TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 466 di Martedì 19 aprile 2011

INTERPELLANZA ED INTERROGAZIONI

A) Interpellanza ed interrogazione

I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri dell'istruzione, dell'università e della ricerca e degli affari esteri, per sapere - premesso che:
il decreto legislativo n. 297 del 1994 - testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione - all'articolo 200, comma 10, specifica che l'esonero dal pagamento delle tasse scolastiche si applica agli studenti stranieri «a condizioni di reciprocità»;
gli studenti stranieri, in virtù della suddetta norma, rientrano nelle categorie speciali, di cui fanno parte i «ciechi civili figli di cittadini italiani residenti all'estero, orfani di guerra o di caduti per causa di servizio o lavoro, figli di mutilati o invalidi per servizio o lavoro»;
il decreto del Presidente della Repubblica, e successive modificazioni, «Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286», all'articolo 1, comma 1, recita che «ai fini dell'accertamento della condizione di reciprocità, nei casi previsti dal testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione (...) il Ministero degli affari esteri, a richiesta, comunica ai notai ed ai responsabili dei procedimenti amministrativi che ammettono gli stranieri al godimento dei diritti in materia civile i dati relativi alle verifiche del godimento dei diritti in questione da parte dei cittadini italiani nei Paesi d'origine dei suddetti stranieri»;
al comma 2 del medesimo articolo si esclude il suddetto «accertamento» solo «per i cittadini stranieri titolari della carta di soggiorno di cui all'articolo 9 del testo unico, nonché per i cittadini stranieri titolari di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, per l'esercizio di un'impresa individuale, per motivi di famiglia, per motivi umanitari e per motivi di studio, e per i relativi familiari in regola con il soggiorno»;
dal dettato dell'articolo 1, comma 2, si evince che la condizione di reciprocità, prevista al comma 1, viene accertata in casi eccezionali;
l'iscrizione dei minori stranieri nelle scuole italiane di ogni ordine e grado avviene nei modi e alle condizioni previsti per i cittadini italiani, ai sensi dell'articolo 45, del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999; pertanto, l'esonero dalle tasse scolastiche risulta previsto a favore di tutti gli studenti soggetti all'obbligo scolastico frequentanti scuole statali, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta, fino al terzo anno della scuola secondaria di secondo grado;
il pagamento delle tasse erariali per gli anni di corso successivi al terzo è richiesto solo agli studenti appartenenti a famiglie il cui reddito eccede i limiti previsti dall'articolo 28, comma 4, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, e rivalutati, a decorrere dall'anno 1988, in ragione del tasso di inflazione annuo programmato. I limiti di reddito per l'esonero dalle tasse scolastiche sono resi noti annualmente con apposita circolare del Ministero competente;
da numerose segnalazioni e circolari interne risulta all'interpellante che alcuni istituti superiori, interpretando in maniera errata il decreto legislativo n. 297 del 1994, esonererebbero gli studenti stranieri dal pagamento delle tasse scolastiche non in condizioni di reciprocità ma per il solo fatto di essere stranieri, discriminando così i pari studenti italiani -:
quali iniziative si intendano intraprendere per verificare con quali cadenze temporali il servizio del contenzioso diplomatico e dei trattati del Ministero degli affari esteri ottemperi agli obblighi previsti dall'articolo 1, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 349 del 1999 e se esista una lista aggiornata dei Paesi con i quali sono stati siglati accordi di reciprocità;
se non ritengano, infine, opportuno verificare, attraverso i competenti uffici territoriali che le scuole di ogni ordine e grado si attengano scrupolosamente al dettato dell'articolo 200, comma 10, del decreto legislativo n. 297 del 1994, onde evitare che l'esonero dal pagamento delle tasse favorisca indistintamente tutti gli studenti stranieri, che non rientrano nella fattispecie indicata dal predetto articolo di legge.
(2-01000)«Cavallotto».
(10 marzo 2011)

CAVALLOTTO e GRIMOLDI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in occasione del rinnovo delle tasse scolastiche per l'anno scolastico 2011-2012 il dirigente scolastico dell'istituto d'istruzione secondaria superiore «Piera Cillario Ferrerio» di Alba (provincia di Cuneo), con circolare del 13 febbraio 2011, n. 62, avrebbe esonerato dal pagamento della tassa ministeriale le seguenti categorie di alunni:
a) tutti gli alunni che si iscrivono alla classe 2a e 3a;
b) alunni che presumono di avere diritto all'esonero per limiti di reddito;
c) alunni che presumono di avere diritto per merito (8/10 media dei voti ottenuti allo scrutino finale);
d) alunni con cittadinanza straniera;
la disposizione prevista alla lettera d) è di dubbia interpretazione, in quanto fa presagire l'esistenza di una «categoria speciale», in base alla quale l'esonero dal pagamento delle tasse scolastiche si estende a tutti gli studenti stranieri, prescindendo dai criteri di merito e/o di reddito familiare;
agli interroganti risulta quanto segue:
a) l'iscrizione scolastica dei minori stranieri nelle scuole italiane di ogni ordine e grado avviene, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 349 del 1999, articolo 45, «nei modi e alle condizioni previsti per i minori italiani»;
b) l'esonero dalle tasse scolastiche è quindi previsto a favore di tutti gli studenti soggetti all'obbligo scolastico frequentanti scuole statali, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta, fino al terzo anno della scuola secondaria di secondo grado;
c) il pagamento delle tasse erariali per gli anni di corso successivi al terzo è richiesto solo agli studenti italiani e stranieri appartenenti a famiglie il cui reddito eccede i limiti previsti dall'articolo 28, comma 4, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, e rivalutati, a decorrere dall'anno 1988, in ragione del tasso di inflazione annuo programmato. I predetti limiti di reddito per l'esonero dalle tasse scolastiche sono resi noti annualmente con apposita circolare;
d) il decreto legislativo n. 297 del 1994, all'articolo 200, comma 10 (recante «Tasse scolastiche e casi di dispensa»), prevede, tra l'altro, che «per gli studenti stranieri la dispensa dal pagamento delle tasse è concessa a condizioni di reciprocità»;
gli studenti stranieri, in virtù del suddetto disposto dell'articolo 200, comma 10, rientrano nelle «categorie speciali», di cui fanno parte «i ciechi civili, i figli di cittadini italiani residenti all'estero orfani di guerra o di caduti per causa di servizio o lavoro, figli di mutilati o invalidi per servizio o lavoro»;
il decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999, e successive modificazioni, «Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286», all'articolo 1, comma 1, recita che «ai fini dell'accertamento della condizione di reciprocità, nei casi previsti dal testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione (...) il Ministero degli affari esteri, a richiesta, comunica ai notai ed ai responsabili dei procedimenti amministrativi che ammettono gli stranieri al godimento dei diritti in materia civile i dati relativi alle verifiche del godimento dei diritti in questione da parte dei cittadini italiani nei Paesi d'origine dei suddetti stranieri»;
il comma 2 del medesimo articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999 non richiede, invece, «l'accertamento» in questione per «i cittadini stranieri titolari della carta di soggiorno di cui all'articolo 9 del testo unico, nonché per i cittadini stranieri titolari di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, per l'esercizio di un'impresa individuale, per motivi di famiglia, per motivi umanitari e per motivi di studio, e per i relativi familiari in regola con il soggiorno» -:
se non ritenga opportuno verificare, attraverso i competenti uffici, che l'istituzione scolastica di cui in premessa applichi il principio di non discriminazione relativamente all'applicazione dei criteri che esonerano gli studenti italiani e stranieri dal pagamento delle tasse scolastiche;
se, limitatamente alla frequenza delle classi di corso successive alla terza, l'istituzione scolastica in questione abbia dispensato gli studenti stranieri dal pagamento delle tasse scolastiche perché in presenza di reciprocità indipendentemente dal reddito familiare;
se, alla luce di quanto espresso in premessa, con particolare riferimento alla lettera d), non ritenga opportuno intervenire per accertare se l'esonero a favore degli «alunni con cittadinanza straniera» di cui alla sopra menzionata circolare n. 62 sia stato applicato dal dirigente scolastico dell'istituto d'istruzione secondaria superiore «Piera Cillario Ferrerio» di Alba per effettive ragioni di reciprocità e, nel caso, accertare la congruità dell'applicazione dell'articolo 200, comma 10, del decreto legislativo n. 297 del 1994.
(3-01597)
(18 aprile 2011)
(ex 5-04265 del 23 febbraio 2011)

B) Interrogazione

BURTONE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
negli anni scorsi la pulizia delle scuole è stata effettuata da circa 400 lavoratori alle dipendenze della Catania multiservizi, di proprietà del comune di Catania;
la ditta milanese Dussman service, vincitrice dell'appalto per l'intero territorio regionale, dovrebbe assorbire, per poter svolgere l'attività, tutto il personale negli anni scorsi impiegato;
il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha comunicato ai dirigenti scolastici una ridotta disponibilità di risorse per questo servizio rispetto agli anni precedenti, rendendo possibile l'assunzione della Dussman service dei lavoratori solo per 12 ore settimanali, con conseguente riduzione degli stipendi che non dovrebbero superare i duecento, trecento euro mensili -:
quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, con la massima urgenza, per evitare l'esplosione di una nuova vertenza di lavoratori che verrebbero pesantemente colpiti dal punto di vista economico, in un'area già pesantemente gravata da problemi occupazionali;
se non ritenga che la vertenza dei lavoratori possa creare difficoltà nell'espletamento del servizio di pulizia delle scuole, con la conseguente nascita di problemi igienico-sanitari.
(3-01438)
(3 febbraio 2011)

C) Interrogazioni

MELIS, CALVISI, SORO, ARTURO MARIO LUIGI PARISI, FADDA, MARROCU, SCHIRRU, PES e FARINA COSCIONI. - Ai Ministri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la società Vinyls Italia, dopo avere rilevato gli impianti chimici ex-Ineos di Porto Torres, Porto Marghera e Ravenna per mantenervi le produzioni, ha avviato le procedure fallimentari, rinunciando, di fatto, al proprio impegno in Italia, con grave effetto sulle sorti della produzione chimica nazionale e con drammatiche conseguenze sui livelli occupazionali in particolare del Nord della Sardegna;
tale decisione è maturata, secondo le dichiarazioni rese dalla Vinyls, dopo che l'Eni ha notificato alla Vinyls un prezzo del dicloretano (materia prima necessaria alla produzione degli impianti di Porto Torres) di circa tre volte superiore a quello praticato a suo tempo nei confronti dell'Ineos;
è apparsa in questi giorni sulla stampa locale sarda notizia (di fonte sindacale) secondo la quale l'Eni avrebbe di recente venduto nel mercato indiano, «a parità di condizioni», una significativa quantità (una nave da 10.000 tonnellate) della stessa materia prima;
l'indicazione dei prezzi Harriman praticati in questa occasione risulta significativamente più bassa rispetto alle condizioni imposte dall'Eni a Vinyls; infatti, anche assumendo un prezzo di 300 dollari per tonnellata, consegnato al cliente, in India (pagina 22 del bollettino Harriman n. 292 del 30 aprile 2009) e assumendo i costi di mercato per il trasporto dall'Europa all'India, il prezzo di vendita del dicloretano franco stabilimento di partenza (Assemini, Cagliari) non potrà che essere nell'intervallo di 160-200 dollari per tonnellata, cioè 120-150 euro per tonnellata, largamente inferiore a quello richiesto a Vinyls (245-265 euro per tonnellata) -:
se le notizie sopra riassunte risultino anche al Ministero dello sviluppo economico e, ove lo fossero, come sia giustificabile il comportamento di Eni e quali atti immediati intendano adottare per sollecitare l'Eni a praticare verso Vinyls le stesse condizioni offerte ai compratori del mercato indiano.
(3-00536)
(20 maggio 2009)

MELIS, CALVISI, FADDA, MARROCU, ARTURO MARIO LUIGI PARISI, PES, SCHIRRU e SORO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
i lavoratori della Vinyls (Porto Torres) sono dall'autunno 2009 mobilitati (anche con l'utilizzo di forme estreme, come l'occupazione dell'isola dell'Asinara) per la difesa dei loro posti di lavoro, nonché, insieme ai colleghi di Marghera e Ravenna, per la tutela della filiera produttiva dei cloroderivati, da più parti definita come strategica per la chimica nazionale;
è fallita in questi ultimi giorni, per manifesta inadeguatezza del compratore, l'offerta avanzata dalla società Gita, sulla quale molti dubbi erano stati espressi da più parti relativamente alla solidità societaria e al reale possesso dei requisiti necessari all'acquisto;
il Governo in carica, d'intesa con la regione Sardegna amministrata dal centrodestra, ha garantito per diversi mesi la praticabilità della soluzione Gita, così come aveva più volte dato ai lavoratori ampie e ripetute assicurazioni nel caso di precedenti compratori poi rivelatisi inadeguati. E precisamente, utilizzando un recente «diario» pubblicato dal direttore de La Nuova Sardegna di Sassari Paolo Catella:
a) il 14 gennaio 2008, prima dichiarazione del Presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi: «Tutto il personale degli impianti chimici della Sardegna deve essere richiamato al lavoro dal 1o febbraio (2009)»;
b) il 31 marzo 2009, dichiarazione del presidente della regione Sardegna Ugo Cappellacci: «Siamo molto soddisfatti, siamo arrivati all'obiettivo grazie soprattutto al lavoro del Presidente Berlusconi e del Ministro Scajola»;
c) il 21 febbraio 2010, il Ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola sulla trattativa Eni-Ramco, poi fallita: «Stiamo facendo ogni sforzo per garantire a Vinyls un futuro di sviluppo produttivo e occupazionale»;
d) il 22 febbraio 2010, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Maurizio Sacconi: «Ritengo ci siano tutte le condizioni perché si arrivi a una soluzione positiva»;
e) l'8 aprile 2010, il Ministro dell'economia e delle finanze Giulio Tremonti: «Questo caso non lo conosco, credo ci sia una trattativa in atto, ipotesi di non chiusura. Il presidente dalla Sardegna se ne sta occupando»;
f) il 25 maggio 2010, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Paolo Bonaiuti: «Per la Vinyls stiamo facendo forti pressioni su un Paese amico come il Qatar»;
g) il 24 settembre 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi direttamente ai lavoratori Vinyls ricevuti a Roma a Palazzo Chigi: «La soluzione è vicina, c'è un'offerta qualificata per gli impianti»;
h) il 7 ottobre 2010, il Ministro interrogato dopo la prima intesa con Gita: «Abbiamo superato il punto di non ritorno e il percorso è sgombro da ostacoli, si va spediti verso l'accordo»;
i) il 6 dicembre 2010, ancora il Ministro interrogato a Porto Torres: «Per Vinyls questa sarà la volta buona. Temevo ci trovassimo davanti all'ennesimo bidone, ma su Gita ho appurato che si tratta di tedeschi e svizzeri che hanno assicurato nuovi investimenti. Entro febbraio potremo chiudere tutto»;
l) il 9 febbraio 2011, l'assessore sardo all'industria Oscar Cherchi: «La vicenda Vinyls procede verso la giusta direzione, i ritardi sono dovuti solo a normali procedure di verifica» -:
come si giustifichi una sequenza così consistente e, alla luce dei fatti, altrettanto priva di fondamento, di dichiarazioni, espresse autorevolmente in più circostanze e tempi da membri del Governo, dal Ministro interrogato e dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri;
quali siano oggi, allo stato degli ultimi fatti, le intenzioni del Governo per salvare i posti di lavoro a Porto Torres, Marghera e Ravenna e per garantire la continuità di un'attività produttiva più volte definita (dalle stesse fonti governative) strategica per il Paese.
(3-01557)
(30 marzo 2011)

D) Interrogazione

RAO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nella giornata del 31 gennaio 2011, per più di un'ora, si è verificato un black out dei canali Rai in diverse regioni, tra cui il Lazio, compresa la città di Roma;
secondo le spiegazioni fornite dalla Rai si sarebbe trattato di «un'avaria alla rete di distribuzione elettrica in uno degli impianti dell'azienda a Roma»;
per alcune ore della stessa giornata si sono verificate difficoltà di connessione per i siti della Rai;
l'Usigrai ha chiesto un incontro urgente con l'azienda, definendo «semplicistica e gravemente minimizzante la spiegazione ufficiale della Rai»;
su tutti i social network, a cominciare da Facebook e Twitter, è immediatamente dilagata la protesta;
è assai grave che nel 2011 un simile guasto, per di più limitato a un impianto della città di Roma, possa causare un disservizio di questa portata -:
quali siano state le effettive dimensioni dell'avaria;
quali indagini, per quanto di competenza, siano state avviate per comprendere le reali dimensioni e le cause del fenomeno;
quali misure si intendano mettere in atto per evitare il ripetersi in futuro di simili disservizi;
quali siano i rischi concreti di oscuramento del segnale Rai in tutta l'Italia in caso si verifichino problemi tecnici agli impianti di Roma;
se non ritenga che si debbano prevedere ulteriori e più efficaci strumenti di contrasto ad eventuali situazioni di emergenza, che potrebbero interrompere un servizio pubblico di fondamentale importanza.
(3-01441)
(3 febbraio 2011)



MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA TUTELA E LA PROMOZIONE DELLA LINGUA ITALIANA NELLE ISTITUZIONI DELL'UNIONE EUROPEA

La Camera,
premesso che:
si registrano numerose e crescenti violazioni del regime linguistico dell'Unione europea, in contrasto con il principio di non discriminazione in base alla nazionalità e quindi alla lingua, di cui all'articolo 18 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e in violazione del regolamento del Consiglio n. 1 del 1958;
è, infatti, crescente il ricorso, sia nelle prassi interne delle istituzioni dell'Unione europea sia nella disciplina di specifici istituti giuridici, ad inglese, francese e tedesco quali lingue di lavoro o di comunicazione con gli Stati membri e i loro cittadini;
tali pratiche determinano un'ingiustificata discriminazione a vantaggio dei membri e dei funzionari delle istituzioni dell'Unione europea provenienti dai Paesi aventi quale lingua madre inglese, francese e tedesco e dei relativi cittadini ed imprese e a danno di quelli provenienti dagli altri Stati membri;
l'affermazione del trilinguismo appare, inoltre, suscettibile di incidere negativamente sul ruolo dell'Italia nel processo di integrazione europea e sulla competitività del sistema produttivo italiano, che è costretto a sostenere costi di traduzione ulteriori rispetto alle imprese dei Paesi che utilizzano una delle tre lingue in questione;
relativamente al funzionamento interno delle strutture amministrative delle istituzioni europee, le esigenze di riduzione dei costi di traduzione e di semplificazione possono giustificare il ricorso ad una o due lingue veicolari, quali l'inglese e, in alcuni ambiti, il francese;
il ricorso ad inglese, francese e tedesco appare, invece, del tutto ingiustificato anche sul piano pratico, essendo esso fonte di costi di traduzione e interpretariato non necessari ad assicurare l'efficace funzionamento delle istituzioni dell'Unione europea;
tali costi sono, peraltro, interamente a carico del bilancio dell'Unione europea, finanziato da tutti gli Stati membri, configurando un ulteriore elemento di iniquità;
è di particolare gravità in questo contesto la trasmissione alle amministrazioni dei Parlamenti nazionali di comunicazioni dell'amministrazione del Parlamento europeo redatte in inglese, francese e tedesco. L'uso di tutte le lingue ufficiali dell'Unione europea, oltre a rispondere a precisi obblighi imposti dal Trattato, è un presupposto imprescindibile per sviluppare ulteriormente, su un piano di parità, le relazioni tra le istituzioni dell'Unione europea ed i Parlamenti nazionali, nonché per consolidare la cooperazione interparlamentare;
anche nell'attività amministrativa e di documentazione del Parlamento europeo è, peraltro, crescente il ricorso di fatto alle tre lingue sopra indicate, a fronte di una prassi consolidata che prevedeva per evidenti esigenze di semplificazione e contenimento dei costi l'utilizzo delle lingue veicolari inglese e francese. Persino il sito intranet del Parlamento europeo include dal 2009 quali lingue di navigazione l'inglese, il francese e il tedesco;
la Camera ha in più occasioni, da ultimo nella risoluzione Pescante ed altri (n. 6-00043), approvata il 13 luglio 2010, impegnato il Governo ad opporsi ai tentativi di imporre inglese, francese e tedesco quali «lingue di lavoro» di altre istituzioni ed organi dell'Unione europea;
con documento finale approvato il 22 dicembre 2010, la Commissione attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati ha espresso una valutazione fermamente contraria sulla proposta di regolamento relativa al regime di traduzione del brevetto dell'Unione europea (COM(2010)350 def), in quanto essa prevede che il brevetto unico sia richiesto e rilasciato esclusivamente in inglese, francese o tedesco;
l'illegittimità del trilinguismo è stata, per alcuni profili, riconosciuta nella sentenza resa nella causa T-205/07, il 3 febbraio 2011, dal tribunale dell'Unione europea, che, accogliendo un ricorso dell'Italia, ha annullato un invito a manifestare interesse per la costituzione di un elenco di candidati ai fini dell'assunzione di agenti contrattuali delle istituzioni europee, pubblicato dall'Ufficio di selezione del personale dell'Unione europea (Epso) nelle lingue tedesca, inglese e francese. La sentenza ha, infatti, dichiarato che la pubblicazione dell'invito nelle sole tre lingue in questione costituisce una discriminazione fondata sulla lingua tra i potenziali candidati, contraria al diritto dell'Unione europea;
occorre che l'Italia elabori una strategia organica e coerente per la tutela e la promozione della lingua italiana nell'Unione europea, nonché in altre organizzazioni internazionali e sopranazionali;
a questo scopo è necessario ed urgente che i membri italiani delle istituzioni ed organi dell'Unione europea contrastino con forza ogni tentativo di violazione del regime linguistico previsto dai Trattati,

impegna il Governo:

a contrastare con intransigenza ogni tentativo di violazione del regime linguistico delle istituzioni dell'Unione europea e di marginalizzazione della lingua italiana, ricorrendo, ove necessario, anche agli strumenti giurisdizionali disponibili;
a definire, in stretto raccordo con le Camere, una strategia organica per la tutela e la promozione della lingua italiana nelle istituzioni dell'Unione europea;
ad opporsi, in particolare, al tentativo di affermare il ricorso alle sole lingue inglese, francese e tedesco nel funzionamento, anche al solo livello amministrativo, di ogni istituzione ed organo dell'Unione europea e a valutare l'opportunità di utilizzare un criterio oggettivo che, limitando le lingue di lavoro entro un numero massimo di sei, tenga conto del numero effettivo di parlanti all'interno dell'Unione europea;
a sostenere, nei casi in cui le esigenze di riduzione dei costi e di miglior funzionamento delle strutture amministrative delle istituzioni ed organi dell'Unione europea lo giustifichino ed il criterio precedentemente esposto non venga recepito, il ricorso, oltre alla lingua della presidenza di turno, alla sola lingua inglese, in quanto lingua veicolare di gran lunga più diffusa a livello europeo e globale, ed eventualmente alla lingua francese, se compatibile con le predette esigenze;
a concordare, con altri Paesi che sarebbero gravemente penalizzati, al pari dell'Italia, dall'adozione del trilinguismo, tutte le iniziative appropriate per assicurare il rispetto del principio della pari dignità delle lingue ufficiali dell'Unione europea.
(1-00567)
(Ulteriore nuova formulazione) «Pescante, Gozi, Maggioni, Buttiglione, Ronchi, Razzi, Porcino, Pini, Farinone, Formichella, Scalia, Dell'Elce, Fucci, Nicolucci, Gottardo, Centemero, Consiglio».
(23 febbraio 2011)

La Camera,
premesso che:
l'Italia è emblematicamente rappresentata, per sempre, dal titolo del discorso pronunciato da Alcide de Gasperi il 21 aprile 1954 a Parigi, alla conferenza parlamentare europea, intitolato «la nostra patria Europa»;
il popolo italiano si riconosce nel dovere di essere «tutti ugualmente preoccupati del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa»;
in questo momento critico per il dramma mediterraneo che investe l'Europa nella sua interezza per il tramite dell'Italia e degli altri Paesi riveriaschi, la patria Europa deve richiamare la consapevolezza del suo patrimonio spirituale e morale, giacché l'Unione «si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà e si basa sui principi di democrazia e dello Stato di diritto», come è affermato nel preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
purtuttavia, nella gestione burocratica si ravvisano problematiche insidiose alle quali contrapporre tempestivamente misure che siano l'espressione più autentica dello spirito europeo;
nell'Unione europea 23 lingue diverse detengono, con pari dignità, il crisma dell'ufficialità e testimoniano, nella loro equiordinazione, la condivisione, la legittimazione dei principi, dei doveri, dei sentimenti di unità dei diritti fondamentali che precedono e superano, nel riconoscerli e rispettarli, i confini degli Stati;
nel contesto delle cosiddette «lingue di lavoro», cioè quelle utilizzate comunemente nella circolazione dei documenti di lavoro, è andata formandosi una supremazia di fatto dell'inglese e del francese e più di recente, e in parte minore, della lingua tedesca;
alle esigenze di funzionamento possono associarsi non già giustificazioni ma sospetti di una supremazia politica;
il Parlamento europeo, com'è noto, si avvale di un numero cospicuo di interpreti, intorno alle 4000 unità, con un costo di quasi 1 miliardo di euro all'anno;
la traduzione, com'è altrettanto noto, talvolta induce involontarie questioni di interpretazione dei documenti ufficiali della comunità, forieri di conseguenze di diritto giurisdizionale che intaccano i principi di unità;
la questione dell'uso delle lingue di lavoro è risalente nel tempo e dunque porta con sé la pesantezza dei problemi irrisolti;
di volta in volta, sono state avanzate proposte di rendere la lingua inglese, ovvero l'esperanto, ovvero il latino, l'unica lingua di lavoro dell'Unione europea;
si deve convenire sul fatto che è arrivato il momento di definire la questione nell'interesse dello spirito comunitario, anche alla luce di certe intempestive e contestate prese di distanza dalla logica europeista, sia di tipo tattico, sia di tipo politico, le une e le altre da fronteggiare in campo aperto, al cospetto dell'opinione pubblica del nostro Paese e di tutti Paesi d'Europa,

impegna il Governo:

a non aprire un fronte dell'intransigenza che costituisca campo di battaglia tra le diverse lingue europee e che rischierebbe di far soccombere l'idea di Europa come patria comune;
a collocare la lingua italiana e la sua promozione nel quadro di una strategia internazionale non bellicosa ma appropriata al principio di valorizzazione delle identità nazionali, come declinato nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
a presentare una propria proposta organica nel campo delle lingue di lavoro d'Europa, che contenga, oltre che opzioni specifiche, prescrizioni di parificazione sostanziale delle posizioni di quei Paesi, di quei cittadini, di quelle imprese, la cui lingua nazionale non costituisca lingua di lavoro, anche nella forma della neutralizzazione dei costi di traduzione rispetto alla competitività dei documenti cui accedono;
a non promuovere accordi parziali con Paesi che condividano la pur esistente penalizzazione funzionale per non trasformare una questione essenzialmente burocratico-politica in una questione totalmente politica in danno della patria Europa;
a formulare, finalmente, una seria proposta che contenga la valorizzazione in Europa delle radici linguistiche latine, mettendo a disposizione di ogni Paese il patrimonio di storia e di conoscenza che, tipicamente, appartengono alla tradizione italiana;
a ricercare la soluzione attraverso la previsione di una regola a regime nell'ambito delle normative comunitarie, eventualmente ricercata con il previo esperimento di un tentativo di mediazione, secondo lo spirito della stessa Carta dei diritti fondamentali, con il contemperamento dell'interesse nazionale e degli interessi europei.
(1-00624)
«Tabacci, Mosella, Pisicchio, Brugger».
(18 aprile 2011)



MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE RELATIVE ALLA SITUAZIONE DELLE CARCERI

La Camera,
premesso che:
le carceri italiane versano in uno stato di sovraffollamento non tollerabile: le 206 strutture penitenziarie presenti sul territorio nazionale ospitano 67.961 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 45.022, con un tasso di sovraffollamento del 151 per cento che posiziona, secondo questo specifico indice, il nostro Paese tra quelli meno civili d'Europa;
metà della popolazione carceraria, il 43,25 per cento, è costituita da imputati in attesa di giudizio, il cui regime custodiale risulta, se possibile, peggiore di quello riservato ai condannati. Da un lato, infatti, la cronica insufficienza e il degrado delle carceri italiane fanno sì che sia disattesa la previsione ordinamentale che ne prescriverebbe la custodia in strutture diverse da quelle previste per i condannati; dall'altro, rispetto a questi ultimi, dai quali devono essere comunque separati seppure all'interno di strutture comuni, essi scontano un regime più rigido, con intollerabile pregiudizio del principio di innocenza non essendosi formato nei loro confronti un giudicato penale di condanna;
la politica criminale degli ultimi anni, segnatamente degli ultimi tre, ha pericolosamente oscillato tra provvedimenti, anche di natura processuale, la cui natura straordinaria ha avuto come effetto l'incentivazione delle spinte securitarie e l'istituzionalizzazione dell'emergenza, senza risolverla né sul fronte dell'ingolfamento processuale né su quello del trattamento sanzionatorio;
in particolare, tra il 2007 e il 2010 è stato riassorbito l'effetto della legge 31 luglio 2006, n. 241, di concessione dell'indulto. La popolazione carceraria è passata, infatti, dai 39.005 detenuti del 31 dicembre 2006 ai 68.258 del 30 giugno 2010, secondo i dati diffusi dall'associazione Antigone;
della legge 26 novembre 2010, n. 199, cosiddetta «svuota carceri», che consente la detenzione domiciliare per i condannati a pena pari o inferiore ai dodici mesi, anche come residuo di pena maggiore, hanno beneficiato, secondo i dati del Ministero della giustizia, 1.788 detenuti, a fronte di una platea di potenziali destinatari stimata in 7.992 beneficiari, e ciò anche a causa della mancata predisposizione di un'adeguata rete di servizi sociali e di pubblica utilità. Tale carenza si è scaricata, come era prevedibile, su tutti quei detenuti privi di famiglie pronti ad accoglierli e in misura maggiore sui cittadini extracomunitari, che non hanno potuto godere degli effetti della norma, anche quando condannati per quei reati di minore gravità che sono presupposti ai fini della concessione del beneficio;
il ricorso a provvedimenti deflattivi connotati da urgenza e contingenza, come quelli sopra menzionati, è contraddetto da misure di segno contrario, come quella contenuta nella legge 15 luglio 2009, n. 94 (pacchetto sicurezza), che ha modificato l'articolo 135 del codice penale, aumentando il parametro di conversione delle pene detentive in pene pecuniaria da 38 a 250 euro per giorno, impedendo così ai meno abbienti di accedere al beneficio, con sostanziale sacrificio del principio di uguaglianza;
il Ministro della giustizia ha più volte annunciato un «piano carceri» per la costruzione di nuovi stabilimenti di pena, con un investimento pubblico di 670 milioni di euro volto a creare 9.700 posti letto in più, comunque insufficienti rispetto ai 23.600 ad oggi necessari;
secondo la ricerca effettuata dal centro studi dell'associazione Ristretti Orizzonti, sulla base dei dati ufficiali forniti dalla ragioneria generale dello Stato, dalla Corte dei conti e dal Ministero della giustizia - dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, negli ultimi 10 anni il sistema penitenziario è costato alle casse dello Stato circa 29 miliardi di euro, ma l'andamento della spesa non risulta in alcun modo collegato a quello della popolazione detenuta. Infatti negli anni 2007-2010 le spese di personale sono state tagliate di 119.225.000 euro (circa il 5 per cento del budget a disposizione nel 2007), mentre nello stesso periodo le spese di mantenimento dei detenuti, di manutenzione e funzionamento delle carceri hanno subito una decurtazione di 205.775.000 euro, pari al 31,2 per cento. Così mentre il sovraffollamento è cresciuto, portando la popolazione detenuta quasi a raddoppiare, passando dalle 39.005 unità del 1o gennaio 2007 alle 67.961 del 31 dicembre 2010, la spesa media giornaliera pro capite è scesa a 113 euro (nel 2007 era di 198,4 euro, nel 2008 di 152,1 euro e nel 2009 di 121,3 euro);
nel dettaglio - sempre secondo la ricerca dell'ufficio studi di Ristretti Orizzonti - di questi 113 euro di spesa pro capite: 95,3 (pari all'84,3 per cento del totale) servono per pagare il personale; 7,36 (6,2 per cento del totale) sono spesi per il cibo, l'igiene, l'assistenza e l'istruzione dei detenuti; 5,60 (5,4 per cento del totale) per la manutenzione delle carceri; 4,74 (4,1 per cento del totale) per il funzionamento delle carceri (elettricità, acqua e altro). Al netto dei costi per il personale penitenziario e per l'assistenza sanitaria, di competenza del Ministero della salute, nel 2010 la spesa complessiva per il «mantenimento» dei detenuti è stata pari a 321.691.037 euro, quindi ogni detenuto ha a disposizione beni e servizi per un ammontare di 13 euro al giorno;
il Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria) nel 2009 rilevava la relazione inversamente proporzionale tra numero dei detenuti e personale penitenziario. Nel 2001 erano presenti 41.608 agenti penitenziari a fronte di 53.165 detenuti, nel 2009 gli agenti sono stati 39.000 e i detenuti 64.859. La pianta organica della polizia penitenziaria è fissata per legge in 45.121 unità ed oggi risulta, pertanto, scoperta per circa 6.000 unità;
l'esperienza dimostra che esiste una correlazione tra l'accesso ai benefici concessi dall'ordinamento e la riduzione del tasso di recidiva e, per converso, una correlazione tra il numero di carcerazioni e l'aumento del tasso di recidiva; il che, se non dimostra, di per sé, l'effetto positivamente «causale» dei benefici sulla riabilitazione sociale dei detenuti, dimostra che le misure alternative alla detenzione non scaricano affatto un maggior costo sociale sulla popolazione generale,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative volte ad adeguare, in vista dei prossimi provvedimenti finanziari, la spesa pro capite per detenuto, prevedendo, rispetto alla base del 2007, una riduzione non superiore a quella media relativa al comparto Ministeri;
a predisporre sul piano normativo un complesso di riforme - dalla depenalizzazione dei reati minori, ad una più ampia e più certa accessibilità delle misure alternative alla detenzione, dalla definizione di parametri più accessibili per la conversione delle pene detentive in pene pecuniarie, ad una più severa limitazione del ricorso alla custodia cautelare in carcere - che avrebbero, nel complesso, un effetto strutturalmente deflattivo, concorrendo a migliorare le condizioni di detenzione e a rendere servibili quegli strumenti di trattamento che perseguono le finalità rieducative costituzionalmente connesse alla pena;
a implementare il «piano carceri» attraverso il ricorso a forme di partecipazione privata ai programmi di edilizia penitenziaria, utilizzando quegli strumenti di mercato che, anche sul piano urbanistico, possono incentivare gli investitori privati a collaborare con lo Stato ad un progetto di riconversione del sistema e dei modelli di detenzione e di riqualificazione delle case circondariali e di reclusione non più utilizzabili per l'ospitalità dei detenuti.
(1-00612)
«Della Vedova, Perina, Granata».
(7 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
secondo quanto emerge dal settimo rapporto sulle carceri, presentato il 22 ottobre 2010 dall'associazione Antigone che opera per la difesa dei diritti negli istituti di pena in Italia, i detenuti hanno raggiunto una quota pari a 68.527, ben quasi 24 mila in più rispetto alla capienza regolamentare (stimata in 44.612 posti letto) e oltre anche la cosiddetta capienza tollerabile, l'indice che individua il limite massimo per la stessa amministrazione penitenziaria;
una situazione questa che definire «allarmante» è quasi riduttivo: alcuni tra gli istituti penitenziari più affollati d'Italia, precisamente quelli di Padova, Roma Rebibbia femminile, Sulmona, Roma Regina Coeli, Fermo, Perugia Capanne, Como, Firenze Sollicciano, Milano San Vittore, Napoli Poggioreale, Novara, Bologna, Gorizia, Trieste e Pistoia sono risultati fuorilegge, in base ad alcuni indicatori (numero dei detenuti presenti, metri quadri a disposizione per carcerato, condizioni igieniche ed ambientali, numero di ore trascorse al di fuori della cella), normalmente utilizzati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per valutare la sussistenza di un trattamento inumano e degradante causato da sovraffollamento;
il 43,7 per cento delle persone oggi detenute nel nostro Paese - sottolinea il rapporto - è composto da imputati: si tratta di una delle percentuali più alte d'Europa che fotografa «un'anomalia tutta italiana»;
nel febbraio 2009 il Ministro della giustizia aveva annunciato il varo di un piano carceri e la nomina di un commissario con poteri speciali, che avrebbe dovuto risolvere l'emergenza del sovraffollamento;
a distanza di un anno, il 13 gennaio 2010, il Governo proclamava lo «stato d'emergenza» nelle carceri italiane, stanziando fondi per ricavare nuovi spazi dietro le sbarre;
qualche mese dopo, anche in relazione all'esiguità delle risorse stanziate (in parte anche a detrimento dei fondi raccolti dalla Cassa delle ammende tra i detenuti per il loro reinserimento), il piano è stato ridotto a meno di 10.000 posti detentivi da realizzare entro il 2012;
anche se il Ministro della giustizia sostiene che nel corso degli ultimi anni sono stati realizzati 2.000 posti detentivi, ad oggi nessun effetto del piano carceri si è prodotto; non si sa se quei 2.000 posti già realizzati siano parte del piano o di ampliamenti e ristrutturazioni già programmati da tempo, né se siano effettivamente operativi grazie alla disponibilità del personale necessario;
sempre nel gennaio 2010 il Ministro della giustizia Alfano prometteva l'imminente entrata in servizio di altri duemila agenti. A luglio 2010 ribadiva l'impegno assunto, abbassando i reclutamenti «in prima battuta» a mille: sono trascorsi altri nove mesi e ancora si attende l'ingresso dei nuovi poliziotti penitenziari;
se il trend prima descritto dovesse continuare, a fine anno la popolazione carceraria raggiungerebbe quota 70 mila detenuti, per aumentare ancora nel 2012, a fronte di un vertiginoso calo di agenti già da otto anni, stando alla denuncia delle organizzazioni sindacali della polizia carceraria;
la polizia penitenziaria soffre, infatti, di paurose carenze. Nello specifico, l'organico degli agenti di custodia, fissato l'ultima volta proprio nel 2001, prevedeva un numero di 42.268, a fronte di 55.000 detenuti. Oggi i carcerati, come sopra anticipato, sono diventati più di 68.000 e l'organico amministrato raggiunge 37.348 unità (vi è un poliziotto ogni due detenuti, sommando quelli in esecuzione interna e quelli in affidamento e semilibertà). Da queste cifre bisogna sottrarre il personale non in servizio attivo, ossia 3.109 unità, a causa di malattia, aspettativa, motivi di salute o prepensionamento;
con questi numeri, ovviamente pesano le unità, le centinaia, le migliaia di agenti sottratti ai loro compiti principali per essere dirottati su mansioni amministrative o di servizio agli uffici;
anche il Sottosegretario per la giustizia Alberti Casellati, nel ribadire l'importanza del ruolo degli agenti penitenziari, ha affermato che: «Il carcere è una primaria esigenza di ciascuna società e bisogna rivolgere particolare attenzione al ruolo della polizia all'interno della casa circondariale, una risorsa primaria e strategica per il reintegro del detenuto e del suo diritto alla tutela della salute»;
in una circolare del 6 luglio 2009, avente per oggetto la «tutela della salute e della vita delle persone detenute», il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria ha fortemente raccomandato ai provveditori regionali di offrire ai reclusi più colloqui e maggiori occasioni di intrattenimento, di aumentare le ore d'aria, di tenere aperte le porte delle celle e di non far mancare l'acqua;
in molti istituti sono state rilevate e segnalate carenze al riguardo, ma risulta inaccettabile, soprattutto, la differenza che si registra tra aree diverse del Paese. In Sicilia e Sardegna, regioni a statuto speciale dove la sanità penitenziaria non è ancora passata in carico alle aziende sanitarie locali regionali, la situazione appare più grave;
anche le drammatiche condizioni di salute degli agenti e la stessa sicurezza degli istituti non possono essere ignorate dal Ministero della giustizia e dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. L'istituto femminile di Rebibbia (dove è addirittura iniziato lo sciopero della fame e del sonno da parte delle agenti di polizia penitenziaria che continuano, nonostante tutto, a garantire i turni di lavoro, nel rispetto dei diritti delle detenute), sul punto di esplodere a causa del sovraffollamento (368 detenute, a fronte di una capienza regolamentare prevista di 274 posti) e della gravissima carenza di personale, ben rappresenta la punta dell'iceberg della crisi dell'intero sistema carcerario nazionale;
non servono soluzioni tampone ma sono necessari interventi di sistema, per risolvere una volta per tutte le emergenze: è ora di tradurre nei fatti le dichiarazioni di intenti, di fronte agli enormi rischi della protesta in atto va garantito subito lo stanziamento di nuovo personale per consentire il normale funzionamento delle strutture e condizioni dignitose agli operatori del settore;
neanche la salute dei minori viene tutelata come si dovrebbe in tutti i 19 istituti penali minorili, in cui vive un piccolo esercito di 426 ragazzi fra i 14 e 18 anni. Due detenuti su tre sono in attesa di giudizio, il resto invece sta scontando la pena. La maggior parte sono stranieri, spesso rom. Ma ci sono anche ragazzini italiani, per lo più provenienti dalle periferie delle città del Sud;
non sono i numeri ad allarmare, ma un sistema che non è a misura di minore. Se la detenzione è diventata davvero l'estrema ratio dopo la riforma del codice di procedura penale minorile del 1988, gli istituti penali minorili sono «contenitori di marginalità sociale», rivela «Ragazzi dentro», il primo rapporto sulle carceri minorili presentato il 24 marzo 2011 da Antigone;
il problema non riguarda solo le strutture perennemente con «lavori in corso», ma anche la gestione generale del minore detenuto. Problemi ci sono, ad esempio, nei trasferimenti dei ragazzi in istituti spesso lontanissimi dal loro luogo di origine, con conseguenti difficoltà nel mantenere rapporti con le famiglie;
le cifre fornite rappresentano il segno di una crisi che l'annunciato impegno del Governo non è riuscito a scalfire, lasciando i detenuti italiani in condizioni di vivibilità al limite della sopportazione. In questa situazione il confine fra pressioni, mancata tutela e induzioni a gesti estremi diventa labilissimo;
infatti, di carcere si può anche morire: un terzo dei decessi che si verificano dietro le sbarre sono dovuti a suicidio, come rivelano i dati raccolti dal centro di ricerca «Ristretti orizzonti» del carcere di Padova. Complessivamente, i suicidi nelle carceri sono stati 72 nel 2009, mentre 55 detenuti si sono tolti la vita nei primi nove mesi del 2010;
come se non bastasse, da circa due anni i detenuti sono in sostanza privi di assistenza psicologica: le persone che lavorano in tutte le 206 carceri italiane sono in grado di offrire soltanto tre ore di trattamento annuo, compreso il tempo per la lettura dei fascicoli e le riunioni. La pianta organica ministeriale prevede 1.331 educatori e 1.507 assistenti sociali. In servizio al 1o settembre 2010 risultavano 1.031 educatori e 1.105 assistenti sociali, ossia circa un operatore ogni sessanta detenuti;
quanto descritto esprime, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, la contraddizione di una politica forte con i deboli e debole con i forti, che introduce nuovi reati e immette nel circuito giudiziario e carcerario un gran numero di nuovi detenuti, specie immigrati;
quanto denunciato costituisce, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una palese violazione dei principi della Carta costituzionale, in particolare dell'articolo 32, che tutela la salute come «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività», e dell'articolo 27, secondo il quale «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
in una sentenza del 16 luglio 2009, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato per la prima volta l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (divieto di tortura e delle pene inumane e degradanti), proprio in ragione delle condizioni di sovraffollamento sopra descritte;
infatti, secondo gli standard di riferimento utilizzati dalla Corte di Strasburgo, ogni detenuto ha diritto a 7 metri quadrati di spazio in cella singola e 4,5 metri quadrati in quella multipla: questa è la ragione per cui il nostro Paese è stato condannato al risarcimento di mille euro per aver inflitto un danno morale al cittadino bosniaco Sulejmanovic, un rom condannato per furto nel 2002;
la Camera dei deputati aveva già approvato, nella seduta del 12 gennaio 2010, una mozione volta, tra l'altro, ad impegnare il Governo ad istituire un organo di monitoraggio indipendente di controllo sui luoghi di detenzione, in linea con quanto stabilito dal protocollo addizionale alla Convenzione Onu contro la tortura, in corso di ratifica, ed a stipulare accordi internazionali volti a consentire l'esecuzione della pena presso i Paesi di provenienza dei condannati stranieri,

impegna il Governo:

ad adottare una politica carceraria tendente a contenere il sovraffollamento, attraverso iniziative volte alla riduzione dei tempi di custodia cautelare, alla rivalutazione delle misure alternative al carcere, alla riduzione delle pene per chi commette fatti di lieve entità, nonché all'attuazione immediata del piano carceri, presentato il 27 febbraio 2009 dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con l'indicazione delle reali coperture finanziarie;
ad assicurare risorse idonee a conseguire un adeguamento dell'attuale pianta organica del personale di polizia penitenziaria al fine di affrontare la situazione emergenziale di cui in premessa;
ad adottare iniziative normative per un ordinamento penitenziario specifico per i minori, essendo questa una riforma ormai improrogabile, sollecitata più volte anche dalla stessa Corte costituzionale;
a promuovere, per quanto di competenza, la dotazione di strutture e personale idonei ad assicurare un'adeguata assistenza psicologica ai reclusi;
ad accelerare, anche alla luce degli eventi più recenti, la stipula di eventuali accordi internazionali per far scontare ai detenuti stranieri le pene nei rispettivi Paesi d'appartenenza.
(1-00614)
(Nuova formulazione) «Rao, Ria, Galletti, Ciccanti, Compagnon, Naro, Volontè, Occhiuto, Binetti, Capitanio Santolini, De Poli, Anna Teresa Formisano, Libè, Mantini, Tassone, Nunzio Francesco Testa».
(11 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
nel nostro stato sociale di diritto, dove la persona assurge a ruolo centrale, la pena cessa di avere un'impronta autoritaria di conformazione delle condotte e diventa uno degli strumenti per la rieducazione del reo, che aspira al recupero del cittadino dopo un percorso trattamentale. Il carcere si pone, quindi, come esperienza provvisoria che prelude al rientro nella società;
in questo contesto si inserivano le misure alternative alla detenzione introdotte con la «legge Gozzini» nel 1986 e con la «legge Simeone-Saraceni» nel 1998 e che vengono applicate successivamente alla condanna dal magistrato di sorveglianza. La ratio è quella di favorire un reinserimento sociale nella fase conclusiva di una pena lunga o di sostituire pene detentive brevi, mediante un approccio di ricucitura graduale e controllata con la società civile;
è noto che l'attuale condizione delle carceri italiane contraddice radicalmente l'intento delineato nella Carta fondamentale. Le condizioni di sovraffollamento sono oramai un dato notorio e con esse la politica, la società civile, la magistratura, ma soprattutto i detenuti si trovano a convivere ogni giorno in modo drammatico. Tra i molti sintomi di disagio, non si può non segnalare che il tasso di suicidi riscontrabile in carcere è di gran lunga superiore a quello registrato tra tutta la popolazione residente in Italia;
se le carceri italiane sono così giunte in una situazione che è non più tollerabile, bisogna chiedersi perché. Vi è stata da vari anni una contrazione nell'ambito delle politiche di sicurezza della possibilità di utilizzo delle cosiddette misure alternative: sono costanti l'elaborazione di nuove figure di reato, utili a rispondere a vere o presunte emergenze, l'introduzione di ipotesi di custodia cautelare obbligatoria, l'innalzamento delle pene per reati di non particolare allarme sociale o riconnessi ad una mera condizione di irregolarità sul territorio nazionale operata al solo e dichiarato fine di consentire l'applicazione della custodia cautelare in carcere. Il caso emblematico è la «legge ex Cirielli», legge n. 251 del 2005, che ha accorciato i tempi di prescrizione per alcuni reati e ha introdotto limiti alla concessione delle misure premiali ai recidivi reiterati, categoria che ricomprende in sé anche reati per fatti di scarso allarme sociale e magari per fatti distanti decenni nel tempo;
già l'11 e il 12 gennaio del 2010, con la discussione sulla mozione Franceschini 1/00302 e sulle altre mozioni abbinate, la Camera dei deputati si è occupata della situazione carceraria: il Governo, ad oggi, deve ancora dare attuazione a molti degli impegni assunti con l'approvazione di quella mozione Franceschini e delle altre mozioni abbinate;
nelle comunicazioni sull'amministrazione della giustizia del gennaio 2010, il Ministro della giustizia aveva affermato di aver chiesto la deliberazione, da parte del Consiglio dei ministri, dello stato di emergenza per tutto l'anno 2010, al fine di «provvedere ad interventi strutturali di medio e lungo periodo, che consentano di rispettare il precetto dell'articolo 7 della Costituzione, secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Tale stato di emergenza è stato ulteriormente prorogato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 gennaio 2011 (comunicato n. 121 della Presidenza del Consiglio dei ministri). Dal suddetto stato di emergenza derivano, secondo quanto dichiarato dal Ministro nel mese di gennaio 2010, tre «pilastri» fondamentali: il primo riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria per la costruzione di 47 nuovi padiglioni e successivamente di otto nuovi istituti, che aumenterebbero di 21.709 unità i posti, arrivando ad un totale di 80 mila, per la cui realizzazione sono stati stanziati 500 milioni di euro nella legge finanziaria per il 2010 e 100 milioni del bilancio della giustizia; il secondo riguarda gli interventi normativi che introdurrebbero misure deflattive, prevedendo la possibilità della detenzione domiciliare per chi deve scontare un anno di pena residua e la messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni; il terzo, infine, prevede l'assunzione di 2.000 nuovi agenti di polizia penitenziaria;
per quanto riguarda gli interventi di edilizia penitenziaria, allo stato attuale, nonostante le ripetute richieste formalizzate in Commissione giustizia, né il Ministro della giustizia, né il Capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria hanno mai fornito, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, risposte specifiche alla richiesta di illustrazione dei dettagli delle linee portanti, programmatiche e di attuazione del piano di interventi; dell'assunzione dei 2.000 agenti di polizia carceraria non vi è traccia; dal punto di vista normativo, vi è stata solo l'approvazione della legge 26 novembre 2010, n. 199, «Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno», che ha potuto concludere il suo iter parlamentare grazie al forte senso di responsabilità e al concreto contributo del gruppo del Partito Democratico in Commissione giustizia, ma che, comunque, si pone come intervento emergenziale, addirittura temporaneo, e sicuramente non risolutore dell'angosciante problema del sovraffollamento carcerario e della certezza della pena;
a tre anni dall'approvazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, che ha trasferito al servizio sanitario nazionale le competenze riguardanti la salute in carcere, in applicazione del Titolo V della Costituzione e del decreto legislativo n. 230 del 1999, «Riordino della medicina penitenziaria», che, all'articolo 1, sancisce il diritto dei detenuti e degli internati «al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali», la riforma ha trovato applicazione solo parzialmente, e sono frequenti i casi in cui viene negato il diritto alla salute dei carcerati, in particolare delle persone in attesa di giudizio;
la presente mozione si rende necessaria per dare un nuovo forte indirizzo alla «politica carceraria» del Governo,

impegna il Governo:

a ripensare il modello unico di istituto penitenziario attuale, posto che i detenuti per i quali si esige un elevato regime di sicurezza non raggiungono le 10 mila unità, mentre per gli altri detenuti, anche quelli di media sicurezza, la permanenza in cella come situazione normale di vita quotidiana ha come unico risultato l'abbrutimento della persona umana;
a reperire le risorse finanziarie per adeguare le piante organiche del personale di polizia penitenziaria, nonché del personale civile del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia (educatori, assistenti sociali, psicologi), avviando un nuovo piano di assunzioni che garantisca le risorse umane e professionali necessarie all'attivazione delle nuove strutture penitenziarie e che sia in grado di supportare l'auspicata riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione;
a promuovere, sostenere e verificare l'applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, attuativo del riordino della medicina penitenziaria, così come prevista dal decreto legislativo n. 230 del 1999, in particolare per quanto concerne l'applicazione dell'articolo 5, che prevede la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e il trasferimento alle regioni delle funzioni sanitarie afferenti agli ospedali psichiatrici giudiziari ubicati nel territorio delle medesime, nonché di prevedere, nell'ambito della relazione annuale sullo stato di salute dei cittadini da presentare al Parlamento, un capitolo dedicato alla situazione sanitaria nelle carceri italiane;
a prevedere per le regioni impegnate nei piani di rientro dai deficit sanitari la possibilità di non sottoporre a restrizioni i fondi destinati alla sanità in carcere;
ad attivare una specifica azione di monitoraggio sull'applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, al fine di accertare l'effettività della garanzia del diritto alla salute per i carcerati e per le persone in attesa di giudizio;
ad affrontare con la massima urgenza, assumendo le necessarie iniziative normative, il problema dei detenuti tossicodipendenti, in particolare valutando la possibilità che l'esecuzione della pena avvenga in istituti a custodia attenuata, idonei all'effettivo svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi;
a promuovere la modifica del comma 1-bis dell'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario (modifica introdotta dalla legge cosiddetta ex-Cirielli), che preclude ai condannati recidivi reiterati l'accesso alla detenzione domiciliare negli ultimi due anni di pena, tenendo conto che è opportuno che l'effettiva pericolosità dei condannati possa essere rimessa alla valutazione della magistratura di sorveglianza senza irragionevoli preclusioni, nonché a rafforzare le piante organiche degli uffici di sorveglianza e a favorire, nell'ambito di una corretta collaborazione istituzionale, l'elaborazione di linee guida o di protocolli operativi utili a rendere chiara la legittimità di alcuni criteri di priorità nell'azione della magistratura di sorveglianza (così da consentire di gestire con intelligenza il flusso di ingressi in carcere);
ad attivare tutti gli adempimenti necessari affinché il dipartimento dell'organizzazione giudiziaria proceda, nell'ambito delle assunzioni già autorizzate per personale da destinarsi agli uffici giudiziari, per l'anno 2011, e per quelle ancora da autorizzare, in riferimento agli anni a venire, alla prioritaria utilizzazione, partendo dalla posizione n. 414, della graduatoria risultante dal concorso bandito dal Ministero della giustizia - dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - a 397 posti di educatore penitenziario, pubblicata il 15 dicembre 2008 sul bollettino ufficiale dello stesso;
ad effettuare un monitoraggio relativamente allo stato di applicazione, nonché agli effetti e ai risultati della legge 26 novembre 2010, n. 199, «Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno», valutando anche di procedere in collaborazione con il Consiglio superiore della magistratura e con il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, comunicandolo alle Camere, anche al fine di verificare la possibilità che la norma di cui all'articolo 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199, abbia una validità non limitata nel tempo e che, quindi, la sua efficacia vada oltre il 31 dicembre 2013;
ad informare tempestivamente il Parlamento in merito allo stato di attuazione del piano carceri relativamente agli interventi di edilizia penitenziaria, per i quali il commissario straordinario, in base agli articoli 17-ter e 17-quater del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010, può procedere in deroga alle ordinarie competenze;
ad affrontare, con urgenza e decisione, le cause dell'elevato numero di morti e di suicidi in carcere ed i fenomeni di autolesionismo e di violenza in genere.
(1-00615)
(Nuova formulazione) «Ferranti, Amici, Tidei, Melis, Miotto, Capano, Cavallaro, Ciriello, Concia, Cuperlo, Andrea Orlando, Picierno, Rossomando, Samperi, Tenaglia, Touadi, Rampi, Codurelli».
(11 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
il problema principale per l'amministrazione della giustizia italiana resta la lentezza del sistema giudiziario che, di fatto, impedisce al cittadino di fruire della giustizia quale servizio di un moderno Stato democratico;
nel campo del processo civile sono stati ottenuti risultati encomiabili: nel 1980, infatti, l'arretrato civile, già allora considerato grave, era pari a 1.394.826 procedimenti, nel 1990 cresceva a 2.414.050 e nel 2000 raggiungeva il traguardo di 4.896.281 procedimenti. Il 31 dicembre 2009 si avvicinava alla soglia dei 6 milioni, segnando il record assoluto di 5.826.440 di arretrato pendente;
dopo anni di costante, quanto inesorabile, aumento della pendenza dell'arretrato, gli uffici della statistica del Ministero della giustizia hanno registrato nel 2010 un risultato straordinario: il numero dei processi civili pendenti, nel giugno del 2010, è sceso del 4 per cento, arrivando a 5.600.616 rispetto al 2009, con una diminuzione pari a meno 223.824 procedimenti, cosa che finalmente marca una decisa inversione del trend negativo;
quest'inversione di tendenza rappresenta un risultato non occasionale che trova la sua spiegazione nella convergenza di almeno tre fattori positivi introdotti dal Governo Berlusconi: le riforme in materia di processo civile, la sempre più completa informatizzazione degli uffici giudiziari, le modifiche normative delle spese di giustizia, in particolar modo della disciplina del contributo unificato che ha abbattuto sensibilmente il numero delle opposizioni a sanzioni amministrative;
i risultati ottenuti in campo civile non sono paragonabili a quelli registrati nel campo penale, dove la lentezza del processo continua ad essere un problema irrisolto. Nel settore penale, infatti, i dati segnalano una stabilità della pendenza con un modesto decremento, poiché si passa da 3 milioni e 335 mila procedimenti pendenti al 31 dicembre 2009 a 3 milioni e 290 mila al 30 giugno 2010: segno evidente della necessità di una maggiore incisività degli interventi sul processo penale;
particolarmente grave continua ad essere la condizione di molti cittadini in attesa di giudizio: drammatica, in particolare, quella dei detenuti in attesa di giudizio;
in questo contesto va, comunque, rilevato un dato in costante aumento, la sopravvenienza, cioè, dei procedimenti penali iscritti presso le procure della Repubblica contro indagati noti per reati di competenza delle direzioni distrettuali antimafia; un dato che registra un incremento del 10,5 per cento: la dimostrazione dell'impegno di questo Governo nella costante azione di contrasto alla criminalità organizzata, un impegno che ha portato a risultati mai raggiunti fino ad ora. Ad oggi, con questo Governo si registra il più alto numero di detenuti sottoposti al regime di cui al 41-bis dalla sua introduzione nell'ordinamento giuridico, il più alto numero di provvedimenti ministeriali di riapplicazione del citato regime del 41-bis dopo l'avvenuto annullamento disposto in sede giudiziaria dai tribunali di sorveglianza, il più basso numero di provvedimenti ministeriali di revoca del 41-bis da parte del Ministro della giustizia;
con il IV Governo Berlusconi si registra, inoltre: il più alto numero di posti di magistrati messi a concorso in soli due anni (ben 713, cui si aggiungono i 253 magistrati già assunti nel 2010, per complessive 966 unità); il più alto numero di posti di agenti di polizia penitenziaria, ben 1.800, banditi in un solo concorso; il più alto numero di nuovi posti nelle strutture carcerarie, cioè 2.000 in due anni, equivalenti al numero di nuovi posti che erano stati istituiti nei dieci anni precedenti. Il tutto senza che la gestione del tragico record di presenza nelle carceri abbia indotto al ricorso di provvedimenti generalizzati di clemenza, che quando adottati, anche nel recente passato, si sono dimostrati del tutto inefficaci;
negli ultimi dodici mesi si sono registrati risultati significativi in materia di organizzazione dei servizi e di potenziamento del sistema carcerario, nonostante i tagli determinati a livello globale dalla contingente crisi economica sui bilanci di ciascuna amministrazione pubblica;
il 2010 ha segnato un decisivo avanzamento delle tre linee di intervento su cui si articola l'azione del Governo nella delicata materia della gestione delle carceri: la deflazione dei flussi d'ingresso nel sistema carcerario e le misure alternative alla detenzione, il piano di interventi di edilizia penitenziaria, la rideterminazione della pianta organica della polizia penitenziaria;
con l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 marzo 2010 è stato nominato il commissario delegato per l'esecuzione degli interventi di edilizia penitenziaria di cui al cosiddetto piano carceri. Il 30 giugno 2010 il comitato interministeriale, presieduto dal Ministro della giustizia, ha approvato il piano degli interventi che prevede la realizzazione di undici nuovi istituti carcerari e di venti nuovi padiglioni in ampliamento delle strutture carcerarie esistenti. Si è dato così avvio ad un intervento infrastrutturale senza precedenti nella storia della Repubblica, sia per l'entità degli investimenti - 675 milioni di euro - sia per la tempistica della loro esecuzione, cioè nell'arco di un triennio, sia per la portata strategica volta a soddisfare un fabbisogno carcerario pari a circa 9.150 posti, in esecuzione della sola prima parte del piano;
tra il mese di luglio 2010 ed il mese di gennaio del 2011 sono state concluse quattro intese istituzionali tra il commissario delegato, le regioni ed i comuni interessati, per un ammontare di intese che coprono circa il 75 per cento del volume complessivo degli investimenti previsti nel piano carceri. Tali intese consentono la realizzazione degli interventi carcerari con le deroghe e le varianti ai vigenti strumenti urbanistici che si rendono necessari, il tutto secondo tempistiche e procedure di massima celerità e snellezza, sempre nel rispetto del dialogo con le autorità locali ed i soggetti cui è affidata la tutela dei regimi vincolistici del territorio. Senza tale regime derogatorio sarebbe stato impossibile provvedere alla localizzazione dei nuovi interventi ed alle necessarie varianti propedeutiche all'esecuzione degli ampliamenti in tempi così straordinariamente ristretti;
al di là del piano carceri si è, comunque, continuato a lavorare. Nel 2010, sono stati portati a completamento i lavori di ristrutturazione e di costruzione dei nuovi padiglioni di diverse strutture carcerarie, si è lavorato e si continua a lavorare per garantire la creazione di nuovi posti e condizioni di vivibilità per i detenuti sempre migliori;
contemporaneamente si è agito sul piano della riprogettazione della pianta organica della polizia penitenziaria, sono stati portati a termine i concorsi pendenti e si è dato corso all'immissione dei vincitori in graduatoria nell'amministrazione penitenziaria;
con l'articolo 4 della legge n. 199 del 2010 è stata autorizzata l'assunzione di circa 1.800 unità di polizia penitenziaria a copertura dell'aumentato fabbisogno connesso al fisiologico avvicendamento ed all'apertura delle nuove strutture carcerarie. In coordinamento con tale disposizione è stato, altresì, favorito il finanziamento di progetti mirati al recupero dei ristretti, anche tramite l'attivazione di nuovi posti di lavoro presso le case circondariali;
si è poi cercato di aumentare l'impegno nella gestione delle misure di esecuzione penale esterna ed anche in questo caso l'azione del Governo pare dare buoni frutti: si registra, infatti, nel 2010 un incremento del 29,5 per cento rispetto al 2009, dei detenuti interessati da tale misura, incremento destinato ad un'ulteriore crescita per gli effetti della legge n. 199 del 2010;
in questo quadro vanno ricordati due importanti interventi legislativi: la legge n. 199 del 2010, nella parte in cui introduce nuove disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno, e il decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161, che attua una decisione quadro europea in materia di trasferimento delle persone condannate. L'Italia, va sottolineato, è il primo Stato ad avere dato attuazione a questo importante strumento di cooperazione giudiziaria, che consente di trasferire le persone condannate dall'Italia verso lo Stato membro di cittadinanza e viceversa per l'esecuzione delle pene detentive. Per la prima volta il trasferimento potrà avvenire senza un previo accordo con lo Stato estero di cittadinanza del condannato e senza il consenso della persona. Si realizza così un duplice obiettivo: da una parte, si consente al condannato di scontare la pena detentiva in un contesto, e cioè lo Stato di cittadinanza, che ne agevola il reinserimento sociale, familiare e lavorativo; dall'altra, insieme ad altre misure contenute nel piano carceri, si avvia a soluzione lo storico problema della tensione detentiva, riducendo il numero degli stranieri detenuti in Italia;
con specifico riferimento al personale penitenziario deve essere ricordato che, anche su tale fronte, il Governo si è attivato con più interventi. La legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)» facendo un'eccezione al generalizzato blocco del turnover, consente negli anni 2010, 2011 e 2012 l'assunzione di personale nel limite del contingente di quello cessato dal servizio nel corso dell'anno precedente. Inoltre, è stato firmato in data 4 dicembre 2010 il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di autorizzazione all'assunzione di 760 unità nel ruolo degli agenti e assistenti del Corpo di polizia penitenziaria relativa al cosiddetto turnover anno 2010 (cessazioni di personale anno 2009);
la legge 26 novembre 2010, n. 199, recante «Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno» che all'articolo 4, comma 1, lettera b) prevede: «l'adeguamento dell'organico del Corpo di polizia penitenziaria occorrente per fronteggiare la situazione emergenziale in atto. A tale ultimo fine e per assicurare, inoltre, la piena operatività dei relativi servizi, il Ministro della giustizia è autorizzato all'assunzione di personale nel ruolo degli agenti e assistenti del Corpo di polizia penitenziaria (...)». Già durante l'iter di approvazione della citata legge, al fine di accelerare i tempi per le necessarie procedure, sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale due concorsi per l'assunzione di 100 unità nel ruolo femminile e 500 unità nel ruolo maschile degli agenti ed assistenti del Corpo di polizia penitenziaria. Il numero dei posti di tali concorsi potrà essere modificato in ragione dell'individuazione e destinazione dei fondi di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b), della legge n. 199 del 2010;
relativamente, invece, agli assistenti sociali è stato richiesta dal dipartimento della funzione pubblica, per l'anno 2011, l'autorizzazione ad assumere, tramite procedure di mobilità da altre amministrazioni, 24 funzionari;
per quanto riguarda ancora l'implementazione delle misure alternative, si evidenzia che nel corso della presente legislatura sono state assunte specifiche iniziative legislative volte ad incentivarne il ricorso e a ridurre il tasso di carcerizzazione negli istituti di pena del Paese: si collocano all'interno di tale orientamento sia la legge 26 novembre 2010 n. 99, che il disegno di legge n. 3291-ter, ancora all'esame degli organi parlamentari;
per quanto riguarda, ancora, la legge n. 199 del 2010, questa prevede che, non oltre il 31 dicembre 2013, la pena detentiva non superiore a dodici mesi, anche se costituente parte residua di maggiore pena, è eseguita presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza. Si tratta di una misura a carattere transitorio prevista proprio per attenuare il sovraffollamento carcerario, tendente a favorire il reinserimento sociale ed applicabile quando non sussistono specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa allontanarsi dal domicilio dichiarato e commettere altri delitti;
il completamento dell'attuazione del piano carceri e la valorizzazione delle potenzialità offerte dalla legge n. 199 del 2010 in materia di detenzione domiciliare sono obiettivi fondamentali del Governo,

impegna il Governo:

a proseguire nell'attività intrapresa, dando seguito alla completa realizzazione dei nuovi istituti penitenziari ed alla programmata assunzione di nuovo personale;
a ridurre il sovraffollamento nelle carceri e migliorare le condizioni di vita dei ristretti;
a dare concreta attuazione ai principi costituzionali in materia di esecuzione della pena, sotto il profilo sia dell'umanizzazione, che della finalità rieducativa della stessa;
ad estendere la concreta applicazione del vigente principio di territorialità della pena, in modo da consentire ai detenuti - non connotati da un elevato grado di pericolosità - di conservare il patrimonio affettivo ed i legami familiari;
a favorire una migliore applicazione dei criteri di distinzione tra i detenuti, al fine di diversificare le offerte trattamentali approntate dall'amministrazione penitenziaria, in base all'effettiva pericolosità dei ristretti ed ai tempi di detenzione;
a realizzare nuovi e diversificati progetti socio-trattamentali per sviluppare le potenzialità lavorative e professionali dei detenuti e per incentivarne l'impiego in settori di interesse sociale, onde favorirne il reinserimento nella società civile a pena espiata;
ad assicurare la concreta attuazione del principio di effettività della pena anche attraverso lo sviluppo in ambito carcerario di più efficaci e moderni sistemi di controllo dei detenuti, anche al fine di agevolare il lavoro della polizia penitenziaria;
a realizzare luoghi di lavoro più consoni alla dignità dei dipendenti impegnati nell'esercizio delle diverse attività professionali all'interno degli istituti penitenziari;
ad incrementare la dotazione organica del personale di polizia penitenziaria, così da renderne meno gravosa l'attività lavorativa.
(1-00616)
«Costa, Lussana, Belcastro, Baldelli, Cassinelli, Nicola Molteni, Contento, Follegot, D'Ippolito Vitale, Isidori, Garagnani, Paolini, Ghedini, Girlanda, Holzmann, Paniz, Papa, Pittelli, Repetti, Mariarosaria Rossi, Scelli, Sisto, Torrisi, Vitali».
(11 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
il 12 gennaio 2010 l'Assemblea della Camera dei deputati aveva approvato 12 punti della mozione radicale sulle carceri che aveva ricevuto il sostegno di decine di deputati di maggioranza e di opposizione;
i 12 punti approvati impegnavano il Governo ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte ad attuare, con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento, una riforma davvero radicale in materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti, di esecuzione della pena e, più in generale, di trattamenti sanzionatori e rieducativi, che preveda:
a) la riduzione dei tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, nonché del potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale;
b) l'introduzione di meccanismi in grado di garantire una reale ed efficace protezione del principio di umanizzazione della pena e del suo fine rieducativo, assicurando al detenuto un'adeguata tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei suoi diritti;
c) il rafforzamento sia degli strumenti alternativi al carcere previsti dalla cosiddetta legge Gozzini, da applicare direttamente anche nella fase di cognizione, sia delle sanzioni penali alternative alla detenzione intramuraria, a partire dall'estensione dell'istituto della messa alla prova, previsto dall'ordinamento minorile, anche al procedimento penale ordinario;
d) l'applicazione della detenzione domiciliare, quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità, anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;
e) l'istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative degli extracomunitari, quale strumento per favorirne l'integrazione ed il reinserimento sociale e quindi per ridurre il rischio di recidiva;
f) la creazione di istituti «a custodia attenuata» per tossicodipendenti, realizzabili in tempi relativamente brevi anche ricorrendo a forme di convenzioni e intese con il settore privato e del volontariato che già si occupa dei soggetti in trattamento;
g) la piena attuazione del principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario, in modo da poter esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue tra quest'ultimo, i propri familiari e i servizi territoriali della regione di residenza;
h) l'adeguamento degli organici del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi, non solo per ciò che concerne la loro consistenza numerica, ma anche per ciò che riguarda la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare il reinserimento sociale dei detenuti;
i) il miglioramento del servizio sanitario penitenziario, dando seguito alla riforma della medicina penitenziaria già avviata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, in modo che la stessa possa trovare, finalmente, effettiva e concreta applicazione;
l) l'applicazione concreta della legge 22 giugno 2000, n. 193 (cosiddetta legge Smuraglia), anche incentivando la trasformazione degli istituti penitenziari, da meri contenitori di persone senza alcun impegno ed in condizioni di permanente inerzia, in soggetti economici capaci di stare sul mercato e, come tali, anche capaci di ritrovare sul mercato stesso le risorse necessarie per operare, riducendo gli oneri a carico dello Stato e, quindi, della collettività;
m) l'esclusione dal circuito carcerario delle donne con i loro bambini;
n) una forte spinta all'attività di valutazione e finanziamento dei progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, nonché di aiuti alle loro famiglie, prevista dalla legge istitutiva della Cassa delle ammende;
i punti approvati più di un anno fa sono ancora di stringente attualità, atteso che le condizioni nei penitenziari italiani sono addirittura peggiorate: essendo aumentato il numero dei detenuti che sono passati da 64.791 al 31 dicembre 2009 ai 67.600 del 31 marzo 2011; essendo drammaticamente permanente il numero delle morti in carcere e degli altri eventi critici, ivi compresi i tentati suicidi, gli atti di autolesionismo, le aggressioni al personale; permanendo la carenza di 6.000 unità nel corpo degli agenti di polizia penitenziaria; essendo stati tagliati di un ulteriore 30 per cento i già esegui fondi stanziati per il lavoro in carcere (mercedi), per la manutenzione ordinaria degli edifici, per il monte ore delle prestazioni degli psicologi, per i capitoli di spesa per i sussidi ai detenuti indigenti, per le dotazioni di generi per la pulizia personale e per la pulizia delle celle,

impegna il Governo:

a dare attuazione con urgenza agli impegni già assunti più di un anno fa con le mozioni approvate in data 12 gennaio 2010;
a rendere costantemente conto, anche rispondendo tempestivamente agli atti di sindacato ispettivo presentati, dell'attuazione degli impegni presi.
(1-00617)
«Bernardini, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti, Calvisi, Marrocu, Burtone, Baretta».
(12 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
la situazione in cui versano le carceri italiane, con un sovraffollamento di molto superiore alle soglie di tollerabilità di ogni singolo istituto, sono tali da rendere inaccettabili le condizioni di vivibilità per i detenuti mortificando lo stesso lavoro degli agenti della polizia penitenziaria;
la situazione nelle carceri è drammatica ed è precipitata, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, da quando sono state approvate due leggi: l'ex Cirielli, che vieta nel caso di reati minori pene alternative, e la Fini-Giovanardi, che aumenta le sanzioni per produzione, traffico, detenzione illecita e uso di sostanze stupefacenti: l'una e l'altra stanno alimentando il sovraffollamento;
la Costituzione italiana prescrive espressamente all'articolo 27 che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato;
i dati forniti dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria segnalano un'allarmante crescita media di oltre 500 reclusioni al mese, che hanno già determinato il superamento della capienza tollerabile di detenuti negli istituti di pena italiani: a fronte di una capienza regolamentare di poco più di 44.000 unità, i detenuti risultano essere oltre 68.000;
alla data del 20 marzo 2011, negli istituti penitenziari italiani (circuito per adulti) erano ristretti 67.318 detenuti (64.370 uomini e 2.948 donne) a fronte di una disponibilità reale di posti detentivi pari a 45.059. Un surplus di 22.259 detenuti in più rispetto alla massima capienza che determina un indice medio nazionale di affollamento pari al 54,2 per cento. In nove regioni italiane il tasso di affollamento varia dal 23 al 50 per cento, in dieci regioni dal 51 all'80 per cento e l'unica regione che non presenta (apparentemente) una situazione sovraffollata è il Trentino Alto Adige (ma il dato è condizionato dal sottoutilizzo del nuovo carcere di Trento). Capofila, per sovraffollamento, la Calabria (77,6 percento) seguita da Puglia (76,3 per cento), Emilia Romagna (73,7 per cento), Marche (72,1 percento) e Lombardia (65,9 per cento). L'istituto con il più alto tasso di affollamento si conferma Lamezia Terme (193,3 per cento), seguito da Busto Arsizio (164,7 per cento), Vicenza (155,5 per cento). Brescia Canton Mombello (152,5 per cento), Mistretta (137,5 per cento);
dal 1o gennaio al 20 marzo del 2011, si sono verificati 14 suicidi in cella;
nel fine settimana del 2 e 3 aprile 2011 ci sono stati quattro tentativi di suicidio (in tre casi il detenuto è morto). Dall'inizio dell'anno le vittime sono 37, di cui 15 per suicidio, 17 per cause naturali e 7 ancora da accertare, 12 gli stranieri. Altri casi: Giuseppe Uva morto nella caserma dei carabinieri di Varese per percosse, Niki Aprile Gatti morto nel carcere di Sollicciano (la famiglia non crede che si sia ucciso). Uno dei quattro tentativi di suicidio avvenuti nel citato fine settimana è quello di Carlo Saturnio, 22 anni, di Manduria, morto il 7 aprile 2011. Il giovane, detenuto per furto, era parte civile in un processo a Lecce contro 9 agenti del carcere minorile accusati di maltrattamenti e vessazioni su detenuti. Carlo aveva denunciato le sevizie subite all'età di 16 anni;
dal 1o gennaio al 20 marzo del 2011, in 91 istituti (sui 205 attivi) sono stati tentati 194 suicidi. I detenuti che debbono la vita a salvataggi in extremis da parte di poliziotti penitenziari assommano a 31. Il numero maggiore di tentati suicidi si è verificato a Venezia Santa Maria Maggiore (10) seguita da Como, Firenze Sollicciano e San Gimignano (7). In 134 istituti si sono verificati 1.025 episodi di autolesionismo. Il triste primato spetta a Lecce (54), seguita da Bologna e Firenze Sollicciano (33) nonché da Genova Marassi e dall'ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli (31). Ad aggravare il quadro complessivo concorrono i 59 episodi di aggressioni in danno di poliziotti penitenziari, che contano 39 unità ferite che hanno riportato lesioni giudicate guaribili oltre i sette giorni. A Genova Marassi il maggior numero di aggressioni ai baschi blu (6) seguita dall'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa e dagli ospedali psichiatrici giudiziari di Napoli e Como (5). Ma non mancano nemmeno le proteste. Dal 1o gennaio al 20 marzo 2011 le manifestazioni di protesta collettive, all'interno dei penitenziari, sono state 75. Gli scioperi della fame 1.153; i rifiuti delle terapie mediche 57; i rifiuti del vitto dell'amministrazione 217; gli atti di turbamento dell'ordine e della sicurezza 59. Questi numeri fotografano oltre ogni competente commento - aggiunge Sarno - la realtà che connota i nostri penitenziari, sempre più città fantasma confinate nelle retrovie dell'attenzione di chi è deputato ad analizzare e risolvere le grandi questioni sociali: i politici;
oltre a denunciare le condizioni di estremo degrado e decadenza degli istituti penitenziari, è d'obbligo rimarcare le conseguenze, dirette, che lo sfascio del sistema carcerario riversa sulla pubblica sicurezza;
la gravissima deficienza organica della polizia penitenziaria, stimata intorno alle 6.500 unità, non solo determina carichi di lavoro insostenibili e inaccettabili condizioni di lavoro, ma produce effetti devastanti per l'ordine pubblico. I cinque evasi, nelle ultime settimane (da Augusta, Voghera e Roma) testimoniano, in modo significativo e indicativo, questa eventualità. Non poter garantire, per penuria d'organico, adeguata sorveglianza ai detenuti ristretti (persino a quelli classificati «alta sicurezza») ed ai detenuti ricoverati nelle corsie ordinarie degli ospedali e non poter effettuare i servizi di traduzione in canoni di sicurezza è un grave vulnus per l'ordine pubblico;
da una denuncia contenuta in un report di Ristretti orizzonti, l'associazione che monitora la situazione delle carceri, risulta che: «Negli ultimi 10 anni il sistema penitenziario italiano è costato alle casse dello Stato circa 29 miliardi di euro. Dal 2007 al 2010 le spese sono state ridotte del 10 per cento, ma in modo diseguale. Il personale ha rinunciato al 5 per cento del budget, l'attività di rieducazione dei detenuti e la manutenzione delle strutture penitenziarie hanno avuto il 31 per cento in meno di fondi. Dal 2000 ad oggi il costo medio annuo del Dap è stato di 2 miliardi e mezzo. Il grosso della spesa (quasi l'80 per cento) paga i costi del personale»;
«Nel 2007 la spesa, pari a 3 miliardi e 95 milioni di euro, ha segnato il massimo storico. Nel 2010, per effetto dei tagli imposti dalle ultime leggi finanziarie, la spesa è risultata essere di 2 miliardi e 770 milioni di euro, in calo di circa il 10 per cento rispetto al 2007. Il 79,2 per cento dei costi nel decennio - spiega il report - sono stati assorbiti dai circa 48.000 dipendenti del Dap (polizia penitenziaria, amministrativi, dirigenti, educatori e altro), il 13 per cento dal mantenimento dei detenuti (corredo, vitto, cure sanitarie, istruzione, assistenza sociale e altro), il 4,4 per cento dalla manutenzione delle carceri e il 3,4 per cento dal loro funzionamento (energia elettrica, acqua e altro)». «L'incidenza del costo relativo al personale negli ultimi 4 anni è aumentata di ben 5 punti percentuali (dal 79,3 del 2007 all'84,3 per cento del 2010), quindi i sacrifici non si sono scaricati equamente sui diversi capitoli di spesa: al personale in 4 anni sono stati tolti 119.225.000 euro (circa il 5 per cento del budget a disposizione nel 2007), mentre nello stesso periodo le spese di mantenimento dei detenuti, di manutenzione e funzionamento delle carceri hanno subito una decurtazione di 205.775.000 euro, pari al 31,2 per cento»;
l'associazione spiega inoltre che «per quanto riguarda il costo medio giornaliero di ogni singolo detenuto, dal 2001 ad oggi il costo medio è stato di 138,7 euro. Questa cifra è determinata da due elementi: la somma a disposizione dell'amministrazione penitenziaria e il numero medio dei detenuti presenti in un dato anno. L'ammontare dei fondi stanziati non risulta collegato all'aumento della popolazione detenuta (tanto che dal 2007 ad oggi i detenuti sono aumentati del 50 per cento e le risorse del Dap sono diminuite del 10 per cento), quindi più persone ci sono in carcere e meno costerà il mantenimento di ciascuno di loro; così, mentre il sovraffollamento ha raggiunto livelli mai visti (in 30 mesi i detenuti sono aumentati di quasi 30 mila unità: dai 39.005 dell'1o gennaio 2007 ai 67.961 del 31 dicembre 2010), la spesa media giornaliera pro capite è scesa a 113 euro (nel 2007 era di 198,4 euro, nel 2008 di 152,1 euro e nel 2009 di 121,3 euro)»;
nel dettaglio, di questi 113 euro: 95,3 (pari all'84,3 per cento del totale) servono per pagare il personale; 7,36 (6,2 per cento del totale) sono spesi per il cibo, l'igiene, l'assistenza e l'istruzione dei detenuti; 5,60 (5,4 per cento del totale) per la manutenzione delle carceri; 4,74 (4,1 per cento del totale) per il funzionamento delle carceri (elettricità, acqua e altro). Escludendo i costi per il personale penitenziario e per l'assistenza sanitaria, che è diventata di competenza del Ministero della salute, nel 2010 la spesa complessiva per il mantenimento dei detenuti è pari a 321.691.037 euro, quindi ogni detenuto ha a disposizione beni e servizi per un ammontare di 13 euro al giorno;
tra le voci di spesa, i pasti rappresentano la maggiore (3,95 euro al giorno), seguita dai costi di funzionamento delle carceri (acqua, luce, energia elettrica, gas e telefoni, pulizia locali, riscaldamento e altro), pari a 3,6 euro al giorno, e dalle mercedi dei lavoranti (cioè i compensi per i detenuti addetti alle pulizie, alle cucine, alla manutenzione ordinaria e altro), che concorrono per 2,24 euro al giorno. «Al riguardo va detto che il fabbisogno stimato per il funzionamento dei cosiddetti servizi domestici sarebbe di 85 milioni all'anno, ma nel 2010 ne sono stati spesi soltanto 54: i pochi detenuti che lavorano si sono visti ridurre gli orari e, di conseguenza, nelle carceri domina la sporcizia e l'incuria», segnala il report;
per quanto riguarda la rieducazione, «la spesa risulta a livelli irrisori: nel trattamento della personalità ed assistenza psicologica vengono investiti 2,6 euro al mese, pari a 8 centesimi al giorno. Appena maggiore il costo sostenuto per le attività scolastiche, culturali, ricreative, sportive: 3,5 euro al mese, pari a 11 centesimi al giorno per ogni detenuto;
nella colpevole indifferenza del Governo la situazione nelle carceri italiane è diventata ormai insostenibile, sia per i detenuti che per la polizia penitenziaria e la protesta delle agenti donne di Rebibbia è la risposta drammatica ed estrema di chi si sente completamente abbandonato dallo Stato»;
il Ministro dell'interno e il Ministro della giustizia conoscono bene la gestione dei detenuti sottoposti al regime previsto dal 41-bis. Per legge, questa tipologia di detenuti dovrebbe essere sorvegliata dal reparto specializzato della polizia penitenziaria Gom (Gruppo operativo mobile). Ma in più di una struttura (Parma su tutte, a seguire Milano Opera, Novara e altre) i detenuti al 41-bis non sempre sono affidati al personale del Gruppo operativo mobile;
i dati che si registrano sull'aumento dei suicidi nelle carceri italiane parallelamente alla crescita del numero dei detenuti risultano particolarmente preoccupanti, tenuto conto che, solo dall'inizio del 2010, sono stati riscontrati alla data del 29 luglio 2010 39 casi di suicidio nelle strutture penitenziarie del Paese, come documentato dall'associazione Antigone e dal sito del Garante dei detenuti della Sicilia;
la carenza di fondi destinati al lavoro in istituto, legata al sovrannumero, comporta una oggettiva difficoltà nel favorire un percorso riabilitativo cosicché, nella maggioranza dei casi, la reclusione intramuraria risulta essere solo un'espiazione della pena, senza che si siano oggettivamente attivate significative iniziative di rieducazione e di reinserimento;
una rappresentanza della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, recandosi in visita presso alcuni istituti penitenziari della Sicilia, ha potuto riscontrare direttamente come la carenza di fondi abbia come effetto immediato la sostanziale impossibilità di favorire un percorso riabilitativo e come l'esiguità degli spazi costituisca una minaccia alla salute fisica e mentale dei detenuti, con il risultato che appena il 10-15 per cento dei reclusi, tra l'altro, è nelle condizioni di svolgere attività lavorativa;
la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti inumani o degradanti e altri atti internazionali firmati e ratificati dall'Italia stabiliscono il divieto assoluto di tortura e trattamento inumano;
la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha più volte condannato l'Italia per le condizioni in cui tiene il proprio sistema carcerario;
il Consiglio dei diritti umani di Ginevra, nell'ambito della procedura di verifica periodica universale cui nel 2010 è stata sottoposta l'Italia, con le sue raccomandazioni ha stigmatizzato il sistema carcerario italiano;
in Italia i magistrati di sorveglianza sono 178 (l'organico è di 204) e ogni magistrato deve occuparsi mediamente di 394 detenuti;
ogni detenuto presenta circa dieci domande l'anno (ricoveri, reclami, liberazioni anticipate, misure alternative ed altro) e ogni giudice di sorveglianza è costretto a portare avanti circa quattro mila procedimenti non potendo, così, esercitare le funzioni di controllo di legalità all'interno degli istituti penitenziari attraverso lo strumento delle ispezioni;
in Italia, contrariamente a quanto previsto in ben 22 Paesi membri dell'Unione europea (Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenai, Spagna, Svezia ed Ungheria), non esiste un organismo di controllo delle carceri e degli altri luoghi di privazione della libertà deputato a svolgere attività di protezione dei diritti delle persone ristrette;
la raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei Ministri degli Stati membri sulle regole penitenziarie europee (adottata l'11 gennaio 2006 nel corso di una riunione dei delegati dei Ministri) ha stabilito che le condizioni di alloggio dei detenuti devono soddisfare misure di sicurezza compatibili (tra l'altro) col rischio che i detenuti si feriscano;
la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito, in virtù di quanto previsto dall'articolo 3 della Convenzione (che sancisce in termini assoluti il divieto di tortura, pene o trattamenti disumani o degradanti), che lo Stato deve assicurarsi che ogni prigioniero sia detenuto nelle condizioni che sono compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione del provvedimento non espongano l'interessato a pericoli o a prove di un'intensità che eccedano il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, avuto riguardo alle esigenze pratiche della detenzione, la salute e il benessere del prigioniero siano assicurati in modo adeguato,

impegna il Governo:

a convocare tempestivamente i sindacati di polizia penitenziaria e le rappresentanze di tutto il personale penitenziario al fine di un confronto concreto e costruttivo sulle problematiche delle carceri in Italia e degli operatori;

ad informare semestralmente il Parlamento sugli esiti del progetto di recupero e di razionalizzazione delle risorse umane esistenti, con particolare riferimento ai processi di rafforzamento delle motivazioni professionali e lavorative;
ad incrementare la dotazione organica del personale di polizia penitenziaria, così da renderne più efficiente e meno pesante l'attività lavorativa;
a valutare ogni iniziativa volta all'assunzione di educatori penitenziari;
ad incoraggiare un significativo miglioramento della qualità di preparazione del personale penitenziario adibito alla custodia, attraverso processi di formazione che non si fermino alla fase iniziale di impiego ma accompagnino l'operatore lungo l'intera sua attività lavorativa e che abbiano tra i propri obiettivi quello di formare in merito ai diritti umani e ai meccanismi di prevenzione delle loro violazioni, nonché ai percorsi di reinserimento sociale delle persone detenute;
in relazione all'esperienza europea degli ultimi anni, ad adottare iniziative per l'attivazione di organismi indipendenti di nomina parlamentare che abbiano poteri informali di visita e controllo dei luoghi di detenzione, e in ogni caso poteri idonei a promuovere concretamente attività di prevenzione e soluzione dei conflitti;
a valutare l'adozione di iniziative normative volte a migliorare e tutelare la dignità personale dei detenuti e le condizioni di lavoro di tutto il personale che vi opera, nel pieno rispetto del dettato costituzionale, nonché delle disposizioni dei numerosi atti internazionali sottoscritti dall'Italia.
(1-00618)
«Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Palomba, Di Stanislao, Paladini, Monai».
(12 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
la condizione delle carceri italiane ha raggiunto livelli di sovraffollamento non più tollerabili. Secondo i dati del rapporto Eurispes, che richiama i dati del Ministero della giustizia, il numero complessivo dei detenuti presenti negli istituti di pena alla fine del 2010 era pari a 67.961, a fronte di una capienza massima pari a 45.022 condannati. Ne deriva che attualmente nelle carceri italiane vi sono 22.939 detenuti in più rispetto a quelli regolarmente previsti;
l'analisi dei dati regionali mostra nel dettaglio una situazione drammatica: la condizione peggiore sembra spettare alla Puglia, dove la popolazione carceraria è pari a 4.755 presenze, rispetto alle 2.528 regolamentari; ovvero ogni 100 posti, vi sarebbero 88 detenuti in esubero. In Emilia-Romagna l'eccedenza è pari a 83 unità. In Sardegna la situazione sembra migliorare, dal momento che nei 12 istituti esistenti sono presenti 2.217 reclusi, a fronte dei 1.970 previsti regolarmente. La situazione migliore sembra essere quella del Trentino-Alto Adige, che registra 405 presenze rispetto alle 394 consentite;
in questa situazione il rischio concreto della diffusione di infezioni e malattie tende ad aumentare, proprio perché vengono a mancare quelle condizioni minime di salute e di prevenzione che dovrebbero essere garantite a tutti i detenuti, ma che in presenza di dati così drammatici diventa impossibile assicurare. Il rapporto Eurispes, infatti, registra, oltre alla presenza di patologie da sempre prevalenti, quali epatite b, c e aids, anche la riemersione di quelle che sembravano ormai superate, come la tubercolosi;
pertanto, la condizione delle strutture penitenziarie, oltre a determinare un peggioramento delle condizioni di vita dei detenuti, produce evidenti effetti negativi dal punto di vista della tutela dei diritti degli stessi reclusi. Sul punto è intervenuta la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha condannato l'Italia per violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti, a seguito del ricorso presentato da uno straniero detenuto nel carcere di Rebibbia, dove, con altre cinque persone, ha condiviso per tre mesi una cella, avendo ciascuno uno spazio a disposizione di 2,7 metri quadri. Il Comitato per la prevenzione della tortura, istituito dal Consiglio d'Europa, ha fissato in 7 metri quadri lo spazio minimo per detenuto. La mancanza evidente di tale spazio personale, secondo la Corte, costituisce violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu), relativo al divieto di trattamenti inumani e degradanti;
secondo lo studio effettuato dall'associazione «Ristretti orizzonti», vi è una forte relazione tra il tasso di sovraffollamento e l'elevato numero di persone che hanno deciso di togliersi la vita in carcere. Nel 2009 sono state 72 le persone che volontariamente si sono tolte la vita su un totale di 177 persone morte in carcere. Nel 2010, invece, i casi di suicidio sono stati 66, su 173 decessi complessivi; secondo i sindacati di polizia penitenziaria dal 1o gennaio al 20 marzo del 2011, si sono avuti 14 suicidi in carcere. Nello stesso periodo in 91 istituti, sui 205 attivi, sono stati tentati 194 suicidi; in 134 istituti si sono verificati 1.025 episodi di autolesionismo; le manifestazioni di protesta collettive, all'interno dei penitenziari, sono state 75; si sono avuti 1.153 scioperi della fame, 57 rifiuti delle terapie mediche, 217 rifiuti del vitto dell'amministrazione, 59 atti di turbamento dell'ordine e della sicurezza;
se si analizza la composizione della popolazione carceraria, si osserva che un terzo è composto da detenuti stranieri, circa 24.829; 1.300 circa sono reclusi solo per non aver eseguito l'ordine di espulsione; un altro terzo, pari a circa 26.277 detenuti, è costituito da tossicodipendenti, che insieme agli psichiatrici e agli autori dei cosiddetti reati di strada, rappresentano le categorie più comuni presenti nelle strutture carcerarie;
la situazione delle carceri è resa esplosiva anche per effetto della normativa adottata in materia di droga e di immigrazione, oltre alle disposizioni sui recidivi e sulle aggravanti dettate dalla «legge Cirielli» e dai «pacchetti-sicurezza»; se nel 2008 il numero dei detenuti era pari a 58.127 unità, la politica sulla sicurezza adottata dal Governo ha prodotto un aumento del numero dei detenuti di 10 mila persone, a fronte del successivo fallimento della cosiddetta normativa «svuota carceri», che ha concesso la detenzione domiciliare soltanto a 1.788 detenuti;
le condizioni di degrado nelle quali versano gli istituti penitenziari dipendono anche dalla mancanza di risorse a disposizione, alla luce degli effetti prodotti dai tagli delle diverse leggi finanziarie: nel 2007 lo stanziamento previsto per la gestione dell'intero sistema carcerario era pari a 3.095.506.362 euro, mentre nel 2010 le risorse disponibili sono state di appena 2.770.841.742 euro; ancora, nel 2007 la spesa media pro capite è stata calcolata in 198,4 euro per 44.587 soggetti detenuti, alla fine del 2010, invece, il costo medio giornaliero è stato calcolato in 113,04 euro, a fronte di un aumento della popolazione detenuta di 22.569 unità. Si calcola che il sistema carcerario nel suo complesso sia costato 29 miliardi di euro negli ultimi dieci anni, mentre la manutenzione e le diverse attività di rieducazione hanno subito una contrazione pari al 31 per cento delle risorse;
un ulteriore elemento che incide fortemente sul sistema carcerario italiano è rappresentato dalla grave carenza di organico della polizia penitenziaria, che, secondo i dati dei sindacati, è stimato intorno alle 6.500 unità, con gravissime conseguenze sia per i carichi di lavoro, sia per le condizioni nelle quali gli agenti penitenziari si trovano costretti ad operare, sia per le ripercussioni sull'ordine pubblico;
un tale sistema carcerario rappresenta un ostacolo al recupero dei detenuti e impedisce la funzione rieducativa e di riabilitazione della pena, così come invece previsto dall'articolo 27 della Costituzione,

impegna il Governo:

a dare seguito al cosiddetto «piano carceri» per la costruzione di nuove strutture penitenziarie, al fine di risolvere la questione del sovraffollamento degli istituti, garantendo apertura e massima trasparenza nella gestione di tutte le procedure di spesa;
a prevedere misure finalizzate a prevenire la questione del sovraffollamento carcerario, anche attraverso la promozione di norme volte a garantire una più immediata accessibilità alle pene alternative alla detenzione, la riduzione delle pene previste per reati di minore entità, la limitazione del ricorso alla custodia cautelare in carcere e la previsione di criteri più agevoli per la conversione delle pene detentive in pene pecuniarie;
a predisporre le misure necessarie per adeguare l'organico del personale di polizia penitenziaria e del personale addetto all'assistenza, anche attraverso la promozione di attività formative specifiche, per cercare di arginare la situazione di emergenza nella quale si trovano le strutture penitenziarie italiane nell'attesa di una definitiva soluzione.
(1-00619)
«Mosella, Tabacci, Lanzillotta, Pisicchio, Vernetti, Brugger».
(12 aprile 2011)



MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER GARANTIRE LA TRASPARENZA DELLE INFORMAZIONI RELATIVE ALL'AIUTO PUBBLICO ALLO SVILUPPO



La Camera,
premesso che:
uno degli impegni sottoscritti da tutti i donatori nel 2008 al III Forum di alto livello sull'efficacia dell'aiuto allo sviluppo è quello di garantire la massima accessibilità alle informazioni relative all'aiuto stesso e la massima trasparenza del medesimo, che consentirebbe ai Governi una maggiore capacità di programmazione, ai Parlamenti di esercitare uno scrutinio più puntuale e alle comunità e ai cittadini dei Paesi partner di effettuare un controllo capillare locale, vale a dire uno dei migliori antidoti alla corruzione;
un primo studio della Princenton university ha finalmente presentato i primi risultati statisticamente solidi del rapporto tra trasparenza degli aiuti che un Paese riceve e il livello interno di corruzione, confermando l'ipotesi iniziale: maggiori sono le informazioni disponibili sugli aiuti per il Paese, minore è il livello generale di corruzione. L'analisi ha potuto anche sostenere che una riduzione significativa delle informazioni porta a un deterioramento dei livelli di corruzione del Paese;
per dare seguito all'impegno sull'efficacia dell'aiuto, molti donatori si sono uniti per dare vita alla Iniziativa internazionale per la trasparenza dell'aiuto (international aid transparency Initiative - Iati) che ha lo scopo di garantire la massima accessibilità in tempo reale alle iniziative di aiuto allo sviluppo finanziate dai donatori con l'ambizione di avere certamente, come punto di riferimento, l'esperienza del database del Dac-Ocse (Development assistance committee), ma anche di superarne alcuni dei limiti attuali: il ritardo nella pubblicazione dei dati (con una media di oltre un anno di ritardo), la mancanza di dettagli sui risultati dei programmi e i pochi dettagli geografici che impediscono di situare correttamente le iniziative di sviluppo nei Paesi partner;
l'Italia non ha preso alcuna posizione sulla sua partecipazione o meno a questa Iniziativa internazionale per la trasparenza dell'aiuto;
i Governi di natura liberal-conservatore inglese e svedese hanno annunciato una politica di piena e aperta divulgazione della documentazione per tutti gli interventi di cooperazione allo sviluppo, che saranno tutti disponibili on line appena effettuata l'approvazione degli interventi;
negli ultimi tre anni era migliorata la trasparenza e l'accessibilità delle informazioni per la cooperazione della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs) del Ministero degli affari esteri, mentre le informazioni delle attività di cooperazione gestite dal Ministero dell'economia e delle finanze erano e sono ancora affidate esclusivamente alla relazione annuale al Parlamento che è resa disponibile dopo più di due anni. In entrambi i casi, le informazioni sono disponibili generalmente solo in italiano e ciò ne pregiudica la fruibilità nei Paesi partner;
dall'inizio del 2010, l'interruzione della pubblicazione dei bollettini elettronici della cooperazione ha quasi azzerato gli sforzi fatti in precedenza per aumentare la trasparenza della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo; le informazioni pubblicate in precedenza sui bollettini non riportavano una descrizione dettagliata dell'iniziativa e soprattutto non permettevano alcuna ricerca;
in termini di accuratezza della reportistica internazionale, solo lo 0,6 per cento delle iniziative d'aiuto italiane non è classificato per settore, collocando il nostro Paese al quinto posto in termini di accuratezza. Tuttavia, la stessa attenzione non si presta quando si tratta di notificare l'aiuto legato. Il Development assistance committee rivela, infatti, che il 10 per cento delle iniziative italiane non sono valutate rispetto al criterio dello slegamento: un risultato tra i peggiori fra i 23 membri del Development assistance committee, secondo solo a Giappone e Germania. Secondo una recente valutazione sulla trasparenza basata sulla completezza della reportistica, l'Italia risulta penultima, prima del Portogallo, tra tutti i donatori bilaterali e multilaterali;
«Publish what you fund», la campagna della società civile per una maggiore trasparenza dell'aiuto, ha recentemente pubblicato il primo indice di trasparenza dei donatori (Paesi Ocse, agenzie delle Nazioni Unite e banche multilaterali di sviluppo). La valutazione sulla trasparenza si basa su tre criteri: impegno a garantire la trasparenza (intesa soprattutto come quantità delle informazioni disponibili nei database), trasparenza e comunicazione delle informazioni ai Paesi partner e reattività alle richieste d'informazioni o chiarimenti da parte degli utenti dei loro siti web;
la classifica complessiva sulla trasparenza dei donatori vede in testa la Banca mondiale e in coda il Giappone, in trentesima posizione. L'Italia occupa la ventisettesima posizione. Il nostro Paese è soprattutto penalizzato dalla difficoltà di trasmettere ai Governi partner informazioni sui futuri piani di spesa (complice un ciclo di bilancio per la cooperazione solo annuale che è soggetto a tagli continui e spesso imprevedibili) e dalla limitata reattività di risposta alle domande di chiarimento;
per rispondere alla crescente pressione dell'opinione pubblica globale sui risultati concreti che l'aiuto ha conseguito, i Paesi donatori finanziariamente più impegnati hanno creato unità di valutazione sistematica dell'impatto degli interventi. Ad esempio, la cooperazione danese ha una struttura di valutazione separata dall'Agenzia che esegue gli interventi di cooperazione, con uno staff di otto persone e un bilancio di 3 milioni di dollari l'anno. In altri casi si sono avviate vere campagne di comunicazione pubblica di massa per dimostrare che l'investimento di denaro pubblico ha prodotto risultati, come nel caso inglese con la campagna «UK Aid works»;
per l'Italia, dal 2002 non è stata prodotta alcuna valutazione sistematica diffusa pubblicamente. Un'unità di valutazione è stata ricostituita nel 2008 e ha approvato un piano di lavoro annuale dotato di un bilancio. Una valutazione è stata conclusa - ma non ancora caricata sul sito della cooperazione allo sviluppo - ma fino a oggi la citata unità non è stata dotata di un proprio bilancio che le garantisse l'effettiva operatività;
l'articolo 36 della legge di disciplina della cooperazione allo sviluppo (legge n. 49 del 1987) prevede che sia istituita presso la direzione generale per la cooperazione allo sviluppo una banca dati in cui siano inseriti tutti i contratti, le iniziative, i programmi connessi con l'attività di cooperazione disciplinata dalla presente legge e la relativa documentazione e stabilisce che l'accesso alla banca dati sia pubblico. Ad oggi nessuna banca dati è accessibile on line,

impegna il Governo:

a pubblicare on line in un unico sito tutte le valutazioni prodotte dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, le relazioni del dipartimento del tesoro relativamente all'azione verso banche e fondi di sviluppo e i documenti strategici come le programmazioni pluriennali per Paese (stream);
a pubblicare on line, contestualmente alla loro approvazione, tutte le iniziative di cooperazione allo sviluppo, rendendo pubbliche le informazioni che sono contenute sul sistema informatico della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo per l'approvazione delle iniziative - il «sistema SIC 99 (sistema informativo della cooperazione)»;
ad aderire all'Iniziativa internazionale per la trasparenza dell'aiuto (Iati).
(1-00391)
(Nuova formulazione) «Di Pietro, Evangelisti, Donadi, Borghesi, Leoluca Orlando, Di Stanislao».
(17 giugno 2010)

La Camera,
premesso che:
nel settembre 2008 tutti i donatori a livello globale, in occasione del III Forum di alto livello sull'efficacia degli aiuti atti a favorire il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, svoltosi ad Accra, in Ghana, hanno lanciato un'importante iniziativa per la trasparenza degli aiuti internazionali allo sviluppo - l'international aid transparency Initiative (Iati) - nella convinzione di una relazione cruciale fra l'aumento dell'efficienza e dell'efficacia degli aiuti e la trasparenza accompagnata da una maggiore responsabilità nell'uso delle risorse pubbliche (agenda d'azione di Accra);
tale iniziativa, che riunisce i donatori, i Paesi partner e le organizzazioni della società civile, mira a rendere pubbliche le informazioni sul flusso degli aiuti allo sviluppo, anche al fine di pervenire al rispetto di standard comuni, di regole condivise e comparabili, rendere trasparenti i flussi di aiuti e massimizzare l'impatto delle risorse;
in seguito a consultazioni avvenute con i paesi partner e le organizzazioni della società civile, l'international aid transparency Initiative ha elaborato un codice di condotta, volto a rendere accessibili e pubbliche le informazioni circa il flusso di aiuti e di attività, ad aiutare i Governi dei Paesi in via di sviluppo e a migliorare la loro pianificazione; si tratta di una serie di prescrizioni comprensive di dettagli sugli aiuti di ciascun Paese, sui costi dei singoli progetti, sui loro obiettivi e su tutte le altre informazioni in materia di aiuti;
nel febbraio 2009, 16 donatori hanno firmato l'international aid transparency Iniziative: Paesi Bassi, Germania, Australia, Nuova Zelanda, Spagna, Norvegia, Finlandia, Irlanda, Svezia, Danimarca, la Commissione europea, la Banca mondiale, la United nations development programme (Undp), la fondazione Hewlett, la Gavi Alliance e il Regno Unito. Molti Paesi non hanno ancora aderito a questa importante iniziativa (sono solo 8 i Paesi membri dell'Unione europea aderenti) e anche l'Italia manca all'appello, non avendo ancora espresso alcuna posizione circa la sua adesione;
negli ultimi anni anche l'Unione europea si è impegnata in una riforma degli strumenti di finanziamento, sulla base dei principi stabiliti prima dalla Dichiarazione di Parigi sull'efficacia degli aiuti (2005) e in seguito dall'agenda per l'azione di Accra (2008), ponendo al centro delle sue sfide anche quello di rendere trasparenti gli aiuti, in particolare gli aiuti comunitari. In tale direzione la Commissione europea sta predisponendo un documento di lavoro su trasparenza e responsabilità, anche in vista del IV Forum ad alto livello sull'efficacia degli aiuti, che si svolgerà dal 29 novembre al 1o dicembre 2011 in Corea;
aumentare l'accessibilità e la disponibilità delle informazioni relative alla cooperazione allo sviluppo è un importante obiettivo che tutti gli Stati dovrebbero concretamente perseguire, in quanto ciò consentirebbe di operare un maggior controllo sul flussi degli aiuti, una maggiore capacità di programmazione, sia in riferimento ai settori di intervento che alle priorità, ma soprattutto incoraggerebbe i soggetti donatori a una maggiore responsabilità, con ricadute importanti sul piano della trasparenza, elemento che concorre a monitorare e a prevenire fenomeni distorsivi e corruttivi;
il tema è particolarmente nevralgico nell'attuale situazione di crisi globale economico-finanziaria che rende difficile per molti paesi, e in particolare per l'Italia, il mantenimento di un adeguato investimento pubblico per gli aiuti allo sviluppo. La trasparenza sulla spesa è fondamentale per una risposta convincente e necessaria a mantenere il sostegno pubblico alla cooperazione internazionale e per assicurare una maggiore consapevolezza da parte delle opinioni pubbliche e delle organizzazioni della società civile circa i risultati degli aiuti;
la massima accessibilità alle iniziative finanziate dai donatori e la trasparenza degli aiuti allo sviluppo risulta poi di particolare rilevanza, laddove emerge uno specifico rapporto fra modalità di aiuto e corruzione, con particolare riferimento agli aiuti che potrebbero distorcere l'impatto sullo sviluppo, incoraggiando, anche indirettamente, la propensione da parte dei Governi a usare i finanziamenti come diretto sostegno di bilancio, con conseguente diffusione di una bassa responsabilità e una maggiore dipendenza per gli aiuti forniti dall'alto. Una più efficace trasparenza sui dettagli dei programmi e sui risultati degli aiuti, dunque, contribuirebbe anche a superarne i limiti attuali;
in Italia, purtroppo, alcuni sforzi compiuti dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero per gli affari esteri, volti ad aumentare la trasparenza, a produrre una sistematica valutazione dell'impatto degli interventi e a predisporre una pubblicazione accessibile all'opinione pubblica, risultano fortemente insufficienti, anche a causa dei tagli di bilancio operati con le ultime manovre finanziarie. Secondo una recente valutazione della trasparenza, basata sulla completezza della reportistica, l'Italia risulta classificata come penultima, prima del Portogallo, fra tutti i donatori bilaterali e multilaterali;
le informazioni delle attività di cooperazione gestite dal Ministero dell'economia e delle finanze risultano ancora più fortemente inadeguate, essendo affidate esclusivamente a una relazione annuale al Parlamento che giunge costantemente in ritardo, dopo due anni. Ad aggravare la situazione dal punto di vista della scarsa accessibilità e della scarsa trasparenza dei flussi informativi si aggiunge un altro elemento non secondario, ossia le informazioni risultano solo nella lingua italiana, precludendo così agli altri Paesi partner di poter fruire facilmente della pubblicazione dei dati,

impegna il Governo:

ad aderire tempestivamente all'iniziativa lanciata dall'international aid transparency Initiative (Iati) per la trasparenza dell'aiuto allo sviluppo;
a migliorare la trasparenza dell'aiuto pubblico italiano, mediante la predisposizione da parte del Ministero degli affari esteri e del Ministero dell'economia e delle finanze, di una sistematica informazione e pubblicazione on line, di tutti i documenti sulla cooperazione allo sviluppo, comprensivi dei dati disponibili presso la direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, con le relative previsioni di spesa qualora disponibili, delle risorse impegnate e di quelle effettivamente erogate, nonché della misura dei relativi residui e delle informazioni concernenti prestiti, aiuti condizionati alla fornitura di beni e servizi italiani e accordi bilaterali concordati dal nostro Paese;
a prevedere uno specifico accantonamento di risorse, nell'ambito dello stato di previsione del Ministero degli affari esteri, per la concreta realizzazione di una pianificazione da parte della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, in grado di garantire un'effettiva operatività in tema di trasparenza e accessibilità delle informazioni sull'aiuto allo sviluppo;
a favorire, anche in vista del IV Forum ad alto livello sull'efficacia degli aiuti previsto per l'autunno 2011 in Corea del Sud, tutte le iniziative volte a promuovere un consenso globale per la trasparenza degli aiuti, nonché ad intraprendere ogni iniziativa utile affinché l'Unione europea assuma un ruolo guida per l'attuazione dell'agenda d'azione di Accra, con particolare riferimento all'impegno a rendere effettiva la produzione e la divulgazione al pubblico di una completa, tempestiva e regolare informazione sugli aiuti, comprensiva di tutte le condizioni relative alle erogazioni, per la verifica sia delle compatibilità con i sistemi dei Paesi beneficiari sia per una valutazione del loro impatto sulla dimensione dello sviluppo.
(1-00621)
«Tempestini, Barbi, Maran, Amici, Fluvi, Narducci, Colombo, Corsini, Losacco, Pistelli, Porta, Touadi, Mogherini Rebesani».
(18 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
i dati preliminari sullo stato dell'aiuto pubblico dell'Italia allo sviluppo, comunicati dall'Ocse, sono la dimostrazione del drammatico stato in cui versa la cooperazione allo sviluppo nel nostro Paese. L'aiuto italiano, stando ai dati forniti dall'Ocse/Dac, sarebbe sceso dallo 0,16 per cento allo 0,15 per cento del Prodotto interno lordo, con una contrazione in termini reali rispetto al 2009 dell'1,5 per cento, ma del 35 per cento rispetto al 2008;
rispetto ad una media dell'Unione europea del 6,7 per cento, l'Italia si conferma fanalino di coda dei Paesi dell'Unione europea al pari di Belgio e Danimarca, ma addirittura dopo la Grecia che, nonostante le difficoltà nella tenuta dei conti pubblici, continua a destinare lo 0,17 per cento del prodotto interno lordo all'aiuto pubblico allo sviluppo;
nonostante la crisi economica sono pochi i Paesi dell'Ocse che hanno tagliato gli aiuti: oltre all'Italia sono stati la Grecia, l'Irlanda e la Spagna, ma, a parte la Grecia, gli altri due Paesi destinano rispettivamente lo 0,53 per cento e lo 0,43 per cento del loro prodotto interno lordo all'aiuto pubblico allo sviluppo;
la scelta del Governo italiano potrebbe determinare un forte ridimensionamento della credibilità europea in materia di cooperazione allo sviluppo, nonostante gli sforzi di quei Paesi dell'Unione europea che hanno incrementato la quota di aiuti e di quelli che, nonostante la crisi economica, hanno mantenuto i livelli degli anni precedenti;
gli impegni presi dal nostro Paese, insieme a tutta la comunità internazionale, in occasione del G8 di Gleneagles del 2005, rischiano di essere compromessi se, come già affermato dall'Ocse, non vi saranno piani specifici che possano garantire l'allocazione delle risorse promesse per l'aiuto pubblico allo sviluppo;
è da rilevare che, dello 0,15 per cento del prodotto interno lordo italiano per l'aiuto allo sviluppo, lo 0,11 per cento è gestito dal Ministero dell'economia e delle finanze, ma non è dato di sapere come vengono gestite queste risorse (le informazioni delle attività di cooperazione gestite dal Ministero dell'economia e delle finanze sono ancora affidate esclusivamente alla relazione annuale al Parlamento, che è resa disponibile dopo più di due anni); inoltre, malgrado promesse e rassicurazioni, continuano i ritardi nei pagamenti dei progetti in corso alle organizzazioni non governative;
oltre alla scarsità delle risorse esiste un problema di trasparenza ed efficacia della spesa e degli aiuti ai Paesi poveri;
con la Dichiarazione di Parigi del marzo 2005 sull'efficacia dell'aiuto, 88 Paesi e 40 organizzazioni e partner internazionali hanno convenuto su cinque concetti chiave: rafforzare la leadership dei Paesi in via di sviluppo che devono decidere le proprie strategie di sviluppo e gestire le proprie risorse; allineare gli interventi dei Paesi donatori alle strategie nazionali di sviluppo elaborate dai Paesi beneficiari; lavorare insieme per intensificare l'efficacia degli aiuti; focalizzare i risultati dello sviluppo; donatori e Paesi in via di sviluppo sono responsabili l'un l'altro, nonché davanti alla popolazione, per i risultati ottenuti;
l'Unione africana ritiene che la corruzione costi alle economie africane oltre il 25 per cento del prodotto interno lordo annuo dell'Africa, ma per poter affrontare il problema della corruzione è necessario creare capacità nelle istituzioni centrali e locali per lottare contro la corruzione, in particolare alla luce della crescita dell'aiuto concesso sotto forma di aiuto di bilancio;
per rendere efficace l'aiuto, affinché generi cambiamenti concreti nella vita dei Paesi poveri, è necessario che esso risponda alle priorità delle strategie di lotta alla povertà dei Paesi partner e che sia gestito e controllato dalle istituzioni dei Paesi partner, garantendo comunque il continuo controllo dei cittadini. L'aiuto deve anche rafforzare il ruolo di controllo della società civile dei Paesi partner;
nonostante alcuni progressi, si riconosce che i risultati europei sono ancora insufficienti: l'aiuto degli Stati europei è poco trasparente, dà poca importanza ai gruppi delle donne con troppe condizioni non negoziabili e l'obiettivo principale di alcune iniziative d'aiuto è spesso non indirizzato alla lotta alla povertà;
nel dicembre 2010 il Ministro britannico per lo sviluppo internazionale (Dfid), Andrew Mitchell, ha esortato l'Unione europea ad adottare la Garanzia per la trasparenza degli aiuti, organismo fondato dal Regno Unito che impegna i Paesi partecipanti a fornire informazioni sui flussi degli aiuti e incoraggerà i partner internazionali ad aderirvi;
secondo il Ministro inglese occorre fornire una visione chiara e trasparente della spesa sugli aiuti, «in modo che ai contribuenti sia garantito come viene speso il loro denaro (...). L'Unione europea ha portato avanti molti progetti di successo, ma, in tempi di difficoltà economiche, è importante che i contribuenti del continente possano vedere la differenza reale nell'aiuto ai più poveri portata dai loro soldi»;
nonostante gli sforzi fatti per aumentare la trasparenza della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, si registra l'interruzione della pubblicazione dei bollettini elettronici della cooperazione dall'inizio del 2010 e il blocco dell'aggiornamento delle delibere elettroniche,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative per un immediato reintegro della quota di risorse da destinare ai Paesi poveri e ad aumentare la percentuale di aiuto pubblico allo sviluppo destinata alle organizzazioni non governative, riallinenadosi alla media degli altri donatori;
a fornire un'informazione più rapida e puntuale delle decisioni e dei finanziamenti definiti dal Ministero dell'economia e delle finanze in tema di aiuto pubblico allo sviluppo;
a promuovere l'approvazione della proposta della Commissione europea per l'introduzione di un meccanismo di monitoraggio tra Stati membri relativamente all'aiuto pubblico allo sviluppo;
ad accelerare, così come richiesto dalle organizzazioni non governative, la messa in opera delle riforme necessarie a garantire una maggiore efficacia degli aiuti, pubblicando annualmente i dati relativi ai progressi fatti, in particolare su: diritti delle donne (considerare l'uguaglianza di genere centrale per l'azione di cooperazione allo sviluppo); trasparenza (aumentare l'accessibilità e la disponibilità delle informazioni relative alla cooperazione allo sviluppo); aiuti vincolati e gare d'appalto (non condizionare la concessione di aiuti alla fornitura di beni o servizi del Paese donatore, favorire l'acquisto locale nel Paese partner e l'utilizzo della normativa d'appalto nazionale); destinazione dell'aiuto (assicurarsi che ogni iniziativa di aiuto sostenga la riduzione della povertà e non la promozione di interessi commerciali del donatore);
a partecipare all'Iniziativa internazionale per la trasparenza dell'aiuto (international aid transparency Initiative - Iati);
a riferire al Parlamento sullo stato di attuazione e di partecipazione dell'Italia agli obiettivi del millennio delle Nazioni Unite.
(1-00623)
«Pezzotta, Adornato, Volontè, Galletti, Compagnon, Ciccanti, Naro».
(18 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
l'agenda internazionale dell'efficacia degli aiuti trova nella trasparente comunicazione dei dati sull'aiuto pubblico allo sviluppo e nello spirito della mutual accountability fra donatori e beneficiari fissato dalle Dichiarazioni di Parigi e Accra, un suo elemento centrale anche ai fini della prevedibilità dei flussi di aiuto;
solo una politica di cooperazione fattivamente ispirata ai criteri della massimizzazione dei risultati sul terreno, in piena intesa con i Paesi partner del sud del mondo, può continuare a motivare, anche in una fase di rigorosa messa sotto controllo dei conti pubblici, la destinazione di fondi pubblici ad attività di aiuto allo sviluppo;
l'Italia sarà chiamata a dare conto, insieme agli altri donatori, di quanto fatto nel campo della trasparenza e della valutazione dei risultati della propria attività di cooperazione, in occasione del IV Foro di alto livello sull'efficacia degli aiuti che si terrà a Busan (Corea del Sud) alla fine del 2011;
l'intero spettro delle attività di aiuto allo sviluppo del nostro Paese dovrebbe essere messo a sistema per evitare le dispersioni di risorse pubbliche a vario titolo erogate da diversi soggetti, senza reale impatto sul terreno, auspicabilmente coinvolgendo anche soggetti privati e della società civile in uno sforzo sinergico che contribuisca a rendere più leggibile e meglio comunicabile tutto il mondo italiano della cooperazione,

impegna il Governo:

a rendere tempestivamente accessibile on line ogni possibile informazione sugli interventi di cooperazione approvati dal comitato direzionale del Ministero degli affari esteri, subito dopo la loro delibera;
a ripristinare quanto prima la regolare pubblicazione del bollettino Dipco, come insostituibile strumento di trasparenza delle attività di cooperazione allo sviluppo;
a dotarsi di linee d'azione e di strumenti, anche finanziari, per avviare al più presto un'organica attività di valutazione dei risultati delle attività di cooperazione svolte ai sensi della legge n. 49 del 1987;
ad adottare iniziative di coordinamento che, nel rispetto della legislazione vigente, consentano di dare progressivamente vita a un vero e proprio «sistema Italia» della cooperazione, in linea con lo spirito della normativa vigente e del ruolo che la stessa affida al Ministero degli affari esteri in questo campo.
(1-00625)
«Antonione, Dozzo, Sardelli, Pianetta, Angeli, Biancofiore, Bonciani, Boniver, Renato Farina, Lunardi, Malgieri, Moles, Osvaldo Napoli, Nicolucci, Nirenstein, Picchi, Scandroglio, Zacchera».
(18 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
nel settembre 2008, in occasione del «Terzo Forum di alto livello sull'efficacia degli aiuti allo sviluppo», i Paesi donatori hanno assunto l'impegno di garantire la massima accessibilità alle informazioni relative all'aiuto stesso e la massima trasparenza del medesimo;
tale iniziativa, dunque, mira a rendere pubbliche le informazioni relative alle politiche di dono e al flusso degli aiuti per lo sviluppo;
aumentare e facilitare la disponibilità delle informazioni e dei programmi intrapresi dai donatori è un obiettivo fondamentale da perseguire per la realizzazione di un'efficace politica di aiuto pubblico e di sviluppo;
in Italia il problema della trasparenza sugli interventi sulle politiche di dono e sull'accessibilità ai documenti ad esse relative risulta particolarmente grave;
le informazioni sulle attività di cooperazione gestite dal Ministero dell'economia e delle finanze risultano inadeguate, rimanendo ancora affidate esclusivamente alla relazione annuale al Parlamento, che giunge costantemente in ritardo;
tra l'altro, le informazioni sulle attività di cooperazione gestite dal Ministero degli affari esteri e dal Ministero dell'economia e delle finanze potrebbero essere disponibili non solo in lingua italiana, ma anche in lingua inglese, per non precludere agli altri Paesi di poter fruire facilmente della pubblicazione dei dati;
nell'ordinamento italiano, in base a quanto statuito dalla legge n. 241 del 1990, la trasparenza amministrativa costituisce un principio essenziale in base al quale le attività della pubblica amministrazione devono essere rese pubbliche e accessibili agli utenti;
solo rispettando il principio di trasparenza, che per lo più si concretizza in un facile accesso ai documenti amministrativi al fine di comprendere le motivazioni poste alle base degli stessi, le pubbliche amministrazioni italiane ottemperano agli impegni assunti e sottoscritti al «Terzo Forum di alto livello sull'efficacia degli aiuti allo sviluppo»;
attraverso il rispetto del dettato della legge n. 241 del 1990, si dà concreta effettività al principio canonizzato nell'articolo 97 della Carta costituzionale, dando, allo stesso tempo, seguito ad una politica di aiuto e di sviluppo maggiormente efficace,

impegna il Governo:

a migliorare la trasparenza dell'aiuto pubblico allo sviluppo dell'Italia finalizzato alle politiche di dono, garantendo la massima accessibilità alle iniziative e ai programmi intrapresi e coordinando le modalità suggerite in ambito internazionale con i principi della legislazione italiana, segnatamente quelli recati dalla legge n. 241 del 1990, e successive modificazioni;
ad operare, nell'ambito delle iniziative internazionali, perché le regole di trasparenza e di contrasto alla corruzione corrispondano agli standard legali del nostro Paese e risultino di immediata operatività;
a rivedere e predisporre, di conseguenza, proposte regolative, articolate e correlate alle norme sulla trasparenza amministrativa, nella forma di modelli di accesso agli aiuti allo sviluppo stabiliti nel nostro Paese;
a riferire in Parlamento sulle iniziative assunte, in vista della partecipazione al quarto Forum sull'efficacia degli aiuti e all'attuazione dell'agenda di azione di Accra.
(1-00629)
«Pisicchio, Tabacci, Mosella, Brugger».
(18 aprile 2011)



MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER L'INCREMENTO DEI CONTROLLI RELATIVI ALLE PENSIONI DI INVALIDITÀ

La Camera,
premesso che:
l'attuale Governo ha posto, tra gli obiettivi fondamentali della propria azione, una rigorosa verifica sulle «false invalidità»;
dapprima, infatti, con l'articolo 80 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 6 agosto 2008, si è previsto che l'Inps attuasse nell'anno 2009 un piano straordinario di 200 mila verifiche dei titolari di invalidità civile;
successivamente, con l'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, recante «Contrasto alle frodi in materia di invalidità civile», sono state attribuite all'Inps nuove competenze per l'accertamento dell'invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità e sono state riviste le modalità di presentazione delle domande di accertamento, la valutazione sanitaria, la concessione delle prestazioni ed il ricorso in giudizio;
infine, con la legge finanziaria per il 2010, è stato previsto un programma di 100 mila verifiche aggiuntive rispetto ai 200 mila accertamenti di cui al predetto decreto-legge n. 112 del 2008 nei confronti dei titolari di invalidità civile per il 2011 e di 200 mila verifiche per il 2012 e 2013;
i controlli finora effettuati hanno condotto alla revoca, nel 2009, dell'11 per cento delle pensioni di invalidità, con punte del 22 per cento in Sardegna e del 19 per cento in Campania, a fronte di un 7 per cento in Lombardia, per risparmi di oltre 100 milioni di euro e, nel 2010, del 23 per cento dei trattamenti di invalidità, vale a dire quasi una su quattro, con tassi del 53 per cento in Sardegna, del 47 per cento in Umbria, del 43 per cento in Campania, del 42 per cento in Sicilia e del 35 per cento in Calabria, a fronte di un 6 per cento in Lombardia e di un 9 per cento in Piemonte ed Emilia;
pur considerando che, nella quota totale di revoche del 23 per cento al 31 dicembre 2010, rientrano sia le revoche disposte dalla commissione medica superiore, sia le sospensioni delle pensioni di invalidità civile scattate a seguito dell'assenza ingiustificata dalla verifica del soggetto chiamato, il forte squilibrio nella distribuzione territoriale delle revoche dei trattamenti attesta che il Governo sta procedendo nella giusta strada per ristabilire la legalità e combattere un mal costume radicato, vale a dire quello di garantirsi un introito a spese dello Stato ed a discapito dei veri invalidi;
nonostante i dati registrino una diminuzione delle domande di riconoscimento dello stato invalidante e del relativo trattamento, la dinamica della spesa per le pensioni di invalidità rileva un'allarmante crescita, passando da quasi 6 miliardi di euro nel 1998 a 16 miliardi nel 2010,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative dirette a raddoppiare, per gli anni 2011 e 2012, il numero dei controlli nelle regioni ove sono stati registrati i maggiori tassi di revoche;
a procedere con verifiche fiscali nei confronti dei responsabili delle false attestazioni dei requisiti di invalidità, inclusi i medici compiacenti delle commissioni, effettuando le opportune segnalazioni al fine del risarcimento del danno patrimoniale procurato;
a promuovere la partecipazione degli enti territoriali al piano di verifiche straordinario, mediante il riconoscimento di una quota percentuale dei risparmi derivanti dalle verifiche effettuate riscossi a titolo definitivo, a seguito dell'intervento dell'ente territoriale che abbia contribuito all'accertamento medesimo, secondo quanto già previsto dal decreto-legge n. 203 del 2005 relativamente alla partecipazione dei comuni al contrasto all'evasione fiscale e contributiva.
(1-00609)
«Reguzzoni, Montagnoli, Fedriga, Lussana, Luciano Dussin, Fogliato, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, Dal Lago, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dozzo, Guido Dussin, Fava, Follegot, Forcolin, Fugatti, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Pirovano, Polledri, Rainieri, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».
(30 marzo 2011)

La Camera,
premesso che:
l'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 2009 ha introdotto un sistema di riconoscimento dei benefici dell'invalidità civile che richiede un rapporto collaborativo e fortemente sinergico tra Inps ed Asl, nell'ambito del quale l'interessato presenta in via telematica, direttamente o tramite l'assistenza di un ente di patronato o di un'associazione di categoria, la domanda di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, abbinata al certificato medico telematico inviato direttamente dal medico di fiducia;
dopo un breve periodo transitorio, a partire dal mese di aprile 2010, il flusso di presentazione delle nuove istanze telematiche è andato a regime ed allo stato attuale circa il 93 per cento delle domande risulta essere stato presentato in modalità telematica;
acquisita la domanda telematica, la commissione medica dell'Asl, integrata con il medico dell'Inps solo parzialmente ed in alcune realtà territoriali, convoca il cittadino a mezzo di apposita procedura Inps, effettua la visita entro 30 giorni dalla domanda, oppure entro 15 giorni per le patologie oncologiche o, in casi di maggiore gravità, redige il verbale sanitario e lo trasmette al centro medico legale dell'Inps, il quale procede alle operazioni di verifica attraverso un accertamento agli atti o mediante visita diretta;
la commissione medica superiore dell'Inps interviene nel procedimento per la verifica finale dei verbali. Tale intervento, che è indispensabile per assicurare l'omogeneità dei giudizi sanitari su tutto il territorio nazionale, prevede dei canali privilegiati per le malattie oncologiche e per le patologie di cui al decreto ministeriale 2 agosto 2007 e rende il verbale definitivo;
in relazione alla gestione della descritta fase dell'accertamento sanitario, si deve rilevare che l'utilizzo dell'applicazione informatica dell'Inps o in alternativa la realizzazione di cooperazioni applicative con i sistemi telematici delle Asl avviene in maniera parziale (solo per alcune parti dell'iter procedurale e con forti disomogeneità sul territorio nazionale); molte Asl, inoltre, utilizzano modalità differenziate, non standardizzate ed al di fuori delle applicazioni informatiche previste. Talché l'80 per cento dei verbali di accertamento delle Asl sono ancora cartacei, con una situazione che evidenzia, al 31 dicembre 2010, che, a fronte di 1.125.699 verbali redatti dalle commissioni mediche integrate, solo 296.945 verbali, pari al 26,4 per cento del totale, sono formati e trasmessi con modalità telematica;
la trasmissione da parte delle Asl di verbali cartacei comporta per l'Inps la necessità di attivare un successivo flusso procedurale di acquisizione degli stessi nella procedura informatica, e ciò al fine di trasformare le informazioni ricevute da cartacee in elettroniche;
l'indisponibilità di un flusso interamente telematico determina, evidentemente, difficoltà nel monitorare e nel definire tempestivamente le diverse sottofasi del procedimento di accertamento dei benefici;
a conclusione dell'iter sanitario, e qualora dallo stesso scaturisca il riconoscimento di provvidenze economiche, si avvia la fase amministrativa del procedimento che si completa con i prescritti controlli, anche reddituali, laddove previsti, e si conclude con la liquidazione della prestazione o, in caso contrario, con un provvedimento di rigetto;
tale fase, pur essendo integralmente di competenza dell'Inps ed interamente telematizzata, subisce, tuttavia, tutte le conseguenze negative derivanti dalla scarsa fluidità della fase di accertamento sanitario di cui sopra, con rallentamenti e ritardi che si riflettono anche sulla fase di concessione e di liquidazione delle prestazioni economiche, esponendo l'Inps al pagamento di interessi legali sulle prestazioni liquidate in ritardo;
il programma straordinario di verifiche sugli invalidi nel 2010 ha previsto 100 mila controlli a campione, vale a dire che le persone con una pensione d'invalidità e/o assegno di accompagnamento sono state chiamate dall'Inps per una visita di controllo. Nel 2009, il piano di accertamenti ha riguardato ben 200 mila persone. Quest'anno toccherà 250 mila soggetti e altrettanti nel 2012. Alla fine, in 4 anni, l'Inps avrà controllato 800 mila pensionati d'invalidità, su un totale di quasi 2,9 milioni;
nel 2010 l'Inps ha revocato il 23 per cento delle pensioni d'invalidità civile controllate, quasi una su quattro. Nel 2009 quelle cancellate erano state l'11 per cento. Il presidente dell'Istituto nazionale di previdenza sociale, Antonio Mastrapasqua, ha affermato che il forte aumento è dovuto «all'affinamento del campione che si va a controllare, considerato che le indagini sono state concentrate nelle aree sensibili, nelle zone del Paese che già avevano evidenziato i maggiori tassi di revoche, che poi sono le stesse dalle quali di solito arriva il più alto numero di domande di pensione d'invalidità»;
purtroppo, in certe zone le pensioni d'invalidità (260,27 euro al mese per tredici mensilità) e l'indennità di accompagnamento (487,39 euro al mese per dodici mensilità) svolgono una funzione di ammortizzatore sociale e di scambio clientelare. In base alle prime elaborazioni dell'Inps sulle verifiche 2010 (circa la metà delle pratiche non sono state chiuse) in testa alla classifica delle regioni con il più alto tasso di revoca delle prestazioni ci sono la Sardegna (53 per cento), l' Umbria (47 per cento), la Campania (43 per cento), la Sicilia (42 per cento) e la Calabria (35 per cento);
è necessario, tuttavia, evidenziare che ci sono patologie suscettibili di miglioramento, ma anche situazioni certificate all'origine con superficialità, a fronte di situazioni diametralmente opposte in cui le lesioni degenerative sono progressive nel tempo. È doveroso, pertanto, nel corso delle verifiche avere ogni cautela possibile atta a consentire il pieno rispetto delle effettive situazioni di invalidità,

impegna il Governo:

ad assumere ogni utile iniziativa tesa a promuovere la stipula di apposite convenzioni tra le regioni e l'Inps aventi ad oggetto l'affidamento a quest'ultimo degli adempimenti in materia di accertamento sanitario dell'invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, verificando in tale sede la possibilità di una effettiva maggiore collaborazione da parte delle aziende sanitarie locali;

ad intraprendere tempestivamente ogni utile iniziativa in grado di ovviare alle gravi problematiche derivanti dal malcostume dei «falsi invalidi» impedendo che i «veri» malati debbano subire l'umiliazione di dimostrare il loro stato di reale ed evidente malattia.
(1-00620)
«Poli, Galletti, Binetti, De Poli, Nunzio Francesco Testa, Dionisi, Anna Teresa Formisano, Libè, Ruggeri, Delfino, Compagnon, Capitanio Santolini, Naro, Ciccanti, Volontè, Occhiuto».
(14 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
l'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 2009 ha previsto la presenza obbligatoria di un medico dell'Inps quale componente effettivo nelle commissioni mediche delle aziende sanitarie locali, che devono effettuare gli accertamenti sanitari in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità. L'Inps accerta, altresì, la permanenza dei requisiti sanitari nei confronti dei titolari delle infermità suddette;
inoltre, detto decreto-legge n. 78 del 2009, ha previsto che dal 2010 le domande volte ad ottenere i benefici in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, complete della certificazione medica attestante la natura delle infermità invalidanti, vengano presentate all'Inps;
sempre il citato decreto-legge, come successivamente modificato dalla legge finanziaria per il 2010 (legge n. 191 del 2009), ha altresì previsto un'intensificazione delle verifiche annuali circa la permanenza dei requisiti sanitari e reddituali, nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile;
l'articolo 10, comma 4, del successivo decreto-legge n. 78 del 2010, ha quindi disposto che per il triennio 2010-2012, l'Inps effettui, in via aggiuntiva all'ordinaria attività di accertamento della permanenza dei requisiti sanitari e reddituali, un programma di 100.000 verifiche per il 2010 e di 250.000 verifiche annue per ciascuno degli anni 2011 e 2012, nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile;
sulla base dei suddetti piani programmati di accertamento e alla luce del fatto che nel 2009 vi erano stati controlli su 200 mila persone, alla fine di questi quattro anni l'Inps avrà effettuato controlli su 800 mila pensioni di invalidità, con il condivisibile obiettivo di ridurre drasticamente le prestazioni ingiustificate;
va ricordato che di queste prestazioni ingiustificate, solamente una parte riguardano i cosiddetti «falsi invalidi», mentre in molti altri casi le verifiche hanno l'obiettivo di valutare se le persone, alle quali a suo tempo erano state riconosciuti i benefici, abbiano ancora i requisiti sanitari necessari o se, invece, sono persone realmente invalide ma cui è stata volutamente e illegittimamente riconosciuta un'invalidità più grave di quella effettiva;
l'intensificazione del programma dei controlli sulle false pensioni di invalidità ha cominciato a dare i suoi risultati e a produrre conseguentemente i primi sensibili risparmi di denaro pubblico;
nel 2009, le pensioni d'invalidità civile revocate sono state l'11 per cento di quelle controllate. Nel 2010 la percentuale di pensioni d'invalidità civile revocate dall'Inps, sempre su quelle controllate, è stata pari al 23 per cento;
le sole prestazioni per beneficiari «puri», ossia che hanno solamente una pensione di invalidità, ammontano a circa 15 miliardi di euro l'anno e riguardano circa 2,9 milioni di persone;
dall'attuale piano Inps di controlli a campione, è realistico attendersi un risparmio annuale di circa 1 miliardo di euro, una cifra notevole anche se lontana dagli 8-10 miliardi di euro recuperabili se, teoricamente, le verifiche fossero svolte su tutti;
è ben noto che vi sono aree del Paese dove l'erogazione di false pensioni di invalidità - attualmente pari a 260,27 euro mensili per tredici mensilità - svolge da troppo tempo una impropria e illegale funzione di ammortizzatore sociale, peraltro troppo spesso conseguente a vere e proprie forme di scambio clientelare e di cattura e gestione del consenso politico;
una truffa troppo a lungo non affrontata con la giusta determinazione, con conseguenze negative sia in termini di legalità che di sperpero di risorse pubbliche;
rispetto al passato, attualmente la procedura per accedere alle pensioni di invalidità viene effettuata per via telematica e si prevede che all'Inps spetti l'ultima parola rispetto alla permanenza dei requisiti sanitari nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile. La normativa precedente prevedeva, invece, che l'Inps non avesse un ruolo decisionale in materia di concessioni di pensioni di invalidità, ma solo quello di sportello pagatore;
attualmente le commissioni mediche delle aziende sanitarie locali dovrebbero essere integrate da un medico dell'Inps, ma in realtà - come ha recentemente ricordato il presidente dell'Inps, dottor Antonio Mastrapasqua - ciò avviene solamente in circa la metà dei casi, in quanto le aziende sanitarie locali non sono obbligate. Ciò comporta che, per l'altra metà delle pratiche, è la stessa Inps che successivamente convoca la persona che ha presentato la domanda, che si trova così costretta a subire due visite;
anche in conseguenza di queste difficoltà di comunicazione tra Inps e aziende sanitarie locali, i tempi di liquidazione delle prestazioni di invalidità civile sono molto lunghi. Nel 2010, i tempi medi tra la presentazione della domanda di pensione di invalidità civile e la sua effettiva liquidazione sono stati di quasi un anno;
ciò che, quindi, sicuramente manca è la collaborazione, attualmente del tutto insufficiente, da parte delle aziende sanitarie locali. Su 1,8 milioni di domande presentate nel 2010, solo 900 mila sono state già esaminate dalle aziende sanitarie locali e di queste appena il 20 per cento è stato trasmesso all'Inps per via telematica, mentre il resto è stato inviato ancora in forma cartacea;
in un'intervista rilasciata al quotidiano Il Mattino del 18 ottobre 2010, il presidente dell'Inps ha ricordato che «su base nazionale, quando facciamo delle visite straordinarie, le Asl ci consegnano appena il 9 per cento di pratiche di richieste di invalidità. L'altro 91 per cento dichiarano di non possederlo più (....), e non motivano la mancata consegna anche perché non sono tenute a motivarlo». È, quindi, necessaria una maggiore collaborazione da parte delle aziende sanitarie locali, che devono operare nel massimo della trasparenza;
il ritardo con cui l'Inps riceve le informazioni da parte delle aziende sanitarie locali non può tradursi, come invece purtroppo avviene, in un aggravio a danno di cittadini che già vivono una situazione di forte disagio e la giusta e doverosa battaglia di contrasto ai falsi invalidi non può in nessun caso finire per penalizzare chi è realmente affetto da una invalidità grave e i suoi familiari;
non solo, ma a quanto sopra esposto si deve aggiungere che circa il 49 per cento delle pratiche trasmesse dalle aziende sanitarie locali viene corretto dall'Inps, il quale, fatti i relativi controlli, riduce o toglie le previste prestazioni. È, quindi, di tutta evidenza la necessità di intervenire su questo sistema al fine di garantire la necessaria celerità e soprattutto trasparenza;
si è, inoltre, ancora lontani dalla completa informatizzazione dell'Istituto nazionale di previdenza sociale, mentre invece le domande e le prestazioni previdenziali dovrebbero giungere all'Istituto solo per via telematica;
vanno, inoltre, sottolineate le numerose critiche, sollevate spesso anche dalle stesse associazioni di disabili, circa le campagne di visite di verifica alle quali l'Inps sta chiamando i pensionati di invalidità. Le associazioni dei non vedenti - per fare un solo esempio - hanno lamentato che anche gli stessi non vedenti siano stati chiamati al controllo;
nei vari piani di verifica delle false invalidità sono, infatti, state chiamate con troppa frequenza, da parte dell'Inps, anche persone che di fatto dovevano essere escluse in quanto rientranti in una delle patologie di cui al decreto ministeriale 2 agosto 2007, sottoponendo le medesime persone a umilianti nuove visite e procedure burocratiche,

impegna il Governo:

a proseguire il piano di controlli già operante, prevedendone una sua intensificazione a livello nazionale;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative in sede di Conferenza Stato-regioni per promuovere - ai fini di una maggiore trasparenza - opportune forme di rotazione in ambito regionale dei componenti delle commissioni mediche delle aziende sanitarie locali;
a valutare l'opportunità di prevedere che quota parte dei risparmi conseguenti alle programmate attività di accertamento della sussistenza e/o permanenza dei requisiti nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile possa essere finalizzata ad un adeguamento dei trattamenti economici di invalidità civile, previsti dalla legislazione vigente ed erogati dall'Inps;
ad attivarsi affinché, dai previsti controlli da parte dell'Inps, vengano definitivamente esentati i cittadini portatori di handicap o di patologie per le quali sono escluse visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante, di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 2 agosto 2007, e che invece ancora oggi si trovano spesso costretti a ulteriori umilianti visite mediche;
ad attivarsi affinché venga effettivamente attuata la vigente disposizione per la quale ogni commissione medica della azienda sanitaria locale deve essere integrata da un medico dell'Inps, anche al fine di evitare che, dopo una prima visita da parte della azienda sanitaria locale, la persona che ha presentato la domanda sia costretta - come ancora oggi troppo spesso avviene - a sottoporsi ad una seconda visita da parte dell'Inps;
a garantire dei tempi più rapidi per la liquidazione delle prestazioni di invalidità, che sono attualmente di circa un anno dal momento della presentazione della domanda;
a portare a definitivo compimento il processo di informatizzazione dell'Inps e a promuovere, per quanto di competenza, nelle opportune sedi istituzionali, il completamento dell'informatizzazione delle stesse aziende sanitarie locali, garantendo un'indispensabile maggiore e più stretta collaborazione tra l'Istituto nazionale di previdenza sociale e le aziende sanitarie locali, attualmente del tutto insufficiente, stante che, su circa 1,8 milioni di domande presentate nel 2010, solo 900 mila sono state già esaminate dalle aziende sanitarie locali e di queste appena il 20 per cento è stato trasmesso all'Inps per via telematica, mentre il resto è stato inviato ancora in forma cartacea.
(1-00622)
«Di Stanislao, Palagiano, Mura, Paladini, Donadi, Borghesi, Evangelisti».
(18 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
è passato oltre un anno dall'entrata in vigore dell'articolo 20 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, «Contrasto alle frodi in materia di invalidità civile», che attribuisce all'Inps nuove competenze per l'accertamento dell'invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, con l'intento di ottenere tempi più rapidi e modalità più chiare per il riconoscimento dei relativi benefici;
la nuova procedura, invece di portare chiarezza e celerità, ha registrato gravissime inefficienze, che stanno provocando disagi a persone già drammaticamente colpite, costrette ad aspettare mesi e mesi prima di vedere riconosciuto il loro diritto;
è lo stesso Inps a rilevare che il sistema non funziona, visto che in data 20 settembre 2010 il direttore generale, con una comunicazione interna a tutti i dirigenti regionali Inps, non diffusa sul sito ufficiale dell'Istituto, afferma che «si rende indispensabile potenziare (...) il ricorso all'accertamento sanitario diretto sulla persona con l'obiettivo di verificare la sussistenza ovvero la permanenza dei requisiti sanitari»;
anche se la nota afferma che l'intento è quello di rendere «definitivo il giudizio medico-legale dei sanitari Inps, con il dichiarato obiettivo di evitare futuri disagi al cittadino conseguenti a successive verifiche sanitarie straordinarie», sembra piuttosto che la finalità sia quella di stringere ulteriormente i meccanismi di controllo per restringere le provvidenze concesse, penalizzando di fatto anche i veri invalidi;
le stesse linee guida, allegate alla nota del direttore generale, sottolineano «che l'accertamento sanitario diretto è da ritenersi prioritario al fine di garantire la massima coerenza metodologica e la trasparenza dell'iter valutativo e del conseguente giudizio medico-legale. Ciò soprattutto nei casi in cui si evidenzi una severa minorazione dell'integrità psico-fisica da cui derivano benefici assistenziali»;
le conseguenze di queste direttive per il cittadino sono più severe di quanto non appaia a prima vista, poiché il ricorso prioritario alla visita diretta, sia che vi sia una valutazione unanime oppure no della commissione, comporta che molti cittadini verranno, d'ora in poi, sottoposti ad una doppia visita: prima all'azienda sanitaria locale e poi all'Inps con aumento dei disagi e dei ritardi;
l'Inps, inoltre, si era impegnato a non superare il periodo dei 120 giorni per concludere l'iter amministrativo delle domande e aveva annunciato, con grande enfasi, l'utilizzo di una procedura informatica innovativa che avrebbe consentito di rendere più rapido lo scambio di informazioni tra i diversi enti coinvolti; da qui l'obbligo tassativo di presentare le domande soltanto per via telematica;
la realtà di oggi sta dimostrando che l'Istituto non ha saputo raggiungere i suoi obiettivi; infatti, si sta procedendo a rilento, con gravi ricadute sul piano dei diritti, anche nel caso di persone affette da patologie oncologiche, particolarmente tutelate dalla legge;
i dati che lo stesso Inps fornisce e riportati dal Sottosegretario Francesca Martini, in Commissione affari sociali della Camera dei deputati, in data 9 marzo 2011, in risposta ad una serie di interrogazioni sollevate su questo argomento dagli onorevoli Barani, Murer, Iannuzzi, Bellanova e Farina Coscioni, confermano questa denuncia: «nel corso del 2010, in vigenza quindi delle disposizioni più volte richiamate introdotte dal decreto-legge n. 78 del 2009, sono state presentate all'Inps 1.092.588 istanze di riconoscimento dello stato invalidante per complessive 1.823.374 prestazioni» e sono state messe «in pagamento 462.038 nuove prestazioni, riferite anche ad istanze presentate in periodi precedenti»; quindi, il numero dei riconoscimenti è irrisorio rispetto al totale delle domande presentate;
se questi sono i dati, le enfatiche dichiarazioni del Governo sulla stampa e in televisione sono dunque smentite dai fatti;
i ritardi nel riconoscere i diritti stanno aumentando. L'Istituto non ha favorito la collaborazione con le aziende sanitarie locali e le sue procedure informatiche, non sperimentate, hanno ostacolato il lavoro di tutti i soggetti coinvolti, compresi i patronati che svolgono una funzione di tutela e di aiuto a tutti quei cittadini che necessitano di aiuto per inoltrare la domanda di riconoscimento dell'invalidità. Infatti, il patronato che ha presentato la pratica per il riconoscimento dell'invalidità civile, dell'handicap o della disabilità non viene messo in condizione di seguire l'iter della domanda, di informare il proprio assistito, di svolgere il ruolo sociale che la legge gli attribuisce, mentre le sedi territoriali dell'Inps non sanno fornire alcuna informazione;
in presenza, inoltre, di handicap, pur in situazioni di gravità, le commissioni delle aziende sanitarie locali non consegnano i «verbali provvisori», impedendo alle lavoratrici e ai lavoratori di beneficiare dei permessi e dei congedi previsti dalle leggi, senza possibilità di recuperarli successivamente;
se la lotta ai falsi invalidi è doverosa, non si possono, però, compromettere i diritti dei veri invalidi,

impegna il Governo:

ad assumere le necessarie iniziative dirette a rivedere e modificare la procedura prevista dall'articolo 20 del decreto- legge 1o luglio 2009, n. 78, al fine di evitare che l'Inps nel procedimento attuale di riconoscimento delle invalidità sia nello stesso tempo «controllore e controllato», anche attraverso l'emanazione di linee guida, che, pur nella doverosa lotta ai falsi invalidi, non cancellino i diritti di tutti gli altri disabili, quelli veri, quelli che quotidianamente lottano per avere riconosciuto il loro diritto;
a garantire ai soggetti chiamati dall'Inps a verifica sull'accertamento del loro stato invalidante di non perdere il diritto a percepire l'emolumento economico di cui sono titolari, anche se i verbali di visita non siano immediatamente vidimati dal responsabile preposto, nonché ad assicurare che, nei casi di verifica dello stato invalidante da parte dell'Inps, il soggetto interessato venga sottoposto a verifica limitatamente alle condizioni di invalidità non sufficientemente documentate anche in riferimento al puntuale rispetto della normativa sulla tutela dei dati personali in relazione alla scrupolosa tenuta dei dati sanitari dei cittadini disabili già acquisiti e detenuti da parte delle aziende sanitarie locali in sede di accertamento della invalidità civile;
ad emanare urgentemente linee guida chiare e precise nei confronti dell'Inps onde evitare ulteriori controlli su soggetti portatori di menomazioni di natura irreversibile o di patologie rispetto alle quali sono escluse visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante, ai sensi del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 2 agosto 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 settembre 2007, n. 225, evitando così che tali soggetti debbano subire un'ulteriore umiliazione rispetto al loro stato di salute, rispettando finalmente anche l'impegno già assunto dal Governo con l'accoglimento dell'ordine del giorno n. 9/3638/192, e, più in generale, ad assumere tutte le iniziative necessarie verso l'Inps affinché il ruolo di compartecipazione dell'Istituto alla fase di accertamento sanitario dell'invalidità civile venga adempiuto nel più assoluto rispetto della normativa vigente in materia, con particolare riferimento sia alla fedele e rigorosa applicazione dei criteri sanitari stabiliti da norme primarie per l'accertamento del tipo e del grado d'invalidità civile, sia all'unicità del momento di chiamata del cittadino richiedente a visita collegiale per l'accertamento dell'invalidità civile;
a predisporre con la massima sollecitudine e comunque non oltre entro 30 giorni dall'approvazione del presente atto una relazione esaustiva sulla situazione attuale relativa all'applicazione della nuova procedura prevista dall'articolo 20 del decreto legge 1o luglio 2009, n. 78, indicando:
a) quante siano fino ad oggi le pratiche evase rispetto a quelle depositate;
b) quale sia la loro distribuzione territoriale, quante siano le nuove pensioni riconosciute dall'entrata in vigore della procedura prevista dall'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 2009;
c) per quale motivo fino ad oggi gli uffici territoriali dell'Inps non siano stati in grado di evadere nei tempi stabiliti dallo stesso decreto-legge le pratiche relative all'invalidità;
d) quali siano i motivi del ritardo nel riconoscimento delle invalidità, specificando se tali ritardi debbano essere imputati a ragioni di mero risparmio, o al fatto che i programmi informatici tra le aziende sanitarie locali e l'Inps non sono uniformi e, quindi, all'impossibilità di comunicare tra i due enti;
e) quale sia la situazione relativa all'appalto con Postel per l'inserimento dei dati della pratiche relative alle richieste d'invalidità, indicandone i costi, la durata, gli obiettivi, nonché il numero di dati immessi in ciascuna regione.
(1-00626)
«Miotto, Lenzi, Murer, Argentin, Bossa, Bucchino, Burtone, D'Incecco, Farina Coscioni, Grassi, Pedoto, Sarubbi, Sbrollini, Livia Turco, Bellanova, Bobba, Cardinale, Cavallaro, Concia, Capodicasa, Cenni, Codurelli, Colaninno, Coscia, De Biasi, Esposito, Fontanelli, Froner, Gatti, Ghizzoni, Giovanelli, Gnecchi, Graziano, Laganà Fortugno, Lucà, Marchi, Mariani, Mattesini, Miglioli, Motta, Pes, Pizzetti, Rigoni, Rubinato, Samperi, Sanga, Schirru, Sereni, Siragusa, Strizzolo, Trappolino, Tullo, Vaccaro, Velo, Villecco Calipari, Viola».
(18 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
l'articolo 38 della Costituzione italiana sancisce che «ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato»;
la pensione di invalidità, o assegno mensile di assistenza, è stato istituito dal legislatore per dare attuazione a quanto disposto dal sopra citato articolo della Costituzione italiana e in ossequio al più generale principio di eguaglianza sostanziale, sancito dall'articolo 3 della Carta costituzionale;
l'assegno di invalidità è un beneficio economico riconosciuto dallo Stato italiano a quei cittadini che sono portatori di disabilità fisiche e psichiche;
l'attuale Governo, data la difficile situazione economica nella quale versa il nostro Paese, si è posto l'obiettivo di contenere la spesa necessaria per onorare gli assegni di invalidità, colpendo ogni forma di abuso;
a tal fine il Governo ha varato una serie di provvedimenti e contestualmente ha presentato una serie di iniziative normative volte a contrastare il fenomeno delle cosiddette «false invalidità»;
il Governo ha disposto che l'Istituto nazionale di previdenza sociale varasse dei piani straordinari di verifica nei confronti dei titolari di pensione di invalidità e dell'indennità di accompagnamento con l'obiettivo di perseguire gli abusi e di revocare i benefici economici riconosciuti a chi non ha diritto;
i controlli posti in essere dall'Inps hanno determinato la revoca di un numero notevole di pensioni di invalidità e di indennità di accompagnamento;
pur trattandosi di verifiche auspicabili e necessarie a colpire ogni forma di abuso, occorrerebbe tenere in debito conto che, a seguito delle procedure di accertamento, si sono registrate diffuse proteste di alcune associazioni che hanno denunciato degli eccessi, se non veri e propri abusi, nei controlli posti in essere dall'Inps. Sono state convocate, infatti, un gran numero di persone affette dalla sindrome di Down, pluriamputati, tetraplegici, autistici, che hanno dovuto subire un disagio enorme per sottoporsi alle verifiche, nonostante l'evidente e più che accertata condizione d'inabilità;
è evidente che i controlli posti in essere dall'Inps sono stati ispirati al solo criterio del taglio della spesa, senza tener conto, invece, di ogni singola individualità, di ogni caso specifico e delle peculiarità che, se ben considerate, avrebbero evitato un inutile e faticoso accertamento a tanti disabili e inabili al lavoro;
l'Anmi e la Femepa (Associazione nazionale dei medici Inps e la Federazione medici enti privati e pubbliche amministrazioni) hanno espresso notevoli perplessità rispetto ai dati pubblicati recentemente dall'Istituto nazionale di previdenza sociale in merito alla revoca di prestazioni di invalidità civile che arriverebbero fino al 76 per cento in alcune città del Paese. L'Associazione nazionale dei medici Inps si è apertamente dissociata da dati che non reputa corrispondenti alla realtà, specie quelli più eclatanti. Dati che - sempre secondo Associazione nazionale dei medici Inps - hanno determinato un notevole allarme sociale tra i cittadini affetti da disabilità;
il presidente della Fish onlus (Federazione per il superamento dell'handicap) ha denunciato con un suo comunicato che l'Inps effettuerà una nuova ondata di verifiche - ben 250 mila - tra i titolari di prestazioni economiche di invalidità civile, cecità civile, sordità civile con scadenza compresa tra il 1o luglio 2011 e il 31 dicembre 2011, cioè persone per le quali è già regolarmente prevista una revisione;
in detti procedimenti l'Inps controllerà solo l'invalidità civile, non lo stato di handicap, che rimane, invece, «a carico» delle aziende sanitarie locali. Pertanto, se anche l'handicap fosse rivedibile, il cittadino dovrebbe sostenere due distinti controlli: il primo effettuato dall'Inps e l'altro dall'azienda sanitaria locale. È evidente che ciò arrecherebbe un disagio notevole ai soggetti interessati e un inutile sperpero di risorse;
l'Inps ha reso noto che, in occasione delle verifiche straordinarie sulla permanenza dei requisiti nei confronti dei titolari di prestazioni di invalidità civile, non sarà possibile riconoscere una condizione di invalidità superiore a quella in precedenza determinata. Una decisione, questa, sulla quale ci sono fortissimi dubbi di liceità che privano i disabili, gli inabili e i portatori di handicap del diritto di vedersi riconosciuto l'aggravamento per il quale i cittadini interessati dovrebbero proporre una nuova istanza, sottoporsi ad una nuova visita di accertamento ed, eventualmente, anche a controlli successivi: ciò implicherebbe altri disagi per i cittadini e altri sprechi per le casse dello Stato;
molti disabili, pur avendo subito un procedimento giudiziario di accertamento della condizione di inabilità e del possesso dei requisiti per godere dell'assegno di invalidità civile, sono stati sottoposti nuovamente a controlli da parte dell'Inps;
l'Inps si appresta ad effettuare una nuova ondata di verifiche coinvolgendo, ancora una volta, chi è già stato sottoposto con esito positivo al vaglio della magistratura;
con l'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 2009 il legislatore ha introdotto un sistema di riconoscimento dell'invalidità civile che prevede l'inoltro per via telematica della domanda di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, allegando il certificato medico telematico stilato dal medico di famiglia;
i comitati regionali dell'Inps, un gran numero di patronati e molteplici associazioni, hanno espresso forte preoccupazione per i ritardi che si stanno verificando nelle procedure di esame delle domande di invalidità civile, handicap e disabilità, cecità e sordità a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2009, che ha previsto, come modalità esclusiva, l'invio e la trattazione delle domande in forma telematica. Una situazione fortemente negativa che sta determinando notevoli ritardi nell'erogazione delle prestazioni colpendo le fasce più deboli della popolazione,

impegna il Governo:

a ribadire l'importanza dell'assegno di invalidità e dell'indennità di accompagnamento quali benefici economici necessari a garantire la dignità delle persone diversamente abili, inabili al lavoro o che sono nella totale impossibilità di deambulare;
a confermare che tali strumenti economici vengono assegnati in ossequio a quanto disposto dall'articolo 38 della Costituzione in applicazione del più generale principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Carta fondamentale;
a varare ogni necessario ed utile provvedimento affinché si prevenga il fenomeno delle cosiddette «false invalidità civili»;
ad adoperarsi presso l'Istituto nazionale di previdenza sociale affinché, calibrando meglio i controlli, escluda chi si trova nella condizione di un'evidente e accertata invalidità;
a varare i provvedimenti utili affinché, in sede di verifica dei requisiti necessari per godere dell'assegno di invalidità e/o di accompagnamento, l'Inps possa riconoscere la condizione di invalidità superiore a quella determinata in precedenza, evitando così ulteriori disagi ai cittadini interessati che, al momento, per ottenere l'aggravamento devono presentare una nuova istanza e sottoporsi ad ulteriori accertamenti;
a promuovere una richiesta formale all'Inps di escludere dai controlli i cittadini che hanno già subito un procedimento giudiziario di accertamento della condizione di inabilità con esito positivo;
a verificare con l'Inps la funzionalità della nuova procedura di presentazione telematica delle domande di invalidità civile con l'intento di ridurre i ritardi accumulati e i disagi per le fasce più deboli della popolazione.
(1-00627)
«Iannaccone, D'Anna, Belcastro, Catone, Cesario, Gianni, Lehner, Milo, Moffa, Mottola, Nola, Orsini, Mario Pepe (IR), Pionati, Pisacane, Polidori, Porfidia, Razzi, Ruvolo, Sardelli, Scilipoti, Siliquini, Soglia, Stasi, Taddei».
(18 aprile 2011)

La Camera,
premesso che:
la dinamica della spesa per i trattamenti di invalidità civile ha conosciuto, negli ultimi anni, un notevole incremento, passando da 12,8 miliardi di euro nel 2003 a 17,6 miliardi di euro preventivati nel 2011, corrispondenti a più di 2,7 milioni di prestazioni nel 2010 (pensione di invalidità civile e assegno di accompagnamento);
nel 2003 la suddetta spesa era così ripartita: 3,4 miliardi di euro per le pensioni di invalidità civile e i relativi carichi di famiglia e 8,4 miliardi di euro per l'indennità di accompagnamento;
nel 2009 (dati del bilancio consuntivo dell'Inps) era così distribuita: 4,7 miliardi di euro per pensioni e carichi di famiglia e 12,4 miliardi di euro per indennità di accompagnamento;
tali risorse sono poste a carico dello Stato e, quindi, della fiscalità generale e trasferite al bilancio dell'Inps;
allo scopo di dare ordine, rigore e coerenza all'accertamento delle condizioni di invalidità, il legislatore ha accresciuto il ruolo delle strutture dell'Inps, in collaborazione con le commissioni istituite presso le aziende sanitarie locali, superando una contraddizione di carattere istituzionale in forza della quale l'Inps erogava le prestazioni previste sulla base di valutazioni compiute da altri organi collegiali presenti nei territori; onde ovviare a tale inconveniente, l'articolo 10, comma 4-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010 ha previsto, infatti, che l'Inps possa avvalersi delle commissioni delle aziende sanitarie locali per effettuare i suoi programmi straordinari di verifica, integrandole con un medico dell'Istituto;
per contenere una spesa crescente l'attuale Governo ha adottato ripetutamente misure rivolte a contrastare le cosiddette false invalidità, dapprima con l'articolo 80 del decreto-legge n. 112 del 2008, poi con l'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 2009, successivamente con l'articolo 2, comma 159, della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria per il 2010). Ognuno di questi provvedimenti ha disposto che l'Inps effettuasse dei piani straordinari di verifica nei confronti dei titolari dei benefici economici riconosciuti in caso di riscontrata condizione di invalidità civile;
altre disposizioni hanno sanzionato severamente le false attestazioni dei medici concernenti microinvalidità derivanti da incidenti stradali e hanno sancito la possibilità di recuperare, ad opera dell'ente previdenziale interessato e a carico del terzo responsabile del fatto illecito che ha provocato l'invalidità, il valore capitale delle prestazioni assistenziali erogate a favore dell'invalido civile;
nonostante il ripetersi delle procedure di controllo negli ultimi anni, la spesa continua a crescere a tassi sostenuti, incompatibili anche con la struttura della popolazione e non del tutto spiegabili con il fenomeno dell'invecchiamento;
i controlli fino ad ora effettuati hanno condotto alla revoca di quote significative di trattamenti di invalidità tra quelli sottoposti ad accertamento e riesame, ma tali revoche non hanno retto, sovente, a fronte del contenzioso giudiziario che si è sviluppato e che è risultato favorevole ai ricorrenti;
non è sufficiente una politica di intensificazione dei controlli in assenza di interventi sulle normative che siano rispettosi dei diritti dei cittadini, ma che, nel contempo, siano in grado di promuovere una più ampia e qualificata equità sociale,

impegna il Governo:

a promuovere una più efficace pianificazione ed una più equa organizzazione dei controlli, con l'obiettivo di conseguire una più adeguata selezione dei soggetti da sottoporre a nuova visita medica, ottimizzando in tal modo pienamente le risorse professionali ed amministrative disponibili;
a valutare, nelle sedi competenti e all'esito del piano straordinario di verifica, l'opportunità di procedere ad un riordino dei requisiti occorrenti per il riconoscimento delle prestazioni in materia di invalidità civile e indennità di accompagnamento, anche estendendo il ricorso alla cosiddetta prova dei mezzi e fatti salvi i diritti acquisiti.
(1-00628)
«Cazzola, Baldelli, Antonino Foti, Barani, Porcu, Pelino, Ceccacci Rubino, Cosentino, Vincenzo Antonio Fontana, Formichella, Giacomoni, Giammanco, Mannucci, Marsilio, Minardo, Mariarosaria Rossi, Saltamartini, Scandroglio».
(18 aprile 2011)