A) Interpellanza
B) Interpellanza
C) Interpellanza
D) Interpellanza
E) Interrogazioni
F) Interrogazioni
ad avviare, prevedendo un'adeguata copertura economica, un piano d'intervento nazionale, curato dal dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei ministri in accordo con la Conferenza unificata, mirato al sostegno di case rifugio e centri antiviolenza, alla predisposizione di campagne informative e formative nonché di un sistema di misure a tutela delle vittime della violenza e alla costruzione di azioni concrete di prevenzione, nonché ad assumere ogni iniziativa diretta a incrementare i fondi stanziati a favore del dipartimento per le pari opportunità per il finanziamento della rete dei centri antiviolenza e delle case rifugio al fine di scongiurarne la chiusura e il ridimensionamento, dando finalmente a questi fondamentali servizi una stabilità e il senso di appartenere ad un sistema strutturato e integrato.
a promuovere, al fine di spezzare la catena della continuità generazionale, una riflessione pubblica sulla questione eminentemente sociale e culturale della violenza contro le donne, che coinvolga uomini e donne, famiglie, scuole ed università, luoghi della politica e dell'informazione, mondo del lavoro;
a promuovere una più incisiva strategia politico-sociale in grado di portare allo sviluppo dell'equità tra tutte le persone senza distinzioni di età e sesso, anche attraverso adeguate procedure amministrative che rendano più facile l'accesso alle informazioni;
a proseguire nelle iniziative già avviate con successo, tra le quali si ricordano in particolare:
nei giorni scorsi è apparsa la notizia, rilevata da diversi organi di stampa locali, delle giuste proteste di genitori e docenti provocate dal taglio di 17 prime classi presso l'Ipssar «P. Piazza» di Corso dei Mille di Palermo;
tale taglio sarebbe stato operato unilateralmente dal dirigente scolastico, attraverso il «respingimento» delle iscrizioni alle scuole medie di provenienza, di oltre 500 alunni, di cui 13 disabili;
a causa di tale operazione, per il prossimo anno scolastico nell'istituto saranno attivate soltanto 82 classi contro le 99 dell'anno scolastico 2009/2010;
è, pertanto, comprensibile come tale scelta abbia suscitato un coro di protesta unanime, che ha visto coinvolto il collegio dei docenti e i genitori degli alunni, che hanno visto respinta la propria richiesta di iscrizione;
le conseguenze dei suddetti tagli sono gravissime, in quanto provocano la sottrazione ad un territorio vasto e disagiato - quale è quello su cui insiste l'istituto - di un'offerta formativa e professionale di primaria importanza;
è facile prevedere che il mancato avvio di tali classi provocherà un incremento della dispersione scolastica, già alta in quella zona, da parte di molti alunni che si vedono privati della possibilità di avvalersi di un percorso scolastico professionalizzante, come quello alberghiero, i quali non troveranno sul territorio analoga offerta se non all'altro capo della città, provocando gravi disagi per le famiglie i cui figli sono stati rifiutati;
non inferiori saranno i danni provocati ai docenti, in gran parte appartenenti all'area professionalizzante: sarebbero 72 le cattedre in meno il prossimo anno scolastico, cioè 72 docenti che perderanno il posto di lavoro, impoverendo così l'intera organizzazione scolastica;
è stato denunciato, da più parti, un probabile danno per l'erario, considerato che l'amministrazione retribuirà tali insegnanti senza che abbiano delle classi, in quanto le altre scuole non sono in grado di assorbire tutti i 72 docenti soprannumerari, stante che i docenti soprannumerari in provincia di Palermo risultano 449 solo per le scuole superiori di secondo grado -:
se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
quali provvedimenti intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di scongiurare la mancata attivazione di 17 prime classi presso l'Ipssar «P. Piazza» di Corso dei Mille di Palermo;
quali iniziative intenda assumere, al fine di restituire agli alunni ed alle famiglie il diritto di scelta e per permettere l'accoglimento della domanda di iscrizione presso l'Ipssar «P. Piazza» di Corso dei Mille di Palermo, anche al fine di salvaguardare i posti di lavoro dei 72 docenti che si vedrebbero sottratte le cattedre.
(2-00801) «Antonino Russo».
(28 luglio 2010)
i licei linguistici di Enna e di Agira sono riconosciuti scuole paritarie, ai sensi della legge 10 marzo 2000, n. 62;
l'articolo 14, comma 9, del decreto-legge n. 78 del 2010 stabilisce il divieto, a decorrere dal 1o gennaio 2011, di procedere ad assunzioni di personale, a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale, per gli enti locali nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 40 per cento delle spese correnti;
l'amministrazione provinciale di Enna, facendo riferimento a quanto previsto dalla normativa sopra citata, è impossibilitata a conferire le supplenze annuali, mediante l'instaurazione di rapporti di lavoro a termine;
dal 1o settembre 2010 le istituzioni scolastiche di cui sopra non sono nelle condizioni di garantire il regolare svolgimento delle attività didattiche e di assicurare la funzionalità ed il regolare andamento dei predetti istituti;
il 29 luglio 2010 l'amministrazione provinciale ha inviato un quesito in merito alla Presidenza del Consiglio dei ministri - dipartimento funzione pubblica, al quale, pur dopo ripetuti solleciti, non è finora giunta una risposta;
l'applicazione del decreto-legge n. 78 del 2010, per il generico divieto di procedere a qualsivoglia tipologia di assunzione, comporterebbe il mancato mantenimento dei requisiti per il riconoscimento della parità scolastica, per il funzionamento e per l'autonomia dell'istituzione scolastica, l'impossibilità di assicurare i vari insegnamenti e la continuità didattica, con gravi ripercussioni sul diritto allo studio, sull'intera organizzazione dell'offerta formativa e, di conseguenza, sulle aspettative di un'ampia platea studentesca;
le stesse speciali esigenze connesse alla didattica riconosciute alle scuole statali ricorrono anche per le scuole paritarie gestite dagli enti locali -:
se non ritengano di assumere un'iniziativa normativa che preveda una deroga all'articolo 14, comma 9, del decreto-legge n. 78 del 2010 per gli enti locali che gestiscono istituti scolastici paritari, al fine di consentire il reclutamento del personale docente.
(2-00854) «Antonino Russo».
(14 ottobre 2010)
si fa riferimento al recente provvedimento votato dal Parlamento concernente la carta delle autonomie locali, in particolare all'opportunità di accentuare ulteriormente l'autonomia dei consigli comunali rispetto al ruolo preponderante del sindaco e della giunta comunale, rilevando che alcuni significativi mutamenti intervenuti nel recente provvedimento non incidono, però, nella sostanza delle competenze ancora troppo limitate dei consigli comunali medesimi;
in particolare, con la trasformazione delle aziende speciali in società per azioni sfugge ai componenti dei consigli comunali e provinciali il controllo di importanti realtà economiche. Non essendo previsto l'affidamento di alcuna forma effettiva di controllo e di gestione di tali società ai suddetti consigli, vengono in tal modo privati anche i cittadini elettori di ogni forma di partecipazione alla gestione di tali organismi;
in tal senso parrebbe opportuno all'interpellante prevedere l'attribuzione del potere di controllo sulla gestione delle aziende speciali di enti locali e delle società per azioni partecipate a maggioranza da comuni e province, nonché l'obbligo del parere favorevole dei rispettivi consigli comunali e provinciali per le nomine degli amministratori delle aziende speciali e delle società per azioni di partecipazione maggioritaria di enti locali;
la norma proposta non lede i principi cardine della nuova disciplina che regola l'elezione diretta del sindaco, ma serve a garantire il ruolo essenziale dei consigli, che rischiano un effettivo depotenziamento a fronte dell'eccessivo rafforzamento degli esecutivi, evitando comunque di ricadere nella precedente situazione di consociativismo e contrattazione -:
se il Governo intenda assumere ulteriori iniziative normative nel senso rappresentato in premessa.
(2-00793) «Garagnani».
(21 luglio 2010)
l'interpellante ha già presentato precedenti atti di sindacato ispettivo sull'utilizzo degli autovelox, chiedendo, più volte, che le prefetture predisponessero controlli più puntuali sulle attrezzature impiegate dalla provincia e dagli enti locali per il controllo della velocità;
si evidenzia l'atteggiamento della provincia di Bologna che, in questi giorni, ha disattivato 15 autovelox non rispondenti alla normativa entrata in vigore negli ultimi mesi;
gli apparecchi in questione erano palesemente non conformi alla normativa da tempo, circostanza già sottolineata al Governo, e, ad avviso dell'interpellante, sembravano rispondere più ad una necessità di reperire fondi, esclusa esplicitamente dalla legge, che alla tutela dei cittadini;
di fronte a quello che all'interpellante appare uno spreco di danaro pubblico ed ai disservizi creati a tanti automobilisti multati ingiustamente attraverso l'utilizzo degli autovelox nelle strade della provincia di Bologna, paiono giuste non solo le denunce alla magistratura, ma anche alla Corte dei conti e sarebbe opportuna un'energica attivazione della prefettura di Bologna, competente per legge, al fine di coordinare a livello territoriale questa complessa materia;
l'interpellante fa, altresì, presente di avere contattato il prefetto di Bologna con lettera rimasta senza risposta -:
se intenda verificare la corretta applicazione da parte della provincia e degli enti locali della circolare del Ministro interpellato sulla viabilità e sul controllo degli autovelox, procedendo con un intervento risolutore, anche per mezzo del prefetto, che impedisca, una volta per tutte, che i problemi finanziari degli enti locali possano essere affrontati attraverso l'uso, anzi l'abuso, del codice della strada.
(2-00815) «Garagnani».
(14 settembre 2010)
secondo una nota di fine agosto 2010 del sindacato di polizia Coisp sarebbe in atto la progressiva disabilitazione dei centralini di questure e prefetture per le chiamate all'estero, con conseguente crisi degli uffici stranieri e degli uffici della polizia stradale;
stando alla nota, per il momento il fatto si sarebbe verificato in qualche questura, ma la disabilitazione delle telefonate all'estero in partenza dai centralini degli uffici dovrebbe essere estesa a breve a tutte le prefetture e questure d'Italia;
è evidente il danno che ciò, ove si verificasse, comporterebbe specie per gli uffici immigrazione, i quali - denuncia il responsabile del Coisp Franco Maccari - ovviamente entrerebbero in crisi per il fatto di non poter più chiamare le varie ambasciate; e per la polizia stradale, che non sarebbe più in grado di comunicare o mandare fax alle varie ditte di trasporti estere, che quotidianamente vengono interessate da verbali con fermo di veicoli pesanti -:
se la notizia sia fondata, e qualora lo fosse, come si giustifichi un simile provvedimento in relazione ai crescenti compiti su scala internazionale che prefetture e questure sono quotidianamente chiamate a svolgere. (3-01228)
(15 settembre 2010)
da un comunicato del 28 agosto 2010, diffuso alle agenzie di stampa dal Coisp (Coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forze di polizia), dal titolo «Il Governo delle tre scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano. Disabilitate le chiamate all'estero dai centralini delle prefetture e questure. Uffici stranieri in tilt», si apprende che presso alcune questure sarebbe stata disabilitata la possibilità di effettuare chiamate telefoniche verso le numerazioni degli Stati esteri e che ciò avrebbe causato problemi agli uffici immigrazione per l'impossibilità di contattare le ambasciate interessate, nonché agli uffici della polizia stradale impossibilitati a contattare le varie ditte di trasporti estere, che quotidianamente vengono interessate da verbali con fermo di veicoli pesanti -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto in premessa, quali siano i motivi di tale scelta e quali immediate azioni intenda adottare per ripristinare il regolare svolgimento del servizio. (3-01415)
(24 gennaio 2011)
(ex 4-08428 dell'8 settembre 2010)
con delibera n. 17 del 16 febbraio 2006 la giunta comunale di Castel Maggiore esprimeva la necessità di conferire l'incarico di «Responsabile staff del sindaco» al signor L.B. e successivamente il sindaco Marco Monesi provvedeva a conferire formalmente l'incarico come da delibera con decorrenza dal 1o marzo 2006;
in data 29 marzo 2006, in seno alla seduta del consiglio comunale chiamato a ratificare la suddetta delibera della giunta, Giovanni Leporati, in qualità di capogruppo del gruppo consiliare di opposizione, chiedeva chiarimenti sul perché non fosse stato allegato agli atti della seduta il curriculum vitae del signor L.B. ed il sindaco rispondeva dichiarando che chiunque avesse voluto prendere visione di tale documento avrebbe potuto farlo mediante accesso formale agli atti;
successivamente alla riunione del consiglio comunale, il consigliere Leporati rilasciava la seguente dichiarazione - contenente una chiara critica politica ma senza alcun contenuto diffamatorio - al quotidiano Il Resto del Carlino (edizione del 31 marzo 2006): «Non è stato presentato il curriculum professionale di L.B. (...) e neppure un progetto di incarico con gli obiettivi da raggiungere. Non si comprende poi il motivo per cui è stato nominato un esterno, quando un anno fa chi ricopriva il posto era un dipendente. Forse il sindaco non ritiene che vi siano nel comune persone in grado di svolgere questo lavoro. Ma c'è di più: si è occultato tutto il possibile in termini di informazioni specifiche su L.B. e su quello che saranno i suoi compiti. È una mera scelta clientelare. In barba alla crisi che attanaglia i comuni, la giunta sperpera i soldi dei cittadini per pagare un burocrate che è destinato a svolgere attività politica per i DS, a mio avviso 26 mila euro sono troppi»;
il tribunale di Bologna, investito della questione circa una presunta offensività delle dichiarazioni espresse dal consigliere comunale di minoranza nei confronti del sindaco Monesi, ne ha riconosciuta la natura diffamatoria ed ha, perciò, condannato il consigliere Leporati;
invero, mette conto sottolineare come l'orientamento unanime della Corte di cassazione è nel senso di ritenere che sia configurabile l'esimente della critica politica (quindi non punibile il reato neanche in sede civile), a condizione che ricorrano le seguenti caratteristiche della condotta dell'imputato:
a) l'offesa si realizzi in un contesto di rapporti politici;
b) l'offesa si verifichi nell'ambito di un contegno avente finalità politica;
c) sussista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti oggetto delle dichiarazioni;
d) i fatti descritti rappresentino la verità oggettiva;
e) le espressioni usate non siano volgari, né gratuitamente offensive;
f) le stesse espressioni non costituiscano aggressione della sfera strettamente personale e privata dell'offeso;
nel caso del consigliere Leporati ricorrono senza dubbio le predette condizioni e ciò è stato in parte riconosciuto anche dal giudice. Allo stesso modo non si fa, però, cenno all'eventuale incontinenza delle espressioni utilizzate (cioè alla loro oggettiva volgarità e/o gratuita offensività);
la condanna del Leporati è dunque basata su due assunti fondamentali:
a) il Leporati avrebbe riferito fatti non veri;
b) il Leporati avrebbe offeso il Monesi sul piano personale;
in particolare, il giudice afferma la falsità dell'informazione data dal Leporati in merito al presunto «occultamento» del curriculum vitae del signor L.B. ad opera del sindaco, basando la propria convinzione sull'affermazione dello stesso Leporati che avrebbe definito il signor L.B. come «una vecchia conoscenza», nonché sulla circostanza che il sindaco non avrebbe mai negato l'accesso agli atti del procedimento amministrativo di nomina;
con sentenza n. 4362/2009 pronunciata nella causa civile iscritta al n. rg 13881/2006, il tribunale di Bologna, terza sezione civile, dichiarava «che l'intervista rilasciata da Leporati Gianni a Il Resto del Carlino del 31 marzo 2006 è lesiva della reputazione di Monesi Marco» e per l'effetto condannava il convenuto Giovanni Leporati «al risarcimento del danno, che liquida in euro 4.000,00, nonché alla rifusione delle spese del presente giudizio», ordinando, altresì, «che, a spese del convenuto, la presente sentenza sia pubblicata per una volta e per estratto sul foglio domenicale di Castel Maggiore dello stesso quotidiano»;
osservando con obiettività la vicenda, infatti, si può evincere che proprio la mancata allegazione del curriculum agli atti della seduta è ciò che il consigliere Leporati ha inteso denunciare e questo rappresenta l'esercizio legittimo del diritto di critica ad opera del capogruppo di opposizione. In buona sostanza il convenuto non ha inteso portare a conoscenza della collettività l'esistenza di un vizio formale dell'iter amministrativo, dal momento che nella fattispecie non si rinvengono vizi e che comunque in quel caso sarebbe stato opportuno presentare anche un ricorso al tribunale amministrativo regionale competente; egli ha, invece, voluto rendere pubblica una certa mancanza di trasparenza e di correttezza nei rapporti tra maggioranza e opposizione certamente imputabili al sindaco. Ciò che il Leporati voleva significare è che, nel contesto di una seduta consiliare intesa a ratificare la nomina del signor L.B., sarebbe stato opportuno e corretto allegare i relativi atti del procedimento, sì da mettere tutti i consiglieri nella condizione di poter votare con piena cognizione, ma ciò non è stato fatto;
il giudicante afferma il valore diffamatorio, in particolare, di due espressioni pronunciate dal Leporati e cioè: «sperpera i soldi dei cittadini per pagare un burocrate che è destinato a svolgere attività per i DS» e «è una mera scelta clientelare»; e come, mentre da un lato definisce non solo offensiva ma anche «incauta» l'accusa di sperpero del denaro pubblico, perché il consigliere Leporati non avrebbe dimostrato che all'interno dell'organigramma comunale sarebbe stato possibile trovare una personalità idonea a svolgere il ruolo affidato al signor L.B., dall'altro afferma che per comune esperienza «le amministrazioni pubbliche sono in larga parte gestite da uomini provenienti da apparati di partito», precisando come «questo non implica né che l'azione amministrativa sia distratta a fini privati e neppure che il programma di un partito non coincida con l'interesse pubblico»;
pur nel pieno rispetto dell'autonomia della magistratura, la sentenza - pericolosa da un punto di vista politico morale - ad avviso dell'interrogante avalla da una parte tutte le più nefaste prassi in uso nelle pubbliche amministrazioni, quali il clientelismo e le lottizzazioni, dall'altra un pericoloso limite alla critica politica, che - di fatto - determina una sorta di spada di Damocle su ogni consigliere legittimamente eletto (ma anche ad un semplice cittadino) ogni qualvolta abbia a criticare - seppur aspramente - un amministratore pubblico circa la sua politica amministrativa e/o sul suo operato e sugli atti che compie;
infatti, ciò che appare evidente è ancora una volta la denuncia del Leporati circa una situazione di poca trasparenza e di scarsa serenità nelle scelte del sindaco; influenzato forse da considerazioni politiche certo non poteva essere compito del Leporati indicare chi, all'interno dell'organigramma comunale, avrebbe potuto assumere il ruolo riservato al signor L.B., ma bene ha fatto il consigliere di opposizione a ricordare ai cittadini che tale eventualità non era stata neanche presa in considerazione;
le espressioni usate sono forti e di un certo impatto, ma soltanto a leggere qualsiasi quotidiano se ne rinvengono tutti i giorni di ben peggiori nel contesto dei rapporti politici. In questo caso poi la verità o meno delle affermazioni del consigliere Leporati non ha valore giuridico, in quanto quest'ultimo ha inteso criticare in termini politici l'azione del sindaco, fornendo ai cittadini la sua visione. Innegabile è l'interesse pubblico a conoscere il pensiero dell'opposizione sull'azione amministrativa del sindaco, tanto più in un comune dove la maggioranza governa con percentuali di consenso altissime;
afferma poi il giudicante che l'articolo di giornale contenente le dichiarazioni del Leporati «letto nella sua interezza, consente al lettore di comprendere anche le ragioni del sindaco», salvo, però, far discendere da tale giusta considerazione la sola conseguenza del «ridimensionamento delle pretese risarcitorie dell'attore»;
si è dinanzi ad un articolo di giornale nel cui corpo è riportata la valutazione critica dell'opposizione sull'azione amministrativa del sindaco e la risposta di quest'ultimo a ribadire la legittimità del proprio operato. Certo, alcuni toni potranno essere stati aspri, ma non più del lecito e non diversamente da quanto l'agone politico ci propone. D'altra parte al pubblico dei lettori interessa conoscere l'opinione di tutte le parti politiche per poi orientarsi verso l'una o l'altra, e l'elettore medio è certamente in grado di capire che le affermazioni di un politico sono spesso da prendere non alla lettera, ma per ciò che sottendono. Quanto al contesto, si noti che il comune di Castel Maggiore è un ente a larghissima maggioranza di centrosinistra e che già è piuttosto difficile per un esponente dell'opposizione avere spazio per esternare le proprie opinioni al pubblico, senza il bisogno che una semplice disputa politica venga tradotta in condanna in sede giudiziaria -:
se siano al corrente della situazione sopra descritta e se non ritengano sia necessario dirimere - tramite una migliore indicazione normativa - quale sia il limite alla critica politica, affinché sia data la possibilità ai semplici cittadini, come ai tanti consiglieri di quartiere, comunali e provinciali, di poter legittimamente svolgere il proprio compito istituzionale e/o di partecipazione alla res publica, financo con duri attacchi di critica politica, ma sempre nel rispetto dei limiti all'offesa e al decoro, considerando che diversamente sarà dato alla magistratura di stabilire chi e come può criticare l'operato di un amministratore della res publica, anche in casi nei quali sia dubbia la presenza di offese e/o ingiurie alle persone e al loro decoro di persona e di amministratore. (3-00754)
(9 novembre 2009)
di recente si è registrata l'ennesima condanna di un consigliere comunale di opposizione (comune di Castel Maggiore, provincia di Bologna), per avere diffamato il sindaco; in realtà, il suddetto consigliere ha svolto il proprio ruolo istituzionale criticando alcuni aspetti, a suo modo di vedere, particolarmente gravi dell'attività della giunta comunale;
questo fatto evidenzia l'anomalia della situazione di molti consiglieri comunali di opposizione a Bologna e in Emilia Romagna, che, di fatto, sono ostacolati nello svolgimento della loro attività istituzionale di controllo dell'operato della maggioranza, da quello che, ad avviso dell'interrogante, costituisce un utilizzo distorto che molte giunte possono porre in essere della querela per diffamazione; la querela viene, infatti, spesso paventata ai fini di condizionare l'attività politica dei consiglieri comunali, che, ovviamente, nel rispetto della legge e della onorabilità delle persone, non possono essere privati di un diritto essenziale derivante, fra l'altro, dalla legittimazione popolare attraverso l'elezione diretta in consiglio;
è necessario, a giudizio dell'interrogante, prevedere una qualche forma di garanzia e tutela giuridica per il consigliere comunale o provinciale nell'esercizio delle sue funzioni, che non consenta la diffamazione, ma la libera critica, anche dura, dell'attività del sindaco e della giunta;
infine, l'interrogante non può non rilevare l'anomalia della situazione della giustizia a Bologna, ove, in alcuni ambienti della magistratura, sembra persistere un uso politico della giustizia a vantaggio delle forze di sinistra che amministrano gli enti locali e si palesa, pertanto, la necessità di garantire che l'amministrazione della giustizia sia imparziale nei confronti di tutti i cittadini, cosa non avvenuta, ad esempio, a parere dell'interrogante, nella recente campagna elettorale per le amministrative, in cui è stata impedita ad un consigliere comunale la divulgazione di un opuscolo contro l'amministrazione comunale -:
se siano al corrente della situazione descritta in premessa e se non ritengano di assumere iniziative di carattere normativo volte a definire più compiutamente i confini della critica politica, in maniera tale da tutelare adeguatamente il pieno svolgimento del proprio mandato istituzionale da parte dei consiglieri comunali e provinciali. (3-00756)
(10 novembre 2009)
premesso che:
tramite la risoluzione n. 54/134 del 17 dicembre 1999, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, invitando i Governi, le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non governative ad organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica in quel giorno;
ci si trova a vivere un inizio di secolo in cui il grande tema dei diritti umani si ripropone in tutta la sua drammaticità e chiama in causa la responsabilità di istituzioni e politica: questo significa fare i conti, in primo luogo, con la violazione dei diritti umani delle donne, a partire dalla dignità del loro corpo;
come hanno dichiarato numerose risoluzioni delle Nazioni Unite, del Parlamento europeo, di organismi sovranazionali e come hanno sottolineato le prese di posizione di associazioni e studiosi, assumere una visione e un piano per i diritti umani significa oggi per la politica mettere al centro innanzitutto i diritti umani delle donne, il cui riconoscimento determinerà il profilo democratico, la convivenza futura e la stessa crescita economica e civile;
il «libro nero» dei diritti umani delle donne è noto nella sua crudezza e tragicità: è aperto un conflitto nel mondo, una vera e propria guerra sparpagliata, che ha come oggetto il dominio sul corpo delle donne;
nel mondo, dunque, una donna su tre, nella sua vita, è stata o è destinata a essere almeno una volta vittima di violenza fisica, sessuale o psicologica e il 70 per cento delle donne assassinate muore per mano di parenti;
i dati Istat riferiti al 2006 ed elaborati nel 2007 (non si dispone, allo stato, di dati ufficiali più recenti, poiché il dipartimento per le pari opportunità non ha provveduto all'aggiornamento delle statistiche di genere) parlano chiaro: sono 6 milioni e 743 mila le donne dai sedici ai settant'anni che sono rimaste vittime di molestie o violenze fisiche, psichiche o sessuali nel corso della vita; circa 1 milione di donne ha subito stupri o tentati stupri (il 4,8 per cento della popolazione femminile globale); il 14,3 per cento delle donne ha subito almeno una violenza fisica o sessuale dal proprio partner. Il 24,7 per cento delle donne ha subito violenze da un altro uomo, 2 milioni e 77 mila donne hanno subito comportamenti persecutori (stalking), dai partner al momento della separazione; nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate; ciò che possiamo definire come il «sommerso» è tuttora elevatissimo e raggiunge circa il 96 per cento delle violenze da un non partner e il 93 per cento di quelle da partner; anche nel caso degli stupri la quasi totalità non viene denunciata;
il rispetto dei diritti umani delle donne assurge, ancora una volta, a simbolo di civiltà e di riconoscimento dei diritti umani e civili di ogni persona, dell'uguaglianza innanzi alla legge e del contrasto a ogni forma di discriminazione, diritti sanciti nella Costituzione italiana e nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo;
il nostro Paese non fa certo eccezione: in Italia il fenomeno della violenza nei confronti delle donne, terribile e declinata in molti modi, è purtroppo fuori controllo;
il 25 novembre del 2008 il Parlamento aveva approvato all'unanimità il dispositivo di una mozione presentata dal gruppo del Partito democratico, la n. 1-00070, che impegnava il Governo: "a presentare in Parlamento al più presto il piano d'azione elaborato dal dipartimento per le pari opportunità in coordinamento con i ministeri interessati, la conferenza Stato-regioni, le forze dell'ordine, i centri antiviolenza e gli operatori di giustizia; a prevedere per l'attuazione del piano d'azione adeguate risorse per il suo funzionamento, a partire dallo stanziamento già previsto dalla finanziaria vigente, nonché un aumento progressivo; a promuovere, altresì:
a) un programma di educazione e formazione al rispetto della donna, della persona e dei diritti umani a partire dalle scuole;
b) la predisposizione di codici etici per l'informazione, la pubblicità e, in generale, per l'immagine femminile e, più complessivamente, per i linguaggi violenti e prevaricanti;
c) iniziative volte a sensibilizzare l'opinione pubblica attraverso campagne informative sul tema della violenza contro le donne e a rendere le donne consapevoli degli strumenti a disposizione per la loro tutela, tra cui il sostegno dei numeri verdi;
d) il potenziamento della rete dei centri antiviolenza presenti sul territorio nazionale, che prestano un servizio di fondamentale importanza alle vittime di sopraffazione e di violenza;
e) la previsione di iniziative specifiche per la formazione del personale socio sanitario, delle forze dell'ordine e degli operatori di giustizia;
f) azioni positive per l'assistenza legale e psicologica delle vittime di violenza sessuale;
g) le iniziative legislative contro gli atti persecutori e la violenza sessuale, attraverso l'introduzione di norme che garantiscano una seria azione di prevenzione, la certezza della pena e la tutela e la dignità delle vittime dei reati";
nonostante gli impegni assunti dal Governo ormai due anni fa, oggi le principali reti di associazionismo femminile, impegnate sui temi della tutela della donna e dei servizi territoriali contro la violenza, si trovano a dovere lanciare un grido di allarme per la chiusura forzata di numerosi centri antiviolenza e case rifugio in molto zone del territorio nazionale;
si parla, ad esempio, di Genova, con la paventata chiusura del centro antiviolenza di via Mascherona e gli sportelli territoriali di ascolto e aiuto per le donne in difficoltà, di Catania, con la chiusura del centro antiviolenza «Thamaia», della Calabria, con l'annunciata chiusura del centro antiviolenza donne «Roberta Lanzino», di Palermo, con la vicenda del centro antiviolenza «Le onde», e di tante altre zone d'Italia;
la chiusura dei centri, interamente finanziati dagli enti locali, appare essere la diretta conseguenza della drastica riduzione dei trasferimenti a regioni, province e comuni a seguito delle rigide misure di controllo del debito pubblico prese dal Governo;
anche laddove i centri non rischiano direttamente la chiusura, la riduzione dei trasferimenti economici ridimensiona gravemente le attività e la dimensione dei servizi erogati e, in generale, indebolisce il senso stesso dei centri antiviolenza, che vanno considerati servizi essenziali e riconosciuti come parte essenziale e di un sistema integrato;
con l'approvazione della normativa sullo stalking si è fatto certamente un passo avanti sul tema della tutela della donna, ma intervenire solo sul circuito penale non è certo sufficiente se manca del tutto una cultura della prevenzione e dell'assistenza delle vittime: inoltre appare evidentemente inutile intervenire con leggi nazionali se poi, sui territori, non si finanziano i servizi operativi, anzi li si costringono alla chiusura per totale mancanza di risorse economiche;
inoltre, va considerato che i centri antiviolenza costituiscono un vero e proprio investimento non solo in termini «sociali» ma anche in senso economico per il Paese, perché una donna accolta in un centro «costa» sette volte in meno rispetto al caso in cui la donna vittima di violenza venga assistita dai servizi sociali;
la legge di stabilità non prevede alcun finanziamento per il fondo contro la violenza sulle donne e stanzia, invece, a favore del fondo per le pari opportunità, solo un esiguo e assolutamente insufficiente stanziamento di due milioni,
(1-00512)
«Amici, Lenzi, Villecco Calipari, Franceschini, Ventura, Maran, Boccia, Quartiani, Giachetti, Rosato, Bellanova, Bobba, Bocci, Bossa, Brandolini, Bucchino, Castagnetti, Causi, Cenni, Codurelli, Concia, Coscia, D'Incecco, De Biasi, D'Antona, Esposito, Farinone, Ferranti, Fontanelli, Froner, Garavini, Gatti, Genovese, Ghizzoni, Gnecchi, Grassi, Lulli, Madia, Marchi, Mariani, Mastromauro, Mattesini, Mazzarella, Melis, Mosca, Motta, Murer, Narducci, Pedoto, Peluffo, Pes, Pizzetti, Porta, Pollastrini, Rossa, Rossomando, Samperi, Schirru, Sereni, Servodio, Siragusa, Tidei, Tullo, Vannucci».
(13 dicembre 2010)
premesso che:
l'articolo 2, comma 463, della legge finanziaria per il 2008, l'ultima del Governo Prodi, finanziava con 20 milioni di euro un piano contro la violenza sulle donne, piano che si sarebbe concretizzato, oltre che nell'erogazione di risorse al fondo contro la violenza sulle donne e di genere ed ai centri e alle associazioni specializzate, in una campagna di rieducazione al rispetto e alla dignità verso le donne, che avrebbe raggiunto le istituzioni locali, gli organi mediatici, le scuole, la pubblicità ed i programmi televisivi;
il piano ricalcava la legge organica contro la violenza sulle donne, varata con serietà ed efficacia dalla Spagna nel 2004, che riconosce la violenza - anche quando abbia luogo fra le mura domestiche - come problema sociale di cui i poteri pubblici devono farsi carico per prevenire e porre rimedio attraverso sistemi adeguati, non limitandosi ad inasprire le pene: in quest'ottica è stato predisposto un intervento integrato e multidisciplinare che deriva dal fatto di considerare, quale origine delle violenza sessista, la discriminazione della donna nella società, al fine di consentire l'adozione di trattamenti differenziati per sesso, al contempo organizzando una vera e propria campagna educativa capillare;
uno dei primi atti del Governo insediatosi con l'avvio della nuova legislatura, quella attualmente in corso, è stato quello di tagliare i fondi stanziati per il sostegno alle donne vittime di violenza e per la prevenzione;
nel nostro Paese, nell'anno appena trascorso, oltre 120 donne hanno perso la vita per mano, nella maggioranza dei casi, di mariti, fidanzati o ex partner: spesso la morte o altri atti di violenza gravi sono giunti in seguito alla decisione delle vittime di interrompere una relazione;
guardare alle statistiche può essere d'aiuto a capire la situazione: i numeri dicono che in Italia ci sono 14 milioni di donne vittime di violenza di cui ben tre milioni tra le mura domestiche, drammi vissuti nel silenzio e nell'indifferenza: in Italia una donna su tre subisce violenza fisica e sessuale, soprattutto tra le mura di casa, e si stima possano essere circa il 65 per cento della popolazione femminile; un milione e 400 mila donne hanno patito uno stupro prima dei 16 anni, ma il 96 per cento delle violenze non viene denunciato, il 14,3 per cento delle donne ha subito almeno una volta violenza fisica o sessuale dal partner, attuale o ex, mentre il 24,7 per cento le ha ricevute da un altro uomo;
secondo dati Istat, solo il 18,2 per cento delle donne considera la violenza patita in famiglia un «reato», mentre il 44 per cento la giudica semplicemente «qualcosa di sbagliato» e ben il 36 per cento solo «qualcosa che è accaduto»;
nel lontano 2002, il Consiglio d'Europa ha varato una raccomandazione (n. 5/02) in cui sottolineava che la violenza maschile contro le donne è il maggior problema strutturale della società che si basa sulla ineguale distribuzione di potere nelle relazioni tra uomo e donna;
più di recente, la Commissione europea, nella conferenza del 31 gennaio 2009, ha ribadito la necessità di individuare percorsi utili «per eliminare tempestivamente ruoli tradizionali e stereotipi legati al genere, in particolare nei settori della educazione, formazione, cultura», anche sostenendo «la partecipazione delle donne all'economia e ai processi decisionali in materia politica»;
l'Unione europea mostra un orientamento ed una volontà tesi ad affrontare il cuore del problema: la violenza sessista quale manifestazione di abuso derivante da situazioni di svantaggio sociale e politico a sfavore delle donne, definendo anche un percorso promozionale di opportunità e diritti, quale risposta complessa e coinvolgente i pubblici poteri per l'avvio alla soluzione di un problema complesso, soprattutto a causa del suo persistente radicamento nel tessuto sociale;
la Dichiarazione dell'Onu sull'eliminazione della violenza contro le donne definisce quest'ultima come ogni atto di violenza basata sul genere che risulti, o possa risultare, in un danno fisico, psicologico o sessuale sofferto dalle donne: gli atti in questione includono la violenza fisica, l'abuso o la coercizione sessuale, o la molestia sessuale;
l'aggressività maschile, sottolinea l'Onu, è la prima causa di morte e di invalidità per le donne tra i 16 ed i 44 anni di tutto il mondo;
eppure, nonostante gli appelli, i proclami, i buoni intendimenti, il mondo non si è spinto molto avanti nel mettere fine alla violenza ed all'abuso sessuale contro donne e bimbe, che comportano lesioni non solo sotto il profilo psico-fisico ma anche sul piano dei diritti umani;
ugualmente può dirsi per i luoghi politico-istituzionali, pervasi da un antico disinteresse unito a coriacea noncuranza nei confronti della questione femminile, a volte con un messaggio esplicito, altre volte con venature ammiccanti o paternalistiche;
peggio, attualmente la sessualità sta entrando prepotentemente nella sfera pubblica, politico-istituzionale, portando allo scoperto i legami tra una sessualità «di servizio», come quella femminile, e il potere che ne gode i benefici, compensandoli con protezione, denaro, doni, onorificenze;
il rapporto tra i sessi riscontrabile nello scambio di sesso con cariche di rappresentanza o benefici di varia natura non solo investe le persone, ma la democrazia stessa e la credibilità delle istituzioni che rappresentano: ciò non può che riversarsi in modo infausto nella quotidianità del comune cittadino, acuendone il maschilismo e l'aggressività;
benché l'Italia detenga la non invidiabile definizione di «fanalino di coda» quanto a condizione femminile, pochi si indignano, la gran parte dell'opinione pubblica risulta indifferente, inerte nonostante al tema della dignità e del corpo offesi delle donne reagiscano associazioni femministe, libri e campagne, una delle quali, in particolare, ha assunto la forma di un documentario, della durata di 25 minuti, sull'uso del corpo della donna in tv, curato da Lorella Zanardo e Marco Malfi Chindemi, visionato in tutto il mondo grazie alla tecnologia internet: gli autori hanno dichiarato di essere partiti da un'urgenza, dalla constatazione che le donne, le donne vere, stiano scomparendo dalla tv e che siano state sostituite da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante, che cancella l'identità delle donne, che sta avvenendo sotto lo sguardo di tutti ma senza che vi sia un'adeguata reazione, nemmeno da parte delle donne medesime;
il documentario mostra esclusivamente immagini televisive che hanno in comune l'utilizzo manipolatorio del corpo delle donne, per raccontare quanto sta avvenendo non solo a chi non guarda mai la tv, ma specialmente a chi la guarda ma «non vede», al fine di interrogarsi sulle ragioni di questo «pogrom, di cui siamo tutti spettatori silenziosi»: ciò che emerge è un'anomalia tutta italiana, la banalizzazione della rappresentazione della donna, raccontata come se non avesse rispetto di sé e gli altri non la rispettassero;
il documentario ha poi dato particolare risalto alla cancellazione dei volti adulti in tv, al ricorso alla chirurgia estetica per cancellare qualsiasi segno del passaggio del tempo e alle conseguenze sociali di questa rimozione: l'apparenza fisica rischia di tradursi in ulteriore fattore di discriminazione, una selezione «estetica» che ha conseguenze drammatiche anche nell'ambito lavorativo e professionale e che recentemente ha lambito, in forma di sospetto, finanche le istituzioni e la selezione delle rappresentanti politiche;
resta, comunque, il fatto che di donne ce ne sono ben poche nei consigli di amministrazione, nel business dell'impresa, nelle funzioni di responsabilità ed i recentissimi dati Istat mostrano un panorama ancora peggiore;
dal rapporto Istat «Noi Italia», appena pubblicato, emerge che nel nostro Paese quasi una donna su due non ha un'occupazione né la cerca più, in particolare, il tasso di inattività femminile italiano è il secondo in Europa, inferiore solamente a quello di Malta; se in tutti i Paesi dell'Unione i tassi di inattività degli uomini (22,2 per cento nella media comunitaria) risultano inferiori a quelli delle donne (35,7 per cento), è anomalo e preoccupante il dato del nostro Paese circa l'accentuato differenziale di genere, pari ad oltre 22 punti percentuali: il livello di inattività maschile è pari al 26,3 per cento, più o meno in linea con la media europea, mentre quello femminile è straordinariamente elevato, essendo pari al 48,9 per cento;
la questione è all'ordine del giorno, indagata da organi d'informazione e specialisti di ricerche sociologiche: ad esempio, un articolo del New York Times dell'11 ottobre 2010 attribuisce al «machismo» dei Paesi del Sud Europa lo scarso sviluppo e la fragilità delle loro basi economiche, esaminando accuratamente la qualità e la misura dell'esclusione femminile;
è perfino superfluo affermare che l'espulsione delle donne dal mercato del lavoro e il loro confinamento nel precariato toglie loro indipendenza economica e autonomia, cosa che crea un circolo vizioso;
ci si chiede quanto debba ancora incrementarsi per diventare «significativa» la violenza maschile contro le donne e se non bastino i rapporti allarmanti di tutte le organizzazioni nazionali ed internazionali, insieme alla catena di omicidi, stupri e violenze quasi quotidiani, perché le istituzioni pubbliche arrivino a riconoscerne la gravità e la portata politica eccezionale;
la nostra società fatica ancora a riconoscere pienamente il profondo disvalore della condotta maschile violenta - sessuale, fisica, psicologica - realizzata contro le donne, anche a causa della confusione creata da alcuni modelli che vengono sistematicamente proposti: «si tratta di una forma di violenza sottile nuova per i parametri di riferimento estetici e di presunta affermazione sociale, ma vecchia per il modo di considerare la donna» (Fabio Roia, ex componente del Consiglio superiore della magistratura, 2009);
due anni or sono, la recrudescenza degli stupri e delle violenze ha comportato, quale riflesso condizionato da parte del Governo, la messa in campo di misure emergenziali attraverso la militarizzazione del territorio anche finalizzata al respingimento dei migranti: con ciò si è nascosta una verità assodata, che il luogo privilegiato delle violenze sono le mura domestiche, contesto in cui prevalentemente si origina e si coltiva la violenza sessista contro le donne;
rispetto alla violenza contro le donne l'approccio è rimasto nell'ambito del diritto criminale - comportamenti previsti e puniti, una volta messi in atto, a posteriori, secondo le tipologie di reato, atti di violenza sessuale, percosse, lesioni personali, violenza privata, minacce, maltrattamenti, violazione degli obblighi di assistenza famigliare e così via - compresa, in parte, anche la recente normativa che ha introdotto, pur lodevolmente, il reato di stalking, nata come decreto-legge dal titolo-simbolo «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori»;
nulla è pensato in ordine alle cause e alla situazione predisponente, in quanto gli interventi istituzionali sono rigidamente costretti nel quadro della sicurezza pubblica e del contrasto a comportamenti delittuosi;
l'uguaglianza fra i sessi incontra un ostacolo insormontabile nella violenza quotidianamente perpetrata contro molte donne da parte di molti uomini; non può esistere pari opportunità per una democrazia paritaria se il fenomeno non viene considerato dalle istituzioni quale problema sociale grave, assumendosene la responsabilità attraverso un messaggio culturale e politico di contrasto e facendosi carico di azioni mirate in particolare alla prevenzione, oltre che alla doverosa repressione;
nel documento «Sessismo: la violenza che tutti evitano di nominare» (gennaio 2009), elaborato da alcune associazioni di donne, si legge che «la violenza contro le donne, anche domestica, non può mai essere un fatto privato, ma è un'indecenza pubblica che le istituzioni non possono ignorare o mistificare attraverso la scorciatoia dell'utilizzo del diritto criminale come risposta esclusiva o preponderante. Ben altri livelli occorre agire per contrastare questo grumo di violenza ancestrale, sedimentato nell'immaginario maschile, che va contrastato a partire dai primissimi messaggi che i bambini ricevono dalla famiglia, dalla scuola e dalla società»;
nel nostro Paese, ove più marcata risulta la disuguaglianza fra i sessi, ove anche i media indulgono in un'immagine poco dignitosa se non degradata della donna, non è più il tempo di escogitare tecnologie di protezione per le donne, di gridare a pene severe e punizioni esemplari: ciò è stato fatto, ma non è bastato e non può bastare;
i pregiudizi e gli stereotipi dei quali sono vittime le donne non possono essere regolati solo sulla base del diritto criminale e delle norme giuridiche;
impressionante è l'attuale regressione quasi collettiva rispetto al riconoscimento della dignità delle donne, che colpisce anche inconsapevoli, al momento, bambini e ragazzi maschi; il modello «velina» e tutte le immagini pubblicitarie che rappresentano la donna solo come corpo erotico, hanno sicuramente contribuito a incrementare quella «violenza sottile» che reca discredito preconcetto verso le donne: chi lavora nella scuola e nei servizi sociali denuncia una situazione spesso molto critica nei comportamenti degli adolescenti maschi, inclini verso le loro coetanee e non solo, a comportamenti violenti, individuali e di gruppo;
non è ancora chiaro se si è di fronte ad una recrudescenza quantitativa delle violenze contro le donne o ad un aumento delle denunce da parte delle donne, resta il fatto che non possono essere tollerabili le manifestazioni estreme del «machismo» e della prevaricazione maschile e, banalmente, resta il fatto che violenze, abusi e stupri finiranno quando gli uomini smetteranno di perpetrarli;
è giunto il momento, per le istituzioni pubbliche, di una chiara presa di posizione e di un'assunzione di responsabilità che, in parte, può essere soddisfatta da un piano organico e multidisciplinare di intervento, destinato a conoscere e ad affrontare la complessa problematica nei suoi vari aspetti, una sorta di piano nazionale onnicomprensivo che mira ad un cambiamento della cultura e delle relazioni reciproche fra i generi in vari campi sociali;
doveroso risulta, in particolare, l'impegno da parte di tutte le donne che ricoprono ruoli istituzionali a proporre, seguire e curare ad ogni livello le misure necessarie ad una svolta di civiltà e di pensiero e ad una nuova pedagogia del rispetto e della dignità delle donne;
va ricordato che contro il fumo è stata scatenata una campagna di sensibilizzazione imponente, che ha coinvolto anche le istituzioni europee, che è giunta ad impostare una nuova cultura e che ha condotto all'abolizione delle sigarette dai film e dalle pubblicità al fine di non istigare a comportamenti nocivi per la salute, segno ed esempio evidente che pensiero e cultura possono essere modificati, anche radicalmente,
ad assumere iniziative per dotare il fondo contro la violenza sessuale e di genere di risorse adeguate agli obiettivi di competenza e per reintegrare le risorse sottratte ai centri antiviolenza e alle case delle donne maltrattate, al fine di cancellare la sensazione di indifferenza istituzionale;
a promuovere e curare - attraverso il coinvolgimento di tutti i poteri pubblici competenti, centrali e territoriali - campagne di informazione, formazione e sensibilizzazione finalizzate alla prevenzione della violenza di genere, utilizzando l'esperienza e la competenza delle organizzazioni di settore;
ad adottare, a fronte del ruolo fondamentale nella crescita delle nuove e dei nuovi cittadini ricoperto dalle istituzioni scolastiche, iniziative ordinamentali - quali settimane dedicate, dalla scuola materna all'università - al fine di dare fondamento ai principi costituzionali che dichiarano l'uguaglianza e la pari dignità tra i sessi e di combattere gli stereotipi di genere, che si formano sin dai primi anni di età, in particolare prevedendo un programma di rieducazione e formazione sull'esercizio di diritti e obblighi uguali fra maschi e femmine nell'ambito sia privato che pubblico;
a valutare le opportune ed appropriate modalità per adottare iniziative contro l'uso del corpo delle donne nella pubblicità, nella televisione e sui media, a causa del quale anche indagini internazionali segnalano lo scadimento della rappresentazione delle donne in Italia;
a farsi promotore e portatore nelle competenti sedi istituzionali europee della necessità di un programma incisivo e comune, rivolto in particolare ai giovani per mettere fine alle discriminazioni e alle violenze intrecciate al genere.
(1-00532)
«Mura, Di Giuseppe, Donadi, Evangelisti, Borghesi».
(20 gennaio 2011)
premesso che:
la violenza contro le donne è un problema diffuso che ha gravi conseguenze sociali e inevitabili ripercussioni sulla salute fisica e psichica delle donne. Si ripercuote per generazioni e non risparmia nessuna nazione o Paese, sia industrializzato che in via di sviluppo. Sia le vittime che gli aggressori appartengono a tutte le classi sociali; secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) una donna su cinque ha subito, nella sua vita, abusi fisici o sessuali da parte di un uomo;
si è in presenza di un problema globale che deve essere affrontato responsabilmente da parte di tutte le istituzioni. Secondo le rilevazioni effettuate dall'Organizzazione mondiale della sanità tra i fattori causa del problema concorrono motivi individuali, familiari, della comunità e della società che accrescono il rischio di violenza contro le donne: bassa posizione socioeconomica e istruzione; dipendenza da sostanze; cattivo funzionamento della famiglia; marcata diseguaglianza di genere nella comunità e scarsa coesione sociale; società con norme che conferiscono insufficiente autonomia alle donne. Purtroppo, quelli enumerati sono solo una parte delle cause del fenomeno;
si tratta di una violazione dei diritti umani, troppo spesso ignorata o sottostimata che dovrebbe essere trattata con priorità nella sanità pubblica; l'esperienza internazionale della violenza sulle donne ha creato una sorta di «libro nero» dei diritti umani delle donne, noto nella sua crudezza e tragicità, da cui si rileva come nel mondo sia aperta una sorta di guerra in ordine sparso, che ha come oggetto il dominio e la sopraffazione del corpo delle donne; il rispetto dei diritti umani delle donne assurge, ancora una volta, a simbolo di civiltà e di riconoscimento dei diritti umani e civili di ogni persona, dell'uguaglianza innanzi alla legge e del contrasto a ogni forma di discriminazione, diritti sanciti nella Costituzione italiana e nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo;
nel corso della prima Conferenza internazionale sulla violenza contro le donne nell'ambito della Presidenza italiana del G8 nel 2009 è stata affermata la necessità di educare tutte le società ai valori dell'uguaglianza, senza distinzione di «sesso, religione, razza, lingua, opinioni politiche, condizioni personali e sociali e di creare una grande alleanza tra tutti i Governi e la società civile per porre fine a ogni forma di violenza contro le donne»;
ci sono luoghi e culture dove la donna viene discriminata o sottovalutata per il solo fatto di essere donna, dove si fa ricorso persino ad argomenti religiosi e a pressioni familiari, sociali e culturali per sostenere la disparità dei sessi, dove si consumano atti di violenza nei confronti della donna, rendendola oggetto di maltrattamenti e di sfruttamento nella pubblicità e nell'industria del consumo e del divertimento;
purtroppo, non molto è stato fatto; infatti, dall'ultimo rapporto Eures-Ansa emergono numeri preoccupanti che fotografano una situazione tutt'altro che rassicurante. Teatro delle violenze è sempre più spesso l'ambito familiare. Gli uomini continuano ad occupare il primo posto nella classifica delle vittime di omicidio, ma il numero delle donne morte per mano di un assassino è cresciuto vertiginosamente negli ultimi anni. In Italia una vittima di omicidio su quattro è donna. Si è passati dal 15,3 per cento delle vittime femminili di delitti nel biennio 1992-1994 al 23,8 per cento tra il 2007 e il 2008;
l'Istat, nella prima indagine sulla sicurezza interamente dedicata al fenomeno della violenza fisica e sessuale contro le donne, riporta che in Italia, nel 2006, quasi sette milioni di donne - tra i 16 e i 70 anni - sono state vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita. Il sommerso è elevatissimo ed è consistente anche la quota di donne che non parla con nessuno delle violenze subite. Ciò accade perché la donna anche se vittima si sente in colpa e ha difficoltà a riconoscere la violenza subita come reato;
tra le morti da violenza contro le donne vanno annoverati i delitti d'onore (5.000 l'anno in tutto il mondo), i suicidi, gli infanticidi di femmine e le morti materne da aborto insicuro. In Italia, un omicidio su quattro avviene in famiglia e il 70 per cento delle vittime sono donne;
il fenomeno della violenza fisica e sessuale degli uomini contro le donne ha riguardato un terzo delle donne che vivono in Italia: sono, infatti, 6 milioni e 743 mila (il 31,9 per cento) le donne vittime di tali violenze nel corso della propria vita. Tra queste, quasi 4 milioni di donne hanno subito violenza fisica (il 18,8 per cento, il 16 per cento se si esclude la sola minaccia di violenza) e circa 5 milioni (23,7 per cento) hanno subito violenza sessuale. Se fra le violenze sessuali si considerano solo lo stupro e il tentato stupro, la percentuale di vittime è pari al 4,8 per cento, che corrisponde a oltre un milione di donne;
lo stupro colpisce ogni parte del globo: i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità fissano tra il 14 ed il 20 per cento il numero di donne che, negli Stati Uniti, subiscono uno stupro durante il corso della vita. Percentuali analoghe sono rilevate in Canada, Corea e Nuova Zelanda. La violenza sessuale è anche un'arma di guerra, solo da poco riconosciuta come tale dalle leggi internazionali. I conflitti con un forte connotato etnico, come quelli nei Balcani o in Africa centrale, vedono l'uso dello stupro come strumento bellico da parte di entrambi i contendenti. Nel 1993, il Centro per i crimini di guerra di Zenica aveva documentato in Bosnia 40 mila casi di stupro, ma le cifre reali sono ritenute ben più alte e vi sono sospetti che persino alcuni soldati dell'Onu si siano resi responsabili di aggressioni;
l'indagine Istat presenta dati che fanno riflettere e spostano il quadro dell'immaginario collettivo rispetto alle violenze. Le donne vittime di abusi sessuali o stupri sono nel 45 per cento dei casi donne divorziate, con una laurea e con lavori di responsabilità. Nel 64 per cento dei casi abitano al Centro-Nord;
tali dati dimostrano che il ventaglio della diffusione della violenza sessuale sta mettendo radici su diversi livelli di stratificazioni sociali. Le donne che dovrebbero essere meno soggette a tale problematica, che dovrebbero essere più capaci a difendersi e con una possibilità economica maggiore per poter essere indipendenti, purtroppo non risultano essere, attenendosi ai dati, così capaci;
anche le cosiddette donne in carriera mostrano fragilità a livello personale, insicurezza relazionale e, quindi, possibilità di divenire vittime di violenze intrafamiliari. Va considerato anche che esse sono sempre più sole e sempre meno protette dalla famiglia d'origine per l'impianto della famiglia mononucleare; donne sempre più sole in città sempre più affollate e costrette a difendere se stesse e i propri figli dalla ferocia dei violenti;
il 25 novembre, giornata simbolo scelta dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite (con la risoluzione n. 54/134 del 17 dicembre 1999) per celebrare la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, diverse istituzioni e vari enti hanno festeggiato questa giornata attraverso iniziative politiche e culturali;
purtroppo, nonostante l'intervento delle istituzioni, a fronte di un fenomeno che registra un generale aumento delle richieste di aiuto e della gravità dei casi, le risorse a sostegno dei centri antiviolenza rischiano di subire i tagli dovuti alla crisi: sostenere adeguatamente chi aiuta le vittime è il primo atto di responsabilità sociale da parte dei Governi locali e nazionale;
nel mese di novembre 2010, da un importante convegno tenuto dall'Aogoi, l'Associazione ginecologi ed ostetrici ospedalieri italiani, che ha affrontato la delicata tematica della violenza sessuale sulle donne, è emerso che le conseguenze di una violenza sessuale, a livello fisico e psichico, sono, devastanti e distruttive;
si è rilevato che l'81 per cento delle donne che si sono suicidate, erano persone vittime di abusi. Inoltre, le donne violate, presentano disturbi fisici importanti, che vanno dalla sindrome post traumatica da stress, a seri disturbi del sonno, a problematiche alimentari piuttosto gravi ed alla pericolosa tendenza ad isolarsi socialmente; un dato inquietante, ad esempio, mette in evidenza che in Italia le denunce contro gli atti di violenza avvenuti in famiglia vengano spesso scoraggiate dalle forze dell'ordine. A livello giudiziario, spesso un padre violento nei confronti della propria moglie o compagna in molti casi non viene valutato negativamente come genitore, mentre le due cose non dovrebbero essere scisse;
in Italia, purtroppo, si è ancora molto indietro su questa tematica ed il personale sanitario non è sempre all'altezza di seguire con accuratezza le donne violate; la metà delle donne che si rivolgono ai centri per denunciare episodi di violenza si ritengono non autosufficienti dal punto di vista economico e questo dato è tanto più negativo se si pensa che è spesso lo stesso partner ad usare violenza. Metà delle donne non possono garantirsi l'indipendenza economica e, di conseguenza, non possono garantirla ai figli; questo fattore determina che la maggior parte delle donne che subiscono violenza economica e psicologica la subiscono perché non si sentono economicamente autosufficienti e non vedono alternative alla situazione di cui sono vittime;
il sistema sanitario italiano sente la coscienziosa esigenza di poter intervenire in modo corretto e competente, unendo le forze mediche, psicologiche e legali; questo significa che il problema esiste ed è sempre più grave;
solo nel 2009 si è legiferato sullo stalking, il reato di atti persecutori e molestie insistenti, introdotto con il decreto-legge cosiddetto anti-stupri del 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38. Da allora i dati del Ministero della giustizia riferiscono di 5.200 denunce e oltre 1.000 arresti dall'introduzione del reato, con un aumento delle richieste d'aiuto del 25 per cento; nei primi tre mesi del 2010 le persone denunciate per stalking sono state 1.592, quelle arrestate 293,
a potenziare la prevenzione della violenza attraverso interventi che aumentino l'istruzione e le opportunità per le donne e le ragazze e che riducano tutti i tipi di disuguaglianze, nonché a rendere operativi programmi per i ragazzi che crescono in famiglie con violenza domestica, dal momento che risiede proprio là il rischio maggiore che diventino adulti violenti;
a promuovere, in linea anche con quanto sancito dal nuovo contratto di servizio pubblico tra la Rai e il Ministero dello sviluppo economico, che prevede un maggior rispetto dell'immagine e della dignità della donna, dei codici etici per l'informazione, la pubblicità e, in generale, per l'immagine femminile e, più complessivamente, per il contrasto dei linguaggi violenti e prevaricanti per evitare una strumentalizzazione della donna in genere e del corpo della donna in particolare, che, attraverso immagini che feriscono la dignità umana e non solo quella femminile, provoca la riduzione della figura femminile ad esclusivo oggetto di desiderio;
a garantire una rapida conclusione ed entrata in vigore del contratto di servizio pubblico tra la Rai e il Ministero dello sviluppo economico per il 2010-2012, non ancora firmato pur essendo il precedente già scaduto a dicembre 2009, permettendo in tal modo l'applicazione delle proposte ivi contenute e atte a sostenere una migliore rappresentazione delle donne;
ad incentivare interventi complessivi e integrati a sostegno delle donne che subiscono violenza attraverso il coordinamento dei centri antiviolenza sorti a livello regionale con il piano nazionale antiviolenza, al fine di attuare una politica unitaria più compatta e duratura;
ad attivare con tempestività un sistema di monitoraggio a livello di sanità pubblica, atto ad individuare e ridurre le conseguenze della violenza sulle donne, sia sul piano assistenziale che organizzativo, attraverso una maggiore informazione e formazione di personale addetto che sia in grado di affrontare i casi specifici con piena consapevolezza;
a stimare le risorse realmente messe a disposizione dal Governo per le donne vittime di violenza, assumendo iniziative per incrementare i fondi a favore della loro assistenza legale, dei centri di aiuto e degli sportelli anti-violenza sorti in tutta Italia;
a collocare il contrasto alla violenza contro le donne ai primi posti della programmazione politica, sia sul piano nazionale che su quello territoriale, prevenendo i reati più gravi come le lesioni personali e l'omicidio e facendo in modo che le iniziative normative contro gli atti persecutori e la violenza sessuale garantiscano la certezza della pena e la tutela e la dignità delle vittime dei reati;
a valutare - alla luce degli ultimi fatti di cronaca che dimostrano che la molestia troppo spesso si trasforma in omicidio - quali misure urgenti possano essere messe in campo per una più efficace collaborazione tra soggetti istituzionali e l'Osservatorio nazionale stalking, ai fini dell'attività di protezione delle vittime.
(1-00534)
«Binetti, Capitanio Santolini, Mondello, Formisano Anna Teresa, Galletti, Compagnon, Ciccanti, Naro, Nunzio Francesco Testa, De Poli, Rao».
(24 gennaio 2011)
premesso che:
i diritti delle donne sono parte integrante ed inalienabile di quel patrimonio di diritti universali in cui si riconoscono le moderne società democratiche; combattere con forza ogni atteggiamento e comportamento che tendono a tollerare, giustificare o ignorare la violenza commessa contro le donne è, pertanto, assoluta priorità di ogni livello di Governo; vale la pena citare le parole di Kofi Annan: «La violenza contro le donne è forse la violazione dei diritti umani più vergognosa. Essa non conosce confini né geografia, cultura o ricchezza. Fin tanto che continuerà, non potremo pretendere di aver compiuto dei reali progressi verso l'uguaglianza, lo sviluppo e la pace»;
nonostante il riconoscimento di fondamentali diritti civili, sociali e culturali a favore delle donne, la violenza fisica e sessuale è ancora oggi una delle forme di violazione dei diritti umani più grave e più diffusa nel mondo;
a livello mondiale, le cronache riportano con puntuale periodicità episodi di violenza commessi nei confronti di donne molestate, minacciate, violentate, stuprate, uccise, cui si aggiungono le donne vittime di ogni forma di violenza per il loro rifiuto di sottoporsi ad irragionevoli dettami fanatico-religiosi, nonché altre forme di violazione dei diritti delle donne o che con la violenza contro le donne sono connesse, come la violenza sui luoghi di lavoro, i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali femminili, la tratta di donne e di bambine;
per chiarire la gravità e la frequenza di questi episodi di soprusi occorre riportare l'attenzione su alcuni dati: secondo l'Organizzazione mondiale della sanità una donna su cinque ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo; nel mondo viene uccisa una donna ogni otto minuti, di cui il 50 per cento è vittima del partner; la violenza subita da mariti, fidanzati, padri è la prima causa di morte e di invalidità permanente per le donne tra i sedici e i quarantaquattro anni, più del cancro, degli incidenti stradali, della guerra;
la situazione non è affatto rosea nemmeno in Italia. Secondo stime Istat quasi il 32 per cento delle donne italiane (circa 6 milioni e 743 mila) ha subito forme di violenza fisica o sessuale; quasi il 5 per cento di esse (oltre un milione) ha subito uno stupro vero e proprio. Si pensi poi che, sempre secondo dati Istat, il 91,6 per cento degli stupri non viene denunciato alle autorità;
la violenza sulle donne, purtroppo, non è un fenomeno tipico di ambienti degradati e poveri, ma è trasversale a tutte le classi sociali e culturali; per contrastare a tutti i livelli questa terribile piaga sociale, sono necessarie azioni concrete di prevenzione e sostegno alle donne vittime di violenza, le quali troppo spesso sono lasciate sole;
la raccomandazione del Consiglio dei ministri del Consiglio d'Europa REC(2002)5, del 30 aprile 2002, ha invitato gli Stati membri a promuovere la ricerca e la raccolta di dati sulla violenza contro le donne;
in sede di Consiglio d'Europa è, attualmente, in discussione una convenzione finalizzata «alla prevenzione e alla lotta contro la violenza domestica nei confronti delle donne, alla tutela e al sostegno delle vittime di tali atti, nonché al perseguimento penale degli autori di reato»;
nella consapevolezza che per garantire la tutela delle donne contro ogni forma di violenza e di sopraffazione non è più sufficiente l'attività di un singolo Governo, ma è necessario stabilire un momento di confronto internazionale, il Ministero per le pari opportunità ha promosso nel settembre 2009, in collaborazione con il Ministero degli affari esteri, una Conferenza dedicata al tema della violenza contro le donne e sulle sue molteplici manifestazioni, nell'ambito della Presidenza italiana del G8; la Conferenza è stata preceduta dall'importante campagna di comunicazione, partita il 4 settembre 2010, «respect women respect the world»: una rosa bianca, simbolo del candore del mondo femminile, diventa gradualmente nera, avvelenata da quel «male oscuro» che è la violenza contro le donne, causa di un dolore che resta troppo spesso privato e taciuto, per paura o vergogna;
lo studio e l'attuazione di interventi volti a prevenire gli episodi di violenza, abuso e vessazione di cui le donne sono vittime rappresenta, quindi, uno dei principali obiettivi del Ministero per le pari opportunità, nonché una priorità dell'intero Esecutivo;
il decreto-legge n. 11 del 2009, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori, convertito con modificazioni dalla legge n. 38 del 23 aprile 2009, che ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico, con l'articolo 612-bis del codice penale, il reato di stalking, è una chiara dimostrazione dell'attenzione del Governo all'individuazione di strategie di contrasto, di prevenzione della violenza e di reinserimento delle vittime di tale reato;
dall'introduzione di tale nuova fattispecie di reato ad oggi, emergono circa 10.149 casi di stalking; le persone denunciate sono state 10.385, quelle arrestate 1.811. Sono stati emessi dai questori 1.891 provvedimenti di ammonimento, ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge n. 38 del 2009 e da parte dell'autorità giudiziaria sono stati disposti 2.629 divieti di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa;
i dati riferiti sottolineano i punti di forza della normativa in materia di atti persecutori: il riconoscimento del disvalore sociale e criminale degli atti persecutori nonché l'importanza di proteggere e tutelare l'incolumità psicofisica della persona;
il Governo nella presente legislatura si è distinto in un impegno che non trova precedenti nella storia della nostra Repubblica, mirato ad affrontare misure di contrasto contro ogni forma di violenza; l'attività del Governo si è, infatti, caratterizzata per una serie di costanti interventi in materia di sicurezza. Il cosiddetto «pacchetto sicurezza» del Governo comprende una serie di provvedimenti che, dal 2008 ad oggi, hanno fatto del rafforzamento della sicurezza urbana e della repressione dei reati di particolare allarme sociale due fondamentali obiettivi da perseguire costantemente;
il tema della violenza in generale, quella nelle strade, nei luoghi di lavoro, nelle case, quella che riguarda ogni essere umano, di qualsiasi età, religione e nazionalità, è un tema che il Governo ha affrontato in tutte le sue forme, attraverso provvedimenti che hanno interessato ciascun Ministero;
contestualmente all'emanazione della legge sullo stalking, con Protocollo d'intesa del 15 gennaio 2009 - sottoscritto dal Ministro per le pari opportunità e dal Ministro della Difesa - è stata istituita la sezione «atti persecutori», una task-force che studia il fenomeno degli atti persecutori e delle manifestazioni di violenza e di vessazione con il compito di delineare strategie di prevenzione e di contrasto aggiornate ed efficaci;
ad ulteriore conferma dell'impegno del Governo nel combattere ogni forma di violenza è altresì importante ricordare la firma, nel luglio 2009, di ulteriori due protocolli d'intesa per altrettante iniziative contro la violenza e le discriminazioni;
il Ministro per le pari opportunità ed il Ministro dell'interno hanno, infatti, siglato un protocollo d'intesa concernente il miglior raccordo dell'attività del Dipartimento per le pari opportunità con le azioni delle forze dell'ordine; il protocollo d'intesa, finalizzato al contrasto e alla prevenzione della violenza di genere e dello stalking, alla protezione e all'assistenza delle vittime; da ultimo ha portato, il 12 gennaio 2011, alla firma di due convenzioni tra il capo Dipartimento per le pari opportunità e il direttore dell'Ufficio per il coordinamento e la pianificazione delle forze di polizia: la prima consentirà un raccordo più efficace tra le forze dell'ordine ed il servizio di accoglienza telefonica 1522 (inaugurata già nel settembre 2009) per le vittime di violenza allo scopo di ottimizzare il servizio svolto dal numero di pubblica utilità e prevede la possibilità di un contatto diretto, sia telefonico che telematico, tra il call center e le forze di polizia per gli episodi che presentino caratteristiche di emergenza; il secondo documento prevede la realizzazione di un progetto integrato per la raccolta e la condivisione dei dati quantitativi e qualitativi sul fenomeno delle violenze sessuali e di genere. La banca dati sarà istituita presso la Direzione centrale della polizia criminale - Servizio analisi criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno - e sarà alimentata dal flusso dei dati provenienti dalla banca dati interforze del sistema di indagine, dal Ministero della sanità e dal Ministero della giustizia raccolti dall'Istat, dal Dipartimento per le pari opportunità attraverso proprio il servizio di accoglienza telefonica 1522;
il secondo protocollo siglato nel luglio 2009 è quello che porta la firma del Ministro per le pari opportunità e del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: in particolare questo ha istituito la «settimana contro la violenza» all'interno degli istituti scolastici, che ha coinvolto nelle due edizioni finora svolte studenti, genitori e docenti in iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione sulla prevenzione della violenza fisica e psicologica, compresa quella fondata sull'intolleranza razziale, religiosa e di genere, con approfondimenti ed eventi dedicati, avvalendosi anche della partecipazione di esperti di carabinieri, polizia postale, polizia di Stato, Telefono azzurro e altre associazioni;
all'interno del medesimo protocollo di intesa tra i Ministeri per le pari opportunità e dell'istruzione, dell'università e della ricerca si è inserito anche il progetto «Campus non-violenza», rivolto agli studenti del quinto anno delle scuole superiori e alle matricole delle università; si tratta di un'iniziativa con l'obiettivo di promuovere nei ragazzi una presa di coscienza delle regole che sono alla base della convivenza civile, del rispetto e dell'integrazione; oltre 250 i ragazzi tra i 18 e i 22 anni e i docenti provenienti da tutta Italia sono partiti dal 22 al 28 febbraio 2010 per trascorrere tre giorni di soggiorno negli ostelli della gioventù italiani nelle città di Roma, Milano, Firenze, Napoli, Bologna e Perugia, per vivere un'esperienza unica nel suo genere, che li ha visti coinvolti in attività creative e formative sul tema dell'integrazione e della non violenza;
tra le iniziative che fanno capo al Dipartimento per le pari opportunità si ricordano: il numero verde contro la tratta degli esseri umani (n. 800290290) per la protezione sociale delle vittime della tratta: tale progetto consiste in un servizio telefonico gratuito (attivo 24 ore su 24 su tutto il territorio nazionale) in grado di fornire alle vittime, e a coloro che intendono aiutarle, tutte le informazioni sulle possibilità di aiuto e assistenza che la normativa italiana offre per uscire dalla situazione di sfruttamento; il progetto, attivo dal 2000 a supporto delle vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, dal 2007 si rivolge anche alle vittime di tratta per sfruttamento del lavoro, dell'accattonaggio e delle economie illegali; il numero verde nazionale 800669696, per l'ascolto e la consulenza in casi di violenza a scuola; ben ventuno progetti volti alla prevenzione e al contrasto delle pratiche di mutilazione genitale femminile;
nella sua costante azione propulsiva di contrasto ad ogni forma di violenza il Governo ha ottenuto l'appoggio del Parlamento che, come accaduto con le norme relative allo stalking, ha approvato una serie di misure che hanno trovato anche l'unanimità delle forze politiche;
lo stesso decreto-legge n. 11 del 2009, convertito dalla legge n. 38 del 2009, che ha introdotto il reato di stalking, ha inoltre previsto ulteriori interventi in materia di violenza sessuale; il provvedimento, in particolare, ha introdotto l'arresto obbligatorio in flagranza per la violenza sessuale (esclusi i casi di minore gravità) e la violenza sessuale di gruppo, nonché disposizioni volte a rendere più difficile ai condannati per taluni delitti a sfondo sessuale l'accesso ai benefici penitenziari, tra cui le misure alternative alla detenzione. La medesima legge ha, inoltre, consentito l'accesso al gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito ordinariamente previsti, a favore della persona offesa da taluni reati a sfondo sessuale. Il decreto-legge n.11 del 2009 ha poi previsto, quale aggravante speciale dell'omicidio, il fatto che esso sia commesso in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo, nonché da parte dell'autore del delitto di atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa;
la Camera dei deputati ha poi licenziato nelle scorse settimane, in terza lettura, all'unanimità, il disegno di legge di ratifica della Convenzione per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale (Convenzione di Lanzarote); il testo approvato individua il nuovo delitto di adescamento di minorenni (per cui si applica la pena della reclusione da uno a tre anni), nonché introduce il reato di istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia, punito con la reclusione da tre a cinque anni. La nuova fattispecie di reato è individuata nella condotta di chi, anche con mezzi telematici, pubblicamente istiga a commettere o fa l'apologia di delitti a sfondo sessuale in danno di minorenni. Il disegno di legge incide anche su altri aspetti del diritto e della procedura penale, prevedendo in particolare: il raddoppio dei termini di prescrizione per alcuni delitti a sfondo sessuale (tra i quali la violenza sessuale e gli atti sessuali con minorenne, con esclusione di alcune fattispecie di minore gravità) e per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi; l'inasprimento delle pene per l'associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati sessuali nei confronti di minori; l'introduzione di una nuova aggravante dell'omicidio commesso in occasione dei delitti di prostituzione minorile o di pornografia minorile; l'individuazione di ulteriori condotte riconducibili ai reati di prostituzione minorile, di pornografia minorile e di corruzione di minorenne; l'inasprimento delle pene per il reato di corruzione di minorenne; l'applicabilità del delitto di atti sessuali con minorenne, oltre che all'ascendente, al genitore o al tutore, a qualunque persona a cui il minore sia affidato o che conviva con il minore; l'esclusione dell'applicazione del patteggiamento alla prostituzione minorile; l'inserimento nel catalogo dei delitti per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza del delitto di atti sessuali con minorenne; l'estensione della competenza delle procure distrettuali all'associazione a delinquere diretta a commettere alcuni reati a sfondo sessuale nei confronti di minori;
tali provvedimenti sono il frutto di un intenso lavoro del Governo e del Parlamento sul tema, che è cominciato sin dall'inizio della legislatura; già nel luglio 2009 l'assemblea della Camera dei deputati aveva approvato un testo unificato di numerosi progetti di legge (uno dei quali del Governo), che recava un organico intervento in materia di violenza sessuale; molti degli interventi contenuti nel testo sono stati poi a vario titolo introdotti nei diversi provvedimenti approvati in materia di sicurezza nell'ultimo anno;
va segnalata, inoltre, la discussione all'interno della Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati in merito ad una serie di proposte di legge di iniziativa bipartisan sul divieto di indossare gli indumenti denominati burqa e niqab, o comunque indumenti che rendono difficoltoso il riconoscimento della persona in pubblico: si tratta di proposte dirette a tutelare la pubblica sicurezza e la dignità della donna;
va segnalato, infine, quanto disposto dall'articolo 1, comma 1261, della legge n. 296 del 27 dicembre 2006, che prevede la destinazione di una quota parte del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità all'elaborazione di un piano d'azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere;
il suddetto piano dovrà affrontare, in modo organico ed in sinergia con i principali attori coinvolti sia a livello centrale che territoriale, il fenomeno della violenza contro le donne, nel pieno rispetto degli interventi in atto a livello locale e regionale;
in particolare, il piano dovrà contribuire a potenziare i centri antiviolenza quale luogo privilegiato per l'assistenza e il sostegno delle donne vittime di violenza e dei loro bambini,
a) la rete nazionale antiviolenza, il telefono di pubblica utilità 1522 e il potenziamento del sito www.antiviolenzadonna.it;
b) il numero verde contro la tratta degli esseri umani (n. 800290290) per la protezione sociale delle vittime della tratta;
c) il protocollo contro la violenza e le discriminazioni del Ministero per le pari opportunità d'intesa con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che ha istituito la «settimana contro violenza» negli istituti scolastici;
d) l'attività di prevenzione e tutela contro gli atti persecutori con il Ministero dell'interno e le forze dell'ordine;
a dare attuazione al piano d'azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere, utilizzando le risorse all'uopo stanziate, individuando specifiche iniziative volte a potenziare i servizi e le misure di assistenza delle vittime di violenza, ad aumentare il livello di formazione degli operatori coinvolti, a monitorare efficacemente il fenomeno della violenza sulle donne;
a promuovere in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano azioni volte ad incentivare la realizzazione di misure a favore delle vittime di violenza e a coinvolgere le stesse, laddove sia necessario, in percorsi di formazione e di inserimento lavorativo.
(1-00538)
«Saltamartini, Lussana, Polidori, Cicchitto, Reguzzoni, Sardelli, Lorenzin, Bertolini, Santelli, Bergamini, Aprea, Armosino, Beccalossi, Bernini Bovicelli, Biancofiore, Bocciardo, Boniver, Calabria, Carlucci, Castellani, Castiello, Ceccacci Rubino, Centemero, Comaroli, Dal Lago, De Camillis, De Girolamo, De Nichilo Rizzoli, Di Centa, D'Ippolito Vitale, Faenzi, Renato Farina, Frassinetti, Giammanco, Golfo, Goisis, Lanzarin, Mannucci, Milanato, Mistrello Destro, Laura Molteni, Munerato, Mussolini, Negro, Nirenstein, Pastore, Pelino, Petrenga, Repetti, Rivolta, Mariarosaria Rossi, Savino, Sbai, Siliquini, Stasi».
(24 gennaio 2011)