XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di lunedì 11 maggio 2009

TESTO AGGIORNATO AL 19 MAGGIO 2009

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
il Parlamento europeo ha approvato il 6 luglio 2006 la risoluzione sull'HIV/AIDS - «tempo di agire» - il 24 aprile 2007 ha adottato la risoluzione sulla lotta all'HIV/AIDS all'interno dell'Unione europea e nei Paesi vicini per il triennio 2007-2009 ed infine il 20 novembre 2008 ha adottato la risoluzione sull'HIV/AIDS - «diagnosi precoce e cure tempestive»;
il 1o dicembre 2008, giornata internazionale della lotta all'AIDS, la Commissione europea e il Consiglio dell'Unione europea hanno ribadito la necessità della diffusione del test per la diagnosi precoce e hanno richiesto a tutti gli Stati membri di mettere in atto tutte le azioni per la diffusione del test e di riferire sui risultati nel corso della prossima conferenza internazionale sull'AIDS che si svolgerà a Vienna nel 2010;
nel mese di novembre 2008 si è tenuto a Parigi, sotto l'egida della Presidenza francese, la conferenza «2008 HIV diagnosis summit», dove tutti gli Stati membri sono stati invitati a far emergere, sempre attraverso la diffusione del test, il sommerso delle sieropositività presente nel loro Paese;
nonostante i progressi delle terapie e le recenti sperimentazioni che aprono la strada alla possibilità di nuove cure, la malattia continua a mietere vittime in tutto il mondo. Secondo i dati forniti da Unaids, il programma congiunto delle Nazioni Unite sull'HIV e l'AIDS, dall'inizio dell'epidemia negli anni '90 sono morte circa 27 milioni di persone nel mondo;
anche in Italia e in Europa, dove lo scenario è meno allarmante, il numero di sieropositivi continua ad aumentare. Nel Sud del mondo, la situazione resta drammatica e l'infezione ha provocato 2,5 milioni di nuovi casi solo nel 2008;
il 19 marzo 2009 si è tenuto a Roma l'HIV summit Italia 2009: «Diagnosi precoce, qualità della vita»;
sono 58.400 i casi di AIDS notificati dall'inizio dell'epidemia fino al 31 dicembre 2007. Tenendo conto del ritardo della notifica, ragionevolmente questo numero sale a oltre 59.500. La regione più colpita in assoluto risulta essere la Lombardia, ma nell'ultimo anno il tasso di incidenza più elevato è quello del Lazio, seguito da Lombardia, Toscana, Emilia Romagna e Liguria;
cambiano le caratteristiche delle persone con AIDS: aumenta l'età, sia per gli uomini (43 anni) che per le donne (40 anni), diminuiscono i tossicodipendenti, aumentano gli stranieri (oltre il 20 per cento dei casi segnalati nell'ultimo anno). Diminuisce ulteriormente l'incidenza di casi di AIDS nei bambini: solo un nuovo caso pediatrico è stato segnalato nel corso del 2007. Per quanto riguarda le nuove diagnosi di infezione da HIV, per le quali non esiste ancora un sistema di sorveglianza nazionale, i dati provenienti da alcune regioni e province italiane mostrano una sostanziale stabilizzazione, che permette di stimare circa 4000 nuove infezioni l'anno nel nostro Paese (circa 11 infezioni ogni giorno);
nel 2007 le stime mostrano una sostanziale stabilità nel numero di nuovi casi di AIDS rispetto al 2006, segno che si è arrestata la tendenza al declino dell'incidenza di malattia conclamata che aveva caratterizzato l'era della haart (terapia antiretrovirale combinata). Ciò dipende dal mancato accesso precoce alla terapia (oltre il 60 per cento dei nuovi casi non ha effettuato terapia prima della diagnosi di AIDS) e consegue a un ritardo nell'esecuzione del test (oltre una persona su due scopre di essere sieropositiva al momento della diagnosi di AIDS o poco prima);

la causa del ritardo risiede in una bassa percezione del rischio, soprattutto in persone che hanno acquisito l'infezione per via sessuale;
un'elevata percentuale di infezioni da virus HIV non sono diagnosticate e queste persone, ignare del proprio stato, scoprono di essere sieropositive solo quando sono vittime di altre gravi patologie (l'Istituto superiore di sanità stima che il 50 per cento dei sieropositivi presenti in Italia siano non identificati);
tale situazione potrebbe ulteriormente aggravarsi qualora fossero approvate norme che rendano sempre più difficile l'accesso alle strutture del servizio sanitario nazionale da parte di tutti coloro che legalmente o illegalmente, stabilmente o momentaneamente, si trovino sul territorio dello Stato italiano;
l'HIV/AIDS è una malattia trasmissibile ed esiste, quindi, il grave rischio di contagio da parte di queste persone infette che non sanno ancora di esserlo, con grave nocumento della salute pubblica;
la riduzione degli ostacoli per l'accesso al test per l'HIV e la conseguente diagnosi precoce appaiono essere la strada auspicabile per dare adeguate possibilità di cura al sieropositivo, insieme all'indispensabile consapevolezza e tutela dei propri diritti e per rallentare la diffusione della malattia;
la piena tutela dei diritti umani e il rispetto della riservatezza e la protezione dei dati personali è alla base di ogni azione contemplata nella risposta al virus dell'HIV,

impegna il Governo:

a richiedere con urgenza alla Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS, organo tecnico del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di elaborare entro sei mesi dall'approvazione del presente atto le linee guida nazionali per garantire, indurre e facilitare l'accesso al test secondo le seguenti indicazioni:
a) individuazione di gruppi di fragilità sociale sui quali focalizzare i primi passi strategici;
b) definizione di strumenti chiari e modalità innovative per la garanzia dell'accesso informato, quali l'introduzione di procedure standard nell'accettazione per il ricovero ospedaliero o di procedure standard di test informato all'interno delle strutture carcerarie, nel momento dell'accoglienza delle persone immigrate, in situazioni di conclamato disagio sociale o, ad esempio, in presenza di patologie psichiatriche;
c) miglioramento dell'informazione e della prevenzione sulle malattie sessualmente trasmissibili e, in particolare, sull'HIV/AIDS e sulle epatiti, sottolineando la necessità di sottoporsi al test per permettere una diagnosi precoce;
a realizzare un piano di prevenzione, diagnosi precoce e terapia dell'AIDS, approntando misure specifiche, in particolare, per la tutela dei minori sieropositivi;
a stanziare risorse idonee per favorire la ricerca scientifica e la sperimentazione di nuovi trattamenti delle patologie sessualmente trasmissibili e dell'AIDS in particolare, in ottemperanza al dispositivo n. 1 della suddetta risoluzione del Parlamento europeo;
a realizzare un sistema di diagnosi precoce dell'infezione da HIV, anche nei confronti dei cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, a prescindere dalla condizione di regolarità o meno del loro soggiorno;
a garantire un costante monitoraggio in ordine alla diffusione del virus HIV nell'ambito della popolazione presente sul territorio nazionale, nel rispetto del diritto alla protezione dei dati personali dei soggetti interessati, ricorrendo, in particolare, a statistiche in forma aggregata e anonima;

ad adottare misure specifiche per migliorare lo standard di tutela del diritto inviolabile alla salute dei soggetti detenuti affetti da AIDS;
a realizzare campagne di sensibilizzazione, informazione e prevenzione dell'AIDS, favorendo, tra l'altro, l'insegnamento della prevenzione nelle scuole secondarie di secondo grado, affinché anche gli adolescenti possano acquisire un'adeguata consapevolezza su tale infezione;
ad adottare misure idonee a prevenire e contrastare ogni forma di discriminazione nei confronti dei soggetti affetti da AIDS, in ottemperanza al dispositivo n. 8 contenuto nella citata risoluzione del Parlamento europeo.
(1-00166)
«Livia Turco, Sereni, Giachetti, Bossa, Bucchino, Calgaro, D'Incecco, Grassi, Miotto, Mosella, Murer, Pedoto, Sbrollini».

La Camera,
premesso che:
l'HIV summit Italia 2009, tenutosi a Roma il 19 marzo 2009, ha confermato la tragica espansione di una malattia, ancora estremamente diffusa tra la popolazione;
esiste un rischioso «allarme sommerso» costituito dal fatto che il 55 per cento dei sieropositivi viene a conoscenza del proprio stato quando la malattia è in stato avanzato; negli anni '90 solo il 20 per cento veniva a conoscenza del proprio stato di sieropositività al momento della diagnosi di AIDS, oggi questo avviene quasi nel 60 per cento dei casi;
l'Istituto superiore di sanità stima che siano ben 120 mila gli italiani sieropositivi che ignorano di esserlo e che arrivano troppo tardi al test; chi vive nel Sud e nelle Isole ha una maggiore probabilità di arrivare tardi al test rispetto a chi vive al Nord, mentre gli stranieri, residenti nel nostro Paese, sono in assoluto coloro che hanno il rischio maggiore di fare tardi il test;
dal 1981 - anno di inizio del dilagare della malattia - in Italia si sono verificati oltre 60.000 casi di AIDS. Nel decennio 1995-2005, il trend di crescita era rallentato, mentre oggi l'infezione ha ricominciato a propagarsi intensamente fino ad arrivare a circa 4000 nuovi casi di contagio l'anno, registrati negli ultimi tre anni;
la drammaticità dei dati descritti scaturisce, in parte, dall'inspiegabile riduzione dell'attenzione, anche mediatica, sul fenomeno, che sta generando una sorta di «contagio inconsapevole», provocato dalle persone infette non diagnosticate. Risultano ancora troppo poche le iniziative e i canali di informazione volti a sensibilizzare l'opinione pubblica in materia di prevenzione e trattamento dell'HIV;
bisogna evidenziare, inoltre, che il problema della disinformazione e della trascuratezza sull'effettuazione del test non riguarda solo l'HIV, ma tutte le malattie sessualmente trasmesse;
infatti, secondo i dati trasmessi dall'Organizzazione mondiale della sanità, sono ben un milione i casi di malattie sessualmente trasmissibili accertate in Italia; di queste malattie sono solo 8 mila le notificate. L'incremento degli immigrati, spesso provenienti da Paesi pesantemente colpiti da questo tipo di malattia, procura maggiori difficoltà per un accesso più difficoltoso a test e cure;
non può essere sottovalutato, neanche, il drammatico problema dei neonati e dei minori esposti al rischio di contagio da HIV. L'Unicef evidenzia quanto sia forte l'esigenza di attuare misure urgenti e atte a garantire un'efficace prevenzione del contagio da virus HIV proprio nei confronti di queste categorie più deboli e indifese;
la risoluzione del Parlamento europeo del 20 novembre 2008 (n. RC-B6-0581/2008), sull'HIV/AIDS, «diagnosi precoce

e cure tempestive», sancisce l'invito al Consiglio e alla Commissione europea a formulare una strategia sull'HIV, al fine di: promuovere la diagnosi precoce e la riduzione degli ostacoli alla sperimentazione; garantire un tempestivo trattamento e la comunicazione dei relativi benefici; garantire un accurato monitoraggio;
il Sottosegretario per il lavoro, la salute e le politiche sociali, professor Ferruccio Fazio, ha firmato il 21 gennaio 2009 il decreto di ricostituzione della Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS, con la finalità di fornire indicazioni sui messaggi prioritari oggetto delle campagne di informazione istituzionali, di delineare progetti di formazione medica continua dedicati al medico generico, con particolare attenzione al test e alla gestione della cronicità dell'infezione, nonché di promuovere l'insegnamento delle malattie infettive;
alla Commissione spetta, inoltre, la sorveglianza sui trend epidemiologici nei Paesi industrializzati e nel territorio nazionale, con particolare attenzione alla diffusione dell'infezione tra le categorie a rischio,

impegna il Governo:

ad attivare ogni utile disposizione atta ad aumentare l'attenzione nei confronti della sieropositività e a facilitare l'accesso ai test, in tutte le diverse realtà territoriali, ma soprattutto nelle zone in cui l'emergenza è più grave;
a sostenere, in maniera incisiva, ulteriori campagne di informazione necessarie a fornire un monitoraggio adeguato e aggiornato con riguardo alla malattia e alle possibili conseguenze e, ancor più, alle possibilità di prevenzione, soprattutto tra i giovani e le categorie a rischio;
a promuovere campagne di sensibilizzazione ed informazione, anche verso le future madri, in ordine alle possibili modalità di trasmissione del virus, favorendo, altresì, la diagnosi precoce, al duplice scopo di approntare le terapie idonee ad impedire l'aggravarsi della patologia, limitandone gli effetti pregiudizievoli, e di impedirne la trasmissione;
ad attuare piani di formazione e prevenzione continua anche al momento dell'ingresso nel nostro Paese delle persone immigrate, che diano la possibilità di garantire e migliorare la prevenzione su tutte le malattie sessualmente trasmesse e, in particolar modo, sull'HIV/AIDS;
ad adottate ogni possibile e puntuale iniziativa per dare efficacia alle misure previste dalla risoluzione adottata dal Parlamento europeo e citata in premessa;
a prevedere l'attuazione, da parte della Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS, di ogni utile iniziativa tesa ad elaborare un piano di azione nazionale, che fornisca linee guida organiche e dettagliate, in grado di individuare le aree deboli su cui agire in modo più particolareggiato, e tese a garantire interventi per la prevenzione, l'informazione, la ricerca.
(1-00167)
«Nunzio Francesco Testa, De Poli, Oppi, Pisacane, Capitanio Santolini, Compagnon, Drago, Delfino, Ciccanti, Volontè».

La Camera,
premesso che:
la crisi economica e finanziaria su scala internazionale colpisce in particolare modo un Mezzogiorno che si presenta ancora con il suo pesante fardello di problemi irrisolti. Il «check up Mezzogiorno», elaborato dall'Istituto per la promozione industriale e dall'area Mezzogiorno di Confindustria, ha confermato che «l'economia meridionale si è comportata in modo anticiclico rimanendo ai margini delle oscillazioni del ciclo economico, ma solo perché poco inserita nell'economia globale»;
tuttavia, il Mezzogiorno oggi non è più al riparo dagli eventi negativi esterni: la «protezione» derivante dall'isolamento

è ora meno attiva. I sistemi economici sono molto più «connessi» che in passato e sicuramente anche il Mezzogiorno lo è, anche perché «la soggettività, i bisogni, gli atteggiamenti socio-culturali sono sempre più quelli tipici della modernità, non distinguibili dal resto d'Italia»;
la concatenazione fra problemi strutturali irrisolti e nuove minacce derivanti dalla globalizzazione rende l'economia delle regioni meridionali ancora più fragile; il Mezzogiorno non attrae investimenti, esporta poco, soprattutto se si esclude il contributo della grande industria a controllo esterno, e si presenta di fronte ai nuovi pericoli con il carico dei suoi problemi strutturali;
stando alle stime dell'Ufficio statistico delle Comunità europee (Eurostat) nel 2005 il prodotto interno lordo per abitante del Mezzogiorno era pari al 70 per cento della media UE27, con un lieve arretramento rispetto al 71 per cento del 2004. Anche nel Centro-Nord si è registrato un peggioramento, da 126 a 124. Nell'intervallo 2004-05, fra i vecchi Stati membri dell'UE15, Francia, Grecia, Olanda e Irlanda migliorano la propria collocazione, mentre peggiora la Gran Bretagna. Riguardo al livello di prodotto interno lordo per abitante, il Mezzogiorno è superato ormai non solo da Spagna, Grecia e Portogallo, ma anche da alcuni Paesi di nuovo accesso, come Repubblica ceca, Slovenia, Malta e Cipro. Fra le regioni meridionali, i valori più bassi sono registrati da Sicilia, Campania, Calabria e Puglia, le quattro regioni dell'obiettivo «convergenza». Gli alti tassi di sviluppo dei nuovi Paesi membri fanno prevedere un ulteriore peggioramento del posizionamento relativo del Mezzogiorno;
dodici punti separano il tasso di occupazione del Mezzogiorno e quello medio italiano, punti che diventano 20 se il confronto viene fatto con l'Italia settentrionale;
nel periodo 1995-2008, gli occupati sono aumentati di 2 milioni 701 mila unità nel Centro-Nord e di 483 mila unità nel Mezzogiorno; in termini percentuali, del 19 per cento nel primo caso, e dell'8 per cento nel secondo. Soprattutto, nel Sud l'aumento dell'occupazione si è esaurito nel periodo 1998-2002, mentre è continuato nel Centro-Nord. Tra il 2008 e il 2007 (primi tre trimestri), l'occupazione è cresciuta soltanto nel Centro-Nord (240 mila unità), a fronte di una sostanziale stazionarietà nel Mezzogiorno;
nel periodo 1995-2008, il tasso di disoccupazione è progressivamente disceso, prima nel Centro-Nord e successivamente, con circa cinque anni di ritardo, anche nel Mezzogiorno, fino al minimo del 2007, in cui sono stati raggiunti valori pari a circa la metà di quelli registrati all'inizio del periodo. I primi tre trimestri 2008 evidenziano un rialzo, più sensibile nel Sud. Alcune componenti, come le donne, i giovani e i disoccupati di lungo periodo, manifestano a Sud un particolare disagio, con un tasso di disoccupazione che si attesta al 32,3 per cento per i giovani meridionali;
da vari anni è ripreso un forte movimento migratorio dal Mezzogiorno verso le regioni del Centro-Nord. Negli ultimi cinque anni, l'emigrazione interna ha comportato ogni anno per il Mezzogiorno una perdita di oltre il 2 per mille della popolazione, con valori intorno al 2,4/2,5 per mille abitanti a partire dal 2004, particolarmente intensi in Campania (-4,3 per mille nel 2007), Calabria (-3,9) e Basilicata (-3,7);
alla luce dei dati sopra esposti, occorre rivedere la politica sull'utilizzo del fondo per le aree sottoutilizzate, dal quale, recentemente, l'Esecutivo ha attinto somme non destinate alla riduzione del divario infrastrutturale e al potenziamento dei servizi pubblici,

impegna il Governo:

a elaborare un piano straordinario per l'occupazione a favore dei giovani meridionali che preveda:
a) il sostegno alle imprese private che assumono, assegnando uno sgravio

fiscale che copra il costo della manodopera fino a 12 mesi;
b) lo stanziamento di adeguate risorse per favorire iniziative autonome imprenditoriali dei giovani meridionali attraverso il meccanismo del finanziamento della microimpresa;
c) la promozione di ulteriori investimenti per colmare il gap infrastrutturale del Mezzogiorno attraverso la realizzazione di grandi opere;
d) lo stanziamento di risorse per l'adeguamento sismico degli edifici pubblici, in modo particolare delle scuole, e il risanamento idrogeologico del territorio;
e) lo sblocco del turnover nelle regioni dell'obiettivo «convergenza», con la contestuale attuazione di un meccanismo di assunzione di un dipendente nella pubblica amministrazione per ogni tre lavoratori assunti a tempo indeterminato nelle imprese private, da destinare al potenziamento dei servizi a favore delle fasce sociali più deboli.
(1-00168)
«Iannaccone, Lo Monte, Belcastro, Commercio, Latteri, Lombardo, Milo, Sardelli, Brugger».

La Camera,
premesso che:
il processo di sviluppo che ha conosciuto l'Occidente nell'età moderna ha comportato, tra le altre cose, come necessità ineludibile, l'affermazione del principio di libertà religiosa. Non è stato un processo semplice, lineare, né tanto meno breve; al contrario, è stato caratterizzato da conflitti spesso drammatici;
la necessità di definire i rapporti tra le diverse confessioni religiose, tra queste e le molteplici autorità religiose e, a loro volta, tra queste e le autorità civili ha segnato la storia d'Europa e non solo. La genesi degli Stati Uniti d'America, ad esempio, è partorita proprio dal viaggio di esuli costretti ad abbandonare l'Europa per motivi religiosi. È da un «fiore di maggio», il Mayflower, appunto, l'imbarcazione con la quale i padri pellegrini (pilgrim fathers) salparono il 6 settembre 1620 da Plymouth (Inghilterra) e raggiunsero gli attuali Stati Uniti a Cape Cod, che trae così origine la storia della principale potenza mondiale;
negli ultimi anni si è sviluppato un serrato confronto sulle radici dell'Europa, su quei tratti fondanti cioè che ne caratterizzerebbero l'identità. Tra queste radici, insieme con altre, non può non essere annoverato lo sviluppo delle diverse confessioni cristiane. Il luteranesimo e il calvinismo, così come, prima ancora, la riforma anglicana, hanno segnato, ad esempio, con particolare forza, la genesi del moderno Stato nazionale. Insieme alle confessioni cristiane, nello sviluppo della storia d'Europa, hanno però inciso anche la diffusione delle correnti ereticali, come quella delle «regole» monastiche. Lo stesso universalismo della Chiesa cattolica, prima nella tensione medievale con l'Impero e, nei secoli successivi, con lo Stato moderno, da cui sarebbe poi sorto quello nazionale, ha contribuito alla nascita dell'attuale mondo occidentale, dell'Europa di oggi. Nel processo di sviluppo e di modernizzazione che ha contraddistinto la storia d'Europa e dell'Occidente, l'affermazione dei margini di libertà, tra cui quella religiosa, da riconoscere al singolo individuo, è stata una costante di progresso e sviluppo;
il principio di «libera Chiesa in libero Stato» è il risultato laico della possibile convivenza. In questo principio di convivenza non si ritrova l'affermazione di una presunta supremazia dello Stato che intende la libertà religiosa come sua concessione, ma il riconoscimento della reciproca libertà. Nello stesso tempo, questo principio di convivenza civile non si può declinare nel senso di intenderlo valido esclusivamente nei confronti di una chiesa o di una religione. La sua validità è necessariamente estesa, a meno che non la si voglia negare, a tutte le religioni. Non si può riconoscere la libertà religiosa solo per alcune religioni. Non può essere un

Governo a decidere quali religioni hanno diritto alla libertà d'espressione e a quali, invece, questo diritto debba essere negato;
oggi uomini come Averroè sarebbero considerati forse come degli extracomunitari e magari correrebbero anche il rischio di essere respinti alla frontiera, eppure diversi secoli fa Dante Alighieri collocava proprio l'arabo Averroè nel limbo, in compagnia di sapienti e patriarchi, ricordandone il contributo decisivo allo sviluppo del pensiero occidentale, in particolare alla natura della connessione tra religione e filosofia;
nel nostro Paese, a più riprese, si è proposto di autorizzare dazi doganali, iniziativa che finisce per assumere connotati a dir poco paradossali quando è reiterata nei confronti di superpotenze come la Repubblica popolare di Cina e, contemporaneamente, magari, si richiede anche di alzare mura alle nostre frontiere per difenderci dalla minaccia dei flussi migratori, identificando così l'immigrazione come una minaccia sociale, oppure si propone di vincolare le cure sanitarie e l'istruzione scolastica al possesso del permesso di soggiorno. E come se non bastasse, si chiede al Governo di impegnarsi a bloccare la costruzione di luoghi di culto dedicati alla religione islamica: di limitare, cioè di mettere sotto tutela, la libertà religiosa. Secondo questa impostazione dovrebbe essere il Governo a riconoscere e accordare la legittimità di una confessione religiosa, concedendo, a sua discrezione, la possibilità concreta di professarla. In questo modo si chiede di tornare indietro nella storia, di mettere in discussione l'intero processo di modernizzazione che ha caratterizzato la sviluppo dell'Europa;
è, invece, necessario governare il cambiamento. Dalla fine del conflitto tra blocchi e tra ideologie si è ereditato un possibile conflitto di civiltà, nel quale l'identità religiosa riveste un ruolo molto più importante, soprattutto perché il processo di secolarizzazione, che ha caratterizzato e segnato la storia dell'Occidente, è ancora per larga parte estraneo alle altre civiltà con cui dobbiamo oggi confrontarci, in un mondo globale, in cui le distanze si sono di colpo annullate. Non si può, di conseguenza, pensare di governare il cambiamento, attuando politiche di contenimento e semplice difesa. Non possiamo rinchiuderci nel nostro mondo, alzando le barriere e sbarrando confini, sarebbe inutile e pericoloso. Bisogna, al contrario, sviluppare politiche d'integrazione in maniera seria e rigorosa;
rivendicare il principio di reciprocità, in tema di libertà religiosa, nei confronti dei Paesi e delle popolazioni, che non conoscono i principi della tolleranza e del libero arbitrio, cardini della nostra democrazia, è inutile e dannoso. Non si può pensare che nei confronti di altre culture ferme a sistemi sociali di carattere etnico e tribale, nei quali, ancora oggi, la religione assume i crismi di legge civile, secondo un impianto di carattere teocratico, il nostro Paese si debba adeguare a quei sistemi, negando, in mancanza di reciprocità, il rispetto e la libertà religiosa;
se dietro le legioni romane arrivavano strade e diritto, così come dietro gli eserciti napoleonici, oggi non è ancora chiara cosa sia arrivato dopo il nostro intervento militare in Paesi come l'Afghanistan o l'Iraq, il più laico dell'area mediorientale. Un paese nel quale, anche alla luce del necessario confronto tra culture, ancora oggi non si riesce a comprendere perché l'amministrazione Bush abbia deciso di intervenire militarmente, distruggendo uno dei pochi avamposti di laicità dell'intera area, con il risultato di dare vita ad un continuo scontro di carattere tribale e religioso che rischia di far precipitar indietro di secoli l'intero Paese;
la migrazione non può essere considerata come un fenomeno eccezionale e contingente, una minaccia da limitare e contenere, ma come una condizione strutturale che può e deve diventare elemento di crescita e sviluppo collettivo;
una società multietnica è necessariamente fondata sul riconoscimento delle

differenze interne e sulla capacità concreta di armonizzarle. Pensare di rifiutare un modello sociale multietnico e multirazziale significa porsi fuori dalla storia. La sfida della crescita e della competitività può essere affrontata e vinta esclusivamente da quelle società e da quei sistemi politici che, forti della propria identità, saranno in grado di produrre integrazione. In queste società non si può pensare di limitare la libertà religiosa;
pensare di vincolare l'esercizio della libertà religiosa può rappresentare un enorme pericolo, mentre potrebbe essere, se coadiuvata e sostenuta, un utilissimo strumento di confronto, di conoscenza e di integrazione. Le stesse moschee potrebbero diventare un luogo d'incontro, uno degli strumenti principali d'inserimento e d'integrazione: l'esempio della moschea realizzata qualche anno fa a Roma appare evidente;
l'Europa di oggi è una realtà multietnica e multireligiosa in progressiva espansione: un processo questo che sta creando anche diverse perplessità. Rispetto, ad esempio, all'ingresso della Turchia alcune nazioni europee, come la Francia, hanno manifestato forti dubbi. L'Italia è, invece, tra quelle nazioni che si sono espresse favorevolmente: il nostro attuale Presidente del Consiglio dei ministri vanta, a suo dire, ottimi rapporti con il Premier turco. Non appare sinceramente conciliabile che il Governo italiano da una parte prema a favore dell'ingresso della Turchia in Europa e dall'altro contemporaneamente si impegni per una moratoria per impedire la costruzione delle moschee sul proprio territorio;
è necessario rifiutare con forza l'idea che l'Islam e i mussulmani rappresentino un pericolo sociale: non è accettabile identificare nelle moschee centri di raccolta di estremisti islamici e luoghi destinati al terrorismo. Si sono già conosciuti i «ghetti» nella nostra storia, li abbiamo chiusi: non è possibile pensare di costruirne di nuovi;
la Costituzione sancisce il diritto di professare le proprie convinzioni, anche religiose, e, in particolare, l'articolo 3 prevede la non discriminazione in base a ragioni legate al sesso, alla razza, alla lingua, alle opinioni politiche, alle condizioni personali e sociali e, appunto, alla religione, e l'articolo 21 afferma il diritto per tutti di manifestare liberamente il proprio pensiero;
la libertà religiosa è garantita, nello specifico, dall'articolo 19, che stabilisce il diritto per tutti di professare liberamente la propria fede religiosa, e dall'articolo 20, che vieta l'introduzione di speciali limitazioni legislative o fiscali per le associazioni religiose;
i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose sono disciplinati dagli articoli 7 e 8 della Costituzione, relativi ai rapporti tra Stato e, rispettivamente, Chiesa cattolica e confessioni non cattoliche; i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose non cattoliche (o acattoliche) sono regolati dall'articolo 8 della Costituzione, che sancisce il principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose. È riconosciuta alle confessioni non cattoliche l'autonomia organizzativa in conformità a propri statuti, a condizione che questi non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano, ed è posto il principio secondo il quale i rapporti delle confessioni con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze;
per quanto riguarda, poi, l'autonomia organizzativa delle confessioni diverse dalla cattolica, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 43 del 1988, ha chiarito che «al riconoscimento da parte dell'articolo 8, secondo comma, della Costituzione, della capacità delle confessioni religiose, diverse dalla cattolica, di dotarsi di propri statuti, corrisponde l'abbandono da parte dello Stato della pretesa di fissarne direttamente per legge i contenuti (...) questa autonomia istituzionale (...) esclude ogni possibilità di ingerenza dello Stato nell'emanazione delle disposizioni statutarie delle confessioni religiose». La Corte costituzionale ha, quindi, affermato il principio secondo cui il limite al diritto riconosciuto

alle confessioni religiose dall'articolo 8 della Costituzione di darsi i propri statuti, purché «non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano», si può intendere riferito «solo ai principi fondamentali dell'ordinamento stesso e non anche a specifiche limitazioni poste da particolari disposizioni normative»;
si suole addirittura ripetere che la libertà religiosa, giuridicamente intesa come «la libertà garantita dallo Stato ad ogni cittadino di scegliere e professare la propria credenza in fatto di religione», costituisce storicamente la prima libertà dei moderni. Espressione con la quale s'intende dire che il complesso delle libertà, facenti parte ormai del patrimonio comune dell'uomo contemporaneo, si viene costituendo nel divenire della storia dalla rivendicazione progressiva della libertà religiosa e dal suo graduale riconoscimento;
il fenomeno migratorio italiano, ormai pluridecennale, dai Paesi arabo-islamici ha portato con sé tematiche culturali e giuridiche che meritano alcune riflessioni. L'Islam è divenuta la seconda religione del nostro Paese, con più di un milione di fedeli, ma è anche forse l'unica comunità di credenti a non avere una rappresentanza ufficiale e riconosciuta, né ad aver sottoscritto un accordo d'intesa con lo Stato italiano tale da garantirle diritti e doveri costituzionali e giuridici, nonché consolidarne i rapporti con le istituzioni e la presenza pubblica;
l'11 settembre ha avuto l'effetto di creare una sorta di scontro di «civiltà», che ha portato all'identificazione del terrorismo internazionale con il variegato mondo islamico; la lotta al terrorismo, che costituisce più che mai un obiettivo prioritario per il mondo occidentale, per essere efficace, ha l'assoluto bisogno di respingere qualsiasi identificazione tra i gruppi di terroristi fanatici e il mondo arabo e musulmano;
in Italia, il problema che si sta presentando in questi ultimi anni con la comunità religiosa islamica coinvolge direttamente la natura della comunità stessa, poiché l'Islam non è un unicum religioso, ma si caratterizza per il suo volto multiforme, e le differenze si evidenziano non solo tra credenti provenienti da differenti realtà geografiche, ma si manifestano anche a seconda dei percorsi culturali, delle tradizioni locali, delle varietà linguistiche, ma soprattutto dell'integrazione con la società italiana, conseguente alla durata della permanenza nel nostro Paese;
è necessario intensificare azioni di intelligence e di controllo investigativo su elementi che hanno un potenziale di tipo terroristico, ma è, altresì, fondamentale stabilire relazioni e un sano e civile rapporto di convivenza con la comunità islamica presente nel nostro Paese, innescando processi di integrazione che dovrebbero essere alla base di ogni società democratica;
è necessario riaffermare, senza tentennamenti, il principio laico del rispetto della legge dello Stato, come fondamento della convivenza civile tra gli uomini, come riferimento di uguaglianza. A tale principio non possono essere permesse deroghe in nome di dettami religiosi. Anche per questo, l'istituzionalizzazione dei rapporti con le comunità islamiche può rivelarsi particolarmente utile, per procedere ad una progressiva secolarizzazione ed integrazione e, quindi, ad una sempre maggiore convivenza pacifica delle comunità islamiche presenti nel nostro Paese;
l'esigenza della sicurezza della popolazione non può e non deve essere trascurata: è un diritto che deve essere garantito e riconosciuto. Proprio per questo motivo non si possono marginalizzare le comunità mussulmane, con il rischio di farle confluire nell'alveo dell'estremismo. La necessità di promuovere politiche attive d'integrazione non confligge con la costruzione delle moschee;
dal 1999 ad oggi la popolazione mussulmana in Europa è quasi raddoppiata, passando da 12 a 20 milioni di abitanti: secondo un rapporto del Sisde del

2007 in sette anni in Italia il numero delle moschee è aumentato da 351 a 735. La costruzione delle moschee per le comunità islamiche riveste un'importanza cruciale, perché riflette lo sviluppo delle medesime comunità su temi come la gestione del potere, i diritti delle donne e, soprattutto, il ruolo dell'Islam nelle società occidentali. Si pensi, ad esempio, al minareto, da cui il muezzin chiama i fedeli alla preghiera, alla sua effettiva utilità nei Paesi occidentali, dove le leggi sull'inquinamento acustico ne impediscono l'attività, oppure alla sala principale, la cui costruzione ed ampiezza risponde, nelle mosche costruite in Occidente, anche alla decisione di permettere l'ingresso alle donne;
le moschee e la loro costruzione portano con loro un alto valore simbolico e possono essere proprio per questo uno strumento di concreta integrazione. Basti pensare al fatto che sono proprio gli immigrati di seconda e terza generazione ad osare di più. Secondo Zulfigar Husain, segretario onorario di una nuova moschea di Manchester, «limitarsi ad importare l'architettura tradizionale delle moschee equivarrebbe a una mancanza di rispetto verso il nuovo contesto, sarebbe un po' come tagliarsi fuori dalle società in cui si vive»;
secondo Paul Bohm, un architetto tedesco che sta lavorando alla costruzione della nuova moschea di Colonia, «negli ultimi cinquant'anni i mussulmani residenti in Germania dovevano nascondersi a pregare negli scantinati o nelle aree industriali abbandonate. Molti tedeschi non li hanno mai considerati parte della loro società. Un edificio che riconosca alla religione islamica la stessa dignità di altre religioni è di grande aiuto all'integrazione». Sempre secondo il progetto dell'architetto tedesco, sostenuto dalle nuove generazioni di immigrati mussulmani, in aperto contrasto con le generazioni precedenti, l'ingresso della moschea sarà comune per uomini e donne. Al riguardo Bohm sottolinea: «sono processi che richiedono tempo. Ai tempi di mio padre in chiesa le donne sedevano in alto, nei matronei e gli uomini in basso»;
i processi di integrazione richiedono tempo e strumenti adeguati: in questa ottica la costruzione di nuove moschee potrebbe rivelarsi finanche utile. L'integrazione sostenibile è l'unica strada percorribile per pensare ad un'Europa del futuro più ricca e competitiva, con un elevato grado di coesione e sicurezza interna;
non è realistico progettare politiche di sviluppo fondate sulla paura, imporre vincoli fondati su differenze di razza e religione per il riconoscimento dei più elementari diritti civili, limitare l'accesso ai servizi anagrafici, alla sanità, alla formazione, riservare servizi pubblici per una sola parte della cittadinanza, vincolare la libertà religiosa: tutto questo non può che portare a forme di ghettizzazione e di marginalizzazione e, quindi, inevitabilmente allo scontro ed all'insicurezza collettiva,

impegna il Governo:

a un costante impegno di contrasto al terrorismo internazionale, anche attraverso una politica estera mirata allo sviluppo della cooperazione con i Paesi dell'area mediorientale, con quelli in cui siamo stati chiamati ad interventi militari di carattere umanitario, e, in particolare, con l'Afghanistan;
a sostenere, in quest'ottica, gli sforzi che la nuova amministrazione statunitense ha messo in campo nel processo di distensione attivato con diversi Stati mediorientali e con lo stesso Iran;
a promuovere gli accordi necessari con la comunità islamica in Italia in modo da riaffermare diritti e doveri costituzionali e giuridici e consolidarne i rapporti con le istituzioni e la presenza pubblica;
a promuove le necessarie azioni di integrazione dei cittadini mussulmani nel

nostro Paese, affinché possano condividere lo spirito della Costituzione, nel pieno rispetto della libertà religiosa;
a conciliare in maniera coerente la propria politica estera con gli impegni e le scelte che si assumono sul territorio nazionale, per evitare contraddizioni che esporrebbero il nostro Paese ad inevitabili contraccolpi sullo scenario internazionale;
ad investire le necessarie risorse per attivare politiche attive di carattere culturale, e non solo, con lo scopo di sviluppare una sempre maggiore coesione sociale ed identificazione collettiva, anche dei cittadini non comunitari residenti nel nostro Paese, nelle istituzioni rappresentative e nei processi democratici che danno corpo nel nostro Paese alla sovranità popolare.
(1-00169)
«Evangelisti, Donadi, Borghesi, Cambursano, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Giulietti, Messina, Misiti, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Pisicchio, Porcino, Razzi, Rota, Scilipoti, Zazzera».

La Camera,
premesso che:
la crisi economica mondiale ha reso, in Italia, più drammatico il divario tra il Nord ed il Mezzogiorno, accusato di essere l'anello debole del Paese; nel contesto economico attuale, il permanere di detto sistema dicotomico rappresenta uno dei principali ostacoli alla crescita;
secondo i dati relativi all'ultimo trimestre del 2008 pubblicati dall'Istat, nel rapporto di «Rilevazione sulle forze di lavoro», in Italia gli occupati sono 23.349.000, un numero che segna una sostanziale interruzione della crescita su base annua, appena lo 0,1 per cento, pari a 24.000 unità. Il risultato è frutto di una media tra Nord, Centro e Sud e la crescita (minima) è data soprattutto dal lavoro straniero al Nord, mentre al Sud si registra una decrescita pesante dell'1,9 per cento, pari a -126.000 unità. Il tasso di occupazione della popolazione tra 15 e 64 anni è sceso di tre decimi rispetto al 2007, attestandosi al 58,5 per cento: vale a dire solo un italiano su due in età da lavoro conserva attualmente il posto;
il calo dell'occupazione nell'ultimo trimestre del 2008 si manifesta, soprattutto, nel lavoro non dipendente: -2,7 per cento, pari a -162.000 lavoratori. La crisi dell'industria in senso stretto riguarda maggiormente i dipendenti del Nord-Ovest (-1,3 per cento, -64.000 unità), ma anche quelli del Mezzogiorno. Il dato più preoccupante nel Sud riguarda il settore delle costruzioni: a fronte di una nuova riduzione dei dipendenti del 3 per cento, che equivale a 15.000 posti di lavoro in meno; il dato allarmante è costituito anche dalla contrazione del 9,4 per cento degli indipendenti, piccoli artigiani attivi nel settore dell'immobiliare, pari a 17.000 unità in meno;
la componente di genere fa registrare una particolare criticità nel Sud, dove il tasso di inattività delle donne residenti raggiunge il 62,8 per cento. I problemi sociali, culturali, di gestione delle risorse si sommano nel Sud in una miscela esplosiva;
le stime aggiornate al 2006 e al 2007 dell'Istat, sul numero di occupati residenti e sulle persone in cerca di occupazione per sistema locale del lavoro, rilevano che ampie zone del Mezzogiorno sono state investite da una riduzione complessiva della forza lavoro. I sistemi locali di Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna risultano i più colpiti, con un tasso di disoccupazione riferito al 2007 che le posiziona ai livelli più alti rispetto al resto del Paese;
è ormai evidente come tutti gli indicatori siano peggiorati al Sud, più che nel resto del Paese, compreso un incremento significativo del tasso di inattività (2,3 per cento, pari a 149.000 persone in più rispetto al 2007, che non cercano un'occupazione perché sono convinti di

non trovarla o rimangono in attesa), amplificando la valenza negativa degli altri indicatori economici;
in questo particolare momento storico-economico, diventa cruciale non solo superare la diversa velocità fra Nord e Sud, ma anche valorizzare pienamente le tante possibilità di crescita del Meridione, messe a dura prova dagli effetti della recessione, in particolar modo in settori esposti alla concorrenza internazionale;
è concreto il rischio, inoltre, che la crisi travolga le piccole e medie imprese meridionali, impegnate nei seppur difficoltosi processi di riconversione;
il disagio delle imprese meridionali è reso ancor più palese dal contesto in cui operano, caratterizzato da arretramento delle strutture tecnologiche, da una diffusa economia sommersa e dalla presenza della criminalità organizzata e mafiosa, che tenta di penetrare ed inquinare l'intero tessuto dell'economia meridionale;
occorrono azioni mirate a destinare le risorse necessarie all'innovazione e all'attività di ricerca e sviluppo pubblica in generale e del sistema delle piccole e medie imprese nello specifico;
è necessario aggredire la crisi e lavorare sul lungo periodo, al fine di avviare un processo strutturale di rilancio dell'economia e di modifica delle condizioni dell'apparato industriale, per sanare il divario con il resto del Paese;
poiché nella strategia di sviluppo economico-sociale del Mezzogiorno la valorizzazione del capitale umano rappresenta da sempre un aspetto centrale, diventa imprescindibile rafforzare l'offerta di formazione, in modo da legarla maggiormente ai processi di sviluppo e finalizzarla alla creazione di un'occupazione stabile;
il libro bianco sul futuro del modello sociale intitolato «la vita buona nella società attiva», presentato dal Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, evidenzia, ancora una volta, la profonda divisione tra Nord e Sud nei livelli di quantità e qualità delle prestazioni sociali come nei tassi di attività della sua popolazione, rendendo, pertanto, inevitabili interventi in grado di sanare queste difformità nel lungo periodo e percorsi virtuosi di protezione sociale idonei a garantirne, in termini di crescita e di sviluppo, la piena sostenibilità;
non servono interventi una tantum circoscritti nel tempo;
le prospettive di rilancio del Mezzogiorno, inoltre, trovano un valido fondamento nella politica continentale volta a creare un polo di sviluppo mediterraneo in grado di competere con una propria specificità nel mercato globale, configurando in una nuova posizione di centralità l'intero Meridione, anche nell'ottica del nuovo ciclo (2008-2010) della strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e l'occupazione,

impegna il Governo:

a prevedere adeguati finanziamenti finalizzati alla realizzazione di politiche innovative di formazione e di lavoro, in grado di dare alle giovani generazioni del Sud maggiori e migliori possibilità occupazionali, permettendo così all'intero Paese di progredire attraverso la trasformazione del Mezzogiorno d'Italia in una grande realtà produttiva capace di valorizzare le opportunità offerte dal proprio territorio;
a promuovere un piano di concertazione con le regioni su interventi di sostegno straordinari dell'occupazione e a finanziare interventi orientati non solo alla domanda, ma alla riorganizzazione dell'offerta produttiva, in direzione della strutturazione e del consolidamento delle piccole e medie imprese del Sud e del miglioramento della qualità del lavoro e delle produzioni;
ad attuare ogni utile intervento legislativo, atto a rendere più agevole l'assunzione di lavoratori temporanei, aumentando al contempo le garanzie per i periodi di non occupazione, attraverso l'utilizzo

delle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate ancora riferibili al periodo di programmazione 2007-2013, assegnate al fondo sociale per l'occupazione e la formazione e ai programmi regionali e interregionali del Mezzogiorno;
a vigilare e garantire l'attuazione dei piani varati dalle regioni per fronteggiare l'emergenza occupazionale, che prevedono, in gran parte nel Meridione, misure per ridurre la disoccupazione e per incentivare l'impiego delle cosiddette fasce deboli (le donne in primis).
(1-00170)
«Vietti, Occhiuto, Tassone, Pezzotta, Poli, Delfino, Compagnon, Cera, Nunzio Francesco Testa, Volontè, Ruvolo, Drago, Naro, Romano, Mannino».

La Camera,
premesso che:
il Governo ha approvato il libro bianco proposto dal Ministro Maurizio Sacconi, nel quale le nuove politiche del lavoro si intrecciano con una visione innovativa delle politiche sociali. Il libro bianco costituirà il quadro di riferimento per le riforme sociali che verranno adottate nel corso della XVI legislatura;
dieci anni di riforme del mercato del lavoro - anche se non hanno sciolto il nodo di una più moderna regolazione della risoluzione individuale del rapporto di lavoro - non sono passati inutilmente e hanno iniziato a raccogliere i primi risultati. Dal 1997 sono stati creati più di tre milioni di posti di lavoro, due terzi dei quali rappresentati da contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato. Dal 1995 al 2008 gli occupati sono aumentati del 17 per cento (erano 23,367 milioni alla fine del 2008, contro poco meno di 20 milioni all'inizio del 1995, dopo la precedente recessione). La modesta crescita delle retribuzioni reali (al netto dell'inflazione) e la maggiore flessibilità del mercato (facilità d'assunzione e d'interruzione del rapporto), assicurata da numerose leggi di riforma, hanno reso più conveniente per le imprese l'utilizzo del lavoro, nonostante una crescita economica molto contenuta. Anche il tasso di disoccupazione si è molto ridotto: da più dell'11 per cento del 2005 al 6,7 per cento del 2008;
il tasso di occupazione, così decisivo per la sostenibilità del sistema di welfare e il radicamento di una società attiva, si è lentamente avvicinato alla media europea, crescendo di quasi 10 punti percentuali. È aumentato sensibilmente il numero di donne presenti nel mercato del lavoro;
per quanto riguarda il carattere dell'occupazione (e quindi la polemica sul cosiddetto «precariato») dal 1997 (anno del cosiddetto «pacchetto Treu») al 2006 (la cosiddetta «legge Biagi» è del 2003), quella a tempo pieno è aumentata di ben 2 milioni; quella a tempo parziale di 600 mila circa (il che non è un dato negativo se si considera che in Europa, laddove il lavoro a part time è elevato, è alta anche l'occupazione femminile). Va richiamata l'attenzione sul lavoro dipendente, che aumenta di circa 2,4 milioni di unità: 1,8 milioni sono permanenti, mentre l'incremento dei rapporti a termine è stato di 600 mila unità;
grazie alle riforme introdotte si è diffuso - anche se in termini non ancora sufficienti - l'impiego del lavoro a tempo parziale e di quelle forme di lavoro a orario modulato, che, consentendo una migliore conciliazione tra tempo di lavoro remunerato e lavoro di cura, offrono opportunità di inclusione sociale a persone altrimenti escluse dal mercato di lavoro;
rimane, tuttavia, ancora insufficiente il livello complessivo di valorizzazione del capitale umano, con particolare riferimento a Mezzogiorno e occupazione femminile. Tuttavia, negli ultimi 15 anni, secondo l'Istat, il tasso d'occupazione femminile (la percentuale delle donne che lavorano) è salito dal 37,8 al 47,2 per cento, mentre per gli uomini nello stesso periodo è passato dal 68,3 al 70,3 per cento. Quasi 2 milioni di donne in più hanno trovato un impiego, sebbene i servizi

sociali forniti dallo Stato per facilitare l'occupazione femminile (gli asili nido e le scuole materne in particolare) non abbiano compiuto adeguati progressi nello stesso periodo. Ha giovato, soprattutto, la diffusione del lavoro a tempo parziale. Dal 1993 a oggi le lavoratrici dipendenti part time sono più che raddoppiate, passando da poco più di 1 milione a 2,12 milioni: dal 19 al 28 per cento del totale delle donne, con un'occupazione dipendente;
un fenomeno che non ha toccato la componente maschile delle forze di lavoro. Sono, invece, aumentati i lavoratori dipendenti, soprattutto quelli a termine e i collaboratori coordinati e continuativi a progetto, che ormai sono ben 2,3 milioni, il 10 per cento degli occupati totali e il 13,2 per cento di quelli dipendenti. Per quanto riguarda il lavoro a termine, tuttavia, il raffronto internazionale disponibile per tutti i Paesi vede l'Italia posizionata al 12,3 per cento di rapporti a tempo determinato sul totale del lavoro dipendente, contro una media europea del 14,3 per cento (Germania 14,2 per cento, Francia 13,5 per cento, Regno Unito 5,7 per cento);
negli ultimi 15 anni, secondo l'Istat, il numero dei giovani «attivi» (che lavorano o cercano un lavoro) è passato da 3,45 a 1,87 milioni. Il tasso di attività è sceso di 11 punti. Gli occupati sono scesi di 1 milione, passando da 2,5 milioni a meno di 1,5 milioni. Su questi dati incidono sicuramente i trend demografici che hanno fortemente contratto la popolazione delle coorti giovanili, ma la disoccupazione dei giovani è oggi pari al 23,9 per cento in Italia e al 36,8 per cento nel Mezzogiorno;
i giovani entrano tardi e male - e cioè in età avanzata rispetto ai coetanei europei e con conoscenze poco spendibili - nel mercato del lavoro, con la conseguenza di un frequente intrappolamento ai margini di esso e con lavori di bassa qualità;
le donne sono spesso costrette a percorsi discontinui per le persistenti difficoltà di conciliazione del tempo di lavoro con le cure domestiche. Subiscono discriminazioni nella carriera, nell'accesso al lavoro e nella retribuzione;
la fascia d'età che va dai 25 ai 54 anni ha fatto segnare un forte incremento (5 per cento) sia del tasso di attività, sia del tasso di occupazione. Quella che va dai 55 ai 64 anni ha invertito la tendenza, grazie alle politiche mirate a posticipare il pensionamento;
un lavoratore su quattro è autonomo. Il numero è rimasto stabile, intorno a 6 milioni, ma la percentuale (25 per cento) non ha confronti negli altri Paesi (10 per cento medio) ed è questo un punto di forza del mercato del lavoro, anche se nel suo ambito esistono aree di sostanziale sottoccupazione;
i lavoratori - e ancor più le lavoratrici - in età avanzata sono spesso indotti a un abbandono precoce del lavoro regolare, anche in conseguenza della struttura rigida della retribuzione. Nel complesso, è diffusamente assente l'opportunità di percorsi di continuo apprendimento, a causa delle caratteristiche autoreferenziali dell'offerta formativa e dell'insufficiente valorizzazione dell'impresa, quale luogo più idoneo all'aggiornamento delle competenze;
anche dopo le recenti innovazioni apportate dalle leggi Treu e Biagi, è palese l'insofferenza verso un corpo normativo sovrabbondante e ostile, che, pur senza dare vere sicurezze a chi lavora, intralcia inutilmente il dinamismo dei processi produttivi e l'innovazione nell'organizzazione del lavoro;
i lavoratori chiedono maggiori e più incisive tutele. Le imprese reclamano a loro volta un quadro di regole semplici, sostanziali più che formali, accettate e rispettate, in quanto contribuiscano a cementare rapporti fiduciari e collaborativi;
il processo di semplificazione documentale nella gestione dei rapporti di lavoro, avviato nel corso della XVI legislatura, rappresenta un primo passo per liberare il lavoro dal peso, divenuto oramai

insostenibile, di una regolazione di dettaglio che intralcia, in un formalismo giuridico fine a se stesso e fonte di uno smisurato contenzioso, la libertà di azione degli operatori economici, senza portare alcun contributo alla tutela dei lavoratori;
le storiche carenze del mercato del lavoro si combinano con un'insufficiente disponibilità di servizi di accompagnamento al lavoro e con un sistema incompiuto di protezione del reddito dei disoccupati, che necessita periodicamente di interventi straordinari;
le potenzialità del nuovo apprendistato sono molte, ma ancora largamente inespresse. Non solo nella versione tradizionale e di tipo professionalizzante, volta cioè a insegnare un mestiere. Ancor più innovativi e fondamentali, per l'investimento in capitale umano e la produttività del lavoro, sono i contratti di apprendistato, che consentono il conseguimento di un titolo di studio, come nel caso dell'apprendistato per l'esercizio del diritto-dovere di istruzione e formazione, che consente l'acquisizione di una qualifica del secondo ciclo, e come nel caso dell'apprendistato di alta formazione, che è indirizzato sia ai percorsi tecnico-professionali, sia all'acquisizione di un titolo universitario e persino di un dottorato di ricerca;
il futuro occupazionale e previdenziale dei nostri giovani - è affermato nel libro bianco - si costruisce lavorando sulla qualità del sistema educativo e sul quel gioco di anticipo, che consenta, attraverso un effettivo raccordo tra scuola e impresa, un tempestivo ingresso nel mercato del lavoro. Sensibilizzando il sistema produttivo sulla valenza culturale e di prospettiva dell'accettazione delle generazioni in fase di apprendimento all'interno della proprie strutture, per valorizzare al massimo la capacità formativa della impresa, sino a oggi sottovalutata da tutti gli attori del mercato;
con le recenti riforme il quadro normativo si è collocato in questa direzione. Ma le molte previsioni di legge in materia sono rimaste disattese nella prassi operativa per il radicamento di una concezione assai vecchia dei modelli educativi e formativi. Una concezione lontana dalle logiche dei nuovi sistemi di produzione e organizzazione del lavoro, che porta ancora a vedere nella scuola e nel lavoro due mondi inesorabilmente separati;
il quadro occupazionale è cambiato ed è destinato a presentare seri problemi nel 2009 e nel 2010, in conseguenza delle dimensioni della caduta del prodotto interno lordo e della velocità della ripresa e dell'insorgere di nuovi inattesi gravi eventi, come il terremoto in Abruzzo;
è in tale complesso contesto che il Governo ha dovuto scegliere di rinviare la riforma degli ammortizzatori sociali e di predisporre, con l'essenziale aiuto delle regioni, un'imponente massa di risorse straordinarie (9 miliardi in un biennio) per il finanziamento della cassa integrazione cosiddetta «in deroga», perché rivolta ai settori che ne sono privi. Una decisione che ha consentito di estenderne la copertura e che si è rivelata opportuna, alla prova dei fatti, perché ha dato alle imprese - nella fase peggiore - la possibilità di prendere tempo, senza assumere decisioni irrevocabili come i licenziamenti (è bene ricordare, invece, che durante la permanenza in cassa integrazione prosegue il rapporto di lavoro);
a questa linea di condotta l'opposizione ha contrapposto il rafforzamento e l'estensione dell'indennità di disoccupazione, da realizzare anche mediante l'utilizzo di gran parte delle risorse che il Governo aveva destinato alla cassa integrazione in deroga, senza porsi il problema di quale sarebbe stato il segnale pratico che un provvedimento siffatto avrebbe inviato al sistema delle imprese;
se nessuno è stato lasciato solo di fronte alla crisi, i recenti provvedimenti sui settori che producono beni durevoli hanno messo in condizione l'economia italiana di arrestare la spirale recessiva e di prepararsi, in un quadro coerente sul piano internazionale, ad invertire il ciclo.

L'operazione in cui è impegnata la Fiat sul piano internazionale apre delle importanti prospettive per il «sistema Italia» e determina un più sicuro quadro di riferimento anche per gli stabilimenti dislocati nel Mezzogiorno, che possono meglio utilizzare le loro potenzialità, prendendo parte ad un processo di sviluppo e di internazionalizzazione, anziché rinchiudersi in un mercato nazionale ed europeo, forzatamente angusto per un'impresa che si candida ad essere uno dei primi produttori al mondo (che è poi la condizione necessaria per affrontare la complessità dei problemi del futuro);
la conferma e l'attuazione del piano per le infrastrutture, unitamente ai progetti e agli interventi per la ricostruzione delle aree terremotate dell'Abruzzo e all'attuazione di un piano per la costruzione di una moderna rete di smaltimento dei rifiuti, possono diventare, in breve tempo, un volano per il riscatto del Mezzogiorno,

impegna il Governo:

ad assumere la ricostruzione dell'Abruzzo come una sfida, un'occasione di sviluppo e di trasformazione produttiva non solo dell'economia di quella regione, ma di tutto il tessuto meridionale;
ad avviare il piano di opere pubbliche e di infrastrutture a cui il Governo ha affidato un ruolo decisivo per la ripresa economica del Paese, in particolare delle aree meridionali (con riguardo alle opere pubbliche previste in quei territori, a partire dal ponte sullo Stretto di Messina);
a promuovere, insieme alle regioni e agli enti locali delegati e agli operatori pubblici e privati del settore, in un contesto di massima trasparenza, piani di formazione professionale e di avviamento al lavoro, con il contributo delle università, allo scopo di determinare le condizioni affinché l'offerta di lavoro sia qualificata ed adeguata a far fronte alla domanda di lavoro, dando priorità all'apprendimento diretto all'interno delle aziende;
a realizzare nel Mezzogiorno, d'intesa con le regioni e gli enti locali, un progetto per fare impresa - per lo sviluppo, in un triennio, di 50 mila iniziative imprenditoriali, prioritariamente nei settori del turismo, dei servizi alla persona, dell'hi-tech, del privato sociale, che abbiano come principali protagonisti i disoccupati di lunga durata e che coinvolgano le associazioni imprenditoriali e il mondo cooperativo, finanziate in parte con le risorse degli ammortizzatori sociali, in parte con altre risorse reperibili a livello locale;
a bandire e a svolgere i concorsi nelle pubbliche amministrazioni per la stabilizzazione del personale assunto a termine secondo le indicazioni e gli indirizzi dettati dal ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione, in base ai dati risultanti dal monitoraggio compiuto in proposito;
ad aprire a operatori privati polifunzionali, che agiscono in regime di autorizzazione o accreditamento e in cooperazione con i servizi pubblici del lavoro, allo scopo di ampliare la rete degli sportelli in grado di offrire formazione, orientamento, accompagnamento nel mercato del lavoro regolare, coinvolgendo le università nel predisporre servizi di certificazione;
a sviluppare, nelle aree più svantaggiate del Sud, intese tra le parti sociali, secondo quanto prevede l'accordo quadro sulle relazioni industriali e attenendosi strettamente alle garanzie da esso richieste (poi confermate dall'accordo interconfederale del 15 aprile 2009), per il governo delle situazioni di crisi e per lo sviluppo economico ed occupazionale del territorio, anche attraverso la modifica, in tutto o in parte, pure in via sperimentale e temporanea, di singoli istituti economici o normativi disciplinati dai contratti collettivi nazionali.
(1-00171)
«Cicchitto, Bocchino, Cazzola, Baldelli, Stracquadanio».

NUOVA FORMULAZIONE

La Camera,
premesso che:
il Governo ha approvato il libro bianco proposto dal Ministro Maurizio Sacconi, nel quale le nuove politiche del lavoro si intrecciano con una visione innovativa delle politiche sociali. Il libro bianco costituirà il quadro di riferimento per le riforme sociali che verranno adottate nel corso della XVI legislatura;
dieci anni di riforme del mercato del lavoro - anche se non hanno sciolto il nodo di una più moderna regolazione della risoluzione individuale del rapporto di lavoro - non sono passati inutilmente e hanno iniziato a raccogliere i primi risultati. Dal 1997 sono stati creati più di tre milioni di posti di lavoro, due terzi dei quali rappresentati da contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato. Dal 1995 al 2008 gli occupati sono aumentati del 17 per cento (erano 23,367 milioni alla fine del 2008, contro poco meno di 20 milioni all'inizio del 1995, dopo la precedente recessione). La modesta crescita delle retribuzioni reali (al netto dell'inflazione) e la maggiore flessibilità del mercato (facilità d'assunzione e d'interruzione del rapporto), assicurata da numerose leggi di riforma, hanno reso più conveniente per le imprese l'utilizzo del lavoro, nonostante una crescita economica molto contenuta. Anche il tasso di disoccupazione si è molto ridotto: da più dell'11 per cento del 2005 al 6,7 per cento del 2008;
il tasso di occupazione, così decisivo per la sostenibilità del sistema di welfare e il radicamento di una società attiva, si è lentamente avvicinato alla media europea, crescendo di quasi 10 punti percentuali. È aumentato sensibilmente il numero di donne presenti nel mercato del lavoro;
per quanto riguarda il carattere dell'occupazione (e quindi la polemica sul cosiddetto «precariato») dal 1997 (anno del cosiddetto «pacchetto Treu») al 2006 (la cosiddetta «legge Biagi», è del 2003), quella a tempo pieno è aumentata di ben 2 milioni; quella a tempo parziale di 600 mila circa (il che non è un dato negativo se si considera che in Europa, laddove il lavoro a part time è elevato, è alta anche l'occupazione femminile). Va richiamata l'attenzione sul lavoro dipendente, che aumenta di circa 2,4 milioni di unità: 1,8 milioni sono permanenti, mentre l'incremento dei rapporti a termine è stato di 600 mila unità;
grazie alle riforme introdotte si è diffuso - anche se in termini non ancora sufficienti - l'impiego del lavoro a tempo parziale e di quelle forme di lavoro a orario modulato, che, consentendo una migliore conciliazione tra tempo di lavoro remunerato e lavoro di cura, offrono opportunità di inclusione sociale a persone altrimenti escluse dal mercato di lavoro;
rimane, tuttavia, ancora insufficiente il livello complessivo di valorizzazione del capitale umano, con particolare riferimento a Mezzogiorno e occupazione femminile. Tuttavia, negli ultimi 15 anni, secondo l'Istat, il tasso d'occupazione femminile (la percentuale delle donne che lavorano) è salito dal 37,8 al 47,2 per cento, mentre per gli uomini nello stesso periodo è passato dal 68,3 al 70,3 per cento. Quasi 2 milioni di donne in più hanno trovato un impiego, sebbene i servizi sociali forniti dallo Stato per facilitare l'occupazione femminile (gli asili nido e le scuole materne in particolare) non abbiano compiuto adeguati progressi nello stesso periodo. Ha giovato, soprattutto, la diffusione del lavoro a tempo parziale. Dal 1993 a oggi le lavoratrici dipendenti part time sono più che raddoppiate, passando da poco più di 1 milione a 2,12 milioni: dal 19 al 28 per cento del totale delle donne, con un'occupazione dipendente;
un fenomeno che non ha toccato la componente maschile delle forze di lavoro. Sono, invece, aumentati i lavoratori dipendenti, soprattutto quelli a termine e i collaboratori coordinati e continuativi a progetto, che ormai sono ben 2,3 milioni, il 10 per cento degli occupati totali e il 13,2 per cento di quelli dipendenti. Per quanto riguarda il lavoro a termine, tuttavia, il raffronto internazionale disponibile per tutti i Paesi vede l'Italia posizionata al 12,3 per cento di rapporti a tempo determinato sul totale del lavoro dipendente, contro una media europea del 14,3 per cento (Germania 14,2 per cento, Francia 13,5 per cento, Regno Unito 5,7 per cento);
negli ultimi 15 anni, secondo l'Istat, il numero dei giovani «attivi» (che lavorano o cercano un lavoro) è passato da 3,45 a 1,87 milioni. Il tasso di attività è sceso di 11 punti. Gli occupati sono scesi di 1 milione, passando da 2,5 milioni a meno di 1,5 milioni. Su questi dati incidono sicuramente i trend demografici che hanno fortemente contratto la popolazione delle coorti giovanili, ma la disoccupazione dei giovani è oggi pari al 23,9 per cento in Italia e al 36,8 per cento nel Mezzogiorno;
i giovani entrano tardi e male - e cioè in età avanzata rispetto ai coetanei europei e con conoscenze poco spendibili - nel mercato del lavoro, con la conseguenza di un frequente intrappolamento ai margini di esso e con lavori di bassa qualità;
le donne sono spesso costrette a percorsi discontinui per le persistenti difficoltà di conciliazione del tempo di lavoro con le cure domestiche. Subiscono discriminazioni nella carriera, nell'accesso al lavoro e nella retribuzione;
la fascia d'età che va dai 25 ai 54 anni ha fatto segnare un forte incremento (5 per cento) sia del tasso di attività, sia del tasso di occupazione. Quella che va dai 55 ai 64 anni ha invertito la tendenza, grazie alle politiche mirate a posticipare il pensionamento;
un lavoratore su quattro è autonomo. Il numero è rimasto stabile, intorno a 6 milioni, ma la percentuale (25 per cento) non ha confronti negli altri Paesi (10 per cento medio) ed è questo un punto di forza del mercato del lavoro, anche se nel suo ambito esistono aree di sostanziale sottoccupazione;
i lavoratori - e ancor più le lavoratrici - in età avanzata sono spesso indotti a un abbandono precoce del lavoro regolare, anche in conseguenza della struttura rigida della retribuzione. Nel complesso, è diffusamente assente l'opportunità di percorsi di continuo apprendimento, a causa delle caratteristiche autoreferenziali dell'offerta formativa e dell'insufficiente valorizzazione dell'impresa, quale luogo più idoneo all'aggiornamento delle competenze;
anche dopo le recenti innovazioni apportate dalle leggi Treu e Biagi, è palese l'insofferenza verso un corpo normativo sovrabbondante e ostile, che, pur senza dare vere sicurezze a chi lavora, intralcia inutilmente il dinamismo dei processi produttivi e l'innovazione nell'organizzazione del lavoro;
i lavoratori chiedono maggiori e più incisive tutele. Le imprese reclamano a loro volta un quadro di regole semplici, sostanziali più che formali, accettate e rispettate, in quanto contribuiscano a cementare rapporti fiduciari e collaborativi;
il processo di semplificazione documentale nella gestione dei rapporti di lavoro, avviato nel corso della XVI legislatura, rappresenta un primo passo per liberare il lavoro dal peso, divenuto oramai insostenibile, di una regolazione di dettaglio che intralcia, in un formalismo giuridico fine a se stesso e fonte di uno smisurato contenzioso, la libertà di azione degli operatori economici, senza portare alcun contributo alla tutela dei lavoratori;
le storiche carenze del mercato del lavoro si combinano con un'insufficiente disponibilità di servizi di accompagnamento al lavoro e con un sistema incompiuto di protezione del reddito dei disoccupati, che necessita periodicamente di interventi straordinari;
le potenzialità del nuovo apprendistato sono molte, ma ancora largamente inespresse. Non solo nella versione tradizionale e di tipo professionalizzante, volta cioè a insegnare un mestiere. Ancor più innovativi e fondamentali, per l'investimento in capitale umano e la produttività del lavoro, sono i contratti di apprendistato, che consentono il conseguimento di un titolo di studio, come nel caso dell'apprendistato per l'esercizio del diritto-dovere di istruzione e formazione, che consente l'acquisizione di una qualifica del secondo ciclo, e come nel caso dell'apprendistato di alta formazione, che è indirizzato sia ai percorsi tecnico-professionali, sia all'acquisizione di un titolo universitario e persino di un dottorato di ricerca;
il futuro occupazionale e previdenziale dei nostri giovani - è affermato nel libro bianco - si costruisce lavorando sulla qualità del sistema educativo e sul quel gioco di anticipo, che consenta, attraverso un effettivo raccordo tra scuola e impresa, un tempestivo ingresso nel mercato del lavoro. Sensibilizzando il sistema produttivo sulla valenza culturale e di prospettiva dell'accettazione delle generazioni in fase di apprendimento all'interno della proprie strutture, per valorizzare al massimo la capacità formativa della impresa, sino a oggi sottovalutata da tutti gli attori del mercato;
con le recenti riforme il quadro normativa si è collocato in questa direzione. Ma le molte previsioni di legge in materia sono rimaste disattese nella prassi operativa per il radicamento di una concezione assai vecchia dei modelli educativi e formativi. Una concezione lontana dalle logiche dei nuovi sistemi di produzione e organizzazione del lavoro, che porta ancora a vedere nella scuola e nel lavoro due mondi inesorabilmente separati;
il quadro occupazionale è cambiato ed è destinato a presentare seri problemi nel 2009 e nel 2010, in conseguenza delle dimensioni della caduta del prodotto interno lordo e della velocità della ripresa e dell'insorgere di nuovi inattesi gravi eventi, come il terremoto in Abruzzo;
è in tale complesso contesto che il Governo ha dovuto scegliere di rinviare la riforma degli ammortizzatori sociali e di predisporre, con l'essenziale aiuto delle regioni, un'imponente massa di risorse straordinarie (9 miliardi in un biennio) per il finanziamento della cassa integrazione cosiddetta «in deroga», perché rivolta ai settori che ne sono privi. Una decisione che ha consentito di estenderne la copertura e che si è rivelata opportuna, alla prova dei fatti, perché ha dato alle imprese - nella fase peggiore - la possibilità di prendere tempo, senza assumere decisioni irrevocabili come i licenziamenti (è bene ricordare, invece, che durante la permanenza in cassa integrazione prosegue il rapporto di lavoro);
a questa linea di condotta l'opposizione ha contrapposto il rafforzamento e l'estensione dell'indennità di disoccupazione, da realizzare anche mediante l'utilizzo di gran parte delle risorse che il Governo aveva destinato alla cassa integrazione in deroga, senza porsi il problema di quale sarebbe stato il segnale pratico che un provvedimento siffatto avrebbe inviato al sistema delle imprese;
se nessuno è stato lasciato solo di fronte alla crisi, i recenti provvedimenti sui settori che producono beni durevoli hanno messo in condizione l'economia italiana di arrestare la spirale recessiva e di prepararsi, in un quadro coerente sul piano internazionale, ad invertire il ciclo. L'operazione in cui è impegnata la Fiat sul piano internazionale apre delle importanti prospettive per il «sistema Italia», e determina un più sicuro quadro di riferimento anche per gli stabilimenti dislocati nel Mezzogiorno, che possono meglio utilizzare le loro potenzialità, prendendo parte ad un processo di sviluppo e di internazionalizzazione, anziché rinchiudersi in un mercato nazionale ed europeo, forzatamente angusto per un'impresa che si candida ad essere uno dei primi produttori al mondo (che è poi la condizione necessaria per affrontare la complessità dei problemi del futuro);
il contrasto alla disoccupazione si persegue con la promozione dell'incontro fra domanda ed offerta di lavoro, costruendo percorsi personalizzati di formazione, orientamento e accesso al lavoro;
politiche di intervento pubblico di carattere assistenziale per contrastare la disoccupazione nelle regioni meridionali si sono rivelate nel tempo inadeguate a sostenere l'occupabilità delle persone e la creazione di posti di lavoro di qualità e hanno creato sacche di sottoccupazione perennemente assistita, come nel caso di lavoratori socialmente utili;
la conferma e l'attuazione del piano per le infrastrutture, unitamente ai progetti e agli interventi per la ricostruzione delle aree terremotate dell'Abruzzo e all'attuazione di un piano per la costruzione di una moderna rete di smaltimento dei rifiuti, possono diventare, in breve tempo, un volano per il riscatto del Mezzogiorno,

impegna il Governo:

ad assumere la ricostruzione dell'Abruzzo come una sfida, un'occasione di sviluppo e di trasformazione produttiva non solo dell'economia di quella regione, ma di tutto il tessuto meridionale;
ad avviare il piano di opere pubbliche e di infrastrutture a cui il Governo ha affidato un ruolo decisivo per la ripresa economica del Paese, in particolare delle aree meridionali (con riguardo alle opere pubbliche previste in quei territori, a partire dal ponte sullo Stretto di Messina);
a promuovere, insieme alle regioni e agli enti locali delegati e agli operatori pubblici e privati del settore, in un contesto di massima trasparenza, piani di formazione professionale e di avviamento al lavoro, con il contributo delle università, allo scopo di determinare le condizioni affinché l'offerta di lavoro sia qualificata ed adeguata a far fronte alla domanda di lavoro, dando priorità all'apprendimento diretto all'interno delle aziende;
a realizzare nel Mezzogiorno e nelle altre aree svantaggiate, d'intesa con le regioni e gli enti locali, un progetto per «fare impresa» - prioritariamente nei settori del turismo, dei servizi alla persona, dell'hi-tech, del privato sociale - che abbia come principale obiettivo il reinserimento dei disoccupati. Tali iniziative, che devono coinvolgere le associazioni imprenditoriali e il mondo cooperativo, sono finanziate in parte con le risorse degli ammortizzatori sociali, in parte con altre risorse reperibili a livello locale;
ad aprire a operatori privati polifunzionali, che agiscono in regime di autorizzazione o accreditamento e in cooperazione con i servizi pubblici del lavoro, allo scopo di ampliare la rete degli sportelli in grado di offrire formazione, orientamento, accompagnamento nel mercato del lavoro regolare, coinvolgendo le regioni e gli enti locali per facilitare l'incontro fra la domanda e l'offerta di lavoro e le università nel predisporre servizi di certificazione;
a sviluppare, nelle aree più svantaggiate del Sud, intese tra le parti sociali, secondo quanto prevede l'accordo quadro sulle relazioni industriali e attenendosi strettamente alle garanzie da esso richieste (poi confermate dall'accordo interconfederale del 15 aprile 2009), per il governo delle situazioni di crisi e per lo sviluppo economico ed occupazionale del territorio, anche attraverso la modifica, in tutto o in parte, pure in via sperimentale e temporanea, di singoli istituti economici o normativi disciplinati dai contratti collettivi nazionali.
(1-00171)
(Nuova formulazione)«Cicchitto, Cota, Bocchino, Cazzola, Caparini, Baldelli, Fedriga, Stracquadanio, Cosenza».
(11 maggio 2009)

La Camera,
premesso che:
secondo la Svimez, nel quinquennio 1996-2001, le migrazioni interne dal Sud al Centro-Nord hanno prodotto saldi negativi di 100 mila giovani fra i 25 ed i 29 anni e di 88 mila fra i 20 ed i 24 anni. Cinquant'anni dopo la grande emigrazione di massa degli anni '50-'60, il Mezzogiorno si ritrova al punto di partenza;
le politiche comunitarie e pubbliche non hanno prodotto risultati apprezzabili. Il divario del Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord rimane ampio e peggiora la posizione relativa del Mezzogiorno in Europa, per la maggiore velocità di crescita delle altre regioni europee in ritardo di sviluppo;
è grave il ritardo di produttività del Mezzogiorno: la distanza dalla «media Paese» rimane superiore a 30 punti percentuali. I dati sulla produttività e sulla qualità del radicamento sul territorio delle imprese evidenziano una criticità per il Mezzogiorno, in difficoltà nel promuovere processi di sviluppo persistenti, guidati da fattori endogeni;
nel Mezzogiorno i tassi di disoccupazione si sono ridotti, ma con essi anche i tassi di attività. Aumentano gli inoccupati. In alcune regioni cresce un mercato del lavoro parallelo, che soppianta il mercato legale;
nel Mezzogiorno aumenta il numero dei laureati, ma sono poco ricercati dalle imprese e hanno difficoltà a trovare occupazione. Il Mezzogiorno registra una maggior prevalenza di occupati fermi al livello dell'istruzione dell'obbligo, le cui famiglie sono esposte al rischio povertà;
desta preoccupazione, per il Mezzogiorno, la compresenza di bassa occupazione, saldi migratori netti negativi e bassi tassi di natalità;
si sono invertite le tendenze demografiche iniziate negli anni '70. Nel Mezzogiorno la popolazione ha cominciato a diminuire, mentre è aumentata nel Centro-Nord. A questo andamento concorrono sia i flussi migratori sia i tassi di natalità. Nelle aree del Paese dove i servizi per l'infanzia e di supporto alle famiglie sono più sviluppati, si registra una correlazione positiva tra tasso di occupazione femminile e tasso dì natalità;
i giovani con meno di 30 anni nelle regioni meridionali registrano un tasso di disoccupazione del 19,8 per cento;
nel 2007, gli inattivi, che non studiano e non cercano lavoro, sono concentrati al 66 per cento nel Mezzogiorno. Di questi, il 42 per cento è donna;
il tasso d'attività del Mezzogiorno è fermo da 12 anni poco al di sopra del 52 per cento, con una punta del 57 per cento nel 2002 e con un andamento fortemente decrescente, dal 55,6 per cento del 2002 al 52,4 del 2007. Nello stesso periodo, il tasso d'attività a livello di Paese è cresciuto dal 58 per cento del 1995 al 63 per cento del 2007 e quello del Nord Est è passato dal 64 al 70 per cento. I dati del primo trimestre del 2008 segnalano per il Mezzogiorno un'ulteriore diminuzione del tasso di attività;
nel Mezzogiorno la quota di lavoro irregolare è del 19,6 per cento contro il 12,1 per cento del Paese nel suo complesso. Sulla consistenza di questa area grigia pesa l'assenza di servizi adeguati, pubblici e privati, per la ricerca del primo impiego e il reimpiego e la diffusione di meccanismi di reclutamento e di collocamento gestiti da reti informali e clientelari;
le persone di età compresa tra i 15 ed i 34 anni in cerca di prima occupazione nel Mezzogiorno sono pari al 56,2 per cento del totale nazionale; le donne il 51,9 per cento del totale nazionale - dato probabilmente sottovalutato in quanto molte ragazze rinunciano alla ricerca di un'occupazione uscendo dal mercato del lavoro. Per capire la gravità di questi dati bisogna considerare che la popolazione delle otto regioni meridionali rappresenta solo il 35 per cento del totale della popolazione nazionale;

il tasso di occupazione dei laureati fino ai 24 anni di età è del 43 per cento al Sud contro quasi il 76 per cento del Centro-Nord, mentre la percentuale di disoccupati sotto i 29 anni nel Mezzogiorno è tre volte maggiore che al Centro-Nord: 27 per cento contro 8 per cento;
nel Mezzogiorno la percentuale di occupati laureati (15,4 per cento) è inferiore di poco meno di un punto percentuale rispetto al Centro-Nord (16,3 per cento), mentre i diplomati sono meno numerosi di circa 7 punti percentuali rispetto al Centro-Nord (40,2 contro 47 per cento);
in ogni caso, il possesso di un diploma o di una laurea non sembra aiutare la ricerca di un lavoro, in quanto i giovani meridionali disoccupati con questi titoli di studio rappresentano il 58,6 per cento del totale nazionale dei disoccupati diplomati o laureati;
il più basso livello di capitale umano nel Mezzogiorno ha un impatto negativo in termini di produttività;
tra il 2001 e il 2006, il Mezzogiorno ha fatto registrare il tasso di crescita maggiore della popolazione laureata: 44,4 per cento, contro il 35,9 del Nord e il 33,5 del Centro. Nel 2006, il tasso di occupazione dei laureati del Mezzogiorno è stato del 72,6 per cento, con un divario di -5,6 punti percentuali rispetto alla media del Paese. Particolarmente negativo è il differenziale del tasso d'occupazione nella fascia d'età dai 25 ai 34 anni, -15 punti percentuali, probabilmente a causa della bassa domanda di neo laureati da parte delle imprese;
la difficoltà d'ingresso nel mercato del lavoro è confermata dai dati sugli inoccupati di lunga durata, in cerca di prima occupazione da 12 mesi e oltre. Il 75 per cento degli inoccupati di lunga durata risiede nel Mezzogiorno, con numeri particolarmente elevati in Campania (76 mila), Sicilia (71 mila) e in Puglia (55 mila);
uno studio recente sulla condizione dei giovani meridionali effettuato dalla Svimez ha confermato come donne e giovani restano nel Sud confinati ai margini del mercato del lavoro;
l'analisi, basata su una rielaborazione degli ultimi dati Istat, ha certificato che gli uomini sono più avvantaggiati delle donne a trovare lavoro. Una laurea aiuta più di un diploma a trovare un lavoro, mentre la professione e il titolo di studio del capofamiglia pesano fortemente sulla condizione professionale dei figli, segno di un forte immobilismo sociale;
l'attuale crisi economica colpisce in maniera pesante il Mezzogiorno, come dimostrano, ad esempio, le difficoltà dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco, la crisi del tessile in Molise e nel Salento, la crisi dei distretti del mobile della Murgia e del salotto, a partire dalla Natuzzi, per non citare l'industria in Campania o il comparto delle costruzioni;
i dati della cassa integrazione guadagni ordinaria, che rilevano un aumento più intenso nelle regioni del Centro-Nord, non deve ingannare: molte delle realtà produttive meridionali, anche a volere prescindere dalla larga diffusione del lavoro sommerso, non possono utilizzare tale ammortizzatore sociale;
nel Mezzogiorno, a fine 2008, prima che la crisi attuale si manifestasse in tutta la sua incidenza, l'occupazione si era ridotta di 126 mila unità rispetto al 2007, mentre nel medesimo periodo e nel Centro-Nord, pur rallentando, l'occupazione era aumentata di 150 mila unità;
per inquadrare meglio la situazione occupazionale del Meridione, basti pensare che in Campania ed in Sicilia, per citare due delle regioni più popolose del Sud, lavora poco più del 40 per cento della popolazione in età da lavoro (mentre nel 2004 era il 45 per cento) e le donne che lavorano sono meno di 3 su 10;
l'asimmetria nelle tutele assicurate da ammortizzatori sociali lacunosi e squilibrati incide, dunque, nel Mezzogiorno su

un mercato del lavoro già gravato da elevata disoccupazione, mentre servirebbe un sistema di tutela universale, valido su tutto il territorio nazionale, in grado di sostenere il reddito di chi perde il lavoro di qualsiasi tipologia esso sia;
nel Sud alle difficoltà congiunturali si aggiungono le storiche carenze di competitività territoriale, infrastrutturali, amministrative e reddituali, aggravate dall'attuale crisi economica;
il Mezzogiorno soffre, infatti, di una carenza diffusa di dotazioni infrastrutturali, nell'istruzione, nei trasporti, nelle reti energetiche, nella sanità, nel turismo, nella grande distribuzione organizzata, nell'intermediazione finanziaria;
il divario tra Mezzogiorno e resto del Paese ha determinanti profonde, che sembrato proporre una forte dipendenza dallo stato iniziale: bassa qualità della pubblica amministrazione e del tessuto istituzionale e legale, insufficienza delle dotazioni infrastrutturali, esiguità delle economie di agglomerazione geografica;
lo stesso accordo sugli ammortizzatori sociali sottoscritto dalle regioni e dal Governo è stato in larga parte finanziato con risorse destinate al Sud: ben 4 miliardi su gli 8 miliardi previsti sono a carico del fondo per le aree sottoutilizzate (per l'85 per cento dovrebbe essere destinato al Mezzogiorno), mentre 2 miliardi provengono dal fondo sociale europeo. Inoltre, queste risorse servono a finanziare la cassa integrazione in deroga, misura che è di ben poca utilità per la grande maggioranza dei disoccupati meridionali;
complessivamente questo Governo in meno di un anno ha sottratto circa 19 miliardi al Mezzogiorno, infatti: i fondi per le aree sottoutilizzate stornati o ridotti dall'inizio della XVI legislatura sono stati pari a più di 16 miliardi di euro per il periodo 2008-2011: i fondi sono stati utilizzati, tra l'altro, per la crisi dei rifiuti in Campania, il taglio dell'ici per le abitazioni di lusso, per il contenimento della spesa pubblica nell'ambito della manovra di bilancio per il 2009, per il finanziamento del servizio sanitario nazionale, per il comune di Roma, per coprire il deficit del comune di Catania, per le spese relative al G8, per finanziare le misure anticrisi dalla social card al taglio dell'acconto ires e irap ed altro;
ulteriori fondi pari a 3 miliardi sono stati sottratti al Mezzogiorno, fondi destinati allo sviluppo delle isole minori, alla sicurezza dei trasporti nello Stretto di Messina, alle strade calabresi e siciliane, agli incentivi a sostegno delle imprese;
bisogna considerare che il fondo per le aree sottoutilizzate costituisce, dal 2003, lo strumento generale di governo della nuova politica regionale per la realizzazione di interventi in aree particolari del Paese - individuate sulla base dell'articolo 27, comma 16, della legge n. 488 del 1999 - legge finanziaria 2000 - che comprendono: le sei regioni «obiettivo 1» del ciclo di programmazione 2000-2006 (Basilicata, Campania, Calabria, Puglia, Sardegna, Sicilia); la regione Abruzzo; la regione Molise; le aree del Centro-Nord ricadenti nell'«obiettivo 2» e quelle in regime di sostegno transitorio; le zone beneficiarie di aiuti di Stato, ai sensi dell'articolo 87.3.c. del Trattato che istituisce l'Unione europea;
le risorse del fondo per le aree sottoutilizzate sono stabilite ogni anno dalla legge finanziaria e assegnate dal Cipe, al fine di perseguire l'obiettivo del riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese;
con i tagli imposti al fondo per le aree sottoutilizzate, operati senza il consulto delle regioni, con il rischio che non sia più applicabile il quadro strategico nazionale, si finanziano spese di gestione correnti e non politiche addizionali per lo sviluppo, così come previsto dalla destinazione dei fondi. È, di conseguenza, lo spirito stesso per cui era nato il fondo per le aree sottoutilizzate che viene stravolto, con il risultato che al Mezzogiorno vengono sottratti fondi indispensabili allo sviluppo. È importante tenere conto che

anche il fondo per le aree sottoutilizzate destinati a regioni del Sud, che non rientrano nelle specificità previste per i medesimi, debbono essere considerati come fondi sottratti, perché, in questi casi, bisognerebbe utilizzare risorse ordinarie, come normalmente si fa per interventi nel Nord;
è da chiarire come queste finalizzazioni possano essere conciliate con il vincolo di destinare l'85 per cento del fondo per le aree sottoutilizzate al Mezzogiorno;
il risultato di queste scelte è lo smantellamento di quanto programmato nel quadro strategico nazionale 2007-2013 e un forte indebolimento delle risorse disponibili per le politiche regionali di sviluppo, con particolare riferimento al Mezzogiorno;
in qualche modo, questa situazione viene registrata dai dati prodotti dal dipartimento del ministero dello sviluppo economico, basati sui «conti pubblici territoriali»: per ogni 100 euro spesi dalla pubblica amministrazione in conto capitale, meno di 35 euro vanno al Sud;
sembra, dunque, definitivo l'addio agli obiettivi fissati sia dai Governi di centrosinistra che da quelli di centrodestra di una quota riservata al Sud pari al 45 per cento degli investimenti nazionali in infrastrutture e trasferimenti alle imprese;
negli ultimi anni le risorse ordinarie complessive per il Sud erogate dalla pubblica amministrazione sono calate di diversi punti percentuali, riducendosi a circa un quinto di quelle nazionali. Per questo i fondi europei sono stati vieppiù utilizzati anche per compensare la mancata spesa nazionale. C'è stato, dunque, un utilizzo improprio delle risorse comunitarie. A loro volta, le società di servizi pubblici a controllo o partecipazione pubblica, da Ferrovie dello Stato ad Anas ed Enel, hanno a loro volta riorientato i loro investimenti verso il centro-nord;
inoltre, sono stati chiusi i finanziamenti per il credito di imposta sia per gli investimenti delle imprese nel Mezzogiorno che per le assunzioni a tempo indeterminato, nonché le misure a favore dell'imprenditoria giovanile;
la dichiarazione di Barcellona prevedeva, tra l'altro, nell'ambito della prospettiva di estesa e sistematica cooperazione tra i Paesi delle sponde nord e sud del Mediterraneo, l'istituzione di una università del Mediterraneo. Si deve operare affinché le nostre università meridionali siano in grado di svolgere, facendo sistema, questo ruolo, coinvolgendole anche nella progettazione e nella realizzazione di grandi infrastrutture che interessano la regione mediterranea, nonché nelle iniziative a difesa dell'ambiente e nella ricerca di nuove fonti di energia e nella promozione di nuove imprese,

impegna il Governo:

a realizzare un efficace rapporto tra i servizi provinciali per l'impiego, le regioni e le strutture locali e private che operano sul mercato del lavoro, con un'attenzione forte alle persone più svantaggiate ed alle aree interne e con la promozione di servizi ed assistenza tecnica in grado di consentire ad ogni territorio di avere strutture di qualità e funzionanti;
ad attuare servizi pubblici che sappiano creare sinergie con la scuola, le strutture private ed i servizi delle organizzazioni di impresa e sindacali, nella promozione del nuovo apprendistato ed utilizzando lo strumento degli stage;
ad individuare in sede locale nuovi strumenti formativi e di incontro scuola-lavoro, premiando, ad esempio, con forti detrazioni di imposta le organizzazioni di impresa, le università e gli istituti tecnici che consentono ai ragazzi di svolgere un'esperienza di tirocinio formativo in un'impresa;
ad adottare iniziative per ripristinare il credito d'imposta per le imprese che assumono nel Mezzogiorno e con contratti a tempo indeterminato i giovani, con un incentivo maggiore per le giovani inoccupate

e le mamme con più di 35 anni che vogliono tornare a lavorare, e per attuare un piano dando priorità alle regioni del Sud per aumentare gli asili nido e i servizi per l'infanzia e alle persone non autosufficienti;
a promuovere, con una forfettizzazione di imposte e contributi per i primi tre anni di attività, le iniziativa di autoimprenditorialità dei giovani meridionali, dando priorità a progetti innovativi basati sulle tecnologie informatiche e sul risparmio energetico;
a promuovere le opportune intese, anche internazionali, per creare nel Meridione, mettendo in rete le nostre università, «l'Università del Mediterraneo», un vero e proprio «hub mediterraneo della conoscenza», per una maggiore comprensione tra le culture, per la formazione delle classi dirigenti e dei quadri tecnici dei Paesi rivieraschi, per creare un grande incubatore di imprese innovative.
(1-00172)
«Di Giuseppe, Misiti, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Leoluca Orlando, Messina».

La Camera,
premesso che:
dalla fine degli anni '80, l'epidemia di HIV/AIDS è divenuta uno dei principali problemi sanitari e una delle grandi priorità dell'Unione europea. L'Unione europea ha concentrato la propria azione su:
a) promozione della prevenzione e di una sempre maggiore sensibilizzazione;
b) migliore sorveglianza della malattia;
c) costituzione di reti per connettere fra loro i principali soggetti che lottano contro l'HIV/AIDS;
d) una più agevole diffusione delle buone pratiche;
l'Unione europea ha, inoltre, istituito organismi importanti per lo scambio d'informazioni e il coordinamento delle attività, a beneficio degli Stati membri e dei Paesi vicini, ed è attiva anche nei Paesi in via di sviluppo, fornendo, inoltre, un notevole sostegno al fondo mondiale per la lotta all'HIV/AIDS e ad altre istituzioni, al fine di rafforzare le misure e le azioni già adottate, in modo che apportino un valido contributo alla riduzione dell'epidemia di HIV/AIDS in futuro;
in Italia, come nel resto del mondo occidentale, il fenomeno HIV/AIDS si presta ormai a una doppia lettura contrastante:
a) l'aspetto positivo è che l'incidenza di AIDS (la malattia conclamata), che aveva toccato una punta massima di oltre 5500 nuovi casi nel 1995, è andata diminuendo a partire da metà del 1996. Ad oggi, sin dall'inizio dell'epidemia, i casi segnalati sono 60.346. La prevalenza di persone viventi con AIDS nell'ultimo anno è in aumento (si stimano oltre 21.500 pazienti viventi con AIDS); la diminuzione dei nuovi casi di AIDS non è, però, da attribuire a una diminuita incidenza delle nuove infezioni da HIV, quanto piuttosto all'effetto della terapia antiretrovirale combinata che ha rallentato la progressione della malattia, riducendo sia il numero dei pazienti che evolvono in fase conclamata che il numero dei decessi;
b) l'aspetto negativo è che l'aumento della sopravvivenza determina un incremento del numero delle persone sieropositive viventi e una parte di queste continua ad avere rapporti sessuali non protetti, magari perché inconsapevole del proprio stato di contagiosità, e ciò può contribuire alla diffusione dell'infezione, come testimoniato dall'elevato numero di nuove infezioni che si stima si verifichino ancora in Italia;
il fenomeno forse più preoccupante consiste, quindi, nell'incremento delle persone che scoprono di essere sieropositive solo al momento della diagnosi di AIDS, ovvero in uno stadio di malattia molto avanzato. La percentuale degli «inconsapevoli» è aumentata dal 21 per cento nel 1996 al 60 per cento nel 2008. Questo dato

suggerisce che una parte rilevante di persone infette, soprattutto fra coloro che hanno acquisito l'infezione per via sessuale, ignora per molti anni la propria sieropositività: ciò gli impedisce di entrare precocemente in trattamento e di adottare quelle precauzioni che potrebbero diminuire il rischio di diffusione dell'infezione;
in questi anni si sono anche modificate le caratteristiche delle persone colpite. Innanzitutto, aumenta l'età delle persone con AIDS: se nel 1988 la media era di 29 anni per i maschi e 27 per le femmine, nel 2008 si arriva rispettivamente a 43 e 40 anni. Cambiano, inoltre, i fattori di rischio: la proporzione dei casi attribuibili alla tossicodipendenza è diminuita dal 66 per cento prima del 1997 al 25 per cento nel 2007-2008, mentre i contatti eterosessuali sono passati nello stesso periodo dal 15 per cento al 45 per cento;
l'epidemia di HIV/AIDS, quindi, non diminuisce, piuttosto si modifica. I sieropositivi vivono più a lungo e meglio, grazie alle nuove terapie, ma le dimensioni dell'epidemia aumentano, a causa dell'abbassamento della guardia conseguente alla bassa percezione del rischio di contrarre l'infezione, soprattutto per via sessuale;
l'educazione sulle vie di trasmissione dell'HIV e su come diminuire il rischio di esposizione a esso rappresenta, quindi, ancora oggi, uno dei mezzi principali per ridurre la diffusione del virus. In questo ambito la promozione dell'uso del profilattico deve essere a tutti gli effetti considerata come misura efficace, almeno per il controllo della malattia trasmissibile per via sessuale;
nella XVI legislatura non è stato ancora presentata al Parlamento la «Relazione sullo stato di attuazione delle strategie attivate per fronteggiare l'infezione da HIV», così come prevede l'articolo 8, comma 3, della legge n. 135 del 1990;
come riportato dall'ultima «Relazione sullo stato di attuazione delle strategie attivate per fronteggiare l'infezione da HIV», trasmessa al Parlamento il 28 febbraio 2008 dall'allora Ministro della salute Livia Turco, il programma nazionale di ricerca sull'AIDS, avviato alla fine degli anni '80, «ha usufruito, all'inizio di investimenti di significativa entità, mantenuti allo stesso livello fino alla metà degli anni '90. Dalla fine degli anni '90, l'entità del finanziamento si è costantemente ridotta e, soprattutto, ha perso la periodicità annuale». E ciò non può, quindi, non ripercuotersi sulla qualità stessa della ricerca italiana sull'AIDS e sul suo inserimento in campo internazionale;
se si analizza la diffusione del fenomeno in ambito internazionale, si evidenzia come nei Paesi sottosviluppati e in quelli in via di sviluppo, in particolare nel continente africano, la situazione è ben più drammatica e l'AIDS rappresenta un problema sanitario e sociale gravissimo e tragico nelle sue dimensioni. Secondo il rapporto Unaids, il numero degli infettati dal virus HIV è stimato in quasi 40 milioni di persone, di cui 30 milioni solo nel continente africano;
i bambini sono la popolazione più vulnerabile alla pandemia dell'HIV: oltre 15 milioni di bambini sotto i 15 anni sono orfani a causa di HIV/AIDS e oltre 2 milioni sono sieropositivi. Ogni minuto un bambino muore per cause collegate all'HIV/AIDS e quattro nuovi contagi avvengono fra adolescenti di età inferiore ai 15 anni;
strumento fondamentale di cooperazione e aiuto internazionale in questo ambito è rappresentato dal fondo globale per la lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria (gfatm);
questo fondo - meccanismo internazionale di finanziamento destinato a raccogliere ed erogare fondi per la lotta alle tre pandemie - è stato promosso nella sessione speciale dell'Assemblea generale dell'Onu, tenutasi a New York nel giugno 2001, ed è stato istituito nel vertice dei Paesi membri del G8 del 2001. Consiste in una partnership pubblico-privata, cui aderiscono numerosi Stati, tra i quali l'Italia,

organismi internazionali e associazioni private, e finanzia attività di prevenzione e cura, nonché di consolidamento dei sistemi sanitari locali, prevalentemente destinate all'Africa;
dalla sua istituzione, il fondo globale ha approvato quasi 600 progetti di finanziamento, distribuiti tra 137 Paesi, per un valore totale di 10,2 miliardi di dollari. In questi anni di attività, il fondo è riuscito a salvare circa 2,5 milioni di vite umane;
il nostro Paese, nella XV legislatura, ha stanziato, come quota contributo al suddetto fondo, 260 milioni di euro, con il decreto-legge n. 81 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 127 del 2007, e ulteriori 130 milioni di euro, con il decreto legge n. 159 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007;
vale la pena sottolineare che l'Italia si è impegnata per 2,5 miliardi di dollari in 5 anni (2010-2015), per 130 milioni di dollari l'anno (2008-2010) di contributo al fondo globale per la lotta ad AIDS, tubercolosi e malaria (gfatm), per 1,8 miliardi di dollari per la prevenzione e cura dell'AIDS in età pediatrica e per 1,5 miliardi di dollari per la prevenzione della trasmissione dell'HIV da madre a figlio, oltre a partecipare a iniziative per lo sviluppo dei vaccini e per la formazione del personale sanitario, con particolare riferimento alla salute riproduttiva per la prevenzione della mortalità materna;
attualmente, però, il fondo globale per la lotta ad AIDS, tubercolosi e malaria si trova di fronte a 5 miliardi di dollari in meno rispetto ai finanziamenti previsti per il 2009-2010 ed è evidente che in assenza di adeguate risorse finanziarie risulta ancora più difficile garantire interventi sanitari per le popolazioni più vulnerabili,

impegna il Governo:

a favorire l'accesso ai servizi sanitari e allo sviluppo qualificato di reti interistituzionali di prevenzione sul fenomeno, con il pieno coinvolgimento delle associazioni impegnate nella lotta all'AIDS e alle malattie sessualmente trasmissibili;
a prevedere adeguate risorse per il programma nazionale di ricerca sull'AIDS, stante la riduzione costante del relativo finanziamento in questi ultimi dieci anni;
ad assicurare in tutti i centri del territorio nazionale, senza eccezioni, un accesso al test diagnostico pienamente gratuito, anonimo e volontario, visto che l'accesso al test viene segnalato in diminuzione, con pericolose conseguenze sulla ricostruzione del quadro epidemiologico e, in caso di sieropositività, con rischio di ritardo nella diagnosi;
a presentare al Parlamento la «Relazione sullo stato di attuazione delle strategie attivate per fronteggiare l'infezione da HIV», così come previsto dall'articolo 8, comma 3, della legge n. 135 del 1990;
a riprendere specifiche campagne informative, anche attraverso il servizio pubblico radiotelevisivo, con l'obiettivo di diffondere la conoscenza delle modalità di trasmissione del virus HIV, la consapevolezza della fondamentale rilevanza dei comportamenti individuali rispetto all'esposizione al rischio d'infezione, l'avvio di un percorso di autoresponsabilizzazione circa i propri comportamenti e la non discriminazione delle persone sieropositive;
a promuovere specifici progetti di prevenzione primaria nelle scuole per coinvolgere gli studenti in percorsi educativi e formativi sull'AIDS, la prevenzione, l'educazione sessuale, con particolare riferimento alle azioni individuali utili a ridurre il rischio di trasmissione del virus, a cominciare dall'uso consapevole del profilattico, come principale strumento di contrasto al rischio contagio;
a sostenere programmi di intervento ed aiuto nella lotta contro l'AIDS, attraverso l'incentivazione di progetti bilaterali tra l'Italia ed i Paesi in via di sviluppo,

finanziati e coordinati dal ministero degli affari esteri, e dello strumento della cooperazione internazionale;
ad assicurare le risorse promesse al fondo globale per la lotta all'HIV/AIDS, tubercolosi e malaria (gfatm) e a non coprire tali stanziamenti attingendo dai fondi, già insufficienti, destinati alla cooperazione allo sviluppo.
(1-00173)
«Palagiano, Mura, Donadi, Evangelisti, Borghesi».

NUOVA FORMULAZIONE

La Camera,
premesso che:
dalla fine degli anni '80, l'epidemia di HIV/AIDS è divenuta uno dei principali problemi sanitari e una delle grandi priorità dell'Unione europea. L'Unione europea ha concentrato la propria azione su:
a) promozione della prevenzione e di una sempre maggiore sensibilizzazione;
b) migliore sorveglianza della malattia;
c) costituzione di reti per connettere fra loro i principali soggetti che lottano contro l'HIV/AIDS;
d) una più agevole diffusione delle buone pratiche;
l'Unione europea ha, inoltre, istituito organismi importanti per lo scambio d'informazioni e il coordinamento delle attività, a beneficio degli Stati membri e dei Paesi vicini, ed è attiva anche nei Paesi in via di sviluppo, fornendo, inoltre, un notevole sostegno al fondo mondiale per la lotta all'HIV/AIDS e ad altre istituzioni, al fine di rafforzare le misure e le azioni già adottate, in modo che apportino un valido contributo alla riduzione dell'epidemia di HIV/AIDS in futuro;
in Italia, come nel resto del mondo occidentale, il fenomeno HIV/AIDS si presta ormai a una doppia lettura contrastante:
a) l'aspetto positivo è che l'incidenza di AIDS (la malattia conclamata), che aveva toccato una punta massima di oltre 5500 nuovi casi nel 1995, è andata diminuendo a partire da metà del 1996. Ad oggi, sin dall'inizio dell'epidemia, i casi segnalati sono 60.346. La prevalenza di persone viventi con AIDS nell'ultimo anno è in aumento (si stimano oltre 21.500 pazienti viventi con AIDS); la diminuzione dei nuovi casi di AIDS non è, però, da attribuire a una diminuita incidenza delle nuove infezioni da HIV, quanto piuttosto all'effetto della terapia antiretrovirale combinata che ha rallentato la progressione della malattia, riducendo sia il numero dei pazienti che evolvono in fase conclamata che il numero dei decessi;
b) l'aspetto negativo è che l'aumento della sopravvivenza determina un incremento del numero delle persone sieropositive viventi e una parte di queste continua ad avere rapporti sessuali non protetti, magari perché inconsapevole del proprio stato di contagiosità, e ciò può contribuire alla diffusione dell'infezione, come testimoniato dall'elevato numero di nuove infezioni che si stima si verifichino ancora in Italia;
il fenomeno forse più preoccupante consiste, quindi, nell'incremento delle persone che scoprono di essere sieropositive solo al momento della diagnosi di AIDS, ovvero in uno stadio di malattia molto avanzato. La percentuale degli «inconsapevoli» è aumentata dal 21 per cento nel 1996 al 60 per cento nel 2008. Questo dato suggerisce che una parte rilevante di persone infette, soprattutto fra coloro che hanno acquisito l'infezione per via sessuale, ignora per molti anni la propria sieropositività: ciò gli impedisce di entrare precocemente in trattamento e di adottare quelle precauzioni che potrebbero diminuire il rischio di diffusione dell'infezione;
in questi anni si sono anche modificate le caratteristiche delle persone colpite. Innanzitutto, aumenta l'età delle persone con AIDS: se nel 1988 la media era di 29 anni per i maschi e 27 per le femmine, nel 2008 si arriva rispettivamente a 43 e 40 anni. Cambiano, inoltre, i fattori di rischio: la proporzione dei casi attribuibili alla tossicodipendenza è diminuita dal 66 per cento prima del 1997 al 25 per cento nel 2007-2008, mentre i contatti eterosessuali sono passati nello stesso periodo dal 15 per cento al 45 per cento;
l'epidemia di HIV/AIDS, quindi, non diminuisce, piuttosto si modifica. I sieropositivi vivono più a lungo e meglio, grazie alle nuove terapie, ma le dimensioni dell'epidemia aumentano, a causa dell'abbassamento della guardia conseguente alla bassa percezione del rischio di contrarre l'infezione, soprattutto per via sessuale;
l'educazione sulle vie di trasmissione dell'HIV e su come diminuire il rischio di esposizione a esso rappresenta, quindi, ancora oggi, uno dei mezzi principali per ridurre la diffusione del virus. In questo ambito la promozione dell'uso del profilattico deve essere a tutti gli effetti considerata come misura efficace, almeno per il controllo della malattia trasmissibile per via sessuale;
come riportato nella «Relazione sullo stato di attuazione delle strategie attivate per fronteggiare l'infezione da HIV», trasmessa al Parlamento il 28 febbraio 2008 dall'allora Ministro della salute Livia Turco, il programma nazionale di ricerca sull'AIDS, avviato alla fine degli anni '80, «ha usufruito, all'inizio di investimenti di significativa entità, mantenuti allo stesso livello fino alla metà degli anni '90. Dalla fine degli anni '90, l'entità del finanziamento si è costantemente ridotta e, soprattutto, ha perso la periodicità annuale». E ciò non può, quindi, non ripercuotersi sulla qualità stessa della ricerca italiana sull'AIDS e sul suo inserimento in campo internazionale;
se si analizza la diffusione del fenomeno in ambito internazionale, si evidenzia come nei Paesi sottosviluppati e in quelli in via di sviluppo, in particolare nel continente africano, la situazione è ben più drammatica e l'AIDS rappresenta un problema sanitario e sociale gravissimo e tragico nelle sue dimensioni. Secondo il rapporto Unaids, il numero degli infettati dal virus HIV è stimato in quasi 40 milioni di persone, di cui 30 milioni solo nel continente africano;
i bambini sono la popolazione più vulnerabile alla pandemia dell'HIV: oltre 15 milioni di bambini sotto i 15 anni sono orfani a causa di HIV/AIDS e oltre 2 milioni sono sieropositivi. Ogni minuto un bambino muore per cause collegate all'HIV/AIDS e quattro nuovi contagi avvengono fra adolescenti di età inferiore ai 15 anni;
strumento fondamentale di cooperazione e aiuto internazionale in questo ambito è rappresentato dal fondo globale per la lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria (gfatm);
questo fondo - meccanismo internazionale di finanziamento destinato a raccogliere ed erogare fondi per la lotta alle tre pandemie - è stato promosso nella sessione speciale dell'Assemblea generale dell'Onu, tenutasi a New York nel giugno 2001, ed è stato istituito nel vertice dei Paesi membri del G8 del 2001. Consiste in una partnership pubblico-privata, cui aderiscono numerosi Stati, tra i quali l'Italia, organismi internazionali e associazioni private, e finanzia attività di prevenzione e cura, nonché di consolidamento dei sistemi sanitari locali, prevalentemente destinate all'Africa;
dalla sua istituzione, il fondo globale ha approvato quasi 600 progetti di finanziamento, distribuiti tra 137 Paesi, per un valore totale di 10,2 miliardi di dollari. In questi anni di attività, il fondo è riuscito a salvare circa 2,5 milioni di vite umane;
il nostro Paese, nella XV legislatura, ha stanziato, come quota contributo al suddetto fondo, 260 milioni di euro, con il decreto-legge n. 81 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 127 del 2007, e ulteriori 130 milioni di euro, con il decreto-legge n. 159 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007;
vale la pena sottolineare che l'Italia si è impegnata per 2,5 miliardi di dollari in 5 anni (2010-2015), per 130 milioni di dollari l'anno (2008-2010) di contributo al fondo globale per la lotta ad AIDS, tubercolosi e malaria (gfatm), per 1,8 miliardi di dollari per la prevenzione e cura dell'AIDS in età pediatrica e per 1,5 miliardi di dollari per la prevenzione della trasmissione dell'HIV da madre a figlio, oltre a partecipare a iniziative per lo sviluppo dei vaccini e per la formazione del personale sanitario, con particolare riferimento alla salute riproduttiva per la prevenzione della mortalità materna;
attualmente, però, il fondo globale per la lotta ad AIDS, tubercolosi e malaria si trova di fronte a 5 miliardi di dollari in meno rispetto ai finanziamenti previsti per il 2009-2010 ed è evidente che in assenza di adeguate risorse finanziarie risulta ancora più difficile garantire interventi sanitari per le popolazioni più vulnerabili,

impegna il Governo:

a favorire l'accesso ai servizi sanitari e allo sviluppo qualificato di reti interistituzionali di prevenzione sul fenomeno, con il pieno coinvolgimento delle associazioni impegnate nella lotta all'AIDS e alle malattie sessualmente trasmissibili;
a prevedere adeguate risorse per il programma nazionale di ricerca sull'AIDS, stante la riduzione costante del relativo finanziamento in questi ultimi dieci anni;
ad assicurare in tutti i centri del territorio nazionale, senza eccezioni, un accesso al test diagnostico pienamente gratuito, anonimo e volontario, visto che l'accesso al test viene segnalato in diminuzione, con pericolose conseguenze sulla ricostruzione del quadro epidemiologico e, in caso di sieropositività, con rischio di ritardo nella diagnosi;
a riprendere specifiche campagne informative, anche attraverso il servizio pubblico radiotelevisivo, con l'obiettivo di diffondere la conoscenza delle modalità di trasmissione del virus HIV, la consapevolezza della fondamentale rilevanza dei comportamenti individuali rispetto all'esposizione al rischio d'infezione, l'avvio di un percorso di autoresponsabilizzazione circa i propri comportamenti e la non discriminazione delle persone sieropositive;
a promuovere specifici progetti di prevenzione primaria nelle scuole per coinvolgere gli studenti in percorsi educativi e formativi sull'AIDS, la prevenzione, l'educazione sessuale, con particolare riferimento alle azioni individuali utili a ridurre il rischio di trasmissione del virus, a cominciare dall'uso consapevole del profilattico, come principale strumento di contrasto al rischio contagio;
a sostenere programmi di intervento ed aiuto nella lotta contro l'AIDS, attraverso l'incentivazione di progetti bilaterali tra l'Italia ed i Paesi in via di sviluppo, finanziati e coordinati dal ministero degli affari esteri, e dello strumento della cooperazione internazionale;
ad assicurare le risorse promesse al fondo globale per la lotta all'HIV/AIDS, tubercolosi e malaria (gfatm) e a non coprire tali stanziamenti attingendo dai fondi, già insufficienti, destinati alla cooperazione allo sviluppo.
(1-00173)
(Nuova formulazione)«Palagiano, Mura, Donadi, Evangelisti, Borghesi».
(11 maggio 2009)

Risoluzione in Commissione:

La III Commissione,
premesso che:
la giornalista irano-americana Roxana Saberi - cittadina americana e giapponese per parte di madre e iraniana per parte di padre, che vive da sei anni in Iran e ha collaborato con la BBC e radio NBR - è stata arrestata il 10 febbraio 2009 con l'accusa di aver esercitato senza titolo e autorizzazione l'attività giornalistica, oltre al fatto di aver comprato bevande alcoliche, in violazione del divieto vigente in Iran;
dopo due mesi dall'arresto il giudice Hassan Hadad ha condannato la Saberi a 8 anni di carcere per attività di spionaggio svolta sotto la copertura della professione di giornalista, esercitata abusivamente;
i genitori della Saberi, che attualmente si trovano in Iran, hanno sempre respinto qualsiasi accusa alla figlia;
attualmente la Saberi si trova nel carcere di Evin a Teheran e solo recentemente, in condizioni di salute precarie, ha interrotto lo sciopero della fame iniziato il 21 aprile 2009 nel più assoluto silenzio delle autorità iraniane (il portavoce del potere giudiziario, Alireza Jamshidi, ha negato tale circostanza e il procuratore aggiunto di Teheran, Hassan Haddad, ha dichiarato che le condizioni di salute della giornalista sarebbero perfette);
il 4 maggio il Presidente del Parlamento europeo ha chiesto la liberazione della giornalista Roxana Saberi e, ad oggi, in ogni parte del mondo si vanno moltiplicando le iniziative per la sua liberazione in una vera e propria gara di solidarietà internazionale alla quale non può sottrarsi il nostro Paese che deve unire gli sforzi diplomatici alle tante voci spontanee che, dal Canada agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna al Belgio e alla Spagna, chiedono la liberazione della giovane ingiustamente condannata in primo grado;
sono note la capacità e la passione professionale della giornalista, che ha collaborato alla realizzazione di un film del regista iraniano Bahman Ghobadi, che parteciperà all'edizione corrente del festival di Cannes, sulla vicenda di musicisti clandestini in Iran;
occorre ben inquadrare il caso di Roxana Saberi nell'attuale clima politico iraniano, caratterizzato dalle imminenti elezioni presidenziali e da manifestazioni di ostentazione del potere da parte degli ultraconservatori sull'applicazione della sharia a fronte dei richiami ai diritti umani da parte dei moderati e dei riformisti;
il processo a Roxana Saberi - contestuale all'esecuzione della condanna a morte di Delara Darabi, avvenuta malgrado la richiesta di differimento da parte del ministro della giustizia Shahroodi - conferma il messaggio secondo il quale la magistratura locale esercita il proprio potere in modo discrezionale e il sostegno elettorale ai moderati e ai riformisti non può modificare la situazione;
il processo d'appello a Roxana Saberi avrà inizio in questi giorni, in base a quanto si apprende dall'avvocato della giornalista, Abdolsamad Khorramshahi,

impegna il Governo

ad adoprarsi attraverso tutti i canali diplomatici a disposizione affinché il processo alla giornalista Saberi sia svolto nel rispetto della Dichiarazione dei diritti universali

dell'uomo, sotto il controllo della comunità internazionale ed evitando un esercizio discrezionale e strumentale della giustizia da parte delle autorità iraniane.
(7-00158) «Narducci, Maran».

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ATTI DI CONTROLLO

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

III Commissione:

PORTA, MARAN, D'ALEMA, FASSINO, FEDI e NARDUCCI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il 17 ottobre 2007 il Ministro degli affari esteri italiano, in occasione della III Conferenza nazionale Italia-America Latina e Caraibi, ha siglato con il Presidente della Corporacion Andina de Fomento (CAF) un memorandum di intesa per avviare il negoziato finalizzato all'ingresso dell'Italia nel Consiglio di amministrazione della CAF;
la CAF è la banca di sviluppo più attiva nella regione latinoamericana, insieme alla Banca Interamericana di Sviluppo, tanto è vero che la Spagna, con cui l'Italia collabora nelle relazioni dell'Unione Europea con l'America Latina, è già presente nel Consiglio di amministrazione della CAF;
i rapporti con l'America Latina costituiscono per l'attuale governo, in continuità con le scelte adottate da quello precedente, una delle priorità della politica estera italiana;
i vari soggetti del mondo imprenditoriale italiano - pubblici, privati e cooperativi - nutrono un rilevante interesse per le relazioni economiche con l'America Latina, in particolare nell'ambito della realizzazione di infrastrutture, per le quali spesso interviene il cofinanziamento della CAF;
in una fase di crisi economico-finanziaria come quella attuale diventano ancor più significative le potenzialità legate agli investimenti nell'area latinoamericana per molte imprese italiane, che nell'accesso ai fondi messi a disposizione della CAF possono trovare una positiva alternativa alle restrizioni incontrate in altre aree -:
quali siano state le iniziative adottate dall'Italia per arrivare al più presto a completamento delle procedure di ingresso nel Consiglio di Amministrazione della CAF e in quali tempi si pensa di concludere il processo avviato nel recente passato.
(5-01401)

Interrogazione a risposta scritta:

GNECCHI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in Kurdistan continua la repressione turca. Il 14 aprile 2009 la polizia ha avviato, simultaneamente in 13 province del sud est della Turchia, una massiccia operazione contro il DTP (Partito della Società democratica). Nell'ambito di tale operazione, ancora in corso e per la quale non si riesce a prevedere la conclusione, più di 70 esponenti, dirigenti e attivisti, compresi i tre vice-presidenti del DTP sono stati arrestati. Anche un canale televisivo, Gun TV, e la sede dell'Unione delle Municipalità del sud-est sono stati perquisiti;
gli arresti di molti attivisti e le intimidazioni contro gli esponenti del DTP seguono di pochi giorni l'uccisione di due giovani studenti ad Amara (Omerli), nel corso di una pacifica manifestazione per il presidente Ocalan e la feroce repressione, ancora in atto ad Agri, teatro di brogli elettorali a discapito del DTP. Ad Hakkari un poliziotto con il viso mascherato ha gravemente ferito un bambino con il calcio del fucile, lasciandolo in coma irreversibile. I tribunali stanno emettendo durissime

sentenze nei confronti dei minori: il 28 aprile scorso il Tribunale superiore di Adana ha condannato a un totale di 102 anni di reclusione 13 bambini al di sotto dei 15 anni per aver partecipato a manifestazioni pubbliche e quindi fatto propaganda di un'organizzazione separatista;
l'operazione condotta dalle forze di sicurezza turche contro il DTP, all'indomani della sua clamorosa vittoria elettorale, che l'ha visto affermarsi come primo partito nelle 10 province del sud-est della Turchia, rappresenta un duro colpo alle aspirazioni di pace e di democrazia della popolazione kurda. Infatti, gli esponenti politici del DTP hanno fissato, tra i punti da rivolgere al Governo centrale, di rivedere le leggi antiterrorismo e le procedure per la chiusura dei partiti, ma anche di riconoscere il PKK e il suo leader Ocalan come interlocutori legittimi per affrontare e risolvere la questione kurda;
la scelta del popolo kurdo di affermare i propri diritti attraverso negoziati politici e di lottare per vivere insieme in uno stato plurinazionale è un esempio per il mondo intero. La repressione contro i leader e gli attivisti del DTP non è solo una pesante violazione dei diritti umani, civili e politici ma è anche un danno per il futuro e le prospettive della Turchia. Si sperava che con i negoziati per l'entrata nell'Unione europea la Turchia attuasse le leggi per il rispetto dei diritti umani delle minoranze ed abolisse il famigerato articolo 301 del Codice penale, che tiene in carcere migliaia di persone, violando ogni forma di libertà di espressione ed associazione vigente in Europa. Ma, purtroppo, a distanza di anni non è cambiato nulla. Il Governo italiano e l'UE sembra continuino a dimostrare disinteresse per il popolo kurdo e per il leader Abdullah Ocalan, al quale l'Italia ha riconosciuto l'asilo politico nell'ottobre del 1999. Si continua ad avallare la repressione turca con la vendita di armi e con il finanziamento di megadighe che porteranno solo distruzione e povertà in Kurdistan. Le incursioni militari continuano quotidiane così come le uccisioni e gli arresti anche di minori -:
se il ministro in indirizzo non intenda riferire sugli arresti in Turchia di bambini, politici, dirigenti e militanti del DTP;
se il Governo non intenda adoperarsi affinché la società civile italiana ed europea prenda posizione contro questo ennesimo attacco antidemocratico nei confronti del DTP, riconosciuto come suo rappresentante politico dal popolo kurdo, e contro tutte le istituzioni democratiche della Turchia;
se non ritenga che questa continua violazione dei diritti umani allontani la Turchia dall'Europa e quindi se non intenda attivarsi per ricercare una soluzione politica del conflitto sin da ora, per fermare la guerra strisciante che da più di vent'anni insanguina il destino dei popoli kurdo e turco, visto che la pace e la democrazia in Medio Oriente rappresentano l'affermazione dei diritti universali per tutti.
(4-02970)

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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:

LEOLUCA ORLANDO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
a Viterbo moltissimi cittadini, sostenuti da illustri scienziati, cattedratici, personalità delle istituzioni e dell'impegno civile, si oppongono alla decisione di realizzare nell'area termale del Bulicame un mega Aeroporto delle dimensioni atte ad accogliere un volume di traffico di vari milioni di passeggeri all'anno; un'opera del tutto priva dei requisiti di legge e del tutto irrealizzabile alla luce della situazione

reale dell'area e dei vincoli paesaggistici, idrogeologici, archeologici, termali in essa presenti;
infatti tale opera non potrebbe mai superare un rigoroso espletamento della Valutazione d'impatto ambientale e della Valutazione ambientale strategica obbligatorie per legge; confligge con precise norme di tutela dei beni pubblici sia nazionali che europee; è in contrasto con le norme ed i vincoli di salvaguardia in vigore nell'area considerata ai sensi della pianificazione territoriale ed urbanistica tanto regionale quanto comunale; provocherebbe la devastazione di rilevanti beni archeologici, naturalistici, paesaggistici, storico-culturali, scientifici, terapeutici ed economici insistenti nell'area; provocherebbe un grave nocumento alla salute, alla sicurezza e alla qualità della vita della popolazione dei quartieri cittadini prossimi all'area; confligge con attuali esigenze di sicurezza militari di rilevanza strategica nazionale; porterebbe al collasso la rete infrastrutturale della mobilita locale; costituirebbe uno sperpero immenso di pubblico denaro; la procedura sin qui seguita per l'individuazione dell'area è viziata da flagranti errori di merito e di metodo (tali per cui un ente locale ha già presentato un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio e qualificati centri studi di settore hanno ripetutamente denunciato l'inammissibilità dell'opera);
in una recente comunicazione agli Amministratori locali il Comitato dei cittadini che si oppongono all'opera ha elencato i seguenti effetti della realizzazione di un mega Aeroporto nell'area termale del Bulicame a Viterbo: impatto locale sull'ambiente: devastazione dell'area termale del Bulicame, un bene naturalistico, storico-culturale, terapeutico, economico, sociale e simbolico peculiare e insostituibile; impatto sanitario sulla popolazione viterbese: gravissimi danni alla salute, alla sicurezza, alla qualità della vita; impatto sanitario sulla popolazione dell'Alto Lazio: cumulandosi il mega Aeroporto con le altre gravosissime servitù già presenti (in particolare il polo energetico Civitavecchia-Montalto) la sinergia dei fattori di inquinamento incrementerà danni, disagi e patologie; impatto sanitario globale: essendo il trasporto aereo fortemente inquinante, ogni suo aumento si traduce in danno certo alla salute;
impatto sociale su Viterbo: il mega Aeroporto non solo costituirà una profonda aggressione alla salute e alla sicurezza delle persone, ma provocherà, anche un grave degrado della qualità della vita, una forte lesione a fondamentali diritti dei cittadini, un grave danno all'economia e alla società, il collasso delle infrastrutture del trasporto locale (già gravemente insufficienti), la distruzione di beni ambientali, culturali, agricoli, terapeutici, ricettivi, produttivi, scientifici; impatto sociale sull'Alto Lazio: accumulo di servitù ed effetto sinergico dei fattori di rischio e di depauperamento e degrado del territorio e della sua economia; impatto globale sull'ambiente: essendo il mega Aeroporto finalizzato all'incremento del trasporto aereo complessivo, esso contribuirà ad accrescere l'inquinamento e l'effetto serra responsabile dei mutamenti climatici che stanno mettendo in pericolo il futuro dell'umanità e gli equilibri della biosfera; per realizzare un'opera di tali dimensioni verrebbero sperperate ingenti risorse pubbliche (che pertanto verrebbero altresì sottratte ad opere e servizi realmente utili e fin indispensabili per la popolazione);
in un recente esposto alla Soprintendenza per i beni archeologici per l'Etruria Meridionale è stato evidenziato che dalla Planimetria redatta dal Comune di Viterbo recante i vincoli paesaggistici, idrogeologici, archeologici, termali presenti nell'area che sarebbe investita dall'opera, risulta che il mega Aeroporto sorgerebbe letteralmente sopra un'area di interesse archeologico con presenza di beni archeologici che la legge tutela;
già lo scorso anno, in una lettera al Presidente della Repubblica del 4 agosto 2008, il Comitato dei cittadini che si oppongono all'aeroporto segnalava, tra l'altro, che «la realizzazione a Viterbo di un

devastante mega-aeroporto per voli low cost avrebbe i seguenti inaccettabili e disastrosi esiti: grave nocumento per la salute della popolazione, come dimostrato dal documento dell'Isde (International Society of Doctors for the Environment-Italia) del 18 marzo 2008; grave devastazione dell'area termale del Bulicame, peculiare bene naturalistico e storico-culturale, terapeutico e sociale, economico e simbolico, già citato da Dante nella Divina Commedia ed elemento fondamentale dell'identità di Viterbo; grave impatto su un rilevante bene archeologico come l'emergenza in situ del tracciato dell'antica via consolare Cassia, come ammesso dall'assessore e vicepresidente della Regione Lazio Esterino Montino; grave impatto inquinante sull'Orto botanico dell'Università degli Studi della Tuscia, bene scientifico, di ricerca e didattico di cospicua rilevanza; grave impatto inquinante sulle colture agricole - di qualità e biologiche - insistenti nell'area maggiormente investita; conflitto con attività ed esigenze di interesse strategico nazionale dell'Aeronautica Militare, come evidenziato da ultimo dal «Centro Studi Tuscia per lo sviluppo di un aeroporto compatibile» in un recente documento diffuso il 2 agosto 2008 in cui si afferma testualmente «l'incompatibilità tra l'intensa attività di aviazione civile commerciale e la permanenza di un'attività di volo militare importante - quella della Cavalleria dell'Aria - che rende Viterbo tra gli aeroporti militari di primaria importanza strategica (come fissato da un recente decreto)» e come già precedentemente puntualmente segnalato nella seduta del Consiglio comunale di Viterbo del 25 luglio 2008; immenso sperpero di fondi pubblici per un'opera nociva e distruttiva, quando Viterbo e l'Alto Lazio hanno bisogno di ben altri interventi della mano pubblica: e particolarmente di un forte sostegno a difesa e valorizzazione dei beni ambientali e culturali, dell'agricoltura di qualità, delle peculiari risorse locali; e per quanto concerne la mobilità un forte sostegno al trasporto ferroviario (riaprendo la linea Civitavecchia-Capranica-Orte; potenziando la linea Viterbo-Orte; potenziando la linea Viterbo-Capranica-Roma); aggravamento di una condizione di servitù per l'Alto Lazio, territorio già gravato da pesantissime servitù energetiche, militari e speculative; infine, poiché il punto di riferimento da parte dei promotori dell'opera è il sedime di Ciampino e l'attività che in esso si svolge, si rileva come proprio la situazione di Ciampino sia insostenibile e gravemente lesiva dei più elementari diritti della popolazione locale, ed è quindi evidentemente scandaloso voler «ciampinizzare» un'altra città (occorre invece una drastica e immediata riduzione dei voli su Ciampino);
a ciò si aggiunga che: l'opera è tuttora priva di adeguata progettazione, anzi della stessa precisa definizione di collocazione e dimensioni, come ammesso dallo stesso Consiglio comunale di Viterbo nella parte narrativa dell'atto deliberativo n. 92 del 25 luglio 2008 in cui si afferma testualmente che «devesi fare presente che a tutt'oggi non si conoscono né la lunghezza della pista che potrebbe arrivare a superare i 3000 metri, né il suo orientamento»; peraltro il già citato «Centro Studi Tuscia per lo sviluppo di un aeroporto compatibile» ha rilevato «l'impossibilità oggettiva - dimostrata dagli studi del nostro centro - di allungare la pista di almeno altri due chilometri mantenendone l'orientamento e, tanto meno, di smantellare l'attuale per costruirne altra - come sostenuto da ambienti dell'assessorato al volo - disassata di 10 gradi verso nord o sud»; l'opera confligge con il Piano territoriale paesaggistico regionale e le relative norme di salvaguardia, come riconosciuto dallo stesso Consiglio comunale di Viterbo con l'atto deliberativo n. 92 del 25 luglio 2008; l'opera è totalmente priva di fondamentali verifiche e di fondamentali requisiti previsti dalla legislazione italiana ed europea in materia di Valutazione d'impatto ambientale, Valutazione ambientale strategica, Valutazione d'impatto sulla salute;
quanto alla procedura di individuazione di Viterbo come sede di un devastante

mega Aeroporto per voli low cost del turismo «mordi e fuggi» per Roma: la relazione ministeriale del novembre 2007 che ha dato il via ad una serie di atti amministrativi successivi è destituita di fondamento in punto di diritto e di fatto, come dimostrato ad abundantiam da un documento del 18 gennaio 2008 del «Centro studi Demetra» che conclude la sua ampia ricognizione dichiarando che «gli atti ministeriali risultano palesemente affetti da gravi vizi di illegittimità sotto il rilevato profilo dell'eccesso di potere per carenza dell'istruttoria tecnica condotta dalla commissione istituita presso il Ministero dei Trasporti»; quella relazione contiene dichiarazioni semplicemente irrealistiche e si rivela nel merito come non rispondente ad un'analisi l'attuale della realtà territoriale: essa infatti ignora del tutto il fatto che il sedime indicato ricade nel cuore dell'area termale del Bulicame e a ridosso di emergenze archeologiche, naturalistiche, scientifiche, culturali, agricole, terapeutiche, economiche ed insediative tali da rendere l'opera ipso facto irrealizzabile; cadendo quindi la validità di quella relazione, cadono con essa tutti gli atti amministrativi conseguenti, viziati in radice dal vizio dell'atto presupposto e fondativo; peraltro la stessa compagnia aerea Ryan Air - che nelle dichiarazioni dei proponenti l'opera avrebbe dovuto essere il soggetto imprenditoriale maggior fruitore della nuova struttura aeroportuale - ha esplicitamente dichiarato di non intendere affatto trasferire la sua attività nell'eventuale scalo viterbese (cfr. intervista trasmessa dalla Rai il 27 aprile 2008 nell'ambito del programma «Report»);
infine realizzare un nuovo mega Aeroporto è insensato alla luce della situazione aeroportuale italiana (cfr. la già citata inchiesta televisiva della Rai («Report», 27 aprile 2008); realizzare un nuovo mega Aeroporto è insensato alla luce dell'attuale trend del trasporto aereo internazionale (cfr. ad esempio l'intervento dell'europarlamentare Giulietto Chiesa del primo luglio 2008 che rinvia tra l'altro a un servizio dell'International Herald Tribune del 28-29 giugno 2008);
realizzare un nuovo mega Aeroporto è insensato - alla luce dell'esigenza di ridurre il trasporto aereo per ridurre il surriscaldamento globale del clima (come richiesto dall'Onu, dalla comunità scientifica internazionale, dagli statisti più avvertiti); occorre procedere alla riduzione drastica e immediata del trasporto aereo (particolarmente a fini di diporto), come richiesto da interventi di autorevoli personalità come i premi Nobel Desmond Tutu e Wangari Maathai; e «sostenere invece un modello di mobilità più adeguato, sostenibile e democratico» -:
quali iniziative i Ministri interrogati intendano prendere per impedire che i rilevanti beni naturalistici, culturali, terapeutici ed economici dell'area termale del Bulicame siano devastati, e che la salute e la sicurezza dei cittadini di Viterbo siano aggredite da un'opera aeroportuale priva dei requisiti previsti dalla legge, opera la cui realizzazione costituirebbe un sperpero di pubblici denari, un danno per la comunità locale ed una flagrante violazione delle norme e dei vincoli di salvaguardia vigenti.
(4-02966)

COSENZA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 17 e il 19 aprile 2009 le forze dell'ordine hanno scoperto due discariche illegali di rifiuti pericolosi (comprese l'eternit) rispettivamente nel comune di Bonito e in una località del comune di Ariano Irpino -:
quali interventi siano in corso per prevenire e reprimere il proliferare dei traffici di rifiuti in Irpinia.
(4-02967)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

GHIZZONI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
la tardiva approvazione della Tabella triennale del Ministero per i Beni e le Attività culturali, di cui alla legge 17 ottobre 1996, n. 534 - peraltro decurtata dalla Legge Finanziaria 2009 di ben 6 milioni di euro - mette a grave rischio la sopravvivenza di molte Istituzioni interessate e ne impedisce la programmazione scientifica;
a riguardo, particolarmente pesante è la situazione degli Istituti storici nazionali che rischiano la chiusura per l'impossibilità di pagare il personale di ruolo;
tali istituti, che rappresentano ufficialmente la cultura storica italiana, per statuto debbono pubblicare le Fonti della Storia italiana rispettando una rigorosa programmazione e precise scadenze editoriali;
inoltre, l'attività di tali istituti costituisce anche uno strumento significativo per le attività di programmazione dei Ministeri competenti nei settori dei beni culturali e della ricerca scientifica coinvolgendo molti giovani ricercatori -:
se il ministro interrogato, date le condizioni di emergenza in cui versano i suddetti istituti culturali, non ritenga sollecitare l'iter di approvazione della tabella triennale e altresì non ritenga opportuno reperire risorse aggiuntive.
(5-01398)

Interrogazioni a risposta scritta:

GNECCHI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
la SCF - Società Consortile Fonografici - è una società di diritto privato che opera su mandato dei propri consorziati per la tutela economica dei diritti connessi al diritto d'autore, come indicato dalla legge 22 aprile 1941, n. 633 sul diritto d'autore, che conferisce ai produttori di fonogrammi il diritto esclusivo di autorizzare la duplicazione e la diffusione delle registrazioni di cui detiene la titolarità;
la SCF opera quale intermediario tra i titolari dei diritti da essa rappresentati e coloro che vogliano diffondere musica registrata, in regime di concorrenza con altre società di collecting;
l'articolo 73 della legge 22 aprile 1941, n. 633 sul diritto d'autore stabilisce che i diritti connessi siano dovuti ai produttori di fonogrammi, agli interpreti e agli esecutori per l'utilizzazione a scopo di lucro dei fonogrammi a mezzo della cinematografia, della diffusione radiofonica e televisiva, della comunicazione via satellite, nelle pubbliche feste danzanti, nei pubblici esercizi ed in ogni altra pubblica utilizzazione. L'articolo 73-bis estende la tutela economica dei diritti connessi anche ai casi in cui la pubblica utilizzazione avvenga a scopo non di lucro;
nel caso di pubblica esecuzione a scopo di lucro, la misura del compenso dovuto agli aventi diritto è stata determinata sulla base del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o settembre 1975, mentre l'equo compenso previsto per l'utilizzazione a scopo non di lucro non è stato ancora definito da alcun atto, lasciando inattuata la previsione di cui al comma 2 dell'articolo 73-bis;
a partire dal 2007, la SCF ha contattato diverse imprese per richiedere il pagamento dei diritti connessi per la diffusione di musica mediante utilizzo di CD, lettori MP3 o altri supporti, nonché per la diffusione della musica tramite apparecchi radio-TV, comunicando che in caso di mancato pagamento, propri incaricati avrebbero effettuato accertamenti nei locali dell'impresa per verificare l'eventuale diffusione della musica registrata;
non tutte le riproduzioni di supporti fonografici all'interno dei locali delle imprese

possono essere considerate pubbliche utilizzazioni, come confermato in molti casi dalla giurisprudenza;
tra le imprese contattate non tutte utilizzano i supporti fonografici per la riproduzione limitandosi all'ascolto di apparecchi radio e televisivi;
l'importo richiesto da SCF quale compenso per i diritti connessi, che sono diritti secondari rispetto al diritto d'autore, è spesso superiore all'importo corrisposto dalle imprese per il diritto d'autore, che è il diritto principale, mancando qualsiasi riferimento ai criteri utilizzati da SCF per la misurazione del quantum;
a seguito delle frequenti istanze che gli esercenti hanno indirizzato alla Società Italiana Autori ed Editori per avere chiarimenti in merito alla questione, la SIAE ha comunicato alle associazioni di categoria che seppur la riscossione dei diritti connessi, in quanto diritti dovuti, spetti alle società private di collecting - tra cui SCF - la funzione di vigilanza e controllo è affidata dalla legge in via esclusiva alla SIAE, che è pertanto l'unico ente autorizzato ad ispezionare i locali commerciali;
è grande la confusione sul tema e le imprese, specialmente in questo momento di grave crisi economica, chiedono maggiore chiarezza in relazione alla corresponsione di un diritto che, seppur dovuto a garanzia della proprietà intellettuale, viene recepito come ulteriore tributo da pagare anche a causa della difficoltà di interpretazione delle norme -:
quali siano le tipologie di imprese cui è richiesto il pagamento dei diritti connessi, tenendo presente le definizioni di «pubblica esecuzione» e «pubblico esercizio»;
quali siano i soggetti titolati a richiedere la corresponsione dei diritti connessi e per quali mandatari, considerando che le società di collecting rappresentative di produttori di supporti fonografici sono diverse nel nostro Paese - ad esempio AFI, AUDIOCOOP e SIAE stessa - tutte ugualmente legittimate a pretendere il pagamento del compenso a favore dei soggetti da esse rappresentati;
quali siano i criteri di riferimento - e come vengano utilizzati - per la determinazione della misura del compenso dovuto per i diritti connessi, tenendo conto della differenza che il legislatore ha tracciato tra le pubbliche utilizzazioni a scopo di lucro e quelle effettuate a scopo non di lucro;
se i diritti connessi debbano essere corrisposti anche nel caso in cui nel locale dell'impresa vengano utilizzati esclusivamente apparecchi radio e Tv, considerando che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o settembre 1975, attuativo dell'articolo 73 della legge sul diritto d'autore, definisce già la misura del compenso per i casi di diffusione radiofonica e televisiva;
in che modo debbano essere interpretati - e come essi si coordinano con l'attività delle società di collecting - gli articoli 182-bis e 182-ter della legge n. 631 del 1941, che individuano la SIAE quale unico soggetto autorizzato ad esercitare la vigilanza sull'attività di riproduzione e duplicazione anche su supporto fonografico e sugli impianti di utilizzazione in pubblico, nonché, in caso di violazioni, a trasmettere i processi verbali agli organi di polizia giudiziaria.
(4-02958)

VOLONTÈ. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
la VII Commissione permanente della Camera dei Deputati ha esaminato lo schema di decreto interministeriale adottato ai sensi dell'articolo 32, commi 2 e 3, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, legge finanziaria per il 2002, recante la ripartizione dei contributi erogati ad enti culturali del Ministero per i beni e le attività culturali e allocati al capitolo 3670;
la somma stanziata per l'anno 2008 è stata determinata dalla legge finanziaria

n. 244 del 2007, in 19,533 milioni di euro, la quale sconta già la riduzione lineare delle autorizzazioni di spesa della Tabella C, prevista dall'articolo 3, comma 151, della medesima legge finanziaria;
la somma effettivamente disponibile per il 2008 risulta quindi pari a 16,230 milioni di euro, al netto dell'accantonamento di 3,303 milioni di euro come disposto ai sensi dell'articolo 1, comma 507, della legge finanziaria 2007, n. 296 del 2006 e per la prima volta per i contributi ad Associazioni e Fondazioni è indicata la sub-ripartizione tra i singoli beneficiari;
nello schema di decreto, non vengono tuttavia evidenziati sia i criteri seguiti dal Governo per l'assegnazione dei contributi stessi, sia la spiegazione sui motivi che hanno indotto a differenziare l'entità delle risorse stanziate;
altresì non vengono sufficientemente chiarite le ragioni per cui l'Esecutivo ha stanziato risorse in favore delle attività afferenti il Festival Pucciniano anche al di fuori dell'area di provenienza, ossia Pesaro e Torre del Lago -:
quali siano stati i criteri seguiti per la distribuzione dei fondi e i motivi che hanno indotto a differenziare le quantità delle risorse distribuite.
(4-02969)

TESTO AGGIORNATO AL 25 GIUGNO 2009

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DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:

VILLECCO CALIPARI, VICO, FADDA e SIRAGUSA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
i sottufficiali ed i volontari di truppa della Marina militare italiana vengono formati ed istruiti all'interno degli Istituti di formazione della Marina a Taranto e a La Maddalena;
per l'insegnamento delle materie non militari, la Marina militare si avvale di docenti civili che prestano la loro attività d'insegnamento per la difesa da oltre trent'anni;
questi docenti sono legati all'Amministrazione difesa attraverso convenzioni annuali rinnovate in maniera continuativa regolarmente di anno in anno ai sensi della legge 15 dicembre 1969, n. 1023 e del decreto ministeriale n. 1971, modificato dal decreto ministeriale 3 gennaio 1995, n. 167;
a partire dall'anno 2006, sono state introdotte delle varianti alle convenzioni che ne hanno ridotto la durata temporale (dal 9 gennaio al 22 dicembre anziché dal 1° gennaio al 31 dicembre) e soprattutto che hanno determinato una drastica riduzione del carico orario, passato dalle 18 ore settimanali previste, alle 12 ore medie settimanali;
la diminuzione delle ore di insegnamento si risolve di fatto in un minore investimento nella formazione del personale che, invece, proprio in ragione dell'adozione del modello professionale deve essere costantemente accresciuta;
per il personale docente, che svolge la propria attività lavorativa esclusivamente al servizio della Marina militare la diminuzione delle ore lavorative ha comportato una drastica riduzione delle retribuzioni, determinando gravissime difficoltà di natura economica;
il rapporto di lavoro in atto da lungo tempo tra questo personale e l'amministrazione della difesa non dovrebbe subire variazioni così pesanti per mere ragioni di bilancio ed anzi dovrebbe essere riconsiderato alla luce dei nuovi orientamenti legislativi assunti dal Governo in tema di rapporti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, che prevedono la stabilizzazione del personale che ha maturato più di tre anni di servizio alla data del 26 settembre 2006;
il ministero della difesa, consapevole della rilevanza che le attività dei docenti civili rivestono per l'Amministrazione militare, ha compiuto negli anni scorsi ogni

possibile sforzo teso ad ottenere la stabilità e la continuità del rapporto di lavoro nonché l'istituzione di uno specifico ruolo del personale in argomento attraverso l'introduzione di apposita modifica normativa -:
se non ritenga doveroso assumere immediate iniziative per ripristinare l'originario orario dei docenti a 18 ore settimanali di lezione per 52 settimane, salvaguardando così i diritti degli allievi e degli insegnanti le cui retribuzioni verrebbero ricondotte ai livelli previsti per gli insegnanti del comparto scuola, a cui i docenti convenzionati della Marina militare sono equiparati e in particolare se, e con quali modalità, il riconoscimento di «un rapporto stabile e duraturo di impiego», possa trovare finalmente, per questo personale, una concreta realizzazione in tempi brevi.
(5-01397)

VILLECCO CALIPARI, GAROFANI e VICO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
le Forze armate italiane dispongono, per l'esecuzione di lavori di specifico interesse, dei gruppi del Genio Campale in grado di operare sia sul territorio nazionale che fuori area anche in condizioni di emergenza;
tali reparti per svolgere le loro funzioni assumono operai (cosidetti occasionali) con contratti di diritto privato, comparto edili, per l'esecuzione di lavori in amministrazione diretta;
nell'ambito dei rapporti di lavoro a tempo determinato, il decreto legge n. 112 del 2008 convertito dalla legge n. 133 del 2008, ha esteso al settore pubblico il limite di 36 mesi nell'ultimo quinquennio, introdotto per i privati con l'analoga disposizione di cui alla legge n. 247 del 2007;
contrariamente a quanto stabilito per i privati, per le amministrazioni pubbliche è quindi in atto un dispositivo normativo che impedisce ai gruppi del Genio Campale di poter operare continuando ad avvalersi di mano d'opera sperimentata, qualificata nelle peculiari lavorazioni che le vengono richieste e in possesso dei necessari requisiti di sicurezza;
si trovano quindi in condizioni di criticità funzionale i gruppi del Genio Campale che stanno al momento operando in Abruzzo nelle zone colpite dal terremoto, a Pratica di mare per eseguire lavori necessari per il G8, a Taranto per gli interventi urgenti di ripristino dell'Arsenale della Marina Militare e altri interventi programmati fuori area a sostegno delle missioni internazionali -:
se non ritenga indispensabile e urgente un intervento normativo che garantisca la piena funzionalità ai gruppi del Genio Campale dando loro la possibilità di continuare ad avvalersi di prestazioni occasionali finalizzate alla realizzazione di opere necessarie per la difesa nazionale e la protezione civile, valutando anche la possibilità di consentire la trasformazione di tali rapporti di lavoro in contratti a tempo indeterminato.
(5-01402)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:

ANGELA NAPOLI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
considerata la disastrosa situazione delle principali arterie stradali calabresi, la gestione dei trasporti dovrebbe essere oculata ed efficiente, ma, al contrario, in particolare, Trenitalia, continua a penalizzare l'intera Regione;
Trenitalia ha attivato la mobilità del personale in esubero dalla Divisione Cargo alle altre due divisioni del trasporto Regionale e Passeggeri sul territorio nazionale, obbligando di fatto lo stesso personale a transitare verso regioni lontane, risultando le due Divisioni dalla Calabria «non recettive»;

naturalmente quest'ultima decisione di Trenitalia, oltre a costringere di fatto i ferrovieri delle due Divisioni ad andare a lavorare in Regioni lontane dalle loro residenze e dove alcuni hanno già lavorato per lunghi anni, continua a disintegrare lentamente ed inesorabilmente la gestione del trasporto Regionale e Passeggeri dal personale calabrese;
la penalizzazione di Trenitalia nei confronti della Calabria avviene anche sui viaggiatori, sempre costretti ad utilizzare carrozze ferroviarie dismesse sulle linee del Centro-Nord, con servizi di toilette impraticabili, tendine dei finestrini consunte, porte «fuori servizio» ed igiene davvero carente;
dai treni per la Calabria è stato anche eliminato il servizio di benvenuto a bordo, peraltro compreso nel costo del biglietto;
ed ancora, considerata la carenza dei collegamenti ferroviari dalla Calabria per il Centro-Nord nella fascia ionica regionale, molti viaggiatori si ritrovano costretti ad utilizzare la ferrovia sul tratto tirrenico calabrese, dove non mancano grandi disagi;
ad esempio, il 19 aprile 2009, i viaggiatori in possesso di regolare prenotazione, posto e carrozza, sull'eurostar 9374, Reggio Calabria-Roma, in partenza da Lamezia Terme, si sono ritrovati su un treno superaffollato, con posto su prenotazione inesistente;
tutto quanto sopra esposto dall'interrogante dimostra come anche per Trenitalia la Calabria ed i suoi cittadini continuino a subire pesanti penalizzazioni e discriminazioni rispetto ai cittadini delle altre Regioni d'Italia -:
se non ritenga davvero necessario ed urgente intervenire su Trenitalia, per far sì che tale Società consideri la Calabria parte integrante dell'intera Italia e non vengano più penalizzati i viaggiatori di questa Regione.
(4-02961)

TESTO AGGIORNATO AL 14 MAGGIO 2009

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GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:

EVANGELISTI, LEOLUCA ORLANDO, ZACCHERA, NARDUCCI, PORTA, MUSSOLINI e PIFFARI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
Carlo Parlanti, cittadino italiano, rientrato in Italia nell'agosto 2002 dopo aver vissuto 6 anni in California, viene fermato in Germania, il 5 luglio 2004 - pare senza essere a conoscenza di avere a suo carico una denuncia e un mandato di cattura internazionale, peraltro mai notificato in Italia - perché accusato di violenza nei confronti dell'ex convivente americana Rebecca White, per fatti accaduti nel luglio del 2002;
rimane per circa un anno nel carcere tedesco senza che l'Autorità giudiziaria italiana sia intervenuta per richiedere l'estradizione in Italia;
in occasione del processo negli USA, (ove si è sempre dichiarato innocente) rifiuta un patteggiamento, nel novembre 2005, che lo avrebbe fatto liberare nel giro di pochi mesi ribadendo la propria estraneità ai fatti contestatigli; di conseguenza, veniva, nel successivo dicembre, condannato a ben nove anni di reclusione per due capi d'accusa: stupro e violenza domestica; a supporto di questa accusa sono stati presentati atti che comproverebbero precedenti penali per stupro e rapina a mano armata del signor Parlanti e che, invece, contrastano palesemente con la fedina penale pulita dello stesso (questi atti non furono presentati in processo ma nell'udienza per stabilire la cauzione e a causa di questi non è stata concessa la cauzione); inoltre, parrebbe che a seguito di una perizia del detective Californiano Nebwy, esperto consulente di molte procure americane, siano emerse le prove di come le fotografie, presentate dalla White nel corso del processo e acquisite agli atti, fossero state scattate molto tempo prima e

non all'interno del bagno dell'appartamento occupato dal 2001 da Carlo Parlanti;
il 15 febbraio 2007 si è svolto il processo d'appello il cui dibattimento non ha del tutto fugato un qualche dubbio di legittimità e imparzialità e non risulterebbero essere stati garantiti all'imputato gli stessi standard di difesa di cui avrebbe beneficiato in Italia;
a oggi, il signor Parlanti è detenuto nel carcere di Avenal, in cui si trovano circa 8.000 prigionieri in «celle» di 400 detenuti ciascuna, in mezzo al deserto e in condizioni durissime e difficili da accettare per la cultura giuridica italiana;
inoltre, allo stato attuale, il signor Parlanti risulterebbe gravemente malato d'asma, a seguito di un'infezione polmonare che ne ha dimezzato la capacità respiratoria, di piorrea e affetto da epatite C senza che, per questi motivi, gli sia stata assicurata un'adeguata assistenza medica e vive una situazione di discriminazione nel penitenziario di Avenal, nella sezione 310 a cui è assegnato;
è stata presentata il 7 febbraio 2008 una denuncia presso la Procura di Milano con numero di protocollo 08/6447 nella quale vengono denunciate tutte le presunte azioni che, dal giorno del suo arresto, sono state perpetrate ai danni del sig. Carlo Parlanti;
è stata inoltre redatta dall'avvocato Cardiello, difensore in Italia del signor Parlanti, una denuncia su tutti i presunti crimini perpetrati ai danni del Parlanti quali la presentazione di prove false e falsa testimonianza commessi nel processo americano;
la signora Katia Anedda, presidente dell'associazione Prigionieri del Silenzio che ha delega legale da parte del signor Parlanti a rappresentarlo, ha cercato di interessare il ministero degli esteri affinché venisse segnalata e depositata presso gli enti competenti americani la citata denuncia, ma accertata la difficoltà del consolato nell'ottemperare a questa richiesta, la Anedda si recherà in California per poter depositare personalmente la denuncia già inviata per posta ordinaria alla procura generale della California, alla procura di Ventura e al dipartimento Statale USA di Giustizia;
nonostante, la petizione sottoscritta da numerosi cittadini, gli appelli ai Ministri degli esteri e della giustizia, le iniziative parlamentari avviate per richiamare l'attenzione, sul caso non risulta ancora adeguato quanto finora fatto dalle istituzioni governative italiane per sostenere e tutelare un cittadino italiano -:
se non ritengano, nell'ambito delle rispettive competenze, anche alla luce delle relazioni stilate dai dottor Agnesina Pozzi, Matteo Pacini e Scott H. Newby di intervenire e farsi portavoce nelle sedi opportune per cercare di risolvere questa pesante vicenda giudiziaria e umana, nella tutela degli interessi del nostro concittadino e per produrre ogni azione di verifica a riguardo.
(4-02956)

ANGELA NAPOLI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'interrogante, attraverso numerosi atti ispettivi, ha più volte segnalato che alcune decisioni assunte dalla Corte d'Appello di Catanzaro, in particolare nell'ultimo anno, hanno prodotto scarcerazioni o comunque notevoli benefici, per noti boss della 'ndrangheta vibonese;
da ultimo, nei giorni scorsi, la seconda sezione penale della Corte d'Appello di Catanzaro, ha decretato, con largo anticipo, non più «socialmente pericoloso» Michele Bonavota, dell'omonima cosca vibonese, attualmente sub iudice nel processo «Bluff» con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa;
Michele Bonavota era stato posto sotto la misura della «sorveglianza speciale» per episodi delittuosi risalenti al 2002-2003 e si trovava già sotto tale misura

quando fu trovata la sua «lunga e appassionata corrispondenza» con il boss Bernardo Provenzano;
l'interrogante trova davvero non condivisibile il verdetto emesso dalla Corte d'Appello di Catanzaro, non solo perché nello stesso si trascurano appunto i collegamenti con Bernardo Provenzano ma anche perché i legali difensori del Bonavota hanno persino annunciato la proposta di ricorso per «l'ingiusta sottoposizione sin qui patita» -:
quali urgenti iniziative normative intenda assumere per far sì che, almeno, a noti boss mafiosi non venga tolta la misura di «sorvegliato speciale» pur essendo sub iudice in processi di mafia.
(4-02960)

LAGANÀ FORTUGNO e OLIVERIO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la realtà penitenziaria italiana è caratterizza da un elevato sovraffollamento delle strutture di detenzione;
di fronte all'attuale inadeguatezza strutturale del sistema carcerario italiano il 23 gennaio 2009 il Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro di giustizia ha varato un nuovo «Piano straordinario carceri» tassello infrastrutturale della «riforma della giustizia»;
il piano intende realizzare nuove strutture carcerarie e al fine di ridurre i tempi previsti dall'iter parlamentare è stato inserito come emendamento al disegno di legge di conversione del decreto legge n. 207 del 2008, cosiddetto «Milleproroghe»;
in data 25 febbraio 2009, Franco Ionta, Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (DAP) nominato Commissario Straordinario, figura istituita dalla legge di cui sopra, con anticipo sui tempi previsti trasmette al Ministro ed alle organizzazioni sindacali un documento definito «ampiamente di massima» su un primo programma dei lavori necessari;
in tale programma né tra gli interventi del biennio 2009-2010, né quelli del 2011-2012 è contemplato il carcere di Arghillà, struttura penitenziaria della zona collinare di Reggio Calabria ancora totalmente inutilizzata;
il carcere di Arghillà inizia il suo iter nel 1994 con l'assegnazione del bando di gara al soggetto concessionario nel RTI CMC Pizzarotti. Inizialmente concepito come carcere di massima sicurezza in seguito fu declassato a «casa circondariale»;
con i finanziamenti del 2003 vennero realizzati i primi due lotti e varie altre strutture quali muri di recinzione, postazioni di guardia e fabbricati uso ufficio. Ad oggi però risultano non portati a compimento gli alloggi di servizio, la caserma per gli appartamenti del Corpo di Polizia penitenziaria nonché tutte le infrastrutture per i servizi essenziali, quali allacciamento stradale alla carreggiata del centro abitato di Arghillà, impianti fognari, idrici e di illuminazioni, indispensabili per l'operatività del carcere stesso;
varie vicende successive che hanno interessato il DAP del Ministero della Giustizia, gli enti preposti della Regione Calabria e l'impresa appaltatrice hanno portato, in sintesi, al Commissariamento nella gestione dell'appalto per ultimare rapidamente l'opera, cosa che risulta al momento non fattibile per la carenza di fondi appositamente destinati -:
se il Ministro non ritenga opportuno intervenire con massima urgenza per inserire tra le opere da portare a compimento, e quindi da finanziare, anche la casa circondariale di Arghillà al fine non solo di contribuire a ridurre il sovraffollamento delle carceri, ma anche di non rendere inutili le risorse finanziarie fin'ora impiegate.
(4-02963)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:

GIORGIO MERLO e PORCINO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
i collegamenti ferroviari tra Torino e Roma continuano ad essere fortemente deficitari malgrado i cospicui incrementi economici;
la riduzione misteriosa dei collegamenti, la pesante ed inspiegabile estromissione di metà Piemonte delle corse tra Torino e Roma sono elementi inquietanti che denotano una scarsa sensibilità dei vertici delle Ferrovie al tema in questione e una precisa responsabilità del management nel non raccogliere le indicazioni che provengono dalle realtà locali;
l'elemento più preoccupante, comunque, riguarda i collegamenti notturni tra Torino e Roma e viceversa;
una sola corsa tra il capoluogo subalpino e la capitale che parte alle 21,55 con arrivo a Roma Termini alle 6 e da Roma a Torino con partenza alla mezzanotte e arrivo alle 8,20;
ora alla luce di questa incresciosa situazione che crea pesantissime ricadute sui pendolari, diventa sempre più urgente conoscere la reale intenzione dei vertici delle Ferrovie per ovviare alle carenze di un servizio sempre più debole, inesistente e negativo per le concrete esigenze dei cittadini piemontesi -:
quali siano le proposte concrete che il Ministro intenda mettere in campo per ripristinare collegamenti ferroviari dignitosi ed utili ai cittadini nella tratta Torino-Roma.
(5-01400)

Interrogazione a risposta scritta:

GALATI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per i rapporti con le regioni. - Per sapere - premesso che:
secondo fonti sindacali Trenitalia ha dato inizio ad una massiccia mobilità del personale in esubero dalla Divisione Cargo alle altre due divisioni del trasporto, Regionale e Passeggeri, verso alcune Regioni d'Italia, escludendo totalmente Calabria e Sicilia;
la mobilità di personale interessa per ora la Divisione Cargo fortemente ridimensionata dal discutibile piano industriale di Trenitalia;
la procedura messa in atto dalla Dirigenza di Trenitalia, a fronte di esuberi anche nelle divisioni Cargo di Calabria e Sicilia, con interpellanze a cui possono accedere i lavoratori in esubero, assegna come località recettive solo Regioni del Nord. Le città più meridionali che accoglierebbero il personale in esubero sono Napoli e Foggia;
la Calabria e la Sicilia, al pari di altre realtà, hanno bisogno di personale nelle Divisioni Regionale e Passeggeri Nazionale, ma l'amministrazione Trenitalia, ormai da tempo, continua ad assumere decisioni che appaiono sempre più penalizzanti per queste Regioni;
è da evidenziare che la Divisione Regionale e Passeggeri della Calabria hanno bisogno di personale forse anche di più delle altre Regioni poiché i viaggiatori sono costretti ad utilizzare carrozze con servizi igienici davvero carenti e con toilette impraticabili e le carrozze sono vecchie al punto da richiedere molta manutenzione;
una scelta del genere adottata da Trenitalia penalizza fortemente i viaggiatori, cancella totalmente la gestione di tutto il trasporto ferroviario di Calabria e Sicilia e costringe i ferrovieri in esubero, a lasciare le terre del Sud -:
se i Ministri siano a conoscenza di quanto sopra illustrato, se intendano intervenire e quali misure urgenti intendano

adottare al fine di non consentire che la Calabria e la Sicilia continuino ad essere penalizzate nel settore dei trasporti e della viabilità.
(4-02957)

TESTO AGGIORNATO AL 29 LUGLIO 2010

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INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:

MINNITI, GARAVINI, GIOVANELLI, LO MORO, LARATTA, LAGANÀ FORTUGNO, CESARE MARINI, OLIVERIO, VILLECCO CALIPARI, BORDO, BOSSA, BURTONE, GENOVESE, MARCHI, ANDREA ORLANDO e PICCOLO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in Calabria è molto diffuso il fenomeno degli attentati ad amministratori;
molto spesso si tratta di episodi criminosi finalizzati ad interferire sui risultati elettorali, tant'è che numerosi sono stati i casi di scioglimento dei consigli comunali causati da infiltrazioni mafiose in fase elettorale;
nel Comune di Filandari, che ricade nella provincia di Vibo Valentia, si vota per il rinnovo del Consiglio Comunale e l'elezione del Sindaco il 6 e 7 giugno 2009 e sono, pertanto, in corso le operazioni relative alla presentazione delle liste;
la provincia di Vibo è caratterizzata dalla presenza di cosche particolarmente pericolose e nel Comune di Filandari. secondo i dati risultanti dalla relazione antimafia predisposta nella precedente legislatura, opera la cosca dei «Soriano»;
numerosi sono stati gli attentati che si sono succeduti a Filandari nel corso degli ultimi anni, con un pericoloso incremento degli episodi negli ultimi tempi, in cui all'incendio dell'abitazione del segretario cittadino del Partito Democratico, Nazzareno Maccarone, hanno fatto seguito due attentati a beni di proprietà di assessori in carica, e precisamente l'incendio dell'autovettura dell'assessore Caterina Lo Schiavo e dell'abitazione dell'assessore Francesco Panzitta;
il Consiglio Comunale di Filandari, in data 20 marzo 2009, ha preso una posizione decisa contro «i metodi criminosi che tentano, senza riuscirvi, di condizionare la gestione della cosa pubblica», votando un documento contenente «l'esplicito rifiuto del consenso elettorale di chi delinque»;
nei giorni scorsi, però, si sono registrati due pericolosi segnali a persone che avevano espresso la volontà di candidarsi alla carica di consigliere comunale e di sostenere la ricandidatura del Sindaco in carica, avvocato Domenico Talotta. In particolare, in data 2 maggio 2009, venivano sparati alcuni colpi di arma da fuoco verso l'autovettura del sig. Fortunato Rotella e in data 3 maggio 2009, veniva incendiata l'abitazione di campagna del dottor Domenico Mazzitelli, entrambi i destinatari degli attentati erano in procinto di candidarsi;
si è pertanto, determinata una situazione molto delicata e pericolosa, in un contesto ambientale in cui operano cosche criminali e si registra la presenza in paese di noti pregiudicati destinatari della misura cautelare degli arresti domiciliari -:
quali iniziative urgenti si intendono assumere per garantire il rispetto della libertà e della sicurezza dei cittadini di Filandari nell'attuale fase di preparazione e presentazione delle candidature e nelle fasi successive di campagna elettorale ed elezioni.
(4-02964)

POLLEDRI e STUCCHI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nei giorni di Pasqua e Pasquetta (12 e 13 aprile 2009), come da tradizione, nel Comune di Borgonovo Val Tidone (Piacenza) si è tenuta la Fiera dell'Angelo, che ha richiamato migliaia di visitatori e di

turisti, trattandosi di un appuntamento annuale tra i più importanti del Nord Italia;
la Fiera dell'Angelo è occasione per agricoltori ed operatori del settore commerciale di ritrovarsi e dare vita ad un grande mercato, che costituisce anche un auspicio per il rilancio dell'economia della Val Tidone ma non solo;
quest'anno la Fiera dell'Angelo è stata oggetto di una letterale invasione da parte di venditori abusivi di nazionalità extracomunitaria i quali, circa 400, hanno occupato il suolo pubblico allo scopo di vendere la propria merce, pur essendo privi di titolo, autorizzazione e regolamentazione fiscale;
tale fenomeno di abusivismo commerciale, in costante incremento negli ultimi anni, genera rilevanti problemi di ordine pubblico nel contesto di una manifestazione già di per sé caotica e risulta incontrollabile con le risorse in termini di personale (5 unità) a disposizione della locale Polizia Municipale;
la polizia Municipale è intervenuta solo nel pomeriggio del giorno di Pasqua in seguito all'aiuto della Polizia di Stato evocata da un mio intervento presso il questore di Piacenza in quanto in numero ridotto e senza indicazioni da parte del Sindaco;
nonostante le decine di sequestri operati dalla Polizia Municipale il 12 aprile, il giorno successivo i venditori abusivi si sono presentanti numerosi (anche se in numero ridotto grazie agli sforzi della Questura) e ciò ha generato anche una rissa tra un gruppo di stranieri che si contendevano i posti senza autorizzazione;
stando alle stime approssimative della Polizia Municipale, ogni venditore abusivo sarebbe riuscito ad incassare almeno 400 euro, per un totale di evasione fiscale che si aggirerebbe quindi attorno ai 160.000 euro -:
quali misure il Prefetto di Piacenza avesse intrapreso per prevenire il fenomeno del commercio abusivo durante la Fiera dell'Angelo di Borgonovo Val Tidone nonostante fosse notorio il problema;
se non fosse stato necessario, una volta verificata la palese violazione delle leggi da parte del sindaco predisporre un servizio di vigilanza e controlli maggiormente capillare ed efficace, allo scopo di effettuare più velocemente i sequestri di merce;
se il Prefetto e il Sindaco abbiano richiesto maggiori rinforzi di polizia in previsione delle prossime edizioni della Fiera dell'Angelo;
se e quali misure intenda porre in essere per prevenire il ripetersi di tali episodi.
(4-02965)

MILO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel contesto generale dell'emergenza rifiuti nel territorio della provincia di Napoli i Vigili del fuoco sono impiegati per sopperire ad eventuali anomalie tecniche e per garantire margini di sicurezza ai fini antincendio e di lavoro;
allo stato operano presso i siti di stoccaggio denominati STIR di Giugliano e Caivano, 5 unità per singolo sito;
diversamente la legge 210/08 all'articolo 8 prevede l'invio in Campania di 35 Vigili del fuoco destinati alle esigenze del Sottosegretariato all'emergenza rifiuti;
in particolare Napoli ne ha avuti assegnati 15 che diventano, stante le turnazioni del personale due per turno, tra l'altro non sempre presenti per motivi legati a ferie o congedi straordinari, ne discende che il Comando deve, comunque, inviare proprie unità per garantire il servizio predetto;
il Comando di Napoli è il secondo in Italia per numero di interventi (il primo gode di più del doppio del contingente napoletano); la futura pianta organica può dirsi già superata attese le problematiche connesse alla carenza di personale ed

all'accresciuto carico di lavoro, che comporta il ricorso massiccio allo straordinario effettuato da personale che ormai lavora quasi senza soluzione di continuità tra turni ordinari e straordinari, aumentando, di conseguenza i livelli di rischio già altissimi ed insiti nella delicata professione;
l'apporto dei Vigili del fuoco diventa sempre più necessario al Paese nel variegato e complesso scenario della sicurezza intrinseca, si pensi, ad esempio, alla gestione di talune centrali di difesa civile, al rischio chimico/biologico, a quello radioattivo, alla sicurezza sul lavoro;
all'aggravio delle competenze non segue un adeguato potenziamento del Corpo in termini di personale, risorse e mezzi;
tale situazione si aggrava ancor di più nella realtà napoletana, dove le esigenze amplificano le cennate carenze;
le innumerevoli denunce sindacali, l'ultima delle quali è sfociata nell'ennesimo sciopero indetto dai sindacati CGIL CISL e UIL Vigili del fuoco di Napoli, meritano, a parere dell'interrogante, una maggiore attenzione del Governo che dovrebbe essere doverosa nei confronti di lavoratori che prestano incessantemente la loro essenziale opera;
impegno lievitato in vista delle richieste della struttura diretta dal Sottosegretario Bertolaso, tenuto conto dei servizi da svolgere presso la discarica di Chiaiano e, in quelle di Acerra;
peraltro, viene sottovalutato spesso il ruolo di agenti di pubblica sicurezza dei Vigili del fuoco sottoposti gli stessi a controlli sulle loro identità effettuata dai militari a presidio degli STIR, svolti nonostante l'uniforme ed i mezzi targati Vigili del fuoco, fattore che incide sui livelli emotivi del gruppo;
è noto che da tempo si discute sul potenziamento del Comando di Napoli interessato da fasi emergenziali perenni e divenute ordinarie, senza però una concreta risposta, per le note vicende della compressione del livello della spesa pubblica nazionale;
in alternativa potrebbe essere utile colmare la carenza di personale del Comando di Napoli, ricorrendo ad una riclassificazione professionale del personale con il passaggio dalla categoria S11 ad S12 -:
quali provvedimenti il Governo intenda adottare, per migliorare le modalità di gestione del carico di lavoro dei Vigili del fuoco di Napoli e quali rimedi ipotizza per risolvere la precaria condizione logistica in cui opera il personale sui siti STIR.
(4-02968)

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:

GHIZZONI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
gli Istituti Tecnici Commerciali Statali attualmente includono nella propria un'offerta formativa un corso triennale denominato Mercurio, che ha come indirizzo specifico quello Aziendale, Informatico e Gestionale;
nel suddetto corso Mercurio l'insegnamento di Informatica ha un ruolo fondamentale, tanto che le ore di lezione sono cinque in terza, cinque in quarta e sei in quinta classe. Curricolari e strutturate risultano, poi, le ore di lezione di Laboratorio che integrano dal punto di vista tecnico-pratico l'insegnamento di Informatica e connettono, a livello interdisciplinare, la tecnologia e lo strumento informatico con discipline quali l'Economia Aziendale e la Matematica. In particolare, l'insegnamento di Economia Aziendale consente agli studenti di acquisire le necessarie competenze per elaborare e risolvere problemi di contabilità aziendale utilizzando un software già esistente, intervenendo

su di esso con appropriate modifiche o creando programmi ex novo;
la già citata presenza dell'insegnamento di Informatica e lo spazio curriculare attribuito alla Matematica, consente negli alunni del corso Mercurio lo sviluppo delle competenze logico-analitiche, della capacità di operare scelte di programmazione, delle abilità nella risoluzione di problematiche relative al sistema informativo aziendale. Inoltre, lo studente giunge a possedere conoscenze dei processi che caratterizzano la gestione aziendale sotto il profilo economico-giuridico, contabile e informatico, oltre che una buona cultura generale accompagnata da adeguate capacità linguistiche sia nella lingua madre che nella lingua inglese;
infine, il corso Mercurio permette ai propri studenti di acquisire le competenze tecniche ed informatiche utili per i successivi studi universitari e adeguate per un veloce ingresso nel mondo del lavoro;
nello schema di decreto contenente il riordino delle Scuole Superiori, pubblicato nel sito del Ministero della Pubblica Istruzione, il corso Mercurio non viene più menzionato come indirizzo attivabile presso gli Istituti Tecnici Commerciali Statali -:
quali siano le motivazioni che hanno indotto il Ministro interrogato a sopprimere il corso Mercurio e in quale modo si intenda sopperire a suddetta abolizione per consentire agli studenti di acquisire le competenze previste attualmente da tale indirizzo di studio.
(4-02959)

GHIZZONI e SIRAGUSA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
l'istruzione secondaria superiore sarà sottoposta ad un drastico mutamento - in conseguenza ai tagli di organico determinati dall'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 - senza che la ridefinizione dei profili formativi, dei curricula, degli obiettivi disciplinari e quindi degli apporti didattici necessari per attuarli sia stata oggetto di confronto con le componenti scolastiche e con le forze politiche;
il 18 dicembre 2008, il Consiglio dei Ministri ha esaminato il Regolamento relativo all'istruzione liceale e, conseguentemente, ne sono stati resi noti gli assetti orari annuali, dai quali si evince la scomparsa di alcune discipline, la forte riduzione di altre e l'introduzione ex novo di altre ancora, tanto da prefigurare una modifica del profilo formativo in uscita dei corsi di studio;
in particolare, l'assetto del «nuovo» Liceo Artistico, che compatta in tre indirizzi le sperimentazioni degli attuali Liceo artistico e Istituto d'Arte, modifica fortemente il suo corso di studi tradizionale, specializzando selettivamente alcuni aspetti disciplinari e disarticolando la storica complementarietà delle discipline artistiche nel processo di apprendimento e formazione;
la forte riduzione di ore che subiranno le discipline artistiche ora presenti nei Licei Artistici e Istituti d'Arte, quali ad esempio Pittura, Scultura e Architettura, è decisamente maggiore rispetto a qualsiasi altro insegnamento del sistema dei Licei. Alla perdita di ore (fino al 50) si associa poi il più grave snaturamento della struttura curriculare degli attuali istituti di istruzione artistica (unico segmento propedeutico rivolto alla formazione per l'arte), poiché le discipline caratterizzanti diventeranno una paradossale minoranza e saranno spogliate dalla loro specificità e natura;
pare urgente avviare una riflessione approfondita sulla realtà didattico educativa legata al fare creativo, sulle finalità della formazione artistica nell'attuale contesto storico, culturale e economico del nostro Paese, con la consapevolezza che sul piano didattico-pedagogico l'esperienza tra le materie artistiche, pittoriche, plastiche, geometrico-architettoniche non può essere separata dall'esercizio precoce e continuativo del fare artistico operativo, laboratoriale, progettuale;

e che l'educazione alla creatività artistico-artigianale - strategica per la qualità dei tanti distretti produttivi italiani - necessita di una formazione che le scuole d'arte attualmente assicurano e promuovono -:
se il Ministro non intenda riconsiderare l'assetto proposto per il «nuovo» Liceo Artistico, al fine di potenziare la formazione al linguaggio artistico (al «saper fare arte»), che ha pari dignità rispetto all'apprendimento delle discipline umanistiche e scientifiche.
(4-02962)

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:

VANNUCCI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
i beneficiari delle agevolazioni della legge n. 215 del 1992 6o bando del 2005 hanno ricevuto conferma in via definitiva del contributo a seguito delle risultanze della relazione finale della spesa nel dicembre 2008 con emissione del decreto di concessione definitiva;
a tutt'oggi la banca concessionaria non ha provveduto alla erogazione della quota a saldo come previsto dalle disposizioni;
la presunzione che si ricava è che il Ministero della economia non abbia ancora trasferito i fondi necessari;
sarebbe impensabile non corrispondere i contributi dopo l'emissione dei decreti di concessione definitiva -:
quali siano le ragioni del ritardo delle erogazioni, le intenzioni del Ministero circa il pagamento del contributo e le previsioni dei tempi per la definitiva conclusione.
(5-01399)

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Apposizione di una firma ad una mozione.

La mozione Franceschini e altri n. 1-00161, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 aprile 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bindi.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore:
interrogazione a risposta orale Volontè n. 3-00141 del 23 settembre 2008 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02969.