XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di giovedì 3 luglio 2008

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:

La X Commissione,
premesso che:
il gruppo Electrolux è il maggiore produttore di elettrodomestici in Italia con diversi siti produttivi e oltre ottomila dipendenti;
è da tempo in atto un complesso e controverso «progetto di ristrutturazione» del cosiddetto settore «freddo» da parte del management del predetto gruppo industriale che coinvolge lo stabilimento di Susegana, in provincia di Treviso e quello di Scandicci, in provincia di Firenze;
tale progetto di ristrutturazione prevede la riduzione delta produzione nello stabilimento del Trevigiano e la chiusura definitiva della fabbrica in Scandicci con pedissequo pesante ridimensionamento occupazionale (circa trecento dipendenti);
lo stabilimento di Susegana, a fronte del riconoscimento ufficiale di rappresentare a livello mondiale il miglior complesso produttivo del gruppo Electrotux durante il 2007, conosceva una costante perdita di capacità produttiva ed occupazionale: dai circa duemila e duecento dipendenti del 2003 con 1.450.000 pezzi prodotti, ai millequattrocentocinquanta dipendenti del 2007 con una produzione di 1.280.000 pezzi e una previsione per l'anno in corso e per gli anni a venire di poco più di un milione di pezzi a circa novecentomila unità prodotte, con variabili livelli occupazionali;
lo stabilimento di Susegana rappresenta il più importante snodo produttivo nel comparto metalmeccanico della cosiddetta «Inox Valley» e dell'assetto produttivo della provincia di Treviso; un significativo vivaio di vivaci capacità imprenditoriali per l'intero sistema-Paese; nonché un modello di moderne relazioni industriali e sindacali;
i lavoratori dello stabilimento di Susegana hanno, nel corso del tempo, dimostrato la più ampia disponibilità e capacità di adattamento verso criteri flessibili dell'organizzazione del lavoro,

impegna il Governo:

a costituire un tavolo di confronto che coinvolga la proprietà del gruppo Electrolux, le organizzazioni sindacali e le istituzioni locali volto a implementare l'attuale livello produttivo e tecnologico del settore «freddo» e/o degli altri comparti e di inquadrarli in una più generate prospettiva di politica industriale del gruppo medesimo, anche mediante la creazione di un centro ricerche e studio di tale settore;
scongiurare in tal modo l'ennesima delocalizzazione di un rilevante polo produttivo del Paese, dalle essenziali conseguenze economiche, occupazionali e sociali, così garantendo l'attuale livello occupazionale dello stabilimento di Susegana.
(7-00022)
«Lulli, Rubinato, Baretta, Calearo Ciman».

TESTO AGGIORNATO AL 10 LUGLIO 2008

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere - premesso che:
il 21 maggio 2008, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri viene dichiarato lo stato di emergenza, fino al 31 maggio 2009, in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia;
la base giuridica per l'adozione del decreto è costituita dall'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225: si tratta della legge che istituisce il Servizio nazionale della Protezione civile, e il cui articolo 5, comma 1, prevede che, al verificarsi di calamità naturali, catastrofi o altri eventi che per intensità ed estensione debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, delibera lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità e alla natura degli eventi;
sulla base del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il 30 maggio 2008 vengono adottate tre ordinanze (n. 3676, n. 3677, e n. 3678) del Presidente del Consiglio dei ministri, che contestualmente nominano i prefetti di Roma, Milano e Napoli come commissari delegati per la realizzazione di tutti gli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza, e attribuiscono loro una serie di poteri tra cui quello del «monitoraggio dei campi autorizzati in cui sono presenti comunità nomadi e individuazione degli insediamenti abusivi» (articolo 1, comma 2, lettera b) e quello «dell'identificazione e censimento delle persone, anche minori di età, e dei nuclei familiari presenti (nei campi autorizzati e negli insediamenti abusivi), attraverso rilievi segnaletici» (articolo 1, comma 2, lettera c);
la disinvoltura con cui la dichiarazione dello stato di emergenza sui campi nomadi viene ricondotta alla fattispecie costituita dal «verificarsi di calamità naturali, catastrofi o altri eventi», potenzialmente sembra giustificare la dichiarazione dello stato di emergenza, con semplice decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, senza alcun controllo o garanzia parlamentare, praticamente su qualunque materia;
nelle dichiarazioni rese dal Ministro Maroni, tale intervento sarebbe legittimato, inoltre, dal Regolamento CE n. 380/2008; in realtà, tale regolamento prevede la rilevazione di identificatori biometrici, comprendenti le immagini del volto e le impronte digitali, a partire dall'età di sei anni, al mero fine di istituire un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi;
viene quindi impropriamente estesa ad avviso degli interpellanti una normativa comunitaria - applicabile ai soli cittadini extra-comunitari e ai soli fini di istituzione di un modello uniforme di permesso di soggiorno - a tutti coloro che italiani, comunitari o extra-comunitari, di qualunque età, anche inferiore ai sei anni, si trovino in un campo nomade, autorizzato o abusivo, e a prescindere dalla presenza legale o illegale sul territorio italiano, e dunque dall'eventuale rilascio di un permesso di soggiorno, dimenticando peraltro che circa il 60 per cento dei rom presenti sul territorio nazionale ha la cittadinanza italiana;
le norme adottate, inoltre, lungi dal distinguere tra cittadini italiani, comunitari o extra-comunitari, si fondano sul mero presupposto che tutti coloro che vi saranno soggetti si trovino in un campo nomade, suscitando così le perplessità espresse dal Garante della privacy che non ha mancato di sottolineare come questa «schedatura» sarebbe priva di una base normativa, prevedendo oggi la legge che le impronte possano essere prese solo in casi ben determinati, come per esempio nell'ipotesi di ingresso in carcere. In ogni caso non possono essere prese indiscriminatamente, o comunque per una fascia sola della popolazione sulla base della mera considerazione che il soggetto viva in un campo nomade, violando così il principio di dignità, di non discriminazione per etnia e di tutela dei minori;
quanto detto è aggravato dalla circostanza che nelle copie di alcuni atti di censimento a firma del commissario delegato per l'emergenza insediamenti e comunità nomadi della regione Campania, - resi pubblici dalla comunità di Sant'Egidio - emerge che il 25 giugno 2008, nel campo detto «centrale del latte», non solo sono state raccolte rilevazioni fotografiche e impronte digitali degli interessati ma che tale schedatura ha contemplato anche la registrazione di dati relativi alla religione professata e all'appartenenza etnica;
tali disposizioni, secondo Unicef Italia, violano fondamentali principi non solo costituzionali, primo tra tutti quello sancito dall'articolo 3 della Costituzione, ma anche quelli del superiore interesse del bambino su qualunque altra considerazione e quello di non discriminazione dei bambini, principi cardine della Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia; così come preoccupate sono state le dichiarazioni del Commissario per i diritti umani in seno al Consiglio d'Europa che ha ricordato come «tali metodi richiamano misure prese nel passato e che hanno portato alla repressione dei Rom»;
le norme approvate, infatti, al di fuori di ogni garanzia parlamentare o costituzionale, lungi dal perseguire gli autori di abusi e violazioni dei diritti dei bambini, finiscono per equiparare le vittime di tali abusi ai criminali che li sfruttano, e ledono al contempo in maniera sproporzionata il diritto all'eguaglianza di tutti i bambini, rilevando un approccio da un lato restrittivo e discriminatorio, dall'altro inefficace, come sottolineato dalla stessa Conferenza episcopale italiana;
la stessa finalità indicata dal Ministro dell'interno e da quello dell'istruzione, di favorire così la scolarizzazione dei minori rom, è contraddetta dalla stessa pratica di sgombero dei campi rom che spesso, come testimoniato dai volontari che vi lavorano a stretto contatto, determina l'inutile e pericoloso effetto di sparpagliare nuovamente quei bambini per le città, interrompendo, invece, processi di scolarizzazione in corso, avviati con il concorso di tutte le professionalità della scuola italiana -:
se il Presidente del Consiglio dei ministri intenda modificare quanto prima il decreto che proclama lo stato di emergenza, e le ordinanze conseguentemente adottate, abbandonando le politiche repressive e discriminatorie fin qui seguite, e avviando invece un'approfondita riflessione sulle politiche di integrazione, affrontando in particolare l'aspetto della scolarizzazione e dell'integrazione sociale dei bambini appartenenti a comunità nomadi; se, a tal fine, non intenda predisporre un piano nazionale, integrato e pluriennale per la frequenza e il successo scolastico di minori rom e sinti.
(2-00082)
«Soro, Bressa, Sereni, Amici, Zaccaria, Ghizzoni, De Torre, Lenzi, Zampa, Miotto, Sarubbi, Gozi».

Interrogazioni a risposta scritta:

LEOLUCA ORLANDO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il Ministro Brunetta, nel corso della trasmissione televisiva otto e mezzo del 27 maggio scorso sul canale nazionale LA7, ha fatto intendere che società private liquiderebbero pensioni per conto dell'Inps con «tempi di lavorazione sei volte più veloci rispetto a quelli dell'Istituto»;
la media nazionale di liquidazione dell'intero prodotto pensionistico, rilevata dall'Inps con apposite procedure informatiche, è di 19 giorni e il dato in questione si riferisce al lavoro svolto, in via esclusiva, dal personale organicamente inserito nei ruoli dell'istituto;
ad oggi, i vertici dell'ente di previdenza non hanno smentito le dichiarazioni dei Ministro Brunetta, che hannotrovato grande eco sulla stampa nazionale suscitando, peraltro, una profonda indignazione tra i lavoratori dell'istituto -:
se non si ritenga opportuno verificare la veridicità di tali affermazioni, secondo le quali le pensioni verrebbero liquidate anche da società esterne. E, in caso affermativo, di quali società si tratti, quando sarebbe stato stipulato il relativo contratto di esternalizzazione, quale sia, eventualmente, il relativo costo di gestione e da quale fonte il Ministro abbia tratto tali informazioni;
in caso contrario, cioè qualora le suddette affermazioni fossero destituite di fondamento, si chiede quali iniziative il Governo intenda adottare per restituire valore e dignità alla professionalità degli

operatori dell'ente, ben nota a tutto il mondo della pubblica amministrazione, e per fare chiarezza sulle responsabilità di chi ha fornito al Ministro tali notizie.
(4-00541)

ANGELA NAPOLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 settembre 1997, è stato dichiarato lo stato di emergenza nel territorio della Regione Calabria nel settore dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi, della bonifica e del risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinanti, nonché in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione;
l'iniziale decreto, previsto per la durata di circa quindici mesi, è stato via via inspiegabilmente prorogato per ben 10 anni fino ad una prima conclusione, prevista per il 31 ottobre 2007, slittata con una successiva ordinanza del Governo Prodi, al 30 giugno 2008;
con i primi decreti venivano nominati i Presidenti della Regione Calabria quali Commissari delegati per la predisposizione degli interventi, con un'ampia serie di poteri;
a partire dal marzo 2006 l'incarico di Commissario delegato per l'emergenza ambientale nella Regione Calabria è stato sempre affidato a Prefetti;
fin dai primi anni successivi alla proclamazione dello stato di emergenza ambientale nel territorio della regione Calabria è stato fatto ben poco per attuare gli interventi necessari ad uscire dall'emergenza, ed ancora oggi la Calabria è costretta a registrare il perdurare, ad esempio, delle cattive condizioni delle acque di balneazione, che provoca, soprattutto nelle stagioni estive, continue proteste da parte della popolazione;
nel mese di febbraio 2007 il prefetto Antonio Ruggiero, che in data 3 gennaio 2007 aveva già chiuso la sua breve esperienza di delegato per l'emergenza in Calabria, ha fatto un drammatico resoconto della situazione durante un'audizione in Commissione parlamentare d'inchiesta sull'emergenza ambientale, il cui contenuto è verificabile dai verbali parlamentari;
dalla relazione è emersa una pesante situazione debitoria, la mancanza di un reale bilancio, l'erogazione di centinaia di migliaia di euro ed avvocati amici, l'inutilizzabilità del programma di elaborazione dei dati contabili, il fallimento delle politiche nel ciclo dei rifiuti, la presenza alle dipendenze dell'Ufficio del Commissario di 64 dipendenti più 41 persone «fantasma» assunte con contratti stipulati da dirigenti del Ministero dell'Ambiente, la mancanza di allegati o atti che avrebbero dovuto produrre il servizio di controllo interno e di verbali della verifica amministrativa e contabile;
la relazione del prefetto Ruggiero ha rappresentato l'ennesima denunzia sulla gestione di un lungo commissariamento che è stato al centro di proteste, interrogazioni parlamentari, di relazioni della Corte dei conti, di indagini delle Forze dell'Ordine e della Magistratura;
la cattiva gestione degli impianti, il grave ritardo nella raccolta differenziata, gli sperperi inutili, i presunti gravi illeciti nella gestione dei finanziamenti, il mancato controllo degli organi deputati, sono indicativi del totale fallimento del Commissariamento;
nei giorni scorsi, anche su richiesta dell'attuale Commissario delegato, prefetto Salvatore Montanaro, era stata salutata positivamente la fine della gestione Commissariale, prevista per il 30 giugno 2008, ma alla Presidenza del Consiglio dei ministri è pervenuta una richiesta di proroga (l'ennesima!) da parte della Regione Calabria;
l'ennesima e, secondo l'interrogante assurda, richiesta della Regione Calabria è stata fatta dopo che il prefetto Montanaro,

rispettando la scadenza, aveva presentato la relazione finale dalla quale si evince che l'Ufficio del Commissario ha ottenuto buoni risultati sul fronte della depurazione e della raccolta dei rifiuti, giungendo da una parte al graduale passaggio delle competenze alle Province e dall'altra all'elaborazione del Piano dei rifiuti, che è ancora al vaglio della regione;
nel mese scorso, l'Assessore regionale all'ambiente, che riteneva ormai di poter considerare concluso il periodo di Commissariamento ambientale, si è visto revocato l'incarico dal Governatore Loiero, il quale si ostina e richiedere la proroga dell'emergenza;
d'altra parte il Sottosegretario di Stato, Guido Bertolaso, durante la visita fatta a Catanzaro il 13 giugno 2008, aveva dichiarato : «Lo stato di emergenza per i rifiuti è scaduto il 31 ottobre scorso, ora, a fine mese, la Calabria può rientrare in pieno nella gestione ordinaria come concordato con il Governo regionale»;
lo stesso Commissario Montanaro si è espresso per la fine di un lunghissimo commissariamento ambientale in Calabria;
l'interrogante ritiene che la richiesta di proroga da parte del Governatore Loiero sia legata solo ed esclusivamente a scelte opportunistiche che nulla hanno e che vedere con la gestione dell'emergenza ambientale -:
se non ritengano davvero assurda una eventuale ulteriore ed ennesima proroga di un commissariamento che ha già portato in Calabria ben 800 milioni di euro;
quali siano gli intendimenti dell'attuale Governo sullo stato dell'emergenza ambientale in Calabria.
(4-00543)

PILI, MURGIA, VELLA, PORCU, NIZZI, OPPI e TESTONI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i rapporti con le regioni. - Per sapere - premesso che:
la legge regionale n. 20 del 1957 e successive modificazioni individua erroneamente un quorum di partecipazione del referendum pari a un terzo degli elettori;
tale quorum non è previsto nell'articolo 15 dello Statuto sardo;
una legge regionale che prevede in modo equivoco il quorum di partecipazione di un terzo degli elettori per il referendum confermativo di una legge statutaria è palesemente incostituzionale;
il Presidente della Regione sarda non ha in alcun modo esplicitato preventivamente la corretta interpretazione e applicazione delle norme referendarie relativamente alle norme statutarie;
la prevalenza gerarchica della disposizione statutaria risulta evidente su qualsiasi altra norma regionale;
l'articolo 15 dello Statuto speciale della Regione Sardegna approvato con la legge costituzionale n. 3 del 1948, fissa, come presupposto indefettibile della promulgazione della legge, il fatto che sia stata approvata, in sede di referendum confermativo della legge statutaria, dalla maggioranza di voti validi. Recita, infatti, testualmente, il citato articolo 15 «La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi»;
la Corte d'Appello, il 30 giugno 2008, in sede di verifica dei risultati del referendum:
1) ha ritenuto che, in forza del combinato disposto degli articoli 15 della legge regionale n. 21 del 2002 e 14 della legge regionale n. 20 del 1957, fosse necessario il raggiungimento del quorum anche per la validità del referendum sulla legge statutaria regionale. E ciò benché l'articolo 15 dello statuto, norma di rango costituzionale, non prevedesse il raggiungimento di nessun quorum, al pari del referendum confermativo previsto dall'articolo 138 della Costituzione;

2) ha dato atto del mancato raggiungimento del quorum;
3) ha dichiarato, pertanto, non valido il referendum sulla legge statutaria regionale della Sardegna;
il Presidente della Regione, nonostante tale pronunzia della Corte d'appello, ha già dichiarato che promulgherà la legge statutaria (approvata dal Consiglio regionale il 7 marzo 2007);
la promulgazione, però, avverrebbe in violazione dell'articolo 15 dello statuto speciale della Regione Sardegna, che, come detto, stabilisce chiaramente che la legge statutaria non può essere promulgata «se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi»;
in realtà, avendo la Corte d'appello dichiarato non valido il referendum sulla legge statutaria, quest'ultima non può essere promulgata, mancando la condizione della sua approvazione «dalla maggioranza dei voti validi»;
dalla pronunzia della Corte d'appello, che ha accertato che quasi il 70 per cento degli elettori si sono espressi contro l'approvazione della legge statutaria e che ha dichiarato non valido il referendum, emerge che la legge statutaria non ha ottenuto la maggioranza dei voti e che, per di più, i voti non sono neanche validi;
la volontà del costituente - come emerge dall'articolo 15 dello statuto - è sicuramente nel senso di richiedere, per la promulgabilità della legge statutaria, la volontà degli elettori, espressa attraverso la maggioranza dei voti validi, non essendovi stato un valido referendum - e quindi non essendovi stata la maggioranza dei voti validi - la legge statutaria della Sardegna non può essere promulgata;
l'eventuale promulgazione, pertanto, comporterebbe una violazione dell'articolo 15 dello statuto speciale della Sardegna (avente natura di legge costituzionale), nella parte in cui, appunto, stabilisce che «La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi»;
la norma prevede che il mancato raggiungimento di un quorum, peraltro incostituzionale, renderebbe di fatto il referendum non valido e conseguentemente la legge statutaria non può essere promulgata;
secondo autorevoli pareri di costituzionalisti «il referendum è invalido per mancanza di quorum partecipativo, la legge statutaria non è approvata dalla maggioranza dei voti validi, perché se il referendum non raggiunge il quorum nessun voto è valido»;
è doveroso segnalare il rischio di una gravissima violazione senza precedenti di una disposizione avente valenza costituzionale -:
se il Governo intenda valutare l'opportunità di un intervento diretto tramite impugnativa davanti alla Corte costituzionale ai sensi della normativa vigente, teso al rispetto dello Statuto sardo, che ha valenza di legge costituzionale, delle prerogative democratiche dei sardi.
(4-00544)

ZINZI. - Al Presidente del consiglio dei ministri, al Ministro per i rapporti con le regioni, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il Consorzio di Bonifica del Bacino Inferiore del Volturno in provincia di Caserta ha proceduto all'iscrizione a ruolo a carico dei contribuenti proprietari di immobili urbani ricadenti nelle aree urbane dei Comuni compresi nell'area di pertinenza del Consorzio, già destinatari delle cartelle esattoriali per il pagamento del tributo «acque reflue»;
la legge Regionale della Campania n. 4 del 25 febbraio 2003 all'articolo 13 comma 3 sancisce che gli utenti soggetti all'obbligo del pagamento del tributo «acque reflue» sono, esentati dal pagamento dei tributo di bonifica connesso ai servizi di raccolta, collettamento, scolo ed allontanamento delle acque meteoriche;

nonostante tale espresso divieto della doppia imposizione, il Consorzio di Bonifica del bacino Inferiore del Volturno continua a procedere alla iscrizione ruolo per contributo «bonifica»;
tale illegittima iniziativa del Consorzio provoca non pochi disagi ai numerosi destinatari delle cartelle esattoriali, provocando peraltro un nutrito contenzioso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta;
v'è da chiedersi se la situazione descritta non sia almeno in parte dovuta ad un'ambiguità della disciplina complessiva delta materia, in particolare alla vigenza dell'articolo 21 del regio decreto n. 215 del 1933 -:
se non intenda adottare iniziative per chiarire effettivamente la disciplina in materia di riscossione di tributi da parte dei consorzi di bonifica.
(4-00546)

PILI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le politiche europee. - Per sapere - premesso che:
l'11 marzo 2008, per il Direttore Generale Michele Pasca, Dirk Ahner ha trasmesso all'Ambasciatore Rocco Antonio Cangelosi, Rappresentante permanente d'Italia presso l'Unione europea, un audit di contratti d'appalto relativo al FESR - programma Obiettivo 2 DOCUP Sardegna relativo alla missione del 10 settembre 2007-14 settembre 2007;
il rapporto d'audit nella sua versione in lingua italiana precisa i risultati, le conclusioni e le raccomandazioni provvisorie dei revisori della Commissione;
le autorità nazionali sono state invitate a fornire le loro osservazioni nel termine di due mesi dal ricevimento della versione in lingua nazionale del rapporto di audit;
nel rapporto di audit viene esaminato il Progetto 3120119 - Progetto CAMPUS (Estensione progetto Marte);
il beneficiario finale è la Regione autonoma della Sardegna assessorato Pubblica Istruzione;
le spese ammissibili ammontano a 4.820.284,80 euro, il contributo FESR di 2.410.142,40 euro;
il progetto prevede l'estensione del progetto esistente «Marte» per aggiungere servizi complementari interattivi alla piattaforma esistente;
il progetto precedente «Marte» (contratto del 29 gennaio 2003 per un importo di 30.129.878 euro), operativo dal giugno 2005, era relativo all'installazione di infrastrutture, di sale multimediali, di un centro di servizi e di una rete telematica fra 620 scuole elementari e di secondo grado, consentente la formazione dei professori in tale campo, l'inserimento dei disabili e la sperimentazione di programmi e prodotti aperti all'intervento dei professori, eccetera;
la dichiarata esigenza di una estensione (il progetto «Campus») sarebbe sorta secondo quanto dichiarato dai responsabili del progetto per consentire un'apertura interattiva verso l'esterno, attraverso la messa a disposizione via Internet, per favorire un'utilizzazione da parte di comunità più estese;
in data 28 ottobre 2005 è stato pertanto firmato un contratto complementare (senza ricorso alla pubblicazione di un invito a presentare offerte) con il contraente iniziale per un importo pari a 7 milioni di euro;
i responsabili del progetto hanno dichiarato che il progetto iniziale è un progetto pilota e che il carattere imprevedibile di tale estensione sia risultato dagli sviluppi tecnologici e dai bisogni evolutivi, aggiungendo che un'altra difficoltà che ha portato alla scelta di un contratto complementare è stata la difficoltà di far entrare in un centro di servizi già gestito da un contraente un altro contraente responsabile dell'estensione dei servizi e dei contenuti;

al fine di poter valutare in maniera più precisa la legittimità dell'aggiudicazione di un contratto complementare in aggiunta al contratto iniziale, i revisori hanno chiesto al beneficiario finale di voler fornire le informazioni e le precisazioni seguenti:
«il periodo di garanzia riguardante il centro di servizi era in corso o già terminato?;
date (inizio/fine) del contratto di manutenzione per "Marte"; è stato necessario modificare "Marte" per l'estensione "Campus"? in altri termini, il modulo/estensione "Campus" ha avuto un impatto su "Marte"? Quali parti di "Marte" sono state oggetto di intervento (cambiamento di codici, eccetera)?;
planning del progetto "Marte" e del progetto "Campus";
perché l'estensione del progetto "Marte" ha comportato un cambiamento/aggiunta di nome ("Campus")?;
la compagine che si è aggiudicata la gara per la realizzazione del progetto Marte, come si evince dal sito internet Conoscere.it, è costituita da:
HP, fornitore di prodotti e soluzioni tecnologiche, ha realizzato l'infrastruttura informatica delle aule di Marte e per il portale ha curato l'integrazione, l'autenticazione e il provisioning. Si è occupato anche del sistema di document management e di media asset management;
il gruppo editoriale De Agostini ha curato la parte relativa alla sperimentazione multimediale. Si è occupato della realizzazione dei materiali didattici semilavorati, degli archivi multimediali e del servizio di tutor;
il gruppo Ifras ha curato la progettazione delle infrastrutture di tutte le 611 aule del progetto Marte: ha realizzato gli impianti elettrici, gli impianti di illuminazione, si è occupato della fornitura e dell'installazione degli arredi in tutte le aule. Ha inoltre realizzato gli impianti di rete per 426 aule di cui 100 fanno parte del progetto Multimedialità in classe;
il centro di ricerca Tecnofor ha curato la formazione dei docenti e il progetto Handicap;
Tiscali anima la community del portale attraverso chat, forum ed e-mail. Ha la responsabilità sui sistemi di e-learning, videoconferenza, streaming, siti web per le scuole. Svolge funzioni di supporto tecnico, didattico e di tutoring;
la motivazione relativa all'estensione della gara e lo svolgimento delle nuove funzioni appaiono rivolte alla società Tiscali e dunque ad incrementare i propri compiti;
il Presidente della Regione Sardegna è azionista di maggioranza della società Tiscali;
l'obiettivo dell'estensione, secondo quanto rilevato dalla direzione della Commissione nelle dichiarazioni della Regione, mira ad un'apertura interattiva verso l'esterno, attraverso la messa a disposizione via Internet, per favorire un'utilizzazione da parte di comunità più estese;
l'estensione, rileva la commissione, sarebbe stata, secondo la Regione, «imprevedibile»;
al protocollo della Regione sarda, invece, il 24 marzo 2003 il dottor Mario Rosso, direttore generale di Tiscali, aveva scritto alla Regione per richiedere un'estensione del progetto Marte a trattativa privata sostenendo che gli interessi di Tiscali, in quanto azienda sarda, coincidevano con quelli dell'isola;
la dichiarazione di «imprevedibilità» confligge palesemente con la richiesta di estensione proposta da Tiscali nel 2003 con la richiesta di estensione proposta ed effettuata poi dalla Regione sarda nel 2005;
la decisione, rilevata dalla Commissione europea, di procedere ad un affidamento a trattativa privata con la giustificazione

di «imprevedibilità» coinciderebbe, invece, con quella «prevedibile» avanzata da Tiscali il 24 marzo 2003 e allora non accolta dalla Regione -:
se il Governo abbia già ricevuto dalla Regione Sardegna le controdeduzioni all'audit della Direzione Generale delle Politiche Regionali;
se abbia verificato, nell'eventualità, l'attendibilità delle informazioni in esse contenute anche in considerazione dell'insostenibilità della tesi dell'imprevedibilità dichiarata dalla Regione;
se non ritenga il Governo, per quanto di sua competenza di intervenire sulla vicenda al fine di verificare l'utilizzo delle risorse comunitarie che rischiano altrimenti di dover essere restituite all'Unione europea con grave danno per lo Stato italiano e la stessa regione sarda, anche in relazione agli elementi di fatto e di diritto che hanno portato alla «estensione» della gara prima dichiarata «prevedibile», poi «imprevedibile», prima su sollecitazione privata e poi pubblica.
(4-00548)

...

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:

PILI. - Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il Presidente della Regione nel mese di luglio 2005 ha utilizzato un elicottero dell'arma dei Carabinieri per una ricognizione aerea dei vecchi siti minerari del Sulcis Iglesiente-Guspinese;
a bordo dell'elicottero avrebbero trovato posto diversi responsabili di società immobiliari nazionali;
oggetto del sopralluogo sarebbero state le aree minerarie di proprietà della Regione sarda e le aree limitrofe di proprietà privata -:
quale motivo sia stato addotto per richiedere e autorizzare l'utilizzo di un mezzo di Stato per una così «inusuale» missione militare alla conquista delle coste sarde da parte del Presidente della Regione e immobiliaristi vari;
se siano stati preliminarmente forniti i nominativi degli immobiliaristi elitrasportati e quali siano i loro nomi obbligatoriamente rilevati prima del decollo;
se gli organismi deputati dello Stato abbiano eventualmente contribuito a definire i criteri per l'individuazione degli stessi partecipanti e o a valutarne la congruenza con le funzioni e le prerogative previste per l'uso dei mezzi di Stato;
se gli organi deputati dello Stato abbiano concorso nella definizione dei nominativi dei fortunati immobiliaristi che hanno goduto del privilegio di sorvolare con un elicottero pubblico le aree pubbliche di proprietà della Regione nonché limitrofe aree private;
quali siano stati il piano di volo ufficiale ed i precisi e puntuali tracciati seguiti dall'elicottero nella perlustrazione aerea;
quale sia stato l'obiettivo del sopralluogo e quale fosse la sfera pubblica riservata alla giustificazione di un tale volo aereo;
se sia stata inoltrata formale richiesta di un elicottero dell'arma dei Carabinieri per un presunto motivo istituzionale e se nella stessa richiesta sia stato dichiarato che tale elicottero avrebbe trasportato immobiliaristi;
se il Governo non ritenga necessario fornire copia autentica di tutti gli atti richiesti, e in particolar modo, il piano di volo, il rapporto di volo, con i nominativi dei passeggeri, e le ulteriori eventuali comunicazioni intercorse tra gli organi dello Stato e la stessa Regione Sardegna;
quali siano state le spese sostenute per tale missione e se non ritenga il Governo di valutare l'inderogabile necessità

di imputare tali somme in capo ai soggetti che hanno utilizzato tale privilegio;
se non ritenga necessario far ricorso alla Corte dei conti per valutare la competenza relativa ai costi sostenuti e il loro pagamento.
(4-00530)

...

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:

GALLETTI, POLI e RUGGERI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
con bando inviato in data 4 giugno per la pubblicazione sulla GUCE, la CONSIP ha indetto una procedura aperta per la prestazione del servizio digestione integrata della sicurezza sui luoghi di lavoro negli immobili in uso alle pubbliche amministrazioni ai sensi dell'articolo 26 della legge n. 488 del 1999 e dell'articolo 58 della legge n. 388 del 2000, da aggiudicarsi ai sensi dell'articolo 83 del decreto legislativo n. 163 del 2006 con il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, attribuendo ben 400 punti su 1.000 al ribasso percentuale sui prezzi delle singole attività indicati come base d'asta;
successivamente, all'apertura delle buste ed alla valutazione delle offerte economiche si è rilevato che la quasi totalità dei concorrenti aveva offerto ribassi fino al 95 per cento;
il sistema di aggiudicazione prevedente l'attribuzione del 40 per cento del punteggio complessivo di gara al ribasso di prezzo, si pone secondo gli interroganti in contrasto con le norme di cui all'articolo 26 del decreto legislativo n. 81 del 2008 e agli articoli 87 e 131 del decreto legislativo n. 163 del 2006 nonché della determinazione dell'Autorità di vigilanza del 5 marzo 2008, n. 3;
le norme relative ad oneri connessi alla sicurezza non consentono ribassi d'asta, tanto più se trattasi, come avvenuto nel caso concreto, di abbattimento per la quasi totalità dei prezzi base;
ciò appare inoltre in aperto contrasto con l'odierno allarme sociale generato dall'aumento crescente di infortuni sul lavoro, spesso con esiti drammatici, senza contare che tali ribassi incidono anche sul costo delle prestazioni sanitarie, ponendolo ben al di sotto della soglia prevista dalle tabelle ministeriali e dalle tariffe minime degli Ordini dei Medici, risalenti al 1991 -:
se, al fine di garantire la tutela e la sicurezza nel mondo del lavoro, non ritenga di intervenire urgentemente su Consip al fine di annullare una bando che presenta evidenti vizi di forma e sostanza e riconducendo le procedure suddette nell'alveo delle norme contenute nel decreto legislativo n. 81 del 2008.
(3-00074)

Interrogazioni a risposta scritta:

PILI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il direttore del periodico Sassari Sera Pino Careddu, ha pubblicamente rivolto al sottoscritto interrogante un appello per conoscere il contenuto degli accordi intercorsi tra l'Enel spa, la Regione sarda e la società Dalmazia spa;
nella lettera aperta si fa riferimento al caso di Oschiri (provincia di Sassari), e a possibili dismissioni fatte dalla società Dalmazia (immobiliare dell'Enel) anche relativamente al rapporto «filosofico» con l'accordo di programma con la Regione per la concessione delle pale eoliche all'ente elettrico;
lo stesso direttore di Sassari Sera pubblica l'atto richiamato dell'accordo tra la Regione e l'Enel;
nell'accordo relativo alla delibera della Giunta regionale della Sardegna del

27/50 del 17 luglio 2007 con oggetto: Protocollo d'Intesa tra la Regione Autonoma della Sardegna e la Società Enel S.p.A. si prevedono i seguenti obiettivi:
a) rottura dell'isolamento energetico;
b) ricerca e sperimentazione di soluzioni volte alla diversificazione delle fonti energetiche;
c) approvvigionamento da fonti rinnovabili e al risparmio energetico, da conseguire anche attraverso miglioramenti dell'efficienza del sistema, compatibilmente con le esigenze di uno sviluppo sostenibile sotto il profilo ambientale e paesaggistico;
d) miglioramento delle condizioni di approvvigionamento e fornitura di energia elettrica alle imprese al fine di garantire sviluppo e consolidamento al tessuto industriale ad elevato consumo energetico;
e) valorizzazione delle risorse energetiche locali;
f) arrivo del metano con importante ruolo della Sardegna nell'ambito del Progetto Galsi;
g) coinvolgimento dei produttori di energia al fine di perseguire adeguate ricadute tali da bilanciare la presenza in Sardegna di un consistente parco di generazione elettrica basato in larga misura su impianti tradizionali;
h) riduzione degli impatti negativi su paesaggio e ambiente derivanti da impianti e infrastrutture energetiche;
nell'intesa si prevede che l'Enel, inoltre, si impegni a rendere disponibile la propria società Dalmazia, proprietaria dei villaggi siti nei comuni di Oschiri e Ula Tirso (S. Chiara), a cedere tali proprietà ad un prezzo pari al valore di libro alla Regione Sardegna o ad altro ente locale o ente pubblico non economico dalla medesima individuati al fine di favorire i progetti di sviluppo di turismo ambientale e culturale dei territori, che gli enti locali interessati intenderanno promuovere;
l'acquisto e la vendita di tale patrimonio dovrebbero seguire procedure di evidenza pubblica e lo stesso ente pubblico dovrebbe investire risorse pubbliche solo se finalizzate alla realizzazione di progetti rientranti nella fattispecie dell'intervento pubblico;
è inusuale l'inserimento della società Dalmazia nell'intesa relativamente alle questioni energetiche con un'appendice esclusivamente immobiliare;
risulta impossibile conoscere il valore degli immobili anche alla luce delle potenzialità urbanistiche degli stessi;
risulta discutibile il rapporto esclusivista che viene instaurato tra l'Enel e la Regione sarda, relativamente all'installazione di impianti eolici -:
se siano a conoscenza di questa intesa che riguarda un settore strategico come quello energetico la cui competenza rientra tra quelle concorrenti;
se il Governo sia a conoscenza del patrimonio immobiliare della società Dalmazia;
se lo stesso patrimonio derivi da beni riconducibili a proprietà pubbliche a tutti gli effetti o comunque con implicazioni con le proprietà pubbliche;
se non ritenga che le procedure di vendita avrebbero dovuto seguire procedure diverse da quelle previste nell'Intesa;
se risultino al Governo dismissioni di tali beni a favore di privati e se eventualmente quali e a chi tali beni siano stati ceduti sia in ambito regionale che nazionale.
(4-00532)

BERNARDINI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il consiglio comunale di Aprilia (Latina) nella seduta del 19 marzo 1999, con atto n. 14, ha deliberato di costituire una s.r.l. a maggioranza pubblica (51 per cento) denominata A.Ser, per la gestione

dei tributi comunali, entrate patrimoniali, servizio pubbliche affissioni, patrimonio immobiliare e relativi servizi, rifacimento arredo urbano e sistemazione-ristrutturazione aree a verde pubblico, per la durata di venti anni con possibilità di proroga; nella stessa seduta veniva approvato lo statuto della società nonché lo schema del bando di gara ed il relativo capitolato e, inoltre, venivano indicati la procedura di concorso ristretta prevista dal decreto legislativo n. 157 del 1995 ed i criteri di aggiudicazione per la scelta del socio privato;
la giunta comunale di Aprilia, con deliberazione n. 138 del 1o aprile 1999, approvava la lettera d'invito a gara, le modalità di pubblicazione e dava atto che «si procederà con successivo provvedimento alla aggiudicazione anche nel caso di una sola offerta ritenuta valida»;
il 7 maggio 1999 la commissione composta da alcuni dipendenti del comune dichiarava la non ammissibilità a gara del raggruppamento di imprese (Publiconsult s.p.a., Socea s.p.a., Paghera s.p.a. e S.eR.T. s.r.l. con sede in Chiavari - Genova) che entro il termine fissato nel bando di gara aveva prodotto l'unica offerta;
la giunta con atto n. 222 del 26 maggio 1999 deliberava di «procedere all'individuazione del socio privato della costituenda società attraverso trattativa privata, ricorrendo nel caso in esame la fattispecie di cui all'articolo 7 comma 2 lettera a) decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 157» e deliberava, altresì, «di richiedere al raggruppamento costituito dalla società Publiconsult s.p.a. - capogruppo mandataria - Socea s.p.a., S.eR.T. e Paghera s.p.a., titolare dell'unica domanda di partecipazione alla procedura dichiarata deserta, la presentazione di un'offerta rispondente alle esigenze ed agli obiettivi esplicati nella deliberazione n. 14 del 19 marzo 1999», all'uopo trasmettendo lettera invito nella quale «saranno precisate le caratteristiche dell'offerta ed i requisiti richiesti in capo al potenziale contraente» e contestualmente veniva nominata la commissione per la valutazione dei requisiti;
la giunta con atto n. 302 del 24 giugno 1999 procedeva all'aggiudicazione a trattativa privata a favore del raggruppamento di imprese citato nella deliberazione sopra richiamata, quale socio privato di minoranza della A.ser s.r.l.; approvava lo schema dell'atto costitutivo dell'A.ser; approvava lo schema di convenzione tra il comune e A.ser, prendeva atto della convenzione tra A.ser e Publiconsult affinché quest'ultima, in qualità di capo mandataria, eseguisse nei confronti del comune le prestazioni oggetto dell'affidamento ricevendo il 70 per cento del compenso pattuito tra comune e società mista (pari all'aggio del 30 per cento sulle somme riscosse);
il 6 agosto 1999, repertorio n. 1465, veniva stipulato il relativo contratto ventennale tra comune e A.ser secondo la convenzione approvata con atto di giunta comunale n. 302 del 1999;
il 20 settembre 1999 con deliberazione n. 364 la giunta approva il protocollo d'intesa fra i comuni di Aprilia e Pomezia (Roma) per consentire a quest'ultimo l'ammissione nella parte pubblica della società;
il 25 giugno 2001 la giunta comunale di Aprilia, con deliberazione n. 161, autorizzava l'A.ser a procedere alla fatturazione relativa all'anno 2000 per «il servizio di riscossione acquedotto», nonostante la gestione, la liquidazione, accertamento e riscossione delle entrate patrimoniali del comune relative al servizio idrico fossero stati affidati solo in data 28 settembre 2000;
nel novembre 2001 viene sciolto il consiglio comunale di Aprilia per le dimissioni di 16 consiglieri;
nel mese di giugno 2002, dopo le elezioni amministrative, si insedia il nuovo consiglio comunale;
con deliberazione consiliare n. 5 dell'11 febbraio 2003 e deliberazione della

giunta comunale n. 73 del 12 febbraio 2003, il comune di Aprilia avviava un procedimento per la rimozione, in via di autotutela, di precedenti atti relativi alla costituzione, alla scelta del socio privato ed al rapporto convenzionale con A.ser, sospendendo, nel frattempo, l'efficacia degli atti oggetto di riesame e, pertanto, l'operatività della convenzione stipulata il 6 agosto 1999 fra il comune e l'A.ser;
con successivo atto consiliare n. 14 del 17 marzo 2003, il consiglio comunale di Aprilia deliberava che «i provvedimenti a suo tempo adottati dagli organi comunali e gli atti relativi al rapporto convenzionale con la s.r.l. A.ser ed alla scelta del socio privato devono intendersi annullati e/o revocati con il presente atto. Tali provvedimenti sono: deliberazione del consiglio comunale n. 14 del 19 marzo 1999, deliberazione di giunta comunale n. 138 del 1o aprile 1999, n. 222 del 26 maggio 1999 e n. 302 del 24 giugno 1999, nonché per l'illegittimità derivata, la n. 161 del 25 giugno 2001. Il presente provvedimento è dichiarato atto fondamentale del consiglio comunale secondo il dispositivo dell'articolo 42 del decreto legislativo n. 267 del 2000»;
alla Publiconsult, come socio privato dell'A.ser, è successivamente subentrata la San Giorgio s.p.a., azienda operante in Sicilia dove gestisce la riscossione dei tributi di decine di comuni tra cui Palermo e Marsala;
con ricorso proposto davanti il Tar del Lazio, A.ser e Publiconsult (oggi San Giorgio), socio privato della stessa, impugnavano la sopra menzionata deliberazione consiliare 17 marzo 2003, n. 14, con istanza di sospensione dell'esecuzione, respinta in primo grado ed accolta dalla quinta sezione del Consiglio di Stato con ordinanza 20 maggio 2003, n. 2009. La decisione sul merito da parte del Tar Lazio non è ancora intervenuta essendo stato il giudizio sospeso con ordinanza del 13 novembre 2003, e reiterata con ordinanza 10 febbraio 2005, n. 1412, lasciando fermi gli effetti della decisione cautelare del Consiglio di Stato;
con deliberazione consiliare n. 56 del 18 dicembre 2003 il consiglio comunale di Aprilia dichiarava decaduta A.ser dalla conduzione del servizio ai sensi dell'articolo 8 della convenzione del 6 agosto 1999, per mancato versamento delle somme dovute per più rate consecutive e per continuate irregolarità e reiterati abusi commessi dalla stessa A.ser nella conduzione del servizio;
la A.ser e Publiconsult (oggi San Giorgio), unitamente agli altri connessi, con ricorso del 19 dicembre 2003 impugnavano la deliberazione n. 56 del 18 dicembre 2003 presso il Tar Lazio - sezione staccata di Latina che, con ordinanza n. 7 del 9 gennaio 2004, accoglieva la domanda cautelare di sospensione del provvedimento;
con sentenza del 25 febbraio 2004 n. 87 del Tar Lazio-sezione staccata di Latina è stata riconosciuta la decadenza della A.ser a norma dell'articolo 8 della convenzione. Detta sentenza è stata appellata da A.ser e Publiconsult al Consiglio di Stato che, con ordinanza n. 1127 del 16 marzo 2004, accoglieva la domanda di sospensione;
con sentenza n. 1957 del 26 ottobre 2004 il Consiglio di Stato, sezione V, ha dichiarato inammissibile l'appello per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo ed è stato instaurato procedimento arbitrale nel novembre 2004 tra A.ser e comune di Aprilia;
nell'aprile 2005 dopo nuove elezioni amministrative si è insediato un nuovo consiglio comunale di Aprilia ed una nuova amministrazione;
con delibera consiliare n. 14 del 7 luglio 2006, il consiglio comunale di Aprilia ha approvato una mozione con la quale impegnava l'amministrazione comunale a perseguire ogni tentativo atto a risolvere il rapporto tra A.ser e comune, in particolare attraverso lo strumento dell'articolo 113, comma 15-bis, del testo unico delle norme sugli enti locali (TUEL), decreto

legislativo n. 267 del 2000, così come indicato da due sedute dell'apposita Commissione finanze e bilancio;
con deliberazione n. 297 del 9 novembre 2006, la giunta comunale di Aprilia ha costituito un collegio arbitrale ed approvato uno schema di contratto ex articolo 806 del codice di procedura civile, e si è demandata la trattazione di tutte le controversie ancora pendenti tra il comune e A.ser e la San Giorgio e A.ser, oltre a quelle che eventualmente dovessero sorgere in futuro, riguardo alla convenzione stipulata il 6 agosto 1999;
con deliberazione n. 26 del 12 dicembre 2006 il consiglio comunale ha approvato una mozione che impegna l'esecutivo a revocare la delibera n. 297 di giunta comunale;
con deliberazione n. 25 del 12 dicembre 2006 il consiglio comunale riteneva applicabile l'articolo 113, comma 15-bis, del TUEL (suffragato da autorevoli pareri legali) e dava mandato al sindaco, alla giunta, al segretario generale e ai dirigenti competenti ad attivare tutti gli atti di loro competenza per ottemperare a quanto previsto dal citato articolo 113, comma 15-bis (che di fatto comporta l'automatico scioglimento del rapporto contrattuale con A.ser a far data dal 31 dicembre 2006);
con determinazione dirigenziale n. 107 del 28 dicembre 2006, il responsabile del settore finanze, richiamando la deliberazione consiliare n. 25 del 12 dicembre 2006 determinava di dare atto della cessazione del rapporto tra comune ed A.ser al 31 dicembre 2006 e di provvedere alla riscossione diretta dei tributi da parte del comune a decorrere dal 1o gennaio 2007, come previsto dall'articolo 113;
il sindaco, con proprio decreto, licenziava il dirigente responsabile del settore finanze il cui contratto sarebbe scaduto il 31 luglio 2007;
A.ser e San Giorgio proponevano ricorso al Tar Lazio, avverso alla delibera n. 25 del 12 dicembre 2006, che con ordinanza 350/07 del 22 gennaio ne accoglieva l'istanza cautelare;
con deliberazione n. 44 del 19 febbraio 2007, confermati i contenuti della deliberazione n. 297, la giunta comunale ha integrato la composizione del collegio arbitrale rifiutandosi nei fatti di ottemperare a quanto previsto dal citato articolo 113, comma 15-bis, e quindi di dichiarare decaduto il rapporto contrattuale con A.ser a far data dal 31 dicembre 2006;
in aperto dispregio di quanto previsto dall'articolo 113, comma 15-bis, del decreto legislativo n. 267 del 2000, il consiglio comunale di Aprilia il 2 marzo 2007 ha approvato la delibera n. 13 che revoca le precedenti delibere consiliari e decreta il proseguimento della convenzione con A.ser per la gestione dei tributi comunali, entrate patrimoniali, servizio pubbliche affissioni, patrimonio immobiliare e relativi servizi. Con la suddetta delibera consiliare il comune, che aveva la possibilità di tornare ad una riscossione diretta, ha invece stabilito di proseguire il rapporto con A.ser e il suo socio privato, la San Giorgio. In tale contesto si è deciso, per l'assetto futuro del rapporto, di approvare l'atto aggiuntivo alla convenzione con A.ser, che è attualmente applicato, in virtù del quale si è proceduto ad una riduzione dell'aggio dal 30 per cento al 13 per cento; per il passato: quanto ai giudizi pendenti davanti ai giudici amministrativi, si è proceduto alla revoca in autotutela delle delibere a suo tempo impugnate dalle due società e sospese dal Tar e dal Consiglio di Stato, mentre relativamente alle controversie attinenti ad eventuali inadempimenti del rapporto contrattuale che le parti reciprocamente si sono contestate e, più in generale, ai profili economici della convenzione, si è stabilito di devolverne la decisione ad un collegio arbitrale i cui membri sono stati individuati dallo stesso ente con propria delibera di giunta; per quanto riguarda il recupero dei tributi non pagati, negli ultimi sei anni, dai cittadini, si è stabilito che l'aggio passi invece dal 30 per cento a ben il 70 per cento, e secondo

alcune stime l'A.ser e la San Giorgio in forza di questo accordo arriverebbero ad incassare ulteriori 50 milioni di euro; in tal modo, viene sottratta alla collettività una percentuale elevatissima dei tributi pagati dai cittadini;
il tribunale amministrativo regionale, all'inizio del 2008, ha dichiarato improcedibili i ricorsi pendenti tra A.ser, San Giorgio e comune «per carenza di interesse» proprio in forza della delibera n. 13 del 2 marzo 2007. In questo modo, l'A.ser si è vista confermare la sua titolarità a riscuotere i tributi comunali almeno fino alla fine della durata del contratto, ossia fino al 2019;
anni di gestione dell'A.ser dei servizi di riscossione dei tributi hanno contribuito ad aggravare lo stato delle finanze del comune di Aprilia, considerato anche che le somme riscosse, detratte dell'elevato aggio del 30 per cento, pervengono al comune non direttamente dall'A.ser., ma dal socio privato San Giorgio s.p.a., che riscuote i tributi e li trattiene sui propri conti correnti per molto tempo;
negli ultimi anni il comune di Aprilia ha accumulato ingenti debiti nei confronti delle ditte fornitrici di servizi e di numerosi fornitori ed ha una situazione di bilancio ormai prossima al dissesto finanziario;
il 24 novembre 2005 il consiglio comunale di Nettuno (Roma) è stato sciolto perché, come recita il decreto del Presidente della Repubblica nel decreto di scioglimento, «sussistono forme di ingerenza della criminalità organizzata rilevati dai competenti organi amministrativi» con «pesanti condizionamenti compromettendo la libera determinazione degli organi e il buon andamento della gestione comunale». Inoltre nel decreto di scioglimento è stato appurato che la Nettuno servizi srl, azienda mista composta, sulla falsariga della A.ser dal 51 per cento di capitale del comune e 49 per cento dei privati (gli stessi dell'A.ser), era una «scatola vuota» perché la riscossione dei tributi e gli altri servizi era affidata ad uno dei soci privati che tratteneva per questo i due terzi dell'aggio corrisposto dal comune sottraendo così «al controllo di gestione e di spesa i servizi affidati, anche in elusione delle norme che impongono di appaltare i servizi pubblici con procedure di evidenza pubblica»;
nel comune di Pomezia nel giugno 2001 è stato arrestato il proprietario della Publiconsult s.r.l., socio privato dell'A.ser, che gestisce la riscossione dei tributi anche per conto di quel comune, con l'accusa di corruzione di consiglieri comunali per garantirsi l'appalto di tali servizi;
la mancata regolamentazione nel dettaglio della materia dell'aggio e dell'importo dello stesso ha consentito e consente tuttora ad alcuni comuni - evidentemente poco attenti alla cura dell'interesse pubblico - di pervenire ad accordi con partner privati per la costituzione di società miste ai fini della riscossione dei tributi comunali, attribuzione ai soci privati di un aggio sproporzionato rispetto all'attività svolta, con locupletazione dei privati stessi e depauperamento delle casse comunali, con pregiudizio per l'ente locale e la cittadinanza;
la situazione di inaccettabile spoliazione delle casse comunali a favore di pochi gruppi privati operanti nel settore delle riscossioni dei tributi è ulteriormente aggravata dalla mancanza di norme che obblighino tali gruppi a prestare idonee garanzie per l'assolvimento dei loro impegni contrattuali e che limitino in maniera ragionevole la durata delle convenzioni, anche per promuovere la concorrenza nel settore ed evitare il consolidamento di posizioni dominanti (emblematico è ancora una volta il caso del comune di Aprilia, in cui la convenzione con A.ser s.r.l. ha durata addirittura ventennale e garantisce a quest'ultima un rendita di posizione per tale periodo del valore di molte decine di milioni di euro);
la mancanza di regolamentazione della materia crea anomalie e possibili danni per gli enti locali anche con riguardo alle modalità di deposito, gestione

e trasferimento all'ente medesimo delle somme riscosse, con conseguente rischio che al comune non pervenga il denaro che è di sua spettanza;
delle suesposte vicende era già stato interessato, con un esposto del novembre del 1999, il Ministero delle finanze, Dipartimento delle entrate, direzione centrale per la fiscalità locale. Il Ministero, con nota del 19 novembre 1999, n. 7/183224, aveva richiesto di ricevere tutta la documentazione relativa alla questione A.Ser. srl, e con nota del 31 gennaio 2000, n. V/12621-2000, tra l'altro, invitava il comune «ad attivare immediatamente ogni procedura idonea al ripristino della legalità violata» -:
se, considerata la gravità della vicenda e il preoccupante stato delle finanze del comune di Aprilia, non si ritenga indispensabile assumere i necessari elementi conoscitivi per il tramite dei servizi ispettivi di finanza pubblica, ai sensi dell'articolo 28 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e dell'articolo 28 della legge n. 289 del 2002, al fine di verificare il rispetto del patto di stabilità da parte dell'amministrazione di Aprilia e - ove si ritenga che sia configurabile un'ipotesi di danno erariale - trasmettere i relativi referti ispettivi alla procura regionale della Corte dei conti;
se non si ritenga, trattandosi di denaro pubblico, di assumere iniziative legislative dirette a:
a) fissare a livello nazionale la misura massima dell'aggio concedibile alle società miste in caso di affidamento a queste, da parte dei comuni, dei servizi di riscossione;
b) prevedere idonei strumenti di garanzia rispetto alle somme riscosse tenute in deposito dalle società affidatarie fino al momento del loro trasferimento al comune;
c) fissare espressamente la durata massima di affidamento dei servizi di cui sopra alle società, così da rendere possibile il mutamento delle strategie degli enti pubblici in conseguenza dell'evoluzione dei tempi e delle modalità di erogazione dei servizi e della conseguente riscossione, eliminando il rischio che gli enti locali contraenti restino imprigionati in gabbie contrattuali rigide ed inadatte alle moderne dinamiche finanziarie;
se, sulla base degli atti depositati presso il ministero dell'interno, risultino ulteriori elementi concernenti le vicende sopra esposte emersi durante il periodo di commissariamento dell'ente comunale, fra il novembre 2001 e il giugno 2002;
se non ritengano opportuno avviare un'indagine conoscitiva volta a studiare il fenomeno dell'affidamento a società miste del servizio di gestione, liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi locali e delle altre entrate patrimoniali al fine di operare una valutazione sull'efficienza e sull'efficacia delle modalità di attuazione della disciplina normativa vigente.
(4-00538)

PILI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per le politiche europee. - Per sapere - premesso che:
la regione Sardegna attraverso l'utilizzo di fondi comunitari ha finanziato una campagna di pubblicità istituzionale;
si richiamano, a fini di maggior chiarezza e completezza, le norme europee in materia di fondi comunitari, e in particolare:
il regolamento (CE) n. 438/2001 della Commissione del 2 marzo 2001 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio per quanto riguarda i sistemi di gestione e di controllo dei contributi concessi nell'ambito dei fondi strutturali;
il regolamento (CE) n. 2355/2002 della Commissione del 27 dicembre 2002 che modifica il regolamento (CE) n. 438/2001 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio per quanto riguarda i sistemi di gestione e di controllo dei contributi concessi nell'ambito dei fondi strutturali;

il regolamento (CE) n. 1105/2003 del Consiglio del 26 maggio 2003 che modifica il regolamento (CE) n. 1260/1999 recante disposizioni generali sui fondi strutturali;
il regolamento (CE) n. 1145/2003 della Commissione del 27 giugno 2003 che modifica il regolamento (CE) n. 1685/2000 per quanto riguarda le norme di ammissibilità al cofinanziamento da parte dei fondi strutturali;
il regolamento (CE) n. 448/2004 della Commissione del 10 marzo 2004 che modifica il regolamento (CE) n. 1685/2000 recante disposizioni di applicazione del regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio per quanto riguarda l'ammissibilità delle spese concernenti le operazioni cofinanziate dai fondi strutturali e che revoca il regolamento (CE) n. 1145/2003;
il regolamento (CE) n. 2035/2005 della Commissione del 12 dicembre 2005 che modifica il regolamento (CE) n. 1681/1994 relativo alle irregolarità e al recupero delle somme indebitamente pagate nell'ambito del finanziamento delle politiche strutturali nonché all'organizzazione di un sistema d'informazione in questo settore, il cui articolo 1-bis dispone: «ai fini del presente regolamento si applicano le seguenti definizioni: 1) "irregolarità": qualsiasi violazione di una disposizione del diritto comunitario, derivante dall'azione o dall'omissione di un operatore economico, che ha o avrebbe l'effetto di arrecare un pregiudizio al bilancio generale delle comunità europee attraverso l'imputazione al bilancio comunitario di una spesa indebita»;
si richiamano altresì:
le disposizioni relative alla gestione dei fondi europei;
il regolamento (CE) n. 1260/1999 del 21 giugno 1999, recante disposizioni generali sui fondi strutturali, in particolare l'articolo 34, paragrafo 3; l'approvazione del por Sardegna intervenuta con decisione C (2004) 5191 e successive modifiche;
le norme nazionali ed europee relative alla concorrenza e le disposizioni del Trattato CE;
il regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002 concernente l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato;
il potere di monitoraggio e controllo del Ministero dell'economia relativamente ai fondi comunitari;
la campagna di pubblicità istituzionale è cofinanziata dal Fesr nell'ambito del por Sardegna 2000-2006, misura 4.5 - «potenziare e qualificare l'industria turistica della Sardegna», linea d'azione 4.5.d «promozione del prodotto turistico Sardegna» - Assessorato del turismo, artigianato e commercio: upb (unità previsionale di base) S07.027 capitolo 07055, euro 5.460.000 (conto residui), euro 4.677.000 (conto competenze), fondi por; capitolo 07056 euro 825.000 (conto competenze), euro 964.000 (conto residui), fondi regionali por; upb S07.020 capitolo 07047 euro 2.000.000;
la regione Sardegna ha bandito apposita gara per l'affidamento di un servizio di pubblicità istituzionale che prevede: appalto del servizio di progettazione e realizzazione di una campagna promozionale della Sardegna e della realizzazione di iniziative di comunicazione istituzionale a carattere pubblicitario e in particolare:
a) creazione dello slogan identificativo della campagna;
b) realizzazione di una campagna pubblicitaria televisiva e radiofonica, con ideazione e produzione dei relativi spot televisivi e radiofonici;
c) ideazione, realizzazione ed inserzione sulla stampa più quotata in ambito locale di uno o più messaggi aventi ad oggetto l'immagine della Sardegna e le differenti tipologie di prodotto della sua offerta turistica;

d) progettazione di una strategia sul web;
e) ideazione, realizzazione e affissione di cartelli pubblicitari, opuscoli, brochure, guide, eccetera;
per la gara si prevede un importo a base d'asta e importo contrattuale di euro 18.700.000, Iva esclusa, per 1 anno, con facoltà di rinnovo della Regione alle medesime condizioni o a condizioni migliorative, per ulteriori 2 anni, per ulteriori euro 18.700.000,00 Iva esclusa per ciascun anno - complessivi euro 56.100.000,00 Iva esclusa;
nell'ambito della stessa gara un concorrente, la società Saatchi&Saatchi, indicava due giorni prima della presentazione delle offerte il nome della società subappaltatrice del 30 per cento dello stesso servizio;
nel capitolato d'appalto era previsto: «dichiarazione di subappalto: nel caso di ricorso al subappalto - come meglio regolamentato al successivo articolo 19 - deve essere anche fornita l'indicazione delle parti dell'offerta che, in caso di aggiudicazione, si intende subappaltare a terzi fino ad un massimo del 30 per cento dell'importo contrattuale; nel caso di r.t.i. non formalmente costituito, tale dichiarazione dovrà essere sottoscritta da tutte le imprese raggruppande»;
la società subappaltatrice preindicata risultava essere il consorzio media factory composto da soggetti quasi tutti già in rapporti con la società Tiscali e allo stesso consorzio veniva affidata l'esecuzione delle seguenti attività per un importo non superiore al 30 per cento dell'appalto stesso: ideazione, management editoriale, produzione e distribuzione del canale tematico multipiattaforma denominato Sardegna multichannel, come da dettagliato progetto allegato contenuto nell'offerta tecnica da pagina 119 a pagina 148;
in modo, secondo l'interrogante, del tutto anomalo nella gara era stato indicato da parte della società Saatchi il nome del consorzio subappaltante (Sardegna media factory) quando invece la norma prevedeva la sola indicazione della volontà subappaltatrice e l'entità stessa del subappalto e le relative prestazioni così enunciate: Sardegna multichannel; un canale televisivo; un canale satellitare; un canale digitale; un iptv internet provider tv; tv mobile ovvero i videotelefoni; una multipiattaforma di contenuti on demand;
la commissione di gara, nella seduta del 21 novembre 2006, ha aggiudicato in via provvisoria l'appalto al rti Saatchi&Saatchi srl - Equinox srl, e conseguentemente al subappaltante consorzio media factory;
in data 28 dicembre 2006 è stata istituita presso il Consiglio regionale della Sardegna la «Commissione d'inchiesta sull'affidamento della campagna pubblicitaria e istituzionale della regione» incaricata di accertare lo svolgimento dell'iter valutativo della gara d'appalto di cui all'oggetto;
la procura della Repubblica di Cagliari ha aperto apposita inchiesta sulla stessa gara e la stessa risulta essere ancora in corso e per la quale si è giunto ad un patteggiamento da parte del segretario della commissione di gara condannato a 5 mesi e 20 giorni;
il responsabile del procedimento in data 7 agosto 2007 ha formalizzato l'annullamento della gara per palesi vizi nell'espletamento della stessa; considerate le argomentazioni e il dispositivo contenuto nel provvedimento di annullamento della stessa gara appare utile ai fini dell'interrogazione riportarne integralmente degli stralci rilevanti:
«... ritenuto che il responsabile del procedimento non può non tenere conto delle affermazioni liberamente rese dai Commissari innanzi alla Commissione Consiliare d'inchiesta attestanti circostanze non presenti nei verbali di gara che hanno costituito i presupposti per l'aggiudicazione definitiva. Né si può pretendere che il responsabile del procedimento, dopo siffatte dichiarazioni, agisca come se non fossero state rese sino a quando il giudice

ordinario non si sia definitivamente pronunciato in merito. I principi di buon andamento (articolo 97 Costituzione), quelli di economicità e trasparenza (articolo 1 legge n. 241 del 1990), nonché quello di riconduzione della responsabilità del provvedimento finale in capo al responsabile del procedimento (articoli 4-6 legge n. 241 del 1990), implicano necessariamente il riconoscimento in capo a quest'ultimo di un autonomo margine di valutazione rispetto a concomitanti procedimenti (anche giurisdizionali) inerenti alla medesima vicenda. Questi, dunque, può non procedere all'aggiudicazione definitiva o disporne l'annullamento in via di autotutela quando, come nella specie, non sia stato ancora stipulato il contratto, allorché la regolarità del procedimento di gara sia gravemente messa in dubbio dalle affermazioni rese dagli stessi commissari, pur se ancora sub iudice la relativa vicenda. Tanto più quando si prospetta il concreto pericolo di un grave pregiudizio economico per l'Ente amministrato derivante da una spesa che risulterebbe indebitamente erogata ove le illegittimità ammesse da alcuni commissari venissero confermate dal giudice ordinario. Una conferma di tale potere è data dall'articolo 6 lettera e) legge n. 241 del 1990 ai sensi del quale il responsabile del procedimento può discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria indicandone la motivazione nel provvedimento finale;
ritenuto di dover procedere all'annullamento in via di autotutela in considerazione delle anomalie riscontrate, della gravità delle stesse, della loro incidenza sul procedimento di gara, della sussistenza di gravi vizi di illegittimità che inficiano la procedura, nonché delle ragioni di interesse pubblico prevalenti rispetto all'aspettativa della ditta aggiudicataria e delle altre imprese concorrenti;
ritenuto che sussistono diversi profili di illegittimità ciascuno dei quali da solo idoneo a determinare l'annullamento in via di autotutela dell'intera procedura di gara:
1. Violazione dei principi e delle norme in tema di verbalizzazione delle operazioni di gara:
1.1. Risulta dal verbale di gara n. 3 che al termine della seduta dell'8 novembre 2006, «il presidente riconvoca la Commissione per il giorno 9 novembre 2006 ore 10.00 al fine di procedere alla discussione ed all'attribuzione dei punteggi delle offerte presentate». Il verbale n. 4 del 9 novembre 2006 dà atto del fatto che nella mattinata «da Commissione procede ad una analisi sintetica delle offerte, per poi procedere alla discussione» e, nel pomeriggio, «alla conclusione della discussione la Commissione, non riuscendo a raggiungere una decisione condivisa, aggiorna i propri lavori al giorno 10 novembre 2006», senza però specificare se una votazione vi sia stata o meno e, in caso affermativo, l'esito della votazione, se siano state formulate delle proposte, dei giudizi. Tutto ciò costituisce violazione dell'obbligo di verbalizzazione analitica, in specie di fasi determinanti per il procedimento quali una votazione, ciò costituisce un principio generale dell'ordinamento, non solo quindi nei limiti minimi previsti dal codice dei contratti (TAR Parma, 28 maggio 2007, n. 385); in forza di tale principio la verbalizzazione delle operazioni di gara deve essere completa e descrivere con sufficiente precisione ed analiticità tutte le attività compiute (TAR Parma, 28 maggio 2007, n. 385; Cons. Stato, Sez. V, 2 settembre 2005, n. 4463), condizione questa indispensabile per poter garantire il principio di trasparenza e di par condicio; onde è illegittimo il verbale che «non consente il sindacato sulla coerenza logica della determinazione al fine di eliminare in radice ogni sospetto di parzialità e di non correttezza» (TAR Lazio, Sez. II, 14 maggio 2003, n. 4215); le irregolarità concernenti l'attività di verbalizzazione comportano l'invalidità degli atti qualora tali carenze producano, come nella specie, «un'incertezza assoluta sulle operazioni svoltesi durante la seduta» (TAR Pescara 7 marzo 2007, n. 221). Infatti, «la laconicità della verbalizzazione amputa sensibilmente le possibilità di controllo

e sindacato giurisdizionale, oltre a delineare un metodo contrastante con l'esigenza di rispetto del canone di piena partecipazione che comunque connota il collegio perfetto ed illumina il modus operandi della commissione anche quando essa decide di procedere a maggioranza» (Cons. Stato, Sez. VI, 22 marzo 2004, n. 1458). Risultano, altresì, violati l'articolo 107 decreto legislativo n. 163 del 2006 ai sensi del quale «da commissione redige un verbale, sottoscritto da tutti i suoi componenti che espone le ragioni delle scelte effettuate in ordine ai meriti di ciascun progetto, le osservazioni pertinenti e tutti i chiarimenti necessari al fine di dare conto delle valutazioni finali», e l'articolo 16 del capitolato per il quale «tutte le fasi di gara e le operazioni eseguite dalla Commissione verranno registrate in appositi verbali». Tale lacunosità nella verbalizzazione costituisce di per sé motivo di illegittimità dell'operato della Commissione di gara che risulta del tutto inidoneo ed insufficiente a rappresentare gli elementi minimi necessari ad illustrare le operazioni effettuate in quella seduta dall'organo tecnico di gara, onde non è necessario proporre la querela di falso (TAR Piemonte, Sez. II, 14 aprile 2003, n. 598);
1.2. Il fatto poi che nella seduta appositamente convocata per l'attribuzione dei punteggi, dopo la discussione sulle offerte non sia stata raggiunta una «decisione condivisa» fa intendere che effettivamente una votazione in quella sede ci sia stata, ma che l'esito non sia stato accettato da tutti i commissari. Peraltro, l'esito di detta votazione avrebbe dovuto essere immediatamente registrato, essendo del tutto irrilevante il mancato raggiungimento di un consenso unanime. Al riguardo, giova il richiamo alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 marzo 2004, n. 1458 che ha considerato illegittimo il verbale di gara quando da esso «non è dato sapere se siano state formulate una o più proposte di attribuzione del punteggio da parte del presidente della commissione, se non ne sia stata formulata alcuna (ogni commissario potrebbe aver provveduto ad indicare un proprio punteggio) ovvero rispetto a punteggi formulati da ciascuno si sia provveduto all'eliminazione del punteggio più alto e del più basso, ovvero se si sia proceduto a voto palese o segreto sulle proposte, se le proposte alternative o ulteriori fossero per attribuzione di punteggi più alti o più bassi di quelli definitivamente approvati, se uno o più commissari si siano astenuti»;
1.3. Che nella seduta del 9 novembre si sia votato è confermato, seppure con qualche contraddizione, dalla trascrizione delle audizioni rese innanzi alla Commissione di inchiesta dai commissari... omissis... (pagina 40 «... la votazione è avvenuta qualche giorno prima ... credo il giorno 8 o il giorno 9»; e pagina 1 della successiva verbalizzazione, riferendosi, poi, ad una seconda votazione: «in quella seconda votazione... credo che la Saatchi&Saatchi risultava seconda o terza»; pagina 7: «...poi la Commissione... ha ritenuto giusto tenere la votazione del 9 novembre... Quello del 9 novembre è stato veramente un vero confronto, ognuno di noi diceva le motivazioni... Ecco perché poi la commissione ha ritenuto giusto tenere conto di quella votazione»; pagina 30: «noi il 9, in virtù della votazione che avevamo fatto, avevamo già una società, avevamo già dato... un punteggio dove da quel punteggio chiaramente si evinceva che la prima classificata... era la Saatchi&Saatchi»); ...omissis... (pagina 30: «...abbiamo fatto una prima votazione in cui ha vinto Saatchi & Saatchi, una seconda votazione in cui non ha vinto Saatchi & Saatchi, e una richiesta di non tenere conto di questa seconda votazione e di tornare alla prima»; pagine 43, 44: «...il 9 novembre abbiamo votato... il giorno 15, alle ore 13 abbiamo votato e... la votazione ha dato «un esito diverso da quella del 9 novembre...». Alle 15 e 30 siamo tornati in Commissione ed è stato proposto di annullare la votazione... e di ritenere valida quella del 9 novembre...»); ...omissis... (pagina 3: «da questa prima votazione è risultata vincitrice la ditta Saatchi&Saatchi. ...Quindi questa seduta è

stata sospesa e praticamente si è iniziati nuovamente dall'inizio. ...la mattina hanno deciso di provare a fare un'altra votazione, quindi una seconda votazione c'è stata... e alla fine è risultata vincitrice... questa ditta Meccan. Questo è avvenuto di mattina. Il pomeriggio tutti insieme consensualmente hanno ritenuto che questa votazione fosse appunto da non prendere neanche in considerazione poiché viziata...»); ...omissis... (pagina 10: «anche se non sono stati registrati credo che abbiamo anche espresso dei voti, un'ipotesi di voti»); ...omissis... (pagina 6 «dopo una settimana ci siamo rivisti sostanzialmente e ognuno ha confermato i propri voti di fatto»);
1.4. L'illegittimità derivante dalla mancata verbalizzazione delle operazioni di voto nella seduta del 9 novembre 2006 non viene meno (né può ritenersi sanata) anche laddove si tenesse conto di quanto riferito da alcuni commissari innanzi alla Commissione di inchiesta secondo i quali nella riunione del 15 novembre 2006 (verbale n. 6) - dopo una seconda votazione nella quale la Saatchi & Saatchi non sarebbe risultata prima - si sarebbe deciso di riportare l'esito della votazione avvenuta il 9 novembre. Il verbale del 9 novembre, infatti, non esplicita le ragioni per le quali il voto allora dato sarebbe stato ritenuto non valido. Il verbale del 15 novembre, d'altronde, non chiarisce se i voti ivi indicati siano stati espressi in quella riunione per la prima volta o se siano stati riportati i punteggi assegnati in una seduta precedente, né indica i motivi per i quali sarebbe stata considerata non valida la seconda votazione del 15 mattina e si sarebbe deciso di ritornare su una votazione precedente (del 9 novembre) già ritenuta non valida dalla stessa Commissione. In ogni caso, la Commissione non avrebbe potuto dichiarare come avvenuta il 15 una votazione effettuata invece il 9 novembre: infatti, «se è vero che, in linea di principio, è possibile che la verbalizzazione delle operazioni poste in essere da un organo collegiale non sia contestuale alle operazioni che dovrebbe documentare, tuttavia... è indispensabile che la verbalizzazione stessa trovi riferimento in ciascuna delle riunioni tenute» (TAR Lazio, Sez. II, 14 maggio 2003, n. 4215);
1.5. Inoltre, l'operato della Commissione nella seduta del 15 novembre - sia che abbia proceduto ad un ulteriore votazione rispetto a quella del 9 novembre, sia che si sia limitata a riportare il risultato del voto effettuato il 9 novembre - comporta una violazione dei princìpi di trasparenza e di continuità al quale deve essere informato l'operato della Commissione di gara. Il principio di continuità «ha lo scopo di evitare pericoli di deviazioni nella valutazione delle offerte» (Cons. Stato, Sez. IV, 23 febbraio 1990, n. 129) ed impedisce alla Commissione di disporre «rinnovazioni di alcun tipo» delle operazioni svolte (TAR Napoli, Sez. 1, 23 febbraio 1995, n. 44); «Il principio di continuità della gara, dettato dall'articolo 71 del regolamento di contabilità di Stato per gli incanti... è espressione dei più generali princìpi di buon andamento, imparzialità, trasparenza e correttezza dell'operato dell'amministrazione, mira a garantire che le operazioni di gara si svolgano con imparzialità, nel rispetto della par condicio dei concorrenti, e senza il sospetto di favoritismi» (Cons. Stato, Sez. VI, 16 novembre 2000, n. 6128). «La violazione del principio della continuità del procedimento di gara di appalto di opere pubbliche comporta l'invalidità della gara a prescindere dalla verifica delle conseguenze pratiche» (Cons. Stato, Sez. IV, 15 luglio 1992, n. 689). Il principio di continuità può essere anche derogato ma, in tal caso, è necessario che la commissione di gara ne indichi le ragioni (ciò che nella specie non è avvenuto), onde consentire il controllo del suo operato, fugando ogni sospetto di parzialità;
2. Violazione dei principi e delle norme in tema di verbalizzazione delle operazioni di gara, sotto altro profilo. Anche a prescindere dall'illegittimità derivante dalla mancata verbalizzazione delle operazioni di valutazione e di voto del 9 novembre 2006, costituisce autonomo motivo di illegittimità, da solo idoneo

a determinare l'annullamento in via di autotutela delle operazioni di gara e delle aggiudicazioni provvisoria e definitiva, la totale incertezza delle modalità di ricostruzione dei punteggi dei singoli commissari. Nel verbale n. 9 del 17 gennaio 2007, ad integrazione del precedente verbale del 15 novembre 2006, che riportava soltanto il punteggio complessivo della Commissione, vengono riportati anche i punteggi assegnati per ogni singola voce e per ogni concorrente da ciascun commissario. Il verbale, si limita ad affermare che «i singoli voti espressi, a suo tempo, da ciascun commissario sono quelli indicati nel documento allegato, per far parte integrante e sostanziale del presente verbale». Il responsabile del procedimento ha aggiudicato definitivamente dopo tale integrazione, ritenendo che i Commissari avessero fedelmente trascritto i voti assegnati nella votazione del 9 novembre 2006.
Successivamente è invece emerso il fondato dubbio sulla effettiva corrispondenza tra i voti che si assumono trascritti e quelli effettivamente dati dai commissari in quella seduta. Infatti, dinanzi alla Commissione di inchiesta è stato prodotto solo il prospetto di una seconda votazione (dove la Saatchi & Saatchi era arrivata terza) e non anche il brogliaccio originale della votazione che vedeva la Saatchi&Saatchi come vincitrice. È emersa inoltre una generalizzata incertezza sulle modalità di ricostruzione della suddetta votazione. Infatti, ...omissis... alla domanda se nella seduta del 17 gennaio 2007 vi fosse una minuta di come ciascun commissario si era espresso o se ognuno si fosse portato da casa la propria, ha risposto «che io ricordi non era uno degli allegati della Commissione, non ricordo che il segretario avesse annotato in maniera formale i voti di ciascuno» (pagine 8, 9); «avevamo già espresso una votazione che era stata sommata e immediata, e aveva, dato quel risultato, dopo lo stesso risultato è emerso evidentemente dalla annotazione che singoli commissari avevano, se non esisteva negli atti del segretario» (pagina 9); con riguardo alla seduta del 15 novembre, «...il commissario alla fine esprimeva il voto corrispondente alla valutazione ma non ricordo che sia stato annotato di volta in volta di nuovo a che cosa corrispondeva» (pagina 5 della seconda parte del verbale) e con riguardo alla seduta del 17 gennaio 2007: «...io perlomeno non sarei stata in grado con precisione estrema di ripetere la votazione» (pagina 7); «...abbiamo ricostruito sulla base dei punteggi attribuiti che evidentemente ognuno di noi aveva» (pagina 6 della seconda parte del verbale); ...omissis... ha affermato: «...chi ha fatto lo specchietto di tutte quelle votazioni credo sia stato ...omissis... Ora io non ricordo se poi... quello specchietto con tutti i numeri sia stato trasmesso al Segretario della Commissione per riportarlo agli atti» (pagina 19). ...omissis..., però ha contraddetto questa circostanza affermando che «all'inizio i voti di ciascun Commissario non sono stati verbalizzati, alla fine è stato verbalizzato solo il totale» (pagina 9). Ed... il segretario della Commissione «...semplicemente al computer io raccoglievo i voti e poi con una tabella excel si sono fatti i calcoli e si è avuto il risultato definitivo... Io ho tutti i file in formato elettronico. La seconda votazione ho degli elementi cartacei» (pagina 1 della cassetta n. 11/2). Poi, però, innanzi alla Commissione di inchiesta ha depositato (con nota 20 marzo 2007, prot. n. 3802 a sua firma) solo il prospetto relativo ad una seconda votazione (non verbalizzata) nella quale la Saatchi & Saatchi non era risultata prima in graduatoria). Non ha mai depositato invece il prospetto o la tabella della votazione poi ritenuta valida dalla Commissione. ...omissis... alla domanda su come fossero stati originariamente registrati i voti dei singoli commissari (poi riportati nel verbale del 17 gennaio 2007), ha risposto: «i commissari li hanno espressi oralmente e sono stati trascritti dal segretario» (pagina 25); «credo che lo stesso ha trascritto i voti di ciascuno e poi ha fatto la somma» (pagina 26); la minuta del verbale recante i voti di ciascun commissario «è esistita, non so se esista, perché erano atti, come dire, appunti che il segretario della Commissione prendeva,

sommava e poi trasferiva a noi dicendo su questo aspetto la votazione ha dato questo risultato» (pagina 26); «...mi farò carico di dire al... segretario della Commissione... che, se queste minute esistono, ne produca copia in Commissione» (pagina 27). Tale copia, come si è detto, non è mai stata prodotta. Nella seduta del 17 gennaio 2007, «abbiamo ricostruito, utilizzando anche degli appunti, le votazioni che ciascuno di noi aveva dato. Quindi siamo arrivati all'unanimità... ad esplicitare in maniera più analitica le valutazioni e le decisioni... le ricostruzioni delle nostre decisioni precedenti, le ricordavamo... Io non avevo preso appunti, qualche altro li aveva presi evidentemente...» (pagina 39).
Dunque, ...omissis... afferma che il 17 gennaio 2007 ciascun commissario ha ricostruito il voto in base a suoi appunti personali, ...omissis... dichiara di non avere preso appunti, ...omissis... assume che i suoi voti sarebbero risultati da un prospetto redatto dal ...omissis... e trasmesso al segretario della Commissione. ...omissis... però afferma che era stato verbalizzato solo il voto finale e non quello dei singoli commissari. Il segretario della Commissione a sua volta non ha mai prodotto il brogliaccio di quella votazione. Mancando la prova della sicura corrispondenza tra i voti dati nella seduta del 9 novembre 2006 e quelli riportati nella seduta del 17 gennaio 2007, si può dire che la Commissione in quest'ultima seduta abbia operato una ripetizione del procedimento di verbalizzazione, in contrasto con il principio, più volte sottolineato dalla giurisprudenza, secondo cui è impossibile integrare il verbale con dichiarazioni successive dei medesimi verbalizzanti, stante «l'irripetibilità del procedimento di verbalizzazione» (TAR Catania, 12 febbraio 2001, n. 304); infatti, l'idoneità del verbale ad assolvere la sua funzione viene meno allorché «da sua redazione non accompagni lo svolgimento delle singole operazioni compiute dall'organo collegiale o quantomeno non intervenga in un momento immediatamente successivo tale da escludere errori od omissioni, quanto alla ricostruzione dell'iter valutativo» (TAR Lazio, sezione II, 14 maggio 2003, n. 4215). Un altro orientamento giurisprudenziale più restrittivo esclude in ogni caso «da sanatoria ex post delle operazioni di una gara d'appalto pubblico, anche nel caso in cui si accerti che il seggio di gara abbia informalmente espletato alcuni adempimenti senza debita verbalizzazione, in quanto un siffatto accertamento, oltre ad essere del tutto inattendibile, soprattutto quando non trovi un oggettivo riscontro nei verbali delle operazioni, implica un'inammissibile giustificazione postuma di tutte le determinazioni assunte» (TAR Palermo, 22 febbraio 2000, n. 370)»;
ritenuto che sussistono ragioni di pubblico interesse che impongono l'annullamento dell'aggiudicazione e delle operazioni di gara in via di autotutela, in quanto le circostanze sopra esposte incidono sul procedimento di gara rendendo impossibile verificare se l'offerta prescelta dalla Commissione sia effettivamente quella migliore ed economicamente più vantaggiosa per l'Amministrazione. Tali ragioni di interesse pubblico si concretizzano altresì nella tutela della parità di trattamento dei partecipanti alla gara, e nell'interesse pubblico alla trasparenza ed imparzialità dell'azione amministrativa. Un ulteriore motivo di interesse pubblico è dato dalla tutela dell'immagine dell'Amministrazione regionale;
ritenuto che l'interesse pubblico all'annullamento in via di autotutela sia certamente prevalente rispetto all'interesse della ditta aggiudicataria alla esecuzione del servizio, in considerazione, tra l'altro, del fatto che il servizio non è ancora iniziato, che il contratto non è stato stipulato, onde non si è radicata e consolidata in capo ad essa una situazione definitiva di vantaggio;
ritenuto inoltre che l'interesse pubblico all'annullamento in via di autotutela sia prevalente anche rispetto all'interesse delle altre imprese in graduatoria a conseguire l'aggiudicazione del servizio, sia per le ragioni innanzi indicate, sia perché queste non possono vantare una posizione consolidata;

considerato che, trattandosi di aggiudicazione basata su apprezzamenti discrezionali (metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa) a seguito dell'annullamento in via di autotutela è necessario rinnovare l'intero procedimento di gara a partire dalla stessa fase della presentazione delle offerte (TAR Napoli, sezione I, 13 dicembre 2004, n. 18898), essendo ciò imposto dall'esigenza di tutelare la segretezza delle offerte ed il principio della par condicio (Cons. Stato, sezione IV, 10 giugno 2004, n. 3731; idem, 7 giugno 2004, n. 3617; TAR Aosta, 16 febbraio 2005, n. 25; TAR Parma, 13 dicembre 2004, n. 788);
considerato che le gravi illegittimità nella verbalizzazione, la violazione dei principi di trasparenza, la avvenuta sottoscrizione da parte dei commissari dissenzienti dei verbali di gara, nonostante da questi non risultassero le circostanze successivamente addotte innanzi alla Commissione di inchiesta, la invocata (davanti alla Commissione di inchiesta) situazione di incompatibilità di uno dei commissari, rendono opportuno e necessario procedere alla sostituzione dei commissari di gara anche ai sensi dell'articolo 21-quinquies 1. 7 agosto 1990, n. 241;
ritenute non condivisibili ed infondate le osservazioni formulate dalla ditta aggiudicataria con memoria protocollata il 20 luglio 2007 con il n. 9736 e con successiva memoria protocollata il 31 luglio 2007 con il n. 0010094. In particolare:
1. Il presente provvedimento non può considerarsi adottato oltre un «termine ragionevole» rispetto all'aggiudicazione. Tale non può considerarsi il periodo di 6 mesi; tanto più, in considerazione del fatto che non è ancora intervenuta la stipula del contratto, dell'importo dell'appalto, del fatto che alcune delle illegittimità inficianti le operazioni di gara sono emerse con tutta la loro evidenza dopo l'acquisizione dei verbali della Commissione regionale di inchiesta;
2. Il presente provvedimento non è «dettato esclusivamente dalla necessità di dare seguito alle conclusioni raggiunte dalla Commissione consiliare al termine della propria attività» (come si sostiene a pagina 5 della prima memoria della Saatchi&Saatchi). Tiene piuttosto anche conto delle dichiarazioni rese dai commissari di gara e dal segretario innanzi alla Commissione di inchiesta costituita con ordine del giorno 28 dicembre 2006, n. 34. Tali dichiarazioni hanno fatto emergere con tutta la loro evidenza la gravità dei sopra indicati vizi di violazione dei principi e delle norme in tema di verbalizzazione, già presenti nei verbali di gara;
3. Quanto alla mancata verbalizzazione della votazione del 9 novembre 2006, non è condivisibile la tesi formulata da Saatchi&Saatchi nella seconda memoria (pagine 2-8) secondo cui si tratterebbe di atti riconducibili agli interna corporis qualificabile come «tentativo di esprimere una fase di evoluzione della discussione (ma sempre interna alla discussione stessa e non espressione di volontà definitiva)» nella «auspicata volontà di conseguire una decisione unanimemente condivisa all'interno della Commissione sulla valutazione dei progetti presentati dalle ditte concorrenti». Invero, il fatto che il verbale del 9 novembre 2006 parli di mancato raggiungimento di una «decisione condivisa» nella seduta appositamente fissata per la discussione e l'attribuzione dei punteggi delle offerte presentate fa intendere in modo inequivocabile che:
a) in quella sede si era giunti effettivamente all'attribuzione dei punteggi (ed alla formazione di una graduatoria);
b) il risultato finale di tale votazione non è stato accettato da alcuni commissari;
c) non è stato applicato il principio per il quale la valutazione complessiva di ciascuna offerta doveva necessariamente essere la risultante della media dei punteggi (o valutazioni) di ciascun commissario. Evidentemente la Commissione ha ritenuto che fosse necessario raggiungere una valutazione unanime o comunque sganciata dalla media dei punteggi

assegnati dai singoli commissari. Di qui l'illegittimità della mancata verbalizzazione la quale non poteva non dare conto dell'esito di tale votazione. Non potrebbe infatti considerarsi legittimo l'operato della Commissione che ripeta più volte la medesima votazione finché questa non dia il risultato più gradito ad uno o più commissari, dando atto a verbale solo dell'ultima votazione. Tale metodo, infatti, sarebbe contrario ai principi di trasparenza, buona amministrazione e continuità e non sarebbe idoneo a garantire la par condicio;
neppure è condivisibile il tentativo (seconda memoria della Saatchi&Saatchi) di riportare la ravvisata esigenza di completezza della verbalizzazione ad un inesistente principio di resocontazione stenografica. Pur senza richiedersi una resocontazione stenografica, i verbali di gara devono consentire di ricostruire con sufficiente precisione ed analiticità l'operato della Commissione nelle singole sedute di gara, potendosi solo in tal modo garantire il rispetto del principio di trasparenza dell'operato della P.A. Tali regole sulla verbalizzazione trovano fondamento non solo nel codice degli appalti (al quale la memoria fa esclusivamente riferimento), ma anche nei principi generali dell'ordinamento (TAR Parma, 28 maggio 2007, n. 385) e nell'articolo 16 del capitolato che impone di registrare in appositi verbali tutte le fasi di gara e le operazioni eseguite dalla Commissione. Né le carenze della verbalizzazione possono considerarsi sanate dalla sottoscrizione del verbale da pare dei commissari. Infatti, «è irrilevante la sottoscrizione del verbale da parte di tutti i commissari, in quanto tale doveroso adempimento riguarda unicamente la sua riconducibilità ad essi, ma non vale ad integrare elementi che nel documento sono del tutto mancanti» (TAR Piemonte Sez. II, 14 aprile 2003, n. 598) fondamento non solo nel codice degli appalti (al quale la memoria fa esclusivamente riferimento), ma anche nei principi generali dell'ordinamento (TAR Parma, 28 maggio 2007, n. 385) e nell'articolo 16 del capitolato che impone di registrare in appositi verbali tutte le fasi di gara e le operazioni eseguite dalla Commissione;
4. Quanto alla integrazione successiva delle risultanze delle votazioni con l'indicazione del voto fornito da ciascun componente la Commissione, questa non doveva portare, come ritenuto a pagina 9 della prima memoria della Saatchi&Saatchi ad una «riapertura dell'istruttoria che si sarebbe svolta in condizioni completamente diverse da quelle originarie e tali da non garantire l'imparzialità di tutti i componenti della Commissione» e neppure può considerarsi come una deliberazione avente valore non «meramente certificativo ma formalmente costitutivo», onde sarebbe «irrilevante la modalità della percezione ricordo delle tessere del mosaico» come asserito a pagina 11 della seconda memoria. In realtà, essendo già state aperte le buste contenenti l'offerta economica, la Commissione non poteva in alcun modo procedere ad una rinnovata valutazione dell'offerta tecnica, né ad una modifica dei punteggi individuali a suo tempo formulati. Ed è proprio la mancata verbalizzazione delle modalità attraverso le quali è stato recuperato il voto dei singoli commissari che determina una incertezza assoluta, non consentendo di verificare se quello contenuto nella tabella allegata al verbale del 17 gennaio 2007 sia una fedele riproduzione di quanto avvenuto in passato o non piuttosto una inammissibile rinnovata espressione di punteggi o comunque una non fedele ripetizione. Né questa lacuna ed incompletezza può essere sostituita dal fatto che il verbale del 17 gennaio 2007 sia stato sottoscritto da tutti i componenti la Commissione (come si afferma a pagina 9 della seconda memoria). Tale sottoscrizione, infatti, vale soltanto a ricondurre ai commissari quanto da essi dichiarato in quella seduta, ma nulla assicura in ordine alla corrispondenza con il voto espresso da ciascun commissario nella seduta di più di due mesi prima (novembre 2006): «il verbale di gara, pur essendo atto pubblico che fa fede fino a querela di falso, non per ciò solo preclude qualunque altro accertamento sui fatti in esso descritti, giacché ...

non fa fede pure delle valutazioni compiute né esclude la possibilità di errori in tale operazione» (C.si, 13 giugno 2005, n. 353; idem, 20 gennaio 2003, n. 21);
6. Quanto all'interesse della Saatchi&Saatchi ad eseguire il servizio oggetto di gara, questo, per quanto comprensibile, deve considerarsi recessivo rispetto all'interesse pubblico sopra indicato. In tale prospettiva non può configurarsi in capo ad essa un ingiusto danno all'immagine. Un danno all'immagine lo subirebbe invece la Regione se la gara non venisse annullata in conseguenza di quanto sopra rappresentato. L'annullamento in via di autotutela non comporta la perdita del finanziamento, atteso che la somma di euro 11.926.000 provenienti dai Fondi strutturali potrà essere recuperata come può evincersi dalla nota dell'Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio, prot. n. 15111/XI.2.5 del 3 agosto 2007;
determina per le motivazioni sopra meglio esposte: Articolo 1 di annullare la determinazione n. 23 del 23 gennaio 2007 di aggiudicazione definitiva, gli atti della Commissione di gara e tutti gli atti presupposti;
in data 26 aprile 2006 la Regione Sardegna, attraverso un avviso pubblico, invitava i soggetti privati alla presentazione di progetti relativi alla stessa tipologia di intervento riscontrati successivamente nel subappalto della società Saatchi & Saatchi;
la Regione Sardegna nello stesso avviso indicava con precisione un obiettivo da perseguire nella predisposizione di un progetto analogo o simile a quello che successivamente sarebbe stato indicato dalla società vincitrice della gara suddetta per la realizzazione di una multipiattaforma multidigitale;
tale obiettivo veniva cosi di seguito esplicitato: 2.2.6.2 laboratorio «produzione collaborativa di programmi televisivi multi-piattaforma» - la produzione e distribuzione di programmi televisivi richiede notevoli investimenti e viene tradizionalmente svolta in modo centralizzato, al contrario del web dove la pubblicazione di contenuti si basa su un modello altamente distribuito. Adattare un siffatto modello al contesto televisivo aprirebbe la strada ad una produzione dei programmi decentralizzata e aperta al contributo di molti. Sarebbe possibile realizzare a costi contenuti canali televisivi tematici su cui troverebbero spazio, ad esempio, artisti emergenti (concerti, cortometraggi, piece teatrali, eccetera), comunità scientifiche (seminari, lezioni, esperimenti, eccetera), associazioni culturali, organizzazioni turistiche, eccetera;
ulteriori fattori giustificano l'interesse verso tale modello:
l'ampliamento del numero di canali televisivi reso possibile dalla tecnologia digitale (a cui ancora non corrisponde un'altrettanto ricco ampliamento dell'offerta di contenuti), la produzione video ormai da tempo alla portata del mercato consumer, la facilità di condivisione dei contenuti grazie alle reti a larga banda;
l'idea alla base del laboratorio è creare una piattaforma che contribuisca a decentralizzare la produzione dei programmi televisivi attraverso un processo collaborativo e distribuito. Tale processo si avvarrebbe di:
(1) un sistema di content management distribuito, che farebbe da collettore verso una comunità di fornitori di contenuti (sia creati ex-novo che già disponibili in rete);
(2) un servizio di media-on demand che renderebbe accessibile l'insieme dei contenuti attraverso una molteplicità di piattaforme (pc, mobile, iptv);
(3) un sistema di aggregazione intelligente in grado di generare dei programmi televisivi per vari tipi di piattaforme (terrestre, satellitare, mobile);
(4) un sistema di valutazione selettiva dei contenuti basato sul feedback degli utenti stessi;

(5) un sistema di validazione preventiva dei contenuti, atto a garantire il gestore del servizio sia sul piano legale che della proprietà intellettuale.»;
nel mese di agosto 2006 l'autorità di gestione ammetteva il progetto del consorzio media factory, lo stesso del subappalto, e sostanzialmente con lo stesso progetto per la realizzazione di una multipiattaforma multimediale digitale, satellitare, web, ipty e mobile;
a novembre 2006, stesso periodo di aggiudicazione della gara sulla pubblicità istituzionale, il consorzio media factory veniva inserito come primo gruppo di partenariato nella selezione dei progetti suscettibili di punteggio premiale per partecipare ai bandi por misura 3.5 industria con la seguente formulazione: «al primo gruppo Sardinia media factory, potrebbero essere aggregate le imprese che intendono realizzare un centro di produzioni multimediali e un'integrazione degli operatori della comunicazione, dei contenuti digitali e delle rispettive tecnologie in modo da condividere strutture di produzione, laboratori ma anche contatti e opportunità di business, anche in collaborazione con soggetti istituzionali (università, CRS4, eccetera) del distretto ict regionale.»;
in data 2 agosto 2007 la giunta regionale approvava un non meglio precisato elenco di iniziative e che dallo stesso si evince un titolo riconducibile alla sottomisura relativa al progetto di Multipiattaforma multimediale con l'indicazione di un punteggio premiale per la partecipazione al successivo bando;
in data 14 agosto veniva pubblicato il bando per 70.000.000 di euro incrementabili a discrezione della giunta con i fondi 2007-2013 con il quale si fissano anche le premialità relative al partenariato;
il progetto di multipiattaforma risulta essere desueto, ormai superato e riconducibile alla sfera privatistica dell'economia;
tale multipiattaforma non avrebbe nessuna attinenza con le finalità istituzionali della Regione Sardegna ed esula dalle competenze della Regione stessa;
i fondi europei e pubblici in generale non possono contemplare la realizzazione e gestione di siffatta piattaforma tecnologica;
l'eventuale know-how non sarebbe sostanzialmente nella disponibilità dei soggetti pubblici che avrebbero concorso al finanziamento ma finirebbe per essere patrimonio intellettuale scientifico soggettivo della società consorzio delegata alla sua realizzazione e quindi commercializzabile solo tra privati;
per lo stesso progetto multimediale multipiattaforma risulterebbero essere stati attivati due possibili canali finanziari che l'interrogante giudica anomali, senza che nessuno ne dichiarasse anticipatamente il perseguimento e quindi perseguendo di fatto un sostanziale doppio finanziamento per un unico progetto;
nessuno dei soggetti pubblici preposti ha rilevato l'esistenza e l'illegittimità di tale «anomalo» comportamento; va considerato che tale «anomalo comportamento» potrebbe ancora provocare un danno economico rilevante alla gestione dei fondi comunitari della Regione Sardegna e dello Stato italiano;
se quanto riportato fosse riscontrato dagli organismi competenti si configurerebbe, ad avviso dell'interrogante, come un potenziale aggiramento ai danni della Regione stessa e dell'Unione europea -:
se non ritengano necessario aprire un'urgente verifica sui fatti richiamati;
se non ritengano indispensabile attivarsi perché sia bloccato con somma urgenza ogni possibile utilizzo anomalo di fondi comunitari relativamente a piattaforme multimediali di possibile utilità privatista e non pubblica;
se - fatti salvi gli accertamenti di competenza della magistratura o degli organi dell'Unione europea - gli uffici ministeriali coinvolti non abbiano ravvisato nelle procedure in esame gli estremi di

elementi in grado di alterare il mercato della libera concorrenza e in particolar modo quello dell'informazione;
se in tali episodi si sia configurato un eventuale omesso controllo da parte di uffici statali deputati alla verifica di procedure;
se non ritengano i Ministri - ferma restando l'autonomia regionale - di dover in venire con somma urgenza per evitare che, ove ne sussistano i presupposti, lo Stato italiano sia destinatario di una procedura d'infrazione comunitaria, o di altre eventuali responsabilità.
(4-00539)

VELTRONI, FIANO, COSCIA, BARETTA, GHIZZONI, FLUVI, VERINI, MORASSUT, META, ARGENTIN e MADIA. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
come noto, il Museo storico della liberazione di via Tasso, in Roma, che ha sede nell'edificio che fu prigione della Gestapo, ha un'articolazione pluralista e rappresentativa composta da esperti, rappresentanti ministeriali e comunali;
con la sua attività culturale e storica ha rappresentato un punto di riferimento fondamentale al fine di mantenere viva la memoria storica su quanto di più odioso ha rappresentato l'occupazione nazifascista per la città di Roma e per l'Italia intera, divenendo meta di studio e riflessione non solo per autorità italiane e straniere, ma anche e soprattutto per migliaia di giovani e scolaresche che hanno potuto comprendere direttamente la ferocia di quegli anni;
esso rappresenta un'istituzione fondamentale per il tessuto democratico del nostro paese, quale presidio di testimonianza storica e patrimonio di tutti gli italiani. Il suo funzionamento si basa sul lavoro volontario e negli ultimi dieci anni ha più che raddoppiato i suoi visitatori, allargato la sua visibilità ed è presente nei principali cataloghi e guide del turismo culturale mondiale. Di recente, inoltre, è stato invitato a partecipare al coordinamento internazionale dei luoghi della memoria e della coscienza;
tale risorsa storico-culturale rischia ora di essere soppressa in applicazione della previsione normativa di cui all'articolo 26 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, che prevede che gli enti pubblici non economici, con una dotazione organica inferiore alle 50 unità, siano automaticamente soppressi - se non esclusi con apposito decreto - e che le loro funzioni vengano attribuite all'amministrazione vigilante;
tale misura - a differenza di precedenti, analoghe previsioni legislative volte al riordino, alla trasformazione ed all'eventuale soppressione di enti pubblici - interviene senza alcun criterio valutativo, sulla base del mero parametro della dotazione organica, elemento, che nel caso del Museo storico della liberazione, rappresenta un'illogica penalizzazione per un organismo che si caratterizza proprio per la partecipazione ed attività volontaria di studiosi, giovani e protagonisti di quei drammatici frangenti storici -:
se non ritenga di dover intervenire affinché l'applicazione della citata norma non comporti la soppressione del Museo storico della liberazione di via Tasso, in Roma, preservandone la sua autonomia e flessibilità organizzativa, che gli ha permesso di essere, ad un tempo, all'interno di una rete di relazioni istituzionali interne e internazionali e, dall'altro, di entrare in relazione con scuole, associazioni, gruppi e centri di studio e ricerca italiani, europei e di altri paesi.
(4-00547)

GIUSTIZIA

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:
il magistrato dottoressa Nicoletta Gandus, Presidente del collegio della decima sezione penale del Tribunale di Milano, davanti al quale si sta celebrando un dibattimento nei confronti dell'on. Silvio Berlusconi, ha avuto modo, in un recente passato, di prospettare pubblicamente ed anche per iscritto reiterate, insistenti e fortissime critiche nei suoi confronti, quale Presidente del Consiglio dei ministri fra il 2001 e il 2006, appoggiando apertamente la formazione politica a lui avversa di centrosinistra e affermando altresì, la necessità di abrogare tramite tale formazione politica, leggi ritenute promulgate durante il Governo presieduto dall'on. Berlusconi solo ai fini di favorire se stesso;
nel sito web www.megachip.info è pubblicato un documento intitolato: «Appello per la Giustizia - Un impegno per la giustizia». Tale documento era stato redatto nel febbraio del 2006 e si proponeva di richiedere alla nuova maggioranza di governo, che sarebbe dovuta scaturire dalle imminenti elezioni, l'abrogazione di una serie di leggi che, a parere dei firmatari, avrebbero devastato il «nostro sistema giustizia». Il testo deve essere riportato nella sua interezza perché è perfettamente esemplificativo del pensiero della dottoressa Gandus nei confronti del Presidente on. Berlusconi e del Governo da lui presieduto: «Si sta chiudendo una delle più tormentate e controverse legislature, della storia repubblicana e c'è oggi la prospettiva di un cambio di governo. Ma deve cambiare anche il modo di governare: dal punto di vista costituzionale e dei rapporti tra cittadini ed istituzioni. Il lavoro che attende il nuovo governo è quindi di enorme complessità e responsabilità e si estende a settori di grande importanza per la collettività: l'informazione, la sanità, il lavoro, l'ambiente e i beni culturali, la ricerca, l'istruzione, la politica fiscale e tributaria. Importanti riforme di sistema sono necessarie anche per ridare ai cittadini fiducia nella giustizia. Ma in questo settore noi tuttavia riteniamo che vi sia una inderogabile priorità: la cancellazione delle principali leggi che sono state adottate quasi esclusivamente al fine di perseguire gli interessi personali di pochi, ignorando quelli della collettività. Si tratta di leggi che - a prescindere da ogni altra considerazione - hanno devastato il nostro sistema giustizia e compromesso il principio della ragionevole durata dei processi. Alcune di queste leggi, pur da riformare, sono state disinnescate dalla Corte costituzionale (ad esempio il cosiddetto "lodo Schifani", cioè la legge 20 giugno 2003, n. 140, sulla sospensione dei procedimenti per le alte cariche dello Stato) o dai giudici di merito e dalla Corte di Cassazione (è avvenuto per la legge sulle rogatorie 5 ottobre 2001, n. 367, e la cosiddetta "legge Cirami", 7 novembre 2002 n. 248, sullo spostamento dei processi per legittimo sospetto). Ma per altre leggi è necessaria l'abrogazione immediata: solo con la loro abrogazione, infatti, sarà possibile restituire credibilità al Paese sul piano internazionale e dignità ai governanti e ai rappresentanti politici ed ottenere la partecipazione della collettività nazionale agli sforzi necessari per ricostruire una scala di valori condivisi. Le leggi che devono costituire oggetto di abrogazione già nei primi mesi della legislatura sono: la legge di "depenalizzazione" del falso in bilancio (decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61), che rappresenta la tipica traduzione in termini normativi della cultura della illegalità e contrasta con la tendenza mondiale a punire con maggiore severità le false comunicazioni in materia societaria; la cosiddetta legge "ex Cirielli", 5 dicembre 2005, n. 251, definita "obbrobrio devastante" dal Presidente della Corte di cassazione, che ha di fatto introdotto nuove cause di impunità per i potenti (attraverso la prescrizione breve

dei reati, anche gravi, commessi dagli incensurati) e pesanti discriminazioni verso i recidivi anche per reati non gravi: dunque, incentivi a manovre dilatorie ed il prevedibile aumento della popolazione carceraria saranno l'effetto di un diritto penale per tipo d'autore; la barbara riforma della legittima difesa approvata definitivamente il 24 gennaio 2006, che introduce una presunzione di proporzionalità tra i delitti contro il patrimonio in ambiente privato e la reazione violenta con armi da fuoco contro chi ne è responsabile; la cosiddetta "legge Pecorella" sulla inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, approvata definitivamente il 15 febbraio 2006, che, a parere di molti, altera il principio costituzionale della parità delle parti nel processo e, dilatando le possibilità di ricorso alla Corte di Cassazione, parzialmente la trasforma in giudice di merito, ingolfandola e rendendone ingestibile l'attività. L'impegno di coloro che intendono formare il futuro Governo deve estendersi inoltre alla sospensione immediata della efficacia di tutti i decreti legislativi di attuazione delle leggi, di riforma dell'ordinamento giudiziario (legge delega n. 150 del 2005): solo così potrà essere predisposto e realizzato un progetto di riforma di ampio respiro, utilizzando i contributi del CSM, degli accademici, della magistratura associata, degli avvocati e delle associazioni dei giuristi e del personale amministrativo. Chiediamo allora a tutti coloro che parteciperanno alla prossima campagna elettorale un impegno espresso, preciso e incondizionato ad operare immediatamente per l'abrogazione di queste leggi, che non sia diluito in promesse di riforme generali nei vari settori dell'ordinamento. L'assunzione di tale impegno è condizione e garanzia irrinunciabile perché, come giuristi e come cittadini, possiamo confidare nella volontà degli eletti di ripristinare effettivamente, non solo in questo campo, le regole fondamentali della democrazia. 16 febbraio 2006». A parere dei firmatari, dunque, le leggi citate, oltre ad essere causa di "impunità per i potenti" ed essere "state adottate quasi esclusivamente al fine di perseguire gli interessi personali di pochi, ignorando quelli della collettività" e quindi con ogni evidenza riferibili al presidente Berlusconi, debbono trovare "abrogazione immediata". La riforma della legittima difesa viene definita "barbara", la riforma della prescrizione, decontestualizzando una espressione dell'allora Presidente della Cassazione, quale "obbrobio devastante". Si osservi, fra l'altro, che nel processo de quo la legge 5 dicembre 2005 n. 251, se non fosse stata accolta dal Tribunale presieduto dalla dottoressa Gandus la contestazione suppletiva (e tale contestazione doveva, a tutto concedere, essere ritenuta un fatto nuovo), avrebbe dovuto trovare immediata applicazione;
la dottoressa Gandus è firmataria di tale appello e di tale impegno condividerlo quale magistrato, che tale si qualifica nel firmare l'impegno, potrebbe già apparire un fuor d'opera rispetto al suo ruolo, ma è certa impensabile che possa serenamente giudicare colui il quale tali provvedimenti ha posto in essere quale capo del Governo e a favore del quale sarebbero stati promulgati. A ciò si aggiunga che firmatario dell'impegno è anche il Consigliere Sergio Sparo che è il pubblico ministero presso il Tribunale di Milano che segue, insieme al dottor De Pasquale, i provvedimenti milanesi nei confronti dell'on. Berlusconi. La condivisione di tale impegno non è certo elemento di tranquillità per l'imputato;
nel sito internet di Magistratura Democratica, in un intervento del 9 maggio 2005 dal titolo «Donne di Magistratura democratica», la dottoressa Gandus interloquiva sulla legge afferente, fra l'altro, la fecondazione assistita. Trattasi, come è noto, di provvedimento fortemente voluto dall'on. Berlusconi. Sul punto affermava la dottoressa Gandus: «Dalla nostra posizione su quella orribile legge, incostituzionale, invasiva, penalizzante per la salute delle donne, che confonde diritto e morale, discende necessariamente il sì ai quesiti referendari»; in merito a tale legge, del resto, la dottoressa Gandus, anche in data 12 gennaio 2005, aveva già avuto modo di esprimersi, aderendo mediante la propria

sottoscrizione a un testo in cui si prende posizione anche in materia di politica estera: «la legge sulla fecondazione assistita ormai tristemente nota sia per essere un concentrato di barbarie giuridica, di sadismo misogino, di ipocrisia e di integralismo, ma anche fonte immediata di ansia, di sofferenza, di ingiustizia e di discriminazione sociale (...) La maggioranza parlamentare, ben più ampia dell'attuale centrodestra, che ha votato questa legge ha inferto una grave ferita alla democrazia italiana e alla qualità della convivenza civile. Da un lato ha perpetuato la subalternità storica delle classi dirigenti italiane agli indirizzi della politica vaticana, dall'altro si è ricollocata nella cultura politica della globalizzazione, che garantisce l'ordine mondiale con la guerra preventiva e di fatto opprime e discrimina il soggetto che quotidianamente porta l'umanissimo "disordine" della difesa della vita reale, della assunzione di responsabilità, della parola ultima della procreazione, cioè la donna»;
non vi è dubbio che ciascuno possa esprimere liberamente le proprie opinioni politiche sulle leggi, ma poi non dovrebbe poter giudicare colui che tali leggi ha fortemente voluto, perchè la sua terzietà appare irrimediabilmente compromessa;
sempre sul sito di Magistratura democratica è riportato un altro intervento della dottoressa Gandus intitolato «Giustizia a Porto Alegre» durante un congresso. In tale sede la dottoressa Gandus affermava: «Del "caso italiano" hanno parlato in molti, a cominciare proprio dalla Robinson e da Garzon: perché è certamente vero che la situazione dei giudici in molti paesi (in particolare del cosiddetto terzo mondo) è infinitamente peggiore di quella italiana, ma è altrettanto vero che la messa in discussione delle prerogative costituzionali di autonomia ed indipendenza, del ruolo di controllo della legalità della magistratura in Italia, considerata fino ad ora un modello, fa scandalo a livello internazionale»;
anche in tal caso è legittimo il diritto di critica, ma non si comprende come il giudice possa in caso siffatto essere ritenuto o apparire terzo rispetto all'imputato Berlusconi, Presidente del Consiglio dei ministri e quindi conclamato avversario politico. Altrettanto legittimo appare occuparsi della lettera, da inviare come donne al centro-sinistra per il programma di governo, ma certamente non ci si dimostra super partes quando si deve giudicare l'avversario politico;
nel sito www.cappuccino.it vi è un illuminante articolo della dottoressa Gandus del 3 giugno 2006, quando già vi era stata la discussa e da costei auspicata vittoria dell'area del centro-sinistra. Si legge testualmente: «La "devolution" è una delle questioni fondamentali sottoposte a referendum. È importante opporvisi perché è espressione della generale posizione antidemocratica, centralista, autoritaria della controriforma e non rappresenta affatto una apertura al federalismo. Il federalismo è una antica battaglia della sinistra, del pensiero liberale democratico, libertario e del solidarismo cattolico ed è affermato nella Costituzione come valorizzazione delle autonomie: prima di tutto dei Comuni (istituzioni di base in diretto rapporto coi cittadini), poi di Province e Regioni. Invece la devolution della contro-riforma: nega il ruolo dei Comuni, di cui distrugge l'autonomia; la politica del centrodestra che propone la devolution ha attaccato alla radice la finanza e la gestione dei servizi municipali; realizza un nuovo "centralismo di Stato regionale", senza alcuna forma di solidarietà (la "secessione" della Lega); lascia al potere legislativo centrale tutte le decisioni di indirizzo politico generale; non rappresenta effettivamente le Regioni nel "Senato delle Regioni"; non prevede alcuna forma di federalismo fiscale, senza il quale il regionalismo non può operare; è sovrastata da un incombente potere autoritario e centralista, concentrato nelle mani del capo del governo. La devolution è il contrario del federalismo, che non si "devolve" dall'alto ma si costituisce dal basso, a partire dall'esperienza sociale e municipale di autonomia»;

è facile comprendere come una delle più importanti riforme del Governo Berlusconi fosse pesantemente attaccata dalla dottoressa Gandus: parere assolutamente legittimo e da molti, allora, condiviso, ma non appare certamente ipotizzabile che, dopo affermazioni siffatte, la dottoressa Gandus appaia disinteressata all'esito dell'odierno processo. Silvio Berlusconi è l'avversario politico in tutti i campi; nella giustizia, negli assetti costituzionali del paese, nelle questioni morali, nella, politica estera;
nel documento di Sinistra Critica «area programmatica di Rifondazione Comunista», settore della politica certamente avverso all'on. Berlusconi, vi è la cronistoria di una grande manifestazione tenutasi nel 2005 contro il governo dallo stesso presieduto. Secondo quanto riportato nel documento: «Per Nicoletta Gandus, del collettivo donne e diritto, il sabato milanese è un fatto "enorme" di cui chiunque faccia politica dentro e fuori il palazzo non potrà non tener conto. Al di là del numero, «peculiarità e bellezza» della manifestazione derivano dall'essere stata autorganizzata. Non fosse «nata dal basso», non sarebbe riuscita così bene. «È un altro segnale del desiderio di donne e uomini di partecipare alla politica. È stata un'affermazione di libertà, in 200.000 abbiamo detto che non esiste una sola morale. Comunque, "è stato solo l'inizio", l'attacco alle libertà e alla laicità andrà avanti. Ieri sulla 194 "non applicata nella sua interezza" e sui "colloqui nei consultori" il Comitato nazionale di bioetica ha preso una posizione analoga a quella del Movimento per la vita "nessuna sorpresa", commenta la magistrata milanese, è lo stesso comitato che raccomanda la adottabilità degli embrioni anche alle single. Riscoperte solo come utili contenitori della vita nascente»;
come più volte detto non vi è dubbio che la dottoressa Gandus bene faccia, se lo ritiene, ad estrinsecare la propria attività politica contro il Governo di Berlusconi, ma è altrettanto evidente che non è giudice che appare terzo nel momento in cui deve giudicarlo;
sul sito web www.caffeeuropa.it si può reperire un documento firmato anche dalla dottoressa Gandus nel 2004, fortemente critico sempre nei confronti della legge sulla procreazione assistita. Parere più che legittimo, ma la legge sostenuta dal Governo presieduto dall'onorevole Berlusconi viene definita, fra l'altro, «una mostruosità giuridica, inaccettabile ed inapplicabile» affermandosi altresì che «piega in tutta evidenza la funzione legislativa ai pretesi rigori etici»;
la posizione della dottoressa Gandus non è minimamente criticabile in sè, ma lo diviene ove voglia giudicare l'on. Berlusconi;
inoltre, la dottoressa Gandus, unitamente al Consigliere Spataro, è stata firmataria di un appello contro la decisione del Governo Berlusconi di prorogare il Procuratore nazionale antimafia;
infine si deve porre in evidenza come la dottoressa Gandus appaia fra i soggetti potenzialmente danneggiati nel processo collegato, da cui nasce il processo, avendo posseduto azioni Mediaset ed essendo quindi fra quei soggetti che potenzialmente avrebbero potuto costituirsi parte civile anche nei confronti dell'on. Berlusconi, e che a tutt'oggi, anche dopo la declaratoria di prescrizione del reato, possiedono legittimazione attiva per proporre azione civile contro il medesimo;
per tutto quanto sopra esposto, una prima considerazione si impone: la dottoressa Gandus avrebbe dovuto astenersi dal processo ai sensi della lettera h) del primo comma dell'articolo 36 del codice di procedura penale, perché balza ictu oculi la gravità dei presupposti delle «ragioni di convenienza». Ma, a tacer di questo, si deve riconoscere che le reiterate manifestazioni di pensiero della dottoressa Gandus appalesano altresì una «inimicizia grave» nei confronti dell'imputato Berlusconi, ai sensi della lettera d) del citato

primo comma dell'articolo 36 del codice di procedura penale. Il concetto di «grave inimicizia» che legittima sia la richiesta di astensione, sia la dichiarazione di ricusazione (ai sensi del primo comma lettera a) dell'articolo 37 del codice di procedura penale) deve essere valutato secondo interpretazione teleologica. Se un giudice nutre personalmente profondo astio nei confronti di una parte del processo, ha l'obbligo di astenersi appalesando il motivo, anche se questa sua condizione soggettiva che attiene al foro interno dei suoi sentimenti non è mai stata conosciuta da altri. Per quanto attiene, invece, l'identica causa di ricusazione, è giocoforza ammettere che lo stato di «grave inimicizia» sia ragione di ricusazione quando lo stesso sia conosciuto. Infatti nella astensione si pretende che il giudice, per evitare che i suoi sentimenti influiscano sul giudizio, debba chiedere di non parteciparvi al fine di evitare ogni interno sforzo per essere terzo e imparziale. Nel caso di ricusazione, per contro, la conosciuta situazione di «grave inimicizia» determina oggettivamente l'incompatibilità del giudice che, comunque, deve non solo essere, ma anche apparire, terzo e indifferente;
a questo proposito è necessario ricordare quanto la Corte costituzionale ha puntualmente affermato con le note sentenze nn. 306, 307 e 308 del 1997. La Consulta, trattando del regime delle incompatibilità di cui all'articolo 34 del codice di procedura penale, ha segnato i confini tra cause di incompatibilità e, per contro, di astensione e ricusazione. Segnatamente, con la sentenza n. 307 del 1997, la Consulta, nella prospettiva del «giusto processo», segnalava come questo potesse essere salvaguardato con il ricorso non più all'incompatibilità, ma all'astensione e ricusazione, «eventualmente anche richiedendo un successivo intervento di questa Corte». Con la sentenza n. 308 del 1997 la Corte costituzionale assume che la questione sottoposta al suo giudizio «sollecita alcune riflessioni generali sugli strumenti di tutela del valore dell'imparzialità del giudice apprestati dal codice di procedura penale e sulla loro idoneità a garantire in forma razionale ed esaustiva il principio del giusto processo». Dopo aver delineato tratti comuni dell'incompatibilità e dell'astensione/ricusazione, ed aver riconosciuto che tutti questi istituti si giustificano per rendere efficace la tutela del principio di imparzialità, la Consulta, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità circa l'esaustività del disposto dell'articolo 34 del codice di procedura penale, «invitava» il giudice rimettente a scrutinare il caso concreto nella prospettiva dell'astensione o ricusazione già previste dall'ordinamento, ovvero di verificare se questi istituti «postulino un intervento di questa Corte». Così operando la Corte costituzionale segnala implicitamente la possibile inadeguatezza dei parametri offerti dagli articoli 36 e 37 del codice di procedura penale e, nel contempo, non pare affatto contraria a una interpretazione estensiva degli stessi, interpretazione, com'è noto, possibile senza vulnus del principio di tassatività e del correlato divieto di analogia anche nelle ipotesi di indicazioni tassative. Due anni dopo la riforma dell'articolo 111 della Costituzione assegna valore di rango costituzionale alla terzietà ed imparzialità del giudice. Quanto finora esposto segnala la necessità di interpretazione ed applicazione dell'istituto della ricusazione in termini meno asfittici di quanto finora sia stato fatto;
la dottoressa Gandus si appalesa portatrice di profonda ostilità nei confronti dell'on. Berlusconi. La personalizzazione dell'inimicizia non può essere negata sol con l'osservare che il giudice avrebbe contestato le leggi e non il Presidente del Consiglio che le avrebbe ispirate o volute, perché in questi anni tutta l'opinione pubblica e tutti gli avversari politici hanno di questa personalizzazione fatto bandiera costantemente garrente;
ed allora la dottoressa Gandus non poteva non sapere, anche se avesse potuto diversamente divisare, che i suoi strali sarebbero stati, oggettivamente, indirizzati in via diretta alla persona di Silvio Berlusconi, e che come tali sarebbero stati da tutti recepiti. La dottoressa Gandus,

quindi, si trova in stato di grave inimicizia nei confronti della persona che dovrebbe giudicare. E se anche non lo fosse, certamente lo appare. E non occorre ricordare che per giurisprudenza costituzionale consolidata il giudice, a tacer di tutto, non deve apparire condizionato. L'assunto è tanto più pregnante poiché la finalità dell'istituto della ricusazione non è solamente quello di provvedere a un giudice terzo e imparziale, ma anche di mantenere, su questo presupposto, la credibilità dell'intera magistratura;
nel caso concreto, tra l'altro, la dottoressa Gandus risulta essersi posta in contrasto con la disposizione del codice deontologico della magistratura associata che impone al magistrato di evitare «qualsiasi coinvolgimento in centri di potere partitici o affaristici che possano condizionare l'esercizio delle sue funzioni o comunque appannarne l'immagine». Il concetto di «centri di potere partitici» si rileva, per quanto qui occorra, dai documenti che contengono le sue opinioni, reperibili anche nei siti di emanazione di partiti o di questi usuali sostenitori;
non può darsi neppure come acclarato che l'interesse nel procedimento di cui alla lettera a) dell'articolo 36 [e della lettera a) dell'articolo 37)] del codice di procedura penale non possa essere individuato nella appartenenza del giudice ad una compagine politica né comune né contraria a quella di una delle parti. Infatti, pur in difformità dalla prevalente giurisprudenza e dottrina, che vogliono far salvo il principio fondamentale di libertà di manifestazione del pensiero, si è osservato che l'interesse, che ingenera il sospetto di incompatibilità, può sorgere persino quando l'interesse rampolli da solidarietà esistente anche in politica. Ma, a tacer di questo, nel caso concreto l'interesse è stato pervicacemente perseguito attraverso strutture logico-semantiche e scelte linguistiche tali da dimostrare in sé, e per l'autore che le adopera o che se ne impossessa, un'adesione astiosa e senza condizionamenti a tesi assolutamente contrarie alla legislazione del centrodestra, il cui destinatario è sempre e comunque l'onorevole Berlusconi. Qui non si verte nell'ipotesi di appartenenza ad una corrente dell'Associazione nazionale magistrati «pur ricollegata ad aspri conflitti personali», ma ad una vera e propria appalesata grave inimicizia. E l'oggetto di questa inimicizia non appartiene a settori della vita che potrebbero di per sé essere giudicati neutri rispetto al giudizio, ma si incista proprio nella funzione legislativa operata dall'imputato, in gran parte ritenuta dal giudice disprezzabile e barbarica. L'inimicizia, dunque, si configura negli elementi fondanti in proprio i presupposti dell'attività del giudice, e cioè il suo essere rispettoso della legge, in questo caso nei confronti del primo motore della legislazione stessa. Le legittime esternazioni della dottoressa Gandus, quindi, appaiono settarie nel contesto di un giudizio penale dove la stessa assume il ruolo di giudice e di presidente del collegio. L'inimicizia grave è documentata dai fatti esposti e non si fonda su sospetti o congetture, ma si evince ex ore suo -:
a giudizio dell'interpellante siffatte dichiarazioni, pronunciamenti, prese di posizione e partecipazioni a convegni, nei quali erano presenti e rappresentati movimenti rivoluzionari di sinistra populista e di guerriglia, non sono compatibili con lo status di appartenente all'ordine giudiziario ed ancora di più di magistrato investito di funzioni giudicanti;
se non ritenga che sussistano i presupposti per l'esercizio dell'azione disciplinare.
(2-00081)«Renato Farina».

Interrogazione a risposta orale:

GUZZANTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
da quanto scritto sul quotidiano La Stampa del 26 giugno 2008 dal giornalista politico Augusto Minzolini - che gode di impeccabile stima professionale - emergerebbe che il giudice inquirente Nicoletta

Gandus, la quale sta svolgendo attività giudiziaria contro Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio, avrebbe pronunciato parole del tipo: «Io a Berlusconi gli faccio un c... così. Gli do sei anni di carcere e poi voglio vedere come fa a non dimettersi» -:
se non intenda esercitare i propri poteri ispettivi, al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio dell'azione disciplinare.
(3-00075)

Interrogazione a risposta scritta:

ANGELA NAPOLI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la normativa vigente prevede particolari misure di protezione per coloro che collaborano con la giustizia, nonché benefici penitenziari, economici e di altro genere, che finiscono col rendere estremamente agevole la vita di coloro che hanno alle spalle diversi omicidi o che sono risultati giudiziariamente appartenenti ad organizzazioni mafiose;
tutti i citati benefici, goduti quasi sempre dai collaboratori di giustizia all'insegna della «spavalderia», non risultano graditi al comune cittadino ed, in particolare, ai familiari delle numerose vittime;
da notizie di stampa si è appreso che qualche settimana fa, il collaboratore di giustizia Peppino Vitelli, al quale risultano attribuiti circa una ventina di omicidi e noto boss della 'ndrangheta cosentina, nei giorni successivi alla testimonianza in uno dei tanti processi, ha passeggiato per la città di Cosenza con ben cinque uomini di scorta, appartenenti alle forze dell'ordine;
la cosa certamente ha destato stupore e rabbia tra i cittadini cosentini, anche perché attualmente in Calabria ci sono magistrati coraggiosi e testimoni di giustizia che hanno portato avanti importanti processi contro la 'ndrangheta, ma che risultano privi di protezione -:
se non ritenga necessario ed urgente rivisitare la normativa vigente sui collaboratori di giustizia al fine di porre qualche «freno» a coloro che spesso si servono di tale figura solo ed esclusivamente per godere di benefici, sicuramente non dovuti nei confronti di chi non ha avuto alcun riguardo per la vita umana.
(4-00542)

...

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:

BELTRANDI e MECACCI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
lo scorso 28 giugno, durante la fase conclusiva della manifestazione del Gay Pride nazionale di Bologna, alcuni oratori intervenivano dal palco allestito in Piazza VIII maggio. Mentre dal palco intervenivano alcuni degli esponenti del movimento lgbt alcuni esponenti del Movimento Facciamo Breccia si avvicinavano per sostenere uno striscione scenografico. Tra questo gruppo di sostenitori v'era anche Graziella Bertozzo, esponente storica del movimento Lgbt e di Facciamo Breccia che, per un ritardo, era rimasta al di fuori del perimetro di delimitazione del palco. Secondo quanto ricostruito anche da testimoni oculari Graziella Bertozzo nel tentativo di raggiungere il palco, senza il passi di accesso, viene spintonata a terra anche da un agente in borghese oltre che da altri in divisa, senza sapere che l'uomo in borghese era un funzionario di polizia. Subito dopo intervengono altri poliziotti in divisa che la ammanettano e la trascinano fuori dalla piazza tenendole una mano sul collo, abbassandole la testa verso terra, caricandola a forza su un automezzo di P.S. trasportandola via a sirene spiegate. Secondo la ricostruzione altri esponenti di Facciamo Breccia cercano di intervenire e altre persone presenti al Gay Pride, o affacciate alle finestre, gridano che la Signora Francesca Bertozzo non aveva

fatto niente e che la situazione appariva del tutto incomprensibile. Graziella Bertozzo viene rilasciata dopo tre ore di fermo e risulterebbe ora indagata per «resistenza a pubblico ufficiale e lesioni finalizzate alla resistenza» -:
se il Ministro dell'interno non ritenga di avviare quanto prima una inchiesta interna per verificare quanto accaduto;
se non ritenga il Ministro dell'interno che qualsiasi rappresentante delle Forze dell'Ordine in borghese, prima di intervenire nell'ambito di azioni di ordine pubblico, debba tassativamente qualificarsi per scongiurare episodi equivoci e che abbiano conseguenze come quelle indicate in premessa;
per quale motivo in prossimità del palco vi erano agenti in borghese e non in divisa;
quali motivi di ordine pubblico possono giustificare un'azione che vede coinvolte decine di agenti in borghese e in divisa per bloccare una persona esile di 51 anni.
(4-00535)

...

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:

SIRAGUSA, ANTONINO RUSSO e GHIZZONI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
con l'articolo 8 della legge n. 124 del 1999 si è sancito il passaggio allo Stato del personale A.T.A. degli EE.LL. e quindi anche del Comune e della Provincia Regionale di Palermo;
il personale in oggetto inquadrato come «esecutore scolastico addetto ai servizi generali» (corrispondente al 4o livello funzionale), in virtù di tale passaggio, è stato inquadrato nella qualifica di «collaboratore scolastico» A.T.A. dello Stato (corrispondente al 3o livello funzionale);
il passaggio di cui sopra ha dato luogo ad una serie di contenziosi da parte di alcuni dei nuovi collaboratori scolastici A.T.A. che hanno impugnato il provvedimento adducendo tre motivazioni: dequalificazione professionale; richiesta del riconoscimento del trattamento economico già in godimento; richiesta del reintegro nei ruoli e negli enti di provenienza;
a seguito di tali ricorsi i Giudici della Sezione Lavoro del Tribunale di Palermo hanno disposto il non reintegro dei rincorrenti presso gli enti di provenienza ma, al contempo, ne hanno sancito l'inquadramento nel corrispondente 4o livello funzionale del personale A.T.A. dello Stato, equivalente alla qualifica di «assistente tecnico»;
l'accesso al profilo di assistente tecnico nei laboratori di informatica, elettronica, elettrotecnica, alberghiera, chimica, fisica, meccanica, odontoiatrica ed altri, richiede il possesso di titoli e competenze specifiche così come stabilito dal contratto collettivo nazionale di lavoro e dal decreto ministeriale che regolano la formulazione delle graduatorie;
il personale oggetto della sentenza possiede, in maggioranza, la licenza elementare o la licenza media;
il 15 marzo 2006 il C.S.A. di Palermo in ottemperanza alla sentenza divenuta esecutiva e definitiva (anche a seguito di un tardivo intervento nel presentare ricorso da parte dell'Avvocatura dello Stato) ha stipulato dei contratti di assunzione a tempo indeterminato per il personale in oggetto con decorrenza a partire dal 1o gennaio 2000;
l'Ufficio scolastico Provinciale di Palermo, al fine dell'inquadramento del personale sopra citato, circa settanta persone prive di diploma utile a ricoprire il ruolo di assistente tecnico, ha organizzato corsi della durata di trecento ore volti a qualificare gli ex Esecutori comunali al fine di renderne possibile l'impiego nei laboratori e, specificatamente, per l'area AR20 - alberghiera - e AR02 - elettronica ed elettrotecnica;

in occasione delle convocazioni per l'assegnazione degli incarichi di supplenza per l'anno 2007/2008, dagli organici del personale A.T.A. è stato decurtato un numero di posti pari al numero dei lavoratori in questione, a danno dei lavoratori appartenenti alla prima fascia della graduatoria permanente della Provincia di Palermo, a cui non è stato affidato l'incarico e a circa sessanta lavoratori di terza fascia chiamati solitamente in servizio dalle Istituzioni Scolastiche, ad anno iniziato, sulla base dei posti residui disponibili;
a seguito della presentazione di ricorsi da parte di alcuni assistenti tecnici, il TAR della Sicilia ha disposto una sospensiva in conseguenza della quale l'inquadramento degli ex Esecutori non ha avuto effetto pratico nell'anno scolastico in corso;
verosimilmente, il prossimo anno, salvo nuove pronunce, gli ex lavoratori degli enti locali transitati allo Stato dovranno prestare servizio nei laboratori sui posti attualmente occupati da personale non di ruolo;
questo fatto preoccupa sia il personale A.T.A. precario che teme il venir meno della supplenza annuale sia i dirigenti scolastici che temono di veder scadere l'efficienza delle loro scuole -:
se non ritenga opportuno, a garanzia di tutti i lavoratori coinvolti nella vicenda, intervenire affinché gli ex Esecutori, anagraficamente prossimi all'età della quiescenza, vengano considerati fuori ruolo, senza intaccare l'Organico degli Assistenti tecnici della provincia di Palermo;
se non ritenga altresì opportuno, in subordine, assegnare gli ex esecutori comunali, pur in mancanza di qualsiasi titolo, al laboratorio AR 19 (assistente per l'infanzia) dato che tale personale, a suo tempo frequentò presso il Comune, dei corsi che avevano una qualche attinenza al laboratorio in questione, soluzione, quest'ultima, applicabile anche per il personale già assegnato all'area AR20 ed all'area AR02.
(5-00180)

SIRAGUSA, ANTONINO RUSSO e GHIZZONI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 1, comma 4, lettera f), della legge 10 marzo 2000 n. 62 recita; «non può essere riconosciuta la parità a singole classi, tranne che in fase di istituzione di nuovi corsi completi, ad iniziare dalla prima classe» ovvero si prevede, tra i requisiti delle scuole che richiedono la parità, la presenza di corsi completi o di corsi in completamento a partire dalla prima classe;
la circolare ministeriale (c.m) 18 marzo 2003 n. 31 al punto 3.6, secondo capoverso, stabilisce che: «in presenza di impreviste evenienze quali nuove iniziative indicate nel piano dell'offerta formativa, ripetenze o nuove iscrizioni che superano la capienza della classe e ne rendono necessario lo sdoppiamento, il gestore comunica la situazione all'Ufficio scolastico regionale competente ai fini degli eventuali accertamenti e in vista della necessaria programmazione degli esami finali del corso»;
sulla base di tale circolare, alcune scuole paritarie della Regione Sicilia hanno, con una intrepretazione contraria alla legge, ritenuto di poter sdoppiare classi terminali per la presenza di nuovi alunni iscritti solitamente dopo aver sostenuto esami di idoneità ovvero considerando come «impreviste evenienze» richieste di iscrizione in classi serali terminali che non fanno parte della normale offerta formativa. Una forzatura simile delle indicazioni contenute nella circolare ministeriale n. 31 avrebbe come conseguenza il riconoscimento della parità a classi non costituenti parte di un corso completo o in completamento;
tale deprecabile situazione, stigmatizzata dalla stampa come «fenomeno dei diplomifici», si è potuta consolidare nell'isola

anche a seguito dell'accoglimento da parte del TAR Sicilia, sezione di Catania, di un ricorso presentato da un gestore con la motivazione che né la legge né alcuna altra normativa prevedevano una autorizzazione alle classi collaterali in questione;
il sistema delle classi collaterali dilata oltre misura il numero degli esterni ammissibili ed ha forte impatto economico;
il Ministero della pubblica istruzione si è espresso, sulla questione in oggetto, con nota 2427 del 10 maggio 2006 diramata a tutte le Direzioni il 16 ottobre 2007 scrivendo alla Direzione generale del Lazio, ove, si era manifestato il cosiddetto fenomeno dei «diplomifici»;
dalle indicazioni contenute nella nota ministeriale si evince che l'unico fatto sopravvenuto ed eccezionale può considerarsi quello dei ripetenti, ed evidenzia che situazioni eccezionali non possono essere individuate nell'esito favorevole degli esami di idoneità od in nuove tardive iscrizioni che superino la recettività della classe;
il 16 ottobre 2007 il Ministero ha diffuso la nota 2427 congiuntamente ad una nota della Direzione e dell'Assessorato regionale siciliano alla pubblica istruzione, competente sul riconoscimento della parità;
le istituzioni siciliane di cui sopra hanno impartito, con successive note, istruzioni agli Uffici scolastici provinciali a cui è attribuita la diretta vigilanza sulle scuole paritarie. A loro volta, gli Uffici provinciali hanno comunicato alle scuole paritarie l'illegittimità della costituzione indiscriminata di classi collaterali;
i gestori delle scuole hanno impugnato i provvedimenti in questione ed il Tar Sicilia, con sentenza di merito, ha dichiarato l'illegittimità dei provvedimenti «sotto il profilo della loro intempestività»;
l'Avvocatura dello Stato è quindi ricorsa in appello ed il Consiglio di Giustizia Amministrativa (C.G.A) ha sospeso tutte le sentenze impugnate;
la Direzione Generale della Sicilia, tenuto conto dei provvedimenti del C.G.A., ha disposto, al fine di non danneggiare alunni in buona fede, che gli iscritti a dette classi collaterali (circa 2.000) sostenessero comunque gli esami di Stato da esterni presso scuole statali, ricorrendo a commissioni di soli esterni -:
se non ritenga opportuno porre rimedio a tale situazione di illegalità, fatta sulla pelle di giovani ragazze e ragazzi, attraverso una ordinanza che stabilisca che la mancata osservanza delle norme sugli esami comporti per le scuole paritarie, che hanno accolto candidati più di quanto è loro consentito, la revoca della parità.
(5-00182)

Interrogazioni a risposta scritta:

PAOLO RUSSO. - Al Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il Decreto Ministeriale 231 del 1997 ed il Decreto Ministeriale 39 del 1998 stabiliscono che possono accedere all'insegnamento solo coloro che hanno conseguito la laurea in Scienze Politiche entro l'anno accademico 2000/2001, escludendo dalla possibilità di esercitare la professione di insegnante tutti coloro che si sono laureati successivamente a tale data ed indipendentemente se con un piano di studio elaborato con il vecchio o con il nuovo ordinamento;
nei confronti dei laureati in Scienze Politiche del vecchio ordinamento, nello specifico, si è prodotta una forte discriminazione, contraddicendo quanto previsto dall'articolo 3 della Carta costituzionale poiché a parità di condizione dello studente, appartenenza allo stesso ordinamento e con il medesimo piano di studi, si ha un differente trattamento da parte della legge;
gli studenti che nel 1997 (e negli anni successivi) si sono immatricolati al corso di laurea in Scienze politiche al momento dell'iscrizione hanno trovato indicato nelle

guide universitarie tra gli sbocchi professionale ancora l'insegnamento, infatti, alla pagina 228 della guida all'Università del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica anno 2000-2001, è inserita la possibilità di insegnamento nelle scuole secondarie tra le professioni a cui potevano accedere i laureati in Scienze Politiche. In questo modo molti studenti dopo il 1997 hanno continuato ad iscriversi alla facoltà di Scienze Politiche con la convinzione, confortata da quanto scritto nelle guide ufficiali, che tra gli sbocchi professionali ci fosse anche l'accesso all'insegnamento secondario;
è molto delicata la situazione di tutti quegli studenti che si sono iscritti a Scienze Politiche prima dell'emanazione della norma ma che, essendosi laureati successivamente all'anno accademico 2000/2001, ne hanno subito gli effetti. La lesione del diritto di queste persone, in tal caso, è ancora più evidente dato che, nel caso concreto, non si può parlare di ignorantia legis;
il discorso è diverso per quel che riguarda, invece, i laureati in Scienze Politiche del nuovo ordinamento. Qui si tratta di una questione di principio, e, infatti, non si capisce su quali basi si decida di escluderli dalla professione di insegnante. Il percorso curriculare, sostenuto da un laureato in Scienze Politiche, è tale da metterlo nelle condizioni di essere preparato e capace di insegnare ai ragazzi delle scuole medie superiori determinate materie, quali Diritto, Economia o Sociologia;
un gruppo di Dottori in Scienze Politiche, di tutta Italia, stanchi di vedersi limitato il proprio diritto al lavoro, con la conseguente frustrazione di essere considerati come una categoria di laureati di serie B, ha dato vita al Comitato Scienze Politiche» e lanciato una petizione on-line per portare avanti una battaglia in difesa dei propri diritti -:
se sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali provvedimenti intenda adottare nell'immediato per consentire a tutti gli studenti che si sono laureati nella stessa disciplina e con lo stesso piano di studi di accedere all'abilitazione all'insegnamento eliminando discriminazioni che facciano riferimento al solo requisito temporale.
(4-00533)

DIMA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 1, comma 610, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (finanziaria 2007) istituisce, presso il Ministero, della Pubblica Istruzione, ai sensi degli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, l'Agenzia nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica, con sede a Firenze, articolata, anche a livello periferico, in nuclei allocati presso gli uffici scolastici regionali ed in raccordo con questi ultimi, con le funzioni di ricerca educativa e di formazione, aggiornamento del personale della scuola, attivazione di servizi di documentazione pedagogica o didattica e di collaborazione con le regioni e gli enti locali;
il comma 611 dell'articolo 1 della citata legge stabilisce che l'Agenzia subentra nelle funzioni e nei compiti attualmente svolti dagli istituti regionali di ricerca educativa (IRRE) e dall'Istituto nazionale di documentazione per l'innovazione e la ricerca educativa (INDIRE) che sono contestualmente soppressi; che al fine di assicurare l'avvio delle attività dell'Agenzia, e in attesa della costituzione degli organi previsti dagli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della pubblica istruzione, nomina uno o più commissari straordinari; che con il regolamento di cui al presente comma è individuata la dotazione organica del personale dell'Agenzia e delle sue articolazioni territoriali nel limite complessivo del 50 per cento dei contingenti di personale già previsti per l'INDIRE e per gli IRRE che in fase di prima attuazione, per il periodo contrattuale in corso, conserva il trattamento

giuridico ed economico in godimento; che il predetto regolamento disciplina, altresì, le modalità di stabilizzazione, attraverso prove selettive, dei rapporti di lavoro esistenti anche a titolo precario, purché costituite mediante procedure selettive di natura concorsuale;
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 gennaio 2007 sono stati nominati i commissari straordinari dell'Agenzia nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica con il preciso compito di gestire la fase di transizione che avrebbe dovuto concludersi entro giugno 2007 con la redazione e successiva approvazione del regolamento dell'Agenzia;
per tutta una serie di vicissitudini, il regolamento che avrebbe dovuto dare vita all'Agenzia non è mai stato approvato dagli organi competenti -:
quali iniziative intenda intraprendere il Ministro per garantire che i ricercatori degli istituti regionali di ricerca educativa (IRRE) possano riprendere l'attività di formazione e di ricerca a supporto delle istituzioni scolastiche.
(4-00536)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
al fine di razionalizzare il procedimento per la formazione delle classi scolastiche, il nostro ordinamento prevede l'assegnazione di un numero minimo di studenti frequentanti ogni classe, ponendo a fondamento del sistema scolastico una struttura organizzativa che si vorrebbe fondata anche sui principi di efficienza, efficacia ed economicità;
esistono casi in cui questi principi vengono derogati, come nel caso dell'insegnamento della religione cattolica, a causa di una eccezione fondata sui meri fatti, poiché al docente di religione si consente di impartire la propria opera educativa ad un numero indefinito di studenti. Ciò è possibile, ovviamente, solo per l'individuazione del numero minimo, dipendente dal numero di studenti effettivamente optanti per la frequenza di tale materia poiché il numero massimo è coincidente con quello degli alunni frequentanti la classe stessa. Da ciò deriva una conseguenza logica: il docente di religione può impegnare la sua ora di insegnamento anche per il beneficio di un unico studente;
il numero minimo di alunni necessario per formare una classe, in riferimento alle scuole di ogni ordine e grado, è indicato principalmente nel decreto ministeriale n. 331 del 24 luglio 1998, di cui si riportano le disposizioni in dettaglio: scuola materna: 15 alunni (articolo 14), scuola elementare (ora denominata scuola primaria) 10 alunni, per le pluriclassi è prevista una deroga che porta il numero minimo a 6 alunni (articolo 15); Scuola media (ora denominata istruzione secondaria di primo grado): 15 alunni (articolo 16) Possono eventualmente essere costituite classi uniche, per ciascun anno di corso, con un numero di alunni inferiore ai valori minimi, ma non inferiore a 10, nelle scuole e nelle sezioni staccate funzionanti nei comuni montani, nelle piccole isole, in zone a rischio di devianza minorile, nelle aree geografiche abitate da minoranze linguistiche, nonché in relazione alla presenza di alunni con particolari difficoltà di apprendimento e di scolarizzazione (articolo 16, comma 3); Scuola superiore (ora denominata istruzione secondaria di secondo grado): 25 alunni. Le prime classi degli istituti e scuole d'istruzione secondaria di secondo grado sono costituite, di regola, con non meno di 25 allievi (articolo 18); le prime classi di sezioni staccate, scuole coordinate, sezioni di diverso indirizzo o di specializzazione funzionanti con un solo corso devono essere costituite con un numero di alunni di norma non inferiore a 20 (articolo 18 comma 4). Sono previste alcune deroghe giustificate dall'esistenza di elementi obiettivi di valutazione che rendono necessaria la costituzione di classi iniziali con meno di 25 alunni (a causa delle limitate dimensioni

di aule e laboratori, per la necessità di utilizzazione di strumenti tecnici particolarmente voluminosi o di macchine e materiali pericolosi per l'incolumità fisica e la salute degli studenti) ed in questo caso si devono esprimere le motivazioni del provvedimento di autorizzazione al funzionamento delle singole classi, che non potranno, di regola, essere costituite con meno di 20 alunni (articolo 18, comma 5); le classi intermedie sono costituite in numero pari a quello delle corrispondenti classi inferiori funzionanti nell'anno scolastico corrente, purché siano formate con un numero medio di alunni non inferiore a 20 (articolo 19 comma 1);
al fine di assicurare la massima possibile coincidenza tra le classi previste ai fini della determinazione dell'organico di diritto e quelle effettivamente costituite all'inizio di ciascun anno scolastico, è consentito derogare, in misura non superiore al 10 per cento, al numero massimo e minimo di alunni per classe previsto, di regola, per ciascun grado di scuola, dai successivi articoli (articolo 9);
quanto al numero massimo esso, di norma, è costituito da 25 alunni, derogabili fino a 28. In casi particolari, tale limite può raggiungere i 30 alunni;
l'articolo 6 del decreto interministeriale 21 marzo 2005 (relativo alle dotazioni organiche dei docenti per l'anno scolastico 2004-2005) ha poi disposto che le prime classi nelle sezioni staccate, scuole coordinate, sezioni di indirizzo diverso, anche sperimentali, delle scuole di istruzione secondaria di secondo grado siano costituite con un numero di alunni non inferiore a 20, da elevare a 27 in caso di classi iniziali articolate in gruppi di diversi indirizzi (di almeno 12 alunni ciascuno);
è stato inoltre previsto l'accorpamento delle classi intermedie e finali qualora se ne preveda il funzionamento con un numero ridotto;
l'articolo 1, comma 605, lettera a), della legge finanziaria 2007 ha prescritto la revisione dei parametri per la formazione delle classi e l'innalzamento del valore medio del rapporto alunni/classe dello 0,4 (da 20,6 a 21 alunni per classe) dall'anno scolastico 2007/2008 (tale adempimento è affidato ad un decreto del Ministro della pubblica istruzione di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze);
con la circolare n. 19 del 1o febbraio 2008 il ministro della pubblica istruzione ha trasmesso agli uffici scolastici regionali lo schema di decreto interministeriale concernente gli organici dei docenti per l'anno scolastico 2008-2009, inoltrato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.»;
per quanto riguarda le norme concernenti l'insegnamento della religione cattolica, si riportano cronologicamente ed in dettaglio quelle di riferimento: legge n. 449 dell'11 agosto 1984, articolo 9, «La Repubblica italiana, nell'assicurare l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, materne, elementari, medie e secondarie superiori, riconosce agli alunni di dette scuole, al fine di garantire la libertà di coscienza di tutti, il diritto di non avvalersi delle pratiche e dell'insegnamento religioso per loro dichiarazione, se maggiorenni, o altrimenti per dichiarazione di uno dei loro genitori o tutori. Per dare reale efficacia all'attuazione di tale diritto, l'ordinamento scolastico provvede a che l'insegnamento religioso e ogni eventuale pratica religiosa, nelle classi in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non avvalersene, non abbiano luogo in occasione dell'insegnamento di altre materie, e secondo orari che abbiano per i detti alunni effetti comunque discriminanti,»;
decreto del Presidente della Repubblica n. 751 del 16 dicembre 1985, articolo 2.1. a) «il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica assicurato dallo Stato non deve determinare alcuna forma di discriminazione, neppure in relazione ai criteri per la formazione delle classi, alla

durata dell'orario scolastico giornaliero e alla collocazione di detto insegnamento nel quadro orario delle lezioni;
b) la scelta operata su richiesta dell'autorità scolastica all'atto dell'iscrizione ha effetto per l'intero anno scolastico cui si riferisce e per i successivi anni di corso nei casi in cui è prevista l'iscrizione d'ufficio, fermo restando, anche nelle modalità di applicazione, il diritto di scegliere ogni anno se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica»;
circolare ministeriale n. 368 del 20 dicembre 1985, articolo 1. «Ciascuna scuola di ogni ordine e grado (...) dovrà informare, in tempo utile per l'iscrizione, i genitori dei propri alunni o chi esercita la patria potestà o gli alunni stessi se maggiorenni per aver già compiuto il 18o anno di età, circa le norme che sono a base delle procedure previste per l'esercizio di tale diritto. A tal fine, onde assicurare univoci criteri, le scuole faranno pervenire alle famiglie, tramite gli stessi alunni, o direttamente agli alunni se maggiorenni, l'allegato modulo nonché copia della presente circolare. L'allegato modulo, da riproporre, per gli anni successivi non conterrà la parte relativa alla prima applicazione. Il modulo dovrà essere compilato e restituito alla segreteria della scuola all'atto dell'iscrizione. La scelta operata su richiesta dell'autorità scolastica all'atto dell'iscrizione ha effetto per l'intero anno scolastico cui riferisce e per i successivi anni di corso nei casi in cui è prevista l'iscrizione di ufficio, fermo restando, anche per le diverse modalità di applicazione, il diritto di scegliere ogni anno se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. Pertanto, il capo dell'istituto, nell'approssimarsi dei termini di scadenza stabiliti, è tenuto a far pervenire agli aventi diritto il modulo prescritto perché possano esercitare il diritto di scelta di avvalersi o non avvalersi,». Articolo 2, «La scelta in ordine all'insegnamento della religione cattolica non deve in alcun modo interferire o condizionare, o costituire comunque criterio per la composizione delle classi. Il rispetto del pluralismo, oltre a essere un valore peculiare della nostra Costituzione, deve costituire un principio educativo fondamentale del nostro sistema scolastico. La scelta di avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica non deve quindi dar luogo a nessuna forma diretta o indiretta di discriminazione (...) Il rispetto dell'anzidetto principio implica che la scuola, e per essa il capo di istituto e il collegio dei docenti ai quali compete la responsabilità complessiva della programmazione educativa e didattica ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1974, n. 416, assicura agli alunni che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica ogni opportuna attività culturale e di studio, con l'assistenza degli insegnanti, escluse le attività curriculari comuni a tutti gli allievi.»;
circolare ministeriale n. 131 del 3 maggio 1986, «Al fine di assicurare agli studenti, ai loro genitori o a chi esercita la potestà la completa conoscenza della nuova disciplina in materia di insegnamento della religione cattolica e delle attività culturali e di studio assicurate dalla scuola per gli studenti che non si avvalgono di detto insegnamento, si dispone quanto segue:
entro il 10 giugno 2008 devono essere consegnate agli studenti:
Allegato A, quale modulo per l'esercizio del diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica da allegare alla domanda di iscrizione;
Allegato 13, quale scheda informativa relativa alle attività culturali e di studio per gli studenti che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica;
le attività di cui all'allegato B) sono programmate dal Collegio dei docenti tenuto conto delle proposte degli studenti, entro il primo mese dall'inizio delle lezioni, conformemente a quanto esplicitato nello stesso allegato. Dette attività sono

svolte dai docenti, nell'ambito dell'orario di servizio, con esclusione delle venti ore. Le ore eventualmente eccedenti sono da remunerarsi secondo le norme contenute nell'articolo 88 - quarto comma - del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 417, fermo restando il carattere non obbligatorio dell'utilizzazione dei docenti oltre il normale orario di servizio. La partecipazione alle attività culturali e di studio programmate non è obbligatoria e agli studenti che non se ne avvalgono è comunque assicurata dalla scuola ogni opportuna disponibilità per attività di studio individuale;
Allegato B. Agli studenti delle scuole secondarie superiori che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica la scuola assicura attività culturali e di studio programmate dal Collegio dei docenti, tenuto conto delle proposte degli studenti stessi. Al fine di rendere possibile l'acquisizione di tali proposte, il Collegio dei docenti programma lo svolgimento di tali attività entro il primo mese dall'inizio delle lezioni. Fermo restando il carattere di libera programmazione, queste attività culturali e di studio devono concorrere al processo formativo della personalità degli studenti. Esse saranno particolarmente rivolte all'approfondimento di quelle parti dei programmi, in particolare di storia, di filosofia, di educazione civica, che hanno più stretta attinenza con i documenti del pensiero e dell'esperienza umana relativi ai valori fondamentali della vita e della convivenza civile.»;
circolare ministeriale n. 211 del 24 luglio 1986, «Tra i problemi che le SS.LL. hanno qui evidenziato si ritengono meritevoli di prioritaria considerazione quelli le cui soluzioni consentano di assicurare il rispetto delle scelte operate dalle famiglie e dagli studenti e nel contempo siano idonee a garantire il diritto di tutti gli allievi a fruire, con riferimento ai singoli ordini e gradi di istruzione frequentati, di un uguale tempo scuola. Allo scopo di realizzare tale effettiva parità di posizioni si sottolinea la necessità che i collegi dei docenti, tenuto conto delle proprie competenze in ordine alla programmazione delle attività previste per gli alunni che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica o delle attività educative di religione cattolica (per la scuola materna) acquisiscano - secondo le modalità già previste dalle precedenti circolari n. 128-129-130 e 131 del 3 maggio 1986 e dalla circolare n. 211 del 24 luglio 1986 - concrete proposte, nell'ambito dell'azione programmatoria in parola, anche da parte di coloro che comunque non abbiano dichiarato di avvalersi nel menzionato insegnamento o delle predette attività educative di religione cattolica. Al riguardo, è appena il caso di precisare come la programmazione delle attività per gli alunni che comunque non abbiano dichiarato di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, costituendo momento integrante della più generale funzione di programmazione dell'azione educativa attribuita alla competenza dei collegi dei docenti dall'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 416 del 1974, venga a configurarsi con i caratteri di prestazione di un servizio obbligatorio posto a carico dei collegi dei docenti medesimi. Di conseguenza, qualora tale puntuale adempimento non sia stato ancora compiuto dal collegio dei docenti, sarà cura dei capi d'istituto intervenire perché subito l'organo collegiale predetto vi provveda, onde rendere possibile l'immediato avvio delle attività in parola. Relativamente alla scuola elementare e media, le attività formative da offrire agli alunni che comunque non abbiano dichiarato di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica rientrano, come esplicitate in precedenti circolari, tra quelle integrative da realizzarsi nel quadro di quanto previsto dagli articoli 2 e 7 della legge 4 agosto 1977 n. 517.»;
legge n. 281 del 18 giugno 1986, articolo 1. 1. «Gli studenti della scuola secondaria superiore esercitano personalmente all'atto dell'iscrizione, a richiesta dell'autorità scolastica, il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. 2. Viene altresì esercitato personalmente

dallo studente il diritto di scelta in materia di insegnamento religioso in relazione a quanto previsto da eventuali intese con altre confessioni. 3. Le scelte in ordine a insegnamenti opzionali e a ogni altra attività culturale e formativa sono effettuate personalmente dallo studente. 4. I moduli relativi alle scelte di cui ai precedenti commi devono essere allegati alla domanda di iscrizione. 5. La domanda di iscrizione a tutte le classi della scuola secondaria superiore di studenti minori di età - contenente la specifica elencazione dei documenti allegati di cui ai commi 1, 2 e 3 - è sottoscritta per ogni anno scolastico da uno dei genitori o da chi esercita la potestà, nell'adempimento della responsabilità educativa di cui all'articolo 147 del codice civile;
circolare ministeriale n. 9 del 18 gennaio 1991, «La Corte ha chiarito che per quanti decidono di non avvalersi dell'insegnamento di religione cattolica, lo schema logico non è quello dell'obbligazione alternativa: per i predetti si determina "uno stato di non-obbligo". Ha, quindi, ritenuto che i moduli organizzativi predisposti dall'amministrazione scolastica per corrispondere al non obbligo, consistenti in:
a) attività didattiche e formative;
b) attività di studio e/o ricerca individuale con assistenza di personale docente;
c) «nessuna attività» intesa come libera attività di studio e/o ricerca senza assistenza di personale docente, non siano per il momento esaustivi residuando il problema se lo "stato di non-obbligo" possa avere tra i suoi contenuti anche quello di non presentarsi o allontanarsi dalla scuola. (...) Ne consegue, come sottolinea la Corte, che "alla stregua dell'attuale organizzazione scolastica è innegabile che lo stato di non-obbligo può comprendere, tra le altre possibili, anche la scelta di allontanarsi o di assentarsi dall'edificio della scuola".»;
decreto legislativo n. 297 del 16 aprile 1994, articolo 310 (Diritto degli studenti delle scuole di ogni ordine e grado di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica). «1. Ai sensi dell'articolo 9 dell'accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, ratificato con la legge 25 marzo 1985, n. 121, nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno, nelle scuole di ogni ordine e grado, il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. 2. All'atto dell'iscrizione gli studenti o i loro genitori esercitano tale diritto, su richiesta dell'autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione. 3. Il diritto di avvalersi o di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola materna, elementare e media è esercitato, per ogni anno scolastico, all'atto dell'iscrizione, dai genitori o da chi esercita la potestà nell'adempimento della responsabilità educativa di cui all'articolo 147 del codice civile. 4. Gli studenti della scuola secondaria superiore esercitano personalmente all'atto dell'iscrizione, per ogni anno scolastico, a richiesta dell'autorità scolastica, il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica;
non essendo previste esplicite deroghe desumibili dalle norme su riportate nella pratica attuazione delle norme è invalsa la consuetudine di considerare non tanto il numero effettivo degli studenti che in ogni classe frequentano l'ora di religione, bensì il numero potenziale, coincidente con il numero complessivo degli studenti componenti la classe;
per questa via si aggirano le disposizioni aventi ad oggetto il numero minimo di alunni necessario per formare una classe, potendo verificarsi il caso limite di un insegnante impiegato per fare lezione a pochissimi studenti o, addirittura, ad uno solo;
il mancato accorpamento di studenti, misura necessaria per consentire la frequenza della lezione ad un numero congruo

di essi, produce delle disuguaglianze di trattamento (oltre a quelle esplicitamente previste dal nostro ordinamento per l'immissione in ruolo dei docenti di religione, effettuata dal vescovo non per concorso bensì intuitu personae, e per le diverse e migliori retribuzioni previste in loro favore rispetto a quelle percepite, a parità di ore lavorative, dai colleghi insegnanti altre materie), tra i docenti di religione e tutti gli altri. Ciò è possibile poiché, per ottenere la retribuzione completa sulla base del CCNL prevista per il comparto, il docente deve effettuare almeno 18 ore settimanali effettive di docenza, non oltrepassando il numero massimo di 24, così come previsto dall'articolo 22 comma 4 della legge n. 448 del 2001. Nel caso in cui non si raggiunga tale monte ore, quello che viene definito il cosiddetto completamento cattedra, egli sarà retribuito sulla base delle ore di insegnamento effettivo, dividendo per diciotto la retribuzione settimanale, moltiplicando poi il risultato per le ore di effettivo insegnamento;
poiché l'insegnante di religione può tenere la lezione anche ad un solo studente, risulta evidente che egli potrà raggiungere con maggiore facilità il cosiddetto completamento cattedra, risultando professionalmente ed economicamente avvantaggiato rispetto ai colleghi che devono insegnare ad un numero maggiore di alunni o, nel caso non raggiungano le 18 ore settimanali di insegnamento, percependo una retribuzione inferiore -:
se sia a conoscenza dei fatti, nell'eventualità positiva, se essi corrispondano a verità e se, ed eventualmente quali provvedimenti normativi secondari intenda assumere al fine di interrompere la sperequazione ed il privilegio professionale ed economico a vantaggio docenti di religione.
(4-00537)

SAGLIA e BECCALOSSI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per lo sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'agenzia di stampa Ansa nella giornata del 30 giugno, a proposito dell'inceneritore di Brescia, riporta le seguenti dichiarazioni di Ennio Italico Noviello, primo ricercatore del Cnr di Roma: «L'ho saputo proprio stamattina. La proposta era di cederlo per 25 milioni di euro, cioè meno di quanto serve per completare quello di Acerra», «quell'impianto sta inquinando l'intera Lombardia. A Brescia non c'è un solo allevamento di bovini che sia senza diossina», «quell'impianto ha vinto un premio, certo. Ma nel comitato scientifico di chi gli ha dato il premio c'è una delle aziende che ha fatto l'impianto. Brescia è il punto più inquinato del mondo, basta guardare il satellite», «è incredibile che qualcuno proponga quell'inceneritore come modello»;
a parere degli interroganti si tratta di affermazioni abnormi e molto gravi, non supportate da riscontri scientifici e irresponsabili vista la delicatezza del momento e la conseguente possibilità di ingenerare immotivati allarmismi -:
di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda segnalata in premessa e se non intenda promuovere iniziative, ivi comprese specifiche e approfondite ricerche da parte del CNR, che consentano di chiarire anche presso l'opinione pubblica il reale quadro della situazione.
(4-00549)

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LAVORO, SALUTE E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

PICIERNO. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il settore della produzione discografica non è caratterizzato esclusivamente dalla presenza di grandi etichette multinazionali, supportate da produttori pronti ad investire ingenti risorse per promuovere e distribuire un disco, ma nella gran

parte dei casi è una realtà con piccole imprese indipendenti che affrontano gli oneri del proprio lavoro pagando di tasca propria, senza alcuna sovvenzione e con poche certezze di un rientro economico;
ai sensi del decreto ministeriale 29 dicembre 2003, pubblicato in Gazzetta ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2004, applicato dalla circolare emessa dall'Enpals, n. 5 del 19 febbraio 2008, si è stabilito che i lavoratori appartenenti alla categoria dei cantanti in sala d'incisione hanno l'obbligo di versare i contributi all'Enpals in relazione al numero dei supporti fonografici venduti;
il suddetto decreto determina una prima fascia contributiva, corrispondente ad una soglia di vendite che va da zero a trentamila copie. Tale soglia sembra non considerare che la vendita di 30 mila copie garantisce ad un cantante la top ten e che nessun cantante indipendente ha la fortuna di trovarsi nelle classifiche, ma, secondo la richiamata tabella Enpals, vendere da 0 a 30 mila obbliga a versare la stessa quota contributiva;
qualora le case discografiche indipendenti dovessero adempiere ai pagamenti delle quote contributive nella misura prevista dal citato decreto, la conseguenza immediata sarebbe il collasso di un intero comparto, con inevitabili e certamente non auspicabili conseguenze occupazionali;
da sempre, i contratti discografici si basano su pagamenti effettuati tramite royalties, riconosciute all'artista dalla casa discografica -:
quali iniziative si intenda assumere al fine di vedere le suddette determinazioni in materia di obblighi contributivi delle case discografiche, tenendo nella dovuta considerazione le reali condizioni che caratterizzano i diversi soggetti operanti nel settore, nonché per chiarire le ragioni per le quali la regola dei pagamenti effettuata tramite royalties debba essere cambiata improvvisamente.
(5-00181)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:

DIMA. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
nel pagamento degli indennizzi relativi al fermo pesca 2007 ed all'emergenza mucillagine si sarebbero verificati ritardi amministrativi e disomogeneità nell'erogazione, sul territorio interessato, dei fondi;
alle Direzioni marittime interessate da tale provvedimento, fin dal mese di novembre 2007, sarebbero stati accreditati i fondi necessari per il pagamento delle misure agli aventi diritto, così come previsto dai relativi decreti;
gli appartenenti ai Compartimenti marittimi calabresi non avrebbero ancora percepito il relativo indennizzo sia per il fermo pesca 2007 che per l'emergenza mucillagine, a differenza di altre realtà territoriali come quella pugliese, abruzzese e molisana in cui gli aventi diritto avrebbero già percepito i relativi indennizzi;
alla Direzione marittima calabrese non sarebbero Stati ancora accreditati dal Ministero competente i fondi necessari per sostenere tali misure -:
quali iniziative intenda intraprendere il Ministro per risolvere un problema particolarmente sentito dalle marinerie calabresi e su cui si registrano ritardi evidenti.
(4-00534)

MIGLIORI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
è secondo l'interrogante incostituzionale, perché in moltissimi casi privo di alcun tipo di corrispettivo, il contributo preteso dai Consorzi di Bonifica, le cui funzioni sono tra l'altro ormai attribuite alle Province, ex legge 142 del 1990;

l'articolo 21 del regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, attualmente in vigore, qualifica tale contributo come immediatamente esigibile;
tale privilegio continua a garantire ai Consorzi di Bonifica una assurda imposizione nei confronti di cittadini che in moltissimi casi non traggono alcun beneficio da tali Consorzi -:
se non si reputi opportuna ed urgente l'abrogazione dell'articolo 21 del regio decreto n. 215 del 1933.
(4-00545)

TESTO AGGIORNATO ALL'11 NOVEMBRE 2008

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:

PILI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per le politiche europee. - Per sapere - premesso che:
consta all'interrogante che la società tessile Legler, che era stata beneficiaria di fondi di sostegno erogato dalla Regione Sardegna, sia avviata alla chiusura;
contestualmente l'Unione europea ha aperto una procedura di infrazione per l'illegittima erogazione di 40 milioni di euro di fondi;
la chiusura della Legler rappresenta l'ennesimo fallimento della politica industriale del Governo e della giunta regionale sarda;
la decisione della Commissione Unione europea di avviare una procedura di infrazione riguardo una serie di aiuti per un totale di 40,7 milioni di euro è il completamento di una operazione fallimentare che ha comportato in queste ore la chiusura dell'azienda;
le soluzioni proposte sono fallimentari sotto ogni punto di vista;
la conversione in capitale del debito del gruppo dell'importo di 14,5 milioni nei confronti dell'Ente pubblico Società Finanziaria Industriale Rinascita Sardegna è solo l'esempio del fallimento delle politiche industriali;
l'avvio della procedura d'infrazione e la reiterata crisi della Legler pongono l'esigenza di una seria politica industriale per il comparto tessile -:
se i Ministri delle attività produttive e delle politiche comunitarie intendano intervenire sulla vicenda;
se ravvisino nel comportamento dei soggetti che hanno predisposto ed esaminato il piano industriale per conto dello Stato e della Regione elementi di difformità rispetto alle disposizioni applicabili al caso di specie;
se il Governo fosse a conoscenza dell'intervento finanziario della società finanziaria della Regione e se abbia avvallato in qualche intesa con la Regione tale intervento;
se intenda promuovere e in quali termini un'azione tesa ad affrontare compiutamente la crisi del comparto tessile;
se abbia intenzione di promuovere un intervento definito a tutela dei lavoratori della società Legler e con quali misure intenda dare compiute risposte sul piano sociale.
(4-00531)

FRONER e MARCO CARRA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
i certificati verdi sono la nuova struttura di incentivazione delle fonti rinnovabili dopo la liberalizzazione del settore dell'energia disciplinata dal decreto legislativo 79/99 (cosiddetto decreto Bersani);
il sistema dei certificati verdi ha subìto una serie di novità introdotte dal collegato alla finanziaria per l'anno 2008 (decreto-legge 159/07, convertito nella legge n. 222/07) e dalla stessa legge finanziaria (legge 244/07);
nella citata legge n. 222 del 2007 è stata introdotta una nuova disciplina di incentivazione alla produzione di energia

elettrica con l'utilizzo di fonti rinnovabili, mentre nella legge n. 244 del 2007 (articolo 2, commi 143-150) sono previsti: il rilascio dei certificati verdi, l'incremento della quota minima di energia elettrica prodotta da impianti da fonti rinnovabili che deve essere immessa nel sistema elettrico nazionale, la determinazione del valore dei certificati verdi ed il loro prezzo di mercato. Si prevede infine che a partire dal 2008 e fino al raggiungimento dell'obiettivo minimo della copertura del 25 per cento del consumo interno di energia elettrica con fonti rinnovabili, il GSE, su richiesta del produttore, ritiri i certificati verdi, in scadenza nell'anno, ulteriori rispetto a quelli necessari per assolvere all'obbligo della quota minima dell'anno precedente, a un prezzo pari al prezzo medio riconosciuto ai certificati verdi registrato nell'anno precedente dal Gestore del mercato elettrico e trasmesso al GSE entro il 31 gennaio di ogni anno;
per stabilire le direttive per l'attuazione della suesposta normativa, la stessa finanziaria 2008 prevede l'adozione di decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare -:
stante l'attesa anche di molti Comuni produttori, quando ritenga di emanare i decreti di attuazione delle disposizioni di cui ai commi 143-149 dell'articolo 2 della legge n. 244 del 2007.
(4-00540)

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Pubblicazione di un testo riformulato.

Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Bellanova n. 4-00513, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 27 del 2 luglio 2008.

BELLANOVA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
dalla delibera della giunta comunale di Lecce n. 996 del 28 dicembre 1999 si evince che l'amministrazione comunale su richiesta della Commissione di manutenzione del palazzo di giustizia prende in locazione dalla società SOCOGE un immobile di via Brenta dove vengono trasferite alcune sedi giudiziarie civili;
in data 19 febbraio 2004 la Commissione di manutenzione del palazzo di giustizia delibera all'unanimità di richiedere al comune di Lecce l'acquisizione di un ulteriore palazzo sempre sito in via Brenta in corso di costruzione dalla ditta SOCOGE, nella prospettiva di trasferirvi tutte le attività civili;
in data 14 aprile 2004, come si evince dalla delibera n. 335, la giunta comunale di Lecce decide di stabilire contatti con la ditta SOCOGE per la locazione immobiliare, riservandosi di acquisire l'immobile in locazione finanziaria finalizzata all'acquisto, subordinatamente alla disponibilità da parte del Ministero della giustizia, di un integrale rimborso in sede di rendicontazione annuale di tutti gli oneri che l'amministrazione comunale di Lecce andrà ad affrontare sia in caso di locazione dell'immobile che nel caso si dovesse procedere alla locazione finanziaria finalizzata all'acquisto;
a partire dal 25 febbraio 2005 il comune di Lecce prende in consegna il secondo immobile, pattuendo un canone di locazione immobiliare di 630.000 euro annui, dal 2006 elevato a 890.000 euro annui. In realtà l'immobile non viene consegnato per l'utilizzo, in quanto ancora non ultimato, carente di lavori di cablaggio e illuminazione degli ambienti e, a tutt'oggi, il palazzo risulta inutilizzato, pur avendo maturato canoni pari a circa 2.200.000 euro;
il comune di Lecce, a partire dal 2005, per effetto di due contratti di locazione immobiliare, versa quindi annualmente alla ditta SOCOGE un canone per un immobile utilizzato e un canone, sopra evidenziato, per un immobile non ancora utilizzato;

il 4 agosto 2006 la ditta Socoge comunica all'amministrazione comunale di Lecce la volontà di cedere in leasing gli immobili di via Brenta di cui è proprietario;
il Dirigente dei servizi finanziari del comune di Lecce, con proprio provvedimento, stabilisce che il comune di Lecce subentra alla ditta Socoge, in qualità di utilizzatore, nel contratto di sale and lease back che la stessa ha sottoscritto il 27 ottobre 2005 con la società di leasing Selmabipiemme, alla quale ha venduto gli immobili di via Brenta per complessivi 42 milioni di euro pur conservando la disponibilità dei beni;
con la sottoscrizione del contratto di leasing l'amministrazione comunale di Lecce si trova a pagare un canone finanziario alla società Selmabipiemme per la somma complessiva annua di 3.110.119 euro, senza aver acquisito conferma da parte del Ministero di giustizia della rimborsabilità dei canoni con l'aggravante di occupare e pagare da tre anni e mezzo circa un immobile ancora vuoto;
il 4 aprile 2007 con una nota il Direttore generale del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria sancisce «quanto più volte evidenziato per le vie brevi» al comune di Lecce. Il Ministero non procederà al rimborso integrale dei canoni di locazione finanziaria, ma rimborserà al comune di Lecce esclusivamente l'importo relativo alla locazione immobiliare. In questo modo il comune di Lecce si accolla, senza evidente motivo di interesse pubblico, un maggiore onere pari a circa 1.500.000 annui, per un totale di circa 30 milioni di euro nei 20 anni interamente a carico del comune di Lecce al fine di soddisfare gli impegni previsti dal contratto di lease and back, in questo modo mettendo a concreto rischio la stabilità finanziaria dell'ente -:
quali effetti si siano prodotti, per l'amministrazione giudiziaria, in termini di disfunzione organizzativa e logistica a seguito dei ritardi registratisi nella messa a disposizione di una adeguata sede nella città Lecce.(4-00513)

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ERRATA CORRIGE

Interrogazione a risposta scritta Costa n. 4-00485 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 24 del 26 giugno 2008.
Alla pagina 751, seconda colonna, dalla riga trentunesima alla riga trentatreesima deve leggersi: «COSTA - Ministro dello sviluppo economico - Per sapere - premesso che:» e non «COSTA - Ministro delle infrastrutture e dei trasporti - Per sapere - premesso che:», come stampato.