Allegato A
Seduta n. 122 di mercoledì 28 gennaio 2009

COMUNICAZIONI DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA SULL'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA, AI SENSI DELL'ARTICOLO 86 DEL REGIO DECRETO 30 GENNAIO 1941, N. 12, COME MODIFICATO DALL'ARTICOLO 2, COMMA 29, DELLA LEGGE 25 LUGLIO 2005, N. 150

Risoluzioni

La Camera,
udite le comunicazioni del Ministro della giustizia,
le approva ed indica i seguenti punti quali priorità necessarie a rendere efficiente il servizio giustizia e ad assicurare ad ogni cittadino sicurezza e libertà:
a) sarà elemento cardine dell'attività del Governo tutelare il precetto costituzionale dell'indipendenza della magistratura, inteso come indipendenza dei singoli magistrati, soggetti soltanto alla legge e non asserviti, nella loro funzione, a logiche correntizie finalizzate alla progressione di carriera. Così come la politica, sia del Governo che del Parlamento, non può ingerirsi nell'attività dei giudici, altrettanto deve fare la politica oggettivamente presente nella magistratura attraverso le sue correnti;
b) è primaria l'attuazione delle riforme ordinamentali e processuali per consolidare il principio del giusto processo, che, pur essendo enunciato nella Costituzione, non fa ancora parte del quotidiano esercizio della giurisdizione. Nel processo penale è oramai improcrastinabile restituire efficienza e celerità al sistema e deve essere oltremodo assicurata - ferme restando le esigenze di tutela della collettività - l'effettiva parità tra accusa e difesa e la reale terzietà del giudice; nel processo civile, per il quale va implementato il ricorso all'informatica, deve essere garantita la certezza di una decisione in tempi ragionevoli e vanno individuate le soluzioni idonee ad eliminare il gigantesco macigno dei procedimenti arretrati; da ultimo, ma non per ultimo occorre unificare il rito civile ed amministrativo in ogni stato e grado, prevedendo esclusivamente un rito ordinario ed uno d'urgenza;
c) devono essere codificati un sistema di controlli in grado di verificare - nel rispetto dei principi di autonomia ed indipendenza - la professionalità dei magistrati, calibrato sull'esaltazione della capacità, dell'equilibrio e della diligenza e che risulti libero dai frequenti protagonismi dei singoli nonché un meccanismo funzionale all'individuazione e selezione dei magistrati chiamati a dirigere gli uffici, che tenga conto della loro effettiva capacità organizzativa e gestionale e non già della loro appartenenza ad una corrente;
d) occorre predisporre un puntuale ed efficace sistema di valutazione della responsabilità disciplinare dei magistrati, che serenamente - ma senza indulgenza corporativa - sappia garantire la credibilità che l'ordine giudiziario deve
continuare a possedere. In questa ottica non può non pensarsi ad una riforma del Consiglio superiore della magistratura, sia in ordine alla sua composizione, riportando ad un maggiore equilibrio le diverse rappresentanze al suo interno, sia in ordine alla sua funzione in materia disciplinare; ciò valga anche per la valutazione delle professionalità;
e) deve essere data attuazione alla funzione organizzativa che l'articolo 110 della Costituzione affida al Ministro della giustizia, consentendo dunque al Ministro della giustizia - senza pensare strumentalmente ad anomali controlli sulle attività giurisdizionali - di monitorare con immediata capacità di accesso ai dati l'andamento del servizio reso ai cittadini e di intervenire per recuperare l'efficienza eventualmente perduta;
f) deve darsi definitivo corso all'enunciato protocollo d'intesa per la realizzazione di programmi di innovazione digitale, per il miglior funzionamento degli uffici, da attuare con il completo ammodernamento delle infrastrutture e delle reti di trasmissione dei dati informatizzati. In questa ottica vanno razionalizzati i costi sostenuti dall'amministrazione della giustizia, non ultima, anche nella materia delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, ed è necessario rendere operativo il fondo unico della giustizia;
g) è auspicabile continuare a contrastare, senza tentennamenti - sulla scia delle iniziative già adottate dal Governo - ogni forma di aggressione alla sicurezza e libertà dei cittadini: ciò sia rendendo effettivo il principio di certezza della pena, sia garantendo che attraverso l'irrogazione della sanzione penale possano essere recisi i legami con le organizzazioni criminali. Non deve essere poi abbandonata la strada già intrapresa sul versante dell'aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati, allo scopo di privare le associazioni mafiose di ogni possibile risorsa finanziaria;
h) è auspicabile riformare la magistratura onoraria che, concepita per fini onorifici, è ormai diventata parte integrante e essenziale della giurisdizione, riconoscendo anche ai magistrati onorari una posizione economica che tenga conto della dignità della funzione svolta, rafforzando il collegamento tra. le comunità territoriali e la stessa.
(6-00011)
«Costa, Brigandì, Belcastro, Baldelli, Dal Lago, Lo Monte, Pecorella, Sisto».

La Camera,
udite le comunicazioni del Ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia e premesso che:
è un dato oggettivo e non più un'opinione di alcuni che lo stato della giustizia nel nostro Paese ha raggiunto livelli di inefficienza assolutamente intollerabili, sconosciuti in altri Paesi democratici, per i quali l'Italia versa, da anni ed in modo permanente, in una situazione di sostanziale illegalità, tale da aver generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo;
l'enorme numero di processi pendenti sia nel settore civile che in quello penale e l'impossibilità che questi siano definiti in tempi ragionevoli hanno ormai determinato una sfiducia generalizzata dei cittadini nel sistema giustizia, tale da rendere sempre più concreto il pericolo, per un verso che si ricorra a forme di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e per altro verso che si incrementi il numero di reati a causa di una sostanziale impunità;
rispetto a tale situazione la stessa introduzione della cosiddetta «legge Pinto», strumentalmente approvata al solo fine di evitare continue condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, ha ulteriormente sovraccaricato i ruoli delle corti di appello e, d'altra parte, per quanto è stato autorevolmente affermato, se tutti gli aventi diritto dovessero agire nei confronti dello Stato sulla base della cosiddetta «legge Pinto», lo Stato stesso sarebbe costretto a dichiarare bancarotta;

in tale situazione occorre predisporre un piano di riforme organiche e strutturali del sistema giustizia; occorrono provvedimenti in grado di garantire un più equilibrato rapporto fra i poteri dello Stato, uscendo da logiche emergenziali o d'occasione, che da un lato lasciano ai pubblici ministeri la piena discrezionalità sull'uso dei mezzi di indagine e sull'esercizio dell'azione penale e dall'altro all'arbitrio dei giudici la scelta dei processi da rinviare;
a causa delle difficoltà di bilancio del nostro Paese, a rendere più drammatico il quadro del sistema è anche intervenuto il taglio dei fondi destinati alla giustizia;
lo stesso Ministro Alfano, intervenendo al convegno organizzato dall'Unione delle camere penali il 15 luglio 2008, sul tema delle riforme per la giustizia, ha dichiarato che «occorre intervenire sulla giustizia con una riforma organica, in tempi rapidi e non con una legislazione alluvionale, ma con interventi mirati che non vanno contro qualcuno sui processi e sull'asse istituzionale e costituzionale; per una giustizia al servizio del cittadino»;
analoghe affermazioni sulla necessità di radicali modifiche del sistema della giustizia sono state espresse dal Presidente del Consiglio dei ministri;
il segretario del più grande partito di opposizione, Walter Veltroni, già in campagna elettorale, dalle colonne de Il Riformista, ha posto in discussione il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, affermando la necessità di «un procedimento che veda la partecipazione di Parlamento, Csm e procuratori della Repubblica nella fissazione dei criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale»;
l'amministrazione della giustizia e la difesa della legalità costituiscono oggi una vera e propria «questione sociale nazionale», la cui soluzione non è più rinviabile;
i ripetuti interventi legislativi attuati sul processo penale, come su quello civile, non hanno portato i risultati che si attendevano e possono perciò considerarsi dei semplici provvedimenti tampone privi di efficacia risolutiva;
pertanto, è giunto il momento di affrontare con decisione il tema della giustizia e di porre mano a riforme che costituiscano reale attuazione del principio di rispetto delle regole;
dette riforme non devono peraltro procedere nel senso di determinare, nel processo penale, una diminuzione delle garanzie difensive dell'imputato, né dette garanzie, come pure è stato proposto, debbono essere sacrificate sull'altare della ragionevole durata del processo, posto che quest'ultima è essa stessa un diritto dell'imputato;
dette riforme devono invece procedere nel senso di garantire un'effettiva parità tra accusa e difesa, con un giudice che sia effettivamente terzo tra le due parti, con una reale responsabilizzazione, anche disciplinare, dei magistrati inquirenti e giudicanti, riservando la risposta penale dello Stato a quei soli fatti che, offendendo in concreto beni giuridici non altrimenti presidiabili, rivestono un rilevante disvalore sociale, come tale percepito dalla collettività,

impegna il Governo

a presentare in tempi brevi, con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento, una riforma strutturale e organica del sistema della giustizia, che preveda:
a) l'abolizione dell'obbligatorietà dell'azione penale, con la previsione di un procedimento per la fissazione dei criteri per l'uso dei mezzi di indagine e per l'esercizio dell'azione penale; un procedimento che veda la partecipazione dei pubblici ministeri e di altri soggetti istituzionali, che individui un soggetto istituzionale politicamente responsabile di fronte al Parlamento per la loro effettiva ed uniforme implementazione a livello operativo;

b) la separazione delle carriere dei magistrati, con modalità tali da garantire l'assoluta indipendenza del giudice;
c) la responsabilizzazione del pubblico ministero per l'osservanza delle priorità fissate ed al contempo la creazione di meccanismi atti ad evitare che chi è politicamente responsabile per l'implementazione delle politiche pubbliche nel settore criminale possa indebitamente condizionare, su singoli casi, l'attività del pubblico ministero, deviandolo dal rispetto delle priorità prefissate;
d) la revisione della composizione e del sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura; la fissazione dei suoi compiti in via tassativa; l'eventuale creazione di un consiglio per il pubblico ministero e di un organismo che garantisca un efficiente sistema disciplinare per tutti i magistrati;
e) la reintroduzione di severi vagli della professionalità dei magistrati nel corso dei 40-45 anni della loro permanenza in carriera, vagli di professionalità in grado di evidenziare sia i magistrati più qualificati - per competenza e produttività - a conseguire le promozioni ed il relativo trattamento economico, sia quelli che sono più qualificati per coprire le molteplici funzioni cui giudici e pubblici ministeri possono essere destinati;
f) la modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, con modalità tali da garantire ai cittadini ingiustamente danneggiati da provvedimenti del giudice o del pubblico ministero, di ottenere il risarcimento integrale dei danni direttamente dal magistrato, pur con la previsione di meccanismi volti ad eliminare il pericolo di azioni intimidatorie e strumentali;
g) la revisione delle modalità di collocamento fuori ruolo dei magistrati e di attribuzione degli incarichi extragiudiziari, salvaguardando le contrapposte esigenze di non disperdere «forza lavoro» né, per contro, preziose professionalità;
h) l'incompatibilità tra la permanenza nell'ordine giudiziario e l'assunzione di incarichi, elettivi e non, in rappresentanza di formazioni politiche, ciò anche al fine di rendere credibile l'indipendenza di chi esercita funzioni giudiziarie agli occhi del cittadino;
i) la promozione di una modernizzazione tecnologica degli uffici giudiziari in cui i programmi di innovazione prevedano la fissazione delle tappe dell'innovazione e la verifica in itinere dei risultati conseguiti, verifiche effettuate con la partecipazione di esperti esterni;
l) l'adeguamento degli organici del personale anche amministrativo, non solo e non tanto per ciò che concerne la loro consistenza numerica, quanto per ciò che concerne la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare la modernizzazione tecnologica ed organizzativa dell'amministrazione della giustizia, anche ai fini di una sostituzione progressiva dei molti magistrati che ora occupano posizioni direttive a tutti i livelli nel ministero della giustizia;
m) la modifica della natura dei termini processuali, con la previsione generalizzata di termini perentori e di sanzioni disciplinari per la loro inosservanza da parte dei magistrati;
n) la radicale semplificazione delle modalità di notifica degli atti giudiziari;
o) la definizione di tempi standard dei procedimenti civili e penali e di politiche di case management (gestione dei casi e dei carichi di lavoro), coerenti con le indicazioni fornite dalla Commissione per l'efficienza della giustizia del Consiglio d'Europa;
p) la modifica delle procedure di nomina dei capi degli uffici e un potenziamento del ruolo gestionale del dirigente amministrativo dell'ufficio;

q) una forte depenalizzazione ed una razionalizzazione delle fattispecie criminose.
(6-00012)
«Bernardini, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni, Mecacci».

La Camera,
udite le comunicazioni del ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia e premesso che:
è un dato oggettivo e non più un'opinione di alcuni che lo stato della giustizia nel nostro Paese ha raggiunto livelli di inefficienza assolutamente intollerabili, sconosciuti in altri Paesi democratici, per i quali l'Italia versa, da anni ed in modo permanente, in una situazione di sostanziale illegalità, tale da aver generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo;
l'enorme numero di processi pendenti sia nel settore civile che in quello penale e l'impossibilità che questi siano definiti in tempi ragionevoli hanno ormai determinato una sfiducia generalizzata dei cittadini nel sistema giustizia, tale da rendere sempre più concreto il pericolo, per un verso che si ricorra a forme di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e per altro verso che si incrementi il numero di reati a causa di una sostanziale impunità;
rispetto a tale situazione la stessa introduzione della cosiddetta "legge Pinto", strumentalmente approvata al solo fine di evitare continue condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, ha ulteriormente sovraccaricato i ruoli delle corti di appello e, d'altra parte, per quanto è stato autorevolmente affermato, se tutti gli aventi diritto dovessero agire nei confronti dello Stato sulla base della cosiddetta «legge Pinto», lo Stato stesso sarebbe costretto a dichiarare bancarotta;
in tale situazione occorre predisporre un piano di riforme organiche e strutturali del sistema giustizia; occorrono provvedimenti in grado di garantire un più equilibrato rapporto fra i poteri dello Stato, uscendo da logiche emergenziali o d'occasione, che da un lato lasciano ai pubblici ministeri la piena discrezionalità sull'uso dei mezzi di indagine e sull'esercizio dell'azione penale e dall'altro all'arbitrio dei giudici la scelta dei processi da rinviare;
a causa delle difficoltà di bilancio del nostro Paese, a rendere più drammatico il quadro del sistema è anche intervenuto il taglio dei fondi destinati alla giustizia;
lo stesso ministro Alfano, intervenendo al convegno organizzato dall'Unione delle camere penali il 15 luglio 2008, sul tema delle riforme per la giustizia, ha dichiarato che «occorre intervenire sulla giustizia con una riforma organica, in tempi rapidi e non con una legislazione alluvionale, ma con interventi mirati che non vanno contro qualcuno sui processi e sull'asse istituzionale e costituzionale; per una giustizia al servizio del cittadino»;
analoghe affermazioni sulla necessità di radicali modifiche del sistema della giustizia sono state espresse dal Presidente del Consiglio dei ministri;
il segretario del più grande partito di opposizione, Walter Veltroni, già in campagna elettorale, dalle colonne de Il Riformista, ha posto in discussione il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, affermando la necessità di «un procedimento che veda la partecipazione di Parlamento, CSM e procuratori della Repubblica nella fissazione dei criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale»;
l'amministrazione della giustizia e la difesa della legalità costituiscono oggi una vera e propria «questione sociale nazionale», la cui soluzione non è più rinviabile;
i ripetuti interventi legislativi attuati sul processo penale, come su quello civile, non hanno portato i risultati che si attendevano e possono perciò considerarsi dei semplici provvedimenti tampone privi di efficacia risolutiva;

pertanto, è giunto il momento di affrontare con decisione il tema della giustizia e di porre mano a riforme che costituiscano reale attuazione del principio di rispetto delle regole;
dette riforme non devono peraltro procedere nel senso dì determinare, nel processo penale, una diminuzione delle garanzie difensive dell'imputato, né dette garanzie, come pure è stato proposto, debbono essere sacrificate sull'altare della ragionevole durata del processo, posto che quest'ultima è essa stessa un diritto dell'imputato;
dette riforme devono invece procedere nel senso di garantire un'effettiva parità tra accusa e difesa, con un giudice che sia effettivamente terzo tra le due parti, con una reale responsabilizzazione, anche disciplinare, dei magistrati inquirenti e giudicanti, riservando la risposta penale dello Stato a quei soli fatti che, offendendo in concreto beni giuridici non altrimenti presidiabili, rivestono un rilevante disvalore sociale, come tale percepito dalla collettività,

impegna il Governo

a presentare in tempi brevi, con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento, una riforma strutturale e organica del sistema della giustizia, che preveda:
a) la riforma dei criteri concernenti l'obbligatorietà dell'azione penale, prevedendo un procedimento che veda la partecipazione dei pubblici ministeri e di altri soggetti istituzionali, che individui un soggetto istituzionale politicamente responsabile di fronte al Parlamento per la loro effettiva ed uniforme implementazione a livello operativo;
b) la separazione delle carriere dei magistrati, con modalità tali da garantire l'assoluta indipendenza del giudice;
c) la responsabilizzazione del pubblico ministero per l'osservanza delle priorità fissate ed al contempo la creazione di meccanismi atti ad evitare che chi è politicamente responsabile per l'implementazione delle politiche pubbliche nel settore criminale possa indebitamente condizionare, su singoli casi, l'attività del pubblico ministero, deviandolo dal rispetto delle priorità prefissate;
d) la revisione della composizione e del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura; la fissazione dei suoi compiti in via tassativa; l'eventuale creazione di un consiglio per il pubblico ministero e di un organismo che garantisca un efficiente sistema disciplinare per tutti i magistrati;
e) la reintroduzione di severi vagli della professionalità dei magistrati nel corso dei 40-45 anni della loro permanenza in carriera, vagli di professionalità in grado di evidenziare sia i magistrati più qualificati - per competenza e produttività - a conseguire le promozioni ed il relativo trattamento economico, sia quelli che sono più qualificati per coprire le molteplici funzioni cui giudici e pubblici ministeri possono essere destinati;
f) la modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, con modalità tali da garantire ai cittadini ingiustamente danneggiati da provvedimenti del giudice o del pubblico ministero, di ottenere il risarcimento integrale dei danni direttamente dal magistrato, pur con la previsione di meccanismi volti ad eliminare il pericolo di azioni intimidatorie e strumentali;
g) la revisione delle modalità di collocamento fuori ruolo dei magistrati e di attribuzione degli incarichi extragiudiziari, salvaguardando le contrapposte esigenze di non disperdere «forza lavoro» né, per contro, preziose professionalità;
h) l'incompatibilità tra la permanenza nell'ordine giudiziario e l'assunzione di incarichi, elettivi e non, in rappresentanza di formazioni politiche, ciò anche al fine di rendere credibile l'indipendenza di chi esercita funzioni giudiziarie agli occhi del cittadino;

i) la promozione di una modernizzazione tecnologica degli uffici giudiziari in cui i programmi di innovazione prevedano la fissazione delle tappe dell'innovazione e la verifica in itinere dei risultati conseguiti, verifiche effettuate con la partecipazione di esperti esterni;
l) l'adeguamento degli organici del personale anche amministrativo, non solo e non tanto per ciò che concerne la loro consistenza numerica, quanto per ciò che concerne la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare la modernizzazione tecnologica ed organizzativa dell'amministrazione della giustizia, anche ai fini di una sostituzione progressiva dei molti magistrati che ora occupano posizioni direttive a tutti i livelli nel Ministero della giustizia;
m) la modifica della natura dei termini processuali, con la previsione generalizzata di termini perentori e di sanzioni disciplinari per la loro inosservanza da parte dei magistrati;
n) la radicale semplificazione delle modalità di notifica degli atti giudiziari;
o) la definizione di tempi standard dei procedimenti civili e penali e di politiche di case management (gestione dei casi e dei carichi di lavoro), coerenti con le indicazioni fornite dalla Commissione per l'efficienza della giustizia del Consiglio d'Europa;
p) la modifica delle procedure di nomina dei capi degli uffici e un potenziamento del ruolo gestionale del dirigente amministrativo dell'ufficio;
q) una forte depenalizzazione ed una razionalizzazione delle fattispecie criminose.
(6-00012)
(Nuova formulazione)«Bernardini, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni, Mecacci, Brigandì, Goisis».
(27 gennaio 2009)

La Camera,
premesso che:
le comunicazioni che il ministro della giustizia presenta alla Camera dei Deputati, ai sensi dell'articolo 2, comma 29, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150, costituiscono un documento impegnativo, di bilancio dell'amministrazione della giustizia e di definizione programmatica per il futuro, cosicché richiedono un esame particolarmente rigoroso da parte del Parlamento, consono alla vitale importanza del servizio giustizia per i cittadini e le istituzioni;
uno dei problemi più seri che affliggono la giustizia italiana concerne la ragionevole durata del processo, al punto che la durata media dei processi è pari a 35 mesi per il giudizio di primo grado e 65 mesi per il giudizio di appello, con una attesa anche di dieci anni per emettere una sentenza definitiva, al punto che il Consiglio d'Europa giudica il sistema italiano tra i peggiori del continente, evidenziando un grave ritardo nelle procedure giudiziarie che violano l'articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo concernente il diritto ad un processo equo;
la riforma della giustizia, per renderla più efficiente nel senso dell'accelerazione dei processi, della rapidità dell'accertamento delle trasgressioni penali e della certezza della pena, dovrebbe costituire la principale preoccupazione del Governo e del ministro della giustizia;
sul tema della complessiva riforma della giustizia, invece, il Governo è del tutto silente, essendosi limitato esclusivamente a declamazioni ed annunci cui non hanno fatto seguito efficaci azioni di Governo, tanto che non ne ha fatto oggetto né di dichiarazioni programmatiche, né di proposte serie ed organiche al Parlamento nel senso di adeguati stanziamenti per il personale e le strutture, di riforme delle procedure per rendere più spedita ed efficace l'azione giudiziaria, per rendere effettivo e rapido l'accertamento dei reati e per garantire l'effettività dell'espiazione
della pena. Anzi, gli unici progetti organici di riforma della giustizia sono quelli contenuti nel «pacchetto sulla giustizia» presentato da Italia dei Valori ai due rami del Parlamento e consistente in numerosi disegni di legge per una manovra organizzata su giustizia e sicurezza;
gli unici provvedimenti promossi dalla maggioranza hanno riguardato temi di sicura valenza culturale e di grande civiltà giuridica, come quelli sullo stalking, sulla pedofilia e sulla violenza sessuale, che però non incidono sulla riforma della giustizia, mentre l'unica parvenza di riforma - peraltro incompleta e poco influente - come quella riguardante il processo civile è stata esaminata dalla Commissione bilancio ed è giunta in Aula, ad avviso dei firmatari della presente risoluzione, con gravi difetti di tecnica giuridica, aggravati dal mancato accoglimento di due emendamenti di Italia dei Valori che avrebbero realizzato il principio del «giusto processo in tempi ragionevoli», quali quello sull'udienza di programma e sul limite complessivo dei processi civili di cinque anni;
è all'esame della Commissione giustizia anche il discusso provvedimento, di iniziativa governativa, relativo alle intercettazioni telefoniche. Se da un canto la Commissione, sta procedendo all'esame delle proposte emendative del testo, contestualmente tutte le prime pagine dei giornali e le conferenze stampa annunciano l'emanazione di ulteriori provvedimenti a riguardo da parte del Governo. Se così fosse si rischia di vanificare il prezioso lavoro finora svolto in Commissione;
il provvedimento sulle intercettazioni telefoniche non ha affatto contenuti di poco conto, sia per quanto riguarda il tempo e la durata massima previsti per le stesse, sia per i tipi di reato cui si vorrebbe riferirle; per le associazioni di criminalità organizzata poi non si può non ricordare che un'investigazione parte dal reato che sommato ad altri reati e moltiplicato per le persone coinvolte, svela l'identità del progetto criminoso, per poi, solo alla fine far scoprire l'associazione; per non parlare poi dei limiti che si vogliono applicare alle intercettazioni ambientali;
a suo dire si vuole migliorare la giustizia, ma nei fatti, fra i provvedimenti a suo attivo, si segnala quello relativo alle sedi disagiate, in cui è precluso ai magistrati di prima nomina l'assegnazione; in tal modo, usando come unico criterio di valutazione l'esperienza passata, non si valorizza il prezioso apporto che può arrivare dalle giovani risorse, e nel quale si è introdotto il cosiddetto «lodo Carnevale», che, ad avviso dei firmatari della presente risoluzione, costituisce un intervento vergognoso;
al di là di questo il Governo non è andato e non vuole andare. Infatti, in tema di apparato della giustizia, oltre che di sicurezza, il Governo, a dispetto di spot ed annunci strabilianti, non solo non ha assunto nessuna iniziativa di potenziamento delle risorse e delle strutture, ma anzi con la Legge finanziaria del 2009 ha drasticamente ridotto le disponibilità economiche del Ministero della giustizia, oltre che di quello degli interni, così da rendere ancor più difficile assicurare una maggiore sicurezza e un sistema giudiziario più efficiente. Infatti l'articolo 60 della legge 6 agosto 2008 n. 133, nel disporre la drastica riduzione delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa del bilancio di ciascun Ministero, per quanto riguarda il Ministero della Giustizia ha ridotto soprattutto le spese per i consumi intermedi - quelli cioè che tengono in vita i tribunali: acqua, luce, gas, carta, fax, armadietti, benzina - abbattute del 22 per cento; quota che salirà al 30 nel 2010 e al 40 nel 2011. Inoltre, si prevede una riduzione di spesa per l'anno 2009 pari a 218 milioni di euro, per l'anno 2010 a 262 milioni di euro e per l'anno 2011 a 454 milioni di euro. Siffatte contrazioni non solo non consentiranno di aumentare l'efficienza del servizio giustizia, ma non permetteranno neppure di garantire l'attuale pur insufficiente funzionamento degli uffici giudiziari, che in questi anni hanno persino esaurito le scorte e non le
possono ripristinare. Tutto ciò si aggiunge alla seria riduzione delle risorse operato dal precedente Governo di destra nel corso del quinquennio dal 2001 al 2006, quando dai 202 milioni destinati nel 2002 alle spese vive della giustizia, si è passati ai 107 del 2006, con un taglio del 50 per cento. Tra l'altro, tagli così selvaggi non fanno i conti con le spese non comprimibili cui si deve far comunque fronte. Tagli così drastici ed indiscriminati comportano che tantissime udienze, dibattimenti e sentenze rischiano di saltare;
inoltre, il personale amministrativo, che già lamenta una scopertura media del 14 per cento, verrà ridotto di un ulteriore 10 per cento; gli uffici dirigenziali subiranno un taglio di almeno il 20 e quelli di livello del 15 per cento; per le assunzioni è fissato un tetto massimo del 10 per cento rispetto alle cessazioni. In sostanza, per ogni dieci cancellieri o segretari o giudici che vanno in pensione, ne subentrerà uno solo. Si tratta, evidentemente, di misure che rischiano di portare al blocco degli uffici giudiziari;
particolarmente pesanti ed ingiusti rappresentano i tagli per la giustizia minorile, il cui bilancio economico per l'anno corrente prevede che gli stanziamenti per il funzionamento e i beni e servizi diminuiscono del 50 per cento passando da circa 13 milioni a 6 milioni e mezzo di euro, e lo stanziamento per il mantenimento dei minorenni decresce del 53,3 per cento passando dai 21,03 milioni di euro a 9,889 milioni. Pertanto, il dipartimento per la giustizia minorile, per l'anno corrente, non sarà in grado di garantire traduzioni e accompagnamenti dei minorenni in udienza, comunità o istituto, di coprire le spese obbligatorie, quali i collocamenti in comunità e, per i minorenni detenuti negli istituti penali per minorenni, di provvedere esclusivamente alla fornitura del vitto. Inoltre, i servizi della giustizia minorile dovranno apportare una riduzione significativa alle pulizie, anche dei locali, e perfino all'igiene personale, alla pulizia del vestiario e della biancheria o alla sostituzione del vestiario logoro. Per di più, nulla è previsto per la rieducazione ed il trattamento dei minorenni, neanche per quelli ristretti, in contrasto con gli obblighi assunti dallo Stato con gli organismi sovranazionali per la tutela dei diritti dei minorenni e con l'articolo 27 della nostra Costituzione. Il bilancio della giustizia minorile nel 2007 era di 189 milioni di euro, non una grande somma; ma il bilancio previsto per l'anno corrente è 142,4 milioni e comprende, per la prima volta, anche una riduzione delle spese per il personale. Complessivamente è stata apportata una riduzione del 25 per cento, per ottenere un risparmio di circa 47 milioni di euro, circa 97 miliardi delle vecchie lire: non è bello, per somme così piccole, rischiare di distruggere un settore fra i più avanzati ed apprezzati nelle sedi sopranazionali, come lo stesso ministro della giustizia ha di recente riconosciuto;
tutto ciò dimostra che il Governo, ad avviso dei firmatari della presente risoluzione, è in realtà disinteressato ai diritti dei cittadini avendo preferito occuparsi, invece, di come sottrarre alla giustizia taluni potenti o lobbies inserite nei meandri affaristici concernenti la pubblica amministrazione, sia attraverso la più fulminea approvazione che la storia parlamentare ricordi, come il disegno di legge contenente il cosiddetto lodo Alfano, sia la presentazione di un dirompente disegno di legge sulle intercettazioni volte a limitare gravemente l'attività investigativa della magistratura ed il diritto-dovere di informazione degli organi di stampa, che il capo del Governo vorrebbe ulteriormente limitare accampando pretestuosi ed inesistenti «scandali»;
accanto a questa finalità, il Governo stesso ne ha annunciato altre non meno inquietanti volte ad intervenire, anche con misure che appaiono ai firmatari della presente risoluzione stravolgimenti costituzionali, sull'ordinamento giudiziario con la separazione delle carriere, cui dovrebbe far seguito la divisione del CSM, premesse per l'attenuazione o l'eliminazione dell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale e la sottoposizione del
pubblico ministero all'esecutivo, disegno di marca autoritaria che segue alla compressione delle garanzie parlamentari e si vorrebbe concludere con l'imbrigliamento delle istituzioni di controllo di legalità. Il tutto funzionale a sottoporre la magistratura e la giustizia al controllo politico;
nel Consiglio dei ministri di venerdì ultimo scorso, in cui si annunciava una temuta riforma del processo penale, il ministro della giustizia ha presentato solo il «piano carceri», con il dichiarato intento di costruzione di nuove celle anche attraverso procedure d'appalto accelerate e ampia apertura ai privati, al fine di portare i posti nelle carceri da 43.000 a 60.000. Ma già oggi i detenuti sono più di 58.000 e il rischio è sempre quello di trovarsi a rincorrere l'emergenza, con un limite di tollerabilità spostato sempre più avanti;
quanto ai fondi, il ministro prevede forme di collaborazione con le imprese private, come il project financing. La privatizzazione anche del mondo carcerario è una eventualità alla quale Italia dei Valori si oppone recisamente, trattandosi di un servizio dei più delicati che deve restare pubblico. In questa chiave si capisce l'incredibile taglio di 55 milioni di euro operato dalla Legge finanziaria già richiamata sull'edilizia penitenziaria. Né sarebbe giusto ricorrere ai fondi della «cassa delle ammende», forte di circa 170-180 milioni, che devono però essere utilizzati dall'amministrazione penitenziaria per l'assistenza ai detenuti e la risocializzazione degli stessi;
né il Governo dimostra di avere alcuna idea in merito alla scomposizione e ricomposizione della geografia giudiziaria, preferendo aspettare proposte altrui invece che farsene carico in prima battuta;
gli indirizzi di politica del diritto seguiti in questa legislatura dal ministro guardasigilli hanno determinato una elevata e dannosa conflittualità con tutte le componenti del sistema giustizia (magistrati, avvocati, personale amministrativo, cultura giuridica);
le leggi approvate dal Governo e dalla sua maggioranza, avversate e criticate non solo dall'opposizione, ma anche da parte degli studiosi con argomentazioni ragionevoli ed avanzando in ogni occasione proposte alternative, hanno determinato gravi squilibri e stravolgimenti nell'ordinamento e nel sistema giudiziario;
il giudizio globalmente negativo emerge anche dalle numerose manifestazioni di protesta organizzate tanto dagli avvocati quanto dai magistrati;
infine le iniziative e le scelte del ministro, con riferimento all'organizzazione giudiziaria, ed alle strutture essenziali per il servizio giustizia, sono insufficienti e del tutto errate producendo risultati complessivamente fallimentari;
numerose tra queste leggi hanno prodotto privilegi e discriminazioni, creando disuguaglianze, tutelando gli interessi dei potenti contro i cittadini più deboli ed indifesi, in contrasto con i principi della Carta costituzionale;
gli interventi normativi fino ad ora adottati e i tagli finanziari previsti nel settore giustizia determineranno la vanificazione di ogni progetto di riorganizzazione del sistema, con particolare riferimento alla informatizzazione degli uffici, alla definitiva introduzione del processo telematico e alla auspicata introduzione dell'ufficio per il processo, impedendo di provvedere alla spese primarie e quotidiane;
inoltre, un collaterale riflesso negativo sul funzionamento della giustizia conseguirà anche alla normale funzionalità dei servizi resi dalle Forze dell'ordine sul territorio;

NON APPROVA

le dichiarazioni rese dal ministro della giustizia;

impegna il Governo,

e in particolare il ministro della giustizia:
ad indicare chiaramente le riforme possibili, le priorità ed i tempi di realizzazione;

ad intraprendere la strada di riforma del nostro sistema processuale, intervenendo sulla struttura del processo eliminando gli ostacoli alla sua celere celebrazione, per risolvere definitivamente i problemi della giustizia legati alla ragionevole durata del processo, anche in ragione dei pressanti inviti rivolti al nostro Stato ad esibire risultati concreti o piani d'azione realistici per risolvere le gravi carenze strutturali della giustizia, i cui ritardi causano violazioni ripetitive dei diritti umani e costituiscono una seria minaccia al principio dello Stato di diritto;
a provvedere urgentemente al reperimento delle risorse adeguate per assicurare un'efficiente e celere amministrazione della giustizia ed anche una riforma organica del processo sia civile che penale, con particolare riferimento al sistema delle comunicazioni e delle notificazioni per via telematica, in modo da consentire agli uffici giudiziari di gestire il carico degli adempimenti e di superare i ritardi nella trattazione dei processi determinati per meri problemi procedurali e meramente formali;
a prevedere, nel comparto giustizia, un forte incremento di personale sia giudicante che amministrativo, con particolare riferimento ai servizi di cancelleria, assicurando inoltre un intervento urgente per garantire la verbalizzazione e la trascrizione degli atti presso tutti i singoli uffici giudiziari, quale passaggio fondamentale per lo svolgimento dei processi penali;
a reperire le necessarie risorse finanziarie per salvaguardare i livelli retribuitivi degli operatori della giustizia e del settore carcerario, nonché per l'edilizia penitenziaria prevedendo nuove strutture o l'ampliamento, e l'ammodernamento di quelle esistenti, assicurando anche l'attuazione dei piani e dei programmi a tal fine previsti da precedenti leggi finanziarie;
a trasferire le risorse finanziarie giacenti nei depositi giudiziari, a favore del Ministero della giustizia, sfruttando così le risorse «dormienti» giacenti presso i depositi giudiziari, utilizzandole in favore del Ministero della giustizia, consentendo così il tendenziale autofinanziamento del sistema giudiziario, recependo tra l'altro le proposte avanzate dalla Commissione «per lo studio e la proposta di riforme e di interventi per la razionalizzazione, armonizzazione e semplificazione delle procedure processuali ed amministrative relative alle sanzioni pecuniarie da reato applicate a norma del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, alle spese processuali ed alla gestione dei beni confiscati ed in giudiziale sequestro».
(6-00013)
«Di Pietro, Palomba, Donadi, Evangelisti, Borghesi».

La Camera,
premesso che:
l'amministrazione della giustizia in Italia viene avvertita dai cittadini come distante e incapace di contribuire al progresso civile;
la lentezza, e l'imprevedibilità sono le cause fondamentali che contraddicono i diritti individuali, compromettono il buon andamento dell'economia e finiscono per sfociare nell'irragionevolezza;
riformare la giustizia deve significare anzitutto:
ottenere giudizi più rapidi, attraverso una robusta razionalizzazione del sistema;
rendere maggiormente prevedibili le conseguenze giuridiche dei comportamenti dei cittadini;
consapevoli che l'attuale irragionevole durata dei processi è determinata da una pluralità di fattori, su cui bisogna agire congiuntamente;
preliminare ad ogni intervento appare la revisione delle circoscrizioni giudiziarie che consenta una più razionale allocazione delle risorse;

la necessaria svolta sul piano organizzativo, tuttavia, non può essere di per sé sola sufficiente a risolvere le forti criticità presenti;
udite le comunicazioni del ministro sull'amministrazione della giustizia,

impegna il Governo

e, in particolare, il ministro della giustizia:

ad intraprendere tutte le iniziative necessarie ad intervenire:
I) nel settore civile, dove nell'ultimo quindicennio si è proceduto attraverso una successione di mini-riforme settoriali, spesso scollegate l'una dall'altra, che hanno avuto l'inevitabile effetto di moltiplicare i fattori di disfunzione. In particolare si segnala che:
a) una riforma all'insegna della razionalizzazione dovrebbe incidere prioritariamente sulla pluralità di riti. In un sistema a grado d'appello generalizzato, che riteniamo utile conservare e auspicabilmente potenziare, la garanzia della collegialità è comunque assicurata al cittadino. Nulla dovrebbe ostare, allora, all'introduzione del giudice monocratico in tutto il primo grado del processo civile, il che consentirebbe di dare vita a un unico rito ordinario di cognizione;
b) l'assunzione della prova in contraddittorio davanti ad un giudice terzo dovrebbe rappresentare una garanzia imprescindibile per i cittadini. E tuttavia, il sistema non appare oggi in grado di assicurare in concreto detta garanzia. La necessaria alternativa a questa situazione non può essere rappresentata solo da una prova assunta in forma scritta;
c) è indispensabile affrontare il problema della deflazione del contenzioso giudiziale. In quest'ottica, occorre ripensare il precetto di cui all'articolo 24 della Costituzione, immaginando forme di tutela dei diritti anche non «giudiziali». I cosiddetti strumenti alternativi di risoluzione delle controversie vanno potenziati; i giudizi che hanno finalità di mera liquidazione di diritti sostanzialmente incontroversi, per i quali resta indispensabile la funzione di un'autorità «terza» ma non di un vero e proprio processo, potrebbero essere affidati e quei «cittadini idonei estranei alla magistratura» di cui parla proprio l'articolo 102 della Costituzione; occorrerebbe, infine, puntare decisamente sulla sperimentazione di arbitrati di derivazione contrattuale del genere «obbligatorio» (ad esempio in campo previdenziale), senza per questo rinunciare all'introduzione di modelli arbitrali di derivazione legislativa;
d) è necessario rivedere l'attuale sistema delle impugnazioni. Tre gradi di giudizio generalizzati, infatti, sono difficilmente compatibili con il precetto costituzionale della ragionevole durata del processo. Appare assai opportuna la previsione della non ricorribilità per Cassazione nell'ipotesi di «doppia conforme» sul fatto. Si potrebbe anche, più radicalmente, eliminare la facoltà di ricorso per Cassazione per «insufficiente o contraddittoria motivazione»; il che, per un verso non lederebbe il principio costituzionale di cui al comma 6 dell'articolo 111 della Costituzione e per altro verso consentirebbe l'adozione di provvedimenti giurisdizionali in forma particolarmente sintetica.
II) Nel settore penale, poiché il sistema è oggi largamente inefficace sia per il corto circuito determinato dal rapporto tra lunghezza dei processi e termini di prescrizione, sia per il carattere virtuale che la pena ha assunto in troppi casi, e dunque non è in grado di svolgere alcuna funzione deterrente; inoltre, per altro verso, i provvedimenti cautelari reali e personali, adottati in assenza di contraddittorio, anche per la loro rilevanza mediatica hanno ormai assunto una funzione sostanzialmente surrogatoria della pena, occorrerebbe:
a) un intervento drastico sul terreno degli istituti della contumacia e delle notifiche. Fermo restando che non deve celebrarsi un processo a carico di imputato per il quale non vi è prova che ne
abbia avuto conoscenza, la nomina del difensore dovrebbe valere comunque come elezione di domicilio ai fini di tutte le comunicazioni, anche in via telematica. L'irragionevole durata del processo - come è noto, una pena in sé - non può giustificare l'ampliamento dei termini di prescrizione. E tuttavia, nell'attuale situazione, termini di prescrizione brevi comportano un indiretto effetto-amnistia. È necessario intervenire, dunque, attraverso un bilanciamento dei diritti fondamentali delle parti processuali. Sarebbe necessario prevedere, in proposito, un doppio termine di prescrizione: l'uno oggettivo, anche molto ampio, decorrente dal fatto-reato; e l'altro soggettivo, decorrente dall'iscrizione nel registro degli indagati, molto più ristretto: il diritto del cittadino, infatti, è quello di non essere sottoposto a tempo indefinito a un «processo»;
b) tutti i provvedimenti cautelari andrebbero adottati da un giudice collegiale (generalizzando, cioè, la soluzione introdotta dal decreto-legge sullo smaltimento dei rifiuti in Campania). Per garantire meglio il contraddittorio, tranne che per i reati di criminalità organizzata, si potrebbe immaginare che sulla richiesta di arresto o sequestro decida un giudice collegiale in contraddittorio con la difesa dell'indagato, entro un termine breve e perentorio, previa applicazione all'indagato del fermo del pubblico ministero (domiciliare o in strutture apposite) per soddisfare le esigenze cautelari;
c) quanto alle intercettazioni telefoniche, fermi restando gli emendamenti proposti al disegno di legge del Governo, resta il fatto che, in quanto strumento d'indagine altamente invasivo, dovrebbero essere richieste dal capo dell'ufficio e disposte da un giudice collegiale; in quanto strumento altamente costoso, inoltre, dovrebbero essere sottoposte a un budget annuale di massima per ciascuna procura, determinato d'intesa con il CSM;
d) nessuna seria efficacia deterrente potrà essere assicurata dal sistema penale se la pena non torna ad essere effettiva. Si conferma la necessità di una rivisitazione della legislazione penale ispirata al principio di residualità: occorre, in sostanza, una drastica depenalizzazione, accompagnata da istituti quali l'oblazione nel processo penale per i reati bagatellari, l'archiviazione per irrilevanza sociale del fatto, e soprattutto, nella doverosa ottica di tutela delle vittime, l'estinzione del reato in seguito a condotte riparatorie. È assolutamente indispensabile, poi, una profonda revisione del modello sanzionatorio, che riduca l'utilizzazione della pena detentiva (troppo spesso tanto apparentemente pesante quanto nei fatti meramente virtuale) e la sostituisca con pene alternative alla detenzione (interdittive, prescrittive o ablative), di cui assicurare l'effettività. Anche la pena detentiva, ove irrogata, deve essere effettivamente scontata. In proposito, è necessario ripensare tanto l'istituto della sospensione condizionale della pena, quanto l'impianto della legge Simeone-Saraceni. In ogni caso, per restituire certezza alla pena, detentiva o meno, occorre affidare al giudice che l'ha irrogata anche la decisione circa le concrete modalità di esecuzione della stessa.
III) nei rapporti istituzionali, poiché affrontare il tema della giustizia come potere, significa inevitabilmente considerare l'assetto dei diversi poteri quale delineato dalla nostra Costituzione, in particolare dal titolo IV. La Costituzione è una cornice che disegna un equilibrio tra i poteri. Sarebbe errato, dunque, pensare a interventi di modifica costituzionale «parcellizzati». Occorre considerare, invece, l'evoluzione che l'assetto dei poteri ha subito dal 1948 ad oggi, determinando un innegabile disequilibrio rispetto all'originario disegno costituzionale. È necessario, insomma, riflettere sulla complessiva dinamica evolutiva dei poteri, con lo scopo di assicurare un nuovo equilibrio. In particolare:
a) l'azione penale deve restare obbligatoria, a garanzia del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Si impone, tuttavia, una riflessione sui criteri di selezione delle notizie di
reato e soprattutto sui criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale, oggi sostanzialmente discrezionali. Occorre, dunque, un intervento in duplice direzione. Quanto alla selezione delle notizie di reato, vanno ridefiniti i rapporti tra pubblico ministero e Polizia giudiziaria. È un problema di «cultura» più e prima che di norme. Il pubblico ministero, in sostanza, deve continuare a «disporre» della polizia giudiziaria per lo svolgimento delle indagini (articolo 109 della Costituzione), ma non può e non deve diventare il «capo» della Polizia giudiziaria. Quanto ai criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale è possibile pensare a un rapporto di cooperazione istituzionale tra CSM e Parlamento. Periodicamente il CSM dovrebbe raccogliere le proposte circa i criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale provenienti dai consigli giudiziari per i diversi ambiti territoriali, e trasmetterle al Parlamento e al ministro della giustizia, che dovrebbero esprimere le proprie determinazioni;
b) se l'azione penale resta obbligatoria, il pubblico ministero, che la esercita, non può non restare un magistrato indipendente. Occorre porsi, tuttavia, il problema di un bilanciamento del potere che oggettivamente - anche per ragioni legate alle dinamiche del sistema mediatico - il pubblico ministero esercita oggi in tutte le democrazie contemporanee. In proposito, la ipotizzata separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudici non risolverebbe di per sé i problemi;
c) il legame inscindibile tra potere e responsabilità del magistrato implica la soluzione del problema del controllo sul lavoro del magistrato. In proposito, occorre introdurre un sistema informatico di rilevazione statistica uniforme e generalizzato, al fine di consentire una misurazione della quantità e qualità del lavoro dei magistrati;
d) il rilevante ruolo ormai assunto dalla cosiddetta magistratura onoraria nel nostro ordinamento, e quello ancor più rilevante che potrebbe assumere, impongono di affrontare senza equivoci il problema della sua collocazione ordinamentale. In primo luogo, occorre superare l'equivoco in cui continua a dibattersi la figura del giudice di pace, e scegliere definitivamente tra «modello di prossimità», che privilegia il giudizio secondo equità, e «modello semiprofessionale». Questa presa d'atto rende ineludibile garantire la professonalità iniziale e permanente del giudice di pace, nonché il rispetto delle regole deontologiche. Si devono individuare, insomma, criteri piú stringenti degli attuali sia per selezionare i giudici di pace, sia per controllarne l'operato, sia sotto il profilo delle incompatibilità; il che potrà essere assicurato solo inserendo a pieno titolo il giudice di pace nel sistema di governo autonomo della magistratura. Distinto e diverso è il problema dei magistrati onorari propriamente detti quali GOT e VPO, le cui funzioni - considerata l'attuale insostituibilità - devono essere adeguatamente normate;
e) in tutto il mondo, l'affermazione dello Stato sociale ha comportato nelle democrazie la progressiva espansione del «potere dei giudici»; e poiché ad ogni potere deve corrispondere pari responsabilità, una maggiore responsabilizzazione del magistrato è corollario indispensabile dei nuovi poteri acquisiti. A sua volta, corollario della responsabilità è l'esistenza di un affidabile sistema che consenta di limitare e, ove necessario, reprimere i comportamenti «irresponsabili». Il che, non deve affatto comportare una riduzione delle garanzie di autonomia e di indipendenza di coloro che esercitano funzioni giurisdizionali, quali delineate dalla nostra Costituzione, ma deve tendere, al contrario, a rafforzarle e generalizzarle attraverso una riforma del sistema di governo autonomo che quelle garanzie assicura. Occorre ribadire la validità del modello pluralistico dell'assetto dei poteri delineato dalla Costituzione, sottolineando che non può esservi alcuna gerarchia tra potere politico legittimato dalla volontà
popolare, e poteri neutri di controllo che fondano differentemente la propria legittimazione;
f) è necessario dare vita a un'unica figura di magistrato, con identità di percorsi di accesso, di diritti e di doveri, di garanzie e di indipendenza, di regole di carriera e regole disciplinari. Il che, non significa unificazione delle giurisdizioni, ma deve significare unificazione del sistema di governo autonomo delle magistrature. Una simile soluzione, per un verso comporterebbe il rafforzamento delle garanzie di indipendenza di tutti i magistrati a prescindere dalle funzioni svolte, attraverso la «costituzionalizzazione» del governo della magistratura amministrativa, di quella contabile, e di quella militare; per altro verso, consentirebbe se non di eliminare, certamente di diluire il tasso di corporativismo inscindibilmente connesso all'autogoverno di un corpo burocratico. Si potrebbe pensare, insomma, a un CSM quale Consiglio Superiore delle Magistrature, all'interno del quale la disarticolazione delle logiche corporative e correntizie si realizzi non solo attraverso la modifica dell'attuale proporzione costituzionale tra «togati» e «laici», ma anche attraverso il necessitato confronto tra le diverse culture delle diverse magistrature. L'unificazione del governo autonomo delle magistrature consentirebbe di affrontare in un'ottica unitaria anche il tema della responsabilità disciplinare dei magistrati. Si potrebbe dare vita, quale giudice disciplinare unico per tutti i magistrati, a un'Alta corte di giustizia, nella quale la componente elettiva delle magistrature potrebbe anche non essere maggioritaria, considerata la peculiarità della funzione disciplinare;
g) il rilievo costituzionale dell'avvocatura, quale tramite necessario per l'affermazione del diritto alla giustizia del cittadino, rende la riforma dell'ordinamento professionale un tassello indispensabile di una più complessiva riforma della giustizia. La professionalità dell'avvocato rappresenta corollario indispensabile del rilievo costituzionale della professione forense, e deve dunque essere garantita al cittadino-cliente attraverso più stringenti controlli tanto nella fase di accesso quanto nel corso della vita professionale. Il non avere proceduto contestualmente alle riforma dell'ordinamento giudiziario e di quello forense, ha determinato una profonda crisi di fiducia da parte dell'avvocatura nei confronti delle forze politiche che occorre cercare di recuperare.
(6-00014) «Vietti, Rao».

La Camera,
udite le comunicazioni del ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150:
premesso che le suddette comunicazioni rappresentano un atto importante, un'assunzione di responsabilità in termini di definizione programmatica della futura politica in tema di amministrazione della giustizia, e che vanno esaminate attentamente da parte del Parlamento;
considerato che il sistema giudiziario del nostro Paese ha bisogno di interventi idonei a ridurre la durata dei processi civili e penali e che a tal fine è necessario individuare strumenti moderni, soluzioni adeguate ed effettivamente praticabili per rispondere ai bisogni di sicurezza, per ripristinare un efficace servizio della giustizia nel rispetto dei principi costituzionalmente sanciti, e per garantire la effettività dei diritti di tutti i cittadini e la competitività del sistema economico e produttivo del Paese;
ritenuto che le comunicazioni del ministro non mostrano alcuna soluzione idonea a risolvere i gravi problemi della giustizia italiana né indicano la corretta copertura finanziaria dei pochi interventi annunciati;

ritenuto che la giustizia ha bisogno di un intervento globale e coerente che investa:
il riordino degli ambiti territoriali degli uffici giudiziari, mediante l'accorpamento di uffici e di sezioni distaccate, la realizzazione di un organico unico di più uffici limitrofi;
l'istituzione dell'«ufficio per il processo», che garantisca lo svolgimento organizzato di tutte le attività correlate all'esercizio della giurisdizione, finalizzato all'accelerazione dei tempi per la conclusione dei procedimenti;
l'istituzione del manager dell'ufficio giudiziario per la responsabile gestione del personale amministrativo, delle risorse strumentali e finanziarie;
la semplificazione dei riti dei procedimenti civili;
interventi nel processo penale che favoriscano: l'effettivo equilibrio tra accusa e difesa, strumenti di deflazione del carico penale; la disciplina dei criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale, nel rispetto del principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale; una valorizzazione della funzione dell'udienza preliminare nella preparazione e accelerazione del dibattimento;
l'individuazione di soluzioni normative volte all'alleggerimento del carico di lavoro della Corte di cassazione per restituire al giudizio di legittimità la funzione che gli è propria;
la riforma della legge elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura e altre misure di riforma, da adottare con leggi ordinarie, dirette a meglio individuare e a garantire il corretto assolvimento dei compiti assegnati al CSM dalla Carta costituzionale;
la riforma dell'ordinamento professionale forense

non le approva.

(6-00015)
«Ferranti, Cavallaro, Soro, Samperi, Cuperlo, Concia, Ciriello, Mantini, Zaccaria, Tenaglia, Tidei, Rossomando, Capano».