XVI LEGISLATURA
TESTO AGGIORNATO AL 12 GENNAIO 2010
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
la situazione delle carceri italiane era ed è, purtroppo, in una fase emergenziale. Un surplus di 23mila detenuti, circa 66 mila presenze a fronte delle 43 mila possibili; una deficienza organica del corpo di polizia penitenziaria di circa 5.500 unità. La gran parte delle strutture penitenziarie sono fatiscenti, obsolete e non adatte;
la popolazione delle carceri continua a crescere, con tutte le relative valenze connesse al pericolo e al trattamento, e gli agenti penitenziari, sono costretti a lavorare in condizioni sempre peggiori, così come gli educatori, gli psicologi, i medici. Sono in costante aumento gli attacchi al personale che ormai è demotivato, stanco e mal pagato;
su tutto il territorio nazionale si registrano manifestazioni e proteste, giustificate dalle condizioni di insicure a in cui sono costretti a lavorare. Mediamente un agente deve sorvegliare 100 detenuti di giorno, circa 250 nei turni notturni; per garantire le traduzioni il personale è costretto a viaggiare anche per 20 ore consecutive su mezzi non idonei;
sebbene il Presidente del Consiglio dei ministri abbia reso noto il famoso piano carceri, della cui copertura finanziaria, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, non vi è certezza, i primi risultati, qualora vi fossero, non arriveranno prima di due anni;
solo pochi mesi fa la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia a risarcire con mille euro un detenuto costretto a stare per due mesi e mezzo in una cella sovraffollata. Una pena naturalmente simbolica, ma che mette in evidenza una terribile realtà. Ogni detenuto nelle carceri italiane ha mediamente a disposizione meno di tre metri quadrati di spazio, ben al di sotto dei 7 metri stabiliti dal comitato europeo per la prevenzione della tortura. Ciò vuol dire che normalmente una cella deve ospitare tre detenuti, oggi nei penitenziari italiani ce ne sono in media nove in ogni cella. Dall'inizio dell'anno, 65 sono i suicidi verificatisi all'interno delle strutture;
bisogna dare luce ad una realtà penitenziaria taciuta, ignorata o dimenticata, emarginata e abbandonata per mettere in evidenza l'emergenza del sistema carcere con il rischio sommosse e il rischio morte presenti ogni giorno. Un sistema che alimenta gli effetti criminogeni delle pene. Un sistema in cui l'articolo 27 della nostra Costituzione, che prevede che «l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva» e che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato», e l'articolo II-64 della Costituzione europea, che stabilisce che «nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti», non trovano applicazione;
l'Unione europea si fonda sul rispetto dei diritti dell'uomo, delle istituzioni democratiche e dello Stato di diritto. La Carta dei diritti fondamentali sancisce tutti i diritti - personali, civili, politici, economici e sociali - dei cittadini dell'Unione europea. Nel marzo 2007 l'Unione europea ha istituito l'Agenzia europea per i diritti fondamentali, che ha il compito di aiutare l'Unione europea e gli Stati membri ad elaborare la normativa in questo campo e di sensibilizzare l'opinione pubblica ai diritti fondamentali. Del resto, in un mondo globalizzato, è fondamentale che i Paesi dell'Unione europea collaborino efficacemente per combattere la criminalità e il terrorismo;
dal giugno 2004 l'Unione europea ha adottato un trattato che, attraverso le tappe previste, ambisce a diventare una Costituzione per l'intero continente. La creazione di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, richiede necessariamente
un coordinamento dei sistemi giuridico-penali dei Paesi membri. Uno spazio sovranazionale deve essere però altresì capace di farsi garante del riconoscimento e del rispetto dei diritti umani di tutti i cittadini, europei e extracomunitari, che vivono e risiedono in Europa. Il diritto penale è stato sempre confinato nei limiti del territorio nazionale, ancorato al principio della territorialità. Uno dei baluardi della sovranità nazionale è appunto l'esclusività del sistema penale. D'altro canto, a partire dal 1948, il diritto internazionale classico, ossia quello interstatuale, è progressivamente stato eroso da una nuova concezione del diritto internazionale che sostituisce all'intergovernativismo la sovranazionalità. Il processo, lento e fortemente contrastato dagli Stati-Nazione, ha avuto il suo culmine con la nascita della Corte penale internazionale. Il suo statuto, firmato solennemente a Roma nel 1998, contiene all'interno embrioni del superamento del principio della nazionalità nel sistema processuale penale laddove vi siano gravi violazioni dei diritti umani (crimini di guerra, genocidi, crimini contro l'umanità). Sia nella fase del riconoscimento che in quella della progressiva omogeneizzazione dei sistemi penali vanno tenute presenti garanzie e tutele irrinunciabili, vanno identificati minimi e massimi edittali delle pene, vanno enucleati i comuni ed essenziali interessi da proteggere in Europa con gli strumenti del diritto penale, evitando che i singoli Stati si limitino ad adattarsi al diritto penale di derivazione europea, conservando allo stesso tempo intatto tutto il proprio armamentario repressivo;
i diritti delle persone sottoposte a procedimento giudiziario, a misure penali o detenute vanno tutelati, senza eccezioni e senza timori. La dignità umana non può essere calpestata in alcuna circostanza. L'esperienza europea degli ultimi anni suggerisce l'attivazione di organismi indipendenti di nomina parlamentare che abbiano poteri informali di visita e controllo dei luoghi di detenzione. Tali organismi svolgono una funzione di riconciliazione sociale, di mediazione e di soluzione in chiave preventiva dei conflitti. Si tratterebbe di una sorta di difensori istituzionali dei diritti in carcere, per i quali va data altresì piena attuazione sia alla sentenza della Corte costituzionale del febbraio del 1999 che prevede la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti, sia al nuovo regolamento di esecuzione della legge sull'ordinamento penitenziario che nelle sue norme vuole migliorare la qualità della vita in carcere;
lotta al razzismo, libera circolazione delle coppie senza discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale e difesa delle donne, dei minori e degli immigrati: è quanto chiede il Parlamento per lo spazio europeo di giustizia, auspicando più diritti per i detenuti e fondi dell'Unione europea per la costruzione di nuove carceri. Occorre combattere la criminalità informatica, garantire una maggiore solidarietà tra i Paesi dell'Unione europea per l'accoglienza dei rifugiati e tutelare i cittadini da terrorismo e criminalità. Il Parlamento europeo, in tal senso, qualche giorno fa ha adottato una risoluzione con la quale indica la sua posizione riguardo al cosiddetto Programma di Stoccolma che stabilisce le priorità europee nel campo della giustizia e degli affari interni per i prossimi cinque anni. Il Parlamento chiede norme minime relative alle condizioni delle carceri e dei detenuti e una serie di diritti comuni per i detenuti nell'Unione europea, «incluse norme adeguate in materia di risarcimento dei danni per le persone ingiustamente arrestate o condannate». Auspica inoltre la messa a disposizione da parte dell'Unione europea di sufficienti risorse finanziarie per la costruzione «di nuove strutture detentive negli Stati membri che accusano un sovraffollamento delle carceri e per l'attuazione di programmi di reinsediamento sociale». Sollecita anche la conclusione di accordi fra l'Unione europea e i Paesi terzi sul rimpatrio dei loro cittadini che hanno subito condanne e la piena applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea. Sostiene poi la necessità di uno strumento giuridico
globale sull'ammissibilità della prova nei procedimenti penali;
l'attuale legge sull'ordinamento penitenziario stabilisce «le misure alternative alla detenzione»; esse danno la possibilità di scontare le pene non in carcere, vengono concesse solo a determinate condizioni e si applicano esclusivamente ai detenuti definitivi;
le misure alternative sono numerose e con caratteristiche peculiari, ciascuna tendente comunque alla risocializzazione del condannato. Esse sono: a) affidamento in prova al servizio sociale (pena residua 3 anni), articolo 47 della legge sull'ordinamento penitenziario; b) detenzione domiciliare (pena residua 4 anni o nei casi di condizioni di salute incompatibili con il regime detentivo pena residua anche superiore ai 4 anni), articolo 47-ter della legge sull'ordinamento penitenziario; c) semilibertà (metà pena o 2/3 in caso di reati gravi - reati di cui all'articolo 4-bis - o 6 mesi solo dalla libertà), articoli 46, 50 della legge sull'ordinamento penitenziario; d) liberazione condizionale (pena residua 5 anni), articolo 176 del codice penale; e) sospensione della pena per gravi motivi di salute (incompatibilità con il regime detentivo - qualunque sia la durata della pena) articolo 147 del codice penale;
queste misure, però, non possono essere la soluzione concreta e definitiva all'emergenza carceri e al sovraffollamento. Al di là di ciò, aspettando il piano carceri, è necessario avviare una riflessione e pensare ai processi brevi e alla certezza della pena dando strumenti e risorse. In sostanza, il carcere - servizio pubblico - deve essere un luogo che produce sicurezza collettiva, nel rispetto della dignità dei detenuti;
nel mese di agosto del 2009 si è svolta l'iniziativa nazionale «Ferragosto in carcere 2009» che ha visto coinvolti deputati, senatori, consiglieri regionali di tutta Italia e di tutte le forze politiche. L'obiettivo di tale iniziativa era di verificare e conoscere meglio le condizioni tanto dei detenuti, quanto di direttori, agenti, medici, psicologi, educatori che lavorano al suo interno al fine di poter formulare proposte legislative o organizzative adeguate;
tra suicidi, morti, vite salvate, tentate evasioni, evasioni compiute e spazi che mancano nelle nostre prigioni è sempre più evidente l'emergenza «soluzioni». A fronte di questa spaventosa e preoccupante situazione tutto il personale penitenziario, tra l'altro, è chiamato ad operare senza alcuna linea guida, senza mezzi idonei e con scarsissime risorse;
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 30 del 16 aprile 2004 veniva bandito un concorso pubblico per esami a 397 posti nel profilo professionale di educatore, area c, posizione economica C1, indetto con provvedimento del direttore generale del 21 novembre 2003. Dopo ben quattro anni di procedura concorsuale, il 15 dicembre 2008 nel Bollettino ufficiale del Ministero della giustizia n. 23, viene pubblicata la graduatoria ufficiale definitiva del suddetto concorso;
ad oggi il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha assunto solo i primi 97 vincitori, a cui, si spera a breve, seguirà l'assunzione dei restanti 300, dopo aver proceduto alle istanze di interpello annuale nazionale di mobilità interna del personale;
lo scorrimento della graduatoria con assunzione di tutti i suoi idonei trova già un precedente nel panorama legislativo-procedurale italiano, poiché effettuata per le graduatorie dei concorsi banditi dall'Agenzia delle entrate per 1500 posti di funzionari per la terza area funzionale, fascia retributiva F1, attività amministrativa-tributaria, bandito dall'Agenzia delle entrate (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - 4a Serie speciale «Concorsi ed esami» - n. 84 del 21 ottobre 2005);
queste nuove forze potranno, sicuramente, rappresentare un valido supporto, ma si rivelano, ad avviso dei firmatari
del presente atto di indirizzo, palesemente e gravemente insufficienti. Infatti, per questa figura professionale sono state già apportate drastiche riduzioni, tanto da portare la pianta organica del 2009 a sole 1088 unità, rispetto alla pianta del 2008 che ne prevedeva circa 1400 in organico (riduzione operata dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per adeguarsi alle disposizioni del cosiddetto decreto Brunetta (decreto legislativo n. 150 del 2009) che ha imposto un ridimensionamento delle piante organiche in diminuzione delle unità affinché le pubbliche amministrazioni possano procedere all'assunzione di nuovo personale). In realtà, ad oggi, in servizio ci sono soltanto 686 educatori a cui si aggiungeranno i 300 restanti vincitori, giungendo ad una quota di 968 unità, a fronte di una popolazione detenuta di circa 66.000 unità, ancora in crescita;
è lampante, pertanto, la mancanza di ben 102 educatori rispetto alla pianta organica del 2009 (mancanza ancor maggiore se riferita alla pianta organica del 2008 e pari a circa 400 unità di educatori) a cui andranno ad aggiungersi tutti quegli educatori che verranno collocati in pensione, avendone ormai maturato i requisiti;
la sostanziosa assenza dei citati operatori aggrava ed aggraverà ancor più il clima e la vita detentiva dei ristretti e dei medesimi operatori ancora in servizio, oltre ad accrescere l'inadempienza al dettato legislativo vigente, dal momento che la maggior parte dei detenuti non riescono ad avere per anni colloqui con gli educatori, non riuscendo, pertanto, a conseguire alcun giovamento dall'ingresso in carcere;
quest'ultima previsione, che viene chiaramente disattesa nelle realtà carcerarie italiane, com'è noto dal caso Castrogno, uno dei tanti emersi negli ultimi tempi, ma anche dall'aumento dei suicidi, degli atteggiamenti autolesionistici, della richiesta di psicofarmaci e non ultimo dell'aggressività dei detenuti nei confronti del personale penitenziario ad ulteriore dimostrazione dell'emergenza in cui i circuiti detentivi versano a causa della mancanza di operatori a fronte di uno spropositato aumento del numero di detenuti ospitati in strutture inidonee ed evidentemente non a norma dal punto di vista strutturale e delle risorse umane;
bisogna, inoltre, anche specificare che nonostante l'assunzione dei restanti 300 vincitori del concorso per il profilo di educatore, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria avrà un avanzo di fondi a disposizione per assumere subito all'incirca 70 unità lavorative, grazie al decreto del Presidente della Repubblica del 28 agosto 2009, adottato a seguito della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 31 luglio 2009. che ha autorizzato l'assunzione di un contingente di 1.370 unità di personale a tempo indeterminato per l'anno 2009 per le Amministrazioni dello Stato;
in particolare, per il Ministero della giustizia le nuove assunzioni autorizzate sono 223 unità, di cui 110 per l'amministrazione penitenziaria, che dovrebbero essere ripartite tra vincitori ed idonei di tutti i concorsi aventi graduatorie ancora valide presso quest'ultima amministrazione. Stando, tuttavia, alle allarmanti condizioni delle carceri italiane buona parte di questi fondi che avanzeranno dovranno essere destinati primariamente e celermente, senza indugio alcuno, all'assunzione degli idonei al concorso per educatori per incamminarsi verso quella condizione di rieducazione che il carcere deve dare a chi ne entra a far parte, per non smarrire quella presa di coscienza e civiltà che la nostra carta costituzionale gli affida;
è necessario, pertanto, attivare dei seri e proficui percorsi di rieducazione dei detenuti la cui realizzazione sia promossa e attivata dagli educatori penitenziari, veri coordinatori e catalizzatori degli strumenti utili per la composizione di tale iter risocializzativo - come la norma del 1975 dispone - affinché la dimensione del vissuto carcerario sia foriera di profonda
autoriflessione sulle proprie apicalità e crei momenti di autoprogettazione, di formazione e costruzione di un sé nuovo, positivo, propositivo, generatore di valori riconosciuti e condivisi dal comune senso civico;
occorrono soluzioni e un modello di recupero e di rieducazione prima di pensare a nuove strutture, ai fine di un immediato e concreto supporto al mondo penitenziario,
impegna il Governo:
a convocare i sindacati di polizia penitenziaria e le rappresentanze di tutto il personale penitenziario al fine di un confronto concreto e costruttivo sulle problematiche delle carceri in Italia e degli operatori;
a procedere all'assunzione immediata dei restanti educatori penitenziari previsti dalla pianta organica, da attingersi dagli idonei della vigente e menzionata graduatoria risultata dal concorso bandito per tale profilo professionale, affinché anche costoro possano partecipare ai previsti corsi di formazione che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria deve attivare per questi operatori prima dell'ingresso nelle carceri a cui sono destinati, onde evitare sprechi di danaro per doverli riattivare in seguito;
a prorogare di almeno un quinquennio la validità della graduatoria di merito del concorso citato in premessa, in linea con gli orientamenti del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione nonché con le disposizioni in materia di razionalizzazione delle spese pubbliche in vigore - per permetterne un graduale scorrimento parimenti all'avvicendarsi dei fisiologici turn-over pensionistici, al fine di evitare l'indizione di nuovi concorsi per il medesimo profilo che comporterebbero inutili oneri pubblici;
ad assumere iniziative per lo stanziamento di fondi necessari per completare l'organico di educatori previsti dalla pianta organica attualmente vigente presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, considerato che lo sforzo economico da sostenere è annualmente molto esiguo, ma necessario per far funzionare meglio ed in modo più umano una branca importantissima del nostro sistema giustizia che non può più attendere;
a procedere all'alienazione di immobili ad uso penitenziario siti nei centri storici e alla costruzione di nuovi e moderni istituti penitenziari in altro sito;
a procedere alla dismissione di immobili ad uso penitenziario e riassegnazione del ricavato al Ministero della giustizia per il potenziamento dell'edilizia penitenziaria esistente;
ad assumere le iniziative di competenza per il rifinanziamento dell'articolo 6 della legge n. 259 del 2002, prevedendo limiti di impegno per un arco di tempo compatibile con l'utilizzo della locazione finanziaria;
in relazione all'esperienza europea degli ultimi anni, ad adottare iniziative per l'attivazione di organismi indipendenti di nomina parlamentare che abbiano poteri informali di visita e controllo dei luoghi di detenzione al fine di svolgere una funzione di riconciliazione sociale, di mediazione e di soluzione in chiave preventiva dei conflitti;
secondo quanto stabilito dal Parlamento europeo, ad utilizzare le risorse finanziarie per la costruzione «di nuove strutture detentive negli Stati membri che accusano un sovraffollamento delle carceri e per l'attuazione di programmi di reinsediamento sociale»;
in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008 recante «Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria», a dare conto della sua applicazione e dei risultati e ad
illustrare e definire, nel passaggio delle competenze, funzioni e risorse.
(1-00301)
«Di Stanislao, Donadi, Paladini».
La Camera,
premesso che:
i detenuti ospitati nelle strutture carcerarie italiane sono circa 66.000, una cifra che è destinata ad aumentare nei prossimi mesi,
si tratta di un «primato» mai raggiunto nella storia repubblicana che pone problemi molto rilevanti. I 206 istituti di pena possono, infatti, «tollerare» 64.237 detenuti nonostante, da regolamento, non potrebbero ospitarne più di 43.087, come del resto confermano le dichiarazioni del direttore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, che, in una recente audizione presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati, ha parlato di situazione in grado di compromettere la sicurezza del Paese;
siamo, dunque, ampiamente oltre la soglia massima di tolleranza, in una situazione di emergenza che investe l'intero territorio nazionale, come evidenziato di recente nelle più alte sedi, ricordando la situazione dei detenuti in carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi e di certo non ci si rieduca,
di fronte a una tanto grave situazione, anche nella recente audizione davanti alla Commissione giustizia, il dottor Ionta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non ha saputo rispondere esaurientemente su tempi effettivi e fonti di finanziamento, limitandosi a ripetere (come del resto aveva già detto il Ministro sin dal mese di agosto 2009) che il piano carceri «costerà» circa 1 miliardo e 600 milioni di euro, dei quali sarebbero disponibili solo 250 milioni, ai quali la legge finanziaria per il 2010 ha aggiunto un finanziamento di soli 500 milioni di euro, per un importo complessivo che, quindi, non raggiunge la metà delle ipotizzate necessità di investimento. Peraltro, i tagli alle risorse destinate alla giustizia conseguenti alla cosiddetta finanziaria triennale dell'estate 2008 (decreto legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008), stanno causando, invece, quelle che ai firmatari del presente atto di indirizzo appaiono come esiziali difficoltà di gestione ed efficienza amministrativa in tutti gli istituti penitenziari, difficoltà che, in taluni casi, raggiungono punte di vera e propria «emergenza umanitaria», in palese contraddizione con i diritti costituzionalmente garantiti;
diverse associazioni hanno lanciato l'allarme sulle condizioni delle carceri: dall'Unione delle camere penali, all'Associazione dei dirigenti dell'amministrazione carceraria, dal Sappe (sindacato della polizia penitenziaria), da Cgil, Cisl e Uil al Garante dei detenuti della regione Lazio, tutti concordi nell'affermare che le condizioni attuali di vita carceraria sono spesso lontane dai normali livelli di civiltà e di rispetto della dignità del detenuto;
il drammatico sovraffollamento degli istituti di pena è all'ordine del giorno in tutto il Paese, con punte molto preoccupanti in alcune realtà regionali (Campania, Emilia Romagna, Lombardia, Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto);
è evidente che il sovraffollamento sarà destinato ad aumentare sempre più se le carceri continueranno ad essere considerate il luogo in cui riversare tutti gli esclusi sociali e i soggetti deboli della società, in un regime che per nulla garantisce il rispetto del dettato costituzionale;
ulteriori dati preoccupanti derivano dall'analisi dello status della popolazione detenuta. Il 50 per cento del totale dei detenuti sono imputati in attesa di giudizio, costretti per periodi di tempo troppo lunghi a convivere fianco a fianco con i già condannati. Assolutamente insufficiente appare il ricorso alle misure alternative alla detenzione. Va ancora rilevato, più in generale, che accanto ad un sovraffollamento che è definibile come
quantitativo, esiste anche un affollamento di carattere qualitativo. Esso si può ricondurre alle diverse tipologie di popolazione detenuta, ciascuna di essa portatrice di diverse istanze ed esigenze. La forzata convivenza in pochi metri quadri, per mancanza di idonee strutture, di detenuti giovani e adulti, imputati e condannati, di diverse razze e religioni, soggetti sani e con problemi psichiatrici e/o di tossicodipendenza, quando non addirittura di sieropositività (i dati più recenti dimostrano, infatti, che solo un terzo dei nuovi giunti in carcere si sottopone a screening volontario per l'accertamento del virus Hiv), crea notevoli problemi di promiscuità e di tensione anche in situazioni dove l'affollamento non è particolarmente rilevante;
relativamente al programma per le carceri, riguardante sia i nuovi interventi edilizi che la ristrutturazione degli edifici esistenti, si deve prendere atto dei ritardi di tale programma e del progressivo degrado di molti degli istituti penitenziari. Oltre all'assoluta inosservanza degli standard europei sulla dimensione e gli spazi delle celle, sono da rilevare carenze gravi nell'igiene, nell'illuminazione, nel decoro e nel clima delle celle (riscaldamento e refrigerazione) nonché nella presenza difettosa dei presidi sanitari (infermerie, centri clinici, numero di medici), il che aggrava a sua volte le patologie più frequenti. Sono da registrare inoltre carenze negli spazi destinati alla socialità e all'attività di studio e di lavoro dei detenuti, cui si deve aggiungere l'effetto deleterio dei recenti ulteriori tagli anche sulle mercedi e il lavoro dei custoditi nonché la patente violazione, in particolare, del principio della territorializzazione della pena, così come garantito dall'inapplicata legge n. 354 del 1975 e successive modifiche, laddove all'articolo 4 stabilisce che «nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie»;
preoccupano poi le frequenti segnalazioni di maltrattamenti e violenze, i casi di morte in carcere (da ultimi i casi di Stefano Cucchi e Uzoma Umeka) e quelli di suicidio. D'altronde, il citato aumento esponenziale delle aggressioni ad agenti di polizia penitenziaria, la paventata rivolta carceraria dell'estate 2009, le reiterate proteste delle associazioni sindacali del personale carcerario, sono tutti segnali di un malessere ormai ad un punto di non ritorno;
d'altra parte l'aumento della popolazione carceraria risulta essere inversamente proporzionale alla presenza del personale di polizia penitenziaria. Nel 2001 erano presenti 41.608 agenti penitenziari a fronte di 53.165 detenuti, nel 2009 gli agenti sono stati 39.000 e i detenuti 64.859. La pianta organica della polizia penitenziaria è fissata per legge in 45.121 unità. Ci si trova, pertanto, con circa 6.000 unità in meno, per di più rispetto ad un organico ormai certamente di per sé inadeguato. A ciò si devono sommare le carenze di personale amministrativo e l'assoluta inadeguatezza delle presenze degli assistenti sociali, degli psicologi e degli educatori. Senza parlare degli effetti negativi di una transizione senza fine dalla sanità penitenziaria alle aziende sanitarie locali, il che si riverbera in una drastica riduzione dei servizi di cura e recupero per i detenuti,
impegna il Governo:
ad affrontare concretamente, mediante una mirata e lungimirante programmazione, la grave emergenza del sovraffollamento degli istituti di pena, ponendo particolare attenzione alle condizioni di vita dei detenuti, allo stato dell'edilizia penitenziaria, agli spazi detentivi e a quelli comuni, in relazione anche al profilo specifico dei detenuti medesimi (tossicodipendenti e affetti da malattie psichiatriche) e la cui pericolosità sociale è ridotta ab origine, dovendosi ritenere superata l'attuale unicità del modello strutturale e organizzativo del carcere;
a disporre in tempi brevi un monitoraggio delle strutture penitenziarie esistenti al fine di individuare quelle che in
una prima fase sperimentale possano prestarsi all'attivazione ed espansione delle esperienze di trattamento avanzato, quali quelle realizzate nell'istituto penitenziario di Milano Bollate, anche con il supporto di sistemi di controllo a distanza (cosiddetto braccialetto elettronico), opportunamente tarati per i soggetti, condannati o in misura cautelare, anche nuovi giunti, ai quali non siano attribuiti fatti-reato caratterizzati da abituale violenza;
ad ampliare la tipologia delle misure alternative in favore di quelle specificamente supportate da progetti professionalmente strutturati volti al reinserimento sociale, quali l'istituto della messa alla prova, positivamente sperimentato nei campo del trattamento dei minori, ovvero da patti per il reinserimento e la sicurezza sociale fondati su attività di giustizia riparativa a favore delle vittime dei reati o da programmi di istruzione, di attività sociali e culturali, di formazione professionale e di inserimento lavorativo;
a sostenere il sistema delle misure alternative alla pena detentiva mediante un sistema dì cofinanziamento dei progetti finalizzati al reinserimento sociale dei detenuti e degli internati, garantito da una parte dai fondi della Cassa delle ammende e dall'altra dalla reti integrate degli interventi e dei servizi sociali territoriali previste dalla legge n. 328 del 2000, anche mediante l'istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative per i condannati che non dispongano di supporto socio familiare;
ad evitare il susseguirsi di iniziative normative settoriali in campo penale, volte al mero inasprimento delle pene, all'irrigidimento degli strumenti processuali che non realizzano un'efficace e coordinata azione di contrasto alla criminalità, ma acuiscono le problematiche connesse al sovraffollamento carcerario;
a promuovere una riforma di sistema che preveda la riduzione dell'area dell'illecito penale laddove riferito a comportamenti di scarso disvalore sociale con un ampliamento ed una differenziazione delle tipologie sanzionatorie, con l'affiancamento alla pena detentiva di altre pene interdittive, ma non privative delle libertà personali, irrogabili dal giudice penale di cognizione allo scopo di ridurre il ricorso alla pena detentiva, laddove non necessaria, e nel contempo di rendere più efficace il sistema sanzionatorio nel suo insieme, soprattutto con riferimento ai reati non gravi;
ad intensificare l'azione diplomatica per concludere accordi finalizzati a far scontare ai detenuti stranieri, per quanto possibile, la detenzione nei Paesi d'origine, nella garanzia del rispetto dei diritti fondamentali della persona;
a vigilare sull'applicazione della normativa in materia di edilizia carceraria al fine di superare l'attuale modello di istituto penitenziario per affrontare le nuove esigenze e i nuovi bisogni dei detenuti, anche nell'ambito degli interventi di ristrutturazione in corso, cui dare priorità, e a garantire, nell'ambito dei progetti della nuova edilizia penitenziaria, i criteri di trasparenza delle procedure e l'economicità delle opere fissando regole rigorose per la valutazione del patrimonio dello Stato in relazione al cosiddetto project financing, evitando il ricorso a procedure straordinarie anche se legislativamente previste;
ad accertare la corretta e compiuta attuazione dei regolamenti penitenziari, in particolare per la parte concernente le garanzie dei diritti delle persone detenute nonché a garantire la piena applicazione dell'articolo 4 della legge n. 354 del 1975 concernente il principio della territorializzazione della pena;
a verificare l'adeguatezza, in proporzione alla popolazione carceraria, delle piante organiche riferite non solo al personale di polizia penitenziaria ma anche alle figure degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi, avviando un nuovo piano programmato di assunzioni che vada oltre il turn-over dovuto ai pensionamenti previsto dalla legge finanziaria per il 2010 e che garantisca le risorse
umane e professionali necessarie all'attivazione delle nuove strutture penitenziarie, anche distribuendo meglio il personale sul territorio, concentrandolo nei compiti di istituto, sottraendolo ai servizi estranei, consentendogli un adeguato, costante ed effettivo aggiornamento professionale;
a risolvere le attuali disfunzioni della sanità penitenziaria acuitesi in concomitanza della delicata fase di trasferimento delle funzioni al Sistema sanitario nazionale, sia assicurando adeguate risorse finanziarie alle regioni sia prevedendo l'adozione, da parte delle regioni stesse, di modelli organizzativi adeguati alla specificità del contesto carcerario, che sconta, oltre alla particolarità delle patologie, specifiche ed inderogabili esigenze di sicurezza;
ad affrontare una buona volta le cause dell'elevato numero di morti e di suicidi in carcere ed i fenomeni di autolesionismo e di violenza in genere;
ad affrontare, assumendo a tal fine le necessarie iniziative normative, il problema dei detenuti tossicodipendenti, in particolare valutando la possibilità che l'esecuzione della pena avvenga in istituti a custodia attenuata, idonei all'effettivo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi;
ad assicurare, con adeguati provvedimenti organizzativi e di finanziamento, l'attuazione del diritto allo studio e al lavoro in carcere;
a garantire l'effettiva destinazione alla realizzazione dei programmi di riabilitazione e di reinserimento sociale dei condannati dei fondi a ciò vincolati della Cassa delle ammende;
a favorire l'approvazione di una legge per l'istituzione a livello nazionale del Garante dei diritti dei detenuti, ossia di un soggetto che possa lavorare in coordinamento con i garanti regionali e comunali e con la magistratura di sorveglianza, in modo da integrare quegli spazi di intervento rispetto alle diffuse situazioni di difficoltà del nostro sistema carcerario, che non possono essere risolte in via giudiziaria;
all'applicazione concreta della legge 22 giugno 2000, n. 193, la cosiddetta legge Smuraglia, al fine di incentivare la trasformazione degli istituti penitenziari da meri luoghi di permanenza di persone in condizioni di prevalente e permanente inerzia di per sé distruttiva, in soggetti economici capaci di svolgere parte attiva e competitiva sul mercato, anche al fine di autoalimentare le risorse economico-finanziarie necessarie per operare, riducendo così gli oneri a carico dello Stato e quindi della collettività;
ad eliminare gli ostacoli che ancora non permettono alle madri e ai loro piccoli, quelli di età compresa tra zero a tre anni, di scontare la pena detentiva in un luogo diverso dal carcere nonché ad istituire le case famiglia protette, al di fuori delle strutture penitenziarie, da considerarsi una forma detentiva privilegiata quando sia indirettamente coinvolto un bambino.
(1-00302)
«Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Boccia, Giachetti, Lenzi, Quartiani, Rosato, Ferranti, Andrea Orlando, Melis, Samperi, Tidei, Touadi, Bernardini, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Gianni Farina, Rossomando, Tenaglia, Vaccaro, Bellanova, Boccuzzi, Bossa, Binetti, Braga, Brandolini, Capodicasa, Causi, Cenni, De Biasi, De Pasquale, De Torre, D'Antona, Esposito, Ferrari, Fontanelli, Garavini, Ghizzoni, Gnecchi, Lovelli, Lucà, Margiotta, Mattesini, Mazzarella, Murer, Narducci, Rigoni, Rugghia, Schirru, Vannucci, Vassallo, Zucchi, Bachelet, Berretta, Capano, Carella, Marco Carra, Ciriello, Codurelli,
Giovanelli, Fedi, Froner, Marchi, Motta, Oliverio, Arturo Mario Luigi Parisi, Pedoto, Pistelli, Rossomando, Siragusa, Tullo, Velo, Vico, Mogherini Rebesani, Coscia, Rubinato».
La Camera,
premesso che:
i mezzi di trasporto privati sono i responsabili della maggior parte delle emissioni di CO2 nelle nostre città. Un recente rapporto dell'associazione «Amici della terra» ha denunciato come nel periodo compreso tra il 1990 e il 2006, in Europa, le emissioni di gas serra prodotte dai veicoli a motore sono aumentate del 25 per cento, e l'Italia è quella che presenta l'incremento percentuale maggiore;
la voce trasporto, di cui quello urbano compone una fetta molto significativa, rappresenta in Italia circa un terzo delle emissioni totali di gas-serra. Una quantità di veleni ancor più impressionante se si considera che per grossa parte viene prodotta e respirata nelle grandi città, ovvero le zone più densamente abitate del nostro Paese. Un problema questo che rende fondamentale il potenziamento del trasporto pubblico e la riduzione progressiva del trasporto privato e l'innovazione verso una mobilità alternativa, dal trasporto collettivo, a quello pedonale e ciclabile, a quello privilegiato per vetture elettriche o ibride, al fine di favorire il decongestionamento e la riduzione dei gas inquinanti nelle nostre città;
in assenza di provvedimenti adeguati, il traffico veicolare continuerà a contribuire notevolmente all'inquinamento atmosferico, rendendo sempre più difficile il raggiungimento degli obiettivi che l'Unione europea si è prefissata. Gli Stati membri dell'Unione europea, infatti, si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas serra del 20 per cento entro il 2020;
per sensibilizzare l'opinione pubblica e i governi, dal 16 al 22 settembre 2009, per iniziativa del dipartimento all'ambiente della Commissione europea si è svolta in più di duemila città europee la sesta edizione della «settimana europea della mobilità sostenibile», al fine di sollecitare i comuni nello sforzo di creare sistemi di mobilità più efficienti, fondamentali tanto nella lotta all'inquinamento globale quanto nel migliorare la qualità della vita dei milioni di cittadini che vivono nelle città;
in occasione della suddetta manifestazione, il Commissario europeo per l'ambiente, Stavros Dimas, dichiarava: «Le automobili private sono tra le maggiori fonti di emissione dei gas serra che contribuiscono ai cambiamenti climatici e hanno anche un serio impatto sulla qualità della vita in città. Per questo è importante, per le autorità locali e i cittadini dell'Unione europea, adottare modalità di trasporto più sostenibili. Fare questa scelta aiuterebbe a ridurre l'impatto dei cambiamenti climatici e migliorerebbe le condizioni di vita nei nostri centri urbani»;
va purtroppo invece sottolineato, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, come non vi sia alcun incremento di risorse per migliorare le politiche di mobilità urbana, ma al contrario si assiste ad una sostanziale riduzione delle già scarse risorse, a disposizione della mobilità ecosostenibile;
con il decreto legge n. 5 del 2009, è stato infatti ridotto di 11 milioni di euro il Fondo per la mobilità sostenibile, istituito dall'articolo 1, comma 1121, della legge finanziaria per il 2007;
va ricordato che il Fondo per la mobilità sostenibile è strumento fondamentale per le politiche di mobilità urbana ecosostenibile. Il Fondo finanzia una serie d'interventi tra i quali: a) potenziamento ed aumento dell'efficienza dei mezzi pubblici, con particolare riguardo a quelli meno inquinanti e a favore dei comuni a maggiore crisi ambientale; b) incentivazione dell'intermodalità; c) valorizzazione degli strumenti del mobility management e del car sharing; d) riorganizzazione e razionalizzazione del settore di trasporto e
consegna delle merci, attraverso la realizzazione di centri direzionali di smistamento che permetta una migliore organizzazione logistica, nonché il progressivo obbligo di utilizzo di veicoli a basso impatto ambientale; e) realizzazione e potenziamento della rete di distribuzione del gas metano, del gpl, dell'elettricità e dell'idrogeno; f) promozione di reti urbane di percorsi destinati alla mobilità ciclistica;
per quanto riguarda il trasporto pubblico nelle aree urbane più grandi, dove il problema della congestione e dell'inquinamento rappresenta una vera e propria emergenza quotidiana, è indispensabile indirizzarsi e procedere a un'incentivazione della mobilità pubblica, agendo in particolare a favore del suo svecchiamento introducendo autobus a metano ed elettrici;
per quanto concerne invece il trasporto privato, è altresì indispensabile favorire la diffusione e la commercializzazione delle auto elettriche e a metano, non solo con incentivi fiscali mirati, ma anche e soprattutto attraverso la realizzazione capillare sul territorio di reti di distribuzione (colonnine di ricarica e stazioni di rifornimento per il metano), attualmente praticamente inesistenti;
le vetture elettriche e a metano infatti, si vendono bene solo là dove c'è una sufficiente rete di rifornimento. Ci sono regioni, come la Campania, dove, per esempio, è presente una sola pompa di metano, mentre in Sardegna tali impianti sono totalmente assenti;
il Governo deve in questo ambito sostenere la crescita del settore dell'auto elettrica o comunque a ridottissimo impatto ambientale, come una concreta opportunità di crescita industriale, per una mobilità urbana alternativa agli attuali modelli alimentati da combustibili fossili;
il settore dell'auto e dei veicoli elettrici è in questo senso ormai maturo per una sua reale diffusione nel mercato. Le principali grandi marche di autovetture europee, Mercedes, Bmw, Citroen, per fare solo alcuni esempi, stanno lanciando nuovi modelli a emissioni zero. Altre industrie automobilistiche si stanno muovendo anche loro nella medesima direzione. Il futuro prossimo è di un'auto che si potrà ricaricare in 6-8 ore, con un'autonomia di oltre 130 chilometri, a fronte di una spesa di due o tre euro, con benefici altissimi in termini di riduzione dell'inquinamento atmosferico;
l'auto a trazione elettrica può quindi realmente fare da «apripista» verso nuovi scenari e una nuova era dell'automobile, con ricadute importanti e vantaggi non solo in termini di evidenti benefici ambientali ma anche in termini industriali e occupazionali;
l'ipotesi, a quanto pare allo studio da parte del Governo, di una possibile proroga degli incentivi auto in continuità con quanto già previsto dal decreto legge n. 5 del 2009, se confermata, deve in questo senso essere l'occasione per attivare interventi fiscali agevolativi mirati a favorire i mezzi di trasporto ad emissioni zero o a ridottissimo impatto ambientale, quali appunto le autovetture a metano, a trazione elettrica o ibrida, e parallelamente ad avviare la creazione delle conseguenti indispensabili infrastrutture relative alle reti di distribuzione;
parallelamente, andranno altresì incentivati gli acquisti di biciclette, biciclette a pedalata assistita, nonché di ciclomotori a trazione elettrica. Va ricordato in questo senso come il fondo finalizzato a finanziare i suddetti incentivi, a seguito dell'accordo siglato fra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ancma (Associazione nazionale ciclo e motociclo accessori aderente a Confindustria), aveva consentito nella primavera del 2009 a circa 60 mila acquirenti di poter beneficiare dei medesimi incentivi,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per un incremento della dotazione del Fondo per la
mobilità sostenibile, quale fondamentale strumento di finanziamento a disposizione delle grandi aree urbane per interventi finalizzati alla riduzione dell'inquinamento atmosferico e per lo sviluppo della mobilità urbana a minore impatto ambientale;
al fine di favorire lo sviluppo del mercato dei veicoli a propulsione elettrica, e nell'ambito delle proprie competenze e in coordinamento con gli enti locali, a prevedere le opportune risorse e iniziative volte alla realizzazione di una rete di punti di ricarica, quali premessa indispensabile per la crescita del medesimo mercato;
a dare un forte impulso, anche attraverso appositi accordi di programma con gli enti locali coinvolti e le associazioni e le categorie interessate, allo sviluppo della rete di distribuzione sul territorio nazionale di carburanti a minore impatto ambientale, con specifico riferimento al metano per autotrazione;
ad adottare le necessarie iniziative per il rifinanziamento del fondo messo a disposizione dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare finalizzato al contributo statale per l'acquisto di una nuova bicicletta, comprese quelle elettriche a pedalata assistita, nonché di ciclomotori euro 2 termici o elettrici;
a prevedere - con particolare riferimento alle aree urbane - interventi miranti ad incentivare il trasporto pubblico locale e una mobilità alternativa, anche attraverso la riproposizione di importanti strumenti che hanno mostrato in questi anni tutta la loro efficacia, quali il rimborso parziale dell'abbonamento al trasporto pubblico locale, e maggiori incentivi per la diffusione del servizio di condivisione degli autoveicoli (car-sharing).
(1-00303)
«Piffari, Scilipoti, Donadi, Borghesi, Evangelisti».
La Camera,
premesso che:
l'ultimo rapporto Svimez, presentato nel luglio 2009, ha fotografato un Mezzogiorno in recessione, colpito particolarmente dalla crisi nel settore industriale, che da sette anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord;
le prospettive per i prossimi mesi, nonostante qualche segnale di miglioramento soprattutto nel clima di fiducia di imprese e cittadini, appaiono particolarmente gravi per zone deboli del Paese. La diffusa percezione di una crisi che avrebbe riguardato soprattutto le aree più industrializzate del Paese, perché più aperte alla competizione internazionale, è purtroppo smentita dai dati relativi sia alla seconda metà del 2008 che ai primi tre trimestri del 2009;
l'impatto della crisi internazionale, infatti, si sta riflettendo con particolare intensità sul mercato del lavoro meridionale, con brusche riduzioni dell'occupazione e contemporanei incrementi del tasso di disoccupazione e conseguente contrazione dei redditi da lavoro delle famiglie. Tali dinamiche si riflettono in un'ulteriore contrazione della domanda interna che va ad aggravare la tendenza recessiva;
la disoccupazione preoccupa come non mai: nel 2008 i disoccupati al Sud sono aumentati del 9,8 per cento. Crescono in particolare, sempre secondo il rapporto Svimez del 2009, i disoccupati di lunga durata che sono il 6,4 per cento del totale, mentre erano il 5,9 per cento nel 2007 e cresce la 'zona grigia' della disoccupazione, che raggruppa scoraggiati e lavoratori potenziali: 95 mila persone in più dell'anno precedente. Dal 2004 al 2008 i cosiddetti disoccupati impliciti e gli scoraggiati sono aumentati di 424 mila unità. Considerando anche questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo del Sud salirebbe a oltre il 22 per cento. Secondo dati Istat l'occupazione nel Mezzogiorno nel terzo trimestre 2009 è diminuita dell'0,8 per cento rispetto al primo trimestre del 2009 (dato destagionalizzato);
all'Italia spetta il non invidiabile primato del tasso di disoccupazione giovanile più alto in Europa, di cui è responsabile soprattutto il Mezzogiorno. Nel 2008 solo il 17 per cento dei giovani meridionali in età 15-24 anni lavora, contro il 30 per cento del Centro-Nord. Nella stessa classe di età la disoccupazione è invece del 14,5 per cento al Centro-Nord mentre al Sud arriva al triste primato del 33,6 per cento;
nel 2008 al Sud è irregolare 1 lavoratore su 5, pari, in valori assoluti, a 1 milione 300 mila persone, con tassi di irregolarità del 12,8 per cento nell'industria e del 19 per cento nelle costruzioni. A livello territoriale la regione più «nera» è la Calabria, con il 26 per cento di manodopera irregolare, che sale a quasi il 50 per cento in agricoltura e al 40 per cento nelle costruzioni. A seguire, la Basilicata (20,3 per cento), con un forte peso del settore industriale, Sicilia (19,8 per cento), Sardegna (19,5 per cento) e Puglia (17,4 per cento). Il più alto numero di lavoratori in nero in valori assoluti spetta alla Campania (329 mila persone), che dal 2000 ha però perso il 19,4 per cento (79 mila unità);
caso unico in Europa, l'Italia continua a presentarsi come un Paese spaccato in due sul fronte migratorio: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni. I posti di lavoro del Mezzogiorno sono in numero assai inferiore a quello degli occupati. Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale spinta all'emigrazione;
tra il 1997 e il 2008 circa 700 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Nel 2008 il Mezzogiorno ha perso oltre 122 mila residenti a favore delle regioni del Centro-Nord a fronte di un rientro di circa 60 mila persone. Riguardo alla provenienza, oltre l'87 per cento delle partenze ha origine in tre regioni: Campania, Puglia, Sicilia. L'emorragia è più forte in Campania (-25 mila), a seguire Puglia e Sicilia rispettivamente con 12 mila e duecento e 11 mila e seicento unità in meno;
nel 2008 sono stati 173 mila gli occupati residenti nel Mezzogiorno ma con un posto di lavoro al Centro-Nord o all'estero, 23 mila in più del 2007 (+15,3 per cento). Sono i pendolari di lungo raggio, cittadini a termine che rientrano a casa nel week-end o un paio di volte al mese. Giovani e con un livello di studio medio-alto: l'80 per cento ha meno di 45 anni e quasi il 50 per cento svolge professioni di livello elevato. Il 24 per cento è laureato. Non lasciano la residenza generalmente perché non lo giustificherebbe né il costo della vita nelle aree urbane né un contratto di lavoro a tempo;
la crisi ha colpito anche i pendolari meridionali. Se infatti il movimento Sud-Nord è cresciuto nei primi sei mesi del 2008, con l'aggravarsi del quadro economico 20 mila persone sono rientrate al Sud, soprattutto donne;
in vistosa crescita le partenze dei laureati «eccellenti»: nel 2004 partiva il 25 per cento dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38 per cento. La mobilità geografica Sud-Nord permette una mobilità sociale. I laureati meridionali che si spostano dopo la laurea al Centro-Nord vanno incontro a contratti meno stabili rispetto a chi rimane, ma a uno stipendio più alto. Il 50 per cento dei giovani che restano al Sud non arriva a 1000 euro al mese, mentre il 63 per cento di chi è partito dopo la laurea guadagna tra 1000 e 1500 euro e oltre il 16 per cento più di 1500 euro;
molte importanti aziende del Mezzogiorno sono a rischio di chiusura, tra le altre, il calzaturificio Adelchi di Tricase in Puglia, lo stabilimento di Termini Imerese della Fiat da cui dipende l'economia di una vasta area della Sicilia e quello di Pomigliano d'Arco della stessa Fiat in relazione al quale va segnalata la drammatica situazione in cui versano i lavoratori,
molti dei quali in cassa integrazione ed altri con il contratto di lavoro di prossima scadenza;
l'eventuale chiusura dello stabilimento di Termini Imerese, in particolare, avrebbe pesanti e gravissime ricadute sull'occupazione, non solo nell'ambito del comprensorio cittadino ma anche in tutto il territorio delle Madonie. L'incertezza delle notizie circa la sorte dello stabilimento sta provocando gravi preoccupazioni in tutto il tessuto sociale e grande apprensione nelle famiglie, dal momento che non è dato conoscere soluzioni che in prospettiva garantiscano il futuro dei lavoratori;
le difficoltà in cui versa l'agricoltura nel Mezzogiorno, sono ben note e si potrebbero sintetizzare nel dato, da cui si rileva che si è arrivati, addirittura, a registrare aumenti nella produzione con una, obiettiva, riduzione dei ricavi. Ciò, prevalentemente, a causa della scarsa competitività dovuta alla carenza di infrastrutture, agli alti costi energetici, all'alto costo del denaro. Urgono, dunque, politiche, a sostegno dell'agricoltura di livello nazionale ad integrazione di quelle comunitarie che, si prevede, diminuiranno costantemente entro il 2013;
l'agricoltura e l'agroalimentare legate al territorio possono essere una delle carte vincenti per un vero sviluppo del Mezzogiorno;
la spesa pubblica pro capite nel Mezzogiorno è stata nel 2008 pari a 10.490 euro, inferiore rispetto ai 12.300 euro pro capite del Centro Nord. Per di più, nel Mezzogiorno, c'è una tendenza all'incremento delle spese correnti che invece si riducono nel Centro Nord e a una diminuzione di quelle per investimenti, che invece aumentano in misura doppia nelle zone più sviluppate del Paese. La quota del Mezzogiorno sulla spesa in conto capitale è stimata nel 2008 al 34,9 per cento, una percentuale ben più bassa del 41,1 per cento del 2001 e lontanissima dall'obiettivo del 45 per cento, che ormai appare come una chimera. Ha inciso su tale riduzione il ridimensionamento dei trasferimenti di capitale per agevolazioni alle imprese, che non è stato sostituito, come nei programmi, da un maggior impegno per la dotazione di infrastrutture;
dall'analisi Svimez pubblicata su il Sole 24 Ore Sud del 28 ottobre 2009, sul monitoraggio degli indicatori previsti dagli obiettivi di Lisbona 2010, emerge la fotografia di un Sud sempre più periferico, che si allontana dall'Europa soprattutto per il basso tasso di attività, la scarsa spesa per l'innovazione e la diffusa povertà;
confrontando l'andamento dei dati 2001-2005, le ultime rilevazioni dei principali indicatori (situazione economica generale, occupazione, innovazione, riforma economica, coesione sociale, sostenibilità ambientale) e i target programmati, spicca in generale un gap impossibile da recuperare entro la scadenza prevista. Per molti indicatori addirittura si profila un ulteriore allontanamento dall'obiettivo;
in particolare, rispetto alla situazione economica generale, fatto pari a 100 il prodotto interno lordo pro capite medio dell'Unione europea, il Sud è passato dal 78 per cento del valore medio europeo del 2001 al 69 per cento del 2006;
situazione peggiore per l'occupazione: la strategia di Lisbona prevedeva un tasso di occupazione nella classe di età 15-64 anni del 70 per cento entro il 2010. Ma il Sud, fermo nel 2001 al 45,5 per cento, nel 2009 ha subito un ulteriore ribasso, arrivando al 44,7 per cento. Riguardo al tasso di occupazione degli adulti in età compresa tra 55 e 64 anni c'è da segnalare un recupero (da circa il 30 per cento del 2001 al 34 per cento del 2009), comunque distante dal 50 per cento previsto per il 2010;
secondo le stime dello Svimez, per raggiungere, come da obiettivo, il tasso di occupazione del 70 per cento, servirebbero 3,5 milioni di posti di lavoro. Al contrario, dal 2001, se ne sono persi 74mila. Problema specifico del Mezzogiorno, che va
guardato come un tutt'uno con la difficile situazione dell'occupazione, resta la povertà, che riguarda una quota superiore di tre volte e mezza quella indicata dall'obiettivo di Lisbona, con il caso limite della Sicilia che raggiunge il 42 per cento;
quello che appare dai dati e dalle statistiche sul mezzogiorno è che le cause principali dell'andamento recessivo sono il rallentamento degli investimenti e dei consumi delle famiglie. Gli investimenti industriali sono scesi del 2,1 per cento annuo dal 2001 al 2008, tre volte tanto rispetto al Centro-Nord (-0,6 per cento), anche a seguito della riduzione o abolizione di alcune agevolazioni (credito d'imposta, legge 488), che fa il pari con la riduzione al Sud della spesa delle famiglie dell' 1,4 per cento contro il calo dello 0,9 per cento del Centro-Nord;
le differenze tra lo sviluppo del Mezzogiorno e quello del resto del paese non si sono ridotte nel corso dell'ultimo decennio. La quota di prodotto interno lordo del Mezzogiorno rispetto all'intero Paese è scesa dal 24,2 per cento nel 2002 al 23,6 nel 2007. Dal 2007 la crescita del prodotto meridionale è stata più debole di quella del Centro Nord ed il divario è ulteriormente aumentato;
il Mezzogiorno può invece rappresentare la grande opportunità italiana, per ragioni diverse: quelle, in primo luogo, legate alla sua centralità geopolitica in un Mediterraneo destinato a divenire nei prossimi anni area di libero scambio ed economia sempre più integrata; al capitale umano, ad un Sud giovane in un Paese che invecchia. Il Meridione è l'area in cui il potenziale di crescita è maggiore, in cui gli spazi di specializzazione, proprio in quei settori, la mancanza dei quali rende meno competitivo il Paese, permetterebbero di affrontare e risolvere, finalmente insieme, i problemi dell'Italia e quelli del suo Mezzogiorno;
è anche sulla proiezione internazionale del Mezzogiorno che occorre lavorare, sul rafforzamento dei legami con il Mediterraneo. L'Italia deve essere in prima linea nel processo di ridefinizione delle reti che collegheranno le due sponde;
ad avviso dei firmatari del presente atto d'indirizzo, il Mezzogiorno è, nella sostanza, dimenticato dall'azione di Governo. Ma sono state anche «contro» il Sud le scelte sbagliate di politica industriale e il cattivo utilizzo delle risorse registrato in tutti questi anni;
viceversa serve una politica che affronti i problemi delle imprese e dell'occupazione, che ne rafforzi il tessuto, ma che, al contempo agisca sul contesto;
lo Stato deve garantire nel Mezzogiorno innanzitutto legalità, sicurezza, una giustizia adeguata e tutte le forze politiche devono porsi come vera e propria priorità, quella della riforma etica della politica e dello smantellamento delle reti clientelari veicoli della corruzione e dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nelle istituzioni;
si deve agire sulle infrastrutture: il Sud registra un deficit infrastrutturale rispetto al Centro-Nord stimato intorno al 50 per cento. Gli investimenti in opere pubbliche sono assenti; le poche risorse disponibili destinate ad opere che, ai firmatari del presente atto d'indirizzo appaiono non prioritarie, come il ponte sullo Stretto di Messina. L'infrastrutturazione del Mezzogiorno deve essere pesante e pensante: ferrovie, acque, strade, aeroporti e porti, ma anche fibre ottiche, telecomunicazioni, ricerca e sviluppo;
l'intervento «aggiuntivo» per le infrastrutture a favore del Mezzogiorno ha spesso infatti, sostituito l'intervento ordinario. La spesa in conto capitale per il Mezzogiorno è rimasta praticamente costante negli ultimi anni: ad un aumento dei finanziamenti europei (compreso il cofinanziamento nazionale) ha corrisposto una diminuzione di circa il 20 per cento delle altre fonti;
sono stati disposti finanziamenti pubblici per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina dirottando risorse da altre opere più utili per lo sviluppo del
Mezzogiorno e concedendo al general contractor, ovvero alla società Impregilo, non solo la possibilità di firmare un contratto senza un progetto esecutivo (progetto per la realizzazione del quale occorrono circa 36 mesi), ma anche di riaprire la questione delle penali, a suo tempo congelata senza costi per la collettività dal Governo Prodi. Dietro la vicenda di un ponte che probabilmente non verrà mai costruito si attua, secondo i firmatari del presente atto d'indirizzo, un vero e proprio spreco di denaro pubblico: lo stesso progetto dello «stralcio binario» della variante Cannitello della linea ferroviaria del nodo di Villa San Giovanni manca della procedura di valutazione d'impatto ambientale come tutte le opere connesse al ponte. Quindi, non solo il ponte è lontanissimo ma anche l'avvio dei «precantieri» non è possibile a breve;
un fattore essenziale che concorre, inoltre, a formare il ritardo di sviluppo del Sud è il divario nella qualità della formazione scolastica. Si deve dunque promuovere la qualità delle risorse umane attraverso una offerta formativa all'altezza, migliorando in questo senso la capacità di spesa delle regioni e degli enti locali,
impegna il Governo:
a riconoscere che l'aumento della disoccupazione, in particolare nel Mezzogiorno, costituisce un'emergenza nazionale e, conseguentemente, a porre in essere interventi che favoriscano e incentivino il consolidamento di un tessuto imprenditoriale meridionale creando un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione, prevedendo anche l'introduzione di un credito d'imposta, in particolare nelle regioni obiettivo-convergenza, a favore dei datori di lavoro che trasformano in contratti a tempo indeterminato quelli che non lo sono;
a predisporre misure per aumentare l'efficienza dei servizi pubblici nel Mezzogiorno, con specifico riferimento all'Inps, ai centri per l'impiego ed agli organi ispettivi per il contrasto del lavoro sommerso e per il controllo della sicurezza nei luoghi di lavoro;
ad assumere, nel rispetto delle prerogative delle regioni, iniziative volte alla razionalizzazione e all'orientamento della spesa regionale per la formazione professionale, troppo spesso fonte di sprechi e clientelismo, e non sempre finalizzata all'effettiva qualificazione per l'inserimento nel mondo del lavoro;
ad assumere una posizione chiara, netta ed univoca riguardo alla necessità di salvaguardare i siti produttivi presenti sul territorio nazionale, ed in particolare nel Mezzogiorno;
ad assumere, in particolare per quanto concerne gli stabilimenti della Fiat di Pomigliano d'Arco e di Termini Imerese, iniziative a tutela dei livelli occupazionali al fine di salvaguardare migliaia di posti di lavoro e realtà economiche importanti la cui scomparsa, in un momento di grave crisi quale quello in corso, avrebbe pesanti ripercussioni sul piano sociale;
ad assumere concrete e rapide iniziative normative volte a vincolare i finanziamenti pubblici stanziati in favore delle imprese alla presentazione e realizzazione di piani per lo sviluppo del territorio e la salvaguardia dei siti produttivi e dei livelli di occupazione, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno;
ad operare, partendo dall'esigenza di tutelare e valorizzare le produzioni tipiche del Mezzogiorno, per l'affermazione di una filiera agricola tutta italiana che parta proprio dalla specifica vocazione del territorio e che voglia investire sulle positività, per garantire i livelli occupazionali e dare ai produttori la giusta remunerazione;
a sostenere le innovazioni in agricoltura e le produzioni tipiche, con particolare attenzione all'economia del Mezzogiorno, mettendo in evidenza i riferimenti culturali dei territori, per portare valore
aggiunto alle stesse produzioni, aiutando la commercializzazione internazionale dei nostri prodotti di qualità.
(1-00304)
«Leoluca Orlando, Barbato, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Aniello Formisano, Paladini, Messina, Scilipoti, Zazzera, Di Giuseppe, Di Stanislao».
La Camera,
premesso che:
il Governo ha dovuto affrontare le ripercussioni di una gravissima crisi internazionale che ha inevitabilmente prodotto delle conseguenze molto serie sul terreno dell'occupazione, che avrebbero potuto essere ben più gravi se l'Esecutivo non avesse accompagnato i processi con provvedimenti di volta in volta adeguati pur in un quadro di complessa attenzione alla stabilità dei conti pubblici, a fronteggiare l'emergenza: si è trattato di interventi volti non solo a rilanciare la struttura produttiva e dei servizi, ma anche a sostenere i livelli occupazionali, mediante l'estensione dello strumento degli ammortizzatori sociali a beneficio dei lavoratori sospesi dal lavoro a causa delle improvvise ed acute difficoltà di mercato, in cui sono incorse nei mesi scorsi numerose imprese;
anche grazie all'accordo con le regioni, è stato possibile stanziare un ingente ammontare di risorse (8 miliardi in un biennio) per ampliare la cassa integrazione in deroga ed estenderne l'intervento anche nei settori del lavoro dipendente, fino a quel momento sprovvisti;
nell'ambito di tali misure a sostegno delle imprese e dei lavoratori, vanno segnalati taluni interventi di carattere particolarmente innovativo in materia di riqualificazione dei lavoratori, volti a sostenere progetti di autoimprenditorialità, il cui finanziamento è in parte sostenuto dalla possibilità di capitalizzare le risorse derivanti dagli ammortizzatori sociali riconosciuti ai singoli cassintegrati o disoccupati interessati ad intraprendere un lavoro autonomo;
i dati diffusi dall'Istat in data 17 dicembre 2009 a seguito della rilevazione continua sulle forze di lavoro condotta dall'istituto nel terzo trimestre 2009, mostrano una prosecuzione della riduzione delle forze di lavoro anche in tale trimestre: al Nord si è registrata una riduzione marcata dell'occupazione (-274.000 unità rispetto ad un anno prima) odi una crescita della disoccupazione (+218.000 unità), al Sud il tasso di disoccupazione registra una crescita maggiore rispetto alla riduzione del tasso di occupazione (7,3 per cento in termini grezzi e 7,8 in termini destagionalizzati) con una forbice tra le due aree territoriali sempre ampia ma in riduzione (il tasso del Nord passa dal 3,4 per cento al 5,1 per cento, quello del Mezzogiorno dall'11,1 per cento all'11,7 per cento);
i dati sull'occupazione evidenziano quindi le criticità in cui si è trovato ad operare il sistema Paese nel suo complesso e rilevano la condizione economica e sociale svantaggiata che il Governo sta affrontando, anche tenendo conto delle proposte avanzate dai gruppi parlamentari;
i dati del rapporto elaborato dall'Isfol sull'occupazione relativamente al 2009 indicano che rispetto alla media europea l'occupazione in Italia è diminuita ma in misura inferiore ad altri Paesi - nel secondo trimestre 2009 si registra una contrazione dello 0,9 per cento, contro una media in Europa dell'1,9 per cento - e che la crescita del numero di disoccupati e la contrazione dell'orario medio di lavoro appare in Italia più contenuta rispetto all'incremento registrato in molti Paesi comunitari: ciò è imputabile alle scelte del Governo di fronteggiare la crisi attraverso un robusto potenziamento delle risorse degli ammortizzatori sociali e un consistente ampliamento della platea dei beneficiari, sino a coinvolgere anche lavoratori per i quali non era precedentemente prevista alcuna tutela; tuttavia, si evidenzia che la crisi acutizza i divari territoriali: il tasso di occupazione nel Mezzogiorno si è ridotto in modo più accentuato che nel Centro-Nord: è calato del 2 per cento,
passando dal 47 per cento del secondo trimestre 2008 al 45 per cento del secondo trimestre 2009; mentre non supera il punto percentuale nel resto del Paese;
tra la forza lavoro del Mezzogiorno un individuo su due è inattivo, contro il 33 per cento del Centro e valori intorno al 30 per cento nel Nord: nessun Paese europeo ha al suo interno divari territoriali così ampi come il nostro;
nel Mezzogiorno, inoltre, risulta più diffuso il lavoro atipico, mentre è meno utilizzato lo strumento dell'apprendistato, si fa meno formazione continua e si riscontrano maggiori difficoltà nell'ambito dell'istruzione tecnica e professionale, cioè in quel segmento educativo particolarmente volto a favorire processi più rapidi di ingresso nel mercato del lavoro;
la crisi economica e finanziaria su scala internazionale ha colpito quindi anche il Mezzogiorno che presenta problemi strutturali ancora irrisolti e una realtà produttiva dalla configurazione assai diversa dal Nord del Paese: in tale ambito, pertanto, la cassa integrazione non può essere l'unica modalità attraverso la quale leggere l'impatto della crisi attraversata dal sistema produttivo nazionale, dal momento che il Mezzogiorno è caratterizzato da una forte presenza di lavoro precario, sommerso e da una disoccupazione rilevante, soprattutto per quanto concerne l'occupazione femminile;
occorre considerare, dunque, le peculiarità delle diverse aree del Paese per fornire risposte flessibili ed adattabili a modelli e caratteristiche assolutamente particolari da territorio a territorio;
l'economia del Mezzogiorno ad esempio, attraverso la concatenazione fra problemi irrisolti e minacce derivanti dalla globalizzazione, è ancora fragile con gravi problemi strutturali, non attraendo investimenti ed esportando in maniera largamente insufficiente;
nell'attuale situazione di crisi economica è pertanto assolutamente necessario continuare ed accrescere le azioni di contrasto al lavoro nero, favorire l'inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati attraverso specifici percorsi di formazione, facilitare le prime esperienze dei giovani e le opportunità di reimpiego per gli «over» espulsi dal mercato, proseguire nel processo già positivamente intrapreso con una serie di strumenti diversi ma convergenti verso l'unico obiettivo di favorire l'accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese;
si impone quindi la realizzazione di un potenziamento delle politiche attive del lavoro, chiamate ad agevolare i processi di transizione sul mercato del lavoro, garantendo l'equità, ma anche l'efficienza e la selettività degli interventi, mantenendo e sviluppando l'occupabilità delle persone, favorendo il ritorno al lavoro da parte dei percettori dei sussidi;
appare urgente dare attuazione a un vero e proprio piano per favorire l'occupazione, che preveda, anche attraverso un coordinamento dei soggetti pubblici e privati competenti in materia, la promozione di tirocini formativi e il miglioramento del funzionamento dei servizi per l'impiego;
la valorizzazione di strumenti di integrazione tra sistema educativo e mercato del lavoro, come il contratto di apprendistato e i voucher per le attività di assistenza e formazione - unitamente all'implementazione del livello di efficienza dei servizi pubblici per l'impiego del Mezzogiorno, potrebbe rendere più trasparente il mercato del lavoro, attraverso l'incentivazione dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro, consentendo di svolgere un effettivo contrasto al lavoro sommerso;
il disegno di riforma in senso federale dello Stato avviato dal Parlamento nella XVI legislatura appare in tal senso significativo in vista di una valorizzazione delle autonomie locali;
Stato, regioni e parti sociali sono chiamati a condividere le fondamentali linee guida per orientare la spesa dedicata alla formazione degli inoccupati, dei disoccupati
e dei cassaintegrati nel prossimo anno, in relazione ai caratteri discontinui e selettivi della ripresa che indurranno l'allungamento del periodo di inattività o transizione verso altra occupazione di molti lavoratori. La formazione deve quindi risultare quanto più tarata sui fabbisogni professionali dei settori e delle imprese e sulle concrete esigenze delle persone interessate in funzione della loro occupabilità,
impegna il Governo:
a proseguire nelle iniziative intraprese, coniugando, in un quadro di strategia organica, misure a favore delle imprese, provvedimenti di sostegno dell'occupazione e di salvaguardia del reddito, garantendo la necessaria copertura finanziaria, e in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo, in un'ottica di rilancio del sistema produttivo e occupazionale del Sud del Paese;
a dare attuazione, anche al fine di attenuare il divario tra le diverse zone del Paese, al Piano di azione per l'occupabilità dei giovani attraverso l'integrazione tra apprendimento e lavoro (Italia 2020), facilitando la transizione dalla scuola al lavoro, rilanciando l'istruzione tecnico-professionale ed il contratto di apprendistato, ripensando il ruolo della formazione universitaria e aprendo i dottorati di ricerca al sistema produttivo e al mercato del lavoro, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo;
a salvaguardare la corretta applicazione delle norme della cosiddetta legge Biagi, che prevedono, in via presuntiva, la sussistenza di un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato nei casi in cui sia riconosciuta l'irregolarità del rapporto di collaborazione, favorendo lo sviluppo e l'ampliamento dei centri preposti alla certificazione, in prospettiva di una sostanziale azione di contrasto nei confronti del lavoro sommerso, particolarmente diffuso nelle zone del Sud del Paese, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo, e proseguendo nell'opera di adeguamento degli organici delle amministrazioni pubbliche alle effettive esigenze, senza appesantimenti non funzionali di strutture e orpelli burocratici, frutto di prassi deleterie dell'immediato passato fondate sulla diffusione del precariato nelle pubbliche amministrazioni, anche locali, e sulla conseguente stabilizzazione di personale non sempre corrispondente alle effettive necessità istituzionali delle amministrazioni e in violazione di principi costituzionali;
a procedere in un'ottica di strategia federalista, nella valorizzazione del ruolo delle autonomie regionali per l'attuazione delle politiche attive di lavoro e di sostegno al reddito, per meglio rispondere, anche utilizzando di comune intesa le risorse regionali, alle differenti esigenze territoriali dei lavoratori e dei datori di lavoro;
a dare piena attuazione alle misure volte a favorire iniziative autonome imprenditoriali dei giovani meridionali attraverso il meccanismo del finanziamento della microimpresa, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo;
a proseguire l'azione di contrasto al lavoro nero, la cui presenza in alcune zone del Mezzogiorno, è particolarmente rilevante, anche attraverso l'adozione di misure che puntino più alla prevenzione e alla sensibilizzazione che alla repressione, dando priorità alla semplificazione degli adempimenti fiscali e burocratici a carico delle imprese;
a promuovere, anche alla luce delle situazioni emerse nelle regioni meridionali, una migliore corrispondenza degli interventi di formazione professionale alle esigenze del sistema produttivo valorizzando
il ruolo delle imprese e sviluppando sinergie con il sistema dell'istruzione, adottando una nuova strategia che sottolinei la valenza formativa del lavoro, la centralità dell'impresa come luogo di formazione e l'importanza della certificazione delle conoscenze e delle competenze possedute, comunque acquisite dal lavoratore;
ad assicurare in tutte le regioni del Paese e tra queste a quelle del Mezzogiorno un'informazione esauriente e tempestiva sull'offerta e sulla domanda di lavoro insieme al monitoraggio degli interventi in vista dell'allestimento delle politiche del lavoro e delle politiche sociali, anche avviando quanto prima l'applicazione del «Programma di azioni per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro», (Italia 2020), un piano strategico di azione per la conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi dedicati alla cura della famiglia e per la promozione delle pari opportunità nell'accesso al lavoro.
(1-00305)
«Moffa, Cazzola, Baldelli, Antonino Foti, Briguglio, Ceccacci Rubino, Di Biagio, Vincenzo Antonio Fontana, Formichella, Giacomoni, Giammanco, Mannucci, Minardo, Mottola, Pelino, Mariarosaria Rossi, Saltamartini, Scandroglio, Taglialatela, Cosenza».
La Camera,
premesso che:
negli ultimi 19 anni si è avuto un forte incremento delle emissioni di CO2 provenienti da automezzi, ivi compresi i mezzi per il trasporto pubblico;
nonostante l'impegno delle amministrazioni locali in progetti di limitazione del traffico nelle aree urbane sensibili incentivando così l'utilizzo dei mezzi pubblici, il trasporto pubblico locale non riesce a rispondere in modo efficiente ai requisiti di mobilità sostenibile;
il traffico registrato nelle aree metropolitane ha subito un forte incremento negli ultimi anni con evidenti effetti negativi sulle emissioni nocive per la popolazione evidenziando così l'inefficacia delle azioni strategiche intraprese sia a livello nazionale che locale dalle amministrazioni;
secondo l'Eurostat, in Italia solo il 9,9 per cento dei prodotti viene trasportato per mezzo dei treni, rispetto all'11,8 per cento dell'Inghilterra, il 15,7 per cento della Francia e il 21,4 per cento della Germania. La media europea si attesta intorno al 17 per cento;
nel 2007 il traffico combinato si trovava agli stessi livelli del 2002; anche per gli ultimi due anni il trend è in calo. Mentre i binari movimentano una quantità di merce che a fatica raggiunge il 10 per cento, i trasporti via camion raggiungono quote del 60 per cento, secondo il Conto nazionale dei trasporti 2009. L'Eurostat, addirittura, rileva che i prodotti movimentati attraverso tir raggiungono il 90 per cento;
nel 2008 le aziende che producono automezzi hanno ridotto le emissioni di CO2 dei modelli complessivamente venduti sul mercato europeo del 3,3 per cento, portando la media di settore a 153,5 gCO2/km: un miglioramento notevole rispetto agli anni precedenti, secondo il Rapporto "Reducing CO2 Emissions from New Cars: A Study of Major Car Manufacturers'' pubblicato da Transport and Environment;
complessivamente il trasporto su gomma contribuisce al 19 per cento del totale della CO2 emessa in Europa e rispetto al 1990, anno di riferimento per la riduzione di emissioni prevista dal protocollo di Kyoto, le emissioni provenienti da questo settore sono aumentate del 28 per cento;
i dati confermano come la riduzione delle emissioni di CO2 sia un obiettivo comune delle case automobilistiche europee, ma non bisogna dimenticare l'influenza che in questo settore hanno avuto l'aumento del prezzo del petrolio tra 2007 e 2008, e la crisi finanziaria, che hanno spinto verso l'economicità e l'efficienza di qualsiasi scelta produttiva e degli investimenti in ricerca e sviluppo;
è più che mai doveroso prevedere una politica coordinata in materia di trasporti e ambiente, che si basi su una più efficace ed efficiente qualità dell'offerta e una migliore cura nella comunicazione nei confronti del consumatore;
l'emergenza ambientale impone un forte impegno sulle politiche da adottare in tema di trasporto ferroviario delle merci, prendendo atto del fatto che la liberalizzazione non ha sviluppato un vero e proprio mercato dei servizi ferroviari e non ha neanche aumentato il volume delle merci trasportate;
negli ultimi anni le politiche a favore della modalità ferroviaria sono state inefficaci ed al limite dell'inesistente se paragonate alle politiche adottate da altri Paesi come la Francia, che sta investendo sul trasporto delle merci per ferrovia, a tal punto che alcuni treni Tgv sono stati appositamente adibiti per garantire alle derrate viaggi rapidi ed efficienti;
in Italia il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha delegato tutta la gestione dei trasporti alle Ferrovie, le quali tuttavia possiedono una percezione erronea dei treni merci, considerati un tipico esempio di inefficienza e di perdita economica. All'inizio del 2008 il Gruppo Ferrovie dello Stato ha creato con Poste Italiane una società, Italia Logistica, dedicata al trasporto merci su rotaia con consegna 'fino all'ultimo miglio', cioè direttamente al dettaglio e in modo capillare. La società, attiva su tutta la rete nazionale, opera con soltanto 12 treni la settimana per un totale di 7.200 tonnellate di prodotti;
nel nostro Paese la maggior parte delle aziende ferroviarie private, molte delle quali acquistate da grandi gruppi europei, concentrano la loro attività nelle regioni settentrionali, sulle direttrici nord-sud in quanto il quadro normativo comunitario ha reso possibile lo sviluppo di un mercato interno. Le differenze territoriali hanno favorito l'aumento del divario nell'offerta dei servizi di logistica tra le diverse aree territoriali in quanto si tratta ancora di un mercato non competitivo con la gomma, che attrae poco gli investimenti privati ed è ingessato da un contesto di servizi e infrastrutture insufficienti;
l'inefficienza dei trasporti pubblici rilevata soprattutto nelle grandi città, nonché il loro utilizzo di carburanti fossili, crea enormi problemi di congestione del traffico che influisce sulla qualità di vita e la salute dei cittadini, da una parte, ed evidenzia un enorme aumento dell'inquinamento da gas di scarico, dall'altro, in quanto incentiva i cittadini all'utilizzo dei mezzi di trasporto privati, con conseguente aumento delle emissioni di CO2 nell'atmosfera;
l'economia evidenzia un momento di profonda crisi in tutta Europa, con preoccupante calo della domanda, aumento della disoccupazione, tutti elementi che influenzano il crollo dei trasporti di tutte le modalità. Basti considerare che un recente studio dell'università di Karlsruhe evidenzia che più di 100 km di linea ferroviaria in Germania sono divenuti un parcheggio per i carri ferroviari non utilizzati;
non si può prescindere dalla inaccettabilità di prevedere il costo della congestione solo per una categoria di operatori che rappresenta il 15 per cento del
circolante nelle strade europee, in quanto ogni costo aggiuntivo all'autotrasporto comporterà un inevitabile aumento del costo dei prodotti e non porterà effetti positivi sulla modifica del peso e dei volumi trasportati in assenza di alternative efficienti e valide all'autotrasporto,
impegna il Governo:
ad adottare, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle competenze attribuite alle regioni ed agli enti locali dalla legislazione vigente, provvedimenti - anche di natura economica - finalizzati a:
a) sviluppare un sistema di sostegno finanziario alla ricerca ed allo sviluppo di nuove forme di alimentazione dei mezzi pubblici, siano esse elettriche o da biodiesel derivante dallo scarto agricolo;
b) avviare un piano di incentivi - finanziari o fiscali - per lo sviluppo di tutta la catena del valore per la produzione di mezzi per il trasporto pubblico e delle merci alimentati con sistemi a basso impatto ambientale al fine di creare una massa critica industriale nel nostro Paese che possa essere destinataria degli sforzi e degli impegni del Governo;
c) consentire, soprattutto nelle grandi aree metropolitane, iniziative volte a favorire lo sviluppo dei trasporti pubblici eco-sostenibili, in particolar modo quelli alimentati a biocarburanti, anche inserendoli in un contesto di piani di viabilità volti a disincentivare il traffico privato a vantaggio di quello pubblico e la ciclabilità;
d) introdurre un sistema di finanziamenti che permettano l'adeguamento e la progressiva sostituzione dei mezzi di trasporto con veicoli a basso impatto ambientale e che utilizzino combustibili alternativi ed a bassa produzione di CO2;
e) prevedere un piano nazionale di investimento in progetti di ricerca e sviluppo di soluzioni applicative che permettano la riduzione delle emissioni inquinanti nel settore dei trasporti;
f) scoraggiare l'utilizzo dei veicoli più inquinanti anche con incentivi di natura fiscale.
(1-00306)
«Libè, Vietti, Mondello, Dionisi, Mereu, Compagnon, Volontè, Galletti, Ciccanti, Naro».
La Camera,
premesso che:
la crisi economica ha inciso e sta incidendo in misura significativa sulla produzione, sui consumi, sull'attività delle piccole e medio imprese soprattutto allocate nel Mezzogiorno d'Italia, mettendo a grave rischio per il 2010 l'occupazione;
la crisi economica evidenzia ogni giorno di più l'esigenza di una rinnovata e prioritaria attenzione in particolare per il sud ai problemi dell'occupazione, del lavoro, dei redditi, dell'impresa. Ultimamente una serie di rapporti hanno concentrato l'attenzione sul Mezzogiorno: il rapporto Svimez, quello del Centro studi di Confindustria, quello del Governatore della Banca d'Italia in occasione della giornata di studio dedicata dalla Banca d'Italia alla questione meridionale e alle organizzazioni sindacali;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'attuale politica governativa, per molti aspetti sembra non abbia ancora una strategia indirizzata al miglioramento e all'innovazione del contesto (rispetto alle urgenze il piano del sud annunciato dal Governo è in grande ritardo). Ciò crea un vuoto d'iniziativa grave di fronte a una crisi che colpisce particolarmente l'economia meridionale con effetti drammatici, anche se talvolta meno visibili a causa della frammentazione del tessuto imprenditoriale e del peso dell'economia a-legale, sospesa tra sommerso e illegalità; sarebbe quindi urgente un rilancio
degli investimenti produttivi - specie nei settori ad alto contenuto innovativo - e delle loro modalità attuative;
recenti studi hanno stimato che le misure di incentivazione determinerebbero investimenti addizionali non superiori al 6 per cento del valore degli incentivi;
gli interventi prioritari in termini di infrastrutture moderne, qualità dei servizi, efficientizzazione della pubblica amministrazione, sicurezza ambientale, lotta alla criminalità organizzata, valorizzazione del capitale umano, processi di innovazione per avere efficacia devono necessariamente coesistere e accompagnarsi con strumenti di sostegno che migliorino le capacità innovative e competitive delle piccole e medie imprese meridionali: il fisco (crediti d'imposta, forme di fiscalità differenziata), la ricerca, l'internazionalizzazione e il risparmio energetico;
occorre considerare che allo stato attuale non esistono strumenti che possano promuovere e sostenere nuovi investimenti produttivi nel Mezzogiorno. L'esaurimento della legge n. 488 del 1992, l'assegnazione della disponibilità finanziaria del credito d'imposta per gli investimenti, il superamento dei contratti di programma, hanno fatto venire meno i riferimenti di accompagnamento delle iniziative delle imprese che intendono investire nel territorio meridionale; è quindi urgente intervenire per dare certezze agli operatori;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo c'è l'esigenza di adottare provvedimenti per rilanciare l'economia e uscire dall'attendismo che sta rendendo sempre più dura la vita a chi nel sud si batte per cambiare le cose;
l'intervento si mostra sempre più necessario e urgente se si tiene presente che per circa il 75 per cento delle piccole e medie imprese del Mezzogiorno la crisi ha inciso o sta incidendo in misura significativa sulla propria attività. Da una ricerca effettuata a fine novembre 2009 da Confcommercio in collaborazione con Format-Ricerche di mercato, risulta che soltanto il 13,6 per cento di piccole e medie imprese del Meridione ha effettuato investimenti nel 2009, mentre il 41,6 per cento delle imprese ha intenzione di investire nel 2010. Il 37,9 per cento delle imprese ha difficoltà ad effettuare investimenti per i prossimi due anni a causa della mancanza di risorse. Quasi un terzo delle imprese segnala una diminuzione del livello di occupazione nel secondo semestre del 2009 e il 12,9 per cento delle piccole e medie imprese prevede un taglio di personale nel primo semestre del 2010;
il problema occupazionale in generale e nello specifico nel Mezzogiorno si fa più evidente proprio nei primi giorni del 2010 perché le previsioni positive di fine anno hanno ceduto il passo ai dati non incoraggianti delle recenti statistiche sul territorio;
non è un caso che il diritto al lavoro, ampiamente tutelato dalla nostra Costituzione, (l'articolo 1, comma 1, afferma che «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro» e, nella parte dedicata ai principi fondamentali, l'articolo 4 sancisce che «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto», mentre gli articoli 35-40 disciplinano le condizioni di lavoro al fine di garantire l'integrità fisica dei lavoratori ed il rispetto della loro dignità) è uno dei diritti maggiormente richiamati nelle Costituzioni di quasi tutti gli Stati al mondo e nelle varie convenzioni e dichiarazioni universali che garantiscono i diritti umani, dal momento che rappresenta per l'individuo una necessità vitale, da cui egli trae la possibilità del proprio sostentamento e di quello della propria famiglia;
le ultime rilevazioni dell'Istat mostrano che in Italia, il numero di occupati a novembre 2009 è pari a 22 milioni 876 mila unità (dati destagionalizzati), in diminuzione rispetto a ottobre dello 0,2 per cento (pari a -44 mila unità) e inferiore
dell'1,7 per cento, 389 mila unità in meno, rispetto a novembre 2008. È quanto rileva l'Istat, che segnala come il tasso di disoccupazione, sempre a novembre 2009, raggiunge l'8,3 per cento (+0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e +1,3 punti percentuali rispetto a novembre 2008): è il dato più alto dal 2004;
nel Meridione aumentano mediamente l'inattività femminile e gli abbandoni scolastici e permane l'intrappolamento dei giovani sotto 25 anni in percorsi formativi che portano inevitabilmente all'inoccupazione o al trasferimento in aree del centro-nord e all'estero che offrono occasioni di lavoro. Nel grande dramma dell'assenza di lavoro c'è una sofferenza specifica che riguarda i giovani e che nel nostro Paese rappresenta una duplice variabile di differenziazione: esterna nei confronti dell'Europa, interna nel confronto nord-sud, e il divario tende ad allargarsi sempre più. A fronte del calo dell'occupazione al sud anche il tasso di disoccupazione diminuisce, indice della tendenza di un sempre maggior numero di persone, soprattutto senza esperienza, che smette di cercare un lavoro. Non è da sottovalutare che detta misura sia distorta anche dai crescenti dati sul lavoro nero;
se la crisi ha investito principalmente l'apparato produttivo, al sud le conseguenze si sono riverberate soprattutto sul tessuto sociale aggravando problemi già esistenti, aumentando la disoccupazione, il lavoro nero e sommerso, il precariato, l'emigrazione giovanile e il disagio sociale;
nel corso dell'ultimo anno si è passati dall'emergenza dello stipendio che finisce alla terza settimana del mese allo spettro del reddito zero, da affrontare ormai con scarsi paracadute da aprire. La propensione al risparmio diminuisce e con essa la capacità delle famiglie a mantenere gli attuali standard di vita con quanto messo da parte;
i dati elencati esprimono come le debolezze dell'economia italiana si manifestano soprattutto nel sud dove, nel suo complesso, la partecipazione al mercato del lavoro è in grave ritardo rispetto alle altre economie avanzate. Tuttavia nel Mezzogiorno - in cui si concentra un terzo della popolazione e un quarto del prodotto interno lordo dell'Italia, come evidenziato anche dal rapporto del Governatore di Bankitalia Mario Draghi - sono racchiuse le potenzialità di crescita del Paese e di azione della politica economica per lo sviluppo;
purtroppo a distanza di dieci anni i problemi del Mezzogiorno rimangono in buona parte irrisolti e causati sia dalle politiche pubbliche specificatamente dedicate allo sviluppo del sud sia da quelle nazionali con effetti differenziati sul territorio;
resta all'ordine del giorno una domanda: per quale motivo un intervento pubblico consistente, che non ha uguali in altri Paesi, non è riuscito a innescare uno sviluppo autonomo. Negli scorsi decenni i trasferimenti netti di risorse al Sud hanno oscillato tra il 20 per cento e il 15 per cento del prodotto interno lordol annuo del Mezzogiorno. Eppure, dai primi anni '70 il divario in termini di reddito pro capite è rimasto pressoché invariato (nel Mezzogiorno il reddito pro capite oscilla intorno al 60 per cento del centro-nord). Lo Stato non spende del sud più che nel centro-nord in rapporto agli abitanti (anzi spende un po' meno), ma la spesa pubblica incide molto di più sul prodotto interno lordo (oltre 20 punti percentuali). Tutto questo implica che l'economia e la società meridionali sono molto più dipendenti - direttamente e indirettamente - dal pubblico e che lo spazio per le attività di mercato aperte alla concorrenza resta molto ridotto (gli addetti a tali attività in rapporto alla popolazione con più di 15 anni sono circa il 7 per cento contro il 23 per cento del centro-nord);
bisogna riconoscere che l'intervento pubblico da soluzione si è trasformato in problema e ha generato effetti perversi. Naturalmente, un'immagine tutta negativa del Mezzogiorno sarebbe sbagliata: ci sono
segni anche innovativi nell'economia e nella società, alcune imprese e alcune aree sono cresciute, ma nel complesso il salto non c'è stato, un solido sviluppo autonomo non si è ancora affermato. L'espansione del settore pubblico ha finito per ostacolare la crescita delle attività di mercato più aperte alla concorrenza (in particolare l'industria manifatturiera e i servizi alle imprese) per tre motivi principali. Anzitutto, perché ha attratto verso il pubblico e para-pubblico (sanità, formazione) manodopera e energie imprenditoriali. In secondo luogo, perché ha privilegiato i trasferimenti rispetto agli investimenti pubblici e quindi ha comportato una carenza di infrastrutture e servizi che ostacola la crescita delle attività di mercato. Infine, perché la permeabilità della politica alle infiltrazioni criminali ha costituito un potente volano per la crescita della criminalità organizzata, che in alcune aree condiziona a sua volta lo sviluppo;
una recente analisi Svimez condotta monitorando gli indicatori europei regione per regione, denuncia un sud sempre più periferico, che si allontana dall'Europa soprattutto per il basso tasso di attività, la scarsa spesa per l'innovazione e la diffusa povertà, fornendo una fotografia del Mezzogiorno ancora lontano dagli indicatori previsti dagli obiettivi di Lisbona 2010;
nello specifico, i dati Svimez evidenziano come rispetto alla situazione economica generale, considerato pari a 100 il prodotto interno lordo pro capite medio dell'Unione europea, il sud è passato dal 78 per cento del valore medio europeo del 2001 al 69 per cento del 2006, le aree deboli in Europa sono cresciute del 3 per cento annuo mentre il Mezzogiorno dello 0,3 per cento. Una situazione peggiore caratterizza il sistema occupazionale: la strategia di Lisbona prevedeva un tasso di occupazione nella classe di età 15-64 anni del 70 per cento entro il 2010. Il sud, fermo nel 2001 al 45,5 per cento nel 2009 ha subito un ulteriore ribasso, arrivando al 44,7 per cento. Riguardo al tasso di occupazione degli adulti in età compresa tra 55 e 64 anni c'è da segnalare un recupero (da circa il 30 per cento del 2001 al 34 per cento del 2009), comunque distante dal 50 per cento previsto per il 2010;
secondo dette stime, per raggiungere, come da obiettivo Lisbona 2010, il tasso di occupazione del 70 per cento servirebbero 3,5 milioni di posti di lavoro, ma dal 2001, c'è stata una contrazione di 74mila;
il problema del sommerso nelle regioni meridionali continua ad essere un problema primario che contribuisce, tra l'altro a penalizzare gli esercenti di piccole-medie imprese che applicano correttamente la normativa e si trovano sul mercato ad essere meno competitivi di altri a causa degli effetti distorsivi della concorrenza;
i dati suesposti manifestano come, senza una svolta politica radicale basata su una nuova strategia in grado di misurarsi efficacemente con i nodi politico-istituzionali e con quelli economici che gravano sullo sviluppo, il sud vedrà una feroce accentuazione delle disuguaglianze, l'estensione della precarietà e della disoccupazione, soprattutto per le donne e i giovani, che si ripercuoterà su un sistema produttivo ancora più debole,
impegna il Governo:
a promuovere una nuova strategia per il sud fondata su un piano di intervento integrato, organico e di struttura, con logica di medio periodo, in grado di spostare risorse in tempi rapidi da impieghi improduttivi e da aree di rendita protette dalla politica, verso attività capaci di stare sul mercato, con ciò riducendo le esternalità negative (infrastrutture carenti, servizi economici e socio-sanitari malfunzionanti, pubblica amministrazione inefficiente, scuola e formazione inadeguate, criminalità che spadroneggia) e concentrando su questi beni collettivi la spesa;
a sostenere un consistente e coordinato intervento Stato-regioni per la realizzazione
di grandi infrastrutture, specie nel Mezzogiorno, con la funzione di rilancio dell'occupazione, facendo si che uno specifico e fondamentale ruolo sia assunto dalle Ferrovie dello Stato nell'ammodernamento/potenziamento della rete ferroviaria;
a operare sulla semplificazione delle procedure burocratiche, in particolar modo per le imprese del Mezzogiorno, per la realizzazione di moderne infrastrutture, la valorizzazione delle risorse locali - da quella umana ai valori della cultura, dell'arte, del paesaggio e dell'ambiente, dell'agroalimentare - e puntare a una migliore qualità dei prodotti e dei servizi rispondendo a una domanda di mercato che sempre più punta sulla qualità;
a valorizzare processi di infrastrutturazione sociale che stimolino - in particolare nel Mezzogiorno - il protagonismo dei soggetti locali, forme di cooperazione tra soggetti privati e pubblici, la mutualità, il microcredito, prestiti d'onore ai giovani, la realizzazione di imprese no profit, di cooperative di produzione e lavoro, l'espansione delle forme di economia civile, anche sostenendo la realizzazione di fondazioni di comunità o istituendo fondi di distretto;
a prevedere finanziamenti rivolti al sostegno dei budget famigliari e delle piccole imprese, che sono il vero motore delle nostre economie, in particolare nelle aree del Mezzogiorno;
a produrre un riordino degli incentivi alle imprese (cosiddetta legge sviluppo n. 99 del 2009 e piano per il sud) puntando sull'innovazione centrata su produzioni con maggior contenuto di conoscenza, riordino da attuare in un confronto con le rappresentanze sociali ed istituzionali e facendo in modo che esso sia assunto come momento per un'attenta ricognizione delle risorse effettivamente disponibili e per un loro rifinanziamento;
a garantire una reale integrazione nel mercato del lavoro, sostenendo le persone svantaggiate con risorse sufficienti e servizi sociali e occupazionali che siano personalizzati e indirizzati soprattutto al Meridione d'Italia, in modo da assicurare una più completa partecipazione sociale e la possibilità di svolgere un'attività lavorativa per le frange di popolazione che maggiormente soffrono la crisi economica;
a incrementare le risorse umane e finanziare a sostegno della lotta alla criminalità organizzata, che, specie ne Mezzogiorno, va considerata fattore di condizionamento e depressivo dello sviluppo, e ciò non solo attraverso le forze dell'ordine ma intensificando l'attività di intelligence e di contrasto;
a promuovere interventi urgenti di contrasto al lavoro nero attraverso controlli stratificati sul territorio e, nello specifico, nelle aree meridionali;
a predisporre un piano che sostenga la permanenza nel mercato del lavoro dei giovani e promuova azioni di contrasto al lavoro precario, irregolare, marginale, particolarmente presente nel Mezzogiorno, garantendo che il precariato non si trasformi in un assetto di lavoro permanente soprattutto per i lavoratori giovani o per chi ha famiglia a carico;
a varare piani di investimenti per le piccole imprese e le cooperative, con particolare attenzione alle realtà produttive meridionali, che, promuovendo lo sviluppo economico specifico delle aree ove sono ubicate, mettono a profitto le produzioni locali;
a prevedere che nelle aree del sud i contributi pagati dalle aziende per i lavoratori siano adeguati attraverso un coefficiente riduttivo proporzionale al numero di addetti tale così da incentivare le assunzioni nelle aree più bisognose;
ad attuare piani di sviluppo per le regioni del sud che tengano conto di pari opportunità nella produzione del reddito attraverso una libera iniziativa controllata da premi sui risultati di sviluppo in un'ottica di sana concorrenza;
a promuovere, con particolare riguardo alle aree del Mezzogiorno, processi di cooperazione e d'integrazione che tengano conto soprattutto dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, dei giovani, dei precari, di quanti sono costretti a rinunciare alla formazione e al lavoro, vale a dire di tutti coloro sulle cui spalle grava il peso della crisi;
a definire un piano nazionale di contrasto alla povertà che presti una particolare attenzione alle regioni del Mezzogiorno.
(1-00307)
«Pezzotta, Delfino, Poli, Occhiuto, Tassone, Compagnon, Ruvolo, Cera, Nunzio Francesco Testa, Pisacane, Ruggeri, Zinzi, Romano, Mannino, Naro, Drago».
La Camera,
premesso che:
la crisi economica e finanziaria internazionale, che ha interessato inevitabilmente anche il tessuto produttivo italiano, ha determinato gravi conseguenze sul piano occupazionale a causa della contrazione delle attività in tutti i comparti e le aree geografiche del Paese, cui sono seguiti peraltro cospicui tagli di personale non solo da parte di piccole imprese, ma anche nell'ambito di realtà produttive di medie e grandi dimensioni;
tale situazione, pur riguardando l'intero territorio nazionale, desta ancora più preoccupazione nel Mezzogiorno ed, in particolare, in Campania, dove la contemporanea crisi di numerose aziende locali - quali, a solo titolo esemplificativo, la Melpem srl del gruppo IPM di Arzano, la Peroni di Miano a Napoli, la ICMI di San Giovanni a Teduccio, la Cablauto di Mariglianella, la Bitron di Morra de Santis la Scai Sud di Oliveto Citra, i pastifici Russo di Cicciano e di Pomigliano d'Arco - produce effetti devastanti sul piano sociale e occupazionale;
uno dei segnali più allarmanti dell'emergenza in atto giunge dallo stabilimento della Fiat di Pomigliano d'Arco, da anni polo cruciale per l'industria campana e nazionale, dove molti dipendenti sono in cassa integrazione guadagni ed altri hanno un contratto di lavoro in scadenza;
in particolare, per 37 lavoratori del citato stabilimento il contratto è scaduto il 31 dicembre 2009, mentre per altri 55 il contratto scadrà il 31 marzo del 2010. Da ben 4 anni questi lavoratori si vedono rinnovare contratti a termine. Nel protocollo sottoscritto con le organizzazioni sindacali il 18 giugno 2009, la Fiat si impegnava a garantire una «piattaforma» in grado di saturare tutti gli organici e di evitare ulteriori esuberi. Secondo quanto è stato comunicato agli interessati, l'azienda non è intenzionata a rinnovare i contratti in scadenza: tale decisione, che provoca pesanti conseguenze sui lavoratori interessati, richiede ogni attenzione anche per il rischio che essa possa inserirsi in un disegno di ridimensionamento strutturale degli organici e di complessivo depotenziamento dello stabilimento di Pomigliano d'Arco, in linea con quanto sta accadendo, anche lì con gravi conseguenze sociali, a Termini Imerese,
impegna il Governo:
a rafforzare il monitoraggio delle situazioni di crisi aziendale, con specifico riferimento alle imprese che hanno effettuato o si apprestano ad effettuare riduzioni di personale, con particolare attenzione a quelle che operano nelle aree del Mezzogiorno, al fine di assicurare il mantenimento dei livelli occupazionali e di scongiurare ulteriori ripercussioni sul piano sociale;
ad assumere, per quanto di competenza, ogni utile iniziativa - anche attraverso un utilizzo oculato degli strumenti di incentivazione per il settore, ivi compresi quelli di natura fiscale - al fine di favorire una positiva soluzione della vertenza concernente il personale dello stabilimento della Fiat di Pomigliano d'Arco, nel rispetto
dei diritti acquisiti dai lavoratori e nella prospettiva di un rilancio delle attività produttive.
(1-00308)
«Barbato, Mazzocchi, Mazzarella, Misiti, Cesario, Polidori, Nicolais, Aniello Formisano, Ciriello, Pugliese, Razzi, Leoluca Orlando, Scilipoti, Palagiano».
La Camera,
premesso che:
il sistema penitenziario italiano, programmaticamente delineato nell'articolo 27 della Costituzione, oltre a rappresentare un presidio di sicurezza per la società, deve ancor prima garantire percorsi di risocializzazione in contesti di umanità, nel rispetto dei valori di prevalenza e di inviolabilità riferibili alla persona umana;
l'attuale condizione di affollamento delle carceri italiane - e di conseguente inevitabile negazione dei diritti individuali dei ristretti - ha assunto dimensioni senza eguali nella storia della nostra Repubblica. Allo stato sono presenti negli istituti penitenziari oltre 65.000 ristretti, e tale cifra continua a crescere ininterrottamente e geometricamente con medie di ingressi mensili che non appaiono suscettibili di attenuazione. Oltre un terzo dei reclusi - pari al 37 per cento - sono stranieri, in gran parte di provenienza extracomunitaria; oltre un quarto - il 27 per cento - sono tossicodipendenti; una consistente parte soffre di patologie di tipo psichiatrico. Se si eccettuano gli appartenenti alla criminalità organizzata, la restante parte dei reclusi è per lo più espressione del disagio e dell'emarginazione. Negli istituti penitenziari sono inoltre presenti oltre 71 bambini di età inferiore ai tre anni al seguito delle loro mamme sottoposte a provvedimenti restrittivi della libertà;
il carcere ha dunque perduto la sua caratterizzazione di luogo per l'espiazione delle pene, divenendo sede di transito per arrestati, la gran parte dei quali non tornerà più dalla struttura penitenziaria per espiare la pena, e luogo di raccolta della emarginazione sociale. Più del 50 per cento dei reclusi sono imputati, solo il 46 per cento sono in espiazione di pena definitiva, il 3 per cento sottoposti ad una misura di sicurezza. Uno studio recente del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha messo in luce come il 35 per cento degli arrestati viene scarcerato dopo appena 48 ore; oltre il 50 per cento entro i primi 10 giorni di detenzione;
il Ministro della giustizia, intervenendo pubblicamente, ha affermato che la situazione delle carceri italiane è «fuori dalla Costituzione» con riguardo al principio di umanità nell'esecuzione della pena ed ha assunto un impegno per la costruzione di nuove carceri e per migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Il Ministro ha poi ribadito la volontà di far uscire dagli istituti di pena i bambini rinchiusi con le loro mamme, e di utilizzare i beni confiscati alla mafia destinandoli a case famiglia per accogliere le madri recluse con minori al seguito;
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008 sono state trasferite alle regioni le competenze sulla erogazione dei servizi sanitari alla popolazione detenuta. I dati sulla salute in carcere - ivi compreso il numero rilevantissimo dei suicidi registrati nel corso del 2009: circa 60 secondo i dati ufficiali, oltre 70 sulla base di quanto riferito da alcune associazioni - non consentono di affermare che l'applicazione della riforma abbia comportato concreti benefici. Si è anzi determinata una regressione nell'assistenza sanitaria presso le strutture di pena. Numerosi istituti penitenziari denunciano una contrazione dei servizi ed alcune difficoltà nella erogazione dei servizi presso i luoghi di reclusione;
nel 2006 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, direzione generale dei detenuti e del trattamento ha effettuato uno studio sulla salute mentale dei ristretti, attraverso la predisposizione
di apposite schede di valutazione delle patologie compilate dopo l'ingresso in carcere. L'esito della rilevazione ha fornito risultati impressionanti. Su 105.752 rilevamenti, effettuati nell'arco di due anni, sono state riscontrate le seguenti patologie mentali: depressione in 10.837 detenuti (pari al 10,25 per cento sulle schede raccolte); altre patologie mentali (psicosi e nevrosi, esclusa la depressione) in 6.383 detenuti (pari al 6,04 per cento); malattie neurologiche e malattie del sistema nervoso centrale in 2915 casi (dato di poco inferiore al 3 per cento); deterioramento psichico in 823 soggetti (0,8 per cento). Il totale dei pazienti che in carcere soffrono di disturbi psichici e legati al sistema nervoso è dunque superiore al 20 per cento;
un recente studio, effettuato a margine di un'attività ispettiva sulle carceri, ha messo in luce che nell'anno 2008 il 31,8 per cento delle persone che hanno fatto ingresso in carcere rispondeva di violazioni alla legge sulla droga. Una rilevante parte di essi era tossicodipendente. Da un'analisi statistica condotta due anni fa si è appurato che 16.478 persone sono state arrestate nel corso del periodo gennaio 2005-giugno 2006 per il solo reato di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Le stesse, successivamente scarcerate, hanno avuto una permanenza media in carcere di soli 88 giorni. Da un recente rilevamento risulta che dei 18.225 arrestati (non in espiazione di pena definitiva) entrati in carcere nel 2009 per il solo reato di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ben 5.005 sono stati scarcerati dopo appena 2 giorni, 2.903 sono rimasti in un periodo ricompreso tra i 3 ed i 10 giorni, 1.841 tra 11 e 30 giorni. Ciò significa che la grande parte di essi è rimasta in carcere per meno di un mese. Inoltre su 48 morti accertate per suicidio fino al novembre 2009, ben 14 avevano riguardato soggetti tossicodipendenti. E delle 106 morti naturali avvenute tra gennaio e novembre 2009, 30 avevano riguardato soggetti con patologie connesse alla dipendenza dalla droga, alcuni dei quali giovanissimi;
con la circolare Pea (Programma esecutivo di azione) 16 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, direzione generale dei detenuti e del trattamento, ha inteso valorizzare il ruolo di genitore del detenuto con la sperimentazione di attività di sostegno al rientro in famiglia, eventualmente finalizzate anche alla fruizione di permessi premio e misure alternative. Nell'attuale situazione penitenziaria i rapporti con la famiglia risultano particolarmente compromessi, con il rischio di propagare sulle famiglie dei detenuti - che non hanno colpe - il disagio della condizione penitenziaria. La tutela di tali rapporti, che appare allo stato fortemente deficitaria, trova una sua fonte in numerosi atti internazionali: a) la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo (articoli 5, 7 e 9); b) i rapporti al Comitato sui diritti dell'infanzia (organo deputato a vigilare sull'applicazione della Convenzione e i relativi protocolli); c) la proposta di risoluzione del Parlamento europeo (A6-0033/2008), formulata sulla base della relazione della Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza in genere «sulla particolare situazione delle detenute e l'impatto dell'incarcerazione dei genitori sulla vita sociale e familiare»;
la questione penitenziaria non può essere affrontata in modo separato dalla più generale questione penale, rispetto alla quale essa rappresenta il tratto terminale ed il termine di riscontro più concreto sul raggiungimento delle finalità di giustizia;
sul carcere grava dunque in modo inesorabile la crisi del sistema penale che riguarda: l'inevitabile ampiezza del modello di repressione delle condotte; l'elevato numero di fatti reato; l'incapacità del sistema processuale di tenere dietro alla moltitudine delle regiudicande; ma soprattutto l'intollerabile lunghezza del processo, che frustra la pretesa di giustizia delle vittime del reato, e rappresenta al contempo un'inaccettabile via crucis per la
persona chiamata a giudizio dinanzi al giudice penale. Le lungaggini del processo e la mancata previsione di termini perentori alla sua durata hanno determinato una generale situazione di precarietà dello stato detentivo, di mancata stabilità dei provvedimenti cautelari, di sovraccarico dei ruoli giudiziari e di ritardo nell'esecuzione delle pene;
il metodo per affrontare la questione del sovraffollamento negli ultimi 60 anni è consistito nell'adozione di trenta provvedimenti di clemenza, tra amnistie ed indulti. Da ultimo la legge 31 luglio 2006, n. 241, che ha previsto il condono delle pene residue sino a tre anni, ha comportato la fuoriuscita dal carcere di oltre 25.000 detenuti, la gran parte dei quali, in poco tempo, ha fatto rientro nel sistema penitenziario. L'assenza di qualsivoglia intervento volto a modificare il sistema delle pene ha comportato il fallimento del provvedimento di clemenza e l'imponente realizzazione di condotte recidivanti: ciò perché i detenuti non sono stati messi nelle condizioni di potere evitare la ricaduta nel delitto. Nessuna iniziativa, in particolare, è stata assunta per garantire il collocamento lavorativo dei detenuti dimittendi dal carcere, per consentire loro di svolgere un ruolo nella vita normale;
il patrimonio immobiliare destinato a scopi penitenziari ammonta oggi a 205 istituti di pena e di internamento attivi sul territorio, ed è per il 70 per cento di epoca anteriore al 1900. Esso risente di una concezione della pena ottocentesca, non rispettosa dei diritti umani e della sacralità della persona. La questione penitenziaria va dunque affrontata in primo luogo con la dotazione ingente di nuove strutture, progettate e realizzate con criteri razionali ed in coerenza con le finalità rieducative della pena. Nella realizzazione delle nuove carceri occorrerà tenere conto della effettiva pericolosità delle persone che vi verranno ascritte, dei tempi medi di detenzione, della corretta e completa allocazione dei servizi essenziali di accoglienza e di trattamento che contribuiscano alla realizzazione di una pena che sia finalizzata alla rieducazione e non contraria al principio di umanità;
l'attuale carenza di organico della polizia penitenziaria risulta essere pari a quasi 6.000 unità rispetto a quello previsto. A tale deficit andrà ad aggiungersi inesorabilmente la quota annuale dei pensionamenti ed il fabbisogno connesso alle sopravvenute esigenze connesse all'aperture di nuovi istituti. Vi è poi una rilevante carenza degli organici del personale amministrativo che è pari a 3.186 unità, giacché, a fronte di un organico di 9.486 unità, vi sono solo 6.300 presenze effettive. La maggiore carenza riguarda il ruolo degli educatori che conta complessivamente poco meno di 700 unità, che determina un rapporto di uno a cento rispetto ai detenuti attualmente presenti. L'intervento per affrontare l'attuale crisi del sistema carcerario deve dunque prioritariamente fare leva sulle risorse di personale, civile e di polizia, che a causa del sovraffollamento hanno sopportato finora un sacrificio grave, condividendo con i reclusi i disagi conseguenti alla invivibilità degli ambienti. Occorrerà pertanto procedere non solo ad aumenti di organico, ma anche ad una valorizzazione del ruolo e delle funzioni del personale di polizia penitenziaria da effettuarsi con interventi di tipo normativo;
il lavoro penitenziario rappresenta un elemento essenziale del trattamento e una condizione imprescindibile per il reinserimento nella società. Alla data del 31 dicembre 2008 su una presenza di 58.127 detenuti, 13.413 svolgevano attività lavorativa. Di questi, 10.032 erano impiegati nei lavori domestici e 866 erano addetti alla manutenzione ordinaria del fabbricato (al 31 dicembre 2007, su una popolazione detenuta di 48.693 unità, 9.418 erano impiegati nei lavori domestici e 801 erano addetti alla manutenzione ordinaria del fabbricato) tutti alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria. Si è registrato poi un incremento dei detenuti assunti da imprese e cooperative all'interno degli istituti penitenziari (740 unità
al 31 dicembre 2008 rispetto alle 647 unità al 31 dicembre 2007). Il totale dei detenuti lavoranti non alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria (comprensivo di semiliberi e ammessi al lavoro all'esterno ex articolo 21 della legge sull'ordinamento penitenziario) era di 1.825 unità al 31 dicembre 2008 (erano 1.609 al 31 dicembre 2007). Si è notato un risveglio di interesse verso la manodopera detenuta, dovuto soprattutto all'incessante opera di sensibilizzazione posta in essere dall'amministrazione presso il mondo imprenditoriale. Si segnalano i poli artigianali di Verona e Padova, quest'ultimo in particolare per l'attività di gestione in cooperativa e fornitura del servizio mensa detenuti, esperimento presente anche a Torino, Roma e Milano. Al 31 dicembre 2008 le lavorazioni presenti all'interno degli istituti penitenziari (si considerano anche tutte le attività di tipo agricolo) erano 260, di cui 200 funzionanti. Di queste 114 erano gestite da soggetti terzi. Benché siano presenti segnali di espansione, il lavoro non riesce a raggiungere tutti i detenuti, la gran parte dei quali, tuttavia, transita per periodi così brevi da non consentire l'impiego in attività lavorative. L'esperienza del lavoro non di meno va incrementata e favorita nei confronti di tutti coloro che permangano in carcere per un apprezzabile periodo di tempo;
da studi condotti nel dipartimento dell'amministrazione penitenziaria si rileva che un numero notevole di detenuti risulta essere costituito da soggetti a bassa pericolosità, condannati a pene brevi, o con breve fine pena. Per costoro si registra uno scarso ricorso alle misure alternative. In particolare - secondo una rilevazione effettuata alla data del 31 ottobre 2009 - 10.278 persone espiavano in carcere pene inferiori ad un anno ed, al contrario, solo 2.973 allo stesso giorno si trovavano in detenzione domiciliare. Prima della legge di indulto del luglio 2006, nel corso dell'intero anno 2005 erano state ammesse alla detenzione domiciliare 14.527 persone. Sul punto va evidenziata la difficoltà per i condannati stranieri non appartenenti all'Unione europea di fissare la dimora. Molti di essi pur essendo dichiarati non pericolosi, e dunque giuridicamente legittimati alle misure alternative, sovente ne sono esclusi de facto, contribuendo a generare inutili forme di sovraffollamento;
in Inghilterra e Galles, a seguito del Criminal Justice Act 2003, è stata prevista la dimissione dal carcere con apposizione di licence conditions, istituto analogo alla detenzione domiciliare in Italia, che si rivolge ai condannati ad una o più pene che non abbiano durata complessiva superiore ai dodici mesi. Il provvedimento che dispone l'applicazione della sanzione include le prescrizioni definite dall'autorità competente (cosiddetto Board, Criminal Justice Service Act 2000) che il condannato è tenuto a rispettare durante l'esecuzione della pena nella comunità. Con tale sistema si è evitato di far transitare dal carcere i condannati a pene detentive brevi, con modalità che prevedono una probation consistente nel compiuto adempimento delle prescrizioni imposte;
i fenomeni di immigrazione clandestina, con illecito attraversamento delle frontiere gestito da organizzazioni criminali, fungono da moltiplicatore dei fatti che conducono alla carcerazione. Deve darsi atto al Governo di avere innovato l'agenda europea sulla questione della detenzione, intesa per la prima volta come questione strettamente legata ai fenomeni del transito ed alla permanenza di soggetti sui territori degli Stati dell'Unione europea. Gli effetti di tale iniziativa del Governo italiano sono costituiti dall'inserimento del delicato tema delle politiche carcerarie nel programma di Stoccolma, e nell'approvazione di una apposita risoluzione da parte del Parlamento europeo;
il Ministro della giustizia - in un recente intervento - ha rappresentato come nelle carceri italiane, rispetto alla totalità dei detenuti, oltre 20 mila sono stranieri: il che vuol dire che le carceri italiane sono idonee ad ospitare i detenuti italiani, ma con l'aggiungersi degli stranieri si supera la capienza regolamentare
ed anche quella tollerabile. Egli ha sottolineato come l'Unione europea «non possa da un lato esercitare sanzioni e dall'altro chiudere gli occhi sul fenomeno del sovraffollamento carcerario che deriva dalla presenza di detenuti stranieri»;
necessita dunque un intervento di ampio respiro concertato in sede comunitaria. Occorre partire da normative condivise per l'esecuzione in patria delle condanne riportate dagli stranieri, prevedendo l'impiego delle risorse necessarie per affrontare la questione penitenziaria;
l'Unione europea, attraverso il portavoce Dennis Abbott, si è detta pronta ad accogliere direttamente i suggerimenti delle autorità italiane, ed a valutare il modo col quale migliorare il trasferimento di detenuti fra uno Stato e l'altro in base alla decisione quadro dei Ministri dell'interno e della giustizia del novembre 2008, sulle sentenze penali che prevedono misure di detenzione;
è necessaria una riforma che consenta di recuperare i contenuti ed il pieno vigore del dettato costituzionale sulla pena, affinché la detenzione carceraria che consiste nella privazione della libertà non debba mai comportare anche la privazione della dignità delle persone,
impegna il Governo:
ad assumere a tal fine le necessarie iniziative, anche di carattere legislativo, volte ad attuare - con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento - un'importante riorganizzazione del sistema penitenziario, una riforma dei trattamenti sanzionatori e rieducativi ed una revisione del processo penale, che abbiano a compendiare le seguenti azioni:
a) prevedere nell'emanando piano carceri la progettazione e la realizzazione di nuovi istituti penitenziari che tengano conto dell'effettiva pericolosità delle persone che vi verranno ascritte, dei tempi medi di detenzione, della corretta e completa allocazione dei servizi essenziali di accoglienza e di trattamento, contribuendo alla espiazione di una pena che non appaia contraria al senso di umanità;
b) monitorare attraverso la collaborazione delle regioni e del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria lo stato di attuazione del passaggio dell'erogazione dei servizi sanitari alle regioni, nonché l'attuale qualità del livello di assistenza sanitaria alla popolazione detenuta, effettuando ogni possibile intervento teso a migliorare l'efficienza del servizio sanitario in ambito penitenziario;
c) intervenire con apposite iniziative e progetti, da effettuarsi attraverso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, sul tema della prevenzione dei suicidi in ambiente penitenziario, rafforzando i presidi nuovi giunti e quelli del trattamento attraverso l'impiego qualificato di gruppi di ascolto formati da psicologi ed operatori penitenziari;
d) intensificare, attraverso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, le politiche di promozione dei rapporti familiari per la popolazione detenuta, attraverso la predisposizione di progetti che puntino al miglioramento della quantità e qualità delle occasioni di incontro, coinvolgendo i nuclei familiari nelle dinamiche del trattamento penitenziario e nelle politiche di socializzazione;
e) approvare modifiche alle norme dell'ordinamento penitenziario che prevedano, all'interno di strutture protette, la coabitazione dei figli minori al seguito di madri detenute e vietino la permanenza di bambini all'interno di strutture penitenziarie ordinarie;
f) adottare iniziative normative che comportino la semplificazione dei meccanismi processuali ed impongano limiti di tempo alla celebrazione dei processi, allo scopo di rendere più rapida ed efficiente la risposta alle istanze di giustizia dei cittadini;
g) adottare iniziative legislative che prevedano direttamente forme diverse dalla detenzione in carcere - eventualmente
accompagnate da programmi di cura - per soggetti con conclamate patologie derivanti da tossicodipendenza e che siano esclusivamente autori di reati previsti dal testo unico delle leggi sulla droga;
h) assumere iniziative straordinarie per garantire il collocamento lavorativo dei detenuti dimittendi dal carcere, anche attraverso la costituzione di agenzie, allo scopo di consentire loro lo svolgimento di un'attività nella vita normale, che prevenga la recidiva nel reato;
i) prevedere nell'emanando piano carceri il reclutamento straordinario di un adeguato contingente di polizia penitenziaria e del personale amministrativo mancante, nonché promuovere iniziative per l'incremento degli organici degli psicologi;
l) rilanciare il lavoro penitenziario attraverso appositi strumenti legislativi volti a promuoverne lo sviluppo e disciplinarne i contenuti e stimolare, attraverso l'amministrazione penitenziaria e la Cassa delle ammende, le necessarie iniziative volte a dare sviluppo alle esperienze più significative;
m) rilanciare l'attuazione delle misure alternative, anche attraverso interventi normativi;
n) evitare interventi sul sovraffollamento incentrati su provvedimenti di clemenza tout court, prediligendo le forme di probation e utilizzare la detenzione domiciliare in probation per le pene detentive brevi, prendendo spunto da esperienze di altri Paesi europei;
o) ad adottare iniziative in sede di Unione europea per la realizzazione di interventi normativi che prevedano il trasferimento dei detenuti nei Paesi di origine per l'esecuzione delle pene, e la destinazione di risorse alla questione penitenziaria, che risulta connessa all'ingente presenza di detenuti stranieri.
(1-00309)
«Vitali, Brigandì, Belcastro, Baldelli, Costa, Consolo, Contento, Ghedini, Mariarosaria Rossi, Sisto, Cassinelli, D'Ippolito Vitale, Lehner, Lo Presti, Angela Napoli, Paniz, Papa, Pittelli, Scelli, Siliquini, Torrisi, Lussana, Follegot, Nicola Molteni, Paolini».
...
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazioni a risposta scritta:
JANNONE. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
a parte l'incremento di acquisti relativi a pay tv digitale e videogiochi, il paesaggio dell'industria della comunicazione in Italia segna un forte ridimensionamento di vendite e fatturati. Le uniche eccezioni sono le sale cinematografiche, che fra il luglio 2008 e il giugno 2009 hanno registrato un incremento di incassi dell'1,5 per cento. Al contrario, negli stessi dodici mesi le telecomunicazioni mobili fanno segnare la prima flessione della loro storia, con lo 0,7 per cento di introiti in meno. Seguono informatica (un mercato che da solo vale 64,5 miliardi di euro), home video, radio e investimenti pubblicitari su televisioni, quotidiani e periodici, dove quello che si nota è uno scenario alquanto preoccupante. L'Istituto di economia dei media (Iem) della Fondazione Rosselli ha presentato il suo rapporto sul settore, elaborato in collaborazione con il Corriere della sera, nel quale emerge il peggioramento delle condizioni già evidenti nel raffronto fra 2008 e 2007, con la flessione del 7,6 per cento per i quotidiani, addirittura del 16,9 per cento per la musica registrata e del 17,1 per cento per l'home video. In netta controtendenza solo i videogiochi (più 21,6 per cento), un po'
meno la tv (più 3,6 per cento), le telecomunicazioni mobili (più 1,3 per cento), l'informatica (più 0,8 per cento);
ad aggravare gli effetti della crisi economica sull'industria sta contribuendo in modo determinante la ridotta capacità di spesa delle famiglie. È questo l'elemento di fondo che fa degli italiani un'eccezione rispetto ai cittadini degli altri quattro Paesi europei presi in considerazione nel rapporto della Fondazione Rosselli, Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna. Una «stretta» sui consumi di cultura e intrattenimento (dal cinema alla musica, dai libri ai giornali) che si trascina da lungo tempo, tanto che dal 1998 al 2008 la quota di reddito che le famiglie riservano alle tre voci «istruzione, tempo libero, cultura» è scesa dal 6,2 per cento al 5,3 per cento del totale disponibile, mentre per gli inglesi è salita dall'11,9 per cento al 13,8 per cento e per i francesi dal 9,5 per cento al 9,8 per cento. Allo stesso modo, la spesa per «comunicazioni» delle famiglie italiane è rimasta stabile al 2 per cento del reddito disponibile ed è invece salita dal 2,1 per cento al 2,5 per cento in Gran Bretagna e dal 2 per cento al 2,7 per cento in Francia, con il risultato che l'industria italiana del settore oggi si colloca per introiti al penultimo o all'ultimo posto fra i cinque maggiori Paesi europei, con le sole eccezioni che riguardano telecomunicazioni, sia fisse che mobili e televisione;
la scarsa propensione nazionale alla lettura di libri e giornali o all'ascolto di musica influisce sulla penetrazione di quegli «strumenti del comunicare» necessari per poterne fruire. «Più che di una debolezza strutturale della domanda, parlerei però di un ritardo, osserva Flavia Barca, coordinatrice del Rapporto della Fondazione Rosselli. Se è vero, per esempio, che gli italiani utilizzano poco i servizi distribuiti sui Pc attraverso internet, altrettanto vero è che la propensione può aumentare mano a mano che quei servizi diventano disponibili sui cellulari, con i quali abbiamo maggiore confidenza». Non a caso sui terminali mobili, questo periodo di congiuntura economica sta paradossalmente innescando forti mutazioni di comportamento. «Stiamo diventando più americani, sintetizza Cesare Sironi, responsabile strategia e innovazione di Telecom Italia. Un numero sempre maggiore di clienti acquista smart phone di prezzo elevato oppure telefonini low cost, tutto a scapito della fascia intermedia di prezzo. Gli utenti prestano anche forte attenzione alla spesa, mettendo a confronto i diversi prodotti attraverso siti internet di comparazione come il nostro Virgilio». Una analoga chiave di lettura viene offerta da Roberto Larocca, responsabile della divisione consumer di Vodafone Italia: «Da qualche mese stiamo osservando fra gli utenti quelli che si possono definire "effetti post-crisi economica". Da un lato le famiglie italiane stanno mostrando un recupero di ottimismo come non si vedeva dal 2001. Dall'altro l'effetto post-crisi consiste anche nel considerare con molta cautela qualsivoglia nuovo acquisto, nel ragionare a lungo prima di spendere, nel valutare se si tratta di una cosa necessaria o superflua»;
secondo Larocca i dati statistici su certi consumi vanno comunque presi con prudenza. «Non c'è dubbio che gli italiani leggano meno giornali o spendano meno per l'intrattenimento rispetto a quanto avviene in altri Paesi, sottolinea. Ma va anche detto che, per quanto riguarda ad esempio il consumo di musica, nessuno è in grado di misurare quanto incida il downloading via internet». Proprio il «dilagante file sharing» è visto dal Rapporto della Fondazione Rosselli come una causa fondamentale del crollo di vendite di musica e video nelle loro forme tradizionali di distribuzione. Così come, si legge nello studio Iem, «quotidiani e periodici pagano caro il crescente utilizzo del web come fonte di approvvigionamento di news». Tuttavia, fra crisi economica e bassa propensione alla spesa degli italiani, il rapporto Iem parla di «una situazione poco incoraggiante per il futuro». Con il rischio che le imprese «non riescano ad avere le risorse per i necessari investimenti». Secondo i ricercatori «in certi segmenti si
assiste ad una crescente competizione sui contenuti, sui servizi e sulla distribuzione», tanto da poter spingere i consumi e innescare nuove prospettive di crescita -:
quali misure il Governo intenda adottare al fine di incentivare gli investimenti di privati inerenti a quotidiani e mezzi di comunicazione, e per aumentare il potere d'acquisto delle famiglie italiane, soprattutto nei settori della stampa e delle telecomunicazioni.
(4-05636)
REALACCI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nell'ordinanza della Protezione civile «Disposizioni urgenti per fronteggiare l'emergenza nel Settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e per consentire il passaggio alla gestione ordinaria» (ordinanza n. 3819 del 6 novembre 2009) il Sottosegretario di Stato all'emergenza rifiuti «è autorizzato a disporre, in via di urgenza, delle risorse finanziarie presenti sulle contabilità speciali intestate ai Commissari delegati per le altre emergenze in atto, quali anticipazioni da rimborsare all'esito delle procedure finalizzate all'esigibilità degli stanziamenti di spesa previsti, a legislazione vigente, a favore del Fondo di protezione civile»;
la notizia è riportata anche nell'articolo apparso sul quotidiano Avvenire il 30 dicembre 2009 firma Antonio Maria Mira in cui si evidenzia che il commissario straordinario per l'emergenza rifiuti in Campania prenderà in prestito 80 milioni di euro dagli altri commissari e che si tratterà di «un'anticipazione temporanea da contabilità speciali che hanno una capienza sufficiente» a raggiungere questa cifra. E, comunque, dovranno essere restituiti entro il primo trimestre del 2010;
nella prima relazione al Parlamento sullo stato delle attività nella gestione dell'emergenza rifiuti in Campania, il sottosegretario di Stato all'emergenza rifiuti in Campania, Guido Bertolaso, aveva già lanciato l'allarme sulla mancanza di adeguati finanziamenti per riportare la Campania ad una condizione di normalità, chiudendo l'epoca delle gestioni commissariali e ritornando a formule di gestione che vedano le amministrazioni campane riassumere pienamente le proprie responsabilità. In particolare nella relazione si evidenziava che nel semestre giugno-dicembre 2008 si erano registrate entrate complessive per circa 170 milioni di euro e pagamenti per circa 105 milioni di euro, e si sottolineava che «se non ci fossero ulteriori trasferimenti statali si dovranno prevedere situazioni di grave criticità». L'ammanco economico per la gestione 2009, denunciato nella relazione, era di circa 830 milioni di euro. Inoltre i debiti dei comuni sono saliti dai 223 milioni di euro di marzo 2009 ai 300 di oggi;
alla luce di ciò, desta preoccupazione il fatto, che per chiudere l'emergenza rifiuti in Campania, vengano stanziate risorse destinate ad altre emergenze sul territorio -:
come intendano far fronte alla situazione economica che si è verificata e se non si intendano stanziare immediatamente i fondi necessari al superamento dell'emergenza garantendo inoltre il progressivo azzeramento dei debiti contratti dalle precedenti gestioni commissariali e l'ottemperamento delle sentenze ancora pendenti;
se non intendano chiarire a quali situazioni emergenziali sono stati sottratti i fondi per l'emergenza rifiuti in Campania.
(4-05657)
...
AFFARI ESTERI
Interrogazioni a risposta scritta:
JANNONE. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nel Rapporto supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione
sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia, pubblicato pochi giorni fa, si riporta la raccomandazione che il Comitato ONU volge all'Italia al fine di incrementare, nella massima misura possibile, le risorse stanziate per i bambini e le loro famiglie e ad effettuare un'analisi di tutti i bilanci totali e settoriali dello Stato e delle regioni, in modo da analizzare la quota spesa per l'infanzia, identificare le priorità ed allocare le risorse «al massimo livello consentito dalle risorse disponibili». Inoltre, il Comitato raccomanda che l'Italia applichi questo principio alle attività svolte dalla Cooperazione internazionale allo sviluppo del Ministero degli Affari Esteri;
nel 2003 il Comitato ONU esprimeva preoccupazione per il fatto che l'Italia non applicasse appieno l'articolo 4 della «Convenzione dei diritti del Fanciullo» e che quindi non vi fosse uno stanziamento per l'infanzia e l'adolescenza al massimo livello consentito dalle risorse disponibili. Tale preoccupazione era mossa anche dal rilievo che nel precedente rapporto governativo, si riconosceva che «in Italia è ancora poco sentita la necessità di poter disporre di dati analitici sui flussi di spesa, specialmente in campo assistenziale: questo comporta la presenza di poche informazioni». Nonostante una maggiore attenzione al tema, rilevabile anche dall'impostazione del nuovo rapporto, si evidenzia come non sia tuttavia ancora possibile identificare la quota di bilancio nazionale destinata alle politiche a favore dell'infanzia e dell'adolescenza e, di conseguenza, monitorare le risorse allocate per i minori in Italia continua ad essere particolarmente complesso;
il quadro che emerge da un'analisi comparativa e riassuntiva degli anni 2005-2008 relativamente all'impegno dell'Italia ad adeguare i propri standard quantitativi e qualitativi in materia di cooperazione internazionale, non permette una valutazione pienamente positiva rispetto all'attuazione della raccomandazione del Comitato ONU, nemmeno alla luce di quanto contenuto in merito nel recente rapporto governativo;
l'impegno finanziario dell'Italia, in tale ambito, infatti, continua ad essere tra i più bassi in Europa. La carenza di un dialogo costruttivo tra le diverse forze politiche ha marginalizzato il tema impedendo di riprendere il dibattito sulla riforma. Infatti, la spinta che nel 2007 ha portato alla presentazione di un disegno di legge delega per la riforma di questo settore non si è conclusa a causa della chiusura anticipata della Legislatura. La disciplina legislativa della cooperazione resta quindi quella del 1987, che oggi limita la portata degli interventi di cooperazione perché li fonda su principi e regole per molti versi anacronistici e limitanti. La raccomandazione di riprendere ed approvare il disegno di legge delega per la riforma del sistema della cooperazione, avanzata nei precedenti rapporti della «Convenzione dei diritti del Fanciullo», è stata pertanto completamente disattesa e con questa anche quella relativa all'istituzione di un "Fondo Unico" che contenga e renda trasparente tutto l'aiuto Pubblico allo sviluppo»;
nel corso degli ultimi quattro anni, si registra solo una parziale risposta del Ministero degli affari esteri (MAE) alle indicazioni evidenziate nel corso dei precedenti rapporti. Se, infatti, è vero che si è avuta una riforma delle procedure per la presentazione dei progetti promossi dalle organizzazioni non governative che ha ridotto tempi e semplificato procedure, è pur vero, che non risulta ancora essere stato messo a regime dalla nostra cooperazione un approccio coerente per gli interventi di cooperazione che incida sulle scelte strategiche, sulla policy e sull'implementazione del programma della cooperazione italiana;
nel dicembre 2009 la direzione generale per la cooperazione dello sviluppo del Ministero degli affari esteri ha approvato il piano strategico triennale per il 2009-2011 dove sono indicate le priorità geografiche
e tematiche della cooperazione, ma nel quale i minori rappresentano soltanto una delle quattro aree tematiche trasversali. Il piano strategico pone l'efficacia dell'aiuto sia come una priorità che come una risposta ai limiti quantitativi italiani dell'aiuto Pubblico allo sviluppo». Nel documento si evidenzia che è stato costituito un gruppo interno alla direzione generale per la cooperazione dello sviluppo con lo scopo di definire un piano programmatico nazionale per l'efficacia degli aiuti. Tale sforzo, che comprende anche l'avvio della revisione delle Linee guida per l'infanzia, rischia però di essere privo delle risorse necessarie per essere implementato -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare per far si che l'Italia rivesta un ruolo primario nell'azione di cooperazione internazionale volta al miglioramento delle condizioni di vita dei minori, come richiesto dal Comitato ONU.
(4-05644)
JANNONE. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per le politiche europee, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la collaborazione tra USA e i Paesi UE e NATO nel quadrante mediorientale implica una scelta strategica, volta ad espandere i confini di sicurezza della Unione Europea, ed arrivare ad una geopolitica che coinvolga la Cina, senza escludere la Federazione Russa. La dimensione naturale dell'UE, ottimale per la sua espansione economica autopropulsa e una globalizzazione positiva della sua economia, comprende l'integrazione dei mercati mediterranei meridionale e del «Grande Medio Oriente»;
in questo contesto, la Cina è il punto-chiave del processo, sia nel Mediterraneo che a livello globale. La Cina finora ha gestito una logica di equilibrio tra USA e UE. Pechino non ha alcun interesse a creare, con uno squilibrio delle sue esportazioni e dei suoi investimenti esteri, l'«egoismo» nordamericano o europeo. Ma, per gestire questa armonia Pechino ha assoluta necessità di incentrare sul Mediterraneo, asse europeo verso l'Oriente, l'Asia Centrale e l'Africa, le interconnessioni strategiche e geoeconomiche di questa sua partita a tre con l'UE e gli Usa;
si sta creando un doppio livello dell'espansione cinese, tra produzioni esternalizzate, e attività non strategiche, che permettono un irraggiamento economico, politico, militare verso il Mediterraneo e, da lì, verso i mercati «ricchi» europei e nordamericani. Questo implicherà sempre più una collaborazione tra Cina, USA e UE. Pertanto, in futuro occorrerà stabilire un criterio di gestione della sicurezza collettiva tra USA, NATO-UE e Cina nel Mediterraneo che sia un moltiplicatore di potenza per la Cina e che permetta una collaborazione marginale con la NATO;
per le motivazioni sopracitate, la Cina è già ora una potenza globale ed ha bisogno del Mediterraneo per la sua geoeconomia. Il petrolio che le serve verrà controllato in maniera migliore sia dal versante del Mediterraneo, che da quello dell'Asia centrale. Gli Stati Uniti potrebbero partecipare alla nuova crescita del Mediterraneo ricollocando i loro sistemi produttivi maturi come la Cina stessa, rafforzando i propri legami commerciali transatlantici via Nordafrica, con i paesi islamici moderati. Si delinea in questo modo un nuovo sistema mediterraneo, in cui si creano le condizioni per la rinascita geopolitica, economica e finanziaria dell'Occidente -:
quali interventi i Ministri intendano adottare per il rafforzamento del rapporto fra Unione europea, Alleanza atlantica e Cina, alfine di una migliore cooperazione commerciale all'interno del Mediterraneo.
(4-05649)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazione a risposta in Commissione:
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
in data 11 dicembre 2009 sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato pubblicato un quadro riepilogativo dello stato di avanzamento delle procedure approvative dei piani del Parco dal quale emerge che:
per quanto concerne il Parco nazionale dell'Alta Murgia istituito con decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 2004, è stata redatta una bozza orientativa del piano;
per quanto concerne il Parco nazionale del Pollino istituito con decreto del Presidente della Repubblica 15 novembre 1993, è stata approvata con delibera del Consiglio direttivo n. 46 del 18 giugno 2009 una bozza definitiva del piano ma non è ancora stato espresso il parere della Comunità del Parco;
per quanto concerne il Parco nazionale del Gargano istituito con decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 1995, si è in attesa del parere della cosiddetta Comunità del Parco sulla bozza definitiva del piano;
per quanto concerne il Parco nazionale dell'Arcipelago della Maddalena istituito con la legge 4 gennaio 1994, n. 10, è stato affidato l'incarico per la redazione del piano nel mese di novembre del 2009;
per quanto concerne il Parco nazionale della Sila istituito con decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, il piano non è stato ancora approvato da parte del consiglio direttivo;
per quanto concerne il Parco nazionale dell'Appennino Lucano-Val d'Agri-Lagonegrese istituito con decreto del Presidente della Repubblica 8 dicembre 2007, la procedura non è stata ancora avviata;
per quanto concerne il Parco nazionale del Gran Paradiso, il piano non è stato ancora approvato da parte del consiglio direttivo;
per quanto concerne il Parco nazionale dell'Abruzzo, Lazio e Molise, non è stato ancora espresso il parere della Comunità del Parco sul piano;
per quanto concerne il Parco nazionale del Circeo, il preliminare del piano è all'esame della Comunità del Parco;
la legge 6 dicembre 1991, n. 394 - come modificata dalla legge 9 dicembre 1998, n. 426 - prevede che il piano è predisposto dall'Ente parco entro diciotto mesi dalla costituzione dei suoi organi, che la Comunità del parco partecipa alla definizione dei criteri riguardanti la predisposizione del piano del parco indicati dal consiglio direttivo del parco ed esprime il proprio parere sul piano stesso e infine che il piano, approvato dal consiglio direttivo, è adottato dalla regione entro novanta giorni dal suo inoltro da parte dell'Ente parco;
la stessa legge stabilisce che, in caso di inosservanza dei termini sopra indicati, si sostituisce all'amministrazione inadempiente il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che provvede nei medesimi termini con un commissario ad acta;
i termini previsti dalla legge per l'approvazione del piano da parte dell'Ente Parco, per il successivo inoltro alla regione ovvero per l'eventuale esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nel caso dei 9 Parchi nazionali sopra richiamati sono trascorsi -:
se il Ministro interrogato sia in possesso di informazioni più aggiornate rispetto a quelle disponibili sul portale del Ministero;
se intenda procedere e in che modo, per quanto di competenza, nei confronti degli Enti che non hanno ancora approvato
e inoltrato alle regioni competenti il piano del Parco.
(5-02306)
Interrogazioni a risposta scritta:
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il bacino idroelettrico del Salto esiste da oltre 60 anni e rispetto ai pericoli a cui ogni bacino artificiale è soggetto quali: pericoli connessi ad eventi naturali (precipitazioni atmosferiche, scosse sismiche) e pericoli artificiali e strutturali legati a doppio filo con la stabilità dei manufatti e l'uso appropriato del bacino -:
se siano stati effettuati e da quale struttura i dovuti controlli su fattore globale di rischio e quale ne sia stato l'esito.
(4-05618)
JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'ex discarica Todeco, in provincia di Bergamo, diventerà un parco tecnologico per la produzione di energie rinnovabili, dando così inizio alla riqualificazione del territorio del comune di Pontirolo Nuovo. L'area della ex discarica Todeco verrà prossimamente ceduta in gestione per 25 anni al consorzio Cum Sortis di Treviglio, per essere trasformata in un parco tecnologico, in cui verrà installato un impianto fotovoltaico da 300 mila kilowattora. Il sindaco Pierangelo Bertocchi afferma che «per anni queste discariche sono state una ferita per il nostro territorio, ora diventeranno una preziosa risorsa». L'ex discarica per rifiuti urbani Todeco ha esaurito il suo compito nel 1996. I rifiuti scaricati al suo interno e nel territorio circostante sono stati recuperati nell'arco di dieci anni e ora si presentano come un parco verde di circa 6 ettari. Per una sua migliore valorizzazione ambientale e imprenditoriale il comune, dopo averla acquisita, ha deciso, a seguito di bando pubblico e di trattativa privata, di affidarla in gestione al consorzio Cum Sortis di Treviglio, che a breve presenterà un progetto sul modello di gestione che intende attuare;
per quanto riguarda invece l'aspetto imprenditoriale, l'ex discarica verrà riqualificata in un parco tecnologico per la produzione di energie rinnovabili: sulla montagna di rifiuti, diventata una collina verde, verranno installati pannelli fotovoltaici che produrranno 300 mila kilowattora. Prenderà poi il via un'attività di recupero di oli usati. Un simbolo di rinascita ambientale era già diventata l'oasi naturalistica «Renosa Park», alla quale a breve il comune annetterà anche la ex discarica per rifiuti urbani Sabb, ormai recuperata e trasformata in una collina verde. L'area della ex discarica è di circa 3 ettari. Il progetto presentato da Pontirolo è stato l'unico ad essere ritenuto finanziabile nel territorio orobico;
«in questo momento di crisi economica, afferma il presidente del consorzio, Paolo Brevi, anche l'imprenditoria sociale, per produrre ricchezza da reinvestire nel settore sociale, deve essere pronta a percorrere vie alternative». Nell'ex discarica Todeco oltre che l'installazione di un impianto voltaico sono previsti, anche se solo a livello dimostrativo, un impianto eolico e a biomassa. Accanto a questo parco tecnologico troverà spazio anche un parco pubblico per la cui cura e vigilanza il Cum Sortis impiegherà persone svantaggiate. Alla base della decisione di prendere in gestione la discarica di Pontirolo c'è quindi anche la volontà di dare il via ad un circuito virtuoso che riesca a generare oltre che ricchezza anche lavoro;
il Cum Sortis riuscirà a realizzare il progetto di trasformazione della ex discarica Todeco in un parco tecnologico e pubblico grazie alla collaborazione di partner privati e ai capitali che investiranno. Per il presidente Brevi anche questo
è un aspetto innovativo. «Alcuni imprenditori, spiega il presidente, hanno deciso di investire in questo progetto pur sapendo che una parte del profitto verrà utilizzato per scopi sociali. Ciò è sicuramente sintomo, soprattutto in questo momento di crisi economica, di una loro maggiore attenzione verso categorie sociali svantaggiate». Alla base della decisione dei titolari dell'ex discarica Logica di mettere in pratica un progetto che prevede anche al suo interno l'installazione di un impianto fotovoltaico non c'è l'obiettivo di investire nel settore sociale, ma la volontà di sfruttare in modo proficuo l'area della ex discarica -:
quali iniziative i Ministri intendano adottare al fine di promuovere a livello nazionale una normativa che regoli il recupero delle ex discariche in area adibite allo sviluppo di energie rinnovabili.
(4-05621)
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nella mattinata del 30 dicembre 2009 sono state segnalate forti emissioni di gas presso il centro oli Eni di Viggiano, in provincia di Potenza;
il centro Oli di Viggiano rientra in quella categoria di impianti classificati ad alto rischio di incidente rilevante;
sulle avvenute emissioni di gas, alcuni dirigenti dell'Eni hanno parlato a mezzo stampa di un blocco di una turbina dell'impianto, con conseguente rilascio di non meglio definiti «gas ed altri liquidi» in atmosfera;
in Val d'Agri, da oltre dieci anni, è assente una rete di monitoraggio che rilevi in continuo tutti gli inquinanti (ivi compresi IPA, COV, Benzene, H2S Idrogeno Solforato), così come previsto dagli accordi Eni-Regione mentre risulterebbe che solo l'Eni all'interno del Centro Oli abbia attivi sistemi di rilevazione dei gas immessi accidentalmente in atmosfera e proprie centraline di rilevazione da cui si desume che sia anche in possesso degli eventuali dati relativi ai gas incombusti immessi accidentalmente in atmosfera -:
se e come si intenda provvedere alla misurazione delle quantità di emissioni di inquinanti nell'aria, nel suolo e nelle falde acquifere dell'impianto;
quali siano i dettagli del piano di emergenza previsto all'interno e all'esterno dell'impianto dalle vigenti normative in materia, ai sensi dei decreti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 maggio 2009, n. 138 e 24 luglio 2009, n. 139.
(4-05635)
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riferisce l'Osservatorio sui consumi di suolo, istituito dal Dipartimento architettura e pianificazione del Politecnico di Milano, dall'Istituto nazionale di urbanistica e da Legambiente, le aree occupate da edifici, strade e infrastrutture negli ultimi anni sono cresciute di 10 ettari al giorno in Lombardia, di 8 ettari in Emilia Romagna e di poco meno di un ettaro in Friuli Venezia Giulia;
le informazioni sono state richieste a tutte le province italiane ma si sono potute elaborare in modo omogeneo solo quelle di tre regioni (Lombardia, Emilia Romagna e Friuli) e, in modo disomogeneo quelle della provincia di Torino;
la principale difficoltà è stata la mancanza in molte regioni di cartografie digitalizzate in almeno due anni diversi;
molte provincie non hanno risposto e quelle che lo hanno fatto disponevano spesso di mappe parziali, discontinue, raccolte con metodi diversi e su scale non coerenti;
al livello di approfondimento dato allo studio sarebbe bastato confrontare ortografie satellitari prese in anni diversi, a bassa risoluzione, per coprire tutta la penisola con investimenti limitati;
i dati raccolti una volta standardizzati sono comunque preziosi e permettono anche di dettagliare i trend di trasformazione trasversale: per esempio da terreno agricolo a bosco;
in altri paesi come la Germania, l'Olanda e la Svizzera vengono effettuate rilevazioni annuali poi utilizzate per elaborare la pianificazione urbanistica -:
se e come il Ministro intenda operare al fine di consentire il completamento al più presto della ricognizione del territorio in base a criteri omogenei così da offrire ai comuni una base-dati accurata per programmare il governo del territorio.
(4-05639)
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
da notizie pubblicate sulla stampa locale umbra del 5 gennaio 2010, emerge che vi sono grandissime quantità di eternit nell'area dell'ex Spea del comune di Narni;
in totale pare siano 13 gli edifici con eternit e anche amianto secondo un elenco che riguarda: un magazzino con copertura inclinata a capanna, orditura con pannelli di amianto e manto di copertura in eternit (in pessimo stato conservativo, costruito tra il 1908 e il 1922); due autorimesse con copertura a capanna, orditura con pannelli di amianto e manto di copertura in eternit (anch'esse in pessimo stato e costruite tra il 1908 e il 1922); altri 8 edifici chiamati «riservette», con manto di copertura in eternit con moraletti di legno (costruiti nel 1939 in discreto stato conservativo); infine una riservetta con manto di copertura in eternit (costruita nel 1939 in pessimo stato conservativo);
sarebbero molte le famiglie che abitano vicino a questo sito;
alla bonifica dovrebbe provvedere il demanio militare italiano -:
se intendano verificare, per quanto di competenza, la pericolosità e la contaminazione dell'aria a cui sono esposte le persone e quali iniziative intendano adottare per la rimozione definitiva del materiale nocivo.
(4-05660)
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
da poco meno di un anno, a Terzigno, sulle pendici del vulcano più famoso del pianeta, visitato da circa due milioni di turisti l'anno, parco nazionale, riserva mondiale dell'Unesco, zona di protezione speciale dell'Unione europea, è attiva una discarica di rifiuti solidi urbani nella ex cava Sa.Ri che sta arrecando disagio alla popolazione di Boscoreale e ingenti danni economici alle aziende vitivinicole del territorio;
è stata annunciata nel corso di una conferenza di servizi svoltasi a fine 2009, l'avvio di una nuova discarica nella cava Vitiello, nel comune di Terzigno e ai confini con Boscoreale, un invaso in grado di ospitare 4,5 milioni di metri cubi di rifiuti dove, in base all'articolo 18 del decreto legislativo, è prevista la possibilità di sversare anche le ceneri dell'inceneritore di Acerra e rifiuti pericolosi;
da più parti si denunciano, i rischi legati a questa discarica e perfino il commissario prefettizio che regge il comune di Terzigno ha espresso contrarietà nonostante la prefettura in Campania sia sempre stata a favore delle discariche;
il quotidiano Terra riferisce che nel corso della conferenza di servizi è stata presentata una valutazione di incidenza redatta dal centro di ricerca interuniversitario «Biodiversità, fitosociologia ed ecologia del paesaggio», coordinato dal professore Carlo Blasi dell'università Sapienza di Roma, documento tecnico che ha suscitato incredulità, indignazione e preoccupazione negli studiosi che da anni conducono ricerche sugli aspetti naturalistici del Parco nazionale del Vesuvio e che non sono stati coinvolti nella redazione;
gli «esperti» coinvolti, pur dichiarando di avere avuto poco tempo a disposizione per i rilevamenti sul campo ed essendosi quindi basati sulla bibliografia esistente, avrebbero inoltre ignorato proprio i lavori scientifici più recenti e più completi finanziati dall'Unione europea giungendo ad affermazioni singolari come quella per cui la discarica non attirerà i gabbiani perché la zona a detta degli «esperti» non è frequentata da tali uccelli, mentre invece il cielo in certi momenti della giornata è coperto da stormi di gabbiani che si cibano nell'adiacente discarica della ex Sa.Ri. Inoltre nel documento non c'è alcun accenno su come mitigare il rischio che la fauna selvatica del Parco non porti in giro nel territorio le sostanze pericolose che vi sono state sversate -:
se corrisponda al vero quanto sopra descritto;
se e come ritengano di operare, per quanto di competenza, perché una scelta così impattante e grave qual è quella di aprire una discarica di 4,5 milioni di metri cubi in un Parco nazionale, destinata anche a ricevere rifiuti speciali, sia affrontata in modo più serio e più approfondito e per evitare l'insorgere di nuove emergenze ambientali o sanitarie.
(4-05662)
...
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI
Interrogazioni a risposta scritta:
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere:
se come riportato da notizie di stampa, il film «Natale a Beverly Hills» abbia beneficiato di contributi pubblici per circa 1,5 milioni di euro;
in caso affermativo, con quale motivazione si sia ritenuto opportuno elargire tale finanziamento;
se il sopra citato film sia stato classificato dalla sottocommissione cinema del ministero dei Beni e le attività culturali di interesse culturale;
in base a quale criterio si sia provveduto a classificare «Natale a Beverly Hills» come opera di «interesse culturale»;
quanti e quali film abbiano usufruito di contributi pubblici dall'entrata in vigore della cosiddetta «legge cinema» del 2004 e l'ammontare del contributo per ciascun film -:
quali siano i film che, dall'entrata in vigore della citata legge, siano stati classificati come film di «interesse culturale»;
quanto questi film abbiano incassato;
da chi siano stati prodotti i film che hanno beneficiato del citato contributo, e in particolare, quanti e quali film siano stati prodotti da Filmauro, quanti film siano stati prodotti da De Laurentis, quanti film siano stati prodotti da Medusa;
quanti film siano stati prodotti da altri soggetti.
(4-05637)
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
dal 1o gennaio 2010 è entrata in vigore la norma in base alla quale il parere del soprintendente è vincolante per tutti gli interventi sulle aree vincolate, a partire da quelli edilizi;
con questo nuovo regime, le regioni devono affrontare il problema delle deleghe poiché oltre 2.600 comuni non avranno più la titolarità per il rilascio del nullaosta ed il «Codice Urbani» prevede che in questo caso le competenze tornino alle regioni che rischiano di vedersi sommerse di pratiche sul paesaggio così come le relative soprintendenze -:
come il Ministro intenda adeguare le strutture per far fronte alle nuove competenze.
(4-05638)
GIULIETTI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 4 gennaio 2010 da un articolo del quotidiano Corriere della Sera a firma di Valerio Cappelli si ha notizia che Massimo Ghini, noto artista nonché presidente del sindacato attori, sta ricevendo, da oltre un anno, diverse minacce da parte dell'IMAIE, istituto che tutela gli artisti esecutori;
l'IMAIE ritira i compensi dei soci aventi diritto, e poi li ridistribuisce. Massimo Ghini rappresenta la possibilità di «una truffa. Si parla di 2 milioni e mezzo di euro. Sono stati usati marchingegni poco chiari, risultano iscritte persone che non ne avrebbero diritto. Ci sono gruppi di potere e connivenze all'interno della società» -:
se siano state avviate indagini in ordine alla vicenda di cui in premessa e se non si ritenga di assumere, per quanto di competenza, iniziative a tutela dell'attore Ghini e di tutti gli altri artisti.
(4-05670)
...
DIFESA
Interrogazioni a risposta scritta:
MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19233 del 23 maggio 2007 ha bocciato l'attribuzione di incarichi dirigenziali discrezionalmente conferiti nelle pubbliche amministrazioni;
il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 «Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni» stabilisce requisiti rigorosi e trasparenti per il conferimento degli incarichi dirigenziali;
i dirigenti civili del Ministero della difesa hanno segnalato molteplici situazioni di malessere ed inquietudine derivanti in particolare dai recenti conferimenti di incarichi dirigenziali di prima fascia presso la Direzione generale del personale civile e presso la Direzione generale di commissariato e dei servizi generali da cui si paventa il mancato rispetto di procedure e criteri finalizzati alla massima trasparenza ed imparzialità, con logiche che agli stessi appaiono poco chiare e trasparenti, non garantendo in alcun modo le propugnate dinamiche di ottimizzazione delle risorse dirigenziali e non consentendo di incentivare la meritocrazia e tanto meno di incrementare i livelli di efficienza ed efficacia della pubblica amministrazione -:
se il conferimento degli incarichi dirigenziali di cui in premessa sia stato effettuato secondo criteri predefiniti, se siano stati indetti concorsi e se sia stata assicurata adeguata pubblicizzazione degli
incarichi e procedure di valutazione con effettiva comparazione dei curricula dei candidati come previsto dalle norme sopra richiamate;
se tutti i possibili candidati siano stati posti in situazione di parità sostanziale di trattamento nell'attribuzione degli incarichi dirigenziale di vertice presso il Ministero della difesa, garantendo le aspettative di imparzialità e meritocrazia dei dipendenti civili al fine di assicurare il buon andamento e l'efficienza dell'Amministrazione della difesa;
quali urgenti iniziative i Ministri interrogati intendano assumere rispetto alle citate problematiche onde conseguire una reale parità di trattamento fra i candidati dirigenti civili della difesa nel conferimento degli incarichi, e se intendano stabilire preventivamente regole, criteri e metodologie di assegnazione degli incarichi dirigenziali di vertice presso il Ministero della difesa e con quali modalità.
(4-05652)
MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
i genitori del geniere Alessandro Garofolo della 132a Brigata corazzata «Ariete», deceduto il 25 marzo del 1993 a seguito di linfoma di Hodgkin, da oltre 16 anni chiedono di conoscere la verità sulla causa della morte del proprio figlio;
fino dalla 13a legislatura si sono susseguite tre interrogazioni (n. 4/33966 del 12 febbraio 2001, 4-00039 del 31 maggio 2006 e 4-05531 del 7 novembre 2007) alle quali il Ministro competente non ha dato alcuna risposta;
il 25 marzo del 2010 ricorrerà il 17o anniversario della tragica morte del giovane Alessandro Garofolo -:
se il Ministro interrogato non ritenga doveroso far conoscere ai signori Garofolo quali siano state le cause della prematura morte del loro figlio Alessandro, e quali azioni intenderà predisporre affinché, anche ad essi, sia dato un giusto riconoscimento morale e un adeguato risarcimento economico.
(4-05671)
...
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazioni a risposta scritta:
JANNONE. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
il quadro nazionale prodotto dal Ministero per i beni e le attività culturali restituisce il ritratto di un'Italia che volge le spalle alla sua stessa tradizione, nella quale, nell'arco di cinque anni, le risorse finanziarie per l'attività delle biblioteche pubbliche statali, quarantasei istituti, tra cui la Braidense, la Laurenziana, la Malatestiana, l'Angelica e la Casanatese, sono state ridotte della metà, da trenta milioni a sedici milioni di euro, con un depauperamento ancora più marcato per le due Biblioteche Nazionali centrali di Roma e Firenze, custodi delle stesse fonti dell'identità nazionale italiana. Dall'acquisizione dei libri alla valorizzazione, dalla prevenzione alla tutela, dai servizi per il pubblico all'informatizzazione, non c'è passaggio nell'attività delle biblioteche che oggi non mostri limiti e disfunzioni. Il confronto con la British Library di Londra o la Bibliothèque Nationale de France finisce per essere mortificante;
il merito di aver prodotto un quadro aggiornato del «costume bibliotecario degli italiani» è della stessa Direzione generale per le biblioteche. L'auspicio del direttore Maurizio Fallace è che tale rapporto «sia lo strumento per ottenere maggiore attenzione politica e soprattutto un incremento di fondi»; la situazione appare molto critica, quasi disperata, con la diminuzione della qualità dei servizi, che causa anche un netto calo della domanda, cioè del numero dei prestiti e delle persone
ammesse al servizio. Il rapporto del Ministero recita: «se non si aggiornano le collezioni librarie e se non si ha la possibilità di catalogare tempestivamente il materiale acquisito, anche l'utenza è scoraggiata». Se nel 2005 si spendevano per il patrimonio bibliografico 8.263.311 euro, la previsione per il 2010 è di 3.605.877. La spesa per il funzionamento del servizio bibliotecario informatico passa da cinque milioni a meno di quattro milioni di euro, mentre per la tutela dei libri e dei documenti la spesa è ancora minore: da 3.525.966 a 650.000 euro, con i quali si consentono appena la manutenzione degli impianti di sicurezza, antifurto o antincendio, mentre mancano le risorse per i lavori di spolveratura, rilegatura, disinfestazione. Anche la catalogazione nel Sistema bibliotecario nazionale mostra una vera falla: dagli 823.821 euro del 2005 agli 84.645 euro previsti per il prossimo anno, una cifra del tutto inadeguata dato che solo per il recupero del materiale del Novecento, almeno cinque milioni i volumi non ancora catalogati, si necessiterebbe di circa venti milioni di euro;
l'emblema del grave declino è rappresentato dalle due Biblioteche centrali di Roma e Firenze. Quella romana, risulta oggi la più sacrificata, con una dotazione di 1.590.423 euro, mentre per un buon funzionamento occorrerebbero almeno trenta milioni di euro. Il paragone con le altre biblioteche europee è schiacciante: la dotazione annua della Bibliothèque Nationale de France è 254 milioni di euro, quella della British Library supera i 159 milioni. Se riferiti al personale, i dati sono ancora più clamorosi: alla Bibliothèque Nationale lavorano 2.651 persone, in quella inglese 2.011, a Firenze 205, a Roma 264: complessivamente le due biblioteche nazionali italiane hanno un patrimonio librario equivalente a quello parigino, circa 14 milioni di volumi, ma vi lavora meno di un quinto del personale impiegato a Parigi. Per la Biblioteca Nazionale di Roma, le risorse attualmente disponibili non bastano a garantire neppure la pura e semplice sopravvivenza dell'istituto. Come afferma Tullio Gregory, bibliofilo appassionato, «La biblioteca è un centro di ricerca intellettuale, al pari di un laboratorio scientifico, Necessitano entrambi degli strumenti più aggiornati. In caso contrario, ci si condanna a guardare le stelle ancora con il cannocchiale di Galileo. In Italia ci si dimentica che l'investimento nella ricerca è direttamente produttivo. Non a caso i paesi più attenti alla cultura sono quelli più sviluppati»;
il caso italiano è grave. Non solo si privano i lettori di strumenti essenziali, ma si rinuncia a valorizzare un patrimonio straordinario. Le biblioteche sono laboratori di cultura, dotati di fondi preziosi che devono essere ancora studiati e analizzati. La biblioteca nazionale di Roma non dispone di risorse finanziarie sufficienti per acquistare libri stranieri. Questo significa che non possiamo più acquisire importanti collezioni di classici latini pubblicate all'estero, né potranno essere completate le raccolte di periodici e riviste italiane cominciate da decenni. Un patrimonio condannato ad essere svalutato -:
quali misure i Ministri intendano adottare al fine di incrementare le risorse finanziarie disponibili per le biblioteche nazionali, nonché per reclutare nuovo personale qualificato, che possa svolgere al meglio il proprio delicato lavoro.
(4-05626)
JANNONE. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
le caselle postali subiranno rincari a partire dal prossimo 1o gennaio 2010. L'abbonamento subirà un incremento che andrà, a seconda della misura della casella stessa, dal 285 al 400 per cento. Ad oggi infatti le caselle a disposizione nelle 400 sedi di Poste che garantiscono il servizio, sono di tre dimensioni. Affittare per un intero anno la più piccola (in cm 14,5x9,6x40) costa 35 euro, quella media 42, la più grande 50 euro. Con il nuovo anno, il canone d'affitto passerà rispettivamente a 100, 150 e 200 euro, comprendenti anche costi prima pagati a parte,
come il servizio fax o la possibilità di usare la casella anche per la posta dei familiari, ma la differenza è, comunque, evidente;
la società Poste Italiane spa continuerà a garantire una casella postale gratuita a tutti gli utenti che, vivendo in zone disagiate, non possono essere raggiunti dal servizio a domicilio, ma secondo le associazioni dei consumatori, ciò non basterà a tutelare le fasce deboli. Rosario Trafiletti, presidente di Federconsumatori, afferma: «Capisco che per le Poste questo non sia un servizio redditizio, capisco anche che ormai sia utilizzato soprattutto da aziende e professionisti e che le famiglie ne siano meno interessate. Ma le ripercussioni di questa decisione di Poste s.p.a. saranno evidenti: è chiaro che la piccola impresa, l'avvocato o il commercialista che ricorrono alla casella postale riverseranno l'aumento sulle tariffe applicate ai clienti. Alla fine il peso si abbatterà comunque sui consumatori. Risultato che, visti i tempi, non possiamo accettare»;
le caselle postali disponibili sono circa 300.000: di queste 210.000 risultano occupate, le altre 70 mila sono libere. Ad utilizzarle sono soprattutto piccole e medie imprese che le utilizzano per comodità, i privati sono pochi perché la possibilità di mantenere la riservatezza è oggi garantita tramite altre modalità. Difficile che a casa o in azienda arrivino missive non controllate: email a parte, le stesse Poste hanno varato due nuovi servizi «aspettami» (l'utente, quando si assenta per un periodo lungo può farsi mettere da parte la corrispondenza) e «dimmi quando» (il cliente sceglie il giorno in cui passerà a ritirare missive e pacchetti);
in più, sottolinea l'azienda, il servizio è in libera concorrenza, lo forniscono anche i privati e a prezzi decisamente più alti (una delle principali società concorrenti chiede 170 euro per la piccola, 208 per la media e 315 per la grande). «Ricorrere ad aumenti così elevati non rientra nella filosofia aziendale, precisa Romilo Giacani, responsabile dei rapporti con i consumatori per Poste spa, ma la redditività del servizio era bassissima e comunque i nostri prezzi sono molto più bassi rispetto a quelli che si possono trovare sul mercato. Le tariffe attuali sono insostenibili e la domanda è fortemente diminuita». La casella postale, insomma, è considerata una modalità ormai superata e l'azienda punta ad altre soluzioni, per esempio il postino «elettronico», che segue sul palmare il viaggio di lettere, raccomandate e pacchi -:
se sia possibile valutare iniziative dirette a contenere i rincari ventilati.
(4-05629)
RAZZI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
i vertici del gruppo Finmeccanica sono stati rinnovati recentemente dall'assemblea degli azionisti (tra cui lo Stato italiano);
il triennio di mandato per gli attuali vertici terminerebbe alla fine del 2011;
con tale termine alcuni attuali amministratori non avrebbero più i requisiti per poter essere rinnovati;
occorrerebbe verificare l'esatta rispondenza tra annunci, commesse conseguite ed effettive commesse ottenute;
delle commesse ottenute andrebbero verificati i margini di contribuzione;
a quanto consta all'interrogante oltre il 70 per cento delle commesse conseguite sono captive clients soprattutto dello Stato italiano;
appaiono inoltre sorprendenti all'interrogante i modi e la scelta degli amministratori delle singole aziende del gruppo Finmeccanica;
va sottolineata la rilevanza degli aspetti elencati su cui incombono connotazioni di carattere economico e comuni profili di responsabilità -:
se il Ministro interrogato intenda vigilare affinché il rinnovo dei vertici di Finmeccanica avvenga secondo criteri di trasparenza e nel rispetto delle scadenze e dei limiti fissati dalla legge.
(4-05653)
...
GIUSTIZIA
Interrogazione a risposta in Commissione:
SCHIRRU e MELIS. - Al Ministro della giustizia, al Ministro per i rapporti con le regioni. - Per sapere - premesso che:
il 30 maggio 2008 è stato pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri inerente il trasferimento delle funzioni di assistenza sanitaria in carcere dal Ministero della giustizia al servizio sanitario nazionale. L'articolo 8 del medesimo decreto prevede per le regioni a statuto speciale che esse debbano attuare quanto previsto dal dettato normativo in base ai rispettivi statuti;
nel caso specifico della Regione autonoma della Sardegna, l'attuazione deve essere preceduta dall'approvazione da parte della Commissione paritetica Stato-Regione della bozza predisposta dalla Giunta regionale. Risulta che detta Commissione si sia appena insediata a causa del ritardo del Ministero degli affari regionali, il quale, pur reiteratamente sollecitato dalla Regione, non ha ancora provveduto a concludere i lavori a causa dei ritardi nella nomina dei propri rappresentanti;
tale inadempimento, che si protrae da ormai un anno, determina un'estrema lentezza nel processo normativo-amministrativo volto a dare piena attuazione alla riforma e crea serissimi problemi non solo alla popolazione detenuta, ma anche agli operatori sanitari e di polizia penitenziaria negli istituti penitenziari e centri e servizi per la giustizia minorile, i quali svolgono il loro servizio con abnegazione e serietà, ma con carichi di lavoro divenuti ormai insostenibili per poter garantire il diritto alla salute e in condizioni ormai non accettabili per un Paese civile;
l'attuale assetto normativo, definito in base all'allegato A del suddetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, prevede che l'assistenza sanitaria sia assicurata in tutti gli istituti penitenziari nelle 24 ore, mentre in molti istituti sardi la presenza di un medico o un infermiere non è affatto garantita durante molte ore della giornata (così come accade a Iglesias, Oristano, Isili, Is Arenas, Macomer, Tempio, Lanusei, Quartucciu, e altri);
tali mancanze, determinate dalle ristrettezze economiche conseguenti agli esigui budget assegnati alle singole direzioni da parte del Ministero della giustizia, possono dare origine a gravi negligenze non solo per la tutela della salute dei detenuti, ma anche per la stessa sicurezza nelle strutture penitenziarie;
risulta che, in molti istituti, dove un elevato numero di persone detenute è sofferente di gravi patologie che necessitano di particolare assistenza sanitaria (tossicodipendenti, detenuti affetti da patologie psichiatriche anche in doppia diagnosi, HIV positivi, epatopatici cronici, cardiopatici, donne in stato di gravidanza e talvolta anche bambini figli di detenute), non vengono corrisposti gli emolumenti al personale sanitario in quanto risultano esauriti già dal mese di settembre 2009 gli esigui fondi a disposizione provvisoriamente assegnati dal Ministero della giustizia in attesa del transito definitivo delle competenze in materia di sanità penitenziaria alla Regione Sardegna (istituti di Cagliari, Sassari, Alghero e altri). Il personale è continuamente sotto pressione, con avvisi di garanzia in seguito alle denunce dei familiari dei detenuti e minacciato dai gruppi di azione locali anarchici;
nonostante l'assessore regionale dell'igiene e sanità e dell'assistenza sociale, nelle more del passaggio delle competenze, abbia stanziato un milione di euro per il residuo fabbisogno del 2009, i fondi, necessari
per garantire perlomeno il già carente status quo, non sono ancora utilizzabili a causa della situazione sopra illustrata. Si sta per aprire l'enorme incognita per l'anno 2010, in quanto è ormai evidente che la Commissione paritetica, anche se dovesse essere convocata con urgenza, non potrà concludere i suoi lavori entro il 31 dicembre di quest'anno -:
se il Governo non ritenga opportuno sollecitare con urgenza i propri rappresentanti all'interno della Commissione paritetica affinché sia data attuazione al dettato normativo e corrisposti gli emolumenti dovuti al personale sanitario.
(5-02311)
Interrogazioni a risposta scritta:
BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dal comunicato stampa del 30 dicembre dell'Osservatorio Permanente sulle morti in carcere (composto da Radicali Italiani, Associazione «Il Detenuto Ignoto», Associazione «Antigone»; Associazione «A Buon Diritto», Redazione di «Radio Carcere», Redazione di «Ristretti Orizzonti»), il 21 dicembre 2009 Pier Paolo Prandato è deceduto presso l'ospedale psichiatrico di Aversa nel quale si trovava ristretto da quasi un anno e mezzo;
Pier Paolo Prandato, 45enne, al processo era stato giudicato non imputabile perché incapace di intendere e volere al momento dei fatti e, quindi, condannato a scontare 4 anni nell'ospedale psichiatrico di Aversa;
il referto del medico legale sulle cause della morte parla di soffocamento da rigurgito di cibo, un'eventualità diffusa soprattutto tra i neonati e non certo tra gli adulti, sicché il magistrato di turno ha deciso di disporre un'autopsia al fine di accertare le cause del decesso;
attualmente gli ospedali psichiatrici attivi sono sei, di cui cinque (Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto) a diretta gestione dell'amministrazione penitenziaria ed uno, Castiglione delle Stiviere, amministrato sulla base di una convenzione tra il Ministero della giustizia e azienda ospedaliera;
complessivamente, in riferimento ai sei ospedali psichiatrici giudiziari, appaiono evidenti condizioni di assoluto degrado, di assenza di una efficace assistenza terapeutica, con un forte ricorso alla amministrazione di psicofarmaci e di sostanziale inesistenza di protocolli e modalità di collaborazione fra gli ospedali psichiatrici giudiziari e i dipartimenti di salute mentale presso le aziende sanitarie locali competenti sul territorio;
in particolare un'inchiesta del Corriere della Sera, pubblicata il 18 aprile 2007 con il titolo «Suicidi e Aids, i "matti" dimenticati», firmata dal giornalista Fulvio Buffi, ha riguardato proprio la situazione dell'ospedale psichiatrico di Aversa che, insieme a quello di Napoli, ospita il 40 per cento degli internati sul territorio nazionale;
in quell'inchiesta un peso rilevante ebbero le dichiarazioni rilasciate dal direttore dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, Adolfo Ferraro, secondo il quale il sessanta per cento degli internati nel centro potrebbe uscire «se ci fossero fuori strutture adatte ad accoglierli e curarli»; strutture che, si afferma nell'inchiesta, o appaiono inesistenti o, nel caso delle aziende sanitarie locali competenti, del tutto assenti, giacché le loro valutazioni sono espresse sulla base dei presunti maggiori costi di assistenza per ogni assistito rispetto a quelli sostenuti nella condizione di internato: «un recluso in ospedale psichiatrico giudiziario costa 600 euro all'anno, fuori ne costerebbe ventimila. E così pure a pena scontata, spesso al giudice di sorveglianza non resta altro che applicare la proroga della reclusione. Lo chiamano «ergastolo bianco»: nessuno sa quando finirà»;
nel 1997 l'allora direttore dell'amministrazione penitenziaria, dottor Michele Coiro, osservò che «il sistema deve cambiare radicalmente. Se il carcere deve servire a risocializzare e la riforma psichiatrica ci ha insegnato che l'istituto non cura, il malato di mente deve aver diritto alla pena»;
a suo tempo la, commissione Pisapia per la riforma del codice penale si orientò all'unanimità dei propri componenti a favore: a) della eliminazione delle misure di sicurezza per le persone non imputabili; b) dell'essenziale previsione della applicabilità delle misure di sostegno non oltre l'entità della pena - contro, appunto, l'incivile possibilità di misure di sicurezza che possono essere prorogate senza limiti -; c) della valutazione periodica dell'efficacia dei protocolli terapeutici; d) del mantenimento di strutture sanitarie specifiche nei casi in cui sia impossibile prescindere dal controllo quotidiano;
a giudizio dell'interrogante il problema delle condizioni e del ruolo degli ospedali psichiatrici giudiziari deve essere oggetto di una seria riflessione da parte dei Ministri interrogati per riuscire a realizzare, al più presto, iniziative adeguate ad affrontare una situazione grave, sotto molti profili, ormai da lungo tempo;
con Pier Paolo Prandato salgono a 175 i detenuti morti dall'inizio dell'anno nei luoghi di reclusione, di cui 72 suicidi. Questi 175 decessi si conoscono perché ne è pervenuta segnalazione, sicché è ragionevole prevedere che gli stessi non rappresentino la totalità dei «morti in carcere» -:
se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intendano, negli ambiti di rispettiva competenza e nel rispetto e a prescindere dalle inchieste avviate dalla magistratura, aprire un'indagine amministrativa interna volta a verificare, in ordine alla morte del signor Pier Paolo Prandato, eventuali responsabilità disciplinari del personale amministrativo e medico operante all'interno dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa;
quali misure amministrative i Ministri interrogati intendano assumere, per quanto di loro competenza, in tempi immediati, per affrontare le condizioni di insostenibile degrado, di repressiva segregazione, anche laddove immotivata da diagnosi psichiatrica, di abbandono civile ed etico, cui sono sottoposti gli internati nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa nonché negli altri ospedali psichiatrici giudiziari sparsi sul territorio nazionale;
quali indirizzi il Governo intenda assumere o confermare, in riferimento ai lavori svolti a suo tempo dalla Commissione Pisapia, in ordine agli articoli del codice penale che interessano l'adozione delle misure di sicurezza per i malati di mente, in conformità con le sentenze della Corte costituzionale.
(4-05619)
BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia Ansa del 29 dicembre 2009, un bimbo nigeriano di appena 16 mesi ha trascorso le festività di Natale nella casa circondariale di Buoncammino, dove il 25 dicembre è stato anche battezzato insieme alla giovane mamma, detenuta nella predetta struttura penitenziaria;
a tal proposito la presidente dell'associazione «Socialismo Diritti Riforme», Caligaris, ha parlato apertamente di un caso di «ingiusta detenzione senza alcun risarcimento» richiamando l'attenzione delle istituzioni sulla necessità di garantire ai minori di madri detenute condizioni di vita adeguate alle loro esigenze;
il piccolo nigeriano ha appena 16 mesi, ma, suo malgrado, vanta già alcuni record negativi: oltre al Natale, dietro le sbarre, 4 mesi fa, ha festeggiato ferragosto e il suo primo compleanno;
il bambino, che ha ottenuto grazie alla sensibilità del giudice di poter frequentare
un asilo nido e di trascorrere qualche ora fuori dal carcere, non può continuare a crescere dentro una struttura detentiva;
ad oggi le dichiarazioni di principio del Ministro Alfano, con le quali il Governo aveva garantito la soluzione del problema dei minori di 3 anni negli istituti di pena, sono rimaste senza seguito -:
se non si ritenga di elaborare un progetto per il ricovero delle detenute con bimbi in tenera età in strutture protette e controllate diverse dagli istituti di pena, per evitare l'immagine penosa di bambini costretti a vivere l'angustia del carcere.
(4-05631)
BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da un articolo pubblicato sul quotidiano Il Tirreno il 29 dicembre, la casa circondariale di Pistoia, costruita per ospitare 65 detenuti, attualmente ne contiene 149, il che ne fa l'istituto più sovraffollato di tutta la Toscana con una presenza che ha superato il 230 per cento della capienza regolamentare;
secondo quanto dichiarato dall'Associazione Antigone, nel carcere di Via dei Macelli «ci sono celle di 8 metri quadrati in cui vivono 3 detenuti e celloni di 24 metri in cui ne vivono 9»;
dei 149 detenuti presenti nella struttura, solo 52 sono definitivi. Secondo quanto denunciato da Antigone, «le pesantissime condizioni di sovraffollamento hanno conseguenze drammatiche, basti pensare che nelle celle di 8 metri quadri scarsi, sono detenute 3 persone (c'è un letto a castello a tre posti), mentre nei cameroncini da 18 metri sono detenute 6 persone, e nei celloni da 24 metri ci si sta in 9»;
nel carcere di Pistoia viene ampiamente violata la soglia dei 3 metri quadrati per detenuto, soglia al di sotto della quale, per la Corte europea dei diritti umani, si configura automaticamente il reato di tortura;
un terzo dei detenuti recluso nelle carceri toscane è tossicodipendente quando le misure alternative, soprattutto per i tossicodipendenti, hanno costi, e garantiscono tassi di recidiva, decisamente inferiori rispetto al carcere -:
quali urgenti misure intenda adottare al fine di riportare il carcere di Pistoia ad una condizione rispettosa della normativa garantendo ai detenuti e agli agenti penitenziari migliori condizioni di vivibilità e di lavoro;
se non ritenga opportuno adottare provvedimenti volti a implementare il ricorso alle misure alternative per i detenuti tossicodipendenti così come previste dall'attuale testo unico sugli stupefacenti.
(4-05632)
BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da un articolo pubblicato sul quotidiano Il Tempo il 31 dicembre 2009, attualmente nella casa circondariale di Latina, a fronte di una capienza di 86 persone, ve ne sono rinchiuse 148, di cui 116 uomini e 32 donne;
più in generale nel Lazio i reclusi negli istituti carcerari sono 5.835, oltre 1.200 in più rispetto alla capienza regolamentare degli istituti della regione dichiarata dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (4.619 posti);
a tal proposito il garante dei detenuti del Lazio, avvocato Angiolo Marroni, ha affermato: «Il sovraffollamento, la carenza di uomini e di risorse, l'inadeguatezza delle strutture e la difficoltà di svolgere le attività trattamentali, stanno trasformando il carcere in un luogo invivibile, dove disperazione e mancanza di
prospettive, aumentano di giorno in giorno. Non è sicuramente un caso se questo 2009 sarà ricordato come il peggiore della storia della Repubblica per numero di suicidi in carcere, 71. In totale, nel 2009, i morti all'interno delle carceri italiane sono stati 173»;
la situazione in cui versa la casa circondariale di Latina rappresenta una palese violazione della norma costituzionale secondo cui la pena deve punire ma anche e soprattutto rieducare -:
quanti siano gli operatori dell'area pedagogica e dei centri di servizio sociale impegnati nel carcere di Latina e, più in generale, negli istituti di pena laziali;
quali provvedimenti ritenga opportuno adottare affinché nel carcere di Latina le condizioni strutturali e igieniche migliorino per assicurare condizioni di vita dignitose;
quali iniziative il Governo intenda porre in essere affinché gli indirizzi di gestione del sistema penitenziario siano conformi ai principi del nuovo Regolamento penitenziario in ordine agli interventi di trattamento del detenuto.
(4-05633)
BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dal comunicato stampa del 4 gennaio dell'Osservatorio Permanente sulle morti in carcere (composto da Radicali italiani, associazione «Il Detenuto Ignoto», Associazione «Antigone»; associazione «A Buon Diritto», redazione di «Radio Carcere», Redazione di «Ristretti Orizzonti»), il 2 gennaio scorso Pierpaolo Ciullo, 39 anni, è deceduto nel carcere di Altamura (Bari);
Pierpaolo Ciullo, originario della Provincia di Lecce, era arrivato da poco nell'istituto penitenziario di Altamura, proveniente dalla casa circondariale di Lecce. Da quanto si è appreso sarebbe stato lui stesso a chiedere di essere trasferito, perché nel carcere leccese vi era un rapporto difficile con gli altri detenuti;
il giovane è stato rinvenuto, ormai senza vita, ai piedi del letto nella sua cella, dove sembra fosse da solo; vicino al corpo un fornello da campeggio, alimentato da una bombola di gas, di quelli in dotazione ai detenuti. A nulla sono serviti i soccorsi del personale della casa circondariale;
l'ipotesi del suicidio non è stata ancora confermata ufficialmente, ma sembrerebbe al momento la più probabile;
dopo che il 2009 ha fatto registrare il numero più alto di suicidi in carcere della storia italiana (72), il 2010 sembra essere iniziato all'insegna della medesima «emergenza»;
nel piccolo carcere di Altamura, dove a fronte di 52 posti «regolamentari» i detenuti presenti sono 90, erano anni che non si verificava un suicidio. Complessivamente nelle carceri pugliesi, invece, i detenuti sono oltre 4.300 (la capienza è di 2.535 posti) e nel 2009 si sono verificati 3 suicidi (a Foggia, all'IPM di Lecce e a San Severo), mentre i tentativi di suicidio sono stati circa 80. Nei luoghi di reclusione pugliesi, nel 2008, i suicidi erano stati 2 ed i tentativi di suicidio circa 60;
nel 2009 sono state 173 le persone morte nei luoghi di reclusione, alcuni di questi decessi sono avvenuti per cause ancora non del tutto chiare -:
quali siano le informazioni del Ministro sui fatti riferiti in premessa e, in particolare, se non intenda avviare, nel rispetto e a prescindere dalla eventuale inchiesta che sulla vicenda aprirà la magistratura, un'indagine amministrativa interna volta a verificare le cause che hanno cagionato la morte del detenuto Pierpaolo Ciullo;
se il Ministro non ritenga che l'alto tasso di suicidi in carcere dipenda dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno
e se ritenga necessario assumere iniziative normative volte a modificare il regolamento sull'ordinamento penitenziario al fine di assicurare, attraverso una maggiore personalizzazione del trattamento, una «detenzione giusta», rispettosa del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali degli individui, se del caso, istituendo in ogni carcere degli appositi presidi specializzati per prevenire il rischio-suicidi e le altre emergenze legate ai disagi psicologici;
quali iniziative, più in generale, il Governo intenda assumere per contenere e ridurre l'alto tasso dei decessi per suicidio in carcere;
se non ritenga urgente riferire sulla reale consistenza delle morti in carcere in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle avvenute per cause sospette;
quali provvedimenti ritenga opportuno adottare per ricondurre il carcere di Altamura - e, più in generale, gli istituti di pena pugliesi - in condizioni rispettose della normativa, così da assicurare condizioni di vita dignitose sia ai detenuti che al personale di polizia penitenziaria.
(4-05640)
BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la prima firmataria del presente atto assieme a Maurizio Bolognetti, membro della direzione nazionale di Radicali italiani, il 27 dicembre 2009 ha visitato le carceri lucane di Matera, Melfi e Potenza;
tutti e tre gli istituti penitenziari presentano una situazione di preoccupante sovraffollamento, carenza di personale di ogni tipo, condizioni di detenzione ben lontane da quanto previsto dal dettato costituzionale e dall'ordinamento penitenziario in termini di trattamento finalizzato alla rieducazione e al futuro reinserimento sociale di quanti oggi sono privati della libertà personale;
in particolare, quanto a sovraffollamento, nel carcere di Matera sono presenti 160 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 140 (ma due reparti sono chiusi), nella casa circondariale di Melfi ci sono 207 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 128, a Potenza i detenuti sono 242 a fronte di una capienza regolamentare di 172;
quanto agli agenti di polizia penitenziaria, se nel carcere di Melfi si registrano presenze appena sufficienti viste le molte incombenze relative ai servizi esterni al carcere, nel carcere di Matera mancano 26 agenti, mentre in quello di Potenza ne mancano 30;
gli educatori costituiscono una figura professionale quasi inesistente nelle carceri lucane: ce ne sono solo due nel carcere di Potenza e un solo educatore nelle carceri di Matera e Melfi;
l'attività trattamentale, nonostante gli sforzi di tutto il personale dei tre istituti lucani, è ridotta all'osso con il risultato che i detenuti sono costretti a passare quasi l'intera giornata ristretti nelle celle; quanto al lavoro, sono impegnati a svolgere peraltro solo mansioni alle dirette dipendenze dell'amministrazione penitenziaria il 25 per cento dei detenuti di Matera, il 14 per cento dei detenuti di Melfi e il 12 per cento dei detenuti di Potenza; anche laddove esistono strutture sportive come nella casa circondariale di Potenza dove c'è un'attrezzata palestra, queste sono inutilizzate per la carenza di personale;
in tutti e tre gli istituti penitenziari si registra un'altissima percentuale di detenuti che, provenendo da altre lontane regioni, sono impossibilitati ad avere colloqui con i propri familiari, anche quelli più stretti, come figli, coniugi, genitori; inoltre, poiché il regolamento penitenziario vieta le telefonate a familiari che abbiano a disposizione solo un telefono
cellulare e non un apparecchio fisso, per diversi detenuti è nei fatti impossibile qualsiasi contatto affettivo;
in nessuno dei tre istituti è attiva un'area verde per i colloqui con i bambini, che si vedono così costretti ad incontrare il proprio padre o la propria madre in luoghi tristi e inospitali;
gli edifici che ospitano le tre strutture penitenziarie sono tutti fatiscenti e mancano di qualsiasi tipo di manutenzione, anche ordinaria, per mancanza di fondi;
secondo un comunicato stampa delle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria riguardante la casa circondariale di Potenza il degrado della struttura «offende la dignità umana» e la mancanza di spazi determina l'inciviltà della detenzione con evidenti ripercussioni sulle già scarse attività trattamentali; in particolare, tutta la cinta muraria, secondo una denuncia della UIL Penitenziari, si presenta in condizioni pessime, inadeguata e pericolosa per l'incolumità fisica, così da richiedere un'immediata straordinaria manutenzione per ripristinare almeno elementari criteri di sicurezza;
quanto agli spazi ristretti in cui sono costretti a vivere i detenuti, paradossale appare il caso della casa circondariale di Matera dove due reparti ristrutturati rimangono vuoti e chiusi per mancanza di personale;
da segnalare, quanto ad esempio di inciviltà, il reparto del carcere di Potenza dove le celle sono dotate di water a vista, togliendo ai detenuti qualsiasi forma di rispetto della loro privacy;
d'altra parte, le condizioni igienico-sanitarie dei tre istituti lucani sono a dir poco scadenti stante la penuria dei fondi persino per l'acquisto del materiale per la pulizia delle celle;
il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale, ben lungi dall'essere realizzato in Basilicata, sta determinando grave pregiudizio alla salute dei detenuti: sia nel carcere di Potenza che in quello di Matera manca una copertura h 24 del personale medico e infermieristico;
in particolare, a Matera, il trasferimento dei beni mobili e strumentali finalizzati alle funzioni sanitarie dal Ministero della giustizia alle ASL materane è ancora in alto mare, non essendo stato ancora ultimato l'inventario delle strumentazioni da rottamare e di quelle da prendere in carico; appare singolare, a questo proposito, l'atteggiamento dell'ASM Matera che, senza fare alcun sopralluogo, ha dichiarato tutte le strumentazioni inutilizzabili; ad avviso degli interroganti, c'è da chiedersi come possa essere andata avanti fino ad ora la sanità nel carcere di Matera e come mai le cose siano addirittura peggiorate con il passaggio al Servizio sanitario nazionale: responsabile appare invece la posizione della direttrice dell'Istituto, dottoressa Maria Teresa Percoco, che ha chiesto di fare «un inventario fedele alla realtà», evitando così inutili sprechi di denaro pubblico per acquistare ex novo attrezzature sanitarie ancora funzionanti -:
quali urgenti iniziative si intendano assumere per garantire condizioni di vita dignitose ai detenuti ed agli operatori delle carceri lucane e, in particolare, entro quali tempi si preveda che i tre istituti possano rientrare nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
quali iniziative intendano assumere, negli ambiti di rispettiva competenza, per garantire il diritto alla salute dei detenuti e, in particolare, per accelerare il passaggio della medicina penitenziaria dal Ministero della giustizia al Servizio sanitario nazionale;
se non si ritenga di dover acquisire gli inventari dei beni mobili e strumentali finalizzati alle funzioni sanitarie che devono essere trasferiti alle ASL lucane, verificando che non si verifichino sprechi attraverso la rottamazione di strumentazioni ancora efficienti;
se non si ritenga di dover acquisire le relazioni tecniche effettuate dalle ASL lucane
a seguito della diffida presentata dai Radicali nel mese di agosto 2009, soprattutto per quanto attiene l'agibilità delle strutture in cui sono costretti a vivere detenuti e personale;
se non si ritenga di dover urgentemente intervenire per: riportare a norme di sicurezza il muro di cinta del carcere di Potenza; assicurare il diritto alla privacy ai detenuti del carcere di Potenza che sono costretti ad utilizzare water a vista; ripristinare le dotazioni economiche necessarie alle carceri lucane per far lavorare i detenuti, per effettuare la manutenzione ordinaria e straordinaria e per assicurare l'acquisto del materiale necessario alla pulizia delle celle; istituire finalmente le aree verdi finalizzate agli incontri con i minori;
cosa si intenda fare per garantire ai detenuti l'attività trattamentale, sia essa di studio e/o di formazione e lavoro, atta a preparare il futuro reinserimento sociale previsto dall'articolo 27 della Costituzione;
se non si intendano adottare le opportune iniziative al fine di aumentare l'organico degli agenti penitenziari, degli educatori, degli psicologi e degli assistenti sociali in servizio presso i tre istituti di pena lucani, in modo da rendere lo stesso adeguato al numero delle persone recluse;
se non si ritenga di dover intervenire per avvicinare i detenuti al loro luogo di residenza e per fare in modo che abbiano possibilità concrete di contatti telefonici con i loro familiari anche quando questi ultimi non dispongano di un telefono fisso;
se il Governo non intenda assumere iniziative volte a destinare maggiori fondi e risorse al potenziamento delle misure alternative al carcere, anche attraverso la creazione di percorsi protetti di reinserimento sociale e lavori socialmente utili per tutti i condannati a pene inferiori ai tre anni di reclusione.
(4-05651)
BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da una nota dell'agenzia Adn-Kronos, nella serata del 7 gennaio 2010, Antonio Tammaro, 28enne, si è tolto la vita nel carcere di Sulmona impiccandosi legando le lenzuola alle grate della sua cella;
l'uomo era detenuto nella parte dell'Istituto adibita a casa lavoro, quindi non stava scontando una pena per aver commesso reati, ma era sottoposto ad una misura di sicurezza in quanto socialmente pericoloso;
Tammaro occupava una cella singola ed era tornato mercoledì in istituto dopo aver usufruito di un permesso premio;
nel carcere di Sulmona insiste la casa lavoro più grande d'Italia, atteso che attualmente nella stessa sono presenti circa 160 internati a fronte di una capienza regolamentare di cento posti; la sottoposizione a casa lavoro si caratterizza per la natura sostanzialmente afflittiva e non rieducativa in quanto la stessa non si distingue dal carcere se non nella denominazione e nel titolo della custodia, posto che: a) nella casa lavoro la maggioranza degli internati non lavora e molti di loro iniziano a svolgere un'attività lavorativa dopo 4-5 mesi di internamento e per periodi limitati; b) agli internati nella casa lavoro sono concesse solo 4 ore d'aria nell'arco della giornata e trascorrono le restanti 20 in cella; c) nelle ore d'aria gli internati vengono condotti in un cortile della struttura penale del tutto simile a quello dei detenuti; d) le visite con i familiari si svolgono nelle sale colloquio dei detenuti dove sono sistemati tavoli di cemento e vetri divisori; e) il rapporto tra operatori civili e internati è difficoltoso a causa dell'elevato numero di internati nella struttura;
sulle condizioni della casa lavoro del carcere di Sulmona gli interroganti hanno presentato nel corso della presente legislatura una interrogazione a risposta
scritta (4/03276) alla quale non è stata data ancora risposta;
quello di Antonio Tammaro è l'ottavo suicidio che avviene negli ultimi cinque anni nel carcere di Sulmona ed è già il quarto suicidio consumatosi nelle carceri italiane nei primi otto giorni del nuovo anno;
sempre il 7 gennaio 2010, oltre a Tammaro, si è tolto la vita un altro detenuto, Giacomo Attolini, 48enne, ristretto nel carcere Montorio di Verona;
nel 2009 i suicidi in carcere sono stati ben 72, segnando il massimo storico di tutti i tempi, ma la morte di due detenuti nello stesso giorno è avvenuta solo in quattro occasioni nel corso degli ultimi dodici mesi -:
di quali informazioni il Ministro disponga sui fatti riferiti in premessa e, in particolare, se non intenda avviare, nel rispetto e a prescindere dalla eventuale inchiesta che sulla vicenda aprirà la magistratura, un'indagine amministrativa interna volta a verificare l'esistenza di eventuali profili di responsabilità del personale in merito al suicidio di Antonio Tammaro;
se ritenga necessario assumere iniziative normative volte a modificare il regolamento sull'ordinamento penitenziario al fine di assicurare, attraverso una maggiore personalizzazione del trattamento, una «detenzione giusta», rispettosa del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali degli individui, se del caso, istituendo in ogni carcere degli appositi presidi specializzati per prevenire il rischio-suicidi e le altre emergenze legate ai disagi psicologici;
quali iniziative, più in generale, il Governo intenda assumere per contenere e ridurre l'alto tasso dei decessi per suicidio in carcere registratisi negli ultimi cinque anni nel carcere di Sulmona;
se sia conforme alle disposizioni normative che nella pratica attuazione la sottoposizione a casa di lavoro, almeno nel caso della struttura di Sulmona, non si differenzi dalla detenzione ordinaria;
se non intenda provvedere all'immediata chiusura della casa di lavoro di Sulmona, o quanto meno, prendere le opportune iniziative per rivedere la sua organizzazione e funzionalità, considerata, allo stato, l'inefficacia risocializzante delle misure di sicurezza personali detentive a cui sono sottoposti gli internati;
se, più in generale, non ritenga opportuno assumere le opportune iniziative normative volte ad introdurre una maggiore restrizione dei presupposti applicativi delle misure di sicurezza a carattere detentivo, magari sostituendo al criterio della «pericolosità» (ritenuto di dubbio fondamento empirico) quello del «bisogno di trattamento».
(4-05655)
BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da una nota dell'agenzia ANSA, nella tarda serata del 7 gennaio 2010, Giacomo Attolini, 49 anni, detenuto comune nel carcere di Verona, si è impiccato utilizzando una maglietta legata alle sbarre della finestra del bagno in cella;
Giacomo Attolini, pizzaiolo di origini siciliane, ma residente a Villafranca di Verona, era accusato di omicidio premeditato;
l'uomo era in carcere dal 29 marzo 2009 dopo avere sparato e ucciso a Mozzecane (Verona) Andrea Sutik, 25 anni, romena, e ferito il marito Tiberio, 23. Attolini era stato denunciato dieci giorni prima per violenza sessuale dalla giovane donna, che aveva lavorato nella sua pizzeria a Villafranca. La donna aveva raccontato ai carabinieri che il suo datore di lavoro l'aveva trascinata in una stanza della sua pizzeria, scaraventandola su un letto e cercando di violentarla;
secondo l'avvocato del detenuto suicida, Guido Beghini, ha riferito alle agenzie di stampa che «quella di Attolini è una
morte annunciata, che poteva essere evitata. Purtroppo non sono affatto sorpreso di quello che è successo. Il mio assistito era in infermeria non a caso: aveva già tentato di uccidersi e mi avevano assicurato che era sottoposto ad una sorveglianza molto stretta. Attolini era stato privato delle lenzuola e di ogni altro materiale che potesse consentirgli un gesto estremo. Si è strappato la maglia e si è impiccato approfittando di un cambio di turno. L'indagine alla quale era sottoposto era ancora aperta e avevo chiesto un nuovo interrogatorio a fine mese, anche perché attendevo la perizia di parte per il riconoscimento della semi-infermità mentale. Lo avevo incontrato l'ultima volta prima di Natale, non era la vicenda processuale ad affliggerlo, ma piuttosto i suoi problemi personali: pensava alla sua famiglia, alla moglie e alle figlie. È stata la vergogna ad armare la sua mano»;
sulla vicenda Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, ha dichiarato quanto segue: «Un detenuto di origine italiana, verso le 23,45 di ieri sera, si è tolto la vita impiccandosi in cella nel carcere di Verona. A 12 ore dalla morte siamo costretti a segnalare come il cadavere sia ancora in loco, non rimosso. Il personale di Polizia Penitenziaria, con pietas umana, ha solamente potuto coprire la salma con una coperta, in attesa dei rilievi da parte della Magistratura competente. Riteniamo che ogni commento a questa incredibile vicenda sia superflua e rivolgiamo un concreto pensiero di solidarietà ai nostri colleghi costretti a fare servizio con il morto in sezione. Il 2010, evidentemente, comincia peggio di come è finito il 2009. Quattro suicidi in 8 giorni sono la prova provata di un sistema penitenziario non solo incapace di garantire diritti, dignità e civiltà al personale e ai detenuti ma persino incapace di tutelare la stessa vita umana»;
in otto giorni sono già quattro i detenuti che hanno deciso di farla finita nel corso del 2010: oltre al suicidio di Attolini, il 2 gennaio, ad Altamura (Bari), si è ucciso Pierpaolo Ciullo, 39 anni; tre giorni dopo si è impiccato nel carcere Buoncammino di Cagliari, Celeste Frau, 62 anni; ieri sera, nel supercarcere di Sulmona è stato trovato senza vita Amato Tammaro, 28 anni, di ritorno in cella dopo un permesso premio;
come dimostrato da uno studio condotto dal centro studi di Ristretti Orizzonti, il regime di isolamento è assolutamente controproducente rispetto al tentativo di evitare i suicidi, soprattutto nei confronti dei detenuti cosiddetti «a rischio»;
nel carcere di Verona si registra sia una forte carenza dell'organico di polizia penitenziaria (97 agenti in meno rispetto alla pianta organica), sia degli educatori (4 anziché gli 8 previsti in organico), sia degli psicologi, che sono solo 2 per una popolazione di 845 detenuti (256 in più rispetto alla capienza regolamentare dell'istituto veronese -:
di quali informazioni disponga il Ministro sui fatti riferiti in premessa e, in particolare, se non intenda avviare, nel rispetto e a prescindere dalla inchiesta che sulla vicenda ha aperto la magistratura, un'indagine amministrativa volta a verificare le responsabilità dell'amministrazione penitenziaria stante la forte carenza di personale che limita inevitabilmente le possibilità di vigilanza;
se non ritenga che l'alto tasso dei suicidi e dei tentati suicidi dipende dall'elevato tasso di sovraffollamento degli istituti di pena dove attualmente sono ristretti quasi 66mila detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 43mila posti;
se ritenga necessario assumere iniziative normative volte a modificare il regolamento sull'ordinamento penitenziario al fine di assicurare, attraverso una maggiore personalizzazione del trattamento, una «detenzione giusta», rispettosa del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali degli individui, se del caso, istituendo in ogni carcere degli appositi
presidi specializzati per prevenire il rischio-suicidi e le altre emergenze legate ai disagi psicologici;
quali iniziative, più in generale, il Governo intenda assumere per contenere e ridurre l'alto tasso dei decessi per suicidio in carcere.
(4-05656)
BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato nel comunicato stampa del 6 gennaio 2010 dell'Osservatorio permanente sulle morti in carcere (composto da Radicali Italiani, associazione «Il Detenuto Ignoto», associazione «Antigone»; associazione «A Buon Diritto», redazione di «Radio Carcere», redazione di «Ristretti Orizzonti»), il 5 gennaio 2010 Celeste Frau, 62 anni, condannato a 12 anni di carcere per una rapina commessa nel 2007, si è ucciso nel carcere «Buoncammino» di Cagliari;
Frau divideva la cella con altri tre detenuti, i quali, non vedendolo uscire dal bagno si sono allarmati. Quando si sono affacciati, hanno visto il suo corpo penzolare dalla finestra. Aveva annodato le lenzuola. Non ha lasciato un biglietto né, che risulti, aveva mai manifestato in precedenza alcun intento suicida;
il detenuto morto suicida di mestiere faceva il rottamaio, aveva diversi precedenti penali ed era una vecchia conoscenza del direttore di Buoncammino, dottor Gianfranco Pala, il quale ha definito la sua morte «imprevista ed imprevedibile», riferendo che Frau «aveva passato buona parte della sua vita in galera e non era depresso. Aveva un ottimo rapporto con i detenuti e con gli agenti. Semmai aveva problemi cardiaci e per questo era seguito con particolare attenzione dai medici»;
sulla vicenda l'avvocato del detenuto, Erika Dessì, ha dichiarato quanto segue: «Ero fermamente convinta della sua innocenza. Frau è stato condannato perché a casa sua sono stati trovati alcuni gioielli della rapina. Ma il suo telefono all'ora della rapina aveva agganciato una cella di Assemini, dove risiedeva. Dopo la pubblicazione della sentenza mi sarei battuta in cassazione per farlo assolvere»;
con la morte di Celeste Frau salgono a 21 i detenuti morti negli ultimi 8 anni nel carcere di Cagliari: 11 si sono suicidati, 4 sono deceduti per malattia e per altri 6 è stata aperta un'inchiesta giudiziaria mirante all'accertamento delle cause della morte;
per quanto riguarda i suicidi di detenuti «over 60», con quello di Frau negli ultimi otto anni se ne contano 26, di cui 3 ultrasettantenni. Di certo le condizioni detentive, caratterizzate da un cronico sovraffollamento e dalla carenza di personale, anche sanitario, penalizzano in maniera particolare i detenuti anziani che avrebbero bisogno di spazi e assistenza adeguate (attualmente negli istituti di pena sono oltre 2500 gli «over 60» e 450 di loro hanno più di 70 anni);
dopo che il 2009 ha fatto registrare il numero più alto di suicidi in carcere della storia italiana (72), il 2010 sembra essere iniziato all'insegna della medesima «emergenza», atteso che questo è già il secondo suicidio registratosi negli istituti di pena a nemmeno una settimana dall'inizio dell'anno -:
di quali informazioni disponga il Ministro sui fatti riferiti in premessa e, in particolare, se non intenda avviare, nel rispetto e a prescindere dalla eventuale inchiesta che sulla vicenda aprirà la magistratura, un'indagine amministrativa interna volta a verificare se in merito al suicidio di Celestino Frau non siano ravvisabili profili di responsabilità della direzione dell'istituto per omessa vigilanza;
se il Ministro non ritenga che l'alto tasso di suicidi in carcere dipenda anche dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno,
soprattutto con riferimento ai 26 suicidi di ultrasessantenni registratisi negli ultimi otto anni;
se ritenga necessario assumere iniziative normative volte a modificare il regolamento sull'ordinamento penitenziario al fine di assicurare, attraverso una maggiore personalizzazione del trattamento, una «detenzione giusta», rispettosa del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali degli individui, se del caso, istituendo in ogni carcere degli appositi presidi specializzati per prevenire il rischio-suicidi e le altre emergenze legate ai disagi psicologici;
quali iniziative, più in generale, il Governo intenda assumere per contenere e ridurre l'alto tasso dei decessi per suicidio in carcere;
se non ritenga urgente riferire sulla reale consistenza dei 21 decessi avvenuti nel corso degli ultimi 8 anni nell'istituto di pena cagliaritano;
quali iniziative ritenga opportuno adottare per ricondurre il carcere Buoncammino di Cagliari nel pieno rispetto delle norme vigenti così da assicurare condizioni di vita dignitose sia ai detenuti che al personale di polizia penitenziaria.
(4-05666)
...
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interpellanza:
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
la decisione unilaterale della società Trenitalia Cargo di sopprimere definitivamente il traffico ferroviario via nave nella tratta in oggetto a partire dal 1o giugno 2009 ha determinato un danno insostenibile al sistema industriale e produttivo della Regione Sardegna. Si tratta infatti dell'unico servizio merci su rotaia attivo (sulla tratta Golfo Aranci-Civitavecchia) per la regione Sardegna e di conseguenza anche del servizio di traghettamento dei veicoli ferroviari. Tale decisione, già paventata lo scorso 2008, consegue al taglio dei finanziamenti alle FS operato dall'ultima finanziaria;
tale decisione ha in primo luogo pregiudicato l'attività della società Keller Elettromeccanica Spa, che ha acquisito nel recente passato, delle significative commesse a livello internazionale e che ha di conseguenza avviato un oneroso piano di investimenti, sia di natura propria sia avvalendosi di un cospicuo intervento di cofinanziamento pubblico, capace di determinare una rilevante ricaduta occupazionale sul territorio. La posizione delle ferrovie comporta di fatto la cessazione dell'attività della Keller e la perdita del posto di lavoro per i suoi oltre 300 dipendenti. Non sarebbe infatti possibile costruire carrozze ferroviarie che non possono poi essere trasportate. Bisogna evidenziare, inoltre, che senza voler utilizzare la caratteristica dell'insularità quale motivo per ottenere condizioni di favore, si evidenzia che l'azienda è costretta a non sottoporre nessuna offerta per gli appalti, poiché dato l'inasprimento delle già difficili condizioni di mercato, dei noti problemi relativi al trasferimento via mare dei rotabili, anche l'Associazione Industriali Province della Sardegna Meridionale, ha cancellato inaspettatamente il punto «rolling» di Cagliari, creando così una disparità di opportunità tra la Keller e le aziende che si trovano invece vicino agli stessi;
Trenitalia sta procedendo alla dismissione della nave Garibaldi attualmente in servizio sulla tratta Golfo Aranci-Civitavecchia, la quale sarà demolita in esecuzione del bando di gara n. PA/2009/049 per il «Conferimento incarico di mediazione marittima per la vendita a rottame della nave traghetto Sibari e della nave traghetto Garibaldi facenti parte della flotta della Direzione Navigazione della Rete Ferroviaria Italiana S.p.A.»; non si ha, invece, notizia di altra nave da predisporre
in sostituzione alla Garibaldi ed è certo che i lavori sulla ipotetica nave Logudoro (per renderla idonea al traffico marittimo nella tratta d'interesse) non sono ancora iniziati; non si ha alcuna notizia sulle corse da dicembre in poi, denotando ciò la dismissione del servizio di collegamento. Si ha notizia che RFI, a partire dal 14 dicembre 2009, non ha intenzione di rinnovare il contratto di servizio per la Sardegna alla società di logistica Villacidro Terminal che opera il trasferimento dei rotabili ferroviari da e per la Sardegna ed il continente;
il 20 novembre, Rfi aveva inviato ai lavoratori una lettera in cui ribadiva la chiusura a dicembre del servizio tra Civitavecchia e la Sardegna informandoli che per mantenere l'attuale figura professionale avrebbero dovuto trasferirsi a Messina, altrimenti avrebbero potuto scegliere di essere ricollocati nel settore manutenzione in altre sedi, come Roma;
il comportamento di Trenitalia non danneggia esclusivamente le attività della sopracitata azienda, ma incide negativamente su tutto il sistema produttivo sardo, costretto ad avvalersi della sola modalità su gomma, la quale comporta evidenti oneri anche di natura ambientale;
nel programma regionale di sviluppo 2010-2014 approvato il 2 dicembre 2009, si afferma che Trenitalia garantirà la conferma del collegamento sulla Golfo Aranci-Civitavecchia utilizzando due traghetti oggi in attività in Sicilia; la citata soppressione impedirebbe, inoltre, alla Keller Elettromeccanica Spa di partecipare alle future gare (alcune delle quali in corso) per l'aggiudicazione di ulteriori contratti da sviluppare nel corso del 2010 e negli anni a venire, con la perdita di tutte le qualifiche, nazionali e internazionali, sinora conseguite; tale decisione, ha visto anche il Consiglio regionale sardo interessarsi della vicenda con l'approvazione di due ordini del giorno, il n. 55, approvato il 27 febbraio 2008, e il n. 56, approvato il 22 maggio 2008;
la situazione sta diventando insostenibile, soprattutto perché ad oggi, nonostante le promesse verbali, i tavoli tecnici locali e le rassicurazioni ricevute, non si ha alcuna evidenza delle alternative promesse per mantenere il servizio attivo, ancorché a tempo determinato, almeno fino a che la nuova soluzione, quella sulla tratta Porto Torres-Savona, sia tecnicamente operativa -:
come intenda scongiurare il taglio di questo essenziale servizio pubblico e come intenda individuare adeguate risorse per garantirne la continuità territoriale, essendo questo di decisiva e strategica importanza non solo per la Keller ma anche per tutta la Sardegna;
se non ritenga opportuno attivare urgentemente un tavolo tecnico nazionale per valutare, congiuntamente con Trenitalia/RFI, soluzioni alternative a quella dello scalo merci di Golfo Aranci, quali, per esempio, valutare la concreta fattibilità dell'ipotesi di costituire una società logistica-intermodale mista pubblico-privata, per garantire la continuità territoriale del servizio merci con la Sardegna e l'utilizzo di meccanismi alternativi per consentire l'imbarco dei rotabili anche in porti non attrezzati.
(2-00574) «Schirru, Melis, Pes».
Interrogazione a risposta in Commissione:
PILI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'Ente nazionale per l'aviazione civile ha richiesto alla compagnia aerea Ryanair di accettare più semplici «forme di identificazione per i passeggeri che viaggiano sulle rotte domestiche»;
l'ente pubblico esige che la società irlandese accetti sui voli interni non solo passeggeri muniti di passaporto o carta d'identità (come fa attualmente Ryanair) ma anche chi utilizza documenti di identificazione una licenza di caccia, di pesca,
il porto d'armi e qualsiasi tessera professionale rilasciata da una amministrazione dello Stato;
tale possibilità è prevista da una legge del 2000, confermata da una decisione del Tar del Lazio del 17 dicembre scorso;
in quasi tutto il resto d'Europa per imbarcarsi su un qualsiasi aereo sono richiesti esclusivamente passaporto o carta d'identità;
Ryanair, per soddisfare la richiesta, dovrebbe modificare il sistema di prenotazione on-line, ora basato sul riconoscimento dei viaggiatori solo tramite passaporto e carta d'identità;
la procedura è ben nota a chi ha viaggiato con la compagnia low cost: è l'utente che clicca per accettare queste condizioni;
chi non vuole farlo può scegliere di viaggiare con un altro mezzo o un'altra compagnia;
il TAR del Lazio ha rigettato la richiesta di sospensiva avanzata dalla compagnia Ryanair nei confronti di due note del direttore generale dell'ENAC di risposta al vettore irlandese sugli adempimenti posti in essere in merito alla problematica del bird strike sull'Aeroporto di Roma Ciampino;
il giudice amministrativo, nel respingere l'istanza cautelare proposta dal vettore irlandese, ha sottolineato che l'ENAC, in qualità di autorità del settore, competente a regolamentare la materia del bird strike e a controllare che le società di gestione eseguano correttamente e scrupolosamente la disciplina per evitare incidenti ed inconvenienti aerei, ha dichiarato che gli accorgimenti adottati dal gestore aeroportuale sono idonei a fronteggiare le situazioni di pericolo paventate dalla ricorrente;
Ryanair, ha annunciato che cesserà di operare temporaneamente le rotte domestiche da/per le 10 basi italiane, Alghero, Bari, Bologna, Brindisi, Milano (Bergamo), Pescara, Pisa, Roma (Ciampino) e Trapani, a partire da sabato 23 gennaio 2010, in seguito all'ingiunzione sollevata da Ryanair contro le ordinanze dell'ENAC (26/2009 e 79320/DIR.GEN/DG), che obbligano Ryanair ad accettare svariate forme di identificazione non previste nei codici di prenotazione della compagnia irlandese per i passeggeri che viaggiano sulle rotte domestiche di Ryanair;
Ryanair opera con il check-in on-line al 100 per cento;
è obbligatorio da sempre per la sicurezza di tutti i voli Ryanair, che tutti i passeggeri di Ryanair acconsentano al momento della prenotazione, di presentare o il passaporto o la carta di identità al gate d'imbarco prima di salire a bordo del proprio volo;
le suddette procedure di sicurezza sono sempre andate avanti in modo soddisfacente per molti anni su tutte le 1.000 rotte di Ryanair sia per i voli domestici che per quelli internazionali in tutta l'Unione Europea;
l'ordinanza dell'ENAC paventa conseguenze penali per il personale dell'handling, se si rifiuta di far viaggiare i passeggeri con forme di identificazione non consentite comprese patenti di guida, badge lavorativi o licenze di pesca italiane;
le misure di sicurezza di Ryanair sono già utilizzate con successo su tutti i voli nell'Unione europea e sui voli domestici di Ryanair in ogni altro paese dell'Unione europea;
la procedura di policy di Ryanair sui documenti di identità/passaporto è stata approvata da tutti gli altri paesi dell'Unione europea;
lo stesso Enac 4 anni fa avrebbe autorizzato la procedura di Ryanair;
altre (e meno puntuali) forme di identificazione sui voli domestici italiani, che potrebbero risultare sconosciute al personale di volo di una compagnia straniera e al personale di handling, provocano indubbiamente un allentamento dei parametri di sicurezza -:
se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti non ritenga necessario promuovere le più opportune intese per superare positivamente questa situazione che rischia di provocare un grave danno all'economia non solo della Sardegna ma dell'intero paese proprio in virtù del grande flusso turistico garantito dalla compagnia Ryanair;
se le norme di controllo previste da Ryanair non siano da ritenere più consone ad una necessaria maggiore sicurezza anche in conseguenza delle reiterate segnalazioni internazionali che giungono sul pericolo terrorismo e se non ritenga pertanto di dover predisporre apposita direttiva per confermare la validità operativa dei controlli di sicurezza messi in atto da Ryanair;
se non ritenga di dover predisporre apposito regolamento che faciliti ulteriormente l'operatività delle compagnie low cost nel nostro Paese al fine di favorire la liberalizzazione e la concorrenza nei collegamenti da e per l'Italia.
(5-02307)
Interrogazioni a risposta scritta:
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
una recente sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che per considerare valide le multe per chi passa con il rosso frutto di infrazioni registrate da apparecchi automatici serve la presenza del vigile;
tale sentenza mette in discussione l'operato del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che ha omologato questi rilevatori per il funzionamento senza presenza del vigile;
la materia dell'accertamento automatico del passaggio col rosso è molto delicata;
il primo rilevatore, come riporta il Sole 24 Ore, venne omologato nel 1986 sulla base di semplici dichiarazioni di buon funzionamento firmate da alcuni sindaci e i criteri di omologazione vennero successivamente perfezionati senza eliminare però un'alea di generale incertezza;
nel 2003 con il decreto-legge che istituì la patente a punti vennero introdotte alcune disposizioni che ampliarono per alcune infrazioni la possibilità di fare ricorso ai controlli pubblici;
tra il 2003 e il 2004 insorsero una serie di problemi per l'uso prolungato da parte di alcuni comuni di apparecchiature non più in regola con i nuovi criteri di omologazione con il risultato che solo chi non aveva pagato le multe poté fare ricorso per farsele annullare -:
se non ritenga il Ministro di dover intervenire emanando una direttiva sulla materia.
(4-05617)
MISIANI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il TAR del Lazio sezione 3T, con ordinanza emessa nella camera di consiglio del 17 dicembre 2009, ha respinto la richiesta di sospensiva avanzata dalla compagnia Ryanair contro i provvedimenti dell'ENAC sulle disposizioni relative all'equipollenza dei documenti di riconoscimento che il vettore irlandese deve accettare ai fini della verifica dell'identità dei propri passeggeri;
le ordinanze emesse dalle Direzioni aeroportuali dell'Enac erano state motivate in relazione al fatto che la compagnia Ryanair, nell'atto del riscontro tra il nominativo sul biglietto e il documento di identità previsto dalle procedure di sicurezza, accettava solo alcuni documenti «determinando in tal modo» - secondo Enac - «disagi e disguidi a danno dei passeggeri che non avevano con sé il passaporto o la carta di identità, ma che
erano muniti di altri documenti di identità validi secondo le disposizioni normative in vigore in Italia»;
Ryanair, in seguito alla decisione del TAR, ha annunciato che cesserà di operare temporaneamente le rotte domestiche da/per le 10 basi italiane, Alghero, Bari, Bologna, Brindisi, Milano (Bergamo), Pescara, Pisa, Roma (Ciampino) e Trapani, a partire da sabato 23 gennaio 2010. Secondo la compagnia irlandese, «da quando Ryanair opera con il check-in online al 100 per cento è obbligatorio per la sicurezza di tutti i voli Ryanair, che tutti i passeggeri di Ryanair acconsentano al momento della prenotazione, di presentare o il passaporto o la carta di identità al gate d'imbarco prima di salire a bordo del proprio volo. Queste procedure di sicurezza sono sempre andate avanti in modo soddisfacente per molti anni su tutte le mille rotte di Ryanair sia per i voli domestici che per quelli internazionali in tutta l'Unione Europea. Ryanair è rimasta perciò sorpresa e delusa dal fatto che l'Enac, senza consultare o discuterne con Ryanair, ha introdotto unilateralmente le ordinanze di cui sopra», con cui «Enac minaccia di arrestare il personale dell'handling, se si rifiuta di far viaggiare i passeggeri con forme di identificazione non consentite comprese patenti di guida, badge lavorativi o licenze di pesca italiane. Dal momento che queste altre forme di identificazione non hanno soddisfatto gli standard internazionali di sicurezza, il solo risultato delle ordinanze dell'Enac sarà quello di ridurre la sicurezza dei passeggeri di Ryanair e dei voli sulle rotte domestiche italiane»;
la tipologia di documenti di identità validi è identificata dall'articolo 35, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, secondo cui «sono equipollenti alla carta di identità il passaporto, la patente di guida, la patente nautica, il libretto di pensione, il patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici, il porto d'armi, le tessere di riconoscimento, purché munite di fotografia e di timbro o di altra segnatura equivalente, rilasciate da un'amministrazione dello Stato». Questa normativa, ispirata al principio della semplificazione dei rapporti tra i cittadini e la pubblica amministrazione, è però antecedente agli attentati dell'11 settembre 2001, che hanno portato ad un generale inasprimento dei criteri di sicurezza adottati negli aeroporti;
l'opportunità dell'equipollenza di documenti di identità diversi dalla carta d'identità e dal passaporto andrebbe sottoposta a verifica, alla luce della necessità di rafforzare le misure di sicurezza per contrastare la minaccia terrorista;
la decisione di Ryanair di sospendere i voli domestici ha provocato sconcerto e preoccupazione tra i viaggiatori italiani, e mette a rischio le prospettive di realtà aeroportuali di grande rilievo economico -:
quali azioni intenda promuovere per superare i contrasti tra Enac e Ryanair ed evitare danni e disagi per i viaggiatori italiani;
se non ritenga opportuno un intervento normativo per allineare la normativa italiana sui documenti di identità ai migliori standard di sicurezza adottati dagli altri Paesi europei.
(4-05647)
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INTERNO
Interrogazioni a risposta scritta:
BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato il 31 dicembre 2009 dal Gruppo EveryOne, nella notte fra il 28 e il 29 dicembre 2009 si sarebbe verificato un gravissimo episodio di violenza e tortura all'interno del Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo (Gorizia);
la denuncia proviene da Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti dell'organizzazione per i diritti umani gruppo EveryOne, i quali hanno dichiarato quanto segue: «La vittima dell'ennesimo pestaggio si chiama Said Stati, è di nazionalità marocchina e vive a Gavardo, in provincia di Brescia. Abita in Italia da oltre 19 anni, ha sempre lavorato e pagato le tasse. Tutti i suoi parenti vivono nel nostro Paese: la madre e sei fratelli che sono tutti sposati, con figli. Durante il terremoto che ha colpito Salò nel 2005, Said ha perso la casa. Sempre in seguito al sisma, la fabbrica dove era occupato ha chiuso e il ragazzo, con moglie e due figli piccoli, pur avendo bussato a ogni porta, non ha trovato in tempo un'occupazione alternativa. Quando il suo permesso di soggiorno è scaduto, Said Stati è divenuto clandestino»;
l'11 novembre 2009, Said è stato arrestato e condotto al Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca, dove è stato identificato e ha ricevuto un decreto di espulsione. Nonostante soffra di una depressione e il medico curante gli abbia prescritto un antidepressivo, le autorità gli hanno negato, poche ore prima del presunto abuso perpetrato nei suoi confronti, di assumere il farmaco;
agli attivisti del Gruppo EveryOne, Said ha raccontato al telefono che nella notte fra il 28 e 29 dicembre, dopo essere stato prelevato dalla sua cella da tre guardie, è stato condotto in una stanza dove è stato sottoposto a un vero e proprio pestaggio. Ha inoltre aggiunto che per dare un esempio agli altri carcerati, è stato consentito ad alcuni detenuti di assistere alla violenza. Anche operatori in servizio presso il centro hanno presenziato, a detta dell'immigrato, alla violazione dei suoi diritti umani;
secondo quanto riportato dal Gruppo EveryOne, «Said è stato picchiato al capo, al tronco e in diverse altre parti del corpo, con pugni e colpi di manganello. Solo dopo averlo lasciato a terra, pesto e sanguinante, le guardie hanno consentito agli operatori di portarlo al pronto soccorso, dove è stato medicato»;
il Cie di Gradisca di Isonzo già in passato è stato teatro di ripetute violenze e abusi sugli internati, e già un detenuto aveva video-ripreso, il 21 settembre 2009, con un telefonino, le conseguenze di un pestaggio di massa da parte delle forze dell'ordine. In quella occasione, l'episodio venne denunciato presso le sedi competenti in Italia e all'estero sempre dal Gruppo EveryOne e da altre organizzazioni per i diritti umani e venne riportato sui principali quotidiani nazionali;
la vicenda di Said è stata sottoposta all'attenzione del Comitato contro la tortura del Consiglio d'Europa, affinché venga subito inviata al centro una commissione ispettiva d'inchiesta; su quanto accaduto, sempre il Gruppo EveryOne ha depositato un esposto presso la procura di Gorizia e inviato una memoria all'Alto commissario per i diritti umani e all'Alto commissario per i rifugiati, presso gli uffici di Ginevra delle Nazioni Unite -:
se intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di verificare la fondatezza della denuncia avanzata dal gruppo Everyone e, quindi, per appurare se, in merito alla vicenda esposta in premessa, vi siano eventuali responsabilità disciplinari delle forze dell'ordine preposte al controllo e alla vigilanza del Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo.
(4-05634)
LO MORO e AMICI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
a Mileto, in provincia di Vibo Valentia, un automezzo utilizzato per la raccolta dei rifiuti, con a bordo due operai, viene bloccato da tre malviventi a volto coperto e armati di pistola; gli operai vengono costretti a scendere dal mezzo e ad allontanarsi e il camion viene cosparso di benzina e dato alle fiamme;
a Locri, in provincia di Reggio Calabria, un revolver calibro 38, perfettamente efficiente e con cinque colpi nel tamburo, viene ritrovato in un cassetto in uno stanzino adibito ad archivio del reparto di medicina generale dell'ospedale;
sempre a Locri, il parabrezza e il vano motore dell'Alfa 159 di proprietà dell'assessore comunale Scarfò, avvocato di fiducia di Salvatore Ritorto, condannato all'ergastolo per l'omicidio dell'onorevole Fortugno, saltano in aria per lo scoppio di un ordigno rudimentale collocato sul cofano dell'auto: l'esplosione, che passa inizialmente inosservata e viene confusa con i botti di fine anno, provoca danni, oltre che alla macchina, parcheggiata in una strada in pieno centro, anche alle abitazioni vicine;
alle 5 del 3 gennaio una bomba viene fatta esplodere davanti al portone di accesso alla Procura generale di Reggio Calabria. L'ordigno, una bombola di gas alla quale era stato applicato esplosivo ad alto potenziale, è stato innescato da una miccia. A collocarlo davanti al portone di ingresso della Procura generale sono stati, secondo quanto filmato dalla telecamera di servizio, due uomini con il volto coperto da caschi da motociclista, giunti sul posto a bordo di un motorino;
così la criminalità ha avviato il nuovo anno in Calabria;
il Governo, e in particolare il Ministro dell'interno Maroni, che non potrà non occuparsi della Calabria nelle prossime ore, considerata la gravità dell'ultimo episodio che ha come obiettivo i magistrati di una Procura particolarmente impegnata sul fronte del contrasto alla criminalità organizzata, ai quali va espressa solidarietà incondizionata, deve prendere atto del fatto che la sicurezza in Calabria è messa a rischio da una criminalità radicata ed invasiva che va contrastata con maggiore incisività;
la gente calabrese onesta, la maggioranza, che è la maggiore vittima di tale situazione, non può trovarsi sulla stessa linea di un Governo che individua nell'immigrazione clandestina se non l'unica, la maggiore causa dell'insicurezza dei cittadini: questo perché la Calabria è da sempre terra di emigrazione e di accoglienza ma anche e soprattutto perché la vita dei calabresi è un percorso ad ostacoli, in cui si registrano giornalmente attentati ad amministratori e ad imprese, omicidi anche di giovanissimi, episodi criminali in luoghi destinati alla cura ed in cui l'attività dei magistrati e delle forze dell'ordine richiede più coraggio e più determinazione che altrove;
qualche mese fa gli operai di una ditta appaltatrice dei lavori dell'autostrada hanno subito un'intimidazione che ricorda molto quella di Mileto, segno in entrambi i casi di una criminalità che non mette più a rischio solo i mezzi delle imprese ma anche i lavoratori. Quell'intimidazione è stata oggetto di un'interpellanza (n. 2-00229) a mia firma alla quale, a tutt'oggi, non è stata data ancora risposta -:
se i Ministri interrogati condividano la necessità di rafforzare con mezzi e risorse adeguate l'azione della magistratura e delle forze dell'ordine nel meridione ed in Calabria;
quali iniziative immediate intendano pertanto assumere in relazione all'episodio gravissimo verificatosi a Reggio Calabria.
(4-05648)
BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da una nota dell'agenzia Adn-Kronos del 19 dicembre 2009, a partire dal 2010 si interromperà la collaborazione tra Croce rossa italiana e ASL Roma D; collaborazione che, fino ad oggi, aveva garantito l'erogazione delle prestazioni sanitarie alle centinaia di immigrati ospiti del Centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Ponte Galeria;
alla base della interruzione della collaborazione ci sarebbe anche la presa d'atto, da parte della Asl, di una nota della prefettura di Roma del maggio 2009 secondo cui i CIE devono essere considerati aree operative riservate all'interno delle quali possono prestare servizio unicamente personale amministrativo, sanitario e tecnico dell'Amministrazione dell'interno;
sulla vicenda il Garante dei detenuti del Lazio, avvocato Angiolo Marroni, ha dichiarato quanto segue: «La gravità della decisione sta tutta nel fatto che essa mette concretamente a rischio la salute degli ospiti del CIE di Ponte Galeria, ora costretti ad essere accompagnati all'esterno per poter ottenere le prescrizioni mediche necessarie. Cosa tutt'altro che semplice data la situazione giuridica degli immigrati, trattenuti nel Centro e impossibilitati ad entrare ed uscire liberamente. Inoltre, tutto ciò comporterà un inutile spreco di risorse umane ed economiche per garantire queste trasferte; soldi che potevano, ad esempio, essere impegnati per migliorare le condizioni di vita all'interno del Centro. Il caso era stato più volte segnalato dal sottoscritto con lettere inviate alla Direzione Generale della Asl Rm D, al Distretto Sanitario competente, al Prefetto di Roma e alla Croce Rossa, ricordando come nel CIE fosse scarsa la disponibilità di ricettari, fondamentali per le prescrizioni di prestazioni mediche, forniti dalla Asl sulla base di un Protocollo d'Intesa scaduto ad ottobre 2008 e mai rinnovato. Ciononostante la Asl Rm D ha comunicato ufficialmente alla Direzione Sanitaria del Centro di Identificazione ed Espulsione l'interruzione di ogni rapporto di collaborazione e pertanto, da oggi, gli ospiti del Centro per avere prescrizioni mediche di qualsiasi natura dovranno essere accompagnati fuori dal CIE -:
quali siano le informazioni in possesso del Governo sui fatti riferiti in premessa e, in particolare, se corrisponda al vero il fatto che secondo una nota della prefettura di Roma del maggio 2009 i CIE devono essere considerati aree operative riservate, all'interno delle quali può prestare servizio unicamente personale amministrativo, sanitario e tecnico dell'Amministrazione dell'interno;
se, negli ambiti di rispettiva competenza, non intendano urgentemente ripristinare la collaborazione tra Croce rossa italiana e ASL Roma D in modo da ovviare alle disfunzioni denunciate dal Garante dei detenuti, avvocato Angiolo Marroni;
quali iniziative urgenti, negli ambiti di rispettiva competenza, i Ministri interrogati intendano adottare e sollecitare al fine di rendere adeguata la disponibilità dei ricettari all'interno del Centro di Ponte Galeria.
(4-05650)
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
oltre un anno e mezzo fa è stato inaugurato presso l'hotel «Il Caminetto» un centro per l'accoglienza di richiedenti asilo politico (CARA) sugli Altipiani di Arcinazzo;
l'hotel prescelto per accogliere i rifugiati politici si trova nel centro di un minuscolo paesino di montagna che conta un centinaio scarso di residenti;
l'hotel avrebbe ottenuto la licenza, dopo averla dismessa, in un sol giorno, ed in tale breve frangente sarebbe stata volturata un paio di volte;
l'improntitudine dell'organo concedente risulta agli interroganti difficilmente comprensibile giacché una relazione dei Vigili del Fuoco ha rilevato sussistere nella struttura gravi e numerose carenze con riferimento alle norme sulla sicurezza;
tali irregolarità sarebbero state dall'allora sindaco di Trevi nel Lazio, oggetto di rimessione in termini, quanto alla messa a norma, cosa alquanto singolare, specie in considerazione del fatto che il prefetto di Frosinone allora facente funzioni, Pietro Cesari, si dichiarò indisponibile
a concedere il terzo rinnovo della convenzione fino ad allora da lui avallato in ragione della situazione emergenziale;
il centro non avrebbe in loco disponibile neanche un vigile urbano, che giunge all'occorrenza da Trevi (8 chilometri o personale di pubblica sicurezza che viene da altre zone dove sia possibile reperire personale -:
se corrisponda al vero quanto sopra riferito in particolare per quanto riguarda le gravi e numerose carenze della struttura con riferimento alle norme sulla sicurezza;
in caso di risposta positiva quali iniziative si intendano adottare per la sicurezza degli ospiti;
per quali ragioni si intende mantenere questa struttura in una località così isolata.
(4-05661)
TESTO AGGIORNATO AL 18 FEBBRAIO 2010
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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazioni a risposta in Commissione:
SIRAGUSA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
l'interrogante ha presentato in data 14 luglio 2009 l'interrogazione a risposta in Commissione 5-01627;
si riporta altresì la replica dell'interrogante alla risposta fornita dal Governo in data 20 ottobre 2009: «l'onorevole Siragusa replicando, si dichiara insoddisfatta della risposta ricevuta, in quanto nella risposta si fa solo riferimento alle disposizioni sugli enti che bandiscono i concorsi, senza fornire alcuna risposta soddisfacente rispetto ai quesiti posti con l'atto di sindacato ispettivo. Auspica quindi che il Governo valuti la possibilità di prevedere una norma apposita volta a prevedere l'equipollenza dei diplomi triennali indetti negli anni precedenti la riforma universitaria»;
la materia in questione non è disciplinata in modo chiaro e in tale situazione di indeterminatezza le università si comportano in maniera non uniforme;
i diplomi delle scuole dirette a fini speciali venivano riconosciuti previo superamento di esami di Stato annuali come riportato all'articolo 15 del bando di iscrizione alla scuola diretta a fini speciali per «operatori tecnico-scientifici dei beni culturali ed ambientali - settore archeologico» ove espressamente era dichiarato che «gli esami annuali e di tirocinio pratico si svolgono davanti a Commissioni costituite secondo il regio decreto 4 giugno 1938 n. 1269», riferendosi nella fattispecie agli articoli 58-70, che obbligavano lo svolgimento annuale, presso codeste scuole, di regolari esami di Stato;
lo stesso è riportato all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, ove si legge «I corsi di studio delle scuole dirette a fini speciali sono corsi ufficiali universitari, hanno durata biennale o triennale e si concludono con il rilascio di un diploma previo superamento di un esame di Stato. La frequenza dei corsi è obbligatoria» -:
se non ritenga, anche alla luce di quanto illustrato in premessa, porre rimedio quanto prima ad una situazione discriminatoria attraverso un'iniziativa normativa che preveda l'equipollenza-equivalenza del diploma delle scuole dirette a fini speciali e del diploma universitario, ambedue di durata triennale, alla laurea di primo livello.
(5-02309)
SIRAGUSA e GHIZZONI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
gli assegnisti di ricerca dell'università di Palermo denunciano da tempo un atteggiamento di scarsa considerazione del loro lavoro e del loro ruolo da parte del rettorato: ritardi nel rinnovo dei contratti, contratti di docenza a titolo gratuito, ritardi
nell'erogazione degli stipendi, ritardi e disguidi nel versamento dei contributi INPS;
da ultimo gli stessi avrebbero ricevuto la comunicazione che gli assegni di ricerca relativi alla mensilità di novembre 2009 non verranno erogati prima di gennaio 2010;
tale situazione mortifica il lavoro, crea gravi disagi economici ai ricercatori e alle loro famiglie e viola il contratto di assegno sottoscritto dagli stessi che all'articolo 4 recita: «Tale importo verrà erogato in rate mensili posticipate, di importo costante, liquidate entro il quindicesimo giorno del mese successivo -:
se quanto denunciato risponda al vero e, in caso affermativo, se non ritenga opportuno intervenire nell'ambito delle sue competenze, al fine di agevolare, anche in sede di riparto delle risorse del fondo di finanziamento ordinario dell'università, il superamento delle difficoltà di ordine finanziario che hanno determinato la situazione di cui in premessa.
(5-02310)
Interrogazioni a risposta scritta:
JANNONE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
gli studenti universitari effettivamente in corso sarebbero poco più di un terzo degli iscritti in totale. Esattamente 514.539, il 33 per cento del milione e 558.997 che nell'anno accademico 2007-2008 risultavano iscritti in tutta Italia ai corsi di laurea di primo livello, ovvero quelli triennali e a ciclo unico. A Bari il numero degli studenti teoricamente in perfetta regola è appena il 25,1 per cento del totale, a Salerno il 24,7 per cento, a Cassino il 23 per cento, a Cagliari il 19,6 per cento, a Reggio Calabria il 18,7 per cento, a Palermo soltanto il 14,4 per cento;
la percentuale di ragazzi che si iscrivono all'università è tornata sotto il 70 per cento. Il tasso di abbandono dopo il primo anno è rimasto identico, 20 per cento. Gli studenti fuori corso sono in costante aumento e tale aumento appare in accelerazione. I corsi sono lievitati in maniera abnorme, incrementandosi del 32 per cento in sette anni. Le sedi periferiche sono proliferate in modo esasperato, al punto che in 70 sedi esiste un solo corso e in altre 30 appena due. I costi hanno subito un vertiginoso incremento: dal Ministero si sottolinea che fra il 2001 e il 2006, la spesa del personale e del funzionamento delle università è aumentata del 23,4 per cento, poco meno di un quarto, senza che la qualità dell'istruzione sia adeguatamente migliorata;
la riforma del 1999 ha generato una moltiplicazione insensata dei corsi di laurea, ancor più marcata per gli insegnamenti, cioè le materie di studio. Erano 116.182 nel 2001-2002, sono saliti a 180 mila nel 2006-2007. Nell'università italiana c'è un insegnamento per ogni dieci studenti iscritti, ma considerando che gli iscritti in corso sono un milione 73.339, la proporzione scende a un insegnamento per sei studenti. Un fenomeno, sostiene il Comitato per la valutazione dell'università, avvenuto «senza un'apparente logica obiettiva» che ha avuto un impulso massimo nelle facoltà di Sociologia e Medicina. Se questo avesse comportato un miglioramento dell'efficienza universitaria e della preparazione degli studenti, sarebbe stato un incremento giustificabile, ma in realtà è avvenuto il contrario, grazie soprattutto all'introduzione dei «crediti formativi»;
la legge stabilisce che per conseguire la laurea triennale, il cui obiettivo iniziale era quello di abbreviare il percorso formativo per consentire ai giovani un ingresso più rapido nel mondo del lavoro, sia necessario accumulare 180 crediti, cioè 60 l'anno. Ma un decreto afferma, anche che non si possano sostenere più di 20 esami. Questo significa che ogni esame deve valere almeno nove crediti. È accaduto, tuttavia, che molti insegnamenti sono stati suddivisi in più parti, con il risultato che per raggiungere i suddetti
nove crediti è talvolta necessario seguire anche due o tre insegnamenti e sostenere i relativi esami. A questo punto il tetto non servirebbe a nulla. Alessandro Monti, autore di un recente saggio dal titolo «Indagine sul declino dell'università italiana», ha affermato che «il decreto non prescrive la riduzione delle materie, ma suggerisce esami integrati e altri escamotage per abbassare il conto delle prove superate. Ad esempio, se si tratta di esami su insegnamenti scelti autonomamente, qualunque sia il numero, è come se fosse un solo esame»;
basta pensare che dei 180 mila insegnamenti attivi, ben 71.038, quasi il 40 per cento del totale, sostiene il Comitato, «hanno al massimo quattro crediti». A tal proposito una tabella contenuta nel rapporto più recente dell'organismo, spiega come i crediti medi per insegnamento siano 5,8, con un minimo di 4,2 per Sociologia, 4,4 per Medicina e un massimo di 7,8 per Giurisprudenza. Questo significa che lo studente, per risultare perfettamente in regola con il corso di studi deve sostenere un numero di esami anche doppio. Seguire il doppio delle lezioni, ed acquistare il doppio dei libri;
questi insegnamenti, inoltre, comportano numerosi incarichi da distribuire. Per questo il numero dei docenti di ruolo è aumentato del 20 per cento in sette anni, passando dai 51.191 del 2000 ai 61.685 del 2008, e quello dei professori a contratto, esterni agli atenei, è cresciuto del 67 per cento. Il capitolo dei crediti non si può archiviare senza un accenno ai crediti formativi riconosciuti, a prescindere dagli esami sostenuti, soltanto in base ad una dimostrabile esperienza accumulata nel mondo del lavoro. In qualche caso agevolazioni ottenute grazie a convenzioni con albi professionali, pubblica amministrazione e sindacati -:
se il Ministro intenda assumere le necessarie iniziative normative dirette a modificare il decreto-legge n. 262 del 2006;
quali misure il Ministro intenda adottare al fine di semplificare il percorso universitario italiano, che deve garantire allo studente nozioni e qualità, degli studi, tali da rendere il suo potenziale accademico e lavorativo, maggiormente competitivo sia a livello nazionale che internazionale.
(4-05622)
JANNONE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
l'investimento nella ricerca è una delle metodologie da adottare per uscire dalla crisi finanziaria in atto, restando sempre all'interno dei mercati globalizzati. L'innovazione tecnologica è l'unico mezzo che fa progredire le aziende, garantendo loro un posto adeguato nella sfera economica nazionale e internazionale. Lo stesso Presidente della Repubblica ha affermato durante alcune sue recenti visite ufficiali: «Sugli investimenti per la ricerca e lo sviluppo ci giochiamo il nostro futuro. (...) Dobbiamo insistere perché ci siano investimenti pubblici e privati nella ricerca»;
a tal proposito, il Presidente Napolitano ha preso come esempio Finmeccanica che, facendo ricerca, ha continuato a sostenere assunzioni: nel 2008 il gruppo ha investito in ricerca e sviluppo il 12 per cento dei ricavi, pari a circa 15 miliardi di euro. In seguito, ha parlato dell'importanza dell'impegno «nel settore sicurezza in senso stretto, anche in senso militare» nel quale operano Finmeccanica e le aziende del gruppo. «Viviamo in un'Europa pacificata ma dobbiamo ancora fronteggiare minacce molto gravi, l'impegno per la sicurezza è sempre necessario, come dimostra la partecipazione dell'Italia in missioni all'estero in Paesi che attraversano situazioni difficili»;
nell'ambito di investimenti nella ricerca, l'Italia è scesa al di sotto dell'1 per cento del Pil. Franco Cuccurullo, presidente del Civr, il Comitato nazionale di valutazione della ricerca, afferma che «il confronto con l'estero fa impallidire (...) mentre i nostri investimenti scendono, gli altri Paesi moltiplicano le risorse. Gran
Bretagna, Francia e Germania investono più del doppio rispetto all'Italia.». I finanziamenti destinati alla ricerca di base nel 2001 erano 125.967 milioni di euro, nel 2008, siamo passati a soli 96 milioni di euro. I talenti migliori preferiscono andarsene all'estero e di solito non vengono rimpiazzati. Questa fuga costa ogni anno circa 8 miliardi di euro, con perdite incalcolabili in termini di mancati brevetti; le cifre diffuse da Euristat disegnano il quadro complessivo della situazione. Nell'ultimo rilevamento, riferito al 2007, l'Italia è stata collocata tra i «Paesi meno virtuosi». Nella formazione dell'Ue, la Germania, con 62 miliardi investe il 2,54 per cento del Pil, la Francia con 39 miliardi il 2,08 per cento e la Gran Bretagna con 37 l'1,79 per cento. Tre Paesi che da soli rappresentano il 60 per cento della spesa complessiva in ricerca, ai quali comunque l'Europa chiede di accelerare per raggiungere il 3 per cento del Pil come stabilito dagli «obiettivi di Lisbona», obiettivi per ora superati solo dalla Svezia (3,6 per cento) e dalla Finlandia (3,47 per cento) -:
se il Ministro, di concerto con i dicasteri preposti allo sviluppo economico del nostro Paese, intenda promuovere progetti di ricerca finanziati anche da enti o aziende private, volti a creare brevetti di competitività internazionale;
quali misure il Ministro intenda intraprendere al fine di concedere o di reperire maggiori risorse finanziarie al comparto della ricerca, in particolare in ambito universitario.
(4-05623)
JANNONE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
è notizia recente quella di uno studente diciassettenne della provincia di Trento, che ha abbandonato la scuola per aiutare la famiglia, a seguito della perdita di lavoro da parte del padre. La vicenda è accaduta a Rovereto, in Trentino, dove la preside dell'istituto superiore frequentato dal ragazzo ha deciso di rendere nota la storia. Tuttavia, in base alle stime dell'abbandono scolastico, molti giovani, soprattutto nel Meridione, non terminano il percorso obbligatorio di studi per esigenze lavorative, incappando, talvolta, anche in lavori di minor peso nelle associazioni criminali;
Flavia Andreatta, preside dell'istituto Fontana di Rovereto, ha raccontato al quotidiano locale Trentino di come sia stata colpita dalle parole dell'adolescente, che le ha affermato, con la maturità di chi si sente già responsabile per sé e per gli altri, di dover «cercare qualcosa per sostenere la mia famiglia. Non ci sono alternative». La dirigente scolastica ha poi spiegato di aver tentato, insieme ai genitori del ragazzo, di convincerlo a restare tra i banchi, ma invano. «La mamma ha ancora un impiego e avrebbero fatto dei sacrifici, pur di vederlo studiare, però il ragazzo si è sentito la responsabilità di contribuire al bilancio», ha spiegato la preside;
secondo la dirigente scolastica, difficoltà simili non costituiscono un caso isolato, ma riguardano molte famiglie «sia di extracomunitari che di italiani, soprattutto se ci sono più figli e tra i genitori qualcuno è in cassa integrazione o ha perso il lavoro». Gli stessi viaggi d'istruzione e le attività extra, sono spesso considerate un lusso, per questo gli istituti pongono molta attenzione nel proporre iniziative che siano alla portata di tutti;
sulla vicenda sopraccitata si è espressa anche l'assessore all'istruzione della provincia autonoma di Trento, Marta Dal Maso, che ha affermato: «Un fatto di questo tipo è molto grave, inaccettabile». Secondo l'assessore, non sono stati segnalati altri casi analoghi, anche se l'abbandono del percorso di studi per sostenere l'economia familiare è sicuramente un problema attuale. «Mi occuperò personalmente di approfondire la vicenda, ha proseguito Dal Maso, che ha poi lodato il 17enne per la "sensibilità verso i genitori e il sacrificio personale"» -:
quali misure i Ministri intendano adottare al fine di ridimensionare il fenomeno dell'abbandono scolastico, anche assumendo iniziative normative per la concessione di aiuti o bonus economici alle famiglie in difficoltà.
(4-05628)
JANNONE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il rilancio dell'economia nel 2010 avverrà nel segno dell'innovazione, che dovrà essere in grado di proporre, a mercati sempre più selettivi, prodotti ad alto contenuto tecnologico e innovativo. Tuttavia come afferma il pro-rettore all'Università di Perugia, professor Loris Nadotti «la nostra ricerca è ancora poco finanziata. Ma il problema maggiore resta il rapporto tra enti di ricerca e imprese: servono fondi che arrivino dal mondo industriale, quello che in questa fase avrebbe maggior bisogno di investire innovazione». A tale si è tenuto il Pni 2009, premio nazionale per l'innovazione che vede in gara le migliori 59 idee di imprese innovative nate da gennaio ad oggi. Organizzato da PaiCube, associazione degli incubatori di impresa di 38 Università italiane, il premio garantisce 110 mila euro alle tre migliori idee innovative di impresa; questa è la dimostrazione che il nostro sistema di ricerca è ancora molto vivo, e ciò è dovuto soprattutto alle capacità dei nostri ricercatori;
il settore dell'energia e quello della salute hanno fatto registrare il maggior numero di progetti attinenti al premio, che raccoglie idee di impresa anche in campo di alimentazione, moda, cultura e hi-tech. Il Settore energetico è quello che ha le maggiori potenzialità di sviluppo del business: non a caso il comparto delle energie rinnovabili viene considerato dagli addetti ai lavori quello con il più alto tasso di investimenti. Grazie a questi nuovi input le aziende italiane da qualche tempo fanno segnare una sensibilità crescente verso la ricerca. A conferma dell'andamento positivo del tema innovazione si può citare una recente indagine degli osservatori del politecnico di Milano che evidenzia che quasi la metà delle imprese italiane da 10 a 500 dipendenti sono lungimiranti o almeno ben impostate sul fronte degli investimenti in informatica e dell'adozione di nuove tecnologie. Si tratta di un miglioramento sensibile rispetto a due anni fa, quando una sola azienda di piccole o medie dimensioni su quattro era a questo livello. Inoltre, parallelamente, diminuiscono quelle refrattarie all'impulso dell'innovazione;
Andrea Rangone, direttore degli osservatori del politecnico di Milano, sostiene: «In Italia non si inventa molto. Con qualche vistosa eccezione, sono pochi i brevetti delle tecnologie di base. La ricerca universitaria e le imprese sono impegnate nel cosiddetto ambito applicativo, cioè nel campo in cui le tecnologie che arrivano dai laboratori americani e orientali, diventano un fatto di mercato. Un esempio: l'idea originale del codice a barre non è italiana. Ma italiana è la sperimentazione via radio per la quale ogni scatola di biscotti potrà essere riconosciuta e mappata nei magazzini, nei supermercati e nei sacchetti della spesa delle casalinghe italiane». Gli italiani, quindi, prevalgono nella sperimentazione delle applicazioni. Lo stesso progetto PniCube nel 2008 ha contribuito a lanciare 287 imprese che hanno fatto registrare un fatturato complessivo di oltre 64 milioni coinvolgendo 1.251 addetti e registrando ben 133 brevetti;
la ricerca degli osservatori del politecnico di Milano, inoltre, evidenzia che il 30 per cento delle imprese italiane prevede un aumento degli investimenti in innovazione e nuove tecnologie per il 2010, il 40 per cento manterrà nel 2010 il livello del 2009 e solo il 30 per cento prevede un calo. In particolare, la ricerca ribadisce che aumentare le applicazioni informatiche aiuta le imprese a misurare e ridurre i costi operativi -:
quali misure i Ministri intendano adottare al fine di incentivare le imprese nella loro opera di ricerca e di innovazione
di prodotti e brevetti che esportino il marchio e le idee innovative di «made in Italy» a livello globale.
(4-05645)
JANNONE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
in Italia i corsi di formazione si articolano secondo due diverse modalità: la formazione continua, che si rivolge alle persone occupate, a chi lavora, ma vuole mantenere alto il proprio livello di professionalità o vuole raggiungere nuove capacità professionali. La formazione professionale, riservata ai giovani in cerca di un lavoro e ai disoccupati in genere, che assorbe la grande parte di fondi pubblici, quella che finisce non di rado nelle inchieste delle procure per corsi fasulli messi in piedi solo per accaparrarsi i soldi dell'Unione Europea. La metà arriva dal Fondo sociale europeo, un dieci per cento è in capo alle Regioni, che per legge organizzano i corsi, e un 40 per cento viene direttamente dall'Erario statale, ma speso e distribuito sempre dalle Regioni. La cifra che l'Europa impegna in Italia si aggira attorno ai due miliardi di euro. La formazione permanente, al contrario, è quella rivolta agli adulti che si iscrivono ad una scuola per «sapere di più, conoscere meglio, perché continuare a studiare equivale a garantire al Paese più crescita e più benessere», dice Francesco Florenzano, presidente dell'Unieda (Unione per l'educazione degli adulti) e dell'Università popolare di Roma;
qualche tempo fa il Ministro del lavoro, delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha affermato «Non c'e buona occupazione senza formazione continua». Oggi la formazione continua viene effettuata dalle aziende attraverso i fondi interprofessionali, che il lavoratore si paga da sé contribuendo con il 3 per mille del proprio stipendio. Si tratta di almeno un miliardo di euro, diceva il Ministro alla presentazione del rapporto Isfol 2009, soldi gestiti dalle aziende e dai sindacati ma che «non sono delle parti sociali, sono di tutti e vanno usati bene per aiutare il nostro lavoro a rimanere competitivo». Nel suo intervento alla presentazione, il Ministro ha continuato: «Tutta la formazione va completamente ripensata, abbandonando il metodo scolastico. Il corso serale come viene concepito ora va cancellato perché a fronte di ingenti finanziamenti si ottengono risultati risibili, soprattutto in termini di ricaduta occupazionale»;
le tre formazioni, che valgono molti miliardi di euro e provocano altrettanti interessi economici, si rivolgono ad un esiguo 6,3 per cento della popolazione italiana, poco più di due milioni di persone, se si considerano i parametri usati da tutti i Paesi europei che considerano nel conto i cittadini dai 25 ai 64 anni di età. Sale al 15 per cento circa se, come ha fatto l'Isfol, vengono presi in considerazione anche i giovanissimi dai 15 anni di età in su, quelli che però avendo lasciato la scuola sono più interessati a seguire un corso per crearsi una professione. Per il presidente Sergio Trevisanato «questo 6,3 per cento del 2008, pur se in crescita rispetto al 6,2 del 2007 e al 6,1 del 2006, resta ovviamente un dato troppo basso, e comunque lontano dall'obiettivo di Lisbona che aveva fissato il 12,5 per cento entro il 2010. Obiettivo fallito, quindi. E non per l'Italia. Infatti tutta l'Europa, in media, non raggiunge quel risultato e si ferma al 9,6 per cento». Tutto il sistema-formazione è da rivedere, secondo Trevisanato, nonostante l'elemento positivo che vede «in crescita il coinvolgimento dei soli occupati con 200 mila persone in più che nel biennio 2006-2008 hanno partecipato ad un corso»;
appena due milioni di italiani, ogni anno, fanno un corso a fronte dei 30 milioni di tedeschi che regolarmente ne seguono almeno uno. Alcune regioni spendono milioni di euro per il moltiplicarsi di corsi per acconciatori o per estetiste, che hanno poi un basso riscontro in termini di occupazione. Solo il Lazio, con l'eccezionale traino di Roma e il Trentino Alto
Adige, di tradizione e cultura tedesca, riescono con il loro 8,5 per cento a testa ad avvicinarsi un po' alla media pur bassa dell'Europa. Questo perché mancano politiche di sostegno e di incentivo. Inoltre, non esiste un apparato che effettui il monitoraggio del feedback al termine del corso di formazione. La Banca d'Italia ha, al contrario, studiato il rendimento della formazione. Ed è arrivata ad un risultato che sorprende ma che ne sottolinea l'importanza: chi investe nella propria formazione ne ricava poi, a lungo termine, un 9 per cento di rientro economico -:
quali iniziative i Ministri intendano adottare al fine di promuovere una normativa nazionale che regoli i corsi di formazione continua a livello nazionale.
(4-05654)
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LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazioni a risposta scritta:
JANNONE. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il segmento dei volontari sta soffrendo la mancanza di riconoscimento da parte degli organi istituzionali dei loro diritti lavorativi, per questo si riunirà a Roma l'Assemblea del volontariato italiano, primo passo di una vera e propria mobilitazione di un settore che raccoglie 40 mila associazioni e 6 milioni di persone. Il portavoce del Forum del terzo settore, Andrea Olivero, afferma che l'appuntamento servirà ad aprire un incontro con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che più volte ha parlato del volontariato come di un esempio «dell'Italia migliore»;
il problema principale che enunciano le associazioni è relativo ai corrispettivi economici, dato che il trasferimento delle somme donate dal meccanismo del 5 per mille, negli anni passati, è in forte ritardo. Soltanto da pochi giorni sono stati saldati i pagamenti per le dichiarazioni del 2006, a giorni dovrebbero partire quelli del 2007 mentre per il 2008 si ignorano ancora quali siano gli enti presenti negli elenchi. La situazione viene complicata dal declino del servizio civile. Secondo i dati, nel 2009 hanno partecipato all'attività soltanto 25 mila giovani mentre nel 2007 le adesioni arrivarono a 55 mila;
il trend in diminuzione del servizio civile per il prossimo anno potrebbe diventare ancora più marcato. Nelle regole ancora allo studio per l'approvazione dei progetti, il lavoro a fianco di altri volontari non farebbe più ottenere punti in graduatoria come, al contrario, accade attualmente. A quel punto, regioni, province e comuni finirebbero col servirsi di tutte le risorse umane a disposizione. «La crisi che stiamo vivendo, osserva Emma Cavallaio, alla guida del Convol, la Conferenza dei presidenti delle associazioni di volontariato, non è solo economica ma anche culturale. Ed in questo il nostro settore, ha molto da dire»;
come afferma la bozza del documento di lavoro che sarà discusso in assemblea: «Il Paese sta smarrendo la cultura del bene comune, il senso del noi, a vantaggio di uno sterile io-io-io» -:
quali iniziative i Ministri intendano adottare al fine di mobilitare i cittadini, e soprattutto i giovani, nei confronti del mondo del volontariato, sia con mezzi informativi, sia con politiche di incentivi all'attività meritoria suddetta.
(4-05627)
JANNONE. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
dal terzo trimestre del 2008 ad oggi circa 560 mila persone, in Italia, hanno perduto il posto di lavoro. Nei primi nove mesi dell'anno è stato presentato oltre un milione e mezzo di domande per accedere all'indennità di disoccupazione e circa 60 mila per quella di mobilità. Questo è causa
dell'effetto della prima recessione nel mercato del lavoro dualistico, che vede contrapposti, da una parte i lavoratori standard, tendenzialmente protetti da un sistema di ammortizzatori sociali ideati in pieno Novecento, ritagliati sul lavoratore maschio della grande impresa del nord industriale; dall'altra gli atipici, giovani, flessibili precari, poco rappresentati e poco visibili;
l'attuale periodo di congiuntura economica imbriglia i primi nell'illusione della cassa integrazione ed abbandona i secondi tagliando, forse definitivamente, la prospettiva dell'ingresso nell'ambito degli insiders. Dal 1995 la quota di lavoratori dipendenti rimaneva stabile nelle indagini trimestrali Istat, oggi invece sta diminuendo. Dopo quasi quindici anni, nel secondo trimestre del 2009 si è registrato il -0,3 per cento su base annua, pari a 168 mila posti di lavoro cancellati. Il Cnel nel suo «Notiziario sul Mercato del Lavoro», afferma che questo è avvenuto perché la moderata crescita dell'occupazione permanente non è riuscita a compensare il tracollo dei contratti a tempo determinato, che hanno registrato un calo dello 8,3 per cento pari a una perdita di 191 mila posti. La previsione di questa perdita era già presente nell'atteggiamento di numerose aziende, nel 2008, di non rinnovare i Contratti di collaborazione, o di lavoro a tempo determinato;
i primi ad essere espulsi dal mercato sono staiti i giovani, dal momento che oltre il 75 per cento dei contratti a tempo determinato riguarda la fascia di età compresa tra i 15 ed i 34 anni. Per questo si sta progressivamente diminuendo la quota di lavoro a tempo determinato sul totale dei dipendenti e anche la percentuale di giovani sul mercato del lavoro attivo. Lo certifica l'Istat, nel suo ultimo «Annuario statistico 2009», presentato venerdì 20 novembre: nella classifica più giovane, quella cioè tra i 15 ed i 34 anni, l'occupazione registra nella media del 2008 una riduzione dell'1,8 per cento. Il tasso di occupazione, in Italia, tra la popolazione giovane rimane lontano dalla media europea: si registra il 58,7 per cento contro un tasso medio Ue del 65,9 per cento;
questo divario si è allargato proprio nell'ultimo ventennio, dato che, fino alla fine degli anni Ottanta, come dimostra nel suo recente pamphlet il demografo Massimo Livi Bacci, «Avanti Giovani, alla riscossa», la partecipazione al lavoro dei maschi e delle femmine italiane di età compresa tra i 20 ed i 24 anni era simile a quella dei loro coetanei francesi, tedeschi e spagnoli. Ora è più bassa di 10-20 punti. Gli economisti Tito Boeri e Vincenzo Galasso hanno calcolato che chi ha tra i 16 e i 24 anni ha oggi un rischio di disoccupazione quattro volte più alto di chi ha superato i 30 anni;
nel primo semestre del 2009, secondo gli ultimi dati dell'Istat, i disoccupati italiani sfiorano i due milioni di unità, con un aumento di 179 mila persone, pari ad un incremento del 10,3 per cento rispetto al medesimo periodo del 2008. Dall'analisi effettuata dal Cnel emerge che ben 100 mila, cioè più della metà, dei nuovi disoccupati sono persone con un'età inferiore ai 35 anni. Visti più da vicino i dati dell'Istat raccontano del mutamento in atto nel mercato del lavoro, del suo paradossale invecchiamento, Dopo un decennio di crescita continua anche il terziario, trasformatosi in una sorta di area-tampone dell'emorragia di posti persi nell'industria, ha cominciato a ridurre l'occupazione nei servizi alle imprese, nelle comunicazioni, nel commercio: -0,8 per cento nel complesso rispetto alla prima metà del 2008. Eppure, c'è un compatto che batte la crisi, ed è quello dei servizi alla persona. Qui si segna un incremento significativo, +7,8 per cento -:
quali misure il Ministro intenda adottare al fine di garantire, pur nell'ambito della nuova elasticità dell'offerta di lavoro, il maggior numero di occupati possibile.
(4-05646)
POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazione a risposta scritta:
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
da un articolo pubblicato dal Corriere della Sera emerge che nella sola città di Milano si stimano in 5.250 i quintali di pane buttati ogni mese in città, poco meno di 180 al giorno;
ipotizzando livelli di spreco uguali nel resto del Paese, in Italia sarebbero 24.230 le tonnellate di pane che ogni trenta giorni finiscono nella spazzatura;
secondo Gaetano Pergamo, direttore del settore alimentare di Confesercenti «in media resta sugli scaffali il dieci per cento del pane prodotto» e la Claai stima tra i tre e sette chili il pane invenduto ogni giorno in ciascuna delle 500 panetterie milanesi. Il che vuol dire che si arriva anche a 750 quintali di pane buttato al mese in città;
Antonio Marinoni, presidente dei panificatori milanesi aderenti a Confcommercio ha dichiarato di aver condotto un'indagine insieme con Amsa, la società che gestisce i rifiuti a Milano analizzando il contenuto di un campione di sacchi della spazzatura raccolti in città ed è risultato che ogni giorno a Milano si buttano tra i 130 e i 150 quintali di pane, che poi vuol dire 4.500 quintali ai mese da aggiungere ai 750 di cui si liberano ogni sera le panetterie -:
se non ritenga di dover avviare una stima nazionale sullo spreco di pane legato all'invenduto delle panetterie e a quanto viene gettato tra i rifiuti da parte dei consumatori e se e quali iniziative intenda adottare per contenere il grave spreco e per favorire il riutilizzo del pane.
(4-05616)
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E INNOVAZIONE
Interrogazioni a risposta scritta:
CALVISI. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il personale della ex base Usa della Maddalena è in stato di agitazione da diversi giorni a causa dell'incertezza relativa alle prospettive di lavoro nonché alla mancata corresponsione della «mobilità in deroga» mobilità alla fine decretata il 20 ottobre 2009 dal Ministero dell'economia e delle finanze;
infatti, come noto, il personale dipendente da organismi militari operanti nel territorio nazionale nell'ambito della Comunità atlantica, ai sensi della legge 9 marzo 1971, n. 98, qualora licenziato in conseguenza di provvedimenti di ristrutturazione degli organismi medesimi, ha diritto di essere ricollocati nelle pubbliche amministrazioni;
l'area della Maddalena ancora risente negativamente degli effetti della decisione, pur condivisibile - stante la straordinaria e drammatica conseguenza determinatasi con il terremoto in Abruzzo, del 6 aprile 2009 - di trasferire l'evento del G8 dall'isola sarda all'Aquila;
il personale interessato alla chiusura dell'ex base Usa della Maddalena ammonta a 140 unità, ovvero un contingente di lavoratori molto consistente in un territorio che già vive una situazione di difficoltà occupazionale;
il primo piano di ricollocazione predisposto dal Ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione prevederebbe, tra l'altro, il trasferimento di parte del personale in sedi quali Milano, Roma, Catanzaro e Venezia, soluzione che comporterebbe uno sradicamento dal contesto sardo e gravi difficoltà organizzative ed economiche per detti lavoratori che si
troverebbero nell'obbligata necessità di dover reimpostare la condizione di vita loro e delle rispettive famiglie;
tale impostazione del piano deriverebbe dall'indisponibilità del Ministero dell'economia e delle finanze di accettare la ricollocazione in posizione sovrannumeraria alla pianta organica degli enti locali, stante i vincoli imposti dal patto di stabilità;
inoltre, tali lavoratori da undici mesi non ricevono più gli ammortizzatori sociali - sebbene in data 20 ottobre 2009 il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, con Protocollo 14/20808, abbia autorizzato l'INPS ad erogare i trattamenti spettanti in attesa del perfezionamento del decreto interministeriale già sottoscritto dal Ministro dell'economia e delle finanze - da parte dell'INPS il che sta determinando una situazione di grande difficoltà economica, ampliata dalle ricordate incertezze relative alla possibilità di ricollocazione così come previsto dalla richiamata legge n. 198 del 1971 -:
quali iniziative intendano tempestivamente assumere al fine di assicurare una soluzione equa e compatibile con le esigenze dei lavoratori e del territorio gallurese, consentendo la ricollocazione di tutti i 140 lavoratori dell'ex base Usa della Maddalena, e con quali strumenti intendano assicurare una deroga al patto di stabilità per quegli enti, comune di La Maddalena, provincia Olbia-Tempio, parco dell'Arcipelago, che si dovranno far carico della possibile soluzione occupazionale scaturita dalla chiusura della base Usa e che hanno espresso la loro disponibilità a farsi carico della ricollocazione dei lavoratori.
(4-05614)
JANNONE. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
da una recente indagine della Fondazione Nord Est, promossa da Veneto Banca holding, è emerso che per le pmi la burocrazia e l'accesso al credito sono diventati rispettivamente, sempre più asfissianti e difficoltosi in merito all'accesso al credito, per esempio, dopo mesi di appelli, moratorie e misure straordinarie, si scopre che il rapporto con le proprie banche di riferimento è peggiorato per quasi tre imprese su dieci ed è migliorato solo per il 5 per cento del totale delle «piccole» interpellate. Tra tutte le aziende del campione che si sono rivolte al sistema bancario, chiedendo nuovo credito, il 27,2 per cento se lo è visto rifiutare, il 7,9 per cento ha dovuto rinunciarvi a causa di condizioni troppo gravose previste dagli istituti di credito e il 16,1 per cento ha dovuto accettare condizioni più onerose rispetto a quelle abituali. A questo si deve aggiungere che, sempre negli ultimi sei mesi, il 13,9 per cento delle imprese ha ricevuto una richiesta di rientro (totale o parziale) degli affidamenti;
la maggioranza delle aziende interpellate dalla Fondazione Nord Est è convinta che le banche non facciano abbastanza, solo il 38 per cento crede che la causa di tutto sia riconducibile alla crisi economico-finanziaria. Se con le banche il rapporto non è certo idilliaco, quello fra imprese e burocrazia si è incrinato in maniera considerevole. Un'azienda su tre è costretta a dedicare un'intera giornata a settimana al disbrigo di pratiche, con tutti i costi che tale opera comporta. A pagare sono soprattutto le realtà di piccolissime dimensioni che hanno strutture amministrative esili per cui il carico burocratico diventa un peso paralizzante. La quasi totalità delle imprese intervistate ritiene che negli ultimi tre anni non vi siano stati miglioramenti significativi nelle modalità di erogazione dei servizi;
l'83,1 per cento del campione ritiene poco o nulla diminuiti i tempi di attesa per ottenere autorizzazioni e documenti, addirittura l'84,4 per cento valuta invariato il numero di documenti necessari per ciascuna pratica e l'84,7 per cento ritiene che i tempi per evadere le pratiche non siano significativamente diminuiti. In una simile situazione di preoccupante stallo gli imprenditori giudicano negativamente
l'operato di comuni, regioni e province, proprio gli enti più vicini territorialmente alle aziende e che dovrebbero rappresentare uno dei perni dello Sviluppo locale. Al contrario, il risultato è una moltiplicazione degli oneri, un rallentamento della progettualità e un aggravio dei costi. Poco meno di un'azienda su cinque (18 per cento) ritiene cruciale la riduzione dei tempi di attesa, il 16,3 per cento valuterebbe positivamente l'estensione dell'autocertificazione e il 10,9 per cento la creazione degli sportelli unici. Ma la soluzione principale resta la semplificazione in tutti i settori della pubblica amministrazione che porti a un sensibile snellimento del percorso burocratico;
pertanto è necessario operare secondo tre direttrici: la prima è quella delle politiche industriali e fiscali, utili a sostenere le imprese nel loro sforzo di aumento della produttività e della competitività. La seconda è relativa alla struttura produttiva: le imprese devono procedere verso una maggiore capitalizzazione, una disponibilità a realizzare alleanze e aggregazioni. Sotto questo profilo, il ruolo di una rappresentanza coerente con le proprie caratteristiche e capace di indicare le strade delle trasformazioni diventa essenziale. Infine, ma non per importanza, la dimensione culturale: affermare il valore sociale della piccola impresa costituisce il modo per attribuire quella centralità, oggi negata, che si guadagnano quotidianamente sui mercati -:
quali iniziative di competenza i Ministri intendano adottare al fine di semplificare l'iter burocratico a cui le piccole e medie imprese devono sottostare, nonché per garantire loro un più semplice accesso al credito.
(4-05624)
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SALUTE
Interrogazioni a risposta scritta:
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere:
se corrisponda a verità che a proposito del virus H1N1, l'obbiettivo che Governo e Ministero della salute si erano prefissati era quello di vaccinare 24 milioni di persone, mentre a tutt'oggi risultano essere state utilizzate appena 35.300 dosi;
se sia vero che solo il 15 per cento dei medici e degli infermieri si è vaccinato, e non arrivano al 12 per cento gli immunizzati dai 6 mesi ai 65 anni tra coloro che hanno precarie condizioni di salute;
se sia vero che alle donne nel secondo e terzo trimestre di gravidanza siano state somministrate 21.376 dosi, pari all'11 per cento del totale;
quante siano le persone che sono decedute in Italia a causa dell'H1N1, e di quali patologie fossero affette prima di contrarre la pandemia;
se sia vero che le spese finora sostenute si aggirano intorno ai 200 milioni di euro, per oltre 40 milioni di dosi di vaccino;
se sia vero che la signora Margaret Chan, direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità, ha proposto di donare i vaccini non utilizzati ai Paesi in via di sviluppo;
se si ritenga di dover accogliere o respingere la proposta della signora Margaret Chan, e in base a quali considerazioni si opterà in un senso o in un altro;
quali industrie farmaceutiche abbiano beneficiato di questi acquisti, e per quale ammontare;
se si stia progettando l'acquisto di nuovi vaccini, che tipo di contratto si stipulerà e con quali industrie farmaceutiche.
(4-05615)
JANNONE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
tra i paesi dell'Europa occidentale l'Italia è considerato un paese con incidenza di Hiv medio-alta. Questo perché, stando alle cifre fornite in occasione della campagna del 2009 «Aids: la sua forza finisce dove comincia la tua. Fai il test!», nel 2008 sono stati diagnosticati nel nostro paese 6,7 nuovi casi di sieropositività ogni 100.000 residenti. In tutto sono 170 mila le persone contagiate da Hiv, delle quali circa 22 mila hanno contratto Aids. Nel novembre 2009, secondo gli ultimi dati dell'Istituto superiore di sanità, risultano contagiate circa 1.200 persone. Gli ultimi dati sulla pandemia di Aids, quindi, fotografano una malattia tutt'altro che debellata, che necessita di nuove campagne informative e di ingenti investimenti per essere battuta. Infatti, il rischio, soprattutto nei Paesi più avanzati, è la sottovalutazione del virus: il test si fa sempre meno, e dei 170.000 sieropositivi nel nostro Paese, si stima che uno su quattro non sappia di esserlo;
nel 2009, il 60 per cento di coloro che hanno contratto l'Aids in Italia, lo ha scoperto molto tardi rispetto ai tempi del contagio. D'altro canto, aumenta l'età media della diagnosi di infezione Hiv, passata da 26 anni per gli uomini e 24 anni per le donne nel 1985 a, rispettivamente, 38 e 34 anni nel 2008. Nel periodo in cui si ignora di aver contratto il virus la malattia non viene curata e avanza verso la sua forma più grave. «Una situazione attribuibile probabilmente ad una mancata percezione di essere a rischio di contagio», rileva Nps (network persone sieropositive) Italia onlus;
dall'ultimo rapporto dell'Uniaids, il programma delle Nazioni Unite contro Hiv/Aids, risulta che nel 2008 erano quasi 33,4 milioni le persone che nel mondo convivevano con il virus (due terzi nell'Africa Subsahariana, 2,5 milioni di bambini), con 2,7 milioni di nuove infezioni e 2 milioni di morti collegate alla sindrome. Malgrado siano stati raggiunti importanti risultati nella lotta a questa sindrome (altri dati dell'Uniaids rivelano che negli ultimi 8 anni gli sforzi internazionali hanno portato a una riduzione dei nuovi contagi di circa il 17 per cento), nei Paesi a basso e medio reddito sono meno della metà i malati che ricevono le terapie antiretrovirali di cui necessitano. Ad oggi, infatti, si calcola che per ogni 5 nuovi casi di infezione solo 2 persone hanno accesso ai trattamenti necessari;
a Milano si contano ufficialmente 9 mila malati di Aids, anche se le stime si attestano intorno ai 15 mila, perché molti di loro non si rivolgono ai centri di cura pubblici. In Lombardia, dove si viaggia al ritmo di 2 mila nuove infezioni l'anno, c'è un sommerso enorme. Si stima che ci siano 18 mila persone che non fanno ricorso a cure e sfuggono al censimento. Ogni giorno 11 italiani si infettano con il virus dell'Hiv e due di loro sono milanesi. L'allarme si riferisce soprattutto a giovani e giovanissimi: sono 1.016 i ragazzi tra i 15 ed i 25 anni che nel 2009 si sono rivolti alle strutture dedicate per ottenere informazioni e fare il test dell'Hiv, che in 12 casi ha dato esito positivo. Questo è dovuto al fatto che mentre prima il contagio era una caratteristica del genere omosessuale, ora sta diventando una piaga sociale anche nella realtà eterosessuale. La situazione è aggravata dal fenomeno della prostituzione. Il 50 per cento delle prostitute a Milano sono sieropositive e molte persone chiedono rapporti non protetti;
molto presto, a Firenze partirà una campagna informativa nelle scuole e in città per sensibilizzare la popolazione ad effettuare, assieme alle normali analisi del sangue, il test per l'Hiv. II capoluogo toscano, infatti, è slittato dal quinto al terzo posto tra le città italiane per l'incidenza stimata dell'Hiv: i casi di virus conclamati dall'inizio sono 1.159 e la stima dei contagiati dovrebbe attestarsi su circa 2.400. Il progetto, dal titolo «HIV-AIDS. Una malattia dimenticata», è stato presentato da Stefania Saccardi, assessore alle politiche sociosanitarie e presidente della Società della Salute, e dal presidente
della commissione servizi sociali e sanità, Maurizio Sguanci. Dopo una campagna di informazione a tappeto e da realizzare nelle prossime settimane, è prevista l'offerta del test Hiv alle persone che effettuano le normali analisi del sangue. L'obiettivo è infatti quello di non rivolgersi esclusivamente alle cosiddette «categorie a rischio», ma all'intera popolazione locale, stimando di eseguire oltre 10 mila esami;
lo studio partirà a febbraio dopo alcune settimane di campagna di informazione e sensibilizzazione. L'assessore Saccardi ha spiegato: «Come amministrazione, su sollecitazione del presidente Sguanci, abbiamo deciso di sostenere questo progetto perché purtroppo negli ultimi anni si è diffusa la convinzione che l'Aids sia scomparso. Invece la malattia c'è ancora anche se risulta meno letale del periodo iniziale grazie alle terapie individuate. Ma la cura è più efficace quanto prima viene scoperta la sieropositività ed invece negli ultimi anni, a causa di una caduta di interesse nell'opinione pubblica su Hiv e Aids, sono sempre di più le persone che si accorgono di aver contratto il virus quando ormai la malattia è conclamata. Questo si traduce in una minor efficacia del trattamento e in un aumento rilevante delle possibilità di contagio tra la popolazione» -:
se il Ministro intenda proporre a livello nazionale una campagna informativa simile a quella sviluppata dalla provincia di Firenze, attinente il problema dell'AIDS;
quali misure il Ministro intenda adottare per sensibilizzare la popolazione sul corretto atteggiamento richiesto per evitare il contagio da virus Hiv.
(4-05625)
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
dall'«Annuario 2009 - sanità salute» dell'Istat risulta che la regione Basilicata detiene il triste primato in Italia per patologie croniche al cuore, diabete ed obesità e nel Mezzogiorno per morti a causa di problemi respiratori e tumori;
nella tavola dell'Annuario denominata «Popolazione residente per condizioni di salute, malattia cronica dichiarata, consumo di farmaci negli ultimi due giorni precedenti l'intervista, classe di età, sesso e regione» che contiene dati, omogenei (per classe di età, sesso e regione) e ottenuti dall'Istat mediante somministrazione di questionari, i lucani sono primi in Italia per diabete, ulcera gastrica e duodenale, artrosi e artrite e al secondo posto per disturbi nervosi e per ipertensione. Infine, non c'è un'altra regione con così tante persone affette da due malattie croniche o più;
entrando nelle pieghe delle sofferenze croniche dei cittadini di Basilicata, si scopre che sono primi in Italia per le malattie croniche del cuore perché 5 è il dato regionale, a fronte di una media nazionale di 3,6 e di una media per il Sud di 3,4 (che è la stessa che si registra in Puglia);
grave anche il primato relativo al diabete: 7,2 in Basilicata, a fronte di una media-Paese di 4,8 (nel Mezzogiorno è 5,5 e in Puglia 6,4);
inoltre, dai dati medici diffusi due mesi fa nell'ambito dell'«Obesity Day 2009», emerge che gli obesi in Italia sono il 17 per cento degli uomini e il 21 per cento delle donne tra i 35 e i 74 anni; mentre in Basilicata si arriva al 34 per cento per gli uomini e al 42 per cento per le donne;
per «bronchite cronica e asma bronchiale», il dato nazionale è di 6,2 - che sale a 6,7 se si considera il solo Mezzogiorno, invece, per i lucani il dato è di 9 (i pugliesi si fermano al 6,5);
un risultato stranissimo sia perché la regione non spicca per presenza di fumatori (è nona per percentuale di tabagisti,
nell'ultimo rapporto nazionale «Osservasalute»), sia perché il suo territorio boscoso e scarsamente industrializzato, vanterebbe una buona qualità dell'aria;
la tavola dell'«Annuario statistico italiano 2009» dedicata alla mortalità, raggruppa i morti per «gruppi di cause» e «regioni di decesso» secondo elaborazioni fatte su dati del 2006. In corrispondenza di ogni patologia c'è sia il numero assoluto dei morti (per esempio, sono stati 1.421 i lucani spirati a causa di neoplasie, 9.472 i pugliesi), sia il relativo quoziente per 100.000 abitanti da cui emerge che quanto alle malattie del sistema respiratorio: a fronte di un quoziente del Sud Italia pari a 55,7, in Basilicata si registra un 60,7. Cioè, malgrado l'aria buona e quanto detto prima, queste patologie hanno ucciso più in Basilicata che nel resto del Sud (in Puglia il dato è 57,3). Hanno ucciso più che nel Lazio (52,8). Più che nel Veneto (53,3). Più che in Lombardia (57,3), i tumori hanno ammazzato, in media, più lucani (239,7) che pugliesi (232,7), calabresi (204,4), campani (223,2) e siciliani (231,7). Secondo il Registro tumori di Basilicata, tra il 2002 ed il 2006, nei lucani è aumentata l'incidenza di tutti i tipi di neoplasie. Si tratta di un'incidenza superiore a quella nazionale. Nei maschi, per esempio, il cancro alla prostata ha segnato un +34,1; il tumore alla vescica +14,5; quello al colon +14,3 e quello al polmone +12,6. Nelle femmine: cancro alla mammella +28,5; tumore al retto +9,5; cancro all'utero +8,6; cancro al polmone +1,4. Le bimbe da zero a un anno, per esempio, hanno un tasso di mortalità di 3,84. Nel resto del Paese l'indice è di 3,04 -:
quali siano le ragioni, ad avviso dei Ministri interrogati, di una così grave situazione;
quali siano le iniziative di competenza che intendano adottare per spiegare il fenomeno e porvi rimedio.
(4-05641)
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro per le pari opportunità, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano La Repubblica, nella sua edizione del 30 dicembre 2009 ha pubblicato una lettera del signor Shulim Vogelmann che, data la gravità di quanto espone si ritiene opportuno e necessario riportare integralmente: «Caro direttore, è domenica 27 dicembre. Eurostar Bari-Roma. Intorno a me famiglie soddisfatte e stanche dopo i festeggiamenti natalizi, studenti di ritorno alle proprie università, lavoratori un po' tristi di dover abbandonare le proprie città per riprendere il lavoro al nord. Insieme a loro un ragazzo senza braccia.
Sì, senza braccia, con due moncherini fatti di tre dita che spuntano dalle spalle. E salito sul treno con le sue forze. Posa la borsa a tracolla per terra con enorme sforzo del collo e la spinge con i piedi sotto al sedile. Crolla sulla poltrona. Dietro agli spessi occhiali da miope tutta la sua sofferenza fisica e psichica per un gesto così semplice per gli altri: salire sul treno. Profondi respiri per calmare i battiti del cuore. Avrà massimo trent'anni.
Si parte. Poco prima della stazione di (...) passa il controllore. Una ragazza di venticinque anni truccata con molta cura e una divisa inappuntabile. Raggiunto il ragazzo senza braccia gli chiede il biglietto. Questi, articolando le parole con grande difficoltà, riesce a mormorare una frase sconnessa: "No biglietto, no fatto in tempo, handicap, handicap. Con la bocca (il collo si piega innaturalmente, le vene si gonfiano, il volto gli diventa paonazzo) tira fuori dal taschino un mazzetto di soldi. Sono la cifra esatta per fare il biglietto. Il controllore li conta e con tono burocratico dice al ragazzo che non bastano perché fare il biglietto in treno costa, in questo caso, cinquanta euro di più. Il ragazzo farfugliando le dice di non avere altri soldi, di non poter pagare nessun sovrapprezzo, e con la voce incrinata dal pianto per l'umiliazione ripete "Handicap, handicap".
I passeggeri del vagone, me compreso, seguono la scena trattenendo il respiro, molti con lo sguardo piantato a terra, senza nemmeno il coraggio di guardare. A questo punto, la ragazza diventa più dura e si rivolge al ragazzo con un tono sprezzante, come se si trattasse di un criminale; negli occhi ha uno sguardo accusatorio che sbatte in faccia a quel povero disgraziato. Per difendersi il giovane cerca di scrivere qualcosa per comunicare ciò che non riesce a dire; con la bocca prende la penna dal taschino e cerca di scrivere sul tavolino qualcosa. La ragazza gli prende la penna e lo rimprovera severamente dicendogli che non si scrive sui tavolini del treno. Nel vagone è calato un silenzio gelato. Vorrei intervenire, eppure sono bloccato.
La ragazza decide di risolvere la questione in altro modo e in ossequio alla procedura appresa al corso per controllori provetti si dirige a passi decisi in cerca del capotreno. Con la sua uscita di scena i viaggiatori riprendono a respirare, e tutti speriamo che la storia finisca lì: una riprovevole parentesi, una vergogna senza coda, che il controllore lasci perdere e si dedichi a controllare i biglietti al resto del treno. Invece no.
Tornano in due. Questa volta però, prima che raggiungano il giovane disabile, dal mio posto blocco controllore e capotreno e sottovoce faccio presente che data la situazione particolare forse è il caso di affrontare la cosa con un po' più di compassione.
Al che la ragazza, apparentemente punta nel vivo, con aria acida mi spiega che sta compiendo il suo dovere, che ci sono delle regole da far rispettare, che la responsabilità è sua e io non c'entro niente. Il capotreno interviene e mi chiede qual è il mio problema. Gli riepilogo la situazione. Ascoltata a mia "deposizione", il capotreno, anche lui sulla trentina, stabilisce che se il giovane non aveva fatto in tempo a fare il biglietto la colpa era sua e che comunque in stazione ci sono le macchinette self service. Sì, avete capito bene: a suo parere la soluzione giusta sarebbe stata la macchinetta self service. "Ma non ha braccia! Come faceva a usare la macchinetta self service?" chiedo al capotreno che con la sua logica burocratica mi risponde: "C'è l'assistenza". "Certo, sempre pieno di assistenti delle Ferrovie dello Stato accanto alle macchinette self service" ribatto io, e aggiungo che le regole sono valide solo quando fa comodo perché durante l'andata l'Eurostar con prenotazione obbligatoria era pieno zeppo di gente in piedi senza biglietto e il controllore non è nemmeno passato a controllare il biglietti. "E lo sa perché?" ho concluso. Perché quelle persone le braccia ce l'avevano...».
Nel frattempo tutti i passeggeri che seguono l'evolversi della vicenda restano muti. Il capotreno procede oltre e raggiunto il ragazzo ripercorre tutta la procedura, con pari indifferenza, pari imperturbabilità. Con una differenza, probabilmente frutto del suo ruolo di capotreno: la sua decisione sarà esecutiva. Il ragazzo deve scendere dal treno, farsi un biglietto per il successivo treno diretto a Roma e salire su quello. Ma il giovane, saputa questa cosa, con lo sguardo disorientato, sudato per la paura, inizia a scuotere la testa e tutto il corpo nel tentativo disperato di spiegarsi; spiegazione espressa con la solita esplicita, evidente parola: handicap.
La risposta del capotreno è pronta: "Voi (voi chi?) pensate che siamo razzisti, ma noi qui non discriminiamo nessuno, noi facciamo soltanto il nostro lavoro, anzi, siamo il contrario del razzismo!". E detto questo, su consiglio della ragazza controllore, si procede alla fase B: la polizia ferroviaria. Siamo arrivati alla stazione di (...). Sul treno salgono due agenti. Due signori tranquilli di mezza età. Nessuna aggressività nell'espressione del viso o nell'incedere. Devono essere abituati a casi di passeggeri senza biglietto che non vogliono pagare. Si dirigono verso il giovane disabile e come lo vedono uno di loro alza le mani al cielo e ad alta voce esclama: "Ah, questi, con questi non ci puoi fare nulla altrimenti succede un casino! Questi hanno sempre ragione, questi non li puoi toccare". Dopodiché si consultano
con il capotreno e la ragazza controllore e viene deciso che il ragazzo scenderà dal treno, un terzo controllore prenderà i soldi del disabile e gli farà il biglietto per il treno successivo, però senza posto assicurato: si dovrà sedere nel vagone ristorante.
Il giovane disabile, totalmente in balia degli eventi, ormai non tenta più di parlare, ma probabilmente capisce che gli sarà consentito proseguire il viaggio nel vagone ristorante e allora sollevato, con l'impeto di chi è scampato a un pericolo, di chi vede svanire la minaccia, si piega in avanti e bacia la mano del capotreno.
Epilogo della storia. Fatto scendere il disabile dal treno, prima che la polizia abbandoni il vagone, la ragazza controllore chiede ai poliziotti di annotarsi le mie generalità. Meravigliato, le chiedo per quale motivo. "Perché mi hai offesa». "Ti ho forse detto parolacce? Ti ho impedito di fare il tuo lavoro?" le domando sempre più incredulo. Risposta: "Mi hai detto che sono maleducata". Mi alzo e prendo la patente. Mentre un poliziotto si annota i miei dati su un foglio chiedo alla ragazza di dirmi il suo nome per sapere con chi ho avuto il piacere di interloquire. Lei, dopo un attimo di disorientamento, con tono soddisfatto, mi risponde che non è tenuta a dare i propri dati e mi dice che se voglio posso annotarmi il numero del treno.
Allora chiedo un riferimento ai poliziotti e anche loro si rifiutano e mi consigliano di segnarmi semplicemente: Polizia ferroviaria di (...). Avrei naturalmente voluto dire molte cose, ma la signora seduta accanto a me mi sussurra di non dire niente, e io decido di seguire il consiglio rimettendomi a sedere. Poliziotti e controllori abbandonano il vagone e il treno riparte. Le parole della mia vicina di posto sono state le uniche parole di solidarietà che ho sentito in tutta questa brutta storia. Per il resto, sono rimasti tutti fermi, in silenzio, a osservare»;
appare grave e censurabile lo sconcertante comportamento assunto da impiegati delle Ferrovie dello Stato nei confronti di un cittadino unicamente colpevole di essere salito su un treno senza biglietto -:
per quale ragione si sia provveduto ad annotare le generalità del signor Vogelmann, e se dire che una funzionaria delle Ferrovie dello Stato si è comportata maleducatamente sia motivo sufficiente per giustificare l'accertamento;
quali provvedimenti si intendano promuovere, adottare e sollecitare affinché episodi come quello raccontato dal signor Vogelmann non abbiano più a ripetersi.
(4-05642)
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro della gioventù, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il 6 gennaio 2010 sul sito Corriere.it veniva pubblicato un articolo della giornalista Simona Ravizza, che per la gravità di quanto esposto si ritiene di dover pubblicare nella sua integrità: «Ha 21 anni ed è sieropositiva. Come lei, coraggiosa studentessa della Bocconi che ha affidato al Corriere il racconto del suo dolore, a Milano ci sono altre 22 mila persone. Un numero in crescita. Eppure l'Aids è ancora vergogna, tabù, paura. In uno dei passaggi della lettera si leggeva: «Si dovrebbe parlare molto più spesso di questa malattia. Io non sono una drogata, una dai facili costumi. Io sono una ragazza normale». Mauro Moroni, storico primario del Sacco e presidente dell'Anlaids Lombardia: «C'è troppo silenzio intorno al problema». Cento e più le e-mail sull'argomento arrivate a Corriere.it;
a Milano si contano due nuovi casi di contagio da Hiv al giorno: eppure Giuliano Rizzardini, a capo della 1a e 2a divisione di Malattie infettive del Sacco (che cura il 10 per cento dei malati di tutt'Italia), oggi viene chiamato dalle scuole per parlare di prevenzione anti-Aids (solo) due volte
l'anno contro le quattro volte al mese di quindici anni fa. È in questi dati - dicono gli esperti - la contraddizione di una città che ha la stessa percentuale di nuove infezioni di New York, ma dove la prevenzione stenta a decollare (come confermano i quasi mille nuovi malati l'anno) e che troppo spesso viene scossa più dalle polemiche sulla distribuzione di preservativi pubblica come dimostrano le 100 e più e-mail arrivate al forum del Corriere.it. Ammette Mauro Moroni, storico primario del Sacco e presidente dell'Anlaids Lombardia: «Il trend dei nuovi contagi ritorna a essere in crescita, ma c'è troppo silenzio intorno al problema, in città come nel resto d'Italia. Nonostante i numeri l'Hiv non rientra più nell'agenda delle emergenze»;
a Milano c'è un terzo dei malati di tutt'Italia. Un nuovo contagiato su due è eterosessuale. Non solo: «Almeno il 25 per cento dei sieropositivi può riconoscersi nell'esperienza della giovane bocconiana - spiega Giuliano Rizzardini -. Tutti pazienti senza comportamenti sessuali promiscui». I più a rischio sono i giovani tra i 24 e i 29 anni e gli uomini sopra i 60 alla riscoperta del sesso con il Viagra. Ma l'Hiv è definita una malattia democratica che non colpisce solo uomini (e donne) dalla vita disordinata: «Può bastonare chiunque senza fare distinzioni - scrivono i lettori nel forum -. Il che non vuol dire che gli altri, e cioè gli omosessuali, gli infedeli e i drogati, se lo meritino»;
un invito alla clemenza (che è diversa dalla pietà), ma soprattutto alla prevenzione con l'uso del preservativo e l'abitudine a fare il test. È l'esortazione che arriva dalle e-mail ricevute dal Corriere e dai medici: «La percezione del rischio è crollata - ribadisce Moroni -. E non c'è nulla di più pericoloso». Per la giovane bocconiana, invece, piovono soprattutto i ringraziamenti per un atto di denuncia civile. E c'è chi l'invita a mangiare la pizza venerdì sera, chi le consiglia di confidarsi con i genitori ignari di tutto, chi - sulla scorta della propria esperienza personale - la spinge ad avere una vita serena senza precludersi né i figli né la carriera, chi la esorta a ritrovare il sorriso, chi si limita semplicemente ad augurarle buona fortuna» -:
quali iniziative i Ministri, tra loro coordinati e individualmente, intendano promuovere, sollecitare e adottare, in ordine all'inquietante situazione che emerge dall'articolo della giornalista Simona Ravizza;
se non si ritenga di dover raccogliere l'allarme lanciato dai professori Mauro Moroni e Giuliano Rizzardini, e di conseguenza promuovere, di concerto con le istituzioni locali una adeguata campagna di informazione di massa circa i rischi di contagio da Hiv e altre malattie, e in particolare se non si ritenga di dover promuovere una campagna di informazione circa l'uso dei preservativi e i test.
(4-05658)
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la procura della Repubblica di Cosenza ha aperto un'inchiesta per accertare eventuali responsabilità nel caso di una bambina di due anni e mezzo alla quale all'ospedale dell'Annunziata mercoledì 30 dicembre 2009 è stato ingessato il braccio sano;
anche l'ospedale cosentino dell'Annunziata ha avviato un'inchiesta interna;
secondo i primi accertamenti, pare che si sia trattato di una distrazione degli operatori sanitari, che hanno praticato l'ingessatura al braccio sinistro a fronte di un referto che certificava una frattura al braccio destro. La bimba era caduta dal divano di casa la sera del 29 dicembre. I genitori, visto che continuava a piangere, l'hanno portata al pronto soccorso. I genitori si sono allarmati perché la piccola continuava a piangere anche dopo l'ingessatura. Un medico ha riesaminato il referto scoprendo l'errore, però la sala gessi era chiusa e si è dovuto attendere a lungo,
secondo quanto hanno dichiarato i genitori, perché arrivasse un infermiere. Levato il gesso al braccio sinistro, si è deciso poi di steccare e fasciare soltanto quello destro fratturato -:
se quanto sopra riferito corrisponda al vero;
in caso affermativo, se non si intenda promuovere o comunque sollecitare, nel rispetto delle varie competenze, ogni iniziativa utile a fare chiarezza sull'accaduto.
(4-05659)
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riferito e denunciato dal responsabile dell'Osservatorio per la tutela e lo sviluppo dei diritti dell'Associazione Giuseppe Dossetti, Corano Stillo, il 26 dicembre 2009 nell'ospedale Belcolle di Viterbo un uomo di 72 anni, suocero di un cardiologo in servizio nello stesso reparto, è deceduto prima di essere caricato sull'elicottero che lo avrebbe trasferito al policlinico Gemelli di Roma, poiché nel nosocomio viterbese l'unità di emodinamica nei giorni festivi e di notte non è in funzione, secondo un protocollo approvato nel maggio 2009;
il reparto di emodinamica, infatti, per mancanza di personale è in funzione solo nei giorni feriali dalle 8 alle 20;
lascia perplessi e sgomenti proprio la motivazione che giustifica l'accaduto: «La gravissima carenza di personale, necessaria per consentire quel piano di rientro dal deficit della Regione Lazio», la spiegazione del direttore generale della ASL di Viterbo, Adolfo Pipino, sulla modalità di intervento della struttura -:
quali iniziative di competenza si intendano promuovere, sollecitare e adottare in ordine all'episodio sopra riferito;
in particolare se non si ritenga di dover rendere operative su tutto il territorio nazionale le linee guida sugli errori, le check list, e tutti gli strumenti di prevenzione che già esistono, ma corrono il rischio di rimanere solo auspici ed espressione di buona volontà in documenti e relazioni a convegni.
(4-05663)
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
come ampiamente riferito dalla stampa e dai notiziari radio-televisivi nel reparto di terapia intensiva neonatale degli Ospedali Riuniti di Foggia il 18 dicembre 2009 e la vigilia di Natale dello stesso anno sono deceduti due neonati, la piccola Giorgia Mavilia, e il piccolo Samuele Volpe;
è fondato il sospetto che qualcosa in corsia non abbia funzionato e che non si tratti di decessi «naturali», dal momento che la procura di Foggia ha aperto un'inchiesta e iscritto nel registro degli indagati una trentina di persone;
l'ipotesi è che i due piccoli siano deceduti per setticemia -:
quali iniziative si siano adottate e promosse per accertare come si sono svolti i fatti e se vi siano eventuali responsabilità da parte del personale sanitario;
se non si ritenga di dover rendere operative su tutto il territorio nazionale le linee guida sugli errori, e check list, e tutti gli strumenti di prevenzione che già esistono, ma corrono il rischio di rimanere solo auspici ed espressione di buona volontà in documenti e relazioni a convegni.
(4-05664)
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
agenzie di stampa, quotidiani e notiziari televisivi hanno ampiamente riferito del caso di un paziente di 80 anni, morto dopo essere caduto dall'ambulanza che il
3 dicembre 2009 lo stava conducendo dal pronto soccorso del Policlinico di Bari al reparto di radiologia nella stessa struttura ospedaliera;
il paziente, avendo battuto la testa, ha riportato un trauma cranico; sottoposto ad intervento chirurgico, è deceduto dopo una ventina di giorni di agonia;
i familiari hanno presentato un esposto all'autorità giudiziaria, non convinti della versione dei fatti fornita dall'amministrazione sanitaria, per conoscere l'esatta dinamica dell'episodio -:
di quali elementi disponga il Ministro in ordine alla vicenda descritta in premessa e quali iniziative si intendano adottare per accertare i fatti e individuare eventuali responsabilità per l'accaduto.
(4-05665)
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
agenzie di stampa, notiziari televisivi e quotidiani hanno riferito del caso della signora Maria Morrone, madre della piccola Patrizia affetta da una rarissima malattia genetica - ne esistono appena quindici casi al mondo - che uccide generalmente i neonati con le convulsioni;
non è facile procurarsi il farmaco salvavita di cui la piccola ha necessità, perché viene prodotto soltanto negli Stati Uniti;
la piccola deve assumere detto farmaco ogni quattro ore;
la malattia in questione non risulta neppure essere inserita nel registro delle malattie rare e viene descritta come «deficit da piridossamina B6», ed è questa carenza a provocare le convulsioni dei neonati, il cui decesso veniva prima attribuito all'asfissia;
la signora Morrone ha rivolto un pubblico appello al Ministro della salute, perché ci si attivi per garantire alla figlia il farmaco salvavita -:
quale sia l'intendimento del Ministro in relazione a detta situazione e, in particolare, se non ritenga di dover accogliere l'appello della signora Morrone perché sia assicurato il farmaco salvavita alla figlia.
(4-05667)
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
come hanno riferito agenzie di stampa, quotidiani e notiziari radio-televisivi, il signor Giovanni D'Angelo, imprenditore edile di Cascina (Pisa) è deceduto nella giornata del 4 gennaio 2010 per un presunto attacco cardiaco, dopo che i medici del pronto soccorso dell'ospedale di Pisa gli avevano diagnosticato un problema di natura muscolare;
racconta il fratello dell'imprenditore, Andrea, «La rabbia maggiore non è per la diagnosi sbagliata o meno, ma per le analisi che non sono state fatte e che avrebbero potuto far capire ai medici che mio fratello aveva un infarto in corso»;
Giovanni D'Angelo aveva accusato un dolore al busto mentre era a lavoro in un cantiere;
sempre secondo quanto riferito dal fratello, D'Angelo «non sarebbe mai venuto via dal lavoro se non avesse avuto un dolore forte. Giovanni era molto spaventato. Temeva di avere un problema cardiaco, perché nostro padre ha avuto un infarto ed è stato operato»;
accompagnato al presidio medico della Misericordia di Navacchio, il signor D'Angelo successivamente è stato trasportato in ambulanza al pronto soccorso di Pisa con un codice rosso: «Non sappiamo come siano andate le cose», racconta il signor Andrea D'Angelo, «ma dal referto non ci sono tracce del fatto che nessun
esame del sangue sia stato fatto a mio fratello. Lui stesso me lo ha confermato al telefono una volta uscito dal controllo. Il nostro medico di famiglia lo ha giudicato strano ed è da questo aspetto che nasce la nostra rabbia. Forse hanno sottovalutato il suo malore perché Giovanni era grande e grosso»;
la famiglia D'Angelo ha presentato una denuncia ai carabinieri e la procura di Pisa ha aperto un'inchiesta sull'accaduto -:
se quanto sopra esposto corrisponda alla dinamica dei fatti;
quali iniziative si siano adottate e promosse per accertare se vi siano eventuali responsabilità da parte del personale sanitario;
se non si ritenga di dover rendere operative su tutto il territorio nazionale le linee guida sugli errori, le check list, e tutti gli strumenti di prevenzione che già esistono, ma corrono il rischio di rimanere solo auspici ed espressione di buona volontà in documenti e relazioni a convegni.
(4-05668)
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il 7 gennaio 2010 il personale del nucleo investigativo di polizia ambientale e forestale del Corpo forestale dello Stato di Chieti, e dei comandi della stazione forestale di Chieti e di Ortona, ha effettuato prelievi sulla spiaggia di Francavilla al mare;
scopo di quei prelievi, come ha spiegato il comandante provinciale di Chieti del corpo forestale, «è quello di accertare gli eventuali livelli di contaminazione della spiaggia con sostanze tossiche, quali diossine, furani, mercurio, selenio e rame, al fine di scongiurare pericoli per la salute pubblica»;
l'intervento fa seguito al precedente sequestro dell'autunno 2009, ed è stato disposto dal sostituto procuratore della Repubblica di Chieti Giuseppe Falasca, nel tratto di arenile oggetto di rilasciamento con sabbia proveniente dallo scavo del bacino portuale dell'approdo piccola pesca e turistico in via di realizzazione, anch'esso sotto sequestro -:
da cosa sia stata provocata e a quali cause sia da attribuire la situazione di degrado e di inquinamento ambientale che è oggetto dell'inchiesta della procura di Chieti;
quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano promuovere, adottare e sollecitare a fronte della situazione sopra descritta, per la tutela della salute delle popolazioni e la salvaguardia del territorio interessato dal fenomeno.
(4-05669)
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la signora Alessandra Rauco, di Leonessa (Roma) è deceduta al Policlinico Casilino, dopo un intervento al setto nasale;
i genitori della signora Rauco si sono detti convinti che la morte sia stata provocata da un'errata somministrazione dell'anestesia, e hanno presentato formale denuncia alla procura della Repubblica di Roma -:
se sia noto quale sia l'esatta dinamica che ha portato alla morte della signora Rauco e quali iniziative siano state promosse o adottate per accertare le cause di questo decesso.
(4-05672)
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il Corriere della Sera, nella sua edizione del 4 gennaio 2010, dopo aver pubblicato
la vicenda di Francesca, una bambina di due anni e mezzo a cui è stato ingessato il braccio sano, ha pubblicato la struggente lettera della signora Fatima Bonanno, madre del piccolo Andrea, di 7 anni, deceduto a causa di un'ingessatura troppo stretta;
l'episodio denunciato dalla signora Bonanno si à verificato nello stesso ospedale, «L'Annunziata» di Cosenza, e nello stesso reparto (Ortopedia e traumatologia) in cui è stata ricoverata Francesca;
l'episodio di cui è rimasto vittima il piccolo Andrea che ha perso la vita si è verificato nell'ottobre 2005, una morte che ha portato alla condanna, in primo grado, di tre medici della clinica calabrese;
nella lettera, la signora Bonanno tra l'altro scrive: «Scrivo questa lettera perché l'ultimo dell'anno, in Calabria, si è verificato l'ennesimo caso di malasanità. Nello stesso ospedale, stesso reparto di Ortopedia e traumatologia, in cui ha perso la vita mio figlio, a una bambina di due anni e mezzo è stato ingessato il braccio sano anziché quello fratturato, e ai lamenti della bambina la risposta dei sanitari era che faceva dei capricci, esattamente come si diceva per Andrea. Fortunatamente la bimba non ha subìto danni, purtroppo per Andrea non è stato così. Il 26 settembre 2009, il Tribunale penale di Cosenza in composizione monocratica, nella persona del dottor Gianfranco Grillone, ha condannato tre medici. Due per omicidio colposo tra cui il primario del reparto, e uno per falso, per aver alterato la cartella clinica di Andrea. Come si vede, qui non ci facciamo mancare proprio niente! La nostra è stata una lunga battaglia legale, che ci ha portato a scontrarci con il sistema; in questo processo c'è stato di tutto: dalle perizie false, dalle quali il Gup ha preso le distanze sconfessando i suoi stessi periti e rinviando a giudizio gli ortopedici, ai numerosissimi incontri con i rappresentanti delle istituzioni, tra i quali risalta, nel giugno 2008, l'incontro con il ministro di grazia e giustizia Angelino Alfano. Tantissimi gli sforzi compiuti da me e mio marito per assicurare una degna difesa ad Andrea, almeno da morto, visto che non siamo stati in grado di proteggerlo da vivo. In dibattimento, abbiamo affidato il caso all'avvocato professor Carlo Taormina e all'avvocato Enzo Belvedere del Foro di Cosenza; le consulenze sono state assegnate al professor Alessandro dell'Erba della prima Università di Bari, e al professor Lamberto Perugia, massima espressione dell'ortopedia italiana. In corso di causa, al giudice lo stesso Perugia ha riferito tante cose, ma una mi ha sconvolto e frustrato particolarmente: che per salvare la vita di Andrea sarebbe bastato che quegli ortopedici avessero seguito le regole basilari, quelle che a suo dire si insegnano ai tirocinanti. Per adesso la giustizia ha trionfato in un'aula di tribunale, ma è difficile che questo risultato risani ciò che si è spezzato irrimediabilmente nelle nostre vite. Il giudice, nella sua sentenza, con motivazioni contestuali denuncia il sistema; questi sono alcuni passaggi della motivazione: «Si è detto che Andrea Bonanno è stato vittima della trascuratezza, quando invece in quei pochi giorni di ricovero è stato visitato, curato, seguito da decine tra medici ed infermieri delle più diverse branche, fatto oggetto delle più svariate consulenze, sottoposto a una serie innumerevoli di trattamenti ed accertamenti; eppure la struttura che avrebbe dovuto garantirgli la guarigione da una banale frattura lo ha ucciso. Il piccolo Andrea è stato prima di tutto vittima di un sistema che concepisce il malato come una sorta di fantoccio inanimato, un contenitore di organi e di ossa trasportato da un reparto all'altro perché, nelle migliori delle eventualità, questi e quelle vengano "prese in carico" dagli specialisti di settore, o perché nella peggiore, chi si sia trovato a "gestire" il "paziente critico" sia messo un domani in condizione di poter dire (e, soprattutto, poter documentare) che nessun sintomo è stato trascurato, nessun esame è stato omesso, nessuna consulenza non è stata invocata; poi c'è un bambino che si lamenta
per un gesso troppo stretto, ne porta i sintomi che anche un profano sarebbe in grado di decifrare... ma "il sistema" ha ormai reso tutti ciechi e sordi». Forse è troppo scomodo tutto questo, qualcuno penserà che è troppo duro, ma io che ho assistito alla sofferenza e alla morte di mio figlio penso che è stato quasi divino. È come se il giudice avesse visto attraverso i miei occhi e quelli di mio figlio tutto l'accaduto. Tra non molto ci sarà il giudizio di appello, lotteremo con tutte le forze affinché siano confermate le condanne, così come continueremo a lottare per l'applicazione delle sanzioni disciplinari ai medici condannati che, a tutt'oggi, continuano a svolgere la propria attività come se non fosse successo nulla. Anche la Commissione parlamentare sugli errori sanitari, a riguardo, ha chiesto espressamente al Presidente Loiero che ciò venga fatto al più presto, ma ancora non è stato possibile raggiungere questo traguardo, che per me è il più importante, perché solo quando tutto questo accadrà, Andrea forse avrà giustizia. Qui la gente perde la vita, non perché viene sottoposta a degli interventi di alta chirurgia, dove i rischi sono messi in conto, bensì per appendicite, per ascesso tonsillare o peggio ancora per un semplice gesso. È forse chiedere troppo, desiderare che qualcuno faccia qualcosa per fermare questa mattanza? Ma non con parole o false promesse, con fatti concreti. E per chi pensa che questi casi non meritino la stessa valenza dei casi di cronaca, quella fatta da persone senza una morale, senza scrupoli, vi assicuro, data la mia esperienza personale, che non c'è alcuna differenza. Anzi, ci si sente doppiamente traditi, perché ho affidato mio figlio a dei medici, credendo che fosse in buone mani, ma così non è stato. E una volta che mio figlio è morto, in quell'esatto momento ha smesso di essere qualcuno ed è diventato solo qualcosa per cui liberarsi al più presto da ogni responsabilità. C'è chi ha falsificato la cartella clinica, c'è la cosiddetta Commissione interna che con assoluta mancanza di rispetto verso la morte di un bambino, e dei suoi genitori, senza aspettare neanche l'esito dell'autopsia, era già pronta a sostenere ipotesi assolutorie, «nessun colpevole». Ho sbagliato a pensare che i medici per la semplice scelta della nobile professione abbiano per forza anche l'animo nobile e dei principi morali. A mie spese, però, ho scoperto che non è così, loro si difendono anche quando sono così evidenti le proprie colpe. Affido questa lettera, semplice contenitore di un dolore in realtà incontenibile, a tutti i lettori, sperando, o forse sognando, che qualcosa o qualcuno possa porre fine a tante ingiustizie»;
appare sconcertante e inquietante che nello stesso ospedale, e nello stesso reparto, si siano verificati due gravissimi episodi di mala-sanità, oltretutto non in relazione ad interventi di alta chirurgia, ma per interventi semplici e perfino banali come l'applicazione di un semplice gesso -:
quali iniziative siano state adottate in relazione alla tragica vicenda del piccolo Andrea, e quali iniziative si intendano adottare in relazione alla vicenda della piccola Francesca.
(4-05673)
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'agenzia di informazioni «Adn-Kronos» attribuisce al Ministro interrogato, in data 22 dicembre 2009, la seguente dichiarazione: «Verosimilmente, il virus H1N1 sarà inserito nel vaccino contro l'influenza stagionale del prossimo anno. Bisogna eradicare questo virus e l'unico modo che abbiamo per farlo è vaccinare la popolazione. Fra qualche tempo inizieremo a valutare la possibilità di allargare le categorie da immunizzare. Per i virus non abbiamo armi efficaci come gli antibiotici per i batteri e bisogna acquisire la forma mentis per cui, contro le malattie infettive, bisogna vaccinare»;
il virus H1N1 ha provocato gli effetti causati da una normale influenza;
nonostante la massiccia campagna mediatica, una grandissima quantità di vaccino è rimasta inutilizzata -:
con quali ditte farmaceutiche si intendano prendere accordi e stipulare contratti;
se i futuri accordi saranno del tipo di quelli che già sono oggetto di una precedente interrogazione (n. 4-04578) rimasta al momento senza risposta;
in particolare se non si ritenga, almeno, di evitare, nel futuro contratto, clausole come quelle che contemplano la possibilità di mancato rispetto delle date di consegna del prodotto senza alcuna penalità per l'inadempiente o che prevedono che un eventuale rimborso da parte della società produttrice il vaccino sia possibile solo per danni causati a terzi a causa di difetti di fabbricazione, mentre in tutti gli altri casi, ad essere rimborsata sarebbe la ditta farmaceutica.
(4-05674)
...
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazioni a risposta in Commissione:
PILI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
dopo la crisi della Montedison, la maggior parte degli impianti del petrolchimico italiano è stata rilevata dall'Eni che ha diviso la produzione in due grandi entità: Syndial e Polimeri Europa;
Syndial un po' alla volta ha chiuso gran parte delle attività;
il principale cliente di Syndial è sempre stato Ineos, che partendo dal cloro ottiene l'intermedio (cvm, cloruro di vinile monomero) e poi la plastica finita (pvc, cloruro di polivinile);
Ineos è una multinazionale inglese, terza al mondo per la produzione di cvm e pvc, presente dal 2005 a Porto Torres, Assemini e Porto Marghera;
nonostante la dichiarazione di progetti di investimento nel ciclo del cloro soda e derivati (che prevedevano anche l'acquisizione dell'impianto di proprietà dell'Eni non appena ottenute le autorizzazioni), nel mese di giugno del 2008 Ineos ha annunciato la propria intenzione di ritirarsi dall'Italia e dalla Sardegna (da Porto Marghera, ma anche da Ravenna);
il 4 novembre 2008 la multinazionale inglese ha siglato un protocollo d'intesa con il Gruppo Safi finalizzato al suo ingresso nel capitale sociale di Ineos Vinyls Italia, garantendo in questo modo la continuità delle produzioni e lo sviluppo della filiera cloro-cvm-pvc in Italia, nel rispetto degli accordi di programma precedentemente sottoscritti;
la trattativa per l'ingresso del Gruppo Safi chiama in causa anche l'Eni, con il quale Ineos ha un consistente debito, pari a circa 60 milioni di euro: le società dell'Eni, Syndial e Polimeri Europa, forniscono infatti le materie prime, l'etilene e il dicloroetano;
il contenzioso sui debiti contratti da Ineos verso Eni rende particolarmente problematica la trattativa, sulla quale interviene anche il Governo, tramite il Ministero dello sviluppo economico;
tra febbraio e marzo 2009, si giunge ad un accordo fra Ineos e il Gruppo Safi che diventa il nuovo proprietario di Ineos Vinyls Italia;
il Gruppo Safi, e qui si evitano considerazioni sull'affidabilità finanziaria e sulla competenza settoriale del soggetto acquirente, opera a livello mondiale nel campo dei sistemi di sollevamento e in particolare nel settore dei ponteggi autosollevanti, montacarichi e ascensori da cantiere; ha sede a Cornuda, in provincia di Treviso, ed è stato fondato da Fiorenzo Sartor negli anni Sessanta; il fatturato del Gruppo raggiunge i 160 milioni di euro;
in seguito all'accordo di vendita emergono rilevanti criticità inerenti i debiti contratti dalla multinazionale inglese non onorati, e le nuove forniture di materie
prime: a marzo 2009 Eni comunica che potrebbe non rifornire più le materie prime agli impianti del ciclo del cloro se entro fine anno non riceve un versamento di 30 milioni di euro a parziale copertura dei debiti contratti da Ineos, Polimeri Europa, altra società del gruppo Eni;
alla fine di aprile 2009, sorgono nuovi problemi per le difficoltà legate a un mancato accordo con l'Eni sul prezzo di fornitura delle materie prime, dicloroetano ed etilene;
alla fine di maggio la Ineos Vinyls Italia ha avanzato al Tribunale di Venezia la richiesta di ammissione all'amministrazione straordinaria, dopo averlo anticipato già ad aprile, in seguito agli elevati prezzi applicati dall'Eni sulle materie prime come il dicloroetano e l'etilene;
a giugno 2009 la richiesta viene accolta e vengono nominati i commissari giudiziali per gli stabilimenti di Porto Torres e Porto Marghera, con il compito di mantenere l'attività degli impianti e individuare rapidamente una soluzione industriale per la continuità aziendale;
il 9 novembre 2009 il Ministero dello sviluppo economico emette un comunicato ufficiale in cui dichiara: «Accordo al ministero dello Sviluppo Economico per il riavvio degli impianti della VINYLS di Ravenna, Porto Marghera e Porto Torres. Sulla base di una intesa definita oggi al ministero di via Veneto tra i commissari di Vinyls e i rappresentanti dell'ENI già domani martedì 10 novembre verrà convocato un incontro tra le parti per concordare in modo conclusivo la data e le modalità di avviamento degli impianti. Il Ministro Claudio Scajola ha detto che "con l'accordo raggiunto oggi ci sono tutte le condizioni per il riavvio degli impianti nella prospettiva di dare un assetto definitivo al ciclo del cloro";
il 12 novembre 2009 il Ministero dello sviluppo economico emette un nuovo comunicato ufficiale in cui afferma: «Intesa raggiunta tra Eni e la Vinyls Italia. L'accordo è stato siglato oggi al Ministero dello sviluppo economico, nel corso della riunione della task force convocata dal Ministro Claudio Scajola, alla presenza di tutte le parti interessate alla soluzione della vicenda. L'accordo conferma ed amplia l'intesa già raggiunta lo scorso lunedì, risolvendo tutte le difficoltà legate alla fornitura di materie prime, ai servizi ed alle utilities. "Il risultato raggiunto oggi", ha dichiarato il Ministro Scajola, "costituisce il riferimento fondamentale per la definizione delle intese sindacali propedeutiche alla riapertura degli impianti. Auspico pertanto che l'incontro tra le organizzazioni sindacali e i commissari della Vinyls, previsto per le prossime ore, si svolga in maniera costruttiva consentendo la conclusione di accordi positivi per la chimica nazionale e i territori coinvolti";
nel testo dell'accordo, siglato il 12 novembre è scritto: "Vynilis ha comunicato che procederà al progressivo riavvio degli impianti a partire dal 15 dicembre";
il 15 dicembre 2009 gli impianti non sono stati riavviati;
i 140 lavoratori della Vinyls di Porto Torres (Sassari) hanno annunciato da domani (7 gennaio 2010) la ripresa della mobilitazione per denunciare il mancato rispetto degli impegni e scongiurare la chiusura degli stabilimenti che producono pvc e cvm;
la decisione della nuova mobilitazione è stata assunta durante un'assemblea con i rappresentanti della categoria dei chimici di Cgil, Cisl e Uil e non vengono escluse forme di dura protesta con il blocco del porto e delle navi, della viabilità;
il riavvio degli impianti Vinyls, azienda attualmente in amministrazione straordinaria, inizialmente previsto per il 15 dicembre 2009, sarebbe slittato per la mancanza di garanzie economiche sulla fornitura di materie prime;
il 26 dicembre la regione Sardegna, attraverso la finanziaria Sfirs, aveva garantito una fideiussione di venti milioni di euro per la ripresa delle attività, ma il
provvedimento è subordinato al parere favorevole della Commissione europea che entro due mesi dovrà stabilire se la garanzia fideiussoria debba essere considerata un aiuto di Stato e quindi bloccata;
i tempi lunghi della decisione potrebbero portare ad una decisione negativa del tribunale di Venezia con effetti devastanti a cascata per l'intero polo chimico sardo e le conseguenti ricadute in termini occupazionali;
gli accordi sottoscritti hanno sempre condizionato la ripresa produttiva ad aspetti finanziari da definire preventivamente al riavvio degli impianti provocando di fatto un continuo stallo della situazione;
l'unica possibile ripresa produttiva in grado di rimettere sul mercato gli impianti deve avvenire, invece, preventivamente, in modo tale da generare interesse reale agli impianti e alle loro produzioni;
la pervicace determinazione di anteporre la definizione degli aspetti finanziari risulta essere ad avviso dell'interrogante per ambo le parti un facile e inaccettabile atteggiamento irresponsabile sull'intera vicenda -:
se non ritenga il Ministro di convocare con somma urgenza le parti per individuare le cause e i responsabili del mancato rispetto degli impegni già sottoscritti in sede ministeriale;
se non ritenga di dover disporre attraverso i commissari l'immediata e non procrastinabile ripresa produttiva degli impianti di Porto Torres attraverso un intervento diretto con le parti indicando una dilazione dei tempi di pagamento dei debiti e delle rispettive garanzie ad una data successiva (almeno sei mesi) alla ripresa produttiva che garantirebbe la possibile formalizzazione di nuove e più serie offerte di mercato per gli impianti sardi;
se non ritenga di dover intervenire con l'Eni perché non ponga in essere condotte quali quelle tenute sinora, e favorire il riavvio degli impianti di Porto Torres;
se non ritenga di dover intervenire in sede l'Unione europea al fine di sostenere una valutazione positiva della compatibilità della proposta fideiussoria avanzata dalla SFIRS che seppur di durata limitata a sei mesi consentirebbe una temporanea risoluzione delle questioni finanziarie.
(5-02308)
FAVA e REGUZZONI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'impianto produttivo di Foggia è l'unico a produrre su tutto il territorio nazionale i motori del furgone «Turbo Daily» Iveco prodotto nello stabilimento di Suzzara;
secondo il responsabile provinciale per le infrastrutture e tecnologia della Lega Nord, la strategia adottata dall'Iveco Motors di Foggia, che produce circa 5 mila motori al mese, limiterebbe al 2011 la programmazione della produzione di motori da destinare allo stabilimento mantovano;
l'attuazione di una simile strategia rappresenterebbe una grave minaccia per l'economia suzzarese e, naturalmente, per l'intero indotto che gravita intorno allo stabilimento;
il timore è quello di un probabile ridimensionamento dello stabilimento mantovano, che ha già fatto registrare una perdita di 800 posti di lavoro, o peggio, di una dismissione dello stesso, con la conseguente delocalizzazione della produzione in altri Paesi;
sono, infatti, ventisette gli stabilimenti Iveco nel mondo e in particolare quello di Nanchino, in Cina, ha una programmazione di motori foggiani fino al 2020, mentre in Brasile, a Sete Lagos, la produzione di veicoli, uguali a quelli prodotti a Suzzara, è calendarizzata fino al 2017;
oltretutto, nell'ultimo biennio, il gruppo Iveco di Suzzara ha adottato un
piano di ampliamento dell'industria nel quale sono previsti, tra l'altro, nuovi alloggi per gli operai impiegati presso lo stabilimento. Al momento i terreni, che si estendono per oltre 200 mila metri quadrati, sono stati occupati da un grande parcheggio;
il clima di incertezza emerso dalle strategie prospettate dal gruppo Iveco potrebbe avere duri contraccolpi sull'occupazione, lasciando aperti molti interrogativi sul futuro dello stabilimento di Suzzara -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
se si intenda far chiarezza sulle future strategie del gruppo Iveco Motors ed, in particolare, sul ruolo che verrà riconosciuto allo stabilimento Iveco di Suzzara, al fine di scongiurare eventuali ricadute sui livelli occupazionali dello stabilimento stesso.
(5-02312)
Interrogazioni a risposta scritta:
JANNONE. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
durante il Salone dell'auto di Francoforte, l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, è tornato sul problema dei mancati tagli alla produzione di auto in Europa, che rischiano di creare un grave problema di sovracapacità produttiva. «In Europa - afferma Marchionne, secondo quanto riporta l'agenzia Bloomberg -, come risultato della crisi neanche un impianto è stato chiuso. La Fiat sta facendo tutto quello che è necessario per razionalizzare le sue infrastrutture, ma non c'è stata nessuna azione coordinata a livello europeo per fare la cosa più giusta». A questo proposito va ricordato che in più occasioni Marchionne ha chiesto un'azione coordinata a livello europeo per ridurre la capacità produttiva degli impianti ed evitare una crisi di sovrapproduzione;
tuttavia, qualche giorno dopo, alla presentazione del nuovo piano di produzione Fiat, veniva prevista entro il 2011 la fine della produzione automobilistica nella fabbrica siciliana di Termini Imerese, che conta 1.400 dipendenti, senza alcuna garanzia per i dipendenti. Contro questa decisione, si è schierato il segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini, che afferma: «la Fiat ha firmato un accordo per produrre qui la nuova Y». Rinaldini esprime diffidenza anche sul «reale» aumento della produzione nel Paese prospettato dal Lingotto, che dovrebbe passare dagli attuali 600-650 mila a 850-900 mila pezzi l'anno. La Cgil, tramite il segretario, Guglielmo Epifani, chiede «l'intervento» del Governo: «Non si possono dare risorse alla Fiat, soldi dei cittadini, e poi chiudere gli stabilimenti nel Sud, come Termini Imerese»;
sulla possibilità di spostare la produzione della nuova Y in Polonia, Rinaldini afferma: «Non è accettabile che loro si prendano gli eco-incentivi, ovvero i contributi dei lavoratori, e allo stesso tempo chiudano lo stabilimento di Termini Imerese». Infatti, secondo il segretario della Fiom, l'eventuale proroga degli incentivi auto deve essere legata alla garanzia che vengano mantenuti gli stabilimenti nel nostro Paese. Soprattutto perché «i tre modelli incentivati finora sono stati la Grande Punto, la Panda e la 500, che sono prodotti in Polonia»;
dopo questo scambio di posizioni, lo scorso 18 novembre circa 200-300 operai dello stabilimento Fiat di Termini Imerese e dell'indotto hanno occupato il Municipio, per concordare una linea comune sulla vertenza che prevede di fermare dal 2011 la produzione automobilistica nell'impianto siciliano. Gli operai hanno chiesto che le autorità comunali li aiutino a fissare un incontro con il Ministro Claudio Scajola, prima che la Fiat presenti ufficialmente il piano industriale. Oltre allo stabilimento di Termini Imerese, sono in protesta anche i lavoratori dell'Alfa Romeo di Arese, in regime di cassa integrazione. «La chiusura dell'Alfa - spiega
Corrado Delle Donne dello Slai Cobas -, è uno sfregio per tutta Milano». Secondo Delle Donne «al danno si aggiunge la beffa, perché Fiat se ne va da Arese ma lascia a capo l'area un suo ex manager, Luigi Arnaudo»;
qualche giorno dopo Marchionne afferma di essere pronto «a discutere con il Governo. Ma non si può pensare di difendere tutto e di tenere tutti gli stabilimenti aperti perché questo non è fattibile in un mondo che è cambiato drasticamente», precisando che le indiscrezioni circolate sul piano per gli stabilimenti italiani «sono in parte veritiere, in parte no». Il manager ha aggiunto: «Abbiamo un piano industriale intelligente e riusciremo ad aumentare la capacità produttiva del paese, ma non possiamo tornare ad una realtà che non esiste più. In Italia abbiamo sei stabilimenti, ha proseguito l'ad, e produciamo l'equivalente di quello che si realizza in una sola fabbrica in Brasile. Questo non ha nessuna logica industriale, riflette una realtà che non c'è più». L'amministratore delegato ha ribadito che da parte dell'azienda ci sono disponibilità e impegno per cercare soluzioni che però devono essere realistiche: «Confermo che siamo disposti a lavorare con il governo e le parti sociali, ma cerchiamo di non illuderci. Capisco la posizione degli operai, sono disposto a lavorare con tutti, ma bisogna confrontarsi sulla realtà industriale e vedere qual è la soluzione intelligente»;
il Ministro Claudio Scajola ribadisce però che «chiudere i battenti dello stabilimento Fiat di Termini Imerese non si può, perché sarebbe folle far morire un polo industriale come quello». Con le prospettive fosche per Termini Imerese, ma anche per altri stabilimenti del gruppo torinese, c'è chi chiama in causa la rottamazione. Su questo fronte, gli incentivi all'auto «saranno inferiori», afferma Scajola, «perché ci sarà un rientro graduale, necessario per non distorcere il mercato». «In Italia gli incentivi sono serviti a chiudere con ogni probabilità il 2009 con un calo delle immatricolazioni del 3 per cento, dopo che nel bimestre febbraio-marzo eravamo al -35 per cento e si profilava un disastro». Inoltre, la rottamazione è stata «mirata a ridurre i consumi e le emissioni. E ad aumentare l'efficienza». Insomma, «hanno dato un risultato migliore che negli altri Paesi europei», chiosa il Ministro;
quanto al ruolo della Fiat, il Ministro chiede «che venga aumentata la produzione industriale in Italia, dove immatricoliamo più auto di quante ne produciamo». O meglio: «Tutto il settore dell'auto deve essere ristrutturato profondamente. Ma questo non significa che in Spagna si possa produrre quasi il doppio delle auto che si producono in Italia». Una linea, questa, condivisa dal Ministro del lavoro -:
quali misure i Ministri intendano proporre per rendere il più possibile graduali e sostenibili, per le famiglie interessate, le eventuali decisioni di chiusura degli stabilimenti produttivi della casa automobilistica torinese.
(4-05620)
JANNONE. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il vertice di Copenaghen riaccende il faro sulla sostenibilità di uno sviluppo economico che produce emissioni crescenti di anidride carbonica, tali da minacciare l'ecosistema. La fondazione Eni Enrico Mattei ha da poco presentato un indice in grado di monitorare la sostenibilità, tenendo conto della produzione, del consumo di beni e servizi, del Pil, ma anche della sfera sociale e di quella ambientale di una nazione. Tale indice è «l'indice Feem», che, costruito da un gruppo di ricercatori dell'università veneziana di Ca' Foscari, guidato dal rettore Carlo Carraio, calcola le capacità di crescita di un'economia senza compromettere il benessere e le possibilità di consumo e investimento delle generazioni future.
«Abbiamo seguito, spiega Bernardo Bortolotti, direttore della fondazione, la logica della commissione Bruntland, ormai condivisa nel mondo»;
«l'indice Feem» giudica Paesi e aggregazioni di Paesi: se un Paese ha un altissimo reddito pro capite e un'ottima posizione sociale, ma abusa dell'ambiente, avrà un voto basso perché toglie risorse naturali a chi verrà dopo. Gli Stati Uniti, per esempio, sono primi nella classifica dell'economia e quarti nel pilastro sociale, ma, essendo 33esimi nell'ecologia, finiscono al quindicesimo posto nell'indice generale. Un gradino sopra l'Italia, penultima tra i Paesi del G8. In testa appaiono Svezia, Finlandia e Canada, molto forti in tutti e tre i pilastri mentre in fondo figurano Africa, India e Indonesia, pur essendo Africa e Indonesia nelle posizioni di mezzo della classifica ambientale. Ma nel suo complesso il quadro generale non entusiasma: in nessun angolo del pianeta esiste un'economia altamente sostenibile;
tra i 10 Paesi più solidi, otto sono europei, uno è americano, il Canada, e un altro asiatico, il Giappone. «Il modello Feem» serve non solo ad agevolare confronti sull'oggi, ma anche a proiettare nel tempo la sostenibilità delle diverse economie. L'orizzonte è quello del 2020, ma se le politiche rimangono immutate, anche la classifica non subirebbe modifiche considerevoli; l'Italia non si sposterebbe da dove si trova ad oggi e la Cina, nonostante i grandi passi in avanti della produzione, scenderebbe addirittura dal 36esimo al 37esimo posto, causa il disastro ambientale e la mancanza di una politica sociale. Secondo Carraio: «Se non cambieranno politica, gli Usa avranno una performance ambientale così bassa da annullare i successi in campo economico e sociale. La Russia, invece, non eccelle in nulla, ma ha performance medie nei tre pilastri con una pronunciata tendenza al recupero nel social»;
una volta costruito l'indice, gli economisti della Feem proiettano gli effetti al 2020 di cinque politiche per migliorare lo sviluppo: l'adozione di misure per Paese e regione del mondo per la riduzione delle emissioni di gas serra in base alle posizioni negoziali presentate a Copenaghen; la mobilitazione delle risorse necessarie a realizzare gli obiettivi di alfabetizzazione e di prevenzione sanitaria del Millennium Development Goal, elaborato alle Nazioni Unite; una maggior efficienza nell'uso delle risorse idriche tale da far risparmiare il 10 per cento dei consumi; un aumento della produttività del 5 per cento nei Paesi in via di sviluppo grazie ai sussidi per la ricerca concessi dai Paesi ricchi. Nelle loro esercitazioni, gli autori dell'indice Feem considerano gli effetti al 2020 delle politiche nei tre pilastri economico, sociale e ambientale rispetto allo scenario base. Per l'Italia il miglioramento della sostenibilità del suo sistema (più 5 per cento rispetto al livello del 2009) si realizza grazie a un incremento dell'11 per cento della componente ambientale e a una diminuzione del 2 per cento del tasso di crescita e del 6 per cento della spesa sociale -:
quali misure i Ministri intendano adottare al fine di migliorare le azioni di politica economica, ambientale e sociale italiane, come richiesto dagli analisti dell'indice Feem.
(4-05630)
JANNONE. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
seppur toccata dalla attuale congiuntura economica negativa, l'Africa continua a mantenere tassi di crescita che si attestano intorno al 3,5 per cento annuo ed è perciò un mercato a cui guardare con estrema attenzione. Nonostante le differenze, talvolta anche profonde, tra le diverse economie del continente africano, nell'ultimo decennio l'aumento della domanda di materie prime, industriali ed energetiche, in particolare da parte di Cina ed India, ha trainato lo sviluppo dell'economia africana spingendola verso livelli mai raggiunti precedentemente. In alcuni casi, questo sviluppo economico è stato accompagnato anche da cambiamenti politico-istituzionali,
che hanno incoraggiato gli investitori internazionali a guardare con più fiducia a questi mercati;
dal 2001 al 2007 gli investimenti diretti esteri nel continente sono infatti cresciuti del 77 per cento a testimonianza di una crescente attenzione verso le opportunità di business offerte alle aziende straniere. Va inoltre osservato come tale tendenza evidenzi una sempre più marcata direttrice Sud-Sud. Sono infatti Cina, India, Paesi del Golfo e Brasile ad avere presenze sempre più forti nel continente ed a definire legami economici e commerciali stabili e duraturi. Il rafforzamento delle relazioni con altri Paesi non industrializzabili contribuisce ad un cambiamento già in atto, che vede l'Africa assumere un molo sempre più rilevante nel contesto internazionale, sotto il profilo politico economico e commerciale;
in tale contesto, la creazione dell'Unione africana favorirà l'affermazione dell'Africa come attore unitario sullo scacchiere internazionale ed il superamento di alcune profonde divergenze interne che hanno in passato costituito un ostacolo insormontabile all'adozione di politiche comuni per lo sviluppo socio economico del continente. I Forum internazionali devono ovviamente tenere conto dei mutati equilibri globali ed includere sempre di più i Paesi africani nei propri processi decisionali. La presenza ai lavori dell'ultimo G8 di Egitto, Sud Africa, Angola, Nigeria, Senegal, Algeria e della stessa Unione Africana, va in questa direzione. Analogamente, nel quadro dei negoziati WTO, la massiccia partecipazione dei Paesi africani al G-90 rende l'Africa un attore imprescindibile per l'avanzamento dell'Agenda di Doha;
per quanto riguarda l'Italia, è stato affermato che tra i membri della UE, il nostro Paese è attualmente il quinto partner commerciale dell'Africa, soprattutto in virtù dei rapporti con il Nord del continente, che assorbe il 69,7 per cento del suo interscambio complessivo. Nel 2008 le esportazioni italiane verso l'Africa hanno sfiorato i 18 miliardi di euro con un incremento del 23 per cento rispetto all'anno precedente, mentre le importazioni sono cresciute del 21 per cento, per un totale di 38 miliardi di euro. Le esportazioni riguardano soprattutto macchinari, combustibili minerali e apparecchi elettrici, mentre si importano per lo più minerali, perle, gemme, metalli e pietre preziose;
la crescita sostenuta, la stabilizzazione macro-economica perseguita dai governi dell'area, la privatizzazione di importanti settori dell'economia e l'avvio di politiche di attrazione degli investimenti esteri, sono infatti destinati ad offrire crescenti occasioni di business anche per le piccole e medie imprese. Tra i settori più interessanti figurano le infrastrutture, l'agroindustria, l'energia ed il manifatturiero. L'Africa è infatti il continente meno industrializzato al mondo ed il comparto manifatturiero occupa soltanto il 15 per cento della forza lavoro, dato che il tessuto imprenditoriale domestico è in molti casi ancora poco sviluppato;
il nostro Paese deve cogliere repentinamente le opportunità che questo continente offre. A fronte della perdita di importanza di partner commerciali occidentali consolidati come Stati Uniti, Germania e Francia, si assiste ad una crescente penetrazione cinese. La Cina trova nel continente africano un mercato di sbocco per le sue merci a basso costo. Inoltre, essa offre capitali, competenze e forza lavoro per la costruzione delle infrastrutture di cui la maggior parte dei paesi africani necessita. Tale forma di interscambio si fonda sul fabbisogno della Cina di importanti materie prime necessarie al suo sviluppo interno, quali petrolio, rame, stagno, nickel, uranio e così via. Bisogna però sottolineare come la presenza cinese nel continente africano sia carente sotto un profilo sul quale invece l'Europa, e l'Italia in particolare, possono essere straordinariamente competitivi: la sostenibilità, con particolare attenzione all'integrazione con il tessuto imprenditoriale locale, alla creazione di occupazione
sul territorio e al rispetto per l'ambiente attraverso l'utilizzo di tecnologie pulite -:
quali misure il Ministro intenda adottare al fine di creare uno stretto rapporto di cooperazione con i Paesi del continente africano, proponendo l'Italia come loro interlocutore prioritario.
(4-05643)
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Apposizione di una firma ad una mozione.
La mozione Ghiglia e altri n. 1-00269, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cosenza.
Pubblicazione di testi riformulati.
Si pubblica il testo riformulato della mozione Vietti n. 1-00240, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 219 del 23 settembre 2009.
La Camera,
premesso che:
secondo quanto emerge dai dati forniti dall'associazione Antigone che opera per la difesa dei diritti dei detenuti negli istituti di pena in Italia, nel corso del 2009 la popolazione carceraria è aumentata di 8.000 unità, passando dai 58 mila reclusi del 31 dicembre 2008 ai circa 66 mila di quest'anno: oltre 20 mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare e oltre anche la cosiddetta capienza tollerabile, l'indice che individua il limite massimo per la stessa amministrazione penitenziaria;
quasi il 50 per cento (30.818) delle persone oggi detenute nel nostro Paese è in attesa di giudizio (7 mila in più rispetto a quelle che si trovavano in questa situazione prima dell'indulto del 2006): si tratta di una delle percentuali più alte d'Europa che fotografa «un'anomalia tutta italiana»;
una situazione questa che definire «allarmante» è quasi riduttivo: 34 dei 204 istituti penitenziari italiani ospitano più del doppio delle persone previste, mentre 171 carceri sono «fuori legge», dal momento che accolgono più persone di quante la capienza regolamentare consenta;
nel febbraio 2009, il Ministro Alfano aveva trionfalmente annunciato il varo di un piano carceri e la nomina di un commissario con poteri speciali che avrebbe dovuto risolvere l'emergenza del sovraffollamento;
questa soluzione proposta dal Governo è, nelle attuali e descritte condizioni, semplicemente irrealizzabile. Infatti, il ritmo di costruzione delle nuove carceri (in un piano più che approssimativo e con finanziamenti che non superano un terzo del fabbisogno) è incomparabilmente più lento della velocità di crescita della popolazione detenuta. E, nella più ottimistica delle previsioni, i nuovi posti promessi potranno essere disponibili solo quando il numero dei detenuti sarà ulteriormente aumentato di 30 mila unità;
ad oggi, infatti, nessun effetto positivo del piano carceri si è prodotto o almeno è stato portato a conoscenza del Parlamento;
se il trend dovesse continuare, la popolazione carceraria potrebbe arrivare nel giugno 2012 a 100 mila unità, a fronte di un calo di 5.500 agenti negli ultimi otto anni, stando alla denuncia delle organizzazioni sindacali della polizia carceraria che prevedono, per il prossimo triennio, l'uscita di 2.500 persone, da contrastare con l'assunzione di almeno 1.800 unità;
nello specifico, l'organico degli agenti di custodia, fissato l'ultima volta proprio nel 2001, prevedeva un numero di 42.268, a fronte di 55.000 detenuti. Oggi i carcerati, come sopra anticipato, sono diventati circa 66.000 e gli agenti in servizio
sono 40.000, ma diventano 38.000 se si considerano i duemila in malattia o in aspettativa per motivi di salute;
con questi numeri, ovviamente pesano le unità, le centinaia, le migliaia di agenti sottratti ai loro compiti principali per essere dirottati su mansioni amministrative o di servizio in uffici sguarniti da più di un decennio di blocco delle assunzioni e di tagli nella pubblica amministrazione;
come se non bastasse, anche il numero degli educatori è insufficiente, posto che in pianta organica ne sono previsti 1.088, mentre sono appena 686 quelli effettivamente in servizio; così come risulta deficitaria l'assistenza psicologica, a cominciare da quella legata alle attività di osservazione e trattamento dei detenuti, visto e considerato che a fronte di quasi 66.000 detenuti gli psicologi che prestano effettivamente servizio sono appena 352 (ciascuno in rapporto libero-professionale, retribuito molto al di sotto dei minimi di categoria e per poche ore al mese), il che comporta, come naturale conseguenza, che gli istituti di pena siano diventati un'istituzione a carattere prevalentemente, se non esclusivamente, afflittivo. A questo proposito il ministero della giustizia, proprio al fine di coprire almeno parzialmente la totale carenza di organico di tali figure professionali, aveva avviato, fin dal 2004, un concorso per l'assunzione di 39 psicologi, arrivando anche ad approvare la relativa graduatoria nel 2006; nonostante ciò, da quel momento, l'Amministrazione penitenziaria non ha proceduto ad alcuna assunzione dei vincitori del concorso, di fatto preferendo affidarsi ad un sistema di frammentate collaborazioni precarie e insufficienti;
in una circolare del 6 luglio 2009, avente per oggetto la «tutela della salute e della vita delle persone detenute», il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria ha fortemente raccomandato ai provveditori regionali di offrire ai reclusi più colloqui e maggiori occasioni di intrattenimento, di aumentare le ore d'aria, di tenere aperte le porte delle celle e di non far mancare l'acqua;
di carcere si può anche morire: generalmente, un terzo dei decessi che si verificano dietro le sbarre sono infatti dovuti a suicidio, come rivelano i dati raccolti dal centro di ricerca «Ristretti orizzonti» del carcere di Padova. Nel 2009 è stato registrato il numero più alto di detenuti suicidi nella storia della Repubblica (72 su 171 persone morte in carcere). I morti - secondo l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere - sarebbero molti di meno se nel carcere non fossero rinchiuse decine di migliaia di soggetti che provengono da realtà di emarginazione sociale. Il 30 per cento dei detenuti è tossicodipendente, il 10 per cento ha una malattia mentale, il 5 per cento è sieropositivo, il 60 per cento ha una qualche forma di epatite. Negli anni Sessanta - stando sempre ai dati forniti dall'Osservatorio - i suicidi in carcere erano tre volte meno frequenti di oggi, i tentativi di togliersi la vita addirittura quindici volte meno frequenti. Complessivamente, dal 2000 al 2009, sono state 558 le persone che si sono tolte la vita dietro le sbarre, mentre i tentati suicidi (nello stesso arco di tempo) sono stati 7.717;
la situazione è resa ancora più grave dalla diminuzione delle risorse economiche: dai 13 mila euro all'anno spesi nel 2007 per ogni detenuto per vitto, assistenza sanitaria e attività trattamentale (escluso il costo del personale) si è passati ai 6.383 del 2009;
infine, e questo costituisce il dato più inquietante, nei sedici asili nido funzionanti negli istituti penitenziari stanno crescendo 80 bambini sotto i tre anni di età, figli di detenute, mentre circa una trentina di donne sta trascorrendo i mesi di gravidanza in cella: una situazione che, come ha dimostrato uno studio condotto nel 2008 nel nido del carcere di Rebibbia, può avere gravi conseguenze sul nascituro;
ci sono, inoltre, 40 mila minori (tra i tre e i dieci anni) che hanno in carcere un genitore con il quale non possono
vivere: l'attuale legislazione prevede che, soltanto in presenza di determinati requisiti, la condanna possa essere scontata agli arresti domiciliari insieme al proprio figlio;
ciò esprime la contraddizione di una politica forte con i deboli e debole con i forti che introduce nuovi reati e immette nel circuito giudiziario e carcerario un gran numero di nuovi detenuti, specie immigrati;
quanto denunciato costituisce, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una palese violazione dei principi della Carta costituzionale, in particolare dell'articolo 32, che tutela la salute come «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività», e dell'articolo 27, secondo il quale «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
in una sentenza del 16 luglio 2009, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato per la prima volta l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (divieto di tortura e delle pene inumane e degradanti), proprio in ragione delle condizioni di sovraffollamento delle carceri sopra descritte;
infatti, secondo gli standard di riferimento utilizzati dalla Corte di Strasburgo, ogni detenuto ha diritto a 7 metri quadrati di spazio in cella singola e 4,5 metri quadrati in quella multipla: questa è la ragione per cui il nostro Paese è stato condannato al risarcimento di mille euro per aver inflitto un danno morale al cittadino bosniaco Sulejmanovic, un rom condannato per furto nel 2002;
nelle più alte sedi è stata recentemente ribadita la necessità di una maggiore vicinanza a tutte le realtà in cui c'è sofferenza a causa della privazione dei diritti elementari, tra cui quella delle carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi, e di certo non ci si rieduca;
impegna il Governo:
ad adottare una politica carceraria tendente a contenere il sovraffollamento, attraverso la riduzione dei tempi di custodia cautelare, la rivalutazione delle misure alternative al carcere, la riduzione delle pene per chi commette fatti di lieve entità;
a predisporre un nuovo piano carceri, rispetto a quello presentato il 27 febbraio 2009 dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con l'indicazione di reali coperture finanziarie e prospettive di una concreta ed efficace attuazione;
a garantire le risorse necessarie per una dotazione di polizia penitenziaria adeguata a gestire una situazione a dir poco «esplosiva»;
ad assumere iniziative di competenza per l'assunzione di un congruo numero di psicologi, indispensabili per la vita dei reclusi, nonché ad adoperarsi in sede di conferenza Stato-Regioni, affinché sia garantita ai detenuti dal Servizio sanitario nazionale la migliore assistenza medica e psicologica;
ad istituire case famiglia protette in cui accogliere mamme e bambini;
ad adottare le iniziative necessarie per istituire un organo di monitoraggio indipendente che controlli i luoghi di detenzione, in linea con quanto stabilito dal protocollo addizionale alla Convenzione Onu contro la tortura, firmato anche se non ancora ratificato dall'Italia, che ne prevede l'istituzione in tutti gli Stati aderenti entro il termine di un anno dalla ratifica;
a stipulare eventuali accordi internazionali per far scontare ai detenuti stranieri le pene nei rispettivi Paesi d'appartenenza.
(1-00240)
(Nuova formulazione) «Vietti, Rao, Mantini, Volontè, Compagnon, Naro, Ciccanti».
(23 settembre 2009).
Si pubblica il testo riformulato della mozione Ghiglia n. 1-00269, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 244 dell'11 novembre 2009.
La Camera,
premesso che:
ancora oggi, la strada rappresenta, nel nostro Paese, la forma di trasporto privilegiata rispetto alle altre modalità di trasporto. Basti pensare, infatti, che la quota del trasporto stradale, in Italia, è pari al 90 per cento della mobilità totale e che su questa percentuale incide in maniera elevata l'utilizzo dell'automobile privata;
negli ultimi anni, le città hanno registrato un aumento senza precedenti del traffico automobilistico, anche a causa della scarsa efficienza del settore del trasporto pubblico locale, con la grave conseguenza di un peggioramento dell'inquinamento ambientale e di un deterioramento della qualità della vita nelle aeree urbane;
l'Italia, nell'ambito della convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) del 1992 e del protocollo di Kyoto, adottato l'11 dicembre 1997 dalla terza conferenza Onu sul clima, ha assunto precisi impegni in termini di riduzione delle emissioni di gas-serra;
con la legge 1o giugno 2002, n. 120, di ratifica ed esecuzione del protocollo di Kyoto, l'Italia ha sottoscritto l'impegno di ridurre del 6,5 per cento - rispetto ai livelli del 1990 - le emissioni di gas-serra nell'ambiente;
sulla base dei citati impegni assunti in sede internazionale, il Governo italiano ha adottato nel corso del tempo numerose iniziative legislative e diplomatiche finalizzate alla drastica riduzione delle emissioni di gas serra nell'ambiente;
rileva, in particolare, a questo proposito l'adesione dell'Italia nel dicembre 2008 al cosiddetto «pacchetto clima-energia», attraverso il quale l'Unione europea ha rafforzato la propria azione in tema di politiche ambientali ed energetiche, fissando quali obiettivi strategici - da conseguire entro il 2020 - la riduzione del 20 per cento delle emissioni di CO2, l'incremento dell'efficienza energetica del 20 per cento e l'aumento al 20 per cento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili (cosiddetto 20-20-20);
il percorso per raggiungere gli obiettivi prefissi non risulta agevole: il trasporto urbano, infatti, contribuisce in misura significativa alle emissioni complessive dei gas-serra e, secondo quanto emerge nel piano nazionale per la riduzione delle emissioni di tali gas nel periodo 2003-2010, le sostanze responsabili dell'inquinamento atmosferico sono in continua crescita, tanto da ritenere che le emissioni dei gas responsabili dell'effetto serra da parte dei trasporti saranno nel 2010 superiori almeno dell'8 per cento rispetto ai livelli del 1990, anziché inferiori del 6,5 per cento secondo l'obiettivo prefissato dal Governo italiano;
soltanto l'innovazione tecnologica è in grado di fornire nel breve termine una risposta concreta ed efficace alla lotta contro l'inquinamento ambientale, aiutando lo Stato e gli enti locali a controllare e contenere l'emissione di sostanze inquinanti, nel rispetto degli standard comunitari ed internazionali;
a tale proposito, nel 2009, il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è fatto promotore dell'iniziativa di finanziare l'installazione di dispositivi per l'abbattimento delle emissioni di particolato dei gas di scarico su veicoli di classe euro 0, euro 1, euro 2 di proprietà di aziende che svolgono servizi di pubblica utilità e, attraverso i programmi di finanziamento di propria competenza (piano stralcio di tutela ambientale, domeniche ecologiche e interventi radicali), ha, negli anni passati, finanziato la realizzazione di colonnine di ricarica per veicoli elettrici in diversi comuni, tra cui Roma, Milano, Firenze, Bologna, Genova,
Livorno, Lucca, Catania, Palermo, Torino, Pescara e Catanzaro;
i veicoli elettrici a batteria sono una soluzione tecnicamente disponibile, in grado di garantire risparmi energetici e riduzioni delle emissioni di polveri sottili nell'ambiente anche superiori al 50 per cento in rapporto ai veicoli equivalenti con motore endotermico e sono caratterizzati da emissioni locali ridotte se non del tutto nulle;
le nuove batterie al litio o al Na/NiCl (al sale fuso, ricaricabili) permettono di raggiungere autonomie di percorso tra i 150 e i 250 chilometri, che porterebbero questi veicoli ad aggiudicarsi il 20-35 per cento del mercato complessivo della mobilità su strada: tali prestazioni, infatti, sono perfettamente compatibili con le esigenze di una frazione significativa della mobilità pendolare, con le «seconde» vetture di famiglia e con gran parte dei veicoli leggeri per usi commerciali e aziendali;
una tale diffusione sul mercato porterebbe il prezzo dei veicoli a batteria a valori non molto superiori a quello dei veicoli convenzionali e la differenza di prezzo verrebbe compensata dal loro basso consumo di energia, che permetterebbe il recupero dell'extracosto in meno della metà della vita del veicolo, con un vantaggio economico netto sull'intero arco di vita dello stesso;
non ci sono - dunque - logiche economiche che possano frenare lo sviluppo delle auto elettriche, mentre è decisiva, come dimostrato dai falliti tentativi di elettrificazione dell'auto fatti negli anni ottanta, la realizzazione delle infrastrutture adeguate;
così come l'avvento della locomotiva a vapore ha richiesto la costruzione di ferrovie e la diffusione del motore a combustione interna ha richiesto strade, autostrade e distributori di benzina, l'affermazione dell'utilizzo dell'auto elettrica richiede lo sviluppo di infrastrutture per la ricarica dei veicoli e, soprattutto, la relativa standardizzazione dei sistemi di alimentazione, dal punto di vista delle variabili elettriche, tensione e corrente, e della frequenza, nonché la definizione di opportune norme di sicurezza;
la realizzazione di questi interventi infrastrutturali finalizzati all'eliminazione degli ostacoli alla diffusione della propulsione elettrica passa necessariamente attraverso l'azione coordinata e sinergica tra Stato, enti locali, industria, gestori delle reti stradali e degli spazi pubblici e privati dedicati ai parcheggi,
impegna il Governo:
ad adottare, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle competenze attribuite alle regioni e agli enti locali dalla legislazione vigente, provvedimenti - anche di natura economica - finalizzati a:
a) creare un sistema di ricarica dei veicoli - a partire dalle aree urbane - applicabile estensivamente sia nell'ambito del trasporto privato che pubblico e che sia compatibile con quanto in fase di sviluppo in tutti i Paesi dell'Unione europea, al fine di garantire l'interoperabilità dei sistemi in ambito internazionale;
b) introdurre procedure di gestione del servizio di ricarica facendo leva sulle peculiarità e potenzialità dell'infrastruttura del contatore elettronico, con particolare attenzione:
1) all'assegnazione dei costi di ricarica al cliente che la effettua, identificandolo univocamente;
2) alla predisposizione di un sistema ad applicazioni tariffarie differenziate;
3) alla regolamentazione dei tempi e dei modi di ricarica, coniugando le esigenze dei clienti con l'ottimizzazione delle disponibilità di rete elettrica, assicurando la realizzazione di una soluzione compatibile con le regole del libero mercato che caratterizzano il settore elettrico;
c) dotare il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle risorse necessarie per il cofinanziamento, fino ad un massimo del 50 per
cento delle spese sostenute per l'acquisto e l'installazione degli impianti, dei progetti presentati dalle regioni e dagli enti locali relativi allo sviluppo di infrastrutture per la ricarica dei veicoli;
d) prevedere che il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i ministeri dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti predisponga le regole per garantire lo sviluppo unitario delle reti di ricarica sul territorio nazionale.
(1-00269)
(Nuova formulazione). Ghiglia, Bocchino, Guido Dussin, Iannaccone, Garofalo, Tommaso Foti, Germanà, Pili, Vella, Gibiino, Di Cagno Abbrescia, Aracri, Rampelli, Scalera, Iannarilli, Scalia».
(11 novembre 2009)
Ritiro di firme da una mozione.
Mozione Bernardini ed altri n. 1-00288, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 novembre 2009: sono state ritirate le firme dei deputati: Burtone, Bossa, Siragusa.
Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.
Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore:
interrogazione a risposta in Commissione Calvisi n. 5-02002 del 26 ottobre 2009 in interrogazione a risposta scritta n. 4-05614.
INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA
ALESSANDRI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
risulterebbe che nel corso delle operazioni di scrutinio per le elezioni comunali del 6 e 7 giugno 2009 del Comune di Modena i rappresentanti di lista nella commissione elettorale abbiano riscontrato e fatto verbalizzare 14 irregolarità (verbali mancanti, correzioni con il bianchetto, cancellazioni, dati errati, eccetera) durante l'esame dei registri sui quali vengono riportati i voti;
proprio in virtù di queste irregolarità in almeno 8 sezioni il voto non sarebbe dovuto essere assegnato e non sarebbe dovuto essere proclamato sindaco il candidato Giorgio Pighi, come al contrario l'ufficio elettorale centrale di Modena ha deciso;
nell'ipotesi di irregolarità sopra indicata, in almeno 2 casi, quello della sezione 71 (sul registro che riportava i voti è stato incollato un foglietto bianco senza alcuna annotazione e timbro del Presidente della sezione sul quale sono stati riportati voti differenti rispetto a quelli del registro ed i voti attribuiti al candidato Sindaco Pighi sarebbero, su tale foglietto, 42 in più) e quello della sezione 165 (sono stati attribuiti 677 voti invece di 669 e per il dato riferito al candidato Pighi le cifre sono state invertite da 435 a 453), potrebbe addirittura configurarsi il reato di falso in atto pubblico;
secondo quando si apprende a livello territoriale, in particolare dal capogruppo della Lega Nord in Consiglio comunale a Modena, anche l'atteggiamento dell'ufficio elettorale centrale sarebbe stato molto discutibile, in quanto si sarebbe rifiutato di prendere in considerazione la possibilità di consultare le tabelle di scrutinio e verificare così l'esattezza dei voti (in base all'articolo 72 del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960);
il Presidente avrebbe giustificato questa decisione con l'impossibilità di aprire le buste contenenti le tabelle di scrutinio, procedimento che però aveva adottato in precedenza al fine di recuperare un registro mancante;
un'altra decisione che lascia sconcertati sarebbe la mancata convocazione del Presidente di seggio della sezione 165, dove le irregolarità riscontrate dalla stessa commissione elettorale erano più evidenti, in considerazione del fatto che il giorno 12 giugno 2009, erano invece stati chiamati due presidenti di seggio per giustificare le anomalie rilevate sui registri -:
se, il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se nell'aggiornamento degli elenchi dei candidati a svolgere la carica di presidente di seggio si tenga conto anche della condotta che i presidenti di seggio medesimi abbiano tenuto nell'espletamento di precedenti incarichi.
(4-03328)
Risposta. - Da accertamenti esperiti per il tramite della Prefettura di Modena è emerso che, nel corso delle operazioni relative
alle recenti elezioni comunali, il Presidente e i membri dell'Ufficio elettorale centrale, durante le operazioni di conteggio dei voti delle varie sezioni, hanno fornito riscontri ai rilievi avanzati dai rappresentanti di lista presenti, assumendo, di volta in volta, le determinazioni di competenza dell'Ufficio.
L'Ufficio all'unanimità ha dichiarato, a norma dell'articolo 72 del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, di ritenere validi e pertanto di riassumere i voti di ciascuna sezione e al termine di tale operazioni è stato proclamato sindaco di Modena il dottor Giorgio Pighi. Su tale decisione, peraltro, grava un ricorso proposto al Tar dell'Emilia Romagna.
Le decisioni assunte dai componenti dell'Ufficio elettorale centrale attengono alla piena autonomia operativa dell'Ufficio stesso e sono motivate nel verbale allegato alle operazioni da esso compiute. Tali decisioni sono assolutamente insindacabili da parte di questo ministero che non ha nessun potere d'intervento.
Al Presidente della Corte di appello di Bologna, competente alla designazione dei presidenti di seggio in questione, sono sempre state fatte presenti tutte le segnalazioni di nominativi di presidenti che non hanno compiuto adeguatamente il proprio compito.
Per la nomina dei Presidenti degli uffici elettorali di sezione si fa riferimento ad appositi albi istituiti a livello provinciale presso la Corte d'appello e nei quali, al fine di assicurare la regolarità delle operazioni elettorali, vengono iscritte persone con specifici requisiti di capacità e competenza.
I presidenti degli uffici elettorali di sezione, infatti, sono individuati nell'ambito di alcune categorie di funzionari statali, di professionisti e di cittadini, per i quali tale ufficio non sia precluso da specifiche disposizioni, che, a giudizio dei presidenti delle Corti d'appello, siano idonei ad assolvere l'incarico.
Peraltro, l'articolo 1, comma 4, lettera e) della legge 21 marzo 1990, n. 53, prevede che i presidenti delle Corti d'appello, con riferimento ai rispettivi ambiti territoriali di competenza, nel mese di gennaio di ogni anno dispongano la cancellazione dall'albo delle persone idonee all'ufficio di presidente di seggio elettorale di coloro che hanno presieduto seggi le cui operazioni siano state annullate con decisione dei giudice amministrativo anche non definitiva.
Evidenzio, inoltre, che la Direzione centrale dei servizi elettorali del ministero dell'interno, in occasione di tutte le consultazioni elettorali e referendarie, provvede a sensibilizzare i presidenti delle Corti d'appello affinché siano designati a tale incarico gli elettori che, per i loro requisiti di capacità e competenza, o per aver assolto precedenti incarichi nell'ambito di seggi elettorali, garantiscano la massima professionalità ed efficienza.
A tal riguardo viene, infatti, richiamata l'attenzione dei presidenti delle Corti d'appello sul fatto che la nomina a presidente di seggio di persone qualificate e idonee costituisce presupposto indispensabile per un corretto e regolare svolgimento delle operazioni presso i seggi. Viene anche chiesto agli stessi presidenti delle Corti d'appello di valutare l'opportunità che, nel notificare l'avvenuta nomina a presidenti di seggio, gli interessati vengano sensibilizzati ad attenersi scrupolosamente alle disposizioni di legge e alle relative istruzioni ministeriali, evidenziando contestualmente le responsabilità di natura penale cui gli stessi possono andare incontro.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.
ALESSANDRI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
l'Emilia Romagna costituisce un territorio strategico (un vero e proprio «cuore trasportistico») per il Paese, sia come sistema-cerniera della mobilità Ovest-Est e Nord-Sud, sia come sistema economico e sociale fra i più densi e dinamici dell'intero Paese e nel quadro europeo;
per tali ragioni l'area regionale sostiene un carico di traffico eccezionale, anche sotto il profilo ambientale, e che le infrastrutture, in vari tratti sono in condizione di vera e propria emergenza;
la struttura produttiva della regione si articola in numerosi e significativi distretti produttivi industriali, agricoli e turistici, e contribuisce a formare circa il 10 per cento del prodotto interno nazionale;
l'economia della regione risulta particolarmente proiettata verso l'esportazione nei mercati nazionali, europei e mondiali, e la competitività di questo sistema si basa significativamente sull'efficienza e sui costi delle infrastrutture e dei sistemi di trasporto;
il reticolo delle comunità urbane e metropolitane della regione si presenta particolarmente ricco e qualificato, sia per il rilievo socio-economico, sia per quello storico-culturale e turistico;
la domanda di trasporto e di attrezzature logistiche, all'interno e all'esterno della regione, non risulta ancora adeguatamente soddisfatta, sia sotto il profilo quantitativo, sia qualitativo, come nel caso della strada statale n. 63 a Reggio Emilia, asse strategico per l'intera comunità montana;
sul territorio della regione Emilia Romagna è dunque indispensabile adeguare, in maniera equilibrata e sostenibile, la dotazione infrastrutturale per la mobilità e per la qualificazione territoriale, così come previsto dal Piano regionale integrato dei trasporti (PRIT) 1998-2010 approvato dal Consiglio regionale il 22 dicembre 1999, anche alla luce del fatto che una parte significativa del deficit infrastrutturale, per il suo rilievo sociale ed economico, riveste carattere di vera e propria «emergenza» e assume pertanto la configurazione di «preminente interesse nazionale». Vi è inoltre un ulteriore fabbisogno infrastrutturale in situazioni di «criticità» e di «priorità» rispetto al quale appare opportuna una cooperazione tra lo Stato e la Regione Emilia Romagna;
in considerazione di tali circostanze, con intesa generale quadro del 23 novembre 2003, è stata sottoscritta una collaborazione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Regione Emilia Romagna, che ha previsto tra le infrastrutture interessanti il territorio emiliano romagnolo comprese nel Programma approvato dal CIPE il 21 dicembre 2001, anche il collegamento, in provincia di Reggio Emilia tra la tangenziale Est cittadina (Variante di Canali) recentemente aperta al traffico (costo 12 milioni di Euro) e la tangenziale Sud di Puianello, in costruzione (costo 8/9 milioni di Euro (tratto definito: Variante alla strada statale n. 63, Puianello-Canali);
tale collegamento centrale, prescelto e approvato dalla Provincia di Reggio Emilia nel 1999, tra numerose opzioni, unendo direttamente la pianura alla collina e alla montagna reggiana, riveste carattere di «preminente interesse strategico», sia a livello nazionale che regionale ed è necessario per l'ammodernamento a valle della strada statale 63 del Valico del Cerreto, per l'allontanamento del traffico dai centri abitati soffocati dai gas, per l'abbattimento dei tempi di percorrenza di migliaia di pendolari e per lo sviluppo dell'economia montana, turismo incluso. Costo dell'opera, indicato sull'intesa generale quadro sopraccitata, 17,3 milioni di Euro del 2003, ma non coperto ai sensi della predetta delibera CIPE;
attualmente la provincia di Reggio Emilia sosterrebbe di non potere costruire quest'opera (fondamentale e davvero di «preminente interesse» per la viabilità al collasso della strada statale n. 63 (nel tratto Puianello/Reggio Emilia) poiché essa sarebbe di esclusiva competenza Anas, cui dunque spetterebbe ogni decisione sulle modalità di realizzazione; per questo il progetto, benché a suo tempo richiese notevoli risorse umane e finanziarie è da tempo congelato;
in alternativa o affiancamento a tale intervento, con analogo intento di decongestionare il traffico proveniente dalla
montagna e dalla Pedemontana (aumentato rispettivamente del 62 per cento e 112 per cento in 10 anni), la stessa Provincia ha posto in essere la progettazione di due tracciati stradali sul lato opposto, (a sinistra) del Crostolo: la Tangenziale Puianello - Forche, lungo il torrente e la bretella nella frazione di Rivalta, tre chilometri più a valle (soluzioni dieci anni prima scartate dagli esperti della Provincia per inefficacia trasportistica ed eccessivo impatto ambientale);
tali opere sarebbero estranee alla Variante della strada statale n. 63 Puianello-Canali (ma di essa palese doppione che, per volontà dichiarata e per caratteristiche progettuali-localizzative, sarebbero destinate a svolgere esclusiva funzione di esclusione di attraversamento delle frazioni di Forche e Rivalta e quindi non di variante alla strada statale n. 63 con i relativi requisiti, come previsto a norma della predetta intesa Stato Regione del 23 novembre 2003, e di cui il territorio ha invece bisogno);
la tangenziale (Puianello Forche), ove realizzata, farebbe confluire un maggior volume di traffico nuovamente sulla vecchia statale, a monte di un tratto congestionato e particolarmente tortuoso, dichiarato delicato e insicuro (per l'incidenza di sinistri) già nel 1995. In effetti, per tale criticità, in quello stesso anno la provincia diede inizio agli studi per l'individuazione del miglior corridoio su cui realizzare (tra Puianello e Reggio) la nuova statale n. 63, terminati a fine 98 appunto con la scelta del tracciato Puianello-Canali, a destra del torrente Crostolo; approvato con delibera provinciale n. 38 del 13 aprile 1999. (Tracciato sulla cui validità tutti concordano ad eccezione del Comune sul cui territorio l'asse stradale dovrebbe transitare, che non ha mai recepito il tracciato sul suo PRG con il tacito consenso della Provincia);
inoltre, la realizzazione della citata struttura viaria sul lato sinistro del torrente Crostolo andrebbe a compromettere l'area di pertinenza fluviale di tale risorsa idrica (principale emergenza ambientale della zona) che per la sua particolare funzione idrogeologica non potrebbe essere distratta dalla sua naturale destinazione e perciò da tutelare da interventi di natura infrastrutturale quali quello di cui trattasi al fine di salvaguardarne al massimo la libertà di divagazione e di ridurre al minimo le interferenze nella dinamica evolutiva del corpo idrico. Tutela ancor più necessaria dopo l'intervento assai invasivo, realizzato nel tratto Puianello Sud, lungo il torrente medesimo, con ampio tratto stradale in area di esondazione in contrasto rispetto alle linee guida indicate dagli esperti della Provincia, ma con permesso di costruire, in deroga, rilasciato dalle autorità territoriali competenti;
si evidenzia in tale contesto che il lembo territoriale in questione è stato indicato a suo tempo dalla Provincia di Reggio Emilia quale risorsa ambientale strategica da riqualificare e inserire all'interno del Parco del Crostolo;
le suddette opere che si vorrebbero ora realizzare in opzione o integrazione al progetto organico e sostenibile allo scopo previsto dall'Intesa Stato Regione del 2003, sono a parere degli interrogante una evidente dissimulazione di un intervento di miglioramento infrastrutturale teso, molto probabilmente ad utilizzare in maniera surrettizia problematiche cogenti della collettività al fine di avvantaggiare interessi di pochi;
una dimostrazione di tale presunta malcelata speculazione si evidenzierebbe chiaramente considerando il fatto che contestualmente alla Tangenziale Puianello Forche, sopra citata, (il cui tracciato, fra l'altro, scorre nei pressi di un sito archeologico di età romana del III secolo D.C.), vi è in programma, come detto, la costruzione, a Rivalta, di una bretella di altrettanto dubbia efficacia nella decongestione dell'ambito viario in questione;
tale bretella, a monte della frazione, devierebbe il traffico della strada statale n. 63, in discesa dalla montagna e dalla collina, a destra della statale, verso Est,
per poi, dopo due chilometri, deviare ancora verso nord, fino alla Variante di Canali (tangenziali Est), attraverso un percorso ad avviso dell'interrogante tortuoso e irrazionale, incapace di risolvere i problemi di mobilità e di congestionamento da anni presenti nell'area, con prevedibili maggiori criticità rispetto alla Variante originale, Puianello Canali ma soprattutto andando a convogliare il traffico su aree tutelate, tra cui quella antistante la Reggia di Rivaltella, bene di rilevante interesse culturale ed architettonico a sua volta sottoposto a tutela paesaggistica, da valorizzare turisticamente non appena l'attività produttiva ivi insediata, verrà delocalizzata -:
se, in considerazione di quanto previsto nella Intesa Generale 19 dicembre 2003, di cui in premessa, il tracciato stradale tra le località di Puianello (Quattro Castella) e Canali (Reggio Emilia) che compare a destra del torrente Crostolo nel PTCP 2008 della Provincia di Reggio Emilia, sia tutt'ora opera di «preminente interesse strategico» o se ad ogni modo l'Anas ne abbia previsto la realizzazione, anche con il suo concorso e quali eventualmente sarebbero i tempi previsti dall'Anas per la realizzazione del tracciato stradale di miglioramento della strada statale n. 63;
se vi siano impegni di spesa o stanziamenti di somme, in particolare da parte dell'Anas oppure del Ministero competente, per l'esecuzione del tracciato;
se siano a conoscenza delle incidenze e degli impatti che gli interventi citati in premessa rischiano di provocare sugli equilibri naturali del territorio allo scopo interessato, con particolare riferimento all'impatto ambientale sulla sponda sinistra del Corpo idrico del Crostolo in località Puianello e all'impatto paesaggistico prodotto dall'incremento del traffico sull'area tutelata antistante il viale di ingresso della Reggia di Rivaltella e dell'intero comprensorio oggetto degli interventi programmati.
(4-03369)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Si fa presente che l'intervento relativo alla strada statale n. 63 «del Valico del Cerreto», nel tratto compreso tra Reggio Emilia e Puianello, è previsto all'interno del piano pluriennale della viabilità 2003-2012 redatto da Anas, al paragrafo ammodernamento della strada statale n. 63 «del Valico del Cerreto», sotto la voce Sistemi di attraversamento nord-sud dei valichi appenninici (legge obiettivo).
L'ANAS sta volgendo le attività propedeutiche all'avvio della progettazione preliminare e sono in corso incontri con gli enti locali per definire e concordare la localizzazione e le caratteristiche dell'infrastruttura.
Il progetto preliminare comprenderà studi ed analisi per il corretto inserimento ambientale della nuova strada. In particolare, tenuto conto della vicinanza del torrente Crostoso, saranno valutati in maniera approfondita gli aspetti idraulici ed idrogeologici.
Il progetto sarà quindi sottoposto all'esame e all'approvazione degli enti preposti al controllo della compatibilità ambientale dell'infrastruttura.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
ARGENTIN e BINETTI. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la malattia di «Huntington», o «Corea di Huntington», è una malattia neurologica degenerativa, a carattere ereditario, caratterizzata da movimenti involontari di tipo coreico che gradualmente impediscono ogni attività che colpisce in Italia circa 4000 persone;
ai sintomi motori si accompagnano disartria, disfagia e deficit cognitivi con decadimento precoce delle funzioni mentali;
le alterazioni psichiche possono procedere o seguire l'esordio dei sintomi neurologici e consistono principalmente in
depressione, demenza progressiva e, in taluni casi, vere e proprie manifestazioni psicotiche;
il meccanismo patologico, innescato dalla mutazione genetica che è alla base della malattia, non è ancora del tutto chiarito e perciò non esiste una terapia risolutiva e, per questo, si usano farmaci che limitano e contengono le manifestazioni sintomatiche, talvolta con buoni risultati e netto miglioramento della qualità della vita;
il farmaco attualmente utilizzato per contrastare questa patologia è il Xenazina, un neurolettico commercializzato in Italia, inserito nella fascia A con la sigla RRL, il quale però non può essere prescritto dal medico di base ma solo da centri ospedalieri e medici specialisti in quanto non è previsto un Piano Terapeutico;
tale direttiva emanata dall'AIFA in data 17 ottobre 2008 (prot. 105460) non fa altro che scoraggiare l'uso di un farmaco benefico nonché aggiungere un'ennesima difficoltà alla vita già complicata e difficile di chi è colpito da questa malattia -:
quali siano i motivi per cui un farmaco così importante per i malati di Huntington non sia stato ancora inserito in un Piano terapeutico e non gli sia stata tolta la sigla RRL (Ricetta Ripetibile Limitativa) visto che la malattia è irreversibile.
(4-03112)
Risposta. - La tetrabenazina è una sostanza sviluppata durante la seconda metà degli anni cinquanta del secolo scorso dalla società Hoffmann-La Roche come un potenziale agente antipsicotico; il primo report clinico della Roche (1959) riferiva che la tetrabenazina si era dimostrata efficace nel trattamento della «Corea di Huntington».
In conformità ad una recente rivalutazione del rischio/beneficio della tetrabenazina, la Food and Drug Administration (Fda) nel 2008 ha concesso l'autorizzazione in commercio al medicinale, sulla base di un dossier completo.
L'esperienza americana, pur confermando con evidenza scientifica l'efficacia del medicinale Xenazina nel trattamento terapeutico della Corea di Huntington, ha chiaramente dimostrato, tuttavia, che può indurre depressione e aumentare il rischio di suicidio.
Appare pertanto ragionevole mantenere per la Xenazina la possibilità di prescrizione limitata allo specialista o ai centri ospedalieri, trattandosi di sostanza da impiegare in situazioni cliniche gravi che esigono un monitoraggio clinico qualificato in termini di efficacia e sicurezza.
La differenza tra un medicinale prescritto sulla base di un piano terapeutico e un medicinale soggetto a Ricetta ripetibile limitativa (Rrl) consiste nella diversa tipologia del monitoraggio. Nel primo caso, un centro qualificato o uno specialista effettuano la prima diagnosi e stabiliscono lo schema posologico da seguire; la prescrizione del medicinale, nei limiti indicati dal Piano terapeutico (Pt), e il monitoraggio della terapia vengono affidati per un periodo di alcuni mesi stabilito dal Pt, al medico di medicina generale. Nel secondo caso la prescrizione è affidata esclusivamente al medico specialista che controlla il paziente senza il coinvolgimento di altre figure professionali.
Il maggior disagio derivante da una prescrizione Rrl è compensato da una maggiore attenzione verso una tipologia di paziente portatore di una grave affezione di pertinenza specialistica, quale è la Corea di Huntington, malattia rara di difficile diagnosi e di problematico controllo terapeutico, che non rientra ordinariamente negli orizzonti professionali del medico di medicina generale.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.
BENAMATI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'Alta e Media Valle del Reno (Bologna) ospita importanti realtà artigianali ed industriali e rappresenta una delle maggiori
realtà economiche ed occupazionali nel contesto montano emiliano;
l'Alta Valle del Reno è un territorio a forte vocazione turistica e conta tra le sue fonti di attrazione le terme di Porretta, gli impianti sciistici del Corno alle Scale e l'omonimo Parco Regionale;
la strada statale (SS) 64 «Porrettana» rappresenta ad oggi l'unica linea di collegamento viaria tra il Comune di Sasso Marconi, connesso a Bologna tramite il casello sulla autostrada A1 Milano-Napoli, tutti i Comuni del Medio ed Alto Reno e Pistoia a sua volta collegata con l'autostrada A11 Firenze-Mare;
la SS 64 vede sovrapporsi le due funzioni di transito su lunghe percorrenze e di servizio locale, cosa che produce una elevata eterogeneità di traffico che va dall'autovettura al veicolo pesante;
la «Porrettana» è contraddistinta da sezione ed andamento plano-altimetrico sempre meno idoneo ad accogliere un traffico ad oggi pesante ed intenso;
la SS 64 mostra anche problematiche relative alla sicurezza stradale, crea problemi di inquinamento atmosferico e acustico nei centri abitati, ed è ormai caratterizzata da tempi di percorrenza elevati e poco concorrenziali per le realtà produttive e turistiche presenti sul territorio;
gli enti locali e le associazioni di categoria presenti su tutto il territorio della Media e Alta Valle del Reno (ASCOM, CNA, CONFARTIGIANATO E CONFESERCENTI), unitamente a molti comitati di cittadini, hanno più volte manifestato l'esigenza di creare un collegamento autostradale tra la valle del Setta e la valle del Reno, per avvicinare l'intera area alla rete di trasporto autostradale e specificatamente all'autostrada A1 Milano-Napoli;
la Provincia di Bologna, con il supporto della Regione Emilia-Romagna nell'ambito delle possibilità offerte dalla legge n. 30 del 1998, ha elaborato uno studio di fattibilità di un collegamento autostradale Setta-Reno («Passante») che, dipartendosi dall'autostrada in un punto della Valle del Setta prossimo alla località Rioveggio, si dirige verso la Valle del Reno attestandosi in un punto poco più a sud della città di Vergato (Bologna);
la Regione Emilia Romagna e la Provincia di Bologna, nei limiti delle loro competenze sembrano disponibili a supportare un percorso volto alla realizzazione di tale opera infrastrutturale di collegamento autostradale -:
quali iniziative intenda assumere per l'auspicata realizzazione di questo intervento infrastrutturale e per favorire l'attivazione della procedura di ricerca del proponente concessionario tramite Anas considerata l'importanza strategica che questa opera riveste per tutto il sistema dell'Alta e Media Valle del Reno e per un'ampia parte della Provincia di Bologna.
(4-03801)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Gli interventi sulla strada statale 64 «Porrettana» - Ammodernamento della strada statale soggetta a movimenti franosi fra le località Silla (km 38+740) e Marano (km 45+814) in comune di Gaggio Montano si suddividono in due stralci.
Relativamente al primo stralcio fra le località Silla (km 38+740) e Ca' dei Ladri (km 40+400), l'Anas spa ha fatto conoscere che, a seguito di risoluzione contrattuale dei lavori di ammodernamento del tratto Anas ha proceduto alla redazione di un apposito progetto per il completamento dell'opera.
Tale progetto esecutivo, dell'importo per lavori a base d'appalto di euro 14.980.000,00, è stato approvato in linea tecnica da Anas.
Il 23 settembre 2009 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana il relativo bando di gara che prevede giorni 730 per l'ultimazione dei lavori.
Per quanto attiene il secondo stralcio fra le località Ca' dei Ladri (km 40+400) e Marano (km 45+814) si evidenzia che il progetto
esecutivo per la realizzazione dei lavori di ammodernamento, redatto dall'impresa aggiudicataria dell'appalto integrato Coopsette società coop. e dell'importo complessivo di euro 61.122.842,00 per lavori, è stato approvato dall'Anas nel luglio 2008. I relativi lavori sono regolarmente in corso con un avanzamento pari al 7 per cento circa.
Per quanto riguarda quindi il collegamento autostradale tra la Valle del Setta e del Reno con l'A/1, si rappresenta che in data 27 novembre 2008, la regione Emilia Romagna ha presentato all'Anas uno studio di fattibilità per la realizzazione, con il sistema della finanza di progetto, del collegamento autostradale tra la A/1 e la Valle del Reno.
Dall'esame effettuato dall'Anas è emerso che per garantire il finanziamento dell'intervento occorrerebbe lo stanziamento di un contributo a fondo perduto per un ammontare complessivo di 30 milioni di euro e la corresponsione da parte del concedente di un pedaggio ombra per tutta la durata della concessione.
Pertanto, considerato che allo stato Anas non dispone per il collegamento di alcuno stanziamento di contributi pubblici e che la normativa in vigore nel settore autostradale non disciplina l'erogazione di pedaggi ombra a carico del concedente, si è proceduto ad effettuare alcune elaborazioni del piano economico-finanziario, nel rispetto di quanto previsto dalla delibera Cipe n. 39 del 15 giugno 2007.
Tali elaborazioni sono finalizzate ad eliminare il pedaggio ombra ed a ridurre l'entità del contributo pubblico, con conseguente aumento della tariffa a carico dell'utente, garantendo l'equilibrio economico finanziario.
I relativi risultati sono stati rappresentati alla regione Emilia Romagna la quale ha evidenziato l'esigenza di procedere ad un aggiornamento dello studio trasportistico, a suo tempo effettuato dalla provincia di Bologna, i cui risultati dovranno essere condivisi con l'Anas.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
BORDO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la società Tirrenia di Navigazione s.p.a., il cui capitale è interamente di proprietà pubblica, è titolare della concessione pubblica per il servizio di trasporto marittimo sulla tratta Manfredonia-Vieste-Isole Tremiti;
la suddetta concessione garantisce la copertura del servizio nel periodo giugnosettembre con la motonave «Pacinotti», entrata in funzione nel 2006 a seguito dell'incremento della domanda di trasporto;
grazie all'esistenza di tale collegamento, il porto di Manfredonia si è consolidato come terminal particolarmente gradito ai viaggiatori ed ai turisti diretti alle isole Tremiti provenienti dalla Capitanata e dalla Puglia meridionale, oggi costretti a raggiungere il porto di Termoli e, dunque, disincentivati ad intraprendere il viaggio;
già nel 2008, in violazione di quanto stabilito nella concessione ministeriale, il servizio di collegamento è stato sospeso in anticipo rispetto alla scadenza fissata, provocando un grave disservizio agli utenti che hanno prenotato e pagato i biglietti e danni notevoli alle agenzie di viaggio e agli operatori del settore turistico che hanno dovuto far fronte a questa vera e propria emergenza -:
se il Governo sia a conoscenza della mancata attivazione del servizio di collegamento marittimo Manfredonia-Vieste-Isole Tremiti e quali iniziative intenda intraprendere per tutelare i cittadini e i soggetti economici danneggiati dalla decisione della società Tirrenia di Navigazione s.p.a. di non attivare il servizio di collegamento.
(4-03796)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Il collegamento estivo Manfredonia-Vieste-Isole Tremiti operato dalla società Tirrenia Navigazione spa è stato impossibilitato ad attivarsi nel giugno di quest'anno a causa dell'indisponibilità del monostab «Pacinotti» per una grave avaria che ha richiesto lavori urgenti ed improrogabili di riparazione in cantiere che sono proseguiti per tutta la stagione estiva rendendo impraticabile la riattivazione della predetta linea.
Al riguardo, si fa presente che sui collegamenti marittimi con le isole Tremiti sono tuttavia presenti, nel periodo estivo, oltre che una unità Tirrenia, con partenze almeno giornaliere da Termoli, anche altri operatori marittimi che, offrendo partenze plurigiornaliere da scali garganici, servono quotidianamente le isole Tremiti.
Si fa infine presente che il collegamento tra Manfredonia e le Isole Tremiti verrà regolarmente ripristinato a seguito del completamento degli interventi tecnici sulla motostab «Pacinotti».
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
BORGHESI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
le recenti iniziative legislative del Governo in materia di noleggio con conducente hanno incontrato le perplessità della Federnoleggio (Federazione italiana delle imprese di noleggio auto e bus con conducente);
la Federnoleggio intende contribuire al dibattito aperto sul Tavolo intersindacale del Parlamentino NCC per il tavolo tecnico al Ministero definendo i principi, dettati da legislazione e giurisprudenza vigenti in materia di trasporto pubblico non di linea, con particolare riferimento alla Costituzione italiana ed ai principi comunitari;
a tal fine appare indispensabile definire il quadro normativo di riferimento;
la materia del trasporto pubblico locale è attribuita alla potestà residuale della Regione, quarto comma, dell'articolo 117 della Costituzione, attribuzione peraltro confermata dalla Corte Costituzionale, con le sentenze n. 222 del 2005, 80 e 29 del 2006. Esse hanno avuto cura di evidenziare come già il decreto legislativo n. 422 del 1997 avesse potenziato il ruolo della Regione in tale ambito; di conseguenza solo ed esclusivamente le Regioni italiane, nell'ambito territoriale di loro spettanza e competenza hanno potestà normativa in materia;
visti gli articoli 1, 16, 41 e 120 della Costituzione, ad avviso dell'interrogante devono ritenersi non conformi ai principi costituzionali le norme che ostacolino, in qualsiasi modo, la circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni o che pongano limiti all'esercizio del lavoro in qualunque parte del territorio nazionale. È evidente che il dettato costituzionale non consente l'introduzione ed il mantenimento di ostacoli e/o limiti in funzione discriminatoria di alcuni soggetti rispetto ad altri, per quanto attiene all'esercizio di attività economica;
la Corte costituzionale ha avuto in più occasioni modo di ribadire che la necessità di apposita autorizzazione per lo svolgimento di attività imprenditoriale, non implica una contemporanea limitazione territoriale all'esercizio di quella attività;
per evitare «...creazione di artificiose barriere territoriali» proprio gli articoli 41 e 120 della Costituzione sostengono una «...nozione unitaria di mercato» ed è illegittima la limitazione del «...diritto dei cittadini di esercitare in qualunque parte del territorio nazionale la loro professione» (Corte Costituzionale, sentenza n. 207 del 2001);
ad avviso dell'interrogante l'articolo 29, comma 1-quater del decreto-legge n. 207 del 2008 presenta profili di dubbia conformità all'articolo 3 della Costituzione, perché, con la modificazione della legge n. 21 del 1992, realizza una disparità
di trattamento tra situazioni uguali afferenti agli esercenti il noleggio con conducente, con riferimento al solo dato geografico che assurge a fattore discriminante. Infatti esso determina una disparità di trattamento a seconda del diverso comune che ha rilasciato l'autorizzazione. In altre parole viene materialmente precluso l'esercizio dell'attività imprenditoriale e lavorativa in un dato ambito territoriale, comunale, nei confronti di coloro i quali sono titolari di autorizzazioni di comuni diversi da quelli ove intendono esercitare;
si è in presenza di una sperequazione e di una difformità di trattamento tra operatori del medesimo settore abilitati all'esercizio di un servizio, in quanto titolari di un identico provvedimento autorizzatorio;
per quanto concerne il diritto comunitario, ai sensi dell'articolo 70 del Trattato CE, in materia di trasporti, gli Stati membri devono perseguire gli obiettivi del Trattato stesso;
per raggiungere tali obiettivi occorre che vi sia un mercato interno unico caratterizzato dall'eliminazione, fra i Paesi membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, nonché un regime teso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno (articoli 2 e 3, lettera c) e g) Trattato CE);
di conseguenza, libertà fondamentale riconosciuta alle imprese è quella di potersi stabilire in qualsiasi Paese della Comunità anche tramite l'apertura di una sede secondaria, cosiddetto stabilimento a titolo secondario;
in particolare, ai sensi degli articoli 43 e 48 del Trattato CE (Capo II, diritto di stabilimento), le restrizioni alla libertà di stabilimento delle imprese di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato sono vietate e tale divieto si estende alle restrizioni relative all'apertura di succursali o filiali;
la libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, alle condizioni definite dalla legislazione del Paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini;
la giurisprudenza comunitaria ha chiarito che godono del pieno diritto di stabilimento le imprese costituite in un Paese membro al solo scopo di stabilirsi in un altro Stato della Comunità nel quale, dette imprese, svolgono il complesso delle proprie attività economiche (CGCE, Inspire Art, causa 167/01 del 30 settembre 2003, punti 95 e 97 in particolare, causa 212/97 del 9 marzo 1999, punto 17 in particolare; Segers, causa 79/1985 del 10 luglio 1986, punto 16 in particolare);
inoltre, ai sensi dell'articolo 14 del Trattato CE, la Comunità adotta le misure destinate all'instaurazione del mercato interno conformemente, tra l'altro, alle disposizioni in tema di trasporto (articoli 70-80 del Trattato CE) e pertanto, i trasporti sono un elemento necessario per la realizzazione di detto mercato;
in buona sostanza, un imprenditore, eventualmente anche italiano, ha il diritto di costituire un'impresa di noleggio con conducente in un Paese della Comunità (es. Francia), ma di svolgere tutta o parte della propria attività in Italia, attraverso una sede secondaria e una rimessa ivi ubicata;
ad avviso dell'interrogante, alla luce di quanto evidenziato nelle norme costituzionali e comunitarie, i punti fondamentali dai quali partire, per rispettare la normativa attualmente in vigore sono:
avviare un processo di realizzazione di Albi Regionali da mettere in collegamento reciproco in modo da facilitare il compito agli organi competenti addetti ai controlli e alle verifiche;
superare il concetto di territorialità per le imprese;
attuare un'efficace e rigida lotta a tutte le forme di abusivismo;
prevedere l'abolizione dell'obbligatorietà dell'iscrizione al Ruolo Conducenti per i dipendenti;
superare l'attuale stato di contingentamento, che prevede l'autorizzazione per ogni mezzo, con l'introduzione di un sistema di autorizzazione aziendale che consente di inserire, in linea con gli orientamenti comunitari, elementi importanti di liberalizzazione nel settore, pur senza pregiudicare gli equilibri di mercato -:
se il Ministro sia a conoscenza dei tatti sopra riportati;
se alla luce delle due recenti ordinanze del Consiglio di Stato, 1959/2009 del 7 aprile 2009 e 262/2009 del 28 aprile 2009, il Ministro non intenda assumere iniziative di carattere normativo volte ad abrogare l'articolo 29 I-quater del decreto-legge n. 207 del 2008, cosiddetto mille proroghe;
se non intenda avviare un confronto con le parti interessate che porti al superamento della legge n. 21 del 1992, per quanto riguarda il settore del noleggio con conducente.
(4-03629)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
La norma introdotta con l'articolo 29, comma 1-quater del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14 (cosiddetta mille proroghe) è stata sospesa fino al 31 dicembre 2009.
Tale condizione si è sostanziata attraverso l'articolo 23, comma 2, del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.
Proprio a dimostrazione della sensibilità e dell'interesse del Governo su tale materia, è stato dato mandato ad un tavolo di concertazione tecnico-politica per trovare una soluzione stabile e duratura al conflitto dei numerosi interessi nel settore dei servizi non di linea svolti mediante autovetture (taxi e noleggio con conducente).
La finestra temporale sino al 31 dicembre del corrente anno serve appunto al raggiungimento di tale obiettivo.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
BUTTIGLIONE. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
in qualità di presidente, il 31 marzo 2009 è stata convocata dal sottosegretario alle infrastrutture e trasporti Bartolomeo Mino Giachino, la Consulta del trasporto e della logistica;
all'ordine del giorno era prevista la nomina dell'osservatorio, organismo i cui compiti sono previsti dal regolamento della Consulta, approvato dal Consiglio dei ministri e inviato al Consiglio di Stato per il previsto parere;
tale argomento è stato inserito per accelerare l'iter operativo, alla luce del parere favorevole che, secondo lo stesso presidente Giachino, era stato fornito da parte del Consiglio di Stato;
tuttavia sul sito del Consiglio di Stato è stata pubblicata una decisione contraria al testo del Regolamento inviato, oggetto di rilievi e restituito all'esame del Consiglio dei ministri;
la decisione transitoria del Consiglio di Stato, peraltro, è stata assunta nella seduta del 16 marzo ben 15 giorni prima della riunione della Consulta -:
se sia a conoscenza dei fatti e se non ritenga di sollecitare la stesura di un nuovo testo di regolamento da inviare al Consiglio di Stato per il prescritto parere al fine di giungere in tempi rapidi alla costituzione degli organi dell'osservatorio.
(4-02971)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio
dei Ministri del 19 maggio 2009, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Nella riunione della consulta generale per l'autotrasporto e la logistica del 31 marzo 2009, tra i vari argomenti da trattare all'ordine del giorno vi era anche la costituzione dell'osservatorio sulle attività di autotrasporto, in vista dell'imminente pubblicazione del regolamento di riorganizzazione e funzionamento della consulta generale per l'autotrasporto e logistica e del comitato centrale per l'albo nazionale degli autotrasportatori.
In sede di riunione, l'assemblea riteneva di dover attendere la pubblicazione del regolamento organizzativo per procedere alle nomine dei componenti dell'osservatorio.
Successivamente perveniva, relativamente allo stesso regolamento, un parere interlocutorio del Consiglio di Stato a seguito del quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti provvedeva a dare puntuale risposta secondo le indicazioni date nello stesso parere interlocutorio.
A seguito della predetta risposta e del parere favorevole del Consiglio di Stato l'8 giugno 2009, dopo la deliberazione del Consiglio dei Ministri del 29 giugno 2009 il Regolamento citato è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 192 del 20 agosto 2009 con decreto del Presidente della Repubblica 10 luglio 2009, n. 123 ed è entrato in vigore il 4 settembre 2009.
Per quel che concerne l'istituzione dell'osservatorio sulle attività dell'autotrasporto, di cui all'articolo 8 del citato decreto del Presidente della Repubblica, si rappresenta che in considerazione, tra l'altro, dei rilevanti compiti in materia di determinazione dei costi di esercizio delle imprese, sarà cura quanto prima dell'assemblea generale della consulta scegliere al proprio interno, fra i componenti aventi specifica professionalità in materie statistiche ed economiche, i membri, rendendo conseguentemente possibile per l'amministrazione attivare le procedure previste per le nomine.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
CAPARINI, CROSIO e FUGATTI. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il programma del Governo per mettere tutta la pubblica amministrazione in rete entro l'anno rischia di penalizzare ulteriormente i cittadini e le imprese delle aree marginali del Paese che si troverebbero così a dover colmare un ulteriore digital divide, oltre a quello già esistente rispetto agli altri Paesi europei;
la possibilità di accedere ai servizi online più evoluti (dai certificati della pubblica amministrazione, alla semplice ricerca di informazioni, ai servizi di web tv on-demand) dipende, infatti, dalla reale possibilità, per gli utenti, di usufruire dei servizi per i quali è necessario il collegamento in banda larga;
la situazione è ulteriormente aggravata dalla mancanza d'obbligo di fornitura del servizio universale da parte delle compagnie di telecomunicazione che crea un ulteriore discrimine tra i cittadini che hanno accesso alla banda larga di prima generazione e coloro che sono esclusi dai collegamenti broadband, penalizzando ulteriormente le imprese in rete, e aumentando ancora di più il divario con l'Europa, dove sono già disponibili reti a 50 megabit, e i governi hanno stanziato ingenti somme per la costruzione di reti di nuova generazione fino a 100 megabit al secondo;
una soluzione tecnologicamente già disponibile per portare immediatamente l'accesso in banda larga (fino a 4 megabit di trasmissioni dati) a tutti, è possibile attraverso la presa elettrica domestica, grazie alla tecnologia Powerline Communication (PLC), che utilizza le normali linee elettriche per trasmettere dati, sfruttando le prese preesistenti, senza la necessità di interventi o modifiche;
il servizio è possibile a partire dalle cabine di trasformazione: si tratta di impianti che convertono la tensione elettrica da media (16.000 Volt circa) a bassa
(220/380 volt) per essere poi distribuita agli utenti finali: è sufficiente quindi collegare il modem a qualunque presa elettrica domestica per poter navigare immediatamente in Internet alla velocità di scaricamento di 4 megabit, e di 512 Kb in caricamento. Oltre allo scambio di dati, questa tecnologia consente anche di poter utilizzare normali servizi di telefonia voce e di videoconferenza;
negli Usa Ibm sta lavorando ad un progetto per collegare ad internet, attraverso la rete elettrica, intere aree rurali. È lecito domandarsi come mai in Italia questa tecnologia, immediatamente disponibile per chiunque, senza bisogno di alcun intervento e senza costi aggiuntivi, non viene pubblicizzata né offerta dalle compagnie elettriche;
per ridurre il digital divide, favorire l'accesso dei cittadini alla pubblica amministrazione, e assicurare alle imprese le condizioni minime per poter operare, sia su scala nazionale, sia globalmente, occorre che le public utilities offrano il servizio basato sulla tecnologia Powerline Communication (PLC), anche attraverso un sistema di incentivi a carico degli enti locali, che potrebbero sostenere i costi per l'acquisto del modem e/o di parte dell'abbonamento a quelle famiglie e/o imprese ubicate in aree rurali attualmente non raggiunte dal servizio a banda larga di prima generazione (Adsl) -:
quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine chi diminuire il digital divide anche ricorrendo alla tecnologia Powerline Communication.
(4-05025)
Risposta. - Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede di conoscere le iniziative che il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione ed il Ministro dello sviluppo economico intendono intraprendere al fine di ridurre il cosiddetto fenomeno del digital divide, anche mediante l'utilizzo della tecnologia powerline communication (Plc).
In via preliminare, è d'uopo rappresentare come, a gennaio 2009, il Governo, nell'ambito dei provvedimenti tesi a migliorare l'efficienza e la trasparenza della Pubblica amministrazione nonché il rapporto intercorrente con cittadini e imprese, ha presentato il piano denominato «e-gov 2012». Tale programma ha come scopo precipuo quello di digitalizzare completamente la pubblica amministrazione permettendo così un rapido accesso ai servizi e alle informazioni dalla stessa resi.
Strumento necessario per il perseguimento e il raggiungimento di tali obiettivi è, quindi, il potenziamento delle infrastrutture di diffusione della cosiddetta «banda larga».
Nello specifico, il progetto e-gov 2012, in linea con la strategia di Lisbona, punta, entro il 2010, alla riduzione del 50 per cento del fenomeno del digital divide, prevedendo interventi volti ad una rapida e capillare diffusione della banda larga su tutto il territorio nazionale.
È intendimento del Governo e, in particolare, del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, pertanto, ricorrere ad ogni strumento di carattere tecnologico che possa, nel minor tempo e con il miglior risultato, raggiungere i suddetti obiettivi.
Tra gli strumenti e le tecnologie possibili vi è, senz'altro, come indicato dall'interrogante, la powerline communication.
Questo tipo di tecnologia, anche detta ad «onde convogliate», utilizza, per la trasmissione voce e dati, la rete di alimentazione elettrica; in particolare, si sovrappone al trasporto di corrente elettrica, continua o alternata a bassa frequenza, un segnale a frequenza più elevata che è modulato a seconda dell'informazione da trasmettere. La separazione dei due tipi di corrente si effettua grazie al filtraggio e alla separazione degli intervalli di frequenze utilizzate.
Tale tecnologia può essere adottata sia in ambito «rete locale» sia per realizzare connessioni ad internet in «banda larga»; tuttavia, diversi sono gli esiti e i costi.
In ambito «rete locale», ovvero per realizzare le Lan (Local area network)
all'interno degli edifici, esistono in commercio numerosi prodotti (cosiddetti «adattatori di rete Powerline) e la tecnologia può ritenersi consolidata sebbene presenti ancora i tipici problemi dovuti all'instabilità del segnale a seguito delle variazioni dei carichi sulla rete elettrica. In tale segmento di mercato la tecnologia Powerline può trovare impiego anche in modo sinergico e complementare alla tecnologia WIFI.
Al riguardo si ricorda che nell'ambito di Forum Pubblica amministrazione 2009 è stato presentato un progetto realizzato dal Consiglio nazionale delle ricerche con il sostegno di Telecom, che, utilizzando una soluzione basata sulle tecnologie di trasmissione ad «onde convogliate» e Pof (polymer optical fibre, ovvero fibre ottiche plastiche) riduce le distanze tra i bambini ospedalizzati e la scuola favorendone nel contempo l'assistenza. Tale progetto sarà esteso, dopo la prima riuscita applicazione nel Policlinico Sant'Orsola-Malpighi di Bologna, ad altre sei aziende ospedaliere.
In ambito internet a «banda larga», ovvero per realizzare le Man (Metropolitan area network) o le Wan (Wide area network), la tecnologia Powerline presenta, invece, maggiori criticità, con un conseguente grado di affidabilità e di resa assai inferiori rispetto alle aspettative progettuali. In proposito rivestono altresì notevole importanza le problematiche di rigenerazione del segnale su lunga distanza e di «interruzione» delle linee dovute alla presenza di cabine elettriche e più in generale di trasformatori.
Le tecnologie Plc si presentano come un potenziale concorrente per l'infrastruttura in doppino, ma non sono attualmente sostenute da modelli di business consolidati, sia per quanto riguarda i soggetti coinvolti, sia per la recente e continua evoluzione della tecnologia e della regolamentazione.
Sebbene le stesse, potenzialmente, potrebbero costituire una possibile alternativa alla diffusione dell'Adsl, le attuali condizioni tecnologiche e normative e la complessità organizzativa dei gestori della rete elettrica sono fattori che ne ostacolano in concreto l'affermazione sul mercato.
Tali considerazioni fanno ritenere che, nel breve periodo, un eventuale sviluppo di offerte di questo tipo di tecnologia sarebbe concentrato nelle aree cittadine, in concorrenza con l'Adsl piuttosto che volto all'implementazione delle aree rurali.
Infine, sebbene la tecnologia powerline possa essere attualmente considerata matura ed utilmente impiegata in ambito locale, la stessa incontra maggiori difficoltà quando è adottata per la fornitura di servizi in banda larga nelle zone rurali ed in quelle in situazione di digital divide. In tali ambiti, infatti, un suo impiego su vasta scala richiederebbe rilevanti investimenti, la cui onerosità ne ha sconsigliato finora anche una efficace e diffusa sperimentazione.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.
CATANOSO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
è di questi giorni la sospensione per morosità da parte delle Ferrovie dello Stato della convenzione sanitaria con i Vigili del Fuoco;
sta avvenendo che circa 100 vigili al giorno sono impossibilitati a rinnovare le patenti di II, III e IV grado per la guida dei mezzi di soccorso in sirena e, pertanto, se non ci sarà un'urgente inversione di tendenza, non potranno più condurre i loro mezzi di soccorso;
la denuncia di questo ennesimo allarme è stata fatta dalla Federazione Nazionale Confsal Vigili del Fuoco;
se si portasse tale sospensione alle estreme conseguenze i Comandanti delle 100 Sedi centrali e dei 334 Distaccamenti permanenti dislocati sul territorio nazionale non avranno più autisti per far guidare i mezzi abilitati in sirena poiché non hanno il certificato di idoneità e conseguentemente, a breve, chiuderebbero sedi portuali, aeroportuali e Comandi provinciali;
va anche evidenziato che coloro che non rinnovano il libretto sanitario potrebbero trovarsi nella condizione di espletare l'attività pompieristica senza requisiti psico-fisico-attitudinali ed in caso di incidenti ci sarebbero gravissime responsabilità per l'Amministrazione e serie ripercussioni sulla sicurezza della cittadinanza;
a giudizio dell'interrogante e della Confsal-Vigili del Fuoco le Ferrovie dello Stato potevano evitare di sospendere la convenzione per un meschino interesse economico ad un'amministrazione dello Stato che svolge un servizio essenziale e di pubblica utilità;
anche per questa ragione, la federazione nazionale Confsal vigili del fuoco, sindacato maggiormente rappresentativo sul piano nazionale, ha indetto uno sciopero per il 25 febbraio prossimo e contestualmente una manifestazione nazionale a Roma di tutti i vigili del fuoco d'Italia -:
quali iniziative intende adottare il ministro interrogato per rinnovare la Convenzione con le Ferrovie dello Stato e risolvere le problematiche esposte in premessa.
(4-02057)
Risposta. - La Convenzione con «Rete Ferroviaria Italiana S.p.A.», finalizzata all'assistenza sanitaria del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, è stata sollecitamente riattivata sin dal mese di aprile 2009 ed è stata rinnovata fino al 31 luglio 2010.
La temporanea, limitata sospensione delle prestazioni oggetto della Convenzione era avvenuta a causa di alcune divergenze con la predetta Società, riguardo ai tempi del pagamento dei corrispettivi per le prestazioni rese.
Il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile è già adesso impegnato affinché l'assistenza sanitaria per il personale del Corpo non subisca, in futuro, limitazioni o sospensioni.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nitto Francesco Palma.
CATANOSO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
con una nota datata 3 febbraio 2009, la Divisione cargo di Trenitalia ha emesso una restrizione di traffico diffuso da e per alcune stazioni ferroviarie siciliane a causa dell'interruzione della linea ferroviaria e delle conseguenti difficoltà operative;
l'interruzione della linea ferroviaria in Calabria è stata disposta fino al 10 maggio, data in cui si dovrebbero ultimare i lavori di ripristino dopo i danni causati dalle recenti frane, mentre la limitazione del traffico merce è stata disposta a tempo indeterminato;
fra le stazioni ferroviarie coinvolte nella restrizione v'è quella di Acireale, da dove origina la quasi totalità del traffico merci della Sicilia orientale;
la stazione ferroviaria di Acireale ha già subito la chiusura della biglietteria e con la chiusura del settore cargo subirà un ennesimo ed intollerabile, a giudizio dell'interrogante, taglio di operatività;
a giudizio dell'interrogante le ripercussioni maggiori si avranno nei confronti delle attività economiche della fascia ionica siciliana e di tutta la Sicilia;
la nostra economia è già, geograficamente, lontana da principali centri di approvvigionamento, distribuzione e commercializzazione delle merci e delle materie prime e se a ciò si aggiunge anche la difficoltà ulteriore di raggiungere questi centri i nostri prodotti diventano nei fatto non competitivi;
la decisione di Trenitalia, oltre a danneggiare l'economia siciliana, contribuisce enormemente ad aumentare i livelli di inquinamento ambientale posto che le nostre merci dovranno viaggiare su gomma anziché su ferro;
a giudizio dell'interrogante, Trenitalia dovrebbe non solo ripristinare la linea di traffico diffuso, a carro singolo e a gruppi di carri, dall'interno e dall'estero, ma rivedere
le tariffe applicate agli operatori commerciali dell'isola in virtù delle anzidette difficoltà di ordine geografico;
quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato nei confronti della direzione di Trenitalia affinché le problematiche esposte vengano risolte nel più breve tempo possibile.
(4-02362)
Risposta. - In riferimento alle interrogazioni in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Ferrovie dello Stato fa presente che i servizi ferroviari merci da/per le isole, per la loro naturale struttura, tendenzialmente non solo risultano poco remunerativi, ma non consentono neppure la copertura dei costi di esercizio e, pertanto, rientrano nel cosiddetto «servizio universale» merci per il quale sono previsti contributi pubblici; in base alla normativa comunitaria vigente, infatti, gli oneri di servizio pubblico devono essere adeguatamente compensati.
La riduzione delle risorse pubbliche disponibili per il finanziamento degli obblighi di servizio merci operata dalle leggi finanziarie per gli anni 2008 e 2009 e la contrazione della domanda conseguente alla nota situazione di congiuntura economica, hanno reso necessaria una riorganizzazione dei servizi ferroviari merci sulla base delle reali esigenze e dimensioni del mercato.
Tale riorganizzazione emerge soprattutto per il traffico cosiddetto «diffuso», quello a carro singolo o a gruppi di carri, per il quale in Sicilia, come in altre realtà territoriali, la nuova struttura d'offerta prevede l'attestamento ferroviario di questo tipo di trasporti su alcune piattaforme logistiche dalle quali è possibile attuare soluzioni modali alternative di inoltro alla destinazione finale per la presa/riconsegna nelle località di origine/destinazione delle merci. Per la Sicilia, dal 4 maggio scorso, è attiva la piattaforma/nodo di Catania (Bicocca-Acquicella).
Nessuna modifica commerciale/produttiva è invece attualmente prevista per i trasporti a treno completo.
In tutta Europa, peraltro, già da tempo i principali operatori ferroviari hanno avviato iniziative di razionalizzazione e concentrazione del traffico ferroviario delle merci (in particolare per il traffico diffuso), finalizzate ad efficientare il sistema e, nel contempo, ridurre i costi di gestione.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
CATANOSO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il signor Augusto Pedone di Palermo, dopo aver ottenuto il diritto all'assunzione diretta nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco in seguito ad un ricorso alla giustizia amministrativa e dopo essere stato nominato in prova vice Ispettore antincendi è stato assegnato a Biella, sede di servizio lontana ben 1.500 chilometri da Palermo, città dove risiede con la famiglia;
il caso, già segnalato da Mirko Schio, Presidente di FER.VI.CR.e.Do. Onlus, associazione che raggruppa le vittime della criminalità, del dovere ed i loro familiari, è di particolare gravità dal momento che il signor Pedone è stato assunto in base alle norme che prevedono l'assunzione dei congiunti delle vittime del dovere, in quanto rimasto orfano di padre, Vigile del Fuoco, all'età di tre anni;
l'interrogante e la Federazione Nazionale Confsal Vigili del Fuoco ritengono profondamente ingiusto destinare un giovane di 30 anni, padre di una bambina di pochi mesi, a oltre 1.500 chilometri di distanza dal proprio domicilio non tenendo conto che si tratta di una persona già segnata da gravi problemi familiari;
da quel che risulta all'interrogante altri giovani, congiunti di vittime del dovere, sono stati costretti a rifiutare l'assunzione nei Vigili del Fuoco proprio perché trasferiti a grandi distanze dalla loro residenza. Sarebbe confortante sapere con certezza che con tali stratagemmi non si tratti di aggirare le normative che garantiscono alcuni diritti fondamentali goduti da persone che hanno visto i loro congiunti dare la vita per il bene del Paese;
c'è da aggiungere, inoltre, che tali situazioni non si verificano per casi analoghi che riguardano familiari di vittime del dovere appartenenti ad altri corpi di servitori dello Stato, quali ad esempio la Polizia di Stato a cui va sempre il nostro apprezzamento di cittadini e parlamentari, attuando in tal modo, a giudizio dell'interrogante una palese discriminazione nei confronti del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco -:
se intenda sollecitare gli organi dirigenti del Dipartimento nazionale dei vigili del Fuoco affinché il signor Pedone venga assegnato in un reparto di Palermo o prossimo al capoluogo siciliano.
(4-02746)
Risposta. - Il signor Augusto Pedone, dal 1o ottobre 2009, è stato trasferito da Biella al comando provinciale dei Vigili del fuoco di Palermo.
Tale trasferimento è stato possibile in concomitanza con l'assegnazione di nuove risorse umane alla sede di Biella che, come altre sedi del nord d'Italia, presentava sensibili carenze di organico.
Va precisato, al riguardo, che la copertura degli organici carenti deve rappresentare un obiettivo prioritario per il Dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, rispetto alla pur apprezzabile aspirazione degli appartenenti al Corpo - e, tra essi, dei dipendenti assunti in qualità di familiari di vittime del dovere - di prestare servizio nelle sedi di rispettiva residenza.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nitto Francesco Palma.
CATANOSO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il direttore della divisione Cargo della società Trenitalia dottor Mario Castaldo, in un'intervista rilasciata al mensile Tutto Trasporti, traccia la nuova mappa degli scali merce in Italia, basata fondamentalmente su tagli drastici su tutta la linea ferroviaria del centro-sud Italia;
specificatamente per la Sicilia, secondo Castaldo, l'unico scalo merce che resterebbe operativo è quello di Catania Bicocca perché, secondo la sua tesi gli altri sono assolutamente inutili posto che le merci, arrivate a Catania, possono essere distribuite a mezzo camion in tutta la Sicilia. Alla luce di queste dichiarazioni, verrebbero smantellati gli scali merce di Palermo, Trapani, Marsala, Mazara del Vallo, Agrigento, Porto Empedocle, Siracusa, eccetera;
tale decisione è la diretta conseguenza di una scelta di Trenitalia in Sicilia per quanto concerne il traffico merci che ha già portato, per esempio, ad un aumento del 70 per cento del costo di trasporto da Trapani a Catania;
la sperequazione di comportamento di Trenitalia a danno della Sicilia è evidente: il provvedimento, infatti, è volto a fare un'operazione di carattere esclusivamente economico che disabilita gli scali merce a corso singolo, abilitandoli solo per i traffici a treno completo. Ma è ovvio che il tessuto industriale siciliano è composto, al 90 per cento, da aziende di piccola e media dimensione, che certamente non possono spedire e ricevere quantitativi di prodotti tali da giustificare un treno completo; difatti, quasi tutte le aziende utilizzano un carro ferroviario per volta;
le dichiarazioni del dottor Castaldo sono sorprendenti perché, a parte il danno economico assestato alle piccole e medie aziende locali, non tengono conto delle condizioni della rete viaria siciliana la quale, già di per sé disagiata, arriverebbe al collasso se tutte le merci attualmente trasportate con il treno fossero dirottate su traffico gommato;
inoltre quanto dichiara Castaldo va in direzione diametralmente opposta rispetto a tutte quelle politiche sulla tutela dell'ambiente che Trenitalia porta avanti per invogliare l'uso del treno al posto del camion;
la Sicilia continua a pagare un altissimo prezzo a causa delle politiche di ridimensionamento dei costi portate avanti da aziende pubbliche e private, le quali mortificano i siciliani in termini occupazionali, di tutela dell'ambiente ed economici -:
se il ministro interrogato non ritenga di intervenire, nell'ambito delle proprie competenze e prima dell'entrata in vigore di queste disposizioni, per fare in modo che Trenitalia riveda la sua politica di smantellamenti in Sicilia, politica che assesterebbe un danno di proporzioni inimmaginabili all'intera economia regionale.
(4-02803)
Risposta. - In riferimento alle interrogazioni in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Ferrovie dello Stato fa presente che i servizi ferroviari merci da/per le isole, per la loro naturale struttura, tendenzialmente non solo risultano poco remunerativi, ma non consentono neppure la copertura dei costi di esercizio e, pertanto, rientrano nel cosiddetto «servizio universale» merci per il quale sono previsti contributi pubblici; in base alla normativa comunitaria vigente, infatti, gli oneri di servizio pubblico devono essere adeguatamente compensati.
La riduzione delle risorse pubbliche disponibili per il finanziamento degli obblighi di servizio merci operata dalle leggi finanziarie per gli anni 2008 e 2009 e la contrazione della domanda conseguente alla nota situazione di congiuntura economica, hanno reso necessaria una riorganizzazione dei servizi ferroviari merci sulla base delle reali esigenze e dimensioni del mercato.
Tale riorganizzazione emerge soprattutto per il traffico cosiddetto «diffuso», quello a carro singolo o a gruppi di carri, per il quale in Sicilia, come in altre realtà territoriali, la nuova struttura d'offerta prevede l'attestamento ferroviario di questo tipo di trasporti su alcune piattaforme logistiche dalle quali è possibile attuare soluzioni modali alternative di inoltro alla destinazione finale per la presa/riconsegna nelle località di origine/destinazione delle merci. Per la Sicilia, dal 4 maggio scorso, è attiva la piattaforma/nodo di Catania (Bicocca-Acquicella).
Nessuna modifica commerciale/produttiva è invece attualmente prevista per i trasporti a treno completo.
In tutta Europa, peraltro, già da tempo i principali operatori ferroviari hanno avviato iniziative di razionalizzazione e concentrazione del traffico ferroviario delle merci (in particolare per il traffico diffuso), finalizzate ad efficientare il sistema e, nel contempo, ridurre i costi di gestione.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
CERONI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
a partire dal 28 giugno 2007 la dogana di Civitanova Marche ha cessato di operare in loco ed è stata sostituita da una sezione operativa dell'ufficio unico doganale di Ancona, che assorbe le competenze per le province di Pesaro, Macerata ed Ancona;
la decisione comporta una grave perdita di operatività dell'Ufficio ed ovvie lungaggini per tutti gli operatori interessati ad operazioni di sdoganamento; i pagamenti dei diritti doganali dovranno essere effettuati ad Ancona, sede della ricevitoria e ad Ancona dovranno essere trasferite tutte le polizze di garanzia, le autorizzazioni, i perfezionamenti attivi e passivi;
peraltro la decisione potrebbe peggiorare la già grave situazione attuale che soffre di frequenti blocchi delle operazioni e fermi delle merci sui camion, a discapito del vasto hinterland industriale che grava sull'area di Civitanova;
la regolamentazione dell'Agenzia delle dogane prevede l'istituzione di Uffici unici presso le zone che hanno una adeguata domanda effettiva e potenziale, da definirsi in base al numero ed alla tipologia degli utenti, al tessuto socio-economico
ed alla disponibilità di comunicazioni; in tale ambito la dogana di Civitanova Marche è la prima in tutta le regione per l'export e la seconda per l'import -:
se non ritenga opportuno intervenire nei confronti dell'Agenzia delle dogane, al fine di ripristinare la piena operatività della dogana di Civitanova Marche, anche in considerazione del potenziale danno all'export che potrebbe gravare sugli operatori economici locali.
(4-00127)
Risposta. - Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede se non si ritenga opportuno intervenire nei confronti dell'Agenzia delle dogane, al fine di ripristinare la piena operatività della dogana di Civitanova Marche, che a partire dal 28 giugno 2007 ha cessato di operare in loco ed è stata sostituita da una sezione operativa dell'ufficio unico doganale di Ancona.
Al riguardo l'Agenzia delle dogane ha comunicato che la trasformazione della dogana di Civitanova Marche in sezione operativa territoriale rientra in quel processo di riforma che la stessa Agenzia ha avviato nel 2001 a seguito della trasformazione da Dipartimento in Agenzia e che ha riguardato, in primo luogo, gli uffici centrali e le direzioni regionali e, successivamente, dal 2002, gli uffici periferici di terzo livello.
Nell'ambito della regione Marche, la riorganizzazione non ha comportato alcuna variazione nel numero degli uffici di livello dirigenziale, tanto meno una diminuzione delle competenze di quelli di rango non dirigenziale.
Le preesistenti dogane, che avevano competenza solo in materia doganale, sono state sostituite da altrettante sezioni operative territoriali, con competenza tanto in materia doganale quanto in materia di accise.
Quindi, la sezione operativa territoriale di Civitanova Marche oltre a mantenere le prerogative doganali della sostituita dogana ha acquisito in materia di accise le competenze prima espletate sul proprio territorio dall'Ufficio tecnico di finanza di Ancona.
Pertanto, l'avvenuta trasformazione della dogana di Civitanova Marche in sezione operativa territoriale ha apportato, contrariamente a quanto indicato nelle premesse del documento di sindacato ispettivo in parola, un indubbio vantaggio agli operatori economici che possono svolgere in loco le incombenze relative al settore delle accise, senza necessità di recarsi presso la sede dell'Ufficio delle dogane di Ancona.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Alberto Giorgetti.
CICCHITTO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
domenica 31 maggio si sono verificati nella tratta ferroviaria Roma-Bologna gravissimi disservizi che hanno comportato notevoli ritardi per vari convogli ferroviari e di conseguenza disagi gravi per numerosi passeggeri;
stupisce che tali inconvenienti si siano verificati proprio in una linea fondamentale della rete ferroviaria italiana quale la Roma-Firenze-Bologna, che è stata oggetto di importantissimi investimenti per la realizzazione dell'alta velocità, che tanto hanno pesato sui bilanci delle Ferrovie e quindi dello Stato -:
quali siano le cause tecniche precise che hanno determinato i disservizi di cui in premessa e se gli inconvenienti sono da addebitarsi a difetti del materiale rotabile, della linea o degli impianti tecnologici;
quali provvedimenti urgenti sono stati adottati o si intendano adottare per evitare il ripetersi di simili disservizi assolutamente inaccettabili specie in una tratta il cui rinnovamento, della rete e del materiale rotabile, è costato tanto ai contribuenti italiani.
(4-03220)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Il giorno 31 maggio 2009 sulla direttrice Roma-Firenze-Bologna si è verificata un'avaria ai sistemi tecnologici infrastrutturali
causata dalle avverse condizioni meteorologiche che ha influito sulla regolarità di marcia dei numerosi convogli in circolazione sulla linea.
L'evento ha avuto carattere meramente episodico, come dimostrato dai rilevamenti sugli indici di puntualità sulla linea in questione relativi al periodo gennaio-maggio 2009, dai quali si evince che i treni di lunga e media percorrenza hanno registrato un miglioramento rispetto al medesimo periodo dell'anno precedente.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
DAL MORO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il Presidente del Consiglio, il Ministro dell'Interno ed il Ministro della Giustizia hanno presentato un disegno di legge in materia di sicurezza pubblica;
tale disegno di legge è stato approvato dalla Camera dei Deputati lo scorso 14 maggio ed inviato al Senato per l'approvazione definitiva;
le nuove disposizioni in materia di sicurezza pubblica prevedono un ampliamento dei poteri di accesso e accertamento dei prefetti, finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici;
in particolare, l'articolo 23 del disegno di legge citato, prevede che il prefetto possa disporre accessi ed accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all'esecuzione di lavori pubblici, avvalendosi di gruppi interforze;
con il disegno di legge in via di approvazione, il prefetto assume un ruolo determinante nella prevenzione delle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici, posto che l'attuale normativa prevede quale unico strumento preventivo, la sola esibizione della certificazione antimafia;
l'ulteriore ampliamento dei poteri del prefetto - già ampliati con il decreto-legge n. 92 del 2008 convertito con modificazioni dalla legge 125/2008 in materia di ordine pubblico e sicurezza urbana - segue una precisa volontà di questo Governo volta a rafforzare il ruolo del prefetto quale autorità provinciale di riferimento in materia di pubblica sicurezza;
non va poi dimenticato che le più recenti indicazioni assegnano ai Prefetti anche un altro delicato incarico in questo periodo di crisi economica: il coordinamento ed il controllo del credito sul territorio;
la città di Verona e la sua provincia, da sempre crocevia di scambi commerciali e di interessi non sempre legali, si trova nel periodo estivo ad accogliere un gran numero di turisti provenienti da tutto il mondo e pertanto necessita particolarmente in quel periodo di un maggiore coordinamento delle forze dell'ordine;
in tale contesto, il Ministero dell'Interno non ha ancora provveduto alla nomina del prefetto della provincia di Verona, carica vacante da oramai tre mesi -:
quali iniziative il Ministro dell'Interno intenda assumere con la massima sollecitudine per nominare il nuovo prefetto, e far sì che anche nella provincia di Verona possa garantirsi la massima tutela dei cittadini in materia di sicurezza pubblica.
(4-03132)
Risposta. - Il Consiglio dei ministri, nella riunione del 31 luglio 2009, su proposta del Ministro dell'interno, ha adottato una deliberazione di movimento e di nomina di prefetti, di dirigenti generali di Pubblica sicurezza e dei Vigili del fuoco.
Nell'occasione è stata nominata Prefetto di Verona la dottoressa Perla Stancari.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nitto Francesco Palma.
DE CORATO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
alle ore 22.20 di domenica 20 settembre 2009 a Milano, un treno senza passeggeri, che stava percorrendo un tratto ferroviario che dalla stazione centrale porta al deposito verso Lambrate, è deragliato e due vagoni del treno sono finiti fuori dai binari, precipitando nel cortile di un palazzo;
l'incidente, per fortuna, non ha provocato feriti, se non il macchinista che ha riportato lievi contusioni;
le Ferrovie dello Stato hanno aperto un'inchiesta amministrativa per accertare le cause e la dinamica dell'incidente -:
se il convoglio, al momento dell'incidente, avesse trasportato passeggeri, il bilancio del deragliamento avrebbe potuto essere certamente molto grave;
se il Ministro in indirizzo intenda chiarire al più presto come sia potuto accadere tale incidente. Ma soprattutto se intenda riferire quali misure di sicurezza sono state o saranno adottate dalle Ferrovie dello Stato per non mettere a rischio l'incolumità dei tanti cittadini che hanno un'abitazione nei pressi dei rilevati ferroviari, una rete che all'interno del territorio comunale milanese si estende per circa 75 Km, di cui 80 per cento è di proprietà delle Ferrovie dello Stato.
(4-04297)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Si premette che l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie ha promosso un'apposita indagine per individuare le cause dell'incidente ferroviario occorso nella stazione di Milano centrale il 20 settembre 2009.
Una prima lettura dei dati rilevati dal registratore degli eventi di bordo, necessaria per avere evidenza di tutte le operazioni svolte a bordo della locomotiva o di eventuali guasti, è pervenuta in data 28 settembre 2009.
Secondo quanto si evince da dette informazioni, si precisa di seguito la dinamica dell'evento accaduto alle ore 20.11 del 20 settembre 2009. Il treno regionale 20438 proveniente da Piacenza è arrivato al binario 23 della stazione di Milano centrale. Detto treno, del tipo «navetta», era composto da una locomotiva E464 che spingeva verso Milano sei vetture «a piano ribassato», delle quali quella di testa dotata di cabina di guida. All'arrivo a Milano centrale, il convoglio fuori servizio doveva essere ricoverato per le operazioni di pulizia al fascio denominato CM5 attraversando il binario 5 del fascio denominato CM2.
Il macchinista incaricato di svolgere questa operazione ha preso in consegna il treno dal personale in arrivo.
Alle ore 22.25, dopo la regolare disposizione del segnale basso di manovra per il libero passaggio, il convoglio si avvia verso i binari di ricovero ma non si arresta al segnale di manovra n. 559 che imponeva la fermata e procede in direzione di Lambrate, tallonando i deviatoi n. 577 e 578, instradandosi su di un asta di manovra e urtando contro il paraurti ubicato al termine di tale asta. Il paraurti viene divelto ed il treno lo supera, fino a finire sul parapetto di protezione della linea per Genova e precipitare con la locomotiva e la prima vettura nel cortile di un condominio sottostante i binari.
La locomotiva Bombardier E464-029 è di recente costruzione ed è equipaggiata con il sistema di protezione della marcia del treno SCMT. Questo sistema, quando è attivo, richiede, a 2 km/h, la conferma della presenza del macchinista a bordo, attraverso l'azionamento di un pedale. In mancanza di tale azionamento il sistema comanda in automatico l'arresto del treno. Il SCMT, in modalità «manovra» impedisce il superamento di 30 km/h.
Il macchinista ha ricevuto la formazione prevista, ha superato gli esami ed è in possesso della patente tipo E (livello più elevato tra le patenti del settore condotta) dal 9 ottobre 2008. Ha sostenuto con esito positivo l'ultima visita sanitaria in data 10 giugno 2009.
Il giorno 20 settembre il macchinista aveva preso servizio alle ore 16.20, il primo servizio dopo un riposo di 54 ore.
Ad oggi, dai dati di bordo, si rileva che la velocità al momento dell'impatto era di 75 km/h, che la locomotiva è rimasta con la leva di trazione inserita fino al momento dell'impatto e che l'apparecchiatura di bordo SCMT era disattivata. Per le conclusioni sulle dinamiche dell'incidente, l'Agenzia è in attesa di una completa lettura dei dati del registratore di bordo e della definizione delle indagini ancora in corso.
Per quanto riguarda, invece, la tematica relativa alle manovre si ravvisa che le ferrovie italiane si sono dotate di un moderno ed efficace sistema automatico di protezione della marcia dei treni in grado di comandare l'arresto del freno in caso di errore da parte del macchinista. Tale sistema, tuttavia, è di limitata efficacia in caso di spostamenti di servizio nell'ambito delle stazioni.
Alcuni incidenti verificatisi di recente in occasione di tali spostamenti fanno emergere la necessità di adottare provvedimenti tecnologici e normativi miranti ad evitarne il ripetersi o a mitigarne le conseguenze.
Per tale motivo l'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria sta attualmente conducendo un approfondimento mirato ad introdurre alcune modifiche alle norme riguardanti l'effettuazione delle manovre. A tale scopo, lo scorso mese di luglio è stato richiesto a Rete ferroviaria italiana (RFI) di fornire informazioni circa alcuni aspetti rilevanti ai fini della sicurezza nell'ambito dello svolgimento dei servizi di manovra dei treni.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
DI BIAGIO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
sette difensori Saharawi dei diritti umani - sei uomini ed una donna - sono stati fermati all'aeroporto Mohammed V di Casablanca, in Marocco; essi ritornavano da un viaggio di nove giorni negli accampamenti dei rifugiati Saharauis di Tinduf nella capitale Algerina;
i difensori sono stati trattenuti con l'accusa di «alto tradimento della patria» e di «attentato contro la sovranità e l'integrità territoriale del Marocco», ovvero accusati della violazione dell'articolo 181 del codice penale marocchino, punito con la pena di morte, (seppur nessun condannato alla pena capitale dal 1993 ha subito tale condanna);
l'arresto è stato preceduto da una massiccia propaganda contro i cosiddetti «traditori» (così definiti i sette difensori dalla stampa marocchina) attraverso i mezzi di comunicazione locali, coadiuvati da partiti politici marocchini;
dopo vari giorni di interrogatori, sono comparsi davanti al giudice del tribunale di Casablanca che si è dichiarato incompetente per materia, ragion per cui, nello stesso giorno, sono stati accompagnati davanti al giudice del tribunale militare di Rabat che ha comunicato agli imputati i capi d'accusa nei loro confronti;
la vicenda rappresenta un'ulteriore espressione delle molteplici intimidazioni e persecuzioni perpetuate dalle autorità marocchine nei confronti della popolazione di Saharawi -:
se in virtù di tali aspetti nella priorità di rispettare quanto sancito dalla Carta dei diritti Fondamentali dell'Unione Europea, nonché della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, quali procedimenti si intende predisporre per impedire una condanna a morte, non più tollerata dalla maggioranza dei paesi della Comunità Internazionale, di sette difensori dei diritti ed al fine di promuovere la pace ed il dialogo tra i popoli nella prospettiva della determinazione di una società internazionale.
(4-04786)
Risposta. - Il caso dei sette attivisti arrestati in Marocco nell'ottobre 2009 è seguito con estrema attenzione dall'Unione Europea e dalla comunità internazionale nel suo complesso, anche a seguito delle
lettere inviate in merito dal Segretario generale del Fronte Polisario, Abdelaziz, al Segretario generale delle Nazioni Unite, al Presidente degli Stati Uniti d'America ed al Primo Ministro svedese, Presidente di turno dell'Unione Europea.
Sono state impartite istruzioni al nostro Ambasciatore a Rabat affinché segua con attenzione l'evolversi della situazione in stretto raccordo con i partner comunitari: è nostra intenzione affrontare la questione nell'alveo dell'Unione europea per valutare congiuntamente agli altri Paesi europei le iniziative a favore degli attivisti che dovessero essere ritenute utili ad una positiva soluzione della vicenda.
L'Italia attribuisce importanza fondamentale alla tematica dei diritti umani e, in particolare, alla questione dell'abolizione della pena di morte, di cui la moratoria rappresenta una tappa fondamentale. In quest'ottica, il nostro Paese ha promosso, insieme ad una vasta alleanza trans-regionale di Paesi, una risoluzione sulla moratoria delle esecuzioni capitali all'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
La risoluzione è stata approvata nel 2007 con 104 voti a favore e nel 2008 con 106 voti, a riprova di una crescente sensibilità a livello internazionale. In entrambi i casi, il Marocco si è astenuto.
Pur prevedendo il Codice penale marocchino la pena capitale, in Marocco vige una moratoria di fatto dal 1993 ed è da tempo in corso un dibattito in seno all'opinione pubblica ed al mondo politico marocchino in vista dell'abolizione della pena di morte. A giudizio di molti osservatori, la situazione nel Paese sarebbe matura per l'avvio da parte delle Autorità di Rabat della procedura di modifica costituzionale e di revisione del Codice penale, necessarie all'abolizione della pena capitale.
Sul piano degli impegni internazionali in materia di diritti umani, il Marocco ha ratificato la maggior parte dei pertinenti strumenti internazionali. Tra le eccezioni, vi sono lo Statuto di Roma istitutivo della Corte Penale Internazionale, che il Marocco ha firmato ma non ancora ratificato, ed il Protocollo di Palermo sulla prevenzione, soppressione e punizione del traffico di persone, specialmente donne e bambini, che il Marocco non ha invece firmato. Si segnala che il Marocco è stato sottoposto all'esame periodico universale (Upr) del Consiglio dritti umani delle Nazioni Unite nell'aprile 2008.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.
DI PIETRO. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
l'Associazione Serena di Palermo si è costituita quattro anni fa per iniziativa di alcune persone che si sono imbattute nella malattia oncologica, in particolare il carcinoma alla mammella, e che hanno pensato di trasformare la loro dolorosa esperienza in una risorsa ed un contributo per gli altri; l'Associazione, guidata dalla senologa dottoressa Carmela Amato, oltre ad un sostegno psicologico e legale, offre anche un orientamento pratico circa le strutture sanitarie alle quali rivolgersi;
il centro è collegato a Europa Donna, movimento europeo per la lotta al tumore del seno, fondato da Umberto Veronesi;
obiettivo dell'Associazione è quello di diffondere la cultura della prevenzione alle donne di ogni fascia di età e stato sociale; è pure importante fare riavvicinare la donna alla propria femminilità, proprio nel momento in cui la malattia potrebbe metterla in discussione, infondendole fiducia e coraggio ed aiutarla a mantenere il contatto con la via quotidiana e soprattutto con la sua attività lavorativa;
in questo quadro si inserisce la circolare 1/2009 che riguarda le fasce di reperibilità in caso di malattia ed equipara, nella durata, quelle del settore pubblico a quelle vigenti nel settore privato;
l'Amministrazione dispone il controllo in ordine alla sussistenza della malattia del dipendente anche nel caso di
assenza di un solo giorno, tenuto conto delle esigenze funzionali e organizzative;
le fasce orarie di reperibilità del lavoratore, entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo, sono dalle ore 8.00 alle ore 13.00 e dalle ore 14 alle ore 20.00 di tutti i giorni, compresi i non lavorativi e i festivi; la circolare poi puntualizza che tale disposizione si applica a tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, a prescindere dalle patologie di cui sono affetti;
da quanto scritto si evince chiaramente che ad un malato oncologico non verranno effettuate detrazioni economiche dallo stipendio solo ed esclusivamente se risulta ricoverato in day hospital oppure se è in chemioterapia (terapia salvavita);
chi è malato di cancro, dunque, non ha il diritto di riposare pena la decurtazione degli emolumenti con conseguente peggioramento della qualità della vita;
punire i «fannulloni» è giusto, ma non si può «sparare nel mucchio» calpestando i diritti inalienabili del cittadino così faticosamente conquistati dalla civiltà «occidentale» di cui lo stesso Governo dovrebbe esserne assoluto difensore;
viene offerta ai malati l'opportunità del part time, con relativa decurtazione dello stipendio, senza tener conto delle esigenze di chi deve affrontare spese per visite mediche, spostamenti in centri più specializzati e interventi, e non può permettersi entrate dimezzate -:
se il Ministro non ritenga di dover rivedere in particolare il punto 2 della circolare 1/09 prevedendo distinzioni doverose ed opportune, in base alla prognosi e alla gravità delle varie patologie, per chi è malato di cancro.
(4-04730)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiede se il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione intenda modificare la circolare n. 1 del 2009 nella parte riguardante le assenze per malattie con patologie gravi, si rappresenta quanto segue.
La norma di riferimento per la materia in esame, in merito alla quale è intervenuta la circolare citata dall'interrogante, è recata dall'articolo 71, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008. Tale disposizione normativa prevede che, in caso di assenza del dipendente pubblico cagionata da «patologie gravi che richiedono terapie salvavita», il trattamento economico da corrispondere nel periodo di assenza sia quello più favorevole attualmente previsto dai contratti collettivi vigenti o dalle specifiche normative di settore.
Ai fini dell'individuazione del trattamento economico la legge rinvia, quindi, alla contrattazione collettiva ed alle normative di settore, specificando, peraltro, che debba trovare applicazione il trattamento più favorevole ivi previsto.
Al riguardo, la maggior parte dei contratti collettivi vigenti prevede che «in caso di patologie gravi che richiedono terapie salvavita ed altre ad essa assimilabili secondo le indicazioni dell'ufficio medico legale dell'azienda sanitaria competente per territorio, i giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital ed i giorni di assenza dovuti all'effettuazione delle citate terapie, debitamente certificati dalla competente azienda sanitaria locale o struttura convenzionata, sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia. In tale giornata il dipendente ha diritto in ogni caso all'intera retribuzione» (cfr. articolo 6 del contratto collettivo nazionale di lavoro integrativo del 16 maggio 2001 - comparto ministeri).
Con il parere del 20 gennaio 2003 la competente Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran) ha fornito la seguente interpretazione della predetta clausola contrattuale: «Relativamente ai periodi di assenza dovuti a ricovero ospedaliero o in day hospital ovvero necessari per sottoporsi a terapie salvavita, il CCNL integrativo del 16 maggio 2001, all'articolo 6, comma 1, punto 7-bis, deroga alla normale disciplina delle assenze per malattia contenuta nell'articolo 21 del
CCNL del 16 maggio 1995. In particolare tali periodi sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per la conservazione del posto, di cui al primo comma del citato articolo 21, e sono in ogni caso interamente retribuiti, indipendentemente dalla durata del periodo di assenza. Non rientrano nella fattispecie in esame i giorni di assenza connessi o consequenziali alle terapie stesse, come ad esempio i giorni di convalescenza o quelli per visite di controllo».
Si segnala altresì che, per alcuni comparti, è stata prevista una disciplina di maggior favore: ad esempio, il CCNL del comparto scuola del 29 novembre 2007, all'articolo 17, comma 9, dispone che «in caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia, di cui ai commi 1 e 8 del presente articolo, oltre ai giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital anche quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie. Pertanto per i giorni anzidetti di assenza spetta l'intera retribuzione».
In definitiva, per quanto attiene al trattamento economico da corrispondere nel periodo di assenza dovuta a patologie gravi che richiedono terapie salvavita, non è necessario alcun intervento normativo, posto che la relativa disciplina è prevista dai contratti collettivi e che, quindi, eventuali modificazioni potranno essere concordate in sede negoziale.
Per quel che riguarda, invece, la richiesta di rivedere la circolare n. 2 del 2009, si sottolinea che quest'ultima è volta a fornire opportuni chiarimenti circa l'utilizzo delle modalità flessibili di lavoro, onde facilitare l'applicazione dell'articolo 12-bis del decreto legislativo n. 61 del 2000 in materia di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale. La circolare in parola non innova, dunque, né potrebbe farlo vista la sua natura di atto amministrativo, la disciplina in questione. Si evidenzia, peraltro, che quest'ultima prevede la facoltà e non l'obbligo per il lavoratore colpito da patologie oncologiche di chiedere la trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Al riguardo la citata circolare precisa che tale diritto è riconosciuto allo scopo di favorire il più rapido e soddisfacente reinserimento del lavoratore, riducendo il più possibile la necessità di rimanere fuori dal ciclo produttivo durante il periodo di cura della patologia. L'interesse che si intende dunque tutelare è senz'altro quello del lavoratore e non quello della pubblica amministrazione.
Va inoltre segnalato che detta circolare è nata da sollecitazioni pervenute da associazioni che operano a favore dei malati oncologici (in particolare, la Favo - Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia), ed è il risultato di un intenso lavoro di confronto con le associazioni stesse, che si sono fatte portatrici delle istanze e delle esigenze dei lavoratori della pubblica amministrazione costretti a confrontarsi con malattie oncologiche.
Ed infatti le indicazioni fornite dal Dipartimento della funzione pubblica sono state accolte con estremo favore dalla medesima Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo), che ha pubblicamente sottolineato come «il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione ha accolto la richiesta dei pubblici dipendenti che, benché malati, vogliono continuare ad essere utilmente inseriti nel loro contesto sociale e lavorativo».
Peraltro, poiché le suddette associazioni hanno lamentato che spesso le amministrazioni frappongano ostacoli e ritardi nel rispondere positivamente ai dipendenti che chiedono la trasformazione del loro orario di lavoro, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione ha invitato le amministrazioni medesime, mediante detta circolare, ad una più attenta considerazione delle esigenze dei lavoratori ed alla corretta e sollecita applicazione delle norme di miglior favore già presenti nell'ordinamento.
Da quanto illustrato può quindi evincersi che, nell'ambito degli interventi in materia di assenze per malattia dei dipendenti pubblici, le problematiche prospettate dall'interrogante, relative ai lavoratori affetti da gravi patologie, sono state oggetto di attenta riflessione da parte del Governo.
Infatti, nell'ambito delle disposizioni recate dall'articolo 71 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 - volte ad introdurre misure più stringenti in materia di assenze per malattia e di permessi retribuiti - si è ritenuto opportuno riservare particolare attenzione alle assenze per malattia connesse a patologie gravi che richiedono terapie salvavita.
A tale intervento normativo hanno fatto seguito alcuni chiarimenti del Dipartimento della funzione pubblica, tra i quali la circolare richiamata dall'interrogante, che, resosi disponibile ad esaminare le eventuali criticità riscontrate dalle amministrazioni nell'attuazione della citata disposizione, ha fornito utili indicazioni in ordine all'applicazione della nuova normativa. In occasione dell'emanazione di tali atti, non si è peraltro mancato di rimarcare l'estrema delicatezza e l'assoluta rilevanza della materia, in quanto afferente, sia alla sfera privata dei dipendenti pubblici, sia alla correttezza dei loro rapporti con l'amministrazione, con i colleghi e con i cittadini.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.
EVANGELISTI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 21 settembre 2009, verso le ore 22, un treno vuoto che aveva da poco terminato il servizio passeggeri, è deragliato a Milano nei pressi dello svincolo ferroviario di viale Monza: la motrice del convoglio ed una carrozza, sono precipitate in un cortile sottostante alla linea ferroviaria, mentre almeno altre due si sono ribaltate sui binari di linea in uscita da Milano Centrale;
fortunatamente il macchinista ha subito solo una contusione, e i due rotabili che sono finiti fin dentro il cortile di un palazzo, sembra non abbiano provocato danni a persone ma solo danni relativamente lievi alle costruzioni ed alle cose ivi contenute, oltre al danneggiamento dei rotabili coinvolti;
l'incidente è avvenuto nei binari del parco di sosta della stazione, contiguo alle linee percorse dai convogli, durante le operazioni di stazionamento di un treno regionale, nonostante che, secondo quanto riportato dalle Ferrovie dello Stato, al momento dell'incidente tutte le apparecchiature di stazione funzionassero regolarmente e l'infrastruttura ferroviaria fosse in condizioni ottimali;
resta da chiarire quali fossero al momento dell'incidente le reali dotazioni di sicurezza, di stazione e del convoglio e quali siano le cause del loro mancato intervento;
in seguito al deragliamento il treno ha abbattuto alcuni pali della linea di alimentazione elettrica dei treni provocando, naturalmente, gravi disagi e rallentamenti per il traffico ferroviario verso la stazione di Milano, tanto che tutti i convogli in arrivo a Milano Centrale, da Sud, sono stati fermati a Milano Rogoredo e Milano Lambrate;
molto spavento c'è stato tra i passeggeri di un altro treno vicino, non rimasto coinvolto nell'incidente e panico nel condominio interessato, i cui inquilini si sono trovati davanti alle finestre due vagoni del treno fumanti, uno sull'altro;
secondo la ricostruzione delle Ferrovie dello Stato resa nota all'opinione pubblica, l'errore si sarebbe verificato al superamento di un segnale rosso di stop, mentre da ulteriori notizie apparse sulla stampa la dinamica sembra essere più complessa;
risulta all'interrogante che il macchinista coinvolto nell'incidente sarebbe un apprendista assunto nel marzo 2006 non ancora confermato in via definitiva, che lavorasse da solo, sia nel precedente servizio di guida che nel successivo movimento per lo stazionamento del treno e
che in quel momento guidasse il treno senza ausili tecnologici di nessun tipo;
anche se, come precipitosamente dichiarato dalle Ferrovie dello Stato a seguito della notizia sullo stato contrattuale del macchinista, l'utilizzazione per la guida dei treni, di personale apprendista, quindi inesperto, completamente da solo ed in assenza di macchinista anziano o di tutor, risulta essere avallata anche dal Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali, ci troveremmo di fronte ad un grave errore di leggerezza commesso sia dall'azienda che gestisce il trasporto ferroviario che degli Uffici ministeriali chiamati a vigilare sui rapporti di lavoro e sulla sicurezza ferroviaria;
dopo la tragedia di Viareggio e quella che si è sfiorata questa volta a Milano, risulta sconcertante apprendere che per un risparmio economico, di natura salariale, previdenziale ed assicurativo, Trenitalia abbia derogato ad un preciso obbligo di sicurezza, affidando un compito così delicato ad una sola persona, che pur se «abilitata» alla conduzione del treno risulta essere oggettivamente e formalmente inesperta;
ad avviso dell'interrogante sull'interpretazione della norma di legge, fornita dal Ministero del Lavoro, della salute e delle politiche sociali che consente di utilizzare a pieno regime professionale lavoratori considerati contrattualmente ancora apprendisti, si pone un evidente problema di legittimità poiché, o essi si intendono ancora in formazione e conseguentemente non idonei a svolgere autonomamente il proprio compito oppure, se ritenuti idonei e sufficientemente preparati debbono essere confermati ed assunti a pieno titolo; altrimenti, in caso di utilizzo pieno come «professionisti» di lavoratori inquadrati contrattualmente come apprendisti, si potrebbe configurare una sorta di vantaggio improprio per l'azienda in termini di salario, contribuzioni, e altro ed un equivalente danno per il lavoratori, gli enti previdenziali e l'erario;
su molti treni, sia del trasporto regionale che di quello a lunga percorrenza (IC, EC, Eurostar, Espressi), si verifica la presenza di un equipaggio formato esclusivamente da ferrovieri apprendisti;
è dovere di tutti i soggetti coinvolti a vario titolo in ruoli di responsabilità, adottare ogni misura precauzionale possibile e non tralasciare nessun aspetto, tanto più su uno degli elementi determinanti della sicurezza, quale quello della qualificazione ed affidabilità dell'equipaggio di guida dei treni;
secondo l'interrogante l'utilizzo di un solo macchinista apprendista per la guida dei treni o, l'utilizzo generalizzato di interi equipaggi composti da ferrovieri apprendisti viola, oltre che il buon senso, la norma e lo spirito della legge n. 296 del 2006 istitutiva del «contratto di apprendistato professionalizzante» e le successive norme applicative -:
quale sia stata l'esatta dinamica e quali siano le cause dirette ed indirette dell'incidente;
quali fossero i dispositivi di sicurezza, di terra e di bordo, che avrebbero dovuto automaticamente impedire il passaggio del «segnale rosso» e quali misure di mitigazione del rischio si intendano attuare nei centri abitati a tutela della cittadinanza;
quali iniziative, sul piano normativo e tecnico, intenda adottare il Governo per prevenire il ripetersi di tali episodi;
se non ritenga di intervenire per porre, nell'interesse innanzitutto della sicurezza ferroviaria ma anche dei lavoratori, degli enti previdenziali e della fiscalità generale, un argine all'utilizzazione spregiudicata ed estrema dell'istituto contrattuale dell'apprendistato professionalizzante.
(4-04374)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Si premette che l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie ha promosso un'apposita indagine per individuare le cause dell'incidente ferroviario occorso
nella stazione di Milano centrale il 20 settembre 2009.
Una prima lettura dei dati rilevati dal registratore degli eventi di bordo, necessaria per avere evidenza di tutte le operazioni svolte a bordo della locomotiva o di eventuali guasti, è pervenuta in data 28 settembre 2009.
Secondo quanto si evince da dette informazioni, si precisa di seguito la dinamica dell'evento accaduto alle ore 20.11 del 20 settembre 2009. Il treno regionale 20438 proveniente da Piacenza è arrivato al binario 23 della stazione di Milano centrale. Detto treno, del tipo «navetta», era composto da una locomotiva E464 che spingeva verso Milano sei vetture «a piano ribassato», delle quali quella di testa dotata di cabina di guida. All'arrivo a Milano centrale, il convoglio fuori servizio doveva essere ricoverato per le operazioni di pulizia al fascio denominato CM5 attraversando il binario 5 del fascio denominato CM2.
Il macchinista incaricato di svolgere questa operazione ha preso in consegna il treno dal personale in arrivo.
Alle ore 22.25, dopo la regolare disposizione del segnale basso di manovra per il libero passaggio, il convoglio si avvia verso i binari di ricovero ma non si arresta al segnale di manovra n. 559 che imponeva la fermata e procede in direzione di Lambrate, tallonando i deviatoi n. 577 e 578, instradandosi su di un asta di manovra e urtando contro il paraurti ubicato al termine di tale asta. Il paraurti viene divelto ed il treno lo supera, fino a finire sul parapetto di protezione della linea per Genova e precipitare con la locomotiva e la prima vettura nel cortile di un condominio sottostante i binari.
La locomotiva Bombardier E464-029 è di recente costruzione ed è equipaggiata con il sistema di protezione della marcia del treno SCMT. Questo sistema, quando è attivo, richiede, a 2 km/h, la conferma della presenza del macchinista a bordo, attraverso l'azionamento di un pedale. In mancanza di tale azionamento il sistema comanda in automatico l'arresto del treno. Il SCMT, in modalità «manovra» impedisce il superamento di 30 km/h.
Il macchinista ha ricevuto la formazione prevista, ha superato gli esami ed è in possesso della patente tipo E (livello più elevato tra le patenti del settore condotta) dal 9 ottobre 2008. Ha sostenuto con esito positivo l'ultima visita sanitaria in data 10 giugno 2009.
Il giorno 20 settembre il macchinista aveva preso servizio alle ore 16.20, il primo servizio dopo un riposo di 54 ore.
Ad oggi, dai dati di bordo, si rileva che la velocità al momento dell'impatto era di 75 km/h, che la locomotiva è rimasta con la leva di trazione inserita fino al momento dell'impatto e che l'apparecchiatura di bordo SCMT era disattivata. Per le conclusioni sulle dinamiche dell'incidente, l'Agenzia è in attesa di una completa lettura dei dati del registratore di bordo e della definizione delle indagini ancora in corso.
Per quanto riguarda, invece, la tematica relativa alle manovre si ravvisa che le ferrovie italiane si sono dotate di un moderno ed efficace sistema automatico di protezione della marcia dei treni in grado di comandare l'arresto del freno in caso di errore da parte del macchinista. Tale sistema, tuttavia, è di limitata efficacia in caso di spostamenti di servizio nell'ambito delle stazioni.
Alcuni incidenti verificatisi di recente in occasione di tali spostamenti fanno emergere la necessità di adottare provvedimenti tecnologici e normativi miranti ad evitarne il ripetersi o a mitigarne le conseguenze.
Per tale motivo l'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria sta attualmente conducendo un approfondimento mirato ad introdurre alcune modifiche alle norme riguardanti l'effettuazione delle manovre. A tale scopo, lo scorso mese di luglio è stato richiesto a Rete ferroviaria italiana (RFI) di fornire informazioni circa alcuni aspetti rilevanti ai fini della sicurezza nell'ambito dello svolgimento dei servizi di manovra dei treni.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
EVANGELISTI, MIGLIORI, MARIANI e POLI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
come è ormai noto, alle 23,48 del 29 giugno 2009 nella stazione di Viareggio si è verificato il più grave disastro ferroviario degli ultimi decenni che ha causato la morte di 31 persone, il ferimento di oltre 100 e al momento ancora nessun indagato;
nel rispetto della piena autonomia dell'autorità giudiziaria le cause della tragedia, sulla base delle prime sommarie informazioni trapelate dalle indagini, sarebbero da attribuire alla rottura dell'asse del primo carro, di proprietà della società GATX Rail, che ha determinato prima lo svio dalla rotaia della ruota e del carrello e poi il ribaltamento e la rottura dell'involucro della cisterna, appena al di fuori delle aree adibite ai viaggiatori della stazione di Viareggio;
la ricostruzione della catena di responsabilità del trasporto vede una pluralità di soggetti coinvolti, e in particolare: la raffineria Sarpom, che ha sede a San Martino di Trecate (Novara), la Aversana Petroli, di Casal di Principe (Caserta), rispettivamente mittente e destinataria del carico; Fs logistica, incaricata della spedizione; Rete ferroviaria italiana Spa, gestore dell'infrastruttura, responsabile dell'esercizio ferroviario e dell'ammissione dei convogli sulle rete; Trenitalia Spa, titolare del trasporto, con personale e locomotiva propria (queste ultime tutte società del Gruppo Ferrovie dello Stato Spa); la società GATX Rail proprietaria del carro-cisterna; la società CIMA di Mantova, qualificata da FS-Trenitalia, che ha effettuato, per conto della già menzionata GATX Rail, la manutenzione sui carri utilizzando dei carrelli della predetta società precedentemente revisionati dall'officina tedesca Jungenthal Waggon Gmbh di Hannover;
come si può notare La GATX Rail è chiamata più volte in causa e proprio per questo l'interrogante aveva già richiesto, attraverso l'interpellanza 2-00454 discussa lo scorso 17 settembre e sulla quale il sottosegretario Giachino non ha fornito alcun chiarimento in relazione a tale società, di poter conoscere il contenuto del contratto stipulato con la GATX Rail di Vienna;
tale richiesta è stata inoltrata anche ai vertici di Trenitalia con lettera datata 29 luglio anche ai sensi della Legge 241/90 «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi», senza ottenere alcun riscontro -:
quali siano, pur nel rispetto delle indagini in corso da parte della Magistratura, i motivi ostativi per la conoscenza di un atto pubblico quale si configura essere un contratto come quello stipulato con la società viennese di cui sopra.
(4-04406)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
I rapporti contrattuali con la società Gatx Rail Austria sono di competenza di FS Logistica del gruppo Ferrovie dello Stato. Fra le due società sono stati stipulati diversi contratti aventi ad oggetto il noleggio di carri ferroviari.
I contratti relativi ai carri cisterna idonei al trasporto di Gpl riguardano un totale di 35 carri, 14 dei quali in composizione al treno coinvolto nel tragico a incidente di Viareggio del 29 giugno 2009 già oggetto di esame da parte della Autorità Giudiziaria di Lucca.
In particolare, il carro, la cui rottura dell'assile ha causato l'incidente, è compreso nell'ambito del contratto n. 304061 stipulato il 13 gennaio 2009 ed avente validità dal 10 febbraio 2009 al 31 gennaio 2010.
Ferrovie dello Stato precisa che per quanto concerne la manutenzione dei carri oggetto del contratto, secondo quanto avviene nei rapporti di noleggio di carri ferroviari in Europa ed in conformità alla normativa vigente in campo europeo, la stessa è riservata ai proprietari che, nella determinazione del canone di noleggio, tengono
conto degli oneri economici derivanti dalle attività manutentive.
Nel caso di specie, la disciplina contrattuale tra Gatx Rail Austria e FS Logistica prevede espressamente che ogni intervento di manutenzione, programmata o straordinaria, sia a cura ed a carico del proprietario. È poi contrattualmente previsto che il proprietario comunichi l'officina presso cui inviare il carro per le attività manutentive che il proprietario stesso commissiona.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il fascicolo «Repubblica-Salute» del 16 luglio 2009, a pagina 46, pubblicava l'articolo «Sla, ora si prova il doping al Epo»;
nell'articolo citato, tra l'altro, si riferisce che l'eritropoietina, nome in codice Epo, è un doping frequente nel ciclismo, cosa del resto confermata da numerosissimi articoli di cronaca pubblicati praticamente su tutti i quotidiani, non solo sportivi;
una ricerca italiana permetterebbe ora di ipotizzare il suo uso per curare la sclerosi laterale amiotrofica (Sla);
alcuni risultati incoraggianti in questo senso arrivano dall'istituto neurologico Carlo Besta di Milano, pubblicati su Als - Amyotrophic lateral sclerosis;
l'ipotesi da dimostrare, spiega il dottor Giuseppe Lauria dell'Unità operativa malattie neuromuscolari e neuro immunologia dell'istituto Besta, che ha avuto l'intuizione e guida lo studio preliminare, è che «l'eritropoietina, fattore di crescita utilizzato in medicina per curare l'anemia, possa avere un effetto neuroprotettivo nei malati di Sla»;
le proprietà del farmaco, già osservate dai ricercatori dell'istituto di ricovero e cura a carattere scientifico milanese in modelli animali di malattie neurodegenerative, si potrebbero tradurre in una migliore sopravvivenza e funzione delle cellule neuronali, come già dimostrato nelle neuropatie causate da diabete e da farmaci neurotossici come gli antineoplastici; su questa ipotesi l'Istituto Besta intenderebbe continuare a lavorare;
secondo quanto dichiarato dal dottor Lauria, l'istituto ha già in cantiere uno studio multicentrico che coinvolgerà 150 pazienti;
uno dei problemi da affrontare è quello relativo ai fondi per finanziare le ricerche, che richiedono circa un milione di euro, considerato che l'Istituto può stanziare solo il 60 per cento dei fondi necessari;
come avverte il dottor Lauria preliminarmente si tratta di capire se i risultati ottenuti dallo studio su pochi malati non siano solo frutto di casualità; l'indagine ha coinvolto 23 pazienti, 12 dei quali trattati con eritropoietina in aggiunta al riluzolo (un vecchio farmaco che a tutt'oggi è ancora l'unico che ha dimostrato di rallentare un po' la Sla) e 11 solo con riluzolo;
dopo due anni si è osservato che l'Epo non ha causato effetti collaterali gravi e ha determinato una minore progressione della malattia. Nel gruppo dei malati trattati solo con riluzolo 8 su 11 sono morti o hanno avuto un peggioramento tale da richiedere la tracheotomia. Nel gruppo dei pazienti sottoposti a Epo, invece, questo numero è sceso a 4 su 12 -:
se il Ministro non ritenga di dover assumere iniziative al fine di garantire che all'Istituto Besta sia garantito il 40 per cento dei finanziamenti necessari per poter accertare se i risultati ottenuti dallo studio di un finora ristretto gruppo di malati siano solo il frutto di casualità, o se, al contrario, non si aprano nuovi,
incoraggianti prospettive per la cura dei malati affetti da sclerosi laterale amiotrofica;
quali altre iniziative al riguardo si intendano promuovere, adottare e sollecitare al riguardo.
(4-03965)
Risposta. - Si precisa preliminarmente che l'articolo scientifico del dottor Lauria, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Amyotrophic lateral sclerosis, descrive uno studio di fase II, in doppio cieco, per valutate la sicurezza della terapia con 40.000 unità di eritropoietina ricombinante (rhEPO) per via endovenosa, in associazione con riluzolo e vitamina E in pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica (Sla) ed eventualmente un effetto positivo nel prolungare la sopravvivenza o la necessità di tracheotomia.
Lo studio è stato eseguito su 23 pazienti con diagnosi probabile o certa di Sla secondo i criteri di El Escorial, e con esordio di malattia non superiore a 36 mesi. I pazienti sono stati quindi randomizzati in due bracci, uno di 12 soggetti ai quali è stato somministrato rhEPO, riluzolo e vitamina E, e l'altro di 11 soggetti ai quali è stato somministrato placebo.
Il trattamento è stato eseguito per 24 mesi durante i quali non si sono osservati eventi avversi nel gruppo trattato con rhEPO. Gli autori hanno anche osservato nei pazienti trattati con rhEPO una più lenta progressione di malattia e una minore mortalità rispetto ai pazienti del gruppo di controllo.
Sebbene i dati ottenuti in questa sperimentazione non siano risultati statisticamente significativi, è possibile che utilizzando un maggior numero di pazienti si possa evidenziare un qualche effetto positivo del trattamento con rhEPO.
Relativamente a quanto richiesto, si sottolinea che nell'ambito dei finanziamenti annuali per la ricerca corrente e finalizzata, il ministero eroga a favore dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico «Besta» di Milano uno stanziamento annuo di sei milioni di euro.
Il suddetto Istituto ha inserito fra le attività progettuali dell'anno 2008 il progetto Studio dell'efficacia dell'Eritropoietina nelle malattie neurodegenerative: sviluppo di modelli, sperimentali, ricerca di tipo propedeutico alle sperimentazioni cliniche citate.
In aggiunta al finanziamento già citato, non risulta essere stata presentata dall'Istituto alcuna richiesta di integrazione per le finalità riportate nell'interrogazione in esame.
Peraltro, in occasione dei prossimi bandi ministeriali per la ricerca sanitaria (corrente e finalizzata), sarà possibile per l'Istituto presentare ulteriori progetti sull'argomento, per proseguire con altri fondi e con il coinvolgimento di un maggior numero di pazienti il promettente studio già avviato, tenuto conto in particolare della gravità della malattia e della attuale assenza di adeguate terapie.
Si segnala, infine, che l'Istituto superiore di sanità sta coordinando uno studio multricentrico per valutare la sicurezza e l'efficacia del trattamento con sali di litio in pazienti affetti da Sla.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.
FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
con i livelli di sovraffollamento, per altro tendenti ad aumentare, c'è il rischio concreto che le carceri italiane siano fra i primi luoghi dove il virus A/H1N1 possa attecchire e diffondersi nella sua forma peggiore;
il «pianeta carcere» - 206 istituti con oltre 64 mila persone recluse in tutta Italia, dai minorenni agli over 80, con oltre il 35 per cento di stranieri e il 30 per cento di tossicodipendenti - sembra racchiudere tutte le criticità tali da farlo ritenere una priorità nell'emergenza H1N1;
negli istituti si registra un indice di salute medio-grave (con oltre 6 persone su 10 malate), una diffusione elevata di malattie come tubercolosi, epatiti B e C, diabete e Hiv, problemi cardiocircolatori e polmonari, una frequenza altissima di reclusi con fragilità mentale e un numero di decessi che, solo nei primi sette mesi del 2009, è già a quota 118, fra cui 45 suicidi;
ai detenuti vanno poi aggiunti 34 mila agenti di polizia penitenziaria e centinaia di operatori dell'area educativa (educatori, Uepe, volontari, direttori, ecc). Secondo il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap), nel 2008 il turn-over nelle carceri ha coinvolto più di 90 mila persone. Queste persone sono costrette a vivere 24 ore al giorno in ambienti non salubri, vetusti, in strutture che all'80 per cento non sono a norma, sovraffollate e che per questo non rispondono alle norme per ciò che concerne, ad esempio, i metri quadrati, la luce, la ventilazione e i servizi igienici pro-capite, con una oggettiva impossibilità di minimizzare i contatti con le persone malate;
opportunamente da giorni si parla di una campagna di vaccinazione che, nei prossimi mesi, che riguarderà alcune categorie a rischio;
un accorato allarme, al riguardo, è stato lanciato pubblicamente, dopo i sopralluoghi effettuati dai suoi collaboratori nelle carceri del Lazio, dal Garante dei diritti dei detenuti dottor Angiolo Marroni, che ricopre anche l'incarico di vice-presidente della Conferenza nazionale dei Garanti dei detenuti -:
se si condivida o meno l'allarme lanciato dal dottor Angiolo Marroni;
quali iniziative si intendano adottare, promuovere, sollecitare in relazione a quanto sopra esposto e denunciato dal dottor Marroni.
(4-03988)
Risposta. - Con riferimento a quanto segnalato nell'interrogazione in esame, si precisa che allo scopo di razionalizzare l'offerta del vaccino, garantire il mantenimento dei servizi essenziali e proteggere i soggetti più vulnerabili, in data 11 settembre 2009 e 30 settembre 2009 sono state emanate rispettivamente l'ordinanza: «Misure urgenti in materia di profilassi vaccinale dell'influenza pandemica A(H1N1)» e l'ordinanza: «Misure urgenti in materia di protezione AH1N1v», che individuano in ordine di priorità le categorie bersaglio della vaccinazione.
In tali categorie rientrano i soggetti a maggior rischio di complicanze; pertanto, qualora fossero presenti negli istituti penitenziari detenuti appartenenti alle stesse, saranno sottoposti a vaccinazione pandemica, mentre i detenuti che non presentino patologie di base elencate nelle sopra citate ordinanze non sono candidati prioritariamente alla vaccinazione anti influenza da virus AHIN1.
Le carceri sono un luogo chiuso, circoscritto e, pertanto, eventuali casi di influenza in tali comunità risultano essere più gestibili rispetto al contenimento della diffusione dell'infezione.
Gli strumenti principali per ridurre la diffusione dell'influenza nelle carceri consistono, in questa fase, nella sorveglianza e nella tempestiva individuazione dei malati (detenuti e personale penitenziario), nel tenerli separati dai luoghi frequentati dagli altri detenuti, nell'isolamento domiciliare per il suddetto personale fino a guarigione (nel caso dell'influenza, per 7 giorni dall'inizio dei sintomi o fino a completa risoluzione della sintomatologia per almeno 24 ore, qualunque sia stata la durata di questa), nella rigida osservanza delle elementari norme di igiene personale, nei controlli ambientali che favoriscano l'applicazione ed il rispetto di misure di prevenzione e pratiche igieniche appropriate.
Il personale in servizio nelle carceri rientra nella categoria di soggetti che assicurano un servizio pubblico essenziale e saranno, pertanto, vaccinati in base ai piani di continuità dei singoli istituti penitenziari.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.
FARINA COSCIONI, BERNARDINI, BELTRANDI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'intera città di Mazzarino è mobilitata e in rivolta, per protestare in seguito all'ennesimo episodio di mala sanità, che in questo caso ha provocato la morte di un giovane motociclista, il signor Filippo Li Gambi;
il padre del giovane, il signor Giovanni Li Gambi, ha pubblicamente denunciato: «Non c'erano i dottori per operare mio figlio, mi devono spiegare perché la sala operatoria è stata chiusa» -:
quale sia l'esatta dinamica dei fatti che hanno portato alla prematura scomparsa del signor Filippo Li Gambi;
in particolare se sia vero quanto riferito dal signor Giovanni Li Gambi, e segnatamente che nel complesso ospedaliero di Mazzarino «al momento dell'incidente non c'erano i dottori... la sala operatoria è stata chiusa»;
in caso affermativo perché nel caso del signor Filippo Li Gambi non c'erano i medici e la sala operatoria era chiusa;
quali iniziative si intendono comunque promuovere, adottare e sollecitare a fronte di quanto accaduto.
(4-04098)
Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame sulla base degli elementi forniti dalla competente Prefettura di Caltanissetta.
Nella notte tra il 20 ed il 21 agosto 2009, Filippo Li Gambi, a seguito della violenta caduta dalla moto causata dallo scontro con un'auto, ha riportato una forte emorragia alla gamba ed è stato trasportato al pronto soccorso del presidio ospedaliero «Santo Stefano» di Mazzarino, dove gli sono state prestate le prime cure da parte dei medici in servizio. Tuttavia, data la gravità della situazione, si è reso necessario il successivo trasferimento presso l'ospedale «Sant'Elia» di Caltanissetta, dove è in seguito deceduto.
Sulla vicenda sono in corso tuttora le indagini disposte dalla Procura della Repubblica di Gela, al fine di ricostruire l'esatta dinamica e le cause del decesso del signor Li Gambi, nonché accertare eventuali responsabilità da parte dei sanitari.
L'Assessore regionale alla sanità ha disposto un'ispezione amministrativa presso i due ospedali di Mazzarino e di Caltanissetta, per verificare se siano state seguite procedure mediche corrette.
Inoltre, sul caso è intervenuta anche la Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori in campo sanitario; il 14 settembre 2009, una delegazione infatti ha effettuato una visita a Mazzarino e, dopo un incontro con gli amministratori di quel comprensorio ed un sopralluogo al presidio ospedaliero «Santo Stefano», ha proceduto ad audizioni di alcuni dirigenti della struttura sanitaria di Caltanissetta.
Tale episodio si inquadra nella più complessa vicenda riguardante l'attuazione del Piano di riassetto della sanità varato recentemente dalla Regione Siciliana, che prevede un ridimensionamento di alcune strutture sanitarie, tra cui l'ospedale di Mazzarino: poiché tale prospettiva ha suscitato la protesta dei cittadini, il sindaco si è fatto portavoce di molteplici iniziative, che hanno coinvolto anche buona parte della cittadinanza, per ottenere una modifica del Piano medesimo.
Tale episodio è stato assunto come emblematico delle richieste di quel comprensorio (comprendente anche i comuni di Riesi, Butera e Sommatino nella provincia di Caltanissetta e quello di Barrafranca in provincia di Enna).
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.
FEDI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il riacquisto della cittadinanza italiana è regolato dall'articolo 13 della legge 5 febbraio 1992, n. 91;
l'articolo 13, comma 1, lettera a) prevede una dichiarazione di volontà da
parte di tutti coloro i quali sono interessati al riacquisto della nostra cittadinanza per averla perduta a qualsiasi titolo e età;
tale dichiarazione di volontà può essere resa presso gli Uffici consolari di provenienza e successivamente presentata al Comune in Italia oppure direttamente al Comune italiano ove si desidera stabilire la propria «residenza elettiva»;
l'iscrizione anagrafica in questo caso può avvenire solo dietro rilascio di un apposito permesso di soggiorno ed il riacquisto della cittadinanza italiana è in questo caso immediato;
l'articolo 13, comma 1, lettera b) prevede il riacquisto automatico della cittadinanza italiana dopo un anno di residenza in Italia -:
quali urgenti disposizioni od iniziative si intendano adottare per evitare il ripetersi di situazioni in cui i Comuni si attengono a criteri non omogenei e/o in palese contraddizione con l'applicazione delle predette norme;
quali iniziative informative urgenti si riterrà opportuno adottare per informare Comuni e Questure;
quali urgenti disposizioni od iniziative si intendano adottare per rendere celere il rilascio del permesso di soggiorno utile ai fini dell'iscrizione anagrafica e necessario per il riacquisto immediato della cittadinanza italiana.
(4-00837)
Risposta. - La soluzione alla problematica segnalata dall'interrogante è da individuarsi nelle direttive che il ministero dell'interno ha emanato già in occasione dell'entrata in vigore delle disposizioni introdotte con la legge 28 maggio 2007, n. 68 recante «Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio».
Tale normativa ha previsto, per i soggiorni inferiori a tre mesi, il rilascio di una «dichiarazione di presenza» in luogo del permesso di soggiorno e le istruzioni ministeriali hanno precisato che a tale dichiarazione possono fare ricorso anche i discendenti di cittadini italiani onde poter disporre di un titolo per l'iscrizione anagrafica finalizzata all'acquisto della cittadinanza iure sanguinis.
Analoga opportunità, pertanto, deve ritenersi disponibile anche per lo straniero che si trasferisce in Italia per attivare la procedura del riacquisto della cittadinanza di cui all'articolo 13 della legge 5 febbraio 1992, n. 91: anche questi può e deve rendere la dichiarazione di presenza di cui alla predetta legge 28 maggio 2007, n. 68 ai fini dell'iscrizione anagrafica occorrente per il riacquisto.
Ove la procedura si protragga per oltre tre mesi, superando così i tempi del permesso di soggiorno di breve durata, gli interessati possono chiedere al Questore del luogo di residenza il permesso di soggiorno «per attesa di cittadinanza».
In presenza di particolari presupposti di necessità ed urgenza, peraltro opportunamente documentati dagli interessati, le Questure potranno procedere, in via eccezionale, al rilascio di un'autorizzazione al soggiorno sul modello cartaceo (con validità limitata a seconda delle esigenze prospettate) nelle more della produzione del titolo in formato elettronico da parte del competente Istituto poligrafico e Zecca dello Stato.
Tali opportunità sono state oggetto di specifiche direttive già indirizzate alle Prefetture ed alle Questure. I competenti uffici del ministero dell'interno, per il tramite delle Prefetture, continueranno ad effettuare periodici monitoraggi al fine di scongiurare difformi e pregiudizievoli applicazioni dei predetti indirizzi, anche da parte dei Comuni, sul territorio nazionale.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nitto Francesco Palma.
FRANZOSO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
dal 1° luglio scorso Trenitalia ha deciso univocamente la soppressione di
alcuni treni sulla tratta Roma-Taranto e Taranto-Roma;
tale soppressione è fortemente penalizzante per il territorio jonico, soprattutto in prossimità della stagione estiva che sta registrando un incremento di circa il 2 per cento di presenze turistiche in tutta la provincia;
sembrerebbe, inoltre, che Trenitalia abbia previsto, a parziale integrazione delle soppressioni effettuate, un solo collegamento notturno avente un percorso più lungo, con conseguente aumento del prezzo del biglietto e dei tempi di percorrenza da e per Roma;
sempre dal 1° luglio, inoltre, la divisione Cargo di Trenitalia ha deciso che lo scalo di Taranto, insieme a quelli di Brindisi, Surbo e Foggia, non sarà più operativo per il traffico merci per carri singoli o inferiori ad un treno completo di 15/18 vagoni;
tale ulteriore decisione desta forte preoccupazione - così come anche denunciato recentemente da Confindustria - alle numerose piccole e medie aziende del Grande Salento che saranno costrette a inviare e/o ricevere materie prime effettuando spedizioni via gomma sino a Bari e, in alcuni casi a Napoli o Ancona;
a causa di questo ridimensionamento appare evidente che l'aumento del costo dei trasporti inciderà significativamente sul costo per unità di prodotto con conseguente maggiore spesa per gli abitanti delle province di Taranto, Brindisi e Lecce, soprattutto in un periodo di particolare e profonda crisi economica e occupazionale che investe non solo tutta l'area interessata, ma l'intero mezzogiorno con conseguenze alle quali il Governo deve prestare ogni attenzione possibile -:
se e come si intenda intervenire presso Trenitalia affinché vengano ripristinati i necessari servizi di trasporto, indispensabili per evitare che la provincia jonica venga esclusa dagli assi di collegamento più importanti del Paese, con evidenti gravi ripercussioni sul turismo, e sull'intera economia del territorio.
(4-03508)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Dal 1o luglio al 31 agosto 2009 Ferrovie dello Stato s.p.a. ha realizzato importanti interventi di manutenzione all'infrastruttura ferroviaria sulla linea Battipaglia-Potenza che hanno determinato la sospensione dell'esercizio ferroviario.
La chiusura della linea nel periodo suddetto era già stata prevista nel Prospetto informativo della Rete (PI), redatto annualmente da Rete ferroviaria italiana (RFI) nel mese di dicembre 2008, che secondo la normativa vigente stabilisce la disponibilità all'esercizio della rete ferroviaria.
Pertanto, per effetto di tale chiusura nei mesi di luglio e agosto 2009, il traffico ferroviario circolante sulla linea Battipaglia-Potenza è stato riorganizzato adottando i seguenti provvedimenti:
la coppia di Eurostar 9360/9363 Roma-Taranto e viceversa è stata limitata a Battipaglia e sostituita con autobus tra Taranto e Battipaglia e tra Potenza e Battipaglia;
la coppia di Intercity 675/676 Roma-Taranto e viceversa, è stata limitata a Battipaglia e sostituita con autobus tra Taranto e Battipaglia e tra Potenza e Battipaglia;
la coppia di Espressi notte 951/956 Roma-Lecce e viceversa è stata deviata via Paola-Sibari-Metaponto-Taranto;
la coppia di treni antenna 953/954 Metaponto-Catanzaro Lido e viceversa è stata deviata via Sibari-Crotone.
Al termine dei lavori, dal 1o settembre 2009, i collegamenti ferroviari sono stati ripristinati secondo l'ordinaria programmazione.
Circa la situazione degli scali ferroviari merci nella regione Puglia, si fa presente
che già da alcuni anni in tutta Europa l'esigenza di efficientare e specializzare i servizi ferroviari ha determinato l'avvio di un processo di razionalizzazione e concentrazione del traffico ferroviario delle merci, in particolare per il traffico «diffuso» (a carro singolo o gruppi di carri).
Pertanto, anche nel nostro Paese, Trenitalia ha avviato su tutto il territorio nazionale un programma di riorganizzazione del sistema di offerta ferroviaria merci per il traffico «diffuso» rispondendo alla necessità sia di creare un modello di offerta più aderente alle esigenze della clientela sia di realizzare un servizio più efficiente per conseguire una migliore utilizzazione delle risorse disponibili e, quindi economicamente sostenibile per l'azienda suddetta.
Tale riorganizzazione si è resa indispensabile anche per contenere una sensibile contrazione della domanda dovuta alla nota situazione di congiuntura economica e la riduzione nel 2009 dei contributi statali al trasporto merci previsti dal contratto di servizio pubblico con Trenitalia (circa 60 milioni di euro in meno rispetto alle previsioni del Piano industriale di Ferrovie dello Stato).
In funzione dell'obiettivo di concentrazione del traffico «diffuso», per il quale Trenitalia fa sapere che intende comunque mantenere tutte le destinazioni dei trasporti già previste in precedenza, è stata definita una nuova modalità complessiva di inoltro al cliente, che prevede l'attestamento ferroviario di questo tipo di trasporti su alcune piattaforme logistiche dalle quali è possibile attuare soluzioni alternative per la presa/riconsegna nelle località di origine/destinazione. Per la Puglia, la concentrazione del traffici a carro singolo è stata prevista a Bari.
Nessuna modifica organizzativa è in programma, invece per il traffico a treno completo, che continua ad essere effettuato in tutti gli impianti precedentemente serviti.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
LABOCCETTA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il dott. Giuseppe Pedersoli, difensore civico del Comune di Napoli venne eletto, con votazione del Consiglio comunale il 24 settembre 2007 (42 voti su 60 consiglieri assegnati e 55 presenti), dopo una lunga prorogatio del precedente titolare della carica;
avverso la delibera di nomina venne proposto ricorso (R.G 5762/2007) al Tar Campania dalla dr.ssa Giuseppina Della Valle, giudice amministrativo a riposo, già componente del Consiglio di Stato e già Presidente di Tar;
il Tar Campania ha rigettato il ricorso, con sentenza 5141/2008;
la dr.ssa Giuseppina Della Valle, per quattro volte è stata parte e/o controinteressata in contenziosi amministrativi dinanzi al Tar Campania riguardanti la nomina a Difensore civico, del Comune di Napoli e/o della Provincia di Napoli;
i più diffusi quotidiani locali hanno riportato la notizia della conoscenza personale tra la ricorrente e il presidente di sezione (nonché dello stesso Tar Campania) e dopo la pubblicazione della notizia, gli avvocati della dr.ssa Della Valle hanno ritirato la richiesta di sospensiva, esattamente nel giorno della camera di consiglio riguardante la sospensiva stessa;
successivamente la ricorrente ha presentato due istanze di prelievo in meno di 30 giorni, con il risultato di ottenere una sentenza (peraltro a lei sfavorevole) in circa otto mesi;
il collegio giudicante ha subito modifiche sostanziali: dalla camera di consiglio per la sospensione all'udienza per il merito due componenti su tre sono cambiati e in sentenza non è stata fornita alcuna motivazione della sostituzione dei giudici;
con nota del 18 giugno 2008 indirizzata alla Presidenza del Consiglio-Servizio per il personale delle magistrature e al
Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa il dott. Pedersoli segnalava quanto accaduto e dubitava della sua correttezza soprattutto in riferimento all'assegnazione dei ricorsi, nei quali la dr.ssa Della Valle è parte e/o controinteressata, alla medesima sezione del Tar Campania, ai tempi per la fissazione dell'udienza che, come detto, non sembrano, anche a chi scrive, in linea con gli standard del Tar Campania e alla mutazione della composizione del collegio giudicante senza motivazione in sentenza;
il Consiglio di Stato ha celebrato in data 10 luglio 2009 l'udienza relativa al ricorso 5672/2008 per la richiesta di annullamento della delibera di nomina del dott. Pedersoli a difensore civico a distanza di soli 22 mesi dalla sua adozione, quando, come si apprende anche da un articolo del quotidiano Il Sole24ore del 9 marzo 2009, la durata media di un contenzioso tra TAR e Consiglio di Stato è di circa 8 anni;
tale ultima udienza è stata tenuta dal collegio della V sezione presieduta dal dottor Domenico La Medica, già collega della dottoressa Giuseppina Della Valle -:
se sia a conoscenza dei fatti e quali iniziative di propria competenza intenda assumere.
(4-03764)
Risposta. - In relazione all'interrogazione in esame, concernente l'annullamento della delibera di nomina del dottor Giuseppe Pedersoli a difensore civico del comune di Napoli, si fa presente quanto segue.
Con riferimento al procedimento di primo grado presso il Tar Campania - Napoli, il ricorso n. 5762 del 2007 è stato depositato in segreteria in data 23 ottobre 2007.
Alla camera di consiglio del 7 novembre 2007, fissata per la sospensiva (collegio: presidente Guida, relatore Severini, Corciulo), il ricorso venne cancellato dal ruolo ad istanza di parte.
All'udienza pubblica del 7 maggio 2008 (presidente Donadono, relatore Corciulo, Dell'Olio) il ricorso passò in decisione e con sentenza n. 5141 del 2008 è stato respinto.
In merito alle particolari circostanze, evidenziate nell'interrogazione in esame si premette che l'assegnazione dei ricorsi alla medesima sezione del Tribunale discende automaticamente dal riparto delle materie tra le otto sezioni del Tribunale così come definito annualmente con decreto presidenziale.
I ricorsi in materia di nomina dei difensori civici rientrano nella competenza della I sezione.
Per quanto riguarda, poi, la diversa composizione dei collegi giudicanti nelle due udienze summenzionate, questa deriva dalla composizione dei collegi nelle singole udienze, predeterminata per ogni trimestre con apposito decreto, secondo i criteri dell'organo di autogoverno della magistratura amministrativa.
Inoltre, il precedente relatore, consigliere Severini, non faceva più parte del Tribunale essendo stato trasferito alla Sezione staccata di Salerno agli inizi del 2008.
Peraltro, si fa presente che nelle sentenze non deve, né può darsi, alcuna motivazione circa la composizione del collegio giudicante.
A ciò si deve aggiungere che, secondo criteri anch'essi predeterminati in via generale, i ricorsi con istanza di prelievo (come quelli, ad esempio, con sospensiva accolta) hanno precedenza nella fissazione della trattazione del merito; si evidenzia che per il 2007/2008 pressoché tutti i ricorsi con istanza di prelievo sono stati fissati per il merito.
Si evidenzia, altresì, che la definizione in primo grado del ricorso in questione in circa otto mesi è perfettamente in linea con gli attuali standard operativi del Tribunale amministrativo della Campania, che nel biennio 2007-2008 ha definito circa 2300 nuovi ricorsi nel giro di pochi mesi dalla loro proposizione, già in sede di trattazione della domanda di sospensione con sentenza in forma semplificata.
Tutto ciò risulta dalle statistiche ufficiali e dalle relazioni di inaugurazione dell'anno giudiziario del Tribunale campano.
Per quanto attiene al procedimento di secondo grado, si rappresenta che il ricorso N.R.G. 5672 del 2008 è stato depositato il 10 luglio 2008 e che sono state presentate due istanze di prelievo, rispettivamente in data 21 luglio 2008 e 27 ottobre 2008.
L'appello è stato trattato nell'udienza del 10 marzo 2009 e in data 24 aprile 2009 è stata depositata ordinanza interlocutoria n. 2585 del 2009; in calce a suddetta ordinanza è stata fissata contestualmente dal Presidente della sezione l'ulteriore trattazione dell'appello per l'udienza del 10 luglio 2009. La decisione è stata poi depositata in segreteria il 19 ottobre 2009.
Con riferimento alla questione del presidente del collegio si precisa che, a seguito del collocamento a riposo del Presidente Domenico La Medica, l'ultima udienza è stata presieduta dal consigliere più anziano del Collegio Aniello Cerreto (anche a seguito del trasferimento ad altra sezione, a decorrere dal 1o luglio 2009, del Presidente di sezione Raffaele Carboni).
Anche in merito alla presunta eccessiva celerità della definizione del ricorso in appello, si sottolinea che, allo stato, non esistono statistiche ufficiali sulla durata media dei processi. Tale durata, in linea generale, dipende dalla peculiarità delle materie trattate e dall'urgenza rappresentata dalle parti.
D'altronde, negli ultimi periodi, i tempi di lavorazione sono notevolmente diminuiti rispetto agli anni precedenti grazie soprattutto ai nuovi strumenti informatici a disposizione dell'amministrazione.
In conclusione, da quanto sopra, emerge come le circostanze evidenziate nell'atto, che ipotizzano un percorso particolarmente rapido nella trattazione del ricorso, sono prive di fondamento.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Elio Vito.
MELIS. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel comune di Monterotondo (Roma) e nelle aree circostanti esiste una vasta comunità rumena facente capo dal punto di vista religioso alla Chiesa Greco-Ortodossa di Monterotondo, la quale esercita il suo ministero, esteso anche ai comuni limitrofi, con considerevole numero di fedeli (stimati intorno alle 6.000 unità) e svolge altresì un importante ruolo quale centro di coesione della comunità dal punto di vista spirituale, sociale e ricreativo;
tale comunità religiosa è dal giugno 2008 priva di una propria sede ove riunire i fedeli, celebrare messa e svolgere in genere le normali funzioni religiose, in quanto sfrattata dai locali a suo tempo occupati, oggi inibiti al culto per obiettive ragioni strutturali; attualmente, pertanto, tali funzioni religiose sono esercitate forzatamente a cielo aperto, con gli immaginabili gravi disagi per sacerdoti e fedeli e con grave detrimento della dignità stessa dell'intera comunità;
a fronte di questo stato di emergenza, nel comune di Monterotondo esiste un ragguardevole complesso di beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (locali ex proprietà Ciarlante Matilde), beni in una sezione dei quali avrebbe potuto trovare idonea collocazione stabile la Chiesa Greco-Ortodossa, ma che - pur individuati da tempo dalle autorità cittadine (specificatamente dal comune) per essere destinati anche a tale scopo, e come tali sottoposti all'attenzione del Tavolo istituzionale permanente per la destinazione e l'utilizzo dei beni confiscati alla criminalità presso la prefettura di Roma - non sono attualmente disponibili per l'insistere su di essi di un impedimento giuridico relativo alla loro assegnazione;
tale impedimento giuridico consiste, più specificamente, nel fatto che tali immobili, già confiscati con provvedimento del tribunale di Roma reso definitivo con sentenza n. 3542 della Corte di cassazione in data 8 ottobre 2002, risultano però sottoposti a sequestro anche nell'ambito di altro procedimento penale - cosiddetto CAHORS-620/01, pendente presso la Sezione dislocata di Taranto della Corte
d'appello di Lecce, per cui, ai sensi dell'articolo 2-ter della legge n. 575 del 1965, si è ritenuto non potersi procedere alla immediata assegnazione;
il comune di Monterotondo, in data 15 settembre 2005, a firma del sindaco Antonino Lupi, ha sottoposto all'Agenzia del demanio filiale di Roma una propria motivata memoria, avversa alla interruzione della procedura di assegnazione, e che in generale su tale contenzioso e in definitiva sulla disponibilità dei beni si attende il giudizio della Corte d'appello di Lecce, giudizio che purtroppo ritarda;
negli ultimi giorni di dicembre il comune di Monterotondo ha provvisoriamente assegnato fino al mese di giugno alla Chiesa Greco-Ortodossa un locale, peraltro assolutamente insufficiente ed inadatto, ove celebrare messa la domenica, locale comunque inidoneo a soddisfare le esigenze della comunità religiosa;
è interesse pubblico manifesto, come del resto più volte espresso dalle autorità di Monterotondo ed anche ribadito autorevolmente dal prefetto di Roma, conferire alla Chiesa Greco-Ortodossa una dignitosa sede per l'esercizio del culto, allo scopo - per quel che riguarda l'interesse delle istituzioni italiane - di favorire l'aggregazione sociale della comunità romena sull'intero territorio ed di agevolarne l'integrazione nella società civile -:
se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti suesposti e, in caso affermativo, quali iniziative intendano assumere con riferimento ai fatti ricordati in premessa;
se non intendano assumere determinazioni, per tramite degli organi della prefettura di Roma o in altri modi, onde consentire alla Chiesa Greco-Ortodossa di Monterotondo e ai cittadini prevalentemente comunitari che ad essa si riferiscono, il diritto all'esercizio delle pratiche religiose;
se, più specificamente, in attesa che siano espletate con la dovuta celerità le attività giudiziarie connesse all'assegnazione dei beni sequestrati, non intenda il Governo impegnarsi, in accordo con il comune di Monterotondo, nell'individuare e rendere rapidamente operative in via provvisoria o definitiva adeguate soluzioni alternative del problema oppure destinare gli stessi locali a suo tempo individuati in comodato d'uso od in altre forme di possesso provvisorio.
(4-02075)
Risposta. - La questione segnalata dall'interrogante è seguita con la massima attenzione dal Prefetto di Roma, proprio nella direzione dell'obiettivo di destinare quanto prima una parte degli immobili confiscati nel comune di Monterotondo, in precedenza di proprietà della signora Ciarlante, alle esigenze di aggregazione e di culto della parrocchia ortodossa rumena «Battesimo del Signore».
Dopo aver dedicato diverse riunioni, appositamente convocate, alla ricerca di una soluzione, il 2 febbraio 2009 il Prefetto di Roma ha esortato il Commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali affinché venisse richiesto nuovamente alla Corte di Appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto - il dissequestro dei locali in argomento.
Il Commissario straordinario ha inoltrato tale richiesta, motivandola con la considerazione che «la finalità della confisca penale sarebbe comunque salvaguardata atteso che permarrebbero gli effetti della confisca definitiva di prevenzione permettendo la conclusione della fase amministrativa di destinazione prevista dalla legge n. 575 del 1965 come modificata dalla legge n. 109 del 1996».
In alternativa al dissequestro dei beni confiscati, il Commissario straordinario ha interessato la competente autorità giudiziaria pugliese affinché venga valutata l'opportunità di autorizzare comunque l'amministratore giudiziario dei beni in parola a concedere in comodato gratuito i locali occorrenti alla chiesa ortodossa di Monterotondo.
In attesa degli esiti di tale interessamento, è stato richiesto al comune di Monterotondo di valutare la possibilità di
reperire idonee soluzioni alternative, anche di carattere temporaneo.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nitto Francesco Palma.
GIORGIO MERLO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
sono ormai mesi, dall'inizio dell'unificazione di Alitalia con Airone nella nuova società Alitalia CAI (fine marzo), che continuano i pesanti disservizi all'utenza dell'Aeroporto Torino Caselle con gravi conseguenze per i singoli cittadini e per il sistema aeroportuale torinese nel suo complesso. Disagi che hanno caratterizzato molti scali italiani, ma che hanno visto in Torino uno dei casi peggiori;
Cai ha infatti sì individuato l'Aeroporto di Torino-Caselle fra le sue sei basi nazionali (a Torino era comunque già presente una delle principali basi di Airone) ma le promesse di forti investimenti e del miglioramento del servizio si sono scontrate con una realtà quasi opposta;
i ritardi, anche di numerose ore, le frequenti cancellazioni, molte per «misteriose» ragioni tecniche (o forse per riempimenti «load factor» degli aerei non ritenuti sufficienti) hanno pesantemente danneggiato le due tratte nazionali più importanti da Torino: il Torino-Roma e il Torino-Napoli;
numerosi sono stati i casi arrivati alla ribalta dalla cronaca nazionale che hanno coinvolto migliaia di cittadini (danneggiati sia per gli aspetti privati sia per le attività economiche che rappresentano) e i cosiddetti «vip» che hanno portato alle prime deboli risposte da parte della compagnia:
a) la promessa di sostituire i non giovanissimi aeromobili 737 con nuovi airbus 320 (risolveranno alcuni problemi tecnici causa di ritardi, ma probabilmente le cause dei disservizi sono anche altre);
b) il trasferimento di ulteriore personale tecnico manutentivo da Roma a Torino (non ben precisato);
c) finalmente l'unificazione dei check-in Alitalia e Airone;
proprio l'ultimo punto è un segnale della difficile integrazione delle due compagnie che in questi mesi hanno stentato a trovare una soluzione, mantenendo per lungo tempo doppie strutture (appunto check-in, sale vip, eccetera) e doppi costi;
a questo si aggiunge che la soluzione dell'italianità di CAI ha portato all'inesigibilità dei crediti da parte di gran parte dei fornitori, fra cui i principali aeroporti italiani. Solo Torino ha «praticamente perso» circa 7 milioni di euro (la bad company Alitalia versa in pessime condizioni finanziarie);
infine, mentre continuano le trattative con la Sagat (la società di gestione dell'Aeroporto di Torino, che fra l'altro ha nel suo principali azionista privato Sintonia-Gruppo Benetton, uno dei principali azionisti di Alitalia, a cui si aggiunge anche Intesa-San Paolo) e la Regione per nuove rotte internazionali da Torino, continua il calo del traffico sia in genere per l'Aeroporto (-10 per cento circa nei primi mesi, più o meno in linea con il calo italiano ed europeo -9 per cento) sia soprattutto per la tratta Torino-Roma, in parte fortunatamente coperta da nuove compagnie low-cost e in parte aggredita dalla maggiore concorrenza del treno;
alla luce di queste considerazioni, emerge una domanda che richiede una risposta immediata per evitare di aggravare ulteriormente la situazione che caratterizza attualmente lo scalo torinese -:
quali iniziative concrete il Ministero intenda attivare per alleviare il pesante disservizio e la persistente penalizzazione dello scalo di Torino che si abbatte non solo sui cittadini ma sull'intero sistema delle imprese piemontesi che già versano in una situazione di crisi e di difficoltà endemiche.
(4-03645)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione indicata in esame, relativa ai disservizi registrati all'aeroporto di Torino Caselle, si informa che la problematica attualmente sembra superata, come si evince dai dati complessivi del monitoraggio effettuato nel periodo estivo nel suddetto aeroporto;
puntualità voli in partenza (a 15 minuti): 84,13 per cento;
puntualità in arrivo (a 15 minuti): 79,43 per cento;
recupero tempi transiti voli: +4,70 per cento;
regolarità voli: 95,35 per cento;
In aggiunta, si precisa che il valore di puntualità ha registrato un ulteriore miglioramento a settembre attestandosi nell'ultima settimana a 98,5 per cento in partenza e 94 per cento in arrivo.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
MINASSO, SCANDROGLIO, BIASOTTI, CASSINELLI, MONDELLO e NIRENSTEIN. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'Ufficio elettorale centrale (di seguito «Ufficio») di Savona ha escluso dalle elezioni amministrative per l'elezione del presidente della giunta e del consiglio provinciale di Savona la lista del Popolo delle Libertà PDL, primo partito italiano e, stante i risultati delle ultime elezioni politiche, primo partito della provincia di Savona;
è stato presentato ricorso ai competenti organi di giustizia amministrativa avverso tale decisione;
si ritiene segnalare una serie di fatti e circostanze sul comportamento di detto Ufficio che destano particolare perplessità;
in data 9 maggio l'ufficio emetteva decreto di ricusazione nei confronti della lista della Lega Nord sulla base di un presunto vizio, oggetto, invece, di uno specifico caso di ammissibilità previsto alle pagine 150 e 151 delle istruzioni di codesto ministero per la presentazione e l'ammissione di candidature;
è stato necessario affrontare, per la Lega Nord, l'impatto mediatico profondamente negativo per la propria immagine, conseguente alla momentanea esclusione della lista apparsa su tutti i quotidiani, salvo dovere, successivamente, semplicemente evidenziare all'Ufficio, in sede di riesame, la pagina relativa al caso specifico riportato nel libretto di istruzioni e perfettamente identico a quello che l'Ufficio aveva esaminato;
appare agli interroganti incredibile che un ufficio, proposto a compiti così importanti, non abbia preso cognizione, nell'espletamento delle proprie funzioni, o meglio, in vista di tale attività, delle specifiche istruzioni impartite e pubblicate da codesto ministero escludendo erroneamente la lista della Lega nord;
il giorno sabato 9 maggio, alle ore 23.00, il tribunale di Savona (sede dei lavori dell'ufficio) chiudeva i propri battenti con l'uscita della totalità dei membri dell'ufficio medesimo. Nonostante la presenza dei rappresentanti della lista del PDL, nulla veniva loro notificato. Si evidenzia che, nella medesima giornata, altre liste avevano ricevuto ufficialmente notifiche di contestazioni circa le documentazioni prodotte. I rappresentanti del PDL ricevevano, invece, soltanto il giorno seguente (domenica 10 maggio) all'apertura del tribunale il decreto di ricusazione, datato sabato 9 maggio 2009;
non risulta agli interroganti essere intervenuta alcun tipo di attività all'interno del tribunale tra le ore 23.00 di sabato, 9 maggio e le ore 8 di domenica 10 maggio;
il giorno venerdì 8 maggio 2009 i rappresentanti della lista PDL comparivano innanzi all'ufficio avente una determinata composizione. L'ufficio, nella medesima composizione, emetteva in data 9
maggio i decreti di ricusazione e i provvedimenti relativi alle contestazioni accertate. Le decisioni sul riesame venivano, invece, assunte e quindi comunicate dall'ufficio in una composizione dei membri differente;
appare agli interroganti di dubbia correttezza amministrativa, specie nell'assoluta ristrettezza dei termini che caratterizzano il procedimento elettorale, che a talune liste i provvedimenti di contestazione e/o ricusazione siano stati consegnati in data 9 maggio e ad altre, nonostante la presenza fisica dei destinatari e nonostante la pari data di emissione, siano stati consegnati il giorno successivo;
appare altresì quantomeno irrituale che nel corso di un brevissimo procedimento amministrativo incardinato innanzi ad un organo a composizione collegiale, questo possa mutare nella sua composizione a distanza di un giorno dall'altro, e andrebbe comunque chiarito quali siano le motivazioni per le quali il Presidente dell'Ufficio abbia provveduto a sostituire dei membri all'interno del medesimo;
in data 15 maggio 2009 uno dei delegati alla presentazione della lista PDL, nel frattempo ricusata, chiedeva all'ufficio, con specifica istanza, documenti inerenti il deposito delle liste indicandone l'urgentissima necessità, finalizzata alla presentazione di ricorso e contestuale misura cautelare davanti al competente TAR. Riceveva copia della documentazione a corredo della propria lista dopo oltre 2 ore e mezza dalla richiesta e, alla data 18 maggio 2009, nulla riceveva circa la documentazione richiesta a corredo delle altre liste ammesse;
si sottolinea che in data 15, 16 e 17 maggio il quotidiano locale, Il Secolo XIX, nelle pagine nazionali e locali, dava conto di una serie di interviste rese, a partire dal giorno 14 maggio, da sottoscrittori della lista PDL. Si evidenzia come tali nominativi (gente comune e non militanti o quadri di partito) potessero essere conoscibili solo e soltanto attraverso il diretto accesso alla documentazione in possesso dell'Ufficio;
le decisioni dell'Ufficio elettorale hanno avuto come conseguenza l'esclusione della lista PDL, la modifica radicale del simbolo di una lista ad essa collegata la Nuova DC, detentrice del simbolo dello scudo crociato come rilevato da una sentenza passata in giudicato. A tale lista è stato richiesto di modificare radicalmente il simbolo per confondibilità con quello dell'Unione di Centro Lista Casini, diversamente da quanto deciso da numerosi altri uffici elettorali che hanno esaminato, in questi giorni, contrassegni di liste per elezioni amministrative. Ciò nondimeno l'ufficio ha ritenuto ammissibile il simbolo di una lista civica detta «Lista Civica Cristiana» che riporta un'immagine di quello stesso scudo crociato il cui uso è stato negato ai legittimi detentori;
l'Ufficio ha ricusato, oltre alla lista del PDL, quella del Partito Comunista dei Lavoratori, anch'essa per presunti vizi formali nell'autenticazione delle firme, commessi, tra l'altro, da ufficiali di stato civile di comuni del savonese. Tale lista è anch'essa alternativa alla coalizione del candidato presidente Boffa, sostenuto dal Partito democratico e dai suoi alleati, tra cui la suddetta «Lista Civica Cristiana»;
le decisioni dell'Ufficio hanno comportato quindi, di fatto, un sensibile vantaggio a favore di una coalizione e la penalizzazione delle alternative ad essa. Continue fughe di notizie sugli atti in deposito presso l'ufficio elettorale hanno scatenato una campagna di stampa che ha indotto la locale procura della Repubblica, a quanto risulta dall'informatissimo Secolo XIX, ad attivare con non comune celerità un accertamento presso tutti i sottoscrittori della Lista PDL, molti dei quali trovano i loro nominativi pubblicati;
tale clima e tali fatti pongono un serio ed insanabile pregiudizio anche per il futuro circa la diffidenza con la quale i simpatizzanti del PDL saranno costretti ad avvicinarsi ai banchetti per la raccolta delle firme, stante l'incapacità delle istituzioni di tutelare la riservatezza della loro dichiarazione di sostegno politico che
si manifesta con l'apposizione della firma e che dovrebbero garantire la non conoscenza pubblica di tale adesione;
il clima che si percepisce a Savona e che viene rappresentato dai sottoscritti deputati liguri richiederebbe una pronta e seria verifica dell'accaduto da parte di chi ha la responsabilità di garantire il regolare svolgimento delle elezioni;
appare altresì necessario evitare che ciò che appare come un complotto politico possa condizionare il libero e democratico esercizio delle elezioni amministrative che potrà realizzarsi compiutamente esclusivamente con la partecipazione della lista rappresentativa del primo partito in Italia e in provincia di Savona;
occorre, a fronte della situazione in atto nella provincia di Savona, garantire il pieno e sacrosanto diritto dei cittadini savonesi a partecipare ad elezioni aventi liste rappresentative del tessuto politico e sociale del territorio -:
di quali elementi disponga su quanto segnalato in premessa, se quanto rappresentato risulti conforme alle «istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature» elaborate dal ministero dell'interno e se non intenda integrare tali istruzioni alla luce delle problematiche evidenziate.
(4-03140)
Risposta. - La legge 8 marzo 1951, n. 122 (Norme per la elezione dei consigli provinciali) prevede, all'articolo 13, che presso la Corte d'appello o il Tribunale del capoluogo della provincia o, in mancanza di essi, presso il Tribunale della provincia più vicino al capoluogo, sia costituito l'ufficio elettorale centrale, competente, tra l'altro, all'esame ed approvazione delle candidature.
Tale ufficio è composto da cinque magistrati, di cui uno presidente, nominati dal presidente della Corte d'appello o del Tribunale, entro cinque giorni dalla pubblicazione del manifesto di convocazione dei comizi elettorali.
Le decisioni assunte dagli uffici elettorali centrali, anche per ciò che concerne la loro comunicazione agli interessati, sono assolutamente insindacabili da parte di questo Ministero che non ha nessun potere d'intervento diretto nella delicata fase del procedimento elettorale preparatorio relativo alla presentazione e all'ammissione delle liste dei candidati alle elezioni provinciali affidato a un organo neutrale e terzo rispetto sia all'amministrazione dell'interno, sia ad altro organo «governativo». Pertanto, non compete a questo Ministero promuovere alcun tipo di iniziativa che miri ad interferire su provvedimenti adottati dagli uffici elettorali centrali.
Questo Ministero tramite la competente direzione centrale per i servizi elettorali, nel quadro degli adempimenti organizzativi predisposti in occasione di consultazioni elettorali, si limita a predisporre apposite pubblicazioni contenenti istruzioni per la presentazione ed ammissione delle candidature, corredate di alcuni temi di giurisprudenza, allo scopo di fornire una guida ai competenti organi, le cui decisioni restano, peraltro, ascritte alla loro diretta ed esclusiva responsabilità e di facilitare il compito dei partiti, gruppi o movimenti politici che intendono partecipare alla competizione elettorale.
In ordine alla ricusazione delle liste presentate dal Popolo delle Libertà e dalla Lega Nord per l'elezione del Presidente della provincia e del consiglio provinciale di Savona, gli effetti indubbiamente pregiudizievoli del provvedimento sono stati successivamente rimossi.
Infatti, la lista presentata dalla Lega Nord è stata prontamente riammessa alla competizione elettorale dallo stesso ufficio elettorale centrale di Savona in sede di riesame; mentre la lista del Popolo della Libertà ha egualmente partecipato alla suddetta consultazione elettorale a seguito dell'ordinanza del T.A.R. Liguria, con la quale è stata accolta, in via cautelare, la domanda incidentale di sospensione del provvedimento di ricusazione della medesima lista.
Per quanto attiene la sostituzione dei componenti dell'ufficio elettorale centrale di Savona nel corso del procedimento elettorale, si precisa che, pur nel silenzio della legge, è prassi costante, suffragata dalle
citate istruzioni ministeriali, che vengano nominati anche membri supplenti per il caso di assenza o di impedimento dei titolari, in considerazione della durata e dell'entità delle operazioni demandate a tale organismo.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.
MOSELLA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il 1° ottobre 2009 il treno 22719 «Trinacria Express», che collega la città di Palermo all'aeroporto di Palermo «Falcone Borsellino», partenza prevista alle ore 13,20, è stato soppresso un minuto prima dalla sua partenza;
tale soppressione, in prossimità della partenza, ha creato gravi disagi ai passeggeri anche perché non è stata prevista alcuna navetta sostitutiva in direzione dell'aeroporto;
il collegamento ferroviario in discussione, rappresentando un nodo di cruciale importanza per assicurare la mobilità dei viaggiatori in transito nella regione Sicilia, necessita, come del resto ogni altro collegamento, di regolarità e puntualità nel servizio -:
quali iniziative intenda intraprendere per accertare le cause e le eventuali responsabilità nel disservizio causato ai viaggiatori.
(4-04464)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta comunicati da Ferrovie dello Stato s.p.a..
Il treno regionale R22719 «Trinacria Express» in partenza da Palermo alle ore 13.09, con arrivo a Punta Raisi alle 14.05, viene effettuato con il medesimo materiale rotabile del corrispondente treno R22772 in arrivo da Punta Raisi alle 12.57.
Il giorno 1o ottobre 2009, il treno R22772 ha maturato 13 minuti di ritardo nella stazione di S. Lorenzo Colli, a causa di un'avaria.
In considerazione del ritardo con il quale il R22772 sarebbe giunto a Palermo (è arrivato, infatti, con circa 18 minuti di ritardo), dei tempi tecnici necessari alle operazioni di inversione del senso di marcia del treno e degli effetti che la ritardata partenza del R22719 avrebbe prodotto - anche per il regime di circolazione a binario unico - sulla regolarità degli altri treni della linea Palermo-Punta Raisi e della linea da/per Trapani nonché della presenza, a soli 7 minuti di distanza (ore 13,39) dal possibile orario di partenza ritardata del 22719 (ore 13,32), di un successivo collegamento per Punta Raisi (R22751), è stata ritenuta opportuna la soppressione del treno R22719.
Relativamente, infine, alla possibilità, rappresentata dall'interrogante, di prevedere un servizio su gomma sostitutivo del treno soppresso, va sottolineato che tale soluzione sarebbe risultata di scarsa efficacia in quanto, tenuto conto del tempo necessario per l'approntamento del servizio bus e del maggior tempo di percorrenza del tragitto su strada - comprensivo di 5 fermate urbane ed una extraurbana - il servizio bus eventualmente istituito non avrebbe, comunque, consentito l'arrivo all'aeroporto «Falcone e Borsellino» prima del regionale 22751 delle 13,39.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
NIRENSTEIN, PICCHI, PIANETTA e MALGIERI. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 4, comma 1, della legge 24 aprile 1967, n. 261, come sostituito dall'articolo 3 della legge 22 dicembre 1980, n. 932 «Integrazioni e modifiche alla legislazione recante provvidenze a favore dei perseguitati politici antifascisti e razziali», prevede che: «Ai cittadini italiani che siano stati perseguitati nelle circostanze di
cui all'articolo 1 della legge 10 marzo 1955, n. 96, e successive modificazioni, verrà concesso, a carico dello Stato, un assegno vitalizio di benemerenza, riversibile ai familiari superstiti ai sensi delle disposizioni vigenti in materia, pari al trattamento minimo di pensione erogato dal fondo pensioni dei lavoratori dipendenti, nel caso in cui abbiano raggiunto il limite di età pensionabile o siano riconosciuti invalidi a proficuo lavoro. L'assegno di riversibilità compete anche ai familiari di quanti sono stati perseguitati nelle circostanze di cui all'articolo 1 della legge 10 marzo 1955, n. 96, e successive modificazioni, e non hanno potuto fruire del beneficio perché deceduti prima dell'entrata in vigore delle presente legge.»;
malgrado il legislatore abbia inteso stabilire, come requisiti per la concessione del vitalizio, il raggiungimento dell'età pensionabile oppure la condizione di inabilità a proficuo lavoro, risulta agli interroganti che la Commissione per le Provvidenze ai perseguitati politici italiani antifascisti o razziali abbia interpretato contra legem la norma in oggetto, nel senso della richiesta di un duplice requisito (il raggiungimento del limite d'età e, in aggiunta, l'inabilità al lavoro), e abbia imposto, su questa base, a richiedenti ultra-ottantenni una visita medico legale presso un'apposita commissione medica -:
se i fatti evidenziati rispondano al vero e se ciò corrisponda ad una prassi costantemente seguita dalla Commissione per le Provvidenze ai perseguitati politici italiani antifascisti o razziali, oppure ad errori in cui la suddetta Commissione è occasionalmente incorsa per un numero limitato di casi;
in che modo intenda intervenire per ripristinare un'interpretazione corretta della norma in oggetto e per riconoscere tempestivamente il vitalizio richiesto gli eventuali aventi diritto ingiustamente esclusi dal beneficio.
(4-02219)
Risposta. - Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame e sulla base dei necessari elementi informativi acquisiti presso i competenti uffici del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e l'Istituto nazionale previdenza sociale, si rappresenta quanto segue.
La commissione per le provvidenze ai perseguitati politici, antifascisti o per motivi razziali, alla quale vanno rivolte le richieste di concessione del vitalizio di che trattasi, opera presso il Ministero dell'economia e delle finanze, svolge la propria attività ai sensi dell'articolo 3 della legge 22 dicembre 1980, n. 932, ed è nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di concerto con i Ministri dell'interno, della giustizia, dell'economia e finanze e del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
Come requisito per la concessione del vitalizio, sulla base delle disposizioni normative prima citate, per i soggetti con età superiore a 65 anni, è richiesto unicamente un limite reddituale, (escludendosi, quindi, la sottoposizione a visita medica). Per i soggetti con età inferiore ai 65 anni, invece, è previsto un controllo medico volto a verificare la sussistenza di una causa d'invalidità a svolgere proficuo lavoro.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Pasquale Viespoli.
OLIVERIO e LO MORO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il Ministro dei trasporti del precedente Governo, professor Alessandro Bianchi, nel marzo 2008 ha emanato un decreto per l'istituzione di una nuova linea merci - via mare - tra il porto di Corigliano Calabro e quello di Catania;
il decreto prevedeva originariamente 8 milioni di Euro, quale contributo di start up per i primi tre anni, destinato alla ditta che si sarebbe aggiudicato il servizio trasporti, le partenze, così come stabilito dal Ministero, sarebbero dovute essere quotidiane e serali, con due navi della capacità di carico di almeno 1800 metri lineari di
autoveicoli pesanti e 200 passeggeri e con una velocità di crociera non inferiore a 16 nodi;
le buone prospettive dell'iniziativa si legavano da un lato alla lunga fase dei lavori di ristrutturazione previsti sull'A3 che imponevano su circa 60 chilometri il viaggio su un'unica corsia e dall'altro, in linea con quanto previsto dal piano generale della mobilità, al trasferimento di una quota sempre maggiore di traffico dalla strada verso le ferrovie e il trasporto marittimo;
tutto ciò avrebbe consentito inoltre a Corigliano Calabro di entrare tra gli approdi dai quali si sarebbero snodate le autostrade del mare e avrebbe favorito, per la posizione geografica della città, lo sviluppo di tutta l'area jonica cosentina, con enormi vantaggi economici per tutto il territorio;
la prima gara con scadenza 3 dicembre 2008 si è conclusa con un nulla di fatto, visto che nessuna delle società invitate, a seguito di precedente manifestato interesse, ha partecipato al proseguo della procedura di gara, giustificando le poco appetibili condizioni di start-up previste dal Ministero e il superamento delle relative opportunità, anche a seguito dell'avvicendamento dei governi;
il nuovo avviso di gara, firmato dall'attuale direttore generale, ha modificato l'originario bando, riducendo la sperimentazione dai tre anni iniziali ad un solo anno; la nuova gara poggia su una linea di contributo per il primo anno come sostegno allo start-up di 6 milioni di euro - oltre Iva - e sulla volontà del Ministero di «procedere all'affidamento di un servizio sperimentale per un anno di trasporto marittimo tutto merci (cat. 19 dell'allegato 118 al decreto legislativo 163/2006) tra il porto di Catania e il porto di Corigliano Calabro e viceversa, da effettuarsi con partenze di almeno tre corse settimanali, con l'impiego di una nave della capacità di carico non inferiore a 1000 metri lineari di autoveicoli pesanti e 100 passeggeri e con una velocità di crociera non inferiore a 15 nodi»;
è richiesta, inoltre, alle società interessate una capacità economica e finanziaria, attestata da almeno due istituti bancari con una certificazione non anteriore a tre mesi e per l'ultimo triennio un fatturato globale d'impresa non inferiore a 10 milioni di euro - esclusa Iva - e un fatturato specifico realizzato nello stesso periodo per i servizi oggetto della gara non inferiore a 5.000.000 di euro - Iva esclusa - . Ai consorzi d'imprese sono richiesti i bilanci certificati;
al nuovo bando, scaduto lo scorso 20 luglio 2009, hanno manifestato interesse alla sperimentazione che avvierà il traffico merci dal porto di Corigliano verso Catania, solo quattro compagnie, delle quali il Ministero dovrà a breve verificarne la sussistenza dei requisiti richiesti -:
se non ritenga che il nuovo bando abbia scoraggiato altre compagnie di primo piano a manifestare interesse, ritenendo non conveniente investire su un servizio sperimentale di un solo anno che, tra l'altro, non potrà consentire al porto di Corigliano di inserirsi in un vero e proprio circuito del mare, e se, soprattutto, l'aver reso i requisiti di partecipazione al bando non eccessivamente rigidi, non abbia ancora di più disincentivato eventuali interessati al progetto ritenendo il bando di gara destinato a dar vita ad un provvedimento fatto per qualcuno;
se non fosse più opportuno, invece, nell'immediato finalizzare queste risorse per la promozione del porto di Corigliano su tutti i canali specializzati, o per dar luogo ad un serio project financing, che consentirebbe a tale scalo di essere più moderno e sviluppare un sistema di import-export di prodotti agricoli;
se non ritenga opportuno che l'attivazione della tratta in oggetto non sia effettuata ai soli fini di sperimentazione, ma per consentire allo scalo di Corigliano di diventare in pochi anni una vera piattaforma logistica, per l'intero territorio nazionale, evitando così spreco di denaro pubblico.
(4-04148)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Con la legge 29 novembre 2007, n. 222 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, recante interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale), al fine di contribuire ad alleggerire il traffico merci sull'autostrada Salerno/Reggio Calabria in vista dei lavori di ammodernamento ed ampliamento della suddetta arteria autostradale, sono stati previsti dall'articolo 8 una serie di servizi marittimi tesi a favorire un trasferimento modale dalla strada al mare.
In applicazione delle suddette disposizioni normative, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha emanato, nel febbraio 2008, un bando per manifestazione di avviso di interesse per la realizzazione di una linea merci Corigliano-Catania.
Benché bandita due volte la gara è andata deserta; pertanto sulla base delle numerose richieste pervenute dagli enti locali e territoriali, si è provveduto a riesaminare la possibilità di ribandire una gara nella consapevolezza che l'importo assegnato per lo start-up, al servizio in parola, pari ad 8 milioni di euro per tre anni, sarebbe stato insufficiente.
Pertanto, in assenza di risorse aggiuntive, a seguito di una successiva analisi condotta dagli uffici tecnici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con l'ausilio delle associazioni nazionali di settore, è stato pubblicato un nuovo avviso di manifestazione d'interesse, dell'ammontare di euro 6 milioni iva esclusa.
A questa nuova manifestazione d'interesse hanno partecipato quattro società di cui tre ammesse alle successive fasi di gara.
In data 6 ottobre 2009 si è riunita in seduta pubblica la commissione di valutazione per l'apertura delle buste delle offerte delle 3 società rimaste ammesse. Una delle società è stata esclusa per carenza di documentazione. Al momento non sono ancora noti gli esiti della gara.
In merito ai requisiti previsti dal bando, si fa presente che questi rispettano pienamente i criteri del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 163 del 2006 e soprattutto puntano all'individuazione di qualificate società di navigazione che rispettino massima affidabilità e sicurezza.
In realtà, il nuovo bando, lungi dallo scoraggiare la partecipazione alla gara di tanti operatori ha consentito di competere a diverse società qualificate in grado certamente di sostenere il collegamento per il periodo di start-up ma potenzialmente capaci di trasformare questa esperienza temporanea in un collegamento stabile ed economicamente sostenibile.
Infatti, anche se limitato ad un solo anno, il sostegno allo start-up serve a valutare se lo scalo calabrese può diventare un porto di riferimento nel mar Ionio per il trasporto marittimo attraverso l'interscambio strada-mare.
In questo caso, infatti, qualora la sperimentazione dia esito positivo, sarà il mercato stesso e la libera concorrenza a determinare la prosecuzione e l'eventuale sviluppo del servizio di collegamento merci Corigliano-Catania, in sintonia con le attività poste in essere dalla competente autorità portuale che per competenza provvede a predisporre i piani triennali di sviluppo dell'intera area portuale.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
PIONATI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
le previsioni 2008/09, che indicavano un buon raccolto mondiale di nocciole, superiore alla campagna scorsa di circa il 20-25 per cento, sono state ampiamente rispettate. Il raccolto in Turchia è arrivato a 925 mila tonnellate circa. Un record storico ed un'impennata senza precedenti. L'Italia si è attestata all'incirca sulle 100.000 tonnellate (Turchia e Italia sono i due principali Paesi produttori mondiali), 30.000 tonnellate prodotte in Spagna e circa 56.000 tonnellate in Francia. In Italia si realizza circa l'80 per cento della produzione comunitaria di nocciole, con
40.000 tonnellate prodotte in Regione Campania su una superficie di circa 20.00 ettari;
a questi dati sono da aggiungere circa 330.000 tonnellate di nocciole ancora stoccate in Turchia provenienti dalle campagne precedenti;
questi numeri, che Coldiretti, aveva divulgato ancora prima dell'inizio della campagna e sui quali c'erano state non poche polemiche, si sono purtroppo rivelati esatti. La Coldiretti, in un apposito incontro al Ministero all'inizio di agosto, aveva già richiamato l'attenzione sul fatto che la probabile immissione sul mercato mondiale degli stock di nocciole turche, in aggiunta ad un'offerta già abbondante, avrebbe portato ad un crollo delle quotazioni del prodotto a livelli tali da non rendere più remunerativa la sua coltivazione;
è ciò che sta accadendo anche se sembra, viste le quotazioni del prodotto turco, che non siano da escludere fenomeni di speculazioni commerciali anche locali;
in questo momento, il prezzo pagato alla produzione è tra i più bassi degli ultimi anni;
il quadro che si presenta per la campagna in corso è estremamente preoccupante, in quanto l'aumento dell'offerta mondiale a livelli superiori alla domanda, unito al ristagno dei consumi, rende molto vulnerabili i produttori comunitari e nazionali. Pertanto, il consolidarsi di un livello dei prezzi per la campagna 2008/09 (passati dai 250,00 euro/quintale dell'anno scorso ai 140,00 di quest'anno), assolutamente inadeguato per i produttori, potrebbe determinare l'abbandono delle produzioni con tutte le gravi conseguenze che ne deriverebbero sia a livello socio-economico per la vita di intere famiglie coltivatrici, sia sull'equilibrio idro-geologico dei territori. Ricordiamo che le colture corilicole in Regione Campania sono quasi sempre localizzate in aree marginali, collinari e montane, dove non esistono valide alternative colturali;
riteniamo che il principale produttore mondiale di nocciole, la Turchia, attui nei confronti dell'Europa e dell'Italia in primo luogo, che rappresenta il secondo Paese di sbocco dell'esportazione turca, una concorrenza sleale; difatti, grazie ai massicci interventi del Governo locale, che ritira del mercato ingenti quantitativi di prodotto, riesce a praticare prezzi inferiori a quelli italiani e con un prodotto altamente a rischio da un punto di vista igienico-sanitario perché, spesso, ai controlli risulta contaminato da aflatossine (sostanza tossica);
se non intenda porre in essere le seguenti iniziative -:
a) la costituzione di un osservatorio permanente sulle nocciole, che consenta un attento monitoraggio della situazione di mercato, sia per l'acquisizione dei dati «certi» e tempestivi sulle produzioni e sulle importazioni di nocciole turche, sia sui prezzi e sulle condizioni in cui essi si formano, per verificare se esistono fenomeni di «cartello» tra operatori commerciali a danno dei produttori (mancano dati ufficiali e l'Ismea si limita alla mera rilevazione dei prezzi nazionali);
b) il rafforzamento dei controlli qualitativi e fitosanitari alle frontiere, affinché questi avvengano in condizioni di trasparenza ed obiettività e le nocciole importate (in guscio, sgusciate e lavorate) rispettino le stesse norme imposte dall'Unione europea;
c) una posizione netta nei confronti della Commissione europea, (DG SANCO) per evitare la possibile modifica della Decisione 2006/504, che prevede particolari controlli sui prodotti della frutta in guscio provenienti dalla Turchia, innalzando i limiti massimi consentiti di aflatossine, come richiesto dalla Turchia e dal Codex Alimentarius posto che un aumento delle tolleranze sulle aflatossine - che agevolerebbe le importazioni delle nocciole
turche sul mercato comunitario - metterebbe a serio rischio la salute dei consumatori;
d) la difesa delle norme di commercializzazione per le nocciole fresche, che la Commissione vorrebbe abrogare, e la previsione dell'indicazione obbligatoria dell'origine per tutti i prodotti trasformati, nocciole comprese, per una corretta informazione al consumatore, rendendo così possibile effettuare acquisti consapevoli;
e) esercitare una pressione politica sul Governo turco, anche attraverso incontri bilaterali con il Governo italiano, allo scopo di migliorare le condizioni dell'offerta sul mercato internazionale, cercando di contemperare gli interessi reciproci dei due principali Paesi produttori mondiali di nocciole;
f) incentivare la ricerca scientifica sulle spiccate proprietà antidepressive e anticolesterolo delle nocciole;
g) promuovere la conoscenza ed il consumo delle nostre nocciole presso i grandi mercati asiatici emergenti (Cina, India) dove, in forza di una maggiore ricchezza disponibile e del conseguente cambiamento delle abitudini alimentari, si aprono nuovi ed interessanti spazi di commercializzazione (ad esempio in Cina il consumo di cioccolato è passato nell'ultimo anno da 70 grammi a 700 grammi pro capite);
h) richiesta di applicazione di un dazio di entrata sulle nocciole turche, con comunicazione da presentare da parte del Governo italiano una segnalazione alla Commissione europea per l'antidumping, in quanto la Turchia applica prezzi di mercato, che rappresentano evidenti pratiche commerciali sleali, che vanno regolamentate per garantire una giusta tutela alle piccole e medie aziende agricole italiane.
(4-02974)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, inerente a talune problematiche relative all'attuale stato di crisi che pervade il settore della corilicoltura (nocciole), si rappresenta quanto segue.
In primo luogo, si ritiene opportuno far presente che questo ministero ha promosso, sin dal mese di giugno 2009, diversi incontri istituendo un Tavolo di filiera corilicolo che sta coinvolgendo tutti gli operatori del comparto: dalle organizzazioni professionali alle organizzazioni dei produttori riconosciute sul territorio nazionale e relative unioni nazionali, agli operatori del commercio e della trasformazione industriale e ai rappresentanti delle regioni dove sono localizzati i distretti produttivi più importanti: Piemonte, Lazio, Campania, Sicilia, senza dimenticare infine le strutture di ricerca del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (Cra), universitarie e regionali.
Detto tavolo ha lo scopo di evidenziare le problematiche e le criticità strutturali e congiunturali del comparto, richiamate in maniera specifica anche nella interrogazione in esame, nonché le azioni prioritarie di intervento per il rilancio del comparto della frutta in guscio in generale e della corilicoltura nazionale in particolare. L'iniziativa dell'amministrazione è proprio quella di predisporre un «Piano Nazionale del settore Corilicolo», che contenga proposte di politica economica che si inseriscano, in maniera organica, nell'attuale quadro di sostegno comunitario e nazionale.
In particolare nelle riunioni che si sono succedute dal mese di giugno ad oggi, è stato raggiunto un accordo, con la creazione di uno «Steering Commitee», con funzione di coordinamento, composto dai coordinatori dei gruppi di lavoro, dai rappresentanti regionali nonché ministeriali, ove verranno riportate e discusse le analisi elaborate dai 3 gruppi di lavoro specifici così suddivisi: «Commercializzazione e problematiche economiche», «Marketing territoriale e valorizzazione», «Tecniche di produzione, ricerca e difesa».
A sua volta il gruppo «Tecniche di produzione ricerca e difesa» è stato suddiviso in tre sottogruppi: «Tecniche colturali e miglioramento genetico e scelte varie tali» «Difesa ed avversità», «Meccanizzazione,
post raccolta e fonti rinnovabili» proprio per affrontare talune tematiche tecniche specifiche.
Nei gruppi di lavoro sono stati designati dagli enti presenti ai tavolo di filiera propri esperti, in totale circa 70, in funzione delle specifiche competenze e della diversificazione degli argomenti da trattare.
Il programma di lavoro predisposto dal tavolo di filiera corilicolo prevede di arrivare entro breve tempo alla predisposizione di un'analisi di filiera aggiornata e di elaborare una proposta di Piano del settore che evidenzi gli obiettivi primari, ed eventualmente una serie di obiettivi secondari.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Luca Zaia.
POLLEDRI. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'assistenza sanitaria ai cittadini comunitari dimoranti in Italia è garantita secondo le modalità in ultimo delineate dalla nota informativa del 3 agosto 2007 del Ministero della salute, e prevede anche il diritto alle prestazioni indifferibili ed urgenti per i cittadini comunitari non assicurati, incluse le prestazioni sanitarie (come integrato dalla nota informativa del 19 febbraio 2008) relative:
alla tutela della salute dei minori, ai sensi della «Convenzione di New York sui diritti del fanciullo» del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con la legge n. 176 del 1991;
alla tutela della maternità e all'interruzione volontaria di gravidanza, a parità di condizione con le donne assistite iscritte al SSN, in applicazione delle leggi n. 405 del 1975 e n. 194 del 1978 e del decreto ministeriale 10 settembre 1998;
ai sensi della vigente normativa nazionale e comunitaria ai cittadini italiani che si recano all'estero sono garantite, a seconda dei casi, alcune prestazioni sanitarie che saranno poi rimborsate al paese erogante dalla ASL di appartenenza nel dettaglio si precisa che:
un'assistenza sanitaria completa viene assicurata dal modello E106 (o dal modello equivalente previsto da una convenzione) al lavoratore distaccato (ed ai familiari che risiedono con lui) dal modello E121 (o dal modello equivalente previsto da una convenzione) ai pensionati che trasferiscono la residenza in un altro Paese e ai propri familiari (residenti nello stesso paese o in uno diverso);
un'assistenza altamente specializzata viene assicurata dal modello E112 (o dal modello equivalente previsto da una convenzione);
un diritto di accesso diretto alle cure sanitarie che si rendono necessarie «nel territorio di un altro Stato membro, tenuto conto della natura delle prestazioni e della durata prevista della dimora» viene assicurato dalla tessera europea di assicurazione malattia, o dal suo certificato sostitutivo provvisorio, in caso di temporaneo soggiorno per motivi di turismo o per brevi missioni;
un'assistenza limitata alle sole cure urgenti viene assicurata dal modello previsto dalle singole convenzioni in caso di temporaneo soggiorno per motivi diversi dal lavoro;
la circolare del Ministero della sanità pt 1000/II/4652 del 23 dicembre 1996 «Prestazioni in natura in caso di maternità in applicazione dell'articolo n. 22 del Regolamento 1408/71» prevede che il formulario E/112 non possa essere rilasciato in caso di parto programmato in Paese comunitario salvo che il marito della partoriente non vi sia residente;
tale situazione rischia di condizionare negativamente la libera circolazione delle donne italiane che intendano usufruire dell'assistenza sanitaria per parto in un altro Stato membro dell'Unione europea -:
ove quanto sopra descritto corrisponda al vero, come intenda attivarsi, al
fine di rivedere e correggere le limitazioni che gravano sui cittadini italiani che per qualsivoglia motivo necessitino di ricevere le cure mediche, con particolare riguardo a quelle riferite al parto, in un altro Paese dell'Unione Europea.
(4-04015)
Risposta. - Il coordinamento tra schemi di sicurezza sociale dei diversi stati dell'Unione europea, disciplinato dalla normativa comunitaria (Regolamento CEE 1408 del 1971 e 574 del 1972) applicata anche negli Stati spazio economico europeo (Norvegia, Islanda, Liechtenstein) e in Svizzera, si ispira al principio della «non discriminazione» (e non della «reciprocità»).
I nostri assistiti all'estero fruiscono di una copertura sanitaria diversa da quella garantita in Italia e le differenze sul piano dell'assistenza sanitaria possono essere più o meno rilevanti, in rapporto al Paese in cui si recano.
Il principio di «non discriminazione» sta alla base anche delle vigenti convenzioni bilaterali di sicurezza sociale tra l'Italia ed alcuni Stati extraeuropei, le quali prevedono gradi di copertura differenziati; tra l'altro, le convenzioni non contemplano espressamente il parto.
L'interrogazione in esame fa riferimento alla circolare ministeriale del 23 dicembre 1996, citando solo la prima delle tre fattispecie contemplate, relative al diritto di partorire in altro Stato europeo con oneri a carico dello Stato italiano, che sono le seguenti:
1) donne che desiderano partorire nello Stato membro ove risiede il marito;
2) donne coniugate o nubili che desiderano ritornare al loro Paese di origine per avere l'aiuto e l'appoggio delle loro famiglie;
3) titolari di borse di studio che partoriscono nell'arco di tempo in cui svolgono le proprie ricerche all'estero.
Occorre precisare che la circolare offre un maggior grado di tutela rispetto a quanto previsto dalla norma comunitaria relativa alle «cure programmate» (articolo 22 paragrafo 1, lettera C e del Regolamento CEE 1408 del 1971), poiché:
le tre fattispecie considerate costituiscono ipotesi di «parto programmato» non previste dal predetto regolamento comunitario;
la procedura di rilascio del formulario E 112 è assai più snella di quella normalmente seguita per le altre cure programmate all'estero, poiché per il parto non è necessario acquisire il preventivo parere del centro regionale di riferimento;
sono garantiti alla donna italiana (e, più in generale, all'assistita italiana) il diritto ad essere accudita dal coniuge residente all'estero, o dalla famiglia, qualora risieda nell'altro Stato, e il suo diritto allo studio all'estero.
Inoltre, va ricordato che la copertura della prestazione del parto è possibile anche con la tessera europea di assicurazione malattia (Team), purché tale prestazione sia ritenuta dal prestatore di cure del Paese ospitante «medicalmente necessaria» durante un temporaneo soggiorno (turismo, studio, eccetera), cioè che non si tratti di «cura programmata».
È preclusa pertanto per le assistite italiane la copertura sanitaria per partorire all'estero, al di fuori del regime dell'autorizzazione delineato dalla citata circolare, nonché al di fuori delle ipotesi coperte dalla Team.
Relativamente alla correzione e al possibile superamento delle «limitazioni», si precisa che l'eventuale allargamento delle fattispecie che consentono di partorire liberamente all'estero e, più in generale, la previsione della possibilità di beneficiare senza autorizzazione di ogni cura all'estero, non appare, al momento, una scelta compatibile con l'esigenza di perseguire l'equilibrio del bilancio statale, rendendo necessari interventi di natura fiscale o riduzioni del pacchetto di servizi sanitari offerti agli assistiti italiani dalle strutture del Servizio sanitario nazionale o da quelle accreditate.
Al riguardo, si deve sottolineare che il rimborso agli Stati esteri delle spese per le
prestazioni sanitarie ricevute all'estero dagli iscritti al Servizio sanitario nazionale riguarda non solo i cittadini e lavoratori italiani residenti in Italia, ma anche i lavoratori non italiani con contratto di diritto italiano, i lavoratori, italiani e non, distaccati all'estero con contratto di diritto italiano, i pensionati di diritto italiano residenti all'estero e tutti i familiari a carico di queste categorie.
Inoltre, il relativo capitolo di bilancio di questo ministero destinato a tali rimborsi è da diversi anni strutturalmente sottodimensionato di circa il 20-30 per cento ed ogni anno è necessario avanzare la richiesta al competente Ministero dell'economia e delle finanze di una cospicua integrazione (20-40 milioni di euro) per onorare i debiti contratti per le prestazioni erogate dagli Stati esteri agli assistiti del Servizio sanitario nazionale.
Peraltro, sulla base dell'articolo 117 della Costituzione, le Regioni possono in piena autonomia adottare una legislazione concorrente più favorevole per le partorienti, iscritte al Servizio sanitario nazionale (cittadine italiane e non), che intendessero ricevere tale prestazione all'estero; tuttavia, in tal caso gli oneri devono essere sostenuti dalle regioni medesime.
Infine, con riguardo all'assistenza sanitaria erogata in Italia ai cittadini comunitari «non assicurati» (cioè privi di copertura sanitaria) dimoranti in Italia, si sottolinea che detta categoria di assistiti non rientra nel campo di applicazione della normativa europea sul coordinamento tra schemi di sicurezza sociale (Regolamento CEE 1408 del 1971), che tutela solo gli «assicurati». Pertanto, il rimborso delle spese per prestazioni sanitarie erogate in uno Stato UE (quindi anche in Italia) a cittadini di un altro Stato UE «non assicurati» viene attualmente rifiutato dallo Stato di provenienza del cittadino.
I principi universalistici e solidaristici alla base del nostro sistema di assistenza sanitaria, non comuni ad altri Stati membri, offrono un ampio schermo di protezione che, coniugato al principio di «non discriminazione» di derivazione comunitaria, impone di erogare prestazioni sanitarie urgenti ai cittadini di altri Stati membri, a prescindere dal fatto che tali persone siano o meno assicurate dal loro Stato di provenienza.
Questa situazione si verifica soprattutto con quei Paesi comunitari che hanno schemi di sicurezza sociale di tipo mutualistico (casse, assicurazioni); un'indagine condotta tramite gli Assessorati alla sanità ha potuto accertare che, solo per l'anno 2007, sono state erogate in Italia a soggetti di altri Stati membri «non assicurati» prestazioni sanitarie per oltre 70 milioni di euro, somma di cui, al momento, in base al vigente diritto comunitario, non è possibile ottenere il rimborso.
È auspicabile che detta criticità possa essere superata, anche attraverso azioni di contrasto e di emersione del lavoro irregolare svolto nel nostro Paese da cittadini di altri Stati membri, poiché per effetto della regolarizzazione e del conseguente versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, questi cittadini UE cosiddetti «irregolari» diverrebbero, a tutti gli effetti, «assicurati» del Servizio sanitario nazionale.
Al riguardo, questo ministero persegue da tempo specifiche iniziative, sul piano bilaterale, con i Paesi interessati e presso la Commissione Europea, per pervenire ad una soluzione negoziale o normativa del problema, con l'obiettivo di poter addebitare ai Paesi di provenienza le spese relative all'assistenza erogata dal Servizio sanitario nazionale ai cittadini «non assicurati».
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.
REGUZZONI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il mezzo di trasporto ferroviario rappresenta una delle poche soluzioni disponibili per la risoluzione dell'enorme problema del trasporto nell'ambito delle principali direttrici di traffico da e per la Lombardia;
dopo decenni di stallo occorre proseguire con determinazione l'opera di potenziamento
della tratta ferroviaria lombarda, costruendo nuove linee e prolungando quelle esistenti;
l'aeroporto di Malpensa - nonostante i precisi e decennali impegni del Governo in tal senso - non è tuttora collegato con la rete ferroviaria nazionale;
la realizzazione della connessione Varese-Lugano-Malpensa attraverso la realizzazione di un raccordo a «X» a Busto Arsizio risolverebbe almeno parzialmente i problemi suddetti, consentendo a treni delle Ferrovie dello Stato di raggiungere l'aerostazione;
detta opera inoltre garantirebbe collegamenti certi, rapidi ed ambientalmente sostenibili tra il nostro principale aeroporto e il capoluogo dello Stato del Canton Ticino;
la realizzazione della connessione Varese-Lugano-Malpensa attraverso la realizzazione di un raccordo a «X» a Busto Arsizio rappresenta una delle opere di maggiore urgenza di tutto il panorama nazionale;
detta infrastruttura rientra inoltre tra le opere più significative di una strategia di implementazione della rete ferroviaria lombarda, nazionale e internazionale;
la connessione Varese-Lugano-Malpensa attraverso la realizzazione di un raccordo a Busto Arsizio è stata inserita tra le opere prioritarie per la realizzazione dell'Expo 2015 a Milano;
la conclusione dei lavori di detta tratta era inizialmente prevista per il giugno 2008 -:
se condivida le valutazioni di cui alle premesse riguardo la realizzazione della connessione Varese-Lugano-Malpensa attraverso la realizzazione di un raccordo a «X» a Busto Arsizio (Varese);
quali siano i motivi dei ritardi accumulati;
quale sia lo stato dell'opera in termini di progetto, appalto e finanziamento;
se l'opera risulti completamente finanziata ovvero sia necessario un ulteriore finanziamento a carico del bilancio pubblico, e in tal caso di che importo e a quale bilancio dovrà essere posto in carico (dello Stato, della Regione Lombardia, delle FS o di altri soggetti).
(4-03307)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
La connessione Varese-Lugano-Malpensa è opera che si inserisce nell'ambito dell'infrastruttura strategica «Linea ferroviaria Rho-Arona, tratta Gallarate-Rho».
Il progetto preliminare dell'intera infrastruttura è stato approvato dal Cipe con delibera n. 65 del 27 maggio 2005 per un importo di 302,45 milioni di euro.
In data 6 agosto 2009 il soggetto aggiudicatore ha già provveduto ad inviare il progetto a tutti gli enti competenti ad esprimere le proprie valutazioni ai sensi dell'articolo 166 del decreto legislativo n. 163 del 2006.
L'avviso di avvio del procedimento è stato effettuato mediante la pubblicazione in data 31 luglio 2009 di apposito comunicato pubblicato sul quotidiano La Repubblica - edizione nazionale e sul quotidiano Corriere della sera - edizione Lombardia.
Il costo attuale dell'opera è di 522 milioni di euro con incremento di 219,55 milioni di euro rispetto al progetto preliminare approvato dal CIPE.
Tale incremento è dovuto ad una serie di ottimizzazioni progettuali conseguenti, in parte, all'ottemperanza alle prescrizioni formulate dal CIPE in sede di approvazione del progetto preliminare (quali ad esempio l'inserimento di un quarto binario fra le stazioni di Rho e Parabiago e la conseguente messa a piano regolatore generale dei due impianti al fine di consentire l'adozione di un modello di esercizio per il trasporto regionale) ed, in parte, all'esigenza di assicurare, mediante l'inserimento di un raccordo a «X», una funzionalità minima al cosiddetto «collegamento da nord a Malpensa», (intervento autonomo molto più complesso già previsto in legge obiettivo
che non ha concluso il proprio iter autorizzativo), evitando in sintesi la «rottura di carico» (ovvero il cambio del treno) nella nuova fermata di Castellanza prevista dall'originario progetto preliminare e non dal definitivo presentato.
La conferenza di servizi si è svolta giovedì 8 ottobre 2009 a Milano presso la sede della regione Lombardia.
Entro il mese di novembre 2009 la struttura tecnica di missione porterà il progetto definitivo all'approvazione del CIPE.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
REGUZZONI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'interrogante ha più volte ed in varie forme denunciato i disservizi e i danni arrecati dal comportamento della società Alitalia, soprattutto in riferimento ai voli da e per Malpensa;
come accade ormai abitualmente, anche il volo operato da Alitalia e previsto in partenza da Malpensa per Fiumicino alle ore 11.25 in data 7 luglio 2009, ha cumulato oltre 1 ora e 30 minuti di ritardo;
con la motivazione di «possibili turbolenze», non verificatesi, non è neppure stato servito ai passeggeri il consueto bicchiere d'acqua -:
quali siano le azioni che intende assumere e/o ha assunto per porre fine a questa situazione incresciosa che crea grave danno al Paese.
(4-03494)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Si ritiene preliminarmente opportuno precisar che l'Ente nazionale aviazione civile Enac è l'unico organismo che provvede, per i voli operati negli scali nazionali, di verificare l'applicazione delle tutele assicurate ai passeggeri dal Regolamento CE n. 261/2004 nei casi di sovraprenotazione, cancellazione e ritardo prolungato del volo.
L'ENAC precisa, pertanto, che la compagnia aerea non ha alcun obbligo di legge di prestare assistenza per ritardi inferiori alle 2 ore; nel caso di ritardo superiore alle 2 ore il citato Regolamento CE n. 261/2004 prevede l'obbligo dell'assistenza e quindi l'offerta gratuita di pasti, bevande, telefonate, eccetera, in congrua relazione all'attesa.
I fatti riportati nell'interrogazione fanno comunque riferimento a problematiche dovute al generale processo di riorganizzazione delle attività della nuova Alitalia, peraltro oramai in fase di risoluzione, per ovviare alle quali sono già previste varie forme di tutela e di protezione per gli utenti che le Compagnie aeree sono tenute a fornire.
Sotto il controllo dell'ENAC, lo scorso giugno è stato instaurato un comitato di monitoraggio sui disservizi relativi alla puntualità dei voli, alla loro regolarità e all'attività di assistenza a terra (restituzione bagagli).
Gli esiti di tale attività di monitoraggio sono stati resi noti al vettore in data 16 settembre 2009 presso la direzione generale dell'ENAC, dove si sono svolte una serie di riunioni tecniche ed istituzionali in merito ai disservizi verificatisi quest'estate ed alle misure e strategie da adottare per risolvere le criticità registrate.
All'esito di queste riunioni, l'ENAC ha indicato la data dell'8 dicembre 2009 come il termine entro cui sarà valutata l'efficacia delle azioni poste in essere dagli operatori aeroportuali, con l'intento di riconsiderare gli interventi per minimizzare i disservizi durante il periodo natalizio.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
REGUZZONI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la differenza tra «sponda magra» (Varesina) e «sponda grassa» (Piemontese) del Lago Maggiore è attribuita dai più
alla diversa vivacità economica e turistica, ed è dovuta alla sostanziale differente accessibilità - ottima - anche autostradale quella piemontese, problematica e vetusta quella lombarda;
la SS629 nel tratto Vergate-Besozzo vede la presenza di anacronistici semafori a tre tempi, con incroci a raso molto pericolosi soprattutto nelle nebbiose stagioni invernali;
la SS629 rappresenta l'unica arteria di collegamento nord-sud alla sponda lombarda del Lago Maggiore;
esiste da anni un progetto concernente la SS629 e tendente ad eliminare semafori ad incroci a raso;
detta realizzazione potrebbe essere molto importante per la viabilità, la sicurezza ed anche l'economia del Paese-:
quale sia l'intendimento del Ministro circa la risistemazione della SS629, soprattutto nel tratto Vergiate-Besozzo (Varese).
(4-04157)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, e facendo seguito a quanto precedentemente comunicato in risposta ad analogo atto 4-03379, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Nel protocollo d'intesa del 26 marzo 2007 sottoscritto da ANAS, Ministero delle infrastrutture, regione Lombardia, provincia di Varese e Rete ferroviaria italiana sono previsti lavori di ammodernamento e messa in sicurezza con scenario 2012, nell'ambito degli interventi di medio periodo, relativi ai tratti della strada statale 629 di seguito elencati, al momento non finanziati:
strada statale 629 Riqualifica del tratto Vergiate-Besozzo - 1o stralcio, inserito nel piano degli investimenti ANAS 2007-2011 - fondi ordinari con un costo complessivo aggiornato di circa 48 milioni di euro;
strada statale 629 riqualifica Vergiate-Besozzo - 2o stralcio, inserito nel piano di investimenti ANAS 2007-2011 - area d'inservibilità con un costo complessivo aggiornato di 16 milioni di euro.
In ordine alla prospettata eliminazione degli incroci a raso lungo la statale 629, l'ANAS spa informa che trattasi di progetto il cui studio di fattibilità, predisposto prima dell'emanazione del decreto ministeriale infrastrutture del 19 aprile 2006 «Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle intersezioni stradali», dovrà essere adeguato alle norme intervenute.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
REGUZZONI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nel tratto autostradale Aosta-Milano, in prossimità del raccordo tra la Aosta-Torino, il raccordo verso Milano presenta da anni segnaletica di cantiere senza che apparentemente vi si svolgano lavori -:
quale sia la reale situazione e quando verrà ripristinata la segnaletica ordinaria.
(4-04160)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Circa il mancato ripristino della segnaletica di cantiere nel tratto autostradale Aosta-Milano, in prossimità del raccordo con l'autostrada Aosta-Torino, l'Anas spa ha fatto conoscere che lo stato attuale dell'intersezione tra l'autostrada A5 (Torino-Quincinetto) e la bretella Ivrea-Santhià è conseguenza dei danni provocati dall'alluvione del 2000, durante la quale si è verificata l'esondazione del Rio Ribes, le cui acque hanno scalzato completamente un sottopasso autostradale, creando un varco di circa una cinquantina di metri nel rilevato e provocando l'interruzione dell'autostrada.
Durante i lavori di ripristino del corpo autostradale da parte della società concessionaria Ativa, finalizzati a ristabilire la normale circolazione sull'arteria, il sindaco
del comune di Pavone ha emanato un'ordinanza di sospensione dei lavori stessi. Di conseguenza, si è reso necessario attuare la soluzione provvisoria che permane a tutt'oggi, e che consente il passaggio del traffico autostradale e contemporaneamente il deflusso delle acque di eventuali piene.
La società concessionaria Ativa si è attivata al fine di studiare una soluzione complessiva del problema, pervenendo alla formulazione di un progetto di intervento il cui preventivo di massima si aggira intorno ai 300 milioni di euro.
Poiché il complesso di tali opere è comunque ritenuto dalla regione Piemonte, dalla provincia di Torino e dalla concedente ANAS di interesse strategico per la messa in sicurezza delle infrastrutture piemontesi e la continuità delle relazioni internazionali con il nord Europa tramite il tunnel del Monte Bianco, ATIVA ha provveduto, tenuto conto delle risorse ragionevolmente disponibili, a inserire una prima parte di tale intervento tra le opere del nuovo piano finanziario.
In particolare, si prevede la realizzazione di un viadotto che risolverà quantomeno l'interferenza dell'autostrada Ivrea-Santhià con il Rio Ribes.
Tale intervento, denominato viadotto Marchetti, vede il progetto preliminare attualmente in istruttoria presso il Ministero dell'ambiente. Completata questa fase, finalizzata a verificare l'assoggettabilità alla procedura di valutazione impatto ambientale, si procederà alla progettazione definitiva e alla conseguente procedura di approvazione in conferenza dei servizi.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
REGUZZONI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la rete autostradale Lombarda è complessivamente composta da 576 km, quella Veneta da 475 km, quella Laziale da 470 km, quella Siciliana da 591 km circa -:
a quanto ammontino i pedaggi autostradali pagati dai viaggiatori nelle regioni citate, annualmente e regione per regione;
quali siano le ragioni di eventuali, macroscopiche differenze;
quali siano gli intendimenti del Ministro in merito.
(4-04191)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Relativamente all'ammontare annuale dei pedaggi autostradali relativi alle regioni Lombardia, Veneto, Lazio e Sicilia, l'Anas spa fa conoscere che i dati afferenti i ricavi da pedaggio sono rilevati dalle società concessionarie autostradali mediante una classificazione per tratte le quali non coincidono con i confini regionali.
Inoltre, i pedaggi riscossi all'interno di ciascuna regione includono spostamenti che possono avere origine e/o destinazione al di fuori della regione medesima.
I ricavi corrisposti sulle tratte ricadenti prevalentemente all'interno dei confini regionali forniscono solo un'indicazione del volume di traffico che si registra nell'ambito di una specifica area.
Con specifico riferimento alle precitate regioni, si segnala di seguito l'ammontare dei pedaggi riscossi sulle principali tratte in esse ricadenti:
Lombardia: 838,75 Meuro (anno di riferimento 2008);
Veneto: 412,71 Meuro (anno di riferimento 2008);
Lazio: 304,26 Meuro (anno di riferimento 2008);
Sicilia: 69,12 Meuro (anno di riferimento 2007).
Si evidenzia come i dati suesposti si discostino significativamente tra loro in ragione di differenze geografiche, ambientali, economiche e sociali.
In particolare, le regioni Lombardia e Veneto si trovano in corrispondenza di rilevanti corridoi di attraversamento est-ovest mentre la regione Lazio è interessata
da attraversamenti sulla direttrice appenninica nord-sud.
Si fa presente, infine, che la rete autostradale siciliana gestita direttamente da ANAS non è soggetta a pedaggio.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
REGUZZONI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
domenica sera, 20 settembre 2009, un treno merci fortunatamente vuoto è deragliato mentre percorreva un tratto della sopraelevata in viale Monza a Milano;
da quanto si apprende dalla stampa due carrozze si sono staccate e sono precipitate per dieci metri, fortunatamente senza conseguenze, nel cortile di un palazzo;
solitamente due carrozze ferroviarie non si sganciano facilmente dal proprio convoglio;
un secondo treno, che stava sopraggiungendo, si è trovato davanti il convoglio deragliato, ma è riuscito a fermarsi a distanza;
le circostanze riferite avrebbero potuto avere conseguenze devastanti in termini di perdite di vite umane, evitate solo dal susseguirsi di una serie di coincidenze fortuite e fortunate;
il giorno successivo si sono registrati ritardi sulle linee ferroviarie afferenti al capoluogo lombardo ed interessanti migliaia di pendolari -:
quali siano le reali cause dell'incidente e se intenda, nell'ambito delle proprie prerogative, accertare se vi siano delle responsabilità attribuibili alle Ferrovie dello Stato o ad altro ente o società;
quali siano le reali conseguenze in termini di puntualità della linea ferroviaria milanese;
se e come il Ministro intenda intervenire per evitare che in futuro si ripetano episodi analoghi.
(4-04265)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Si premette che l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie ha promosso un'apposita indagine per individuare le cause dell'incidente ferroviario occorso nella stazione di Milano centrale il 20 settembre 2009.
Una prima lettura dei dati rilevati dal registratore degli eventi di bordo, necessaria per avere evidenza di tutte le operazioni svolte a bordo della locomotiva o di eventuali guasti, è pervenuta in data 28 settembre 2009.
Secondo quanto si evince da dette informazioni, si precisa di seguito la dinamica dell'evento accaduto alle ore 20.11 del 20 settembre 2009. Il treno regionale 20438 proveniente da Piacenza è arrivato al binario 23 della stazione di Milano centrale. Detto treno, del tipo «navetta», era composto da una locomotiva E464 che spingeva verso Milano sei vetture «a piano ribassato», delle quali quella di testa dotata di cabina di guida. All'arrivo a Milano centrale, il convoglio fuori servizio doveva essere ricoverato per le operazioni di pulizia al fascio denominato CM5 attraversando il binario 5 del fascio denominato CM2.
Il macchinista incaricato di svolgere questa operazione ha preso in consegna il treno dal personale in arrivo.
Alle ore 22.25, dopo la regolare disposizione del segnale basso di manovra per il libero passaggio, il convoglio si avvia verso i binari di ricovero ma non si arresta al segnale di manovra n. 559 che imponeva la fermata e procede in direzione di Lambrate, tallonando i deviatoi n. 577 e 578, instradandosi su di un asta di manovra e urtando contro il paraurti ubicato al termine di tale asta. Il paraurti viene divelto ed il treno lo supera, fino a finire sul parapetto di protezione della linea per Genova e precipitare con la locomotiva e la prima vettura nel cortile di un condominio sottostante i binari.
La locomotiva Bombardier E464-029 è di recente costruzione ed è equipaggiata con il sistema di protezione della marcia del treno SCMT. Questo sistema, quando è attivo, richiede, a 2 km/h, la conferma della presenza del macchinista a bordo, attraverso l'azionamento di un pedale. In mancanza di tale azionamento il sistema comanda in automatico l'arresto del treno. Il SCMT, in modalità «manovra» impedisce il superamento di 30 km/h.
Il macchinista ha ricevuto la formazione prevista, ha superato gli esami ed è in possesso della patente tipo E (livello più elevato tra le patenti del settore condotta) dal 9 ottobre 2008. Ha sostenuto con esito positivo l'ultima visita sanitaria in data 10 giugno 2009.
Il giorno 20 settembre il macchinista aveva preso servizio alle ore 16.20, il primo servizio dopo un riposo di 54 ore.
Ad oggi, dai dati di bordo, si rileva che la velocità al momento dell'impatto era di 75 km/h, che la locomotiva è rimasta con la leva di trazione inserita fino al momento dell'impatto e che l'apparecchiatura di bordo SCMT era disattivata. Per le conclusioni sulle dinamiche dell'incidente, l'agenzia è in attesa di una completa lettura dei dati del registratore di bordo e della definizione delle indagini ancora in corso.
Per quanto riguarda, invece, la tematica relativa alle manovre si ravvisa che le ferrovie italiane si sono dotate di un moderno ed efficace sistema automatico di protezione della marcia dei treni in grado di comandare l'arresto del freno in caso di errore da parte del macchinista. Tale sistema, tuttavia, è di limitata efficacia in caso di spostamenti di servizio nell'ambito delle stazioni.
Alcuni incidenti verificatisi di recente in occasione di tali spostamenti fanno emergere la necessità di adottare provvedimenti tecnologici e normativi miranti ad evitarne il ripetersi o a mitigarne le conseguenze.
Per tale motivo l'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria sta attualmente conducendo un approfondimento mirato ad introdurre alcune modifiche alle norme riguardanti l'effettuazione delle manovre. A tale scopo, lo scorso mese di luglio è stato richiesto a Rete ferroviaria italiana RFI di fornire informazioni circa alcuni aspetti rilevanti ai fini della sicurezza nell'ambito dello svolgimento dei servizi di manovra dei treni.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
REGUZZONI, DESIDERATI, FEDRIGA, GRIMOLDI e NICOLA MOLTENI. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
il Governo è impegnato fortemente nel migliorare la trasparenza della pubblica amministrazione e nella lotta agli sprechi, e su questi temi ha ottenuto ottimi e condivisi risultati;
nella percezione dell'opinione pubblica, particolare importanza viene attribuita giustamente alla lotta contro l'assenteismo;
è un fatto evidente che l'assenza per malattia inesistente può essere giustificata solo con la compiacenza di un medico -:
quali siano gli intendimenti del Governo per ottenere una miglior attenzione dei medici nel rilasciare certificati di malattia;
se e quali iniziative siano state avviate e/o si intendano attuare al fine di reprimere gli abusi e le infrazioni alla legge;
quanti medici siano stati condannati negli ultimi anni per aver violato le normative in merito al rilascio di dichiarazioni utili ai fini dell'assenza per malattia sul luogo di lavoro.
(4-04399)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale si chiedono chiarimenti circa la normativa in materia di rilascio di certificati medici relativi alle assenze per malattia nel lavoro pubblico, si rappresenta quanto segue.
Come è noto, con il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, al fine di conseguire
l'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e l'efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, sono state introdotte alcune rilevanti misure volte anche a contrastare i fenomeni di scarsa produttività e di assenteismo nel pubblico impiego.
Per quanto attiene in particolare al fenomeno, stigmatizzato dall'interrogante, di rilascio di falsi certificati medici, si sottolinea che il suddetto provvedimento prevede sanzioni molto incisive, anche di carattere penale, non soltanto nei confronti del dipendente, ma altresì del medico eventualmente corresponsabile.
In primo luogo, si è stabilito che ai casi di «giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia» si applica la sanzione disciplinare del licenziamento. Al riguardo si precisa che, per esigenze di certezza e di omogeneità di trattamento, il decreto in questione ha definito un catalogo di infrazioni particolarmente gravi assoggettate al licenziamento, che potrà essere ampliato, ma non diminuito, dalla contrattazione collettiva: tale disciplina è recata dall'articolo 55-quater del decreto legislativo n. 165 del 2001, introdotto dall'articolo 69 del provvedimento in parola.
Quest'ultimo ha poi inserito una norma volta a regolamentare specificamente le ipotesi di false attestazioni o certificazioni; si tratta dell'articolo 55-quinquies, ove si prevede che «fermo quanto previsto dal codice penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto».
A tale sanzione penale si aggiunge poi l'obbligo di risarcimento del danno patrimoniale secondo la disciplina introdotta dal secondo la disciplina introdotta dal secondo comma del medesimo articolo sopra citato che prevede, infatti, ferme restando la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, anche l'obbligo di risarcire il danno patrimoniale pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all'immagine subiti dall'amministrazione.
Con riferimento alla responsabilità del medico, lo stesso articolo 55-quinquies prevede la sanzione disciplinare della radiazione dall'albo ed altresì, se dipendente di una struttura sanitaria pubblica o se convenzionato con il servizio sanitario nazionale, il licenziamento per giusta causa o la decadenza dalla convenzione. Le medesime sanzioni disciplinari si applicano se il medico, in relazione all'assenza dal servizio, rilascia certificazioni che attestano dati clinici non direttamente constatati né oggettivamente documentati.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.
REGUZZONI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in tema di immigrazione e gestione delle situazioni locali di difficile convivenza il Governo in generale e il Ministero dell'interno in particolare hanno ottimamente operato, riportando nel nostro Paese legalità, democrazia e rispetto dei diritti del territorio;
alcuni organi di stampa hanno dato notizia che, in previsione della chiusura e relativo spostamento del centro islamico di viale Jenner a Milano, si è ipotizzata la localizzazione di una moschea nel comune di Opera;
tali indiscrezioni hanno creato allarmismo presso la cittadinanza, suscitando la giusta reazione preoccupata del sindaco di Opera, Ettore Fusco;
la situazione complessiva è stata e sarà oggetto di apposite discussioni presso
i tavoli appositamente convocati presso la prefettura e sotto l'autorevole coordinamento del prefetto, dottor Lombardi;
il sindaco Ettore Fusco ha chiesto di essere convocato al tavolo della Prefettura -:
se le notizie riportate siano destituite di fondamento ovvero abbiano un fondo di verità e quale;
se, nel caso vi sia una qualsiasi ipotesi di coinvolgimento del comune di Opera, non si ritenga opportuno sollecitare la prefettura affinché possa essere adeguatamente coinvolto il sindaco di Opera.
(4-04527)
Risposta. - Il Prefetto di Milano ha riferito che l'ipotesi della realizzazione di una moschea nel comune di Opera è destituita di qualsiasi fondamento.
L'infondatezza della notizia, peraltro, è già stata comunicata dal Prefetto direttamente al Sindaco di Opera con una lettera del 24 settembre 2009.
Proprio per tali motivi il Sindaco non è stato coinvolto nelle iniziative finalizzate ad esaminare la possibilità di trovare una soluzione alla precarietà dei luoghi nei quali le diverse comunità islamiche milanesi (che raggruppano circa 75.000 fedeli) celebrano i loro riti.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Nitto Francesco Palma.
ROMELE e MARINELLO. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
in data 1° giugno 2008, si è reso disponibile presso la Direzione regionale dell'INAIL-Sicilia il posto di sovrintendente medico regionale;
nelle more dell'assegnazione definitiva si è proceduto, su proposta del Direttore generale dell'INAIL, all'assegnazione del posto vacante con un incarico ad interim;
scaduto l'incarico ad interim, si è avviata la procedura per l'assegnazione definitiva dell'incarico vacante in base a quanto previsto dalla delibera del Consiglio di amministrazione dell'INAIL n. 69 del 2004;
ai sensi dell'articolo 5, comma 5, dell'Accordo 14 aprile 1997, attuativo dell'articolo 94 del contratto collettivo nazionale di lavoro del personale dirigente degli enti pubblici non economici dell'11 novembre 1996, i parametri da utilizzare per il rinnovo/variazione degli incarichi quinquennali sono i seguenti: la specifica professionalità e competenza del medico in relazione all'incarico, la maggiore anzianità di servizio, la maggiore anzianità di servizio nella posizione di ex primario, la maggiore età anagrafica, le esigenze organizzative e funzionali dell'Istituto;
tali parametri sono richiamati nella citata delibera del Consiglio di amministrazione dell'INAIL n. 69 del 2004 ed inseriti nell'Allegato 1 della stessa, ma nel caso in questione essi sono stati - a giudizio dell'interrogante - disattesi dal momento che, nonostante la presenza di una candidatura pienamente rispondente ai predetti criteri, l'incarico definitivo è stato conferito ad una persona il cui curriculum vitae non sembrerebbe rispondere ai requisiti richiesti dalla citata delibera n. 69 del 2004 -:
quali iniziative intenda porre in atto al fine di verificare se l'INAIL abbia rispettato il principio di imparzialità, trasparenza e di buon andamento della pubblica amministrazione ai quali l'Istituto deve conformarsi e, in caso contrario, quali provvedimenti intenda adottare per assicurare la correttezza dell'operato dello stesso istituto e la conformità alla normativa vigente delle procedure da esso seguite.
(4-03362)
Risposta. - Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo indicato in esame e sulla base dei necessari elementi informativi acquisiti presso i competenti uffici del Ministero
del lavoro, della salute e delle politiche sociali e dell'Inail, si rappresenta quanto segue.
L'incarico di sovrintendente medico generale, presso la direzione generale dell'Inail-Sicilia, è stato attribuito in esito alla procedura di verifica degli incarichi quinquennali, di cui all'articolo 5 dell'accordo 14 aprile 1997 del contratto collettivo nazionale di lavoro 11 ottobre 1996, che ha riguardato nel territorio nazionale, 119 dirigenti medici di II livello.
In particolare, tutti i medici, ancora in servizio, che hanno conseguito una valutazione positiva (112), sono stati chiamati ad esprimere un'opzione, con un massimo di cinque preferenze, per la conferma dell'incarico ricoperto o per una possibile variazione della sua localizzazione.
Nei casi di più opzioni da parte di medici interessati alla variazione del proprio incarico, le posizioni sono state raffrontate alla luce di criteri che prevedono una serie di concorrenti parametri (delibera CA n. 69 del 2004), tra i quali hanno preminente rilievo sia la «specifica professionalità e competenza del medico, in relazione all'incarico da assumere», sia la circostanza che «in presenza di dichiarazioni di più medici per un medesimo incarico, sarà privilegiato il medico che già lo ricopre ed ha espresso opzione per la conferma nell'incarico stesso».
Per particolari posizioni e stato acquisito anche il parere del sovrintendente medico generale reggente.
In particolare, per l'incarico di sovrintendente medico regionale Sicilia, il sovrintendente medico generale reggente ha individuato la dottoressa Maira, evidenziandone le «...notevoli doti di managerialità e professionalità, anche nella reggenza, della sovrintendenza medica regionale», nonché le specifiche capacità «di gestire le criticità e la provata competenza tecnico-professionale».
Pertanto, la scelta della dottoressa Giovanna Grazia Maira, per l'incarico in questione, è avvenuta nel pieno rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza e trova la sua motivazione nel più alto punteggio riportato alla voce «professionalità e competenza» desunto dalla scheda di verifica dell'incarico svolto presso la sede di Palermo. Da detta scheda, con riferimento alle competenze di ruolo, emergono, inoltre, requisiti di particolare valenza per l'assunzione dell'incarico in parola come quelli di «autocontrollo» e leadership.
La dottoressa Maira era già stata individuata, peraltro, su conformi indicazioni dei precedenti direttore regionale e sovrintendente medico generale, per svolgere ad interim l'incarico di cui trattasi, scelta poi confermata all'atto del conferimento dell'incarico medesimo dai successivi responsabili delle citate strutture.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Pasquale Viespoli.
MAURIZIO TURCO, FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
presso la Sezione Polizia Stradale di Piacenza lavorano circa 50 operatori della Polizia di Stato;
il citato Ufficio svolge i suoi compiti di prevenzione e repressione degli illeciti relativi alla circolazione stradale e di vigilanza delle arterie stradali di tutta la vasta provincia di Piacenza nonché offre il concorso, in caso di necessità, sugli essenziali tratti autostradali dell'A21 (Brescia-Piacenza-Torino) e dell'A1 (Napoli-Milano);
come segnala la Segreteria Provinciale del Siap di Piacenza i locali attualmente in uso dalla Sezione Polizia Stradale di Piacenza sita in Via Castello 53 di quel capoluogo di provincia versano in una situazione logistica non favorevole e sono causa di riconosciute ed ormai protratte condizioni di discomfort lavorativo per gli operatori e per i cittadini costretti a frequentare luoghi vetusti;
sulla base di una progettualità comune degli Uffici dei Ministeri interrogati, che prevedeva tre fasi esecutive di ristrutturazione, si è individuata, negli anni passati, quale possibile nuova sede degli Uffici e delle pertinenze della Sezione Polizia Stradale proprio una porzione dello stabile ora in disuso;
nel corso del 2004 è stata realizzata la prima fase degli interventi di ristrutturazione che è consistita nel rifacimento del manto di copertura del fabbricato quadrangolare situato nella zona interna del cortile, con una spesa pari a 200.000,00 euro (oltre 30.000,00 euro per somme disposizione dell'Amministrazione del Servizio Infrastrutture e Trasporti dell'Emilia Romagna per IVA e spese tecniche);
nel corso dell'esercizio finanziario del 2008 si è conclusa solamente una parte esigua della seconda fase e cioè dei lavori che riguardano i locali interni situati al piano terra del citato fabbricato quadrangolare che dovevano, per una cifra complessiva preventivata di circa 450.000,00 euro sempre a carico del Servizio Infrastrutture e Trasporti, servire invece alla completa ristrutturazione del piano terra (autorimesse, archivi, realizzazione del nuovo ingresso pedonale in Vicolo San Matteo e la sistemazione dei locali della nuova sala operativa e di collegamento con il primo piano);
i lavori relativi al piano terra sono stati del tutto grossolani, parziali e palesemente incompleti ma nondimeno sono terminati con la posa in opera di un ascensore di collegamento ad uso degli operatori e degli utenti con il primo piano;
nel corso dell'esercizio finanziario del 2009, rispetto ad una spesa preventivata di circa 55.000 euro, si è conclusa anche una fase di lavori urgenti effettuati in economia, con fondi messi a disposizione della locale Prefettura di Piacenza, del tutto insufficienti rispetto alla cifra preventivata e richiesta;
con l'assegnazione parziale si è provveduto solo alla messa in sicurezza di due cisterne di gasolio ormai in disuso e al parziale rifacimento degli spogliatoi per il personale della Polizia di Stato che allo stato non possono essere comunque utilizzati;
soprattutto in relazione ai parziali interventi di ristrutturazione del piano terra con la posa in opera dell'ascensore, evidentemente oggi del tutto inutilizzato e pertanto inutile in assenza della realizzazione delle tre fasi previste per il completamento dei lavori, non si può escludere - con l'andar del tempo e il protrarsi dell'inerzia realizzativa - il configurarsi dell'ipotesi di danno erariale e quindi del conseguente doveroso intervento in sede giurisdizionale della Corte dei conti;
permangono situazioni di discomfort lavorativo e carenze logistiche della Caserma «F. Gazzola» in uso alla Sezione Polizia Stradale che verosimilmente incidono anche sulla qualità e sulla quantità del lavoro svolto -:
se, con quali tempi, modalità e con quali stanziamenti si intendano completare le tre fasi di ristrutturazione dei locali della Sezione Polizia Stradale di Piacenza sita in Via Castello n. 53.
(4-03123)
Risposta. - In riferimento all'interrogazione in oggetto, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
L'edificio demaniale denominato caserma Gazzola (ex convento di San Bernardo) è composto da due corpi di fabbrica, uno prospiciente via Castello che è attualmente utilizzato dalla sezione della polizia stradale di Piacenza ed uno interno a struttura quadrangolare non utilizzato.
Nel recente passato la parte utilizzata dalla polizia stradale è stata oggetto di vari interventi di ristrutturazione effettuati dal provveditorato interregionale alle opere pubbliche per l'Emilia Romagna e Marche.
Nel 2003 il dirigente della sezione polizia stradale di Piacenza aveva richiesto la ristrutturazione dell'intero complesso di via Castello, finalizzata alla collocazione di nuovi uffici nella porzione di edificio in disuso ed alla successiva sistemazione del
corpo prospiciente la strada già utilizzato. Successivamente i funzionari del nucleo operativo di Piacenza hanno quantificato la spesa per le due porzioni di edificio come segue.
Recupero dei locali dell'edificio in disuso così suddivisa:
sistemazione delle coperture: euro 200.000,00 (oltre euro 30.000,00 per somme a disposizione dell'amministrazione);
primo piano zona uffici metri quadrati 870 circa: euro 870.000,00 per lavori (oltre euro 93.000,00 per somme a disposizione dell'amministrazione);
piano terra zona autorimessa archivi e varie metri quadrati 560 circa euro 400.000,00 per lavori (oltre euro 52.000,00 per somme a disposizione dell'amministrazione).
Recupero della porzione di edificio prospiciente via Castello e che sono attualmente occupati:
piano terra uffici metri quadrati 730 circa: euro 560.000,00 per lavori (oltre euro 55.000,00 per somme a disposizione dell'amministrazione);
sistemazione esterne: euro 160.000,00 per lavori (oltre euro 20.000,00 per somme a disposizione dell'Amministrazione).
Il prefetto di Piacenza ha condiviso tale scelta relativa alla ristrutturazione e recupero funzionale, interessando il Ministero dell'interno - dipartimento della pubblica sicurezza - direzione centrale servizi tecnico logistici di Roma ed ha sottolineato la necessità di tale ristrutturazione, auspicando anche un intervento finanziario del Ministero dell'interno, come praticato in passato per la provincia di Piacenza (questura, scuola allievi agenti della polizia di Stato).
Il provveditorato interregionale alle Opere pubbliche per l'Emilia Romagna e Marche ha quindi avviato quanto concordato intervenendo per stralci anche nell'attesa di un finanziamento da parte del Ministero dell'interno.
In base alle disponibilità finanziarie sul cap. 7341 del Ministero delle infrastrutture e trasporti, si è proceduto ad effettuare i seguenti interventi sulla porzione di edificio non utilizzato:
anno 2004 (pc 18/14) lavori di ristrutturazione del monto di copertura dell'edificio demaniale caserma Gazzola euro 171.074,10;
anno 2005 (pc 18/17) lavori di ristrutturazione del monto di copertura, delle volte di parte dell'edificio demaniale caserma Gazzola euro 793.925,00;
anno 2006 (pc 18/19) lavori per eliminazione barriere architettoniche caserma Gazzola euro 59.602,00.
In data 17 aprile 2008 è stata effettuata una riunione presso la prefettura di Piacenza unitamente al comandante della sezione di polizia stradale in cui si è programmato un intervento urgente con fondi della prefettura eseguito tecnicamente dai funzionari del provveditorato di circa euro 54.500,00 ridotti successivamente con nota prefettizia n. 6948 del 18 luglio 2008 ad euro 25.000,00.
In data 10 febbraio 2009, è stata effettuata una riunione presso la prefettura di Piacenza con la partecipazione del dirigente della direzione interregionale della polizia di Stato Lombardia-Emilia Romagna e del questore di Piacenza in cui è stata evidenziata la necessità di intervenire come priorità, rispetto al precedente programma stabilito, sulla questura di Piacenza, in relazione ai finanziamenti disponibili sui capitoli del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'anno 2009.
Purtroppo, in tale riunione, il dirigente della direzione interregionale della polizia di Stato di Milano non ha dato alcuna certezza in relazione alla richiesta, anch'essa ritenuta urgente, di finanziamenti da parte del Ministero dell'interno per proseguire i lavori già iniziati presso la sede della polizia stradale di Piacenza.
Si può quindi affermare che i lavori, non grossolani ma a regola d'arte, sono stati fortemente limitati dalla ridotta assegnazione economica sia dei fondi del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che dall'esiguità di quelli del Ministero dell'interno.
La scelta di realizzare l'ascensore, condivisa da tutti, era complementare agli interventi successivi ed è evidente che solo il non averli potuti realizzare mina l'efficacia della scelta effettuata.
Si informa, infine, che i lavori in questione sono stati inseriti da ultimo nel programma triennale 2010-2012 subordinatamente al finanziamento che potrà rendersi disponibile sui capitoli del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.
ZACCHERA. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
è stato condannato all'ergastolo in Thailandia il connazionale Fernando Nardini;
il connazionale è detenuto da diversi mesi e si trova in una precaria situazione fisica come ha verificato il locale Console onorario d'Italia, avvocato Paolo Battaglino;
Fernando Nardini sarebbe stato interrogato in una stazione di polizia in lingua thailandese a lui sconosciuta senza l'assistenza di un interprete né di un legale;
la polizia gli avrebbe fatto firmare dei fogli in lingua locale e tale documentazione sarebbe stata posta a base della condanna di primo grado di Fernando Nardini all'ergastolo come mandante di un omicidio a lui sconosciuto;
anche il processo si sarebbe svolto in lingua thailandese e sempre senza alcun interprete ufficiale;
le condizioni psicologiche e fisiche di Fernando Nardini sarebbero problematiche -:
se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
se sia stata assicurata al connazionale un'adeguata difesa ed assistenza legale e in caso contrario se nell'iter giudiziario sia stata violata la Convenzione sulle relazioni consolari e quali iniziative conseguenti si intendano assumere nei confronti del Governo thailandese;
quali iniziative si intendano assumere per assicurare a Ferdinando Nardini la possibilità di fare o ricevere telefonate da casa;
quante visite da parte della rappresentanza italiana siano state fatte a Ferdinando Nardini, quanti giorni dopo l'arresto lo stato di detenzione sia stato comunicato alla nostra rappresentanza diplomatica, dopo quanto tempo sia stata effettuata la prima visita in carcere al connazionale detenuto dopo tale comunicazione e quali misure si intendano assumere a tutela del suo diritto alla difesa e della sua condizione sanitaria.
(4-04301)
Risposta. - Il connazionale Fernando Nardini è stato arrestato il 29 giugno 2007 a Chonburi (Thailandia) con l'accusa di omicidio volontario in concorso con altre persone e possesso illegale di arma da fuoco. L'Ambasciata a Bangkok è stata informata del fermo alcuni giorni dopo, con l'invio del verbale di arresto, presso il carcere di Pattaya, da parte della polizia. Da tale documento, sottoscritto dal connazionale, dagli agenti di polizia e da un interprete, risulta che il signor Nardini ha negato di avere commesso i reati contestatigli. Successivamente, l'Ambasciata ha contattato le Autorità di polizia thailandesi le quali hanno comunicato che il connazionale era stato poco tempo dopo posto in libertà provvisoria, in attesa della conclusione delle indagini. Nel marzo 2009 è stata pronunciata la sentenza di condanna all'ergastolo, a seguito della quale il connazionale
è stato detenuto nel carcere di Rayong, non lontano da Pattaya.
Il signor Nardini, che durante il periodo di libertà condizionale non si è mai rivolto all'Ambasciata, è stato quindi visitato - due volte - in carcere dal corrispondente consolare a Pattaya. Proprio a seguito della seconda visita consolare, il connazionale, che sembrava affetto da una forma di ipertensione arteriosa, veniva trasferito nell'ospedale del penitenziario. Nel corso dell'ultima visita, il 10 settembre scorso, il signor Nardini è apparso in buone condizioni di salute generale e ha riferito di ricevere le cure mediche necessarie in relazione all'ipertensione, nonché i generi alimentari di conforto che gli vengono portati per sopperire alle carenze del vitto carcerario. A seguito di quest'ultima visita, è stato richiesto alla direzione del carcere di concedere al connazionale la possibilità di effettuare e ricevere telefonate, ricevendo risposta negativa in quanto non consentito dal regolamento carcerario.
Per completezza di informazione, appare utile inquadrare la vicenda nel più generale contesto dell'amministrazione della giustizia in Thailandia. Formalmente, la legge thailandese riconosce ad ogni imputato il diritto di essere assistito da un interprete, qualora necessario, oltre all'avvocato. In genere, a Bangkok la polizia procede ad una, pur non sempre accurata, traduzione in inglese, cosa invece assai rara nel resto del Paese. Nei fatti quindi spesso sono gli stessi imputati a doversi rivolgere a traduttori di fiducia che possano garantire un sufficiente livello qualitativo. Nella maggior parte dei casi di fermo di un cittadino straniero, la relativa Ambasciata viene comunque avvertita solo nei giorni successivi, in qualche caso anche a mesi di distanza. In tal senso, l'Ambasciata d'Italia a Bangkok, congiuntamente agli altri Paesi appartenenti all'Unione europea, effettua periodicamente demarches presso le Autorità thailandesi per sollecitarne l'attenzione e sensibilizzarle sui problemi dei connazionali stranieri detenuti nel Paese.
Il Ministero degli affari esteri, mediante l'Ambasciata a Bangkok, continuerà - nell'ambito delle proprie competenze - a seguire il caso con la massima attenzione, monitorando la situazione giudiziaria e le condizioni detentive del signor Nardini, con particolare attenzione al rispetto del diritto alla difesa, alla possibilità di ricevere telefonate presso il carcere di Rayong, nonché di essere trasferito nel penitenziario di Bangkok al fine di facilitare l'assistenza consolare.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.
ZAMPARUTTI, CICCIOLI, BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
da notizie apparse sull'agenzia Apcom il 28 giugno 2009 risulta che l'esercito iracheno ha preso il controllo del campo di Ahsraf dei Mujaheddin del Popolo iraniano, uno dei gruppi più attivi nell'opposizione all'attuale regime iraniano rifugiato da 22 anni in Iraq;
la notizia l'avrebbe riferita una fonte militare a Baquba, nella provincia di Diyala affermando che: «Dopo il fallimento dei negoziati con i Mujaheddin per entrare pacificamente nel campo di Ashraf, l'esercito iracheno vi è entrato con la forza e controlla ormai totalmente l'interno e le entrate del campo»;
secondo un portavoce dell'esercito iracheno a Diyala che ha richiesto l'anonimato, «due battaglioni di 400 uomini ciascuno, uno proveniente da Diyala e l'altro dalla provincia meridionale di Bassora sono entrati nel campo su ordine del governo del Primo ministro Nouri al Maliki». Questa decisione, ha aggiunto, rientra nel quadro dell'accordo di sicurezza firmato a novembre 2008, fra Washington e Baghdad e che trasferisce l'autorità alle forze irachene;
i Mujaheddin hanno dichiarato in un comunicato che «le forze di polizia irachene hanno lanciato un attacco su Ashraf
tirando gas lacrimogeni mentre dei bulldozer demolivano il cancello di ingresso al campo» e che «la Resistenza iraniana considera le forze americane responsabili della protezione degli abitanti di Ashraf e chiede al Segretario generale dell'Onu di intervenire immediatamente per fermare l'attacco delle forze irachene»;
il campo di Ashraf, visitato da esponenti politici di molte nazioni tra le quali anche l'Italia, ospita attualmente 3.500 persone ed attivisti Mujaheddin che vi risiedono dagli anni '80 e che dopo l'arrivo degli americani in Iraq hanno consegnato tutte le armi e con esse ogni operazione di matrice militare è stata abbandonata;
i Mujaheddin conducono un'intensa attività politica e diplomatica di opposizione al regime di Teheran che ottenne dall'Unione europea l'inserimento dell'organizzazione nella lista dei gruppi terroristici dell'Unione europea dalla quale sono stati cancellati all'inizio del 2009 dopo una rigorosa ed esemplare battaglia legale;
per effetto della risoluzione risoluzione parlamentare 8-00019 il Governo italiano è impegnato a tutelare il Campo di Ashraf, ai sensi della convenzione delle Nazioni Unite del '51 sul diritto dei rifugiati e del suo protocollo aggiuntivo del '67, collaborando con l'Alto Commissariato per le Nazioni Unite per i Rifugiati e con le altre Agenzie specializzate delle Nazioni Unite per trovare una soluzione duratura e soddisfacente alla situazione delle persone attualmente ospitate presso il Campo di Ashraf -:
quali iniziative il Governo abbia assunto a tutela dei residenti nel Campo di Ashraf ed in particolare come il Governo abbia dato seguito all'impegno assunto con la risoluzione 8-00019;
se il Governo intenda chiedere chiarimenti, in sede bilaterale al Governo iracheno, sull'occupazione militare del campo dei Mujaheddin del Popolo;
come il Governo intenda assicurare un'effettiva protezione dei residenti di Ashraf nel quadro del diritto internazionale umanitario e in particolare della IV Convenzione di Ginevra e smentire l'ipotesi di una loro espulsione.
(4-03850)
Risposta. - Il Governo italiano, per il tramite dell'ambasciata d'Italia a Baghdad, segue con attenzione la situazione degli abitanti di Camp Ashraf.
Occorre preliminarmente osservare che lo status degli appartenenti al Mujaheddin c-Khalq Organization (MKO) membri del Mujaheddin del popolo dell'Iran in Iraq (OMPI) è incerto: se da un lato le autorità irachene hanno ribadito l'intenzione di rispettare il principio di «non refoulement», impegnandosi a non rimpatriare verso l'Iran i membri dell'organizzazione, dall'altro hanno indicato di volere chiudere rapidamente il campo. Il Governo iracheno sta valutando la possibilità di spostare il campo per allontanarlo dal confine iraniano e ricollocarlo più a sud. Sulla base di un'intesa raggiunta con gli americani e gli iraniani, Baghdad intende inoltre chiedere ai Paesi amici che membri dell'MKO possano essere accolti in paesi terzi, in particolare europei, in considerazione di asseriti pregressi diritti a risiedervi quali rifugiati.
Al momento, il Governo italiano non ha ricevuto nessuna formale richiesta di accoglienza di residenti del campo. A livello europeo la Francia ha già fatto sapere che è pronta a sollevare eccezioni alle regole di libera circolazione delle persone sul territorio europeo in caso di accoglimento di occupanti del campo, ovvero a negare o ritirare loro lo status di rifugiato. Ogni possibile iniziativa riguardante le sorti del campo di Ashraf dovrà dunque essere concordata in ambito europeo, interessando soprattutto le istanze competenti per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia e in stretto raccordo con il Ministero dell'interno, considerati i molteplici e delicati profili che la questione riveste.
In merito ai recenti episodi di violenza che hanno interessato il campo, l'Italia è stata informata dal Governo iracheno per il tramite dell'ambasciata a Baghdad.
Gli incidenti tra le forze di sicurezza irachene e appartenenti all'MKO lì raggruppati sarebbero seguiti alla decisione governativa di entrare nel campo con la forza, intervenuta a seguito del rigetto da parte dell'MKO dello stabilimento presso lo stesso campo di una stazione di polizia. Lo stabilimento di tale stazione era da tempo considerato da parte irachena un'indispensabile affermazione della propria sovranità sul campo come su qualsiasi altra parte del paese.
Da parte statunitense ci è stato indicato di non volere intervenire nella questione, sostenendo peraltro che alcune delle informazioni diffuse dall'MKO sarebbero palesemente manipolate.
L'Italia continua a monitorare, per il tramite dell'ambasciata a Baghdad, la situazione dei residenti del campo di Ashraf. Riteniamo fondamentale operare con i partner europei e con le agenzie delle Nazioni Unite perché l'Iraq rispetti pienamente i diritti fondamentali degli abitanti del campo.
Di recente, il vice Ministro degli esteri iracheno Abbawill ha ribadito, nel corso di una riunione svoltasi con i capi missione a Baghdad, la volontà del Governo di dialogare con la leadership dell'MKO ad Ashraf ricevendo in cambio, a suo dire, rifiuti e reazioni violente.
Egli ha quindi invitato le Ambasciate presenti a visitare il campo per vedere la situazione e prendere contatto con i residenti in un contesto di sicurezza garantito fin dove possibile dagli iracheni e dalla forza multinazionale e, all'interno del campo, dallo stesso MKO, come accaduto nelle recenti visite effettuate da agenzie delle Nazioni Unite.
L'Italia, particolarmente attenta al rispetto dei diritti umani fondamentali, ha dato istruzione all'ambasciata a Baghdad di partecipare ad una eventuale visita congiunta ad Ashraf con gli altri partner europei, l'United Nations Assistance Mission for Iraq (UNAMI) e le altre agenzie delle Nazioni Unite interessate, per verificare la situazione nel campo.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.