento elettronico totale del ciclo dei rifiuti e promette risultati rilevanti sotto il profilo della virtuosità ambientale del ciclo;
questo nuovo sistema di controllo, diventerà operativo nella prossima estate - dal 13 luglio e dal 12 agosto in base alle dimensioni aziendali - e solamente da queste date non sarà quindi più necessario compilare il suddetto Mud;
è evidente quindi come il mancato coordinamento delle modifiche al meccanismo di tracciabilità dei rifiuti ha finito per produrre una sorta di corto circuito in virtù del quale, agli imprenditori che stanno cominciando a «familiarizzare» con il nuovo sistema Sistri che entrerà in vigore in estate, viene chiesto di mutare regole e modalità operative conseguenti alla sostituzione del vecchio Mud con il

nuovo Mud, costringendoli quindi a far fronte ad un obbligo che varrà solo per il 2010, con ulteriori problemi burocratici e oneri a carico di attività produttive già gravate dalla crisi in atto. Costi inutili, visto che con la prossima entrata in vigore del SISTRI, il nuovo Mud non sarà più richiesto;
inoltre non è ancora facile valutare quale sarà l'impatto del nuovo sistema SISTRI sulle imprese interessate. La trasmissione dati in tempo reale a un ente di controllo ha peraltro sollevato non poche preoccupazioni tra le aziende coinvolte, considerato che la normativa vigente prevede che pure le inadempienze formali siano assoggettate a sanzioni molto pesanti;
il suddetto decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 17 dicembre 2009, istituitivo del SISTRI, ha previsto l'istituzione di un Comitato di vigilanza e controllo composto da quindici membri, con finalità di monitoraggio circa il funzionamento e le eventuali criticità che possono emergere dall'applicazione del nuovo sistema,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative, come in più occasioni promesso, al fine di pervenire a una ulteriore proroga dell'utilizzo del vecchio modello Mud, in attesa dell'imminente definitivo passaggio al SISTRI;
a sostenere le imprese interessate nel passaggio dal modello unico di dichiarazione ambientale al nuovo SISTRI, con particolare riguardo ai relativi costi a carico delle medesime - soprattutto quelle di dimensioni minori - peraltro già gravate dalla crisi economica in atto;
ad adottare iniziative finalizzate a vincolare a detta normativa anche vettori stranieri operanti sul territorio italiano al fine di garantire pari condizioni di mercato;
a dare piena e immediata operatività al previsto Comitato di vigilanza e controllo, al fine di individuare eventuali criticità che dovessero emergere fin dai primi mesi di applicazione del nuovo sistema, e di poter conseguentemente intervenire con adeguati correttivi;
a favorire un piano di formazione per i soggetti interessati alle nuove procedure, che permetta alle imprese di gestire correttamente i nuovi obblighi, al fine di garantire reale efficacia e utilità del sistema SISTRI;
a monitorare e attuare forme capillari di controllo nel tempo circa la dovuta applicazione da parte di tutti i soggetti interessati delle procedure attuative del SISTRI, al fine di renderlo uno strumento realmente efficace nel controllo della delicata filiera dei rifiuti, e di contrasto e di prevenzione della purtroppo diffusa illegalità in questo ambito;
a verificare la classificazione dei rifiuti, con particolare riguardo alle materie secondarie che non presentano le caratteristiche dei rifiuti come ad esempio i «ferrosi».
(7-00303)
«Piffari, Scilipoti».

La VIII Commissione,
premesso che:
a partire dal 2 luglio 2009 e per almeno i successivi 3 tre giorni, si è sviluppato un vasto incendio in località Vascigliano, nell'area destinata ad attività industriali nel comune di Stroncone (Terni). Per lo spegnimento del predetto incendio sono stati impegnati i vigili del fuoco di Terni con l'ausilio di nuclei provenienti da Roma e da Firenze;
l'evento distruttivo ha interessato la ditta Ecorecuperi, un impianto destinato ad attività di trattamento rifiuti su carcasse bonificate di autovetture e finalizzato al recupero dei relativi materiali metallici. La combustione ha riguardato essenzialmente il fluff (materiale plastico derivante dalla frantumazione di autoveicoli

bonificati) stoccato all'interno del capannone in attesa di invio a smaltimento;
come anche descritto in numerosi atti di sindacato ispettivo presentati in Parlamento per evidenziare la gravità della vicenda, si può riscontrare come in data 3 luglio la ditta Ecorecuperi abbia provveduto ad effettuare, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, una specifica comunicazione di potenziale contaminazione del sito a causa dell'incendio di cui trattasi;
dei fatti si è interessata prontamente la prefettura di Terni, la quale, a seguito della comunicazione della ditta Eurorecuperi, ha provveduto, ai sensi dell'articolo 304, comma 2 del predetto decreto legislativo n. 152 del 2006, ad informare il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del prospettarsi dell'evento lesivo;
risulta altresì che la stessa prefettura abbia ripetutamente informato, in particolare, la regione Umbria ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare della gravità della situazione socio-ambientale derivante dalla combustione dei materiali plastici e delle circostanze di rischio che ne scaturivano per il territorio e le persone;
il sindaco di Stroncone, nell'immediato, ha provveduto all'adozione di misure di tipo cautelare e precauzionale finalizzate a prevenire danni alla salute pubblica attraverso una serie di ordinanze che vietavano la commercializzazione e il consumo di prodotti, destinati all'alimentazione umana ed animale, potenzialmente contaminati. Lo stesso sindaco ha emanato una serie di ordinanze relative al sequestro/dissequestro, presso varie aziende, di animali, prodotti alimentari e fieno risultati contaminati a seguito di analisi;
le conseguenze dell'incendio si sono evidenziate assai preoccupanti sia per l'ambiente e sia per la popolazione, essendo state riscontrate contaminazioni di determinati matrici nocive, oltre che in alcune produzioni agroalimentari e zootecniche, anche in coltivazioni vegetali coltivate entro un'area di oltre 5 chilometri di raggio dal sito dell'impianto;
presso la regione Umbria sono stati svolti specifici incontri di merito, finalizzati ad esaminare le problematiche ambientali, sanitarie e produttive del territorio interessato dall'evento, i cui esiti hanno determinato la necessità di adottare una serie di misure immediate, tra cui la messa in sicurezza dell'area e la rimessa in ripristino dello stato dei luoghi mediante smaltimento dei rifiuti ancora presenti nell'area; l'eliminazione di alimenti contaminati destinati all'alimentazione animale; l'eliminazione di alimenti contaminati destinati al consumo umano; la predisposizione di una relazione dettagliata sulla situazione in essere, sulle azioni realizzate e sulle criticità ambientali determinatesi nel territorio; la costituzione di un gruppo di lavoro, composto dai rappresentanti di tutte le amministrazioni coinvolte, al fine di assicurare il coordinamento delle iniziative e delle azioni da intraprendere;
da ultimo, anche a seguito di incontri specifici tenuti con il comune di Stroncone, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per gli adempimenti di competenza, con nota del 3 febbraio 2010, ha conferito incarico all'ISPRA per la valutazione e l'eventuale quantificazione dei danni subiti dalle matrici ambientali interessate dall'incendio, anche al fine di valutare l'opportunità di promuovere un'azione risarcitoria;
il Ministero della salute è intervenuto anch'esso sulla vicenda, riscontrando casi problematici di contaminazioni nocive su prodotti ed animali presenti sul territorio in questione, evidenziando la non conformità per diossine e policlorobifenili (PCB) diossina-simili, in campioni di alimenti di origine animale (latte e uova) e zootecnici (fieno), prelevati dall'azienda sanitaria locale n. 4 di Terni, già dal settembre del 2009, quando l'Istituto zooprofilattico sperimentale (Izs) dell'Abruzzo e del Molise ha segnalato i risultati positivi conseguenti ad un'attività di campionamento

che aveva coinvolto un'area di circa 3 chilometri di raggio dal sito dell'incendio;
sebbene la problematica sia di gestione regionale e locale, il Ministero della salute, per quanto di competenza, sta mantenendo uno stretto contatto con la regione Umbria, al fine di conoscere l'evoluzione della situazione e di individuare adeguate modalità di intervento a tutela della sicurezza alimentare;
a seguito dei monitoraggi ambientali effettuati dall'azienda regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa), l'azienda sanitaria locale n. 4 di Terni, nel periodo compreso tra il 16 luglio ed il 5 novembre 2009, ha prelevato n. 40 campioni di prodotti di origine animale e n. 45 campioni di prodotti di origine vegetale. Tali campioni sono stati analizzati dall'Izs dell'Abruzzo e del Molise per la determinazione delle diossine e dei PCB diossina-simili;
dei 40 campioni di prodotti di origine animale, 17 sono risultati non conformi rispetto ai limiti fissati dal regolamento (CE) n. 1881 del 2006, mentre 18 dei 45 campioni di origine vegetale sono risultati non conformi rispetto ai limiti fissati dalla direttiva 2006/13/CE. Esaminati i risultati e sulla base delle valutazioni epidemiologiche relative al rischio per la salute umana, la regione Umbria ha subito adottato una serie di misure sanitarie idonee per i prodotti destinati all'alimentazione degli animali e dell'uomo: sequestro e distruzione degli alimenti vegetali sottoposti a fienagione; divieto di consumo e conseguente distruzione per gli alimenti, per uso umano, da produzioni animali (latte, uova e derivati);
inoltre, al fine di valutare l'estensione geografica dell'area interessata dalla contaminazione, la regione Umbria ha elaborato, in collaborazione con l'Azienda sanitaria locale n. 4 Terni, Izs Umbria e Marche, l'Izs Abruzzo e Molise e l'Arpa Umbria, un «Piano di monitoraggio per la ricerca di diossine e PCB diossina-simili», nell'area interessata dall'incendio di Vascigliano di Stroncone, per il trimestre novembre 2009-gennaio 2010, tuttora in corso di esecuzione. Il Piano prevede delle attività da svolgere all'interno dell'area dei 3 chilometri dalla sorgente di emissione. Al 12 novembre 2009 sono risultati prelevati: 27 campioni di alimenti di origine vegetale (ortaggi, olive, vini) destinati all'alimentazione umana. Tutti i campioni hanno fornito risultati conformi, dando garanzia della non pericolosità dei prodotti destinati al consumo umano; 20 campioni di alimenti per animali (fieno, erba, farina e mangime) di cui n. 9 campioni sono risultati non conformi. Permangono, pertanto, le misure sanitarie, comprendenti il divieto di pascolo nelle aree interessate dalla contaminazione ed il sequestro e distruzione dei fieni raccolti; 40 campioni di alimenti di origine animale, di cui n. 28 di muscolo, n. 6 di uova, n. 5 di latte e n. 1 di formaggio. Sono risultati non conformi 9 campioni di muscolo (4 di bovino, 5 di ovino), 4 di latte (3 di bovino, 1 di capra) e 4 campioni di uova di gallina prelevati in allevamenti rurali. Pertanto, gli allevamenti bovini, ovini e caprini, nonché gli allevamenti avicoli «rurali» per la produzione di alimenti per autoconsumo, devono essere considerati tutti potenzialmente contaminati;
poiché non si esclude che il fenomeno abbia dimensioni spaziali maggiori, è stato previsto un ampliamento dell'area di campionamento oltre i 3 chilometri (massimo 5 chilometri dalla sorgente di emissione), con l'ulteriore prelievo di campioni di latte e carne in allevamenti ovini, per la ricerca di diossine e PCB diossina-simili;
ad oggi la situazione risulta enormemente aggravata con ordinanze del sindaco che impongono misure di tutela che prevedono la distruzione di derrate alimentari prodotte in zona, l'abbattimento di capi zootecnici, di volatili da cortile ed il divieto di utilizzare foraggi raccolti sull'area nel periodo foraggero del 2009;
nello stato di crisi che si è generato in conseguenza di questi eventi iniziano a

sollevarsi malumori soprattutto tra gli agricoltori del territorio che si vedono obbligati a distruggere le loro produzioni senza alcun risarcimento od indennizzo e soprattutto nell'incertezza di sapere in che modo affrontare la vicenda per il futuro e per quanto tempo dovranno fronteggiare l'emergenza sanitaria ed ambientale;
tale situazione di inquinamento ambientale, anche per i riflessi sulla catena alimentare, comporta pregiudizi di carattere socio-economico essendo compromesso, nell'attualità, l'esercizio delle attività produttive agricole e zootecniche presenti sul territorio interessato dalla contaminazione in atto, con notevoli ripercussioni negative in materia occupazionale;
la prefettura ha segnalato alle autorità competenti lo stato di agitazione e di fermento che si va diffondendo tra la popolazione e soprattutto tra gli imprenditori agricoli, ravvisando il rischio di manifestazioni di protesta con nocumento dell'ordine pubblico e della coesione sociale;
il 22 marzo 2010 si sono svolte manifestazioni di protesta di agricoltori e di comitati di cittadini davanti la prefettura di Terni i quali hanno chiesto l'attivazione di interventi urgenti per risanare il territorio contaminato, di misure di indennizzo per i danni subiti e che ancora subiranno e certezze per il loro futuro;
è necessario adottare tempestivamente misure adeguate di sostegno alle attività produttive presenti nel territorio, nonché iniziative a tutela dei comparti zootecnico ed agroalimentare interessati;
sarebbe necessario che il Governo, d'intesa con gli enti e le autorità locali interessati, provvedesse a dichiarare, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, lo stato di emergenza socio-economico-ambientale nel territorio di cui trattasi,

impegna il Governo:

a riconoscere lo stato di emergenza ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225, a far fronte di un'eventuale richiesta degli enti interessati;
ad eseguire tramite il competente dipartimento di difesa del suolo dell'ISPRA, le occorrenti indagini e campionamenti territoriali finalizzati a delimitare l'area contaminata e l'entità dell'inquinamento provocati dalla ricaduta delle sostanze pericolose nocive (diossina) a seguito del predetto incendio;
a provvedere a stanziare congrue risorse per risarcire nell'immediato le attività economiche, segnatamente gli agricoltori e gli allevatori, danneggiati sin dall'inizio dal verificarsi degli eventi emergenziali;
a concorrere al ripristino in salute del territorio inquinato.
(7-00304)
«Alessandri».

La XI Commissione,
premesso che:
di parità tra uomo e donna si continua a scrivere e a parlare; si organizzano convegni e si promulgano leggi, ma la componente femminile nei luoghi di lavoro continua ad essere sottorappresentata e discriminata. La distanza dell'Italia dai parametri di Lisbona sul tasso di occupazione è preoccupante. Non riusciremo a raggiungere quest'anno l'obiettivo dell'occupazione femminile al 60 per cento, essendo fermi al 46 per cento. Anzi, questo dato percentuale è in leggera flessione rispetto all'ultimo decennio e diminuisce ulteriormente nelle regioni del Sud. Il tasso di disoccupazione è invece quest'anno al 9,8 per cento più alto di quello maschile del 2,1 per cento, secondo i più recenti dati Eurostat, che invece mostrano nel resto dei paesi dell'Unione che la disoccupazione femminile è più bassa di quella maschile, pur in un periodo di crisi come l'attuale;

eppure anche in Italia le donne mostrano in vario modo il loro desiderio di investire nel lavoro. Come nella maggior parte dei Paesi sviluppati, i tassi di istruzione femminili sono più alti di quelli maschili, le ragazze escono con voti migliori e arrivano ai titoli di studio in un tempo più breve. Escono anche prima dalla famiglia d'origine: almeno due-tre anni in media prima dei coetanei maschi;
se a metà degli anni Novanta le donne italiane intorno ai trent'anni che avevano già formato un'unione di coppia erano circa il 65 per cento, nel 2009 questo valore è sceso a un terzo, uno dei più bassi d'Europa, mentre l'età media alla nascita ha superato 30 anni, una delle più alte d'Europa;
tutto ciò è segno dell'impegno e del desiderio delle donne di partecipare in modo attivo e continuativo al mercato del lavoro, ma anche del caro prezzo che stanno pagando;
non si comprende perché le imprese non cercano di sfruttare di più questo capitale umano e questo potenziale di lavoro altamente qualificato. Emerge che i temi e le politiche che riguardano le donne spesso sono vissuti con fastidio, non andando oltre un rispetto formalistico della parità, se proprio non si può fame a meno, senza volere e senza riuscire a dare corpo, sostanza e realizzazione al principio della parità. Si tratta di una questione culturale che va affrontata, così di una questione relativa alla mancata adesione da parte delle istituzioni alle problematiche femminili;
basti citare, per esempio, l'ultimo intervento del Governo, che ha recepito con decreto legislativo la predetta direttiva europea, che rimane del tutto inadempiente rispetto all'obbligo fondamentale di assicurare l'indipendenza degli organismi per la promozione, l'analisi, il controllo e il sostegno della parità di trattamento nei luoghi di lavoro di tutte le persone senza discriminazioni fondate sul sesso. Quelli istituiti in Italia sono tutti di nomina politica e direttamente incardinate nei ministeri. Per quanto riguarda il comitato nazionale, il condizionamento e il potere del Ministro è totale. Ugualmente totale è il potere del Governo - o degli enti locali - sulle consigliere ed i consiglieri di parità, come è provato dalla recente vicenda, risalente al 30 ottobre 2008, che ha visto l'attuale Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunità, rimuovere d'imperio con proprio decreto la consigliera nazionale di parità sul presupposto che essa non era da lui ritenuta «in sintonia con gli indirizzi politici del Governo», pur in assenza di inadempimenti addebitabili alla Consigliera, in quanto «non è necessario riscontrare inadempimenti da parte del soggetto nominato, ma occorre il ragionevole convincimento che l'attività non sia esercitata nel pieno rispetto delle regole del buon andamento, che comprendono la legittimità e la opportunità delle scelte in sintonia con gli indirizzi politici del Governo in carica». In totale contrasto con la normativa comunitaria il Ministro ha ritenuto che «la Consigliera nazionale di parità, pur non essendo posta in posizione di subordinazione gerarchica nei confronti dei Ministeri sopra menzionati, è comunque chiamata a garantire il rispetto degli indirizzi governativi in materia» ed ancora ha affermato che pur prevedendo la procedura di nomina della Consigliera nazionale «la necessità del possesso di determinati requisiti professionali da parte di detta Consigliera, affida tuttavia la scelta della Consigliera stessa alla determinazione ampiamente discrezionale del Ministro del lavoro [...] evidenziando così il carattere, non meramente tecnico, ma essenzialmente fiduciario della nomina»;
l'agire del Governo rende evidente il problema culturale cui si faceva riferimento. Viene mostrata ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo una visione miope dell'agire politico su un tema di fondamentale importanza che attraversa le legislature e le generazioni e passa sulle vite delle donne;

non va sottovalutato che contro l'Italia ci sono almeno cinque procedure d'infrazione aperte per mancato o inesatto recepimento delle direttive che riguardano la parità di trattamento;
le azioni, specie del Governo, devono passare dal piano della promozione delle pari opportunità a quello della concreta realizzazione, che prevenga e rimuova le discriminazioni;
il decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 5, che da «Attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione)» ha modificato in più parti il decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, noto come Codice delle pari opportunità;
sulla base della direttiva comunitaria, è stato modificato l'articolo 1 del Codice, precisando che l'obiettivo della parità tra donne e uomini deve attuarsi in tutte le politiche e le attività:
a) la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione;
b) il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato;
c) l'obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività;
nel Piano che porta la data del primo dicembre 2009 «Italia 2020 - Programma di azioni per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro», il Governo riconosce che: «Alla uguaglianza formale garantita dalla legge non corrisponde tuttavia, nella realtà quotidiana del mercato e degli ambienti di lavoro, un apprezzabile livello di parità sul piano sostanziale. Ancora oggi si registrano discriminazioni, più o meno palesi, che incidono in modo rilevante non solo rispetto all'accesso al lavoro, ma anche sui trattamenti retributivi, sulla qualità della occupazione, sui percorsi di carriera e crescita professionale e persino sulle opportunità di partecipazione a percorsi di formazione.»;
più avanti si legge: «Sempre più numerose sono le famiglie nelle quali gli anziani, coabitanti o meno, offrono il loro aiuto nelle azioni di accompagnamento e di assistenza dei minori, assicurando così alla donna la possibilità di partecipare al mercato del lavoro, oppure mettono a disposizione la loro pensione nella vita familiare. E nello stesso tempo trovano nelle famiglie la risposta ai loro bisogni e alle loro paure. E questo il patto intergenerazionale che vogliamo promuovere», ma non si comprende cosa prevede di nuovo il «Programma di azioni per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro» al fine di promuovere questo modello di patto generazionale;
le donne, infatti, svolgono la stragrande maggioranza del lavoro domestico e di cura necessario per far funzionare una famiglia e per consentire ai lavoratori maschi di presentarsi ogni giorno al lavoro;
il documento, nel paragrafo successivo a quello citato, fa riferimento a tre possibili misure per sostenere un patto intergenerazionale di cura reciproca: agevolazioni fiscali o trasferimenti monetari e in natura; possibilità di cumulare crediti per prestazioni sociali; dovere di assicurare a chi ha oneri di cura contratti e orari di lavoro flessibili;
di fatto non c'è nulla dal lato dell'offerta pubblica di servizi. Non v'è traccia dell'intenzione di fare ciò che la grande maggioranza dei nostri vicini europei ha fatto già negli anni Novanta (e anche la Spagna c'è arrivata in anni recenti), ovvero di sviluppare un sistema di protezione sociale che copra le necessità di cura di lungo termine di una popolazione

che va invecchiando rapidamente. L'indennità di accompagnamento, riservata solo alle persone totalmente non autosufficienti, rimane l'unica politica significativa in termini di supporto finanziario alle persone anziane con bisogno di cura;
i modelli alternativi non sono solo quelli defamilizzanti dell'Europa scandinava, ma anche quelli del familismo esplicito, sostenuto con risorse pubbliche, dell'Europa continentale. In questo ultimo modello la famiglia deve farsi carico di una larga parte del lavoro di cura, ma viene aiutata con trasferimenti degni di nota e servizi di accompagnamento. Ad esempio, i sistemi di cura di Austria e Germania sono regolati da principi molto simili a quelli italiani. Tuttavia, non solo la copertura dei servizi di cura residenziali e domiciliari è ben più alta che in Italia, ma vi sono anche sistemi assicurativi per le cure di lungo termine che forniscono alle famiglie un supporto significativo. Nel 2006, quando l'indennità di accompagnamento in Italia era pari a 450 euro, il trasferimento massimo previsto in Austria era di 1.562 euro, mentre in Germania il massimo era pari a 665 euro (o 1.432 euro se si optava per ricevere servizi). Inoltre nei due paesi la copertura vara in misura proporzionale ai gradi di disabilità, non escludendo i casi meno gravi. E le famiglie sono libere di scegliere se ricevere servizi, soldi o un mix dei due (cfr. Marco Albertini, articolo del 30712/2009);
dal documento Italia 2020, purtroppo, non emerge alcun segnale che il Governo si muova in questa direzione. E pare difficile che i ministri stiano pensando di allargare la platea di chi riceve aiuto economico e, allo stesso tempo, di portare i trasferimenti a un livello «europeo». Se le famiglie dovranno continuare a occuparsi degli anziani non autosufficienti, senza che venga aumentata l'offerta di servizi pubblici o senza portare i trasferimenti monetari a un livello adeguato, è inevitabile che si accetti l'utilizzo di badanti assunte spesso fuori regola, oppure che molte figlie e nuore escano dal mercato del lavoro. Il familismo per default non aiuta ad aumentare la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, che pure è l'obiettivo esplicito delle azioni menzionate nel documento Italia 2020. Il rischio è che per le famiglie e le donne italiane, l'Italia del 2020 sia tragicamente uguale a quella del 2009;
alla crescita della partecipazione al lavoro femminile è corrisposta una scarsa o nulla crescita della partecipazione degli uomini al lavoro domestico e di cura dei figli anche quando le donne lavorano con orari simili, rendendo molto preoccupante la realtà italiana;
in questo quadro è importante cercare di rendere le politiche di conciliazione, part-time e congedi di genitorialità, più gender-neutral. Servono cioè politiche o interventi che sostengano le scelte di lavoro e di famiglia di uomini e donne. Nei paesi scandinavi e in Francia, le politiche pubbliche sostengono uomini e donne che lavorano: i congedi non troppo lunghi sono fruibili da ambedue i genitori, anche part-time sono stati introdotti servizi di vario genere e tipologia per i genitori, è previsto il telelavoro da casa, sempre per ambedue i genitori. E in quei paesi, la partecipazione femminile al mercato del lavoro e la fertilità sono più alte che nel resto d'Europa;
anche a motivo di queste loro responsabilità famigliari le donne non solo sono meno presenti nel mercato del lavoro, ma sono più esposte alla disoccupazione e ai nei rapporti di lavoro a termine;
secondo i dati Istat, oltre una donna occupata su cinque lascia il lavoro dopo la nascita di un figlio, si tratta di oltre il 20 per cento. Da questo punto di vista, a conferma della questione culturale evidenziata nei punti precedenti, non aiuta l'obiettivo di aumentare la presenza delle donne nel mondo del lavoro, la riforma Gelmini che ha privilegiato le 24 ore nella scuola elementare;
infine, molto spesso quando si ritirano dal mercato del lavoro le donne continuano a fornire più o meno intensamente

lavoro di cura non solo ai mariti, ma ai nipoti e ai genitori e suoceri resi dipendenti dall'età molto avanzata, in una società come la nostra in cui mancano i servizi sia per la primissima infanzia che per la dipendenza in età anziana;
manca il riconoscimento del valore economico al lavoro di cura, sia sotto forma di congedi coperti da indennità decenti che sotto forma di contributi figurativi più sostanziosi di quelli attualmente vigenti; al momento attuale solo il congedo di maternità è coperto da contributi figurativi calcolati sulla retribuzione effettiva (e solo per chi ha un lavoro regolare). Il congedo genitoriale, oltre ad essere compensato in maniera poco più che simbolica (30 per cento dello stipendio e solo se preso entro i tre anni di vita del bambini), dà luogo a contributi figurativi ridotti, ancorché riscattabili o integrabili con versamenti volontari, e per un massimo di sei mesi e solo per le lavoratrici dipendenti che abbiano almeno 5 anni di storia contributiva. Invece nel caso di contributi per il periodo del servizio militare (o civile alternativo a quello militare) basta aver avuto anche un solo contributo nel periodo precedente il servizio. È anche per questo - bassa remunerazione e scarsi o nulli contributi figurativi - che i padri raramente prendono il congedo genitoriale, allargando di fatto il divario con le loro compagne. Allo stesso tempo si ingenerano condizioni di disuguaglianza tra diverse figure di lavoratrici madri e tra queste e le madri fuori dal mercato del lavoro;
ancor meno è riconosciuto il lavoro di cura prestato per persone non autosufficienti. Solo nel caso di un figlio non autosufficiente si ha diritto ad un congedo fino ad un massimo di due anni, non remunerato ma coperto da contributi figurativi di importo fisso. Nel caso, molto più frequente, di assistenza ad anziani non autosufficienti, i contributi figurativi coprono al massimo i 25 giorni annuali di permesso consentito, e solo se la persona non autosufficiente convive con la lavoratrice/lavoratore;
in Italia le donne difficilmente arrivano ai vertici di aziende e istituzioni e anche la fertilità è bassa. Politiche e interventi che sostengano le scelte di lavoro e di famiglia possono far bene anche al nostro Pil;
in Italia micro-imprese e auto-impiego sono più diffusi che in altri paesi e le donne rappresentano il 25 per cento di questa categoria di imprenditori. Ma le banche praticano un tasso di interesse più alto quando è un'imprenditrice a chiedere l'accesso al fido, una fonte di credito importante per le necessità di cassa di aziende così piccole. Il differenziale non è giustificato da un maggior rischio di fallimento, come si rileva su tutto il territorio nazionale ed all'interno dei singoli settori. Questo è il risultato di un'analisi che condotta da Alesini, Lotti e Mistrulli e che si basa su più di un milione di accessi al fido bancario di 150 mila micro-imprese tra gennaio 2004 e dicembre 2006 «Do Women Pay More for Credit? Evidence from Italy», Nber Working Paper 14202);
quando una donna ha come garante un uomo, le viene praticato un tasso di interesse più basso della media delle imprese femminili. Il garante maschio è percepito come un segnale di affidabilità, e le banche trattano queste imprese come se fossero a proprietà maschile. Ciò rappresenta una forma di discriminazione. Il risultato più stupefacente è che se l'impresa femminile è garantita da un'altra donna, i tassi di interesse sono ancora più alti: una impresa a proprietà femminile garantita da un'altra donna paga un tasso di interesse più alto dello 0,6 per cento. In altre parole, una donna garantita da un'altra donna è considerata dalle banche il peggior cliente in assoluto;
se poi si guarda ai vertici delle banche, l'analisi dimostra che la presenza di donne nei consigli di amministrazione delle banche è scarsa: al massimo, ci sono due o tre donne in un consiglio composto da 10-15 membri. Sembra che in Italia il settore bancario sia riservato quasi esclusivamente agli uomini. Secondo le statistiche

della Commissione europea, il nostro Paese è ventinovesimo (su trentatrè censiti) per numero di donne presenti nei consigli d'amministrazione delle società quotate in borsa;
tradizionalmente l'auspicio di una maggiore integrazione delle donne nel mondo del lavoro si fonda su principi di equità. Ora alcuni saggi sostengono che la valorizzazione delle donne risponde anche a criteri di efficienza economica. La womenomics è stata introdotta da Kathy Matsui (citata da Daniela Del Boca, articolo del 16 marzo 2010), analista di Goldman Sachs, ed è approccio condiviso da diverse ricerche e ripresa dall'Economist;
l'Italia è, in Europa, tra i paesi con i risultati peggiori in termini di differenziali di genere, in particolare con riferimento a lavoro e politica. Questo evidenzierebbe, specialmente per il nostro Paese, un potenziale di crescita che un maggiore e migliore impiego delle capacità femminili consentirebbe di mettere a frutto. Chiudere il gap tra presenza maschile e femminile nel mondo del lavoro contribuirebbe anche ad alleviare il problema pressante della sostenibilità delle pensioni: l'aumento del numero degli occupati fra le persone in età lavorativa, infatti, ridurrebbe il cosiddetto «rapporto di dipendenza», ossia quello fra pensionati e lavoratori (cfr. Chiara Saraceno, articolo del 6 gennaio 2009);
l'equiparazione in Italia dell'età del pensionamento di donne e uomini per consentire alle prime di recuperare almeno in parte il gap contributivo con i loro colleghi maschi, necessita la contestuale eliminazione delle condizioni che ne sono all'origine, dissipando il rischio di aggiungere ingiustizia a disuguaglianza;
invece che «compensare» le donne per il loro lavoro non pagato con una vita lavorativa remunerata più corta, ma anche con una ricchezza pensionistica più ridotta, occorrerebbe prendere atto che quelle di loro che si fanno carico di responsabilità famigliari hanno in effetti una vita lavorativa complessivamente più lunga e pesante di quella degli uomini, con periodi di concentrazione spesso insostenibili e per cui pagano prezzi economici elevati. È su questo che occorre intervenire, destinando a misure sia di sostituzione (tramite i servizi) che di riconoscimento (tramite congedi remunerati e contributi figurativi) del lavoro di cura i risparmi ottenuti con l'innalzamento dell'età pensionabile delle donne. Ciò consentirebbe anche di non distinguere genericamente tra «donne» e «uomini», ma tra chi - donna o uomo - fa attività di cura per persone non autosufficienti per età o malattia e chi no;

impegna il Governo:

a porre tra le sue priorità quella di promuovere l'incremento dell'occupazione femminile, ferma da anni;
a dare piena attuazione al principio della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, così come garantito dall'articolo 157, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione, attraverso politiche concrete che non prescindano da un cambio di rotta culturale e da una costante verifica degli obiettivi prefissi e di quelli raggiunti, operando in modo che la azioni intraprese si inseriscano in un piano organico ed integrato, e possano essere modificate in funzione della loro efficienza ed efficacia;
ad assumere le necessarie iniziative volte a modificare la legislazione esistente al fine di assicurare l'indipendenza degli organismi per la promozione, l'analisi, il controllo e il sostegno della parità di trattamento nei luoghi di lavoro di tutte le persone senza discriminazioni fondate sul sesso, sia per assicurare che gli organismi siano effettivamente indipendenti e non sottoposti all'invadente controllo e regolamentazione governativa e sia per assegnare a tali organismi quelle funzioni espressamente previste dalla direttiva n. 54 del 2006 e di cui attualmente ancora non dispongono;

a dare applicazione al principio di parità in tutte le nomine governative di enti, organismi, agenzie e autorità, via via che esso debba procedere al rinnovo dei mandati;
a far emergere il lavoro sommerso delle donne nel campo dei servizi di cura attraverso sgravi fiscali alle famiglie;
a ridurre le discriminazioni del credito e sostenere il lavoro autonomo e imprenditoriale delle donne;
ad attivare iniziative politiche di sostegno alle lavoratrici madri, dagli orari più lunghi e flessibili degli asili, ai congedi parentali part time a padri e madri (sull'esempio della Svezia);
ad incidere sulle condizioni che producono il gap reddituale e contributivo tra donne e uomini, eliminando le discriminazioni di genere che ancora esistono nel mercato del lavoro ad ogni livello - dall'accesso, alle forme contrattuali, alle possibilità di carriera, rafforzando le politiche di conciliazione, per donne e uomini - dai servizi di cura per la prima infanzia e per le persone non autosufficienti, ai tempi scolastici che tengano conto del fatto che oramai nella maggioranza delle famiglie entrambi i genitori - o l'unico genitore presente - sono occupati;
a riconoscere adeguato valore economico al lavoro di cura, sia sotto forma di congedi coperti da indennità al riguardo e attraverso sotto forma di contributi figurativi più sostanziosi di quelli attualmente
vigenti;
a riconoscere adeguatamente il lavoro di cura prestato per persone non autosufficienti.
(7-00306)
«Paladini, Porcino, Mura, Di Giuseppe».

La XI Commissione,
premesso che:
in data 21 marzo 2010 nelle acque al largo di Bacoli, in provincia di Napoli, si è verificato un evento che ha coinvolto 9 subacquei per i quali è stata attivata una procedura di emergenza di tipo precauzionale, malgrado nessuno fosse stato colto da malore nella fase di risalita, ma che pone in evidenza le criticità di carattere normativo, procedurale ed organizzativo che ancora sussistono nell'ambito delle attività subacquee;
sulla base dei dati raccolti dai referenti competenti negli istanti successivi all'evento, le criticità sono state causate da un improvviso cambio delle condizioni di visibilità nell'acqua ed i subacquei - in conseguenza del rallentamento delle operazioni didattiche che stavano svolgendo - hanno esaurito la scorta di aria;
stando alle procedure operative predefinite, soltanto uno degli istruttori avrebbe dovuto effettuare la procedura di risalita con decompressione. Gli altri componenti del gruppo, tutti in possesso di brevetto, non avrebbero dovuto eseguire alcuna tappa obbligatoria di decompressione;
stando alle norme di buona prassi e di sicurezza - sebbene non vincolanti - i nove subacquei avrebbero potuto effettuare una fermata di 3 minuti a -3 metri;
la procedura di sicurezza - non rispettata - ha innescato il riscontro da parte di alcuni computer che - programmati anche per il rispetto di quella tappa non obbligatoria - hanno dato allarme di decompressione non mantenuta;
l'intervento repentino dei medici, sollecitato dalla notifica segnalata dai computer, ha condotto all'attivazione in via precauzionale di due camere iperbariche - quella dell'ospedale Cardarelli e dell'ospedale Santo Bono di Napoli;
i problemi di salute riscontrati ai nove operatori sono stati causati più dallo stress psicologico che da eventuali fenomeni

embolici - che non si sono potuti manifestare anche per la preventiva azione iperbarica effettuata;
la celerità del meccanismo di emergenza attivato, con particolare e lodevole attenzione alla decisione di allertare i soccorsi da parte del subacqueo responsabile del gruppo, all'intervento del 118 e all'intervento dei due reparti di medicina iperbarica, ha evidenziato come l'esistenza di un quadro normativo adeguato e corretto possa contribuire a scongiurare gravi conseguenze sotto più profili;
in sede parlamentare è in discussione una proposta di legge recante «Disciplina delle attività subacquee e iperbariche», che è volta a dare finalmente un quadro chiaro e strutturato alla materia ponendo ordine in maniera completa ed adeguata, in una categoria operativa, sottoposta a condizioni di attività ed operazioni usuranti. Si tratta di un testo finalizzato ad identificare i soggetti che operano nel settore della subacquea, indicandone specifici requisiti e creando una doverosa armonia e sintonia con la normativa internazionale,

impegna il Governo:

a predisporre ogni ulteriore iniziativa volta alla rapida definizione di un quadro normativo generale e condiviso da tutti i settori e gli ambiti operativi della subacquea, in cui vengano contemplati adeguati standard di sicurezza il cui rispetto sia cogente e rigoroso, onde evitare il ripetersi di tragedie ed incidenti prevedibili quanto evitabili;
a valutare l'eventualità di sostenere la predisposizione di un percorso di sensibilizzazione delle realtà formative, delle agenzie didattiche, delle associazioni nazionali nonché delle realtà imprenditoriali operanti nel settore delle attività subacquee, circa i rischi e le criticità che il mancato rispetto delle più semplici regole di buona prassi può arrecare agli operatori e alle stesse attività.
(7-00307) «Di Biagio».

La XIII Commissione,
premesso che:
è detto germoplasma il materiale ereditario trasmesso alla prole mediante le cellule germinali in grado di permettere di preservare in modo diretto la biodiversità a livello genetico e di specie e che contribuisce in maniera indiretta all'incremento della biodiversità;
il germoplasma, conservato nel terreno o in vitro, permette di conoscere e qualificate i vegetali, specie per ciò che riguarda le specie che si sono estinte, consentendo in tal modo di conservare traccia della flora scomparsa per ragioni di studio;
secondo dati scientifici, una parte significativa delle piante in Italia rischiano l'estinzione, se non l'hanno già subita, in seguito al fenomeno dell'inurbamento, per la diffusione di alcuni tipi di agenti contaminanti, per i mutamenti climatici o per la stessa coltivazione e selezione delle specie che compie l'agricoltura;
a livello mondiale alcuni studi parlano della possibile scomparsa di ben 34mila piante da fiore su 250 mila piante da fiore esistenti sulla Terra;
l'Italia è il Paese europeo che possiede in assoluto la maggiore varietà di piante a fiore, circa 5.000 specie, e questo la rende conseguentemente il Paese con il più alto numero di specie a rischio d'estinzione, quantificabile intorno alle 300; si rende pertanto urgente un progetto per la loro conservazione per preservare la biodiversità, con speciale riferimento a quella agraria e alimentare;
al margine del convegno «2010 Anno Internazionale della biodiversità: Ora è il tempo di agire» svoltosi di recente nell'ambito della sesta edizione di Mediterre 2010, Sebastian Winkler, Direttore del Countdown 2010 dell'UCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) ha dichiarato, per quanto riguarda le specie animali, «siamo di fronte a una

drammatica riduzione della biodiversità, la sesta estinzione di massa e, soprattutto, la prima provocata dall'uomo»,

impegna il Governo

ad assumere iniziative volte a istituire, ove non sia possibile identificare un ente già costituito da potenziare a tale scopo, una struttura nazionale della biodiversità che provveda alla raccolta, alla catalogazione e alla conservazione del germoplasma delle specie, specialmente quelle d'interesse agrario e alimentare, presenti attualmente sul territorio nazionale.
(7-00302) «Bellotti».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, per sapere - premesso che:
il presidente della regione Campania, nella qualità di commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro del settore sanitario, ha disposto con delibera n. 10 del 12 marzo 2010 il divieto assoluto, a partire dalla data della notifica del decreto e per gli esercizi 2010 e 2011, di trasformare i contratti a tempo determinato dei medici specialisti ambulatoriali convenzionati in contratti a tempo indeterminato e di rinnovare i contratti a tempo determinato scaduti e non ancora rinnovati o in scadenza;
con medesima delibera, il commissario ad acta ha disposto il divieto assoluto di bandire nuovi turni, di conferire nuovi incarichi per ore di attività e di ampliare i turni in atto attraverso la copertura di quelli divenuti vacanti, di conferire incarichi provvisori e di conferire a qualsiasi titolo ore divenute vacanti;
si tratta di provvedimenti che rischiano di penalizzare i cittadini che non avranno più la garanzia della costante erogazione dei servizi sanitari;
sono a rischio di chiusura numerosi distretti sanitari della Campania, in modo particolare quelli delle zone più interne e disagiate dove non esistono altri servizi nemmeno garantiti da strutture convenzionate;
ci sarà un ulteriore prolungamento delle liste di attesa che già prevedono, per alcune branche, tempi di alcune settimane con ripercussioni evidenti soprattutto sulle fasce più deboli che non hanno la possibilità economica di fare ricorso a specialisti privati;
si tratta di una scelta che prescinde dai risultati gestionali ottenuti dai singoli distretti e che non fa giustizia delle aziende sanitarie che si sono sforzate di ridurre la spesa, adottando politiche di contenimento -:
se non si intenda assumete iniziative volte:
a) a far ritirare il decreto commissariale n. 10 del 12 marzo 2010;
b) a prevedere misure di contenimento della spesa sanitaria che non intacchino assolutamente l'efficacia delle prestazioni erogate a scapito dei cittadini;
c) ad adottare ogni iniziativa di competenza affinché dia varato un piano di potenziamento della specialistica ambulatoriale e dei servizi distrettuali che consentirebbe di garantite il diritto alla salute così come sancito dall'articolo 32 della Costituzione - ove si prevede che «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti» - e, al tempo stesso, di evitare i ricoveri impropri e il

ricorso eccessivo a indagini diagnostico strumentali e, conseguentemente, un'effettiva riduzione della spesa sanitaria.
(2-00658)
«Iannaccone, Sardelli, Belcastro, Gaglione, Milo, Brugger».

Interpellanze:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere - premesso che:
con l'ordinanza n. 3663 del 19 marzo 2008, furono individuati gli immobili di proprietà dello Stato da destinare alla sede del G8 di La Maddalena - prima del trasferimento dell'evento a L'Aquila - nonché delle principali strutture di accoglienza, disponendo la dismissione dei medesimi beni da parte del Ministero della difesa a favore della regione autonoma della Sardegna;
tutto ciò previa delocalizzazione di alcune attività e funzioni ancora ivi svolte, e disponendo per gli immobili appartenenti al demanio del ramo Difesa, la loro sdemanializzazione e il loro passaggio al patrimonio disponibile dello Stato;
il commissario delegato - nella persona del dottor Bertolaso, capo del dipartimento della protezione civile - a seguito delle citate ordinanze, ha preso in consegna, tra le altre, anche le aree e gli immobili situati nell'ex arsenale de La Maddalena, realizzando gli interventi di adeguamento ed allestimento delle strutture presso cui si sarebbero svolte le manifestazioni del grande evento del G8;
successivamente, l'articolo 6 dell'ordinanza n. 3758 del 5 febbraio 2009 ha previsto che, al fine di assicurare l'immediata redditività degli investimenti effettuati a valere sui fondi FAS (i fondi per le aree sottosviluppate) e per favorire il loro positivo impatto nello sviluppo socio-economico dell'isola de La Maddalena, la regione autonoma della Sardegna, per il tramite del commissario delegato, provvedesse ad espletare le procedure selettive accelerate per l'affidamento, in concessione trentennale, poi diventata quarantennale, ai sensi della successiva ordinanza di protezione civile n. 3774 del 2009, delle aree demaniali;
queste erano già state prese in consegna dalla struttura commissariale per l'organizzazione del grande evento, per la gestione del servizio di ricettività alberghiera, del porto turistico, dell'ex ospedale militare de La Maddalena e delle connesse strutture ed aree situate nell'ex arsenale. Nel rispondere in data 25 febbraio 2010, alla interpellanza urgente n. 2-00622 presentata dagli attuali interpellanti, il sottosegretario Pizza precisava che «non è stata necessaria l'intesa della regione riguardo alla successiva predisposizione dei bandi di gara, la cui autorizzazione per il commissario delegato ad espletare le procedure selettive è consentita nella disposizione prevista dal suddetto articolo 6, comma 4, della stessa ordinanza n. 3738»;
senza intesa formale della regione Sardegna, fu quindi adottato il bando di gara per la gestione del servizio di ricettività alberghiera del porto turistico e delle connesse strutture ed aree situate nell'ex arsenale (pubblicato in data 10 febbraio 2009 nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee - GUCE - e nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 13 febbraio 2009);
aggiudicataria della gara è risultata l'unica società partecipante, Mita Resort Srl, come da avviso di aggiudicazione pubblicato nella GUCE in data 25 giugno 2009. Su tale bando di gara fu subito inoltrato ricorso con contestuale richiesta di annullamento al Tribunale amministrativo regionale del Lazio (il TAR del Lazio si è poi pronunciato il data 10 marzo 2010, confermando la validità del bando di gara; attualmente gli interpellanti non sanno se sia stato inoltrato ulteriore ricorso presso il Consiglio di Stato);
successivamente all'aggiudicazione della gara, con l'articolo 17 del decreto-legge n. 39 del 2009, convertito con modificazioni dalla legge n. 77 del 2009, emanato

a seguito dei noti eventi sismici che hanno colpito l'Abruzzo, la sede del vertice è stata spostata a L'Aquila, mentre le ordinanze di protezione civile, adottate in conseguenza della dichiarazione di «grande evento» ai sensi del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 settembre 2007, hanno continuato ad applicarsi per assicurare il completamento delle opere in corso di realizzazione e già programmate, e di quelle da programmare nei limiti delle risorse rese disponibili dalla regione Sardegna e dagli enti locali per la diversa localizzazione del vertice G8;
in attuazione delle disposizioni di cui al citato articolo 17 del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, con l'articolo 13 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3774 del 2009, si è stabilito che la concessione delle aree demaniali passasse da trentennale a quarantennale, in considerazione delle conseguenze derivanti dal trasferimento della sede del vertice G8. Tutto ciò in considerazione - come ha dichiarato il Sottosegretario Pizza in risposta alla già citata interpellanza urgente: «in considerazione della mancata promozione del sito e delle strutture ricettive realizzate nell'isola de La Maddalena, dell'esigenza di mantenere la necessaria redditività degli investimenti effettuati e il loro positivo impatto sullo Sviluppo socio-economico dell'isola, nonché tenendo conto dei maggiori oneri derivanti al concessionario dalle prescrizioni alle proposte progettuali esaminate in sede di conferenza di servizi, finalizzate a garantire la migliore sostenibilità ambientale degli interventi»;
in attuazione quindi delle richiamate disposizioni normative sopravvenute, «il commissario delegato ha provveduto a rinegoziare con la società affidataria i contenuti del rapporto di concessione, per tenere conto della mutata situazione intervenuta successivamente all'aggiudicazione, considerando il venir meno degli effetti promozionali, conseguenti alla localizzazione del vertice presso l'ex arsenale de La Maddalena»;
all'esito della rinegoziazione, con la convenzione stipulata il 9 giugno 2009 tra la Protezione civile e la Mita Resort spa, la società affidataria si è obbligata a corrispondere la somma una tantum di 31 milioni di euro, da versare al Dipartimento della protezione civile in tre rate ed entro 13 mesi dalla consegna definitiva delle aree e delle strutture, con attestazione dell'avvenuta bonifica completa dello specchio acqueo compreso nella concessione. La società doveva, altresì, corrispondere alla regione Sardegna un canone annuo in concessione di 60 mila euro, soggetto ad adeguamento ISTAT, per l'intera durata della concessione quarantennale;
tale Convenzione prevede anche, come riportato in data 21 marzo 2010, dal quotidiano La Nuova Sardegna, che gli oneri ICI da corrispondere al comune di La Maddalena siano a carico della regione Sardegna. L'onere sui 115 mila metri quadri dell'ex arsenale (27mila metri quadri solo tra hotel, palazzo delle conferenze e area commerciale) è valutato in oltre 500 mila euro l'anno. In pratica la regione Sardegna ogni anno riceverebbe da Mita Resort solo 60mila euro per l'affitto del complesso e invece sarà costretta a spenderne 500mila in tasse: una perdita di 440mila euro. Il tutto per onorare una convenzione con un soggetto privato stipulata non dalla regione Sardegna, ma da un altro soggetto, la Protezione civile, ed i cui oneri ricadono, non sulla Protezione civile o sullo Stato, ma sulla regione Sardegna;
appare agli interpellanti gravemente lesivo delle prerogative statutarie della regione Sardegna, peraltro proprietaria del bene oggetto di bando pubblico e affidamento in concessione, l'eventuale mancato coinvolgimento della regione e del suo Presidente; come pure appare contrario ai principi della buona amministrazione che

su un bene pubblico dato in gestione ai privati, gli oneri tributari possano rimanere in capo al pubblico e non al privato, già beneficiario, a prezzi più che vantaggiosi, dell'affidamento del bene -:
se e con quali modalità la regione Sardegna sia stata coinvolta e resa partecipe della stipula della convenzione del 9 giugno 2009 tra la Protezione civile e la Mita Resort;
se non ritenga opportuno intervenire al più presto per modificare le condizioni imposte dalla convenzione del 9 giugno, stipulata fra la Protezione civile e il Gruppo Mita Resort, che provocano un grave danno alla regione Sardegna;
se non ritenga opportuno - considerato che, come ammesso anche dal Governo, l'onere principale per le opere per lo svolgimento del G8 a La Maddalena risulta essere a carico della regione Sardegna, visto che sono state finanziate in gran parte con fondi FAS, già in capo della regione Sardegna - prevedere che l'importo una tantum di 31 milioni di euro sia assegnato alla regione Sardegna, piuttosto che alla struttura di missione della Protezione civile.
(2-00657)
«Calvisi, Soro, Fadda, Marrocu, Melis, Arturo Mario Luigi Parisi, Pes, Schirru».

Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere - premesso che:
come noto, durante la prima e seconda guerra mondiale nei fondali italiani sono affondante numerose navi cariche di sostante tossiche;
a ciò va aggiunto che la pratica di smaltire in mare rifiuti pericolosi da parte di organizzazioni criminali è tutt'ora diffusa, come denunciato dalle associazioni ambientaliste;
conseguentemente l'attenzione degli organi competenti diretta ad accertare la salubrità delle nostre acque deve essere sempre massima, al fine di evitare che le cosiddette «navi dei veleni» arrechino irreparabili danni all'ecosistema marino e alla salute dei cittadini;
a largo di Cetraro (Cosenza) nel settembre 2009, su indicazioni del pentito di mafia Francesco Fonti, è stato ritrovato un relitto di grandi dimensioni, carico di fusti contenenti sostanze potenzialmente tossiche o radioattive;
le indagini effettuate dalla nave Oceano, identificando il relitto con la nave passeggeri Catania affondata durante la prima guerra mondiale, avrebbero escluso che si tratti del Cunsky con a bordo scorie radioattive;
tuttavia all'interrogante risulta che il caso sia stato chiuso molto rapidamente dal Ministro interrogato e dal procuratore nazionale antimafia Grasso, nel corso di una conferenza stampa congiunta;
peraltro il WWF avrebbe sollevato dei dubbi sugli accertamenti effettuati dalla nave Oceano, chiedendo «una perizia pubblica comparata che possa fugare ogni dubbio e accertare appieno la verità sull'identità e il contenuto della nave affondata a Cetraro», mentre associazioni e comitati calabresi avrebbero più volte invocato le risultanze delle prospezioni marine e delle analisi sui campionamenti effettuati dalla nave Oceano;
sulla questione vi sono dunque ancora diverse incertezze, come dimostra un articolo apparso sul sito internet www.italiaterranostra.it. che rivolge al Ministro parte delle domande riportate nella presente interrogazione -:
se il Ministro interrogato per quanto di sua competenza, non intenda chiarire i motivi per i quali il relitto di cui in premessa, se conosciuto dalla Marina e dalle capitanerie di porto, non sia stato segnalato a tempo debito al procuratore Bruno Giordano titolare dell'inchiesta;

perché esistano differenze sostanziali tra le dimensioni del relitto di Cetraro, lungo 103 metri, e il piroscafo Catania, lungo 95,5 metri;
se non si intenda rendere noto il luogo ove la nave Oceano avrebbe effettuato le verifiche, la rotta seguita, il posizionamento e quanto riscontrato;
come mai le foto e le riprese video effettuate dal Rov della nave Oceano siano diverse da quelle realizzate dal Rov dell'Arpacal;
perché non sia stato reso ancora pubblico l'intero fumato georeferenziato realizzato dal Rov della nave Oceano;
quali siano le ragioni per cui il Ministro interrogato, prima ancora che il Rov della Geolab si immergesse nelle acque, abbia comunicato che il relitto di Cetraro non poteva essere quello del Cunsky e abbia definito chiuso il caso senza accertarsi del carico della nave;
dove siano stati posizionati i fusti o le maniche a vento ripresi dal Rov inviato dalla regione Calabria e perché non siano stati recuperati e portati in superficie a prova dell'asserita verità;
perché siano stati comunicati solo i dati delle analisi sulla radioattività effettuate a 300 metri di profondità nonostante il relitto si trovi a 483 metri;
perché, nonostante la richiesta ufficiale da parte della regione Calabria, non sia stato comunicato il protocollo scientifico adottato per compiere le analisi sul relitto, sui fondali e nelle acque circostanti;
perché non siano state condotte, in via preliminare, le dovute indagini sulla catena alimentare della fauna ittica e sui sedimenti dei fondali onde rilevare la presenza di eventuali radionuclidi e/o agenti contaminanti di diversa natura;
perché sulla vicenda del relitto di Cetraro sia stato adottato un metodo differente da quello utilizzato per le indagini sul materiale contaminato rinvenuto nella vallata dell'Oliva dove le analisi sui campioni prelevati saranno condotte da quattro laboratori differenti mentre sulla nave Oceano non sia stato permesso l'ingresso, se non per poche ore, ai ricercatori dell'Arpacal;
perché la capitaneria di porto di Cetraro nel 2007 emise l'ordinanza di divieto di pesca a poche centinaia di metri dal luogo indicato da Fonti, subito dopo le analisi effettuate dall'Arpacal che indicavano la presenza allarmante di metalli pesanti quali l'arsenico, il cobalto ed il cromo pescato, e perché la medesima ordinanza sia stata ritirata un anno dopo ed ora non appaia più sul sito dell'ufficio marittimo di Cetraro dove sono visibili ordinanze precedenti;
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei filmati effettuati nel 2005-2006 per conto della procura di Paola della società Nautilus e perché non venga resa pubblica tale documentazione visiva;
quali provvedimenti siano stati adottati in riferimento ai fusti di rifiuti individuati recentemente al largo di Cetraro dal dottor Andrea Peiser, zoologo marino, segnalati e sequestrati dall'ufficio marittimo di Cetraro, fotografati dal giornalista Gianni Lannes;
per quali ragioni il comandante della direzione marittima di Reggio Calabria non consenta l'accesso al registro pubblico dei sinistri marittimi;
se corrisponda al vero che sulla questione di cui in premessa sia stato apposto il segreto di Stato;
perché le autorità non abbiano consentito a giornalisti indipendenti di seguire a bordo della nave Oceano i lavori di ricognizione marina, garantendo invece ad alcuni agenti dei servizi segreti la partecipazione alle indagini;
se corrisponda al vero che il sindaco di Cetraro, Giuseppe Aieta, sia stato estromesso dal Governo dalla vicenda e non sia stato informato sugli sviluppi, come dichiarato

dallo stesso sindaco in una conferenza pubblica del giornalista Gianni Lannes.
(2-00659)«Zazzera, Piffari».

Interrogazioni a risposta scritta:

OLIVERIO e MINNITI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
le violentissime e intense piogge delle ultime settimane, le improvvise piene dei corsi d'acqua, gli smottamenti e le frane hanno arrecato gravissimi danni all'economia e alla società calabrese;
l'esposizione alle frane ed alle alluvioni rappresenta un problema di eccezionale rilevanza socioeconomica per tutta la regione calabrese, sia per il numero di potenziali vittime di una calamità naturale, che per i danni prodotti agli edifici abitativi, agli insediamenti produttivi e industriali ed alle infrastrutture, alla circolazione di beni e di persone;
il 100 per cento dei 409 comuni calabresi è a rischio idrogeologico: 57 a rischio frana, 2 a rischio alluvione e 350 a rischio sia di frana che di alluvione (Fonte: Ecosisterna a rischio 2008, Legambiente e dipartimento della protezione civile);
il resoconto dei principali eventi calamitosi relativi soltanto agli ultimi 60 giorni ha assunto i contorni di un vero e proprio bollettino di guerra quotidiano: le immagini relative all'emergenza franosa di Maierato, in provincia di Vibo Valentia, per la loro carica di forte drammaticità comunicativa sono state riprese dai media di tutto il mondo;
per quanto riguarda il territorio catanzarese, a partire dal 10 febbraio 2010, si sono concentrate sull'area forti precipitazioni che hanno portato alla formazione di fenomeni franosi diffusi su tutto il territorio cittadino. Sono risultate colpite località limitrofe ai centri abitati, ma la calamità maggiore è stata riscontrata nelle località Gelsi-Scala di Ianò e località Rombolotto sempre di Ianò;
in questa ultima località in particolare sono stati individuati corpi franosi di particolare entità che hanno portato all'interruzione di importanti arterie viarie come la strada provinciale per Magisano e la riduzione della strada statale 109-bis;
tale evento franoso ha comportato l'evacuazione di circa 100 nuclei familiari, 11 attività commerciali e produttive per un totale di 320 persone; una parte degli sfollati ha trovato rifugio presso familiari, parenti o amici, mentre 160 persone sono state alloggiate in albergo a spese del comune di Catanzaro fin dal giorno successivo all'evento -:
quali interventi urgenti il Governo intenda attivare per l'immediata messa in sicurezza delle località Gelsi-Scala e Rombolotto di Ianò, dal momento che già stessi vertici della Protezione civile, dottor Guido Bertolaso e professor Bernardo De Bernardinis, in un sopralluogo sul posto del 20 febbraio 2010, hanno valutato che i problemi di dissesto idrogeologico e di protezione civile a Catanzaro risultavano addirittura più gravi rispetto a quella di Maierato (Vibo Valentia) in quanto l'emergenza franosa aveva interessato un territorio più ampio e intensamente urbanizzato;
in quale data il Governo intenda erogare i 15 milioni di euro, già promessi in occasione dell'emergenza alluvionale agli enti locali calabresi, in queste ore impotenti, con risorse e mezzi limitati, di fronte alle conseguenze della nuova ondata di maltempo;
se il Governo ritenga opportuno definire un piano organico di prevenzione delle calamità naturali, da affiancare a quello della regione Calabria al fine di affrontare nella maniera più efficace le emergenze alluvionali ed il rischio idrogeologico del territorio (frane, alluvioni, smottamenti);

quali risorse finanziarie il Governo intenda mettere a disposizione per la riqualificazione dei centri storici ed il rafforzamento strutturale degli edifici e delle abitazioni dei comuni calabresi;
in che maniera il Governo intenda sollecitare l'ANAS per il ripristino della completa percorribilità delle statali e provinciali interessate dagli eventi franosi dell'ultimo periodo nell'area catanzarese e nell'intera Calabria;
quali risorse, infine, il Governo intenda impegnare per l'immediato e duraturo ripristino e miglioramento delle infrastrutture viarie e stradali calabresi esistenti.
(4-06601)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
notizie stampa riferiscono di società che hanno partecipato al progetto C.a.s.e. per la ricostruzione dell'Abruzzo e che avrebbero legami con criminalità e politica;
in particolare secondo un'inchiesta del quotidiano Terra di sabato 13 marzo 2010, il progetto c.a.s.e., volto alla realizzazione di 184 edifici, circa 4.600 appartamenti, con una spesa totale di circa 710 milioni di euro, ha comportato un costo al metro quadro del progetto pari a 2.850 euro, contro un costo di costruzione medio di un palazzo a norma antisismica pari a 1.100 euro/1.300 per metro quadro;
il meccanismo di realizzazione dei lavori è stato tale per cui sono state 16 le ditte o consorzi che si sono aggiudicate l'appalto per la realizzazione degli edifici del progetto C.a.s.e. i quali in virtù delle norme emergenziali varate dopo il sisma hanno avuto la facoltà di convocare ditte subappaltanti senza bando; le nuove norme, inoltre, hanno anche derogato alla legge 163 del 2006 del codice dei contratti pubblici, prevedendo che si potessero affidare in subappalto lavori fino al 50 per cento della commessa;
tra le numerose aziende coinvolte si segnala in particolare la ditta Sled che fa capo a Wolf Chitis, già condannato negli anni novanta per gli appalti truccati della metropolitana di Napoli e la ditta che fa capo agli abruzzesi fratelli Frezza, Armido e Walter, la cui impresa, tra l'altro, aveva firmato proprio i lavori dell'ospedale di San Salvatore, miseramente crollato durante il sisma -:
quali controlli siano previsti e quali siano stati effettuati sulle suddette imprese appaltatrici e subappaltanti;
quali misure intenda intraprendere il Governo per garantire la trasparenza delle procedure e dei controlli circa i nominativi degli appaltatori, dei subappaltatori e dei consulenti verso i quali sono state assunte obbligazioni dal commissario straordinario;
per quali ragioni si sia preferito portare a termine un progetto dispendioso per la costruzione di palazzi a norma antisismica, a fronte dell'esistenza di prezzi più vantaggiosi.
(4-06603)

DI STANISLAO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 aprile 2009 «Caratteristiche delle insegne» stabilisce all'articolo 11 (Produttore - distributore unico) che la società System Data Center s.p.a. con sede a Roma è stata nominata «a seguito di apposita procedura di gara» per la «realizzazione e distribuzione degli attestati di pubblica benemerenza» e che «al riguardo si autorizza per due anni dalla data di pubblicazione del presente decreto». Al comma 3 del suddetto articolo si stabilisce che «le ditte che intendano concorrere con le proprie offerte, potranno

inviare apposita richiesta entro e non oltre il 31 dicembre di ogni biennio a decorrere dall'anno 2010»;
l'11 marzo 2010 un comunicato della Protezione civile, dopo diversi articoli emersi sulla stampa, informa i cittadini che a tutte le amministrazioni e forze dello Stato (Vigili del fuoco, forze dell'ordine, forze armate), ma anche a volontari e volontarie che hanno prestato la loro attività, a qualsiasi titolo, nell'ambito di un determinato evento, al termine della procedura si invia loro a domicilio un diploma che attesta l'attività svolta;
inoltre, tutti coloro che hanno ricevuto l'attestato cartaceo, per avere il cofanetto con tutte le insegne, medaglie, lustrini e quant'altro la società che le produce vorrà inserire, dovranno comprarlo ad un costo che si aggira intorno ai 130 euro;
per l'acquisto è necessario collegarsi al sito benemerenze.it e inviare la propria richiesta direttamente alla società System Data Center spa dopo aver fatto il proprio preventivo e inserito l'ordine di acquisto;
il capo della Protezione civile ha affermato che «se il Dipartimento della Protezione civile avesse dovuto acquistare le onorificenze per tutti gli aventi diritto avrebbe dovuto spendere oltre nove milioni di euro»;
l'ipotetico beneficiario che voglia avere un ricordo dell'esperienza che lo ha coinvolto nell'ambito delle emergenze nazionali ed internazionali non ha nessun potere decisionale e di scelta sul contenuto del cofanetto, ma deve necessariamente comprare tutto ciò che gli viene indicato nel preventivo in quanto pacchetti standard;
risulta che sia «possibile acquistare le insegne anche senza aver ricevuto l'attestato»;
sul sito benemerenze.it chiunque può visionare, stampare e divulgare i dati personali di tutti coloro hanno prestato soccorso durante le emergenze e chiunque può acquistare cofanetti a nome di altre persone;
sul sito della Protezione civile nell'area «Avvisi e Bandi» non vi è traccia del bando di gara citato nel decreto del 28 aprile 2009 dal quale è uscita vincitrice la società System Data Center spa -:
se il Governo non intenda esporre il bando di gara vinto dalla società Data Center spa per la realizzazione e distribuzione degli attestati di benemerenza nonché dei cofanetti con le insegne e illustrare i criteri e modalità con i quali è stata nominata la vincitrice;
se il Governo non intenda porre un rimedio e rivedere completamente la gestione delle benemerenze al fine di evitare, come ora accade, una divulgazione di dati personali nonché possibili vendite non autorizzate dal soggetto in questione;
se il Governo non ritenga di dover eliminare tale onere a carico dei migliaia di cittadini che prestano il loro prezioso e vitale soccorso nelle emergenze del Paese.
(4-06617)

SIRAGUSA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il comparto agrumicolo siciliano attraversa una fase di estrema crisi;
il 22 febbraio 2010, l'assessorato delle risorse agricole ed alimentari della regione Sicilia, ha pubblicato un bando di gara per il «Ritiro straordinario di arance da destinare previa trasformazione in succhi ad aiuti umanitari»;
«la Regione Siciliana - si legge nello stesso - in relazione alle difficoltà di mercato della produzione arancicola 2009/2010 ha ritenuto opportuno dare corso ad un ritiro straordinario di agrumi per un quantitativo complessivo di circa 50.000 tonnellate di arance, per avviarlo alla trasformazione in succo da destinare ad

aiuti umanitari per il tramite della Protezione Civile o altri Enti Caritatevoli»;
la dotazione finanziaria a sostegno di tale misura è di 12,5 milioni di euro;
in data 8 marzo 2010 è stato pubblicato sul sito internet dell'assessorato regionale alle risorse agricole l'elenco dei produttori ammessi al conferimento di arance con le relative quote di assegnazione nell'ambito del ritiro delle 50.000 tonnellate di arance. Il dipartimento ha anche provveduto a identificare i tredici centri di raccolta per le arance che saranno trasformate;
in data 25 febbraio Assitrapa (associazione italiana trasformatori prodotti agricoli) scrive all'Assessore delle risorse agricole ed alimentari della regione Sicilia chiedendo di postergare il bando al 10 aprile 2010 per evitare che ci possano essere turbative di mercato che danneggerebbero tutto il settore della trasformazione. Nella missiva l'associazione definisce «oneroso» il coinvolgimento delle aziende trasformatrici nell'operazione di aiuto al mondo agricolo;
in data 28 febbraio Confindustria Palermo scrive all'assessore rilevando che «le industrie di trasformazione degli agrumi hanno già dato la loro disponibilità alla trasformazione delle arance in eccedenza purché il ritiro di queste arance avvenga in maniera tale da non provocare alcuna turbativa di mercato»;
alle suddette proteste si è aggiunta, sempre con una lettera inviata all'assessore, anche il Citrag (consorzio italiano industrie di trasformazione agrumi) che ha messo in luce il fatto che «non tutte le industrie sono nelle condizioni di potere partecipare (al bando ndr). Soltanto 2-3 aziende hanno l'impianto di confezionamento da 1 lt con le caratteristiche previste dal bando. Le rimanenti 12-13 aziende non hanno quest'impianto e pertanto rimarrebbero tagliate fuori.» Inoltre, prosegue il Citrag «togliere dal mercato 50.000 ton. di arance nel centro della campagna di raccolta (dal 10/03 al 23/04), provocherebbe una forte sperequazione fra le aziende di trasformazione siciliane non partecipanti al bando ed una forte turbativa di mercato con gravi danni per tutto il settore. Il succo d'arancia rosso naturale "NFC" è un prodotto di "elite" ed il più delicato dal punto di vista qualitativo. Le aziende aggiudicatarie del bando dovrebbero consegnare 5.000.000 di litri di succo d'arancia che, confezionati come previsto dal bando, dovrebbero essere mantenuti e distribuiti nella linea refrigerata (0/+4oC) e dovrebbero necessariamente essere consumati entro 50 giorni dal confezionamento. È quindi evidente che il prodotto così concepito non sarebbe idoneo ad essere utilizzato negli interventi per aiuti umanitari»;
secondo quanto dichiarato dalle associazioni di cui sopra, le aziende rimaste fuori dal bando pubblico rischiano di non poter rispettare i contratti di export già siglati in Italia e all'estero;
mentre l'intervento a sostegno degli agrumicoltori risulta necessario, considerato lo stato di crisi che perdura e che anzi si è quest'anno particolarmente aggravato, la scelta operata dalla regione siciliana di distribuire succhi in aiuti umanitari e il conseguente bando creano forti disagi alle industrie di trasformazione e rischiano di turbare il mercato, come segnalato dalle associazioni di categoria e da Confindustria Sicilia;
peraltro risulta che la regione Siciliana non abbia previsto il costo del trasporto dei succhi nei territori colpiti dai terremoti (Haiti, Argentina, e altri) né nei Paesi in via di sviluppo a cui sarebbero destinati come aiuti umanitari i succhi di arancia -:
se il Governo sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e se risulti che siano state attivate le necessarie azioni di coordinamento con la protezione civile per il trasporto dei succhi nei territori a cui sono destinati.
(4-06618)

SIRAGUSA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il 4 marzo 2010 il quotidiano Italia Oggi ha pubblicato un articolo dal titolo «La ministra e il giovane ingegnere esperto di bitume diventa re della bonifica»;
nell'articolo si legge «La Sicilia ai siciliani. Meglio se giovani. E fa niente se il giovane siciliano pur essendo un massimo esperto di bitume e materiali stradali finisca invece a occuparsi di bonifica delle acque. Un dettaglio. Dario Ticali, l'ingegnere, è siciliano: di Palermo. Ed è giovane: è del 1975. Ebbene, è stato nominato dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nuovo soggetto attuatore nell'ambito dell'emergenza bonifiche, acque e ciclo di depurazione della regione Sicilia, d'intesa con il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, e su proposta del capo della Protezione civile, Guido Bertolaso. Che cosa dovrà fare il giovane Ticali? Con un compenso pari all'80 per cento del trattamento economico dei dirigenti di prima fascia della Regione Sicilia, avrà l'ultima parola sui piani di caratterizzazione delle aree pubbliche compresi i litorali ed i sedimenti marini, interverrà sulla messa in sicurezza d'emergenza e sui progetti di bonifica e ripristino ambientale. E se per lavoro dovesse utilizzare l'auto privata no problem: tutto rimborsato compreso la polizza assicurativa. Ma chi è Ticali? Un luminare dell'ambiente? Si è laureato all'università di Kore di Enna, piccolo istituto privato nato con decreto del ministero dell'Istruzione il 15 settembre 2004. Alla Kore nel 2006 ha strappato un assegno di ricerca, in precedenza è stato un cultore della materia. Di quali materie si è occupato, quali gli argomenti delle sue pubblicazioni scientifiche che l'hanno portato alla bonifica della Sicilia? Il curriculum è prezioso anche in questo: la sua esperienza va dalle pavimentazioni stradali (l'ultima ricerca ha avuto per oggetto i «materiali alternativi per sottofondi, fondazioni e miscele bituminose») alla pioggia di ceneri vulcaniche sugli aeroporti. Ma il suo curriculum in rete non dice una cosa: che una siciliana come lei l'ha voluto anni fa per un incarico prestigioso. Nel 2008, infatti, l'allora nonché attuale ministro per l'Ambiente, Stefania Prestigiacomo nominò proprio Dario Ticali, allora 32enne, alla presidenza della commissione Ippc, incaricata del rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale»;
l'incarico al professor ingegner Dario Ticali è stato affidato con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 19 febbraio 2010 «Ulteriori disposizioni per fronteggiare l'emergenza in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, nonché in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione nella Regione siciliana» (ordinanza n. 3852);
come emerge chiaramente dalla lettura del curriculum vitae del professor Ticali disponibile all'indirizzo http://sed.siiv.it/documenti/63_2850_20080108010714.pdf non vi è alcuna esperienza pregressa nell'ambito specifico dell'incarico affidatogli con l'ordinanza di cui sopra -:
quali siano i criteri in base ai quali si è deciso di affidare l'incarico di soggetto attuatore al professor ingegner Ticali.
(4-06630)

SCILIPOTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
i lavoratori esposti all'amianto dello stabilimento Aprilfer di Aprilia, dello stabilimento Good Year di Cisterna di Latina, ed Ondulit, sempre di Cisterna di Latina, hanno visto negare i loro diritti alla rivalutazione contributiva, ex articolo 13, comma 8 della legge 257 del 1992, in seguito a sentenze di rigetto del tribunale di Latina, il cui giudizio è stato formulato sulla base di relazioni tecniche le quali alla verifica dell'atto di appello si sono rivelate del tutto errate;

infatti i lavoratori aventi diritto hanno impugnato queste ingiuste decisioni innanzi alla corte di appello di Roma, la quale ha nominato altri consulenti, che, ad una attento esame dei luoghi e dopo ricerche approfondite, hanno concluso certificando l'esposizione qualificata, ed hanno smentito i CTU del tribunale di Latina, ponendone in evidenza errori gravi;
non può essere sottaciuto, anzi va messo in evidenza, come presso la sezione lavoro del tribunale di Latina siano nominati sempre e soltanto i soliti tecnici, prima soltanto due, e solo ultimamente un terzo, senza rotazione degli incarichi;
nell'accertamento tecnico della corte di appello di Roma, circa lo stabilimento Aprilfer, si legge nelle conclusioni «in merito alle contestazioni formulate nell'atto di appello con riferimento alla relazione peritale dell'ausiliare del giudice di 1o grado (2o aspetto del quesito del Giudice) il sottoscritto CTU è del parere che le indagini effettuate hanno senz'altro consentito di superare gli assunti e le conclusioni cui perviene la relazione peritale dell'ausiliare del Giudice di 1o grado ingegner Onori che trae le sue conclusioni - a prescindere dalle testimonianze dei ricorrenti fondamentali ai fini della presente CTU - negando il superamento della soglia di dispersione delle fibre a danno dei ricorrenti, avendo individuato quale unica fonte di dispersione di fibre di amianto le tettoie di copertura dello stabilimento. La presente indagine ha invero consentito di approfondire ulteriori aspetti legati alla esposizione all'amianto dei ricorrenti individuando, attraverso la testimonianza dei diversi interessati, altri materiali generatori di fibre aerodisperse, e i tempi di probabile esposizione dei ricorrenti stessi»;
successivamente con sentenza del 26 gennaio 2010 della corte di appello di Roma, l'appello dei lavoratori Aprilfer è stato accolto, con conseguente tardivo riconoscimento dei loro diritti, che se fosse stato tempestivo avrebbe permesso loro di andare in pensione anni prima; altri lavoratori, confidando sull'accertamento errato avevano desistito, e non hanno impugnato la sentenza e per loro non c'è altro strumento di tutela;
ciò non è accettabile per uno stato di diritto;
tanto più non è un caso isolato, poiché la stessa cosa si è verificata con i lavoratori della Good Year che in primo grado si sono visti negare l'esposizione ad amianto; e con gli stessi CTU, che poi hanno ammesso i loro errori, e per le cause già decise in appello, dopo la rinnovazione della consulenza è emerso che anche in questo caso ci sono stati errori gravi, e per chi non ha impugnato la sentenza, la perdita del diritto;
alcuni lavoratori dello stabilimento Ondulit di Cisterna di Latina, almeno 4, che manipolavano direttamente l'amianto sono stati esclusi dal riconoscimento dei benefici contributivi, nonostante siano stati riconosciuti a tutti i loro colleghi i benefici ex articolo 13, comma 8, legge 257 del 1992, anche in seguito ad una consulenza tecnica ci parte dell'ingegnere nominato dall'Inps, in alcuni casi anche con accordo transattivo intercorso con l'Inps di Latina;
l'articolo 23 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile stabilisce che «gli incarichi siano equamente distribuiti tra gli iscritti dell'albo, in modo tale che a nessuno dei consulenti iscritti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al 10 per cento di quelli affidati all'ufficio», per cui non si riesce a comprendere il motivo per il quale questo criterio non si applichi per il tribunale di Latina, sezione lavoro, dove i consulenti sono sempre gli stessi, prima due ed ora solo tre;
in data 26 febbraio 2010, l'interrogante, unitamente ad una delegazione di

questi lavoratori è stato ricevuto dal direttore e dal responsabile dell'ufficio legale dell'Inps di Latina, ed in quella sede c'è stata la conferma di ingiusti pregiudizi sofferti dai lavoratori esposti all'amianto nella provincia di Latina per effetto di CTU errate;
appare sommamente ingiusto che ci sia una lesione dei diritti dei lavoratori dell'amianto, fortemente pregiudicati dall'inalazione del pericoloso killer, e ciò a causa di accertamenti tecnici che nei successivi gradi di giudizio si sono rivelati errati;
sono in costante aumento le patologie asbesto correlate, in tutta Italia, anche e soprattutto tra i lavoratori della regione Lazio e della regione Sicilia -:
se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto;
quali possibili iniziative si intendano assumere affinché i benefici per l'esposizione all'amianto possano essere estesi anche a quei lavoratori che, in razione di quanto riportato in premessa, ne risultano oggi esclusi.
(4-06643)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
Enzo Boschi presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, pur nella cautela, ha toni preoccupati raccontando i risultati dell'ultima campagna di ricerche compiute sul Marsili, il più grande vulcano d'Europa, sommerso a 150 chilometri dalle coste della Campania;
nel cuore del Marsili gli strumenti hanno dato un volto alla camera di magma incandescente che si è formata e che oggi raggiunge le dimensioni di quattro chilometri per due: è come una pentola ribollente con il coperchio ben tappato. Il Marsili è da anni un sorvegliato speciale per alcuni segnali lanciati;
secondo le ultime indagini l'edificio del vulcano non è robusto e le sue pareti sono fragili, camera di magma che si è formata negli ultimi anni è di grandi dimensioni. Tutto porta a ritenere che il vulcano sia attivo e che possa eruttare all'improvviso;
dal fondale si alza per tremila metri e la vetta del suo cratere è a 450 metri dalla superfici del mare. La sua struttura è imponente essendo lunga 70 chilometri e larga 30. E un mostro nascosto di cui solo gli scandagli hanno rivelato il vero volto. Intorno si sono osservate diverse emissioni idrotermali con una frequenza ultimamente elevata e proprio queste, unite alla debole struttura delle pareti, potrebbero causare crolli più inquietanti della stessa possibile eruzione;
la caduta rapida di una notevole massa di materiale - spiega Boschi - scatenerebbe un potente tsunami che investirebbe le coste della Campania, della Calabria e della Sicilia provocando disastri;
si parla di un rischio reale ma di difficile valutazione. La ragione sta nella situazione in cui si trova il vulcano. L'Etna in questi anni è stato tappezzato di strumenti in grado di avvisare se un'eruzione è imminente, almeno con un certo margine di preavviso. Il Marsili non solo è sommerso ma è privo di queste sonde pronte ad ascoltare le sue eventuali cattive intenzioni. Bisognerebbe installare una rete di sismometri attorno all'edificio vulcanico collegati a terra ad un centro di sorveglianza. Ma tutto ciò è al di fuori di ogni bilancio di spesa. Con le risorse a disposizione si collocherà qualche nuovo strumento ma non certo la ragnatela necessaria -:
quali iniziative straordinarie si intendano adottare per assicurare la realizzazione di un sistema continuo di monitoraggio e per garantirne attendibilità.
(4-06644)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
secondo un'inchiesta de L'Espresso di venerdì 26 marzo 2010, l'emergenza rifiuti in Campania rimane ancora da risolvere;
secondo quanto riferiscono gli autori del reportage, Emiliano Fittipaldi e Claudio Pappaianni, che sono riusciti a entrare all'interno della discarica di Santa Maria la Fossa, il panorama sarebbe infernale con 500 mila tonnellate di sacchetti putrescenti che formano torri di monnezza alte trenta metri, con la formazione di una «piscina di percolato» lunga una ventina di metri e con una collinetta di detriti realizzata fuori dagli spazi allestiti, che «galleggia», letteralmente, sopra un'immensa pozza d'acqua;
quotidianamente da Ferrandelle partono 20 autobotti per smaltire altrove il percolato al costo di 1.800 euro a viaggio per un totale di 36 mila euro al giorno e che in due anni ha superato i 20 milioni di euro il che non impedisce a parte del percolato tossico di tracimare nei canaletti dei Regi Lagni, con acque che vengono utilizzate per irrigare i campi vicini, coltivati a cocomeri o ad agrumeti e territorio di pascolo delle bufale; acque nere che alla fine del loro percorso scaricano i loro veleni direttamente in mare;
Ferrandelle, è solo uno dei quartieri che formano la grande città dei rifiuti nata in provincia di Caserta per un'estensione di 3 chilometri quadrati dove si trovano quattro mega discariche, di cui una sola ancora attiva, con quattro milioni di tonnellate di monnezza «tal quale», circondata da frutteti e allevamenti che producono cibo che arriva sulle tavole degli italiani;
viene riferita la storia dei sopravvissuti di Maruzzella, la prima discarica dell'area San Tammaro, dove delle 20 persone che vi lavoravano nel 1996 oggi ne sono rimaste 12 per ripulire le ecoballe destinate ad Acerra dai materiali ferrosi, con 5 di loro che sono morti di tumore e altri tre che stanno lottando contro il cancro;
la Digos di Caserta, che ha aperto un fascicolo, sospetta una presenza della camorra con i boss dei Mallardo e delle famiglie di Casal di Principe che hanno probabilmente continuato a guadagnare, piazzando imprese colluse nell'affare della raccolta;
è poi bastata una protesta dei lavoratori del consorzio Napoli-Caserta per il mancato pagamento degli stipendi e il blocco dell'accesso a uno dei siti aperti negli ultimi 18 mesi per mettere in ginocchio l'intero sistema;
il Sottosegretario di Stato per l'emergenza rifiuti in Campania aveva varato cinque nuove discariche, in attesa di dotare la regione degli inceneritori necessari e di una raccolta differenziata che riducesse al minino la quantità di spazzatura da bruciare;
l'unico termovalorizzatore funzionante è quello di Acerra e, considerati i tempi di realizzazione del secondo inceneritore, a quel punto, tutte le discariche aperte oggi in Campania saranno strapiene poiché con una raccolta differenziata ancora inchiodata al 22 per cento (ma Napoli sfiora il 18, Caserta non arriva nemmeno al 14), i cinque siti rischiano di reggere massimo due anni;
tant'è che, malgrado il parere negativo della conferenza di servizi, a poche centinaia di metri dalla ex cava Sari sarà presto inaugurata cava Vitello, con un invaso ancora più grande: oltre un milione di tonnellate di capacità. Con buona pace dei soldi (1,2 milioni di euro) che ogni anno il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare versa nelle casse del parco nazionale del Vesuvio per tutelare la biodiversità dell'area naturale. E dei cittadini di Boscoreale, comune limitrofo, raggiunti ogni giorno dalle zaffate dello sversatoio;

ogni anno in Campania si gettano 2,5 milioni di rifiuti, senza che le nuove misure del Governo siano riuscite a far diminuire la produzione. I comuni che non raggiungono le percentuali di raccolta differenziata previste dalle nuove regole, dovrebbero essere sciolti all'istante. Ma finora sono stati firmati solo sette decreti, che poi sono stati puntualmente annullati dal Tribunale amministrativo regionale. Oggi appena 500 mila tonnellate l'anno vengono riciclate, oltre un milione finisce direttamente in discarica, il rimanente continua a essere compresso e avvolto nel cellophane per essere poi distrutto negli inceneritori. Ma visto che l'arretrato è da record, il 40 per cento di quello che dovrebbe essere trattato nei compattatori finisce in sversatoi tradizionali;
la differenziata è un'operazione che non conviene ai campani, costretti a smaltire l'umido in impianti lontani dalla regione, per un costo che supera i 200 euro a tonnellata. Eppure esiste un sito per produrre compost già disponibile, proprio di fronte a Ferrandelle che è incredibilmente utilizzato per accatastare ecoballe. I macchinari all'interno non sono mai stati usati e le vasche sono vuote;
l'articolo denuncia come continui il circolo vizioso per cui la gente non paga, i comuni accumulano debiti verso la struttura commissariale (siamo oltre i 300 milioni di euro), i consorzi provinciali ereditano il buco e non pagano gli stipendi dei dipendenti;
i consorzi continuano ad essere strutture ingolfate con personale spesso inutilizzato, che sprecano soldi e ad esempio viene portato il caso del consorzio Napoli-Caserta (sulla cui gestione i pubblici ministeri stanno indagando da mesi), gestito di fatto dal direttore generale Antonio Scialdone, uomo di fiducia di Nicola Ferraro, consigliere regionale uscente dell'Udeur coinvolto in numerose inchieste di camorra. A gennaio, quando c'era da gestire il passaggio di consegne tra la struttura in liquidazione e la neonata società provinciale, Scialdone ha avviato paradossalmente una massiccia campagna di promozioni. Almeno 70 operai e impiegati si sono visti aumentare lo stipendio. Alcuni di loro sono candidati per il centrodestra alla provincia di Caserta. Per la regione corre la moglie dello stesso Scialdone, Michela Pontillo, candidata con la lista che unisce l'Mpa e il Nuovo Psi di Stefano Caldoro, esponente del Pdl. Anche la sorella di Scialdone, Lina, è in politica: alle elezioni comunali di Vitulazio, nel casertano, è risultata la più votata. Quando nelle scorse settimane nel piccolo di Terra di Lavoro è partito il progetto per la raccolta differenziata non si è badato a spese: fuochi d'artificio, majorette, la banda. Tutto a carico del consorzio;
i soldi stanziati dalle provincie per gli stipendi arretrati, poco più di 4 milioni di euro (stanno già finendo, con il rischio che chi lavora per i consorzi incroci di nuovo le braccia mettendo in crisi il sistema;
l'ordine del giorno 9/1875/2 presentato l'11 dicembre 2008 e accolto dal Governo, in considerazione del fatto che il 40 per cento del peso ed il 60 per cento del volume dei rifiuti urbani è costituito da imballaggi inerti trattenendo i quali si può ridurre drasticamente il quantitativo di rifiuti da smaltire in discarica e che esistono in Campania 120 aree di insediamento produttivo che, per la sola provincia di Napoli, costituiscono spazi di circa 320 ettari attrezzati ed immediatamente disponibili per lo stoccaggio provvisorio e successivamente per realizzare impianti di compostaggio, selezione differenziata e stoccaggio di rifiuti inertizzati, impegnava il Governo a disporre, eventualmente anche attraverso un'ordinanza commissariale, l'obbligo di trattenere gli imballaggi delle merci e di conferirli alle zone di stoccaggio provvisorie da individuare prioritariamente nelle aree industriali libere appartenenti ai consorzi industriali o ai comuni;
con il decreto-legge n. 195 del 2009 sono cessate le strutture di missione di cui al decreto-legge n. 90 del 2008 ed è stata istituita, in particolare, una «unità operativa»,

coordinata dal comandante del Comando Logistico Sud, cui spetta, tra l'altro, l'attività di coordinamento dei flussi dei rifiuti -:
se siano al corrente di quanto sopra riferito;
per quali motivi non si sia ancora dato seguito alla proposta contenuta nell'ordine del giorno 9/1875/2 e quali valutazioni siano state fatte in merito;
perché il sito per produrre compost in prossimità di Ferrandelle non sia stato attivato ma sia usato per accatastare ecoballe;
quali siano le società di trasporto del percolato di cui sopra e per quali motivi il costo del trasporto sia così elevato;
quali misure siano state adottate per evitare infiltrazioni camorristiche e con che esiti.
(4-06658)

SORO e MARIANI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
nel luglio 2009 l'Isola della Maddalena, avrebbe dovuto ospitare il vertice del G8 presieduto dall'Italia, vertice successivamente trasferito nella sede dell'Aquila;
le indagini della magistratura sui vertici della Protezione civile e ancora prima alcune inchieste della stampa nazionale hanno richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica sullo stato dei lavori, sui costi e sulle modalità di aggiudicazione degli appalti per la realizzazione delle opere necessarie per il grande evento internazionale;
quello che doveva essere un volano per l'economia della Sardegna rischia ora di rivelarsi un deprecabile affare per pochissimi imprenditori;
il Governo non ha fatto finora chiarezza sui lavori per la realizzazione delle opere per il G8, eludendo, ad avviso degli interroganti, le domande avanzate, anche in Parlamento, dall'opposizione e dal Partito democratico in particolare. Situazione aggravata dalla sottrazione delle ordinanze della protezione civile, per la gestione dei «grandi eventi», al controllo preventivo della Corte dei conti, avvenuta attraverso una legge d'interpretazione autentica;
in merito all'affidamento dei lavori le notizie apparse sulla stampa attestano che i contratti sono stati affidati ad un gruppo di imprese che paiono strettamente legate alla Protezione civile o, più precisamente, alle persone da essa designate alla gestione degli appalti;
sull'intreccio di tali rapporti sta indagando la magistratura e non ci si sofferma pertanto in questa sede;
ciò che appare tuttavia oramai certo ed incontrovertibile è il fatto che i costi a carico della pubblica amministrazione per la realizzazione delle opere sono stati decisamente più elevati degli standard del mercato, pur tenendo conto degli oneri derivanti dalla ristrettezza dei tempi di esecuzione e dalla conseguente necessità di lavorare su tre turni nelle 24 ore;
è emerso inoltre con chiarezza dalle numerose notizie disponibili che i lavori sono stati, di fatto, eseguiti da imprese subappaltatrici a condizioni e prezzi di gran lunga inferiori rispetto a quelli di assegnazione da parte della struttura tecnica della Protezione civile, consentendo elevatissimi margini di guadagno da parte delle ditte aggiudicatarie;
tali margini di guadagno non appaiono giustificati né dall'effettivo costo delle opere eseguite quale risultato della somma dei subappalti occorrenti per la loro effettiva esecuzione, né dal reale apporto d'impresa per la porzione di opere o di lavorazioni eventualmente non subappaltate ed anzi, ad avviso degli interroganti, si configurano, da un lato, come un indebito costo per la Protezione civile e dall'altro come un indebito arricchimento per i soggetti aggiudicatari che hanno svolto un ruolo di intermediazione più che un effettivo ruolo di impresa;

è necessario e inderogabile, per evitare in futuro il ripetersi di simili episodi, fare la massima chiarezza su questa circostanza e, a tal fine, si reputa indispensabile acquisire in forma certa e documentale ogni utile informazione atta a comprendere quale sia stato l'effettivo differenziale fra l'ammontare dei lavori affidati e l'ammontare dei relativi subappalti;
per semplicità appare opportuno circoscrivere la presente richiesta ai soli contratti la cui liquidazione finale sia risultata di ammontare superiore ad euro 1.000.000,00 -:
per ciascuno di tali contratti (la cui liquidazione finale sia risultata di ammontare superiore ad euro 1.000.000), quale sia stato l'ammontare finale liquidato o comunque contabilizzato ed inoltre, più in dettaglio:
quale sia l'ammontare dei lavori alla stipula del contratto;
quale sia l'ammontare finale dei lavori;
quale sia il numero delle perizie suppletive e/o di variante;
quale sia la motivazione delle singole perizie ed i relativi importi degli atti contrattuali aggiuntivi;
quale sia il numero dei nuovi prezzi contrattuali concordati in sede di perizia e l'ammontare delle opere contabilizzate e/o liquidate applicando i suddetti nuovi prezzi concordati in data successiva al contratto principale;
se vi siano state liste per lavori in economia e quale sia il loro ammontare complessivo per ogni singolo appalto;
sempre per ciascun contratto la cui liquidazione finale sia risultata di ammontare superiore ad 1.000.000:
quale sia il numero e l'oggetto dei subappalti;
quale siano i soggetti beneficiari del subappalto;
quale sia l'ammontare dei singoli subappalti;
quale sia la riduzione di prezzo percentuale relativa ai lavori in subappalto calcolata fra i prezzi dell'appalto originario incrementato degli importi delle eventuali perizie e l'importo effettivamente corrisposto al subappaltatore;
ove il contratto di subappalto preveda l'esecuzione di parte delle opere da parte dell'aggiudicatario originario, quali siano dette opere e che incidenza esse abbiano;
quale sia l'incidenza percentuale delle lavorazioni subappaltate sul totale dei lavori non già in riferimento agli importi, ma alla percentuale delle opere;
la residua percentuale di opere non subappaltate eseguita direttamente dagli aggiudicatari del contratto originario;
il numero di operai direttamente dipendenti delle suddette ditte aggiudicatarie originarie iscritti effettivamente a libro paga per gli specifici cantieri ove i lavori sono stati svolti nell'effettivo periodo di svolgimento dei lavori nonché la durata del loro rapporto di dipendenza (ciò al fine di confortare l'effettiva possibilità che i lavori formalmente non subappaltati od anche le lavorazioni integrative dei subappalti, possano effettivamente, e non solo nominalmente, essere stati eseguiti in modo diretto dalle suddette imprese aggiudicatrici con proprie maestranze in ragione di un congruo numero di dipendenti e di una durata del rapporto di dipendenza coerente con l'ammontare delle lavorazioni da esse eseguite e comunque escluse dai subappalti);
quale sia l'ammontare, per ciascun contratto, delle forniture e/o degli acquisiti di materiali direttamente effettuate dall'aggiudicatario originario del contratto ove escluse dai subappalti;
quale sia l'ammontare, sempre per ciascun contratto, dell'importo residuo ottenibile come differenza fra la somma dei subappalti affidati e la remunerazione totale

e complessiva riscontrabile nello stato finale dei lavori.
(4-06662)

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AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
III Commissione:

TEMPESTINI, MARAN e BARBI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
gli scontri in atto in questi giorni in Cisgiordania destano grande preoccupazione: profilano da un lato il rischio di una nuova violenta intifada, e dall'altro quello di un ulteriore indebolimento della fragile credibilità dell'Autorità nazionale palestinese, a vantaggio della frange più estremistiche di Hamas;
il via libera israeliano ad ulteriori insediamenti mentre era, ed è, in corso il tentativo Mitchell di ripresa dei negoziati, ha reso più arduo il già difficile percorso negoziale che rischia un'ennesima fase di stallo. Mai come in questo momento va, invece, sostenuta l'iniziativa americana che gode di un ampio consenso della comunità internazionale;
al centro della questione, come si apprende da notizie a mezzo stampa, vi è la richiesta americana al governo israeliano di compiere atti significativi che vadano nel senso della ripresa del negoziato, tra i quali la questione dei nuovi insediamenti annunciati e, più in generale, l'adozione di misure atte a ristabilire la fiducia verso l'autorità palestinese, che possano quantomeno riaprire la strada a «colloqui indiretti» coi palestinesi sulle grandi questioni aperte, il cui obiettivo resta quello di realizzare quella pace e sicurezza dell'area che sono indispensabili per garantire, sulla base del principio due popoli due stati, la sicurezza di Israele;
è d'altronde opinione di tutta la comunità internazionale che il peggioramento della situazione in Medio Oriente rischia di avere conseguenze molto negative sul piano regionale, da un lato per quel che riguarda l'evoluzione delle condizioni di stabilità e di sicurezza di paesi come Iraq, Afghanistan e Pakistan; e dall'altro sulle politiche verso l'Iran degli Stati Uniti, e più in generale della comunità internazionale, che hanno nel superamento del conflitto israelo-palestinese un punto di assoluto rilievo -:
come valuti la gravità degli avvenimenti in atto, e quali iniziative urgenti intenda adottare nelle opportune sedi internazionali per facilitare un soddisfacimento delle condizioni indispensabili alla ripresa dei negoziati.
(5-02695)

EVANGELISTI e DI STANISLAO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nel nostro Paese sono presenti centri di eccellenza nella formazione del personale per operazioni di supporto alla pace. Si tratta dei Centre of excellence for stabilily police units (Coespu) di Vicenza e dell'International training programme on conflict management (Itpcm) della scuola superiore di studi universitari e di perfezionamento di Sant'Anna di Pisa. Due centri che formano rispettivamente personale di polizia e civile;
la formazione dei personale impiegato in operazioni civili di gestione delle crisi è una questione di domestic jurisdiction degli Stati membri dell'Unione europea. In quanto prerogativa nazionale, la formazione del personale civile da impiegare in operazioni Pesd utilizza approcci diversi. Per far fronte a questo rischio sono state avviate una serie di iniziative che hanno portato a una standardizzazione dei training curricula in seno all'Unione europea e il lavoro svolto dall'European Group on Training (Egt), che ha visto coinvolti centri di formazione dei vari paesi membri, tra cui l'Italia, e ove assenti, punti di contatto dei dicasteri rilevanti, ha dato vita a modelli formativi armonizzati;

la maggior parte del personale civile dispiegato dall'Italia in missioni civili Pesd svolge compiti di polizia e proviene dai ranghi dei carabinieri, della polizia di Stato, della polizia penitenziaria e della guardia di finanza. Gli altri sono civili in senso stretto provenienti dalle varie amministrazione centrali dello Stato o operatori free-lance reclutati dal Ministero degli affari esteri;
l'Italia ha finora contribuito alle missioni di gestione civile delle crisi sotto bandiera dell'Unione europea con un numero di esperti civili di poco superiore ai trecento, provenienti per la maggior parte dal ranghi delle forze di polizia. Allo stato attuale non esiste un vero «sistema Italia» per la formazione di detto personale;
la formazione è sistematizzata e strutturata per la componente di polizia, ma è completamente assente per li personale civile stricto sensu;
le amministrazioni centrali che distaccano proprio personale civile in operazione di gestione civile delle crisi non procedono a organizzare corsi di formazione di base o specialistici per il loro impiego in ambito internazionale. Le stesse non sponsorizzano la partecipazione di tale personale a corsi organizzati da terzi e volti a fornire una preparazione generale per l'impiego in operazioni di gestione civile della crisi. Gli esperti civili provenienti dai ranghi della pubblica amministrazione, pertanto, non ricevono alcuna formazione mirata prima della loro immissione in incarichi internazionali;
stesso discorso vale per gli esperti free-lance reclutati dal Ministero degli affari esteri;
l'Italia risulta nel settore della gestione civile della crisi indietro rispetto agli altri Paesi, come la Germania, la Svezia, la Francia che hanno sviluppato un processo più inclusivo ed efficace di generazione delle forze -:
come il Governo intenda affrontare le problematiche relative, al reclutamento e alla formazione del personale civile impiegato nelle missioni dell'Unione europea.
(5-02696)

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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:

ALESSANDRI e NEGRO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
il 12 febbraio 2010, GFK Temax, prima azienda in Italia e quarta al mondo nella ricerca mercato dei beni tecnologici, ha diffuso un comunicato stampa sui dati relativi al fatturato generato dalla vendita di prodotti tecnologici in Italia nel 2009, dati che vanno visti con la doppia accezione di sorprendenti, riguardo al volume di affari che implicano, e anche preoccupanti sotto l'aspetto delle considerazioni che ne scaturiscono circa la perdita di opportunità che accusa il nostro Paese;
in Italia sono stati spesi nel 2009, 19.659 milioni di euro in prodotti tecnologici, materiali che tra l'altro hanno un notevole impatto ambientale e non a caso molti paesi si stanno interrogando sulle misure da intraprendere per una efficace e compatibile gestione di tali prodotti e stanno avviando iniziative per una riduzione sostanziale di un problema che nel medio periodo potrebbe creare non pochi problemi;
il fatturato espresso dal settore dei prodotti consumabili è di 1.592 milioni di euro. Ciò significa che oltre la metà di questo importo ogni anno va ad alimentare economie concorrenti alla nostra visto che in Europa non esistono aziende del settore;
della cifra sopra indicata, relativa al volume di affari generata da stampanti e soprattutto consumabili di stampa (75 per

cento del totale), il 60 per cento confluisce nelle casse di aziende multinazionali giapponesi, cinesi, coreane, americane in quanto non esistono aziende europee nel settore, la diffusione e il consumo di questo prodotto ormai coinvolge tutti e in particolare la pubblica amministrazione;
approfondendo il tema, si rileva che circa il 30 per cento di questo importo è speso per gli acquisti dell'amministrazione pubblica, una cifra importante che naturalmente ricade sul Bilancio dello Stato e quindi sugli adempimenti fiscali della collettività;
d'altro canto, vi sono persone e professionisti che compiono studi su questa materia e da una ricerca condotta a livello privatistico sarebbe scaturito che per ridurre questa voce di spesa si potrebbe proficuamente far leva sul ciclo del riuso di tali materiali;
in Italia esistono circa 2.000 aziende, più o meno grandi, nel settore del recupero e rigenerazione delle cartucce per stampanti, questi raccolgono i prodotti esausti e li riportano alla funzione originaria abbattendo il costo in media del 50 per cento;
si tratta di veri imprenditori che attualmente ricoprono il 15 per cento del mercato, percentuali molto inferiori rispetto alla media europea (35 per cento) e Usa (45 per cento);
le amministrazioni pubbliche del nostro Paese sono di certo a conoscenza della convenienza e dell'opportunità di incrementare il recupero dei materiali in questione, ma numerose amministrazioni non procedono ad attivare il ciclo del riuso dei prodotti per la stampa, soprattutto a causa di accordi con le imprese costruttrici che ne impediscono di fatto la perseguibilità;
molte aziende statali risulterebbero legate alle imprese costruttrici e fornitrici delle stampanti che usano, tramite accordi di fornitura o di noleggio che prevedono l'utilizzo di soli supporti nuovi, sottraendo quelli esausti al mercato per destinarli al macero;
sarebbe utile indagare su questi tipi di accordi verificando la loro convenienza sia sul piano del costo che richiedono, sia sotto gli aspetti dell'impatto ambientale;
vi sono altresì acquisti liberi da opzioni con le case madri, ma il più delle volte riguardano modelli di stampanti che hanno delle oggettive difficoltà nel permettere la rigenerazione delle loro cartucce, trattandosi di costruttori che offrono stampanti a basso costo con sistemi elettronici che non permettono la rigenerazione e costringono il consumatore ad acquistare esclusivamente il supporto di stampa originale a costi piuttosto rilevanti. Altre volte si è in presenza di clienti che pur avendo utilizzato il prodotto rigenerato non sono poi rimasti soddisfatti delle prestazioni allo scopo offerte;
vi è infine la casistica più grave e pericolosa per la sicurezza ambientale e la correttezza dei mercati, ossia quella della commercializzazione di prodotti contraffatti, di norma di origine cinese, che oltre a provocare una concorrenza sleale, mettono in serie difficoltà i clienti che si ritrovano con strumenti insicuri e di scarsa e breve affidabilità;
andrebbe tenuto conto del fatto che se solo le amministrazioni pubbliche procedessero ad un uso sistematico di prodotti per la stampa rigenerati, si potrebbe nel breve periodo conseguire un risparmio di risorse per lo Stato e per gli altri organi pubblici, di qualche centinaio di milioni di euro l'anno con il vantaggio di mantenere le risorse nell'ambito locale e di dare l'opportunità alla creazione di qualche migliaio di nuovi posti di lavoro;
riguardo alla situazione nazionale, si evidenzia che il settore italiano della rigenerazione dei materiali per stampanti consta di più di 3.000 piccoli e medi imprenditori con oltre 10.000 addetti;
trattasi di operatori specializzati che raccolgono i prodotti esauriti e attraverso

macchinari particolari e tecniche manuali li riportano allo stato originale abbattendo il costo per il consumatore anche oltre 50 per cento rispetto al prezzo originale contribuendo innanzitutto ad una riduzione notevole dell'impatto ambientale oltre ad un concreto risparmio finanziario per il consumatore;
è da tenere in debita considerazione l'importanza di questo settore: per produrre la plastica necessaria alla costruzione di una media cartuccia toner laser occorrono 3 chilogrammi di petrolio con l'emissione di 6 chilogrammi di gas serra, tanto quanto basta ad alimentare una comune lampadina di 75 watt accesa per 15 giorni ininterrottamente. Con 55 cartucce rigenerate si risparmiano un barile di petrolio e con 500 cartucce si può alimentare elettricamente un'abitazione di 150 metri quadri compreso riscaldamento e aria condizionata per un anno intero. Se si rapportano questi indici ai circa 20 milioni di pezzi consumati ogni anno in Italia, ben si comprende la rilevanza del sistema della rigenerazione dei prodotti per la stampa;
purtroppo nonostante l'impegno quotidiano dei citati «rigeneratori» solo il 15 per cento del mercato viene coinvolto. Le cause del mancato sviluppo del settore sono da ricercare soprattutto nelle piccole dimensioni delle aziende interessate, nella diffidenza del consumatore, nelle strategie commerciali delle case madri che cambiano modelli di stampanti molto rapidamente inserendo dei blocchi elettronici tali da costringere il consumatore ad acquistare obbligatoriamente il prodotto originale con prezzi a volte più alti rispetto alla stampante;
sono altresì molto complesse ed osteggianti le procedure da seguire per poter iniziare un'attività di rigeneratore, ciò che blocca la crescita del settore a vantaggio dei costi inutili e dell'impatto sull'ambiente. A riguardo si deve considerare, a titolo di puro esempio esplicativo, che se un imprenditore volesse iniziare un'attività nella ricarica specializzata di cartucce e volesse effettuare una micro raccolta nell'ambito locale coinvolgendo privati, professionisti, piccole attività, e altro sarebbe obbligato ad iscriversi all'albo gestori ambientali, all'albo trasportatori, iscriversi al SISTRI e soprattutto dovrebbe farlo solo in aree artigianali fuori dai centri abitati con l'evidente difficoltà di raggiungere milioni di consumatori, di produrre una mole elevatissima di supporti e documentazioni cartacee, con spese e tempi di attesa spesso totalmente interdittivi;
sarebbe utile considerare queste operazioni come attività di servizio o piccolo artigianato e definire questo prodotto come un imballaggio nel caso che il cliente non volesse disfarsene;
semplificare questo settore significherebbe creare concretamente non meno di 20.000 nuovi posti di lavoro e consentire a tanti piccoli imprenditori, costretti dal mercato globale a chiudere la propria azienda, di poter ripartire le loro imprese;
andrebbe sensibilizzata, e se del caso obbligata, la pubblica amministrazione ad acquistare o noleggiare solo stampanti che consentano un facile riuso dei supporti e che questi non venissero raccolti per essere solo macinati ma obbligatoriamente destinati ad attività che possono rimetterli in circolo;
si dovrebbe favorire la costituzione di organismi associativi del settore del riciclo dei materiali per la stampa, quali seri ed autorevoli interlocutori con le autorità pubbliche competenti, affinché il settore venga gestito con regole semplici, efficaci e generatrici di sviluppo, anche per contrastare la concorrenza sleale ed i mercati irregolari -:
se non intendano intraprendere iniziative immediate dirette ad approfondire la materia descritta in premessa ed in tal senso elaborare ed attivare misure dirette a sostenere lo sviluppo del settore del riuso dei materiali consumabili del comparto delle macchine per la stampa;

se ritengano opportuno emanare direttive verso le amministrazioni pubbliche affinché destinino i materiali per la stampa esauriti, al settore della rigenerazione per poi riutilizzarli;
se non si ritenga di affrontare la materia in questione nell'ambito della revisione del decreto legislativo n. 152 del 2006, allo scopo di apportare semplificazioni alle procedure necessarie per svolgere la attività di rigeneratore dei prodotti consumabili e per classificare nell'ambito del codice CER (150106) tali prodotti, soprattutto ai fini della loro efficace gestione al termine della vita utile;
quali iniziative si intenda assumere per ostacolare la commercializzazione di prodotti e di macchine per la stampa provenienti da paesi che offrono poche garanzie di sicurezza e di qualità o che siano il frutto di fenomeni di contraffazione.
(4-06615)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
è notizia di questi giorni che il gruppo acqua minerale San Benedetto darà il via ad aprile ad un progetto - in collaborazione con i supermercati Pam, gli ipermercati Panorama e Aliplast - volto a recuperare le bottiglie in pet utilizzate per la distribuzione dell'acqua, direttamente nei punti vendita di queste catene di distribuzione. L'obiettivo è quello di favorire la raccolta differenziata di questi imballaggi in plastica per essere poi avviati alle attività di recupero e riciclaggio;
per invogliare i consumatori ad essere parte attiva nel progetto verrà attivato un sistema promozionale che prevede il riconoscimento di punti fidelity per ogni bottiglia inserita nei raccoglitori predisposti nei punti vendita. Il progetto prevede un test della durata di sei mesi che coinvolgerà inizialmente un punto di vendita di supermercati Pam e 2 ipermercati Panorama del Veneto e, se funziona, verrà esteso ad altre realtà territoriali;
il progetto intende dar seguito all'accordo siglato dal gruppo San Benedetto un anno fa con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la promozione di progetti comuni finalizzati all'analisi e alla neutralizzazione dell'impatto sul clima dell'acqua imbottigliata. Due gli obiettivi principali che erano stati condivisi, ovvero garantire acqua minerale a emissioni zero di carbonio, contribuendo in modo significativo al raggiungimento da parte dell'Italia degli obiettivi del protocollo di Kyoto, e costruire un modello virtuoso per il settore acque minerali, un settore di produzione profondamente legato ad una risorsa naturale primaria e che produce un notevole quantitativo di imballaggi;
tuttavia permane nel nostro Paese il divieto del Ministero della salute espresso nel 1973, che ha nei fatti impedito al nostro Paese l'uso e la produzione di contenitori per alimenti in pet riciclato;
questo ritardo rispetto agli altri Paesi dell'Unione europea, che possono produrre a vendere liberamente nel mercato contenitori in plastica riciclata a contatto con gli alimenti, mal si concilia con l'armonizzazione, ormai raggiunta da anni, delle normative sugli imballaggi e sulle caratteristiche, sul profilo di tutela sia ambientale che della salute;
non si comprende poi il differente approccio rispetto agli altri Paesi europei, dove si utilizza plastica riciclata per impieghi nel campo del packaging alimentare, ovviamente con i necessari requisiti a tutela della salute dei cittadini dell'Unione;
altri Paesi europei, quali Gran Bretagna e Germania, e fuori dall'Europa gli Usa, già lo fanno e le loro esperienze positive segnalano che il R-Pet potrebbe

rappresentare uno strumento fondamentale per ridurre l'impatto ambientale del settore alimentare che in termini di gas serra - secondo le stime più recenti - contribuisce al 19 per cento delle emissioni totali su scala nazionale, ovvero 104 milioni di tonnellate di CO2, e il 13 per cento di queste emissioni è associato proprio al packaging;
invece ogni chilogrammo di r-pet permetterebbe di risparmiare 1,7 chilogrammi di petrolio equivalente con una riduzione delle emissioni di CO2 pari a circa il 60 per cento rispetto al pet vergine. A questi vantaggi si devono poi aggiungere quelli che ne deriverebbero in termini di risparmio energetico e di materie prime vergini con un duplice effetto positivo: sul prezzo del materiale pet, circa il 10-30 per cento in meno del materiale vergine, e sulla bolletta energetica nazionale;
inoltre, come riferito dal sito www.greenreport.it dell'11 marzo 2010, secondo la ricerca «Gli Italiani e i materiali riciclati», realizzata da Ispo per Assobibe, l'associazione nazionale che rappresenta, tutela e assiste le imprese italiane produttrici di bevande analcoliche, 3 italiani su 4 dichiarano che preferirebbero acquistare bevande in bottiglie di plastica riciclata, con una scarsa influenza del prezzo sulla decisione d'acquisto;
sulle caratteristiche positive e di qualità di contenitori provenienti da riciclo, il campione intervistato rileva che le bottiglie in R-Pet sono considerate come resistenti dal 76 per cento, igieniche dal 68 per cento, mentre il 62 per cento dà molta enfasi alle caratteristiche di sostenibilità del prodotto. Tra chi ritiene che l'igiene sia la caratteristica più motivante al momento di dover scegliere il prodotto, il R-Pet è considerato dotato di questa qualità nell'84 per cento del campione che dunque lo acquisterebbe. L'83 per cento del campione lo sceglierebbe per la sostenibilità, il 78 per cento per la resistenza; il 90 per cento ritiene che i benefici attesi dal riciclo del pet siano soprattutto di tipo ambientale, l'89 per cento crede che possano essere di natura economica, e l'82 per cento di tipo sociale;
dalla suddetta indagine emerge con chiarezza che il 57 per cento della popolazione ritiene che i benefici di questa pratica siano superiori ai costi, a fronte di un 23 per cento che è convinto del contrario e un 20 per cento che non ha un'opinione in merito;
quindi, il pet riciclato usato nel packaging alimentare potrebbe rappresentare una grande opportunità per industria e mercato. Se si considera che l'Italia rappresenta il primo Paese al mondo per consumo, circa 450.000 tonnellate all'anno, relativamente al settore dei pet, il vantaggio in termini di risparmio di materia vergine sembrerebbe davvero interessante; inoltre, secondo quanto affermato da Assobibe «l'utilizzo di r-pet non solo contribuirebbe significativamente alla riduzione dell'impatto complessivo dei cicli produttivi associati alla nostra industria, ma offrirebbe anche la possibilità di incrementare e sostenere il ciclo virtuoso della raccolta differenziata e del recupero degli imballaggi»;
tra l'altro, visto che il nostro Paese sembra aver raggiunto anche il primo posto in Europa per a raccolta e la selezione dei contenitori in pet, il riutilizzo del pet riciclato nel settore alimentare potrebbe dare un significativo stimolo al riciclaggio e allo sbocco alle materie seconde che ne derivano -:
quali siano i motivi reali che hanno impedito fino ad oggi di rimuovere detti impedimenti all'utilizzo del r-pet per la produzione di contenitori per alimenti affinché finalmente, anche in Italia, come in molti Paesi europei, si possa utilizzare uno strumento fondamentale per ridurre l'impatto ambientale e aumentare il risparmio energetico e il costo delle materie prime vergini con un duplice effetto positivo, sia sul prezzo del materiale pet sia sulla bolletta energetica nazionale.
(4-06624)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO, LOLLI, BOCCI e TRAPPOLINO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta Il Messaggero di lunedì 15 marzo 2010, nel territorio del comune di Narni, distante circa quattro chilometri dall'epicentro dell'incendio che nel mese di luglio 2009 ha divorato l'azienda Ecorecuperi di Vascigliano di Stroncone, l'Asl4 ha posto sotto sequestro una stalla da settecento ovini poiché le analisi alla ricerca di diossine compiute sul formaggio prodotto dalle pecore di questa azienda hanno dato esito positivo e con valori molto elevati;
dal mattatoio continuano ad arrivare notizie poco rassicuranti: il 13 marzo 2010 sono stati bruciati altri cinque vitelli dopo che le analisi li hanno trovati positivi alla diossina;
si attendono anche i risultati delle ultime analisi, quelle compiute sui capi di bestiame che si trovano tra i sei e gli otto chilometri dal rogo, l'area in cui da una settimana lo spostamento di bovini e ovini deve avvenire sotto vincolo sanitario;
secondo Spartaco Spezzi, presidente del comitato autonomo di Vascigliano, «la situazione si aggrava ogni giorno» e la popolazione è pronta a manifestare nuovamente il suo malcontento;
si tratta di una grave situazione d'emergenza che sta provocando danni cospicui all'ambiente, alle associazioni di categoria (allevatori e agricoltori) e soprattutto alla salute dei cittadini, che cominciano a lamentare intolleranze allergiche e vari problemi respiratori;
la regione Umbria ha provveduto il 4 marzo 2010 a stanziare risorse a parziale ristoro delle spese per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti a Stroncone e come anticipo di indennizzo per i danni subiti;
all'interrogazione n. 5-02299 dell'onorevole Trappolino ed altri - richiedente un intervento statale al fine di avviare le procedure di bonifica e di salvaguardia ambientale della zona di Vascigliano di Stroncone e delle altre zone colpite dagli effetti contaminanti dell'incendio di luglio 2009 - è stato risposto che un tale intervento non è possibile in quanto l'area interessata dall'incendio non è ricompresa all'interno di alcun sito di interesse nazionale di cui all'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006, per cui si ritiene che la competenza a proseguire nelle procedure per la bonifica della stessa appartenga agli enti territoriali; inoltre nel caso di specie, le procedure relative alla bonifica devono ritenersi effettivamente avviate su intervento della stessa Ecorecuperi Srl; infine, è stato conferito all'ISPRA l'incarico di valutare e quantificare i danni patiti dalle matrici ambientali interessate dall'incendio, anche al fine di valutare l'opportunità di promuovere azione risarcitoria;
ad interrogazione n. 4-03956 dell'onorevole Zamparutti ed altri - richiedente quali provvedimenti si intendessero assumere al fine di tutelare la salute pubblica - è stato risposto che il Ministero della salute, per quanto di competenza, sta mantenendo uno stretto contatto con la regione Umbria, al fine di conoscere l'evoluzione della situazione e di individuare adeguate modalità di intervento a tutela della sicurezza alimentare;
a giudizio degli interroganti la situazione continua ad aggravarsi anziché trovare forme di contenimento e di rientro nei danni ambientali e sanitari causati dall'incendio -:
se i Ministri interrogati non ritengano opportuno avviare un'ampia indagine al fine di tutelare l'ambiente e la salute pubblica gravemente compromessi;
quali misure i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze e in collaborazione con gli enti locali, intendano avviare per assicurare una efficace azione di bonifica e salvaguardia del

territorio interessato da emergenze ambientali, sanitarie e di sviluppo economico nell'area considerata, dopo quasi un anno e constatata l'espansione degli effetti contaminanti rispetto all'area inizialmente circoscritta e, in particolare, se non ritengano di considerare l'inserimento dell'area tra quelle da bonificare di interesse nazionale.
(4-06660)

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BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
la chiesa del complesso di Santa Maria ad Agnone a Napoli, versa in uno stato penoso e incredibile degrado: pietre accatastate in luogo dei muri, affreschi cancellati dalle intemperie, il coro del legno collassato; l'altare maggiore ridotto a un buco, essendo stato asportato non si sa quando e da chi;
l'edificio, risalente all'anno Novecento, è stato un punto di riferimento per gli abitanti dei quartiere; nel 1300 ha ospitato le suore Benedettine, nei 1500 i Padri ospedalieri, e successivamente una sua ala è stata trasformata in carcere. In quel luogo Salvatore Di Giacomo immagina sia stata rinchiusa Assunta Spina; questo per chiarire come si tratti oltre che di un luogo di fede, un luogo carico di storia;
attualmente la facciata risulta diroccata, un oggettivo pericolo per le persone che transitano lungo la strada e in particolare per i bambini della confinante scuola elementare; davanti all'ingresso dei rudere, molto tempo fa, vennero stese reti rosse di protezione, attualmente ridotte a brandelli. Il luogo, completamente devastato, è diventato anche rifugio dove abbandonare rifiuti di ogni tipo, una vera e propria discarica a cielo aperto -:
se non si ritenga di dover intervenire per recuperare alla collettività una struttura in avvilente stato di abbandono, e in particolare per garantire l'incolumità degli abitanti della zona dal pericolo di un possibile cedimento della struttura.
(4-06655)

PORFIDIA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
Pier Paolo Pasolini è una delle figure intellettuali più importanti del Novecento europeo, e le sue opere sono diffuse e studiate in tutto il mondo. Egli è parte integrante del patrimonio culturale del paese;
la notte tra il 1o e il 2 novembre 1975 Pasolini è stato barbaramente ucciso sulla spiaggia dell'idroscalo di Ostia, località del comune di Roma. Circostanze e moventi dell'omicidio sono a tutt'oggi coperti da interrogativi irrisolti, che hanno lasciato spazio a molteplici ricostruzioni e congetture;
dal 1972 Pasolini stava lavorando a «Petrolio», un testo di non facile definizione che avrebbe dovuto rendere il suo sguardo su alcuni dei nodi più delicati della storia economica del paese, con particolare attenzione alle vicende dell'Eni di Enrico Mattei ed Eugenio Cefis. Una delle fonti del libro era «Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato presidente» libro firmato con lo pseudonimo Giorgio Steimetz e pubblicato dall'Ami (Agenzia Milano Informazioni) nell'aprile 1972. Sulla vera identità dell'autore si sono fatte varie ipotesi senza giungere ad una conclusione; di fatto il libro-fonte è presto scomparso dalla circolazione;
la morte ha impedito al poeta di terminare il lavoro che è apparso solo nel 1992 edito da Einaudi. Del testo sono rimaste 522 pagine scandite in «Appunti»

con una numerazione progressiva che si configurano in un insieme di frammenti più o meno estesi e di soli titoli;
dopo la pubblicazione degli appunti molte personalità della cultura italiana si sono impegnate nello studio e nell'interpretazione di «Petrolio», e nel corso degli anni alcuni di essi hanno avanzato l'ipotesi che una parte del manoscritto fosse mancante. Si tratterebbe dell'Appunto 21, dedicato dall'autore alle vicende dell'Eni ed alla scomparsa di Enrico Mattei, ma nessuno ha avuto mai modo di verificarne l'esistenza;
il 2 marzo 2010 il senatore Marcello Dell'Utri, in occasione della conferenza stampa di presentazione della XXI Mostra del libro antico, ha annunciato il ritrovamento del capitolo presunto mancante del romanzo «Petrolio». Secondo alcune ricostruzioni l'Appunto 21 dal titolo «Lampi sull'Eni» sarebbe stato trafugato dalle carte del manoscritto dopo la morte del poeta e quindi mai pubblicato. Questo furto è stato smentito da Graziella Chiarcossi, cugina di Pisolini;
il Senatore Dell'Utri ha dichiarato alla stampa di aver letto il testo, ma di non poter dire nulla: «L'ho letto ma non posso ancora dire nulla, è uno scritto inquietante per l'Eni, parla di temi e problemi dell'azienda, parla di Cefis, di Mattei e si lega alla Storia del nostro Paese»;
pur non volendo anticipare il contenuto del capitolo, Dell'Utri ha parlato di «giallo» a proposito del destino del dattiloscritto. «Credo - si è limitato a dire - che sia stato rubato dallo studio di Pasolini». La «scoperta» sarebbe stata resa pubblica il 12 marzo 2010 in occasione dell'apertura della Mostra del libro antico di Milano;
il poeta, saggista e scrittore, Gianni D'Elia, che per primo ha sostenuto che nel romanzo postumo mancava una parte e che all'intera vicenda ha dedicato il volume «Il petrolio delle stragi», edito da Effigie si è espresso in questi termini: «Pazzesco, roba da matti, incredibile. Quel capitolo del romanzo "Petrolio", ritenuto dal giudice Calia un documento Storico sulle stragi d'Italia, è stato rubato da casa di Pasolini. In termini giuridici è un "corpo di reato". Se è vero, Dell'Utri deve dire come lo ha avuto, chi glielo ha dato, per quali fini»;
D'Elia ha sostenuto di aver avuto conferma del furto di alcuni documenti appartenenti a Pasolini dal cugino di Pasolini stesso Guido Mazzon, secondo il quale fu proprio la Chiarcossi ad informare telefonicamente i familiari dell'avvenuta incursione nella casa del poeta e dello smarrimento di gioielli e documenti;
secondo alcuni la prova dell'esistenza del capitolo è conseguenza del fatto che nelle pagine successive del testo l'autore accenna all'Appunto 21 come ad una parte compiuta e presente nel corpo dell'opera;
il 19 marzo 2010 il senatore Marcello Dell'Utri ha rilasciato un'intervista a Il Messaggero nella quale ha affermato di non avere il testo, ma di aver saputo della scoperta da una persona che è sulle tracce del testo. «Speravo - ha dichiarato Dell'Utri - di avere il capitolo scomparso di Petrolio per la mostra ma a questo punto non credo che faremo in tempo». Il motivo? «Chi me l'ha proposto è poi sparito. Forse il clamore che ne è seguito lo ha spaventato». A molti è sembrato plausibile che il senatore avesse semplicemente giocato la carta del capitolo scomparso per fare pubblicità alla Mostra nella quale ha una parte importante
Dell'11 marzo, a ridosso dell'inaugurazione della Mostra le ultime dichiarazioni del senatore Dell'Utri: «Purtroppo quella sorpresa non ci sarà. Chi ne è in possesso si è preoccupato per tutte le questioni scoppiate sui giornali e non me lo ha più voluto dare. Ne ho lette poche pagine, avrei voluto leggerlo tutto ma confido che passata questa buriana, chi lo ha cambi idea» -:
se il Ministro sia al corrente dei fatti sovraesposti e quali iniziative intenda prendere per fare chiarezza sull'intera

vicenda al fine di tutelare uno dei patrimoni culturali del nostro Paese.
(4-06663)

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DIFESA

Interrogazione a risposta orale:

BOSI e PISACANE. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'iter formativo del lagunare prevede un corso basico di circa cinque settimane al termine del quale si acquisisce la qualifica anfibia, indispensabile per rimanere effettivi presso il reggimento lagunari «Serenissima»;
tale corso viene impartito ai militari neo-assegnati al reggimento ed è stato svolto da tutti i militari di ogni ordine e grado già effettivi al reggimento;
la successiva formazione prevede per i militari qualificati anfibi un ulteriore corso di circa quattro settimane a Brindisi ultimato il quale si acquisisce l'abilitazione anfibia rilasciata dalla Marina Militare che consente ai militari dell'esercito di condurre attività operative a bordo delle navi;
attualmente l'indennità anfibia viene concessa in modo integrale ai soli militari che hanno svolto il corso a Brindisi, non considerando di fatto il resto degli effettivi che hanno comunque conseguito la qualifica anfibia;
tutti gli effettivi presso il corpo dei lagunari svolgono le medesime mansioni e le medesime operazioni anfibie e sono soggetti ad un periodo obbligatorio di permanenza (5 anni presso il reggimento Lagunari);
ciò introduce di fatto una disparità di trattamento economico per i militari effettivi al reggimento Lagunari;
la qualifica anfibia pone il vincolo di una ferma obbligatoria di 5 anni presso questo ente militare che non sarebbe diversamente indennizzata;
la differenziazione di trattamento economico tra i militari effettivi presso i medesimi reparti aventi «qualifica anfibia» e «abilitazione anfibia», ad avviso degli interroganti, non è giustificata e soprattutto appare in contrasto con i principi costituzionali di parità di trattamento, anche economico -:
se non ritenga opportuno assumere iniziative volte ad estendere l'indennità anfibia a tutti gli effettivi del reggimento lagunari qualificati e se, in caso contrario, sia ancora obbligatorio il periodo di permanenza di 5 anni presso il reggimento Lagunari per il personale che abbia la sola «qualifica anfibia».
(3-00987)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:

CECCUZZI e FONTANELLI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la cooperativa Società Pisana Recapiti Scarl ha svolto, fin dai primi anni '90 del secolo scorso, la funzione di notifica degli atti esattoriali su mandato conferito dai diversi concessionari che si sono susseguiti nella provincia di Pisa;
tale servizio di notifica è stato in ultimo svolto per conto di Equitalia Gerit S.p.A.;
la cooperativa Società Pisana Recapiti ha posto all'attenzione dell'opinione pubblica, delle istituzioni, degli enti locali e delle organizzazioni sindacali quelle che giudica le gravi ripercussioni conseguenti alla recente aggiudicazione all'azienda

«Tnt» della gara di appalto indetta da Equitalia S.p.A. per la notifica degli atti esattoriali;
i lavoratori della cooperativa hanno reso noto, tramite lettera pubblica, che, a loro avviso, il gruppo Tnt «ha sottoposto alla nostra cooperativa il contratto di subappalto le cui condizioni economiche (compenso unitario di euro 2,30 a notifica con tutte le attività di back office a carico del subappaltatore), temporali ed operative, consequenziali a quanto previsto dalla gara indetta da Equitalia S.p.A., non consentono alla Cooperativa di garantire l'applicazione dei Ccnl di categoria ed il regolare versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali (Durc), previsti dal contratto stesso»;
sempre secondo i lavoratori della cooperativa, inoltre i termini previsti dal contratto di subappalto «avrebbero conseguenze devastanti su tutta la struttura della Cooperativa stessa, probabilmente con la cessazione di ogni altra attività»;
infine, sempre secondo i lavoratori della cooperativa Società Pisana Recapiti Scarl, il contratto di subappalto conterrebbe inoltre gravi elementi di criticità sia per quanto riguarda i costi della gara d'appalto (dovuti alla crescita esponenziale del numero di cartelle notificate ai sensi dell'articolo 140 del codice di procedura civile «Irreperibilità o rifiuto di ricevere la copia», che causerebbe l'aumento dal 30 al 70 per cento delle cartelle affisse e conseguentemente dei costi dovuti da Equitalia Gerit S.p.A. a Tnt) sia per quanto riguarda il corretto servizio ai cittadini, che dovrebbero recarsi obbligatoriamente agli uffici comunali competenti per ritirare i propri atti, che fino ad oggi la cooperativa Società Pisana Recapiti inviava presso i domicili fiscali;
in seguito al mancato rinnovo dell'incarico diretto da parte Equitalia, il consiglio di amministrazione della cooperativa Società Pisana Recapiti, dopo aver approfondito tutti gli aspetti contrattuali, ha informato i dipendenti «della necessità di dover procedere, suo malgrado, ad una riduzione del personale»;
tali inevitabili licenziamenti causerebbero ripercussioni per molti cittadini e famiglie ed aggraverebbero ulteriormente le conseguenze della crisi economica ed occupazionale che sta interessando tutto il Paese -:
se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di sua competenza intenda assumere per garantire la funzionalità del servizio a tutela dei cittadini interessati e per evitare le ulteriori problematiche evidenziate.
(5-02701)

Interrogazione a risposta in Commissione:

CALVISI, FADDA, MARROCU, MELIS, ARTURO MARIO LUIGI PARISI, PES, SCHIRRU e SORO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'Agenzia delle entrate, istituita con il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, ha il compito di svolgere le funzioni relative alla gestione, all'accertamento e alla riscossione dei tributi;
lo statuto dell'Agenzia delle entrate, all'articolo 4, prevede che l'Agenzia nel perseguimento della propria missione e dei propri scopi, eserciti, tra le varie attribuzioni, l'assistenza ai contribuenti, assicurando l'informazione, semplificando gli adempimenti, riducendo gli oneri e fornendo servizi di consulenza ai contribuenti e agli altri enti interessati dal sistema della fiscalità;
l'articolo 66, comma 3, del citato decreto legislativo n. 300, prevede che l'articolazione degli uffici a livello centrale e periferico è stabilita con disposizioni interne che si conformano alle esigenze della conduzione aziendale, favorendo in questo modo il decentramento delle responsabilità operative, la semplificazione dei rapporti con i cittadini e il soddisfacimento delle necessità dei contribuenti;
con la delibera del comitato di gestione n. 55, del 31 ottobre 2008, l'Agenzia

delle entrate ha previsto un riassetto organizzativo della propria struttura, prevedendo l'attivazione delle direzioni provinciali in luogo dei preesistenti uffici locali;
presso le direzioni provinciali è stato istituito l'ufficio controlli che avrà il compito di curare tutte le attività di controllo e il relativo contenzioso e, saranno previste tre aree;
le nuove direzioni provinciali sono articolate in uffici di controllo, che si occupano delle attività di accertamento e contenzioso, e in uno o più uffici territoriali che svolgeranno compiti residuali quali il controllo formale delle dichiarazioni, l'emissione di avvisi di accertamento parziali (ex articolo 41-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973), accertamenti in materia di imposta di registro, successioni e donazioni e tributi collegati e attività di controllo esterno (verifiche brevi) limitatamente al controllo degli obblighi strumentali (emissione di scontrini, mera compilazione studi di settore);
l'8 marzo 2010 si è conclusa la fase di riorganizzazione dell'Agenzia delle entrate della Sardegna con l'istituzione delle direzioni provinciali di Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano: nello specifico la nuova direzione provinciale di Cagliari sarà articolata in un ufficio controlli e in quattro uffici territoriali (Cagliari 1 e Cagliari 2-Sanluri e Iglesias, con il nuovo sportello decentrato di Carbonia);
la direzione provinciale di Oristano occuperà la sede dell'attuale ufficio locale e sarà strutturata in un ufficio controlli e in un ufficio territoriale;
la direzione provinciale di Nuoro, sarà articolata in un ufficio controlli, in due uffici territoriali (Nuoro e Lanusei) e negli sportelli decentrati di Isili e Macomer, dipendenti dall'ufficio territoriale di Nuoro; la direzione provinciale di Sassari, si comporrà di ufficio controlli e di quattro uffici territoriali (Olbia, Ozieri, Tempio Pausania e Sassari, con lo sportello decentrato di Alghero);
nel piano di attivazione delle direzioni provinciali sono state quindi escluse le province di Olbia-Tempio, del Medio Campidano, dell'Ogliastra, Carbonia-Iglesias, istituite con legge regionale 12 luglio 2001, n. 9;
in tali province che contano 90 comuni per un totale di 448.500 abitanti, non saranno attive direzioni provinciali ma uffici territoriali con conseguente riduzione di personale e di competenze creando notevoli disagi ai cittadini, a tutti i professionisti del settore e le aziende del territorio;
tale piano di attivazione delle direzioni provinciali, predisposto dal direttore dell'Agenzia delle entrate, appare quindi secondo gli interroganti colpevolmente discriminatorio delle realtà provinciali promanate dallo statuto sardo, negando nel contempo la «specialità» della regione Sardegna e, non tenendo nella dovuta considerazione, i pronunciamenti della Corte costituzionale sulla equipollenza di tali province con quelle istituite con legge nazionale;
tale accentramento porrà in essere notevoli difficoltà e dispersione di tempo e di energie, sia per i professionisti, sia per i contribuenti, tenuto conto che entrambe le categorie devono rispettare perentorie scadenze, inviti per chiarimenti, per deposito di documentazione, per contraddittori, procedimenti di accertamento con adesione, e che un singolo procedimento può necessitare di tre o quattro incontri per arrivare a definizione;
gli uffici territoriali avrebbero una mera funzione di sportello, mentre tutte la definizione delle pratiche più rilevanti che oggi si svolgono negli uffici provinciali passerebbero alle direzioni provinciali: le conciliazioni tributarie, le verifiche tributarie, rimborsi IVA, gli accertamenti con adesione (quindi la contestazione degli studi di settore). Di fatto il 90 per cento delle attività che oggi si svolgono in loco potranno essere svolti nel migliore dei casi a 50 minuti di auto dalla sede dell'impresa o come nel caso dell'Ogliastra e della

Gallura a quasi due ore di distanza. Gli imprenditori e i professionisti galluresi (oltre 200 commercialisti), in un territorio con un numero di partite IVA superiore a quello della provincia di Sassari, per pratiche che oggi si svolgono nella sede di Olbia o Tempio dovrebbero spostarsi a Sassari percorrendo la strada della morte, strada ad alto tasso di incidentalità, nella quale dal 1985 ad oggi sono decedute 75 persone;
inoltre, in Sardegna, con delibera n. 10/43 del 13 marzo 2010 è stata rinnovata la convenzione stipulata tra la regione Sardegna e l'Agenzia delle entrate per la gestione dell'IRAP e dell'addizionale IRPEF: l'accertamento dell'imposta regionale sulle attività produttive e dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche avverrà presso le direzioni provinciali, escludendo di fatto gli uffici territoriali ubicati nelle 4 province di nuova istituzione;
il trasferimento del personale, qualificato e profondo conoscitore delle particolari specificità delle realtà territoriali citate, comporterebbe un diverso e meno proficuo risultato in termini di controllo delle attività irregolari e illecite. In particolare, in territori delicati come la Gallura e l'Ogliastra, oggetto di attività importanti della guardia di finanza e di indagini della magistratura verrebbe meno importanti azioni avviate, proprio grazie alla collaborazione e l'aiuto degli attuali uffici delle entrate, sul controllo dell'evasione fiscale, su attività inquinanti ed illegali, su operazioni e transazioni economiche anomale e/o sospette in relazione all'impiego di mezzi finanziari di rilevante ammontare e di incerta origine, tali da poter essere riconducibili a fenomeni di riciclaggio;
tale riorganizzazione che appare come una fuga dello stato da realtà particolari e territori peculiari avrà come effetto la rinascita del convincimento di impunità connessa alla mancanza di una struttura di controllo autonoma a livello locale, con l'inevitabile proliferare di fenomeni di evasione fiscale con l'azzeramento o la grave compromissione di tutte quelle iniziative di collaborazione congiunta messe in cantiere a vario titolo tra i locali uffici dell'agenzia delle entrate ed i comuni per una cooperazione finalizzata ad una lotta congiunta all'evasione;
le reali spese che gli uffici dell'Agenzia delle entrate attualmente sopportano (locazioni, energia elettrica, pulizie, arredi, beni strumentali e altro) rimarrebbero peraltro sostanzialmente inalterate, tale riorganizzazione non trova quindi giustificazione in assenza di un necessario contenimento della spesa pubblica;
peraltro, l'istituzione delle direzioni provinciali si sarebbe giustificata al di là del riconoscimento dell'istituzione provincia nei territori citati, infatti per particolari esigenze di razionalità organizzativa connesse ai volumi dei carichi di lavoro sia effettivi che potenziali, derivanti dalla rilevanza dell'area territoriale interessata, può essere per giunta prevista in ambito provinciale l'istituzione di più direzioni provinciali o sub-provinciali (comma 4 articolo 5 regolamento di amm.ne) e altre sedi possono essere previste in aree di rilevante interesse economico;
l'ufficio di Olbia (quest'ultimo con un organico di n. 57 unità), quello di Lanusei (con 25 unità), Saniuri e Iglesias rispondevano a tale criterio, e una potenzialità territoriale, arricchita dalla specificità economica, in ultimo confermata dalle ultime rilevazioni Istat sulla popolazione residente e sul numero delle imprese con la presenza di un quadro macro-economico di attività commerciali, industriali e agricole di primo livello;
come si desume dalle ultime deliberazioni del direttore dell'Agenzia delle entrate tale possibilità è stata sperimentata con l'attivazione degli uffici di direzione provinciale di Fermo nelle Marche -:
quali siano le ragioni che hanno motivato una tale riorganizzazione delle direzioni provinciali ad avviso degli interroganti illogica e lesiva per le comunità locali oltre che pericolosa e penalizzante;

se il presidente della regione Sardegna fosse stato, preventivamente, informato e abbia rilasciato intesa per tale riorganizzazione;
quali siano le reali conseguenze che questa riorganizzazione avrà sul piano occupazionale;
quali misure si intendano portare avanti per evitare i consistenti e ingiustificati disagi ai cittadini che tale riorganizzazione comporta.
(5-02691)

Interrogazioni a risposta scritta:

DI STANISLAO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'Associazione della Croce rossa italiana, in virtù delle convenzioni internazionali e in forza delle leggi vigenti in Italia, dispone, fra i vari organismi volontaristici, di un corpo ausiliario delle Forze armate dello Stato: il Corpo militare, composto da soli volontari arruolabili ai sensi del regio decreto 10 febbraio 1936, n. 484;
l'attribuzione di tali compiti è disciplinata dalla vigente legislazione italiana, mentre l'organizzazione dei servizi cui è destinato il Corpo militare della Croce rossa italiana, in tempo di guerra, è determinata dal Ministero della difesa;
per quanto riguarda il ruolo svolto dal Corpo militare della Croce rossa italiana, si ricorda che sin dal 1866, a seguito all'adesione dell'Italia alla prima Convenzione di Ginevra firmata il 22 agosto 1864 «per il miglioramento della sorte dei feriti in campagna», unità sanitarie militari mobilitate della Croce rossa italiana parteciparono agli eventi bellici secondo la regola fondamentale «i militari feriti o malati saranno raccolti e curati, a qualunque nazione appartengano»;
in tale quadro, il Corpo militare della Croce rossa italiana, in quanto corpo ausiliario delle Forze armate, è destinatario di specifico e autonomo ordinamento, ed è costituito dalle seguenti fonti normative: regio decreto 10 febbraio 1936, n. 484, e successive modificazioni, concernente lo stato giuridico, il reclutamento, l'avanzamento e il trattamento economico del personale militare Croce rossa italiana; decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1980, n. 613, e successive modificazioni; decreto-legge 19 novembre 2004, n. 276, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2005, n. 1; decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 maggio 2005, n. 97, di approvazione del nuovo statuto dell'associazione italiana della Croce rossa. Circa l'autonomia dell'ordinamento del Corpo militare della Croce rossa italiana, si richiama l'ordinanza n. 273, datata 24/30 giugno 1999 della Corte costituzionale, laddove si afferma che: «... il personale militare della Croce rossa italiana non appartiene alle Forze armate o alle Forze di polizia dello Stato e anzi non ha mai ricevuto una disciplina legislativa contestuale con quella del personale statale, appartenente alle Forze armate o alle Forze di polizia...»;
pertanto, la Corte conclude affermando che non è possibile estendere automaticamente ai militari della Croce rossa italiana le disposizioni legislative rivolte al personale delle Forze armate e a quello delle Forze di polizia;
in uno stralcio della relazione, a seguito dell'ispezione del Ministero dell'economia e della finanze nel 2008, si legge: «Attraverso lo strumento del precetto che non risulta adeguatamente motivato, la Croce rossa italiana ha precettato in servizio attivo trasformandolo in servizio continuativo, senza far ricorso ad alcun reale ed effettivo strumento concorsuale, e quindi in aperta violazione dell'articolo 97 della Costituzione, personale a tempo determinato, il cui impiego è stato rinnovato senza soluzione di continuità, e successivamente stabilizzato con provvedimenti amministrativi dalla stessa Cri, senza che tale procedura abbia mai trovato copertura legislativa»;
si evidenzia, inoltre, quanto rilevato dalla recente ispezione del Ministero della

difesa, che ha proceduto a esaminare gli atti contabili degli esercizi finanziari dal 2002 al 2009, per assicurare l'organizzazione e il funzionamento del Corpo militare della Croce rossa italiana per la preparazione del personale e dei materiali necessari;
peraltro anche l'allora Ministro della difesa, Antonio Martino, aveva evidenziato con lettera n. 1/14371/11.8.48/02 del 21 marzo 2003, un anomalo utilizzo da parte della Croce rossa italiana dei fondi erogati dall'amministrazione della difesa, sottolineandone la dubbia legittimità e invitando il commissario pro tempore a razionalizzarne l'impiego, privilegiando le attività addestrative e formative del personale militare, nonché il mantenimento dei relativi mezzi;
risulta all'interrogante che l'ufficiale della Croce rossa italiana, Mario Martinez, sia stato richiamato per anni, ciclicamente fino al 1991, richiamato e congedato ai sensi dell'articolo 29 del regio decreto n. 484 del 1936 svolgendo attività con precetto in servizio attivo, sia per l'Ispettorato nazionale ausiliario delle Forze armate, sia per il servizio d'istituto richiesto dalla stessa Croce rossa italiana (i volontari militari possono essere adibiti indifferentemente a compiti militari in senso stretto oppure d'istituto), a differenza di altri colleghi militari pari grado che ancora oggi sono in servizio e non posti in congedo, acquisendo uno pseudo diritto continuativo non riconosciuto dal legislatore e non contemplato dal citato regio decreto, né dalla stessa ispezione del Ministero dell'economia e delle finanze del 2008, in assenza di qualunque criterio concorsuale;
la vicenda risale al 2004, quando il capitano della Croce rossa italiana Mario Martinez, inoltrò istanza all'Ente chiedendo di sapere per quale motivo non fosse stato inserito in servizio attivo in seguito alla circolare n. 0072844/04 del 10 novembre 2004, ufficio Dipartimento risorse umane e organizzazione comitato centrale della Croce rossa italiana di Roma;
tale istanza è stata esitata dopo quasi due anni, e solo dopo la notifica della sentenza del TAR del Lazio n. 1413/07, la Croce rossa italiana dava riscontro con la nota n. 31724 dell'11 maggio 2007, nella quale si rilevavano presunte irregolarità nella procedura seguita dai comitati richiedenti;
la nota impugnata dal capitano Martinez al Tribunale amministrativo regionale del Lazio non lasci dubbi; infatti nella sentenza n. 09455/09 si legge che i procedimenti dei comitati risultano correttamente eseguiti;
da sei anni il capitano della Croce rossa italiana Mario Martinez attende di poter dare la sua opera per essere richiamato con precetto in servizio ai sensi degli articoli 1, 29, 36, 116 e 245 del citato regio decreto -:
quali iniziative i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze in quanto deputati alla vigilanza della Croce rossa italiana, intendano assumere in merito a quanto ampiamente citato in premessa.
(4-06619)

PIFFARI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
durante l'audizione in Commissione finanze della Camera del 10 febbraio 2010, in relazione all'attività di accertamento e controllo svolta dagli uffici locali dell'Agenzia delle entrate di Trento, nei confronti dei contribuenti, segnatamente di quelli titolari di partita IVA il direttore dell'Agenzia delle entrate Attilio Befera, ha affermato che: «...a Trento c'è una situazione un po' particolare: il personale, in numero elevatissimo, proviene dall'ex centro servizio: quindi vi sono anche problematiche di natura professionale, legate alle esperienze professionali. Stiamo ipotizzando, tuttavia, un intervento di tipo organizzativo, che sicuramente risolverà il problema. Nel frattempo, per il 2009, abbiamo già dato disposizione di ridurre

in modo significativo, a Trento, il numero degli accertamenti, in attesa e in previsione dell'annunciato intervento»;
l'atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale per gli anni 2010-2012, articolo 59, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, inoltrato dal Ministro dell'economia e delle finanze, ex alteris, al Direttore dell'Agenzia delle entrate individua tra le priorità politiche da attuare, ex multis, proprio la prosecuzione e il rafforzamento dell'azione di contrasto dell'evasione fiscale;
in ordine alla prospettiva del rafforzamento dell'azione di contrasto dell'evasione fiscale, il Governo si propone di assicurare piani di attività finalizzati ad intensificare, sia sul piano qualitativo che sotto il profilo quantitativo, il recupero della base imponibile non dichiarata anche attraverso il potenziamento degli strumenti di indagine e di analisi dei fenomeni evasivi e intensificando anche l'attività di controllo nei confronti degli italiani residenti stabilmente all'estero, con particolare riguardo ai soggetti societari che hanno la propria sede o quella di società collegate o controllate in paesi a fiscalità privilegiata;
in linea con le priorità politiche fin qui delineate, l'Agenzia delle entrate, secondo il summenzionato atto di indirizzo, ha perseguito il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali attraverso il miglioramento dell'efficacia dell'attività di prevenzione e di contrasto all'evasione, incrementando i controlli, con particolare riferimento ai grandi contribuenti, e gli accertamenti con determinazione sintetica del reddito, anche sulla scorta delle segnalazioni provenienti dai comuni, rafforzando l'azione di contrasto ai fenomeni dei cosiddetti paradisi fiscali, potenziando la cooperazione a livello internazionale e rafforzando l'azione di contrasto all'evasione fiscale;
l'Agenzia delle entrate di Trento sta già percorrendo da vari anni a pieno a pieno regime il percorso delineato dal Ministro interrogato ed ha raggiunto risultati di eccellenza nell'attività di contrasto all'evasione fiscale, tanto da farla primeggiare nell'intero territorio nazionale;
nel 2009 le riscossioni dell'Agenzia delle entrate di Trento sono aumentate del 20 per cento rispetto al 2008, secondo quanto stabilito dalle direttive emanate dalla direzione centrale, raggiungendo e superando, in termini di efficienza ed efficacia gli obiettivi strategici assegnati, senza alcun «accanimento nei confronti delle aziende» visto che gli accertamenti fiscali negli ultimi due anni sono sensibilmente diminuiti e, per l'anno in corso, si prevede un ulteriore calo del 30 per cento circa;
a fronte di meno controlli si è ottenuto circa il 20 per cento in più delle riscossioni rispetto agli anni precedenti a dimostrazione che l'attività di lotta all'evasione fiscale ha puntato più sulla qualità dei controlli che sulla quantità, smentendo sia la presunta vessazione ai danni dei contribuenti trentini, sia la necessità di ridimensionare, diminuendoli, dei controlli -:
se il Ministro sia al corrente dell'efficacia, dell'efficienza e della tempestività dell'azione di contrasto dei fenomeni evasivi da parte l'Agenzia delle entrate di Trento;
se ritenga che suddetta Agenzia stia correttamente perseguendo il livello di adempimento degli obblighi fiscali attraverso il miglioramento dei servizi offerti e se l'azione di contrasto dell'evasione fiscale portata avanti sinora non solo sia in linea con gli obiettivi e i piani di azione del Ministero dell'economia e delle finanze ma se non reputi che tale azione debba essere condotta nelle stesse modalità anche per il 2010;
se reputi eccessivo il numero degli accertamenti fiscali dell'Agenzia delle entrate nel 2009 nella provincia di Trento e se intenda realmente ridurre il numero degli accertamenti fiscali in Trentino;
se sia rispondente al vero che presso l'Agenzia delle entrate di Trento vi sia un

esubero di impiegati e come mai, di contro, vengano respinte le istanze di trasferimento presso altre sedi, nonché le richieste di lavoro part-time ed accolte, invece, le richieste di mobilità in entrata.
(4-06632)

...

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:

VIETTI e RAO. - Al Ministro della giustizia, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
i lavoratori degli uffici giudiziari di Torino hanno reso noto, attraverso la diffusione di una lettera aperta, la grave situazione in cui versa il personale amministrativo giudiziario del distretto, a causa della mancata riqualificazione economica e giuridica, nonché della diffusa carenza di organico;
gli stessi lavoratori lamentano che la propria amministrazione, dopo dieci anni di trattative, abbia formulato un contratto integrativo nazionale (firmato da una minoranza sindacale) che sostanzialmente demansiona e dequalifica il personale;
tutti gli altri dipendenti del pubblico impiego, compresi quelli degli altri Dipartimenti dello stesso Ministero della giustizia, hanno avuto una riqualificazione consistente in un riconoscimento economico e professionale del lavoro svolto;
se non intendano, alla luce di quanto esposto dai lavoratori degli uffici giudiziari di Torino, addivenire ad una riformulazione del contratto integrativo per il settore giustizia, al fine di evitare penalizzazioni rispetto agli altri dipendenti dei settori pubblici;
quali misure il Governo intenda adottare per affrontare e risolvere le problematiche che affliggono l'Amministrazione della giustizia e per restituire al personale del dipartimento organizzazione giudiziaria prospettive equivalenti a quelle offerte agli altri dipendenti del pubblico impiego, anche attraverso la valorizzazione delle specifiche professionalità acquisite.
(3-00984)

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 12 marzo 2010 è apparso un lancio dell'agenzia di stampa ADNKRONOS a proposito della situazione di forte criticità in cui versano le strutture penitenziarie di Civitavecchia;
la denuncia proviene dalla consigliera regionale di Sinistra ecologia e libertà del Lazio, Anna Pizzo, che ha visitato entrambi gli istituti di pena di Civitavecchia;
secondo la consigliera regionale «nell'istituto di reclusione i detenuti, tutti definitivi, sono al momento sessanta, ma secondo quanto riferito dalla direttrice il numero sta progressivamente aumentando e ben presto si raggiungerà il tetto limite di 120. Nel circondariale, sia maschile che femminile, il numero massimo invece è già stato superato e oggi i detenuti ammontano a 475 unità, cifra limite nonostante sia di recente stata aperta una nuova sezione. Ma nel carcere i problemi non finiscono qui, anche perché oltre al sovrannumero - continua il consigliere - ci sono complesse problematiche relative alla non applicazione della legge regionale per quanto riguarda la sanità e vi è un diffuso allarme sulla crescita delle persone detenute con difficoltà psichiche alle quali non è possibile dare risposte adeguate essendo assai esiguo il numero degli psichiatri e degli psicologi» -:
quali iniziative intenda assumere il Governo per intervenire tempestivamente rispetto alle più drammatiche urgenze edilizie e igienico-sanitarie degli istituti di

pena di Civitavecchia, per le quali non si può certo aspettare la ancora assai lontana prospettiva della messa a regime del cosiddetto «Piano Carceri»;
quali iniziative, più in generale, intenda assumere il Governo in relazione al complessivo fenomeno di sovraffollamento delle carceri italiane;
quali siano gli orientamenti del Governo in relazione all'ipotesi, già prospettata, di un provvedimento di clemenza (amnistia e/o indulto), che contribuisca a riportare il trattamento penitenziario a quel «senso di umanità» e a quella «rieducazione del condannato», previsti dall'articolo 27, terzo comma, della Costituzione.
(4-06599)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
con il comunicato stampa del 9 marzo 2010 il garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale, Franco Corleone, ha denunciato la situazione di totale invivibilità che sta attraversando l'istituto di pena di Livorno;
a tal proposito, la prima firmataria del presente atto riporta integralmente il testo del comunicato stampa emanato dal citato Garante il 9 marzo 2009: «Non è purtroppo una novità. Il carcere di Livorno balza ancora una volta agli onori della cronaca per la morte di un detenuto, ucciso dal gas del fornellino. Non sappiamo se classificare la morte come suicidio o come conseguenza non voluta di una ricerca di uno sballo o di uno stordimento. Certamente è il segno di una condizione di invivibilità nel carcere delle Sughere segnato negli anni da troppe morti sospette e da inaccettabili violenze. Il clima del carcere è reso più difficile dal cronico sovraffollamento. Oltre 400 detenuti ammassati come bestie e da una gestione assolutamente carente. Infatti l'Amministrazione Penitenziaria si occupa di costruire un nuovo padiglione per aumentare la capienza dell'istituto (a proposito, a quale impresa sono stati affidati i lavori e qual è il loro costo?) ma lascia il carcere da mesi senza Direzione. Da tempo è stato chiesto dalle associazioni di volontariato che il Comune nomini il Garante dei detenuti, una figura cioè di controllo e di promozione dei diritti fondamentali delle persone recluse. È davvero ora che il Sindaco Cosimi prenda una decisione indispensabile perché il carcere non sia abbandonato a se stesso e la città non deleghi la gestione del luogo di pena a chi sa solo violare le leggi e in particolare l'Ordinamento Penitenziario e il Regolamento» -:
quali provvedimenti intenda adottare al fine di assegnare nel più breve tempo possibile un direttore in pianta stabile presso il carcere di Livorno;
quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, con urgenza, per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori dell'istituto di pena toscano.
(4-06600)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 16 marzo 2010 è apparso un lancio dell'agenzia ANSA: «Lucca, carcere fatiscente, degradato, inadeguato, sovraffollato»;
la notizia dà conto della visita effettuata nel carcere toscano di San Giorgio dal segretario generale della Uil Pa penitenziari, dottor Eugenio Sarno, il quale ha successivamente dichiarato alla stampa: «Pensavo di dover visitare un carcere, mi sono ritrovato in un luogo indegno le cui condizioni di degrado e invivibilità non è facile rappresentare, tanto meno illustrare»;
Eugenzio Sarno ha parlato di istituto «fatiscente, degradato, inadeguato, sovraffollato»; di «situazione intollerabile dove i

rischi igienico-sanitari sono sotto gli occhi di tutti e dove anche le condizioni di lavoro del personale sono pessime»;
a tal proposito il segretario della Uil Pa penitenziari ha inviato una dettagliata relazione ai vertici del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che sarà trasmessa anche al sindaco, al prefetto, alle autorità sanitarie e al procuratore della Repubblica; tutto ciò affinché in tempi brevi si possano ripristinare condizioni di vivibilità e ridare dignità alle persone detenute nell'istituto penitenziario lucchese -:
quali provvedimenti intenda sollecitare, adottare e/o promuovere, anche sulla base di quanto esposto nella sua dettagliata relazione dal segretario della Uil Pa penitenziari, al fine di ripristinare condizioni di vivibilità e di ridare dignità alle persone detenute nell'istituto penitenziario lucchese, conformemente a quanto stabilito dalle norme costituzionali e dell'ordinamento penitenziario.
(4-06604)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
sul quotidiano La Stampa del 16 marzo 2010 è apparso un articolo di Andrea Garassino intitolato: «Detenuti vincono ricorso, ma restano nella mini-cella»; sottotitolo: «Carcere di Saluzzo sovraffollato. Due detenuti presentano un reclamo al Giudice di Sorveglianza di Cuneo che gli dà ragione. Spettano loro almeno 7 metri quadri a testa. Ne hanno a disposizione solo 4,5»;
i due detenuti in questione sono rinchiusi nel carcere nel carcere «Moranti» nella sezione «Alta Sicurezza» e, prima di poter godere di spazi più ampi, devono attendere le direttive del Dipartimento penitenziario del Piemonte, atteso che, come dichiarato dal direttore del carcere di Saluzzo, «le disposizioni per i carcerati dell'Alta Sicurezza sono stabilite da circolari ministeriali che non possono essere derogate da decisioni del direttore. I decreti del magistrato di Cuneo, pertanto, sono in fase di valutazione da parte del Dipartimento»;
il tribunale di Sorveglianza ha accolto le istanze dei detenuti in base a due sentenze della Corte europea per i diritti dell'uomo di Strasburgo e della Corte costituzionale. I due detenuti infatti sono rinchiusi in una cella di 9,35 metri quadri, cioè 4.75 a testa, mentre il «Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti» indica in 7 metri quadri il limite minimo;
sono 400 gli «ospiti» della casa circondariale di Saluzzo. Settantaquattro sono rinchiusi nelle due sezioni di «Alta Sicurezza», che avrebbero una capacità totale di 100 persone. In due sezioni penali, invece, nei mesi scorsi è stato aggiunto un posto letto per cella, per passare da 50 detenuti per reparto a 75 e il problema del sovraffollamento in questi settori del carcere è molto sentito. In questo caso le celle sono aperte dalle 8,30 alle 19,30, ogni giorno. Presto sarà avviato il cantiere per un nuovo padiglione da 200 posti -:
quali iniziative urgenti intenda promuovere e/o adottare al fine di garantire ai detenuti ristretti nella sezione Alta Sicurezza del carcere di Saluzzo spazi più ampi così come disposto dal magistrato di sorveglianza di Cuneo;
più in generale, quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di ovviare al grave problema del sovraffollamento creatosi negli ultimi mesi nelle sezioni penali del carcere di Saluzzo.
(4-06608)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
con il comunicato stampa dell'11 marzo 2010 il garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale, Franco Corleone, ha denunciato

la scarsa attenzione da parte dell'amministrazione penitenziaria per l'istituto penale minorile di Firenze;
a tal proposito, la prima firmataria del presente atto riporta integralmente il testo del comunicato stampa emanato dal citato garante l'11 marzo 2010: «L'unico momento di attenzione è stato in occasione del suicidio del giovane detenuto Yassine. Neppure una tragedia come quella ha aiutato a risolvere i tanti problemi dell'istituto penale minorile e a risolvere questioni aperte da molto tempo. Le responsabilità sono tante, ma ora dopo la discussione in Consiglio Comunale della mia relazione si può sperare che sul carcere minorile si possa operare con più facilità che su Sollicciano. Occorre garantire la fruizione dei corsi scolastici, avere la disponibilità di progetti per i corsi professionali e la presenza di educatori che facciano da ponte con la città. Il Meucci si trova nel centro di Firenze e le sue strutture, dalla chiesa al chiostro potrebbero essere un luogo di incontro per i cittadini. Ma la priorità assoluta ora è quella del sovraffollamento ingiustificato. A questo proposito ho scritto una lettera al direttore dell'istituto, dottor Fiorenzo Cerruto e al direttore del centro di giustizia minorile, dottor Giuseppe Centomani, che riporto testualmente: «Da troppo tempo l'istituto soffre di una condizione di sovraffollamento anomalo e artificiale in quanto i giovani ospiti sono ristretti nel vero senso della parola in una sola sezione. La seconda sezione è rimasta chiusa per ragioni strutturali ma in realtà per mancanza di personale di polizia penitenziaria dovuta anche a un numero spropositato di distacchi ingiustificati. Sono convinto che questa situazione provochi gravi problemi anche sul piano trattamentale in quanto impedisce una differenziazione tra ospiti con differenti posizioni giuridiche e umane. La mia convinzione è che questa situazione vada risolta e superata rapidissimamente». Mi auguro che dal Dipartimento di Giustizia Minorile siano date immediatamente ai responsabili locali mezzi e strumenti per superare questa emergenza -:
se il percorso detentivo che i minori reclusi nel carcere di Firenze stanno vivendo non risenta della carenza e dell'inadeguatezza dei servizi minorili causata dai tagli di spesa che i Governi succedutisi negli ultimi anni hanno operato nella giustizia minorile, che in modo diffuso stanno provocando una carenza di personale e l'impossibilità di praticare forme di trattamento;
se, anche alla luce di quanto denunciato dal Garante Franco Corleone, non sia necessario un ripensamento delle politiche fin qui operate dagli ultimi governi in materia di giustizia minorile, abbandonando l'idea di un inasprimento del sistema e delle misure detentive per decidere, invece, di sostenere con risorse adeguate tutti gli strumenti alternativi al carcere e promuoverne altri per impedire che i minorenni vivano con il carcere una esperienza di solitudine e di emarginazione, inutile se non dannosa per la loro formazione e il loro reinserimento sociale.
(4-06609)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
negli scorsi giorni le principali organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria, ossia Sappe, Osapp, Sinappe, Uil, Cisl, Uglpp e Cgil, hanno denunciato le condizioni di scarsa sicurezza e di assoluto degrado in cui sono costretti a lavorare gli agenti di custodia assegnati presso il carcere «Mammagialla» di Viterbo;
a tal proposito, la prima firmataria del presente atto riporta integralmente il testo del comunicato stampa emanato dalle citate organizzazioni sindacali il 15 marzo 2010: «Gli scriventi, delegati delle organizzazioni sindacali più rappresentative del corpo di Polizia Penitenziaria per la provincia, ritengono oltremodo doveroso informare la società circa la gravissima situazione in cui versa l'istituto penitenziario di Viterbo. Quanto sopra, atteso

che le problematiche esistenti sono talmente gravi da risultare potenzialmente pregiudizievoli per la sicurezza sociale del territorio viterbese, Spesso viene dimenticato che la polizia penitenziaria è una delle cinque forze di polizia a livello nazionale, dipendente dal Ministero della Giustizia-Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, i cui compiti istituzionali sono descritti precipuamente nell'articolo 5 della Legge 395/90, istitutiva del Corpo stesso (Il Corpo di Polizia Penitenziaria attende ad assicurare l'esecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale; garantisce l'ordine all'interno degli istituti di prevenzione e di pena e ne tutela la sicurezza; partecipa, anche nell'ambito di gruppi di lavoro, alle attività di osservazione e di trattamento rieducativo dei detenuti e degli internati; espleta il servizio di traduzione dei detenuti ed internati ed il servizio di piantonamento dei detenuti ed internati ricoverati in luoghi esterni di cura), il che comporta la gestione quotidiana di soggetti in condizioni di profondo disagio dovuto alla restrizione della libertà personale, che enfatizza qualsiasi tipo di comportamento, in positivo ed in negativo, e richiede profondo autocontrollo, intelligenza e sensibilità di gestione e di prevenzione delle situazioni di pericolo e tentativi dei detenuti di ledere l'incolumità propria ed altrui. Sovente il poliziotto penitenziario si trova a gestire situazioni delicatissime e snervanti e demotivanti, con il costante pericolo di aggressioni e umiliazioni ma nonostante ciò si prodiga giornalmente nel tutelare la sicurezza e lo stato di salute delle persone recluse e, conseguentemente, ciò influisce sulla sicurezza della società. Sono moltissime le occasioni in cui vengono sventati tentativi di suicidio dei detenuti, con grave rischio personale, e non è affatto giusto che si sia sempre additati come "aguzzini" e maleducati, solo perché l'ambito lavorativo evoca, erroneamente, una situazione di degrado complessivo. La casa circondariale di Viterbo, è da anni carente di circa 150 unità di polizia penitenziaria per l'adeguata copertura dei posti di servizio, atti a garantirne la sicurezza interna ed esterna. Ad aggravare quanto sopra vi è un'altissima concentrazione di detenuti altamente pericolosi. Non da ultimo, si è verificato il passaggio dalla sanità penitenziaria al servizio sanitario nazionale, che ha fatto sì che decadesse quella branca della sanità dedicata alle specifiche necessità dei detenuti, con l'intento di offrire agli stessi una sanità più qualificata. Tale provvedimento, ha aggravato in modo esponenziale il lavoro del nucleo traduzioni e piantonamenti, vanificando la necessità di evitare una ingente movimentazione di detenuti sul territorio, comportando un continuo andirivieni di detenuti in transito sul territorio e creando continuo disagio alla popolazione comune nei corridoi degli ospedali che, fra l'altro, ben si presterebbero ad una potenziale via di fuga. A causa di tutti i motivi suesposti, già dall'inizio dello scorso periodo estivo si sono verificate anche numerose aggressioni ai danni del personale di polizia penitenziaria da parte di detenuti, in alcuni casi con conseguenze gravi. Ciò nonostante, il lavoro della polizia penitenziaria in forza alla casa circondariale di Viterbo continua con immutata abnegazione. Il personale di polizia penitenziaria di Viterbo è perfettamente conscio dell'importantissimo mandato istituzionale, e resiste alle molteplici difficoltà e ai turni massacranti, con copertura di due o tre posti di servizio contemporaneamente, con tutti i rischi che questo comporta, in termini di accumulo di stress negativo, senza peraltro grandi possibilità di recupero psicofisico, data la difficoltà di fruire delle ferie e degli altri diritti spettanti. È lecito domandarsi se tutto questo sia giusto. Se sia giusto che queste persone debbano essere svilite e sfinite nelle loro energie ed esposte gratuitamente a grave rischio per l'incolumità personale. La situazione ormai è talmente grave da costituire un pericolo per l'incolumità degli operatori a scapito della sicurezza e la Direzione non sembra, nonostante i tentativi effettivamente messi in atto, disporre degli strumenti necessari per ottenere dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria l'invio di un congruo numero di

unità di personale presso l'istituto penitenziario di Viterbo. In principio infatti il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria aveva deciso di assegnare presso l'istituto circa 40 unità di polizia penitenziaria, per poi ridurle progressivamente fino ad arrivare all'ultima decisione: 12 unità a completamento del 161o corso allievi agenti di cui il Dipartimento ha annullato le procedure di assegnazione a causa di un ricorso al Tar del Lazio. Recentemente, poi, in occasione dell'apertura di una sezione presso la casa circondariale di Civitavecchia, 9 istituti del Lazio hanno dovuto inviare unità in missione, la casa circondariale di Viterbo, "ovviamente", anziché ricevere un congruo numero di poliziotti penitenziari, non ha potuto esimersi da tale invio perdendo una ulteriore unità. Per i motivi esposti, chiediamo sostegno in occasione della manifestazione di protesta indetta per il giorno 19 marzo 2010 in piazza del Plebiscito» -:
se il Ministro interrogato intenda istituire una commissione ministeriale che valuti attentamente la situazione e i pericoli denunciati dalle organizzazioni sindacali degli agenti di polizia penitenziaria relativamente alle condizioni in cui versa il carcere di Viterbo;
se non intenda urgentemente rivedere il numero degli agenti di polizia penitenziaria attualmente assegnato presso il predetto istituto di pena posto che lo stesso risulta attualmente gravemente sottodimensionato.
(4-06612)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la prima firmataria del presente atto assieme a Maurizio Bolognetti, membro della direzione nazionale di Radicali italiani, il 6 marzo 2010 ha visitato la casa circondariale di Potenza;
l'istituto penitenziario in questione presenta una situazione di preoccupante sovraffollamento, carenza di personale di ogni tipo, condizioni di detenzione ben lontane da quanto previsto dal dettato costituzionale e dall'ordinamento penitenziario in termini di trattamento finalizzato alla rieducazione e al futuro reinserimento sociale di quanti oggi sono privati della libertà personale;
in particolare, quanto a sovraffollamento, nel carcere di Potenza, reparto maschile, sono presenti 243 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 133 e «tollerabile» di 182; nella sezione femminile, viceversa, le detenute presenti sono 22, a fronte di una capienza regolamentare di 24 unità e «tollerabile» di 33;
in totale, nell'istituto di pena lucano, i detenuti (compresi i semiliberi) ammontano a 269 unità (di cui 203 italiani e 66 stranieri), a fronte di una capienza regolamentare di 169 posti e «tollerabile» di 228;
quanto al personale, nel carcere di Potenza si registrano presenze appena sufficienti viste le molte incombenze relative ai servizi esterni al carcere; in totale si contano 111 agenti di polizia penitenziaria, di cui 97 uomini e 14 donne, con una assenza stimata pari all'incirca a trenta unità; i commissari presenti all'interno del predetto istituto penitenziario sono due, gli ispettori sette e i sovrintendenti diciannove; il personale distaccato presso altre sedi ammonta in totale a circa 44 unità;
va sottolineato che con riferimento alla situazione di grave sofferenza e criticità che sta attraversando la Casa Circondariale di Potenza, la prima firmataria del presente atto ha già presentato, in data 11 gennaio 2010, l'interrogazione parlamentare n. 4-05651, alla quale il Ministro interrogato non ha fornito risposta -:
se non si intendano adottare le opportune iniziative al fine di aumentare l'organico degli agenti penitenziari e del personale amministrativo in servizio presso il carcere di Potenza, in modo da rendere lo stesso adeguato al numero delle persone recluse;

se non si ritenga di dover intervenire per avvicinare i detenuti al loro luogo di residenza nel rispetto del principio della territorialità della pena;
quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, con urgenza, per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori dell'istituto di pena lucano.
(4-06613)

EVANGELISTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
Giuseppe Uva, 43enne fermato in stato di ebbrezza a Varese nel 2008 è morto dopo «violenze sistematiche e ininterrotte» per arresto cardiaco presumibilmente provocato per somministrazione, in ospedale, di farmaci incompatibili con la precedente assunzione di alcolici. Dagli esami tossicologici risulta, infatti, che gli sono stati somministrati dei farmaci, inequivocabilmente e tassativamente controindicati in caso di assunzione di alcol;
dai verbali della magistratura risulta che egli sia stato intercettato in stato di ebbrezza alle 3 del mattino del 14 giugno 2008, in una strada di Varese, e che «all'interno della caserma di via Saffi, Giuseppe Uva, 43 anni, per tre ore abbia subito violenze, sistematiche e ininterrotte: dimostrate dalle numerose ecchimosi al volto e in varie parti del corpo, macchie di sangue in diverse zone»;
«un testimone parla di urla strazianti che si ripetono per ore. L'intervento del 118, sollecitato dal testimone in questione, viene rifiutato dal centralinista della caserma». Poi, «alle 5 del mattino, incredibilmente, dalla stessa caserma si chiede l'applicazione del TSO (trattamento sanitario obbligatorio) per Uva, che verrà trasportato prima al pronto soccorso e poi al reparto psichiatrico dell'ospedale di Circolo»;
«secondo quanto accertato dall'indagine, gli vengono somministrati medicinali incompatibili con l'assunzione di alcol». Giuseppe Uva muore alle ore 10.30: come scrive l'esposto presentato dalla famiglia: «Nonostante le dettagliate testimonianze sulle responsabilità di carabinieri e polizia, in merito alle continue ripetute violenze subite, si procede contro ignoti»;
«l'autopsia risulta effettuata in maniera parziale, senza gli esami radiologici necessari ad accertare fratture e minimizzando o ignorando l'importanza delle lesioni presenti sul suo corpo, in particolare sul dorso e nella regione anale»;
è stato depositato nei giorni scorsi, in procura a Varese, un dossier raccolto dai legali della famiglia Uva con «nuove testimonianze che mostrerebbero l'esistenza di una relazione sentimentale» fra Giuseppe Uva, l'artigiano morto in ospedale nel 2008 dopo essere stato fermato dai carabinieri, e la compagna di uno dei militari presenti durante la notte trascorsa;
a distanza di 21 mesi dalla morte di Uva l'indagine, oltre a languire, sembra destinata all'inconcludenza: due medici sono indagati, ma per quanto riguarda la responsabilità di coloro che hanno trattenuto illegalmente Uva e lo hanno sottoposto a violenze, e, nonostante le testimonianze, si procede ancora contro ignoti -:
se sia stata avviata, ed in caso negativo se non si ritenga necessario avviare, un'approfondita inchiesta sul piano amministrativo e disciplinare sull'intera vicenda al fine di accertare le effettive cause della morte di Giuseppe Uva;
se, in merito alla vicenda esposta in premessa, vi siano eventuali responsabilità disciplinari delle forze dell'ordine;
se non si ritenga che la drammatica vicenda in premessa, che suscita domande che appartengono ormai alla coscienza prevalente dei cittadini italiani, non meriti, oltre che il rispetto, un'attenzione continua da parte dei Ministri interrogati perché

siano chiariti tutti gli aspetti ancora in ombra e siano adottate le misure utili ad impedire che simili storie possano entrare nella cronaca.
(4-06622)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato il 28 marzo 2010 dall'edizione online del quotidiano il Corriere della Sera, un detenuto tossicodipendente di 47 anni recluso nella casa circondariale di Reggio Emilia è morto dopo aver inalato il gas della bomboletta che tutti i reclusi legittimamente detengono per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande, come prevede il regolamento penitenziario;
l'uomo sarebbe morto a mezzanotte e trenta circa, durante il cambio di turno degli agenti e, stando alle prime ricostruzioni dei fatti, si sarebbe trattato, più che di un suicidio, di un tentativo di stordirsi con il gas, pratica molto diffusa nelle carceri tra i tossicodipendenti in crisi di astinenza;
accanto al corpo del 47enne è stata trovata una busta di plastica, utilizzata molto probabilmente dall'uomo per infilarci la testa durante l'inalazione dei gas. Nella cella c'erano altri due detenuti. Ogni detenuto, secondo il regolamento, dispone di due bombolette di gas; in quella cella, quindi, c'erano sei bombolette di gas tutte perfettamente funzionanti;
trattasi del quindicesimo detenuto morto nelle carceri italiane dall'inizio del 2010. Solo nel 2009 in Italia si è registrato un record di suicidi tra i reclusi, 72 casi. Invece di discutere solo in merito alla costruzione di nuovi penitenziari, bisognerebbe ripensare seriamente al senso della pena che andrebbe applicata soltanto in casi estremi, ridimensionando la facilità con la quale viene disposta oggi;
a giudizio della prima firmataria del presente atto, per contenere il triste fenomeno delle morti violente in carcere non è sufficiente un «piano carceri», anche perché gli interventi recentemente annunciati dal Ministro della giustizia non prevedono alcun rafforzamento dell'attività «trattamentale» verso i detenuti, ovvero l'assunzione di psicologi, educatori ed assistenti sociali;
il 12 gennaio 2010 la Camera dei deputati ha parzialmente approvato, su espresso parere favorevole del Governo, la mozione sulle carceri presentata dalla prima firmataria del presente atto e sottoscritta da 93 deputati appartenenti a quasi tutte le forze politiche presenti in Parlamento;
la mozione approvata prevede, tra l'altro, tutta una serie di provvedimenti che, se attuati, renderebbero più adeguato il trattamento penitenziario nei confronti dei detenuti tossicodipendenti ed eviterebbero morti violente come quelle verificatesi nella casa circondariale di Reggio Emilia, in particolare: a) la creazione di istituti «a custodia attenuata» per tossicodipendenti, realizzabili in tempi relativamente brevi anche ricorrendo a forme di convenzioni e intese con il settore privato e del volontariato che già si occupa dei soggetti in trattamento; b) l'adeguamento degli organici del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi, non solo per ciò che concerne la loro consistenza numerica, ma anche per ciò che riguarda la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare il reinserimento sociale dei detenuti; c) il miglioramento del servizio sanitario penitenziario, dando seguito alla riforma della medicina penitenziaria già avviata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, in modo che la stessa possa trovare, finalmente, effettiva e concreta applicazione;
secondo i dati forniti dal sito www.pianetacarcere.it, aggiornati al 22

marzo 2010, il carcere di Reggio Emilia ospita 292 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 132 -:
di quali informazioni disponga il Ministro sui fatti riferiti in premessa e, in particolare, se non intenda avviare un'indagine amministrativa interna volta a verificare eventuali responsabilità amministrative o disciplinari dell'amministrazione penitenziaria in ordine a quanto avvenuto all'interno della casa circondariale di Reggio Emilia, ciò anche alla luce, e tenendo conto, della forte carenza di. personale che limita inevitabilmente le possibilità di vigilanza sui detenuti;
se il Governo non ritenga che l'alto tasso di atti di autolesionismo e di suicidi in carcere dipenda anche dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno, soprattutto per quanto riguarda le tante persone tossicodipendenti che finiscono in prigione per reati legati al loro stato di dipendenza da una sostanza stupefacente vietata per legge;
se e quali urgenti iniziative di carattere normativo e/o amministrativo il Governo intenda adottare al fine di creare i cosiddetti istituti di custodia attenuata per i detenuti tossicodipendenti, così come previsto dalla mozione n. 1-00288 approvata dalla Camera dei deputati il 12 gennaio 2010;
se e quali urgenti iniziative il Governo intenda adottare, sollecitare e promuovere al fine di aumentare gli organici del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi in servizio presso gli istituti di pena, in modo da rendere lo stesso adeguato al numero delle persone recluse, così come previsto dalla mozione n. 1-00288 approvata dalla Camera dei deputati il 12 gennaio 2010;
se ritenga necessario assumere iniziative normative volte a modificare il regolamento sull'ordinamento penitenziario al fine di assicurare, attraverso una maggiore personalizzazione del trattamento, una «detenzione giusta», rispettosa del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali degli individui, se del caso, istituendo in ogni carcere degli appositi presidi specializzati per prevenire il rischio delle morti violente e le altre emergenze legate ai disagi psicologici dei detenuti, in specie di quelli tossicodipendenti.
(4-06639)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 19 marzo 2010 è apparso un lancio dell'agenzia di stampa ANSA intitolato: «Detenuto in sciopero della fame, chiede cure sanitarie», nel quale viene narrata la vicenda di Angelo Iacono, 37enne, di Catania, detenuto al carcere Petrusa di Agrigento per una condanna per associazione mafiosa che finirà di scontare nel 2013;
l'uomo sta facendo da tre settimane lo sciopero della fame, in quanto la direzione del carcere gli impedirebbe di curarsi per bene;
Iacono soffre di problemi di deambulazione e di altre patologie, sicché, per consentirgli l'ora d'aria, il dirigente sanitario della struttura penitenziaria gli ha consegnato le stampelle. Secondo il detenuto però il magistrato del tribunale di sorveglianza, che aveva rigettato la concessione di una misura alternativa al carcere, aveva imposto alla struttura carceraria di predisporre terapie farmacologiche e interventi chirurgici in ambito penitenziario che non sarebbero mai state effettuate -:
quali iniziative intendano intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, affinché vengano verificate le condizioni in cui è costretto Angelo Iacono e, nel caso, quali iniziative intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, affinché al detenuto vengano garantite

tutte quelle cure, nessuna esclusa, che il suo precario stato di salute richiede.
(4-06640)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
con delibera del 4 marzo 2010 l'assemblea distrettuale delle camere penali dell'Emilia Romagna, oltre a segnalare l'irragionevole restrizione nell'accesso alle misure alternative alla detenzione affermatasi nella giurisprudenza dei tribunale di sorveglianza di Bologna, ha denunciato il grave pregiudizio per la funzione difensiva conseguente alle disposizioni ed alle prassi di carattere organizzativo adottate presso il richiamato tribunale;
nel citato documento, le camere penali dell'Emilia-Romagna lamentano, quanto alla organizzazione degli uffici, la inaccettabile lesione del diritto di difesa e la grave lesione del decoro e della dignità dell'esercizio delle professione forense per i seguenti Motivi: a) la riduzione dell'orario di accesso alle cancellerie del tribunale e dell'Ufficio di sorveglianza che dal mese di novembre 2009 è consentito esclusivamente dalle ore 9 alle ore 11, dal lunedì al venerdì, con soppressione dell'apertura pomeridiana nelle giornate di martedì e giovedì, impone agli avvocati attese estenuanti per poter accedere alle cancellerie; b) l'accesso ai locali dei tribunale è subordinato al rilascio di un pass - così denominato nell'avviso affisso all'ingresso del Tribunale - da parte del militare presente all'ingresso, previa comunicazione tramite telefono che l'avvocato o chi per lui sta avendo accesso all'ufficio, con conseguente parificazione dell'Avvocato alla stregua di ogni semplice visitatore in spregio alla funzione esercitata; c) la concentrazione nella cancelleria centrale di tutte le funzioni, ivi comprese quelle pertinenti all'ufficio di sorveglianza, impone nuovamente attese interminabili prima di, ottenere in visione i fascicoli assegnati ai singoli magistrati; d) i fascicoli assegnati al Presidente non possono essere visionati nei cinque giorni precedenti la celebrazione dell'udienza; e) la riduzione dei ruoli di udienza comporta la fissazione delle udienze con ritardi inaccettabili - da sei mesi ad un anno - con conseguente fissazione delle udienze e adozione dei provvedimenti decisori in prossimità del fine pena ovvero dopo la scarcerazione del detenuto per espiazione della pena; quanto sopra evidenziato, secondo i penalisti emiliani, risulta gravemente lesivo del diritto di difesa atteso che al difensore è, in buona sostanza, «impedito di consultare i fascicoli relativi ai propri assistiti in tempi e modi tali da garantire l'esercizio del diritto di difesa in condizioni di parità e di effettivo contraddittorio delle parti in quanto, oltre alle suindicate ragioni, l'apertura delle cancellerie ad ore 9 impedisce di visionare i fascicoli prima dell'udienza - che ha inizio ad ore 9,30 - con gravissimo vulnus del diritto di difesa, dato che frequentemente le informative pervengono il giorno prima in orario in cui la cancelleria è già chiusa, ovvero la mattina stessa prima dell'orario di inizio dell'udienza - quando la cancelleria apriva ad ore 8,30 fino ad ore 9 era consentito ai difensori di visionare i fascicoli, circostanza che agevolava anche i numerosi avvocati (come noto il Tribunale ha competenza distrettuale) che provengono dal distretto o da fuori distretto; senza considerare che con sempre maggiore frequenza i fascicoli di competenza di alcuni magistrati non sono, come invece dovrebbe essere, nelle cancellerie a disposizione delle parti»;
tale situazione è stata più volte segnalata e stigmatizzata, oltre che dalla camera penale di Bologna, anche dal garante dei detenuti per il comune di Bologna che, a seguito di una lettera esposto sottoscritta da circa 200 detenuti ed inviata nel mese di agosto 2009 anche al Presidente dei tribunale di sorveglianza, ha avviato una serie di consultazioni con gli enti locali, la Direzione della Casa Circondariale, la procura generale le associazioni di volontariato che operano all'interno del carcere, la camera penale,

l'ordine degli Avvocati volte ad ottenere, senza alcun esito, un incontro con il presidente del tribunale di sorveglianza. Inoltre la stessa camera penale di Bologna, con la delibera in data 10 novembre 2009, dopo aver riassunto con precisione il percorso compiuto congiuntamente all'ufficio del garante, ha denunciato il mal funzionamento del tribunale di Sorveglianza ed ha proclamato lo stato di agitazione degli avvocati penalisti;
l'assemblea delle camere penali dell'Emilia-Romagna - camera penale di Bologna, camera penale di Modena, camera penale di Reggio Emilia, camera penale di Parma, camera penale di Piacenza, camera penale di Rimini, camera penale di Romagna, camera penale di Ferrara - ha quindi proclamato lo stato di agitazione degli Avvocati penalisti del distretto riservandosi ogni ulteriore iniziativa volta a garantire il diritto di difesa anche nella fase esecutiva ed a tutelare la dignità dell'Avvocato;
l'unione camere penali italiane, con successiva delibera del 22 marzo 2010, ha condiviso l'iniziativa dell'assemblea distrettuale delle camere penali dell'Emilia Romagna evidenziando che in materia giudiziaria eventuali disfunzioni organizzative degli uffici giudiziari non sono equiparabili alle disfunzioni, pur gravi, degli altri uffici pubblici, atteso che esse incidono inevitabilmente e direttamente sull'esercizio del diritto di difesa e sulle dinamiche processuali, già compromesse dalle strutture ordinamentali e dalla unicità delle carriere;
nella richiamata delibera l'unione delle camere penali Italiane denuncia che tali prassi denotano «una intollerabile marginalizzazione della funzione e della dignità della difesa la quale, del resto, non fa altro che riflettere quella cultura inquisitoria della giurisdizione che, affermatasi quale corollario di un sistema politico di stampo autoritario, trae ancor oggi e da decenni quotidiano sostentamento nell'organizzazione ordinamentale fondata sulla unicità delle carriere fra organi giudicanti e requirenti» -:
se, con riferimento ai fatti esposti in premessa, il Ministro interrogato intenda attivare i propri poteri ispettivi presso gli uffici del tribunale di sorveglianza di Bologna e, nel caso ne sussistano i presupposti, promuovere le iniziative di competenza.
(4-06642)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
con delibera del giorno 11 marzo 2010, il consiglio direttivo della camera penale «Serafino Famà» di Catania, ha fatto propria la denuncia proveniente da un suo iscritto con la quale il penalista ha lamentato che all'udienza di convalida del 12 febbraio 2010 avanti al Tribunale di Catania, sezione I, in composizione monocratica (proc. n. 433/10 R. Trib.), l'organo giudicante avesse già predisposto il provvedimento di convalida dell'arresto e di applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere prima che si celebrasse la relativa udienza;
secondo i penalisti catanesi, «tali episodi appaiono frutto di una patologica concezione efficientista del rendere giustizia e sono sintomatici di una sorta di sotterranea insofferenza di taluni giudici nei confronti dell'attività difensiva e rischiano di rinchiudere gli organi giudicanti in un preoccupante soggettivismo autoreferenziale mortificando e svilendo la funzione del difensore»;
nella citata delibera - trasmessa alla giunta dell'Unione delle camere penali italiane, al consiglio dell'ordine degli avvocati di Catania, al presidente del tribunale di Catania, al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania, al presidente della Corte di appello di Catania, al procuratore generale presso la corte di appello di Catania - i penalisti catanesi sottolineano come il protrarsi di prassi siffatte rischi di portare allo svilimento del valore del contraddittorio esaltato dall'articolo 111 della Costituzione; allo scardinamento

dell'effettività dell'esercizio inviolabile del diritto di difesa, nonché al diffondersi di insopportabili modelli di giustizia sommaria;
già in passato si erano verificati episodi simili, peraltro non relegati nel solo ambito del circondario di Catania, il consiglio direttivo della camera penale «Serafino Famà» ha deciso di istituire una Commissione permanente alla quale demandare il compito: a) di raccogliere le denunce e le doglianze di coloro che lamentano questo tipo di violazioni; b) di redigere un «libro bianco» da consegnare ai capi degli uffici presso i quali le violazioni si saranno verificate -:
se, con riferimento ai fatti esposti in premessa, il Ministro interrogato intenda esercitare i propri poteri ispettivi presso gli uffici del tribunale di Catania e, nel caso ne sussistano i presupposti, promuovere le iniziative di competenza.
(4-06645)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
un lancio dell'agenzia di stampa DIRE del 17 marzo 2010 intitolato: «Forlì: Amministratori ad Alfano; carcere in estremo degrado», riporta che tutti gli amministratori della provincia di Forlì-Cesena stanno per stilare un documento comune rivolto al Ministro della giustizia e contenente tre richieste sul carcere di Forlì;
la decisione degli amministratori è stata presa dopo il sopralluogo al carcere della Rocca avvenuto qualche giorno prima da parte del vice-presidente della provincia Guglielmo Russo e degli assessori al welfare di Forlì Davide Drei e di Cesena Simona Benedetti, oltre ad altri amministratori locali, i quali hanno potuto verificare di persona le condizioni di estremo degrado in cui versa il predetto istituto di pena, condizioni che non permettono la salvaguardia minima della dignità delta persona in esso recluse;
le tre richieste che gli amministratori rivolgono al Ministro della giustizia consistono nel: a) confermare le previsioni di apertura del nuovo carcere del Quattro, attualmente in costruzione, nel 2012; b) nel frattempo effettuare almeno un minimo di manutenzione ordinaria all'attuale struttura; c) far fronte deficit di organico della polizia penitenziaria;
il vecchio e vetusto carcere della Rocca ha problemi contingenti, come buchi nei pavimenti, escrementi di piccioni in molte superfici esterne e sotterranei infestati dai topi. A ciò si aggiungono i problemi dovuti al sovraffollamento, alla carenza di igiene e di manutenzione ordinaria;
attualmente i detenuti sono 268 (circa la metà sono stranieri) a fronte 165 posti disponibili. I carcerati si trovano in coppia in celle di otto metri quadri compreso il bagno, mentre gli agenti di polizia penitenziaria, che dovrebbero essere 125, ammontano ad appena 103 unità;
tra i detenuti, 53 hanno ottenuto affidamenti esterni per il lavoro, e queste attività, così come quelle delle cooperative sociali e delle associazioni di volontariato che operano all'interno sul fronte della formazione e del lavoro, rischiano di essere minate dallo condizioni di estremo degrado del carcere -:
se i fatti esposti corrispondano al vero e, nel caso, quali iniziative si intendano adottare per impedire che a persone già private della libertà sia inflitta una sorta di pena supplementare rappresentate dal degrado di luoghi e da condizioni di detenzione che offendono la dignità umana.
(4-06646)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 18 marzo 2010 sul quotidiano Trentino è apparso un articolo intitolato: «Un carcere che scoppia, 180 detenuti in quattro sezioni»;

l'articolo descrive la situazione in cui versa la casa circondariale di Trento all'interno del quale, nei giorni scorsi, i detenuti presenti hanno raggiunto la cifra record di 180 unità, il tutto a fronte di una capienza regolamentare di appena 90 posti e con una delle cinque sezioni chiusa perché inagibile;
in pratica nell'istituto di pena trentino ci sono il doppio dei detenuti e non c'è nemmeno tutto lo spazio previsto per ospitarli; senza contare la grave carenza del personale di polizia penitenziaria (ormai stabilmente sotto le 100 unità), degli educatori, degli psicologi e degli assistenti sociali -:
se corrisponda al vero la su descritta situazione nel carcere di Trento e, nel caso, quali iniziative di competenza si intendano adottare per impedire che a persone già private della libertà sia inflitta una sorta di pena supplementare rappresentata dal degrado di luoghi e da condizioni di detenzione che offendono la dignità umana.
(4-06648)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'avvocato Paolo Colosimo, inizialmente ricercato nell'ambito dell'inchiesta della procura capitolina su un affare di riciclaggio e frode da 2 miliardi di euro, si è costituito il 2 marzo 2010;
l'uomo, attualmente detenuto nel carcere romano di Regina Coeli, è accusato di aver fatto da collegamento tra il senatore dimissionario del Popolo della Libertà, Nicola Di Girolamo, anche lui indagato nella medesima inchiesta, e la 'ndrangheta per il riciclaggio;
in particolare, l'avvocato Colosimo deve rispondere di associazione per delinquere transnazionale pluriaggravata, minaccia per impedire l'esercizio del diritto di voto aggravata dal metodo mafioso e scambio elettorale aggravato dal metodo mafioso;
secondo il giudice delle indagini preliminari, che ha firmato l'ordinanza di custodia cautelare per l'avvocato Colosimo, le indagini hanno portato alla luce una «organizzazione criminale» che realizzava attività economiche fittizie per svariati miliardi di euro al fine di ottenere crediti di imposta a vantaggio delle due società di telecomunicazioni Fastweb e Telecom Italia Sparkle, controllata interamente da Telecom Italia. Secondo i magistrati inquirenti, il denaro frutto della frode fiscale veniva poi riciclato in diverse direzioni;
la prima firmataria del presente atto, dopo essersi recata in visita ispettiva presso l'istituto penitenziario romano lo scorso 15 marzo 2010 ha potuto verificare anche le condizioni di detenzione dell'avvocato Colosimo, apprendendo che il detenuto: a) trascorre fuori dalla cella solo 10 minuti al giorno atteso che al medesimo - sottoposto al divieto di incontro con gli altri coindagati - la direzione del carcere non riesce a garantire la fruizione dell'ora d'aria e dei «passeggi» così come previsto dalle norme sull'ordinamento penitenziario, ciò in quanto non vi è un numero di agenti di polizia penitenziaria sufficiente a controllare e prevenire eventuali suoi contatti con gli altri detenuti; b) non viene curato adeguatamente; in particolare allo stesso non vengono somministrate tutte quelle medicine che la sua patologia (grave forma di anemia) richiederebbe;
la legge 26 luglio 1975, n. 354, recante «Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e imitative della libertà», all'articolo 1 prevede che «il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona» -:
quali iniziative intenda intraprendere, nel rispetto delle sue competenze, affinché vengano verificate le condizioni in cui è costretto l'avvocato Paolo Colosimo e, nel

caso, quali provvedimenti intenda adottare per rimuovere le gravissime anomalie denunciate in ordine alla palese violazione dei suoi diritti di detenuto.
(4-06649)

CASTAGNETTI e MARCHI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nella notte fra sabato 27 e domenica 28 marzo 2010 nella casa circondariale di Reggio Emilia si è suicidato un detenuto utilizzando il gas di una bomboletta, legittimamente detenuta, ad uso di scaldavivande;
ad ogni detenuto sono ordinariamente assegnate in dotazione due bombole di gas;
nella cella assieme al detenuto suicidatosi ne erano presenti altri due detenuti e, dunque, erano custodite ben sei bombole di gas;
durante la notte in cui si è verificato il drammatico evento era in servizio un solo agente a cui, per la cronica carenza di personale, era affidato il compito di controllo di non meno di 150 detenuti -:
quale sia stata l'effettiva dinamica dei fatti;
quali iniziative intenda assumere per:
a) commisurare la dotazione del personale in servizio alla casa circondariale di Reggio Emilia al clamoroso aumento della popolazione carceraria, fenomeno che rende, oltretutto, inaccettabili sotto ogni profilo le condizioni umane della detenzione;
b) eliminare le bombolette di gas-scaldavivande, sostituendole con altre attrezzature più consone alle condizioni della vita carceraria;
c) indagare seriamente le ragioni per cui in questa casa circondariale gli episodi di suicidio si verificano da qualche tempo con preoccupante frequenza.
(4-06654)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
sul quotidiano Il Fatto del 20 marzo 2010 è apparso un articolo di Rita Di Giovacchino intitolato: «Pestato a sangue in caserma, morto dopo il ricovero»;
si riporta integralmente il testo del predetto articolo: «Una storia come tante. La storia di un pestaggio, all'interno di una struttura di Stato, ad opera di uomini dello Stato. Una storia che anche questa volta si conclude con una vita stroncata in circostanze oscure. Si chiamava Giuseppe Uva, aveva 37 anni, sappiamo solo che è morto come Stefano Cucchi o come Federico Aldovrandi, uno in carcere, l'altro in strada. Giuseppe all'interno di un ospedale psichiatrico dove è stato accompagnato all'alba del 15 giugno 2008 dagli stessi carabinieri che, per un'intera notte, lo hanno selvaggiamente picchiato all'interno di una caserma di Varese. Questo racconta l'amico che era con lui, forse salvato dall'arrivo del padre. Non è una storia recente, è successo quasi due anni fa, ma si è scoperto soltanto ora, grazie al tam tam dei siti, grazie a una famiglia che non si rassegna e chiede giustizia, grazie anche all'ex deputato Luigi Manconi, Garante dei diritti dei detenuti, che vigila su chi si trova in condizioni di restrizione o inferiorità. Giuseppe non era un drogato, neppure un ladro o un violento. Era uno come se ne trovano tanti, soprattutto in provincia. Uno che faceva lavori saltuari e la notte gli piaceva andare in giro e qualche volta alzava il gomito. Sono stati gli stessi carabinieri, proprio quella notte, interpellati dal 118, a definire la vicenda per cui è stato fermato "una lite tra ubriachi". Insomma una storia da niente. Niente che giustifichi la tragedia che è seguita. Anche se Giuseppe Uva e il suo amico Alberto Bigiogero, non stavano affatto litigando quando sono stati fermati attorno alle tre di notte da una gazzella. Dice ora Alberto: "Eravamo solo un po' alticci, per gioco ci siamo messi a spostare

delle transenne verso il centro di Varese". Era seguita una certa confusione, qualche automobilista si era messo a suonare il clacson, era arrivata la gazzella dei Carabinieri e poi anche una volante della Polizia.
Uno dei carabinieri conosceva Giuseppe, lo aveva chiamato anche per nome - è sempre l'amico Bigiogero che lo racconta, unico testimone dei fatti - lui si era messo a correre. Raggiunto era stato caricato a forza sull'auto dei carabinieri, mentre Alberto veniva trascinato sulla volante della Polizia. Racconta ancora l'amico: "Io sono rimasto in una sala d'aspetto guardato a vista da un carabiniere, ma di lì sentivo le grida di Giuseppe che sono andate avanti per molto tempo. Dopo circa un'ora sono rimasto da solo per qualche minuto e ne ho approfittato per chiamare il 118, ho chiesto che mandassero un'autoambulanza perché stavano massacrando qualcuno, stava succedendo un macello. Ho fatto a tempo a chiamare anche mio padre, gli ho detto di venirmi a prendere. Dopo un po' non ho sentito più Giuseppe gridare. Ero contento, ho pensato che non lo picchiavano più". Invece le cose non stavano così. Forse Giuseppe già agonizzava quando in caserma è arrivata la chiamata del 118 che chiedeva conferma dell'intervento richiesto da Alberto.
Quando i carabinieri hanno risposto: "no è solo una lite tra ubriachi, adesso gli togliamo il telefonino".
Alle quattro di notte è arrivato il padre di Bigiogero, poco prima era entrato uno che sembrava un medico con una valigetta: "Aveva gli occhi stretti, sembrava un cinese". Alle cinque di mattina sono stati i carabinieri a chiamare l'autoambulanza: "Venite, abbiamo un Tso". E cioè un trattamento sanitario obbligatorio che, tradotto, vuol dire: "Abbiamo un fermato che dà in escandescenze, bisogna portarlo subito presso un ospedale psichiatrico". Ed è lì che la mattina alle 8 è stata convocata la sorella Carmela. Contattata in questi giorni da Maddalena Bolognini, giornalista del Tg3, la prima a portare alla luce questa incredibile storia di violenza, la donna ha raccontato: "Mi avevano telefonato per dirmi che avevano prelevato mio fratello per strada in condizioni atroci, quando sono arrivata nella stanza aveva la testa con sotto quattro cuscini e un lenzuolo, forse russava, faceva un suono strano. Mi hanno detto: È sedato, non si preoccupi, quando si sveglia ci potrà parlare". Giuseppe non si è più svegliato. "Mezz'ora dopo qualcuno è uscito dalla stanza - racconta ancora Carmela - e mi ha detto: Signora ci dispiace abbiamo fatto di tutto, ma non c'è stato nulla da fare... suo fratello è morto per arresto cardiaco. Era pieno di lividi, aveva un ginocchio gonfio, il viso irriconoscibile. Ma i carabinieri dicevano: Ha fatto tutto da solo: gridava, saltava, si picchiava come un indemoniato". Sono passati due anni, nessuna risposta è stata data alle domande di Carmela. L'unica cosa che si sa è che in procura a Varese c'è un fascicolo aperto con il nome di due medici indagati, grazie alla testimonianza dell'amico Alberto. Un fascicolo che molti hanno fretta di archiviare. Ma oggi sono in tanti a volere sapere come e perché è morto Giuseppe Uva» -:
se, ferma restando l'autonomia dell'indagine giudiziaria in corso, i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riferito in premessa e se i fatti riportati corrispondano a verità;
che tipo di traumi presentasse Giuseppe Uva al momento del decesso e come se li sia procurati;
se l'uomo abbia subito violenza all'interno della caserma;
quali siano i motivi in base ai quali l'autoambulanza sia stata chiamata dai carabinieri solo alle cinque del mattino;
quali siano le cause effettive del decesso;
se ci siano nessi causali tra i traumi riscontrati dalla famiglia sul corpo del detenuto e le cause del decesso;
quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano adottare per far luce sulla vicenda e dare delle risposte alla famiglia di Giuseppe Uva;

se i Ministri interrogati negli ambiti di rispettiva competenza, non ritengano opportuno e doveroso avviare un'indagine amministrativa interna al fine di accertare le circostanze in cui è avvenuto il decesso del signor Uva e, se del caso, prendere dei provvedimenti nei confronti dei responsabili.
(4-06665)

TESTO AGGIORNATO AL 14 APRILE 2010

...

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:

BRUGGER e ZELLER. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'autostrada A22 Modena-Brennero è attualmente in gestione alla società Autostrade del Brennero spa, società partecipata in maggioranza dalla regione Trentino-Alto Adige e dalle province autonome di Trento e Bolzano, con una concessione che andrà in scadenza nel 2014;
le province autonome di Trento e Bolzano hanno più volte, nel corso del 2009 e nel 2010, richiesto chiarimenti formali al Governo in ordine al ruolo della autostrada A22 e, in particolare, alle notizie informali relative alla presunta volontà di non prolungare la concessione della società Autostrade del Brennero spa e al fatto che entro questo mese l'Anas intenda indire una gara per la A22, secondo quanto previsto dalla legge finanziaria per il 2010, che prevede l'avvio delle procedure ad evidenza pubblica per l'individuazione dei nuovi concessionari per le tratte autostradali in concessione in scadenza al 31 dicembre 2014;
un ordine del giorno alla legge finanziaria per il 2010, presentato dai deputati della Südtiroler Volkspartei ed accolto dal Governo richiede di «valutare l'opportunità di adoperarsi per una proroga della concessione per l'autostrada A22 alla società Autostrade del Brennero spa e, in subordine, che fin dalla fase di avvio della procedura ad evidenza pubblica per l'individuazione del nuovo concessionario dell'autostrada A22 e nel relativo bando di gara venga specificato che il nuovo concessionario dovrà destinare, in linea anche con le indicazioni di cui alla direttiva «Eurovignette» n. 62 del 1999, come integrata dalla direttiva n. 38 del 2006, una quota prevalente dei proventi realizzati al rinnovo dell'infrastruttura ferroviaria del Brennero, alla realizzazione delle relative gallerie e delle tratte di accesso, in conformità all'articolo 55, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n 449, ai fini «dell'ottimizzazione di tutto il sistema dei trasporti» ai sensi della richiamata direttiva comunitaria e delle misure poste a salvaguardia dei delicati equilibri ambientali che caratterizzano l'arco alpino»;
le province autonome di Trento e Bolzano ritengono indispensabile un confronto istituzionale con il Governo in ordine al ruolo della A22, in relazione all'infrastruttura ferroviaria del Brennero, che è ritenuta del tutto strategica sotto il profilo della tutela ambientale e delle prospettive di crescita e di sviluppo dei loro territori -:
quali siano gli orientamenti del Governo, anche in sede europea, in ordine all'autostrada A22, se dunque intenda procedere con la proroga della concessione o, diversamente, nel caso di gara, intenda vincolare la nuova concessione alla garanzia del cofinanziamento dell'opera della galleria di base del Brennero e degli accessi ferroviari.
(3-00990)

IANNUZZI, BOFFA, BONAVITACOLA, BOSSA, CUOMO, GRAZIANO, MAZZARELLA, NICOLAIS, PICCOLO, PICIERNO, VACCARO, LUONGO, MARGIOTTA, LARATTA, LO MORO, CESARE MARINI, MINNITI, OLIVERIO, VILLECCO CALIPARI, LAGANÀ FORTUGNO, MARIANI e REALACCI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria è un'infrastruttura strategica di valenza

nazionale e rientra nelle priorità assolute della politica infrastrutturale del Paese, definite nella programmazione e nelle decisioni dei Governi che si sono susseguiti dalla fine degli anni '90 ad oggi;
si tratta, infatti, della rete autostradale destinata a collegare il Mezzogiorno, la Sicilia, la Calabria, la Basilicata, la Campania con il Centro ed il Nord, e, quindi, con tutto il Paese;
i lavori di ammodernamento e messa in sicurezza lungo la A3, che ha una estensione di 443 chilometri, sono in corso da più di dieci anni ed allo stato sono ultimati e fruibili dagli utenti e dai cittadini circa 190 chilometri, mentre sono in fase di esecuzione o di appalto i lavori per circa 180 chilometri;
sono, invece, ancora in fase di progettazione dieci interventi per circa 75 chilometri, necessari per completare l'intero progetto di ammodernamento dell'autostrada;
per l'esecuzione di questi dieci interventi, allo stato in progettazione, occorrono circa 2,7 miliardi di euro, come indicato dal ministero delle infrastrutture e dei trasporti nella seduta del 15 ottobre 2009 della VIII Commissione permanente della Camera dei deputati; tale somma dovrebbe essere finanziata con le procedure della cosiddetta «legge obiettivo»;
il finanziamento integrale, in tempi certi e rapidi, delle risorse tuttora occorrenti e pari a 2,7 miliardi di curo è indispensabile per accelerare la progettazione di questi dieci interventi, per attivare le relative procedure di gara e per avviare i lavori;
l'ultimazione dell'intero progetto per rendere più moderna, funzionale ed in linea con i parametri della sicurezza della circolazione l'autostrada A3 deve avvenire in questa legislatura, senza ulteriori ritardi o rinvii, come è purtroppo ripetutamente avvenuto in questi anni;
è urgente potenziare e rafforzare gli interventi ed i controlli per rendere più stringente, incisiva ed effettiva l'azione di contrasto ad ogni forma di infiltrazione delle attività criminose negli appalti e nei lavori, che sono purtroppo frequenti e gravissime -:
quale sia il fabbisogno finanziario preciso necessario per completare l'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria e quando e con quali provvedimenti il Governo intenda erogare i finanziamenti ancora mancanti ed indispensabili per ultimare i lavori lungo l'intero tracciato dell'autostrada, infrastruttura di respiro nazionale ed essenziale per promuovere lo sviluppo, la crescita ed i processi di mobilità e comunicazione del Mezzogiorno, fondamentale per il sistema dei collegamenti dell'intero Paese.
(3-00991)

Interrogazione a risposta in Commissione:

SIRAGUSA e CARDINALE. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il 21 maggio 2009 il periodico Tutto Trasporti ha riportato l'intervista a Mario Castaldo, direttore di Trenitalia Cargo;
in tale intervista il direttore ha disegnato la nuova rete degli scali ferroviari merci. Si legge «Si tratta perciò di portare a compimento il processo di razionalizzazione di un reticolo logistico che negli anni '90 contava sul territorio nazionale ben mille scali e che a partire dal 2000 è stato ridotto a 450, per passare a 314 nel 2007 fino ai 199 odierni. Soprattutto al sud, nell'Italia meridionale, dove molti sono gli scali non sostenuti da una adeguata domanda di trasporto da parte delle aziende del territorio. Questo è il motivo per cui è allo studio un ulteriore ridimensionamento, a meno che le aziende non siano disposte a pagare prezzi maggiori. Anche perché - aggiunge Castaldo - con il taglio di 60 milioni di euro al trasporto merci su rotaia previsto nella Finanziaria 2009 non potremo più applicare quei prezzi, molto al di sotto di quelli di mercato, che fino ad oggi abbiamo praticato ai clienti perché

supportati da contributi pubblici. Il direttore di Trenitalia Cargo cita l'esempio della Sicilia e dell'Abruzzo. Nell'isola, che conta oggi ben 13 scali, una ulteriore razionalizzazione va fatta anche se alcuni piccoli scali potranno essere mantenuti se garantiti da appositi contributi statali. A conferma di quanto asserito da Castaldo, nello stesso servizio del giornale è riportata l'opinione di Pino Bulla, presidente della Fai siciliana e vicepresidente della Società Interporti di Catania, secondo il quale, molto perentoriamente, la merce diretta in Sicilia via treno, una volta arrivata nell'hub ferroviario di Catania può proseguire via camion per qualsiasi altra destinazione sull'isola; tutti gli altri scali non servono praticamente a niente, meno che mai agli autotrasportatori. In definitiva, i grandi scali merci sui quali Trenitalia intende puntare per il futuro sono dieci: Torino, Alessandria, Novara, Milano, Brescia, Modena-Marzaglia, area di Roma, Marcianise, Bari-Ferruccio e Catania-Bicocca...»;
per la Sicilia, secondo quanto dichiarato da Castaldo, l'unico scalo merce che resterà operativo è quello di Catania Bicocca, verrebbero pertanto smantellati gli scali merce di Palermo, Trapani, Marsala, Mazara del Vallo, Agrigento, Porto Empedocle, Siracusa e altri;
appare evidente l'intenzione di divisione cargo Trenitalia di voler progressivamente abbandonare il trasporto merci su ferro in Sicilia - attraverso la continua dismissione degli scali, come avvenuto già a Brancaccio - a vantaggio del trasporto su gomma nonostante i progetti governativi di incentivazione del trasporto merci su ferro tramite l'incentivo alle imprese, il cosiddetto ferro-bonus, e le rassicurazioni che gli amministratori locali avrebbero ricevuto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
secondo quanto denunziato dai sindacati, Trenitalia sarebbe intenzionata a bloccare i treni merci in Calabria, facendo proseguire le merci per la Sicilia su gomma direttamente via mare nei porti di Palermo e di Catania;
l'operazione ha carattere esclusivamente economico: disabilita gli scali merce a corso singolo, abilitandoli solo per i traffici a treno completo;
il tessuto industriale siciliano è composto prevalentemente da aziende di piccola e media dimensione, che non possono spedire e ricevere quantitativi di prodotti tali da giustificare un treno completo;
oltre al danno economico arrecato alle piccole e medie aziende locali, non si tiene conto delle condizioni della rete viaria siciliana la quale, già di per sé disagiata, arriverebbe al collasso se tutte le merci attualmente trasportate con il treno fossero dirottate su traffico gommato;
il trasferimento del trasporto merci sulla modalità stradale, comporterebbe un aumento dell'inquinamento atmosferico;
si rileva, inoltre, che anche le tratte passeggeri stanno subendo numerosi tagli: risulta che dal 23 marzo prossimo saranno soppressi nei giorni di sabato e domenica i treni regionali sulla tratta Siracusa-Noto-Modica-Ragusa-Gela-Licata-Canicattì-Caltanissetta, con danni anche al turismo;
non è stato ancora stipulato il contratto di servizio con la regione siciliana;
si rilevano giornalmente numerose soppressioni di treni passeggeri, con notevoli danni ai cittadini a cui viene annunciato solo in stazione la soppressione dei treni;
numerosi treni cargo vengono soppressi per mancanza di locomotori e vengono utilizzati in service i locomotori dei treni passeggeri -:
se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, per fare in modo che Trenitalia riveda la sua politica di dismissioni

in Sicilia, politica che sta provocando un danno grave all'intera economia regionale;
se il Ministro non ritenga di dover attivare un tavolo di concertazione con la regione siciliana e le Ferrovie dello Stato per risolvere tale situazione.
(5-02688)

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
la diga sul Metramo, la più alta d'Europa con i suoi 104 metri, era stata progettata al servizio del V centro siderurgico, che doveva sorgere nella piana di Gioia Tauro: l'acciaio da quelle parti non si è mai visto, ma la diga, invece di essere abbandonata, ha cambiato, più volte, destinazione d'uso: prima opera strategica per l'agricoltura (doveva irrigare 20mila ettari di terreno), poi fondamentale per dissetare i calabresi, sempre comunque oggetto di un'attenzione particolare della magistratura che ha più volte sospettato la presenza della criminalità organizzata dietro i cantieri;
il costo, negli anni ha subito 76 aumenti di prezzo successivi. Nel 1981 l'appalto prevedeva 39 miliardi di stanziamento per un'opera da concludersi entro 6 anni; nel 1996 grazie a 78 perizie di revisione erano stati già spesi 390 miliardi (dieci volte il previsto). La Corte dei conti ha stimato recentemente che i lavori hanno comportato un danno per l'erario di 819 miliardi di vecchie lire. Senza che da lì sia sgorgata una sola goccia d'acqua in quanto non sono state realizzate le condutture;
oggi, a parte una pozzanghera che si è formata spontaneamente, di acqua all'interno dell'invaso non ce n'è (dovrebbe contenere 30 milioni di metri cubi) e non ce n'è mai stata;
altre risorse pubbliche risultano ancora stanziate di rete dallo Stato per le opere di canalizzazione necessarie a far funzionare la citata opera -:
se corrisponda al vero quanto sopra riferito;
quali siano le attuali ragioni di utilità della diga;
quali misure si intendano adottare per verificare le spese di personale, il risultato di gestione, gli incarichi professionali e l'affidamento delle opere citate assicurandone massima trasparenza e conoscibilità tanto per il passato quanto per il futuro.
(4-06605)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
in Basilicata le Ferrovie dello Stato hanno avviato nel 1986 la tratta per Ferrandina (20 chilometri), per collegare il Tirreno all'Adriatico;
questa linea è stata quasi ultimata, sotto il profilo strutturale, ma resta ancora incompiuta poiché mancano i binari;
per realizzarla si è scavata la galleria di Miglionico, sei chilometri di terra franosa e gas. Si è costruita la stazione di Matera, ora chiusa e invasa dalle sterpaglie. Si sono realizzati il ponte sulla gravina di Picciano e quello sul fiume Bradano, dove lo scorso 9 marzo il cantiere sullo strapiombo era pericolosamente accessibile attraverso un cancello aperto;
secondo la stima del mensile La nuova ecologia l'investimento sarebbe di 270 milioni di euro -:
di quali elementi il Ministero disponga in merito alla sopracitata opera;
se e quali misure si intendano adottare per quanto concerne l'affidamento dell'opera in questione assicurandone massima trasparenza e conoscibilità.
(4-06607)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
alle numerose critiche rispetto al ritardo infrastrutturale del nostro Paese in particolare per quanto attiene al sistema ferroviario, si è recentemente aggiunta un'indagine nazionale di Bankitalia che ha coinvolto le case di spedizione e da cui emerge che le maggiori criticità registrate sul comparto logistico attengono proprio al funzionamento dei sistema ferroviario;
la logistica, ha spiegato Enrico Beretta, della sede genovese di Bankitalia, rappresenta il 14 per cento del prodotto interno lordo nazionale, ma su 133 Paesi l'Italia occupa il 51o posto per situazione infrastrutturale, ultima nel G7 e alle spalle di quasi tutti i Paesi dell'Unione europea allargata;
inoltre, l'Italia compare in coda, al 22o posto, nel ranking mondiale dei Paesi a sistemi logistici avanzati. Lo testimonia il logistic performance index stilato nel febbraio 2010 dalla World Bank. Si tratta di una valutazione delle performance logistiche di 155 Paesi attraverso 5 mila parametri, sui quali è stato richiesto di esprimersi a mille tra i più importanti operatori logistici internazionali nel corso degli ultimi due anni. Nella graduatoria stilata, l'Italia è ultima sia dei Paesi europei sia extraeuropei, con l'eccezione della Spagna, che è al 25o posto;
Bankitalia rileva che i costi della logistica in Italia incidono per il 20,6 per cento sui costi industriali complessivi: 4,6 per cento punti in più della media dell'Unione europea;
dai dati dell'indagine nazionale di Bankitalia emerge che per le infrastrutture i problemi derivano, in primo luogo, dalla situazione ferroviaria; poi, dal congestionamento delle autostrade, dagli allacci porti-viabilità e dai nessi intermodali;
per i costi di utilizzo, ancora una volta entrano nel mirino le rotaie: il principale problema rilevato attiene alle difficoltà presentate dal servizio ferroviario che costringono, in molti casi, a ricorrere a vettori alternativi, più costosi;
infine, anche su tempi e prevedibilità del servizio ferroviario nonché sull'efficienza degli operatori dei settore la ricerca osserva una profonda lacuna -:
se si sia a conoscenza dei dati sopra esposti e in quale maniera si intenda procedere;
se il Ministro interrogato intenda intervenire, e con quali strumenti, per porre rimedio ad una situazione di insostenibilità del settore ferroviario nel Paese, che emerge chiaramente se posta a confronto con la realtà degli altri Paesi;
per quali ragioni si ricorra a vettori alternativi, decisamente più costosi, e non si provveda ad ammodernare e rendere più efficiente il sistema ferroviario, tra l'altro in funzione di una netta riduzione del congestionamento stradale.
(4-06623)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
con decreto ministeriale 14 gennaio 2008 del Ministero delle infrastrutture sono state approvate le nuove norme tecniche per le costruzioni entrate in vigore il 1o luglio 2009. Il paragrafo 6.2.2 «Indagini, caratterizzazione e modellazione geotecnica» delle suddette norme prevede che «le indagini e le prove devono essere eseguite e certificare dai laboratori di cui all'articolo 59 del decreto del Presidente della Repubblica 380/01». Una commissione del servizio tecnico centrale del Consiglio superiore dei lavori pubblici sta attualmente predisponendo nuove circolari, in sostituzione della circolare 349/STC/99, annullata dalla sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio

1422/08, che indichino i requisiti che dovranno possedere le imprese per potere essere «concessionate»;
in tale commissione non risulta essere presente alcun rappresentante della categoria dei geologi che pure è quella maggiormente interessata dalle attività in questione, ovvero alla caratterizzazione del sottosuolo e dei materiali presenti nel sottosuolo;
i requisiti previsti dalla precedente circolare erano orientati alla certificazione della struttura (numero dipendenti, superficie degli spazi destinati, numero e tipologia delle attrezzature/strumentazioni) e non delle modalità esecutive delle prove, privilegiando gli aspetti relativi alla qualificazione dell'«impresa» rispetto alla qualificazione della prova, intesa come tecnica operativa standardizzata per l'assegnazione di parametri numerici alle specifiche caratteristiche fisico-meccaniche di una porzione del sottosuolo. Questa impostazione ha favorito il mondo imprenditoriale, tagliando fuori l'attività professionale del geologo, che, in virtù delle proprie competenze, è l'unica figura che può effettivamente garantire la corretta esecuzione ed interpretazione delle indagini in laboratorio e in sito. Il decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001, all'articolo 41, comma 1, lettera l), assegna infatti al geologo, tra le altre, la competenza per l'esecuzione de «l'analisi», la caratterizzazione fisico-meccanica e la certificazione dei materiali geologici;
da sempre il geologo libero professionista per lo svolgimento dell'attività professionale, che costituisce servizio di pubblica utilità, è obbligato ad avvalersi di strumentazioni e sistemi diretti di verifica e controllo, soprattutto nel settore delle indagini in sito e delle prove geotecniche. E molto spesso gli stessi geologi sono stati incoraggiati all'acquisizione di dette strumentazioni dalle agevolazioni previste dalle leggi nazionali e regionali, come quelle, ad esempio, che hanno favorito l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro attraverso il «prestito d'onore»;
pur ritenendo necessario che il settore delle indagini debba essere soggetto ad una regolamentazione finalizzata alla qualificazione tecnico-scientifica delle specifiche prove geotecniche e meccaniche eseguite sulle terre e sulle rocce, tuttavia è necessario riconoscere che molte di queste prove rientrano nel campo di diretta operatività professionale del geologo e che pertanto non possono essere a lui sottratte, come non possono essere sottratti al medico lo stetoscopio o l'apparecchio per la misurazione della pressione. Il geologo libero professionista che non possiede la complessa struttura in termini di personale e strumentazione richiesta dall'ex circolare 349/STC/99, è sempre in grado, in virtù delle proprie specifiche competenze e con l'utilizzo delle adeguate strumentazioni, di condurre le indagini e le prove già assegnate in esclusiva alle ditte «concessionate»;
non appare conforme ai principi generali del diritto il fatto che le nuove norme tecniche, approvate con decreto ministeriale, ovvero con fonte di rango sub legislativo, possano introdurre nell'ordinamento giuridico un obbligo (punto 6.2.2) limitativo della libera iniziativa economica, non previsto da norme di rango legislativo -:
se non si ritenga che in una nuova forma di certificazione, al concetto di «certificazione della struttura» si debba sostituire quello di «certificazione dell'indagine», che costituisce un sistema di garanzia per la qualità delle indagini, propedeutico ed essenziale per la corretta progettazione e quindi in favore della sicurezza, ma anche al fine di «riconoscere» realtà professionali di ridotte dimensioni, ma non per questo meno valide;
se il Ministro interrogato non ritenga necessario integrare la Commissione del servizio tecnico centrale del Consiglio superiore dei lavori pubblici, che sta predisponendo le nuove circolari, con uno o più rappresentanti della categoria dei geologi;
se non ritenga, inoltre, necessario adeguare la composizione dello stesso

Consiglio superiore dei lavori pubblici con geologi, non solo in considerazione del fatto che attualmente dei più di cento componenti solo uno è geologo, ma anche in relazione agli avvenimento recenti della Sicilia e della Calabria, che hanno evidenziato ancora una volta la cronica mancanza di tecnici geologi nella pubblica amministrazione e, in particolare, nei settori specifici di competenza, quali quelli preposti alla tutela e pianificazione del territorio.
(4-06657)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il progetto della diga sul Menta, in Calabria, rappresenta un grave esempio di spreco di denaro pubblico, essendo il progetto risalente al 1979 e concretizzatosi oggi in una grande pozzanghera formatasi spontaneamente mentre avrebbe dovuto contenerne 30 milioni di metri cubi;
la diga era stata progettata al servizio del V centro siderurgico, che doveva sorgere nella piana di Gioia Tauro: l'acciaio non si è mai visto, ma la diga, invece di essere abbandonata, ha cambiato, più volte, destinazione d'uso: prima opera strategica per l'agricoltura (doveva irrigare 20mila ettari di terreno), poi fondamentale per dissetare i calabresi, sempre comunque oggetto di una attenzione particolare della magistratura che ha più volte sospettato la presenza della criminalità organizzata dietro i cantieri;
il costo, negli anni ha subito 76 aumenti di prezzo successivi. Nel 1981 l'appalto prevedeva 39 miliardi di stanziamento per un'opera da concludersi entro 6 anni. Nel 1985, quando i lavori iniziarono i costi erano già arrivati a 210 miliardi. Nel libro bianco del Governo Dini ne furono previsti altri 296. Nel 1996 grazie a 78 perizie di revisione erano stati già spesi 390 miliardi (dieci volte il previsto), La Corte dei conti ha stimato recentemente che i lavori hanno comportato un danno per l'erario di 819 miliardi di vecchie lire. Senza che da lì sia sgorgata una sola goccia d'acqua in quanto non sono state realizzate le condutture;
nel frattempo, l'intera area è divenuta parte integrante del Parco nazionale dell'Aspromonte, senza che siano stati stanziati dei fondi per risanare le gravi ferite ambientali inferte dal megaprogetto nell'area protetta, una risorsa reale da difendere e valorizzare;
altre risorse pubbliche risultano ancora stanziate di recente dallo Stato per le opere di doppia adduzione e canalizzazione necessarie a far funzionare la magnifica diga incompiuta;
le priorità idriche di questa regione risiedono però altrove, dal dissesto idrogeologico alle gravi lacune del sistema di depurazione delle acque -:
se corrisponda al vero quanto sopra riferito ed in particolare se risultano ulteriori finanziamenti statali per l'opera;
in questo caso, per quali ragioni si continui a finanziare quest'opera e per quali finalità;
se e quali iniziative si intendano adottare, per quanto di competenza, per verificare le spese di personale, il risultato di gestione, gli incarichi professionali e l'affidamento delle opere citate, assicurandone massima trasparenza e conoscibilità;
se si siano mai valutati e se si intendano valutare i gravi danni provocati all'ambiente, considerato che si tratta di un'area parte integrante del Parco nazionale dell'Aspromonte;
se si sia mai valutata e se si intenda valutare la situazione di dissesto idrogeologico della regione e le gravi lacune del sistema di depurazione delle acque in Calabria, quali prioritarie opere idriche necessarie alla regione.
(4-06661)

TESTO AGGIORNATO AL 4 MAGGIO 2010

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:

GINEFRA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 10 febbraio 2010 ricorreva l'anniversario del «Giorno del Ricordo», e in una nota inviata il 1° febbraio 2010, all'Amministrazione comunale di Modugno in provincia di Bari, dal movimento politico «Azione e Tradizione» a firma dei dottor Gianvito Armenise, si chiedeva: «quali iniziative (...) ha inteso promuovere per aderire allo spirito della legge n. 92 del 2004, in programma per il prossimo 10 febbraio, data ufficiale dell'evento»;
la risposta a tale richiesta, protocollata in data 8 febbraio 2010, a firma del sindaco Giuseppe Rana e dell'assessore alla cultura e alla pubblica istruzione della città, Fedele Pastore, è stata la seguente: «Con riferimento alla sua prot. n. 5368 del 1° febbraio 2010, si comunica che, in occasione della ricorrenza del 10 febbraio 2010, «Giorno del Ricordo» l'Amministrazione comunale, così come avvenuto per la ricorrenza della Giornata della Memoria, ha sensibilizzato le scuole a momenti di riflessione collettiva, pur nella salvaguardia delle autonome determinazioni di ciascuna scuola, precisando che in caso di iniziative l'amministrazione comunale è disponibile a presenziare e a condividere con un proprio rappresentante tale circostanza. Tutto quanto esposto, nello spirito della legge istitutiva di tale giorno (legge 30 marzo 2004 n. 92)»;
nella giornata del 10 febbraio, quindi, alcuni militanti di «Azione e Tradizione», consiglieri e dirigenti del PDL di Modugno, di Azione Giovani ed una rappresentanza del «Partito del Sud», si sono ritrovati alle ore 10 nella villa comunale per deporre un mazzo di fiori ai piedi del monumento ai caduti della II guerra mondiale; successivamente presso il cimitero locale è stato ricordato il sacrificio del modugnese Paolo De Benedictis, ufficiale della X Flottiglia MAS e al quale nel 2005 proprio l'amministrazione comunale rese omaggio con una lapide ufficiale;
la risposta repentina e la disponibilità dimostrata nei confronti della richiesta del movimento politico «Azione e Tradizione» è quindi evidente ma, nonostante ciò, tale circostanza non è stata apprezzata da qualcuno che, individuando nell'assessore alla cultura e alla pubblica istruzione della città, Fedele Pastore, il responsabile del presunto disinteresse delle istituzioni verso i tragici eventi delle foibe e dell'esodo dalmata-giuliano, ha esposto nei punti nevralgici della città scritte dall'inequivocabile tono di condanna, offesa e disappunto per l'accaduto;
le scritte più evidenti sono state quelle esposte fuori dalla sede dell'assessorato alla cultura, in piazza Plebiscito, dove il flusso veicolare e pedonale è particolarmente consistente, trattandosi di una delle arterie centrali più importanti della città di Modugno;
«Pastore infoibatore», «Pastore titino vattene al confino»: sono alcune delle frasi scritte sui muri della città, con vernice nera;
su tale argomento è intervenuto ufficialmente il Partito Democratico che, in una nota firmata dal coordinatore cittadino, ingegnere Mimmo Gatti, ha condannato fermamente la condotta dei responsabili delle scritte offensive: «Le scritte offensive diffuse qualche giorno su striscioni e muri del nostro comune contro l'assessore Pastore, a opera di ignoti, sono un segnale inquietante contro il quale il Partito democratico intende battersi con tutte le proprie forze, percorrendo le strade della vigilanza e della denuncia ferma e rigorosa»;
tali atti diffamatori e provocatori compiuti ai danni del sindaco e di un assessore comunale, non possono essere tollerati in alcun modo; lettere di protesta

e denunce alla stazione di polizia di zona sono state fatte da parte di molti cittadini che guardano con rispetto alle istituzioni e a coloro che le rappresentano -:
quali iniziative il Ministro intenda assumere per porre fine a questi atti di inciviltà che ledono fortemente l'immagine delle istituzioni e di coloro che le rappresentano.
(3-00985)

Interrogazione a risposta in Commissione:

GINEFRA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
Avny Er è un cittadino turco che ha scontato sei anni di prigione per associazione sovversiva: dopo un'istanza presentata alla questura di Nuoro il 21 aprile 2009, Er ha richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato politico, ai sensi del decreto-legge n. 416 del 1990, convertito con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, nel territorio dello Stato italiano;
Avny Er, durante la sua detenzione in Italia, è stato raggiunto da due provvedimenti giudiziari emessi dalla magistratura turca per lo stesso reato per il quale il detenuto stava già scontando la sua pena, peraltro ridotta di oltre un anno per buona condotta;
su questo aspetto della vicenda, si sono già espresse sia la corte d'Appello di Sassari, che la Corte di Strasburgo per i diritti umani, le quali hanno rifiutato l'istanza dei giudici di Ankara proprio perché il cittadino non può essere nuovamente incarcerato per lo stesso reato;
Avny Er, che collaborava con la rivista turca Ekmek Ve Adalet («Fare giustizia»), si trova in Italia da circa diciassette anni ed ha sempre svolto una tenace azione di controinformazione, rendendo noto lo scarso rispetto dei diritti umani in Turchia, nei confronti degli oppositori e soprattutto denunciando la situazione delle carceri dove, secondo una sua testimonianza «durante gli interrogatori si pratica ancora la tortura per estorcere confessioni, che finiscono per essere rilasciate solo per evitare di lasciarci la pelle, ma non perché siano la verità. I detenuti, soprattutto quelli accusati di connivenze con il terrorismo, vengono picchiati con le verghe sotto la pianta dei piedi e sottoposti a scosse elettriche sui genitali»;
durante il suo soggiorno in Italia, Avny Er ha frequentato esponenti dei THKC - il Partito rivoluzionario di liberazione del popolo -, formazione di estrema sinistra e di dichiarata ispirazione comunista, alla quale aderiscono attivisti turchi, studenti, intellettuali, giornalisti e operai; si tratta di un'organizzazione finita nella celebre «lista nera» dei gruppi terroristici più pericolosi, stilata all'indomani dell'11 settembre 2001;
l'appartenenza a quella formazione ha così messo in moto il meccanismo giudiziario che ha portato Er in carcere, dopo essere stato catturato il 1o aprile 2004, nel corso di una maxi operazione in tutta Europa; al suo processo, tra gli altri, hanno deposto anche alcuni agenti della polizia turca che, a quanto si riferisce, si sono mostrati incappucciati davanti ai giudici italiani, per ragioni di sicurezza;
il dibattimento si è concluso con una condanna a sette anni per Avny Er, poi ridotta di 405 giorni per buona condotta;
da circa tre settimane Er è trattenuto nel Centro di identificazione ed espulsione di Bari e, a seguito della richiesta d'asilo politico, la scorsa settimana è stato ascoltato dalla Commissione territoriale competente che dovrà decidere se accogliere la sua richiesta o rigettarla;
nel caso in cui non dovesse essergli riconosciuto lo status di rifugiato politico, Avny Er sarebbe estradato in Turchia e potrebbe finire nelle carceri del suo Paese dove - secondo quanto si apprende da diverse istituzioni umanitarie internazionali - esiste il rischio concreto di essere torturati e sottoposti a maltrattamenti degradanti;

parallelamente al suo trasferimento presso il Centro di identificazione ed espulsione del capoluogo pugliese, è stato promosso un appello che ha raccolto un grande consenso, e al quale hanno aderito associazioni come l'Arci, l'Asgi, Libera e il Cir, rappresentanti di organizzazioni come il Cnca, Sos razzismo, Centro Astalli, Save the children, Banca Etica, esponenti politici e molti cittadini che hanno seguito le vicende del giornalista;
ad Avny Er, dunque, non resta che aspettare la decisione della commissione territoriale del Centro di identificazione ed espulsione di Bari, una decisione che, come auspicano tutte le associazioni che si sono fino a questo momento schierate al suo fianco, non potrà non tener conto dei pronunciamenti di autorevoli organismi internazionali, come Hum Rights Watch, Amnesty International, oltre che della Commissione ONU per i diritti umani e del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, secondo i quali in Turchia c'è il «fondato timore» che si pratichino le sevizie e che ci sia il rischio di violazioni dei diritti, di trattamenti inumani e degradanti;
Er Avny, come già specificato, è un intellettuale e militante per i diritti umani, impegnato da tempo nella denuncia della repressione attuata dal Governo turco e, come hanno sottolineato in più occasione i suoi legali, «l'attività di Avny in Italia è sempre stata quella di divulgazione e di controinformazione rispetto alla dura repressione e persecuzione che la sinistra turca è costretta a subire: torture inflitte sistematicamente ai prigionieri politici, partiti e associazioni messe al bando, giornali chiusi e i loro redattori arrestati. Per non parlare del massacro di decine di prigionieri e di loro familiari realizzato dalle forze di sicurezza turche nel dicembre del 2000» -:
quali iniziative intenda assumere il Ministro per verificare che tutte le procedure al vaglio della commissione territoriale competente vengano espletate nel più breve tempo possibile e, in considerazione dei gravi rischi che deriverebbero dall'estradizione di Er Avny, se non ritenga necessario riconoscere, qualora ne sussistano i presupposti, tutte le forme di tutela a cui il giornalista ha diritto.
(5-02692)

Interrogazioni a risposta scritta:

CAPODICASA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
sull'isola di Lampedusa i vigili del fuoco, a seguito dell'emergenza dovuta al violento incendio che ha distrutto il Centro di prima accoglienza per immigrati, avvenuto il 18 febbraio 2009, sono stati chiamati ad effettuare servizio di straordinario 24 ore su 24;
i comandi che hanno partecipato all'evento sono stati quelli di Agrigento, Palermo, Catania, oltre ai comandi della regione Lazio;
con nota del 10 dicembre 2009 la direzione centrale per le risorse finanziarie-ufficio del trattamento economico del personale volontario, ausiliario ed accessorio, ha comunicato gli accreditamenti di risorse finanziarie ai comandi provinciali disposti nel mese di novembre 2009;
con tale nota si faceva menzione a: straordinari, fondo di amministrazione personale non direttivo e non dirigente, fondo di produttività personale direttivo;
nella stessa nota si faceva infine menzione del pagamento delle competenze al personale in servizio negli uffici centrali, fino al mese di novembre e del compenso per la produttività fino a giugno;
con stupore ed amarezza il personale ha constatato la mancata erogazione dei compensi per l'emergenza al centro di identificazione ed espulsione di Lampedusa;

lo stupore si è trasformato in rabbia, poiché dall'appunto medesimo si riscontra facilmente che sono stati disposti accreditamenti finalizzati al pagamento di straordinari effettuati dal personale a seguito del manifestarsi di emergenze successive a quella dell'emergenza di Lampedusa, come ad esempio il compenso per prestazioni autorizzate nel corso del 2009, 1° acconto 2009 per AIB Basilicata, Molise, Marche;
la segreteria generale sindacale CONAPO in data 1° dicembre 2009 ha dichiarato lo stato di agitazione nazionale per i mancati pagamenti relativi all'emergenza Lampedusa;
in data 8 gennaio 2010 la segreteria sindacale provinciale CONAPO Agrigento ha dichiarato lo stato di agitazione del personale dei vigili del fuoco dovuto al mancato pagamento delle spettanze al servizio reso al centro di identificazione ed espulsione di Lampedusa;
a seguito dello stato di agitazione la direzione centrale per le risorse finanziarie, ufficio trattamento economico al personale, con nota 1564 del 1° febbraio 2009, confermava il mancato pagamento e comunicava che era in corso la ricerca di una soluzione per accertare la possibilità di accreditamento delle somme necessarie a valere sui fondi impegnati alla fine dell'anno 2009;
alla data odierna ancora non si conosce l'esito di tale verifica -:
quali siano i motivi ostativi che hanno impedito il pagamento dell'emergenza Lampedusa da parte del Ministero dell'interno;
quale rassicurazione, in merito all'erogazione delle somme di cui in premessa, il Ministro intenda dare al personale dei vigili del fuoco di Lampedusa, considerato che, in caso contrario, per l'interrogante si ravviserebbe un'azione discriminatoria nei confronti dei lavoratori vigili del fuoco residenti nell'isola e se non ritenga di intervenire nelle citate situazioni al fine di eliminare la disparità di trattamento.
(4-06598)

OLIVERIO e MINNITI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il PON - Programma operativo nazionale sicurezza, programmato nell'ambito degli interventi comunitari 2007/2013 ed affidato alla responsabilità del Ministero dell'interno, è la prosecuzione della positiva sperimentazione avviata già nella passata programmazione 2000/2006 ed oggetto in Calabria di un accordo di programma quadro;
in relazione agli indirizzi di programmazione degli interventi ricadenti in questa seconda edizione del PON sicurezza, il Ministero dell'interno ha conferito una particolare centralità alla prospettiva di collaborazione con le autonomie locali, secondo la logica prevalente del concetto di «sicurezza partecipata», in grado di assicurare un maggiore coinvolgimento del territorio (e non solo delle forze di polizia) nei processi di difesa della legalità;
la sicurezza è un processo che si realizza attraverso la convergenza di una pluralità di soggetti istituzionali, tra cui gli enti locali, e che la sicurezza e la legalità sono prerequisiti indispensabili per lo sviluppo socioeconomico territoriale;
all'interno di un tale quadro normativo e culturale, il comune di Catanzaro aveva presentato nel dicembre 2007 alla prefettura di Catanzaro un progetto dal valore di 700.000,00 euro, a valere sul PON sicurezza, a seguito della «chiamata di Progetti» della prefettura stessa presso i comuni della provincia di Catanzaro;
il progetto, definito nell'ambito delle misure 2.6 e 2.8 del PON sicurezza era finalizzato alla sperimentazione di un intervento di prevenzione della devianza, di integrazione sociale e di garanzia della sicurezza e legalità nei quartieri a rischio della zona sud di Catanzaro, interessati da una eccessiva presenza di nuclei familiari Rom che avevano di fatto espulso gli altri nuclei familiari catanzaresi e trasformato l'area in una vera e propria enclave di emarginazione e delinquenza organizzata;

tale progetto non è stato purtroppo ammesso a finanziamento, in quanto la prefettura ha dato priorità a interventi di «educazione alla legalità» e ad interventi di comuni minori a rischio marginalità;
la mancata attivazione di interventi di «sicurezza partecipata» come quelli descritti nel progetto di cui sopra ha determinato l'aggravarsi della situazione di degrado e di disagio dei quartieri ad alta intensità di presenza Rom a Catanzaro fino a farla diventare una vera e propria emergenza sociale e di ordine pubblico, più volte discussa tra comune, prefettura e questura;
sulla base di intese intercorse tra il sindaco di Catanzaro, il prefetto di Catanzaro ed il Ministro interrogato, il comune di Catanzaro ha aggiornato il progetto del dicembre del 2007, per presentarlo alla prefettura di Catanzaro, a seguito di una nuova «chiamata di progetti» (con scadenza al 20 novembre 2008) per l'anno 2008/2009 sul Pon sicurezza;
il nuovo progetto elaborato anche sulla base di successive intese con il partenariato sociale del territorio, insiste sulla misura del PON 2.8 per un importo di 2.700.000,00 euro e mira a realizzare una vera e propria azione di sistema sperimentale sul tema dell'integrazione dei Rom nei quartieri a rischio delle città al fine di risolvere l'annoso problema del coinvolgimento dei Rom stessi nelle attività delinquenziali;
il nuovo progetto verrebbe inoltre positivamente collegato e integrato con il finanziamento del programma «Contratto di quartiere 2» approvato dalla regione Calabria e che riguarda proprio l'area dell'insediamento rom nella città di Catanzaro. L'integrazione con il «Contratto di quartiere 2» sulle stesse zone potrebbe consentire l'attivazione di un processo di delocalizzazione in via sperimentale dei gruppi familiari Rom in nuove case popolari al fine di consentire il raggiungimento degli obiettivi di «rottura» del monopolio territoriale rom nei quartieri cittadini individuati;
ad oggi, il progetto concepito nella nuova versione, nonostante il parere positivo e l'approvazione di ben due prefetti non ha ricevuto al momento alcuna risposta dall'Esecutivo nazionale -:
se il Ministro intenda approfondire le ragioni per le quali il comune di Catanzaro non ha ancora ricevuto dagli organi amministrativi competenti alcuna risposta sui contenuti e sul merito del progetto a suo tempo presentato, un progetto sicuramente conforme ai principi e alle linee-guida dettati dallo stesso Ministero in materia di sicurezza urbana e di «sicurezza partecipata» nei processi di difesa della legalità.
(4-06602)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da un lancio dell'agenzia di stampa ANSA dell'11 marzo 2010, i migranti chiusi nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Via Corelli a Milano, sono in sciopero della fame dal 3 marzo al fine di ottenere un trattamento più umano e protestare contro la legge Bossi-Fini;
a tal proposito Omar Diop, raggiunto telefonicamente da CNRmedia, ha dichiarato quanto segue: «Lo sciopero sta andando avanti, anche se la gente è un po' debole, perché non mangia. Abbiamo iniziato il 3 marzo e dalla settimana prossima faremo sciopero a turno perché fino ad ora nessuno ci ha ascoltato e se continuiamo così rischiamo di stare male. Siamo in 18 a non mangiare nella sezione maschile, poi ci sono le donne e i trans. Chiediamo di accorciare i tempi di detenzione, e di detenzione perché via Corelli è un carcere vero e proprio. Noi ad esempio non abbiamo commesso nessun reato avevamo un permesso di soggiorno che è scaduto, ma abbiamo un passaporto E ci tengono qui sei mesi per identificarci. Siamo vittime della legge Bossi-Fini»;

Omar Diop è senegalese e ha lavorato 17 anni in Italia. Fino a luglio 2009, quando ha perso il lavoro, aveva regolare permesso di soggiorno. A Bergamo, dove lavorava in una fabbrica, aveva comprato casa accendendo un mutuo, si era sposato e aveva formato una famiglia;
a giudizio della prima firmataria del presente atto, le condizioni del CIE di Milano, precarie in termini di assistenza medica e pulizia, negano i diritti fondamentali della persona umana -:
quali determinazioni intenda assumere in merito alla delicata situazione descritta in premessa e se non ritenga di valutare l'opportunità di rafforzare il presidio di assistenza medico-sanitaria per gli immigrati ristretti nel Centro di Via Corelli che hanno intrapreso lo sciopero della fame.
(4-06611)

DI BIAGIO, ANGELI, PICCHI e BERARDI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
un'inchiesta avviata dal quotidiano Il Corriere della Sera ha messo in un luce una rete criminale attiva tra l'America meridionale - in particolare Brasile - e l'Italia, operativa nell'ambito della falsificazione della cittadinanza italiana e nella semplificazione delle procedure per il rilascio del passaporto italiano a falsi oriundi;
secondo i dati pubblicati dal Corriere della Sera, la rete criminale da anni è operativa nell'ambito della falsificazione dell'identità di profili che in molti casi non hanno alcun tipo di legame con l'Italia, ma che con l'ottenimento di un passaporto italiano potrebbero ottenere agevolazioni di circolazione in Europa e negli Usa;
l'operazione truffaldina, costa al committente circa 10.000 euro, e consiste nel commissionare in Italia un certificato di nascita di un italiano, emigrato tra la fine dell'800 o all'inizio del 900 al fine di individuarlo poi come antenato di un profilo che si ambisce ad italianizzare, intervenendo sulla documentazione intermedia;
stando alla ricostruzione operata dal quotidiano, in considerazione del fatto che la pratica di avvio del riconoscimento della cittadinanza deve ottenere il via della sezione consolare della nostra Ambasciata in Brasilia, si presuppone che vi sia un coinvolgimento diretto della nostra rete diplomatico-consolare sul territorio;
negli ultimi anni nel nostro Paese sono fiorite molteplici agenzie che si occupano di sostenere gli oriundi o pseudo tali nelle pratiche di richiesta della cittadinanza, sollecitando in questo modo quasi una sorta di «turismo da passaporto», che in molti comuni italiani, soprattutto del meridione, si sviluppa sotto gli occhi increduli di cittadini e referenti politici locali;
queste dinamiche truffaldine a danno della vera emigrazione italiana e a sostegno della criminalità e dell'illegalità, rischiano di compromettere l'immagine e la memoria dei tanti italiani che in tempi lontani sono stati costretti ad emigrare dalle loro terre, e rischiano anche di creare delle situazioni incresciose sotto il profilo patrimoniale ai danni di ignari discendenti -:
se siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative si intenda avviare, anche di respiro internazionale, al fine di fare chiarezza sulla questione e sulle dinamiche illegali sopra descritte, compreso l'eventuale gravoso coinvolgimento delle nostre autorità diplomatiche sul territorio brasiliano.
(4-06616)

MARCHIONI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la legge n. 94 del 15 luglio 2009, all'articolo 3, commi da 7 a 13, autorizza e disciplina l'impiego di personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi anche a tutela dell'incolumità dei presenti;
il decreto ministeriale emanato dal Ministero dell'interno il 6 ottobre 2009

stabilisce che in ciascuna prefettura sia istituito l'elenco di queste nuove figure professionali. Potrà iscriversi all'elenco chi ha non meno di 18 anni, è in buona salute fisica e mentale, non è daltonico, non fa uso di alcol e droga, ha «capacità di espressione visiva, di udito e di olfatto», non è stato denunciato o condannato, anche con sentenza non definitiva, per delitti non colposi, non è o è stato sottoposto a misure di prevenzione, non è aderente a movimenti, associazioni o gruppi organizzati che hanno tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, ha il diploma di scuola media inferiore, ha superato l'apposito corso di formazione. Il corso di formazione, da organizzarsi a cura delle regioni, prevede che i candidati acquisiscano una preparazione nell'area giuridica (in particolare nella materia dell'ordine e della sicurezza pubblica), nell'area tecnica (in particolare riguardo alla conoscenza delle disposizioni in materia di prevenzione degli incendi, di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, di nozioni di primo soccorso sanitario) e nell'area psicologico-sociale: in merito i soggetti devono acquisire capacità di concentrazione, di autocontrollo, di adeguata comunicazione verbale. Possono accedere ai corsi solo coloro che sono presentati da un datore di lavoro o da un istituto di vigilanza. Non attraverso le agenzie e non singolarmente, come free lance. Ogni due anni il prefetto rivede l'elenco per verificare che i requisiti previsti per l'iscrizione siano mantenuti;
il decreto definisce anche i compiti del nuovo personale: i controlli preliminari, con l'osservazione sommaria dei luoghi per verificare la presenza di sostanze illecite o oggetti proibiti e l'obbligo di immediata comunicazione alle forze di polizia; la verifica che non ci siano ostacoli alle vie di fuga; il controllo sommario visivo delle persone. Una volta aperto il locale, al personale spetta: la regolamentazione del flusso di ingresso, la verifica dei titoli d'accesso, il controllo visivo delle persone con obbligo di comunicare alle autorità competenti l'eventuale introduzione di sostanze illecite o oggetti pericolosi; all'interno del locale l'attività comprende l'osservazione per la verifica del rispetto delle regole ed il concorso nelle procedure di primo intervento, che non comporti l'esercizio di pubbliche funzioni né «l'uso della forza o di altri mezzi di coazione» volti a prevenire o interrompere condotte o situazione potenzialmente pericolose per l'incolumità o la salute delle persone. Resta fermo l'obbligo dell'immediata segnalazione alle Forze di polizia e alle altre autorità competenti;
il decreto ministeriale prevede infine un regime transitorio, secondo il quale il personale che alla data di entrata in vigore della nuova disciplina svolgeva già servizi di controllo di attività di intrattenimento e spettacolo può continuare a svolgere gli stessi servizi per un periodo non superiore ai sei mesi dalla data del decreto. La scadenza è quindi il 6 aprile 2010;
non risulta all'interrogante che le regioni abbiano attivato finora i corsi previsti dalle nuove disposizioni, ad eccezione di Veneto e Abruzzo, che tuttavia necessitano del tempo indispensabile per il loro svolgimento -:
se intenda disporre la proroga del termine del 6 aprile 2010, per non mettere a rischio l'occupazione dei lavoratori del settore e la sicurezza nei locali di intrattenimento;
se non ritenga di valutare l'opportunità di una modifica al decreto ministeriale succitato, introducendo la mediazione del conflitto come possibile ulteriore funzione degli addetti alla sicurezza, anche in considerazione che nei corsi attivati precedentemente al decreto da alcune regioni, per esempio l'Emilia Romagna, era già compresa l'attività di interposizione fisica.
(4-06627)

FADDA, CALVISI, MARROCU, MELIS, ARTURO MARIO LUIGI PARISI, PES, SCHIRRU, SORO e FARINA COSCIONI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
come tutte le manifestazioni anche quella di Roma del 20 marzo 2010 ha

scatenato polemiche, che in alcuni momenti sono trascese in querelle anche istituzionali, sui dati riguardanti il numero dei partecipanti;
secondo gli organizzatori tale numero era di un milione di manifestanti;
il questore di Roma ha certificato che gli stessi in piazza san Giovanni, nella giornata di sabato 20 marzo 2010, non superavano il numero di 150.000;
esponenti della maggioranza hanno reso dichiarazioni anche irriguardose nei confronti del questore di Roma e delle forze dell'ordine che con lui hanno collaborato, confermando i dati forniti il giorno stesso della manifestazione dagli organizzatori: ovvero un milione di persone;
il sindaco di Roma ha ridotto la stima degli organizzatori valutando le presenze in 500.000 persone, ma contemporaneamente ha espresso un giudizio estremamente positivo sull'operato del questore e delle forze dell'ordine;
lo stesso Ministro interrogato ha confermato il dato della questura di Roma;
diversi esponenti della maggioranza e dell'opposizione hanno giudicato fondati i rilevamenti numerici effettuati dalla questura di Roma;
è necessario e doveroso fare chiarezza su questo argomento per restituire dignità al lavoro di chi lo ha eseguito diligentemente e soprattutto per restituire agli italiani la certezza di una informazione corretta anche su questi avvenimenti che, comunque, sono rappresentativi di una democrazia compiuta e rivestono importanza in quanto fanno parte di momenti di civile condivisione -:
se non ritenga di proporre il questore di Roma per un encomio solenne, considerato che, sebbene sia stato oggetto di pesanti attacchi sul piano umano e professionale, egli sta mostrando un altissimo rispetto nei confronti delle istituzioni, non alimentando una polemica che lo vede protagonista unicamente per il fatto che ha avuto il coraggio di comunicare i dati veri e non asserviti alla necessità propagandistica degli organizzatori;
se non ritenga necessario dare alle questure direttive su sistemi univoci per il rilevamento delle presenze durante le manifestazioni all'aperto;
se non ritenga utile e opportuno che ci sia - in occasione di future manifestazioni nelle piazze e negli spazi aperti delle nostre città - una preventiva comunicazione da parte delle questure agli organizzatori con l'indicazione sia del sistema di rilevamento sia della capienza massima delle piazze e degli spazi adiacenti;
se non ritenga utile pubblicare sul sito del Ministero le capienze massime delle principali piazze d'Italia solitamente utilizzate per manifestazioni pubbliche.
(4-06633)

GARAVINI, BORDO, BOSSA, BURTONE, GENOVESE, MARCHI, ANDREA ORLANDO, PICCOLO e VELTRONI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
da un articolo del quotidiano La Repubblica del 16 marzo 2010 emergono elementi gravi e inquietanti circa la realizzazione di un parco eolico nel comune in provincia di Catanzaro, Girifalco; si tratta di un progetto che ha visto raddoppiare, rispetto alla sua definizione iniziale, il numero di torri e di impianti da installare sulla base di mappe catastali su cui pendono forti sospetti di falsificazione;
sulla base di quanto pubblicato dalla stampa, il consiglio comunale di Girifalco ha approvato il progetto, con delibera n. 13 del 24 marzo 2006, presentato da un'azienda considerata affidabile, la Brulli Energia, per la realizzazione di un grande parco eolico. Per tale parco inizialmente si calcolava una produzione di 32 megawatt di energia, successivamente elevata a 44

megawatt, con conseguente innalzamento del numero di torri che passano da 16 a 22; il piano delle opere da realizzare fa riferimento a mappe catastali alterate sia nella scala di rappresentazione che nel numero delle abitazioni esistenti (ottanta sono le abitazioni che non figurano più nella rappresentazione in relazione alla quale sussiste motivo di ritenere che sia stata manomessa). La modifica apportata ai documenti ha consentito di dimostrare, travisando la realtà, il rispetto delle prescrizioni di legge circa le distanze minime necessarie per la realizzazione delle suddette pale eoliche (non meno di 500 metri di distanza tra una casa e una torre);
il 28 aprile del 2007 viene presentato ricorso, all'Assessorato ambiente e territorio settore tutela ambientale della provincia di Catanzaro, dal signor Tolone (prot. n. 31328/07), contenente circostanziate osservazioni e deduzioni circa quelle che sembrerebbero falsificazioni e manomissioni delle mappe catastali; nonostante l'avvenuta presentazione delle osservazioni e deduzioni da parte di un soggetto interessato (in quanto le pale eoliche avrebbero trovato collocazione anche nel terreno di proprietà del signor Tolone), il ricorso non risulta essere stato oggetto di esame. Nonostante la segnalazione delle irregolarità, il parco eolico così come diversamente configurato, viene autorizzato dalla regione Calabria, l'8 agosto del 2007, con decreto n. 11928, dove viene evidenziato, stranamente, che «non sono pervenute osservazioni da parte dei soggetti interessati» (che risultano invece presentate e protocollate);
il signor Tolone, dal momento della segnalazione di alcune irregolarità del progetto, ha subito varie minacce, invasioni del suo terreno con ruspe abusive e un tentativo di attentato, dal quale è uscito fortunatamente illeso in quanto la sua auto è deflagrata vuota, per l'esplosione di un ordigno proprio di fronte alla caserma dei carabinieri di Lamezia Terme nel 2007;
è stato aperto un fascicolo sulla vicenda, affidato alla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, anche in seguito a denuncia sporta dallo stesso signor Tolone il quale teme fortemente per la sua incolumità dopo le ripetute minacce e gli avvertimenti da parte delle cosche criminali operanti nella zona ricompresa fra le province di Catanzaro, Vibo Valentia e Lamezia Terme;
al di là del necessario accertamento delle responsabilità anche in sede penale da parte dei competenti organi giudiziari, il caso sopra descritto rivela un sistema di infiltrazione dei clan criminali nel sistema degli appalti pubblici che si configura, purtroppo, non come caso isolato. Le cosche della 'ndrangheta negli ultimi anni hanno individuato nella realizzazione dei parchi eolici una nuova occasione per controllare, anche mediante estorsione, appalti pubblici milionari, e riciclare denaro di provenienza illecita. La conferma di tali traffici è testimoniata anche da importanti inchieste aperte in anni recenti proprio dalla questura di Catanzaro, in collaborazione con quella di Vibo Valentia e di Lamezia Terme, che hanno condotto a numerosi arresti nell'ambito della cosiddetta operazione «Domino»; un'importante operazione condotta dalle forze dell'ordine che ha fatto emergere un sistema diffuso in tutto il territorio calabrese caratterizzato da infiltrazioni delle cosche mafiose nei lavori pubblici, in maniera diretta e indiretta per l'aggiudicazione di appalti e subappalti, e da pesanti interferenze e continue estorsioni nei confronti di imprenditori per imporre il pagamento di balzelli ulteriori e non dovuti per la fornitura del calcestruzzo e per insinuarsi in tutta la catena produttiva per la realizzazione di parchi eolici, non solo in Calabria ma in tutto il Mezzogiorno;
anche un'inchiesta del settimanale l'Espresso del 10 aprile 2008, ha rivelato, in modo circostanziato, un retroscena circa il progetto di costruzione del campo eolico più grande d'Europa nell'Isola Capo Rizzuto, da realizzare sui terreni di proprietà della famiglia del boss di 'ndrangheta Nicola Arena, recluso in regime di 41-bis. La concentrazione di pale eoliche

in tale territorio, tra l'altro, non appare giustificata dal punto di vista del rendimento energetico, in quanto in tale zona è assente la caratteristica minima richiesta, ossia il vento. Il risultato di tali scelte, determinate dai soli interessi delle cosche, è quello di aver deturpato un territorio con torri eoliche non in grado di produrre energia alternativa;
con il pretesto di realizzare opere ecologiche in favore dei cittadini, la realizzazione di parchi eolici sta diventando, in modo preoccupante, un'attrattiva per investimenti economici da parte della criminalità organizzata, che finisce per accaparrarsi sovvenzioni e incentivi pubblici particolarmente appetibili, e che risultano essere nel nostro paese i più alti d'Europa -:
se non si ritenga di dover assumere iniziative urgenti volte a contrastare in modo efficace i gruppi criminali, attivi in particolar modo nel comune calabrese coinvolto nella realizzazione del parco eolico, nonché volto a garantire l'incolumità fisica della persona che ha subìto minacce e attentati da parte delle cosche della 'ndrangheta per aver denunciato manomissioni e falsificazioni dei documenti necessari a realizzare quello che sembrerebbe un illecito raddoppio delle pale eoliche, a danno di interessi pubblici e dei privati cittadini;
se risulti che la procedura sopra indicata possa essere in qualche modo riconducibile a interessi criminali e, in tal caso, quali iniziative di competenza si intendano assumere.
(4-06634)

GARAVINI, BORDO, BOSSA, BURTONE, GENOVESE, MARCHI, ANDREA ORLANDO, PICCOLO e VELTRONI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro, è in realtà la terza città della Calabria per numero di abitanti e riveste particolare importanza economica per la presenza di numerose attività industriali e dell'aeroporto;
il comune è stato sciolto a seguito di accertate forme di infiltrazione da parte della 'ndrangheta una prima volta nel 1991 e una seconda volta nel 2002;
nelle relazioni della prefettura che accompagnavano la richiesta di scioglimento venivano messi in rilievo una serie di atteggiamenti di disponibilità verso gli interessi delle cosche locali attuati sia da parte dei componenti della giunta che da parte dei consiglieri comunali;
dopo il secondo scioglimento, l'amministrazione comunale è stata rinnovata nel 2005 e nuove elezioni del sindaco e del consiglio comunale si terranno nei giorni 28 e 29 marzo 2010;
prima dell'apertura della campagna elettorale si sono verificati alcuni episodi di minacce e di attentati contro esponenti politici locali, mentre nel corso di tutta la gestione amministrativa del sindaco uscente, Gianni Speranza, si sono susseguite minacce e gesti intimidatori contro l'amministrazione comunale, come pure contro esponenti delle forze di polizia, della chiesa, della magistratura e del mondo del lavoro -:
se coloro che erano amministratori all'epoca dei provvedimenti di scioglimento del 1991 e del 2002, citati a causa di parentele con esponenti della 'ndrangheta nelle relazioni di accompagnamento alle richieste di scioglimento, risultino essere candidati alle elezioni per il prossimo rinnovo del sindaco e del consiglio comunale;
se ci siano tra i candidati altre persone con stretti legami di parentela con esponenti della 'ndrangheta;
se siano state prese tutte le misure necessarie per garantire a tutti i cittadini un esercizio del voto pienamente libero da ogni condizionamento e per garantire piena sicurezza a tutti i candidati.
(4-06635)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta il quotidiano Terra di venerdì 26 marzo 2010, il territorio di Sant'Antonio Abate, provincia di Napoli, si trova abbandonato a se stesso: presso il canale Casarielli, in territorio agricolo abatese, l'amianto viene sversato in quantità massicce a pochi passi dalle coltivazioni;
all'interno del canale vi è traccia evidente di oli esausti e percolato che sicuramente filtrano sino alla falda acquifera contaminandola. La stessa falda viene utilizzata dai coltivatori per irrigare i loro campi;
secondo alcune testimonianze, vi sono mezzi che di notte sversano materiali di ogni genere, dai calcinacci agli pneumatici, materiale di scarto industriale e molto altro, per lo più rifiuti speciali che andrebbero trattati appositamente presso aziende specializzate;
esiste la possibilità che vi sia un allaccio abusivo alle tubazioni adibite alla raccolta di acque pluviali -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e se tali fatti corrispondano al vero;
quali urgenti iniziative di competenza intendano adottare al fine di tutelare la salute pubblica e l'ambiente gravemente compromessi.
(4-06638)

PICCOLO e GARAVINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il fenomeno della criminalità organizzata in Campania investe l'intero territorio regionale;
l'azione di contrasto dello Stato è concentrata particolarmente in alcune aree della regione, mentre l'intervento in altre zone, analogamente esposte all'infiltrazione ed al condizionamento della camorra, appare meno incisivo e meno efficace in quanto le risorse impegnate sono sicuramente inferiori;
in questo quadro la zona vesuviana, situata nell'ambito della provincia di Napoli, risulta sostanzialmente priva di una adeguata presenza delle forze dell'ordine, preposte al controllo del territorio e all'attività di prevenzione e repressione del fenomeno criminale;
allo stato opera, con grande dedizione e ammirevole impegno, un solo Commissariato di polizia che, con un organico ridottissimo, deve controllare due città, come Portici ed Ercolano, che hanno una popolazione di quasi 120.000 abitanti e registrano un'elevata densità criminale, mentre la presenza dell'Arma dei carabinieri è ridotta ad un presidio di soli 11 militari;
in questi territori insistono ed agiscono clan di particolare ferocia come i Vollaro, i Birra, gli Ascione e, recentemente, anche i Mazzarella ed i Sarno;
recentemente, nonostante il coraggio e l'impegno delle amministrazioni comunali, vi è stata una recrudescenza degli episodi di violenza ed intimidazione nei confronti degli imprenditori e dei commercianti, culminati nell'incendio, pochi giorni fa, di due negozi dati alle fiamme a Portici, a pochi minuti di distanza l'uno dall'altro;
già con l'interrogazione n. 4-00180 del 20 maggio 2009, che qui si richiama integralmente, veniva descritto e rimarcato il pesante clima di intimidazione nei confronti della coraggiosa ed intransigente azione di contrasto intrapresa e portata avanti con coerente determinazione dall'amministrazione comunale di Portici, guidata dal sindaco Vincenzo Cuomo, più volte fatto oggetto di messaggi intimidatori, di chiaro stampo camorristico, per le sue iniziative a difesa della legalità e della trasparenza amministrativa;
con molteplici e reiterate sollecitazioni le Amministrazioni locali hanno più

volte richiesto, senza esito, il potenziamento degli organici delle Forze dell'ordine sul territorio vesuviano;
è imminente ed attuale il rischio di un peggioramento della situazione dell'ordine pubblico e della sicurezza in queste comunità, aggredite da una crescente invadenza dei sodalizi criminali -:
quali concrete ed urgenti iniziative il Ministro ha adottato o intende adottare per il potenziamento strutturale delle Forze dell'ordine nel territorio vesuviano, finalizzato alla prevenzione, al contrasto e alla repressione degli allarmanti fenomeni criminali;
quali esiti hanno dato gli accertamenti richiesti nella predetta interrogazione del 20 maggio 2009 e quali provvedimenti, di conseguenza, sono stati adottati in relazione alle minacce rivolte al sindaco di Portici, Vincenzo Cuomo, tenuto conto della sua forte esposizione nel contrasto ai clan camorristici.
(4-06652)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'obiettivo della criminalità organizzata è penetrare nel tessuto economico: l'Umbria è la terra dove investire, dove ripulire i soldi frutto di usura, traffico di droga e traffici illeciti in generale;
in un documento dei Servizi segreti presentato al Parlamento si è evidenziato come i segnali di una volontà di entrare a far parte dell'economia regionale ci siano tutti: fallimenti sospetti e forse pilotati, cessioni di attività, piccole e medie o artigianali, che nascondono dietro le tenaglie dei prestiti a strozzo;
si tratta di un modo per estendersi per la criminalità organizzata oltre i confini delle proprie regioni di origine;
la malavita in Umbria, come riportato da articoli di cronaca apparsi sulla stampa locale, ha effettuato consistenti investimenti immobiliari, come risulta dai beni recentemente sequestrati nello Spoletino e nel Temano;
la situazione però non è nuova. Secondo il dossier 2008 di Libera Informazione, mafie e Umbria sono un binomio cresciuto nell'ombra che sta trovando il suo spazio nel circuito legale dell'economia ma che già da tempo controllava i due business più longevi: traffico di droga e prostituzione;
riguardo al narcotraffico, il più longevo affare della criminalità organizzata in terra umbra, scrive Libera: «Da dieci anni a questa parte i dati collocano la regione al quarto posto fra le regioni italiane per quantitativi di cocaina sequestrati. Il mercato umbro della droga vende circa 6mila dosi al giorno». In Umbria, si legge nel dossier, si registra la quota più alta di persone straniere segnalate per violazione delle leggi sulla droga;
l'altro affare della mafia in Umbria, segnalato dal dossier è la prostituzione. «Giovani acquistate al mercato clandestino e portate qui da connazionali senza scrupoli» spiega il rapporto. Si tratta di un affare gestito in Umbria dalla mafia albanese, «spesso concordato con clienti e proprietari dei locali notturni perugini, compiacenti e nel peggiore dei casi complici anche nella tratta oltre che nello sfruttamento delle ragazze», scrive Libera. Se nel Ternano il fenomeno pare sotto controllo, nel Perugino alcuni interventi mirati hanno spostato prostitute e protettori da una zona all'altra, spesso verso il centro. Ma il fatto preoccupante è la domanda costante, tanto quanto il denaro sporco che mafia albanese e italiana consegnano alle organizzazioni che trafficano esseri umani;
il 16 ottobre 2008, un latitante appartenente alla fazione «stragista» di un clan dei Casalesi, ricercato per associazione mafiosa e tentativo di estorsione, è stato arrestato a Terni dai carabinieri nel corso di un'operazione cui hanno partecipato anche uomini del comando provinciale di Napoli;

il 10 febbraio 2010, a Terni, i carabinieri del nucleo operativo di Santa Maria Capua Vetere, in collaborazione con i colleghi di Terni, hanno tratto in arresto un altro pregiudicato da alcuni anni residente nella città umbra o anch'egli appartenente ad una famiglia collegata al clan dei Casalesi -:
quali misure, alla luce delle vicende di questi ultimi giorni, il Ministro interrogato intenda adottare, soprattutto nel lungo periodo, affinché si scongiuri un'estensione delle infiltrazioni mafiose nella regione considerata, in particolare nei settori degli investimenti immobiliari, delle operazioni finanziarie e dei traffici illeciti.
(4-06659)

...

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:

SIRAGUSA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
nel novembre 2007 veniva bandito un concorso a 100 posti per il profilo professionale di assistente area b, posizione economica b2, per le esigenze delle sedi centrali e periferiche del Ministero dell'istruzione;
detto concorso si è concluso con la pubblicazione della graduatoria finale a luglio del 2009, ma il decreto anticrisi (decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78) ha introdotto il blocco del turn over ha disposto che le nuove assunzioni potessero avvenire solo in presenza di un riassetto degli enti vigilati del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
nonostante ci sia stata la riorganizzazione degli enti vigilati, e nonostante il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 novembre 2009 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 15 febbraio 2010 - dopo aver avuto il via libera dalla Corte del conti, abbia autorizzato l'assunzione di 49 unità di personale, riferibili al concorso in oggetto, il Ministero non ha provveduto alle assunzioni;
a tutto ciò si è aggiunto il decreto milleproroghe che ha previsto un nuovo blocco del turn over con ulteriore taglio del 10 per cento delle risorse;
la situazione che si è venuta a configurare sta arrecando ai legittimi vincitori del concorso un grave danno economico e morale -:
se il Ministro non intenda intervenire con urgenza al fine di sanare una situazione che lede i diritti dei legittimi vincitori del concorso pubblico di cui in premessa.
(5-02689)

SIRAGUSA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
nell'ambito della ridefinizione delle classi di concorso della scuola secondaria di secondo grado si rileva la necessità di unificare l'elenco degli insegnanti di sostegno della scuola secondaria di secondo grado attualmente suddiviso in quattro aree: scientifica (AD01), umanistica (AD02), tecnica (AD03) e psicomotoria (AD04);
tale suddivisione è già stata superata nella scuola media e la sua applicazione nella scuola secondaria di secondo grado non ha fondamento giuridico né pedagogico;
tutti gli insegnanti di sostegno seguono il medesimo corso di specializzazione - a prescindere dalla classe disciplinare da cui provengono - e ricevono la stessa formazione;
di fatto, nelle scuole, agli insegnanti di sostegno viene richiesto di affiancare tutti i docenti curricolari e di seguire gli alunni in tutte le materie a prescindere dalla propria area di appartenenza, sulla base delle necessità degli alunni che di volta in volta si presentano;

mentre si richiede ai docenti curricolari di conoscere gli argomenti specifici da proporre agli allievi, ai docenti di sostegno si richiede di progettare e sperimentare le metodologie più adatte ai fabbisogni e alle necessità dei propri alunni;
la suddivisione in aree disciplinari delle attività di sostegno nelle scuole superiori non è stata istituita per legge;
il riferimento normativo per ogni ordine di scuola è lo stesso: la legge quadro n. 104 del 1992. Sembrerebbe, tuttavia, che l'equivoco scaturisca da un'errata interpretazione del comma 5 dell'articolo 13 di tale legge, che recita: «Nella scuola secondaria di primo e secondo grado sono garantite attività didattiche di sostegno, con priorità per le iniziative sperimentali di cui al comma 1, lettera e), realizzate con docenti di sostegno specializzati, nelle aree disciplinari individuate sulla base del profilo dinamico-funzionale e del conseguente piano educativo individualizzato». È opinione diffusa ormai che gli operatori della scuola non abbiano compreso che l'espressione «nelle aree disciplinari» era riferito alle «attività didattiche» e non ai «docenti specializzati» che sono specializzati invece in tutte le aree;
sulla base di tale errata interpretazione fu emanata l'ordinanza ministeriale n. 78 del 23 marzo 1993, con la quale venne creata una corrispondenza fra aree disciplinari e classi di concorso ai fini dell'insegnamento di sostegno nella scuola secondaria di II grado;
con tale provvedimento si fa confluire, per esempio, nell'area tecnica AD03 ben 133 tipologie di classi di concorso. Si va da insegnanti diplomati tecnico pratici, di formazione prettamente professionale, ad insegnanti di materie giuridiche ed economiche di connotazione sicuramente più vicina all'area umanistica. Mentre nell'area scientifica AD01 confluiscono 12 classi di concorso, nell'area umanistica AD02 confluiscono 25 classi di concorso e nell'area psicomotoria AD04 confluisce un'unica classe di concorso;
tale suddivisione, si può prestare ad una gestione poco chiara della designazione delle cattedre di sostegno alle diverse aree;
tali assegnazioni, dovrebbero scaturire dalle indicazioni del gruppo misto, mentre, nella realtà, molti presidi richiedono direttamente agli Uffici scolastici provinciali i docenti di sostegno, con criteri non sempre trasparenti e spesso scollegati dalle effettive necessità degli alunni;
a causa di questo sistema di reclutamento, docenti di sostegno di una determinata area con un punteggio più alto rimangono disoccupati e docenti di altre aree con un punteggio più basso continuano a ricevere incarichi di supplenza annuale dagli Uffici scolastici provinciali;
il meccanismo di cui sopra spesso penalizza insegnanti con una maggiore anzianità di servizio che talvolta non ricevono l'incarico;
l'unificazione delle aree darebbe a tutti le stesse possibilità;
spesso un insegnante di sostegno nominato dagli Uffici scolastici provinciali sulla propria area, quando arriva a scuola, si vede assegnare ragazzi diversamente abili che appartengono ad un area disciplinare diversa dalla propria;
si verifica altresì che, quando l'elenco di un'area viene esaurito, si attingano i docenti dagli elenchi di altre aree in maniera incrociata tenendo conto solo del loro punteggio -:
se il Ministro non ritenga di dover istituire un elenco unico di sostegno anche per le scuole superiori così come già previsto per gli insegnanti di sostegno delle medie.
(5-02694)

DE BIASI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il 18 febbraio 2010 presso l'Istituto Argentia di Gorgonzola (Milano) ha avuto

luogo una conferenza del dottor Civati sul tema dell'immigrazione e dell'integrazione delle persone straniere;
il dottor Civati è stato invitato in quanto autore del libro «Regione straniera» ed esperto delle tematiche sopra citate;
alla data della conferenza non era stata presentata alcuna lista elettorale (la scadenza, nota a quasi tutti, era il 27 febbraio) e pertanto non si era in periodo di campagna elettorale;
la conferenza era nell'ambito delle attività previste dalle normative vigenti;
l'obiettivo della conferenza rispecchiava le finalità di comunità educante, che annoverano, fra le altre, quelle di educare alla formazione e al confronto delle libere opinioni, al rispetto reciproco e al riconoscimento delle differenze come valore, cioè alla libertà;
in seguito alla conferenza sono state espresse pubbliche denigrazioni della scuola e del dirigente scolastico a cui sono seguite richieste alla Lega Nord di intraprendere azioni istituzionali contro il dirigente scolastico;
quali iniziative intenda intraprendere il Ministro per tutelare la professionalità e la dignità del dirigente scolastico, per tutelare la libertà di espressione ed il pluralismo sancite dalla Costituzione italiana, nonché per tutelare l'applicazione piena dell'autonomia scolastica da ideologie e censure volte, a parere dell'interrogante, a stravolgere la funzione educante.
(5-02702)

Interrogazioni a risposta scritta:

BELLOTTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, avrebbe provveduto all'invio di alcune comunicazioni per richiedere che le scuole medie presso i conservatori venissero associate ad altri istituti comprensivi;
tra queste, il direttore del conservatorio «Buzzolla» e preside della scuola media ad esso annessa, avrebbe ricevuto, a quanto si evince dall'ufficio scolastico provinciale, copia di un fax inviato dal Ministero dell'istruzione a firma del direttore generale per il personale scolastico;
il suddetto fax sarebbe stato indirizzato agli uffici scolastici regionali di 7 regioni, nelle quali ancora vi sono scuole medie annesse al conservatorio;
in esso si invitava detti uffici a comunicare entro il 19 marzo 2010, a quale istituto comprensivo «Associare» la scuola media annessa al conservatorio;
le conseguenze, stando al fax, sarebbero squisitamente di natura amministrativa, al fine di dar seguito all'intenzione di tagliare dagli organici i posti di segretario di dette scuole, e ricalcolare anche il resto del personale (segreteria e coaiudiutori) ad esclusione dei docenti;
nelle intenzioni non dovrebbe mutare la «natura» della scuola media, che manterrebbe lo specifico indirizzo musicale in preparazione al conservatorio;
nella realtà anche solamente il fatto che il direttore del conservatorio non sarebbe più nel contempo preside della scuola media, avrebbe necessariamente implicazioni sull'indirizzo;
altre problematiche emergerebbero dal fatto che gli studenti non potranno più essere considerati implicitamente allievi del conservatorio, con la separazione tra le due scuole;
ciò porterebbe ad altri dubbi circa la strutturazione dei corsi di studio e delle ore da destinare allo studio della musica, la gestione delle aule e delle attrezzature e lo stesso ruolo del conservatorio nel processo di formazione;
sebbene sia comprensibile la necessità di razionalizzare l'organizzazione degli

istituti, di fronte alla scelta suddetta, l'interrogante non può che sollevare forti preoccupazioni: la scuola media annessa al conservatorio di Adria è una delle eccellenze, non della città, ma del Veneto, secondo quanto rilevato dalle stesse statistiche nazionali;
la stessa scelta di indirizzare la formazione già dalle scuole medie, per ciò che concerne l'educazione musicale è una necessità per lo studio di queste discipline ed è proprio la stretta connessione nel percorso di studi che fa della del conservatorio di Adria, con le annesse scuole medie, uno degli istituti che ha saputo ottenere migliori risultati;
dal conservatorio di Adria sono emersi un gran numero di talenti a livello nazionale e internazionale e difficilmente tali risultati si sarebbero potuti ottenere senza la possibilità di garantire un percorso di studio articolato e continuativo dalla giovane età;
le scuole medie hanno inoltre da sempre costituito il bacino ideale per il conservatorio, soprattutto per quanto riguarda gli strumenti meno conosciuti ma paradossalmente più appetibili per gli sviluppi professionali;
un tale processo di riorganizzazione, come nel caso della città di Adria, non può essere visto esclusivamente nell'ottica di una razionalizzazione organizzativa, ma rischia di incidere su peculiarità dell'offerta formativa e culturale di un territorio che proprio grazie a istituzioni come il locale conservatorio riesce a imporsi come un fenomeno all'avanguardia dal punto di vista artistico -:
se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali misure di propria competenza intenda adottare per conservare la stretta correlazione tra la scuola media annessa al conservatorio di Adria e questo stesso istituto in modo da consentire il mantenimento dell'indirizzo musicale anche all'interno della scuola primaria.
(4-06610)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
da quanto si apprende da notizie di stampa, i genitori degli studenti del Liceo «Don Milani» di Romano di Lombardia, in provincia di Bergamo, avrebbero «bocciato» l'iniziativa organizzata dagli studenti con alcuni esponenti del Circolo di cultura omosessuale «Milk» di Milano;
l'appuntamento, fissato per il 30 e 31 marzo 2010, era stato proposto dai ragazzi dopo un'incontro svoltosi per la Giornata della memoria, in cui gli esponenti del circolo «Milk» erano stati ospiti per raccontare lo sterminio dei gay nei lager;
i seicento alunni dell'istituto avevano chiesto di spiegare il mondo dell'omosessualità, nell'ambito di un'assemblea da loro stessi organizzata, sul tema della sessualità;
il «No» è giunto dal consiglio d'istituto;
secondo quanto riporta il «Giornale di Treviglio» un genitore avrebbe detto che «i ragazzi stanno formando la loro personalità e quindi potrebbero essere deviati»; un altro avrebbe sostenuto: «Accompagno mio figlio persino a fare le vaccinazioni figuriamoci se lo lascio andare ad un incontro del genere. È come il vaccino antinfluenzale: è più dannoso che utile»;
un terzo avrebbe visto l'incontro come «propaganda: gli omosessuali non possono parlare di omosessualità», cosicché l'iniziativa è stata bocciata, tra le proteste degli studenti e della quasi totalità degli insegnanti, e con lo stesso preside che ha stigmatizzato «l'estrema gravità delle affermazioni omofobe di alcune persone»;
al posto delle due giornate previste, è stato deciso di optare per un incontro per le classi quarte e quinte con l'Agedo (Associazione

genitori e amici omosessuali), all'inizio con il divieto di partecipazione ad ogni omosessuale;
i ragazzi sono riusciti però a strappare la presenza di almeno un rappresentante del mondo gay;
a fronte del caos che si è creato attorno all'iniziativa, la preside dell'istituto, ha parlato di «una grande strumentalizzazione architettata senza un apparente motivo, attraverso la divulgazione di notizie false», e si è dichiarata «indignata perché sono state estrapolate frasi dal Consiglio d'Istituto, che poi qualcuno ha riportato in modo inesatto. Ciò che è stato pubblicato non corrisponde alla verità. L'organizzazione dell'assemblea è tuttora in corso e il programma non è ancora definito. Se l'associazione «Milk» non ci sarà, è perché le finalità di quell'incontro sono altre e non perché in questa scuola c'è gente omofoba» -:
di quali elementi disponga in relazione alla vicenda di cui in premessa;
quali iniziative, al di là dell'episodio in questione, si intendano promuovere, adottare e sollecitare per scoraggiare e contrastare anche nella scuola l'inquietante clima omofobico che sempre più si manifesta.
(4-06621)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
da quanto si apprende da un articolo della giornalista Grazia Maria Mottola, pubblicato sul Corriere della Sera del 23 marzo 2010, la giunta di Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza, avrebbe disposto che alcuni alunni (sette stranieri e due italiani della scuola materna ed elementare), in luogo del normale pasto servito dalla locale mensa, venissero puniti con razioni di pane e acqua;
detto provvedimento sarebbe stato adottato perché i genitori dei nove alunni sarebbero insolventi e non avrebbero pagato rette arretrate;
detto provvedimento sarebbe stato criticato e avrebbe provocato il netto disappunto di maestre e responsabili della scuola e degli stessi compagni degli alunni «puniti» che avrebbero autonomamente provveduto a dividere il loro pranzo con i nove esclusi;
desta disappunto e sconcerto quanto accaduto a Montecchio Maggiore -:
quali siano gli intendimenti del Ministro in relazione a quanto esposto in premessa e se non ritenga, nel rispetto delle competenze degli enti locali, di assumere iniziative, anche mediante la destinazione di specifiche risorse, a sostegno dei nuclei familiari in condizioni disagiate, al fine di assicurare in un periodo di crisi economica l'accesso, senza discriminazioni, a tutti i servizi scolastici, inclusa la refezione.
(4-06631)

PALAGIANO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
dalle pagine del Corriere della sera del 23 marzo 2010, si apprende che a Montecchio Maggiore (Vicenza) il comune ha deciso di sospendere la refezione scolastica ai bambini i cui genitori erano in arretrato con i pagamenti della mensa;
otto bambini - come riportato nello stesso articolo e da diverse agenzie stampa - hanno avuto in sostituzione del normale pranzo un panino e una bottiglietta d'acqua;
l'iniziativa comunale ha lasciato interdette le maestre e la preside della scuola materna ed elementare, nonché, ovviamente, genitori e bambini;
pare che dietro la ferma e discutibile decisione comunale ci sia la mancata consegna del modulo di adesione alla mensa scolastica;

la giunta comunale di Montecchio parla di 150 mila euro di ammanco derivanti dalle rette arretrate;
l'ex sindaco Maurizio Scalabrin afferma, invece, che i fondi per sopperire ai costi della mensa c'erano; nell'aprile 2009 l'amministrazione Scalabrin aveva deliberato un fondo di 45 mila euro per far fronte alle difficoltà delle famiglie, una decisione ribadita nel luglio 2009 anche dall'attuale amministrazione che tuttavia l'aveva ristretta agli stranieri residenti da almeno sei anni;
Scalabrin afferma inoltre che quei 150 mila euro derivino dalla somma di diversi servizi scolastici, compreso il trasporto scuolabus;
il comune ha affisso, nei giorni precedenti la consegna dei panini agli alunni, manifesti in varie lingue all'interno delle scuole con la scadenza per il versamento e ha comunicato l'ultimatum anche con una raccomandata a mano consegnata dai vigili urbani;
alla scadenza, prevista il 15 marzo 2010, il comune ha pensato bene di ovviare distribuendo pane ed acqua agli alunni debitori;
la differenziazione del pasto ha creato non pochi disagi all'interno degli istituti scolastici ed ha portato i bambini più «fortunati» a regalare un po' del proprio pranzo ai bambini «puniti» a pane ed acqua;
la penalizzazione dei bambini rappresenta un atto discriminatorio di alcune famiglie - italiane e straniere - in probabile difficoltà economica ed è inoltre contraria ad ogni forma di solidarietà e sensibilità verso soggetti totalmente indifesi come i bambini, che non possono certo pagare per le inadempienze dei propri genitori -:
quali siano gli intendimenti del Ministro in relazione a quanto esposto in premessa e se non ritenga, nel rispetto delle competenze degli enti locali, di assumere iniziative, anche mediante la destinazione di specifiche risorse, a sostegno dei nuclei familiari in condizioni disagiate, al fine di assicurare in un periodo di crisi economica l'accesso, senza discriminazioni, a tutti i servizi scolastici, inclusa la refezione.
(4-06637)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
si fa riferimento a quanto accade nell'istituto comprensivo «F. Russo 2» di Pianura, e di cui hanno comunque riferito ampiamente i quotidiani;
come si può leggere nella dettagliata cronaca del quotidiano Il Mattino, «piove nella scuola, le mamme sul piede di guerra rivendicano il diritto all'istruzione per i loro bimbi. È da oltre un mese che 80 piccoli alunni non possono più frequentare l'istituto, un ampio complesso di fabbricati chiuso per lavori di adeguamento strutturale dal 17 febbraio 2010. Tutta la platea scolastica, costituita da classi di medie, elementari e materne, ha subito per venti giorni l'interruzione del regolare funzionamento della scuola, causa infiltrazioni, ma sono i più giovani a pagarne le spese, rinunciando completamente ad una collocazione scolastica, seppure temporanea»;
risulterebbe in particolare che da quando hanno chiuso l'istituto per problemi di agibilità gli alunni più piccoli siano stati abbandonati senza una sistemazione presso altre sedi, senza comunicazioni su eventuali date entro cui risolvere il problema e senza che ci venga fornita alcun tipo di assistenza visto che non tutti possono permettersi baby sitter da assumere per il mancato servizio scolastico;

al momento le famiglie si arrangiano come possono, grazie all'aiuto di parenti, o prendendo una pausa dal lavoro per badare ai più piccoli della casa, ma la preoccupazione generale è quella di un'emergenza cronica. Il mini pullman fornito dal comune per trasferire gli alunni delle elementari alla scuola Pisani, non si ferma davanti alla scuola «Russo 2» ma in piazza San Giorgio costringendo i bimbi a percorrere una strada pericolosa e senza marciapiedi, a questo si aggiunge la turnazione delle mamme che prestano servizio sul pullman a causa della mancanza di personale;
per quel che riguarda l'organizzazione delle lezioni delle medie, trasferite alla scuola Palasciano e impegnate solo per tre ore nel pomeriggio, si segnala che nessun ragazzo può svolgere più attività sportive o il doposcuola;
numerosi genitori, data la situazione, avrebbero deciso di non mandare i figli i alle lezioni pomeridiane proprio per quella che viene definita «la noncuranza del diritto ad avere la scuola di mattina o per lo meno l'attuazione di turni che però garantiscano ai ragazzi un orario completo»;
l'emergenza denunciata dalle famiglie si scontra con l'urgenza di adeguare l'istituto alle norme di sicurezza, a cominciare dai problemi di pesanti infiltrazioni all'interno dei locali e una palestra abbandonata da 15 anni, cosicché le famiglie subiscono due ordini di emergenze: la prima è che bisogna garantire tempi certi per il funzionamento della scuola «Russo 2» che, secondo le stime dei tecnici, avrebbe bisogno di interventi per circa 600mila euro; la seconda grave emergenza è costituita dagli asili nido sul territorio -:
nell'ambito delle sue competenze e prerogative, quali iniziative si intendono promuovere ed adottare in ordine alla grave situazione di disagio sopra segnalata.
(4-06641)

TESTO AGGIORNATO AL 18 MAGGIO 2010

...

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:

COTA, LUCIANO DUSSIN, DAL LAGO, REGUZZONI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BRIGANDÌ, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DESIDERATI, DOZZO, GUIDO DUSSIN, FAVA, FEDRIGA, FOGLIATO, FOLLEGOT, FORCOLIN, FUGATTI, GIBELLI, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, LANZARIN, LUSSANA, MACCANTI, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MONTAGNOLI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, PIROVANO, POLLEDRI, RAINIERI, RIVOLTA, RIXI, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 80 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, prevede che l'Inps attui nell'anno 2009 un piano straordinario di 200 mila verifiche dei titolari di invalidità civile;
in attuazione del citato disposto legislativo è stato emanato il decreto ministeriale del 29 gennaio 2009 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 4 marzo 2009, n. 4), con il quale il ministero del lavoro e delle politiche sociali ha stabilito i termini e le modalità di realizzazione di un piano straordinario per l'effettuazione di 200.000 accertamenti di verifica da espletarsi tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2009 nei confronti di titolari di benefici economici di invalidità civile, cecità civile e sordità civile;
secondo quanto riportato sul quotidiano Il Corriere della Sera di martedì 30 giugno 2009, le verifiche fino ad allora condotte dall'Inps avevano portato alla revoca del 13 per cento delle pensioni, con punte di quasi il 22 per cento in Sardegna

e Sicilia, del 19 per cento in Calabria e del 15,5 per cento in Campania e Puglia;
l'articolo 20 del cosiddetto «decreto-legge anti-crisi» n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, recante «Contrasto alle frodi in materia di invalidità civile», per risolvere l'annosa questione dei «falsi invalidi», ha previsto con decorrenza 1o gennaio 2010 che le commissioni mediche delle aziende sanitarie locali siano integrate anche da un medico dell'Inps quale membro effettivo, attribuendo all'istituto l'accertamento definitivo per la concessione o meno del sussidio;
tale scelta di modifica legislativa, combinata con il numero delle invalidità civili in costante crescita (circa il 30 per cento in più rispetto al 2004, con una spesa annua di circa 15 miliardi di euro), lascerebbe presupporre un qualche comportamento arbitrario da parte dei medici delle aziende sanitarie locali nel riconoscimento della sussistenza o meno dei requisiti di invalidità civile -:
quanti siano i falsi trattamenti di invalidità ad oggi accertati, quali iniziative il ministero intenda promuovere per il recupero delle somme indebitamente percepite e se non ritenga di adottare iniziative per la richiesta di risarcimento del danno erariale nei confronti degli enti responsabili per i falsi accertamenti.
(3-00988)

CAZZOLA e BALDELLI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 3 marzo 2010 il Senato della Repubblica ha approvato, in via definitiva, un testo di legge in discussione in Parlamento da quasi due anni, che contiene, tra l'altro, numerose norme in materia di riforma del mercato del lavoro, nonché di modernizzazione per quanto attiene al processo del lavoro, con particolare riferimento all'istituto dell'arbitrato, in coerenza con l'obiettivo del Governo di riformare il sistema processuale, considerato uno dei fattori di ritardo in tema di competitività rispetto agli altri Paesi europei;
vi sono quasi un milione e mezzo di cause di lavoro pendenti in Italia e oltre 400 mila sono i nuovi procedimenti in materia di lavoro e previdenza che, ogni anno, «intasano» le aule dei tribunali, contribuendo, inevitabilmente, all'inefficienza della giustizia ordinaria: si rendono necessari nuovi strumenti per dare certezza ai lavoratori e alle imprese. I tempi di attesa della sentenza gravano, infatti, anche sulle decisioni dei datori di lavoro. Il rischio di un contenzioso è un freno alle assunzioni;
solo in questi giorni a legge approvata, sorprendentemente, dopo quattro letture del provvedimento, sono stati sollevati vizi e profili di illegittimità costituzionale sin qui mai prospettati, cercando di fare leva su un supposto ma infondato attacco alle tutele del lavoro, richiamando anche, in maniera alquanto inappropriata, un presunto «aggiramento» dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che regola le conseguenze del licenziamento illegittimo;
benché la norma in questione preveda esplicitamente la piena libertà delle parti di adire il giudice ordinario, tutte le parti sociali, datoriali e sindacali, dotate di un'ampia capacità rappresentativa del mondo del lavoro, ad eccezione della Cgil, hanno sottoscritto - ad ulteriore garanzia - una dichiarazione comune l'11 marzo 2010 - così come previsto dalla legge stessa - volta a regolare ambiti e procedure dell'arbitrato e delle cosiddette «clausole compromissorie» sottoscritte al momento dell'assunzione, sgombrando il campo da possibili equivoci in materia di aggiramento delle tutele del prestatore di lavoro in caso di risoluzione del rapporto di lavoro;
la Corte costituzionale si è espressa più volte sul giudizio di equità, affermando che esso non è un giudizio extragiuridico, ma che deve trovare i precisi limiti in quel medesimo ordinamento - a partire dai precetti di rilievo costituzionale

- nel quale trovano il loro significato la nozione di diritto soggettivo e la relativa garanzia di tutela giurisdizionale;
il ricorso a procedure stragiudiziali di risoluzione delle controversie è previsto in tutti i moderni sistemi di relazioni industriali ed il potenziamento delle stesse è sempre stato raccomandato in tutte le occasioni in cui i Governi hanno avanzato proposte per l'ulteriore evoluzione di tali sistemi e per rendere finalmente più sollecita, e quindi più equa, la giustizia del lavoro;
le modalità di regolazione di questo istituto prevedono un avviso comune nei prossimi dodici mesi sulla base di un procedimento già utilizzato in altre materie e largamente diffuso a livello comunitario: avviso comune che dovrà indirizzare l'intervento del Ministro interrogato, fissandone i limiti -:
quali siano gli intendimenti del Governo in ordine al suddetto avviso comune sottoscritto dalle parti sociali.
(3-00989)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

RAISI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali.- Per sapere - premesso che:
a seguito dell'esame da parte dei competenti organi parlamentari, è stato adottato il decreto legislativo n. 106 del 2009 recante «disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro», che ha modificato l'articolo 71, commi 11 e 12 del decreto legislativo n. 81 del 2008, al fine di sanare la cronica carenza di esecuzione delle verifiche periodiche da parte dell'Asl in armonia con alcune sentenze/pareri rese dall'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato circa la terzietà delle operazioni di verifica periodica e delle attività di vigilanza periferica, se poste le prime in capo alle stesse autorità che potessero svolgere anche le seconde;
il nuovo testo dell'articolo 71 (commi 11 e 12) del decreto legislativo n. 81 del 2008 condiviso dalle Commissioni parlamentari competenti di Camera e Senato è quello di seguito riportato:
«Articolo 71.
11. Oltre a quanto previsto dal comma 8, il datore di lavoro sottopone le attrezzature di lavoro riportate in allegato VII a verifiche periodiche volte a valutarne l'effettivo stato di conservazione e di efficienza ai fini di sicurezza, con la frequenza indicata nel medesimo allegato. La prima di tali verifiche è effettuata dall'ISPESL che vi provvede nel termine di sessanta giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il datore di lavoro può avvalersi delle ASL e o di soggetti pubblici o privati abilitati con le modalità di cui al comma 13. Le successive verifiche sono effettuate dai soggetti di cui al precedente periodo, che vi provvedono nel termine di trenta giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il datore di lavoro può avvalersi di soggetti pubblici o privati abilitati, con le modalità di cui al comma l3. (...).
12. Per l'effettuazione delle verifiche di cui al comma 11, le ASL e l'ISPESL possono avvalersi del supporto di soggetti pubblici o privati abilitati. I soggetti privati abilitati acquistano la qualifica di incaricati di pubblico servizio e rispondono direttamente alla struttura pubblica titolare della funzione.»;
il testo dell'articolo sopra riportato, sembrerebbe, anche in linea con l'apertura del mercato necessaria, date le carenze delle ASL ed in misura minore dell'ISPESL, a che su uno stesso piano operativo fossero messe, e solo per le verifiche periodiche successive alla prima per la quale appare indiscussa la «primogenitura» dell'ISPESL, le due autorità pubbliche e i soggetti (privati o pubblici) abilitati ad agire al fine di effettuare le verifiche periodiche successive;
è iniziato da pochi giorni il dibattito all'interno del gruppo di lavoro costituito dal Ministro del lavoro e delle politiche

sociali circa la posizione primaria che dovrebbero avere ISPESL ed ASL ed è stata proposta una bozza di testo che, a quanto consta all'interrogante, tenderebbe a riportare la competenza primaria delle verifiche periodiche nell'alveo delle competenze di ASL ed ISPEL con il seguente testo:
«Articolo 2.
1. Ai sensi dell'articolo 71, commi 11 e 12, del decreto legislativo n. 81 del 2008, l'ISPESL è titolare della prima delle verifiche periodiche, mentre le ASL sono titolari delle verifiche successive alla prima.
2. Le ASL e l'ISPESL possono procedere all'attuazione dell'articolo 71, comma 12, del decreto legislativo n. 81 del 2008, mediante convenzioni, in conformità a quanto previsto dalle leggi regionali in materia di attribuzioni delle competenze, con le Agenzie Regionali Prevenzione Ambiente (di seguito, ARPA), o con le Direzioni Provinciali del Lavoro (di seguito, DPL) del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, o con i soggetti privati abilitati che ne facciano richiesta» -:
quali iniziative intenda assumere al fine di evitare che venga disatteso quanto faticosamente si era cercato di costruire in occasione della modifica del citato articolo 71 come sopra riportato.
(5-02697)

MADIA e GATTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'azienda Videocon di Anagni - Frosinone terzo fornitore di televisori in Europa, con marchio Nordmende, è stata acquistata 5 anni fa da una multinazionale indiana, la Videocon dei tre fratelli Dhoot, - il cui primogenito Venugopal è magnate da classifica «Forbes» e il secondogenito Rajkumar membro del Parlamento indiano. Il gruppo quotato a Mumbay con 22 mila dipendenti, con affari dall'estrazione di petrolio alle lavatrici, ha rilevato un azienda in Italia, la Videocolor, ora Vdc Technologies, cinque fa da Thomson. In quella occasione la multinazionale indiana ne aveva promesso il rilancio impegnandosi con Governo e regione;
in realtà il rilancio non è mai iniziato: dei 1.360 dipendenti di Anagni, a lavorare sono rimasti in 450: assemblano elementi dall'India e dalla Cina. Gli altri restano in cassa integrazione, prorogata fino al maggio 2009, perché la proprietà ha cambiato idea;
il cambiamento da parte della dirigenza dell'azienda blocca i fondi appena stanziati: gli indiani, infatti, due anni fa, comunicano al Ministero dello sviluppo economico che non avrebbero mantenuto i livelli occupazionali, riconducendo il progetto di riconversione a semplice attività di assemblaggio con l'impiego di soli 450 lavoratori. Saltano così i 46 milioni (30 dallo Stato, 16 dalla Regione) che erano stati appena stanziati;
gli indiani, con l'acquisizione, dell'azienda di Anagni hanno conquistato un marchio forte, Nordmende e la rete commerciale in Europa: un vero caso di speculazione ai danni dei lavoratori;
pochi giorni fa, dopo il blocco dell'autostrada, sono tornati a farsi sentire i 1360 operai dell'azienda che rischiano il posto di lavoro per la pessima gestione del gruppo del magnate indiano Venugopal Dooth;
a seguito di un'assemblea generale svoltasi nei giorni scorso i lavoratori hanno deciso di occupare ad oltranza gli stabilimenti; l'occupazione è stata votata all' unanimità dagli operai dell'azienda che è la seconda fabbrica del Lazio dopo la Fiat di Cassino per numero di occupati. I lavoratori vogliono impedire che la proprietà, come peraltro già altre multinazionali hanno fatto, abbandoni l'Italia lasciando sul lastrico 1360 famiglie che già da cinque anni vivono in condizioni di precarietà, determinata dalla cassa integrazione -:
se è a conoscenza della situazione dell'azienda Videocon e delle condizioni dei suoi 1360 dipendenti;

se non ritenga di convocare con la massima urgenza un tavolo di confronto tra l'imprenditore, i sindacati, le rappresentanze dei lavoratori nonché la regione, al fine di ricercare una soluzione capace di salvaguardare la produttività ed i posti di lavoro dell'azienda in questione, impedendo che la multinazionale Videocon abbandoni il nostro Paese con la conseguente perdita dei posti di lavoro per i 1360 dipendenti in questione.
(5-02698)

VACCARO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
tra il socio lavoratore e la cooperativa si instaurano due diversi rapporti giuridici: quello associativo e quello lavorativo;
secondo l'articolo 1, comma 2, della legge n. 142 del 2001, in riferimento al rapporto associativo il socio concorre alla gestione dell'impresa, partecipa alla formazione degli organi sociali, partecipa all'elaborazione di programmi di sviluppo e alle decisioni concernenti le scelte strategiche, contribuisce alla formazione del capitale sociale e partecipa al rischio d'impresa, mette le proprie capacità professionali;
secondo l'articolo 3, comma 1, della legge n. 142 del 2001, in riferimento al rapporto di lavoro, il socio lavoratore di cooperativa stabilisce anche un rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma con cui contribuisce al raggiungimento degli scopi sociali;
le cooperative possono stipulare contratti di lavoro a termine, ivi compresi contratti di collaborazione coordinata e continuativa;
il decreto legislativo n. 276 del 2003, recante l'attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30 del 2003, prevede l'automatica conversione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa in contratti a progetto;
la disciplina suddetta legge n. 142 del 2001, in quanto speciale, laddove regola il contenuto e le modalità di attuazione delle prestazioni lavorative tra cooperativa e soci lavoratori, dovrebbe resistere all'applicazione del decreto legislativo n. 276 del 2003 -:
se la vigente legge n. 142 del 2001, consenta di mantenere forme contrattuali come quella della collaborazione coordinata e continuativa, anche dopo l'entrata in vigore della disciplina di cui al decreto legislativo n. 276 del 2003 e se il Ministro intenda assumere iniziative per chiarire tale disciplina.
(5-02699)

LENZI, VASSALLO, LA FORGIA, BENAMATI e ZAMPA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
su richiesta dei segretari generali delle organizzazioni sindacali del credito, in data 24 marzo 2010 si è svolto l'incontro con i commissari straordinari del gruppo bancario Delta in merito alla delicata situazione in cui versa il gruppo a seguito del commissariamento da parte di Banca d'Italia;
il gruppo bancario Delta è una holding costituita nel 2002 dalla cassa di risparmio della Repubblica di San Marino e dalla società di management finanziario Estuari, con sede a Bologna, che riunisce società operative, specializzate nell'erogazione di prodotti finanziari, e società di servizi, specializzate nella fornitura di prodotti personalizzati, dedicati a privati, aziende ed enti pubblici, con l'obiettivo di fornire supporto finanziario e consulenza qualificata per una gestione integrata del credito;
dal 2003 al 2008 esso ha creato 900 nuovi posti di lavoro dipendente, di cui il 60 per cento sono donne con un'età media

di 30 anni. Di questi, 300 circa operano a Bologna, altri 140 in Emilia-Romagna ed i rimanenti su tutto il territorio nazionale. L'indotto del gruppo bancario, costituito dalle rete delle agenzie, impiega a sua volta circa 1.000 persone a cui vanno aggiunti 13.000 fornitori. Vi sono 17.000 rivenditori convenzionati e oltre 2 milioni di clienti per la maggior parte consumatori a cui nel corso degli anni sono stati concessi crediti al consumo per oltre 10 miliardi di euro;
il commissariamento del gruppo da parte di Banca d'Italia è intervenuto il 4 maggio 2009, successivamente ai provvedimenti con i quali la procura della Repubblica di Forlì ha contestato ai dirigenti del gruppo Delta e ai vertici della cassa di Risparmio di San Marino il reato di abusiva attività finanziaria e bancaria, di ostacolo dall'esercizio delle funzioni delle autorità di pubblica vigilanza e di riciclaggio, in quanto la cassa di risparmio di San Marino, tramite un supposto controllo dominante sulla capogruppo Delta, avrebbe esercitato per mezzo delle società finanziarie controllate da essa controllate attività bancaria e finanziaria in Italia senza avere la prescritta autorizzazione;
da quel momento la fiducia del sistema bancario e dei clienti depositanti è crollata sotto il peso delle notizie di stampa e il gruppo Delta sta oggi vivendo una pesantissima crisi di liquidità, con lo stillicidio delle revoche che viene minacciato anche sui rapporti a scadenza futura, e la conseguente paralisi nell'attività del gruppo;
i reati contestati a manager e proprietà non devono compromettere l'attività di un intero gruppo bancario, che nel 2008 aveva registrato un utile di 6 milioni di euro interamente reinvestito, e le aspettative di vita e di lavoro dei suoi dipendenti;
ogni ipotesi di risanamento del gruppo non potrà prescindere dalla salvaguardia dell'occupazione e ogni strada percorsa dai commissari dovrà individuare anche soluzioni certe per la tutela dell'occupazione;
finora nessuna banca creditrice, nonostante le sollecitazioni di Banca d'Italia, ha mostrato la volontà di acquisire e continuare l'attività di credito al consumo, limitando il proprio interesse al recupero degli affidamenti già concessi;
i commissari straordinari hanno pertanto predisposto un cosiddetto «piano B» per riportare in bonis la situazione finanziaria le cui procedure devono essere contemporanee alle misure assunte per tutelare l'occupazione;
il «piano B» prospettato alle organizzazioni sindacali, e non ancora formalizzato dalla banche creditrici, prevede la costituzione di una NewCo per la gestione dei crediti vigenti e la rescissione di ogni legame formale tra la cassa di Risparmio di San Marino ed i nuovi assetti societari futuri del gruppo Delta, al fine di consentire l'intervento di soggetti interessati, come ad esempio il gruppo Intesa Sanpaolo, per acquisire gli assets del gruppo senza timore di incauto acquisto;
l'ammortizzatore sociale del settore creditizio è stato recentemente innovato introducendo la sessione emergenziale destinata a tamponare situazioni di crisi quali quella che sta attraversando il gruppo Delta, ma essa attende l'urgente avallo del Ministero dell'economia e delle finanze;
per questa specifica ragione le organizzazioni sindacali hanno concordato con i commissari straordinari lo slittamento dei termini della procedura di mobilità e stabilito un ulteriore incontro per valutare eventuali novità e gli strumenti più opportuni a risolvere la crisi -:
che cosa si intenda fare per assicurare la continuità nell'attività del gruppo Delta e per garantire l'occupazione dei lavoratori, e in modo particolare per attuare la sessione emergenziale per le situazioni di crisi dell'ammortizzatore sociale del settore creditizio.
(5-02700)

Interrogazione a risposta scritta:

EVANGELISTI, PALADINI e PORCINO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
migliaia di lavoratrici e lavoratori non hanno ricevuto dal 1o gennaio 2010 nessuna indennità relativa alla cassa integrazione o alla mobilità;
l'articolo 19, comma 11, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, ha disposto, in attesa della riforma degli ammortizzatori sociali e comunque non oltre il 31 dicembre 2009, la concessione dei trattamenti di cassa integrazione straordinaria e di mobilità ai dipendenti delle imprese esercenti attività commerciali con più di 50 dipendenti, delle agenzie di viaggio e turismo, compresi gli operatori turistici con più di 50 dipendenti e delle imprese di vigilanza con più di 15 dipendenti, nel limite di spesa di euro 45.000.000, per l'anno 2009;
con il decreto ministeriale 19 febbraio 2009, n. 45081, si è provveduto a rendere attuativa la concessione dei trattamenti di Cassa integrazione guadagni straordinaria e mobilità ai dipendenti delle aziende del settore commercio con più di cinquanta dipendenti, delle agenzie di viaggio e turismo, compresi gli operatori turistici, con più di cinquanta dipendenti e delle imprese di vigilanza con più di quindici dipendenti fino al 31 dicembre 2009;
la legge 23 dicembre 2009 n. 191, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria per il 2010), all'articolo 2, comma 136, ha prorogato per l'anno 2010 - tra le altre - le disposizioni di cui al comma 11 dell'articolo 19 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e successive modificazioni;
non risulta ancora emanato il decreto ministeriale attuativo di queste disposizioni per l'anno 2010 -:
in quali tempi, il Ministro intenda provvedere all'emanazioni delle citate disposizioni attuative per fornire un qualche sostegno al reddito di questi lavoratori da mesi senza indennità.
(4-06625)

...

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta immediata:

DI PIETRO, DI GIUSEPPE, ROTA e CIMADORO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
le difficoltà del settore bieticolo-saccarifero sono sorte a seguito dell'approvazione della riforma dell'organizzazione comune di mercato dello zucchero, adottata dalla Commissione europea nel 2006, in conseguenza della quale l'Italia è stata costretta a rinunciare al 67 per cento della quota nazionale della produzione di zucchero;
tale riduzione ha provocato la chiusura di quindici stabilimenti saccariferi su un totale di diciannove presenti sul territorio nazionale; l'Italia si trova ora con sole quattro strutture di produzione;
la riforma dell'organizzazione comune di mercato, decisa dall'Unione europea nel 2006, aveva previsto un investimento pari a centotrenta milioni di euro per i quattro stabilimenti rimasti, affinché fossero adeguati ai nuovi parametri europei: tale riforma prevedeva aiuti nazionali e comunitari, autorizzati fino al 2010, per consentire l'adattamento del settore alle nuove condizioni;
questi aiuti sono stati erogati per il triennio dal 2006 al 2008, ma non sono ancora state stanziate le risorse nazionali relative agli anni 2009 e 2010, pari a 43 milioni di euro ciascuno, e nella legge finanziaria per il 2010 non vi è traccia di queste risorse;

l'aspettativa degli impegni assunti dallo Stato in sede comunitaria ha portato le imprese agricole ed industriali ad elaborare propri programmi e ad effettuare investimenti che sono stati poi puntualmente disattesi, con conseguenze disastrose in termini di occupazione e di difficoltà da parte delle aziende del settore;
il gruppo dell'Italia dei Valori ha presentato nella XVI legislatura diversi emendamenti e ordini del giorno per impegnare il Governo a ristabilire detti aiuti nazionali, proprio per non dismettere un intero comparto di produzione assolutamente italiano, composto da aziende italiane e, soprattutto, destinato a divenire un settore fiorente dell'economia europea;
fra le strutture di produzione, la più grande ed unica del Meridione è situata nel territorio della città di Termoli;
il 27 novembre 2009 la regione Molise decide di rinunciare al diritto di prelazione delle quote dello zuccherificio del Molise che l'ingegnere Luigi Tesi, detentore del 37,7 per cento delle azioni, ha promesso in vendita alla G&B investments;
anche l'Ersam, Ente sviluppo agricolo per il Molise, rinuncia al diritto di prelazione attraverso il commissario liquidatore dell'ente, diritto che peraltro non potrebbe esercitare essendo a lui deferite solo le attribuzioni assegnate alla funzione liquidatoria e non di certo all'esercizio del diritto di prelazione;
le ragioni della rinuncia sono motivate da esigenze di ammodernamento, differenziazione degli assetti produttivi, recupero dell'attività bieticolo-saccarifera ed esigenze di contenimento della spesa pubblica;
nel 2009 il signor Remo Perna acquista, attraverso la G&B investments, che controlla insieme alla G&B management e alla Ifim spa (sede Cipro), il 37,7 per cento delle azioni della società proprietaria dello zuccherificio;
le azioni sono acquistate dalla G&B investments al prezzo di due milioni e centodiecimila euro, l'oggetto sociale di detta società non contiene alcuna attività riconducibile al settore bioeticolo-saccarifero, in compenso contempla attività nel settore energetico. Il capitale versato è di 5 milioni e 110 mila euro, interamente ascrivibile all'unico azionista, vale a dire alla G&B management (Cyprus) limited, una società cipriota che fa capo ad un ragazzo poco più che ventenne. In sintesi è quest'ultima il vero socio della regione Molise;
finora la regione Molise ha investito 45 milioni di euro nello zuccherificio e si appresta a diventare partner di una società che non ha alcuna competenza ed esperienza nel settore bieticolo-saccarifero;
il bando per la ricerca di un partner privato evidenziava la necessità di un esperto del settore;
tale situazione ha provocato una forte preoccupazione e un forte allarme sociale: i dipendenti e i sindacati temono che agli impegni assunti dalla regione Molise non seguano i fatti -:
se il Governo non ritenga di dover intervenire affinché sia fatta chiarezza sulla situazione societaria dello zuccherificio del Molise e come intenda finanziare gli aiuti nazionali per il 2009-2010 a favore del comparto e per il rilancio del settore bieticolo-saccarifero.
(3-00993)

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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E INNOVAZIONE

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, per sapere - premesso che:
l'accordo collettivo quadro per la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie per il personale dei comparti delle pubbliche amministrazioni e per la definizione

del relativo regolamento elettorale, del 7 agosto 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 5 settembre 1998, n. 207, all'articolo 7, comma 1, afferma che «I componenti della RSU restano in carica per tre anni, al termine dei quali decadono automaticamente con esclusione della prorogabilità»;
le ultime elezioni per il rinnovo delle RSU si sono svolte nel dicembre 2006 e pertanto, stando al sopra menzionato articolo 7, comma 1, dell'accordo collettivo quadro del 7 agosto 1998, il loro mandato è scaduto lo scorso dicembre 2009;
in data 2 settembre 2009 presso la sede dell'ARAN ha avuto luogo, su iniziativa delle parti sindacali, l'incontro tra l'ARAN e le organizzazioni sindacali unitarie firmatarie del contratto collettivo nazionale di lavoro del 29 novembre 2007, conclusosi con la sottoscrizione del protocollo concernente l'indizione delle elezioni per il rinnovo delle RSU e relativo calendario di votazioni e definizione della tempistica delle procedure elettorali;
come conseguenza e nel rispetto del suddetto calendario, le operazioni per il rinnovo delle rappresentanze sindacali unitarie sono state ampiamente avviate da diverse organizzazioni sindacali le quali hanno intrapreso la procedura di composizione e presentazione delle liste in molte scuole;
in data 27 ottobre 2009, su approvazione del Consiglio dei ministri, è stato emanato il decreto legislativo n. 150, in attuazione della legge n. 15 del 4 marzo 2009;
a seguito di una interrogazione parlamentare del 10 giugno 2009 riguardante questo aspetto, il dipartimento della funzione pubblica ha fatto sapere con una nota, dal carattere estremamente generico, diramata solo il 25 settembre 2009 che «il Ministro Brunetta ha chiesto all'ARAN di aprire un tavolo con le organizzazioni sindacali per individuare le modalità applicative del decreto delegato della legge n. 15 del 2009 sui nuovi assetti contrattuali e sulle elezioni delle RSU. A tale lettera il Presidente dell'ARAN ha risposto che - con la sola eccezione della CGIL - tutte le organizzazioni sindacali concordano in un rinvio delle RSU. In base a tali considerazioni e al parere espresso pochi giorni or sono dal Senato, sarà di conseguenza adottata una specifica norma nel decreto delegato. Pertanto la volontà del rinvio non è del Ministro Brunetta ma della maggioranza assoluta delle confederazioni sindacali.»;
nel decreto legislativo in questione all'articolo 65, comma 3, si legge «In via transitoria, con riferimento al periodo contrattuale immediatamente successivo a quello in corso, definiti i comparti e le aree di contrattazione ai sensi degli articoli 40, comma 2, e 41, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come sostituiti, rispettivamente, dagli articoli 54 e 56 del presente decreto legislativo, l'ARAN avvia le trattative contrattuali con le organizzazioni sindacali e le confederazioni rappresentative. In deroga all'articolo 42, comma 4, del predetto decreto legislativo n. 165 del 2001, sono prorogati gli organismi di rappresentanza del personale anche se le relative elezioni siano state già indette. Le elezioni relative al rinnovo dei predetti organismi di rappresentanza si svolgeranno, con riferimento ai nuovi compatti di contrattazione, entro il 30 novembre 2010» -:
quale provvedimento ufficiale è stato assunto dall'ARAN e dalle organizzazioni sindacali e comunicato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in attuazione della legge delega, per rinviare le elezioni RSU previste nel dicembre 2009 e prorogare le RSU in carica ma con mandato in scadenza;
con quale atto dispositivo il Ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione abbia imposto alle istituzioni scolastiche l'interruzione delle procedure relative alle elezioni per il rinnovo delle RSU già ampiamente avviate sulla base del protocollo ARAN del 2 settembre 2009.
(2-00660)«Antonino Russo».

Interrogazione a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro per la semplificazione normativa. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta il quotidiano II Sole 24 Ore di lunedì 29 marzo 2010, negli ultimi tempi diverse organizzazioni di volontariato hanno chiuso - o sono fortemente tentate di farlo - per cause burocratico - amministrative;
alcuni esempi riportati nell'articolo: un'associazione della provincia laziale, che agiva a livello di quartiere con risultati visibili, non ha presentato il modello Eas all'agenzia delle entrate e ha dovuto chiudere; a Roma, nel campo della lotta alle povertà, la difficoltà gestionale ha scoraggiato i soci che faticavano a coinvolgere giovani dal cercare possibili strade nuove; a Napoli, l'associazione «Mani Unite» sta seriamente discutendo sull'opportunità di chiudere data la mancanza di tempo per dedicarsi alle attività reali perché la maggior parte di esso è impegnato da adempimenti burocratici;
vi sono casi in cui si chiude perché gli adempimenti non sono rispettati dai partner: un nucleo comunale di volontari di protezione civile è stato messo in difficoltà proprio dal comune, che non pagava l'assicurazione obbligatoria. I volontari hanno perciò sciolto il nucleo e si sono costituiti come associazione autonoma. Tuttavia l'amministrazione si è rifiutata di riconoscerla formalmente: ora l'associazione lavora con la provincia e con la regione, ma non con il comune;
in Molise, a Termoli, Lina Melis è presidente di Incontrarsi: una quindicina di volontari nell'ambito della disabilità mentale. «La gestione diventa più pesante, le regole ci vogliono ma perché ogni anno, per confermare l'iscrizione al registro regionale, devo ripresentare tutta la documentazione?»;
anche al Csv della provincia di Milano arriva qualche informazione di associazioni che chiudono, ma giungono soprattutto molti segnali di scontento. Il presidente Lino Lacagnina spiega: «Rispondiamo cercando di offrire consulenze e supporti: un modello di bilancio e un modello di rendicontazione semplificati; il lavoro per la riammissione al 5 per mille delle organizzazioni escluse. Ai Csv spetti un doppio ruolo: da una parte sensibilizzare i decisori per una semplificazione, dall'altra offrire aiuto alle organizzazioni» -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della realtà descritta;
se e quali azioni di competenza si intendano intraprendere per una gestione più snella, efficiente, trasparente e pubblica dell'apparato burocratico e per una semplificazione delle procedure.
(4-06647)

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SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
la legge 3 agosto 2009 n. 108 ha stabilito che «Il personale in possesso del diploma di infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana, di cui all'articolo 31 del regolamento di cui al regio decreto 12 maggio 1942, n. 918, equivalente all'attestato di qualifica di operatore socio-sanitario specializzato, esclusivamente nell'ambito dei servizi resi, nell'assolvimento dei compiti propri, per le Forze armate e la Croce Rossa Italiana, è abilitato a prestare servizio di emergenza e assistenza sanitaria con le funzioni e attività proprie della professione infermieristica»;

il personale in possesso di diploma di infermiera volontaria della Croce rossa svolge un corso della durata di 800 ore, con evidenti dubbi sulla stessa equivalenza con il corso di operatore socio sanitario specializzato che prevede un programma formativo e professionalizzante decisamente più ampio non solo in termini di durata oraria;
con il provvedimento in questione risulta quindi formalmente autorizzata una deroga ai requisiti minimi per questa tipologia di personale destinato per di più ad operare in contesti di emergenza, ove sono necessaria ampie e maggiori competenze e certamente non minori come in eventi di urgenza/emergenza;
viene quindi data a personale ausiliario l'abilitazione a svolgere attività sanitarie che possono essere svolte solo da soggetti abilitati e iscritti al relativo albo professionale;
appare agli interroganti improprio l'inquadramento delle infermiere volontarie nei ruoli direttivi dei corpi ausiliari delle Forze armate, sebbene siano in possesso di un titolo non universitario e possano esercitare una professione ausiliaria, lesivo nei fatti della professionalità e della competenza degli infermieri militari, inquadrati tra il personale non direttivo, sebbene abilitati a esercitare la professione sanitaria di infermieri e in possesso di titolo formativo triennale o quinquennale universitario;
la disposizione citata appare inoltre, sempre secondo gli interroganti, lesiva in linea generale della dignità, della professionalità e delle prerogative di tutto il personale infermieristico italiano che ha meritato, con la forza delle competenze, il riconoscimento di una crescita di responsabilità e di autonomia statuito dalle norme vigenti, tra cui vale bene citare il decreto ministeriale n. 739 del 1994, la legge n. 42 del 1999 e la legge n 43 del 2006 -:
se non si ritenga assolutamente indispensabile e urgente adottare iniziative normative volte a rimodulare dette disposizioni, in particolare relativamente alle possibili ripercussioni per la tutela della salute del personale militare che nei fatti vede affidata l'assistenza sanitaria seppur parzialmente, ad operatrici «ausiliarie» non in possesso delle competenze e della formazione prevista per l'esercizio della professione sanitaria di infermiere, andando quindi a mettere in pericolo la salute dei destinatari delle specifiche prestazioni di assistenza e cura;
e se non si ritenga opportuno assumere iniziative per procedere nell'immediato al riordino e alla costituzione dei corpi sanitari delle professioni infermieristiche e tecniche, come presenti nei Pesi del Patto Atlantico.
(4-06606)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
come riferiscono numerose fonti giornalistiche, evitare il dolore del parto naturale, e allo stesso tempo l'iniezione spinale dell'analgesia epidurale sembra sia possibile: lo si può fare attraverso un'endovenosa d'oppio;
la prima ad aver sperimentato questo metodo è stata la figlia della direttrice del reparto anestesia della maternità dell'ospedale di Careggi di Firenze dove è in corso il progetto pilota;
la sperimentazione, incentrata su un farmaco basato sui principi dell'oppio, il Renifentanil, riguarda tutte quelle donne che, come chiarisce la direttrice del reparto di anestesia del dipartimento materno-infantile della struttura, la dottoressa Anna Maria Melani, «a causa di patologie non possono sottoporsi all'analgesia epidurale, oppure semplicemente preferiscono un'alternativa all'iniezione nella colonna vertebrale»;
la prima paziente ad essersi sottoposta a questa metodica, la signora Eleonora Zanardelli, figlia della direttrice del reparto,

ha riferito che «Quella di sottoporsi a questo tipo di analgesia è stata una scelta più che giusta, il dolore del parto è stato molto attutito e non ho risentito di alcun effetto collaterale in seguito. Insomma, è andato tutto benissimo»;
il Renifentanil è un oppioide di ultima generazione: somministrato per via endovenosa, agisce a livello cerebrale sui recettori del dolore, elevandone temporaneamente la soglia di sopportazione da parte delle partorienti: una metodologia più soft dell'analgesia epidurale che inibisce la sofferenza intervenendo direttamente sul sistema nervoso;
vengono risolti i problemi legati all'utilizzo degli oppioidi, e cioè quello degli effetti collaterali negativi sul bambino, perché il Renifentanil ha un impatto lieve anche sul metabolismo della donna, e dunque tali rischi sono evitati;
la sperimentazione, condotta finora su oltre mille pazienti e pubblicata su importanti riviste del settore, ha riscosso un elevato gradimento da parte delle donne che vi si sono sottoposte: «In base all'indagine che abbiamo effettuato - illustra la direttrice, dottoressa Melani - circa l'87 per cento delle neomamme ha giudicato molto positivo l'esito di questa esperienza. E tante di loro decidono di tornare da noi anche per i parti successivi» -:
se non si ritenga di dover raccogliere e acquisire tutta la documentazione in merito e, successivamente, suggerire e comunque informare le strutture sanitarie e ospedaliere di tutto il Paese al fine di favorire la pratica di questa nuova metodica che consente di evitare - o comunque limitare - traumi e dolori provocati dal parto.
(4-06614)

MAURIZIO TURCO, FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sul sito internet istituzionale della Croce rossa italiana è stato pubblicato un videomessaggio del commissario straordinario avvocato Francesco Rocca nel quale commentando l'articolo dal titolo «Sembra un ministero. È la Croce Rossa» apparso sul settimanale l'Espresso n. 12 del 25 marzo 2010, offre una propria versione dei fatti che non sembrerebbe trovare alcun riscontro nelle relazioni redatte al termine delle ispezioni disposte dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal Ministero della difesa;
a parere degli interroganti le dichiarazioni del commissario straordinario Rocca evidenziano un clima di incertezza e destano dubbi sul pieno rispetto delle norme vigenti nelle attività dei vertici della Croce rossa italiana -:
quante siano le consulenze esterne attivate nel corso della gestione dell'attuale commissario straordinario Rocca, per quali importi, a chi siano state affidate, se sia stata preventivamente effettuata una ricerca tra il personale dipendente della Croce rossa italiana a cui assegnare detti incarichi di consulenza;
quanti siano gli appartenenti al Corpo militare della Croce rossa italiana, in servizio permanente effettivo, quanti i richiamati, e per quanto tempo;
se il Commissario straordinario abbia segnalato alla competente autorità giudiziaria gli illeciti amministrativi che ritiene imputabili alle passate gestioni;
se abbia provveduto ad attivare le ordinarie e straordinarie azioni di ripetizione delle somme indebitamente percepite dai dipendenti civili e da quelli appartenenti al Corpo militare, per quale importo complessivo per categoria di dipendenti;
a quanto ammontino complessivamente le donazioni effettuate da terzi a favore del comitato centrale della Croce rossa italiana, quale sia l'attuale consistenza del patrimonio immobiliare e se

risponda al vero che alcuni immobili sono locati a canoni inferiori alla reale quotazione di mercato;
quanti siano gli immobili di proprietà o nella disponibilità della Croce rossa italiana, quale sia il loro singolo valore di mercato e quale sia la loro destinazione d'uso;
se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle dichiarazioni del Commissario straordinario avvocato Francesco Rocca e quali immediate iniziative intendano adottare per ripristinare, con la massima urgenza consentita, la piena trasparenza nelle attività della Croce Rossa italiana.
(4-06620)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il dottor Paolo Cornaglia Ferraris, nella sua rubrica «Camici & Pigiami» pubblicata nell'inserto salute di Repubblica, racconta come «nell'estate 2009 avevamo detto che alcuni esperti di vaccini hanno conflitti d'interesse e che la paura mediatica dell'influenza faceva parte di una strategia commerciale. Il rapporto di Daniel Levinson, ispettore del ministero della Salute USA, parla di colleghi prezzolati. In Italia la notizia non è arrivata, o, almeno non lo dà ad intendere il ministro Fazio che non invia ispettori con la stessa velocità del collega Alfano. Levinson ha svelato che il 30 per cento degli esperti di vaccini non ha firmato il modulo che nega una loro retribuzione da parte delle industrie e il 3 per cento ha votato su argomenti per cui non poteva esprimere un parere. Secondo la rappresentante dei Democratici del Connecticut, Rosa De Lauro, i membri del comitato di valutazione dovrebbero essere senza conflitti di interesse... Resta il mistero di una spesa enorme per vaccini inutilizzati, che Fazio dovrà chiarire. Magari prima del voto»;
su tale argomento l'interrogante ha già presentato numerose interrogazioni, rimaste tutte inevase (numeri 4-03908, 4-03988, 4-05467, 4-05615, 4-05674, 4-05689) -:
per quale motivo il Ministro ancora non abbia ritenuto di doversi attivare per accertare gli eventuali casi di conflitti di interesse tra esperti di vaccino che eventualmente siano stati chiamati come consulenti del ministero e dei suoi organismi e commissioni;
se non ritenga di dover rispondere in modo esauriente e completo ai quesiti relativi ai vaccini, e in particolare all'interrogativo posto dal dottor Cornaglia Ferraris: «Resta il mistero di una spesa enorme per vaccini inutilizzati che Fazio dovrà chiarire».
(4-06628)

MAURIZIO TURCO, FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sul sito internet istituzionale della Croce rossa italiana è possibile leggere una lettera con cui il commissario straordinario avvocato Francesco Rocca risponde all'articolo dal titolo «Sembra un ministero. È la croce rossa» apparso sul settimanale l'Espresso n. 12 del 25 marzo 2010;
nello scritto in questione è possibile leggere «Circa Maria Teresa Letta: si continua a tentare di infangare la Croce Rossa e l'attuale Commissario Regionale per l'Abruzzo, Maria Teresa Letta, facendo speculazioni ed insinuazioni relative ad una vicenda analizzata e sviscerata in ogni suo aspetto che trova la sua genesi in un dipendente, Vincenzo Lo Zito (citato nell'articolo de l'Espresso) appartenente al Corpo militare che prima dello stop imposto dalla Letta era arrivato a fare anche 140 ore di straordinario in un mese (dato comprensibilmente inverosimile) e che da allora ha iniziato una sua guerra personale che lo vede pluriquerelato per diffamazione aggravata e trasferito ad altra

sede con provvedimento che ha superato il vaglio preliminare di TAR e Consiglio di Stato. Continuare a speculare sul cognome della commissaria regionale Abruzzo è l'unico sport a cui sembra dedicarsi senza che ad oggi sia mai stato dimostrato un solo euro di danno provocato dalla Commissaria regionale che anzi ha guidato il Comitato con encomiabile dedizione e passione anche e soprattutto in questo delicatissimo periodo di emergenza»;
sempre su internet è presente un documento reperibile all'indirizzo http://vincenzoozito.blogspot.com/2009/12/linfamia-delle-ore-di-straordinario.html che riporta alcune tabelle analitiche delle ore di lavoro straordinario effettuato dal maresciallo capo Vincenzo Lo Zito nel corso dell'anno 2007 e queste sono sensibilmente inferiori a quanto affermato dal commissario straordinario Rocca -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle dichiarazioni del commissario straordinario avvocato Francesco Rocca, se il maresciallo Vincenzo Lo Zito abbia mai effettuato 140 ore/mese di lavoro straordinario, in quale periodo e per quante volte.
(4-06629)

PALAGIANO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (del 1o aprile 2008) ha trasferito al Servizio sanitario nazionale tutte le funzioni sanitarie svolte dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia;
in base a tale decreto saranno quindi le regioni, attraverso le ASL competenti per territorio, a far fronte alle esigenze sanitarie degli istituti penitenziari del Paese, dall'assistenza sanitaria giornaliera alle emergenze, dall'assistenza sociale alla garanzia di continuità terapeutica;
secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, alle regioni e alle province autonome è assegnato il compito di organizzare i servizi sanitari in rapporto alla tipologia degli istituti di pena per far fronte ai bisogni della popolazione carceraria e dei minori detenuti;
il passaggio di queste competenze dal Ministero della giustizia alle regioni è costato 135 milioni di euro;
gli osservatori permanenti regionali per la sanità penitenziaria hanno il compito di monitorare l'effettivo funzionamento dell'assistenza sanitaria da parte delle ASL territoriali;
l'autonomia regionale in materia sanitaria garantisce una libertà di azione pressoché totale e spesso i controlli da parte dello Stato sono pochi o poco capillari;
capita che ci sia una disomogeneità forte nell'offerta di servizi da regione a regione tanto che molto spesso i cittadini per accedere ad una determinata prestazione sanitaria ricorrono alla cosiddetta «migrazione»;
è evidente che la popolazione carceraria non può ricorrere alla «migrazione» per ottenere determinate prestazioni sanitarie, pertanto i controlli dello Stato centrale sul reale funzionamento delle ASL in ambito carcerario dovrebbero essere potenziati;
il servizio di medicina penitenziaria della casa circondariale di Poggioreale-Napoli, ad esempio, presenta, a questo proposito, non pochi punti di criticità, specie riguardo i farmaci per i malati di AIDS;
per i reclusi che sono malati di AIDS, la normativa vigente prevede l'erogazione nominativa dei farmaci retrovirali dopo effettuazione di un day hospital presso l'azienda ospedaliera Cotugno di Napoli;
i suddetti farmaci non sono disponibili per i nuovi reclusi fin quando questi non effettuano il day hospital (che viene subito richiesto ma che prevede un tempo di attesa mediamente di 15/30 giorni); inoltre la terapia retrovirale non può essere erogata ai soggetti che, per motivi

tecnici (impossibilità del nucleo scorta al trasferimento presso l'ospedale) non effettuano il day hospital nella data stabilita per cui non è possibile la continuazione della terapia in quanto, correttamente, l'ospedale non consegna i farmaci senza il controllo propedeutico programmato -:
quali iniziative intenda assumere per garantire un maggiore controllo sull'assistenza sanitaria all'interno degli istituti penitenziari e minorili italiani e, in particolare, se non sia il caso di elaborare, in collaborazione con le regioni, linee di indirizzo in questo ambito finalizzate:
a) a definire l'obbligo di non promiscuità dei malati detenuti in quanto - specie a causa del sovraffollamento delle carceri - si trovano ricoverati nello stesso reparto malati di tubercolosi, di Aids e malati psichici;
b) ad istituire uno specialista che possa prescrivere farmaci all'interno dell'istituto e a prevedere la possibilità di avere una scorta di medicinali da utilizzare per i casi di maggiore necessità;
c) a prevedere una garanzia di continuità terapeudica per i malati detenuti sin dal loro ingresso nel carcere.
(4-06636)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
dal 9o Rapporto del coordinamento nazionale delle associazioni di malati cronici, di cittadinanzattiva emerge un quadro sconfortante costituito da cicli di riabilitazione interrotti o assicurati a singhiozzo per mancanza di fondi; protesi e ausili spesso obsoleti, ottenuti solo dopo lunghe ed estenuanti attese, mentre strumenti più avanzati giacciono nei depositi delle ASL; carrozzine elettroniche negate ai bambini con distrofia muscolare;
i pazienti denunciano la carenza di strutture di riabilitazione specializzate, e pertanto sono costretti a lunghe attese, o a rivolgersi a centri privati pagando di tasca propria, nelle regioni del meridione per esempio, risultano quasi inesistenti le unità spinali, in cui si assistono persone con lesione al midollo spinale di origine traumatica e non; mentre in altri casi la carenza di équipe plurispecialistiche obbliga i malati a fare la spola da un centro all'altro;
per esempio, nella sola regione Campania nel 2009 sono stati sospesi tutti i cicli di riabilitazione e solo dopo le vibrate e ripetute proteste dei cittadini si è tornati ad assicurare le necessarie prestazioni;
il «nuovo patto per la salute» prevede che le regioni a rischio di sforare il bilancio possano adottare provvedimenti come la riduzione da 60 a 45 giorni, della degenza per la riabilitazione, e dunque se sarà necessario un ciclo di due mesi, il malato dovrà pagare i restanti giorni di tasca propria;
come più volte segnalato e denunciato dalla sottoscritta e dall'Associazione Luca Coscioni di cui la sottoscritta è co-presidente, il nomenclatore - ovvero l'elenco ufficiale di ciò che può essere concesso - risale a oltre dieci anni fa; da allora la tecnologia ha fatto enormi passi in avanti, ma i nuovi ausili non sono ancora garantiti dal servizio sanitario nazionale; per esempio, chi soffre di distrofia muscolare non riesce ad ottenere, se non dopo estenuanti battaglie anche legali, né la carrozzina elettronica né ausili informatici come i puntatori ottici per comandare il computer con lo sguardo; e per i malati di sclerosi laterale amiotrofica non sono previsti i comunicatori vocali; che i pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva, con apnee nel sonno, non hanno accesso gratuito alla macchina che garantisce un flusso di aria continuo; per chi soffre di infezioni osteoarticolari non sono riconosciuti sedie a rotelle, letti ortopedici, materassi antidecubito; e non viene assicurato neppure un semplice infila calze per chi ha l'artrite reumatoide e ha grandi difficoltà a vestirsi da solo -:
cosa osti all'aggiornamento del nomenclatore, e cosa si intenda fare perché

finalmente questa incresciosa situazione sia superata e sanata e, in generale, quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, il ministro intenda promuovere, o adottare in ordine a quanto sopra esposto.
(4-06650)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riferisce e il sito greenreport.it, in Italia i Registri tumori - nati oltre trent'anni fa - coprono solo il 33 per cento circa della popolazione ed il «loro carattere volontaristico ha fatto sì che la loro distribuzione geografica non sia uniforme: a fronte di un'ottima presenza nel Centro-Nord, sono scarsi i centri di rilevazione dati al Sud»;
in buona sostanza significa che - come scrive il Corriere della Sera - i dati su «quanti sono i nuovi casi di tumore ogni anno in Italia» e se «l'incidenza aumenta o diminuisce» o «come sono ripartiti i malati e i tipi di cancro nelle varie regioni» sono come minimo da prendere con le molle almeno quando sono riferiti al centro Italia (dove la quota di popolazione coperta da registri tumori è pari al 25.5 per cento) e praticamente sono ai limiti dell'attendibilità per il Sud (16.5 per cento);
ad aggregare i dati dei registri è da trent'anni la banca-dati dell'Associazione italiana registri tumori (Airtum) dalla quale attinge il Ministero della salute per mettere a punto - ci ricorda sempre il Corriere - «i piani di prevenzione, organizzare gli screening per la diagnosi precoce, o programmare i servizi di diagnosi e cura»;
sono statistiche fondamentali, dice il Corsera - «puntualmente aggiornate, utilizzate anche dai ricercatori per condurre studi sulle cause dei tumori e alle quali si ricorre nei casi di emergenze ambientali o di popolazioni a rischio». E il di più è che «ora l'attività dei Registri rischia di fermarsi. II problema è che, pur lavorando con e per il Ministero e le Regioni, sottoscrivendo convenzioni e ricevendo finanziamenti, i registri tumori soffrono dell'assenza di una legge nazionale che li istituisca formalmente e consenta loro di accedere ai dati individuali dei sistemi informativi sanitari (ricoveri ospedalieri, referti di anatomia patologica, archivi di mortalità, cartelle cliniche)»;
ricapitolando i Registri tumori coprono solo un terzo della popolazione italiana, sono a carattere volontaristico, non sono istituiti formalmente per legge e per questo hanno sempre più difficoltà ad accedere ai dati... Facendo una ricerca su internet si scopre inoltre che la notizia in rete l'ha pubblicata per prima Terra sottolineando anche che «Dopo il ddl contenente l'istituzione dei registri di patologia, approvato dal senato all'unanimità nel 2008 e vanificato dalla caduta del governo Prodi, le istituzioni preposte non sono state in grado di affrontare e risolvere il problema»;
questa situazione appare, quindi, drammatica rispetto ad un indicatore socialmente fondamentale, ma anche ambientalmente ed economicamente come quello relativo all'incidenza dei tumori;
se e quali iniziative anche normative, si intendano adottare per estendere l'istituzione del registro tumori su tutto il territorio nazionale, per farne uno strumento utile ed attendibile per chi voglia svolgere la propria attività di Governo della cosa pubblica.
(4-06651)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano Il Piccolo nella sua edizione del 25 marzo 2010, ha pubblicato un articolo del giornalista Claudio Erné, nel quale si riferisce della vicenda di un giovane detenuto rinchiuso da un mese nel carcere triestino; il giovane risulta indagato

per spaccio di droga, ma è anche affetto da sclerosi multipla; il detenuto al momento vede doppio, perché il suo nervo ottico è leso ed è costretto ogni 10-15 minuti a ricorrere al bagno;
il difensore del detenuto, avvocato Sergio Mameli, ha chiesto ai giudici del tribunale del riesame di attenuare o al limite annullare la misura cautelare inflitta al suo assistito. Scopo dell'iniziativa quello di consentire al giovane cittadino sloveno di curarsi adeguatamente e costantemente con un farmaco il cui acquisto costa circa 1.650 euro al mese, interamente a carico dell'amministrazione penitenziaria. Il farmaco si chiama Copexone;
questo è il secondo ricorso che il difensore presenta al Tribunale del riesame. Il primo ha avuto esito negativo: una successiva istanza di liberazione per motivi di salute presentata al Giudice per le indagini preliminari Fabrizio Rigo ha avuto identica risposta, ma il magistrato allo stesso tempo ha disposto che il detenuto fosse sottoposto a perizia medico legale. Il via libera all'accertamento porta la data del 16 marzo, ma fino al 25 marzo almeno nessun medico aveva visitato il giovane;
la situazione appare ancora più grave perché la cura, per tenere sotto controllo il progressivo avanzamento della sclerosi che ha colpito il detenuto, sta creando non pochi problemi alle risicate risorse finanziarie del carcere triestino; quali siano i problemi lo spiega il direttore del carcere, dottor Enrico Sbriglia, nel citato articolo del Piccolo: «Abbiamo l'obbligo non solo morale di salvaguardare la salute delle persone che ci vengono affidate in custodia: ma l'acquisto di questo farmaco rischia di travolgere il capitolo della spesa farmaceutica del carcere, a fine anno andremo in rosso e lo sbilancio dovrà essere ripianato da risorse pubbliche, da denaro dei cittadini. Il carcere a mio giudizio rappresenta l'estrema ratio. Esistono anche altre misure cautelari previste dalla legge. Ad esempio gli arresti domiciliari, dove le spese mediche affrontate dal detenuto non ricadono sulla nostra gestione. Al contrario l'amministrazione penitenziaria paga in pieno le spese di ricovero in ospedale, quando i detenuti-ammalati devono essere piantonati. Un giorni di ricovero in rianimazione costa circa duemila euro e l'Azienda ospedaliera ci manda la fattura. Lo ripeto: il diritto alla salute del detenuto o vogliamo e lo dobbiamo tutelare»;
a detta dell'avvocato del detenuto, «finora il mio assistito ha potuto essere curato perché la moglie gli ha fatto recapitare in carcere la scatola con il farmaco che già usava a casa. Ma la scatola che contiene 28 fiale di Copexone, presto sarà vuota e non è certo che l'amministrazione ne comprerà subito un'altra, visto anche il prezzo di vendita. Ecco il motivo per cui ho chiesto la scarcerazione o una misura alternativa al carcere del mio assistito che peraltro risulta incensurato;
va aggiunto che tra esigenze di sicurezza e diritto alla salute, in passato nel corso di altre detenzioni cautelari, la Cassazione non aveva avuto dubbi e aveva consentito l'effettivo e completo esercizio del diritto di curarsi -:
quali iniziative di competenza, nel rispetto delle decisioni che riterrà di assumere la magistratura, si intendano, adottare perché il diritto alla salute del citato detenuto sia tutelato e salvaguardato, come peraltro la Costituzione prevede e prescrive.
(4-06653)

LORENZIN, DE NICHILO RIZZOLI, CECCACCI RUBINO, PISO, DI VIRGILIO, MARSILIO, MARIAROSARIA ROSSI, SAMMARCO, CALABRIA, VENTUCCI, GIULIO MARINI, IANNARILLI e ARACRI. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
secondo indiscrezioni riportate sul quotidiano Il Messaggero del 22 marzo la Guardia di finanza avrebbe accertato nella regione Lazio un danno erariale pari a

243.595.674,13 euro derivante dalla mancata attuazione degli sconti previsti per legge su alcune categorie di prodotti farmaceutici;
le Fiamme gialle avrebbero, in particolare, accertato inadempienze nell'attuazione della legge n. 405 del 2001 e della delibera regionale n. 425 del 2006 in tutte le aziende sanitarie locali di Roma e provincia di Roma. In particolare, viene addebitata alle direzioni generali la responsabilità di aver rinunciato, senza motivo, alla possibilità di ottenere gli sconti previsti dalla legge per i cosiddetti farmaci «salva vita»;
i benefici previsti dalle disposizioni sopra richiamate ammontano a circa il 50 per cento del prezzo al pubblico e l'elenco dei farmaci per i quali si attuano gli sconti è predisposto dall'AIFA (Agenzia italiana del farmaco);
l'inchiesta appare al momento circoscritta alle aziende sanitarie locali di Roma ed è purtroppo ragionevole supporre che, qualora venisse estesa all'intera regione, il danno erariale supererebbe i 300 milioni di euro;
la vicenda si è consumata in una regione sotto commissariamento nella quale, a causa del deficit sanitario, insiste sui contribuenti la massima pressione fiscale esercitabile per mezzo delle addizionali regionali IRAP e IRPEF, oltre a diffuse forme di compartecipazione alla spesa attuate, ad esempio, con il ticket. Sono queste circostanze che rendono particolarmente inaccettabile a quanto risulta dalle notizie sopra riferite che hanno comportato spese dei contribuenti per oltre 243 milioni di euro finiti alle industrie farmaceutiche -:
se dagli atti depositati risulti che le decisioni ricordate in premessa siano passate al vaglio delle strutture di controllo ministeriale titolari dei poteri in merito al rientro del deficit sanitari e in caso contrario se non si ritenga necessario, pro futuro, valutare l'opportunità di includere i controlli statali su queste scelte tra i poteri delle suddette strutture;
nel caso nel quale tali decisioni siano state vagliate dalle citate strutture se sia stata inoltrata un'apposita segnalazione alla procura della Corte dei conti e in caso contrario per quali ragioni.
(4-06656)

MARAN. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il Propecia è un farmaco. Ciascuna compressa contiene 1 milligrammo del principio attivo finasteride;
la finasteride, approvata nel 1992 per l'uso negli uomini con ipertrofia prostatica benigna o con cancro alla prostata a un dosaggio di 5 milligrammi al giorno è stata poi commercializzata nel 1997 come trattamento per la calvizie maschile (alopecia androgenica) a 1 milligrammo al giorno;
la compagnia farmaceutica che produce la finasteride (Merck Sharpe & Dhome) aveva scoperto che molti uomini in cura con il Proscar (finasteride 5 milligrammi) per problemi prostatici sperimentavano una riduzione della caduta dei capelli e una loro ricrescita. Decise dunque, dopo aver condotto un test clinico di breve periodo nel 1990, di immettere il farmaco sul mercato come rimedio per l'alopecia androgenica sotto il nome commerciale di «Propecia», un prodotto con una quantità ridotta (1 milligrammo) del principio attivo;
e in Italia il Propecia è disponibile ai consumatori da più di dieci anni;
attualmente la compagnia Merck dichiara che circa 500.000 consumatori nel mondo utilizzano Propecia per trattare l'alopecia androgenica;
gran parte della comunità medica italiana e mondiale concorda con l'azienda produttrice e con le informazioni ufficialmente note sul prodotto nel considerare il Propecia come un farmaco ad elevato profilo di sicurezza, i cui possibili effetti collaterali, nei casi presumibilmente rari in cui si manifestano, scompaiono con la cessazione dell'uso;

diversi medici nel mondo, tuttavia, non sono concordi sul pubblicizzato profilo di sicurezza del Propecia e, in alcuni casi, sostengono apertamente di essersi imbattuti in numerosi pazienti, che, dopo averne iniziato e poi sospeso l'uso, soffrono di una «sindrome post-finasteride», caratterizzata da gravi sintomatologie persistenti sulla sfera sessuale, fisica, neurologica e mentale direttamente imputabili all'assunzione del farmaco;
esiste il sito internet www.propeciahelp.com, un forum di discussione virtuale di uomini con diverse età e nazionalità che, dopo aver assunto finasteride (Propecia, Proscar o altri prodotti generici) per periodi di tempo variabili, hanno sperimentato effetti collaterali durante il trattamento e, pur avendo poi sospeso l'uso del farmaco, continuano a soffrire nei mesi e negli anni di reazioni avverse persistenti sulla loro salute sessuale, fisica, nervosa e mentale;
attualmente (marzo 2010) più di 1.500 membri aderiscono al sito web www.propeciahelp.com e le iscrizioni stanno aumentando con una velocità di quasi 50 unità al mese. Se si considera il fatto che non ogni individuo:
dispone di un computer;
sa accedere a internet e navigarvi;
è capace di scoprire l'esistenza di un forum di discussione virtuale e ad esso registrarsi;
conosce l'inglese, lingua ufficialmente utilizzata nel forum;
ha la pazienza e la disponibilità di discutere i propri problemi privati di salute online, allora è assai verosimile che un numero molto più elevato di soggetti stia soffrendo silenziosamente della sindrome post-finasteride in Italia e nel mondo;
nelle sezioni Finasteride Studies e Other Studies del sito web www.propeciahelp.com sono riportati i risultati di studi e ricerche ufficiali e di pubblicazioni su riviste mediche che dimostrano, con metodo scientifico, la pericolosa correlazione tra l'uso di finasteride e la perdita o diminuzione di numerose funzioni endocrine, cerebrali e nervose, essenziali per il mantenimento dell'integrità sessuale, fisica e mentale dell'uomo;
nelle varie sezioni del sito web www.propeciahelp.com si possono rinvenire numerose testimonianze di ex consumatori di Propecia che, soffrendo di persistenti reazioni avverse al farmaco, hanno intrapreso terapie ormonali sostitutive su prescrizione medica con esiti inefficaci nel ristabilire il loro normale stato di salute;
giovani italiani hanno inviato all'AIFA (Agenzia italiana del farmaco) e ai responsabili di farmacovigilanza delle loro aziende sanitarie locali di riferimento moduli di comunicazione degli effetti indesiderati che documentano il persistere di gravi reazioni avverse al Propecia (sessuali, fisiche, neurologiche e mentali) a distanza di molti mesi o di anni dall'interruzione dell'uso;
medici italiani hanno inviato all'AlFA relazioni cliniche nelle quali descrivono le debilitanti condizioni di salute di ex consumatori del Propecia, connotate da sintomatologie persistenti sotto il profilo sessuale, fisico, nervoso e mentale;
tali sintomatologie sono paragonabili a quelle esplicitamente riportate nelle storie dei membri iscritti al forum www.propeciahelp.com, sofferenti a diversi livelli di gravi e persistenti reazioni avverse di tipo:
a) sessuale (perdita totale della libido e del desiderio; difficoltà di erezione o completa impotenza; cambiamenti nel tessuto, nelle dimensioni, nell'irrorazione e nella curvatura del pene; dolore e diminuzione del volume testicolare; anestesia e insensibilità dei genitali; scarsa quantità dell'eiaculato; anorgasmia);
b) pelvico-prostatico (dolore alla prostata; prostatiti croniche; perdita di volume e parestesia perineale; getto sottile e debole delle urine);

c) fisico e neurologico (spossatezza, debolezza e affaticamento cronico; ginecomastia; secchezza cutanea; dolori, atrofie, contrazioni e spasmi muscolari; palpitazioni cardiache; tremori, fremiti, irrequietezza motoria e agitazione; dolenze alle articolazioni);
d) mentale (difficoltà di percezione, concentrazione e messa a fuoco; deperimento cognitivo, di memoria e di linguaggio; ansia estrema, attacchi di panico e depressione; appiattimento emotivo; disturbi del sonno; confusione, obnubilamento e disorientamento; perdita di aggressività; fotosensibilità alla luce del sole);
la comunità medica non ha finora formulato né una specifica diagnosi, né terapie in grado di riconoscere o risolvere tali sintomi. Stando ai vissuti riportati dalle persone sofferenti, li attribuisce a improbabili reazioni psicosomatiche, oppure si attiene alle rassicurazioni del produttore farmaceutico - evidentemente non sempre verosimili - riguardo alla risoluzione spontanea degli effetti collaterali del Propecia dopo la sospensione dell'uso;
la George Washington University - Medical Faculty Associates di Washington (Pennsylvania, USA) ha finanziato e avviato, nei primi mesi del 2010, uno studio clinico mirato a reperire nuove conoscenze per dottori e pazienti in merito ai possibili effetti collaterali persistenti associati all'uso di Propecia;
la scomparsa delle reazioni avverse alla finasteride con l'interruzione dell'uso - a tutt'oggi conclamata dall'azienda produttrice e dal foglio illustrativo del Propecia - può talora non verificarsi, tant'è vero che nel 2009, dopo alcune indagini sul profilo di sicurezza del farmaco, l'Agenzia svedese dei medicinali ha imposto alla Merck Sharpe & Dhome di aggiungere, nella lista delle avvertenze e dei possibili effetti indesiderati, i rischi di cancro al seno maschile, infertilità e persistente difficoltà a ottenere un'erezione dopo la cessazione del trattamento;
nel 2009 la MHRA - Medicines and Healthcare products Regulatory Agency del Governo del Regno Unito, omologa britannica dell'AIFA, ha pubblicato due rapporti di valutazione sull'uso di finasteride e, alla luce dei risultati, ha aggiornato il foglio informativo del Propecia, inserendo tra i possibili effetti indesiderati i rischi di cancro al seno maschile, infertilità e persistente difficoltà
a ottenere un'erezione dopo la cessazione del trattamento;
la legislazione italiana considera la perdita della capacità di procreare, intesa come inabilità ad effettuare il coito o la fecondazione, un danno biologico e relazionale al diritto del soggetto di autodeterminarsi in ordine alla riproduzione e dunque di farsi una famiglia, quale società naturale e forma primaria di convivenza umana;
la compagnia Merck è stata ed è tuttora al centro di vicende legali e di accuse dalla Comunità medica americana per inganno promozionale, frode scientifica e incompleta informazione riguardo ai devastanti danni alla salute del farmaco antinfiammatorio Vioxx, lanciato sul mercato e poi ritirato dalla stessa compagnia nel 2004 a causa dell'alto numero di decessi, infarti miocardici e ictus correlati al suo uso -:
quali specifiche iniziative intenda assumere il Ministro per proteggere i consumatori italiani dai gravi rischi connessi all'uso di Propecia che sono già stati riconosciuti dagli organismi preposti della Svezia e del Regno Unito (cancro al seno maschile, infertilità e persistenza del deficit erettile dopo la cessazione del trattamento);
quali specifiche iniziative intenda assumere il Ministro per proteggere i consumatori italiani dai non ancora resi noti e pur tuttavia possibili effetti collaterali persistenti del Propecia sulla salute sessuale, fisica, nervosa e mentale dei giovani, documentati nelle relazioni mediche e nei moduli di segnalazione pervenuti all'AlFA e alle aziende sanitarie locali di competenza;
se il Ministro non ritenga di assumere iniziative, anche per il tramite dell'Agenzia

italiana del farmaco o di altre istituzioni competenti, al fine di avviare, in linea con le iniziative già intraprese negli Stati Uniti, ricerche finalizzate a individuare e diagnosticare i casi dei giovani sofferenti della sindrome post-finasteride e a determinare adeguate cure e terapie;
se il Ministro non ritenga di adottare ogni utile iniziativa affinché sia valutata, alla luce delle informazioni disponibili, la possibilità di far ritirare il farmaco Propecia dal mercato italiano, finché le cause fondamentali delle patologie che esso può ingenerare e le relative soluzioni per prevenirle o curarle non vengano individuate, anche in considerazione del rapporto tra la gravità di tali patologie e la finalità meramente estetica del prodotto;
se il Ministro intenda promuovere appropriati cambiamenti normativi e/o informativi, affinché il produttore farmaceutico del Propecia (Merck Sharpe & Dhome) risponda delle mancate avvertenze sui rischi di reazioni avverse persistenti - non solo sessuali, ma anche fisiche e neuropsichiatriche - e i consumatori possano prendere una decisione a partire da una conoscenza degli stessi.
(4-06664)

...

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta immediata:

COMPAGNON, VIETTI, ANNA TERESA FORMISANO, PEZZOTTA, RUGGERI, CICCANTI, VOLONTÈ, NARO, LIBÈ, GALLETTI, OCCHIUTO, MEREU e RAO - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
secondo il portale dell'Osservatorio dei prezzi e delle tariffe del ministero dello sviluppo economico, al 1o marzo 2010, il prezzo al consumo della benzina verde raggiungeva 1,333 al litro, per aumentare a 1,352 appena l'8 marzo 2010;
nelle ultime settimane, il prezzo industriale della benzina senza piombo ha continuato a lievitare in modo costante, fissandosi attualmente intorno ad una media di 1,40 euro al litro, con punte di 1,42-1,43, pari ad un incremento di circa il 10 per cento rispetto a gennaio 2010;
da tempo e da più parti è stato stigmatizzato il comportamento delle compagnie petrolifere che aumentano i prezzi dei carburanti a loro insindacabile discrezione, a prescindere dal prezzo al barile e dalle sue fluttuazioni, soprattutto in occasione dei grandi esodi estivi, natalizi e pasquali;
secondo i dati monitorati dalla Commissione europea, in Italia il prezzo industriale medio della benzina, al netto delle imposte, è pari a 0,583 euro al litro, contro una media nei Paesi dell'Unione europea di 0,539 euro al litro: lo stacco speculativo è aumentato raggiungendo la quota 4,4 centesimi e lo stesso dicasi per il gasolio, il cui prezzo medio industriale italiano si attesta a 0,577 euro al litro, contro una media nei Paesi dell'Unione europea dei 16 di 0,540 euro, con un differenziale di più 3,7 centesimi al litro;
questo, secondo le principali associazioni dei consumatori, si traduce per gli automobilisti italiani in un differenziale maggiorato di più 2,2 euro a pieno (50 litri) per la benzina e di 1,85 euro in più per un pieno di gasolio, che, rapportato ad un consumo medio annuo di 1.500 litri, comporta un maggior esborso su base annua pari a 330 euro per le auto a benzina e 277,5 euro per quelle a gasolio ed un corrispondente introito a favore dei petrolieri di almeno 2 miliardi di euro in più del dovuto (1,2 miliardi di euro per il gasolio, 800 milioni per la benzina);
questo esborso aggiuntivo per le famiglie italiane va ad aggiungersi alla «stangata» prevista per il 2010 dovuta ai rincari di prezzi e tariffe, in particolare delle bollette del gas, delle assicurazioni, delle autostrade, dei treni ed anche dei servizi bancari e delle rate dei mutui che

porteranno a maggiori spese per 761 euro, secondo il calcolo fatto da Adusbef e dalla Federconsumatori -:
se non ritenga di adottare iniziative volte a predisporre una sorveglianza più attenta sui prezzi delle benzine, prevedendo anche la fissazione di listini su base mensile, come già accade per altri beni sensibili, come luce e gas, fissati trimestralmente dalle rispettive autorità, al fine di evitare in questo periodo di crisi economica un aggravio dei bilanci delle famiglie e dell'intero ciclo produttivo delle piccole e medie imprese, per le quali il costo del carburante rischia di essere un ulteriore elemento determinante nel causare il blocco delle attività.
(3-00992)

Interrogazione a risposta orale:

COMPAGNON. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
secondo il portale dell'Osservatorio dei prezzi e delle tariffe del Ministero dello sviluppo economico, al 1o marzo 2010, il prezzo al consumo della benzina verde raggiungeva 1,333 al litro, per aumentare a 1,352 appena l'8 marzo;
nelle ultime settimane, il prezzo industriale della benzina senza piombo ha continuato a lievitare in modo costante, fissandosi attualmente intorno ad una media di 1,40 euro al litro, con punte di 1,42-1,43, pari ad un incremento di circa il 10 per cento rispetto a gennaio 2010;
tale incremento risulta inspiegabile, considerata la debolezza del prezzo del petrolio (scivolato sotto gli 81 dollari al barile e sostanzialmente invariato da mesi), anche alla luce del cambio euro/dollaro e del differenziale, ormai divenuto strutturale, di 4 centesimi in più dei prezzi dei carburanti in Italia rispetto a quelli dei Paesi dell'Unione europea;
elevati prezzi al consumo inducono numerosi cittadini italiani residenti in comuni contigui al confine sloveno, tra i quali Trieste e Gorizia, a fare rifornimento nella vicina Repubblica Slovena, ove il prezzo al consumo della benzina verde è stabile a 1,173 euro al litro;
il Governo Prodi, con la legge finanziaria 2008, ha abrogato le agevolazioni fiscali in materia di riduzione di accise previste dal comma 16 dell'articolo 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, a favore della regione autonoma Friuli Venezia Giulia;
con l'articolo 2-ter del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito dalla legge n. 189 del 4 dicembre 2008 recante «Disposizioni urgenti per il contenimento della spesa sanitaria e in materia di regolazioni contabili con le autonomie locali» ed attuato dal decreto ministeriale 25 febbraio 2009, il Governo Berlusconi introduceva a favore delle regioni confinanti con la Svizzera (Lombardia e Piemonte) un trattamento fiscale di favore, sia pure nel rispetto della normativa comunitaria, volto a ridurre il prezzo alla pompa delle benzine utilizzate dai privati cittadini residenti nelle suddette regioni per consumi personali, in modo tale da garantire che il prezzo non fosse inferiore a quello praticato nel territorio elvetico -:
se non ritenga di assumere iniziative normative volte a ripristinare le agevolazioni fiscali in materia di riduzione di accise previste dal comma 16 dell'articolo 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, e successive modificazioni, abrogato dall'articolo 1, comma 185 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008);
se non ritenga di predisporre nuove iniziative normative volte a ridurre il prezzo dei carburanti nelle aree confinanti con la Repubblica Slovena, in analogia con le disposizioni già adottate con l'articolo 2-ter del succitato decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito dalla legge n. 189 del 4 dicembre 2008, al fine di diminuire la concorrenzialità delle rivendite di carburanti situate nel territorio sloveno;

quali iniziative concrete e tempestive intenda adottare per proteggere i consumatori italiani da aumenti ingiustificati del prezzo dei prodotti energetici praticati dalle compagnie petrolifere, in particolare agendo sul peso delle vecchie accise ed introducendo più trasparenza nel settore dei carburanti.
(3-00986)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

SCHIRRU, CALVISI, PES, MARROCU, MELIS, FADDA e ARTURO MARIO LUIGI PARISI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
a seguito della comunicazione aziendale fornita ai lavoratori del contact center di Cagliari da parte di Poste italiane, circa l'ipotesi di chiusura dell'attività del centro pilota a seguito della ristrutturazione del comparto a livello nazionale, risulta che le decisioni intraprese da Poste italiane stiano avvenendo in modo unilaterale, senza concordare le modalità ed i percorsi con le parti sociali;
il contact center di Cagliari fornisce un'indispensabile servizio ai clienti e vanta livelli qualitativi e di produzione di tutta eccellenza a livello nazionale, essendo punto di riferimento per tutte le attività finora assunte e per l'implementazione di nuovi servizi;
il sito di Cagliari è l'unico dei quattro siti proposti per la chiusura che si occupa di un servizio di assistenza agli uffici postali. La chiusura dell'attività coinvolgerebbe anche il servizio meccanografico postale, il centro amministrativo e contabile con la conseguente perdita di decine di posti di lavoro;
a fronte di differenti scelte che sinora si sono attuate in altri siti d'Italia, la motivazione di tale scelta per l'aggravio dei costi di gestione appare parziale ed alquanto riduttiva, soprattutto laddove si consideri che il centro cagliaritano risulta fra i primi in campo nazionale per gli obbiettivi raggiunti volti a soddisfare il servizio per i clienti, con alti livelli di produttività;
la Sardegna sta vivendo una drammatica crisi occupazionale, aggravata da un progressivo abbandono di tutte le realtà produttive ed industriali presenti nell'isola e perciò non può permettersi la cancellazione di ulteriori posti di lavoro per scelte aziendali secondo gli interroganti sbagliate da parte di Poste Italiane -:
quali iniziative si intendano intraprendere per scongiurare l'ulteriore perdita di decine di posti di lavoro in Sardegna;
se non ritengano opportuno concordare con le parti sociali l'immediata sospensione di tutte le azioni intraprese da Poste italiane sul contact center di Cagliari, al fine di tutelare tutte le attività altamente qualificate ed evitando che queste vengano trasferite in altre regioni d'Italia.
(5-02687)

MARCHIONI, MARIANI e BRATTI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il decreto emanato dal Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 19 febbraio 2007, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 23 febbraio 2007, che dà nuova attuazione a quanto disposto dal decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che reca a sua volta attuazione della direttiva 2001/77/CE, relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità, definisce fra l'altro i vari tipi di impianti fotovoltaici, i requisiti dei soggetti che possono beneficiare delle tariffe incentivanti e le procedure per l'accesso alle tariffe incentivanti;
le linee guida per le connessioni alla rete elettrica di Enel distribuzione pubblicate nel dicembre 2009 indicano i tempi

ed i costi richiesti da Enel per la preventivazione e la realizzazione delle connessioni degli impianti di produzione di energia, tra cui gli impianti fotovoltaici;
in base ai tempi indicati nella guida Enel (o TICA) si va da un minimo di 20 giorni per il preventivo più 30 giorni per l'allaccio, quindi un totale di 50 giorni lavorativi, che tradotti in tempo reale sono quasi due mesi e mezzo, per un semplice impianto da 3 kW sulla propria abitazione che richiede solamente l'installazione di un contatore;
si arriva a 60 giorni per il preventivo e 90 giorni o oltre per la realizzazione della connessione se la linea supera il km, per un totale di 150 giorni lavorativi, che corrispondono ad oltre sette mesi;
a questi tempi si aggiungono gli ulteriori giorni (o meglio mesi) necessari per ottenere eventuali permessi per costruire e per autorizzazioni provinciali o regionali (valutazione di impatto ambientale: VIA). I tempi relativi al VIA sono di 90 giorni per valutare se l'intervento è assoggettabile alla procedura di VIA (screening); qualora lo fosse i tempi di espletamento della procedura assumono valori ben più elevati dei 90 giorni necessari allo screening;
l'utente deve pagare, oltre alla richiesta di preventivo, il 30 per cento del costo delle opere Enel all'accettazione del preventivo e pagare il saldo quando, eseguite le opere che Enel prescrive a carico dell'utente, viene richiesto l'allaccio, momento in cui cominciano a trascorrere i giorni lavorativi sopra indicati;
gli oneri di allaccio richiesti da Enel possono raggiungere anche alcune decine di migliaia di euro, la richiesta di pagamento praticamente anticipato, produce un ulteriore carico finanziario in capo all'utente. Se poi a tutto ciò si aggiunge il fatto che i materiali necessari per realizzare la parte fotovoltaica dell'impianto di produzione, vanno anch'essi pagati in anticipo e per impianti grandi le cifre raggiungono le centinaia di migliaia di euro (e oltre), a giudizio dell'interrogante l'impegno finanziario richiesto rapportato alla dilatazione dei tempi è tale da demotivare gli utenti a iniziare la procedura per la costruzione degli impianti;
vanno considerati per contro, a giudizio degli interroganti, i grandi vantaggi della più ampia diffusione degli impianti fotovoltaici non solo dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista economico: infatti attorno al fotovoltaico si muove un'economia molto vivace, forse una delle poche che ancora non ha subito i colpi della crisi economica e, cosa non da poco, distribuita fra tante piccole aziende, permettendo in questo modo una sana competizione e concorrenza;
il decreto legislativo n. 387 del 2003, all'articolo 12, comma 1, recita: «Le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli stessi impianti, autorizzate ai sensi del comma 3, sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti -:
se ritenga che i tempi per gli allacciamenti indicati dalle disposizioni vigenti rispondano al requisito dell'urgenza di cui al decreto legislativo succitato;
quali iniziative intenda adottare al fine di ridurre i tempi previsti, rendendo più accessibile in tal modo la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare.
(5-02690)

TULLO, ANDREA ORLANDO, ROSSA e ZUNINO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nella regione Liguria operano nel settore del commercio ambulante circa 5.000 imprese, che occupano oltre 15.000 addetti, per lo più impiegando il nucleo familiare;
vi è una specificità del nostro Paese che vede nell'attività del commercio ambulante una tradizione, che, oltre ad essere fonte di sostentamento per un'ampia categoria di lavoratori, è elemento da

sempre di risparmio da parte dei consumatori, oltre che di animazione e controllo del territorio, con occupazioni talvolta quotidiane, bisettimanali, delle piazze e delle vie;
durante l'esame dello schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, atto n. 171, da parte delle Commissioni riunite X (Attività produttive) e II (Giustizia) il gruppo del PD aveva presentato una propria proposta di parere che prevedeva una serie di condizioni, tra cui la soppressione dei commi 1 e 2 dell'articolo 69, che prevedono l'estensione a società di capitali o cooperative della possibilità di esercizio del commercio al dettaglio su aree pubbliche al fine di evitare che gruppi economici con rilevanti disponibilità di capitali possano falsare totalmente l'essenza di tale servizio connesso alla tradizione e alla storia delle nostre città;
è di questi giorni una forte mobilitazione da parte di molti operatori che, legittimamente preoccupati per il destino delle loro attività e del loro reddito, chiedono certezze per il futuro al Governo e alla politica -:
quali misure si intendano adottare al fine di rassicurare queste imprese e questi lavoratori.
(5-02693)

Interrogazione a risposta scritta:

EVANGELISTI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la legge n. 28 del 2000 consente alle tv locali la trasmissione di messaggi politici autogestiti a titolo gratuito per la presentazione non in contraddittorio di liste e programmi negli ultimi 30 giorni di campagna elettorale (articolo 4, comma 3);
la quantificazione del rimborso dovuto per ciascun messaggio trasmesso, la somma complessiva annualmente stanziata e il riparto di quest'ultimo tra le regioni e le province autonome devono essere definiti entro il 31 gennaio di ogni anno con decreto del Ministro delle comunicazioni (ora Ministero dello sviluppo economico) di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica (ora Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 4, comma 5, della legge n. 28 del 2000);
a tutt'oggi, non risulta emanato il decreto ministeriale concernente gli stanziamenti assegnati alle regioni e province autonome per il rimborso dei MAG (messaggi autogestiti gratuiti) trasmessi dalle emittenti radiofoniche e televisive locali nel corso della campagna elettorale 2010, nonché la quantificazione del rimborso dovuto per ciascun messaggio;
ciò avviene successivamente all'interruzione del finanziamento alle emittenti locali, attuato con la recentissima approvazione del decreto-legge cosiddetto «mille proroghe», che a sua volta segue i tagli del 20 per cento già subìti dal comparto, mettendo a repentaglio la sopravvivenza e la funzione, preziosa ed insostituibile, di centinaia di testate dell'emittenza locale libera ed indipendente;
i Corecom (Comitati regionali per le comunicazioni) hanno regolarmente raccolto le adesioni delle emittenti radiotelevisive locali alla trasmissione dei MAG, come risulta dagli elenchi pubblicato sul sito dell'autorità per le garanzie nelle comunicazioni, e le relative richieste dei soggetti politici, non potendo però autorizzare la messa in onda dei MAG non avendo conoscenza della quota di messaggi rimborsabili alle emittenti;
anche il Coordinamento nazionale dei Corecom ha da tempo sollecitato il finanziamento al Ministero dello sviluppo economico senza avere finora ottenuto risposta;
ad avviso dell'interrogante, l'incertezza del finanziamento assume una valenza ancora più grave della certezza di un

taglio delle risorse, che avviene nel corso di una campagna elettorale, violando lo spirito della legge sulla par condicio -:
se e con quali strumenti intenda adempiere tempestivamente al dettato della legge in materia di rimborso all'emittenza locale.
(4-06626)

...

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Ria n. 4-05834, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 gennaio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ruggeri;

l'interrogazione a risposta scritta Aracri e altri n. 4-06074, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 febbraio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Barbaro;

l'interrogazione a risposta in Commissione Lovelli e altri n. 5-02617, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 marzo 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Amici;

l'interrogazione a risposta scritta Marinello e altri n. 4-06488, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 marzo 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Minasso;

l'interrogazione a risposta scritta Siragusa n. 4-06527, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 marzo 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Villecco Calipari.

Pubblicazione di un testo riformulato.

Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta in Commissione Zamparutti n. 5-02661, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 299 del 16 marzo 2010.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per il turismo. - Per sapere - premesso che:
lunedì 28 dicembre 2009 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il bando di gara con cui l'Anas affiderà i lavori di allargamento della statale Maglie-Leuca;
il progetto riguarda l'ammodernamento del tratto stradale da Maglie fino a Montesano Salentino, per il rettilineo che va dal chilometro 981,700 della strada statale 16 al chilometro 985,386 prima dell'ingresso a Montesano. Questa arteria sarà oggetto di allargamento, mentre sarà realizzato ex novo il tratto lungo 37 chilometri fino a Leuca bypassando i centri di Montesano, Tricase, Alessano, Gagliano e Castrignano del Capo con la costruzione di un viadotto a San Dana, necessario per scavalcare l'ultima propaggine delle serre salentine e la strada ferroviaria gestita dalle Ferrovie del sud est;
la sua realizzazione comporterà la costruzione di un viadotto di mezzo chilometro con tredici coppie di piloni alti nove metri e una galleria di 70 metri. Ma soprattutto, proprio sotto il santuario di Santa Maria di Leuca dove approdò l'apostolo Pietro dalla Palestina, una gigantesca rotatoria di 450 metri di diametro, estesa su una superficie pari a 23 campi di calcio. Per far posto a questo nastro d'asfalto, con svincoli degni delle freeway californiane per paesini come Alessano, Tiggiano e Corsano, saranno sradicati tremila ulivi secolari;
l'ammodernamento e il prolungamento vennero inseriti tra le previsioni programmatiche delle infrastrutture strategiche, individuate dalla delibera del Cipe 121 del 21 dicembre 2001; successivamente, nella conferenza dei servizi del 15 marzo 2006, indetta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti relativa al progetto definitivo, tra i Comuni partecipanti, quelli di Tricase e di Alessano non hanno espresso parere favorevole;

inoltre, la Regione Puglia ha modificato la propria posizione poiché con la delibera n. 102 del 15 febbraio 2007 si è espressa in un primo tempo a favore di una soluzione progettuale che prevedeva il raddoppio a quattro corsie della strada statale n. 275 solo per il tratto Maglie-Montesano Salentino, mentre da Montesano Salentino fino a Santa Maria di Leuco prevedeva soltanto la messa in sicurezza e la sistemazione della preesistente sede stradale a due corsie. Successivamente, con deliberazione della giunta regionale del 19 giugno 2007 (n. 965), la Regione si è espressa a favore invece dell'ampliamento a quattro corsie da Maglie sino all'intersezione con la strada provinciale 210 (la frazione di San Dana) con l'adeguamento e la messa in sicurezza della viabilità esistente da tale a intersezione fino a Santa Maria di Leuca;
il 31 luglio 2009, il Comitato interministeriale per la programmazione economica ha rifinanziato la strada con 135 milioni di euro prelevati dai fondi Fas 2007-2013, senza però tenere conto della diversa disposizione della Regione Puglia, nonostante gli articoli 166 e 165 del decreto legislativo 163 del 2006 impongano al Cipe di approvare un progetto preliminare con il consenso delle Regioni e sentiti i pareri dei sindaci dove si realizzerà l'opera;
peraltro nel bando di gara dell'Anas pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 28 dicembre 2009, alla sezione VI punto 3 lettera h) si legge «L'aggiudicazione definitiva dell'appalto rimane subordinata all'efficacia del disciplinare stipulato con la Regione Puglia e della delibera CIPE di approvazione del Progetto in parola. L'aggiudicazione definitiva, subordinata altresì al concretizzarsi di tutti i presupposti, di qualsivoglia natura ivi compresi quelli connessi al totale finanziamento dell'appalto, di legge, di regolamento e del procedimento concorsuale propedeutici all'espletamento della prestazione, non è impegnativa per L'Anas Spa e non dà diritto alla formalizzazione del contratto od a qualsivoglia rivendicazione, pretesa, aspettativa o richiesta di sorta da parte dei concorrenti, e dell'aggiudicatario»;
l'ampliamento della statale n. 275 è un progetto vecchio. I primi progetti risalgono a più di vent'anni fa, quando il presidente della regione era Salvatore Fitto, padre di Raffaele, attuale Ministro degli affari regionali del Pdl, Salentino di Maglie, da dove la superstrada dovrebbe partire, e che risulta essere stato il principale sponsor dell'opera battendosi nel Governo per sbloccarla, dopo anni di discussioni, progetti, valutazioni ambientali, tavoli ministeriali;
tra le ragioni addotte nel tempo a sostegno dell'opera vi sarebbe, oltre la sicurezza, la necessità di servire un territorio industrializzato;
tale necessità risulta però superata avendo la crisi economica fortemente indebolito l'industrializzazione mentre si è assistito ad un incremento del turismo proprio in considerazione della bellezza paesaggistica di questa zona;
è ormai assodato che per ragioni ambientali occorre riconcepire le opere infrastrutturali al fine di contenere e ridurre il trasporto su gomma verso altre forme come quello su rotaia; pendono innanzi al TAR ricorsi in merito alla realizzazione dell'opera e movimenti ambientalisti, sostenuti da esponenti del mondo della cultura e dell'arte, chiedono la sospensione di tale progetto;
le esigenze di sicurezza, potrebbero essere soddisfatte con un'opera meno invasiva nella zona più suggestiva e incontaminata del Salento, mentre quelle legate ad un eventuale sviluppo industriale dovrebbero essere soddisfatte attraverso infrastrutture alternative al trasporto su gomma -:
se non ritengano i Ministri interrogati di ascoltare ed accogliere le richieste del mondo ambientalista ed intellettuale che si oppongono alla realizzazione del progetto nei termini sopra descritti;

se non ritengano i Ministri interrogati che, anche per tutelare lo fiorente attività turistica, si debba rivedere l'originario progetto di ampliamento della statale n. 275 alla luce delle delibere adottate dalla Regione Puglia;
quali misure intendano adottare per evitare che pilastri di cemento distruggano un pezzo di paradiso naturale salentino;
per quali ragioni è consentito all'Anas indire bandi di gara con formule da cui si evince che non vi è ancora certezza sull'efficacia del disciplinare stipulato con la Regione Puglia e della delibera CIPE di approvazione del Progetto in parola e sull'effettiva concretizzazione del totale finanziamento dell'appalto. (5-02661)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta in Commissione Fedriga n. 5-01583 del 1o luglio 2009.
interrogazione a risposta scritta Zamparutti n. 4-04377 del 30 settembre 2009.

Ritiro di una firma da una interrogazione.

Interrogazione a risposta scritta Laratta e altri n. 4-06272, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 febbraio 2010: è stata ritirata la firma del deputato Andrea Orlando.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA

BECCALOSSI, MORONI, VOLPI, CAPARINI e ROMELE. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
venerdì 8 e sabato 9 maggio 2009 si dovevano presentare presso le Corti d'Appello le liste per le elezioni provinciali. In previsione di questa scadenza era stato inviata a tutti gli uffici elettorali presso le Corti d'Appello una disposizione ministeriale che prevedeva i seguenti orari di apertura: venerdì dalle 8.00 alle 20.00, sabato dalle 8.00 alle 12.00;
in evidente contrasto con le disposizioni ministeriali la Corte d'Appello di Brescia, venerdì 8 maggio ha tenuto aperti gli uffici solo dalle ore 8.45 alle ore 16.00;
è stato informato il Prefetto Vicario, dottor Visconti, che ha provveduto ad avvisare i vigili urbani di Brescia, i quali hanno accertato, con relativo verbale, l'effettiva chiusura degli uffici fin dalle ore 16.00 di venerdì 8;
evidenti sono stati i disagi e le preoccupazioni per gli addetti alla presentazione delle liste che si sono trovati, senza alcuna spiegazione, chiusi fuori dagli uffici dai responsabili della Corte d'Appello di Brescia, anche perché ogni tentativo di parlare nella giornata di venerdì 8 con il giudice responsabile della Corte d'Appello, anche da parte del Prefetto Vicario, è risultato vano;
si tratta di un fatto estremamente grave in quanto, specie in una fase delicata come quella elettorale, gli uffici che hanno ruoli essenziali nella procedura preparatoria delle elezioni, devono svolgere con scrupolo ed efficienza la loro funzione -:
quali siano le ragioni che hanno portato a questa ad avviso degli interroganti immotivata chiusura anticipata dell'Ufficio elettorale della Corte d'Appello di Brescia e quali misure si intendono adottare affinché non si ripetano per il futuro comportamenti di questo tipo, tali da turbare la complessa procedura elettorale.
(4-03042)

Risposta. - La presentazione dei gruppi dei candidati alle elezioni provinciali deve essere effettuata presso la segreteria dell'ufficio elettorale centrale dalle ore otto del trentesimo giorno alle ore dodici del ventinovesimo giorno antecedente la data delle elezioni: ovverosia, in occasione delle elezioni di cui all'interrogazione in oggetto, dalle ore otto di venerdì 8 maggio alle ore dodici di sabato 9 maggio 2009 (articolo 14, ultimo comma, della legge n. 122 del 1951, e successive modificazioni).
Le conseguenti operazioni dell'Ufficio elettorale centrale devono essere ultimate entro il giorno successivo a quello stabilito per la presentazione dei gruppi dei candidati: nella circostanza, entro domenica 10 maggio 2009 (articolo 8, secondo comma, della legge 122 del 1951 ed articolo 33, primo comma, del 16 maggio 1960, n. 570).
La presentazione può avvenire soltanto durante il normale orario d'ufficio e, peraltro, nelle istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature predisposte dal Ministero dell'interno, nell'ottica di assicurare al massimo l'esercizio del diritto

di elettorato passivo, viene sottolineata l'opportunità di assicurare l'apertura della segreteria dell'Ufficio centrale per il primo giorno, dalle ore otto fino alle ore venti.
Secondo quanto riferito dalla prefettura di Brescia, in ordine alla questione posta dall'interrogante, il presidente dell'ufficio elettorale centrale, nell'ambito dei poteri previsti dalla legge in materia di organizzazione del predetto ufficio, ha disposto di protrarre l'apertura della segreteria, nel primo giorno di presentazione delle candidature (venerdì 8 maggio), fino alle ore 16, ovvero due ore oltre l'orario di apertura dell'ufficio.
È stato, inoltre, precisato che tale soluzione ha consentito di esaminare nella stessa giornata di venerdì 8 maggio, tutte le candidature presentate in tale data, permettendo così di convocare i delegati dei gruppi, ove prescritto, per la regolarizzazione della documentazione prodotta ed infine di dare comunicazione tempestiva, in ordine ai gruppi ammessi, sia alle prefetture che ai delegati stessi.
Le predette operazioni si sono svolte dalle ore 14,30 fino alle 19,30, impegnando il personale della segreteria fino alle ore 21 ed il personale di vigilanza all'ingresso fino alle ore 20; nella giornata di sabato 9 maggio, secondo giorno di presentazione delle candidature, le relative operazioni si sono svolte regolarmente,
Secondo l'avviso espresso dalla Corte d'Appello di Brescia, tale organizzazione ha di fatto garantito il regolare andamento del servizio, in quanto tutte le operazioni di competenza dell'ufficio elettorale centrale si sono svolte con la massima regolarità e tempestività e senza alcun disagio per gli utenti.
Si evidenzia che l'attività svolta e le determinazioni assunte dagli organi preposti alla ricezione ed all'ammissione delle candidature, anche per quanto riguarda le modalità di organizzazione delle operazioni, sono assolutamente insindacabili da parte del Ministero dell'interno, che non ha nessun potere d'intervento diretto nella fase del procedimento preparatorio relativo alla presentazione ed all'ammissione dei gruppi di candidati, affidato ad un organo in posizione di terzietà rispetto a qualsiasi organo amministrativo o di governo.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

BELTRANDI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
nell'ambito dei principi fondamentali della Costituzione dello Stato Italiano - che deve garantire a tutti i cittadini - il primo comma dell'articolo 3 recita «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Tale principio di parità è fortemente sostenuto dall'articolo 21 della medesima Carta Costituzionale che recita al primo comma «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» e dunque si presuppone che, il disposto del successivo articolo 50 che recita «Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità», sia un diritto inviolabile da tutelare in ogni sede e di cui deve essere garantito il pieno e libero esercizio;
i principi Costituzionali di cui sopra sono dunque diritti che lo Stato deve garantire a tutti senza preclusioni o discriminazioni, anche rispetto a quelle particolari categorie di cittadini italiani impegnati in settori dello Stato come le Forze Armate e i Corpi Armati dello Stato, per i quali non sussiste alcun divieto normativo né di iscriversi ad un partito politico, salvo la partecipazione a competizioni elettorali in qualità di appartenenti ai Corpi Militari né, tanto meno, sussiste per tali categorie di Cittadini il divieto espresso di esercitare quanto previsto agli articoli 21 e 50 della Costituzione;
i diritti Costituzionali sopra enunciati sono tra quelli unanimemente riconosciuti come diritti inviolabili della nostra Repubblica ma da notizie stampa (La Stampa del

27 novembre 2008 pag. 36), si apprende che nella realtà dei fatti questi non sarebbero effettivamente garanti in modo uguale a tutti i cittadini italiani ed in particolare ai cittadini italiani militari;
da quanto si apprende un cittadino italiano militare - ma risulta all'interrogante che ve ne siano molti altri nelle medesime condizioni - per aver esercitato dei diritti costituzionalmente garantiti sono stati, o sono tutt'ora, oggetto delle inchieste disciplinari per l'irrogazione delle sanzioni di Stato (legge n. 599 del 1954), nonostante lo Stato Maggiore della Difesa con nota n. 117/1/290/252-V del 6 febbraio 2008 abbia affermato «la sottoscrizione di una petizione al Parlamento (... omissis. ..) finalizzata a sostenere l'approvazione di una norma che introduca l'associazionismo sindacale tra i militari costituisce sostanzialmente una pubblica manifestazione di pensiero su un argomento non di carattere riservato di interesse militare o di servizio che, pertanto, può essere effettuata liberamente»;
con tale affermazione lo Stato Maggiore della Difesa sembrerebbe escludere tutti gli argomenti afferenti alla vita militare - intesa come attività lavorativa - e dunque di interesse sindacale, da quelli su cui lo stesso ha il diritto di esercitare i propri poteri di controllo nei limiti del dettato Costituzionale;
inoltre risulta all'interrogante che altri militari, cittadini italiani, che hanno esercitato una delle loro facoltà-diritto Costituzionalmente garantite, ed in particolare quanto previsto all'articolo 50 della Costituzione, nel pieno rispetto degli articoli 3, 9 e 23 della legge 11 luglio 1978 n. 382 in materia di disciplina militare, siano oggi oggetto di indagini disciplinari per l'irrogazione delle sanzioni di Stato (legge n. 599 del 1954) per aver violato gli articoli 12 e 39 del decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 1986 n. 545 recante «Approvazione del regolamento di disciplina militare, ai sensi dell'articolo 5, primo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382» -:
se il Ministro interrogato, in considerazione dei fatti esposti, nell'ambito delle proprie competenze non ritenga di dover intervenire - ed in caso contrario perché - con idonei provvedimenti d'urgenza volti ad accertare se per gli appartenenti alle Forze Armate e ai Corpi Armati dello Stato sussistano le medesime condizioni per l'esercizio dei diritti Costituzionali, se pur in conformità con le disposizioni della legge 11 luglio 1978 n. 382, che sono invece garantiti agli altri Cittadini italiani e, disporre gli opportuni accertamenti volti ad appurare il rispetto delle procedure in materia disciplinare ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 d parte dell'Autorità Militare che ha disposto nei confronti dei militari accusati di violazioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 1986 n. 545, con particolare riferimento all'esercizio dei diritti di cui agli articoli 21 e 50 della Costituzione, indagini disciplinari per l'irrogazione delle sanzioni di Stato (legge n. 599 del 1954), al fine di evitare alle Autorità delle Forze Armate e dei Corpi Armati dello Stato eventuali violazioni procedurali, anche involontarie, dei diritti Costituzionali e delle persone a causa di una interpretazione restrittiva e arcaica della Carta Costituzionale che produrrebbero - come effetto immediato - una sperequazione di trattamento tra cittadini italiani e cittadini italiani in servizio nelle Forze Armate e Corpi Armati dello Stato, e dunque una palese violazione dei principi Costituzionali, in particolare quelli di cui agli articolo 3, comma 1 e articolo 52 e articolo 97 della Carta Fondamentale dello Stato Italiano, repubblicano e democratico.
(4-01824)

Risposta. - In premessa alle diverse questioni affrontate con l'atto in esame, mi preme sottolineare, innanzitutto, come l'azione dell'amministrazione, ispirata a criteri di massima trasparenza e coerenza nell'applicazione delle disposizioni di legge, sia costantemente tesa a perseguire il prevalente interesse pubblico e a preservare i caratteri tipici e specifici della compagine militare, sempre ben lungi dal voler negare

e/o limitare i diritti costituzionali dei militari.
Le Forze Armate sono caratterizzate, infatti, da quei valori intrinseci e peculiari di coesione, spirito di abnegazione, senso del dovere, massima operatività, grazie ai quali i nostri militari, nell'ambito della partecipazione alle missioni internazionali, hanno guadagnato il convinto ed unanime apprezzamento da parte della comunità internazionale e delle popolazioni con cui vengono in contatto.
In tale ambito, è fondamentale il significato e l'importanza della disciplina militare, in quanto sottesa all'indispensabile salvaguardia della militarità.
Essa è l'osservanza consapevole delle norme attinenti allo stato di militare in relazione ai compiti istituzionali delle Forze armate ed alle implicazioni che ne derivano e rappresenta, pertanto, il principale fattore di coesione e di efficienza.
Pertanto gli appartenenti alle Forze Armate sono tenuti ad osservare, con senso di responsabilità e consapevole partecipazione, tutte le norme attinenti la disciplina e i rapporti gerarchici.
La legge 11 luglio 1978, n. 382, per garantire l'assolvimento dei compiti propri delle Forze Armate, «impone ai militari limitazioni nell'esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l'osservanza di particolari doveri nell'ambito dei principi costituzionali» articolo 3).
In particolare, si fa osservare che il regolamento di disciplina militare si applica nei confronti dei militari che si trovano nelle seguenti condizioni (articolo 5, comma 3):
svolgono attività di servizio;
sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio;
indossano l'uniforme;
si qualificano, in relazione ai compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali.

Quando non ricorrono dette condizioni, i militari sono, comunque, tenuti all'osservanza delle disposizioni del regolamento di disciplina militare che concernono i doveri attinenti al giuramento prestato, al grado, alla tutela del segreto e al dovuto riserbo sulle questioni militari, in conformità alle disposizioni previste dalla legge (articolo 5, comma 4).
L'articolo 10 del regolamento di disciplina, infatti, prevede che il militare debba «astenersi, anche fuori servizio, da comportamenti che possono comunque condizionare l'esercizio delle sue funzioni, ledere il prestigio dell'istituzione cui appartiene e pregiudicare l'estraneità delle Forze Armate come tali alle competizioni politiche».
Per quanto riguarda la richiamata questione dell'esercizio dei diritti politici e sindacali, si osserva preliminarmente che tali aspetti vanno ricondotti all'articolo 18 della Costituzione, che riconosce a tutti i cittadini il diritto di associarsi. Tale principio, tuttavia, trova un'ovvia forma di temperamento nella stessa Costituzione, ove all'articolo 98 è previsto che per talune categorie di soggetti, tra cui i militari, possano essere poste delle limitazioni tra cui il divieto ad iscriversi a partiti politici.
In linea con il citato articolo 98 della Costituzione, si pone l'articolo 6 della legge n. 382 del 1978 ove è stabilito che «ai militari che si trovano nelle condizioni descritte dal terzo comma dell'articolo 5 è fatto divieto di partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni politiche ed amministrative».
In tale contesto, si rammenta, inoltre, la sentenza n. 449 in data 1999 con cui la Corte Costituzionale - chiamata a vagliare costituzionalmente la legittimità dell'articolo 8 della legge n. 382 del 1978 nella parte in cui vieta agli appartenenti alle Forze Armate di costituire associazioni professionali a carattere sindacale o, comunque, di aderire ad altre associazioni sindacali - ha chiaramente indicato tra l'altro, che «la garanzia dei diritti fondamentali di cui sono titolari i singoli "cittadini militari"

non recede di fronte alle esigenze della struttura militare».
Per quanto attiene alla libertà di pensiero e di espressione del personale militare, l'articolo 9 della citata legge postula che «...i militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l'autorizzazione».
Si osserva, inoltre, che il decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 1986, n. 545, concernente «l'approvazione del regolamento di disciplina militare», all'articolo 19, sancisce che il militare, oltre ad osservare scrupolosamente le norme in materia di tutela del segreto, deve:
acquisire e mantenere l'abitudine al riserbo su argomenti o notizie la cui divulgazione può recare pregiudizio alla sicurezza dello Stato, escludendo dalle conversazioni private, anche se hanno luogo con familiari, qualsiasi riferimento ai suddetti argomenti o notizie (lettera
a);
evitare la divulgazione di notizie attinenti al servizio che, anche se insignificanti, possano costituire materiale informativo (lettera
b).
La
ratio di tali disposizioni normative non risiede nel voler sottoporre a censura preventiva l'espressione del libero pensiero dei militari, bensì nell'evitare l'indebita o inopportuna trattazione di «argomenti a carattere riservato, di interesse militare o di servizio», la cui divulgazione causerebbe nocumento alle istituzioni.
In tal modo il militare, agendo nel pieno rispetto del regolamento di disciplina, potrà rilasciare dichiarazioni con la certezza di non arrecare danno, sia pure indirettamente, all'immagine della componente militare, né diffondere erronee comunicazioni alla collettività che, altrimenti, assumerebbe le personali affermazioni di un militare come rispondenti alle posizioni di pensiero ufficiale dell'intera istituzione.
Il quadro normativo di riferimento è completato dall'articolo 266 del codice penale «istigazione di militari a disobbedire alle leggi», che punisce chiunque istiga i militari a disobbedire alle leggi, o a violare il giuramento prestato, o i doveri della disciplina militare, o altri doveri inerenti al proprio stato, ovvero fa a militari apologia di fatti contrari alla legge, al giuramento, alla disciplina o ad altri doveri militari.
La fattispecie risulta aggravata se il fatto è commesso pubblicamente a mezzo stampa, con altro mezzo di propaganda, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero in una riunione che abbia carattere di riunione non privata.
Detto reato può essere commesso da chiunque e qualora sia realizzato da un militare ricorrerà l'ipotesi speciale prevista dall'articolo 213 del codice penale militare di pace (c.p.m.p.) «istigazione di militari a disobbedire alle leggi».
La legge penale militare, inoltre, punisce l'istigazione a commettere reati militari (articolo 212 c.p.m.p.) nonché la domanda, l'esposto o il reclamo, presentati collettivamente mediante pubblica manifestazione (articolo 180, comma 2 del c.p.m.p.). L'ordinamento penale, infine, sanziona i casi in cui la libera manifestazione del pensiero non può essere invocata, in quanto la stessa si attua mediante giudizi di valore che recano offesa a beni e diritti parimenti tutelati, come nei delitti di diffamazione, d'ingiuria, d'oltraggio a pubblico ufficiale e di vilipendio.
Per quanto precede, laddove ricorrano i presupposti previsti dalla legge, risultano sanzionabili disciplinarmente non solo le manifestazioni del pensiero volte a minare l'organizzazione delle Forze Armate, ma anche quelle che si pongono in contrasto con i doveri inerenti allo
status di militare.
In tal senso è ormai consolidato in giurisprudenza il principio della legittimità delle sanzioni disciplinari, irrogate ad un militare per il rilascio di dichiarazioni alla stampa su fatti d'interesse del servizio senza la prevista autorizzazione, in violazione dell'articolo 9 della citata legge n. 382 del 1978 (
ex plurimis, Consiglio di Stato - Sezione Terza, parere n 1741 del 27 maggio 2003).
Analogo principio è stato affermato con riguardo ai doveri derivanti dallo
status

militare, secondo cui «...agli agenti militari può farsi carico d'un dovere di riservatezza ignoto al comune cittadino (...) essi debbono accertarsi del pensiero dei superiori, chiedendo l'autorizzazione ad esprimere il proprio...» (Consiglio di Stato - sezione quarta, sentenza 942 del 5 novembre 1992).
D'altro canto, non va dimenticato che l'iniziativa concernente l'irrogazione di sanzioni disciplinari costituisce un dovere esercitato a salvaguardia dei predetti valori di coesione ed efficienza delle Forze Armate, indispensabili ai fini dell'assolvimento dei compiti istituzionali di difesa dello Stato e di partecipazione alle missioni internazionali nell'ambito delle alleanze di cui fa parte il nostro Paese.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

BOSSA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il Sindaco della città di Vico Equense, provincia di Napoli, con proprio decreto n. 13 del 27 maggio 2008 disponeva, richiamando esigenze organizzative nonché di segretezza e riservatezza, l'inibizione all'accesso presso gli uffici dei servizi tecnici dell'ente, sino al 30 giugno 2008, sia al pubblico che agli amministratori comunali;
sulla scorta di tale atto un gruppo di consiglieri comunali di opposizione indirizzava, in data 31 maggio 2008, un esposto al Prefetto di Napoli lamentando l'immotivata compressione di una prerogativa sancita dalla legge in riferimento all'espletamento del proprio mandato;
in data 16 giugno 2008 il Prefetto di Napoli invitava il Sindaco di Vico Equense a fornire elementi informativi e di valutazione in merito alle limitazioni al diritto di accesso lamentato dai consiglieri comunali nel citato esposto, non mancando di richiamare le disposizioni collegate alle prerogative dei componenti del civico consesso dettate dall'articolo 43 del decreto legislativo n. 267 del 2000 ed in via generale, a garanzia delle minoranze, dall'articolo 44 del menzionato T.U.E.L. -:
quali elementi informativi il Sindaco di Vico Equense abbia inteso affidare al Prefetto di Napoli e quali provvedimenti il Ministro intenda adottare affinché non abbiano a ripetersi estemporanee sospensioni di prerogative legislative nel comune vicano ad opera di un Sindaco che accampando incomprensibili esigenze di «segretezza e riservatezza» tenta di conculcare, di fatto, il diritto di accesso ai consiglieri comunali di quella città.
(4-01481)

Risposta. - Il prefetto di Napoli, a seguito di un esposto di alcuni consiglieri comunali di Vico Equense, nel quale veniva segnalato il divieto di accesso presso gli uffici tecnici del Comune sia al pubblico che agli amministratori locali, conseguente al decreto sindacale del 27 maggio 2008, ha immediatamente richiesto chiarimenti al Sindaco.
Il Sindaco ha evidenziato che il provvedimento oggetto del citato esposto si è reso necessario ed ha avuto efficacia soltanto per il periodo 27 maggio-30 giugno 2008, e che, in caso di emergenze, esso potrà essere nuovamente riproposto.
Il Prefetto, successivamente, ha fornito indicazioni al predetto Comune, al fine di contemperare l'esigenza di assicurare il diritto di accesso ai documenti amministrativi e garantire, nel contempo, il regolare svolgimento dell'attività degli uffici comunali.
In particolare, è stato evidenziato che il diritto di accesso del consigliere comunale, espressamente riconosciuto dalla legge all'articolo 43, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000, è finalizzato a consentire a quest'ultimo lo svolgimento di un effettivo controllo politico-amministrativo sulla gestione dell'ente, nell'interesse della collettività.
Appare, infatti, consolidato l'orientamento della giurisprudenza di riconoscere la massima ampiezza al diritto di accesso dei consiglieri, consentendo la piena accessibilità alla documentazione in possesso del Comune, salvo casi eccezionali e contingenti,

da motivare in maniera congrua e puntuale, fermo restando, inoltre, che tale prerogativa è strumentale all'esercizio dei compiti propri del consigliere e non può, pertanto, essere ricondotta ad un interesse personale dello stesso.
Tuttavia, come la stessa giurisprudenza ha sottolineato, l'adempimento di tale peculiare forma di accesso non deve risultare eccessivamente gravoso per l'ente locale e non deve intralciare lo svolgimento dell'attività amministrativa fino al punto di compromettere il regolare funzionamento degli uffici comunali.
In quest'ottica, quindi, il consigliere comunale non può abusare di questa prerogativa, piegandone le importanti finalità a scopi puramente emulativi e deve astenersi dal porre in essere richieste sproporzionate rispetto all'esigenza di controllo politico-amministrativo che giustifica l'accesso ai documenti in possesso dell'ente.
Pertanto, alla luce dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazione tra gli organi pubblici il Comune può legittimamente valutare l'opportunità di dotarsi di una apposita normativa regolamentare che disciplini le modalità di accesso e di rilascio delle copie di atti, evitando intralci allo svolgimento dell'attività degli uffici comunali.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

BURTONE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la recente tornata elettorale per le europee e le amministrative hanno evidenziato una serie di problemi che diversi operatori dei servizi elettorali comunali hanno denunciato;
è sicuramente vero che per le elezioni europee la legge impone di partire subito con lo spoglio in quanto per la domenica tutti gli eletti devono essere proclamati;
tuttavia quando queste elezioni si associano a turni amministrativi locali come accaduto i seggi e gli operatori vari sono costretti a tour de force estenuanti con rischi di errore che con il passare delle ore diventano più elevati e con rischi anche per la incolumità fisica di chi dopo un paio di giorni insonni è magari costretto per portare le schede scrutinate al punto di raccolta della prefettura, a macinare diversi chilometri magari in territori orograficamente complicati;
diventa quindi importante affidare queste problematiche allo studio del Ministero in quanto le modalità di scrutinio possano assumere tempi e modalità meno massacranti -:
se il ministro intenda raccogliere queste osservazioni e se non intenda attivare una iniziativa di studio al fine di venire incontro alle istante poste all'attenzione nella premessa di questa interrogazione.
(4-03243)

Risposta. - Gli orari e la durata delle operazioni di votazione e di quelle di scrutinio sono puntualmente disciplinati dalla legge.
Con riferimento alle consultazioni elettorali del 6 e 7 giugno 2009, secondo quanto previsto dalla disciplina transitoria contenuta nell'articolo 1, comma 1, lettere
a), i) e m), del decreto-legge 27 gennaio 2009, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 2009, n. 26, le operazioni di votazione si sono svolte nei giorni di sabato 6 giugno 2009 dalle ore 15 alle ore 22 e domenica 7 giugno 2009 dalle ore 7 alle ore 22. Lo scrutinio per l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia ha avuto inizio nella stessa giornata di domenica, subito dopo la chiusura delle votazioni; mentre lo scrutinio per le elezioni provinciali e comunali è iniziato alle ore 14 di lunedì 8 giugno 2009.
Tale intervento normativo, finalizzato a consentire lo svolgimento contemporaneo di diversi tipi di consultazioni, si è collocato in un'ottica di contenimento della spesa pubblica, di contrasto di un eventuale calo di affluenza alle urne relativo ad elezioni riguardanti istituzioni distanti dal cittadino, oltre che di alleggerimento delle attività amministrative e gestionali degli enti locali.


Il legislatore, in considerazione della maggiore complessità delle procedure conseguenti all'abbinamento di più consultazioni elettorali in un'unica tornata, si è fatto carico dell'esigenza di non gravare eccessivamente gli uffici elettorali di sezione, in particolare di quelli interessati anche ad elezioni amministrative, prevedendo nello specifico una particolare temporalizzazione che, da un lato, ha anticipato al sabato l'inizio della votazione per armonizzare le operazioni elettorali con quelle in ambito europeo e, dall'altro, nel disciplinare le operazioni di scrutinio, ha previsto una pausa di alcune ore fra i diversi scrutini.
In particolare, in caso di concomitante svolgimento delle elezioni europee e di quelle amministrative, lo svolgimento dello scrutinio relativo a queste ultime consultazioni è stato previsto per il giorno 8 giugno 2009, proprio in considerazione delle esigenze rappresentate dell'interrogante.
Inoltre, sempre nella medesima ottica di prevenire e limitare le situazioni di disagio segnalate, la Direzione centrale per i servizi elettorali di questo ministero, in un'ottica di semplificazione delle procedure amministrative e di ottimizzazione dei risultati, ha realizzato un notevole snellimento della modulistica, soprattutto dei verbali, da utilizzarsi presso gli uffici elettorali di sezione,
Sul sito del ministero dell'interno viene pubblicata la normativa e le istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali di sezione, al fine di rendere disponibile, agli interessati, tale materiale con largo anticipo rispetto al momento della costituzione dei seggi.
Infine, nell'ambito di ciascuna Prefettura-Ufficio territoriale del Governo, vengono organizzati, in occasione di ogni consultazione, appositi corsi o incontri finalizzati a rendere edotti i presidenti di sezione designati in ordine agli aspetti più delicati dei procedimenti e ad eventuali modifiche intervenute nella normativa di riferimento.
A conclusione delle recenti consultazioni elettorali, peraltro, non risultano pervenute segnalazioni riguardanti irregolarità o impugnative dei risultati elettorali in misura maggiore rispetto a precedenti consultazioni, né tantomeno relative a situazioni di disagio verificatesi in sede di scrutinio.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

CAPARINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la frazione di Giove Valtopina (Perugia) è un paesino umbro che dopo il terremoto del 26 settembre 1997 è salito agli onori della cronaca per le vicissitudini sulla sua ricostruzione;
mentre in tutte le altre zone colpite dal sisma già si è provveduto a riconsegnare le strutture risanate agli abitanti, a Giove le cose non sono andate così bene, infatti, dopo 12 anni i cittadini vivono ancora nei container;
risulta all'interrogante che la ditta vincitrice dell'appalto per la ricostruzione abbia effettuato i lavori di ricostruzione non a regola d'arte, tant'è che successivamente si è dovuto intervenire per ricostruire ciò che era già stato fatto, e che le opere effettuate venivano ugualmente certificate dal direttore dei lavori e pagate regolarmente dal Comune di Valtopina, dal quale dipende la frazione di Giove;
la frazione era ancora tutta da rifare e risulta che i soldi stanziati per la ricostruzione siano terminati ed ai cittadini è stato anche chiesto di pagare loro stessi le spese per la ricostruzione;
la situazione è rimasta impantanata nella burocrazia tra incomprensioni e irregolarità e intanto chi ne fa le spese sono gli abitanti;
da notizie stampa si apprende che l'azienda, attualmente responsabile dell'appalto (che ha sostituito due anni fa la società precedente che nel frattempo era fallita) abbia comunicato al Comune di

Valtopina la consegna di almeno il 50 per cento delle abitazioni entro l'estate di quest'anno -:
quali siano gli effettivi tempi di consegna delle abitazioni ai cittadini di Giove Valtopina;
a quanto ammontava la somma stanziata per la ricostruzione di questa frazione.
(4-03587)

Risposta. - Ai sensi della legge 30 marzo 1998, n. 61, che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 30 gennaio 1998, n. 6, recante «Ulteriori interventi urgenti in favore delle zone terremotate delle regioni Marche e Umbria e di altre zone colpite da eventi calamitosi», nonché della relativa normativa regionale, l'esecuzione dei lavori concernenti la ricostruzione successiva al sisma del 1997 compete ai soggetti privati, singoli o riuniti in consorzio, proprietari o aventi altro titolo sugli immobili danneggiati.
Al Comune spetta solo la concessione del contributo a favore degli aventi diritto, nonché delle necessarie autorizzazioni edilizie, mentre tutti gli adempimenti inerenti alla progettazione, all'affidamento e alla direzione dei lavori sono di esclusiva competenza dei soggetti beneficiari del contributo stesso.
Per la frazione di Giove Valtopina, il consorzio appositamente costituitosi il 3 maggio 1999, procedeva ad affidare l'incarico di progettazione degli interventi di ricostruzione allo studio «Progetto ambiente» di Modena ed appaltava le opere all'impresa «SEM Spa», riunitasi in Associazione temporanea di imprese con la «Impresa Giudici e Casali costruzioni Spa».
A seguito della comunicazione dell'avvenuto inizio dei lavori, dopo averne constatato l'effettività, il Comune provvedeva ad erogare al consorzio il primo acconto, pari al 20 per cento del contributo. Un ulteriore 30 per cento veniva liquidato all'atto della presentazione del primo stato di avanzamento lavori, corrispondente al 40 per cento delle opere eseguite.
Di esclusiva competenza della Direzione lavori era, invece, la verifica in cantiere dell'esecuzione a regola d'arte delle opere, l'eventuale contestazione delle stesse, le disposizioni di rifacimento e/o mancato pagamento di quelle non perfettamente eseguite.
Attesa la natura privata dei rapporti tra committenza ed impresa, l'Amministrazione comunale riferisce di essere venuta a conoscenza degli interventi non perfettamente realizzati solo quando, nell'anno 2006, ha dovuto sostituirsi a norma di legge al consorzio disciolto e non ricostituito dai proprietari nonostante apposita diffida in tal senso.
In particolare, dagli accertamenti e le verifiche operate prima della ripresa dei lavori, nonché dal rendiconto delle spese del contributo erogato a quella data, è risultato che la Direzione dei lavori aveva omesso di liquidare all'impresa la somma di 111.743,51 euro, corrispondente ai difetti di costruzione accertati nella realizzazione delle opere eseguite.
Per quanto concerne la somma stanziata per la ricostruzione della frazione di Giove Valtopina, il contributo pubblico ad oggi riconosciuto è pari a 3.197.261,50 euro.
Tale contributo non copre per intero i lavori da eseguire, dal momento che, come riferito dalla Prefettura di Perugia, a giudizio del Comune di Valtopina che i cittadini di Giove sono tenuti a farsi carico, secondo le ripartizioni millesimali del caso, oltre che della differenza tra il contributo erogato e i capitali necessari per portare a compimento i lavori di ricostruzione, anche degli oneri derivanti all'Amministrazione comunale dalla riparazione o dalla ricostruzione di opere danneggiate dagli agenti atmosferici nei prolungati periodi di sospensione dei lavori avvenuti prima che iniziasse, a partire dal 2006, la gestione comunale, oltre alla maggiore spesa intervenuta per riappaltare gli interventi ad una nuova società (Novatecno srl di Perugia).
I predetti importi, peraltro, non sono stati ancora versati e dovranno esserlo solo a consuntivo lavori, come previsto dalla normativa regionale in materia, eventualmente

in forma rateizzata e senza pagamento di interessi.
Attualmente la realizzazione delle opere di ricostruzione della frazione di Giove Valtopina è in corso e prosegue speditamente. Sono, infatti, in fase di completamento i lavori di recupero delle tre Unità minime di intervento (Umi) in cui si articola il Programma integrato di recupero (Pir). Il 2 luglio 2009 è stato riconsegnato al proprietario, per intervenuta ultimazione dei lavori di competenza del Comune, l'edificio Umi (Unità minima di intervento) n. 6.
Per quanto riguarda l'Umi n. 2, solo per tre delle trentuno unità immobiliari considerate restano ancora da completare alcune piccole opere di dettaglio. I lavori in tutte le altre unità risultano ultimati già alla data del 1o dicembre 2009, sia nella parte strutturale che per le finiture interne e relativi impianti tecnologici. La consegna ai proprietari è prevista al perfezionamento degli atti di contabilità finale e certificazione di legge.
Infine, nell'Umi n. 1, a sua volta suddivisa in 1/a, 1/b, e 1/c, risultano pressoché ultimati i lavori nella misura di seguito indicata.
1/a: i lavori relativi a sedici delle diciotto unità immobiliari considerate risultano completati alla data del 1o dicembre 2009, sia per la parte strutturale che per le finiture interne e relativi impianti tecnologici. Le medesime saranno riconsegnate ai legittimi proprietari non appena effettuato il perfezionamento degli atti di contabilità finale e certificazione di legge. Le altre due unità immobiliari sono una chiesa - per la quale mancano i lavori di finitura e gli impianti interni - ed un'abitazione privata, dove vanno completati i lavori strutturali e quelli conseguenti di finitura ed agli impianti, da concordare con la proprietà.
1/b: i lavori strutturali sono tuttora in corso in quanto avviati solo di recente a seguito della sopravvenuta disponibilità dell'edificio danneggiato dal sisma ma non sgomberato e, quindi, prima occupato dal proprietario residente.
1/c: ne fanno parte due unità immobiliari di cui solo una destinata ad abitazione, comunque non principale e non occupata alla data del sisma. I relativi lavori di recupero devono ancora essere avviati in quanto si attende che la Diocesi proprietaria faccia verificare e definire ai propri progettisti la tipologia di interventi proposta. Qualora, peraltro, l'inerzia dovesse protrarsi, l'Amministrazione comunale è intenzionata a procedere alla sostituzione dei progettisti incaricati.
Il Sindaco del Comune di Valtopina ha, altresì, specificato che per i lavori ancora in corso si prevede il completamento entro la prossima stagione estiva. Gli edifici interessati dovrebbero, quindi, essere riconsegnati ai proprietari entro il successivo autunno.
Infine, la riconsegna ai proprietari degli edifici ultimati, che costituiscono circa il 90 per cento della frazione di Giove, è prevista entro la prossima primavera.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

CATANOSO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
con la Gazzetta Ufficiale 4° serie speciale n. 94, del 12 dicembre 2006 era stato bandito un concorso pubblico per titoli ed esami per il reclutamento di n. 1507 allievi agenti della Polizia di Stato riservato, ai sensi dell'articolo 16 della legge 23 agosto 2004, n, 226, ai volontari in ferma prefissata di un anno ovvero in rafferma annuale in servizio o in congedo;
l'articolo 16, comma 4, della legge 23 agosto 2004, n. 226, richiamato nel citato bando di concorso, prevede che «dei concorrenti giudicati idonei e utilmente collocati nella graduatoria, di cui al comma 3, il cinquantacinque per cento è immesso direttamente nelle carriere iniziali del ruolo degli agenti ed assistenti della Polizia di Stato e che il restante quarantacinque per cento è immesso nel medesimo ruolo dopo aver prestato servizio nelle Forze Armate in qualità di volontario in ferma quadriennale»;

l'articolo 13 del bando di concorso, alla voce «Nomina vincitori» recita: «che dei concorrenti giudicati idonei ed utilmente collocati nella graduatoria: a) n. 976 saranno nominati allievi agente della Polizia di Stato ed ammessi direttamente alla frequenza del prescritto corso di formazione; b) n. 531 saranno nominati allievi agente della Polizia di Stato ed ammessi alla frequenza del prescritto corso di formazione dopo aver prestato servizio nelle Forze Armate in qualità di volontario in ferma prefissata quadriennale»;
il 1° ottobre 2008, presso la Scuola di Polizia di Trieste, sono stati avviati al previsto corso di formazione i primi 327 allievi agenti in graduatoria;
il 20 ottobre 2008, presso le scuole di Polizia di Campobasso e Brescia, sono stati avviati al previsto corso di formazione altri 307 allievi agenti;
dei 1.507 vincitori di questo concorso 650 sono stati già avviati ai corsi di formazione per allievo Agente, 342 sono in attesa di chiamata, mentre i rimanenti 540 dovranno effettuare 4 anni da Volontari in Ferma Prefissata (VFP) presso le Forze Armate e solo dopo averli effettuati, permanendo i requisiti, potranno entrare in Polizia;
sarebbe cosa utilissima, per l'ordine pubblico in Italia, se i 342 venissero avviati, in tempi brevi, ai corsi di formazione per allievo agente della Polizia di Stato e che i 540 venissero chiamati nel più breve tempo possibile dal Ministero della Difesa per effettuare i previsti 4 anni di ferma e poi essere immessi nelle fila della Polizia di Stato;
anziché assumere i 540 vincitori del concorso del 2006, lo Stato Maggiore Esercito ha, invece, bandito con Gazzetta Ufficiale 4° Serie Speciale, n. 70 del 9 settembre 2008, un concorso pubblico per il reclutamento di n. 5.083 volontari in ferma prefissata quadriennale (VFP4) -:
quali provvedimenti intenda adottare il ministro interrogato al fine di dare immediata esecuzione all'incorporamento nelle Forze Armate di coloro che sono stati dichiarati vincitori del concorso di cui in premessa.
(4-01773)

Risposta. - In relazione alla questione affrontata con l'atto in esame, posso assicurare che i 531 vincitori del concorso per il reclutamento di 1507 allievi agenti della polizia di Stato (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 94 del 12 dicembre 2006), da immettere nella carriera iniziale della stessa forza di polizia dopo aver prestato servizio nelle Forze Armate in qualità di volontari in ferma prefissata quadriennale, sono stati incorporati nelle Forze Armate con decorrenza giuridica 29 settembre 2009.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

CATANOSO. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il sindaco del Comune di Aci Castello, insediatosi da poco tempo, ha richiesto al locale Comando dei carabinieri, alla Guardia di finanza, alla Protezione civile regionale e al proprio Comando dei vigili urbani, dettagliate relazioni sulle problematiche relative alla viabilità, ai parcheggi e a quant'altro avrebbe potuto interessare l'ordine pubblico e più in genere la sicurezza urbana, soprattutto in vista della stagione balneare in corso;
dalle relazioni ricevute dagli organi di cui sopra e dalle continue segnalazioni e denunce dei cittadini di Aci Castello, emerge una situazione di estrema gravità che ha imposto ed ancora impone il porre in essere di provvedimenti contingibili ed urgenti quanto meno per arginare fenomeni di criminalità organizzata, spaccio di stupefacenti, pericoli per l'incolumità pubblica causata anche da una viabilità carente e dalla mancanza di parcheggi specialmente nella frazione di Acitrezza;
è da sottolineare che il livello di collaborazione tra le istituzioni preposte

alla pubblica sicurezza, i cittadini e l'amministrazione comunale è altissimo;
il locale Comando dei vigili urbani, al fine di alleviare le problematiche legate alla viabilità ed ai parcheggi, ha proposto l'utilizzo del parcheggio sito all'interno del Lido dei Ciclopi di Acitrezza nell'orario in cui lo stesso viene chiuso;
questo parcheggio è un bene confiscato alla mafia, assegnato all'Agenzia del demanio e gestito per conto di questa dalla società «Gli Ulivi s.r.l.»;
il sindaco di Aci Castello, su invito della Presidenza del Consiglio dei ministri, ha avanzato una formale richiesta di utilizzo del bene tutt'oggi senza riscontro;
il sindaco ha, quindi, interessato la Prefettura la quale, rendendosi conto delle motivazioni di ordine pubblico, ha organizzato e convocato un tavolo tecnico tra Prefettura, Comune e Agenzia del demanio il 31 luglio 2009; detto incontro non si è tenuto a causa dell'assenza del rappresentante dell'Agenzia a causa di sopravvenuti motivi -:
quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati affinché sia concesso al Comune di Aci Castello l'utilizzo temporaneo del parcheggio annesso al Lido dei Ciclopi con organizzazione e spese a carico dell'amministrazione comunale.
(4-03995)

Risposta. - L'agenzia del demanio - a seguito di accordi intercorsi in una apposita riunione tenutasi il 13 agosto 2009 presso la prefettura di Catania - ha autorizzato l'amministratore della società confiscata «Gli Ulivi srl» a sottoscrivere un contratto per concedere al comune di Aci Castello, a titolo oneroso, l'utilizzo temporaneo dell'area di parcheggio suddetta per il periodo 13 agosto-30 settembre 2009, dalle ore 21,00 alle ore 2,00 del giorno successivo, senza possibilità di rinnovo, sulla base di un canone a favore della società confiscata determinato in misura non inferiore al 90 per cento degli introiti ricavati dall'Ente locale nel periodo indicato.
Il contratto è stato sottoscritto dalle parti il 14 agosto 2009 alle condizioni sopra riportate.
Pertanto la questione, almeno per la stagione estiva 2009, è stata risolta con soddisfazione del sindaco e della cittadinanza che ha potuto usufruire del parcheggio in un periodo ad alta densità turistica.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

CATANOSO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 89 del Regolamento del Consiglio (CE) n. 43/2009 ha imposto l'istituzione di un fermo stagionale/zona di divieto per la pesca del pesce spada nel mar Mediterraneo dal 1° ottobre al 30 novembre 2009;
a questo fermo si aggiungerà il fermo stagionale in Sicilia nella zona di divieto corrispondente alle acque territoriali nazionali di competenza regionale e fino ad un limite di 12 miglia dalla costa;
come l'anno addietro, anche quest'anno l'Unione Europea interviene nel settore per vietare la pesca del pesce spada e stavolta per due mesi e non per un mese come nel 2008;
sullo stesso argomento gli odierni interroganti avevano presentato omologa iniziativa a cui il Ministro aveva risposto che avrebbe seguito «con particolare attenzione la questione, riservandosi la possibilità di valutare l'adozione di eventuali provvedimenti al termine del periodo di fermo, qualora dovessero venir accertati effettivi danni alle imprese, attraverso strumenti compatibili con la vigente normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato oppure attivati in base al Regolamento Ce n. 1198/2006 relativo al Fondo europeo pesca»;
a giudizio degli odierni interroganti, immutato rispetto agli anni passati, la tutela della crescita del pesce spada si sarebbe potuta meglio realizzare vietando

l'utilizzo di attrezzi da pesca di piccole dimensioni, i veri responsabili della cattura dei giovani esemplari di pescato ma le autorità europee sembrano «sorde», forse financo al buon senso;
il Governo, a giudizio degli odierni interroganti, dovrebbe intervenire efficacemente in sede europea per modificare tale regolamento nel senso non di vietare la pesca per un periodo relativamente breve, bensì di vietare l'utilizzo di particolari tipi di attrezzi da pesca;
la normativa nazionale non ha previsto e non prevede una particolare forma di risarcimento nei confronti della nostra marineria a differenza di quanto sta già avvenendo nei confronti di quella spagnola;
il governo iberico, infatti, in conseguenza del fermo stagionale di cui sopra ha previsto un risarcimento a titolo di indennizzo nei confronti della propria marineria -:
quali iniziative, anche normative intenda adottare il Ministro interrogato per venire incontro alle legittime esigenze e richieste della marineria italiana esposte in premessa.
(4-04292)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si fa presente quanto segue.
Il pesce spada è una delle specie la cui attività di cattura è sottoposta alla gestione della Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell'Atlantico (ICCAT), che è un'organizzazione regionale composta da 42 membri.
Gli Stati membri dell'Unione europea, tra cui l'Italia, sono rappresentati in seno al predetto organo dalla Commissione europea.
In ambito ICCAT, il Comitato permanente per la ricerca e le statistiche (SCRS) elabora le valutazioni scientifiche su cui si fondano le decisioni sulla gestione delle risorse ittiche.
Nella fase attuale, il Comitato ha in corso di elaborazione un apposito documento scientifico in cui verrà reso noto l'attuale stato di sfruttamento di tutte le risorse, tra cui il pesce spada.
Ciò detto, ogni iniziativa, anche normativa, in favore delle marinerie italiane interessate è necessariamente subordinata alla previa emanazione del citato documento sullo stato delle risorse ittiche del suddetto Comitato permanente ed ogni eventuale proposta normativa, meno restrittiva, dovrà essere in ogni caso concertata con gli altri Stati dell'Unione europea e con la Commissione Europea.
Per quanto attiene alla necessità di adottare nuovi provvedimenti normativi per destinare aiuti aggiuntivi nei confronti delle marinerie interessate dal fermo della pesca del pesce spada, introdotto dall'articolo 89 del Regolamento (CE) n. 43 del 2009, si ritiene che il sistema di ammortizzatori sociali esistenti, di recente esteso al settore ittico, possa soddisfare le esigenze e le richieste delle predette marinerie.
Al riguardo, si precisa che è stata estesa al settore della pesca, con la legge 2 agosto 2008, n. 129 recante conversione del decreto-legge 3 giugno 2008 n. 97, la cassa integrazione guadagni straordinaria con uno stanziamento di 10 milioni di euro per l'annualità 2008.
In attuazione di tale norma il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali ha adottato il decreto n. 44768 del 23 dicembre 2008 recante «Concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale per il personale imbarcato dipendente e per i soci lavoratori imbarcati delle imprese di pesca in crisi».
Inoltre, con legge 9 aprile 2009 n. 33, ed in particolare ai sensi dell'articolo 7-
ter, è stata estesa la cassa integrazione straordinaria a tutti i settori e a tutte le tipologie di lavoro ed è stato istituito, altresì, un fondo per l'occupazione che consente l'utilizzo di ulteriori euro 10.000.000,00 per la cassa integrazione straordinaria nel settore ittico per il 2009.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Luca Zaia.

CHIAPPORI, ALESSANDRI, NICOLA MOLTENI, ALLASIA, FORCOLIN, BONINO, FAVA, CONSIGLIO, D'AMICO, FOGLIATO e CALLEGARI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
in data 1° novembre 2008, alle ore 12:00, è scaduto il termine per la presentazione delle liste per l'elezione del Presidente e del Consiglio Regionale in Abruzzo;
in sede di presentazione alcune liste sono state escluse perché - a dire dell'Ufficio elettorale competente - i rispettivi rappresentanti avrebbero presentato la documentazione con uno sforamento di pochi minuti rispetto al termine di legge;
in particolare la lista denominata «Alleanza Federalista», il cui rappresentante era già presente nel seggio, non avrebbe potuto completare la necessaria documentazione per impedimento all'accesso causato dai disordini scoppiati, prima delle ore 12 dello stesso giorno, all'esterno dell'Ufficio con pressione di varie persone sugli accesi ai locali antistanti, disordini che hanno indotto le forze dell'ordine ivi presenti (probabilmente su conforme richiesta del Presidente dell'Ufficio centrale elettorale) a disporre il blocco degli afflussi nei locali ove si svolgevano le relative operazioni anche attraverso la chiusura immediata dei cancelli;
è accertato che, fra dette forze dell'ordine, figuravano alcuni appartenenti al Corpo forestale dello Stato;
proprio a causa di detto blocco degli ingressi il rappresentante di «Alleanza Federalista» non ha potuto presentare, nel termine delle ore 12, il proprio fascicolo completo di tutta la necessaria documentazione, incorrendo così nella esclusione dalla competizione elettorale;
la situazione appena denunciata ha interessato anche altre liste, una delle quali («Per il Bene Comune») è stata riammessa alla competizione con decreto del Presidente del T.A.R. Abruzzo (sez. I) n. 249 del 2008;
identico, favorevole, decreto presidenziale è Stato invece negato alla lista denominata «Alleanza Federalista»;
deriva da quanto sopra una violazione della parità di trattamento fra le diverse liste in competizione che può gravemente compromettere la legittimità delle operazioni elettorali successive al diniego di partecipazione opposto, prima dall'Ufficio elettorale e poi dal Presidente del Tribunale amministrativo regionale, alla lista da ultimo menzionata;
sembra incontrovertibile il rapporto di causa-effetto corso fra i disordini prima richiamati e l'obiettiva impossibilità, per i rappresentati di detta lista, di depositare tempestivamente tutta la necessaria documentazione;
risulta dirimente - almeno al fine di evitare il permanere della lamentata disparità, consentendo l'emissione dei provvedimenti giudiziali necessari ad assicurare la più ampia partecipazione elettorale - conoscere l'orario esatto in cui i detti disordini hanno avuto inizio -:
se il Ministro dell'interno e il Ministro delle politiche agricole e forestali, ciascuno per quanto di rispettiva competenza, intendano verificare quanto effettivamente accaduto al momento della presentazione delle liste indicate in premessa e in particolare:
a) in quale preciso momento - rispetto al termine di scadenza prima indicato - siano effettivamente iniziati i disordini nelle zone antistanti la sede della Corte di appello di L'Aquila in data 1o novembre 2008;
b) in quale preciso momento si sia effettivamente proceduto a bloccare gli ingressi negli uffici e, per conseguenza, ad impedire l'accesso nei locali ove il deposito dei suddetti documenti sarebbe dovuto avvenire.
(4-01690)

Risposta. - In occasione della presentazione delle liste per l'elezione del presidente della giunta regionale e del consiglio regionale d'Abruzzo, la questura dell'Aquila ha predisposto, dalle ore 8,00 del 31 ottobre 2008 alle ore 12,00 del 1o novembre 2008, un servizio di vigilanza con l'impiego, a turno, delle varie forze di polizia. Nella circostanza il servizio è stato assicurato da due appartenenti al corpo forestale dello Stato che, su indicazione del presidente, sono stati collocati davanti all'ufficio elettorale circoscrizionale del Tribunale sito al piano inferiore rispetto all'ufficio elettorale centrale della Corte d'Appello.
Il comando provinciale del corpo forestale di L'Aquila ha riferito che gli agenti impegnati nel servizio non hanno potuto dire con certezza a che ora sono iniziati i disordini, dal momento che gli stessi stazionavano al piano inferiore rispetto a quello in cui è ubicata la Corte di Appello e, pertanto, in posizione da non poter avere contezza dell'esatto orario di inizio di tali disordini.
I due forestali, infatti, sono stati fatti chiamare dal presidente dell'ufficio centrale elettorale della Corte d'Appello alle ore 12,15, poiché al piano superiore, davanti all'ingresso dell'ufficio elettorale medesimo, si era creata una situazione di disordine tale da impedire le corrette procedure di presentazione dei documenti previsti e necessari per la partecipazione alla competizione elettorale.
Alle 12.20 i Forestali ricevevano, dal presidente dell'ufficio centrale elettorale, l'ordine di chiudere l'accesso dell'ingresso dell'ufficio elettorale centrale della Corte d'Appello, mentre alle ore 12,00 era stato già bloccato l'accesso all'ufficio elettorale circoscrizionale del Tribunale.
Si precisa, comunque, che la fase di presentazione delle candidature per le predette elezioni si è svolta secondo la normativa statale vigente in materia e, per tutto quanto non espressamente previsto, sono state applicate le norme del testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960 n. 570 e successive modificazioni relativamente alle disposizioni riguardanti i consigli comunali con popolazione superiore a 15.000 abitanti.
In tale contesto, la lista denominata «Alleanza Federalista», che era stata presentata sia a livello regionale che nelle circoscrizioni di L'Aquila, Chieti, Pescara e Teramo, non è stata ammessa dai predetti uffici a partecipare alla competizione elettorale per carenze ed irregolarità non sanabili.
Dagli atti acquisiti risulta che avverso il provvedimento di ricusazione della lista regionale è stato proposto ricorso avanti al Tribunale amministrativo regionale di L'Aquila che, con sentenza del 26 novembre 2008, ha respinto il gravame.
Avverso tale sentenza è stato proposto ricorso al Consiglio di Stato che, con ordinanza del 9 dicembre 2008, ha respinto l'istanza cautelare di sospensiva dell'efficacia della sentenza del Tribunale, presentata in via incidentale dalla parte appellante.
Si rappresenta, infine, che con dispositivo di decisione n. 466/09 del 15 maggio 2009, il Consiglio di Stato, Sezione quinta, ha respinto il ricorso in appello proposto dal rappresentante della lista in questione per l'annullamento della sentenza del Tribunale amministrativo regionale Abruzzo.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

CONCIA. - Al Ministro per le pari opportunità, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
da pochi giorni si è celebrata la V giornata mondiale contro l'omofobia, istituita per sensibilizzare governi e opinione pubblica nei riguardi delle discriminazioni cui sono quotidianamente soggetti gay, lesbiche e transessuali;
in Italia questo tipo di iniziative deve confrontarsi con l'amara realtà, fatta di continui soprusi nei confronti dei cosiddetti «diversi»;
tali prepotenze non accennano a diminuire, anzi, la cronaca recente ci

mostra casi di intollerabile violenza compiuti da individui mossi dall'odio e dall'ignoranza più gretta, ai danni dei soggetti più deboli;
uno degli ultimi episodi segnalati è avvenuto nella notte tra il 2 e il 3 maggio scorso, nel parco delle Cascine a Firenze, dove un gruppo di ragazzi italiani armati di spranghe di ferro ha dato vita a una violenta aggressione, fatta di insulti, percosse e terminata con il pesante danneggiamento della macchina, nei confronti di due transessuali;
il fatto ha comprensibilmente provocato un forte stato di choc nelle due donne, le quali si sono dichiarate incredule di fronte a questa forma di feroce e gratuita violenza, che si è purtroppo rivelata essere una delle tante che si verificano quotidianamente in Italia ai danni di transessuali;
l'atto di odio si è consumato proprio nel capoluogo di una regione, la Toscana, che ha adottato specifiche misure di tutela nei confronti delle persone LGBT, le quali a quanto pare, non sembra che siano sufficienti ad arginare episodi come quello descritto;
troppo spesso simili violenze vedono i colpevoli impuniti -:
se intendano adottare specifiche iniziative atte a garantire una maggiore tutela nei confronti di gay, lesbiche e transessuali per fare in modo che episodi come quelli verificatisi nel parco delle Cascine a Firenze, non abbiano più a verificarsi;
se intendano avviare una campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica mirante a prevenire i troppo frequenti casi di violenza, generati esclusivamente da pregiudizi e ignoranza, nei confronti di transessuali.
(4-03086)

Risposta. - Si fa riferimento all'interrogazione in esame, concernente l'episodio di violenza consumatosi il 3 maggio 2009 a danno di due transessuali in via delle Cascine a Firenze.
Come riferito dalla Prefettura di Firenze, subito dopo l'aggressione che, mi preme sottolineare, non ha cagionato alle vittime alcuna lesione personale risultando danneggiati in modo notevole solo gli autoveicoli in cui le stesse si trovavano, i militari del Nucleo radiomobile dell'Arma dei Carabinieri di Firenze intervenuti sul posto sono riusciti a fermare due degli aggressori, entrambi minorenni di nazionalità italiana, poi denunciati all'Autorità giudiziaria per i reati di danneggiamento aggravato, violenza privata, ingiuria e minaccia grave. Nel corso di un successivo accertamento è stato individuato un terzo componente del gruppo, maggiorenne e di nazionalità polacca, denunciato per i medesimi reati.
Proprio i recenti e preoccupanti episodi di violenza e intolleranza commessi nei confronti di
gay, lesbiche e transgender verificatisi in diverse Regioni, mi portano a ribadire ancora una volta l'impegno del ministero per le pari opportunità nel contrasto all'omofobia e alla transfobia, come peraltro sottolineato nell'incontro tenutosi l'8 ottobre 2009 presso il ministero per le pari opportunità con le associazioni LGBT.
Come preannunciato nel corso dello stesso, il 9 novembre 2009 è stata lanciata la prima campagna nazionale di comunicazione contro l'omofobia. Tale campagna di comunicazione volta al contrasto di ogni forma di violenza e discriminazione basate sull'orientamento sessuale, consiste in uno
spot televisivo ed in una serie di manifesti e opuscoli che saranno distribuiti anche nelle scuole, ed è la prima mai realizzata da un Governo italiano.
A tale iniziativa si aggiungono quelle poste in essere dal Dipartimento per le pari opportunità attraverso l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR), costantemente impegnato nella programmazione e attuazione di interventi in materia antidiscriminatoria anche nell'ambito dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere.
Tra i vari interventi segnalo che, nell'ambito del Programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale «
Progress», attraverso un progetto denominato «Diversità come valore», l'UNAR intende

realizzare una campagna nazionale contro tutte le discriminazioni. La gestione di tale progetto è affidata ad un National Working Group composto da 13 associazioni di rilevanza nazionale, tra cui, per le discriminazioni legate all'orientamento sessuale e all'identità di genere, Arcigay, Gaynet, Avvocatura LGBT Rete Lenford, Libellula, Coordinamento nazionale Trans Sylvia Rivera.
Nell'ambito della settimana contro la violenza, tenutasi dal 12 al 18 ottobre 2009, istituita con il Protocollo d'intesa stipulato tra il ministero per le pari opportunità e il ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 3 luglio 2009, sono state poste in essere alcune iniziative specifiche di sensibilizzazione e informazione per la prevenzione e il contrasto del fenomeno dell'intolleranza e della violenza omofoba nelle scuole, come il dibattito svoltosi a Bologna dal titolo «Violenza e discriminazione sui banchi di scuola: bullismo o bullismi?». Tale iniziativa ha coinvolto l'assemblea degli studenti delle scuole superiori e le istituzioni affrontando il problema delle diverse declinazioni del fenomeno del bullismo, compreso quello omofobo, anche mediante la proiezione e la discussione del video «Bullismo plurale».
Sono altresì previsti interventi
ad hoc per il superamento degli stereotipi riferiti a tutte le forme di discriminazione, comprese quelle concernenti l'orientamento sessuale e l'identità di genere. A tale proposito si segnala il progetto volto alla costruzione di una banca dati sulle discriminazioni con l'obiettivo di costruire una cabina di regia e di coordinamento che metta in rete associazioni, centri, ong esistenti a livello regionale al fine di consentire un efficace scambio di informazioni tra le regioni e il livello nazionale.
Sempre in tema di omofobia e transfobia è in fase di realizzazione uno studio finalizzato alla identificazione, analisi e trasferimento di buone prassi in materia di non discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere. Tale indagine, affidata dall'UNAR all'Avvocatura per i diritti LGBT Rete Lenford, prevede una ricognizione di buone prassi a livello nazionale e la valutazione del grado di potenziale replicabilità in alcune Regioni italiane. La ricerca dovrà individuare buone prassi relative alla prevenzione e al contrasto del bullismo omofobo e transfobico tra le giovani generazioni; delle azioni di supporto e consulenza per le famiglie di persone omosessuali e
transgender; la promozione di reti territoriali da parte degli enti locali e delle istituzioni; delle azioni di prevenzione e contrasto delle discriminazioni multiple.
L'UNAR sta inoltre sviluppando una politica di progressiva messa in rete degli osservatori pubblici già esistenti in materia di prevenzione e contrasto delle discriminazioni al fine di costituire entro il 2012 una rete nazionale basata sulla sinergia tra UNAR, Regioni ed Enti locali.
Si fa presente, in tal senso, l'accordo operativo stipulato il 23 giugno 2009 con il Centro regionale antidiscriminazioni della regione Emilia Romagna, che ha consentito la messa in rete di 49 centri territoriali antidiscriminazioni; la stipula, il 26 gennaio 2010, del Protocollo d'intesa con la regione Liguria volto alla creazione di un Centro regionale per prevenire e contrastare le discriminazioni e per la promozione della cultura del rispetto e delle diversità, nonché l'intesa con la regione Piemonte, firmata il 26 gennaio 2010, il cui scopo è quello di creare un sistema di monitoraggio a livello locale del fenomeno discriminatorio nelle sue varie forme e costruire una rete territoriale di intervento.
Segnalo altresì che, in data 21 ottobre 2009, è stato siglato tra il ministero per le pari opportunità e il Sindaco di Roma un Protocollo d'intesa per combattere i fenomeni discriminatori che, oltre a dare vita ad iniziative educative e di sensibilizzazione, istituisce l'Osservatorio cittadino contro tutte le discriminazioni attraverso il quale si intende contrastare in maniera concreta ogni forma di violenza con matrice discriminatoria.
Per quanto concerne in particolare le persone
transgender, si segnalano, infine, alcuni interventi effettuati dal Dipartimento per le pari opportunità nell'ambito dei programmi di protezione sociale ex articolo 18 del decreto legislativo n. 286 del 1998 e

articolo 13, legge n. 228 del 2003, quali ad esempio il progetto «Ambiguità dell'Accoglienza», presentato dall'Associazione Ora d'aria, rivolto a persone transessuali, anche minori, e giovani donne in stato di gravidanza o con figli minori, vittime di violenza, sfruttamento o tratta. L'obiettivo del progetto è quello di rafforzare e valorizzare l'accompagnamento delle vittime durante le fasi giudiziarie e processuali, occuparsi del loro inserimento in percorsi di scolarizzazione, formazione, orientamento e reinserimento socio-lavorativo attraverso l'intervento diretto sul campo e la diretta presa in carico dei soggetti.
Il Ministro per le pari opportunità: Maria Rosaria Carfagna.

DE PASQUALE. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
il 9 luglio 2009 è stata pubblicata la richiesta di interpello del Dipartimento della funzione pubblica per la copertura del posto di funzione dirigenziale di livello generale di coordinatore dell'Ufficio per la formazione del personale delle pubbliche amministrazioni;
possono presentare richiesta di conferimento del suddetto incarico esclusivamente i dirigenti appartenenti ai ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri;
in base della predetta richiesta i candidati devono possedere comprovate conoscenze e competenze nei seguenti ambiti: economia del lavoro ed economia del settore pubblico; formazione umanistica; vasta esperienza nelle attività di formazione e studi scientifici in materia; esperienza internazionale, attraverso collaborazioni con istituzioni ed enti internazionali, in particolare dell'Unione europea; esperienza nella organizzazione di eventi formativi; conoscenza almeno di due lingue (preferenza per l'inglese e il francese);
ai sensi dell'articolo 7 del decreto ministeriale 5 novembre 2004 recante «Organizzazione e funzionamento del Dipartimento della funzione pubblica nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri», l'Ufficio per la formazione del personale delle pubbliche amministrazioni, nonostante la denominazione, ha come propria missione istituzionale lo sviluppo di programmi e azioni di rafforzamento della capacità amministrativa, realizzati in particolare attraverso l'utilizzo di fondi comunitari (FESR e FSE), che non finanziano azioni di tipo formativo;
sul numero del settimanale L'Espresso del 24 luglio 2009 è apparsa la notizia che il profilo disegnato nella richiesta di interpello coincide con il profilo professionale del dottor Leonello Tronti, che il Ministro Brunetta conosce fin dai tempi della Fondazione Brodolini, ricercatore ISTAT, non dirigente, non dei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri, che si è sempre occupato di temi attinenti all'economia e alla statistica del lavoro e alle relazioni industriali -:
se siano state presentate istanze di conferimento dell'incarico da parte di dirigenti dei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri;
se le predette istanze siano state valutate da parte del Dipartimento della funzione pubblica, considerato che ci sono dirigenti che, da anni, svolgono attività di programmazione e gestione di interventi finanziati con i fondi strutturali anche in tema di rafforzamento della capacità amministrativa;
se sia vero che l'incarico sarà conferito al dottor Tronti e, in caso affermativo, con quali motivazioni.
(4-04282)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si precisa in via preliminare che l'Ufficio per la formazione del personale delle pubbliche amministrazioni (UFPA) del Dipartimento della funzione pubblica, ai sensi dell'articolo 7 del decreto ministeriale 5 novembre 2004 e successive modificazioni ed integrazioni, esercita, non soltanto le competenze evidenziate dall'interrogante, ma anche le seguenti: promozione della valorizzazione delle risorse umane delle pubbliche amministrazioni; attività di indirizzo

e coordinamento in materia; vigilanza sulla Scuola superiore della Pubblica amministrazione e sul Formez; sviluppo di programmi e azioni di rafforzamento della capacità amministrativa; definizione di strategie organizzative e di rafforzamento istituzionale delle pubbliche amministrazioni; sviluppo della programmazione integrata delle risorse nazionali ordinarie e aggiuntive e delle risorse comunitarie per il potenziamento delle pubbliche amministrazioni e cura della gestione di quelle affidate; monitoraggio, quantitativo e qualitativo, degli interventi effettuati nei diversi settori, in raccordo con la Commissione europea, le Autorità di gestione regionali e nazionali, gli organismi intermedi e gli enti attuatori.
In linea con le competenze assegnate all'UFPA dalla citata disposizione si è dunque provveduto ad individuare il profilo professionale indicato nell'atto di interpello rivolto, in via prioritaria, ai Consiglieri dei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri più in generale, a referendari, ossia dirigenti di seconda fascia della Presidenza del Consiglio dei ministri, dirigenti di altre pubbliche amministrazioni, nonché soggetti estranei alla pubblica amministrazione. Questi ultimi possono, infatti, validamente manifestare interesse al conferimento dell'incarico di livello dirigenziale generale in questione in attuazione della normativa vigente in materia di lavoro presso pubbliche amministrazioni e, precisamente, dell'articolo 19, commi 4, 5-
bis e 6 del decreto legislativo n. 165 del 2001.
Al riguardo si conferma che, come rilevato dall'interrogante, sono pervenute in riscontro all'atto di interpello in esame alcune domande da parte di referendari dei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri che sono in corso di valutazione dal Dipartimento per le risorse umane della medesima Presidenza e dal Dipartimento della funzione pubblica. Allo stato, l'incarico in questione risulta, quindi, ancora vacante, in attesa degli esiti delle valutazioni di competenza da parte degli organi preposti della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

DI BIAGIO, PICCHI, ANGELI e BERARDI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
dalla consultazione del sito ufficiale del Ministero dell'Interno della sezione dedicata alle elezioni europee 2009 sussistono notevoli lacune per quanto concerne l'individuazione di informazioni relative alla designazione dei rappresentanti di lista per i seggi per gli italiani all'estero;
l'assenza di informazioni riguarda soprattutto le procedure da rispettare per la fase di scrutinio a seguito delle votazioni, per i voti espressi dai cittadini italiani iscritti all'anagrafe degli italiani all'estero, nella fattispecie dai nostri connazionali residenti nei Paesi membri dell'Unione europea;
lo stesso decreto-legge 27 gennaio 2009 n. 3, convertito con modificazioni, dalla legge 25 marzo 2009 n. 26, recante «disposizioni urgenti per lo svolgimento nell'anno 2009 delle consultazioni elettorali e referendarie», non esplica la prassi da rispettare per lo scrutinio dei voti espressi nelle circoscrizioni estere presso le Corti d'appello delle città prescelte per i suddetti scrutini;
le stesse Corti d'appello non sono state messe nella condizione di fornire informazioni uniformi ed organiche, bensì discordanti anche all'interno degli stessi uffici di una medesima Corte;
nonostante la distinzione tra italiani ed italiani residenti all'estero e la precisa indicazione della fase di scrutinio non vi è chiarezza in merito a chi presentare le designazioni dei Difensori del voto per lo spoglio dei voti all'estero ed in quali tempi porle in essere;
la scarsa completezza di informazioni riguarda anche le notizie necessarie ai fini della predisposizione del modulo, per la designazione stessa, data anche l'impossibilità di recuperarlo all'interno del sito o presso gli uffici che dovrebbero essere deputati a tali funzioni -:
quali iniziative normative intenda, predisporre al fine di colmare le lacune

sussistenti nella normativa di cui al decreto-legge del 27 gennaio 2009 n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 2009, n. 26 e come intenda far fronte all'assenza di un adeguato sistema di informazione da parte del Ministero dell'Interno sia attraverso il potenziamento del portale dello stesso, che attraverso gli uffici.
(4-03206)

Risposta. - Nel quadro degli adempimenti organizzativi concernenti le consultazioni elettorali, questa Amministrazione predispone pubblicazioni contenenti sia istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature, allo scopo di fornire una guida ai competenti organi e di facilitare il compito dei partiti, gruppi o movimenti politici che intendano partecipare alla competizione elettorale, sia istruzioni rivolte ai componenti degli uffici elettorali di sezione.
Le edizioni aggiornate di tali pubblicazioni vengono approntate in vista di ogni consultazione elettorale o referendaria, entro tempi compatibili con l'esigenza di recepire eventuali modifiche normative che dovessero intervenire nella materia d'interesse, così come avvenuto, per le elezioni del 6 e 7 giugno 2009, con il decreto-legge 27 gennaio 2009, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 2009, n. 26, e con la legge 20 febbraio 2009, n. 10.
Tali istruzioni vengono divulgate, in formato cartaceo e in via informatica mediante pubblicazione sul sito istituzionale del ministero.
Per quanto riguarda nello specifico le operazioni di voto che si svolgano anche al di fuori del territorio nazionale e le modalità di svolgimento delle stesse, il relativo materiale viene fornito al ministero degli affari esteri per un'eventuale, ulteriore diffusione attraverso la rete diplomatico-consolare, nei modi ritenuti opportuni dal predetto dicastero. Nell'ambito della collaborazione istituzionale fra la Direzione centrale dei servizi elettorali, responsabile dell'organizzazione complessiva del procedimento, e gli Uffici elettorali circoscrizionali in funzione presso le Corti d'appello dei cinque capoluoghi di circoscrizione previsti dalla normativa che regola le elezioni europee viene fornita a tali uffici tutta la modulistica inerente la verbalizzazione delle relative operazioni, senza interferire negli aspetti organizzativi e nelle attività di competenza degli stessi.
Le liste che intendono partecipare alle elezioni europee hanno diritto di designare propri rappresentanti ai sensi dell'articolo 31 della legge 24 gennaio 1979, n. 18 ponendo in essere gli adempimenti previsti dall'articolo 11, comma 4, lettera
b) della medesima legge, ai fini di poter disporre un delegato effettivo e un delegato supplente per ciascuno degli altri Stati membri dell'Unione europea, nonché quelli previsti dal successivo articolo 12, comma 11, ai fini della designazione dei rappresentanti di lista presso l'Ufficio elettorale circoscrizionale, gli uffici elettorali provinciali e gli Uffici di ciascuna sezione elettorale nel territorio italiano.
Si precisa, che, in relazione al quadro normativo vigente in materia, nella pubblicazione n. 2, «Istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature», sono trattati ampiamente gli argomenti in questione, corredati di ampia modulistica riguardante le procedure più complesse. Tale modulistica, finora, è stata ritenuta esaustiva rispetto alle richieste e alle esigenze rappresentate dai soggetti coinvolti nelle predette consultazioni.
Nella pubblicazione n. 6, «Istruzioni per le operazioni degli uffici consolari della Repubblica italiana nel territorio degli Stati membri dell'Unione europea», è stato ulteriormente ripreso l'argomento relativo alla designazione dei rappresentanti presso gli uffici di sezione istituiti nella circoscrizioni consolari.
Entrambe le pubblicazioni sono state diffuse in formato cartaceo; la prima, inoltre, è stata inserita anche sul sito
internet di questo ministero, dove sono disponibili anche la pubblicazione n. 1, contenente la raccolta di leggi per l'elezione del Parlamento europeo, e la pubblicazione n. 4 relativa alle istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali di sezione.


Non viene invece approntata alcuna specifica pubblicazione concernente le operazioni di scrutinio effettuate dai seggi elettorali istituiti presso gli Uffici elettorali circoscrizionali, per lo scrutinio dei voti inviati dagli uffici consolari articolo 1 del decreto-legge 24 giugno 1994, n. 408, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 3 agosto 1994, n. 483), in quanto tali operazioni si svolgono secondo modalità non difformi da quelle relative ai voti espressi in Italia e tengono conto delle tabelle di scrutinio e della sequenza delle operazioni riportate nel verbale.
Si ritiene, pertanto, che le necessarie informazioni attinenti al procedimento elettorale siano state diffuse in maniera tempestiva ed efficace anche in occasione delle recenti consultazioni elettorali.
Non si mancherà comunque di tener conto delle esigenze segnalate dall'interrogante ai fini di un eventuale ampliamento del materiale informativo da rendere disponibile sul sito in occasione di future consultazioni.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il Vtlm (veicolo tattico leggero multiruolo) «Lince» è un mezzo militare italiano protetto impiegato in Afghanistan e in Libano. Si tratta di una sorta di gippone blindato e modulare, a trazione integrale, in grado di affrontare terreni estremamente difficili. Per aumentare la protezione dalle mine sono state adottate diverse soluzioni, tra cui una speciale blindatura nella parte inferiore. Anche l'abitacolo è protetto da un parafiamma, ma sono disponibili kit per protezioni più pesanti, da usare a seconda delle esigenze. Può essere trasportato anche su elicotteri Ch47 ed essere aviolanciato. Pesa circa sette tonnellate a pieno carico e può trasportare quattro uomini equipaggiati; è tuttavia un mezzo agile, che può superare forti pendenze e raggiungere i 130 chilometri orari;
bisogna ricordare che l'11 aprile 2007 in commissione Difesa del Senato il Sottosegretario alla difesa ha risposto ad un'interrogazione parlamentare che aveva portato all'attenzione della Commissione una lettera proveniente da un soldato italiano operante, per l'appunto, in Afghanistan. Il militare lamentava una sequela di inadeguatezze all'equipaggiamento ivi compresa quella dei blindati, meno sicuri - a suo dire - dell'HMMWV (High mobility multi-purpose wheeled vehicle) in dotazione all'esercito statunitense. Il sottosegretario, oltre a smentire punto per punto le lagnanze del soldato, affermò che la versione del Lince approvvigionata dai britannici (nel numero di 401 esemplari), peraltro all'epoca non ancora disponibile per l'invio in teatro, era la stessa acquisita dall'Italia. L'unica differenza era connessa con il tetto del mezzo, sul quale era prevista la presenza di una torretta remotizzata (una mitragliatrice comandata dall'interno del veicolo). A tale proposito il sottosegretario alla Difesa precisò che analogo sistema era previsto sulla versione italiana, interessata in quel momento a modifiche per incrementare il carico utile del mezzo, da utilizzare non solo per l'installazione di torrette remotizzate, ma anche di un sistema di autoprotezione attiva, che consenta di fronteggiare minacce condotte da razzi tipo RPG e ordigni IED (Improvised explosive device). Ma sui Lince italiani la torretta remotizzata non è stata mai montata, e proseguirono inesorabili le segnalazioni preoccupate dal fronte afgano circa la sicurezza del mitragliere in «ralla»;
soltanto a maggio di quest'anno il ministero della Difesa decide di emanare un bando di gara a livello europeo con procedura «ristretta accelerata» per l'acquisto di 81 di queste torrette remotizzate da installare, per l'appunto, sui Lince;
dopo la morte di alcuni «rallisti», cioè dei militari che occupano il posto di mitragliere stando fuori dal tetto del Lince

e quindi più esposti alle deflagrazioni degli IED (Improvised explosive device), il Ministro della difesa ha inviato in fretta e furia in Afghanistan una versione modificata del blindato con una protezione supplementare a difesa dell'uomo in ralla;
l'ultimo incidente del 15 ottobre 2009 in cui ha perso la vita un militare italiano non è avvenuto a bordo di un Lince «rinforzato», ossia equipaggiati con una torretta blindata; il mezzo si è ribaltato durante una normale attività operativa;
perplessità sui Lince rinforzati, inoltre, erano state espresse circa quindici giorni fa dal contingente militare italiano a Kabul in un briefing ripreso dalla stampa italiana. In occasione della visita in Afghanistan del Ministro della difesa dopo l'attentato che il 17 settembre 2009 costò la vita a sei paracadutisti, il colonnello Aldo Vizzo spiegò che con il baricentro più alto i Lince potevano ribaltarsi più facilmente. Un rischio legato anche al peso della torretta, 320 chilogrammi;
sebbene il mitragliere italiano sia più protetto, risulta ancora a rischio, mentre i militari inglesi con i loro mezzi non sono costretti a rimanere fuori dal mezzo ed hanno comunque maggiori chance di sopravvivenza in caso di attacco;
il primo obiettivo deve essere la tutela e l'incolumità dei nostri concittadini impegnati nelle missioni internazionali -:
se il Governo sia in grado di giustificare il ritardo dell'invio di veicoli blindati Lince con una protezione aggiuntiva in ralla che ha pagato con le vite di diversi militari italiani;
se il Governo sia in grado di giustificare come il 15 ottobre 2009, il primo caporal maggiore Rosario Ponziano non era a bordo di un Lince «rinforzato» e come sia potuto accadere che con il mezzo in dotazione abbia perso la vita per un «banale» incidente stradale;
se il Governo intenda giustificare la scelta di questi nuovi mezzi, nonostante le perplessità dei militari, illustrare l'esito dell'acquisto e quantificare dettagliatamente i costi.
(4-04685)

Risposta. - In via preliminare, ritengo necessario rassicurare interrogante, che indica come «primo obiettivo» la tutela e l'incolumità dei militari, che la sua preoccupazione è esattamente la mia.
Ribadisco, infatti, così come ho già avuto modo di precisare in varie circostanze ed in diverse sedi parlamentari - l'ultima volta in occasione del
question time presso l'aula Senato il 1° ottobre scorso - l'assoluta necessità di corrispondere alle esigenze di massima sicurezza del personale, in relazione ai rischi del teatro afgano, mantenendo le dotazioni e gli equipaggiamenti a disposizione del nostro contingente ai più elevati livelli qualitativi.
Confermo, ancora una volta, la ferma intenzione di non fermarsi mai nell'acquisizione delle nuove tecnologie, e di continuare ad adeguare gli equipaggiamenti impiegati in teatro, studiando e adottando tutte le soluzioni tecniche che possono meglio contribuire ad elevare i livelli di protezione, a fronte delle caratteristiche delle minacce esistenti e di quelle ragionevolmente prevedibili nel futuro.
In tale ottica, è stato inviato in Afghanistan un primo lotto di 60 «ralle protette servo-assistite» a comando elettrico e protezione latero-posteriore del mitragliere in grado di assicurare un livello di protezione balistica analogo a quello offerto dalla cellula di sopravvivenza del veicolo VTLM «Lince», anche se non garantisce la protezione in caso di ribaltamento del mezzo.
In proposito, a titolo preventivo, sono state prescritte per i «Lince» dotati di «ralla protetta servoassistita», limitazioni di velocità in particolari situazioni di guida e, nel contempo, lo svolgimento di speciali sessioni integrative di addestramento alla guida.
In base alle indicazioni dei competenti organi tecnico-operativi militari, gli elementi di valutazione ricavati sino ad oggi dall'impiego in Afghanistan del «Lince», nella configurazione con «ralla protetta servoassistita», confermano la sostanziale validità delle scelte adottate.


Devo sottolineare, comunque, che si è provveduto all'acquisizione di tali ralle, il cui costo unitario è di circa 76.500 euro, contraendo al massimo i tempi tecnici, che ovviamente occorrono ai fini dello sviluppo delle necessarie attività di studio e di realizzazione, nel pieno rispetto delle previste procedure di omologazione.
A conferma del costante impegno nella direzione di una sempre più elevata ed efficace sicurezza del «Lince», per il breve termine, presumibilmente entro la fine del 2010, sono allo studio, da parte della Società costruttrice del mezzo, sistemi di protezione del mitragliere dal trauma derivante da esplosione (airbag, imbracatura e sistemi di sospensione della pedana d'appoggio).
Sempre per tale veicolo è in fase di acquisizione una torretta remotizzata da installare sul tetto del mezzo in alternativa alla «ralla protetta servoassistita», che consente l'uso della mitragliatrice dall'interno del veicolo, evitando di impiegare l'uomo all'esterno, che significa mantenere il mitragliere sempre all'interno della cellula di sopravvivenza, con ulteriori evidenti vantaggi anche nel caso di ribaltamento del mezzo.
L'approvvigionamento di un primo lotto di 81 manufatti è stato avviato nel corrente anno, con un onere complessivo di circa 23,8 milioni di euro.
Inoltre, è in atto un programma per l'approvvigionamento di ralle protette per il mitragliere da destinare anche ai veicoli BV 206S.
In tale quadro, per quanto concerne il decesso del primo caporal maggiore Renato Ponziano, al quale rivolgo un commosso pensiero, le inchieste amministrative e giudiziarie consentiranno di stabilire, con la dovuta precisione, le cause e le modalità dell'incidente.
Nell'ambito delle misure finalizzate ad incrementare i livelli di sicurezza rientra anche l'acquisizione di un nuovo veicolo denominato VTMM, realizzato secondo le stesse moderne concezioni del «Lince» ma di classe superiore, ovvero con dimensioni e peso maggiori, tali da assicurare standard di protezione del personale ancora più elevati.
Il processo di progressivo e continuo miglioramento della sicurezza del personale con nuovi e più efficaci mezzi farà un ulteriore importante passo in avanti con l'impiego in operazioni reali del Veicolo Blindato Medio (VBM) «Freccia», attualmente in fase di acquisizione da parte dell'Esercito, caratterizzato da un livello di protezione balistica ed antimina superiore a quello del VTLM «Lince».
L'invio in teatro di tali mezzi potrà presumibilmente avvenire nel corso del 2010, tenuto conto che l'avanzato livello tecnologico del «Freccia» richiede il completamento della fase sperimentale ed un adeguato ciclo di addestramento specifico del personale che dovrà utilizzarlo.
Ricordo, infine, che la pericolosità ed i rischi correlati allo svolgimento della missione in Afghanistan non sono mai stati sottaciuti o minimizzati, né sottovalutati, ma anche che il livello di attenzione è sempre stato, rimane e rimarrà massimo.
Voglio rimarcare, altresì, che i nostri militari, pur nella consapevolezza dei pericoli e dei rischi presenti nel teatro operativo afgano, stanno assolvendo la loro missione con altissimo senso del dovere, encomiabile dedizione, elevata professionalità, spirito di sacrificio e con quel senso di umanità che viene ampiamente ed unanimemente apprezzato non soltanto dalla comunità internazionale, ma anche dalle autorità e dalla popolazione afgane.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

DIMA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il 2 giugno ricorre la Festa della Repubblica, Festa nazionale per eccellenza, ormai caratterizzata dalla numerosa partecipazione di cittadini alle tante manifestazioni organizzate per renderle omaggio, tra le quali spicca la tradizionale parata delle Forze armate;

durante le celebrazioni del 62° Anniversario della Repubblica Italiana, in occasione dell'appuntamento dei Fori Imperiali a Roma, ai tantissimi cittadini che hanno assistito alla parata, esprimendo in questo modo il proprio affetto nei confronti dei nostri militari, sono stati consegnati alcuni gadget tra i quali un cappellino con visiera con la dicitura «Forze Armate Italiane», sicuramente commissionato dagli organizzatori della manifestazione;
sull'etichetta del prodotto, distribuito in occasione del 2 giugno, è purtroppo stampata la frase «Made in China»;
sembrerebbe paradossale, pur di fronte all'economia ed al mercato globale del nostro tempo, che in occasione di una manifestazione in cui si celebra la nascita della Repubblica Italiana e delle sue Istituzioni democratiche siano stati distribuiti gadget che non sono prodotti da aziende italiane ma estere, nella fattispecie cinesi;
questo Governo, nella sua azione politica, si sta distinguendo per il recupero e la valorizzazione dei simboli dell'unità nazionale rappresentati, anche e soprattutto, da importanti date storiche come quella del 4 novembre in cui si ricordano e si onorano i caduti di tutte le guerre e per la quale sono previste celebrazioni, promosse dal Ministero della difesa, nelle scuole e nelle città italiane -:
quali siano i motivi che hanno spinto gli organizzatori a distribuire un prodotto non italiano e se sia intenzione del Ministro della Difesa, in occasione delle prossime celebrazioni, ricorrere ad aziende produttrici italiane.
(4-01448)

Risposta. - A premessa si rappresenta che, in generale, l'attività promozionale e, più in particolare, la distribuzione di gadget in occasione di celebrazioni di ricorrenze o di eventi di particolare rilievo rientrano nell'ambito delle iniziative istituzionali di comunicazione del ministero della difesa volte a rafforzare il legame fra il Paese e le forze armate e ad avvicinare i cittadini alle istituzioni, attraverso riferimenti ai simboli e ai valori della Repubblica.
Nel caso specifico - richiamato dall'interrogante - dei cappellini distribuiti in omaggio in occasione della celebrazione del anniversario della festa della Repubblica Italiana, sui quali era riportato il tricolore e la scritta «Forze Armate Italiane», si è proceduto ad un approvvigionamento mediante apposita gara, secondo quanto previsto dalla normativa vigente in materia.
L'appalto della fornitura è stato aggiudicato alla ditta che ha presentato un'offerta conforme alle caratteristiche/specifiche tecniche indicate nel bando di gara ed a un costo valutato congruo e più favorevole per l'Amministrazione, anche tenuto conto del rapporto qualità/prezzo.
Per quanto attiene, invece, la provenienza del relativo materiale, mi preme sottolineare che la suprema Corte di cassazione, con sentenza n. 13712 del 14 aprile 2005, ha sancito che ciò che rileva non è il luogo di produzione del manufatto, ma l'identificazione del produttore e la riconducibilità del prodotto all'azienda.
In altre parole, sia nel caso che un manufatto sia stato fabbricato in un paese estero per conto di un'azienda italiana, sia nel caso che il manufatto sia da questa, successivamente, lavorato/trasformato o commercializzato, il manufatto stesso deve considerarsi prodotto in Italia.
Concludendo, l'approvvigionamento dei copricapo in questione è avvenuto secondo le regole del libero mercato e in aderenza al quadro giuridico vigente.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

DIMA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il Prefetto di Cosenza, a seguito della comunicazione scritta di un Consigliere comunale del Comune di Montegiordano (Cosenza) avente ad oggetto l'applicazione delle misure d'imposta fissa dei bolli sui documenti rilasciati dall'Ufficio Anagrafe e Stato Civile dei Comuni, rispondeva con nota, prot. n. 36483/07/EE.LL., che: «Il

Ministero dell'interno, all'uopo interpellato anche da altre Amministrazioni comunali in ordine all'applicazione della legge sull'imposta di bollo, ha espresso il proprio parere, comunicando che gli atti rilasciati dagli uffici comunali, nella fattispecie d'anagrafe e di stato civile, qualora siano riconducibili "agli atti e provvedimenti degli organi dell'Amministrazione dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei Comuni, rilasciati a coloro che ne abbiano fatto richiesta" di cui all'articolo 4 della Tariffa del decreto del Presidente della Repubblica n. 642 del 1972, in quanto tali, scontano l'imposta di bollo fin dall'origine, nella misura di euro 14,62»;
il suddetto Consigliere comunale, sullo stesso argomento, interpellava poi la Prefettura di Matera che dichiarava che la legge a cui fare riferimento è la n. 405 del 1990, nella fattispecie l'articolo 7, comma 5, che recita testualmente «sono esenti dall'imposta di bollo gli atti e documenti concernenti l'iscrizione, la frequenza e gli esami nell'ambito dell'istruzione secondaria di secondo grado, comprese le pagelle, i diplomi, gli attestati di studio e la documentazione similare; i certificati, le copie e gli estratti dei registri dello stato civile e l'autenticazione delle sottoscrizioni delle corrispondenti dichiarazioni sostitutive»;
alcuni Comuni della provincia di Cosenza e tutti quelli della Provincia di Matera non farebbero applicare la marca da bollo di euro 14,62, nel caso per esempio dell'atto di assenso per il rilascio di passaporto a figli minori -:
quali iniziative il Ministro dell'interno intenda intraprendere affinché gli enti locali, sul caso specifico, adottino decisioni uniformi tra loro.
(4-01940)

Risposta. - Nella vicenda rappresentata dall'interrogante non si ravvisano profili di contraddittorietà in merito all'applicazione della normativa vigente in materia di imposta di bollo.
La Prefettura di Cosenza, infatti, a seguito di apposita richiesta da parte del Comune di Montegiordano, si è limitata a chiarire, anche sulla scorta degli elementi forniti dall'Agenzia delle entrate, che gli atti d'anagrafe o di stato civile rilasciati dagli Uffici comunali, scontano l'imposta di bollo fin dall'origine qualora siano riconducibili «agli atti o provvedimenti degli organi dell'Amministrazione dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei comuni .... rilasciati ... a coloro che ne abbiano fatto richiesta», così come disposto dall'articolo della Tariffa di cui al decreto ministeriale 20 agosto 1992, che, peraltro alla lettera
c) statuisce che sono esenti dall'imposta i certificati, le copie e gli estratti desunti esclusivamente dai registri dello stato civile e le corrispondenti dichiarazioni sostitutive. Non sussiste, quindi, alcun contrasto rispetto a quanto stabilito dall'articolo 7, comma 5, della legge n. 405 del 1990.
Anche la Prefettura di Matera, inoltre, ha riferito di non aver ricevuto alcuna segnalazione circa una non conforme applicazione delle norme sull'imposta di bollo.
Per quanto attiene alla questione relativa all'applicazione della predetta imposta nei casi di assenso dei genitori al rilascio del passaporto ai figli minori, questa Amministrazione, con circolare del 2 settembre 1998, ha chiarito che nei casi in cui si utilizzi un unico modulo per la richiesta della carta d'identità valida per l'espatrio, non è richiesta l'autenticazione della sottoscrizione, come statuito dall'articolo 2 comma 11 della legge n. 191 del 1998. Tale principio, a mente della predetta circolare, si estende anche ai moduli di istanza nei quali si faccia espresso riferimento alle dichiarazioni allegate che costituiscono parte integrante dell'istanza medesima. Pertanto, sulla base di tale impostazione viene meno la necessità di effettuare l'autenticazione della firma e, quindi, non è più dovuta l'imposta di bollo.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

TOMMASO FOTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il prossimo 2 luglio, 43 ufficiali in ferma prefissata dell'Arma dei Carabinieri appartenenti al sesto e settimo corso AUFP, terminata l'iniziale ferma di 30 mesi, ultimeranno l'ulteriore ferma annuale ottenuta a seguito di apposito concorso, raggiungendo così 42 mesi di servizio continuativo;
avendo prestato più di tre anni di servizio, già a partire dallo scorso gennaio, i predetti hanno presentato all'amministrazione di appartenenza istanza di stabilizzazione, al fine di ottenere l'assunzione a tempo indeterminato, così come previsto sia dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), all'articolo 1, comma 519, sia dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, (legge finanziaria 2008);
la richiamata normativa impone, inoltre, alle amministrazioni di continuare ad avvalersi di detto personale nelle more delle procedure per la stabilizzazione;
a pochi giorni dalla scadenza della ferma, e quindi dal congedo, nessun trattenimento in servizio di detti ufficiali è stato ancora disposto -:
se e quali iniziative intenda assumere al riguardo.
(4-00462)

Risposta. - La questione affrontata con l'atto in esame riguardante gli ufficiali in ferma prefissata dell'Arma dei carabinieri appartenenti al sesto corso e settimo corso si è come auspicato, conclusa con esito positivo, in quanto tali ufficiali, dopo essere stati trattenuti in servizio hanno concluso le relative procedure di stabilizzazione per l'anno 2008, indette con decreto dirigenziale n. 14 del 12 gennaio 2009 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4 serie speciale, n. 5 del 20 gennaio 2009).
La competente direzione generale per il personale militare, pertanto, con decreti n. 150 del 2009 e n. 152 del 2009 datati 30 giugno 2009 ha approvato le graduatorie finali degli idonei, ai quali, in data 22 settembre 2009, sono state conferite le nomine di ufficiale in servizio permanente.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

GRIMOLDI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
è stato recentemente lanciato il nuovo logo del Partito Democratico del Nord, composto dalle lettere PDN di colore verde e rosso su sfondo bianco;
il logo PDN identifica inequivocabilmente la dicitura Padania ed è utilizzato da più di dieci anni dal partito politico «Lega Nord per l'indipendenza della Padania» per identificare una specifica area del Paese -:
quali provvedimenti intenda adottare il Ministro per evitare che gli elettori si possano confondere ed in particolare se il Ministro non intenda inibire l'uso della sigla PDN al Partito Democratico e a qualsiasi altro partito politico.
(4-01843)

Risposta. - La normativa vigente attribuisce al ministero dell'interno la competenza in ordine all'ammissione, o all'eventuale invito alla sostituzione, dei simboli presentati dai partiti o gruppi politici esclusivamente riguardo alla fase preparatoria del procedimento per le elezioni politiche e per le elezioni del Parlamento europeo (articolo 14, e seguenti, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, articolo 8 del decreto legislativo n. 533 del 1993 ed articolo 11 della legge n. 18 del 1957).
Per quanto concerne il caso evidenziato dall'interrogante, si rappresenta che alle ultime elezioni europee non ha partecipato né ha presentato il proprio simbolo, presso il ministero dell'interno, alcun gruppo che si richiamasse al
«Partito Democratico del Nord».
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

HOLZMANN. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
in provincia di Bolzano le associazioni d'Arma rivestono un'importanza particolare come rete connettiva della comunità di lingua italiana;
costituiscono un riferimento importante per gli ex militari, le loro famiglie ed i simpatizzanti, promuovendo attività aggregative, culturali, di solidarietà, ricreative e sportive;
la riduzione delle truppe alpine ha comportato una minore presenza sul territorio anche degli ex militari ed un certo ridimensionamento delle varie associazioni d'Arma, alcune delle quali sono praticamente scomparse dopo qualche anno dal trasferimento dei reparti di appartenenza, come nel caso della Cavalleria, altre si dibattono in crescenti difficoltà economiche;
le sedi di molte associazioni d'Arma, comprese le più attive e numerose come quella degli Alpini, sono generalmente ubicate in strutture militari non più utilizzate ma rischiano di essere permutate con il programma già in corso con la Provincia Autonoma di Bolzano;
attualmente sono a rischio tutte le associazioni d'Arma ubicate nella palazzina di via S. Quirino a Bolzano dove tra l'altro hanno sede l'Associazione Nazionale Alpini, i Paracadutisti, il Corpo Militare CRI, il Corpo Infermiere Volontarie CRI, l'Associazione Sottufficiali, le sedi dei gruppi ANA di Merano e Marlengo attualmente ubicate in due piccole palazzine in un'area recintata ed autonoma in via Palade a Merano -:
se il Ministro della difesa intenda assumere iniziative per risolvere il problema delle sedi delle associazioni d'Arma in provincia di Bolzano, vista la particolare e delicata situazione della comunità di lingua italiana e la necessità di mantenere uno stretto legame tra i cittadini e le Forze Armate e come intenda comportarsi, in particolare, per le sedi di Bolzano e Merano.
(4-03215)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede di conoscere quali iniziative il Ministro della difesa intenda assumere per risolvere «il problema delle sedi delle associazioni d'Arma», ubicate in strutture militari nelle città di Bolzano e Merano.
In particolare, nell'interrogazione in esame, viene ipotizzato il rischio che alcune di queste sedi possano «essere permutate con il programma già in corso con la provincia autonoma di Bolzano».
Al riguardo, voglio sottolineare che la palazzina di via San Quirino di Bolzano e le palazzine di via Palade di Merano, attualmente utilizzate da varie associazioni d'Arma tridentine, non rientrano tra gli immobili inseriti nel Protocollo d'intesa sottoscritto con la Provincia autonoma di Bolzano il 10 agosto 2007, che ha enucleato gli immobili da cedere in permuta al citato ente locale in cambio di nuove infrastrutture e la ristrutturazione di quelle esistenti nell'area di Bolzano.
In ragione ditali evidenze, non si ravvedono i presupposti per porre in essere le iniziative richieste con l'interrogazione in parola, posto che gli immobili stessi non sono tra quelli oggetto dell'intesa con l'ente locale interessato alla permuta.
Per completezza d'informazione, invece, mi pare il caso di specificare che, allo stato, i citati immobili, occupati dalle associazioni d'Arma, sono stati dismessi temporaneamente all'Agenzia del demanio che ne ha regolarizzato l'utilizzo mediante atto di concessione sessennale.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

HOLZMANN. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 2007 ha attribuito al personale dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica, dal grado di primo caporal maggiore e corrispondenti a quello di tenente colonnello o capitano di fregata che abbiano riportato in sede di ultima valutazione caratteristica almeno la

qualifica di «superiore alla media», un fondo per l'efficienza dei servizi istituzionali da individuare ogni anno nei limiti delle risorse economiche assegnate;
per il 2007, con apposito decreto ministeriale, le risorse sono state attribuite individuando due criteri: a chi presta servizio presso le strutture di vertice con sede a Roma; al personale in servizio nel resto d'Italia;
il citato decreto è stato firmato su proposta del Capo di Stato Maggiore della Difesa, sentiti gli organi di vertice di Forza armata, i quali hanno evidenziato che il personale impiegato presso gli Organismi dell'area centrale è fortemente penalizzato rispetto a quello impiegato negli enti periferici, nonostante esso sia preposto ad incarichi e funzioni che richiedono elevate professionalità;
ciò ha suscitato forti perplessità nell'ambito del personale dei reparti operativi delle Truppe alpine che spesso prestano servizio in sedi disagiate (Vipiteno, Brunico, Tolmezzo, Bolzano) dove il caro vita risulta tra i più alti a livello nazionale;
il personale dei reparti si è visto attribuire mediamente circa 30 euro lordi in meno rispetto al personale di vertice e l'importo annuo lordo pro capite si attestava nel grado più alto a 112,57 euro;
con il decreto del Presidente della Repubblica n. 52 del 2009 sono state deferite le risorse per l'anno 2008 decisamente superiori rispetto al 2007, e nella bozza del decreto ministeriale, su proposta del Capo di Stato Maggiore della Difesa, sono stati individuati gli importi da attribuire a tutto il personale con gli stessi criteri di attribuzione del 2007, ossia dividendo in una tabella il personale che presta servizio presso gli organi di vertice a Roma ed in una seconda il rimanente personale;
la differenza tra le due tabelle è di circa 360 euro lordi a favore del personale di vertice, che già in gran parte nel decreto del Presidente della Repubblica n. 52 del 2009 si è visto riconoscere un aumento dell'indennità di impiego operativa di circa il 10 per cento -:
se il Ministro interrogato intenda rimodulare questa proposta tenendo conto che le predette risorse sono attribuite per fronteggiare tutte le particolari situazioni di servizio e per incentivare l'impegno del personale nelle attività di funzionamento e miglioramento di tutti i servizi delle Forze armate, eliminando la forbice economica tra le due categorie di personale interessato.
(4-03604)

Risposta. - In primo luogo, devo sottolineare la correttezza dei criteri e delle motivazioni, peraltro condivisi dall'Organo centrale della rappresentanza militare (COCER), che hanno portato alla definizione del richiamato decreto ministeriale per l'attribuzione del Fondo per l'efficienza dei servizi istituzionali (FEI).
In sede di definizione dei predetti criteri e modalità, infatti, i competenti organi tecnico - operativi hanno ravvisata l'esigenza di compensare in misura lievemente maggiore, rispetto al restante personale, quello impiegato presso gli Organismi dell'area centrale, intesa sia in senso territoriale (ubicazione nell'area di Roma), sia in senso funzionale (Organismi di vertice dell'amministrazione difesa e delle forze armate).
Ciò è avvenuto nella ragionevole considerazione che il citato personale è maggiormente penalizzato, rispetto a quello impiegato negli enti periferici, in ragione dei più stressanti e difficili ritmi di vita e delle meno agevoli condizioni logistiche, ai quali si è sottoposti vivendo nell'area metropolitana.
In secondo luogo, preciso che la differenza annua lorda prevista per il FEI 2008 tra il personale in servizio presso le strutture di vertice con sede a Roma ed il restante personale non ammonta, come sostenuto nell'ambito dell'atto, a 360 euro annui lordi, ma è invece pari a 272,05 euro annui lordi per il grado vertice di tenente, colonnello e a 242,18 euro annui lordi per il grado iniziale di 1° caporal maggiore.
Inoltre, il richiamato decreto del Presidente della Repubblica n. 52 del 2009,

(articolo 9, comma 2) non aumenta, come sostenuto dall'interrogante, l'indennità mensile d'impiego operativo del personale dell'area centrale del 10 per cento, bensì del 5 per cento, portandola dal 120 per cento al 125 per cento.
In proposito, faccio notare, altresì, che la forbice del trattamento economico tra il personale delle truppe alpine e quello in servizio presso le strutture di vertice con sede a Roma, risulta a favore della prima categoria, per il grado di vertice di tenente colonnello di 1.691,88 euro annui lordi e per il grado iniziale di 1° caporal maggiore di 504 euro annui lordi.
Infatti, rammento che il personale delle truppe alpine beneficia di una specifica indennità d'impiego operativo, che essendo pari al 160 per cento di quella «base» è evidentemente più favorevole di quella invece spettante al predetto personale in servizio nella sede della capitale, pari al 125 per cento di quella «base».

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MIGLIORI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nell'imminenza delle prossime elezioni amministrative, si verifica in Toscana il triste fenomeno di consigli provinciali convocati per mere esigenze propagandistiche avendo all'ordine del giorno bilanci previsionali e delibere di piani di settore, sia politicamente che giuridicamente di competenza dei Consigli e delle giunte provinciali che scaturiranno dal voto del 6 e 7 giugno p.v;
sono per legge ammissibili solo riunioni dei consigli provinciali su deliberazioni urgenti e non differibili secondo una casistica, cioè, estranea agli ordini del giorno già contenuti nelle convocazioni prossime dei consigli provinciali di Firenze e Pistoia;
tali eventuali deliberazioni potrebbero essere impugnate per limiti di legittimità -:
se non si reputi opportuno ed urgente riconfermare all'UPI (Unione delle province italiane) l'interpretazione autentica del Ministero circa le possibilità estreme di convocazione dei consigli provinciali onde evitare illegittimità difficilmente sanabili ed un uso ad avviso dell'interrogante improprio a fini elettorali delle istituzioni elettive locali.
(4-03117)

Risposta. - La normativa vigente non riserva al ministero dell'interno alcuna forma di controllo sugli atti degli enti locali, avverso i quali sono esperibili ricorsi al Tar ovvero, in alternativa, ricorsi straordinari al Capo dello Stato.
Ciò premesso, si rappresenta che l'articolo 38 del decreto legislativo n. 267 del 2000, al comma 5 prevede che i consigli comunali e provinciali «durano in carica sino all'elezione dei nuovi, limitandosi, dopo la pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali, ad adottare gli atti urgenti ed improrogabili», senza specificare quali siano gli atti «urgenti ed improrogabili».
Secondo la giurisprudenza in materia, l'esistenza dei presupposti dell'urgenza e dell'improrogabilità deve essere valutata caso per caso dall'ente interessato, tenendo presente il criterio interpretativo di fondo che pone quali elementi costitutivi della fattispecie scadenze fissate dalla legge e/o il rilevante danno per l'amministrazione locale che deriverebbe da un ritardo nel provvedere. Peraltro, poiché la valutazione delle necessità dell'atto è rimessa all'organo emanante, che ne assume la relativa responsabilità politica, è necessario che la deliberazione sia adeguatamente motivata, soprattutto qualora si tratti di atti per i quali non è prescritto un termine perentorio.
Con riferimento agli specifici episodi cui fa riferimento l'interrogante l'amministrazione provinciale di Firenze ha comunicato che nel periodo successivo alla pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi elettorali il Consiglio si è riunito il 25 maggio 2009, approvando la delibera n. 89, avente come oggetto il «Patto di Stabilità interno 2009».


Prima dell'approvazione di tale delibera, proprio in considerazione della previsione di cui al citato articolo 38, era stato discusso dallo stesso consiglio provinciale un documento volto ad accertare la sussistenza dei requisiti di urgenza ed inderogabilità dell'atto. Anche i responsabili della direzione servizi finanziari e della direzione organizzazione, peraltro, avevano ravvisato ed esplicitato le medesime ragioni di inderogabilità e urgenza del provvedimento in questione, individuandole nella esigenza di riportare le spese di bilancio entro i limiti di legge.
Per quanto riguarda il consiglio provinciale di Pistoia, il Presidente ha comunicato che l'organo collegiale si è attenuto alle disposizioni vigenti. Le delibere adottate in occasione delle sedute del 19 e 28 maggio 2009, infatti, sono state precedute dall'approvazione, da parte del Consiglio della dichiarazione di urgenza ed improrogabilità ai sensi dell'articolo 38, comma 5, del decreto legislativo n. 267 del 2000. Per quanto riguarda, infine, la seduta convocata per il 5 giugno 2009, si rappresenta che il Presidente del Consiglio Provinciale, a seguito di approfondimenti richiesti dal prefetto di Pistoia, ha successivamente annullato la Convocazione.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

MIGLIORI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 61, comma 18, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, ha istituito per l'anno 2009 nello stato di previsione del Ministero dell'interno un fondo con una dotazione di 100 milioni di euro per la realizzazione, sulla base di apposite convenzioni tra lo stesso Ministero dell'interno ed i comuni, di iniziative dirette a potenziare la sicurezza urbana e la tutela dell'ordine pubblico;
alla stregua di tale previsione normativa, con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in data 3 febbraio 2009, registrato alla Corte dei conti il 19 febbraio 2009, registro 2 foglio 9, sono state adottate le disposizioni per l'utilizzo del citato fondo con l'individuazione dell'ambito di destinazione degli stanziamenti;
i comuni potranno accedere alle risorse disponibili attraverso la predisposizione di progetti, secondo modalità e tempi determinati, che saranno preventivamente posti all'esame ed al parere del prefetto -:
se Firenze e gli altri comuni della Toscana abbiano avanzato specifiche richieste in merito.
(4-03982)

Risposta. - In ordine al quesito formulato dall'interrogante si fa presente che nella regione Toscana sono stati presentati 281 progetti, di cui 44 nella sola provincia di Firenze, relativi alla realizzazione di iniziative urgenti per il potenziamento della sicurezza urbana e la tutela dell'ordine pubblico.
Sono stati ammessi al finanziamento 15 progetti per un importo complessivo di euro 3.507.412,00 e, tra questi, 4 in provincia di Firenze di cui 1 relativo al capoluogo - per un importo totale di euro 406.438,00.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

MISIANI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in data 10 luglio 2009 i gruppi di minoranza del Consiglio comunale di Gorle hanno inviato al Prefetto di Bergamo un esposto in merito alla verifica dell'ineleggibilità alla carica di Sindaco del Comune di Gorle del dott. Marco Ugo Filisetti;
secondo quanto riportato nell'esposto, in data 7 maggio 2009 (giorno antecedente la presentazione delle candidature a Sindaco) il dott. Filisetti ha stipulato un contratto con il Ministero della Pubblica

Istruzione per lo svolgimento del ruolo di direttore generale presso il Ministero della Pubblica Istruzione ai sensi dell'articolo 19, comma 5-bis, del Decreto legislativo 165 del 2001;
con il conferimento di detto incarico il dottor Filisetti ha assunto a pieno titolo le funzioni di direzione di un ufficio di livello dirigenziale generale di una Amministrazione Statale con instaurazione piena del rapporto di servizio. È quindi un dipendente civile dello Stato;
in seguito alle elezioni del 6 e 7 giugno 2009 il Dr. Filisetti è stato eletto Sindaco del Comune di Gorle (Provincia di Bergamo);
l'articolo 60 del Decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» al comma 1, punto 1, riporta tra le cause di ineleggibilità a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale ...l'essere dipendenti civili dello Stato che svolgono le funzioni di direttore generale o equiparate o superiori». Trovandosi in questa fattispecie il Dr. Filisetti risulterebbe oggettivamente ineleggibile -:
quali iniziative intenda assumere il Ministero dell'Interno in relazione alla presunta ineleggibilità a Sindaco di Gorle del dott. Filisetti, in particolare se il prefetto intenda promuovere l'azione popolare di cui all'articolo 70 del decreto legislativo n. 267 del 2000;
quali iniziative il Ministero della Pubblica Istruzione abbia adottato o intenda adottare all'interno del Ministero in relazione all'eventuale procedimento dichiarativo della decadenza dalla carica di Sindaco.
(4-03748)

Risposta. - Da notizie assunte dalla Prefettura di Bergamo, l'incarico al dottor Marco Filisetti è stato conferito ai sensi dell'articolo 19, commi 4 e 5-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in quanto l'interessato non appartiene al «ruolo unico dei dirigenti delle amministrazioni dello Stato» previsto dalle 23 del medesimo decreto, ma è dipendente della Provincia di Bergamo con qualifica di dirigente.
L'invocata causa di ineleggibilità non sussiste perché le norme statuenti tali cause - secondo un costante orientamento giurisprudenziale - sono da considerarsi di stretta interpretazione, e la fattispecie individuata dall'articolo 60, comma 1, numero 1 del citato testo unico enti locali n. 267 del 2000), si riferisce ai soli «dipendenti civili dello Stato che svolgono le funzioni di direttore generale» e non di altre pubbliche amministrazioni. Di conseguenza, l'elemento ostativo all'eleggibilità deve individuarsi solo nella circostanza di svolgere, in qualità di dipendente civile dello Stato, le funzioni di direttore generale.
Tale condizione non ricorre nel caso del neo Sindaco di Gorle, che, posto alle dipendenze di un'amministrazione locale, non è un dipendente civile dello Stato e si limiterà a svolgere, per il periodo di tempo determinato dall'incarico, le mansioni di livello dirigenziale generale.
Va peraltro riferito, per completezza, che il dottor Filisetti, in seguito alla registrazione del provvedimento di nomina da parte della Corte dei conti in data 8 luglio 2009, è stato collocato dalla Provincia di Bergamo in aspettativa senza assegni con decorrenza dal 20 luglio 2009, ed ha iniziato a ricoprire l'incarico conferitogli presso il ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

NEGRO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la mancata emanazione, nei provvedimenti di fine anno 2009, della norma interpretativa sull'esclusione dell'ici dei fabbricati in possesso dei requisiti di ruralità, sta creando notevoli disagi alle centinaia di migliaia di coltivatori diretti e a tutte le cooperative agricole; secondo le organizzazioni di settore, diversi comuni

hanno già iniziato, infatti, a intraprendere azioni di recupero con appositi avvisi di accertamento, anche per le annualità pregresse, in palese violazione, ad avviso dell'interrogante, dei principi di buona fede e legittimo affidamento dei contribuenti;
nel contesto economico attuale chiedere al settore agricolo di sopportare un prelievo iniquo (per sostanziale ammissione dello stesso Esecutivo, rispondendo ad un'apposita interrogazione a risposta immediata in Assemblea nella seduta dell'8 ottobre 2008) ed oneroso fa assumere alla misura un carattere particolarmente penalizzante per il comparto -:
se non ritenga di assumere in tempi rapidi iniziative di carattere normativo volte a chiarire in maniera definitiva l'esclusione dei fabbricati rurali dall'applicazione dell'ici, anche per evitare il sorgere, già preannunciato, di un oneroso contenzioso amministrativo e tributario da parte delle organizzazioni del settore e dei singoli interessati.
(4-05779)

Risposta. - Con il documento in esame, l'interrogante chiede che siano adottati interventi di carattere normativo che prevedano l'esclusione dall'ambito di applicazione dell'imposta comunale sugli immobili (ICI) dei fabbricati rurali.
A tal riguardo, si precisa che, nella disciplina dell'ICI, è già presente una norma di carattere interpretativo che esclude i fabbricati in questione dal campo di applicazione del tributo locale. Infatti, l'articolo 23, comma 1-
bis del decreto legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, dispone che «Ai sensi e per effetti dell'articoli 1, comma 2, della legge 21 luglio 2000, n. 212, l'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui all'articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni».
In particolare, il Dipartimento delle finanze ha rappresentato che i disagi cui fa riferimento l'interrogante derivano dai contrasti giurisprudenziali verificatisi in materia nel corso degli ultimi anni. Infatti, nelle sentenze n. 18565 e n. 18570 entrambe del 21 agosto 2009, le Sezioni unite della Corte di Cassazione, hanno affermato che la ruralità può essere riconosciuta solo qualora i fabbricati rurali siano accatastati nella categoria A/6 o D/10 a seconda che siano rispettivamente abitativi o strumentali all'esercizio dell'attività agricola.
Invece, nella sentenza n. 24299 del 18 novembre 2009, la Suprema Corte ha affermato che «non e oggetto di ICI il fabbricato (omissis) che indipendentemente dalla sua iscrizione nel catasto fabbricati, è rurale in quanto utilizzato per la manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli dei soci».
Nondimeno, si fa presente che sono già stati forniti chiarimenti ad un documento di sindacato ispettivo di analogo contenuto, esaminato in Commissione finanze della Camera dei deputati, in data 17 febbraio 2010; in tale sede, relativamente al regime fiscale agevolato applicabile ai fabbricati destinati ad edilizia abitativa, si è sostenuto che occorre vengano rispettate contemporaneamente le condizioni oggettive e soggettive indicate dalle lettere
a), a-bis), c), d) ed e) del comma 3 dell'articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, a prescindere dalla categoria catastale ai medesimi attribuita.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Daniele Molgora.

PALADINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il Ministro dell'interno, ha emanato nei giorni scorsi il decreto di assegnazione dei fondi ex articolo 61, comma 18, del decreto-legge n. 112 del 2008, pari a cento milioni di euro, destinati a città italiane che avessero presentato progetti inerenti la

sicurezza urbana, considerando prioritario il parametro dell'indice di criminalità;
in virtù di tale decreto, i finanziamenti per la città di Genova ammontano ad euro zero nonostante la civica amministrazione genovese abbia presentato, in data 26 giugno 2009, due progetti;
il primo progetto, per un valore di 500.000 euro, prevedeva la totale riqualificazione e messa in sicurezza dell'area più degradata del quartiere di Genova «Sampierdarena» e che un secondo progetto prevedeva altresì la ristrutturazione e messa a norma di un immobile, sede della Polizia municipale;
tali progetti, se attuati, avrebbe consentito una migliore qualità del servizio ed un maggior presidio del territorio nonché risparmi di denaro pubblico da riutilizzare per l'ulteriore implementazione delle dotazioni del Corpo di polizia municipale;
il finanziamento è stato accordato ad altri progetti, assolutamente simili, provenienti spesso da piccole realtà locali quali ad esempio i comuni di San Cipriano Po, Parghelia, Monastero di Vasco, Soriano Calabro, Maglie, Adelfia, e altri, che godranno di cospicui finanziamenti pur annoverando un numero di abitanti assolutamente inferiore a quello della sesta città d'Italia;
l'indice di criminalità di una città metropolitana non può essere così sottovalutato rispetto a piccole realtà quali quelle sopra descritte -:
quali siano stati i criteri in base ai quali sia stato possibile adottare la decisione di neon assegnare alcun finanziamento alla città di Genova;
se il Ministro intenda porre rimedio alla descritta situazione nell'interesse della popolazione della sesta città d'Italia per numero di abitanti.
(4-05714)

Risposta. - L'articolo 61 comma 18 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con legge 6 agosto 2008, n. 133 ha previsto, per l'anno 2009 l'istituzione, nello stato di previsione del ministero dell'interno, di un apposito Fondo - con una dotazione di 100 milioni di euro - da destinare alla realizzazione di iniziative urgenti per il potenziamento della sicurezza urbana e la tutela dell'ordine pubblico sulla base di apposite convenzioni tra questa amministrazione ed i comuni.
Successivamente, con decreto interministeriale del 3 febbraio 2009, sono stati individuati l'ambito di destinazione degli stanziamenti ed i criteri prioritari per il riparto del fondo medesimo, comprensivi dell'indice di criminalità del territorio cui è riferito l'intervento da realizzare, le eventuali forme di cofinanziamento impegnate dal comune nel progetto, i tempi di realizzazione dello stesso nonché gli strumenti previsti per assicurare nel tempo la manutenzione degli impianti.
Si precisa che oltre la metà della dotazione di 100 milioni di euro, con decreti ministeriali del 7 luglio 2009, è stata destinata in via prioritaria, così come previsto dal citato decreto interministeriale, per finanziare progetti ed interventi diretti a fronteggiare le situazioni di emergenza relative ai campi nomadi che insistono nelle regioni Lazio, Lombardia e Campania.
Per l'assegnazione della rimanente parte del fondo, sono pervenute 2.171 istanze di cui n. 1238 sono state valutate positivamente, ossia ritenute in possesso dei requisiti previsti per l'ammissione al finanziamento dall'apposito organismo di valutazione, istituito dal Ministro dell'interno con decreto del 5 marzo 2009.
Si rappresenta, comunque, che, in base alle somme disponibili, è stato possibile erogare contributi solo ai primi 159 progetti collocatisi utilmente in graduatoria, tra i quali non sono rientrati i due progetti presentati dal comune di Genova.
Il primo riguardava l'adeguamento di un edificio destinato ad ospitare un distretto della polizia municipale e il secondo prevedeva interventi di riqualificazione del quartiere Sampierdarena, per un costo preventivato, rispettivamente, di 1.000.000,00 e di 580.000,00 circa.
La prefettura di Genova ha espresso parere favorevole solo in relazione al secondo

dei due citati progetti, mentre ha ritenuto il primo non rientrante, almeno in via prioritaria, nell'ambito di destinazione degli interventi cui sono finalizzati gli stanziamenti del Fondo di cui alla citata legge 6 agosto 2008, n. 133.
È stato rilevato, infatti, che la possibilità di adire al finanziamento per un intervento strutturale su un immobile da adibire a sede di polizia era subordinata alla condizione che il progetto rientrasse nell'ambito dei Patti per la sicurezza. Nel caso di specie, invece, il Patto per Genova sicura, nel prevedere una disamina complessiva circa l'attualità della distribuzione dei presidi di polizia, finalizza la stessa ad una eventuale ridistribuzione delle strutture nell'ottica di un più incisivo controllo del territorio e con possibile recupero di unità da destinare ai servizi esterni.
Nell'ambito del territorio della provincia di Genova sono, comunque, stati accolti due progetti, presentati rispettivamente dal comune di Chiavari e dal comune di Rapallo.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

PIONATI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
su segnalazione dell'autorità giudiziaria, la Prefettura di Avellino ha disposto l'invio di una commissione di verifica al Comune di Lauro (Avellino) per verificare l'esistenza di un supposto condizionamento camorristico nelle attività amministrative di detto comune, benché l'autorità giudiziaria di cui trattasi non abbia assunto alcun provvedimento nei confronti degli amministratori di quel comune;
da pubbliche dichiarazioni dell'autorità giudiziaria risulta che nell'analoga situazione si trovino altre diverse amministrazioni comunali della stessa provincia, con maggioranze politiche differenti, che hanno assunto provvedimenti amministrativi censurati da parte della stessa autorità giudiziaria, ma per i quali, al momento, non si è ritenuto di avviare alcuna attività ispettiva;
l'Amministrazione Comunale di Lauro, con delibera del consiglio comunale n. 10 del 23 marzo 2005, disponeva il ritiro degli atti relativi al piano regolatore generale in itinere, al fine di consentire la formazione di un nuovo piano urbanistico comunale che prevedesse misure molto più restrittive sia per l'edificabilità privata che per la destinazione ad uso pubblico di alcune aree industriali dismesse al fine di evitare ogni tipo di speculazione;
con delibera di Consiglio comunale n. 27 del 9 giugno 2007 la stessa amministrazione provvedeva a richiedere, anche per l'edilizia privata, che l'interessato facesse pervenire all'ente locale, prima dell'inizio dei lavori, sia la certificazione antimafia della ditta esecutrice dei lavori ed, in seguito, anche un'informativa da parte degli organi territoriali di governo riguardante il richiedente del permesso a costruire;
l'amministrazione comunale di Lauro si è fatta promotrice della istituzione del Parco naturale regionale Vallo di Lauro - Pizzo d'Alvano, riguardante un'area, non solo a grande rischio geologico (frane di Quindici - Sarno del 1998) ma anche, come risulta da atti giudiziari, ad alto rischio di intromissione della criminalità organizzata, prestando il fianco, con tale iniziativa, agli attacchi provenienti da ambienti criminali contrari a tale istituzione;
con delibera di Giunta comunale n. 44 del 15 febbraio 2007 e, poi, con delibera di Consiglio comunale n. 27 del 9 giugno 2007, nonché, con delibera di Giunta comunale n. 130 del 9 giugno 2007 ed infine con delibera di giunta comunale n. 139 del 28 giugno 2007 l'amministrazione comunale di Lauro, richiedeva all'Ufficio Territoriale di Governo di Avellino di costituire una stazione unica appaltante, per l'aggiudicazione dei lavori pubblici in quel comune;
in data 3 novembre 2007, nella seduta n. 43, il Consiglio Comunale di Lauro

approvava un nuovo schema di protocollo di legalità con la Prefettura di Avellino al fine di adottare misure volte a prevenire e contrastare la criminalità organizzata, mettendo, tra l'altro, in evidenza i limiti della legge Merloni che non è in grado di garantire, anche al di là dell'impegno e della correttezza dei pubblici amministratori e dei funzionari, la trasparenza e la legalità degli appalti pubblici -:
quali siano i motivi che hanno indotto la Prefettura di Avellino ad inviare la Commissione di Accesso agli atti presso il Comune di Lauro (Avellino);
dopo la dovuta rigida, severa, ed imparziale disamina degli atti amministrativi posti in essere da quella amministrazione comunale da parte della commissione, del Prefetto e degli organi ministeriali competenti quali iniziative si intendano adottare qualora risultasse totalmente insussistente il condizionamento camorristico di quella amministrazione con ciò tutelando gli amministratori locali che ogni giorno svolgono con onestà, dedizione il loro lavoro nell'interesse esclusivo della cittadinanza ed in situazioni ed in un territorio che mettono a rischio anche la loro incolumità personale che già in passato è stata posta a rischio con gravi atti intimidatori dei quali a tutt'oggi non è dato conoscere i responsabili, ed oggetto in passato di altri atti di sindacato ispettivo da parte dell'interrogante.
(4-02099)

Risposta. - il prefetto di Avellino aveva richiesto al Ministro dell'interno la delega dei poteri di accesso presso il comune di Lauro a seguito dell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli nei confronti di diversi componenti del clan camorristico Graziano. Dal provvedimento, infatti, emergeva il collegamento di alcuni indagati con un amministratore del comune di Lauro.
A giudizio dello stesso prefetto, la relazione sulle risultanze dell'attività svolta dalla commissione di accesso nel citato comune non ha evidenziato elementi sintomatici dell'esistenza di possibili condizionamenti da parte della criminalità organizzata nei confronti dell'apparato politico-amministrativo del comune di Lauro.
La Commissione, invece, ha accertato diverse irregolarità amministrative in materia di assunzione e mobilità del personale, nonché in tema di concessione di contributi economici a nuclei familiari indigenti.
Il prefetto di Avellino, al fine di ricondurre l'attività amministrativa del comune al rispetto delle regole di legalità, trasparenza, e buona amministrazione, ha sollecitato il sindaco a rimuovere le disfunzioni amministrative rilevate, con riserva di ulteriori iniziative in caso di inadempienza, ferma restando in ogni caso la comunicazione alla competente procura della Repubblica di eventuali notizie di reato ed alla Corte dei conti di eventuali ipotesi di danno erariale.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

QUARTIANI e FIANO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
le celebrazioni del 25 aprile, anniversario della liberazione dell'Italia dal fascismo e dall'invasore, in nessun caso per gli Enti e le Istituzioni che le promuovono rappresentano occasione per discostarsi dagli ideali propri della Resistenza e della democrazia;
i principi costituzionali su cui fonda la democrazia italiana rappresentano la piena valorizzazione delle radici ideali, delle lotte e dei valori dell'antifascismo, che essendo a fondamento della Repubblica Italiana, non devono essere distorti da ricostruzioni improvvisate della memoria della Resistenza e delle figure che in essa hanno profuso l'impegno per la sconfitta dell'odio razziale e dei regimi dittatoriali che hanno funestato l'Europa nella prima metà dello scorso secolo;
la memoria che la festa del 25 aprile tramanda alla Nazione e alle giovani generazioni è parte costitutiva dell'identità

di tutti gli italiani, non perciò equivocabile entro concetti che non appartengono alle ragioni e ai principi ispiratori della Costituzione italiana nata dalla Resistenza e dalla collaborazione delle forze antifasciste nell'opera di ricostruzione del Paese nonché di compimento delle istituzioni democratiche rappresentative e di governo dell'Italia;
le riconquistate democrazia e libertà che originano dal 25 aprile 1945 si basano sulla partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e a quella delle libere Istituzioni repubblicane, e si fondano non già sulla parificazione degli atti e delle gesta di chi ha combattuto per la libertà della Patria con quelli di chi si è messo al servizio dell'invasore nazista, contro le forze alleate e contro il legittimo Governo che si insediò nel '43 dopo l'8 settembre garantendo la continuità legale dello Stato Italiano;
poiché, fortunatamente solo in alcuni limitatissimi casi, tuttavia si assiste ad un cattivo costume da parte di alcune amministrazioni locali (tra queste quella di Melegnano) di celebrare la festa della liberazione come festa nella quale vengono commemorati alla stessa stregua tutte le vittime e i caduti indipendentemente dalla parte alla quale appartennero (se alla Resistenza e agli alleati o alla Repubblica di Salò), con ciò «derubricando» le celebrazioni del 25 aprile a commemorazioni dei caduti di tutte le parti -:
se il Governo non intenda adottare iniziative per il tramite dei Prefetti, per un corretto e rispettoso protocollo, consono alla ricorrenza e ai valori richiamati in premessa che sono alla base di tale festa nazionale.
(4-02865)

Risposta. - Le celebrazioni del 25 aprile e l'affermazione della cultura democratica e repubblicana rappresentano punti fermi ai quali il Governo si richiama ad ogni ricorrenza.
Tali valori fondanti sono la base delle direttive con le quali - per il tramite dei Prefetti - ogni anno viene dato impulso alla promozione delle varie iniziative su tutto il territorio nazionale.
Da quanto riferito dal Prefetto di Milano il Comune di Melegnano, lo scorso anno, ha patrocinato un corteo cittadino con relativa cerimonia di deposizione di corone per i caduti in piazza della Vittoria. In particolare, si è celebrata a commemorazione di un condannato a morte della Resistenza ed un condannato a morte della Repubblica Sociale Italiana, nel dichiarato intento di voler unire tutta la cittadinanza.
Nello stesso comune, in data 24 aprile 2009, alle ore 21.00, presso la locale sala consiliare del Municipio, l'Associazione nazionale partigiani d'Italia ha promosso la proiezione del film «Il primo giorno», introdotto dallo storico Sergio Fogagnolo, Consigliere nazionale della Federazione italiana associazioni artigiani, a cui hanno partecipato circa 100 persone.
Il successivo 25 aprile 2009, dalle ore 9.00 alle ore 12.00, la predetta Associazione ha organizzato un «presidio antifascista», regolarmente autorizzato, in piazza Garibaldi, a cui hanno preso parte circa 200 persone.
Le iniziative di cui sopra si sono svolte senza far registrare ripercussioni sulla situazione dell'ordine e la sicurezza pubblica.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

REGUZZONI. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
numerosi enti locali si sono dotati autonomamente di un «codice etico» avente la finalità di rendere maggiormente trasparenti, corrette e «giuste» le principali decisioni e i più importanti processi decisionali;
tra i codici etici più apprezzati - anche a livello internazionale, visti i premi ricevuti - vi è anche quello della Provincia di Varese -:
quale sia l'intendimento del Ministro circa l'adozione di codici etici da parte degli Enti locali;

se e quali iniziative intenda assumere per far conoscere gli esempi virtuosi, quale quello della Provincia di Varese.
(4-03741)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta che la necessità evidenziata dall'interrogante di assicurare maggiore trasparenza e correttezza ai processi decisionali pubblici, è senz'altro condivisa dal Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione che, nell'ambito delle numerose iniziative normative finora intraprese, ha infatti riservato preminente attenzione ai principi di trasparenza e buon andamento della pubblica amministrazione.
Si consideri, tra i provvedimenti di più recente presentazione, il disegno di legge collegato alla manovra finanziaria 2010-2013 recante disposizioni in materia di semplificazione dei rapporti delle pubbliche amministrazioni con i cittadini e imprese, attualmente all'esame della Camera dei deputati.
In particolare, per quel che attiene ai principi sopra richiamati, il disegno di legge in questione prevede, all'articolo 28, la delega al Governo per l'emanazione della cosiddetta «Carta dei doveri» delle pubbliche amministrazioni, con la quale si intende dar vita ad uno strumento normativo che possa comporre in un quadro Sistematico i diritti dei cittadini e i doveri delle pubbliche amministrazioni nei loro confronti. Ciò al fine di definire con chiarezza e organicità quali comportamenti l'amministrazione è obbligata a tenere o a evitare nello svolgimento delle proprie attività e nell'erogazione dei servizi: una regolazione generale delle modalità e della qualità delle prestazioni amministrative, che al contempo si pone,
ex ante, come guida dell'agire delle strutture pubbliche ed, ex post, come parametro per la loro valutazione.
La legge-delega intende realizzare questo obiettivo attraverso molteplici strumenti. In primo luogo, inserendo il parametro dell'effettività all'interno di numerosi criteri di delega, affinché costituisca la linea guida per il lavoro del legislatore delegato. A tal fine si sono utilizzate formule diverse, sicché in alcuni casi l'articolato fa espressamente riferimento al concetto di «effettività», enunciandolo come obiettivo normativo esplicito che dovrà essere assicurato nell'esercizio della delega, mentre in altri casi l'effettività costituisce l'obiettivo normativo implicito che il decreto delegato dovrà cogliere, ad esempio, introducendo normative dettagliate e puntuali o attraverso la previsione di piani operativi e di obiettivi progressivi o mediante la previsione di indennizzi o stabilendo l'obbligo di utilizzare efficaci tecnologie informatiche e di comunicazione.
L'effettività dei doveri è perseguita, inoltre, demandando al legislatore delegato di affermare e concretamente applicare il principio che il mancato adempimento degli obblighi connessi al catalogo dei doveri enunciati dalla Carta costituisce elemento rilevante ai fini della valutazione dei pubblici dipendenti, nonché ai fini della responsabilità dirigenziale e disciplinare, e che dell'inadempimento - nei casi in cui è ravvisabile un danno erariale - deve essere data comunicazione alla Corte dei conti per le iniziative di competenza.
Ma una garanzia ancora più ampia in ordine alla realizzazione dell'obiettivo dell'effettività è rappresentata dalla struttura stessa della futura Carta e dalla logica che la ispira. Nella sua unitarietà, organicità e sistematicità la nuova disciplina intende favorire l'azione degli uffici dell'amministrazione, attraverso certezza e univocità dei parametri normativi, e costituire al contempo una «tavola» di riferimento completa e facilmente conoscibile a vantaggio di tutti i cittadini.
Il carattere di unitarietà e di completezza è ulteriormente rinforzato dall'altra previsione di delega contenuta nell'articolo 3 del disegno di legge, dove - nella consapevolezza che una chiara definizione di obblighi e diritti e la facile e piena conoscenza di questi da parte di tutti gli interessati costituisce condizione fondamentale per il rispetto dei primi e per il buon esercizio dei secondi - si assegna al Governo il compito di provvedere, successivamente all'emanazione della Carta, attraverso la redazione di appositi codici o testi unici, alla semplificazione e al riassetto

complessivo delle vigenti norme generali concernenti l'attività amministrativa, i procedimenti, i poteri e i doveri delle amministrazioni pubbliche e dei loro dipendenti.
Si tratta quindi di una disciplina «
de iure condendo» alla quale vanno, peraltro, affiancate le numerose disposizioni normative già in vigore, approvate su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, con le quali sono state introdotte significative misure parimenti orientate ai fini sottolineati dall'interrogante.
Si pensi, ad esempio, alla disciplina relativa all'identificazione dei dipendenti a contatto con il pubblico, introdotta dall'articolo 69 del decreto legislativo n. 150 del 2009 e, in generale, al complesso di norme, previste dal medesimo provvedimento, volte a responsabilizzare i dipendenti pubblici, innovando la materia delle sanzioni disciplinari e della responsabilità dei dipendenti pubblici (articoli 67-70). Gli obiettivi dell'intervento riformatore, in questo campo, sono il potenziamento del livello di efficienza degli uffici pubblici ed il contrasto ai fenomeni di scarsa produttività e di assenteismo nel pubblico impiego.
Con riguardo al caso della Provincia di Varese, ricordato dall'interrogante, l'iniziativa intrapresa dalla suddetta amministrazione in ordine all'adozione di un codice etico non può che essere considerata positivamente, anche perché la stessa appare pienamente coerente con lo spirito delle misure normative sopra richiamate. Al riguardo appare opportuno precisare che iniziative di tal genere devono essere in ogni caso approfondite e discusse con ANCI, UPI e UNCEM e che, con specifico riferimento alle disposizioni introdotte dal citato decreto legislativo n. 150 del 2009, e dal disegno di legge in corso di approvazione in materia di semplificazione dei rapporti delle pubbliche amministrazioni con i cittadini è le imprese, deve essere rimessa alla potestà degli enti locali l'adozione delle opportune iniziative di adeguamento ai principi generali posti dalle medesime normative.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

REGUZZONI. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
esistono nel nostro paese oltre 4.000 comunità montane;
come riportato anche recentemente da articoli di stampa - al proposito si veda il quotidiano Libero del 23 luglio 2009 - la spesa per le indennità di assessori e presidenti delle stesse comunità montane eguaglia le entrate erariali delle stesse;
spesso le comunità montane sono ubicate in province di ridotta dimensione, le quali potrebbero assolvere ai compiti affidati oggi alle prime -:
quale sia l'intendimento del Ministero per limitare e, se possibile, eliminare sprechi ed eccessi burocratici quali quelli riportati in premessa;
quali siano i costi delle comunità montane non riconducibili a servizi resi ai cittadini;
se e quali iniziative normative il Ministro intenda attuare al fine di eliminare le comunità montane dal nostro ordinamento.
(4-03751)

Risposta. - Il ministero dell'interno acquisisce, ai sensi dell'articolo 161 del decreto legislativo n. 267 del 2000, i certificati di bilancio trasmessi dalle comunità montane.
Tali certificazioni riguardano sia le spese relative al funzionamento generale dell'ente, sia quelle destinate a finanziare gli interventi di gestione del territorio ed a soddisfare le esigenze delle collettività stanziate nell'ambito territoriale di competenza dell'ente. Tutto ciò consente l'effettuazione di un monitoraggio completo sulla gestione finanziaria delle citate comunità.
Nell'ottica di contenere le spese relative all'organizzazione ed al funzionamento degli enti montani, la legge finanziaria 2008 ha previsto un primo processo di riordino degli stessi al quale è stata data attuazione da parte delle regioni mediante specifici interventi normativi.


È d'uopo infatti sottolineare che la disciplina delle comunità montane rientra nell'ambito della potestà legislativa esercitata in via residuale dalle regioni, ai sensi dell'articolo 117 comma 4 della Costituzione come peraltro statuito dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn. 244 e 456 del 2005 e da ultimo ribadito con sentenza n. 237 del 2009.
L'
iter avviato con i provvedimenti legislativi dianzi menzionati sarà portato a compimento con gli interventi previsti dalla Carta delle autonomie, il cui disegno di legge è stato approvato in via definitiva nel Consiglio dei ministri del 19 novembre scorso e pende attualmente alla Camera dei deputati con la denominazione di Atto Camera n. 3118.
In particolare, un intero capo del provvedimento è dedicato ad un'importante operazione di riorganizzazione e soppressione di organismi decentrati, tra i quali rientrano proprio le comunità montane.
Si rileva, inoltre, che l'articolo comma 187 dell'ultima legge finanziaria ha stabilito che, a decorrere dall'entrata in vigore della medesima legge, lo Stato cessa di concorrere al finanziamento delle Comunità montane.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

REGUZZONI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
è apparsa su molti quotidiani e settimanali (ad esempio sul Corriere Magazine del 25 giugno 2009) la notizia che viene spesso posto in vendita pescato non in regola con le dimensioni minime prescritte dalla normativa;
le maggiori irregolarità riguardano alcuni pesci di importazione -:
quali iniziative il Ministro intenda attivare per addivenire ad un più diffuso e puntuale rispetto della legge, magari supportando campagne di informazione e promuovendo un aumento delle sanzioni;
a quali organismi sia affidato il controllo;
se e in quale misura si possa ravvisare un omesso controllo da parte dell'Agenzia delle dogane e se e come il Ministro intenda intervenire.
(4-04252)

Risposta. - In primo luogo si ritiene necessario premettere che in base all'articolo 15, lettera c) della legge n. 963 del 1965, al fine di tutelare le risorse biologiche delle acque marine ed assicurare il disciplinato esercizio della pesca, è fatto divieto di pescare, detenere, trasportare e commerciare il novellame di qualunque specie vivente marina oppure le specie di cui sia vietata la cattura in qualunque stadio di crescita.
In particolare, il successivo articolo 24 della medesima legge prevede che chiunque violi le disposizioni dell'articolo 15, lettera
c), e punito, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con l'arresto da un mese ad un anno o con ammenda da lire un milione a lire sei milioni e con le successive sanzioni accessorie previste dall'articolo 25.
Con decreto legislativo n. 153 del 2004, si è intervenuti nella materia, introducendo, con il terzo comma dell'articolo 6 del predetto decreto, la sanzione della sospensione dell'esercizio commerciale da 5 a 10 giorni per chiunque commercializza o somministra specie sotto misura, ed è stata eliminata, coerentemente con la normativa comunitaria, la tolleranza del 10 per cento sulle specie ittiche dotate di sola taglia minima nazionale.
Tali norme mirano, di fatto, a semplificare i controlli presso i punti vendita, rendendo antieconomica l'attività di commercializzazione e riducendo in tal modo la richiesta di prodotto sotto misura.
Premesso quanto sopra, in merito ai singoli quesiti posti, si ritiene necessario precisare che l'attenzione da parte degli organi di controllo sulla filiera ittica ed, in particolare, sul prodotto sotto misura è massima. L'attività svolta, nell'anno 2009, dal personale del Corpo delle Capitanerie di porto-Guardia costiera, organismo deputato

alle attività di controllo in materia di commercializzazione del prodotto ittico sotto misura, ha portato al riscontro di numerosi illeciti. In particolare, nel primo semestre, il personale della Capitanerie di porto ha effettuato circa 73.000 controlli, di cui 35.000 nei punti di sbarco e 20.000 nei mercati ittici, grande distribuzione e ristoranti. La predetta attività ha portato all'accertamento di numerose violazioni, di cui oltre 200 per il mancato rispetto delle taglie minime. Tali operazioni si inseriscono in un programma, basato sul principio della «tolleranza zero». Le attività di vigilanza continueranno al fine di difendere il consumatore e il produttore onesto, in quanto gli illeciti perpetrati da pochi irresponsabili non devono determinare un danno all'intero settore. I risultati conseguiti da tutte le forze dell'ordine, e dal Corpo delle Capitanerie di porto nel settore ittico, dimostrano la bontà e l'efficacia dell'azione intrapresa in tutto il comparto agro alimentare, che continuerà secondo la medesima linea strategica a tutela delle risorse ittiche.
Inoltre, si fa presente che l'articolo 21 della legge n. 963 del 1965, recante «Disciplina della pesca marittima», dispone espressamente che il coordinamento, anche tra le Forze di Polizia, in merito alla sorveglianza sulla pesca, il commercio dei prodotti ittici, l'accertamento delle infrazioni, alle leggi e regolamenti che li riguardano è affidato al Corpo delle Capitanerie di porto-Guardia costiera.
Per quanto concerne, invece, l'ultimo quesito posto nell'interrogazione in esame, relativo ad un presunto omesso controllo da parte dell'Agenzia delle dogane su prodotto sotto misura, si evidenzia che, in base alla normativa vigente, il principale controllo sui prodotti ittici provenienti da paesi extracomunitari è effettuato dai Posti di ispezione frontaliera (Pif), uffici periferici del ministero della salute, che fanno parte integrante di una rete di Pif dell'Unione europea (Ue).
Tutte le partite di animali e prodotti provenienti da Paesi terzi sono sottoposte a controlli ispettivi presso i Pif. Per tale motivo, stringenti sono le attività congiunte tra i predetti centri e gli enti preposti al controllo sulla filiera ittica. I Pif svolgono, inoltre, un importante e delicato compito di supporto tecnico ed operativo agli Uffici doganali per il contrasto del commercio clandestino di prodotti e animali.

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Luca Zaia.

SCILIPOTI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere premesso che:
la III Commissione affari esteri e comunitari della Camera ha discusso più volte la proposta, presentata dal Ministero degli affari esteri, di riorganizzazione della rete diplomatica e consolare italiana nel mondo, singolarmente e anche congiuntamente con la commissioni Affari esteri del Senato;
la ristrutturazione della rete consolare, ai sensi del comma 404 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007, si è conclusa con il conseguente accorpamento di alcuni consolati e con l'accorpamento di alcune rappresentanze presso organizzazioni internazionali, il tutto nell'ottica delle esigenze di razionalizzazione dei servizi e di risparmio di risorse finanziarie;
tra le sedi consolari interessate dalla chiusura vi è anche la storica sede di Norimberga, operativa fin dal 1967 come vice consolato;
oltre alla valenza storica, il Consolato di Norimberga ha notevole rilevanza funzionale, infatti la sua giurisdizione interessa un territorio esteso 23.000 chilometri quadrati, e con una popolazione di 28525 connazionali residenti, dei quali ben 9660 a Norimberga, Fürth ed Erlangen, nella Franconia tedesca;
la Franconia è una regione geografica e storica del centro della Germania, parte dell'odierno Land di Baviera, del quale costituisce la parte settentrionale. Amministrativamente, la Franconia è composta di tre circoscrizioni e Norimberga, la città più popolata, è considerata come il capoluogo storico;

la chiusura del consolato di Norimberga creerebbe gravi disagi e molte difficoltà a tutta la collettività italiana residente in Franconia, in particolar modo, a quella fascia di connazionali più deboli, che sarebbero vessati da disagi ed oneri di trasferta insopportabili, in quanto si troverebbero costretti a recarsi al Consolato generale d'Italia a Monaco di Baviera, che dista complessivamente circa 800 chilometri, con conseguente danno in termini economici e di tempo;
la presenza del Consolato, ha contribuito negli anni a favorire la già difficile integrazione della comunità italiana residente in Germania, che è la più numerosa all'estero e tuttavia presenta difficoltà ad integrarsi nel contesto scolastico, sociale, lavorativo e linguistico;
i sentimenti di patria, vivi e fervidi nei nostri connazionali, il legame con tradizioni, cultura e storia, sono espressi anche negli atti amministrativi che i nostri connazionali compiono, continuando a far riferimento alle autorità consolari italiane, piuttosto che alle realtà tedesche;
risulta chiaro che i risparmi ottenuti con la chiusura della sede consolare di Norimberga non compenserebbero il danno sociale, gli enormi disagi ai connazionali, oltre al danno d'immagine che si arrecherebbe al nostro Paese; ciò costituirebbe, inoltre, un grave danno per i rapporti politici, economici, culturali e commerciali esistenti con il nostro Paese;
l'Italia è il primo partner della Baviera per le esportazioni ed il secondo partner per le importazioni e la città di Norimberga, posta al crocevia di grandi arterie di comunicazione, gioca sicuramente un ruolo strategico negli scambi internazionali, anche con i Paesi nuovi membri dell'Unione europea;
Norimberga ha ottenuto ufficialmente il riconoscimento quale regione europea metropolitana, sia per la sua posizione geografica al Centro della Germania, nel cuore d'Europa che per la sua forza economica; basti pensare che il centro fiere di Norimberga occupa, per importanza, il settimo posto in Germania (150 milioni di euro di fatturato per il 2008), addirittura precedendo Stoccarda; ed è tra i primi 20 a livello mondiale;
le ditte italiane con sede principale in Franconia sono oltre 800 ed interessano il settore gastronomico, del design e della moda. Le ditte tedesche con rapporti import-export con l'Italia sono alcune migliaia e le ditte tedesche con filiali in Italia un centinaio, tra cui la DATEV di Norimberga, la prima azienda tedesca produttrice di software con funzioni contabili;
il Consolato ha contribuito in maniera decisiva alla riuscita degli incontri ed al progressivo sviluppo ed ampliamento delle relazioni tra le città di Norimberga e Verona;
il Consolato italiano ha avuto un ruolo significativo anche nella progettualità instaurata con la camera di commercio della città di Trieste;
pare evidente all'interrogante come le decisioni del Governo possano allontanare ancor di più il territorio italiano dalle migliaia di famiglie meridionali emigrate;
l'importanza della popolazione italiana in Franconia e del suo ottimo inserimento nella società locale, si è palesato anche attraverso le posizioni solidali espresse da alcuni importanti paladini del mantenimento del Consolato a Norimberga;
il Signor Ulrich Maly, sindaco di Norimberga dal 2002, e membro della SPD, in una lettera indirizzata all'ambasciatore d'Italia a Berlino, Valensise e al Ministro degli affari esteri italiano, ha dichiarato: «Nella città di Norimberga il Consolato è come un'ambasciata italiana. Anche il valore simbolico è notevole, perciò prendiamo posizione a favore dei nostri amici italiani. Spero nella possibilità di poter ancora influenzare questa decisione e di dare così un forte segnale italo-tedesco da Norimberga!»;

il Signor Michael Frieser, capogruppo del CSU all'interno del Consiglio comunale, insieme al Sottosegretario di Stato per l'economia e la tecnologia, Signora Dagmar Wöhrl, in una lettera congiunta indirizzata all'Ambasciatore d'Italia in Germania, Antonio Puri Purini, si è appellato all'importanza del Consolato per la regione metropolitana ed ha evidenziato quindi le conseguenze fortemente negative di una chiusura;
anche il gruppo politico della CSU ha preso fermamente posizione contro l'annunciata chiusura ed ha deciso di sostenere apertamente gli sforzi dei cittadini italiani o di origine italiana e le molte imprese italiane e tedesche, che hanno rapporti commerciali con e da Norimberga;
in Germania, tra gli altri sostenitori della permanenza del Consolato a Norimberga si annoverano: il gruppo consiliare della CSU e della SPD presso il Consiglio comunale di Norimberga, il deputato regionale Jürgen W. Heike, il Ministro bavarese per gli affari europei, onorevole Emilia Müller, il deputato regionale nel Parlamento bavarese onorevole Markus Söder, il Sottosegretario federale agli esteri onorevole Günter Gloser, la DGB (Federazione dei sindacati tedeschi) rappresentata dal Segretario regionale Stephan Doll;
i responsabili dei COM.IT.ES (Comitato italiani all'estero) si sono offerti di incontrare personalmente il Ministro degli affari esteri o un delegato del Governo, per discutere insieme le problematiche derivanti dalla chiusura degli uffici del Consolato di Norimberga;
anche altre associazioni e partiti, come la Lega Meridionale, il Movimento Meridionale, il Partito per il Sud e l'Altra Sicilia, si sono attivati a sostegno dei diritti e degli interessi dei nostri connazionali, rappresentati dal calabrese Salvatore Farina, per inviare un appello al Governo italiano, alle forze politiche di maggioranza e di opposizione, oltre agli organi d'informazione affinché il provvedimento di chiusura del Consolato di Norimberga venga ritirato dal Governo;
l'aver appreso della determinazione del Governo italiano a chiudere i battenti del Consolato di Norimberga, secondo le fonti in possesso dell'interrogante nel giugno 2010, ha determinato una fortissima protesta da parte degli oltre 28000 connazionali in Franconia tra le città di Norimberga, Hannover e Saarbrucken;
la protesta è sfociata in due momenti di forte tensione con le dimostrazioni di piazza del 5 luglio 2009 e del 19 settembre 2009 a Norimberga davanti la sede del Consolato;
oltre 1.000 nostri emigrati hanno rappresentato il forte disappunto per una decisione assurda che tiene in conto solo gli interessi delle casse di Stato e non le esigenze degli emigrati -:
se il Ministro interrogato abbia considerato la possibilità di mantenere in servizio il Consolato italiano a Norimberga;
quali soluzioni alternative si intenda adottare per garantire l'erogazione dei servizi consolari alla comunità italiana;
se i rigorosi vincoli di bilancio imposti non prevedano altre possibilità per tutelare la rete consolare preposta ai bisogni delle nostre comunità;
quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato in ordine a quanto rappresentato in premessa.
(4-05537)

Risposta. - La riflessione riguardante la sede consolare di Norimberga non ha carattere isolato, ma va ricondotta al più generale piano di razionalizzazione della rete estera che è stato presentato, in più occasioni, alle Commissioni esteri della Camera e del Senato, al Consiglio generale degli italiani all'estero (Cgie) ed alle Organizzazioni sindacali. Tale piano, che inizialmente prevedeva scadenze più ravvicinate per l'attuazione dei provvedimenti di chiusura e che già ab origine contemplava l'Ufficio consolare di Norimberga, ha subito

una successiva rimodulazione, in funzione degli approfondimenti svolti dall'Amministrazione in merito ai singoli aspetti di problematicità relativi alle sedi interessate nel processo. In questi approfondimenti, che sono ancora in corso, il ministero degli affari esteri riserva comunque prioritario riguardo alla cura dei servizi destinati alle collettività italiane, che si intende continuare a mantenere ad un livello qualitativo elevato, come legittimamente segnalato dalle varie istanze coinvolte, in particolare con la Risoluzione della III Commissione della Camera dei Deputati in data 21 luglio 2009.
Con specifico riferimento alla situazione del Consolato d'Italia in Norimberga, essa non appare caratterizzata da profili di difficoltà tecnica o logistica di particolare rilievo. Allo stato attuale, sono oggetto di attento studio soluzioni volte a salvaguardare adeguati livelli di assistenza prestati ai nostri connazionali residenti in Germania e, in particolare, nel
Land della Baviera, garantendo comunque il conseguimento di apprezzabili risparmi. In generale, si conferma l'impegno del Governo al rafforzamento delle sedi consolari che riceveranno le competenze dagli Uffici in chiusura, permettendo il mantenimento degli adeguati livelli qualitativi nell'erogazione dei servizi ai cittadini ed alle imprese.
Priorità dell'Amministrazione è infatti che le risorse ottenute attraverso il piano di razionalizzazione vengano reinvestite nella rete all'estero, al fine di garantirne la sostenibilità nel suo insieme. In secondo luogo, viene attualmente presa in esame l'istituzione
in loco di adeguate strutture sostitutive degli Uffici in chiusura, eventualmente in collaborazione e raccordo con le Autorità locali ed in doverosa considerazione tanto dell'importanza delle città quanto delle istanze delle collettività italiane ivi residenti. In ogni caso, saranno gli Uffici consolari destinatari delle competenze delle sedi in chiusura ad assicurare il collegamento tra il nostro Paese e le Istituzioni estere statali o sub-statali con analoga assiduità rispetto al passato, così salvaguardando la qualità dei rapporti di carattere bilaterale.
Parallelamente, prosegue l'impegno del ministero degli affari esteri nella realizzazione di piattaforme informatiche innovative, progetto cui è stata attribuita particolare priorità dal punto di vista dei tempi di realizzazione e delle risorse dedicate e nel perseguimento dell'obiettivo di garantire sia la promozione degli interessi nazionali, sia l'assistenza alle collettività italiane residenti all'estero. Come peraltro illustrato nel corso della visita di una delegazione di parlamentari italiani al Consolato di Bruxelles, tale progetto è volto a consentire all'intera rete consolare di:

a) aumentare il livello di produttività degli Uffici, rendendoli sempre più efficienti e rispondenti alle esigenze dei connazionali;
b) fornire all'utenza adeguati servizi telematici a distanza;
c) corrispondere agli indirizzi governativi in tema di innovazione, digitalizzazione e dematerializzazione della pubblica amministrazione.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
con la nota prot. M-D/GMIL-01/UCGA/1/20103/N del 29 dicembre 2006 il Ministero della difesa - Direzione generale per il personale militare ha impartito disposizioni in merito alla modalità di accesso agli atti amministrativi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, stabilendo che il diritto in questione dovrà essere esercitato dal personale militare solo ed unicamente avvalendosi di un permesso per motivi personali e, come tale, assoggettato alla relativa disciplina in materia di recupero per il completamento dell'orario di servizio;
secondo la consolidata giurisprudenza dei Tribunali amministrativi e del Consiglio di Stato il diritto di accesso ai documenti amministrativi, azionabile da

chiunque possieda un qualificato interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, ha in primo luogo una finalità strumentale alla difesa in giudizio della situazione sottostante in quanto, consentendo la conoscenza degli atti sulla cui base l'amministrazione ha formato la propria volontà ed ha assunto la conseguente determinazione, favorisce sia una più approfondita valutazione sull'opportunità di agire in giudizio a tutela della propria posizione sia la possibilità di censurare l'attività amministrativa per profili non direttamente percepibili dal provvedimento finale ed è costante insegnamento che la legittimazione all'accesso vada riconosciuta a chiunque possa dimostrare che il procedimento, o gli atti endoprocedimentali, abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l'autonomo atteggiarsi del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita autonomo rispetto alla situazione legittimante l'impugnativa;
con la legge n. 15 del 2005 il diritto di accesso assurge, seppure indirettamente, a norma di rango costituzionale e per tale motivo merita la più ampia tutela;
la determinazione emanata dall'amministrazione della difesa, a parere dell'interrogante, lede in maniera irrimediabile gli interessi legittimi ed i diritti soggettivi dei destinatari titolari del diritto di accesso agli atti amministrativi che, per loro natura, attengono indiscutibilmente alla sfera giuridica dello stesso richiedente e, quindi, al suo stato giuridico e di servizio comunque prestato alle dipendenze dell'amministrazione militare, non potendosi in alcun modo, diversamente opinando, fargli assumere le caratteristiche di atti prodotti dal privato -:
se non ritenga di dover intervenire con la massima urgenza per impartire apposite disposizioni affinché la predetta determinazione sia revocata e, nel contempo, siano stabilite regole chiare per l'esercizio dei diritto di accesso dei militari agli atti dell'amministrazione della difesa in modo tale che non vengano lesi i diritti del singolo, ovvero non possa verificarsi l'ipotesi di una responsabilità amministrativa nella lesione o nella limitazione dell'esercizio del diritto di cui sopra conseguentemente all'esecuzione di un ordine giudiziale ovvero dell'accoglimento della domanda del militare da parte dell'amministrazione della difesa.
(4-03962)

Risposta. - Voglio ricordare, in via preliminare, che ai sensi della normativa vigente (legge n. 241 del 1990, come modificata dalla legge n. 15 del 2005 e regolamento attuativo, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 184 del 2006), il diritto di accesso ai documenti amministrativi si esercita da parte di tutti gli amministrati/terzi, che abbiano interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento del quale si richiede l'ostensione.
Per interesse diretto, concreto ed attuale, si intende un interesse personale del richiedente. L'accesso, quindi, è consentito a chi possa dimostrare che gli atti, oggetto della richiesta, abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei propri confronti, o comunque ad esso si riferiscano, in via diretta o indiretta.
Chiarito quanto sopra, desidero sottolineare che la nota posta a fondamento dell'atto di sindacato ispettivo in oggetto è effettivamente la lettera della direzione generale per il personale militare n. protocollo MD/GMIL-01/UCGA/1/20103/N datata 29 dicembre 2006 ed indirizzata allo Stato Maggiore dell'Aeronautica.
Mi pare il caso di evidenziare al riguardo, che trattasi non già di «determinazione», bensì di precisazione tesa a scongiurare eventuali prassi che, autorizzando l'assenza dal servizio per lo svolgimento di attività non istituzionali, potrebbero essere oggetto di censure, anche in sede penale, per il conseguimento di un ingiusto vantaggio personale, in danno dell'amministrazione della difesa.
La necessità di richiamare al rispetto della normativa vigente, da parte della

competente direzione generale, traeva origine dalla circostanza che taluni militari dell'Aeronautica militare, nell'esercitare il diritto di accesso presso gli uffici della, direzione generale per il Personale militare, si fossero avvalsi di «autorizzazioni per servizio fuori sede» rilasciate, a richiesta degli interessati, dai rispettivi comandi.
La suddetta autorizzazione, infatti, si poneva in evidente contrasto oltre che con la normativa regolante il diritto di accesso ai documenti amministrativi sopra citata, anche con le previsioni dettate dall'articolo 44, comma 1 del Regolamento di disciplina militare, approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 18 luglio 1986 n. 545, recante «Approvazione del regolamento di disciplina militare», ai sensi del quale «ogni militare è tenuto ad osservare l'orario di servizio».
L'inosservanza di tale obbligo, è bene precisano, è sanzionata, in via disciplinare, ai sensi dei numeri 23 e 29, dell'allegato C, all'articolo 65 dello stesso Regolamento di disciplina militare, rispettivamente, per «... inosservanza delle ... disposizioni che regolano l'orario di servizio» (n. 23), e per «allontanamento, senza autorizzazione o in contrasto ad una prescrizione, da un luogo militare o durante il servizio» (n. 29).
Dalla lettura congiunta delle norme sull'accesso e di quelle disciplinari sembra emergere, con chiarezza, che il contenuto del diritto di accesso non è in alcun modo pregiudicato dal fatto che il suo esercizio venga effettuato avvalendosi di un permesso per motivi personali, laddove - ragionando
a contrario - si finirebbe per avallare i deprecabili risvolti di una consuetudine che legittimi l'esercizio di tale diritto durante l'espletamento del servizio.
A titolo esemplificativo, si consideri l'ipotesi di un militare che, per esercitare il diritto in questione, sia comandato a prestare servizio da una determinata sede ad un un'altra, sulla base di un ordine di missione, che determina la corresponsione dei relativi rimborsi/indennità.
Un ordine siffatto, oltre che palesemente illegittimo, comporterebbe anche danno erariale derivante dalla corresponsione di somme non dovute, poste a carico dell'amministrazione della difesa.
Ciò senza considerare che - non di rado - pervengono richieste di accesso, anche a seguito di pronunce rese dai Tribunali amministrativi regionali, aventi ad oggetto la visione di un numero imponente di libretti caratteristici personali di controinteressati (in alcuni casi anche di migliaia), con la conseguenza che l'eventuale ordine di missione/permesso/autorizzazione finirebbe per coprire l'intero arco temporale (anche di mesi/anni) necessario all'esercizio del diritto, con i relativi oneri a carico dello Stato.
Voglio inoltre specificare che, ove si aderisse alla tesi prospettata dagli interroganti, si determinerebbe la lesione dei principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa, dai quali derivano - quali corollari - quelli di efficienza, efficacia ed economicità, che improntano l'intera normativa sul pubblico impiego.
Sulla base di quanto sinora osservato risulta, pertanto, evidente che, il fatto che l'amministrazione militare non rilasci, durante l'orario di servizio, al personale militare che intenda esercitare il diritto di accesso agli atti, permessi per motivi di servizio, fogli di viaggio, autorizzazioni per servizio fuori sede, ovvero altre autorizzazioni a queste assimilabili, non possa essere considerato come comportamento lesivo dei diritti dell'interessato.
In ossequio al citato quadro normativo, con la nota evidenziata nell'interrogazione, si è ritenuto di precisare che il rilascio dell'autorizzazione a «prestare servizio fuori sede» è correlato esclusivamente all'espletamento di attività istituzionali, che impongono il temporaneo allontanamento del militare dalla sua abituale sede di servizio, in quanto finalizzato ad esclusive e specifiche esigenze d'ufficio.
L'esercizio del diritto di accesso, invece, non può essere in alcun modo ricondotto alla prestazione dell'attività lavorativa, cui è connesso il rilascio della citata autorizzazione.
Pertanto, qualora l'accesso venga esercitato durante l'orario di servizio, il richiedente dovrà avvalersi di un «permesso per motivi personali», assoggettato, come tale,

alla relativa disciplina in materia di recupero, per il completamento dell'orario di servizio, da effettuarsi nei modi previsti.
Infine, proprio per non rendere in alcun modo gravoso l'esercizio del diritto in argomento, gli uffici della direzione generale di cui trattasi sono autorizzati a concordare, anche telefonicamente, il giorno e l'ora di presentazione dell'interessato presso le unità organizzative competenti, fatta salva - in ogni caso - la facoltà del richiedente di esercitare l'accesso tramite altra persona, munita di apposita delega, come previsto dalla legge.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
un comunicato stampa dell'agenzia ANSA delle ore 11.38 del 28 ottobre scorso riporta la seguente dichiarazione del Ministro della Difesa «La Russa ha anche detto che è stata decisa la "proroga dei Cocer (gli organismi di rappresentanza delle forze armate, ndr) di un anno", con il conseguente rinvio delle elezioni per il loro rinnovo in modo da consentire agli attuali organismi di "completare il lavoro di rappresentanza e tutela delle forze armate"»;
il Capo di stato maggiore dell'Aeronautica militare già in data 2 ottobre 2009, rispondendo alla delibera n. 2 allegata al Verbale n. 198/2009/X del Cocor Sezione Aeronautica, ha affermato che «Pur comprendendo le ragioni che in ambito parlamentare ed interforze sono state poste a base della richiesta di proroga dell'attuale mandato di Rappresentanza Militare, concordo con codesto Consiglio nel ritenere che una simile iniziativa, oltre a costituire una deroga al principio democratico della elettività dei delegati, sancito dall'articolo 18 della legge n. 382/78, comporterebbe comprensibili perplessità e malumore tra il personale che intenda candidarsi per tale delicata funzione rappresentativa. Il predetto orientamento di F.A., peraltro, è stato partecipato nelle appropriato sedi di carattere interforze»;
sul sito gestito dal delegato Cocer dell'Arma dei carabinieri appuntato scelto Alessandro Rumore, in relazione al recente decreto-legge approvato nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, c'è scritto che «Sicuramente la paventata notizia che il CO.CE.R. Carabinieri poteva scendere in campo assieme ai Sindacati di P.S. con un proprio "Striscione", ha fatto capire all'attuale Governo che gli impegni assunti durante la scorsa Coda Contrattuale non potevano ancora rimanere nel buio» -:
quale sia l'importante lavoro di rappresentanza e tutela che gli attuali delegati degli organismi della rappresentanza militare svolgono che non possa essere svolto da altri militari che verrebbero democraticamente eletti alla naturale scadenza dell'attuale mandato Cocer;
se risponda al vero quanto scritto nel sito dell'appuntato scelto Alessandro Rumore, sia in relazione al fatto che nella «scorsa coda contrattuale» il Governo si era impegnato a prorogare il mandato della rappresentanza, sia che detto impegno sia stato mantenuto in ragione del fatto che il CO.CE.R. Carabinieri poteva scendere in campo assieme ai Sindacati di P.S. con un proprio «Striscione».
(4-04935)

Risposta. - Il Consiglio dei ministri n. 67 del 28 ottobre 2009 ha, come noto, approvato il decreto legge di rifinanziamento delle missioni all'estero.
Nell'ambito di tale provvedimento, inoltre, è stato prorogato di un anno il mandato dei componenti in carica del Consiglio centrale interforze della rappresentanza militare (COCER).
Come ho già avuto modo di chiarire nella conferenza stampa da me tenuta al termine del citato Consiglio dei ministri del 28 ottobre, il mandato di rappresentanza è

stato prorogato per consentire, in questa fase, ai delegati in carica di poter «proseguire ulteriormente il lavoro di rappresentanza e di tutela degli interessi delle Forze armate».
Ciò soprattutto in ordine a tre provvedimenti di vitale importanza all'attenzione quali: la riforma della rappresentanza militare, il riordino delle carriere e dei ruoli, la previdenza complementare.
Con riferimento, invece, alla questione relativa al fatto che il Governo avrebbe mantenuto l'impegno di prorogare il mandato della rappresentanza «in ragione del fatto che il COCER Carabinieri poteva scendere in campo assieme ai sindacati di pubblica sicurezza con un proprio striscione», posso solo confermare, in questa sede, l'esistenza di un semplice impegno assunto dall'autorità governativa, a margine della concertazione conclusa con il decreto del Presidente della Repubblica n. 52 del 2009, diretto a considerare, tra l'altro, anche l'eventualità di una proroga dell'attuale mandato di rappresentanza militare nell'ambito di iniziative dirette a stimolare la riforma dell'istituto della rappresentanza stessa.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
i discorsi e gli atti di omofobia e transfobia in grave ascesa nel nostro Paese sono certamente prodotti dal clima sociale, culturale, ideologico, intollerante e discriminatorio, che si fonda sui pregiudizi e i luoghi comuni, profittando anche della mancanza di dati e informazioni certe ed attendibili;
secondo quanto illustrato dal dottor Carlo D'Ippoliti, dell'università di Roma La Sapienza, in un intervento pubblicato il 26 gennaio 2010 sul sito www.lavoce.info, in occasione del passato censimento della popolazione, l'ISTAT avrebbe gravemente mancato a tale funzione, modificando le informazioni liberamente fornite dai cittadini e le cittadine e destando quindi molte perplessità riguardo ai modi e alle conseguenze di tale comportamento; difatti in tale occasione molte coppie di persone dello stesso sesso (con o senza figli) compilarono un solo modulo e si dichiararono come persone conviventi non sposate. Poi, però l'ISTAT avrebbe considerato queste osservazioni come «dati incongruenti», ed avrebbe, di suo arbitrio, riattribuito il valore della risposta «convivente dell'intestatario» con un'altra risposta: «altra persona convivente senza legami di parentela»; con questa scelta, l'Istituto ha di fatto reso non riconoscibili le unioni affettive da quelle di altra natura, come ad esempio la convivenza del personale collaboratore domestico, o degli studenti fuori sede;
rispondendo all'interrogazione avanzata da dodici parlamentari, nella XIV legislatura il Sottosegretario per i rapporti con il Parlamento, dell'allora Governo Berlusconi, ha esposto una seconda possibile ragione della decisione di riattribuire le risposte fornite dai cittadini e dalle cittadine, come si legge nel resoconto stenografico della seduta alla Camera: «i dati personali idonei a rilevare la vita sessuale di un individuo sono considerati, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 196 del 2003, dati sensibili e pertanto, ai sensi dell'articolo 20 dello stesso decreto legislativo, il trattamento dei dati sensibili da parte dei soggetti pubblici è consentito solo se conformi a disposizioni fissate dal legislatore; occorre cioè l'autorizzazione effettuata da una espressa disposizione di legge»;
se da un lato tale indicazione può fornire indicazioni sulla stesura del regolamento di esecuzione del censimento, in corso di definizione, rimane alquanto controverso il fatto che, di fronte ad un vuoto normativo in materia di protezione dei dati, questi vengano modificati, ad avviso

degli interroganti in modo non conforme alle norme vigenti, dall'ente che li ha raccolti. Inoltre, non è privo di rilevanza che i dati raccolti contenevano informazioni sulle coppie lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT) così come loro avevano deciso di presentarsi, avendo sempre la possibilità di compilare due diversi questionari, o di dichiararsi «altri conviventi senza relazioni di parentela»;
l'informazione sulla popolazione delle persone lesbiche e gay nel censimento è raccolta ed utilizzata da numerosi Paesi, senza che questo generi «barriere» sul piano statistico né giuridico;
anche in Italia, l'informazione che si ricaverebbe non è scontata a priori, come ad esempio si può vedere con un semplice esperimento. Considerando solo le coppie di persone adulte dello stesso sesso, non legate da vincoli di parentela né affinità, è possibile ottenere 151 osservazioni nel database dell'indagine dei bilanci delle famiglie Italiane prodotta dalla Banca d'Italia nel 2007. Emerge così che le coppie dello stesso sesso conviventi sarebbero più frequenti nel Nord e nelle Isole, e meno al Sud, e che il loro reddito medio individuale è pari a circa 17.500 euro annui, contro i 18.600 della media della popolazione italiana. Secondo diverse altre misure, il reddito delle coppie conviventi sembrerebbe inferiore alla media, sebbene la distribuzione dei titoli di studio non mostri differenze significative;
queste osservazioni evidentemente non sono rappresentative dell'intera popolazione LGBT, come spiegato sopra, e oltre a includere il caso dei conviventi non legati da relazioni affettive, soffrono della grave limitazione costituita dal numero eccessivamente basso. Ad ogni modo, un loro breve esame mostra come un'analisi più approfondita e meglio documentata potrebbe rivelare una realtà di marginalizzazione e discriminazione di segno opposto agli stereotipi dominanti;
il censimento della popolazione costituisce un'occasione unica nel decennio per lo studio anche della popolazione omosessuale, bisessuale e transessuale, come documentato da autorevoli ricerche nazionali ed internazionali; la missione dell'Istituto nazionale di statistica è quella di servire la collettività attraverso la produzione e la comunicazione di informazioni statistiche e analisi di elevata qualità, realizzate in piena autonomia e sulla base di rigorosi principi etico-professionali e dei più avanzati standard scientifici, allo scopo di sviluppare un'approfondita conoscenza della realtà ambientale, economica e sociale dell'Italia e favorire i processi decisionali di tutti i soggetti della società;
il portale gay italiano più importante, www.gay.it, ha recentemente lanciato un appello già firmato da migliaia di cittadini affinché l'Istat accolga l'invito a modificare i criteri di raccolta ed elaborazione delle informazioni sulla popolazione lgbt;
ad avviso degli interroganti è gravemente discriminatoria la mancata fornitura da parte dell'ISTAT di dati e informazioni disaggregate sul numero, le caratteristiche e le condizioni di vita della popolazione omosessuale, bisessuale e transessuale -:
se, in occasione del prossimo censimento della popolazione, l'ISTAT intenda distinguere ed adeguatamente rappresentare le convivenze affettive da tutte le altre;
se, in occasione del prossimo censimento della popolazione, l'ISTAT intenda raccogliere ed elaborare dati e informazioni sulle coppie, le famiglie, e le singole persone omosessuali, bisessuali e transessuali, e fornire elaborazioni statistiche disaggregate rispetto a questa specifica fascia di popolazione;
se il Governo intenda intervenire per garantire la completezza, veridicità e correttezza delle informazioni raccolte nel contesto del prossimo censimento della popolazione, nel rispetto del diritto alla riservatezza dei dati personali, anche mediante autorizzazioni generali all'ISTAT per la raccolta, l'elaborazione e la fornitura, ad uso di ricerche ed elaborazioni

statistiche, di informazioni riguardanti l'identità di genere e l'orientamento sessuale.
(4-06050)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, concernente il prossimo censimento generale della popolazione svolto dall'Istituto nazionale di statistica, si rappresenta quanto segue.
In via preliminare è necessario precisare che il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione è chiamato a svolgere, su delega del Presidente del Consiglio dei Ministri, funzioni di vigilanza sul predetto Istituto e, pertanto, è competente a fornire all'interrogante gli elementi di risposta relativi agli aspetti strettamente inerenti all'attività statistica riferiti dall'Istat.
Quanto, invece, alle iniziative sollecitate dall'interrogante in ordine alla completezza, veridicità e correttezza delle informazioni statistiche, si sottolinea che le valutazioni relative all'opportunità di affidare al predetto Istituto l'incarico di raccogliere, elaborare e fornire, in occasione del prossimo censimento generale della popolazione, informazioni afferenti all'identità di genere ed all'orientamento sessuale della popolazione, devono essere rimesse alla decisione collegiale del Governo e, in particolare, all'iniziativa del competente Ministro per le pari opportunità.
In assenza di tale valutazione, collegialmente condivisa dal Governo, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione non può, quindi, autorizzare l'Istat a raccogliere, elaborare e fornire le predette informazioni, né l'Istituto statistico può autonomamente, e al di fuori di specifiche previsioni normative, provvedere in tal senso.
Pertanto, ferme restando le determinazioni che il Governo, su proposta del Ministro per le pari opportunità, vorrà assumere al riguardo, si forniscono di seguito i chiarimenti tecnici comunicati dall'istituto nazionale di statistica in merito alle procedure dallo stesso poste in essere in attuazione della normativa vigente.
Nel 2011 si terrà in Italia il 15o censimento generale della popolazione e censimento generale delle abitazioni, nel rispetto di quanto previsto dal vigente Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (EC) n. 763 del 2008, dal Regolamento CE n. 1201 del 30 novembre 2009, nonché dalla normativa nazionale in materia di sistema statistico e di trattamento dei dati personali e di quelli sensibili.
L'obiettivo del censimento è di rilevare, tra le altre, informazioni sulla composizione e sulle caratteristiche delle famiglie e dei nuclei: a tal fine, viene rilevata la relazione di parentela, convivenza o coabitazione che intercorre fra ogni componente della famiglia e una persona di riferimento (l'intestatario del foglio di famiglia), secondo le disposizioni normative vigenti.
Al riguardo si precisa che dal vigente ordinamento giuridico non è ricavabile una definizione univoca di famiglia: mentre la Costituzione e il codice civile, infatti, riconoscono e apprestano una specifica tutela giuridica soltanto alla «famiglia fondata sul matrimonio», altre disposizioni normative reputano, poi, giuridicamente rilevante, ad alcuni effetti, la cosiddetta famiglia naturale o di fatto, costituita da persone di sesso diverso che convivono
more uxorio ed eventualmente dai figli di esse. Infine, l'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989 (cosiddetto Regolamento anagrafico) fornisce una definizione di «famiglia anagrafica» secondo cui la stessa può essere costituita da un insieme di persone che, coabitando ed avendo dimora nello stesso Comune, sono legate non solo dai tradizionali vincoli di matrimonio, parentela, affinità e adozione e tutela, vincoli giuridicamente riconosciuti, ma anche da altri vincoli di natura affettiva.
Allo stato attuale, il censimento della popolazione, attesa anche la sua finalità di consentire l'aggiornamento delle anagrafi comunali attraverso il confronto dei dati censimento-anagrafe, finalità quest'ultima della quale non va sottaciuta l'imprescindibile funzione, non può che rilevare le informazioni relative alla «famiglia anagrafica», così come definita dal citato articolo 4.
Si consideri al riguardo che, in occasione del 14o censimento generale della popolazione del 2001, non è stata raccolta

alcuna informazione sull'orientamento/identità sessuale degli individui (eterosessuali, omosessuali, bisessuali e transgender): l'obiettivo del censimento non era, infatti, rilevare e diffondere informazioni sull'orientamento/identità sessuale degli individui, ma, piuttosto, rilevare informazioni sulla composizione e sulle caratteristiche delle famiglie e dei nuclei, considerando, in particolare, la relazione di parentela/convivenza/coabitazione che intercorre fra ogni componente della famiglia e una persona di riferimento (l'intestatario del foglio di famiglia). In tale contesto sarebbe stato possibile esclusivamente individuare coppie di «conviventi» (cioè privi dei rapporto di coniugio), eterosessuali o omosessuali, ma non rilevare l'orientamento/identità sessuale dei singoli individui.
Nel 2001, quindi, l'Istat ha adottato, con riferimento a tale ambito di indagine, le tecniche statistiche di aggregazione ritenute più adeguate per la gestione dei dati, in modo da non disattendere alla sua funzione istituzionale, assicurando, al contempo, piena e coerente attuazione alla disciplina normativa di riferimento.
Al riguardo il Governo, in risposta ad una interrogazione parlamentare (n. 3-3000 del 29 gennaio 2004 - On. Grillini, Bellillo ed altri) di contenuto analogo all'interrogazione in esame, ritenne opportuno precisare, in particolare, che «...non essendo stata la rilevazione censuaria predisposta al fine specifico di indagare sul fenomeno delle coppie dello stesso sesso, i casi di coppie dello stesso sesso sono stati compresi nel più ampio aggregato delle famiglie di due componenti formate da persone senza legami di parentela». Ciò anche in considerazione della mancata previsione, nel regolamento di esecuzione del censimento (decreto del Presidente della Repubblica n. 276 del 2001), di un'esplicita autorizzazione al trattamento di dati che, in quanto idonei a rilevare la vita sessuale di un individuo, rientrano, come noto, tra i dati sensibili di cui all'articolo 4 del decreto legislativo n. 196 del 2003.
Per ciò che concerne il censimento 2011, benché il provvedimento normativo concernente l'indizione ed il finanziamento del censimento in questione non sia stato ancora approvato dal Parlamento, l'Istat ha comunque già provveduto ad avviare, sul piano tecnico ed organizzativo, gli adempimenti necessari allo svolgimento della complessa operazione censuaria.
In particolare, è in corso di approfondimento il questionario di rilevazione per detto censimento alla luce degli esiti della rilevazione pilota (conclusasi il 23 dicembre 2009, che ha riguardato circa 80mila famiglie distribuite in 31 Comuni italiani), nonché dei necessari approfondimenti delle questioni giuridiche connesse alla tutela dei dati sensibili.
Sotto un profilo strettamente statistico, e fatta salva in ogni caso l'eventuale autorizzazione normativa, qualora gli approfondimenti tecnici e conoscitivi in corso - in particolare quelli legati alla tutela e al trattamento dei dati sensibili - nonché le valutazioni in ordine alla sottonotifica che potrebbe distorcere i risultati del censimento, portassero alla decisione di inserire nel questionario domande finalizzate a rilevare le coppie dello stesso sesso, le opzioni oggi allo studio sono:
A) utilizzare la classificazione della variabile «relazione di parentela o di convivenza con l'intestatario del foglio di famiglia» adottata in occasione della rilevazione pilota e incrociando tale informazione con la variabile «sesso», rendendo più esplicite le istruzioni di compilazione del questionario fornite ai soggetti rispondenti;
B) inserire apposite modalità per la rilevazione delle coppie dello stesso sesso.

Analogamente a quanto avvenuto in passato, non verranno invece rilevate informazioni sull'orientamento/identità sessuale degli individui, poiché la rilevazione di queste informazioni non rientra fra gli obiettivi del censimento. Nessuna informazione sarà quindi rilevata sulla popolazione bisessuale e transessuale, mentre le persone omosessuali verrebbero conteggiate come tali soltanto qualora dichiarino di vivere in coppia con una persona dello stesso sesso dimorante abitualmente nello stesso alloggio.
Preme sottolineare a tal proposito che, sulla base dell'esperienza internazionale e

nazionale, si ritiene che la rilevazione censuaria non rappresenti lo strumento più adeguato per rilevare informazioni attendibili riguardanti il delicato tema degli orientamenti sessuali, in quanto in un contesto di obbligatorietà della risposta, quale quella del censimento, l'inserimento di un quesito su un «dato sensibile» per il quale è prevista a livello normativo la facoltatività della risposta, potrebbe provocare una sottostima del fenomeno.
Sia gli esiti del censimento del 2001, sia gli studi scientifici condotti non solo in Italia ma anche a livello internazionale, dimostrano, infatti, che su questi aspetti il censimento della popolazione, data la sua natura di ufficialità, non è tecnicamente lo strumento migliore da adottare.
Ad ogni modo, al fine di tenere in giusta considerazione le caratteristiche socio-economiche delle coppie dello stesso sesso, l'istituto Statistico ha avviato una indagine sull'atteggiamento della popolazione italiana nei confronti dell'omosessualità, per individuare atteggiamenti più o meno «omofobici», per documentare le discriminazioni subite dalla popolazione omosessuale, a scuola, sul lavoro, nella ricerca del lavoro, nella ricerca di un'abitazione e in altri contesti, le difficoltà incontrate all'interno della famiglia (madre, padre, fratelli) e le conseguenze che queste hanno avuto sulla vita quotidiana di ognuno e sull'esperienza di vita di coppia presente e passata con persone dello stesso sesso. L'indagine è attualmente in fase di sperimentazione, e sarà condotta in forma campionaria con questionario consegnato in busta chiusa all'intervistato, il quale sarà tutelato completamente nella riservatezza e potrà così rispondere in assoluta libertà. Questa rilevazione consentirà dunque, attraverso l'utilizzo di tecniche idonee, di disporre di dati statistici attendibili in ordine al fenomeno delle discriminazioni, come peraltro richiesto dalla stessa interrogazione, e sarà condotta con metodi che minimizzeranno il rischio di non dichiararsi, come potrebbe, invece, facilmente accadere in occasione del censimento.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

VIGNALI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 2, comma 8, della legge n. 244 del 2007 prevede fino all'anno 2010 l'utilizzo di una quota delle entrate derivanti da «permessi di costruire» per il finanziamento delle spese correnti di bilancio degli enti territoriali, ed in particolare un limite massimo pari al 50 per cento per spese correnti e un ulteriore limite massimo pari al 25 per cento per spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale;
la normativa vigente non prevede per gli anni successivi al 2010, la possibilità di utilizzare una quota di entrate derivanti da «permessi di costruire» per finanziare la parte corrente di bilancio con conseguenti notevoli difficoltà in merito alla stesura dei prossimi bilanci preventivi e dei bilanci pluriennali 2010-2012 dei comuni -:
quali siano gli intendimenti del Governo in merito a tale preannunciata problematicità legata, anche alla stesura dei prossimi bilanci preventivi comunali e, se intenda assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte a una riproposizione di quanto disposto dal succitato articolo 2, comma 8, della legge n. 244 del 2007 sia per l'anno 2010 che per gli anni futuri;
se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative legislative volte a stabilire in via definitiva quale sia la percentuale di «permessi di costruire» da destinare alle spese correnti di bilancio, per mezzo di una norma di legge permanente, al fine di evitare negli anni a venire incertezze nella stesura dei bilanci preventivi.
(4-04413)

Risposta. - Al momento non sono state approvate norme che possano consentire la proroga delle vigenti disposizioni in materia di utilizzo, da parte dei comuni, delle entrate derivanti dai permessi a costruire, previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e destinabili

al finanziamento di una quota parte della spesa corrente dell'ente locale e della manutenzione ordinaria del suo patrimonio.
Peraltro, una iniziativa legislativa tesa a stabilizzare, in modo permanente, la destinazione di questa tipologia di entrate, secondo le previsioni della normativa non prorogata, non collimerebbe, allo stato, con le necessità di utilizzare tali risorse, in via prioritaria, per il finanziamento di opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

ZAMPARUTTI, BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nell'ambito della politica comune della pesca l'unica specie soggetta a Tac (Total Allowable Catch, cattura globale permesse) nel Mediterraneo è il tonno rosso;
a marzo a Doha, alla riunione della Cites, la convenzione di Washington che ha già definito una lista di 5 mila specie animali e 28 mila vegetali da tutelare, vietandone l'esportazione, perché stanno sparendo dal pianeta si deciderà se includervi anche questa specie;
la soglia considerata critica è il 20 per cento: quando l'80 per cento della popolazione di una specie è già sparito scatta l'inserimento nella convenzione di Washington. E il tonno rosso, secondo gli ultimi dati, si trova sostanzialmente in questa situazione. La specie è divisa in due popolazioni: quella atlantica negli ultimi 38 anni ha subito una diminuzione dell'82,4 per cento, mentre quella mediterranea tra il 1957 e il 2007 ha avuto un declino del 74,2 per cento;
la proposta di includere questa specie nella convenzione di Washington è stata avanzata dal Principato di Monaco ed è condivisa da molti paesi europei come Francia, Gran Bretagna, Germania, Olanda, Austria, Polonia;
l'8 settembre 2009, la Commissione europea ha ritenuto di poter «provvisoriamente» raccomandare agli Stati membri la proposta del principato di Monaco di considerare il tonno rosso a rischio estinzione e quindi introdurlo nella lista delle specie per le quali è vietata la commercializzazione in base alla Convenzione internazionale sul commercio delle specie in pericolo (Cites). La posizione provvisoria è stata raggiunta dai commissari europei interessati: per l'ambiente Stavros Dimas e per la pesca Joe Borg. Entrambi concordano che l'Esecutivo Ue potrà pronunciarsi in modo definitivo solo sulla base dei più recenti dati scientifici in relazione allo stato degli stock e sulle conclusioni a cui giungerà nella prossima riunione di novembre, la Commissione internazionale per la conservazione dei tonni nell'Atlantico (Iccat);
il Ministro dell'Agricoltura Zaia avrebbe dichiarato che non intende considerare la specie tra quelle a rischio;
secondo Alessandro Gianni, responsabile della campagna mare di Greenpeace «Molti esperti ritengono che, in mancanza di seri provvedimenti, nell'arco di cinque anni si arriverà a quota 90 per cento: avremo fatto fuori nove tonni su dieci. Già oggi il mercato delle esportazioni, monopolizzato dal Giappone che compra tra l'80 e il 90 per cento di quello che viene venduto all'estero, si regge solo con il trucco dell'allevamento. I tonni vengono presi in mare, fatti ingrassare in grandi gabbie e venduti come prodotti di allevamento, al di fuori delle quote stabilite dall'Unione europea. È per questo che gli stock continuano a diminuire: preleviamo più di quello che è consentito, anche perché negli ultimi anni, mentre la pressione della pesca europea diminuiva, aumentava quella della pesca africana» -:
quale posizione intenda assumere in ambito europeo e alla conferenza di Doha sulla tutela di questa specie.
(4-03998)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si fa presente che il Dipartimento delle politiche europee e internazionali ha rappresentato quanto segue.
La Commissione europea aveva rimandato ogni decisione relativa all'inserimento della specie tonno rosso nell'allegato I della Convenzione CITES agli esiti del
meeting annuale ICCAT (Commissione internazionale per la conservazione dei tonni di Atlantico e Mediterraneo) che si è tenuto a Recife (Brasile) dal 6 al 15 novembre 2009, al termine del quale sono state adottate misure di gestione per la protezione dello stock.
Le riunioni dell'ICCAT sono precedute dalla divulgazione dei dati scientifici elaborati dal Comitato scientifico dell'ICCAT (SCRS) contenenti lo stato delle risorse ittiche monitorate dall'ICCAT e del tonno rosso in particolare.
La decisione di attendere gli esiti dei rapporti scientifici era stata presa a seguito della posizione assunta da alcune delegazioni degli Stati mediterranei, tra le quali quella italiana.
Atteso quanto sopra, nella riunione CITES di Doha l'Italia non potrà che assumere una posizione conforme a quella ufficiale assunta dalla Commissione europea.
Da ultimo, appare opportuno evidenziare che lo Stato italiano, rappresentato dalla Commissione europea in seno all'ICCAT, coerentemente al contesto comunitario ed internazionale del quale fa parte, affida ad organismi di ricerca internazionalmente riconosciuti, quale il Comitato scientifico dello stesso ICCAT, la creazione di un supporto scientifico affidabile sul quale definire la propria posizione ufficiale riguardo questioni di tale rilevanza.
Infine, per gli altri elementi informativi in merito ai quesiti posti dall'interrogazione in esame, forniti dal ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si veda la nota allegata (disponibile presso il Servizio Assemblea).

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Luca Zaia.