A) Interpellanza
Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri dell'istruzione, dell'università e della ricerca e delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
la legge n. 23 del 1996, all'articolo 7, istituisce l'anagrafe dell'edilizia scolastica;
secondo tale articolo, il ministero della pubblica istruzione realizza e cura l'aggiornamento, nell'ambito del proprio sistema informativo e con la collaborazione degli enti locali interessati, di un'anagrafe nazionale dell'edilizia scolastica diretta ad accertare la consistenza, la situazione e la funzionalità del patrimonio edilizio scolastico. Detta anagrafe sarebbe articolata per regioni e costituirebbe lo strumento conoscitivo fondamentale ai fini dei diversi livelli di programmazione degli interventi nel settore;
per la realizzazione di tale anagrafe furono autorizzati stanziamenti, già a decorrere dal 1995, per lire 20 miliardi e di lire 200 milioni annui a decorrere dal 1996. Nonostante i fiumi di denaro erogati e 13 anni di tempo trascorso, detta anagrafe non ha mai prodotto dati significativi;
dopo la strage di San Giuliano di Puglia, in Molise, dove sotto le macerie della scuola pubblica Jovine, il 31 ottobre 2002, persero la vita 27 bambini e 1 maestra, vennero stanziati 500 milioni di euro, ma solo nel 2008 quel denaro pubblico è stato speso (parzialmente). Dal 2002 sono state censite appena 3 mila scuole pubbliche sulle 57 mila;
il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini, dopo la morte del giovane Vito Scafidi nel liceo Darwin di Rivoli, ha promesso, in conformità a quanto già previsto dall'anagrafe dell'edilizia scolastica, che entro gennaio 2009 sarebbe riuscita a rivelare ai cittadini italiani quante scuole presentano situazioni di rischio;
l'Italia è tra le aree sismicamente più attive del pianeta. È stato calcolato come ogni anno i terremoti possono danneggiare in media 22 mila abitazioni, fare 700 vittime e circa 2 miliardi di euro di danni strutturali. Nonostante tutto, l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 - emanata il 20 marzo 2003 e pubblicata in Gazzetta ufficiale l'8 maggio 2003 - frutto della collaborazione dei massimi esperti italiani, che conteneva la nuova mappatura sismica e le nuove norme tecniche per costruire nelle zone a rischio, con tanto di tempistica di applicazione ben definita, non è ancora entrata in vigore. A meno di ulteriori slittamenti, sarà operativa a fine giugno del 2009. Nel frattempo è ancora in vigore l'obsoleta normativa del 1974;
attualmente a Orta Nova, in provincia di Foggia, vi sono scuole pubbliche che rischiano di crollare e per le quali vi sono state innumerevoli segnalazioni ed esposti alle autorità competenti. Sono scuole vecchie e insicure in un territorio soggetto a «sismicità medio-alta» (zona 2) (si confronti l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274). Senza certificati di idoneità statica, antincendio ed agibilità sanitaria. Gli impianti elettrici non sono a norma, non esistono uscite di emergenza e scale di sicurezza. Le gravi carenze sono state evidenziate dai vigili del fuoco di Capitanata (rapporto n. 28329 del 12 gennaio 2009, nonché rapporto n. 281 del 19 gennaio 2009, entrambi indirizzati al sindaco Giuseppe Moscarella al suo terzo mandato);
ogni giorno, all'interno di queste scuole a serio rischio di crollo, studiano e lavorano 1.649 alunni e 400 tra insegnanti e personale non docente. Nella notte del 6 gennaio 2009 è crollato un solaio della scuola media statale Pertini. Recentemente si sono spalancate crepe vistose nelle travi in alcuni pilastri e si sono spalancate alcune voragini nelle pavimentazioni. Indi sono precipitati al suolo numerosi mattoni e abbondanti calcinacci;
il pericolo investe, oltre alla scuola Pertini, anche la scuola elementare Papa Giovanni XXIII, il liceo classico Zingarelli ed un'ala dell'istituto tecnico Olivetti (ingresso via IV novembre). Tali edifici sono stati edificati negli anni '60 e primi anni '70, con materiali poveri: sabbione, ciottoli di fiume e cemento scadente;
l'amministrazione comunale ha percepito dallo Stato quasi 2 milioni di euro per mettere in sicurezza le scuole pubbliche del paese. L'ultima elargizione erogata dal ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ai sensi della legge n. 289 del 2002, ammonta a 782 mila euro (progetto di adeguamento e ristrutturazione proprio della scuola Pertini). Sulla medesima scuola l'amministrazione municipale aveva già percepito un precedente finanziamento di ben 500 mila euro;
a quanto consta all'interpellante, il comune di Orta Nova è alla bancarotta. Al 31 dicembre 2008, i debiti comunali ammontano a 13 milioni di euro, mentre gli interessi risultano ufficialmente di quasi 800 mila euro l'anno;
un giornalista freelance, dottor Gianni Lannes, che stava svolgendo un'inchiesta sull'edilizia scolastica a Orta Nova, ha denunciato di essere stato picchiato dal sindaco Moscarella all'inizio di un tentativo di una sua intervista (a riguardo le agenzie del 9 gennaio 2009);
il 19 gennaio 2009 150 genitori di ragazzi frequentanti la scuola Pertini di Orta Nova hanno presentato un esposto a varie autorità per lo stato di evidente pericolosità in cui versa l'edificio scolastico -:
se non si ritenga necessario intervenire tempestivamente presso le scuole del comune di Orta Nova per tutelare l'incolumità degli alunni e del personale;
come intendano fare luce sul denaro pubblico speso per l'edilizia scolastica, compreso quello erogato per le scuole di Orta Nova;
quando si avranno risultati certi e definitivi dall'anagrafe dell'edilizia scolastica.
(2-00287)
«Leoluca Orlando».
(28 gennaio 2009)
B) Interpellanza
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere - premesso che:
le scuole bolognesi appaiono agli interpellanti sempre più ideologizzate e strumentalizzate da una minoranza agguerrita e politicizzata;
a prescindere da ovvie considerazioni sull'inchiesta in corso in alcuni istituti come la Longhena e altri, nei quali in difformità dalle direttive ministeriali e dalla legge nazionale è stato attribuito un punteggio uguale per tutti i giovani studenti, si rileva, a seguito di documentate denunce sottoscritte da parte di alcuni genitori e pervenute al primo firmatario del presente atto, che le iscrizioni all'anno scolastico 2009-2010 sarebbero state effettuate sulla base di un modulo per il tempo pesantemente condizionato, nella sua struttura, dai docenti «politicizzati» che in alcuni casi avrebbero proposto modelli prestampati agli ignori genitori, sostenendo la provenienza ministeriale dei medesimi od asserendo comunque la necessità di inviarli al ministero come protesta contro la politica scolastica del Governo Berlusconi;
si rileva che in alcuni casi moduli e volantini di protesta sono stati distribuiti all'interno delle scuole durante l'orario curriculare ed esattamente presso l'istituto comprensivo di San Pietro in Casale, oltre che in numerosi altri istituti della provincia di Bologna -:
se il Ministro interpellato sia a conoscenza dei fatti descritti e se intenda intervenire con opportuni provvedimenti con riferimento a quanto rappresentato in premessa.
(2-00362)
«Garagnani, Mazzuca».
(8 aprile 2009)
C) Interpellanza
I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dell'interno, per sapere - premesso che:
da notizie di stampa si apprende che Vikas Kumar, ricercatore, indiano, economista, 32 anni, con contratto a tempo determinato all'Università Bocconi di Milano, dopo quattro anni di servizio, è stato costretto a rinunciare all'incarico perché non gli è stato rinnovato il permesso di soggiorno;
la storia del ricercatore è raccontata dal prorettore per le risorse umane della Bocconi, il quale precisa che Kumar era stato scelto come assistant professor in seguito alla segnalazione su Job Market, appuntamento annuale dove i migliori «cervelli» vengono selezionati a livello internazionale;
Kumar ha conseguito una laurea in economia, un master a Delhi, un PhD - l'equivalente di un nostro dottorato - a St. Luis;
gli era stato offerto dall'Università Bocconi un contratto di sei anni con il benefit della possibilità di un anno sabbatico da trascorrere in una qualunque università del mondo, con il mantenimento dello stipendio e dei fondi di ricerca;
dopo aver rinnovato di due anni in due anni (il tempo massimo per un contratto di quel tipo) il permesso di soggiorno, decide nell'estate del 2008 di sfruttare l'occasione: accetta il ruolo di ricercatore presso l'Università di Stanford e alla fine di quest'estate sarebbe rientrato alla docenza della Bocconi;
a permesso di soggiorno scaduto, l'Università Bocconi si attiva in base al decreto-legge del gennaio 2008, in virtù del quale docenti e ricercatori stranieri possono ottenere un permesso di soggiorno che copra tutta la durata del contratto, a patto che l'ente che li assume si iscriva ad un albo istituzionale per poi avviare la procedura;
l'albo è comparso sul sito del ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dopo nove mesi e tuttora non sono disponibili i moduli necessari;
nel corso dell'anno, Vikas Kumar ha chiesto regolarmente all'università italiana notizie riguardanti il rinnovo del suo permesso, ottenendo sempre risposte insoddisfacenti per cause non legate alle responsabilità dell'università;
alla luce dell'insostenibilità di questa situazione, Kumar ha accettato recentemente l'offerta dell'Università di Sydney;
l'indagine della Fondazione Rodolfo De Benedetti sugli studenti stranieri di dottorato in Italia (ve ne sono tremila, di cui il 77 per cento proviene da Paesi extraeuropei) rileva che ogni giorno gli studenti devono lottare con la nostra burocrazia, in quanto uno su cinque aspetta il permesso di soggiorno per un periodo di tempo superiore ad un anno;
l'allontanamento di ricercatori stranieri dall'Italia e la fuga di «cervelli» italiani all'estero, sono, secondo gli interpellanti, gravemente lesivi del riconoscimento del merito nel nostro Paese -:
se i Ministri siano al corrente del caso di Vikar Kumar;
se e quali misure di snellimento delle procedure relative alla permanenza dei ricercatori stranieri in Italia intendano avviare;
se e quali provvedimenti intendano adottare per trattenere nel nostro Paese i pochi ricercatori attratti dalle università italiane;
se ed in che modo sia stato verificato l'effetto della «fuga di cervelli» italiani all'estero e se si siano valutati gli effetti dell'allontanamento dei ricercatori stranieri dall'Italia sulla qualità della ricerca nel nostro Paese.
(2-00438)
«De Biasi, Ghizzoni».
(27 luglio 2009)
D) Interrogazione
NUNZIO FRANCESCO TESTA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
limitatamente all'anno accademico 2009/2010, sono stati definiti i posti disponibili a livello nazionale per le immatricolazioni, presso ciascun ateneo, al corso di laurea specialistica in odontoiatria e protesi dentaria;
dalla tabella in cui vengono elencati i posti disponibili a livello nazionale, si rileva che in Emilia Romagna e in Lombardia sono stati assegnati 67 posti, in Puglia 44, a fronte dei 37 assegnati in Campania, dove gli unici corsi di laurea in odontoiatria sono presenti a Napoli all'Università «Federico II» e alla Seconda Università;
il capoluogo campano, pur rispondendo alle richieste del Ministro interrogato di un'adeguata numerosità di docenti disponibili per struttura, subisce un'evidente disparità che non può essere addotta al numero delle strutture, né ad una scarsa popolosità studentesca, entrambe rilevanti in Campania -:
quali siano le motivazioni di una simile disparità di trattamento e se non sia il caso di rimodulare l'assegnazione dei posti disponibili per le immatricolazioni al corso di laurea specialistica in odontoiatria e protesi dentaria per la regione Campania, al fine di evitare quella che all'interrogante appare una palese e ingiustificata discriminazione nei confronti delle opportunità formative in campo odontoiatrico per la sopraddetta popolazione studentesca. (3-00643)
(14 settembre 2009)
E) Interrogazione
GIORGIO MERLO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
F) Interrogazione
ROMANO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
La Camera,
ad assicurare che le attività di contrasto dell'immigrazione clandestina siano conformi alle norme internazionali consuetudinarie e pattizie, alle norme comunitarie e alle disposizioni costituzionali e ordinarie del nostro Paese;
La Camera,
ad attuare una rigorosa politica di contrasto all'immigrazione clandestina colpendo soprattutto le organizzazioni criminali che gestiscono questa inaccettabile tratta di esseri umani;
La Camera,
ad una maggiore attenzione e osservanza delle leggi nazionali vigenti e delle normative comunitarie ed internazionali in materia di diritto di asilo e ad evitare il riproporsi in futuro di analoghi episodi di respingimenti collettivi di migranti;
La Camera,
a proseguire nell'azione di controllo e regolamentazione dei flussi migratori, al fine di contrastare con determinazione ogni forma di immigrazione clandestina, con lo scopo di attuare politiche attive capaci di contemperare i diritti dei popoli migranti con i diritti dei popoli residenti;
La Camera,
ad attivarsi presso le istituzioni europee affinché vengano adottate misure volte a tutelare i vivai giovanili mettendoli nelle condizioni di tornare ad essere il centro motore del movimento sportivo;
La Camera,
a predisporre iniziative volte a valorizzare i vivai nazionali, al fine di motivare i giovani atleti con progetti concreti e salvaguardare così l'identità nazionale dello sport italiano;
ad adottare iniziative volte a prevedere, al fine di favorire l'accesso e la diffusione collettiva della pratica sportiva, forme di agevolazioni fiscali e tributarie a sostegno di tutto lo sport dilettantistico.
La Camera,
a predisporre ogni iniziativa, nell'ambito della scuola e del mondo sportivo, volta a favorire l'accesso alla pratica sportiva e il non abbandono della stessa, attraverso il sostegno specificamente diretto ai vivai, luogo di crescita civile e sportiva, di integrazione e di attenzione alla salute del cittadino;
la situazione della direzione degli istituti scolastici è sempre più a rischio, con pesanti ripercussioni sul funzionamento degli istituti e della stessa attività didattica. È il caso dell'istituto C. Gouthier di Perosa Argentina (Torino), che dal 1o settembre 2009 è senza dirigente scolastico, a seguito del trasferimento del professor Bolla ad altro istituto pinerolese e a seguito di mancata sostituzione da parte dell'ufficio regionale scolastico per la cronica mancanza di dirigenti a cui affidare l'istituto (non essendo stato bandito in questi anni un concorso che andasse a colmare le lacune create dai pensionamenti). L'istituto in questione è stato messo a reggenza, cioè affidato al dirigente di un'altra scuola, che ovviamente dovrà farsi carico dei due istituti;
si tratta di una situazione a dir poco rocambolesca. E cioè un preside di Pinerolo dovrà occuparsi di un istituto con 15 plessi di scuola dell'infanzia, scuola primaria e scuola secondaria sparsi per la montagna - su due vallate, da Perosa a Prali e da Perosa a Pragelato - senza che la legge in vigore consenta alcun tipo di esonero al vicepreside per far fronte ad una situazione di tale emergenza;
il disagio è diffuso in tutto il Nord del Paese - basti pensare ai 74 istituti privi di dirigenti scolastici solo in Piemonte - e non si potrà provvedere alla nomina dei nuovi dirigenti se non fra qualche anno, dopo aver bandito ed espletato i necessari concorsi -:
quali iniziative intenda adottare per ovviare ad una situazione sempre più incresciosa, cominciare proprio dall'istituto C. Gouthier di Perosa Argentina.
(3-00661)
(17 settembre 2009)
sono sempre più numerosi i genitori che protestano chiedendo alle istituzioni competenti di trovare una soluzione ad un problema, quello degli zaini troppo pesanti, che rischia di creare non poche conseguenze alla salute dei ragazzi;
molto spesso, infatti, gli alunni delle scuole sono costretti a portare giornalmente sulle spalle un peso che oscilla dai sette ai dieci chili e non è nemmeno un caso che molti ragazzi siano stati costretti a ricorrere a visite ortopediche per problemi alla colonna vertebrale;
si tratta di una problematica non nuova, oggetto anche di iniziative legislative che non hanno tuttavia avuto un seguito, ma spesso lasciata alla libera iniziativa estemporanea di amministratori locali, che hanno emanato più che altro disposizioni comportamentali;
già nel 1999 il Consiglio superiore di sanità espresse un parere, richiedendo alle istituzioni di competenza che fossero portati a conoscenza del problema tutti gli organi scolastici funzionanti in ciascuna delle circoscrizioni territoriali; in tale rapporto, in via cautelativa, il limite massimo che si riteneva potesse essere tollerato dallo scolaro, in considerazione del peso corporeo, della configurazione fisica, della massa muscolare, della conformazione scheletrica e, infine, della percorrenza - tenendo conto del rapporto tra spazio, percorso e tempo impiegato - con tale carico, si ritenne non dovesse superare un range compreso tra il 10 e il 15 per cento del peso corporeo;
a seguito delle loro proteste e segnalazioni, i genitori affermano di avere ottenuto dai dirigenti scolastici e dagli insegnanti solo assicurazioni generiche, ma non proposte di soluzioni vere e proprie -:
se non ritenga giunto il momento di adottare iniziative di propria competenza volte a prevenire l'insorgenza di disturbi funzionali non strutturati e, nei casi più gravi, di alterazioni anatomiche strutturate, talvolta evolutive, a carico della colonna vertebrale dei bambini e degli adolescenti a causa degli zaini, delle cartelle e ogni altro tipo di supporto adibito al trasporto del loro materiale didattico.
(3-00692)
(2 ottobre 2009)
premesso che:
a seguito dell'accordo bilaterale stipulato dal Governo italiano con il Governo della Repubblica libica a Bengasi il 30 agosto del 2008 - legge di autorizzazione alla ratifica 6 febbraio 2009, n. 7 - è stata introdotta, in maniera operativa a partire dal maggio 2009, la nuova politica dei respingimenti in Libia delle persone intercettate nel canale di Sicilia, quali misure volte a contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina;
nel summenzionato accordo bilaterale del 2008 non è possibile rinvenire alcun riferimento ai respingimenti bensì esclusivamente alle operazioni di pattugliamento congiunto;
allo stesso modo non è rinvenibile alcun riferimento alla possibilità di effettuare dei respingimenti di cittadini di Stati terzi nel protocollo firmato a Tripoli il 29 dicembre del 2007, né nel protocollo operativo che ha dato seguito a tale accordo, né tantomeno all'interno del testo dell'accordo di cooperazione nel campo della lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, ed al traffico degli stupefacenti e sostanze psicotrope, sottoscritto tra i due Paesi a Roma il 13 dicembre del 2000, al quale pure si fa riferimento nei suddetti protocolli firmati a Tripoli;
nel periodo compreso tra il 7 maggio e il 30 agosto 2009 sono state compiute 8 operazioni di respingimento nel corso delle quali 757 persone sono state ricondotte verso la Libia, secondo quanto dichiarato dal sottosegretario all'interno, Alfredo Mantovano, nel corso di un'audizione svoltasi davanti al Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione in data 22 settembre 2009;
il primo di tali respingimenti risale al 7 maggio 2009 quando 227 persone, tra cui 3 donne incinte, che viaggiavano su tre barconi nel canale di Sicilia sono state fatte salire su navi militari italiane e sono state riportate in Libia e lì consegnate alle autorità libiche;
il più recente caso di respingimento risale invece al 30 agosto 2009 e ha interessato 75 migranti raccolti in mare da una motovedetta italiana e riaccompagnati nel porto libico di Zawia nei pressi di Tripoli. Tra di essi vi erano 15 donne e 3 minorenni;
secondo quanto si apprende da informazioni giornalistiche e dalle segnalazioni di varie organizzazioni umanitarie internazionali e non governative, in tutti i casi di respingimento che hanno avuto luogo dal maggio 2009 alla data odierna, non vi è stata da parte delle autorità italiane alcuna procedura di identificazione dei migranti né un rilevamento delle loro condizioni di salute né la verifica dei requisiti per la concessione della protezione internazionale;
secondo dati ufficiali, nel 2008 circa il 75 per cento di coloro che hanno raggiunto l'Italia ha inoltrato formale richiesta di protezione internazionale e al 50 per cento di questi è stata concessa tale protezione o per lo meno un permesso di soggiorno per motivi umanitari;
inoltre, a seguito di un respingimento avvenuto il 1o luglio 2009 ad opera della Marina militare italiana, sono state ricondotte in Libia 82 persone tra cui sono stati individuati dai rappresentanti dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) 76 cittadini eritrei, un numero significativo dei quali risultava essere bisognoso di protezione internazionale, secondo quanto riportato nel corso del briefing per la stampa che l'Unhcr ha tenuto a Ginevra il 14 luglio 2009;
tali dati e informazioni rendono molto plausibile l'ipotesi che tra i migranti riportati in Libia dal maggio 2009 alla data odierna, vi fossero anche numerosi individui che avrebbero avuto il diritto di usufruire di protezione internazionale nel nostro Paese e che probabilmente, se questi stessi avessero avuto la possibilità di chiedere asilo, un gran numero di essi avrebbe ottenuto la protezione internazionale nel nostro Paese;
oltre a non aver accertato la sussistenza dei requisiti per l'ottenimento della protezione internazionale le autorità italiane dal maggio 2009 ad oggi hanno respinto i migranti verso un Paese ove i diritti dei rifugiati sanciti dalle norme internazionali non sono riconosciuti, dal momento che la Libia non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati e non ha dato attuazione alla Convenzione dell'Organizzazione dell'Unione africana del 1969 sui problemi dei rifugiati in Africa;
secondo il rapporto che Human rights watch - nota organizzazione umanitaria non governativa con sede negli Stati Uniti d'America - ha pubblicato il 21 settembre 2009, in Libia non esistono le strutture per la verifica delle richieste d'asilo e i migranti, pur essendo cittadini di Stati terzi, sono imprigionati e sottoposti a trattamenti inumani e degradanti e detenuti presso strutture sovraffollate, in precarie condizioni igieniche e senza alcuna assistenza di tipo legale;
il principio di non respingimento (non-refoulement) è uno dei principi fondamentali del diritto internazionale relativo ai diritti umani e si configura come il divieto per gli Stati di respingere o reindirizzare una persona verso luoghi ove la sua libertà e la sua incolumità personale possano essere messe a repentaglio;
l'articolo 33 della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati del 1951, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 e ratificata dall'Italia con legge 24 luglio 1954, n. 722, stabilisce che: «nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.»;
l'articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, sancisce il diritto di chiedere asilo in caso di persecuzione;
la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare del 1974 (acronimo inglese Solas) nonché la Convenzione internazionale marittima sulla ricerca e il salvataggio marittimo del 1979 (acronimo inglese Sar) obbligano gli Stati a condurre le persone salvate in mare in un porto sicuro;
è ormai unanimemente ritenuto che il principio di non-refoulement si configuri quale diritto internazionale consuetudinario ovvero appartenga alle norme che vincolano ugualmente tutti gli stati appartenenti alla comunità internazionale;
è inoltre possibile affermare che il principio di non-refoulement abbia assunto natura di carattere cogente (jus cogens) in quanto «norma che sia stata accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati (...) in quanto norma alla quale non è permessa alcuna deroga e che non può essere modificata che da una nuova norma di diritto internazionale generale avente lo stesso carattere», secondo quanto codificato dall'articolo 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969;
il summenzionato principio di non-refoulement non si applica solamente quando una persona si trova nel territorio di uno Stato (territorio, acque territoriali e spazio aereo), ma anche quando un individuo è sottoposto alla effettiva giurisdizione di uno Stato, come nel caso di pattugliamenti e respingimenti che avvengono ad opera di appartenenti alle forze armate italiane;
in ogni caso l'articolo 4 del codice della navigazione stabilisce che una nave italiana sia che essa si trovi in acque territoriali, zona contigua, alto mare o mare di altro Stato, è considerata territorio italiano e quindi su di essa si applicano tutte le norme in vigore nella Repubblica italiana;
l'articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 vieta di respingere o estradare una persona verso un altro Stato, qualora vi siano serie ragioni di credere che in tale Stato essa rischia di essere sottoposta a tortura o a violazioni sistematiche dei diritti dell'uomo;
analogamente l'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu), come interpretato dalla Corte europea di Strasburgo, stabilisce che nessun individuo possa essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti e che non possa essere allontanato verso uno Stato dove rischi di subire un tale trattamento e la giurisprudenza della stessa Corte ha più volte sottolineato che tale divieto si applica anche nel contesto di espulsioni o respingimenti e qualora vi sia un rischio di espulsioni o respingimenti a catena;
l'articolo 4 del protocollo n. 4 aggiuntivo alla già citata Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali vieta le espulsioni collettive dì stranieri e va ricordato che secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sono da considerarsi espulsioni collettive tutte quelle misure di allontanamento degli stranieri effettuate senza un esame individuale della situazione di ciascuna persona;
l'articolo 13 del regolamento (CE) n. 562/2006 consente agli Stati di respingere gli stranieri che non soddisfino i requisiti per l'ingresso ma prevede anche che tali respingimenti debbano sempre avvenire nel rispetto delle norme relative al diritto d'asilo ed esclusivamente attraverso un provvedimento motivato che indichi le ragioni precise di tale respingimento;
l'articolo 21 della direttiva 2004/83/CE richiede agli Stati membri di rispettare il principio di non-refoulement in conformità dei propri obblighi internazionali;
l'articolo 6, comma 5, della direttiva 2005/85/CE stabilisce che allo straniero venga garantita la possibilità di accedere alla procedura volta all'ottenimento della protezione internazionale;
l'articolo 10 della Costituzione italiana sancisce che l'ordinamento giuridico italiano si conforma a tutte le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute (primo comma), che esiste una riserva di legge rinforzata in materia di status giuridico dello straniero (secondo comma), che nel territorio della Repubblica è garantito il diritto d'asilo allo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'esercizio delle libertà democratiche;
l'articolo 10 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, prevede che il respingimento non possa applicarsi nei casi previsti dalle disposizioni vigenti disciplinanti l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato o la concessione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari;
l'articolo 19 del suddetto testo unico prevede che in nessun caso sia ammissibile il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere perseguitato per motivi di sesso, razza, religione, lingua, cittadinanza, orientamento politico, di condizioni personali e sociali ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione;
l'articolo 5, comma 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) stabilisce che vi sia l'obbligo di informazione, in lingua comprensibile alla persona interessata, sui motivi alla base della privazione della libertà;
l'articolo 3 del regolamento di attuazione del testo unico fa obbligo di comunicare allo straniero, mediante consegna a mani proprie, un provvedimento di respingimento scritto e motivato;
alla luce di tutte le precedenti affermazioni, si deduce che non possono essere invocati a fondamento giuridico degli atti di respingimento il fatto che essi vengano attuati in virtù di un accordo bilaterale con la Repubblica libica, dal momento che il principio di non-refoulement, in quanto norma di jus cogens, è del tutto inderogabile e gerarchicamente sovraordinato rispetto a qualsiasi altra fonte giuridica,
a rivedere, anche alla luce delle dichiarazioni rilasciate in data 21 settembre 2009 a Bruxelles dal vice presidente della Commissione europea con delega all'immigrazione, Jacques Barrot, e dall'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Antonio Guterres, le politiche di gestione dei flussi migratori nel canale di Sicilia nonché l'implementazione pratica dell'accordo con la Libia, chiarendo la sostanziale differenza tra il pattugliamento del tratto di mare tra Italia e Libia e un comportamento attivo quale quello del respingimento dei migranti intercettati;
ad assicurare procedure d'asilo eque e complete, compreso il diritto di eccepire il timore di trattamento contrario all'articolo 3 della Cedu per ciascuna persona sotto il controllo delle autorità italiane, compresi coloro che vengono intercettati in mare nonché il rispetto della inviolabilità della libertà personale così come stabilito dall'articolo 13 della Costituzione italiana.
(1-00260)
«Soro, Zaccaria, Sereni, Bressa, Castagnetti, Livia Turco, Amici, Bachelet, Boccuzzi, Boffa, Brandolini, Marco Carra, Causi, Cavallaro, Cenni, Corsini, D'Antona, De Biasi, De Pasquale, Duilio, Esposito, Farinone, Fedi, Ferranti, Fontanelli, Froner, Ghizzoni, Gnecchi, Graziano, Lucà, Lulli, Marchi, Marchioni, Mazzarella, Melis, Mogherini Rebesani, Motta, Murer, Pistelli, Quartiani, Rampi, Realacci, Rigoni, Samperi, Siragusa, Tullo, Maurizio Turco, Vannucci, Vassallo, Velo, Vernetti, Vico, Villecco Calipari, Viola, Zampa, Lo Moro, Touadi, Narducci, Andrea Orlando, Tidei».
(27 ottobre 2009)
premesso che:
secondo dati diffusi da Fortress Europe, osservatorio sulle vittime dell'emigrazione e rassegna stampa che dal 1988 fa memoria delle vittime delle frontiere europee, dall'inizio del mese di maggio 2009 i respingimenti di cui si ha notizia sono stati circa 1.216 (i dati sono riscontrabili sul sito http://fortresseurope.blogspot.com);
è il 7 maggio 2009 quando le autorità italiane danno inizio ai primi respingimenti: 238 rifugiati e migranti, tra i quali anche 41 donne, di cui 3 in stato di gravidanza, soccorsi in acque internazionali dalla Guardia costiera e dalla Guardia di finanza italiane, vengono ricondotti in Libia; molti di questi migranti arrivati a bordo dei barconi non potevano essere respinti perché provenivano da aree dove sono in atto guerre e persecuzioni, come ad esempio la Somalia, uno dei cinque Paesi meno sviluppati del mondo, nella cui capitale si stanno da tempo intensificando i combattimenti tra estremisti islamici di al-Shabab e le forze del Gun, la coalizione di unità nazionale. Solo nella regione di Mogadiscio si registrano dal 7 maggio a oggi più di 100 morti e 46.000 profughi;
altri episodi di respingimenti collettivi in Libia (Paese che, va ricordato, non ha aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951 e che quindi non dispone ancora di un sistema di protezione e non risulta ancora in grado di fornire alcuna garanzia che le persone, anche quelle bisognose di protezione internazionale, non vengano rimpatriate nei loro Paesi di origine) si sono succeduti in questi ultimi mesi senza che siano state accertate né l'identità né la nazionalità dei rifugiati, azione fondamentale per stabilire se potevano ottenere lo status di rifugiato politico o di richiedente asilo;
tali decisioni urtano palesemente contro l'articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che recita: «Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.» e le disposizioni della Convenzione di Ginevra che impongono il «non refoulement» degli aventi diritto all'asilo politico, che in pratica sono quasi il 30 per cento dei migranti che partono dalla Libia;
risulta che tutti questi rifugiati e migranti provengono anche da vari Paesi dell'Africa sub-sahariana, ma nessuno dal Maghreb: la maggioranza dalla Nigeria, che nel 2008 ha rappresentato il gruppo più numeroso di richiedenti asilo in Italia; altri dalla Costa d'Avorio, dal Ghana e dal Mali;
risulta inoltre che tutti i naufraghi, a tutt'oggi, vengono trattenuti nel centro di Duisha, vicino Tripoli, che però non prevede la presenza di donne, per le quali è previsto il trasferimento al centro di Zawia, a 40 chilometri dalla capitale;
la portavoce della sezione italiana dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, l'Unhcr, Laura Boldrini, ha ricordato che il principio di non respingimento vale anche in acque internazionali e non conosce limitazione geografica, ed è contenuto anche nella normativa europea e nell'ordinamento giuridico italiano;
tra i respinti in Libia il 7 maggio 2009 vi sono 24 persone, per la maggior parte somali ed eritrei, che hanno richiesto allo studio Lana Lagostena Bassi di Roma, di presentare ricorso contro il Governo italiano presso la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo;
il 15 maggio 2009, il rappresentante in Italia dell'Unhcr, Laurens Jolles, ha incontrato il Ministro dell'interno italiano per discutere delle implicazioni derivanti dalla politica dei respingimenti di migranti e richiedenti asilo verso la Libia attuata recentemente dal nostro Governo con la richiesta di riammettere queste persone sul territorio italiano sottolineando che «dal punto di vista del diritto internazionale, l'Italia è responsabile per le conseguenze del respingimento»; il Ministro dell'interno ha poi confermato la propria intenzione di mantenere questa linea affermando: «Andiamo avanti con i respingimenti, del problema si faccia carico l'Unione europea»;
l'Unhcr ha inoltre sottolineato che «il 75 per cento circa dei 36.000 migranti sbarcati sulle coste italiane nel 2008 - due su tre - ha presentato domanda d'asilo, sul posto o successivamente, mentre il tasso di riconoscimento di una qualche forma di protezione (status di rifugiato o protezione sussidiaria/umanitaria) delle persone arrivate via mare è stato di circa il 50 per cento. Nel 2008, la maggior parte delle persone arrivate via mare che ha ottenuto protezione internazionale proviene da Somalia, Eritrea, Iraq, Afghanistan e Costa d'Avorio»;
l'Unione forense per la tutela dei diritti dell'uomo ha ricordato che basterebbe organizzare le navi italiane per poter accogliere le domande d'asilo, nel solco della proposta del Cir per una legge organica sul diritto di asilo e la protezione sussidiaria avanzata nel 2006;
l'ultimo respingimento deciso dal Governo italiano nei confronti di un gruppo di migranti somali, intercettati alla fine d'agosto, su un gommone al largo delle coste siciliane, si è lasciato alle spalle una scia di polemiche e proteste, a cominciare da una lettera inviata dalla Commissione dell'Unione europea tanto all'Italia quanto a Malta, con la quale si chiedono «chiarimenti» sulla vicenda che ha visto coinvolti i due Paesi;
l'articolo 4 del IV protocollo della «Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali», vieta espressamente le espulsioni collettive;
i respingimenti, ancorché occorsi in acque internazionali, riguardano migranti fatti salire a bordo di unità marittime italiane, che in base all'articolo 4 del codice di navigazione sono sotto la giurisdizione dello Stato italiano e quindi sotto il testo unico sull'immigrazione (all'articolo 10, comma 4) come modificato dalla cosiddetta legge Bossi-Fini, che vieta il respingimento in frontiera «nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari»;
l'Alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, ha in questi giorni denunciato le politiche nei confronti degli immigrati, adottate anche dall'Italia, «abbandonati e respinti senza verificare in modo adeguato se stanno fuggendo da persecuzioni, in violazione del diritto internazionale»,
a non proseguire la pratica dei respingimenti indiscriminati e collettivi degli emigranti più volte compiuti dalla Guardia di finanza che si è trovata a soccorrere in mare, e successivamente trasferire in Libia, oltre un migliaio di extracomunitari negli ultimi mesi;
a rispettare le normative internazionali relative al diritto di quanti si trovano nella condizione di chiedere asilo politico perché provenienti da Paesi in guerra, come è stato abbondantemente accertato per quanti fuggono soprattutto dalla guerra civile in Somalia.
(1-00230)
«Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Barbato, Cambursano, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Misiti, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Pisicchio, Razzi, Rota, Scilipoti, Zazzera».
(16 settembre 2009)
premesso che:
l'articolo 19 del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica Italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, fatto a Bengasi il 30 agosto 2008 prevede l'intensificazione della collaborazione e la definizione di iniziative volte a prevenire il fenomeno dell'immigrazione clandestina nei Paesi di origine dei flussi migratori;
i pattugliamenti misti delle coste rientrano tra tali iniziative;
tuttavia, tra il maggio e l'agosto 2009, le unità militari italiane sono state attivamente coinvolte in procedure di respingimento diretto verso le coste africane di natanti carichi di migranti senza aver proceduto ad alcuna loro identificazione, aver rilevato le loro condizioni di salute o verificato i requisiti per la concessione della protezione internazionale;
l'articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati prevede il divieto di espellere o respingere - in nessun modo - un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad una determinata categoria sociale o convinzioni politiche (cosiddetto principio di «non refoulement»);
l'articolo 3 della Convenzione Onu contro la tortura (Cat) vieta l'espulsione e il respingimento verso un territorio dove la persona potrebbe subire tortura, trattamento inumano o degradante o dove esista il concreto rischio di essere espulso verso un territorio dove ci sia un rischio di subire tale trattamento;
l'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) dispone un divieto analogo a quello della Convenzione Onu contro la tortura;
l'articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 sancisce il diritto di chiedere asilo in caso di persecuzione;
alla Corte per i diritti umani di Strasburgo è stato presentato un ricorso italiano da parte di 24 rifugiati somali ed eritrei respinti dall'Italia il 7 maggio 2009 per la violazione all'articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani ed altri articoli della stessa Convenzione;
l'articolo 4 del Protocollo aggiuntivo n. 4 della Cedu vieta in ogni caso misure di espulsione e di respingimento collettive, ovvero senza provvedimenti individualizzati;
secondo le più recenti interpretazioni la direttiva comunitaria 2003/9/CE che prevede l'obbligo di ammissione alla procedura d'asilo a chi lo richiede, si applica anche quando esiste l'effettivo controllo dell'autorità dello Stato membro sulla persona come, nella fattispecie, il comandante della nave militare;
il Codice frontiere Schengen del novembre 2007 prevede che le operazioni di controllo alle frontiere esterne dell'Unione europea siano fatte nel pieno rispetto degli obblighi derivanti dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati;
durante le citate operazioni di respingimento non risulterebbe esser stato applicato l'articolo 3 del regolamento di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 secondo cui il respingimento deve essere «comunicato allo straniero mediante consegna a mani proprie o notifica del provvedimento scritto e motivato, contenente indicazioni delle eventuali modalità di impugnazione»;
il comma 1 dell'articolo 19 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modifiche recita «in nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione». Lo stesso articolo, al comma 2, vieta l'espulsione di stranieri minori di anni 18 e di donne in stato di gravidanza o nei 6 mesi successivi alla nascita del figlio. Quest'ultimo divieto con sentenza della Corte di Cassazione del 27 luglio 2000, n. 376 è stato esteso al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio;
tra gli stranieri respinti risulterebbero anche donne in gravidanza e minori e secondo i rappresentanti dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) tra le persone respinte vi sarebbero state persone che avrebbero avuto il diritto di usufruire di protezione internazionale;
inoltre i migranti sarebbero stati respinti verso un Paese in cui non sono riconosciuti i diritti dei rifugiati, non avendo, la Libia ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, né dato attuazione alla Convenzione dell'Organizzazione dell'Unione africana del 1969 sui problemi dei rifugiati in Africa;
la Commissione europea ha chiesto informazioni all'Italia proprio sui respingimenti collettivi, dopo che le procure di Agrigento e Siracusa hanno aperto indagini penali iscrivendo nel registro degli indagati alti esponenti della Guardia di finanza e dopo che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha continuato a ricevere gli esposti di quanti sono stati deportati in Libia;
la presidenza svedese di turno dell'Unione europea è determinata a trovare risposte comuni, e ha assicurato che la «solidarietà» fra gli Stati membri sulle richieste di asilo costituisce una priorità, sulla base del «Patto europeo su immigrazione e asilo» sottoscritto da tutti i Paesi dell'Unione europea nel 2008,
a predisporre sulle unità navali addette al pattugliamento delle coste maggiormente soggette a fenomeni di immigrazione clandestina, l'idonea organizzazione per espletare tutte le procedure atte a consentire l'accoglimento delle domande di asilo;
ad attuare una politica di allontanamento e di rimpatrio efficace, nel rispetto della legalità e della dignità umana;
ad adottare ogni utile iniziativa volta a fornire un maggior sostegno ai Paesi terzi perché potenzino la capacità di sviluppare sistemi propri di asilo e protezione nel rispetto della dignità umana;
a favorire l'approvazione e la realizzazione del programma «Stoccolma» promosso dalla presidenza svedese di turno dell'Unione europea, che ha fatto della cooperazione europea in materia di giustizia, affari interni e immigrazione una delle sue priorità.
(1-00266)
«Pezzotta, Vietti, Buttiglione, Volontè, Adornato, Compagnon, Ciccanti, Naro, Rao».
(10 novembre 2009)
premesso che:
negli ultimi anni si è verificata una rapida trasformazione degli equilibri internazionali che avevano regolato i rapporti fra gli Stati nel '900. La caduta del muro di Berlino, di cui si è festeggiato, con grande enfasi, proprio in questa settimana il ventennale, rappresenta uno spartiacque fondamentale nello sviluppo sociale e politico delle società contemporanee;
per evitare che tale ricorrenza assuma una connotazione quasi esclusivamente formale, bisogna accettare con coraggio e definitivamente le sfide che il nuovo mondo nato da quel crollo ci ha posto. Con la caduta del muro di Berlino sono crollati confini non solo geografici, ma anche politici, sociali ed economici, che limitavano, permettendo di governarlo, il mondo di allora. Basterebbe un rapido sguardo alla cartina geografica, soprattutto europea e, in particolare, dell'area balcanica, per comprendere quanto profondi siano stati i cambiamenti;
oggi esiste una mobilità che per certi versi può definirsi estrema, anche per la velocità con cui si caratterizza, che ci era sconosciuta fino a pochi anni fa. Un elemento che va valutato non solo in chiave economica, ma anche sociale e demografica;
la fase di nuova globalizzazione che si sta vivendo necessita di strumenti di controllo adeguati e di una nuova visione del mondo: una necessità che riguarda, in particolare, l'Europa;
l'affermazione di nuovi protagonisti sulla scena mondiale, realtà geopolitiche di carattere continentale, come l'India o la Cina, caratterizzate da uno sviluppo demografico enorme, da un sistema non sempre particolarmente favorevole al rispetto dei diritti umani., da elementi di crescita socioeconomica estremamente dinamica, ci pongono di fronte a nuove e complesse problematiche anche sul piano delle relazioni internazionali;
nell'ottobre 2008 uno dei principali quotidiani bengalesi ha scritto: «È molto significativo che siano stati spesi migliaia di miliardi di dollari per rimettere in sesto i principali istituti finanziari del mondo, mentre i 12,3 miliardi di dollari previsti dall'Onu per combattere la crisi alimentare ancora non si vedono. L'obiettivo di sradicare la povertà estrema entro la fine del 2015 è sempre meno realistico, non per carenza di risorse, ma perché non c'è un vero interesse per i poveri del mondo»;
la pressione demografica sui confini europei è destinata inevitabilmente ad aumentare, in quanto la globalizzazione ha aperto i mercati ma anche le frontiere, determinando un aumento esponenziale della mobilità di uomini e mezzi e riducendo estremamente le distanze;
l'Europa non può reggere il peso dei popoli migranti, in quanto non è in grado di integrare l'enorme massa di uomini che chiedono di entrare nei suoi confini, né può farlo l'Italia o nessun altro singolo Paese europeo;
non è pensabile riuscire a fronteggiare l'attuale situazione senza una serie di regole chiare che permettano di governare gli ingressi dei migranti in Europa e nel nostro Paese;
è necessario ragionare su come sviluppare una politica comune a livello europeo di fronte all'aumento dei flussi migratori ed è fondamentale focalizzare gli strumenti e le politiche attive più adeguate a gestire la «globalizzazione», affinché la stessa diventi una possibilità di sviluppo e non un processo di ulteriore aumento delle differenze a livello planetario;
a livello europeo, si deve prendere atto che non esiste una lista di «Paesi sicuri»: di quei Paesi, cioè, dai quali si da per certo che non possa provenire un rifugiato;
non si può accettare che richieste di asilo politico diventino lo strumento per ingressi clandestini in Europa, avendo coscienza e conoscenza del fatto che molti immigrati nascondono la propria identità volutamente, con il fine specifico di non farsi riconoscere e con la certezza che i tempi necessari alle autorità per il loro riconoscimento gli permetteranno di far perdere le proprie tracce;
appare necessario che il Governo prosegua nella sua azione di persuasione delle istituzioni europee rispetto all'introduzione del principio del burden sharing, affinché venga declinato con l'individuazione di meccanismi strutturati (non più su base volontaria) per la ridistribuzione degli immigrati intercettati nel corso delle operazioni marittime coordinate da Frontex;
nella stessa ottica è fondamentale il rafforzamento dell'impegno per la piena attuazione del sistema europeo di asilo attraverso la fissazione di status, procedure e livelli di accoglienza unici e, in questa prospettiva, l'attuazione del futuro Ufficio europeo di supporto per l'asilo;
su queste basi dovrebbero essere avviati progetti per il trattamento delle domande di protezione al di fuori del territorio dell'Unione europea, che consentirebbero di istituire canali dedicati all'ingresso dei richiedenti asilo nell'Unione;
il Governo italiano, anche nell'ottica di un concreto e necessario controllo dei flussi migratori, ha raggiunto con la Libia un accordo storico di enorme importanza anche per l'intera Europa;
il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 e ratificato con legge 6 febbraio 2009, n. 7, persegue l'obiettivo strategico per un verso della chiusura definitiva del «capitolo del passato», con la soluzione dei contenziosi bilaterali, e, per altro verso, della costruzione di una nuova fase delle relazioni italo-libiche, basata sul rispetto reciproco, sulla pari dignità e su un rapporto paritario e bilanciato;
nel Trattato si afferma l'impegno a operare per il rafforzamento della pace, della sicurezza e della stabilità, in particolare nella regione del Mediterraneo, e si è ribadita la centralità delle Nazioni Unite nel sistema delle relazioni internazionali, impegnando le parti ad adempiere in buona fede agli obblighi derivanti dai principi e dalle norme del diritto internazionale universalmente riconosciuti, nonché inerenti al rispetto dell'ordinamento internazionale;
in particolare, all'articolo 19 è stata prevista l'intensificazione della collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti e all'immigrazione clandestina, con un richiamo all'accordo firmato a Roma il 13 dicembre 2000 e con un esplicito riferimento alle successive intese tecniche, tra cui, in particolare, per quanto concerne la lotta all'immigrazione clandestina, i protocolli di cooperazione firmati a Tripoli il 29 dicembre 2007. Secondo quanto stabilito, le due parti si impegnano a promuovere la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società italiane in possesso delle competenze tecnologiche necessarie. L'Italia, in particolare, si è impegnata a sostenere il 50 per cento dei costi di realizzazione di tale sistema, mentre per il restante 50 per cento Italia e Libia chiederanno all'Unione europea di farsene carico, tenuto conto delle intese intervenute tra Tripoli e Bruxelles con la firma di un Memorandum of understanding (MoU) nel luglio 2007. Su un piano più generale, le due parti hanno deciso di collaborare alla definizione di iniziative volte a prevenire il fenomeno dell'immigrazione clandestina nei Paesi di origine dei flussi migratori;
l'accordo rappresenta una svolta decisiva nella definizione di un approccio più adeguato e realistico, in un'ottica mediterranea e continentale, alla necessità di un controllo adeguato dei flussi migratori che investono in questi anni l'intero continente europeo;
la Libia non è un Paese di emigrazione, costituisce, però, un territorio di transito per l'immigrazione sub-sahariana, macroregione estremamente povera e, peraltro, vittima di continui conflitti: Sudan, Ciad e Niger sono gli Stati che toccano il fianco sud della Libia. A partire dal 2003 in Sudan si è sviluppata una drammatica crisi umanitaria, che nella regione del Darfur ha finora provocato circa 300.000 morti e più di due milioni tra sfollati e rifugiati. Questa massa migratoria genera ripercussioni anche nel vicino Ciad, costretto ad ospitare numerosi campi profughi. Anche il Niger è territorio di transito di migranti provenienti dalla Nigeria, lo Stato più popoloso dell'Africa e con prospettive di crescita demografica allarmanti. L'immigrazione sub-sahariana include anche flussi originari della regione del Corno d'Africa, dove le prospettive di sviluppo sono indebolite dalla persistente tensione militare sul confine etiopico-eritreo e dall'insoluta crisi somala;
tutte le rotte migratorie convergono verso il lunghissimo confine meridionale della Libia, estremamente permeabile in quanto territorio desertico e carente di adeguate strutture di monitoraggio. La limitatezza dei mezzi è un problema che emerge anche per quanto riguarda i quasi 1800 chilometri di costa mediterranea, per i quali la Libia non dispone di forze navali sufficienti per il pattugliamento;
la Libia è, dunque, ponte di transito per flussi migratori di enorme portata, che inevitabilmente trovano nel Mediterraneo e nell'Italia in particolare l'approdo naturale, e pensare di non governare questa nuova realtà, appellandosi ad una sorta di indistinto diritto alla migrazione, senza regole e controlli, appare oltremodo irrealistico e pericoloso;
anche per questo motivo il Governo italiano ha optato per un'intesa bilaterale con la Libia, procedendo lungo un percorso già avviato dal Governo precedente, in quanto la via dell'accordo bilaterale è coerente con l'interesse dell'Italia ad una compartecipazione costruttiva nella gestione del flusso migratorio;
il Trattato di amicizia ha, inoltre, il pregio di coinvolgere sempre di più la Libia su un percorso virtuoso in tema di diritti umani. Il Paese africano non ha sottoscritto, infatti, la Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati, ma ha firmato e ratificato la Convenzione dell'Unione africana del 1969 relativa a specifici aspetti della problematica dei rifugiati in Africa, che è complementare alla Convenzione di Ginevra e impegna Tripoli a garantire protezione non solo ai perseguitati, ma anche alle vittime di invasioni, guerre civili e altri eventi di ben più ampia portata rispetto addirittura a quelli previsti dalla Convenzione di Ginevra. Inoltre, attualmente la Presidenza dell'Assemblea generale dell'Onu è ricoperta da un rappresentante della Libia;
fondamentale sarà l'azione dell'Italia in seno alle istituzioni europee. In materia di immigrazione l'Unione europea ha recentemente approvato la direttiva 2008/115, che stabilisce standard e procedure comuni per il rimpatrio degli immigrati irregolari e sponsorizza la cooperazione degli Stati membri con i Paesi di origine e di transito. L'Unione europea si è interessata alla rotta migratoria che attraversa la Libia, con un progetto specifico di monitoraggio della frontiera con il Niger, un progetto rientrante nel programma quadro «Asilo e migrazione»;
nel contempo Frontex, l'agenzia comunitaria per la gestione delle frontiere, è impegnata in attività di formazione della polizia doganale libica e trasferimento di tecnologie, ma occorre che il Governo prosegua nella richiesta di miglioramento dell'Agenzia, quanto a capacità di assistere gli Stati membri più esposti al fenomeno migratorio e di ottenere un maggiore coinvolgimento di tutti i Paesi membri e dei Paesi terzi nelle operazioni congiunte;
l'Unione europea ha le potenzialità per incidere in profondità nei rapporti che intrattiene con i suoi interlocutori sul piano delle relazioni esterne: su queste potenzialità il nostro Paese deve investire la sua azione diplomatica. L'Italia con il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 diviene portavoce e riferimento di una politica estera di vicinato dell'intera Unione europea, che nei confronti della Libia può dimostrare una grande forza di attrazione;
l'iniziativa di riconsegna degli immigrati irregolari alla Libia è stata effettuata in conformità al vigente quadro normativo interno ed internazionale;
i citati Protocolli aggiuntivi al Trattato di amicizia del 29 dicembre 2007 e l'ulteriore protocollo aggiuntivo del 4 febbraio 2009, sottoscritto dal Ministro dell'interno, prevedono la possibilità di organizzare dispositivi di pattugliamento congiunto in mare, con operazioni di controllo, ricerca e salvataggio in acque territoriali libiche ed in alto mare, da svolgere nel rispetto delle convenzioni internazionali;
la Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare (cosiddetta Convenzione Solas) del 1974, alla quale il nostro Paese ha aderito con legge n. 313 del 1980, invita gli Stati a contrastare le pratiche pericolose associate al trasporto di migranti via mare, impedendo la partenza delle imbarcazioni «a rischio», anche di bandiera estera, dalle proprie coste o dai propri porti;
le operazioni di pattugliamento congiunto attuate sono dirette a rafforzare proprio la responsabilità e la capacity building della Libia, anche sotto questo aspetto, e per questo non costituiscono né ipotesi di respingimento alla frontiera italiana, né ipotesi di mancato soccorso in mare;
la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (cosiddetta Convenzione Unclos o di Montego Bay), ratificata dall'Italia nel 1994, attribuisce all'unità navale di uno Stato, che intercetta una nave priva di nazionalità, il potere di inseguirla, fermarla, abbordarla e condurla entro un porto nazionale, laddove vi sia il sospetto, tra l'altro, di tratta degli schiavi;
il Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale del 2000, entrato in vigore in Italia il 1o settembre 2006 e in Libia il 24 ottobre 2004, attribuisce ad unità navali di uno Stato che sospetti che un'imbarcazione priva di nazionalità eserciti traffico illegale di immigrati il potere di chiedere agli altri Stati di aiutarla a porre fine a tale pratica, anche fermando ed abbordando il natante;
la riduzione di oltre il 90 per cento degli sbarchi dall'inizio di maggio 2009 a settembre 2009, con una differenza di circa 17 mila persone in meno sbarcate dalla Libia rispetto allo stesso periodo del 2008, ha dimostrato che la politica delle riconsegne effettuate dal ministero dell'interno funziona;
l'Italia ha il dovere di continuare ad attuare una politica di riconsegna alla Libia, impedendo che il ricorso al diritto di asilo diventi uno strumento per aggirare le norme che regolano l'ingresso in Europa, ma non può farlo da sola: può e deve invece sensibilizzare l'Europa a muoversi in maniera coerente,
a proseguire nella lotta alla criminalità organizzata che regola e gestisce i flussi di immigrati clandestini;
a proseguire nell'azione di difesa e garanzia dei necessari livelli di sicurezza nel nostro Paese, contrastando a questo fine l'immigrazione clandestina e promuovendo l'immigrazione legale;
ad intervenire nei confronti dell'Unione europea affinché si definisca una politica comune di gestione e controllo dei flussi migratori a difesa degli equilibri sociali ed economici delle popolazioni europee ed affinché l'Europa possa diventare la meta di un'immigrazione effettivamente sostenibile, la sola capace di determinare sviluppo e progresso;
a proseguire nell'azione di riconsegna alla Libia degli immigrati irregolari, così come delineatasi in questi ultimi mesi, che ha drasticamente ridotto i rischi di tragedie in mare.
(1-00275)
«Cicchitto, Cota, Lo Monte, Bocchino, Santelli, Luciano Dussin, Bruno, Dal Lago, Calderisi, Pastore, Bernini Bovicelli, Vanalli, Bertolini, Volpi, Bianconi, Cristaldi, Calabria, De Girolamo, Distaso, La Loggia, Laffranco, Lorenzin, Orsini, Pecorella, Sbai, Stasi, Stracquadanio».
(12 novembre 2009)
premesso che:
le rappresentative italiane dei principali sport di squadra (calcio, pallacanestro, pallavolo, eccetera) non stanno mantenendo le aspettative dei numerosissimi tifosi che seguono con passione e con sacrifici anche economici le prestazioni dei nostri atleti;
a fronte di un palmares e di una storia, soprattutto in ambito calcistico, che ha visto la nostra nazionale costituire un punto di riferimento ed i nostri giocatori affermarsi in tutto il mondo, le ultime prestazioni delle rappresentative italiane fanno registrare una fase di stallo, evidenziando le difficoltà degli «azzurri» di essere all'altezza della nostra storia;
la difficoltà delle squadre nazionali a rimanere competitive non può che essere ricondotta alla presenza sempre più diffusa nelle squadre di calcio, di basket e di pallavolo di atleti provenienti da federazioni straniere che costituiscono, in alcuni casi, addirittura la totalità dei giocatori titolari, riducendo, pertanto, la possibilità per gli atleti provenienti dalle serie nazionali minori di emergere e di imporsi a livello di prima squadra;
tale situazione è amplificata dai risultati e dai rendimenti offerti da nazionali di altri Paesi, anche meno ricchi, che magari si affacciano timidamente alle prime manifestazioni internazionali o in cui la popolarità degli stessi sport tra i cittadini è inferiore rispetto al nostro Paese;
ciò è sicuramente dovuto agli effetti della sentenza emessa dalla Corte di giustizia delle Comunità europee in data 15 dicembre 1995 (cosiddetta sentenza Bosman), che ha dichiarato incompatibili con il diritto comunitario le norme sportive che limitavano il numero di calciatori stranieri, cittadini di Stati membri dell'Unione europea, che ciascuna squadra può impiegare nelle competizioni sportive;
la stessa «sentenza Bosman» sottolinea, al paragrafo 106, che, «considerata la notevole importanza sociale dell'attività sportiva e, specialmente, del gioco del calcio nella comunità, si deve riconoscere la legittimità degli scopi consistenti nel garantire la conservazione di un equilibrio fra le società, preservando una certa parità di possibilità e l'incertezza dei risultati, e nell'incentivare l'ingaggio e la formazione dei giovani calciatori»;
il testo dell'articolo 124 del Trattato di Lisbona, ratificato dal nostro Paese ex lege n. 130 del 2008 stabilisce che «l'Unione contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale e educativa».
a tal fine la valorizzazione e la tutela dei vivai giovanili costituisce presupposto indispensabile, da un lato, per assicurare la funzione sociale ed educativa dell'attività sportiva e, dall'altro, per salvaguardare la scuola tecnico - sportiva nazionale, elemento specifico e caratterizzante del patrimonio sportivo nazionale, inteso come complesso di conoscenze ed esperienze applicate alle singole discipline ed espressione della tradizione e della cultura dello sport nazionale;
la formazione, lo sviluppo e la tutela dei vivai giovanili rappresenta un fattore di educazione e di integrazione sociale e interculturale tra giovani di qualsiasi provenienza geografica;
il Coni ha previsto che, negli sport di squadra, almeno il cinquanta per cento dei giocatori iscritti nel referto arbitrale siano di formazione italiana, vale a dire si siano formati nell'ambito dei vivai nazionali, a prescindere dalla loro nazionalità (atleti cosiddetti «local trained» o «home grown players»);
che una limitazione come quella stabilita dal Coni non risulta essere in contrasto con le norme del Trattato UE, dal momento che non è in alcun modo fondata sulla nazionalità dell'atleta;
è giunto il momento di rilanciare il «made in Italy» anche nel settore dello sport, valorizzando quelle società e quelle associazioni sportive, sia professionistiche che dilettantistiche, che prestano una particolare attenzione alla formazione giovanile promuovendo i vivai giovanili ed il concetto di formazione sportiva nazionale;
a prevedere forme di incentivo, anche di tipo fiscale, in favore di quelle società o associazioni sportive che investono nelle formazioni giovanili al fine di tutelare e favorire, in prospettiva, la competitività delle nazionali maggiori dei principali sport di squadra;
a valutare l'opportunità di predisporre iniziative volte a valorizzare l'importanza e la specialità della formazione di giocatori all'interno delle società e delle associazioni sportive (i cosiddetti «local trained» o «home grown players»).
(1-00222)
(Nuova formulazione) «Ciocchetti, Dionisi, Anna Teresa Formisano, Cera, Volontè, Compagnon, Ciccanti, Galletti, Occhiuto, Libè, De Poli, Rao».
(13 luglio 2009)
premesso che:
studi condotti dall'Uefa mostrano come ormai, da una quindicina d'anni, le competizioni Uefa per squadre di club calcistiche e i campionati nazionali siano caratterizzati da una minore competitività: in molti Paesi, infatti, sono sempre le stesse squadre a lottare per il titolo;
a seguito della sentenza Bosman, emanata dalla Corte di giustizia europea nel 1995, le tendenze ormai sono chiare: rispetto al 1995/1996, il numero di giocatori di una federazione nazionale cresciuto nei vivai della stessa federcalcio è diminuito del 35 per cento; i club più ricchi, quindi, hanno la possibilità di assicurarsi i migliori giocatori e sono meno incentivati ad allenare giocatori in casa e ad offrire loro una possibilità concreta;
la sentenza Bosman, valida tuttora, proibisce, inoltre, all'Uefa e alle leghe calcistiche nazionali degli Stati dell'Unione europea di porre un tetto al numero di calciatori stranieri in prima squadra, qualora ciò discriminasse cittadini dell'Unione europea. All'epoca, molte leghe ponevano, infatti, dei limiti al numero dei non-nazionali che potessero far parte delle squadre;
in Italia nel 1980 (anno della riapertura delle frontiere) poteva essere tesserato massimo uno straniero per squadra. Attualmente, in serie A di calcio, il numero degli stranieri tesserati si aggira intorno a 240, ai quali vanno aggiunti i 60 delle formazioni che partecipano al campionato primavera;
numeri considerevoli che vanno necessariamente collegati alla scarsa fiducia nei vivai. Il sostanzioso utilizzo di calciatori stranieri non è la causa, ma solo la logica conseguenza di questo male. I club italiani, piuttosto che investire su giovani prodotti nostrani, preferiscono prendere all'estero un atleta già formato, meglio ancora se con esperienze internazionali già alle spalle;
tuttavia, norme per promuovere giocatori del vivaio sono in vigore in Uefa Champions league, Coppa Uefa e diversi campionati nazionali in Europa; i club impegnati nei suddetti tornei devono inserire nel loro organico un numero minimo di giocatori cresciuti nelle giovanili;
il Ministro per le politiche europee, Andrea Ronchi, intervenendo nel dibattito sull'identità dello sport italiano, apertosi dopo i risultati ottenuti dalle squadre nazionali ai giochi olimpici di Pechino, ha dichiarato che «lo sport italiano continua a perdere la sua identità. Il numero degli atleti stranieri nei nostri campionati va costantemente aumentando e l'identità delle nostre compagini sportive resta legata quasi esclusivamente al legame storico e affettivo che queste hanno con una città o una tifoseria piuttosto che alla presenza di giocatori simbolo, cresciuti nei vivai. Non si tratta di voler far la guerra allo straniero, né tanto meno si vuol mettere in gioco principi quali l'integrazione o la libera circolazione dei lavoratori, ma lo sport è un settore particolare dove l'identità nazionale deve essere tutelata. E lo stesso Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia, stabilisce la «specifica natura dello sport"»;
la tutela dei vivai, la possibilità per i nostri atleti di trovare spazio nei club, la competitività delle nostre nazionali sono temi che stanno a cuore di tutti gli sportivi italiani;
negli ultimi anni lo sport dilettantistico è cresciuto in Italia in maniera consistente: oggi i praticanti sono oltre 11 milioni e gli iscritti alle diverse federazioni oltre 3 milioni e mezzo;
l'11 luglio 2007 è stato presentato dalla Commissione europea il libro bianco sullo sport, prima iniziativa globale nel campo dello sport, che fornisce un orientamento strategico sul ruolo dello sport nell'Unione europea e sulla sua importanza sociale ed economica;
lo sport in tutte le sue forme, praticato a livello agonistico e dilettantistico, rappresenta un importante strumento formativo d'integrazione sociale e di dialogo culturale, nonché uno strumento prezioso per la diffusione di valori fondamentali, quali, l'impegno, lo spirito di squadra, la lealtà e il sacrificio;
il Comitato olimpico nazionale italiano (Coni), ente legislativamente delegato dallo Stato alla promozione ed alla diffusione dello sport italiano, adempie ai suoi compiti istituzionali tramite le federazioni sportive nazionali, gli enti di promozione sportiva e le discipline sportive associate, organismi ai quali sono affiliate oltre 95.000 società e associazioni sportive dilettantistiche e per i quali sono tesserati e praticano assiduamente attività sportiva oltre 30 milioni di soggetti di qualsiasi età;
la realtà dello sport dilettantistico non è, però, affidata soltanto a coloro che praticano attività sportiva: va considerata, infatti, l'elevata platea dei cosiddetti «volontari», di coloro, cioè, che prestano la loro opera di volontariato «sportivo» senza percepire nessuna sorta di remunerazione e che sono, però, necessari, anzi indispensabili alla realizzazione delle attività poste in essere dall'intero movimento dilettantistico;
si tratta di medici, paramedici, fisioterapisti, giudici, cronometristi che, senza il clamore dei grandi eventi, svolgono una primaria funzione educatrice, ancor prima che allo sport, al rispetto dei valori civici e alla libertà dell'aggregazione sociale, favorendo la sana crescita fisica e educativa di migliaia di ragazzi e giovani;
in un desolato panorama in cui ingenti somme di denaro ruotano attorno allo sport dei professionisti, del calcio, della Formula 1 e delle scommesse, non si trovano le risorse per lo sport dilettantistico e giovanile,
(1-00274)
«Zazzera, Donadi, Di Stanislao, Pifferi, Bratti».
(12 novembre 2009)
premesso che:
lo sport è da considerare come attività essenziale per lo svolgimento della vita civile, quale portatore di valori che educano i giovani al rispetto delle regole e degli avversari; valori che propongono una corretta e tollerante integrazione tra giovani senza nessuna discriminazione; valori che mirano alla tutela della salute individuale e collettiva ed alla salvaguardia della sostenibilità ambientale;
la scuola in ogni ordine e grado può e deve essere sollecitata dalle istituzioni ad un maggior coinvolgimento nel favorire l'attività sportiva degli studenti;
la funzione di supplenza esercitata in materia dall'associazionismo sportivo, che vede impegnate oltre centomila società sportive e circa ottocentomila dirigenti sportivi volontari, può e deve essere incoraggiata dalle istituzioni;
la legge n. 289 del 2002, all'articolo 90, sulle società sportive dilettantistiche dovrebbe essere adeguata alle nuove esigenze correlate ad una più estesa partecipazione dei giovani alla pratica sportiva;
gli impianti sportivi troppo spesso non sono in condizioni di fruibilità dal movimento sportivo di base;
i vivai di promozione e reclutamento degli atleti sono spesso abbandonati del tutto o costituiscono fenomeni residuali all'interno delle società sportive più economicamente dotate;
occorre tener conto degli effetti negativi provocati dalle norme e dai principi comunitari, poiché applicano allo sport, senza tener conto della sua specificità, regole stabilite per altri settori che hanno esclusiva rilevanza economica (si veda la sentenza Bosman sulla libera circolazione degli atleti professionisti) o i pronunciamenti della Corte di giustizia, che minano l'autonomia dell'organizzazione sportiva, nonché della politica di talune leghe professionistiche, che, gestendo i campionati con criteri di puro spettacolo, condizionati da interessi extrasportivi, privilegiano la presenza non solo di atleti appartenenti ai Paesi membri dell'Unione europea (in ossequio alla sentenza Bosman), ma soprattutto di campioni provenienti da Paesi extracomunitari, limitando la presenza degli atleti nazionali a poche unità;
a causa di questa situazione gli sport di squadra delle rappresentative nazionali stanno «collezionando» risultati negativi e non in linea con la tradizione e la prestigiosa storia delle suddette discipline;
in particolare, se il calcio professionistico va considerato come fenomeno a sé stante che non può indicare linee di comportamento e regolamentazione per altre discipline, il basket, la pallanuoto e la pallavolo maschile stanno scontando una vera crisi di identità, avendo trascurato lo zoccolo duro formato dai ragazzi italiani per favorire il tesseramento di atleti provenienti da federazioni straniere, atleti già formati e che hanno tolto spazio alle possibilità di emergere e di praticare lo sport dei nostri giovani;
è indicativo evidenziare che la pallavolo femminile, dove la presenza delle giocatrici straniere è assai circoscritta, consegue risultati straordinari, che la vedono praticamente imbattuta nella corrente stagione,
ad attivarsi presso la Presidenza di turno spagnola dell'Unione europea, tenuto conto che l'articolo 165 del Trattato di Lisbona riconosce la specificità e l'autonomia dello sport, affinché sia possibile trovare una soluzione di compromesso per la libera circolazione di atleti comunitari, prevedendo il libero tesseramento, ma limitandone l'impiego sul terreno di gioco, come praticato già da alcune federazioni internazionali negli sport di squadra;
a sollecitare il Coni a ribadire ed intensificare la propria funzione di direttiva e di vigilanza nei confronti delle federazioni sportive nazionali, affinché si pervenga ad un progressivo contenimento dell'utilizzo degli atleti extracomunitari negli sport di squadra, a tutela dei vivai e con l'obiettivo che gli stessi possano essere armonizzati con la presenza minima di giocatori formati nei vivai, anche attraverso una rigida selezione delle autorizzazioni agli ingressi degli sportivi stranieri, ai sensi della legge n. 289 del 2002.
(1-00286)
«Pescante, Grimoldi, Iannaccone, Baldelli, Aprea, Luciano Rossi, Aracu, Di Centa, Barbaro».
(19 novembre 2009)