Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Crisi siriana: gli sviluppi piu' recenti
Serie: Note di politica internazionale    Numero: 118
Data: 10/10/2012
Descrittori:
SIRIA     

Casella di testo: Note di politica internazionalen. 118 –  10 ottobre 2012

Crisi siriana: gli sviluppi più recenti


Il 2 agosto 2012 la situazione apparentemente senza sbocco della Siria induceva Kofi Annan ad annunciare le sue dimissioni dall’incarico di inviato speciale delle Nazioni Unite e della Lega araba per il conflitto in Siria: l'ex segretario generale dell'ONU rilevava l'ostinazione del governo siriano a non applicare nella sua intierezza il piano in sei punti a suo tempo sottoscritto, ma nello stesso tempo stigmatizzava l'escalation in senso militare dell'azione delle opposizioni. Questi elementi si inserivano poi, secondo Kofi Annan, nello stallo nell’iniziativa della Comunità internazionale, in ragione delle profonde divisioni all'interno di essa: tali divisioni erano del resto confermate persino nella sede non vincolante dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, dove subiva un rinvio il voto su una bozza di risoluzione della crisi siriana presentata dai paesi arabi.

Il 2 agosto è stata anche la giornata di un tentativo di attacco dei ribelli all'aeroporto militare sito a nord di Aleppo, servendosi di un carro armato con ogni probabilità sottratto alle forze del regime: l'attacco è stato tuttavia respinto dalla pronta reazione delle forze lealiste. Il ministero degli esteri siriano ha criticato aspramente i servizi di sicurezza turchi per l'appoggio che fornirebbero alle azioni dei ribelli, cui sarebbe consentito di partire dal territorio turco per compiere attacchi in Siria, e verrebbe assicurato appoggio logistico. In effetti, le affermazioni del governo siriano sembravano corroborate da più voci, compresa quella degli Stati Uniti, che hanno confermato lo stanziamento di 25 milioni di dollari in aiuti di carattere non letale ai rivoltosi siriani.

Mentre la battaglia in corso ad Aleppo registrava anche l'interruzione delle comunicazioni telefoniche e telematiche per quasi 24 ore, l'esercito siriano tornava a bombardare pesantemente il territorio giordano, aumentando i rischi di estensione regionale del conflitto, al di là della motivazione di colpire elementi della ribellione rifugiatisi in Giordania.

Il 3 agosto l’Assemblea generale dell'ONU ha finalmente potuto approvare la risoluzione sulla Siria, passata con una larga maggioranza, nella quale viene sollecitata la transizione politica nel paese, ma, soprattutto, si deplora in modo del tutto irrituale lo stallo in seno al Consiglio di sicurezza a fronte dell’escalation di violenza nel paese. Nelle stesse ore i ribelli, che significativamente avevano cominciato a esercitare un servizio di protezione delle proteste ripetutesi in tutta la Siria in occasione della preghiera islamica del venerdì, hanno pronunciato una forte condanna delle esecuzioni sommarie di lealisti emerse nei giorni precedenti, diffondendo anche un rudimentale codice etico per il rispetto dei diritti dei prigionieri e la disciplina del comportamento degli appartenenti alla ribellione armata, in vista anche di una riconsegna completa delle armi alle future autorità legittime della Siria. La maggior parte delle vittime nella giornata del 3 agosto si sono avute a Hama, dove avrebbero perso la vita sotto i bombardamenti dell'artiglieria governativa quasi 70 persone. Frattanto il perdurante sostegno della Russia al regime di Assad è stato confermato dal raggiungimento a Mosca di un accordo per la fornitura di greggio alla Siria.

Il 4 agosto, nonostante le affermazioni dei giorni precedenti da parte delle forze governative, nuovi combattimenti di grande intensità hanno interessato alcuni quartieri della capitale siriana, non troppo distanti dai palazzi del potere. Ad Aleppo intanto i ribelli sono riusciti a prendere per qualche ora il controllo dell'edificio dove opera la televisione di Stato, per essere poi nelle ore successive respinti: grande preoccupazione ha destato l'avvicinarsi dei combattimenti alla cittadella antica di Aleppo, dichiarata dall'UNESCO patrimonio culturale dell'umanità.

l'Iran è stato nuovamente coinvolto nel conflitto siriano, dopo la vicenda di alcuni mesi prima che aveva visto il rapimento e la successiva liberazione di una decina di iraniani a Homs, per la mediazione decisiva della Turchia: infatti 48 pellegrini sciiti iraniani sono stati catturati da bande di ribelli sulla strada tra Damasco e l'aeroporto internazionale, che oltretutto è una delle arterie più importanti per il regime siriano. Il giorno successivo, il 5 agosto, emergeva che tra i pellegrini iraniani rapiti vi sarebbero stati anche alcuni pasdaran.

Il 6 agosto vi è stata la clamorosa defezione del neo premier del regime siriano, Riad Hijab, che tramite il suo portavoce ha dichiarato alla tv panaraba al-Jazira di denunciare il genocidio collettivo commesso dal regime di Assad. Hijab ha sostenuto di essere stato sin dall'inizio dalla parte della ribellione, ma di non aver potuto disertare perché sotto minaccia di morte, anche nei confronti dei propri familiari. La defezione di Hijab ha avuto sicuramente un alto valore simbolico, come segno ulteriore della disgregazione del regime siriano, ma scarso impatto istituzionale, poiché l'ordinamento peculiare della Siria vede per il capo del governo e per il Parlamento un ruolo meramente rappresentativo, con il potere reale saldamente nelle mani del rais Assad e della sua cerchia di uomini fidati.

Il 7 agosto l’alto rappresentante della Guida Suprema iraniana Jalili, incontrando a Damasco il presidente Assad, ha ribadito pienamente il sostegno della Repubblica islamica al regime siriano, impegnato secondo gli iraniani in uno scontro tra i sostenitori e gli avversari dell'asse della resistenza - con ciò intendendo il fronte antisraeliano nel Medio Oriente: la Siria, secondo l'Iran, è un perno essenziale di tale asse, cui Teheran non farà mai mancare il proprio sostegno. Intanto l'osservatorio nazionale dei diritti umani in Siria, per una volta all'unisono con l'agenzia ufficiale Sana, ha denunciato come grave crimine l'uccisione di 16 operai a Homs, la maggior parte dei quali alawiti, che sarebbe stata perpetrata da ribelli non controllati dall’Esercito libero siriano.

Oltre a ribadire il sostegno alla Siria, tuttavia, la diplomazia iraniana, nella persona del ministro degli esteri Salehi – recatosi ad Ankara – si è impegnata nei confronti della Turchia per ottenere la liberazione dei pellegrini iraniani catturati nei giorni precedenti. Oltre alla richiesta di interessamento, tuttavia, la Turchia si è vista anche investire da minacce del capo di stato maggiore iraniano, per il quale in Turchia potrebbe spostarsi il prossimo teatro di violenze nella regione, proprio per il sostegno di Ankara alle opposizioni siriane.

L’8 agosto Teheran ha ammesso la presenza di alcune guardie rivoluzionarie in pensione nel gruppo dei pellegrini sequestrati in Siria, negando tuttavia ogni motivazione extrareligiosa del loro pellegrinaggio. In una giornata in cui è stata documentata l’uccisione di non meno di 91 persone, tra cui 12 donne e 10 bambini, è stato anche diramato il tragico bilancio sulle vittime del conflitto siriano nel mese di luglio: in una carneficina che ha raggiunto l'apice a un anno e mezzo dall'inizio delle manifestazioni contro il regime di Assad, sarebbero morte in luglio 3.643 persone, con una media di 121 al giorno, e tra queste vi sarebbero ben 274 bambini e 322 donne.

Il 9 agosto infuriava ancora la battaglia ad Aleppo, con le forze governative in avanzata, senza peraltro riuscire a piegare in via definitiva il fronte dei ribelli. Intanto a Damasco veniva nominato il nuovo primo ministro, nella persona del  ministro della sanità Wael Halqi. Sono cresciuti i segnali di una possibile estensione del conflitto siriano a livello regionale: infatti, la Turchia si spingeva ad accusare Damasco di appoggiare l'offensiva dei ribelli separatisti curdi del PKK, che in pochi giorni, a partire dalla fine di luglio, ha provocato nel Kurdistan turco quasi 150 morti. In tal senso il ministro degli esteri turco accusava direttamente la Siria di armare il PKK, e il premier di Ankara Erdogan minacciava di colpire i  separatisti curdo-turchi anche in territorio siriano. D'altro canto, la Turchia riceveva a sua volta accuse siriane di sostenere e armare i ribelli in lotta contro il regime di Assad, e nel contempo vedeva complicarsi ulteriormente i rapporti con Teheran, che sospendeva l'esenzione dei visti per l'ingresso dei cittadini turchi in Iran. In tal senso, nei colloqui di Istanbul dell’11 agosto, il premier turco Erdogan e il segretario di Stato USA Hillary Clinton hanno concordato su un più stretto coordinamento operativo, in previsione di un peggioramento dello scenario.

Lo stesso Iran si rendeva protagonista sul piano diplomatico, con l’organizzazione di una conferenza consultiva sulla Siria, con la partecipazione di una trentina di paesi non schierati con il fronte occidentale anti Assad. La conferenza ha lanciato un appello al dialogo nazionale tra il governo di Damasco e le opposizioni, nonché alla fine delle violenze in Siria, ma anche un avvertimento a non mettere in atto alcun tipo di intervento militare nel paese storicamente alleato dell'Iran. Il 9 agosto vi è stato anche il secondo sbarco di profughi siriani in Calabria, al largo di Crotone, con l'arrivo di 108 persone, dopo le 27 già arrivate il 4 agosto nella Calabria meridionale.

Il 12 agosto, mentre ristagnava la battaglia ad Aleppo, si spargeva la notizia dell’uccisione, il giorno precedente, di due giornalisti che lavoravano per la tv pubblica e per l’agenzia ufficiale Sana, mentre il 10 era scomparsa una troupe televisiva filogovernativa – il cui cameraman Hatem Yahiya è stato ucciso il 13 agosto.

Il conflitto siriano è divenuto intanto teatro di ulteriori atrocità, perlopiù perpetrate proprio dai ribelli e documentate da molteplici fonti di informazione, tanto che gli stessi ambienti dell’opposizione al regime di Assad hanno reagito con sdegno alle brutalità perpetrate da alcune frange dei ribelli - tra i quali sembra crescere progressivamentela la componente jihadista non siriana -; lo stesso presidente dell'osservatorio siriano dei diritti umani ha parlato di atrocità, e il comando dell'Esercito libero siriano si è dissociato da tali atti. Il 13 agosto è stato anche abbattuto per la prima volta un Mig siriano, a quanto pare grazie all'utilizzazione da parte dei ribelli di un mitragliatore antiaereo sottratto alle forze di sicurezza del regime – il quale ha ricevuto un altro colpo quando il proprio rappresentante presso il Consiglio ONU dei diritti umani ha annunciato a Ginevra la propria defezione, per unirsi al gruppo dissidente di Parigi denominato Raggruppamento democratico.

Il 15 agosto è stato pubblicato un rapporto della Commissione internazionale indipendente delle Nazioni Unite, stabilita su mandato del Consiglio ONU per i diritti umani, al fine di investigare sulle violazioni e gli abusi commessi nel corso della crisi siriana. Il rapporto attesta la commissione di crimini di guerra e crimini contro l'umanità su indicazione e con il coinvolgimento dei più alti livelli di governo e delle forze di sicurezza siriani. In particolare, la Commissione ha accertato omicidi, esecuzioni extragiudiziali e torture, nonché gravi violazioni dei diritti umani quali uccisioni illegali, attacchi contro i civili e atti di violenza sessuale. La Commissione ha rilevato altresì come crimini di guerra, in particolare assassinii e torture, siano stati compiuti anche dagli oppositori del regime siriano, ma non della stessa efferatezza, né con la stessa frequenza. Il rapporto mette a fuoco in modo ben preciso il modus operandi delle forze del regime siriano nel portare a termine i massacri, perpetrati dai militari con l'aiuto delle milizie Shabbiha, dapprima attraverso massicci bombardamenti, e poi andando a stanare casa per casa i nemici del regime - compito quest'ultimo nel quale si sono distinti particolarmente proprio i miliziani, accanitisi con ferocia sugli oppositori catturati, ma anche spesso su civili innocenti.

Il 15 agosto è stato anche il giorno in cui l’Organizzazione per la cooperazione islamica – la ex Organizzazione della Conferenza islamica – ha deciso di sospendere la rappresentanza siriana, e nel quale è stata resa nota l’ennesima strage, con il ritrovamento di 60 cadaveri con le mani legate in una discarica nel sobborgo di Qatana della capitale siriana.

Il 16 agosto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso di porre fine in via definitiva alla missione degli osservatori in territorio siriano, ordinando il ritiro degli ultimi berretti blu. Nella stessa riunione il Consiglio di sicurezza ha scelto il diplomatico algerino Lakhdar Brahimi in sostituzione di Kofi Annan, dimessosi dal ruolo di inviato speciale della Lega Araba e delle Nazioni Unite per la Siria. In una giornata che ha visto altre 179 vittime certificate dagli attivisti siriani - particolarmente raccapricciante quanto constatato da Human Rights Watch nella cittadina settentrionale di Azaaz, ove si sono registrati almeno 40 morti, tra cui molte donne e bambini, colpiti dall'aviazione governativa -, il regime ha dato luogo a un ulteriore rimpasto governativo, sostituendo i ministri dell'industria e della giustizia – gli oppositori hanno rilevato che probabilmente i due ministri avevano tentato di disertare, come già aveva fatto l'ex premier Hijab. Frattanto in Libano il clan Miqdad - fiancheggiatore del movimento sciita Hezbollah - un esponente del quale era stato catturato dai ribelli siriani nei pressi di Damasco nei giorni precedenti, scatenava la propria rappresaglia, dando luogo al rapimento di più di 30 siriani e di un cittadino turco.

Il 17 agosto, mentre veniva pienamente ufficializzata la nomina di Brahimi, circa 160 persone perdevano la vita in Siria in varie località. Sul piano diplomatico l'Iran si diceva favorevole alla proposta egiziana di formare un gruppo di contatto delle potenze regionali musulmane sulla Siria, per riunire oltre a Egitto e Iran anche Arabia Saudita e Turchia.

Il 18 agosto, mentre si diffondevano voci di una defezione tentata dal vice presidente siriano Faruk al Sharaa, che secondo i ribelli sarebbe poi stato arrestato, venivano uccise in Siria più di 140 persone, con l'artiglieria del regime che infieriva in maniera particolarmente pesante sulla regione meridionale di Daraa.

Nei giorni successivi, mentre proseguivano i combattimenti, e il 20 agosto ad Aleppo perdeva la vita la giornalista giapponese Mika Yamamoto proprio mentre cercava di documentarli; si verificava un botta e risposta tra gli Stati Uniti e il regime siriano, con il presidente Obama ad ammonire per l’ennesima volta la Siria a non fare ricorso ad armi chimiche (e nemmeno a dispiegarle), pena l’intervento militare statunitense, e il regime di Assad a ribattere che anche contro l’Iraq nel 2003 le armi chimiche si rivelarono un pretesto falso, ma decisivo per l’attacco, che evidentemente i Paesi occidentali preparerebbero anche contro la Siria. A parziale sostegno delle tesi siriane sono sembrate andare le ammissioni francesi in ordine alla forniture militari ai ribelli da parte di Arabia Saudita e Qatar, come anche le indiscrezioni di stampa in Germania e nel Regno Unito sul supporto di intelligence che già da tempo Londra e Berlino darebbero ai ribelli siriani. Intanto il 21 agosto perdevano la vita in Siria 183 persone, e tra queste le decine di cadaveri ritrovati in alcuni sotterranei nel sobborgo sud-occidentale della capitale di Muaddamiya.

Forse ancor più cruenta era il 22 agosto l'azione repressiva delle forze governative siriane contro alcuni sobborghi della capitale in cui i ribelli si erano attestati in posizioni di forza: secondo i consueti schemi, ai bombardamenti e all'attacco massiccio delle forze corazzate faceva seguito l’irruzione casa per casa delle milizie lealiste, anche per terrorizzare la popolazione di queste località, in buona parte favorevole ai ribelli. Nel corso di queste azioni di “disinfestazione” - così le hanno definite i media ufficiali - è stato ucciso anche un ex giornalista ormai da mesi schieratosi contro il regime, Musaab Awdallah, freddato con un colpo alla testa in una vera e propria esecuzione. Il suo destino è stato condiviso da una settantina di altre persone, passate per le armi durante i rastrellamenti.

Nel Libano si sono intanto ripetuti scontri armati nella città portuale settentrionale di Tripoli, ancora una volta tra fazioni filosiriane e militanti sunniti.

103 morti hanno caratterizzato la giornata del 23 agosto, che ha visto una nuova offensiva delle forze governative contro la periferia meridionale e i sobborghi antistanti della capitale, senza trascurare la prosecuzione dei combattimenti ad Aleppo, anche qui con le forze del regime in fase di ripresa.

Nei giorni successivi l'offensiva governativa si è concentrata particolarmente su uno dei sobborghi della capitale, quello meridionale di Daraya, provocando più di duecento vittime, tra le quali, numerosi, donne e bambini. Mentre il 24 agosto sono rimasti feriti nel Nord del Libano due giornalisti, coinvolti negli scontri in atto tra miliziani sunniti e filosiriani alawiti, il presidente Assad ha incontrato il 26 agosto un emissario iraniano, e al termine dei colloqui ha rincarato la dose, inquadrando gli eventi in corso in Siria nel più vasto contesto regionale, contro il quale sarebbero diretti gli sforzi delle potenze straniere di destabilizzazione del regime di Damasco, quale premessa di un generale ridisegno dei rapporti di forza nella regione mediorientale – della quale la Siria costituisce secondo Assad una pietra miliare. Nella stessa giornata del 26 agosto è stato posto fine al giallo che riguardava il vicepresidente siriano Faruk al Sharaa, secondo l'emittente panaraba saudita al Arabiya ormai in salvo in Giordania: in realtà al Sharaa è ricomparso nel suo ufficio nella capitale e ha anche partecipato all'incontro di Assad con l'inviato iraniano, senza peraltro nell’immediato rilasciare dichiarazioni. In seguito, tuttavia, al Sharaa è intervenuto sul complesso della situazione siriana, asserendo che la soluzione della crisi passa per una cessazione della violenza da parte di tutti gli attori in campo, senza precondizioni di sorta.

Il 27 agosto, in occasione della conferenza degli ambasciatori di Francia all’Eliseo, il Presidente François Hollande ha affiancato gli Stati Uniti nel sostenere che l'eventuale utilizzazione di armi chimiche da parte del regime siriano costituirebbe per la Comunità internazionale legittima causa di intervento militare diretto. Hollande ha in un certo senso concordato con quanto affermato in precedenza dal presidente siriano Assad sul carattere strategico della Siria per tutta la sicurezza in Medio Oriente, con particolare riguardo alla stabilità libanese. Il presidente francese si è detto disposto a riconoscere un governo provvisorio siriano già all'atto della sua formazione. Nella stessa giornata si è registrato l'abbattimento di un elicottero governativo da parte dei ribelli sui cieli della capitale, mentre l'offensiva governativa si è concentrata sulla parte orientale di Damasco. Nel complesso si sono registrati 112 morti, dei quali 41 nella capitale e dintorni.

Di 61 persone è stato invece il bilancio delle vittime il 28 agosto, 17 delle quali uccise nella cittadina del nord ovest di Kfarnabl pesantemente bombardata dall'aviazione siriana. Nel sobborgo di Jaramana, a sud di Damasco, vi è stato un attentato che ha provocato la morte di 12 persone, e che il governo ha attribuito ai ribelli: Jaramana  ha una popolazione prevalentemente costituita da drusi, un'altra minoranza sciita non ortodossa, che non si è apertamente schierata contro il regime di Assad.

Il 29 agosto, mentre proseguivano i combattimenti a Damasco e ad Aleppo, nella parte orientale della capitale i ribelli hanno conquistato un deposito di missili all'interno della base militare di Saqba. Inoltre, i ribelli avrebbero attaccato l'aeroporto militare di Duhur, tra le città di Aleppo e Idlib, nel Nordovest siriano. Nel complesso, la giornata ha fatto registrare 76 vittime, la maggior parte delle quali nella capitale e negli immediati dintorni.

Il 30 agosto il presidente egiziano Morsi, recatosi in Iran per il passaggio di consegne della presidenza triennale del Movimento dei non allineati al collega Ahmadinejad, ha affermato con nettezza la liceità della ribellione al regime siriano, definito sanguinosamente oppressivo, rimanendo in ciò agli antipodi della posizione di Teheran, che continua ad appoggiare strenuamente il regime di Assad. Morsi ha chiesto ai 120 paesi non allineati intervenuti al Vertice di Teheran di sostenere la lotta dei siriani con la ricerca di una soluzione non militare, ma politica alla crisi in atto.

Nella stessa giornata i ribelli siriani riuscivano per la seconda volta in meno di un mese ad abbattere un Mig governativo, e, soprattutto, progredivano nel tentativo di impadronirsi dell’aeroporto militare di Duhur. Ne seguiva un pesante bombardamento sulla cittadina, con il sapore della rappresaglia, che provocava anche la morte di otto bambini. La giornata del 30 agosto avrebbe registrato complessivamente 67 vittime tra i civili e i ribelli, in seguito tra l’altro a combattimenti nei sobborghi meridionali e nordorientali di Damasco, durante i quali i governativi avrebbero anche assaltato un ospedale.

Il 31 agosto mostrava che le forze filogovernative non intendevano rinunciare al controllo dell’aeroporto di Duhur, intorno al quale tornavano a infuriare i combattimenti, peraltro forti anche in altre zone della Siria, come in prossimità del confine iracheno – qui l’offensiva è in mano ai ribelli -, ad Aleppo e nei dintorni settentrionali della capitale, ove le autorità procedevano a sbarrare gli accessi dall’esterno, nonché ad isolare le principali moschee dei quartieri maggiormente interessati dalla rivolta. Anche il 31 agosto il numero delle vittime è stato stimato in 67.

In considerazione del sempre crescente numero di sfollati e profughi siriani – secondo stime dell’Alto commissariato ONU per i rifugiati avrebbe raggiunto alla fine di agosto la cifra di 230.000 la massa dei siriani espatriati, a fronte di un milione e mezzo di sfollati interni – la cooperazione italiana allo sviluppo ha inviato in Turchia un volo carico di aiuti umanitari per i profughi siriani colà ospitati.

Il 1° settembre è caduta la resistenza dei governativi nella base della difesa aerea di Albukamal, nell’estremo lembo orientale della Siria: in tal modo i ribelli hanno potuto impadronirsi di grandi quantità di armi e munizioni antiaeree – sembra al proposito che gli oppositori armati non siano in grado di pilotare i velivoli eventualmente catturati, le cui bombe e missili sono perciò inservibili. Infatti, un gran numero di aerei ed elicotteri sarebbero stati distrutti a terra nei vari attacchi ad aeroporti militari.

Il 2 settembre, a conferma del delicato ruolo che l’intelligence americana ricopre in Turchia per coordinare gli aiuti ai ribelli e, al tempo stesso, impedire che finiscano nelle mani sbagliate (al Qaida), rassicurando nel contempo Ankara sulla possibile escalation delle azioni armate del terrorismo curdo, il capo della CIA David Petraeus si è recato in Turchia. I ribelli hanno denunciato frattanto una campagna di attacchi indiscriminati contro i civili in tutto il territorio siriano, con l’obiettivo, da parte delle forze lealiste, di prevenire l’estensione della rivolta, colpendo soprattutto i giovani, potenziali nuovi ribelli; nonché di precostituire forse una ridotta di estrema resistenza per gli alawiti nella regione occidentale di Latakia, previa una vera e propria pulizia etnica. Da parte loro i ribelli hanno colpito con due diversi ordigni il quartier generale dell’esercito siriano, con effetti tuttavia assai limitati.

Per porre fine alle persistenti divisioni in seno alle opposizioni – la ribellione è infatti guidata dall’Esercito libero siriano e da comitati locali, assai più che dal Consiglio nazionale siriano - lo stesso Cns avrebbe deciso di aprirsi alla partecipazione di ulteriori gruppi di oppositori, operanti sia in patria che all’estero.

 

Si segnala che il 3 settembre si è tenuta a Roma la prima riunione del “Tavolo interministeriale sulla Siria”, presieduta dal ministro degli esteri Giulio Terzi, assistito dal sottosegretario Marta Dassù, dopo pochi giorni dall’incontro del “Core Group” del Gruppo degli Amici della Siria svoltosi sempre nella capitale il 29 agosto. "La caduta del regime di Assad, quando avverrà, non deve trovarci impreparati. L’Italia è impegnata con i principali partner a definire le linee che guideranno l’azione internazionale e, in questo ambito, il suo impegno nazionale - nei settori dell’aiuto umanitario, del sostegno economico, e della ricostruzione delle istituzioni - nella Siria del 'dopo Assad'”: con queste parole il Ministro degli Affari esteri ha commentato l’insediamento di questo nuovo organismo che ha trattato la preoccupante questione degli sfollati all’interno del Paese (almeno un milione e mezzo) e dei rifugiati nei Paesi confinanti (oltre 200mila, fra Turchia, Giordania, Libano, Kurdistan iracheno), un aspetto della crisi che, oltre ai suoi dolorosi risvolti umanitari, può ripercuotersi sulla stabilità regionale, ed in prospettiva può costituire anche un elemento di preoccupazione per i flussi migratori verso l’Europa.  Il Tavolo ha altresì affrontato il tema della ricostruzione economica della Siria, in considerazione dei tradizionalmente forti legami economici bilaterali, che, prima della crisi, vedevano l’Italia primo partner commerciale del Paese fra gli europei. Si è concordato di individuare le aree prioritarie e di tracciare una mappatura dei settori verso i quali Governo e imprese dovranno concentrare il loro impegno nel dopo Assad.

Frattanto la preoccupazione per la possibile prossima caduta del regime ha indotto anche alcune frange di cristiani ad organizzare proprie milizie, per fronteggiare la temuta ondata di vendette da parte dei sunniti, da sempre discriminati dal “regime delle minoranze” del clan degli Assad; più in generale, il conflitto sembra pericolosamente seguire sempre più le linee di faglia delle diverse confessioni religiose del paese, e ciò potrebbe preludere a una tragica guerra civile di stampo confessionale, come quella libanese del 1975-1990.

Il 12 settembre, quando la prosecuzione inarrestabile dei combattimenti ha registrato più di cento vittime, un attentato ad un posto di blocco governativo nella provincia di Idlib, perpetrato per mezzo di un’autobomba, ha provocato la morte di 18 soldati.

Nulla più di un valore interlocutorio ha avuto l’incontro del 15 settembre a Damasco tra Bashar al-Assad e Brahimi, che il giorno prima aveva incontrato anche gli oppositori interni tollerati dal regime. Diversi appelli sono stati lanciati negli stessi giorni dal Papa Benedetto XVI, durante la sua delicata visita in Libano, perché la Comunità internazionale e i paesi arabi raggiungano un’intesa praticabile per la pacificazione della Siria.

Le Nazioni Unite, con il progredire dello stallo siriano, hanno registrato un sempre maggiore afflusso nel paese di miliziani integralisti islamici, accanto all’incremento delle violazioni dei diritti umani, attribuite ormai ad entrambe le parti in conflitto.

Il 19 settembre ha visitato la Siria il Ministro degli esteri iraniano Salehi, dopo consultazioni ad Ankara e al Cairo, e ha ribadito il sostegno illimitato di Teheran al regime di Assad, quale parte fondamentale dell’”asse della resistenza” – concetto non nuovo della diplomazia iraniana – al nemico sionista e occidentale. Il giorno dopo il bombardamento aereo di una stazione di rifornimento nell’estremo nord siriano provocava decine di morti, mentre il regime siriano ribadiva la linea dura, e accusava il gesuita italiano Paolo dall’Oglio, già espulso dal paese, di dar vita dall’estero a una campagna prezzolata di disinformazione contro il governo siriano e a favore di gruppi sunniti integralisti.

Il 22 settembre una fazione dell’Esercito libero siriano ha annunciato lo spostamento nella parte settentrionale del territorio siriano – che sarebbe ormai libera dai governativi – del proprio comando, finora ubicato nella Turchia meridionale: la stessa Tuschia, intanto, rafforzava il dispositivo militare nella parte centrale della frontiera con la Siria, in previsione di più aspri combattimenti.

Il 23 settembre sono cominciati a Damasco i lavori di una Conferenza sponsorizzata da Russia e Cina, nella quale si sono ritrovati membri di diverse fazioni delle opposizioni operanti all’interno del paese: la conferenza ha chiesto una serie di misure, a partire dal cessate il fuoco, per ristabilire condizioni atte all’instaurazione di un vero negoziato con il regime per la costruzione di una Siria democratica.

Il 26 settembre un duplice attentato dinamitardo ha colpito lo stato maggiore delle forze armate siriane, mentre i lavori della sessione annuale dell’Assemblea Generale dell’ONU non hanno registrato alcun mutamento nelle posizioni del regime siriano, né in quelle di chi lo appoggia o lo avversa. Il giornalista iraniano Maya Nasser, dell’emittente pubblica Press Tv, ha perso la vita a Damasco, colpito da un cecchino: è salito in tal modo a 11 il numero dei reporter uccisi nel 2012 in Siria nell’esercizio della loro professione.

Il divampare degli scontri ad Aleppo ha intanto coinvolto il 30 settembre anche il ‘suk’, che già dal 1986 figura tra i siti UNESCO del patrimonio mondiale dell’umanità, il quale è stato raggiunto dalle fiamme, con la distruzione di molti degli oltre 1.500 negozi che ne formano il corpo vivo. Il 2 ottobre, per la prima volta, il governo siriano ha fatto riferimento al numero di profughi e sfollati del conflitto, che avrebbe coinvolto 671.000 famiglie, senza peraltro distinguere tra la componente espatriata e quella interna. Le stime ONU parlano di oltre un milione di sfollati interni e di oltre trecentomila profughi nei paesi vicini.

Il 3 ottobre è cresciuto il rischio di escalation regionale del conflitto siriano: infatti, mentre ad Aleppo quattro attacchi mediante autobomba hanno provocato la morte di una cinquantina di persone soprattutto tra i governativi, alcuni colpi di mortaio sparati dal territorio siriano hanno raggiunto la Turchia, provocando nella cittadina frontaliera di Akcakale la morte di una donna e dei suoi quattro bambini, nonché diversi feriti. La Turchia, la cui artiglieria ha risposto martellando alcune postazioni siriane di confine, ha prontamente informato dell’accaduto il segretario generale dell’ONU e l’Alleanza atlantica, che in una riunione notturna a Bruxelles ha condannato la Siria, intimandole di cessare da atti considerati aggressivi di uno Stato membro della NATO. La Turchia ha anche inviato una lettera al Consiglio di sicurezza dell'ONU, denunciando l'incidente di Akcakale alla stregua di una flagrante violazione del diritto internazionale, e richiedendo al Consiglio le azioni necessarie.

In questo contesto è cresciuto anche l'allarme da parte di Israele, che ha inviato il capo dell'intelligence militare, generale Cochavi, unitamente ad altri ufficiali, per compiere un sopralluogo sulle alture occupate del Golan, alle quali pericolosamente si avvicina il conflitto in corso in Siria - va ricordato che alcuni colpi di mortaio sparati dalle forze siriane hanno raggiunto nelle passate settimane anche la parte del Golan occupata da Israele, pur senza provocare vittime. In tal modo il governo israeliano sembra dar credito alle previsioni per le quali il Golan potrebbe essere una delle zone di prossima frizione in Medio Oriente, e in tal senso si preparerebbe ad affrontare soprattutto minacce di carattere terroristico, assai più che un conflitto di tipo classico con la Siria. Allo stesso tempo è stato elevato anche lo stato di allerta delle forze armate israeliane nell'Alta Galilea, per prevenire eventuali iniziative degli Hizbollah libanesi, da sempre attivi sostenitori del presidente siriano Assad.

Nella giornata del 4 ottobre sembrava ristabilirsi una situazione di quasi normalità – ma il Parlamento turco intanto autorizzava per un anno il Governo di Erdogan, qualora provocato, ad azioni militari di ritorsione in territorio siriano -, con la cessazione dei bombardamenti turchi e una qualche forma di scuse da parte siriana, non priva tuttavia di accenni alla necessità che anche la Turchia metta fine al libero transito dei ribelli fra la Siria e il suo territorio. Il 5 ottobre tuttavia un altro colpo di mortaio siriano raggiungeva il territorio turco, provocando la risposta dell’artiglieria di Ankara, e uguale copione si recitava il 6, il 7 e l’8 ottobre, mentre a fronte dei continui bombardamenti delle forze fedeli ad Assad su diverse città siriane i ribelli si vedevano bloccare la fornitura di armamenti pesanti promessa da Arabia Saudita e Qatar, per il timore americano che possano finire nelle mani degli elementi integralisti islamici che hanno una presenza ormai dimostrata nella ribellione al regime di Damasco. Va peraltro rilevato come il candidato repubblicano alle Presidenziali USA Mitt Romney si sia pronunciato in senso fortemente critico verso l’approccio di Obama alla crisi siriana, richiedendo di fornire prontamente ai ribelli armamenti per contrastare i massacri che hanno visto anche gli USA impotenti.

Per quanto riguarda il ruolo della Turchia, va tenuto presente che larga parte dell'opinione pubblica interna e buona parte dello schieramento politico rimproverano a Erdogan le contraddizioni della sua politica nei confronti di Damasco, che in una fase precedente era stato individuato quale paese-chiave della regione e interlocutore fondamentale per Ankara. Il rovesciamento di atteggiamento verso il regime di Assad, privilegiando nettamente gli elementi sunniti in lotta con esso, oltre a esporre, come si è visto, la Turchia a pericolosi rischi di guerra - rispetto alla quale la maggioranza dei turchi sembra nettamente contraria -, sta conducendo al completo smantellamento dell'approccio di politica estera incarnato dal Ministro Davutoglu, che era basato su una ripresa di prestigio turco in stile neo-ottomano, e soprattutto sull'assioma di relazioni positive con tutti i paesi confinanti. In ogni modo il 9 ottobre la NATO ha fatto sentire la propria voce, con il segretario generale Rasmussen, che, pur augurandosi una soluzione politica del contrasto turco-siriano, ha messo in chiaro come l'Alleanza atlantica abbia già pronti i piani per difendere la Turchia -significativamente, però, non ha fatto cenno ad alcun intervento in territorio siriano. Nella stessa giornata va registrato che secondo le opposizioni il regime avrebbe utilizzato nei sobborghi di Damasco persino bombe a grappolo, particolarmente devastanti soprattutto per i civili, per gli effetti ritardati e diffusivi della loro esplosione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

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