Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Recenti sviluppi politici dell'area arabo-mediterranea
Serie: Note di politica internazionale    Numero: 117
Data: 10/10/2012
Descrittori:
EGITTO   ISRAELE
LIBIA   MEDIO ORIENTE
PALESTINA   SIRIA
TUNISIA     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

Casella di testo: Note di politica internazionalen. 117 –  10 ottobre 2012

Recenti sviluppi politici dell’area arabo-mediterranea

 


Egitto

Il 30 agosto il presidente Morsi si è recato in Iran per il passaggio di consegne della presidenza triennale del Movimento dei non allineati al collega Ahmadinejad: non vi è dubbio sul rilievo della visita, la prima di un presidente egiziano in Iran dopo 32 anni di rottura delle relazioni diplomatiche soprattutto sul punto della pace raggiunta nel 1979 dall'Egitto con Israele, che la Repubblica islamica iraniana aveva sempre duramente criticato. Cionondimeno, su una questione cruciale nella regione mediorientale, quella della crisi siriana, non sembra esservi stato alcun avvicinamento, con l'Iran che continua ad appoggiare strenuamente il regime di Assad, mentre il presidente egiziano, proprio dalla tribuna del Vertice dei non allineati di Teheran, ha affermato con nettezza la liceità della ribellione al regime siriano, definito sanguinosamente oppressivo. Il 13 e il 14 settembre 2012 l'attivismo diplomatico del presidente egiziano ha toccato le istituzioni europee di Bruxelles e il nostro Paese: nella mattinata del 13 settembre Mohammed Morsi ha incontrato nella capitale belga il presidente della Commissione UE Barroso e l’Alto rappresentante PESC dell’Unione europea Catherine Ashton, per poi recarsi in serata in Italia, dove ha incontrato il Presidente del Consiglio Monti, nel quadro di un'articolata riunione di delegazioni finanziarie e imprenditoriali dei due Paesi svoltasi a Villa Madama. Morsi ha fornito rassicurazioni sulla stabilità del nuovo Egitto, e, pur difendendo l'intangibilità della figura del Profeta, ha condannato con chiarezza il gravissimo attacco al consolato americano di Bengasi. Nel corso della riunione di Villa Madama è stata firmata anzitutto una dichiarazione congiunta di carattere politico sulla cooperazione bilaterale. Inoltre, i Ministri degli esteri Giulio Terzi e dello sviluppo economico Corrado Passera hanno firmato con i loro omologhi egiziani un piano di azione sulla cooperazione economica bilaterale per il quadriennio 2012-2015. Il Ministro degli esteri italiano e il suo corrispettivo egiziano hanno siglato ulteriori dichiarazioni congiunte per lo sviluppo in vari settori, che vanno dal turismo, alla collaborazione nel campo delle piccole e medie imprese egiziane, alla creazione di panifici industriali in Egitto con i fondi scaturiti dalla conversione del debito del Cairo, alla cooperazione nella formazione tecnica e professionale. Infine, i due Ministri degli esteri hanno sottoscritto un Accordo sulla seconda fase del progetto di assistenza italiana per lo sviluppo del settore ferroviario egiziano.

Il 14 settembre il presidente egiziano è stato poi ricevuto dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Anche l’Egitto è stato coinvolto dall’ondata di proteste contro le ambasciate e consolati USA in seguito alla produzione negli Stati Uniti di un film sulla vita di Maometto ritenuto offensivo per il Profeta e addirittura pornografico: senza più gravi conseguenze oltre alla violazione dell’immunità della sede diplomatica, circa tremila manifestanti salafiti hanno protestato davanti alla rappresentanza diplomatica americana del Cairo, e alcuni di loro sono riusciti a scavalcare il muro di cinta, arrampicandosi sul pennone e sostituendo la bandiera USA con il drappo nero islamico. Sulla Siria il presidente Morsi è tornato in occasione del suo primo intervento alla sessione inaugurale annuale dell’Assemblea Generale dell’Onu, il 26 settembre, dicendosi contrario ad ogni intervento militare internazionale, ed esprimendo invece il proprio pieno sostegno all’inviato dell’ONU e della Lega Araba Lakhdar Brahimi, per una soluzione negoziata della tragica crisi. Intanto nel Partito salafita, probabilmente già nella prospettiva delle elezioni parlamentari che dovranno seguire l’approvazione della nuova Costituzione, si è aperta la lotta tra l’ala più intransigente e quella più collaborativa con il governo della Fratellanza musulmana – del quale i salafiti non sono parte -, con l’estromissione del presidente del partito Emad Ghafour, accusato appunto di atteggiamento troppo vicino al governo. Con questa mossa i salafiti sembrano minacciare la Fratellanza musulmana di passare apertamente all’opposizione del nuovo corso politico egiziano. Preoccupa intanto l’ondata di attacchi confessionali che a Rafah ha indotto alla fuga diverse famiglie di cristiano-copti.

 

Libia

Dopo l’attacco dell’11 settembre al consolato USA di Bengasi, nel quale sono morti asfissiati l’Ambasciatore USA in Libia Chris Stevens, che si trovava a Bengasi, un funzionario diplomatico e due marines -  avvenuto nel quadro delle proteste verificatesi in diversi paesi arabi contro le ambasciate e consolati USA in seguito alla produzione negli Stati Uniti, per opera di alcuni cristiano-copti egiziani, di un film sulla vita di Maometto, ritenuto offensivo per il Profeta – sia  gli Stati Uniti che le autorità libiche hanno sostenuto che i tumulti sarebbero stati solo occasione e copertura per un disegno precedentemente architettato, non a caso, forse, nella ricorrenza dell’11 settembre. Per di più gli americani sostengono che gli assalitori del Consolato sapessero della presenza all’interno di esso dell’Ambasciatore Stevens, normalmente residente a Tripoli, e avrebbero impiegato armi pesanti inconcepibili nelle mani di semplici manifestanti, ancorché infuriati per l’oltraggio a Maometto.  Gli USA hanno preannunciato, per bocca del Presidente Obama, che sarà fatta giustizia, ma senza pregiudicare i legami con la nuova Libia, oltretutto l’unico Stato coinvolto dalla Primavera Araba a non aver scelto fino a questo momento una guida politica islamica. In effetti, nei giorni successivi all'attacco di Bengasi una cinquantina di persone sono finite in carcere, tra le quali alcune provenienti dal Mali e dall'Algeria, dimostrazione, a detta dei libici, di legami con elementi terroristici di “Al-Qaida nel Maghreb islamico”. Il presidente del Congresso nazionale Magarief, dando conto di questi sviluppi, ha tenuto a rivendicare l'esclusività dell'azione di polizia dei libici, almeno in questa prima fase, rispetto alla quale, del resto, il segretario di Stato Hillary Clinton ha espresso fiducia – anche se voci emerse successivamente parlano di azioni dei droni americani già il giorno successivo all’attentato di Bengasi. Nonostante tali drammatici sviluppi, il Congresso nazionale libico ha tenuto fermo il calendario dei propri lavori, che prevedeva anzitutto la designazione del nuovo premier: il 12 settembre ha prevalso Mustafa Abu Shagur, con soli due voti in più di Mahmud Jibril, leader dell'Alleanza liberale che aveva vinto le elezioni di luglio, ma che nel complesso gioco politico interno al Congresso nazionale - dove determinante è la posizione dei numerosi candidati “indipendenti” -, ha dovuto soccombere all'appoggio dato dal Partito giustizia e costruzione, vicino ai Fratelli Musulmani, ad Abu Shagur. L'inattesa ondata “liberale” libica ha avuto così il suo contemperamento con le esigenze dei partiti d'ispirazione religiosa, anche se il sessantunenne tecnocrate Abu Shagur, esiliato nel 1980 da Gheddafi, vanta assai solidi legami con gli Stati Uniti, dove si è laureato in ingegneria elettronica, ha insegnato in diverse Università e ha anche partecipato al programma spaziale della NASA, collaborando altresì con il Pentagono. Che la sicurezza sia di gran lunga il più grave problema del nuovo esecutivo libico è emerso con ulteriore chiarezza il 22 settembre, quando si è assistito nella città di Bengasi a un attacco di grande determinazione, che, se è stato posto in atto da milizie filogovernative, ha visto parallelamente la massiccia mobilitazione della popolazione di Bengasi, decisa a quanto pare a liberarsi della pesante ipoteca che miliziani a vario titolo ispirantisi alla legge islamica avevano posto da molto tempo sulla direzione politico-militare della città. La gravità dei fatti che ha portato all'uccisione dell'Ambasciatore americano ha probabilmente messo in moto una preoccupazione ben fondata nella popolazione di Bengasi, che infatti ha attaccato caserme di milizie islamiche tanto antigovernative - come Ansar al Sharia  - quanto filogovernative, come la milizia di Raf Alllah al Sahati. In entrambi i casi vi sono stati diverse vittime tra i miliziani islamici, e le loro sedi sono state saccheggiate e devastate. Il 23 settembre le autorità di Tripoli hanno preso atto di quanto accaduto il giorno precedente a Bengasi, e hanno deciso d'imperio la cancellazione di tutte le formazioni armate non legittimate dallo Stato: per gestire il provvedimento è stato istituito un Centro operativo proprio nella città di Bengasi, nel quale dovranno cooperare forze armate, forze di polizia e investigative e le brigate dei protagonisti della ribellione contro Gheddafi, che si tenta in tal modo di imbrigliare. Nel centro-sud del paese, peraltro, non sembra del tutto sopita la resistenza dei partigiani di Gheddafi, che a Brak hanno attaccato le forze di sicurezza governative, provocando nove vittime. La roccaforte dei gheddafiani di Bani Walid è stata posta sotto assedio sin dal 5 ottobre da un migliaio di miliziani riconosciuti dalle autorità libiche, intenzionati a vendicare nel sangue la morte di un ragazzo, salito alla ribalta per aver individuato Gheddafi quando si trovava a Sirte, e successivamente torturato dalle sue milizie. Mentre anche a Bengasi si registravano numerose manifestazioni, stavolta prevalentemente favorevoli agli integralisti solo da pochi giorni cacciati dalla città, e mentre vi è stato il 7 ottobre l’ennesimo sequesto ai danni di pescherecci siciliani – i militari libici hanno prima aperto il fuoco, e poi scortato i due motopesca nel porto di Bengasi -; l’evento politicamente più importante è stato senza dubbio il doppio rifiuto, rispettivamente il 4 e il 7 ottobre, che il Congresso nazionale ha opposto a due diverse liste dei ministri presentate dal premier designato Abu Shagur, che perciò ha rassegnato le proprie dimissioni. L’oggetto del contendere sarebbe la scarsa rappresentatività delle compagini messe insieme da Shagur, nella prima delle quali, soprattutto, non avrebbe trovato alcuna rappresentanza la vasta coalizione liberale che pure aveva vinto il 7 luglio, riportando il maggior numero di consensi in relazione ai candidati partitici.

 

Siria

Appare ormai in stallo la tragica situazione della Siria, in preda a un'ondata generalizzata di combattimenti tra le forze del regime e gli oppositori armati, rispetto alla quale i vari settori della Comunità internazionale, lungi dall’esercitare una sperabile funzione moderatrice, sembrano impotenti, ovvero impegnati nel sostenere l'una o l'altra parte, e dunque, in ultima analisi, la prosecuzione del conflitto, a tutto danno della popolazione civile siriana. Frattanto la preoccupazione per la possibile prossima caduta del regime ha indotto anche alcune frange di cristiani ad organizzare proprie milizie, per fronteggiare la temuta ondata di vendette da parte dei sunniti, da sempre discriminati dal “regime delle minoranze” del clan degli Assad; più in generale, il conflitto sembra pericolosamente seguire sempre più le linee di faglia delle diverse confessioni religiose del Paese, e ciò potrebbe preludere a una tragica guerra civile di stampo confessionale, come quella libanese del 1975-1990. Nulla più di un valore interlocutorio ha avuto l’incontro del 15 settembre a Damasco tra Bashar al-Assad e Brahimi. Diversi appelli sono stati lanciati negli stessi giorni dal Papa Benedetto XVI, durante la sua delicata visita in Libano, perché la Comunità internazionale e i paesi arabi raggiungano un’intesa praticabile per la pacificazione della Siria. Le Nazioni Unite, con il progredire dello stallo siriano, hanno registrato un sempre maggiore afflusso nel paese di miliziani integralisti islamici, accanto all’incremento delle violazioni dei diritti umani, attribuite ormai ad entrambe le parti in conflitto. Il 22 settembre una fazione dell’Esercito libero siriano ha annunciato lo spostamento nella parte settentrionale del territorio siriano – che sarebbe ormai libera dai governativi – del proprio comando, finora ubicato nella Turchia meridionale: la stessa Tuschia, intanto, rafforzava il dispositivo militare nella parte centrale della frontiera con la Siria, in previsione di più aspri combattimenti. Il 26 settembre un duplice attentato dinamitardo ha colpito lo stato maggiore delle forze armate siriane, mentre i lavori della sessione annuale dell’Assemblea Generale dell’ONU non hanno registrato alcun mutamento nelle posizioni del regime siriano, né in quelle di chi lo appoggia o lo avversa. Il divampare degli scontri ad Aleppo ha intanto coinvolto anche il ‘suk’, che già dal 1986 figura tra i siti UNESCO del patrimonio mondiale dell’umanità, il quale è stato raggiunto dalle fiamme, con la distruzione di molti degli oltre 1.500 negozi che ne formano il corpo vivo. Il 3 ottobre è cresciuto il rischio di escalation regionale del conflitto siriano: infatti, mentre ad Aleppo quattro attacchi mediante autobomba hanno provocato la morte di una cinquantina di persone soprattutto tra i governativi, alcuni colpi di mortaio sparati dal territorio siriano hanno raggiunto la Turchia, provocando nella cittadina frontaliera di Akcakale la morte di una donna e dei suoi quattro bambini, nonché diversi feriti. La Turchia, la cui artiglieria ha risposto martellando alcune postazioni siriane, ha prontamente informato dell’accaduto il segretario generale dell’ONU e l’Alleanza atlantica, che in una riunione notturna a Bruxelles ha condannato la Siria, intimandole di cessare da atti considerati aggressivi di uno Stato membro della NATO. Nella giornata del 4 ottobre sembrava ristabilirsi una situazione di normalità – ma il Parlamento turco intanto autorizzava per un anno il Governo di Erdogan, qualora provocato, ad azioni militari di ritorsione in territorio siriano -, con la cessazione dei bombardamenti turchi e una qualche forma di scuse da parte siriana, non priva tuttavia di accenni alla necessità che anche la Turchia metta fine al libero transito dei ribelli fra la Siria e il suo territorio. Il 5 ottobre tuttavia un altro colpo di mortaio siriano raggiungeva il territorio turco, provocando la risposta dell’artiglieria di Ankara, e uguale copione si recitava il 6, il 7 e l’8 ottobre, mentre a fronte dei continui bombardamenti delle forze fedeli ad Assad su diverse città siriane i ribelli si vedevano bloccare la fornitura di armamenti pesanti promessa da Arabia Saudita e Qatar, per il timore americano che possano finire nelle mani degli elementi integralisti islamici che hanno una presenza ormai dimostrata nella ribellione al regime di Damasco.

 

Tunisia

La situazione della sicurezza è peggiorata anche in Tunisia nel quadro delle proteste verificatesi in diversi paesi arabi contro le ambasciate e consolati USA in seguito alla produzione negli Stati Uniti, per opera di opera di alcuni cristiano-copti egiziani, di un film sulla vita di Maometto ritenuto offensivo per il Profeta: il venerdì di preghiera islamica del 14 settembre è stato trasformato, per opera soprattutto di alcuni sceicchi salafiti, in un assalto preordinato all'Ambasciata americana, a fronteggiare il quale le forze di sicurezza si sono dimostrate impreparate, probabilmente per la contraddittorietà degli atteggiamenti del governo di Ennahdha, che continua a mostrare un atteggiamento “morbido” rispetto all'aggressività dei salafiti. I manifestanti a un certo punto hanno aperto il fuoco a colpi di fucile e anche di mitra, e molti di loro si sono presentati con tanto di scale per salire, come hanno fatto, sul tetto della rappresentanza diplomatica americana. La limitata reazione delle forze dell'ordine ha provocato comunque tra i manifestanti quattro morti e numerosi feriti. In conseguenza dell'attacco gli USA hanno evacuato l'ambasciata di Tunisi, con l'ordine alle famiglie del personale, e al personale non strettamente necessario, di lasciare il paese. Pochi giorni dopo, il 17 settembre, l'ambasciatore americano Welles ha attaccato con insolita durezza il governo tunisino, rivolgendo al ministro degli esteri Abdelssalem accuse di totale inefficienza nell'operato della polizia. Dei tre sceicchi ispiratori dell'assalto all'ambasciata americana il primo ad essere arrestato è stato Mohammad Bakhti, trasferito insieme a centinaia di sodali nel carcere annesso alla caserma della Brigata tunisina antiterrorismo di Bouchoucha. Lo sceicco più ricercato, Abu Yhad, si è peraltro preso gioco delle autorità quando il 17 settembre ha tenuto un sermone di grande intensità, incitando a rinnovate proteste, nella moschea di al-Fath, proprio nel centro della capitale Tunisi, per poi eclissarsi nuovamente. Il rinnovarsi in tutto il mondo islamico dell'ondata di proteste per le offese a Maometto, stavolta conseguenti alla pubblicazione delle vignette del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, ha condotto il 20 settembre il ministero dell'interno tunisino - il cui capo Laraayedh peraltro la sera prima aveva dovuto subire in seno all'Assemblea costituente, tuttora di fatto il parlamento del paese in attesa delle elezioni del 2013, veementi critiche, e probabilmente non solo dalle opposizioni, poiché il nodo dei rapporti con i salafiti sembra dividere anche Ennahdha - a vietare in tutto il territorio nazionale ogni tipo di manifestazione, temendo soprattutto che il venerdì di preghiera islamica del 21 settembre potesse ripresentare lo scenario di una Tunisia allo sbando, con le autorità impossibilitate a garantire la sicurezza. Inoltre, è stata prevista una particolare sorveglianza nei confronti stavolta delle istituzioni della Francia in Tunisia, prevedendo la chiusura delle scuole e la protezione rafforzata degli uffici consolari. Alla fine di settembre si è registrata un’affermazione notevole delle forze laiche, quando la Commissione dell’Assemblea costituente incaricata dei temi sociali ha infine rigettato la prospettiva islamista di definire, nella nuova Costituzione, la posizione della donna come meramente complementare a quella maschile, ribadendo invece la piena eguaglianza dei generi, peraltro in vigore in Tunisia fin dall’indipendenza del 1956.

 

Israele/Palestina

Dopo che il 19 settembre l'aviazione israeliana aveva colpito due miliziani nella parte meridionale della Striscia di Gaza perché sospettati di accingersi a lanciare un attacco terroristico sul territorio israeliano transitando ancora una volta dal Sinai, il 21 settembre vi è stata un'ennesima incursione, che ha preso inizialmente di sorpresa le guardie di frontiera israeliane, una delle quali ha perso la vita, prima che i tre aggressori fossero a loro volta uccisi dalla reazione dei commilitoni. Il commando era pesantemente armato, e si immagina che avrebbe potuto compiere attacchi devastanti. Il ripetersi di questi episodi dal territorio del Sinai rischia di aggravare pericolosamente le tensioni ancora sotto traccia, che in Israele pure esistono sin dalla caduta di Mubarak, nei confronti del futuro comportamento delle autorità egiziane. È infatti possibile che il ripetersi dei raid terroristici dal territorio della penisola possa ad un certo punto essere attribuito indirettamente all'Egitto, almeno per un'incapacità repressiva e di controllo. Da questo punto di vista, tuttavia, le voci di una prossima richiesta egiziana di rivedere gli accordi di Camp David del 1979, consentendo all'Egitto di rimilitarizzare almeno parzialmente la penisola del Sinai proprio per reprimere i numerosi movimenti terroristici colà attivi, hanno trovato la recisa opposizione del ministro degli esteri israeliano Lieberman. D'altra parte, nel Sinai non solo Israele è oggetto di attacchi, poiché nei giorni precedenti alcune decine di beduini e di guerriglieri vicini ad al Qaida avevano assaltato la base principale della MFO  (Forza multinazionale di osservatori) - presente nella penisola dal 1982 per monitorare l'applicazione di quella parte degli accordi di Camp David che  prevedevano appunto il ritorno del Sinai smilitarizzato sotto sovranità egiziana -, dando luogo ad aspri combattimenti.

Il 5 ottobre si sono verificati tafferugli per le proteste di manifestanti musulmani sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme: l’agitazione degli islamici sarebbe determinata dai danni che escavazioni in profondità condotte dagli israeliani potrebbero arrecare alla stabilità della Moschea di al Aqsa, ovvero da più o meno velate progetti ebraici di acquisire spazi di pertinenza della medesima Moschea. L’attivismo degli estremisti ebraici sembra dirigersi negli ultimi tempi, peraltro, anche contro simboli cristiani: il 4 settembre alcuni sconosciuti avevano tentato di dare alle fiamme il portale dell’Abbazia di Latrun, che si trova tra tel Aviv e Gerusalemme, imbrattando le mura esterne con scritte oltraggiose verso il cristianesimo. Il 2 ottobre una scritta offensiva in ebraico contro Gesù è comparsa sulla porta principale del convento di San Francesco sul Monte Sion, a Gerusalemme. L’8 ottobre pietre, bottiglie e spazzatura sono state lanciate contro la chiesa ortodossa di Saint Georges, danneggiando il portone d’ingresso dell’edificio.

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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