Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Partecipazione alla 67ma Sessione dell'Assemblea generale dell'ONU (New York, 23-18 settembre 2012)
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 378
Data: 21/09/2012
Descrittori:
ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE ( ONU )     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
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Camera dei deputati

 

 

Senato della Repubblica

 

XVI LEGISLATURA

 

 

Documentazione e ricerche

 

 

 

 

 

Partecipazione alla 67ma Sessione dell’Assemblea generale dell’ONU

(New York, 23-28 settembre 2012)

 

 

 

 

 

 

Camera dei deputati

n. 378

Senato della Repubblica

n. 388

 

 

 

 

 

 

21 settembre 2012

 

 


Servizi responsabili:

Servizio Studi della Camera dei deputati

Dipartimento Affari esteri

( 066760-4939 / 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.i

Servizio Studi del Senato della Repubblica

Ufficio ricerche nel settore della politica estera e della difesa

( 066706-2451– * studi1@senato.it

 

 

 

Hanno collaborato:

Servizio Rapporti internazionali

( 066760-3948 / 066760-9515 – * cdrin1i@camera.it

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

 

 

 

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File: es1209.doc

 


INDICE

Agenda dei lavori

INSERIRE FILE PDF ES1209_AGENDA.pdf3

Focus tematici

Il processo di riforma delle Nazioni Unite  7

Il Rapporto 2012 sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio  13

La riduzione della povertà in Africa e la realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio  23

L’attività dell’ONU per la promozione dello Stato di diritto  29

Atti ed iniziative del Parlamento italiano per la diffusione della tolleranza religiosa  33

Le iniziative internazionali per la lotta  alle mutilazioni genitali femminili (a cura del Servizio Studi del Senato)39

Il disarmo (a cura del Servizio Studi del Senato della Repubblica)45

La cooperazione parlamentare nel quadro delle Nazioni Unite (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)57

La partecipazione parlamentare alle Conferenze in ambito ONU (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)61

L’Unione europea e le Nazioni Unite (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)65

Le relazioni tra l’Unione interparlamentare e le Nazioni Unite (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)71

Approfondimenti geopolitici

Scheda paese politico-istituzionale sulla Federazione russa (a cura del Ministero degli Affari esteri)81

La crisi siriana: ultimi sviluppi (aggiornamento al 18 settembre 2012) (a cura del Servizio Studi del Senato)97

La crisi siriana: recenti sviluppi (a cura dell’Osservatorio di politica internazionale), settembre 2012  101

La questione nucleare iraniana: recenti sviluppi (a cura dell’Osservatorio di politica internazionale), settembre 2012  101

 


Agenda dei lavori

 


INSERIRE FILE PDF ES1209_AGENDA.pdf

 

 


Focus tematici

 


Il processo di riforma delle Nazioni Unite

Negli ultimi anni le Nazioni Unite, considerate come sistema che comprende programmi, agenzie specializzate e fondi, hanno avviato un processo di riforma, finalizzato a rafforzare l'efficacia dell'organizzazione e renderla più vicina alle sfide del presente ed alle richieste dei suoi membri.

Tale processo di riforma è stato intrapreso a più livelli ed in diverse sedi. Tra di esse il World Summit, che si è svolto nel settembre 2005 a margine della 60a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel cui documento finale (Outcome Document) viene dichiarato l’obiettivo di rafforzare l’autorità e l’efficienza dell’Onu, ossia di riformare l’Organizzazione affinché possa effettivamente affrontare le sfide attuali (capitolo quinto).

In relazione ai due principali organi delle Nazioni Unite (l’Assemblea generale ed il Consiglio di sicurezza), tuttavia, l’Outcome Document si limita a fornire alcune indicazioni di carattere generale.

Dell’Assemblea generale si afferma la posizione centrale quale principale organo deliberativo, politico e rappresentativo dell’Organizzazione. Si esprime consenso con le misure adottate, volte a rafforzare il ruolo e l’autorità del Presidente dell’Assemblea e si auspica un’intensificazione delle relazioni dell’Assemblea con gli altri organi delle Nazioni Unite al fine di garantire un coordinamento sulle questioni che richiedono un intervento concertato (par. 149-151).

A seguito delle indicazioni emerse nel World Summit, è stato istituito, nella 61a Sessione, un Gruppo di lavoro ad hocper la rivitalizzazione dell’Assemblea generale, ricostituito poi in tutte le Sessioni successive. Il Gruppo di lavoro operante nel corso della 66a Sessione (copresieduto da Georgia e Gambia), ha approfondito una serie di temi, tra i quali, ancora una volta, quelli riguardanti il ruolo dell’Assemblea e le sue relazioni con gli altri organismi delle Nazioni Unite (in particolare con il Consiglio di Sicurezza); il ruolo e la responsabilità dell’Assemblea generale nel procedimento di nomina ed elezione del suo Segretario generale; il rafforzamento della “memoria istituzionale” dell’ufficio del Presidente dell’Assemblea.

 

Il dibattito sulla riforma del Consiglio di sicurezza.

Nel citato Outcome Document del World Summit 2005, si riconosce al CdS la primaria responsabilità nel mantenimento della pace e della sicurezza, e si sostiene l’opportunità di una riforma complessiva che lo renda maggiormente rappresentativo, più efficiente e più trasparente. Si raccomanda inoltre l’adozione di metodi di lavoro che consentano di coinvolgere gli Stati non membri del Consiglio (par. 152-154).

Il dibattito sulla riforma del Consiglio di sicurezza impegna le Nazioni Unite sin da prima della loro costituzione: infatti, già alla conferenza di San Francisco nel 1945, che ha adottato la Carta delle Nazioni Unite, la composizione e, in particolare, la questione del potere di veto dei futuri membri furono oggetto di svariate critiche. Gli argomenti principali avanzati per sostenere l’opportunità di un maggior numero di membri non permanenti riguardarono la rappresentatività, l’inclusività, e la democrazia. Tuttavia gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l'Unione Sovietica insistettero sulla necessità di mantenere ridotte dimensioni del Consiglio, di modo che potesse affrontare le crisi in modo efficace e tempestivo.

Finora, l'unico tentativo riuscito di riformare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è avuto nel 1965, con l’aumento del numero dei componenti elettivi da 6 a 10, sulla scia della decolonizzazione e del conseguente numero sempre crescente dei nuovi Stati membri dell’ONU. Nel 1956, alcuni paesi latinoamericani avevano suggerito per primi un ampliamento del numero di membri non permanenti, e già nel 1960 un certo numero di paesi dell'Europa occidentale avevano aderito a questa campagna. Nel 1963, il movimento dei “Non Allineati” presentò un progetto di risoluzione che mirava ad aumentare il numero dei seggi elettivi nel Consiglio di sicurezza: i quattro seggi supplementari avrebbero dovuto essere appannaggio dei paesi asiatici e africani. La proposta incontrò il favore della maggioranza dell’Assemblea Generale, ma solo della Repubblica di Cina (Taiwan) tra i membri permanenti, mentre soprattutto l’Unione Sovietica e la Francia erano fortemente contrarie. Eppure, di fronte ad una maggioranza divenuta schiacciante in seno all’Assemblea Generale, alla fine tutti i membri permanenti decisero di accettare la riforma, entrata in vigore il 31 agosto 1965.

Gli unici cambiamenti nella composizione del Consiglio di Sicurezza, con riferimento ai membri permanenti, sono stati conseguenti a mutamenti negli equilibri di potere a livello internazionale: nel 1971, la Repubblica popolare cinese ha sostituito la Repubblica di  Cina in Taiwan come unico rappresentante della Cina. Questa avvicendamento si basa su una risoluzione dell'Assemblea Generale; singolarmente, dalla votazione di una questione di credenziali, piuttosto che di appartenenza (che formalmente è rimasta invariata), l'Assemblea è stata in grado di influire sul Consiglio di sicurezza. Nel 1991, poi, con il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia ha ereditato il seggio come Stato legittimamente successore. 

Nel dicembre 1974 le Nazioni Unite istituirono una Commissione ad hoc sulla Carta delle Nazioni Unite, con particolare accento sulla riforma dei meccanismi di composizione e di voto nel Consiglio di sicurezza: una serie di progetti di risoluzione che prevedevano l’aumento del numero dei membri non permanenti non ebbe seguito. Infatti, oltre alla forte contrarietà dei membri permanenti – eccezion fatta per la Cina -, anche in Assemblea Generale vi furono posizioni assai diversificate.. Anche se formalmente la questione rimase all'ordine del giorno dell'Assemblea Generale, iniziò sulla questione una lunga impasse.

Dopo la fine della Guerra Fredda, la spinta per la riforma del Consiglio di Sicurezza sembrò riacquistare slancio: nel 1992, l'Assemblea Generale decise di istituire un Gruppo di lavoro ad hoc, in seno al quale ben presto, dopo una fase iniziale in cui l’istanza fondamentale sembrava quella dell’aggiunta ai membri permanenti di Germania e Giappone, emerse l’orientamento per un più corposo allargamento del Consiglio. In particolare, il Regno Unito, gli USA e la Russia concordarono su un allargamento secondo la formula 2+3 (due membri permanenti e tre elettivi), rigettando d’altronde ogni ipotesi di un Consiglio di sicurezza con più di 21 membri. Il dibattito culminò nella proposta del presidente dell'Assemblea generale e presidente del Gruppo di lavoro, il diplomatico malaysiano Razali Ismael, di un allargamento a quattro nuovi Stati membri, con un contestuale aumento a dieci dei membri permanenti. La proposta provocò tuttavia una grave divisione tra gli Stati membri: in particolare, il cosiddetto Coffee Club - una coalizione di paesi guidati da Italia e Pakistan – si oppose a qualsiasi riforma che migliorasse a loro danno lo status di rivali regionali come Germania, India o Brasile, a loro stesso danno. Vi fu anche una notevole contrarietà dei membri permanenti, salvo la Francia. Ancora una volta, il processo di riforma del Consiglio di sicurezza era in stallo.

Nel settembre 2003, l’allora Segretario Generale ha affrontato nuovamente la questione, questa volta nel contesto di uno sforzo di riforma globale delle Nazioni Unite. Il Segretario Generale Kofi Annan istituì il "Gruppo ad alto livello sulla minacce, sfide e cambiamento", che nel suo rapporto finale presentò due modelli alternativi per l’allargamento del Consiglio di sicurezza. Kofi Annan adottò quelle proposte, senza indicare alcuna preferenza tra i due modelli. Nel frattempo, Brasile, Germania, India e Giappone avevano formato il "G4" per promuovere le loro ambizioni comuni di seggi permanenti e diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza. Anche in questo caso, tuttavia, vi fu una forte opposizione da parte degli Stati partecipanti al precedente Coffee Club, ricostituitosi con la denominazione Uniting for Consensus; inoltre, il gruppo dei paesi africani premeva a sua volta per una maggiore sua rappresentanza in seno al Consiglio. Il risultato fu anche stavolta l’impossibilità di ogni progresso sull'allargamento del Consiglio di Sicurezza impossibile.

Nel gennaio 2007 il presidente della 61a Assemblea generale ha dato mandato a cinque moderatori di individuare linee di possibile consenso su cinque questioni che riguardano il futuro del Consiglio di Sicurezza, e cioè le categorie di appartenenza, il diritto di veto, la rappresentanza regionale, le dimensioni e metodi di lavoro,  le relazioni tra il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale. Anche in questo caso, però, il dibattito si è rapidamente impantanato lungo linee familiari, e nessuno dei vari modelli presentati ha raggiunto sufficiente sostegno tra gli Stati membri. Tuttavia, l’Assemblea Generale decideva di traslare la discussione sulle cinque questioni dal livello di gruppo di lavoro a quello di negoziati formali all'interno dell’A.G. medesima. Nei negoziati sono state affrontate alcune questioni fondamentali, quali la natura della membership (membri permanenti e membri a rotazione), il diritto di veto, i rapporti tra il Consiglio di sicurezza e l’Assemblea generale, le dimensioni del CdS, i suoi metodi di lavoro. In tali negoziati, però, i vecchi problemi e le rivalità regionali sono stati tutti confermati.

In ogni modo, mentre i cambiamenti nella composizione e nel potere di veto dei membri permanenti sono stati finora impossibili da realizzare, vi sono stati considerevoli progressi nel rafforzamento della trasparenza e inclusività del processo decisionale nel Consiglio di Sicurezza, compresi i cinque membri permanenti,  con particolare riferimento al flusso di informazioni e alla consultazione dei membri permanenti con gli altri Stati, come anche con attori non statali.

 

Il processo negoziale intergovernativo, lanciato nel 2009, è il foro ufficiale attraverso il quale gli Stati membri discutono sulla riforma del Consiglio di sicurezza. A partire dal 2010, la discussione è basata su un testo che include le proposte dei vari gruppi di interesse e dei singoli Stati membri.

Nel corso della 66a Sessione dell’Assemblea generale si sono svolti 5 incontri, nel quadro dell’VIII round negoziale per la riforma del Consiglio di sicurezza, per consentire ai cinque maggiori  gruppi di interesse[1] di presentare le rispettive, aggiornate, proposte.

La proposta del G4 (Brasile, Germania, India e Giappone), come è noto, insiste sull’ampliamento del numero dei seggi (6 permanenti e 4 non permanenti, che porterebbe il totale dei componenti a 25) che verrebbero assegnati in base ad elezioni nel rispetto di una precisa rappresentanza regionale. Secondo questa proposta, il diritto di veto non verrebbe esteso ai nuovi membri permanenti. Nel decidere quali paesi dovrebbero essere prescelti, i membri del G4 suggeriscono che sia valutato il contributo al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale e che l’Africa sia adeguatamente rappresentata.

La proposta di Uniting for Consensus (una quarantina di paesi tra i quali Italia, Pakistan, Colombia, Argentina), invece, mira ad innalzare il numero dei membri non permanenti a venti stabilendo la durata del mandato in due anni; i membri non permanenti verrebbero eletti, a ciascun gruppo regionale verrebbe assegnato un numero predefinito di seggi; ai Paesi dell’Europa occidentale verrebbero attribuiti tre seggi.

Anche nell’VIII round negoziale,  l’Italia si è fatta portavoce della proposta[2], promossa insieme alla Colombia già nel 2009 per offrire un compromesso, che affronta tutti gli aspetti della riforma, dal numero dei membri ai metodi di lavoro (Uniting for Consensus Platform on Security Council reform) e che, rispetto alla proposta presentata da UfC nel 2005 presenta alcune novità.

I tre punti principali sui quali poggia la proposta italo-colombiana sono i seguenti:

a) sono necessarie elezioni regolari per assicurare un Consiglio responsabile e accessibile, la partecipazione al quale è considerata una responsabilità privilegiata, e non sia elargita come un diritto arbitrario a singoli paesi in base ai loro interessi nazionali;

b) il processo elettorale deve garantire flessibilità  al Consiglio, per potersi adattare ai continui cambiamenti dello scenario economico e politico mondiale;

c) il sistema elettivo serve per rendere il Consiglio più rappresentativo, cosa non possibile se i seggi non sono sottoposti alla periodica approvazione di una più vasta membership.

 Riguardo la composizione del CdS, la piattaforma ribadisce l’assoluta contrarietà ad un aumento del numero dei seggi permanenti, prendendo unicamente in considerazione la questione dei seggi addizionali. La novità più rilevante riguarda la rappresentanza regionale, in considerazione del fatto che,  per assicurare la stabilità politica internazionale i soli attori nazionali non sono più sufficienti. La piattaforma propone che i seggi destinati alle organizzazioni regionali abbiano una durata più lunga rispetto agli attuali due anni: dai tre ai cinque anni o, in alternativa, di 2 anni secondo un meccanismo di rieleggibilità che non potrebbe comunque superare un limite massimo di sei anni consecutivi.

Anche il gruppo L.69, guidato dall’India  - formato da Paesi africani, dell’America latina, dell’Asia e del Pacifico, in tutto 41, - è a favore dell’allargamento delle due categorie di membri del CdS, per il quale chiede anche un ampio cambiamento della composizione per tenere conto della nuova realtà globale. L’allargamento richiesto porterebbe il Consiglio a 25/26 seggi: i membri permanenti conserverebbero gli stessi poteri degli attuali, incluso il diritto di veto.

Il Gruppo S5 (Small Five Groups)[3] ha nuovamente sottolineato che bisogna lavorare sulla riforma dei metodi di lavoro del CdS, che si trovi o meno un accordo sull’ampliamento del numero dei suoi membri, ed ha presentato il 4 aprile 2012 una bozza di risoluzione su tale questione.

I Paesi africani, rappresentati dal Gruppo C-10, continuano a chiedere due seggi permanenti con gli stessi poteri degli attuali, in nome della necessità di compensare alcune storiche ingiustizie.

 

 

 


Il Rapporto 2012 sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio

E’ stato presentato il 2 luglio scorso a New York il Millennium Development Goals(MDGs) Report 2012 pubblicato a cura delle Nazioni Unite che si basa, come i precedenti, su dati raccolti ed elaborati da Agenzie specializzate delle Nazioni Unite e da un gruppo di esperti internazionali, sotto la direzione del Dipartimento degli Affari economici e sociali del Segretariato delle Nazioni Unite. Il Rapporto mette subito in evidenza che tre importanti target sono stati raggiunti: quello del dimezzamento dell’estrema povertà (raggiunto cinque anni prima della scadenza fissata al 2015), quello del dimezzamento della popolazione che non ha accesso a fonti affidabili di acqua potabile e quello che stabiliva, entro il 2020, il miglioramento delle condizioni di vita di cento milioni di abitanti delle baraccopoli. Il raggiungimento degli altri target viene considerato difficoltoso e tuttavia possibile, ma solo se i governi non si discosteranno dagli impegni assunti.

Come ha affermato il Segretario generale dell’ONU, Ban ki-Moon, nel presentare il nuovo Rapporto, gli ulteriori successi sono legati alla realizzazione dell’Obiettivo n. 8, che mira alla costruzione del partenariato globale per lo sviluppo per raggiungere i goals da 1 a 7. Il Segretario generale ha anche lanciato un monito affinché la crisi economica in atto nel mondo sviluppato, non rallenti o inverta i risultati ottenuti.

Il Rapporto tratteggia ancora uno scenario piuttosto articolato: da un lato è dimostrata la validità della scelta fatta nel 2000 di dare vita al progetto ambizioso degli Obiettivi del Millennio, ma dall’altro i progressi fin qui conseguiti mostrano il permanere di una disuguaglianza - sia sotto il profilo geografico, sia riguardo il grado di realizzazione di alcuni Obiettivi rispetto ad altri - che colpisce in maniera drammatica le fasce dei più poveri fra i poveri. Viene messo in luce inoltre il fatto che il procedere verso il traguardo finale è stato rallentato a causa della crisi economico-finanziaria, tuttora in corso, iniziata nel 2008-2009, di poco preceduta da una grave crisi alimentare.

Il Rapporto ricorda una volta ancora che la scadenza del 2015 è alle soglie e per raggiungere gli Obiettivi rimanenti, i governi, la comunità internazionale, la società civile e il settore privato, devono intensificare i loro contributi. Sta prendendo forma una nuova ambiziosa agenda per lo sviluppo per continuare sulla strada degli MDGs oltre il 2015, anche alla luce di quanto emerso dalla Conferenza Rio+20 dello scorso mese di giugno. A questo fine è stato istituito un Task Team interno al sistema delle Nazioni Unite per il coordinamento nella preparazione degli obiettivi post 2015 e a sostegno del lavoro del costituendo Panel ad Alto livello co-presieduto dai presidenti Yudoyono (Indonesia) e Johnson Sirleaf (Liberia) e dal primo ministro Cameron (Regno Unito).

 

L’Obiettivo 1

Per la prima volta dal 1990, momento nel quale la Banca Mondiale ha cominciato ad osservare le tendenze sulla povertà, sia il numero delle persone che vivono al di sotto della soglia di povertà (meno di 1,25 dollari al giorno) che il tasso di povertà sono diminuiti in tutte le regioni in via di sviluppo. Il numero delle persone estremamente povere, che erano oltre due miliardi nel 1990 (47 per cento della popolazione mondiale)  è sceso nel 2008 a meno di 1,4 miliardi (24 per cento) mentre studi condotti dopo il 2008 dimostrano che la percentuale di popolazione mondiale che vive in povertà è ancora in diminuzione nonostante il rallentamento del trend dovuto alla crisi alimentare e all’aumento dei prezzi di cibo e  carburanti. Il Rapporto segnala il rilevante progresso della Cina, dove il tasso di povertà è precipitato dal 60 (1990) al 13 per cento (2008), ma anche la diminuzione della povertà nell’Africa Sub sahariana, che pure rimane la regione dove fame e povertà fanno ancora registrare dati allarmanti[4].

Nel presentare il Rapporto 2012, il Segretario generale dell’Onu ha voluto mettere l’accento sulla necessità di porre il lavoro in cima alla lista delle priorità, questione che tanto preoccupa le giovani generazioni, e in particolare un lavoro dignitoso[5], che possa procurare un reddito prevedibile e stabile  per abitanti delle città, delle campagne, per i poveri e i marginalizzati.

Il Rapporto informa che nel 2011 c’erano 456 milioni di lavoratori che in tutto il mondo vivevano al di sotto della soglia di povertà, 233 milioni meno che nel 2000, e che tale riduzione è da attribuire in gran parte alla rilevante riduzione dell’estrema povertà tra i lavoratori dell’Asia orientale.

Quanto al numero di persone malnutrite nei paesi in via di sviluppo, questo sembra essersi stabilizzato negli ultimi due decenni intorno agli 850 milioni [6]. Cionondimeno, il tasso di malnutrizione in rapporto con il totale della popolazione dei paesi in via di sviluppo è in costante calo (dal 19,8% nel periodo 1990-92 al 15,5% nel periodo 2006-08), non in misura tale, tuttavia, da far ritenere che il target che prevedeva il dimezzamento del tasso di malnutrizione entro il 2015 potrà essere raggiunto. L’area più colpita è ancora quella dell’Africa sub sahariana, dove le conseguenze della crisi alimentare e finanziaria hanno prodotto il maggiore impatto. Nell’Asia orientale (esclusa la Cina), la misurazione dei progressi verso il superamento della privazione da cibo ha addirittura mostrato un’inversione di tendenza a partire dagli anni 2000. Particolarmente grave il dato che riguarda i bambini sottopeso al di sotto dei cinque anni che, nei paesi in via di sviluppo, sono quasi uno su cinque. E’ nell’Asia meridionale la situazione peggiore, dove – India esclusa - quasi un terzo dei bambini erano sottopeso nel 2010.

Il Rapporto riporta anche i dati riguardanti il numero dei rifugiati e degli sfollati, che rimane alto nonostante un incremento dei rimpatri nel 2011. Si calcola che nel 2011 vi siano stati 26,4 milioni di sfollati interni, 15,2 milioni di rifugiati e 900 mila richiedenti asilo, per un totale di 42,5 milioni di persone che, in tutto il mondo, nel 2011, vivevano in un luogo nel quale erano stati forzati ad andare a causa di conflitti armati o persecuzioni. Quattro su cinque rifugiati sono ospiti in paesi sviluppati.

 

L’Obiettivo 2

Le iscrizioni alle scuole primarie sono aumentate in tutto il mondo in via di sviluppo a partire dall’anno di riferimento 1999, ma ad un passo che, già non molto veloce, è andato ulteriormente rallentando a partire dal 2004.La regione che ha fatto registrare più progressi è quella dell’Africa sub-sahariana anche se, date le condizioni di partenza, continua a rimanere quella con il più alto numero di bambini fuori dalla scuola(33 milioni, pari al 24% della popolazione sub sahariana in età scolare di primo grado e pari ad oltre la metà dei 61 milioni di bambini che in tutto il mondo non avevano frequentato le classi di istruzione primaria nel 2010). Naturalmente i più soggetti all’esclusione sono i bambini poveri, ancor di più le bambine, allo stato di rifugiati o che vivono in zone afflitte da conflitti. Si è registrata, tra il 1999 e il 2010, una diminuzione del tasso di esclusione delle bambine dalla scuola primaria (dal 58 al 53 per cento) ma, se  tale miglioramento rispecchia la situazione generale, in alcune aree dell’Asia occidentale, e del Nord Africa, la percentuale è molto più alta (rispettivamente 55,6 e 79 %).

Ma il dato deve essere letto insieme a quello – anch’esso in miglioramento -  che riguarda il completamento del ciclo scolastico primario che, globalmente, è salito dall’81% nel 1999 al 90% nel 2010.

L’analfabetismo investe però ancora circa 122 milioni [7] di giovani fra i 15 e i 24 anni - 74 milioni donne, 48 milioni maschi – che abitano per lo più nell’Asia meridionale e nell’Africa Sub sahariana.

L’Obiettivo 3

L’Obiettivo di raggiungere la parità di genere in tutti i livelli di istruzione sta avanzando, anche se ancora persistono disparità in molte regioni. Riguardo l’educazione primaria, la parità è raggiunta nelle regioni del Caucaso e dell’Asia centrale, dell’America latina edell’Asia sudorientale; riguardo l’istruzione terziaria, invece, va notato come in ben cinque macroregioni vi sia una prevalenza femminile (Asia orientale, Nord Africa, Caucaso-Asia centrale, Asia sudorientale e America Latina).

Il gap tra uomini e donne sul piano dell’accesso a lavori retribuiti in campi diversi dall’agricoltura rimane in almeno la metà delle regioni, con le maggiori disparità in Asia occidentale, Asia meridionale e Nord Africa.

Le donne tendono ad essere impiegate nei lavori collocati ai osti più bassi della scala lavorativa e, a livello globale, le posizioni di senior manager sono ricoperti da donne solo per il 25 per cento.  La percentuale di donne che  svolgono lavori informali  al di fuori dell’agricoltura è ancora molto alta  in alcuni paesi come Mali, Zambia, India e Madagascar (oltre l’80%) e Perù, Paraguay, Uganda, Honduras, Bolivia, El Salvador e Liberia (75%).

La rappresentanza femminile nei parlamenti di tutto il mondo (monocamerali, o nelle camere basse) è in continuo, ancorché molto lento aumento. Persiste dunque una forte disparità fra il numero delle donne parlamentari e i loro colleghi uomini, talché il target della parità sarà ben lontano dall’essere raggiunto nel 2015. Alla fine di gennaio del 2012 le donne ricoprivano il 19,7% dei seggi parlamentari a livello globale: il 23 % dei seggi nei paesi sviluppati contro il 18% dei paesi in via di sviluppo. Le situazioni peggiori si registrano in Oceania, Asia occidentale e Africa settentrionale, mentre il livello più alto di presenza femminile si riscontra nei parlamenti dei paesi del nord Europa.

 

L’Obiettivo 4

La riduzione di due terzi della mortalità dei bambini al di sotto dei cinque anni sta continuando ad avanzare in tutti i paesi, ma ad un passo troppo lento, tale per cui il traguardo non sarà raggiunto nel termine prefissato della fine del 2015.

Nonostante gli innegabili progressi in tutti i pvs (il tasso di mortalità è sceso del 35% dal 1990 al 2010),  la mortalità infantile rimane considerevolmente alta nell’Africa sub Sahariana e nell’Asia Meridionale, regioni nelle quali si concentra l’82% dei decessi di bambini (6,2 milioni nel 2010). L’Obiettivo è invece stato raggiunto nell’Africa settentrionale, dove il tasso di mortalità è sceso del 67% nel ventennio 1990-2010, mentre l’Asia orientale sta per raggiungerlo, essendosi verificata una diminuzione pari al 63%. Prescindendo dalle differenze geografiche, tuttavia, i bambini che vivono in aree rurali o molto difficili da raggiungere, o che appartengono a famiglie poverissime, sono naturalmente molto più a rischio della media. Buona parte dei miglioramenti nel perseguimento dell’Obiettivo è dovuta alla diffusione della vaccinazione antimorbillo che, nei paesi in via di sviluppo, ha raggiunto l’84% dei bambini nel 2010 (contro il 70% nel 2000) determinando una riduzione dei decessi pari al 74% in dieci anni.

Il Rapporto informa anche che i progressi registrati non sono però riferibili alle morti nel periodo neonatale (il primo mese dopo la nascita) che, al contrario sono in aumento.Il livello di istruzione delle madri è un fattore che incide fortemente sulla mortalità infantile, che si presenta tanto più bassa quanto maggiore è il grado di cultura delle genitrici, come dimostrano i dati raccolti nel 2010 in 78 paesi in via di sviluppo.

 

L’Obiettivo 5

Rimane un evidentissimo gap tra i dati sulla salute materna riguardanti le regioni sviluppate e quelle in via di sviluppo, dove il tasso di mortalità è di 15 volte superiore.Malgrado gli interventi effettuati per prevenire i decessi in gravidanza o durante il parto, i progressi sono ancora troppo deboli in molte parti del mondo, prima fra tutte l’Africa sub sahariana, dove si registrano (dati del 2010) 500 donne decedute ogni 100.000 nati vivi. Il dato è ancor più drammatico se paragonato a quello dei paesi sviluppati, dove il rapporto è di 16 a 100.000.

Del resto, l’Africa sub sahariana è anche la regione nella quale si verifica un numero molto basso di parti assistiti da personale qualificato (45 %) e i dati, se confrontati con quelli del 1990 (42%), non sembrano mostrare tendenze incoraggianti.Molto diversa invece la situazione nel Nord Africa, dove si registra il cambiamento più rilevante (dal 51% nel 1990 all’84% del 2010).

L’Obiettivo 5, attraverso i suoi target, monitora altri e diversi aspetti correlati con la salute materna. Si viene così a conoscenza del fatto che è in aumento la percentuale di donne  (età tra 14 e 49) che riceve almeno una visita medica (o di altro personale qualificato) durante la gravidanza, ma che non abbastanza donne ricevono una sufficiente assistenza prenatale (il numero raccomandato è di almeno quattro visite in gravidanza); quest’ultimo dato è addirittura in calo nell’Africa sub sahariana dove si stima che, nel 2010, 46 donne su 100 siano state sottoposte ad un minimo di quattro visite in gravidanza, mentre nel 1990 il numero era di 50.

Vi è poi ancora il grave problema delle gravidanze adolescenziali (tra i 15 e i 19 anni): la gravidanza, infatti, se iniziata troppo precocemente, reca con sé maggiori rischi di complicazioni e perfino di morte. Sebbene si riscontrino dei miglioramenti, i progressi in questo campo vanno molto a rilento, soprattutto, ancora una volta, nell’Africa sub-sahariana, dove rimane elevatissimo il numero delle nascite da madri adolescenti(120 su mille nel 2009), oltre cinque volte in più della media nei paesi in via di sviluppo ed oltre il doppio della media dei pvs (nelle regioni sviluppate la proporzione è di 23 madri adolescenti ogni 1.000 nascite; nell’insieme dei paesi in via di sviluppo è di 52). In quasi tutte le regioni, inoltre, si registra, dopo un’iniziale sensibile diminuzione del numero delle madri adolescenti (avvenuta nel corso degli anni Novanta), un rallentamento di tale tendenza, quando non addirittura una sua inversione.

Il capitolo dei contraccettivi mostra un aumento del loro uso fra le donne - tra i 15 e i 49 anni - sposate o comunque accoppiate: oltre la metà di queste faceva ricorso nel 2010 ad una qualche forma di contraccezione, salvo che in due regioni, l’Africa sub-sahariana e l’Oceania. Nell’Asia orientale, dove l’uso dei contraccettivi è mediamente superiore a quello del mondo sviluppato, si è registrata negli ultimi dieci anni un’inversione di tendenza (da 86 donne accoppiate su cento nel 2000 a 84 nel 2010).

Il Rapporto rileva inoltre un lento declino del bisogno non soddisfatto di pianificazione famigliare da parte di donne che vorrebbero ritardare la gravidanza ma non fanno uso di contraccettivi; ancora una volta le percentuali indicano nell’Africa sub-sahariana (seguita dai Caraibi) la regione dove il fenomeno è più accentuato. Gli aiuti per la pianificazione famigliare, in proporzione al totale degli aiuti destinati alla salute sono diminuiti percentualmente nell’ultimo decennio. Una minima inversione di tendenza si è riscontrata però tra il 2009 e il 2010 dove i fondi per i servizi di pianificazione famigliare, rispetto a quelli destinati alla salute in generale, sono passati dal 2,5 al 3,2 per cento.

 

L’Obiettivo 6

Nell’Africa sub-sahariana, dove l‘epidemia di AIDS ha colpito il maggior numero di persone, si registra un trend incoraggiante, dato che dei 33 paesi nei quali il numero delle nuove infezioni è diminuito, 22 appartengono proprio a quella regione. I nuovi casi registrati nel 2010 a livello globale – 2,7 milioni di persone, fra cui 390 mila bambini – sono stati inferiori del 21 per cento rispetto ai nuovi casi del 1997 (l’anno in cui si è riscontrato il picco più alto) e inferiori del 15 per cento rispetto al 2001.

Alla fine del 2010, circa 34 milioni di persone vivevano con il virus dell’HIV, il 17% in più rispetto al 2001. Questo aumento, sostenuto anche dalle nuove infezioni, riflette soprattutto la significativa diffusione dell’accesso alla terapia antiretrovirale: sempre alla fine del 2010, 6,5 milioni di persone erano sottoposte a tale terapia nei paesi in via di sviluppo. Sebbene questo costituisca un incremento di circa 1,4 milioni di persone in confronto a quelle in trattamento alla fine dell’anno precedente, il target dell’accesso universale entro il 2010 è stato mancato ampiamente. L’accesso al trattamento è in aumento in tutte le macroregioni; fa eccezione l’Asia occidentale dove, tra il 2009 e il 2010, si è registrata addirittura una lieve flessione.Si calcola comunque che, a partire dal 1995, nei paesi a basso e medio reddito si siano evitate circa 2,5 milioni di morti proprio grazie all’introduzione della terapia antiretrovirale.

Le donne e i giovani sono i soggetti più vulnerabili e, soprattutto i secondi, sono i più inconsapevoli del fatto che l’uso del preservativo riduce il rischio di contagio. La maggiore ignoranza si registra tra le giovani donne (tra i 15 e i 24 anni) che vivono nell’Africa sub-sahariana.

Si deve anche registrare una diminuzione per quanto riguarda le morti per cause riconducibili all’AIDS, che nel 2010 sono state 1,8 milioni contro i 2,2 milioni negli anni a metà del 2000.

Considerevoli progressi sono stati fatti sul piano della lotta alla malaria grazie all’uso di reti impregnate di insetticida sotto le quali proteggere i bambini nel sonno e grazie anche al trattamento con i farmaci. Fra il 2000 e il 2010 si sono registrati il 50% dei casi in meno in 43 paesi (sui 99 nei quali la malaria è ancora presente). Si calcola che nel 2010 vi siano stati 216 milioni di casi di malaria, dei quali l’81 per cento circa (ossia 174 milioni di casi) si è verificato in Africa. Le morti – sempre nel 2010 – sono state pari a circa 655mila in tutto il mondo. I più colpiti sono i bambini al di sotto dei cinque anni di età anche se si deve notare che nell’Africa sub sahariana – la regione maggiormente affetta dal problema – la percentuale dei bambini che dorme sotto l’apposita rete è salita dal 2 per cento del 2000 al 39 per cento del 2010.

Accanto agli innegabili progressi (si sottolinea fra l’altro il caso dell’Armenia che nel 2011 è stata dichiarata paese libero da malaria), il Rapporto segnala anche la comparsa di sintomi di rallentamento della spinta al debellamento di questa malattia, in larga parte dovuto alla inadeguatezza dei finanziamenti internazionali che, per raggiungere un tale obiettivo, avrebbero dovuto raggiungere un totale di circa 5-6 miliardi di dollari nel 2011, contro  gli 1,9 effettivamente erogati.

In declino anche la diffusione della tubercolosi e il numero delle morti causate da questa malattia mentre  è in aumento il numero di pazienti trattati con successo fra quelli individuati attraverso il DOTS (Directly Observed Treatment Short Course) e il programma che lo ha in seguito sostituito (Stop TB Strategy) [8].

L’Obiettivo 7

L’Obiettivo 7 contiene numerosi target relativi alla sostenibilità ambientale.

La superficie coperta da foreste sta riducendosi con velocità allarmante in Sud America e Africa, mentre in Asia, e soprattutto in Cina, essa sta aumentando. Il guadagno netto di circa 2,2 milioni di ettari di foresta l’anno in Asia è da attribuirsi principalmente ai programmi di rimboschimento su vasta scala messi in atto in Cina, India e Vietnam. La rapida deforestazione a favore di altri tipi di sfruttamento del terreno è invece ancora in atto in altri paesi asiatici.

La diminuzione delle aree forestali impatta negativamente su una serie di benefici che la foresta fornisce, a livello economico e sociale, difficilmente misurabili in denaro, che hanno a che vedere con la vita di una grande parte della popolazione mondiale, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Il Rapporto riferisce tuttavia che la gestione e la conservazione delle foreste danno lavoro a circa dieci milioni di persone, oltre ad altri benefici diretti o indiretti.

Crescono le aree protette che oggi coprono circa il 12,7 per cento delle terre emerse, ma la protezione del mare si estende solo sull’1,6 per cento degli oceani (al 2010).

Il rallentamento delle attività produttive, dovuto alla crisi economica, ha determinato una leggerissima diminuzione delle emissioni di CO2 che, nel 2009, assommavano globalmente a 30,1 miliardi di tonnellate, mentre nel 2008 a 30,2  (ma erano 21,8 nel 1990). La diminuzione è totalmente a carico delle regioni sviluppate, dove però le emissioni rimangono altissime (10 tonnellate di CO2 pro capite nel 2009). Nei paesi in via di sviluppo, invece, le emissioni continuano ad aumentare, ma ad una velocità inferiore a quella degli anni precedenti al 2009.

Come già rilevato, è stato raggiunto il target che prevede il dimezzamento della popolazione che nel 1990 non aveva accesso all’acqua potabile. Se la tendenza attuale sarà mantenuta anche nei prossimi anni, nel 2015 il 92 per cento della popolazione mondiale potrà avervi accesso. In tutto il mondo rimane ancora alto il gap tra popolazione urbana e rurale – a sfavore di quest’ultima – in merito alla copertura con fonti di acqua potabile e, tra le più sfavorite, le genti che abitano le zone rurali dell’Africa sub sahariana.

Quando i rifornimenti idrici non sono facilmente disponibili, l’acqua deve essere prelevata alla fonte e trasportata. Uno studio condotto in 25 paesi dell’Africa sub sahariana, rappresentanti il 48% della popolazione della regione, nei quali solo un quarto degli abitanti aveva impianti idrici nell’edificio di abitazione, ha messo in luce che sono principalmente le donne, di tutte le età,  ad occuparsi dei rifornimenti. Lo studio ha stimato che, in questi 25 paesi, le donne occupano almeno 16 milioni di ore al giorno per compiere il tragitto di andata e ritorno per procurarsi l’acqua, mentre gli uomini e i bambini  4 milioni di ore.

Nonostante i progressi, non è invece ipotizzabile il raggiungimento del target che prevede il dimezzamento della popolazione che non ha a disposizione bagni provvisti di sciacquone o altre forme di servizi igienici avanzati  che, nel 2010, era pari a circa la metà degli abitanti delle regioni in via di sviluppo. Al ritmo di progresso attuale, nel 2015 solo il 67% della popolazione sarà fornita di tali servizi, una percentuale ben al di sotto del 75% necessario per raggiungere il target. Inoltre, la defecazione all’aperto, che costituisce un forte rischio per la salute pubblica, è ancora praticata diffusamente in molti paesi, tra i quali l’India dove si registra il primato peggiore (626 milioni di persone che utilizzano tale sistema).

Un ulteriore target, che prevede il raggiungimento di un significativo miglioramento delle condizioni di vita di circa cento milioni di abitanti delle baraccopoli entro il 2020 è stato raggiunto ben prima del termine fissato. Dal 2000 al 2012 la percentuale dei residenti in baraccopoli nei PVS è diminuita dal 39 al 33 per cento ma, in valori assoluti, il loro numero  continua ad aumentare a causa del continuo e rapido aumento dell’urbanizzazione. Si stima che gli abitanti delle baraccopoli – la cui maggiore presenza è nell’Africa sub sahariana - siano oggi 863 milioni, mentre erano 650 milioni nel 1990 e 760 milioni nel 2000. Oltre 200 milioni di essi hanno avuto accesso a servizi igienici adeguati o ad abitazioni più stabili e meno affollate.

 

L’Obiettivo 8

Riguardo questo Obiettivo (“Sviluppare un partenariato per lo sviluppo”), il Rapporto ci informa innanzitutto che gli aiuti allo sviluppo – nelle varie forme - hanno raggiunto nel 2010 l’ammontare di 133,5 miliardi di dollari, che equivale allo 0,31 per cento del reddito nazionale (cumulativo) dei paesi sviluppati. Nonostante questa cifra costituisca un aumento in termini assoluti, in termini reali essa si traduce in una diminuzione pari al 2,7 per cento degli aiuti provenienti dai paesi donatori dell’OCSE, per effetto della crisi finanziaria in atto. Escludendo le voci relative alla cancellazione totale o parziale del debito e gli aiuti umanitari, l’aiuto bilaterale per lo sviluppo è diminuito del 4,5 per cento.

L’analisi delle tendenze dell’aiuto pubblico allo sviluppo basata sui dati forniti dall’OCSE (che cita l’Italia tra i paesi che nel 2011 hanno fatto registrare un aumento dell’aiuto pubblico allo sviluppo in termini reali) rivela che gli aiuti continuano ad essere maggiormente diretti ai paesi più poveri, e per circa un terzo ai Paesi meno sviluppati (Least Developed Countries – LDCs).

Uno dei target di questo Obiettivo prevede l’ulteriore sviluppo di un sistema finanziario aperto, regolamentato, prevedibile e non discriminatorio. Sotto questo profilo, il Rapporto sottolinea che, nonostante le pressanti richieste di gruppi di interesse per un ritorno al protezionismo, avanzate dopo il 2008-2009, l’incidenza di tali azioni è rimasta molto circoscritta nelle economie sviluppate e non ci sono stati contraccolpi sui mercati dei paesi in via di sviluppo.

Per quanto riguarda in particolare i Paesi meno sviluppati (LDCs), questi continuano a godere di un trattamento preferenziale nei commerci con le nazioni più ricche poiché le esportazioni dai Paesi meno sviluppati beneficiano di un margine preferenziale dal quale sono invece esclusi gli altri paesi in via di sviluppo.

In particolare, la diminuzione dei dazi applicati sull’esportazione di prodotti dai paesi in via di sviluppo e paesi meno sviluppati nel 2010, è stata significativa solo nel caso dei prodotti agricoli, con il risultato di un aumento del margine preferenziale sulla tariffa della nazione più favorita, particolarmente evidente nel caso dei paesi meno sviluppati.

Le nuove tecnologie, specialmente nel campo dell’informazione e della comunicazione, sono sempre più a disposizione degli abitanti del pianeta. Alla fine del 2011 il numero degli abbonati alla telefonia mobile era salito a 6 miliardi, 1,2 miliardi dei quali rappresentati da cellulari a banda larga. Il livello di penetrazione della telefonia mobile ha così raggiunto l’87 per cento a livello mondiale, il 79 per cento nei paesi in via di sviluppo.

Più di un terzo della popolazione mondiale, inoltre, utilizza internet, sempre più attraverso collegamenti a banda larga e, tra questi, circa i due terzi sono cittadini delle regioni in via di sviluppo. Un digital divide separa comunque il mondo sviluppato da quello in via di sviluppo, sotto forma di quantità e qualità di collegamenti a banda larga.

 


La riduzione della povertà in Africa e la realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio

La realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio nel continente africano è monitorata annualmente dall’AUC (Commissione dell’Unione Africana), dall’UNECA (United Nations Economic Commission for Africa), dall’AfDB (African Development Bank) e dall’Ufficio Regionale per l’Africa dell’UNDP (United Nations Development Programme) e riportata nel Rapporto congiunto Assessing Progress in Africa toward the Millennium Development Goals.

L’edizione 2012 del Rapporto menzionato, a tre anni di distanza dalla scadenza fissata (2015), riferisce innanzitutto del dibattito per la costruzione di un percorso che vada oltre tale scadenza, partendo dalla specificità delle priorità africane che dovranno caratterizzare l’agenda post 2015, in base ai risultati fino a quel momento ottenuti. Il completamento del percorso fissato dagli otto Obiettivi non è comunque considerato il target finale, poiché è da tutti riconosciuto che soprattutto necessario il mantenimento successivo dei progressi realizzati perché la differenza sia tangibile per la gente comune.

Il Rapporto mostra che, prima dell’insorgere della crisi alimentare ed energetica e prima della recessione globale, i paesi africani stavano facendo grandi progressi per il conseguimento degli Obiettivi del Millennio. Sebbene non siano ancora disponibili tutti i dati sull’impatto delle tre crisi sul raggiungimento degli otto Obiettivi, è ormai acclarato che molti paesi africani sono stati duramente colpiti da esse. Tuttavia, grazie al supporto dei partner internazionali, tra i quali anche la Banca africana di Sviluppo e l’UNDP, sono state prese le misure per contrastare le conseguenze della contingenza sfavorevole.

Sebbene dunque il continente africano non potrà raggiungere tutti gli Obiettivi fissati entro il 2015, sono visibili i progressi effettuati nella maggior parte di essi. Non sarà però raggiunto l’Obiettivo  di sradicare la povertà estrema e la fame (Goal 1) che, nel continente africano (escluso il Nord Africa), è passata dal 56,5 per cento nel 1990 al 47,5 nel 2008. E’ la macroregione che, a livello mondiale, ha compiuto i più scarsi progressi, mancando ancora, per il conseguimento totale, il 41% dell’Obiettivo. Con i dati disponibili al momento, si può dire con certezza che solo Tunisia, Egitto[9] e Cameroon sono riusciti a dimezzare il tasso di povertà rispetto al 1990.

Sia il tasso di povertà che il numero di poveri sono diminuiti negli anni a partire dal 1990, ma la diminuzione avviene troppo lentamente a causa di una crescita troppo modesta, del rilevante aumento della popolazione, delle persistenti ineguaglianze geografiche e di genere.

Come il Rapporto sottolinea, la riduzione della povertà non è soltanto fine a se stessa, ma è la condizione grazie alla quale anche gli altri Obiettivi potranno essere raggiunti in tempi più brevi. Infatti, a titolo esemplificativo, il Rapporto afferma che l’aumento del potere di acquisto delle persone, e in special modo quello delle donne, si ripercuote spesso positivamente su altri aspetti della vita famigliare, come quelli dell’istruzione e delle scelte riguardanti la salute. E’ infatti evidente che le persone che vivono al di sopra della soglia di povertà (1,25 dollari al giorno) ed hanno lavori stabili, sono maggiormente in grado di offrire una buona educazione ai loro figli e possono più facilmente accedere ai servizi medici di base.

Il Rapporto informa però che gli impieghi vulnerabili contano per oltre il 70% e di questi, la maggior parte riguardano il lavoro femminile, e che esiste un fenomeno di nuova povertà che colpisce parte della classe media, cresciuta esponenzialmente negli ultimi tre decenni.

La povertà è ancora inegualmente distribuita tra città e aree rurali, con forte penalizzazione di queste ultime e in alcuni casi, come in Etiopia, la rapida riduzione della povertà nel paese ha però portato con sé un aumento della differenza delle condizioni tra aree urbane e aree rurali.

Come accennato, l’elevato aumento della popolazione è una delle cause del rallentamento della riduzione della povertà, perché diluisce i risultati della crescita economica, appesantisce le strutture sanitarie ed educative, esaspera l’enorme pressione sulla spesa pubblica che l’Africa deve mettere in bilancio per affrontare, ad esempio, alcuni problemi quali la diffusione dell’AIDS e altre epidemie. La povertà stessa, però, favorisce l’aumento della popolazione perché la povertà e le sue cause (la crisi agricola, la scarsa istruzione, la posizione subordinata delle donne) tendono a perpetuare una elevata fertilità, in un circolo vizioso difficile da spezzare. L’esperienza del Ruanda, che negli ultimi cinque anni è riuscita ad accelerare il passo verso la riduzione della povertà, insegna che questo obiettivo è ottenibile solo attraverso una crescita inclusiva orientata alla riduzione dell’ineguaglianza, all’estensione della protezione sociale e al miglioramento dell’accesso al credito.

Il caso del Ruanda rafforza la convinzione che è necessario rafforzare il legame tra crescita e riduzione della povertà. Una delle ragioni per cui una crescita economica considerevole può spesso non tradursi in un’altrettanto considerevole diminuzione della povertà è la relativamente scarsa reattività della riduzione della povertà alla crescita (misurata attraverso l’indice di “elasticità della povertà in rapporto alla crescita”, che rivela la riduzione della povertà associata ad un aumento unitario della crescita. Più è alta l’elasticità ella povertà in rapporto alla crescita, più gli effetti della crescita sulla riduzione della povertà sono evidenti). La crescita media dell’elasticità della povertà, in valori assoluti, in rapporto alla crescita, in Africa è inferiore - talvolta in larga misura - a quella delle altre regioni.

Anche l’accesso limitato delle zone rurali alle infrastrutture moderne come strade, elettricità e telecomunicazioni, ha inoltre ridotto il potenziale contributo alla crescita.

Nonostante la riduzione del tasso di povertà, nell’Africa Subsahariana rimane molto alta la malnutrizione tra i bambini al di sotto dei cinque anni, che sono proporzionalmente diminuiti in misura molto ridotta. Il continuo aumento dei prezzi dei generi alimentari è stata una delle cause che hanno ostacolato un progresso in questo ambito e, ancora una volta, i più colpiti sono i bambini che vivono nelle aree rurali con la consueta ulteriore penalizzazione che interessa le bambine. 

Sarà raggiunto invece l’Obiettivo riguardante l’istruzione primaria universale (Goal 2): in alcuni paesi africani il tasso di iscrizione alla scuola primaria è superiore al 90 per cento[10] anche se la qualità dell’istruzione non è ancora soddisfacente e i dati sul completamento del ciclo primario sono sconfortanti, in particolar modo per quanto riguarda il numero di bambine che abbandona prematuramente la scuola. Il Rapporto elenca una serie di cause che contribuiscono alla scelta di abbandonare la scuola e che concorrono a produrre un’istruzione di scarsa qualità. Fra queste: l’assenteismo degli insegnati, l’iscrizione in un’età troppo avanzata rispetto al ciclo di insegnamento, la malnutrizione e i problemi di salute dei bambini,  l’eccessiva distanza dalla scuola, le ristrettezze finanziarie.

Notevoli progressi sono stati registrati, sempre per quanto riguarda l’istruzione, anche nel campo della parità di genere, che costituisce una parte importante del Goal 3 (Promuovere l’uguaglianza di genere e l’autonomia delle donne) del quale si prevede il raggiungimento entro il 2015. Il Rapporto ragazze/ragazzi nel ciclo scolastico primario è in generale in via di miglioramento anche se le iscrizioni dei ragazzi sono ancora superiori a quelle delle ragazze. Secondo i dati UNESCO riferiti al 2012, su 50 paesi africani di cui sono noti i dati, 32 hanno un indice di parità di genere nell’insegnamento primario inferiore a 1 (meno iscrizioni femminili rispetto a quelle maschili), 16 paesi hanno un indice uguale a 1 e solo 2 paesi (Gabon e Zimbabwe) hanno un indice superiore ad 1 (con una maggioranza di iscrizioni di bambine rispetto ai bambini). I progressi nel raggiungimento della parità di iscrizione nella scuola secondaria e terziaria sono invece più lenti.

Molto consistenti i progressi per quanto riguarda l’impiego delle donne nella politica: il Rapporto informa che per quanto riguarda la proporzione dei seggi assegnati alle donne nei parlamenti nazionali, sette paesi africani[11] hanno già raggiunto il target del 30 per cento, mentre gli altri paesi stanno avanzando rapidamente verso questo obiettivo. I progressi più consistenti si sono registrati nell’Africa del Nord.

Gli obiettivi riguardanti la riduzione della mortalità infantile (Goal 4) e il miglioramento della salute materna (Goal 5), strettamente collegati, non saranno raggiunti. Tutti gli indicatori infatti mostrano che i progressi, pur in atto, non sono sufficientemente rapidi per garantire i cambiamenti auspicati.

Non sarà raggiunto il Goal 6 sulla lotta all’AIDS, malaria e altre malattie infettive, ma i progressi sono continui ed evidenti. La caduta nel tasso di diffusione, soprattutto fra le donne, è rilevante, così come la diminuzione del tasso di incidenza (cioè le nuove infezioni) e la riduzione del numero delle morti per cause collegate all’AIDS e la trasmissione del virus HIV da madre a figlio. Tali progressi sono da attribuire ai cambiamenti comportamentali avvenuti negli ultimi anni ed all’accesso sempre più diffuso alle terapie antiretrovirali in tutti i paesi africani. L’accesso a tali terapie è pero attualmente minacciato – e in tal senso potrà creare problemi ai paesi maggiormente interessati dalla malattia – a causa dei problemi riguardanti il reperimento dei fondi per finanziare il Fondo Globale per la lotta contro AIDS, TBC e malaria, per il quale è stato annunciato l’annullamento dell’11 round  di rifinanziamento.

Il Goal 7, che prevede la realizzazione di un ambiente sostenibile, influisce nettamente sull’andamento di tutti gli altri Obiettivi dato che la conservazione dell’ambiente e una sua sana gestione costituiscono uno degli elementi fondamentali per la riduzione della povertà. La diminuzione della superficie coperta da foreste costituisce un serio problema per il continente africano che, più di altre regioni, si trova ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici in corso. Le emissioni di biossido di carbonio si sono stabilizzate nella maggior parte dei paesi africani, che hanno anche abbassato i consumi di sostanze nocive per l’ozono. 27 paesi, inoltre, hanno fatto registrare aumenti  di aree protette, sia terrestri che marine, con un conseguente effetto di maggiore protezione della biodiversità[12].

Il target che prevede il dimezzamento del numero di persone che non hanno accesso all’acqua potabile e a servizi igienici di base è stato raggiunto in tutto il mondo tranne che in Africa. La percentuale di popolazione africana che ha avuto accesso a questi servizi è passata dal 56 per cento nel 1990 al 66 per cento nel 2010, un dato ancora troppo lontano dal 78 per cento fissato per il raggiungimento del target.

Quanto al Goal 8 (Sviluppare una partnership globale per lo sviluppo) si segnala solo che, riguardo al target relativo agli aiuti per le necessità dei paesi meno sviluppati, l’aiuto pubblico allo sviluppo proveniente dai donatori dell’OCSE (paesi DAC) ha raggiunto il picco più alto nel 2010 con finanziamenti pari a 129 miliardi di dollari, equivalenti allo 0,32 per cento del PIL degli stessi paesi (una percentuale di PIL superiore dello 0,01 per cento rispetto all’anno precedente).  Tale impegno resta tuttavia ancora lontano dall’obiettivo dello 0,7% fissato dalle Nazioni Unite, raggiunto solo da cinque paesi, tutti europei: Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia.

Il finanziamento dello sviluppo rimane ancora un punto importante e irrisolto nell’agenda internazionale e il Rapporto sottolinea con forza la necessità che l’Africa si affranchi da una dipendenza troppo forte dagli aiuti dell’OCSE -  i cui paesi sono nella contingenza afflitti dalla crisi economica globale - e che diversifichi pertanto le proprie fonti di finanziamento. In tale direzione, l’African Steering Group per gli Obiettivi del Millennio, supportata dai maggiori leader africani, ha individuato nel miglioramento del sistema fiscale e della gestione delle tasse un importante traguardo per una parziale soluzione del problema.

Inoltre, la promozione dei prodotti africani sul mercato globale potrà costituire un valido supporto, così come è dimostrato dalla continua crescita dell’iniziativa AfT (Aid for Trade)[13] che sconta al momento il limite di essere circoscritta a troppo pochi paesi.

 


L’attività dell’ONU per la promozione dello Stato di diritto

La promozione dello Stato di diritto è parte fondamentale della missione dell’ONU che pone la supremazia della legge come condizione necessaria per il raggiungimento di una pace durevole a seguito dei conflitti, per la reale protezione dei diritti umani e per uno stabile sviluppo economico.

Le attività delle Nazioni Unite a favore dello Stato di diritto consistono nel fornire sostegno allo sviluppo, alla promozione ed alla implementazione della legislazione e degli standard nazionali in molti aspetti del diritto internazionale.

Oltre 40 organi ed agenzie delle Nazioni Unite sono impegnati in attività riguardanti la promozione dello Stato di diritto e conducono operazioni e programmi in più di 150 paesi, la maggior parte dei quali in Africa. La responsabilità del coordinamento di tali attività è affidata al Rule of Law Coordination and Resource Group, presieduto dal Vice segretario generale (attualmente Jan Eliasson) e supportato dall’Unità per lo stato di diritto. Le attività hanno luogo in molti contesti, inclusi quelli dello sviluppo e del peacebuilding.

In preparazione del meeting ad alto livello sullo Stato di diritto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che avrà luogo a New York il 24 settembre prossimi nel corso della LXVII sessione dell’Assemblea stessa, il Segretario generale dell’Onu ha presentato un Programma di azione[14] affinché l’Organizzazione stessa e gli Stati membri si facciano carico di alcuni impegni nel quadro di un’agenda comune che possa meglio orientare l’azione collettiva. Il Programma d’azione dovrà essere adottato dall’Assemblea generale che, secondo il Rapporto del SG che contiene il Piano d’azione, dovrà anche concordare un percorso per sviluppare obiettivi chiari e adottare altri meccanismi per migliorare il dialogo sullo stato di diritto. Nel suo Rapporto, il Segretario generale incoraggia altresì gli Stati membri ad assumere impegni individuali nell’ambito di tale tematica.

Tra i tanti organismi delle Nazioni Unite impegnati nella promozione dello stato di diritto c’è l’UNDP (United Nations Development Programme) che si occupa in particolare delle situazioni nei paesi che versano in particolari condizioni di crisi e negli stati fragili.

L’impegno dell’UNDP in tema di stato di diritto, giustizia e sicurezza nei contesti critici è delineato nel Programma Globale Strengthening the Rule of Law in Conflict and Post-Conflict Situations che stabilisce strettissimi legami tra la protezione e lo stato di diritto, nonché tra l’azione umanitaria e i principi dello sviluppo.

La politica dell’UNDP sullo stato di diritto si focalizza su quattro punti principali:

a)            la gestione della fase post-conflittuale, che include la promozione di iniziative e meccanismi di giustizia transitori;

b)            il miglioramento della Sicurezza Umana, attraverso la collaborazione con le istituzioni di governo e le comunità colpite da mancanza di sicurezza e di giustizia;

c)            la promozione dell’accesso universale alla giustizia, controllando che la legge sia non discriminatoria, accessibile a tutti, e che sia conforme agli standard internazionali e regionali;

d)            la promozione della sicurezza e dell’accesso alla giustizia per le donne in particolare.

Il Programma Globale, che nella prima fase ha coperto il periodo gennaio 2008-dicembre 2011, impegnando 59,920 milioni di dollari, ha fornito sostegno a circa 37 paesi – colpiti da conflitti, o paesi fragili o paesi in via di transizione[15] -, come informa l’ultimo Rapporto annuale (2011)[16].

Nella seconda fase, che ha avuto inizio con l’anno in corso, il Programma si prefigge di rispondere con maggiore flessibilità cambiamenti che con grande rapidità si affacciano in alcuni contesti regionali. La seconda fase terminerà alla fine del 2015 e impegnerà 90 milioni di dollari per interventi in sei ambiti specifici: 1) accesso alla sicurezza e alla giustizia durante un conflitto in corso; 2) sicurezza delle donne e accesso alla giustizia; 3) sviluppo delle capacità delle istituzioni della giustizia e della sicurezza; 4) giustizia nella transizione; 5) riduzione della violenza armata e sicurezza dei cittadini e delle comunità e 6) lo stato di diritto per la ripresa economica.

Il Rapporto 2011 illustra interventi effettuati in alcuni paesi, mettendone in luce i risultati ottenuti. Nel Salvador, ad esempio, il sostegno ai programmi di sicurezza ha prodotto una sensibile riduzione degli omicidi, dei furti e delle aggressioni in alcune delle municipalità più violente; la riduzione degli omicidi ha raggiunto ben il 40 per cento in una di esse. In Sierra Leone nel 2011, grazie al supporto dell’UNDP, i tribunali del paese hanno affrontato il 73% dei 700 casi riguardanti reati sessuali, portandone a conclusione il 27%.

In Nepal e in Sri Lanka l’UNDP ha fornito aiuti per consentire che persone colpite da conflitti potessero usufruire di un’assistenza legale. Nel Sud Sudan l’intervento è stato teso ad estendere i servizi di polizia in alcune aree remote di questo Stato di recente formazione, anche con la creazione di 50 nuovi posti di polizia. In Afghanistan è stato possibile istituire – e remunerare - una forza di polizia nazionale che conta 137 mila uomini e cominciare a dar vita a nuclei di polizia locale.

In Somalia, l’UNDP ha facilitato il reclutamento di oltre 14 mila poliziotti e la creazione di tribunali mobili, di centri di assistenza legale e per i reati sessuali, con il risultato di rendere più accessibili le strutture della Giustizia. Nella Repubblica Democratica del Congo, dove la violenza sessuale o basata sul genere è molto diffusa, il supporto al sistema giudiziario ha contribuito alla condanna di 193 membri dell’esercito e della polizia congolese per reati in quell’ambito, in precedenza generalmente impuniti.

Nei Territori palestinesi l’UNDP ha agevolato l’accesso all’assistenza legale per oltre 17 mila persone sia nella Striscia di Gaza che in Cisgiordania. In Guinea (Conakry) il supporto dell’UNDP è stato decisivo per il ritiro del 15 per cento circa dell’esercito e per lo sviluppo di un piano globale di riforma dell’intero settore della sicurezza, due elementi fondamentali per la stabilità a lungo termine del paese.

Fondamentale è stato poi l’apporto dell’UNDP e di altri organismi dell’ONU (ad es. il Dipartimento delle Operazioni di Peacekeeping ed il Dipartimento degli Affari Politici) e di altri attori internazionali nel sostegno ai Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa interessati dalla cosiddetta Primavera Araba. In Tunisia, ad esempio, immediatamente dopo la caduta del regime di Ben Ali, l’UNDP ha inviato esperti nel campo della transizione democratica utilizzando la sua struttura di risposta rapida, per contattare e collaborare con la nuova controparte tunisina.

L’UNDP ha fornito in Tunisia assistenza in molti settori, fra cui l’organizzazione delle elezioni dell’assemblea costituente, il processo di stesura della nuova costituzione e nell’elaborazione delle riforme riguardanti la sicurezza e il rispetto dei diritti umani.

Più di recente, nello Yemen, che sta attraversando un difficile periodo di transizione e una grave crisi umanitaria dopo la cacciata del presidente Ali Abdullah Saleh, nel quadro dello sviluppo di un programma complessivo per la promozione dello stato di diritto, lo scorso agosto l’UNDP ha siglato con il governo in carica un Progetto di sostegno alla giustizia di transizione (2012-2014) che prevede la progettazione e l’implementazione dei relativi processi e meccanismi, con particolare riguardo al ruolo della società civile. Il costo del progetto è stimato in oltre 4 milioni di dollari: un milione sarà fornito da UNDP, 50 mila dollari dall’OHCHR (Office of High Commissioner on Human Rights) mente i restanti fondi saranno raccolti tra donatori privati.

Si segnala infine che dal 27 maggio al 1° giugno 2012 il Rule of Law Coordination and Resource Group delle Nazioni Unite e lo Staff College delle Nazioni Unite che ha sede a Torino, hanno organizzato presso quest’ultimo, con la collaborazione del Governo finlandese, il secondo corso unificato sullo stato di diritto. Il corso, frequentato da 28 esperti che operano nel settore per conto di varie entità dell’ONU, aveva lo scopo di rafforzare il coordinamento e l’efficacia del lavoro delle Nazioni Unite in materia di stato di diritto attraverso la promozione di un approccio e di potenziali soluzioni comuni tra lo staff, i quartieri generali e il teatro delle operazioni.

 

 


Atti ed iniziative del Parlamento italiano per la diffusione
della tolleranza religiosa

L'attenzione del Parlamento per il tema della diffusione della tolleranza religiosa nel mondo si è concretizzata, tra il resto, nell'approvazione, presso la Camera dei deputati, a larghissima maggioranza (12 gennaio 2011) di una risoluzione concernente iniziative volte a far cessare le persecuzioni nei confronti dei cristiani nel mondo.

La risoluzione[17]richiama preliminarmente il messaggio del pontefice Benedetto XVI del 1° gennaio 2011, "Libertà religiosa via per la pace", che denuncia la grave mancanza di libertà religiosa che affligge numerosi esseri umani tra i quali cristiani in molti paesi; il messaggio, inoltre, evidenzia che il termine «cristianofobia» è il più adatto a descrivere più compiutamente questo fenomeno di portata universale e come tale è stato adottato dall'ONU sin dal 2003 e dal Parlamento europeo nel 2007.

La risoluzione impegna il Governo a far valere con ogni forma di legittima pressione diplomatica ed economica il diritto alla libertà religiosa, in particolare dei cristiani e di altre minoranze perseguitate, laddove risulti minacciata o compressa per legge o per prassi sia direttamente dalle autorità di governo sia attraverso un tacito assenso e l'impunità dei violenti; a far valere nelle relazioni diplomatiche ed economiche, bilaterali o multilaterali, la necessità di un effettivo impegno degli Stati per tolleranza e libertà religiosa, fino al diritto sancito alla «libertà di cambiare religione o credo»; a tener conto del rispetto dei diritti umani nei paesi con cui ci sono scambi economici, in coerenza e in applicazione degli articoli 8 e 19 della nostra Costituzione; a richiedere in ambito internazionale di concerto con i partner dell'Unione europea la rimozione delle limitazioni dei diritti umani, ed in particolare della libertà religiosa, in quei paesi dove vige la sharia; a proseguire nell'impegno perché la risoluzione sulla libertà religiosa sia effettivamente implementata negli Stati dell'ONU e ad istituire un «Osservatorio sulla condizione dei cristiani nel mondo» per monitorare e valutare l'applicazione di tali impegni.

Presso il Senato, nella seduta pomeridiana dello stesso 12 gennaio 2011, è stato approvato un ordine del giorno d’iniziativa dei senn. Gasparri, Zanda, Leoni, D’Alia, Rutelli, Belisario, Valditara, Quagliariello, Tonini, Bianchi, Garavaglia Mariapia, Ceruti, De Luca che impegna il Governo, tra l’altro, a promuovere in Italia, nelle scuole e in ogni ambito culturale, la sensibilità alle tematiche della liberta` religiosa e della "cristianofobia"; a tener conto del rispetto dei diritti umani nei Paesi con cui ci sono scambi economici, in coerenza e in applicazione degli articoli 8 e 19 della nostra Costituzione; ad adoperarsi affinché analogo principio sia fatto valere a livello di Unione europea e di qualsiasi altro organismo internazionale per l’assegnazione di aiuti agli Stati; a richiedere in ambito internazionale di concerto con i partner dell’Unione europea la rimozione delle limitazioni dei diritti umani, ed in particolare della libertà religiosa, in quei Paesi dove vige la Sharia, rafforzando il dialogo già esistente tra Unione europea e Stati islamici.

L’atto d’indirizzo impegna altresì l’Esecutivo a continuare nell’impegno perchè la risoluzione sulla libertà religiosa sia effettivamente implementata negli Stati dell’ONU promuovendo il rafforzamento degli organismi dedicati; a promuovere nelle competenti sedi internazionali, di concerto con i partner dell’Unione europea, iniziative atte a rafforzare il rispetto del principio di libertà religiosa, la tutela delle minoranze religiose e il monitoraggio delle violazioni, dando concreta attuazione agli strumenti internazionali esistenti, quali la "dichiarazione delle Nazioni Unite per l’eliminazione di ogni forma di intolleranza e discriminazione basate sulla religione o sul credo" del 1981 e, da ultimo, la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite contro l’intolleranza religiosa; ad istituire un "Osservatorio sulla condizione dei cristiani nel mondo".

Va evidenziato che il tema delle persecuzione delle minoranze cristiane è all'attenzione del Parlamento sin dalle prime fasi della legislatura, come testimoniato dalle numerose iniziative assunte in tal senso, sia presso l’Assemblea della Camera, sia in Commissione Affari esteri.

Nella seduta del 23 ottobre 2008 l’Assemblea della Camera ha svolto l'interpellanza urgente (2-00151) dell'on. Di Virgilio ed altri in tema di iniziative in relazione ai ripetuti episodi di violenza e persecuzione nei confronti dei cristiani nel mondo.

Il 10 novembre 2008 è stata adottata una mozione[18] riguardante le sistematiche persecuzioni anticristiane nello Stato indiano dell’Orissa, il cui dispositivo impegna il Governo  a  “porre in essere azioni adeguate volte a contrastare la persecuzione delle comunità cristiane e di qualsiasi altra rappresentanza religiosa in India, in Iraq e in ogni altro Paese nel quale si verifichino atti di intolleranza”; nella medesima seduta sono stati approvati altri atti[19] che impegnano il Governo ad intraprendere, in sede sia bilaterale sia multilaterale, iniziative volte alla protezione delle comunità cristiane del distretto indiano di Kandhamal, fatte oggetto di gravi e ingiustificate violenze.

Il 20 novembre 2008 l'Assemblea ha discusso un'interpellanza urgente[20] incentrata sulle violenze subite da cristiani in Iraq.

In Assemblea è stata svolta altresì un’interrogazione a risposta immediata[21] riguardante l’adozione di concreti provvedimenti volti a contrastare adeguatamente le persecuzioni religiose nei confronti delle minoranze  cristiane nel mondo, nonché un’interrogazione a risposta immediata[22] incentrata sulle violenze nei confronti di comunità cristiane di Iraq, Pakistan, India, Nigeria, Vietnam, Filippine, Malaysia ed Egitto. Dal dibattito è emerso l’auspicio di un ulteriore rafforzamento dell’azione già condotta dal governo italiano presso i partner internazionali, in ambito europeo come in ambito Onu.

Le ripetute violenze subìte dalla comunità cristiana della città di Mossul, in Iraq, sono state al centro di un’interpellanza[23] discussa dall’Assemblea della Camera il 4 maggio 2010.

Nella seduta del 27 gennaio 2011 l'Assemblea ha svolto un'interpellanza urgente[24] in merito ai casi di Sakineh Mohammadi Ashtiani e Asia Bibi e nei confronti del Governo del Pakistan in relazione alla legge sulla blasfemia.

Nella seduta del 20 ottobre 2011 l'Assemblea ha svolto interpellanze urgenti[25] incentrate sulle iniziative a tutela della libertà religiosa anche con riferimento alla situazione delle minoranze copte nell'ambito della transizione politico-istituzionale in Egitto; sul medesimo tema è intervenuta, più di recente, un’ulteriore interpellanza urgente[26] discussa dall’Assemblea nella seduta del 16 febbraio 2012.

Occorre inoltre segnalare che la Commissione Affari costituzionale ha approvato all’unanimità in sede deliberante, il 12 settembre scorso, due progetto di legge sulle Intese con le Unioni induista e buddista.

Quanto alle attività della Commissione Affari esteri della Camera sul tema, si rammenta la discussione di atti di iniziativa parlamentare riferentesi a questioni problematiche in tema di tutela delle minoranze cristiane e della Chiesa cattolica in Turchia[27] e alla tutela della comunità cristiana residente nella provincia del Nord Kivu della Repubblica democratica del Congo[28].

 

 Soprusi e violenze ai danni delle minoranze cristiane del Pakistan, non sempre raggiunte dagli interventi umanitari e di soccorso successivi all’alluvione che all’inizio di agosto 2010 ha colpito il paese sono stati considerati in un’interrogazione discussa il 25 novembre 2010[29]; il rapimento di una studentessa pakistana di religione cristiana è stato al centro di un’interrogazione svolta il 22 giugno 2011[30] e, da ultimo, sulla condizione dei cristiani in Pakistan è intervenuta un’ulteriore interrogazione[31]svolta nella seduta del 7 febbraio 2012.

A firma dell’on. Farina anche due interrogazioni (5-05745 e 5-05876) discusse in Commissione il 21 febbraio 2012 ed incentrate sulla libertà religiosa in Vietnam, l’interrogazione (5-06121 discussa il 4 aprile 2012) sulla libertà religiosa in Cina e, da ultimo, le interrogazioni 5-05512 e 5-05749 discusse dalla Commissione nella seduta del 17 aprile 2012, sulla libertà religiosa nella Repubblica delle Maldive.

Profili problematici connessi al tema delle persecuzioni delle minoranze cristiane sono emersi, altresì, nel corso di diverse audizioni svolte nell'ambito della indagine conoscitiva sulla tutela dei diritti umani in corso presso la Commissione Affari esteri.

Occorre altresì segnalare che il 15 settembre scorso la Camera ha celebrato la "Giornata Mondiale della Democrazia" delle Nazioni Unite, focalizzata sul tema della promozione dei valori della tolleranza e della pace al servizio delle istituzioni democratiche. L’evento ha concluso la V Conferenza mondiale sull’E-Parliament, svoltasi nei giorni precedenti presso la Camera, per iniziativa delle Nazioni Unite, dell’Unione interparlamentare, del Parlamento europeo e del Parlamento italiano. La “Giornata” si è articolata su due grandi temi che sono oggi al centro della lotta per l'affermazione dei valori universali della democrazia: il primo tema è quello della lotta contro quelle forme - endemiche o addirittura esplosive - di persecuzione, segnatamente su base religiosa, che vedono in questa fase storica una pericolosa recrudescenza; il secondo è quello della ricostruzione democratica dopo situazioni di conflitto armato.

La sessione è stata presieduta da Maurizio Lupi, Vicepresidente della Camera dei deputati, e da Thomas Stelzer, Assistant Secretary - General delle Nazioni Unite. Sono altresì intervenuti il Ministro degli Affari esteri, Giulio Terzi di Sant'Agata, il Presidente dell'Unione Interparlamentare, Abdelwahad Radi, il Vicepresidente dell'Assemblea Nazionale della Nigeria, Emeka Nikem Ihedioha, del Vicepresidente del Senato, Vannino Chiti.

Si segnala, da ultimo, che il 27 settembre prossimo, a New York, a latere della LXVII Sessione dell’Assemblea generale dell’ONU, il Ministero degli Affari esteri promuoverà un Side Event dedicato al tema “La Società Civile e l’Educazione ai diritti umani come strumento di diffusione della tolleranza religiosa”: l’evento, mira a promuovere la tolleranza religiosa, la difesa del diritto alla libertà di religione o credo (FORB) e la protezione delle minoranze religiose.

Principale obiettivo dell’iniziativa è fornire supporto ai programmi delle ONG incentrati sull’educazione alla tolleranza religiosa e alla promozione della libertà di religione o credo, che saranno i principali destinatari dell’iniziativa organizzata a New York. 

 


Le iniziative internazionali per la lotta
alle mutilazioni genitali femminili
(a cura del Servizio Studi del Senato)

Le mutilazioni genitali femminili (Mgf) sono un fenomeno vasto e complesso, che include pratiche tradizionali che vanno dall'incisione alla asportazione, in parte o in tutto, dei genitali femminili esterni. Bambine, ragazze e donne che le subiscono devono affrontare  rischi gravi e irreversibili per la loro salute, oltre a pesanti conseguenze psicologiche.

Si stima che il numero di donne che convivono con una mutilazione genitale siano tra i 100 e i 140 milioni, di cui 92 milioni soltanto in Africa. Dati gli attuali trend demografici, si calcola che ogni anno circa tre milioni di bambine si aggiungano a queste statistiche. Gran parte delle ragazze e delle donne che subiscono queste pratiche si trovano in 28 Paesi africani, sebbene una parte di esse viva in Asia. Sono in aumento anche casi simili in Europa, Australia, Canada e negli Stati Uniti, soprattutto fra gli immigrati provenienti dall'Africa e dall'Asia sud-occidentale.

Nella definizione di "mutilazioni genitali femminili" rientrano, secondo la classificazioni del WHO, quattro tipi di pratiche di asportazione o alterazione di una parte dell'apparato genitale esterno della donna, da forme più superficiali (escissione del prepuzio della clitoride) a interventi molto invasivi come l'infibulazione. Secondo il WHO, il tipo più comune è l'escissione della clitoride e delle labbra, che rappresenta più dell'80% di tutti i casi; la forma più estrema, l'infibulazione, consiste nel 15% di tutte le pratiche.

Il fenomeno si caratterizza per le sue finalità non terapeutiche e dunque per la valenza fortemente culturale che affonda le radici in un tessuto di credenze secolari, così da fare del rispetto per il costume e la tradizione il principale movente per la perpetuazione delle pratiche sia nei contesti di origine sia, nonostante i numerosi ostacoli frapposti dalla legislazione, nei contesti migratori.

Alla base si riscontrano motivazioni di varia origine: esigenza di controllo della sessualità femminile percepita come esuberante e sregolata, ma anche, presso alcune culture, incremento della fertilità o, al contrario, misura di tipo contraccettivo; credenza nella conformità con la religione islamica; "rito di passaggio" nelle cerimonie che scandiscono il ciclo della vita della donna e segno di appartenenza alla comunità (in assenza del quale la donna rischia di condannarsi all'emarginazione e alla ripulsa); garanzia dell'inviolabilità e salvaguardia della castità delle figlie destinate al matrimonio, nel complesso sistema di strategie matrimoniali fondato sul "prezzo della sposa"; infine, motivazioni estetiche e igieniche.

Le mutilazioni genitali femminili, in misura differente e in una varietà di pratiche legata alla molteplicità delle etnie e delle culture, sono diffuse in un gran numero di paesi dell'Africa subsahariana, dalle coste del Senegal e della Mauritania fino al Corno d'Africa, e interessano anche la penisola arabica.

In Italia nel corso di una  Conferenza sulle donne  tenuta alla Farnesina, il 9 e 10 settembre 2009  è stato lanciato  il tema della lotta alle Mgf, con l'impegno  ”per una vera e propria strategia di prevenzione del fenomeno, anche attraverso una specifica azione internazionale della Cooperazione insieme all'Unfpa (United Nations Population Fund) e all'Assemblea generale delle Nazioni Unite”. Il governo italiano, all'epoca presidente di turno del G8, ha anche promosso a New York, a margine della 64esima Assemblea generale Onu, un primo incontro specifico con partners e agenzie delle Nazioni Unite per definire una strategia comune sulle Mutilazioni genitali femminili.

Nel nostro Paese è stata emanata in materia la legge 9 gennaio 2006, n. 7, recante “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazioni genitali femminile”, che prevede il divieto di praticare le mutilazioni genitali femminili considerandole un grave reato, punito severamente. In base all'art. 4 della stessa legge il Ministero della Salute ha emanato le "Linee guida",  destinate alle figure professionali sanitarie nonché ad altre figure professionali che operano con le comunità di immigrati provenienti da Paesi dove sono effettuate le pratiche di mutilazione genitale femminile per realizzare una attività di prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle bambine già sottoposte a tali pratiche.

Le Linee guida sono uno strumento per le Regioni per attivare sul territorio tutte le iniziative volte alla formazione del personale sanitario per la prevenzione della diffusione delle MGF, ed un invito al Sistema sanitario ad adeguare le proprie conoscenze e le proprie modalità di cura, per rispondere in modo adeguato ed efficace alla domanda di salute proveniente da una specifica fascia di popolazione femminile immigrata.

Più di recente nel corso della discussione alla Camera sul D.L. n.228 del 2010, "Proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle forze armate e di polizia"[32] è stato inserito un emendamento al fine di autorizzare una spesa di 500.000 euro per il sostegno alla realizzazione di iniziative dirette ad eliminare le mutilazioni genitali femminili.

La lotta contro le Mgf come affermazione di un preciso diritto umano si sviluppa su tre direttrici:

- l'aspetto sanitario, inteso come prevenzione della pratica, come cura delle donne colpite e come intervento sulla salute materno-infantile;

- l'aspetto legislativo, inteso come promozione di una adeguata legislazione contra la pratica, sia nei Paesi dov'è tradizionalmente diffusa che nei Paesi di immigrazione;

- l'aspetto educativo, inteso come crescita della consapevolezza dei propri diritti e dell'empowerment femminile al riguardo.

Nel sistema delle Nazioni unite si osservano vari organismi competenti, con molteplici strumenti utilizzati per sviluppare il tema della difesa dei diritti delle donne contro tali pratiche. 

Nel 1997 l'Organizzazione mondiale della sanità (WHO), il Fondo delle nazioni unite per l'infanzia (UNICEF)  e il Fondo delle nazioni unite per la popolazione (UNFPA) hanno emesso una dichiarazione congiunta contro le pratiche di Mgf. Più recentemente, nel 2008, varie Agenzie delle Nazioni unite riunite sotto l'iniziativa del WHO hanno pubblicato un documento congiunto dal titolo "Eliminating female genital mutilation" (consultabile all'indirizzo internet

http://www.un.org/womenwatch/daw/csw/csw52/statements_missions/Interagency_Statement_on_Eliminating_FGM.pdf).

Il documento raccoglie osservazioni e studi condotti dalle varie agenzie coinvolte lungo un decennio; sottolinea l'accresciuta consapevolezza che il problema delle mutilazioni genitali femminili non comporta solo aspetti sanitari,  ma implica la violazione dei basilari diritti umani, oltre a presentare rilevanti aspetti  legali. In esso sono altresì contenuti dati sulla frequenza e l'ampiezza del fenomeno e si cerca di spiegare perché nei Paesi dove è praticato esso sia così difficile da eradicare nonostante i devastanti effetti che produce sulla salute fisica e psichica della popolazione femminile, di qualunque età.

Negli anni più recenti sono stati fatti grandi sforzi nell'ambito della Comunità internazionale per contrastare le Mgf, attraverso ricerche, lavoro continuo presso le comunità locali e sostegno alle politiche pubbliche di cambiamento. I progressi raggiunti a livello internazionale e locale includono una più ampia informazione sul fenomeno e l'impegno ad affrontarlo, la creazione di organi di studio internazionali e l'approvazione di risoluzioni di condanna di queste pratiche.  In 22 paesi africani la pratica delle mutilazioni genitali femminili è stata messa fuorilegge, così come in 12 paesi del mondo industrializzato in cui vivono immigrati da Paesi un cui essa è comune e anche in alcune comunità rurali cresce il numero di persone che cominciano a considerarle ingiuste e dannose, e quindi a rifiutarle.

Questo è il più significativo risultato della lotta contro le Mgf, perché gli studi dimostrano che se le stesse comunità che le praticano decidono di abbandonarle, esse possono essere eliminate in breve tempo.

In ogni caso per ottenere successo in questa lotta è necessaria un'azione concertata da parte di tutti i possibili protagonisti della scena internazionale per fare pressione sui governi e spingere all'azione su vari fronti: sanitario, culturale, finanziario, legale e umanitario.

 

Nel 2010 L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato il volume "Global strategy to stop health care providers from performing female genital mutilation" in collaborazione con altre importanti agenzie delle Nazioni Unite ed altri organismi internazionali.

Le Mgf di qualunque tipo sono state riconosciute come pratiche dannose e attuate in violazione dei diritti delle donne e delle bambine. I diritti dell'uomo, siano civili, culturali, economici, politici o sociali, sono stati codificati in numerose convenzioni regionali e internazionali. Il quadro giuridico viene completato da una serie di dichiarazioni consensuali quali le conclusioni di vertici o conferenze che riaffermano i diritti dell'uomo e impegnano i governi a mettere in pratica i principi proclamati. 

Tra le più importanti Convenzioni internazionali o regionali adottati per la difesa dei diritti delle donne e l'eliminazione delle mutilazioni genitali femminili si possono segnalare:

·        Convenzione contro la tortura e altre pratiche o punizioni inumane, crudeli e degradanti (1984);

·        Convenzione sui diritti civili e politici (1966);

·        Convenzione sui diritti economici, sociali e culturali (1966);

·        Convenzione sull'eliminazione delle discriminazioni nei confronti delle donne (CEDAW) (1979) (Che obbliga gli Stati firmatari a prendere le misure idonee, inclusa nuova legislazione, per modificare o abolire le leggi esistenti, i regolamenti e i costumi e le pratiche che costituiscono una discriminazione contro le donne);

·        Convenzione sui diritti dell'infanzia (1989) (Essa protegge i diritti della bambina all'eguaglianza di genere e stabilisce che gli stati debbano adottare ogni misura efficace atta ad abolire le pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute dei minori);

·        Convenzione sullo status dei rifugiati e i relativi protocolli (1951).

Convenzioni di ambito regionale:

·        la Carta africana sui diritti umani e dei popoli (1981),

·        Protocollo alla Carta africana sui diritti umani e dei popoli, relativo ai diritti della donna in Africa  (2003);

·        la Carta africana sui diritti e il benessere dei bambini (1990) (che impone ai paesi che la ratificano di prendere tutte le misure appropriate per abolire le pratiche consuetudinarie dannose per il benessere, la crescita normale e lo sviluppo dei bambini e delle bambine, in particolare i costumi e le pratiche pregiudizievoli per la salute e discriminatori sulla base del sesso o di altro status);

·        la Convenzione europea sui diritti dell'uomo e le libertà fondamentali (1950).

I documenti internazionali di rilievo sono numerosi, tra di essi si possono segnalare:

-      il Programma di azione approvato alla quarta Conferenza sulle donne a Pechino (1995) (che dispone di rafforzare le leggi, riformare le istituzioni e promuovere norme e pratiche che eliminano la discriminazione contro le donne ed incoraggiano donne e uomini ad assumersi la responsabilità del loro comportamento sessuale e nella procreazione; assicurare il pieno rispetto per l'integrità fisica del corpo umano; eliminare la discriminazione nei confronti delle bambine nei settori della salute e della nutrizione, prendere tutte le misure appropriate per abolire le pratiche tradizionali pregiudiziali alla salute ;

-      la dichiarazione dell'Assemblea generale delle Nazioni unite sull'eliminazione della violenza contro le donne (1993);

-      il Programma di azione della Conferenza internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo  (ICPD) (1994) (Essa richiede ai governi di abolire le Mgf dove esistano e di sostenere le ONG e le istituzioni che lottano per eliminare tali pratiche);

-      la dichiarazione della Commissione sulla condizione femminile del Consiglio economico e sociale delle Nazioni unite relativa all'abolizione della pratica delle mutilazioni genitali femminili (E/CN.6/2007/L.3/Rev.1)

-      la Risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni unite A/Res/52/99 sulle pratiche tradizionali o consuetudinarie che riguardano la salute della donna.

 

 

 


Il disarmo
(a cura del Servizio Studi del Senato della Repubblica)

Il ruolo delle Nazioni Unite nel campo del disarmo è previsto dallo stesso Statuto dell'Organizzazione che - nell'ambito dei principi generali in esso contenuti - conferisce all'Assemblea generale la competenza in materia di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, inclusi il disarmo e la disciplina degli armamenti. In tali settori infatti l'Assemblea generale può fare raccomandazioni sia agli Stati membri sia al Consiglio di Sicurezza. Il principio della promozione e del mantenimento della pace e sicurezza internazionale è inoltre stabilito nell'articolo 26 dello Statuto che attribuisce al Consiglio di

Sicurezza la competenza a formulare piani per un sistema di regolamento degli armamenti.

All’interno dell’Assemblea generale i temi del disarmo sono affrontati dalla prima Commissione ‘Disarmo e sicurezza internazionale [First committee – Disarmament and international security] che si riunisce durante le sessioni annuali dell’Assemblea generale. Esiste poi un organo sussidiario dell’AG, la Commissione per il disarmo [Disarmament commission] istituita con la risoluzione n. 502 del 1952, che ha subito nel tempo successive modificazioni nella composizione. La Commissione si riunisce una volta l’anno nei periodi intermedi tra le sessioni dell’AG. Mentre la Prima commissione tratta tutti i temi connessi

con il disarmo e la sicurezza, la Commissione per il Disarmo tratta questioni particolari in cicli triennali.

Nell’ambito del Segretariato generale opera il Dipartimento per il Disarmo(DDA- Department of Disarmament Affairs) originariamente istituito nel 1982, a seguito delle conclusioni della seconda sessione speciale dell’AG sul disarmo (SSOD II) e successivamente incorporato nel dipartimento degli Affari politici. Attualmente si configura come Ufficio per gli affari del disarmo (UNODA – United Nations Office for disarmament affairs).

L’UNODA sostiene gli obiettivi del disarmo e della non proliferazione delle armi nucleari, e il rispetto delle norme internazionali relative al controllo delle altre armi di distruzione di massa, chimiche e biologiche. Sostiene anche gli sforzi volti alla riduzione delle armi convenzionali, in particolare delle mine terrestri e delle armi di piccolo calibro e leggere, che sono le preferite nei conflitti contemporanei e sono anche oggetto di traffici illeciti.

L’UNODA fornisce un supporto organizzativo e sostanziale per sostenere l’attività normativa degli altri organi delle Nazioni Unite. Incoraggia l’adozione di misure preventive e l’attività diplomatica volta a creare trasparenza, dialogo e reciproca fiducia nel settore del disarmo, particolarmente negli ambiti regionali.

Gestisce il registro delle armi convenzionali e fornisce informazioni sull’attività dell’intera organizzazione delle Nazioni unite in materia. L’attività dell’UNODA riguarda anche le misure pratiche di smilitarizzazione applicabili al termine dei conflitti, quali il disarmo e la smobilitazione dei combattenti e il loro reintegro nella società civile.

Infine, alla luce dell'ormai enorme importanza assunta dall'informatica e dalle reti di comunicazione elettroniche sia nel settore militare che, più in generale, nella vita di tutti i Paesi del mondo e nelle relazioni fra essi, da qualche tempo l’UNODA ha incominciato ad occuparsi di guerra cibernetica (cyberwarfare) e sicurezza cibernetica (cybersecurity). L'argomento è entrato nell'agenda dei lavori della cinquantunesima e cinquantaduesima sessione dello Advisory Board del Segretariato Generale dell'ONU sul Disarmo (svoltesi rispettivamente a New York nel febbraio 2009 e a Ginevra nel luglio dello stesso anno). A gennaio 2010 il Segretario generale dell'Agenzia delle Nazioni Unite per le questioni delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (ITU), Mr. Hamadoun Toure, è intervenuto al World Economic Forum di Davos, durante il quale si è svolto un dibattito tra esperti di alto livello della materia. Nella circostanza, Toure ha proposto che ogni Stato sottoscriva un accordo che lo impegni a non sferrare il primo colpo cibernetico di attacco contro un altro Stato e a negare ogni forma di ospitalità e protezione a terroristi informatici.

Nel 1978, durante la prima sessione speciale dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite dedicata al disarmo (SSOD I), fu deciso, tra l'altro, che gli organismi di disarmo aventi natura deliberativa avrebbero avuto una composizione universale, mentre quelli a natura negoziale avrebbero avuto una composizione più ristretta, allo scopo di agevolarne il lavoro. Fu allora creato un Comitato del disarmo, con sede a Ginevra, che sarebbe diventato l'unico organismo negoziale multilaterale per le questioni di disarmo. Nel 1984 il Comitato ha assunto la denominazione di ‘Conferenza sul disarmo’ .

La Conferenza del Disarmo ha un rapporto specifico con le Nazioni Unite.

Adotta il proprio regolamento di procedura, è completamente autonoma nello stabilire il proprio ordine del giorno che decide all'inizio di ciascuna sessione annuale, prendendo in considerazione le raccomandazioni dell'Assemblea generale, alla quale riferisce ogni anno sull'andamento dei propri lavori. Sebbene la Conferenza Disarmo non sia legalmente vincolata dalle raccomandazioni dell'Assemblea generale, essa ha sempre iscritto nel proprio ordine del giorno le tematiche sulle quali l'Assemblea generale ha attirato la sua attenzione.

Al momento della sua costituzione nel 1979, il Comitato del Disarmo a Ginevra decise di occuparsi della cessazione della corsa agli armamenti e del Disarmo nei seguenti settori: - armi nucleari in tutti gli aspetti; - armi chimiche; - altre armi di distruzione di massa; - armi convenzionali; - riduzione dei bilanci militari; - riduzione delle forze armate; - disarmo e sviluppo; - disarmo e sicurezza internazionale; - misure collaterali; misure per l'accrescimento della fiducia; metodi di verifica; - programma globale di disarmo. Ispirandosi a questo cosiddetto "decalogo", la Conferenza, all'inizio di ciascun anno, decide l'ordine del giorno e fissa il proprio programma dei lavori.

Come la struttura dei rapporti tra gli organi chiamati ad occuparsene a vari livelli anche i temi relativi al disarmo sono complessi.

Giova ricordare come gli armamenti vengono solitamente distinti in armi convenzionali ed armi di distruzione di massa. Le prime, generalmente ritenute legittime, vengono definite “convenzionali” in base a due osservazioni: possiedono una capacità distruttiva relativamente contenuta ed hanno effetti discriminanti per cui consentono una maggiore tutela della popolazione civile. Le seconde, invece, comprendenti armi nucleari, biologiche, chimiche sono accomunate dalla caratteristica di possedere un potenziale distruttivo enorme e,  soprattutto, indiscriminato.

Tra i temi del dibattito sul disarmo uno dei più rilevanti è quello concernente le armi di distruzione di massa. Relativamente a tali armi (nucleari, chimiche e biologiche, oltre ai missili) in ambito ONU sono stati sviluppati strumenti multilaterali di cui si dà conto di seguito.

Il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP) (Treaty on the Non- Proliferation of Nuclear Weapons -NPT) rappresenta il solo strumento convenzionale a livello multilaterale vincolante nei confronti degli Stati che possiedono armi nucleari. Aperto alla firma il 1° luglio 1968, il Trattato è entrato in vigore il 5 marzo 1970; oggi ne sono Parti 190 Stati, rappresentando così uno degli strumenti giuridici internazionali a più vasta partecipazione: soltanto pochi paesi non ne sono oggi parte (India, Pakistan, Israele e Corea del Nord).

Il Trattato di non proliferazione nucleare concluso nel 1968 tra le cinque potenze atomiche ufficiali - Cina, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Unione Sovietica/Russia - stabilisce che in cambio della rinuncia ad esercitare l'opzione nucleare, le Parti si impegnano per la cooperazione nel settore nucleare civile e per il disarmo. L'Art. VI recita: Ciascuna Parte si impegna a concludere in buona fede trattative su misure efficaci per una prossima cessazione della corsa agli armamenti nucleari e per il disarmo nucleare, come pure per un trattato sul disarmo generale e completo sotto stretto ed efficace controllo internazionale.

L’art. VIII del Trattato prevede la convocazione ogni 5 anni di una conferenza di riesame che accerti l’attuazione del Trattato, ma priva di poteri emendativi. L’ultima si è tenuta nel maggio 2010 a New York, con la partecipazione di 172 Stati, presso la sede delle Nazioni Unite.

Mentre nel 2005 la Conferenza di Riesame, a causa delle divergenze sulle priorità tra gli Stati partecipanti, si era conclusa senza un documento finale consensuale, la nuova Conferenza di Riesame del 2010 ha registrato un accordo su un piano di azione per i successivi cinque anni articolato attorno ai tre pilastri fondamentali: disarmo, non proliferazione, usi pacifici dell'energia nucleare, nonché circa la denuclearizzazione del Medio Oriente. Su quest'ultimo tema, il documento finale della conferenza fa particolare riferimento all'attuazione della Risoluzione sul Medio Oriente adottata nel 1995 -

della quale si riafferma la validità fino al momento del pieno conseguimento dei suoi obiettivi, pur dovendo lamentare gli scarsi progressi finora ottenuti sul cammino della sua attuazione- e prefigura un'apposita conferenza nel 2012. Essa, indetta dal Segretario generale delle Nazioni Unite insieme agli Stati depositari del Trattato di Non Proliferazione delle Armi Nucleari (Federazione Russa, Stati Uniti d'America e Regno Unito), prevede la partecipazione di tutti i Paesi mediorientali, e sarà finalizzata alla creazione di una zona senza armi nucleari (Nuclear Weapon-Free Zone[33]) né altre armi di distruzione di massa. Ad oggi (primi di settembre 2012), la Conferenza tuttavia non si è ancora tenuta e, anzi, vi sono forti dubbi sulla possibilità che essa possa aprirsi entro l'anno. Il motivo dell'incertezza risiede nella divergenza di vedute tra alcuni dei Paesi interessati -soprattutto Iran e Israele- circa l'agenda dei lavori e gli obiettivi della Conferenza. Si teme che qualora la Conferenza del 2012 non si tenesse, possano esserci ripercussioni anche sulla Review Conference del TNP in calendario nel 2015. Intanto, alcuni Stati arabi, che premono affinché la Conferenza 2012 si svolga entro i tempi previsti, hanno lasciato intendere che riconsidererebbero la propria adesione al TNP se l'appuntamento del 2012 saltasse.  

 

Si ricorda che l'istituzione in Medio Oriente di una zona priva di armi nucleari era stata programmata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite lo scorso dicembre 2009, mediante la Risoluzione n. 64/26 (approvata con 169 voti a favore, nessuno contrario e tre astensioni, provenienti da India, Israele e Isole Marshall). Contestualmente, la suddetta Risoluzione n. 64/26 invitava i Paesi dell'area mediorientale a dichiarare ufficialmente il loro appoggio all'iniziativa, ad aderire al Trattato di Non-Proliferazione e a sottoporsi alla tutela dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (qualora non lo avessero già fatto) nonché a cessare immediatamente di sviluppare, produrre, sperimentare o acquisire armi nucleari.

Per quanto concerne le situazioni regionali, oltre che del Medio Oriente la conferenza di New York si è occupata anche della Corea del Nord, Paese che viene fortemente esortato nel documento finale a rispettare gli impegni assunti nei Six Party Talks -tra cui la completa e verificabile rinuncia alle armi nucleari ed ai relativi progetti- nonché a tornare presto a sottoporsi alle regole e ai controlli dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA).

Il clima incoraggiante in cui si sono svolti i lavori della Conferenza di riesame del TNP del 2010 è stato favorito dagli importanti cambiamenti nell’atteggiamento degli Stati Uniti e di alcuni Stati-chiave verso la questione della proliferazione nucleareche si sono registrati a partire dall'aprile 2009, ovvero dal discorso tenuto a Praga dal Presidente degli Stati Uniti Obama sulla necessità di avviare un processo internazionale avente quale traguardo finale l'eliminazione delle armi nucleari in tutto il mondo (cosiddetta "opzione zero").

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, infatti, ha posto la non proliferazione e il disarmo tra gli obiettivi prioritari della politica estera degli Stati Uniti. In particolare: ha concluso con la Russia nell'aprile 2010 un importante accordo di riduzione degli arsenali atomici ( nuovo START )[34]; nella nuclear posture review dell'aprile 2010 ha in parte ridimensionato l’importanza delle armi nucleari nella strategia di difesa degli Stati Uniti; ha persuaso i leader dei più importanti paesi riuniti nel vertice di Washington dell'aprile 2010 a prendere sul serio i rischi di proliferazione nucleare verso attori non statali, in primo luogo

gruppi terroristici e prendere impegni per la sicurezza nucleare[35]. Nell'ambito della strategia di Obama di rilancio del disarmo e della sicurezza nucleare inaugurata col discorso di Praga del 2009, un secondo round del Vertice si è svolto a fine marzo 2012 a Seoul, con l'intento di contribuire alla non proliferazione tramite la messa in sicurezza del materiale fissile e la sua conversione a scopi civili. Nel comunicato finale sono stati confermati gli indirizzi delineati nel 2010 a Washington, è stato sottolineato il ruolo essenziale svolto dall'Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica, è stato ricordato l'incidente avvenuto nel 2011 a Fukushima (Giappone) esprimendo l'auspicio di nuovi e rilevanti sforzi da parte di tutti ai fini della sicurezza, e sono state elencate alcune aree sulle quali concentrare l'attenzione: protezione fisica dei materiali nucleari, sostegno all'Agenzia internazionale, precauzioni relative ai materiali nucleari, sorgenti radioattive, sicurezza, trasporto di materiali nucleari o radioattivi, lotta ai traffici illeciti, profili giuridici, cultura della sicurezza nucleare, gestione delle informazioni sensibili e delle tecnologie, cooperazione internazionale. Il prossimo Vertice avrà luogo nel 2014, nei Paesi Bassi.      

L’Amministrazione Obama si è impegnata, inoltre, a sottoporre al Senato per la ratifica il CTBT (su ci si veda infra). L’ultimo obiettivo rilevante dell’agenda di disarmo dell’amministrazione americana è la ripresa dei negoziati sull’FMCT (v. infra).

La Conferenza di riesame del 2010, con l'adozione di un documento finale, ha dunque contribuito a ribadire l'impegno degli Stati parti del TNP al suo rispetto ma anche a definire un percorso che porti, in cinque anni, a progressi concreti con riguardo a tutti e tre i pilastri del TNP e alla rivitalizzazione del regime di non proliferazione nel suo complesso. Nella sessione preparatoria del riesame del TNP (che avverrà nel 2015) svoltasi a Vienna nel maggio 2012, oltre alle questioni procedurali, è stato affrontato anche il tema, finora negletto, delle implicazioni umanitarie dell'impiego di armi nucleari.

Tuttavia la tenuta del TNP incontra ancora seri ostacoli, rappresentati dalla mancanza di universalizzazione, dall'insufficienza degli strumenti di verifica (da cui l'ipotesi  dell'universalizzazione del protocollo aggiuntivo agli accordi di tutela che regolano ispezioni e verifiche da parte dell'AIEA), e dall'assenza di strumenti di sanzione.

A tale ultimo riguardo si può notare, infatti, che il TNP non istituisce alcuna autorità chiamata a giudicare l’eventuale inadempienza di uno stato firmatario. L’articolo X, comma 1, menziona il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite come luogo deputato a ricevere la notifica di recesso, ma non gli assegna alcuna funzione di valutazione della coerenza delle motivazioni che portano uno stato a recedere dal TNP né l’autorità, ai sensi del trattato, di imporre sanzioni. L'ipotesi che in una nuova architettura possa essere il Consiglio di sicurezza dell’ONU ad assumersi il compito dei controlli e delle eventuali

sanzioni sembra cozzare con il carattere ancora assai limitato dell'appartenenza al Consiglio, e quindi il dibattito sarebbe legato a quello sulla riforma del Consiglio , ad un aumento della rappresentatività e ad un'eventuale revisione anche dell’istituto del veto.

Il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty (CTBT) in ambito civile e militare è stato adottato dall’Assemblea generale il 10 settembre 1996, ma non è entrato in vigore perché non è stato raggiunto il numero di 140 ratifiche. Si ricorda, tuttavia, che diverse potenze atomiche – con l’eccezione di Cina, Corea del Nord e Francia (che ha ratificato il CTBT) – sono comunque vincolate dalle disposizioni del Trattato di bando parziale (Partial Test-Ban Treaty, Ptbt) che limita al sottosuolo l’ambiente in cui condurre gli esperimenti. Le potenze atomiche che hanno firmato il CTBT, compresi gli Stati Uniti, Israele e la Cina che pure non l’hanno ratificato, mantengono una moratoria volontaria sui test. India e Pakistan, che non hanno firmato il CTBT, dichiarano di non avere in programma nuovi test dopo quelli del 1998.

La posizione della Corea del Nord appare di rilievo in relazione al tema degli esperimenti nucleari, nonché alla proliferazione delle armi di distruzione di massa. La Corea del Nord, infatti, ha deciso di uscire fuori dal quadro normativo fornito dal TNP il 10 aprile 2003, rivendicando da allora un proprio diritto naturale alla detenzione di armi nucleari e di distruzione di massa.

Nell'agosto 2003, è stato istituito un Six-Party Talks, allo scopo di porre fine al programma nucleare della Corea del Nord, attraverso un processo di negoziazione che coinvolge Cina, Stati Uniti, Nord e Sud Corea, Giappone e Russia. Sebbene in principio il Six-Party Talks ha consentito di instaurare un clima di dialogo, nel 2009 la Corea del Nord ha deciso di interrompere i lavori del Six-Party Talks rivendicando il proprio programma nucleare, ritenuto legittimo e naturale, secondo l'amministrazione centrale coreana. Gli esperimenti nucleari condotti dalla Corea del Nord nell' aprile e maggio 2009 sono stati oggetto di una condanna estesa da parte della Comunità internazionale, nonché di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza (1874/2009) e di un rapporto del Presidente del Consiglio di Sicurezza dedicati alla soluzione di tale questione.

La risoluzione 1874/2009 rinnova l'impegno per riportare la Corea del Nord nel quadro giuridico del NPT e della IAEA, grazie al Comitato ad hoc istituito con la precedente risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 1718/2006, Inoltre, viene auspicata la creazione di un Panel di esperti nazionali cha aiuti il dialogo e la mediazione per facilitare i lavori della commissione medesima, come disposto dal par. 26 della risoluzione 1874/2009.

Dopo la scomparsa del leader nordcoreano Kim Jong Il (17 dicembre 2011), il governo di  Pyongyang dapprima ha accettato di sospendere test nucleari, programmi di arricchimento dell'uranio e prove di missili a lunga gittata in cambio di aiuti alimentari da parte degli Stati Uniti (febbraio 2012), ma poi, a seguito di una disputa con gli USA stessi a proposito del lancio di un razzo nell'aprile seguente, ha dichiarato nullo il precedente accordo. Secondo notizie di agenzia diffusesi a metà settembre 2012, la Corea del Nord sarebbe disposta a partecipare ad un incontro preliminare in vista di una ripresa dei Six Party Talks con Cina, Giappone, Corea del Sud, Russia e Stati Uniti, che si erano interrotti a fine 2008.

 

La Convenzione sulle armi chimiche (CWC) adottata dopo dieci anni di negoziati dalla Conferenza sul disarmo a Ginevra il 3 settembre 1992 è entrata in vigore il 29 aprile 1997. Rappresenta il primo accordo negoziato in ambito multilaterale che mira all’eliminazione di un’intera categoria di armi di distruzione di massa sotto il controllo internazionale. A partire dall’entrata in vigore della Convenzione, hanno dichiarato di essere in possesso di armi chimiche solo sei Paesi (Russia, Stati Uniti, India, Corea del Sud, Albania e Libia). Tutti gli Stati hanno incontrato difficoltà a rispettare i termini previsti per la distruzione delle armi in questione di 10 anni dall’entrata in vigore e tutti gli Stati possessori hanno richiesto una proroga. L’Italia, all’entrata in vigore della CWC nel 1997 ha dichiarato di possedere un certo numero di vecchie armi chimiche risalenti alla Prima guerra mondiale avviate alla distruzione nell’impianto militare di Civitavecchia. Ritrovamenti più recenti di quantità importanti hanno reso necessaria la richiesta da parte dell’Italia di una proroga, poi concessa, fino ad aprile 2012.

Il nostro Paese è dotato di un Ufficio dell'Autorità Nazionale per l'attuazione della Convenzione sulla Proibizione delle Armi Chimiche (Convenzione di Parigi), istituito con Legge n. 18 novembre 1995, n. 496, inquadrato presso la Direzione Generale Affari Politici e di sicurezza del Ministero Affari Esteri.

Nel 2012, la Commissione Territorio e Ambiente del Senato ha avviato una indagine conoscitiva sui bacini di inquinamento derivanti dalle armi chimiche che da decenni sono sparse sul territorio italiano, in relazione all'Affare Assegnato n. 825 della presente legislatura.

Altra Convenzione di ampia rilevanza internazionale è quella sulla proibizione dello studio, della fabbricazione e dello stoccaggio di armi batteriologiche, biologiche e di sostanze tossiche (Convenzione sulle armi biologiche – BWC). La Convenzione ha sostituito il Protocollo di Ginevra del 1925 sulle armi chimiche. Anche in questo caso la proibizione della fabbricazione e dell’uso di un’intera categoria di armi viene posta sotto il controllo internazionale. Aperta alla firma il 10 aprile 1972, la BWC è entrata in vigore il 26

marzo 1975. La mancanza di strumenti di controllo formali ha tuttavia limitato l’efficacia della Convenzione; l’Italia ne sostiene il rafforzamento e l’universalizzazione, sostenendo in particolare la ricerca di efficaci meccanismi di verifica.

Una delle preoccupazioni della Comunità internazionale è l’aumento degli Stati che possiedono missili balistici o di altro tipo, comunque tecnicamente sofisticati ed in grandi quantità. Questa minaccia viene fronteggiata con diverse misure a livello unilaterale o multilaterale. Non esistono comunque norme o strumenti universalmente accettati per controllare lo sviluppo, la sperimentazione e la produzione di tali armi, nonché il loro mercato o le condizioni del loro utilizzo.

Il 28 aprile 2004 il Consiglio di Sicurezza ha approvato la Risoluzione n. 1540 Non-proliferation of weapons of mass destruction, che, esprimendo preoccupazione per la minaccia posta dagli attori non statuali e dai gruppi terroristici, riafferma l’importanza dell’azione relativa alla prevenzione della proliferazione delle armi di distruzione di massa. Al fine di rendere effettiva l’applicazione della risoluzione, il CdS aveva previsto la formazione di un Comitato ad hoc a cui gli Stati erano invitati a presentare rapporti nazionali relativi alle azioni intraprese per l’attuazione della risoluzione.

Nel 2006, tuttavia, è stato constatato che non tutti gli Stati avevano assolto ai loro obblighi di invio dei rapporti. Per tale motivo, con la Risoluzione 1673 del 27 aprile 2006, il Consiglio di Sicurezza ha prorogato il mandato del Comitato 1540 sino al 27 aprile 2008. Infine con la risoluzione 1810 del 2008 si è deciso di prolungare ulteriormente il mandato del Comitato 1540 fino al 25 aprile 2011, ponendo come data ultima per l'invio dei report annuali ad opera di ciascuno Stato il 31 luglio 2008.

Anche in materia di “divieto della produzione di materiale fissile per armi nucleari e altri ordigni esplosivi”, l’Assemblea generale ha approvato per consenso una Risoluzione nel 1993. Ne è seguito nel 1994 un mandato negoziale da parte della Conferenza disarmo per accertare la possibilità di giungere al negoziato di un Trattato FMCT (Fissile Material Cut-off Treaty). Tale proposta gode del sostegno della Delegazione italiana alla Conferenza Disarmo. Si ricorda inoltre che il documento finale della Conferenza di Riesame

del TNP 2010, nell'ambito del pilastro B - Disarmo, all'azione 15, contiene l'impegno delle Parti a far sì che la Conferenza sul Disarmo inizi immediatamente i negoziati e l'invito al Segretario generale delle Nazioni Unite a convocare una riunione di alto livello a sostegno del lavoro della Conferenza stessa. Tale riunione si è svolta a New York nel settembre 2010, ma non ha prodotto decisioni di rilievo.

Il 24 settembre 2009 il Consiglio di sicurezza presieduto da Obama ha approvato all'unanimità la Risoluzione 1887 per un mondo privo di armi nucleari: come ampiamente prevedibile, il valore della risoluzione non è tanto nel dispositivo, quanto nell'ispirazione di fondo, che riassume in sé tutte le iniziative in corso in direzione di un miglioramento della sicurezza nucleare mondiale. Esortando tutti i paesi a rafforzare il TNP, la risoluzione chiede agli Stati che non ne fanno parte di entrarvi come Stati non nucleari: va

precisato,anche se la risoluzione non menziona alcuno Stato, che l'invito si rivolge a Israele, India, Pakistan e Corea del Nord.

Nella risoluzione si incoraggiano inoltre gli sforzi per lo sviluppo degli usi pacifici dell'energia nucleare, nonché il lavoro dell’AIEA per minimizzare il rischio di proliferazione nucleare. Sulla parte più delicata la risoluzione non detta obblighi, ma invita i paesi a favorire i controlli degli ispettori internazionali su materiali di esportazione suscettibili di contribuire alla costruzione di ordigni nucleari, e ciò anche nel caso - vedi Corea del Nord - di paesi che prima si avvalgano della cornice di assistenza tecnica e scientifica assicurata dal TNP e poi si ritirino dal Trattato. La risoluzione comunque rimanda a un voto del Consiglio di sicurezza - nel quale non vi è dubbio che uno o più Stati potrebbero far valere il diritto di veto – la richiesta esplicita di sottoporre i materiali nucleari

esistenti al controllo dell’AIEA.

In materia di armi convenzionali, una delle maggiori preoccupazioni della Comunità internazionale è rivolta alle armi piccole e leggere (Small arms and light weapons – SALW) che per la loro facilità di uso e per la disinvoltura con cui vengono commerciate anche illegalmente rappresentano una seria minaccia. Fin dalla 50a sessione dell’Assemblea generale tale problema è stato posto nell’agenda degli organi che si occupano di disarmo, al fine di porre sotto controllo internazionale anche questi strumenti che più frequentemente sono utilizzati per perpetrare le violazioni del diritto internazionale. Il controllo delle armi piccole e leggere è un problema che riguarda i termini di definizione dei conflitti locali e regionali, le condizioni di ristabilimento della pace, lo smantellamento degli arsenali e la smilitarizzazione di intere zone. Esso richiede lo sforzo di cooperazione e di armonizzazione delle iniziative e delle normative da parte degli Stati coinvolti, e una maggiore capacità di controllo da parte degli organi internazionali. A tal fine è stato creato in ambito ONU un Gruppo apposito (The group of interested States in practical disarmament measures)[36].

Un ulteriore contributo al controllo internazionale sulle armi convenzionali è fornito dall'esistenza dall'anno 1991 di un Registro, custodito dall’UNODA. Il Registro delle armi convenzionali raccoglie dati, forniti periodicamente dai singoli Paesi[37], sulla produzione e sui trasferimenti di esse. Questo strumento può dunque rilevare situazioni di accumulazione eccessiva e pertanto potenzialmente destabilizzante, le quali possono essere affrontate a livello diplomatico prima che scatenino conflitti.

Sul tema del controllo degli armamenti e disarmo convenzionale vanno menzionati, a titolo di completezza, due ulteriori processi. In primo luogo, il processo di Ginevra, in seno alla Conferenza Disarmo, che ha portato all’adozione il 10 ottobre 1980 della Convenzione su “certe armi convenzionali considerate pericolose” (CCW), aperta alla firma nel 1981 ed entrata in vigore nel 1983, in cui la tendenza prevalente sul problema delle bombe a grappolo era ad orientare i lavori verso l’adozione di best practices. In secondo luogo, il

processo di Oslo che ha portato nel maggio 2008 alla adozione da parte delle delegazioni di 111 Paesi che ne sono Parti di un Trattato multilaterale sulla messa al bando di munizioni a grappolo (cluster munitions). La successiva Conferenza diplomatica di Dublino tenutasi il 30 maggio 2008 ha portato alla stipula della Convenzione sulle munizioni a grappolo. La Convezione, sebbene sia il risultato di un processo diplomatico tra Stati, ha visto la partecipazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa nonché delle Nazioni Unite, tanto ai lavori preparatori così come a quelli per la stipula della Convenzione medesima.

Come sottolineato dal Segretario generale dell'ONU nel proprio messaggio inviato in seno alla Conferenza di Dublino, la Conferenza segna un ulteriore passo in avanti per la protezione dei civili nei conflitti armati, nonché nell'implementazione del diritto internazionale umanitario e nello sforzo globale nell'eliminare cause di sofferenza o morte atroce ed inutile. Attualmente hanno firmato la Convenzione 106 paesi, molti dei quali appartenenti al gruppo dei Paesi in via di sviluppo[38]. Non vi hanno ancora derito la Russia, gli Stati Uniti, la Cina, il Brasile, l'India e il Pakistan.

L'Italia ha firmato la Convenzione sulle munizioni a grappolo il 3 dicembre 2008, e l'ha ratificata nel 2011. La Convenzione è entrata in vigore il 1°agosto 2010, con il deposito della trentesima ratifica.

Si ricorda altresì la Convenzione di Ottawa sulla messa la bando delle mine anti-persona (Anti-personnel mines convention, APL) aperta alla firma nel dicembre 1997 ratificata dall’Italia nel 1999, attualmente in vigore per 156 Stati tra cui 149 hanno effettuato la distruzione delle scorte. La differenza principale tra le due convenzioni da ultimo citate sta nel fatto che mentre le mine antipersona sono totalmente proibite, per le munizioni a grappolo sono consentite alcune eccezioni. Non rientrano infatti nella categoria delle armi proibite, le munizioni e submunizioni che non hanno carattere esplosivo (quelle fumogene, illuminanti o quelle destinate alla difesa aerea). Analoga esenzione vige per alcune submunizioni esplosive che per il peso, il numero ridotto e la presenza di meccanismi di autodistruzione e autodeattivazione, sono considerate meno pericolose sul piano umanitario.

La Convenzione di Oslo ha ereditato, migliorandole, gran parte delle disposizioni umanitarie previste dal testo di Ottawa. Essa prevede infatti espressamente l’assistenza alle vittime, lo sminamento umanitario delle aree infestate.

Si menziona, infine, la proposta britannica di un Trattato internazionale che disciplini il commercio di armamenti convenzionali, che, avanzata nel 2005 da Jack Straw allora Segretario del Foreign Office, ha raccolto la totalità dei consensi dei Paesi dell’UE e di numerosi Paesi di altre aree geografiche, portando all’adozione da parte dell’Assemblea generale dell’ONU, nel dicembre 2007, della Risoluzione 61/89, su cui si sono pronunciati: a favore 153 Stati, contro gli Stati Uniti e 24 Paesi si sono astenuti. Grazie all'approvazione della Risoluzione 61/89 l'Assemblea generale ha chiesto e ottenuto da parte del Segretariato Generale l'istituzione di un Gruppo di esperti nazionali per stilare una prima bozza del trattato sul commercio degli armamenti convenzionali (Arms Trade Treaty). Il Gruppo di esperti ha consegnato il suo primo report il 26 agosto 2008, nel quale vengono illustrati la fattibilità, portata e parametri del futuro trattato internazionale.

Al fine di dare maggiore impulso al dialogo per la stipula del Trattato (ATT), il Gruppo di esperti ha suggerito all'Assemblea generale di stabilire una serie di incontri dedicati all'argomento. Dopo una serie di incontri preparatori svoltisi nel 2010, 2011 e febbraio 2012, a luglio 2012 si sono svolti gli intensi negoziati di New York che, tuttavia, non hanno portato alla conclusione di un accordo, anche perché l'amministrazione Obama ha invocato la mancanza di tempo, dato l'approssimarsi della scadenza elettorale, per chiedere il rinvio della conclusione della trattativa. In ogni caso, i governi rimangono impegnati a portare a compimento il processo nel prossimo futuro, e le Nazioni Unite restano determinate a favorire i negoziati in funzione dell'approvazione del trattato[39].

Presso l'ONU, esiste un Registro delle armi convenzionali, alimentato dalle informazioni trasmesse periodicamente dagli Stati membri. Su questa base, il Segretario generale dell'ONU redige rapporti all'Assemblea Generale. Il più recente è datato 30 luglio 2012 e si avvale dei contributi forniti da 28 Paesi.

 

 

 


La cooperazione parlamentare nel quadro delle Nazioni Unite
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

La cooperazione parlamentare in ambito ONU si è avvalsa, in ripetute occasioni, degli incontri tra gli Organi della Camera ed i massimi rappresentanti dell’Organizzazione.

Il 23 e 24 marzo 2012 si è svolta a Ginevra la missione dell’on. Mario Barbi, in rappresentanza della Commissione Affari esteri, in occasione della XIX Sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (27 febbraio-23 marzo 2012).

Il 23 novembre 2011 gli Uffici di presidenza delle Commissioni Affari esteri e Difesa di Camera e Senato, presiedute dal sen. Lamberto Dini, insieme ai presidenti Gianpiero Cantoni e Edmondo Cirielli, hanno incontrato il Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite responsabile del sostegno logistico alle operazioni di pace, Susana Malcorra. Durante l’incontro sono state illustrate le modalità di utilizzo della base logistica Onu di Brindisi, sono state descritte nel dettaglio le missioni delle Nazioni Unite cui partecipa l'Italia e si è rilevato che le Nazioni Unite dispongono di articolate risorse impegnate nelle missioni di pace nel mondo, che vengono dispiegate con attenzione rispetto all'evoluzione dei contesti di impiego. Il confronto ha consentito poi di ribadire la necessità di un monitoraggio constante dell'evoluzione del contesto arabo e di operare utilizzando efficacemente tutte le risorse disponibili, nel perseguimento della stabilizzazione e della ricostruzione civile nei Paesi interessati.

Il 15 novembre 2011, l'on. Riccardo Migliori, Presidente della Delegazione italiana e Vicepresidente dell'Assemblea parlamentare dell'OSCE, e l'on. Matteo Mecacci, componente della Delegazione italiana e Presidente della Commissione Democrazia, Diritti umani e Questioni umanitarie dell'Assemblea OSCE, hanno svolto una serie di incontri presso le Nazioni Unite a Ginevra, per approfondire le tematiche attinenti alla tutela dei diritti umani, il ruolo dell'OSCE in tale ambito e le opportunità di collaborazione tra i diversi attori della scena internazionale. Nel corso della loro missione, gli on. Migliori e Mecacci hanno incontrato il Direttore generale dell'Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, Kassym-Jomart Tokayev; il responsabile dell'Ufficio Asia dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Indrika Ratwatte; il Presidente del Consiglio diritti umani delle Nazioni unite, Amb. Laura Dupuy Lasserre.

Il 17 maggio 2011, si è svolto, presso il Senato della Repubblica, un incontro informale degli Uffici di presidenza delle Commissioni Affari esteri di Camera e Senato con il Presidente dell'Assemblea generale dell'ONU, Joseph Deiss.

Il 24 febbraio 2011, il Presidente della XIV Commissione, on. Mario Pescante, ha incontrato Wilfried Lemke, Consigliere speciale per lo sport, lo sviluppo e la pace del Segretario generale delle Nazioni Unite.

Il 27 aprile 2010 l’Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della Commissione Affari Esteri, ha audito in via informale l’Ambasciatore Carlo Trezza, Presidente dell’Advisory Board del Segretario Generale dell’ONU per le questioni del disarmo.

Il 20 aprile 2010, gli Uffici di Presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni Affari esteri di Camera e Senato hanno incontrato il Sottosegretario del Dipartimento del Field Support delle Nazioni Unite, Susana Malcorra.

Il 14 aprile 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha incontrato il Commissario Generale dell'UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi), Filippo Grandi.

Il 25 marzo 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha incontrato l'ex-Direttore Generale dell'AIEA e Presidente della Commissione sulle armi di distruzione di massa, Hans Blix, che ha tenuto alla Camera una Conferenza.

Il 24 marzo 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha ricevuto il Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Maria Costa, Direttore esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) e Direttore generale dell’Ufficio delle Nazioni Unite di Vienna.

L'11 marzo 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha ricevuto l'Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Navy Pillay.

Il 4 febbraio 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha incontrato a New York il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-moon. L’incontro si è svolto nell’ambito della visita che il Presidente Fini ha effettuato negli Stati Uniti dal 3 al 5 febbraio 2010.

Il 12 novembre 2009 l'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi della Commissione Affari esteri, ha incontrato l'Amministratore dell'United Nations Development Programme (UNDP), Helen Clark.

Il 22 ottobre 2009 l’allora Vice Direttore Esecutivo del Programma alimentare mondiale, Staffan De Mistura è stato audito presso il Comitato per gli obiettivi di sviluppo del millennio della Commissione Affari Esteri.

Il 24 aprile 2009 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha ricevuto il Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Maria Costa, Direttore esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) e Direttore generale dell’Ufficio delle Nazioni Unite di Vienna. 

L'8 aprile 2009 il Vice Presidente della Camera, on. Maurizio Lupi (PDL), ha incontrato il Vice Segretario Generale dell'ONU, Sha Zukang.

Il 2 luglio 2008 il Presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, Srgjan Kerim, in visita ufficiale in Italia, ha incontrato il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, e il giorno successivo, 3 luglio 2008, ha tenuto un'audizione informale dinanzi alle Commissioni riunite Affari Esteri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Per quanto riguarda la XV legislatura si segnalano i seguenti incontri.

Il 22 ottobre 2007, Asha-Rose Migiro, Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite ha effettuato una visita ufficiale in Italia ed ha incontrato alla Camera, il Presidente Fausto Bertinotti, nonché il Presidente della Commissione Affari esteri, Umberto Ranieri e il Presidente dell’Unione interparlamentare, Pier Ferdinando Casini.

Il 18 aprile 2007 il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha effettuato una visita ufficiale in Italia. In tale occasione ha incontrato il Presidente della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti, nonché le Commissioni Affari esteri della Camera e del Senato riunite.

Il 27 febbraio 2007 il Presidente della 61ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, Haya Al Khalifa, ha effettuato una visita ufficiale in Italia. In tale occasione ha incontrato il Presidente della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti, nonché l’Ufficio di Presidenza della Commissione Affari esteri della Camera, integrato dai rappresentanti dei Gruppi. Quindi, la Presidente Al Khalifa ha incontrato il Presidente dell’Unione interparlamentare, Pier Ferdinando Casini. Nella stessa occasione il Presidente Al Khalifa ha partecipato, presso la Fondazione della Camera dei deputati, ad una conferenza sul tema “Verso una cultura dell’eguaglianza di genere nel XXI secolo”.

L’11 ottobre 2006 gli Uffici di Presidenza, integrati dai rappresentanti dei Gruppi, delle Commissioni Affari costituzionali (I) e Affari esteri (III) della Camera dei deputati, hanno incontrato Doudou Diène, Relatore speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di razzismo, di discriminazione razziale, di xenofobia e relative intolleranze.

Il 12 luglio 2006 il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha incontrato il Presidente della Camera, Fausto Bertinotti, il Presidente dell’Unione interparlamentare Pier Ferdinando Casini e le Commissioni Esteri della Camera e del Senato.

Sempre il 12 luglio 2006 il Presidente della Commissione Affari esteri, Umberto Ranieri, ha incontrato Tom Koenings, Capo della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan.

 


La partecipazione parlamentare
alle Conferenze in ambito ONU
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

La delegazione parlamentare italiana alle sessioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite

L'Assemblea generale delle Nazioni Unite è la principale sede di decisione e l'organo più rappresentativo, composto da rappresentanti di tutti gli Stati membri, che dispongono di un voto ciascuno. La sessione annuale ordinaria dell'Assemblea inizia il terzo martedì di settembre e prosegue di regola fino alla terza settimana di dicembre e vi partecipano, invitate, in qualità di osservatori, delegazioni parlamentari degli Stati membri.

Nelle precedenti legislature, una delegazione parlamentare di componenti della Commissione Affari esteri si è recata a New York per ciascuna delle sessioni annuali, in concomitanza con la settimana ministeriale

Nella XVI legislatura la partecipazione alla sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è stata la seguente:

·                 63ma sessione, dal 22 al 26 settembre 2008; per la Camera dei deputati ha preso parte ai lavori l’on. Alessandro Maran (PD),

·                 64ma sessione, dal 23 al 26 settembre 2009, cui hanno partecipato, per la Camera dei Deputati, gli onn. Enrico Pianetta (PdL) e Gianni Vernetti (PD);

·                 65ma sessione, dal 20 al 25 settembre 2010, cui hanno partecipato, per la Camera dei Deputati, gli onn. Michaela Biancofiore (PdL) e Francesco Tempestini (PD).

In concomitanza con la 65ma sessione, si è svolta una Riunione di Alto livello sugli Otto Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite, convocata dal Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki Moon, al fine definire l’agenda della comunità internazionale per il raggiungimento degli otto Obiettivi entro il 2015. Ai lavori ha partecipato, in qualità di osservatore, dal 20 al 22 settembre 2010, una delegazione del Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, composta dal suo Presidente, l’onorevole Enrico Pianetta (PdL), e dall’onorevole Mario Barbi (PD).

·                 66ma sessione, dal 21 al 24 settembre 2011, cui hanno partecipato, per la Camera dei Deputati, gli onn. Riccardo Migliori (PdL) e Lapo Pistelli (PD).


La partecipazione parlamentare alle principali Conferenze ONU

L'agenda delle Nazioni Unite non si esaurisce con l'attività istituzionale dei suoi organi e con le attività poste in essere dalle Agenzie e dagli altri organismi che vi fanno capo, ma, sotto l'egida dell'ONU, vengono organizzati Summit, Conferenze e altre iniziative volte a migliorare le legislazioni mondiali, tramite l'adozione di Convenzioni, e a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle questioni più delicate che l'ONU ha in agenda.

Le Sessioni annuali della Conferenza delle Parti (COP) relativa alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici (UNFCCC)

Il Parlamento italiano ha attribuito particolare rilevanza alle tematiche a carattere ambientale cui fanno riferimento diverse conferenze relative alla applicazione delle Convenzioni Quadro delle Nazioni Unite. Dalla XIV legislatura delegazioni della Camera dei Deputati partecipano regolarmente all’High Level Segment delle Sessioni annuali della Conferenza delle Parti (COP) relativa alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici (UNFCCC), che ha il compito di promuovere e controllare periodicamente l'applicazione della relativa Convenzione.

Nella XVI legislatura, la partecipazione alla Conferenza della Parti sulla UNFCCC è stata la seguente[40]:

·                 XIV COP, Poznan (Polonia), 11-12 dicembre 2008, cui hanno partecipato per la Camera dei deputati gli onn. Alessandro Bratti (PD) e Vincenzo Gibiino (PdL).

·                 XV COP, Copenaghen, 16-18 dicembre 2009, cui hanno partecipato per la Camera dei deputati gli onn. Angelo Alessandri (Lnp), Salvatore Margiotta (PD), Laura Froner (PD) e Agostino Ghiglia (Pdl).

·                 XVI COP, Cancun (Messico), 8-10 dicembre 2010, cui hanno partecipato gli onn. Angelo Alessandri (LNP), Alessandro Bratti (PD) e Mauro Pili (PdL), presidente e membri della Commissione Ambiente.

·                 La XVII COP Durban (Sudafrica), dal 28 novembre al 9 dicembre 2011. La delegazione parlamentare italiana era guidata dal Presidente della Commissione Ambiente della Camera, Angelo Alessandri, e composta dai deputati Salvatore Margiotta (Vice Presidente) ed Agostino Ghiglia, e dai senatori Cesarino Monti e Pasquale Nessa. I parlamentari italiani hanno partecipato lunedì 5 dicembre alla giornata organizzata dall'Unione Interparlamentare, mentre il 6 dicembre si sono aperti i lavori dell’high level segment  della COP17, durante il quale hanno avuto luogo gli interventi dei Ministri competenti.

La prossima Conferenza sarà ospitata dal Qatar e si terrà dal 26 novembre al 7 dicembre 2012.

 

Le riunioni annuali della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (CSW)

Tradizionalmente la Camera dei deputati partecipa alle riunioni della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (CSW) ed all'evento parlamentare che viene organizzato congiuntamente dalla Divisione delle Nazioni Unite per l'avanzamento delle donne e dall'Unione interparlamentare nel corso della riunione della Commissione.

Nella XVI legislatura il Parlamento italiano ha partecipato con proprie delegazioni alle seguenti riunioni:

La 53ma sessione della Commissione sullo status delle donne si è svolta a New York dal 2 al 13 marzo 2009. La tavola rotonda si è tenuta il 2 marzo ed ha avuto come tema "Un'equa condivisione delle responsabilità tra donne e uomini compresa l'assistenza ai malati di HIV/AIDS". I lavori dell'Unione interparlamentare si sono tenuti il 4 marzo 2009. Hanno partecipato ai lavori della Sessione le onn. Paola Pelino (PDL) e Emilia Grazia De Biasi (PD) e le senatrici Ida Maria Germontani (PdL) e Vittoria Franco (PD).

La 54ma sessione della Commissione sullo status delle donne (CSW) ha avuto luogo a New York dal 1° al 12 marzo 2010. L'evento parlamentare, organizzato congiuntamente dalle Nazioni Unite e dall'Unione interparlamentare, si è svolto il 2 marzo 2010 ed è stato dedicato al tema "Il ruolo dei Parlamenti nel rafforzare i diritti delle donne 15 anni dopo Pechino". Hanno partecipato ai lavori della Sessione le onn. Lorena Milanato (PdL - Presidente del Comitato per la pari opportunità), Emilia Grazia De Biasi (PD - membro del Comitato per le pari opportunità) e la sen. Anna Maria Serafini (PD - Vice Presidente della Commissione per l'Infanzia del Senato).

La 55ma sessione della Commissione sullo status delle donne (CSW) ha avuto luogo dal 22 febbraio al 4 marzo 2011. L'evento parlamentare, organizzato congiuntamente da ONU e UIP, si è svolto il 23 febbraio ed è stato dedicato al tema "Il ruolo dei parlamenti nel promuovere l'accesso e la partecipazione delle donne e delle ragazze all'istruzione, alla formazione, alla scienza e alla tecnologia". Inoltre, il 25 febbraio si sono tenuti due eventi sulla salute delle madri e dei bambini. In occasione della 55masessione è stato inaugurato l'UNWOMEN. Le onn. Lorena Milanato (PdL) e Sesa Amici (PD), designate a partecipare, non hanno potuto prendere parte alla missione per sopraggiunti impegni legati ai lavori dell'Aula.

La 56 ma  sessione ha avuto luogo a New York dal 27 febbraio al 9 marzo 2012. La delegazione italiana era guidata dalla prof. Elsa Fornero, Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, con delega alle Pari opportunità. La delegazione parlamentare era composta, per la Camera dei deputati, dalle onn. Lorena Milanato (PdL) e Sesa Amici (PD), rispettivamente Presidente e componente del Comitato per le pari opportunità della Camera, e dall’on. Maria Rosaria Carfagna (PdL), componente della Commissione Giustizia ed ex Ministro delle Pari opportunità; per il Senato dalla Vice Presidente Emma Bonino e dalla senatrice Maria Ida Germontani, rispettivamente Presidente e membro della Commissione Pari opportunità di quel ramo del Parlamento. In aggiunta al consueto dibattito generale, finalizzato a valutare i progressi compiuti nel settore dell’uguaglianza di genere, il tema prioritario discusso quest’anno è stato “Empowerment delle donne impiegate nel’agricoltura e loro ruolo nell’eliminazione della fame e della povertà, nello sviluppo e nelle sfide attuali”. Nella giornata del 29 febbraio ha avuto luogo anche una riunione dell’Unione Interparlamentare.

 

La 57ma  sessione avrà luogo a New York dal 4 al 15 marzo 2013.

 

 


L’Unione europea e le Nazioni Unite
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

L’impegno in favore di un effettivo multilateralismo, con le Nazioni Unite come nucleo del sistema, è un elemento centrale della politica estera dell’UE. Tale impegno è radicato nella convinzione che, per essere in grado di affrontare con successo crisi e sfide globali, la comunità internazionale necessità di un sistema multilaterale efficiente, basato su valori e regole universali.

Su tali basi, nel corso degli anni l’UE ha stabilito una stretta relazione con le Nazioni Unite. La cooperazione reciproca riguarda un’ampia gamma di settori: sviluppo; cambiamenti climatici; costruzione della pace nei paesi in conflitto; assistenza umanitaria nelle crisi; lotta alla corruzione e al crimine; preoccupazioni per la salute globale, quali l’HIV/AIDS; i temi del lavoro e cultura. L’UE ha inoltre giocato un ruolo importante nella realizzazione e attuazione di convenzioni e protocolli delle Nazioni Unite e preso parte attiva in conferenze globali delle Nazioni Unite quali il Vertice mondiale sulla società dell’informazione (WSIS) o la Conferenza di Kobe per la riduzione dei disastri naturali. Al momento è parte di oltre 50 accordi multilaterali delle Nazioni Unite.

Le priorità

In questo contesto, come ogni anno, il 23 luglio 2012 il Consiglio ha approvato la priorità dell’UE per la sessantasettesima Assemblea generale delle Nazioni Unite che aprirà i suoi lavori a settembre 2012. In particolare, nel corso dell’Assemblea generale, l’UE intende impegnarsi in modo molto intenso su quattro questioni:

 

1) seguito e attuazione dei risultati della conferenza Rio +20

Il 22 giugno 2012 si è conclusa la conferenza ONU  “Rio+20” (UNCSD), la quale ha approvato un documento politico finale[41] che esplicita in maniera articolata un insieme di dichiarazioni che, per la prima volta in un testo Onu, riconoscono la green economy come uno degli strumenti più importanti per il conseguimento dello sviluppo a lungo termine.

Il testo rafforza il ruolo dell’ONU, con particolare riferimento alla creazione di un forum intergovernativo di alto livello e al Programma ambientale dell'Onu UNEP (UN Environmental Program ).

Per ciò che riguarda il sostegno finanziario, il documento insiste sulla necessità di creare nuovi partenariati che coinvolgano anche investimenti privati.

Seppur definito da molti osservatori come deludente e privo di ambizione, il documento finale è invece considerato positivamente sia dal Governo italiano sia dall’UE in quanto le dichiarazioni finali nei loro intenti e propositi, possono rappresentare punti di leva per richiamare i Governi nazionali ad adottare misure concrete per lo sviluppo sostenibile.

 

2) preparazione della revisione 2013 degli Obiettivi di sviluppo del millennio, fissati dalla comunità internazionale nel 2000, e del quadro di sviluppo successivo al 2015, prendendo spunto dai risultati della conferenza Rio+20 sullo sviluppo sostenibile e del forum di Busan sull’efficacia degli aiuti.

Il 2015 è l’anno fissato dalla comunità internazionale per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio (OSM). Del contributo fornito dall’UE al raggiungimento degli OSM la Commissione ha dato conto nel corso del 2010, presentando un piano d’azione in 12 punti per favorire la realizzazione degli obiettivi che sono più in ritardo.

L’UE è dunque fermamente impegnata ad assicurare il raggiungimento di tali obiettivi per il 2015 e ritiene essenziale che la comunità internazionale prepari il percorso per il post 2015, tenendo conto dei cambiamenti in atto nello scenario globale.

 

3) promozione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto. Il tema rappresenterà dunque il filo conduttore dell’azione dell’UE nell’ambito dell’ONU. In particolare l’UE intende:

·      cercare di accrescere il sostegno a favore della risoluzione n. 67 sulla moratoria della pena di morte che l’Assemblea generale della Nazioni unite ha approvato il 18 dicembre 2007, su un progetto elaborato dall’UE,

·      promuovere il dialogo in materia di libertà religiosa nei paesi terzi, sviluppando l’acquis delle risoluzioni dell’Assemblea generale e del Consiglio di diritti umani presentate dall’UE;

·      continuare a combattere la tortura e le altre pene degradanti;

·      combattere la violenza di genere e promuovere il pieno godimenti dei diritti umani da parte delle donne;

·      promuovere la ratifica internazionale della convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.

 

4) sostegno alla riforma dell’ONU.

L’UE è impegnata a rafforzare le Nazioni Unite e a migliorare efficienza, efficacia, trasparenza, affidabilità e rappresentatività del sistema. In particolare, l’UE sostiene e promuove la rivitalizzazione dell’Assemblea generale e la riforma del Consiglio di sicurezza, continuando a promuovere il dibattito sul ruolo delle Nazioni Unite nella governance globale. L’UE incoraggia una solida gestione finanziaria e lavorerà in favore di una distribuzione più equa e bilanciata delle responsabilità finanziarie tra i membri delle Nazioni Unite, in accordo con la loro capacità contributiva.

 

Per quanto riguarda infine il pilastro pace e sicurezza, le priorità dell’UE prevedono il rafforzamento della cooperazione tra UE e ONU nella gestione delle crisi, nonché tra l’ONU e le altre organizzazioni regionali, continuando a promuovere il rispetto dei principi umanitari e del diritto internazionale umanitario e favorire il dibattito in atto sulla protezione della popolazione civile.

 

Il 13 giugno 2012 il Parlamento europeo ha approvato una serie di raccomandazioni destinate al Consiglio, in vista della 67a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Per quanto riguarda il ruolo dell'Unione europea nel contesto delle Nazioni Unite, il PE chiede al Consiglio di coordinarsi quanto più possibile, comunicare posizioni unificate e rafforzare la coerenza e la visibilità dell'UE in qualità di attore globale presso le Nazioni Unite.

Il PE ricorda che un seggio dell'UE in seno a un Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite allargato rimane un obiettivo centrale di lungo termine per l'Unione europea e chiede al Vicepresidente/Alto rappresentante (VP/AR) di elaborare una posizione comune degli Stati membri a tal fine. Il Consiglio è invitato inoltre a contribuire a rivitalizzare e rendere più efficiente l'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

In merito a temi specifici Il PE raccomanda al Consiglio:

in materia di pace e sicurezza, di promuovere la collaborazione di diversi attori nell'architettura della costruzione della pace, in particolare tra il Segretariato delle Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite e gli Stati membri dell'ONU coinvolti in missioni di costruzione della pace;

rafforzare gli sforzi internazionali volti a garantire che tutti i diritti umani riconosciuti dalle convenzioni delle Nazioni Unite siano considerati universali, indivisibili, interdipendenti e correlati; contribuire a rafforzare le capacità nazionali per adempiere agli obblighi internazionali in materia di diritti umani; promuovere ulteriormente l'integrazione dei diritti umani in tutti gli aspetti dell'attività delle Nazioni Unite, ribadendo il fatto che i diritti umani sono indissolubilmente connessi agli altri obiettivi dell'ONU in materia di pace, sicurezza e sviluppo;

continuare a lavorare affinché le persone siano poste al centro del processo di sviluppo; dar seguito alla dichiarazione dell'ONU sul diritto allo sviluppo concentrandosi sui passi concreti per la sua attuazione;   contribuire a potenziare la coerenza delle politiche per lo sviluppo e a migliorare l'efficacia degli aiuti allo sviluppo, che restano questioni centrali per il conseguimento degli OSM;  guidare e accelerare gli sforzi delle Nazioni Unite per il conseguimento degli OSM, concentrandosi in particolare sugli obiettivi rispetto ai quali sono stati finora compiuti i minori progressi;

assumere un ruolo di guida nella governance climatica globale e nella cooperazione internazionale nell'ambito del cambiamento climatico; contribuire a un'architettura istituzionale che sia inclusiva, trasparente ed equa e fornisca una rappresentanza equilibrata sia dei paesi sviluppati che di quelli in via di sviluppo nell'ambito degli organi governativi competenti.

 

Nel documento approvato lo scorso 19 settembre in esito all’esame delle priorità dell'Unione europea per la 67ma sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la Commissione Affari esteri e comunitari ha espresso una valutazione favorevole,impegnando il Governo a continuare a sostenere come obiettivocentrale dell'azione dell'UE in seno all'ONU il conseguimento del seggio europeo nel Consiglio di sicurezza.

Il documento sottolinea che l'impegno in favore di un effettivomultilateralismo, incentrato sulle Nazioni Unite, costituisce elemento centrale della politica estera dell'Unione europea, la quale è, per altro il maggior contribuente del sistema delle Nazioni Unite, in quanto i 27 Stati membri finanziano per il 38 per cento il bilancio ordinario, per più di 2/5 le operazioni di peacekeeping e per quasi la metà i programmi e fondi speciali; segnala inoltre l'esigenza di rafforzare la cooperazione tra UE e ONU nella gestione delle crisi.

Si rileva, altresì, che la tutela dei diritti umani continua a rappresentareuna priorità dell'azione dell'UE nell'ambito dell'ONU. Tale azione deve però essere perseguita con maggiore convinzione e determinazione rispetto a quanto sinora avvenuto anche in seno al Consiglio per i diritti umani di Ginevra, con particolare riferimento alla moratoria della pena di morte, al contrasto della tortura e delle altre pene degradanti, al dialogo in materia di libertà religiosa; alla lotta alla violenza di genere ed all'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.

Nel documento si considera opportuno che, in relazione agli Obiettivi diSviluppo del Millennio, l'UE si prepari alla conferenza di revisione del 2013 tenendo conto dei cambiamenti in atto nello scenario globale che implicano un maggiore coinvolgimento dei paesi emergenti;

Si ritiene, infine necessario un approfondimento sull'efficacia dellemissioni di pace delle Nazioni Unite, anche alla luce di recenti esperienze, e si raccomanda l'adozione di un'incisiva iniziativa dell'UE perchél'ONU prenda una posizione più decisa in merito alla crisi siriana.

 

 

 

 

 


Le relazioni tra l’Unione interparlamentare e le Nazioni Unite
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

A partire dagli anni novanta l’Unione interparlamentare ha dedicato crescenti sforzi per migliorare i propri rapporti con le Nazioni Unite convinta della necessità di realizzare un filo diretto tra l’ONU e i Parlamenti nazionali che la UIP rappresenta. Le Nazioni Unite hanno, a loro volta, riconosciuto l’importante contributo dei Parlamenti nazionali sia nel promuovere iniziative che nel tradurre gli impegni globali in specifiche normative e politiche nazionali.

Le relazioni tra le due Organizzazioni sono state formalizzate nel luglio 1996 con un Accordo di cooperazione e successivamente l’ONU ha riconosciuto alla UIP lo status di osservatore (ris. A 57/32 del 19 novembre 2002). Con una successiva risoluzione (A 57/47 del 21 novembre 2002) l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha autorizzato la circolazione dei documenti ufficiali della UIP in occasione delle sessioni dell'Assemblea Generale. Ciò ha consentito all’Unione interparlamentare di farsi conoscere in quel consesso grazie alla diffusione delle risoluzioni adottate nelle Assemblee UIP e nelle riunioni specializzate e di contribuire in maniera più incisiva ai lavori delle Nazioni Unite.

Nel 2002 la UIP, nell’ambito di una più stretta collaborazione con l’ONU, ha aperto a New York un proprio Ufficio: l’Ufficio dell’Osservatore permanente (OPO), il cui Direttore è l’Ambasciatore rumeno, Signora Anda Filip. Il mandato dell’Ufficio riguarda tre aspetti: rappresentanza, informazione e comunicazione, sostegno a progetti. In particolare, l’Ufficio rappresenta la UIP nelle riunioni degli organi ONU di cui segue i dibattiti e le iniziative; sostiene la posizione dell’Unione interparlamentare nell’Assemblea generale e nei suoi organi sussidiari; coordina le giornate parlamentari e gli altri eventi UIP che si svolgano al Quartier generale dell’ONU; assicura la circolazione di informazioni sull’Unione e sulle sue principali attività; facilita lo scambio di informazioni identificando possibili nuovi campi di collaborazione, sviluppa le relazioni con il Congresso degli Stati Uniti a Washington.

Da parte sua il Consiglio[42] dell’Unione interparlamentare, nel definire i rapporti tra le due Organizzazioni, ha cercato di disciplinare le modalità di partecipazione della UIP ai dibattiti dell’ONU stabilendo, comeprincipio di base, che solo un membro del parlamento può esprimere le posizioni dell’UIP, una volta ricevuto mandato dall’Organizzazione a tale proposito. Richiamandosi ad esperienze passate, il Consiglio ha inoltre suggerito che il Rappresentante UIP in seno all’ONU possa essere di volta in volta il Presidente del Consiglio, un suo Vice od altro membro del Comitato Esecutivo, oppure anche il Presidente di Parlamento del Paese che ospiti la Conferenza.

Il Consiglio interparlamentare è tornato nuovamente sul tema dei rapporti ONU/UIP in occasione dell’esame del Rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, sullo status dell’attività dell’UIP[43]. Nel documento, il Segretario Generale sottolineava come la partecipazione dell’Unione interparlamentare ai meeting delle Nazioni Unite avesse un duplice, benefico effetto: di intervenire nella fase di decisione in ambito ONU e di favorire l’accoglimento delle decisioni ONU presso le Assemblee parlamentari. Tuttavia, le differenti dimensioni delle due Organizzazioni imponevano, inevitabilmente, delle scelte, dal momento che l’Unione interparlamentare, con la sua organizzazione ed il suo budget, non può occuparsi di tutte le questioni all’ordine del giorno delle Nazioni Unite. Annan suggeriva, quindi, che l’Unione interparlamentare si concentrasse, in via prioritaria, su alcune tematiche specifiche: democrazia, pace e sicurezza, sviluppo sostenibile, commercio e finanza.

Dal canto suo, l’Unione interparlamentare ha deciso di potenziare la cooperazione con le agenzie ONU deputate alla protezione dell’infanzia e alla diffusione dell’AIDS, ovvero con l’UNICEF e l’UNAIDS come peraltro dimostrato dalla sempre più attiva partecipazione alle Conferenze internazionali degli ultimi anni.

A testimonianza della volontà di realizzare una più stretta concertazione tra la UIP e l’ONU, il Consiglio direttivo[44] ha stabilito che l’agenda di lavoro delle tre Commissioni permanenti dell’Unione interparlamentare sia definita sulla falsariga delle priorità individuate a livello di Nazioni Unite, consentendo così un’azione integrata tra le due Organizzazioni. Il Segretariato dell’UIP è quindi chiamato a raccordarsi con il Segretariato delle Nazioni Unite per identificare le priorità delle Nazioni Unite che possano rappresentare la base di lavoro delle Commissioni permanenti dell’Unione interparlamentare.

Di relazioni ONU/UIP si è occupato il cd. Rapporto Cardoso[45] (United Nations High Level Panel on relations between the United Nations and civil society). Il documento è stato esaminato sia nell’ambito dell’Unione interparlamentare che nell’ambito dellaII Conferenza mondiale dei Presidenti dei Parlamenti ed ha suscitato perplessità e preoccupazione. Nelle conclusioni, il Gruppo di esperti che ha elaborato il documento proponeva di istituire dei comitati parlamentari che dovevano agire sotto la direzione di organizzazioni inter-governative, quali appunto le Nazioni Unite. Tale proposta non rispettava, secondo l’Unione interparlamentare, i più elementari principi di separazione ed indipendenza dei poteri, come pure i principi di trasparenza e legittimità democratica. Criticata è stata inoltre la proposta di istituire dei meccanismi parlamentari all’interno delle Nazioni Unite pressoché identici a quelli già esistenti all’interno dell’UIP.

Tuttavia, prendendo spunto dalle raccomandazioni del Panel Cardoso sul coinvolgimento dei parlamentari nell’attività delle Nazioni Unite, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una Risoluzione sulla Cooperazione tra le Nazioni Unite e l’Unione interparlamentare (ris.A59/19 dell’8 novembre 2004) in cui si incoraggiano le due Organizzazioni a continuare a cooperare, soprattutto nei settori della pace e della sicurezza, dello sviluppo economico e sociale, dei diritti umani, della parità dei sessi, in considerazione dei significativi benefici che derivano dalla reciproca collaborazione.

Come suggerito dalla risoluzione del 2004, il tema della cooperazione UIP/ONU è stato inserito nell’ordine del giorno della 61ma Sessione dell’Assemblea generale che, lo scorso 20 ottobre 2006, ha approvato la risoluzione A/RES/61/6  sulla cooperazione tra le Nazioni Unite e l’Unione interparlamentare. Il tema centrale della risoluzione è costituito dal riconoscimento che la giornata parlamentare UIP/ONU è un evento congiunto delle due Organizzazioni, formalmente inserito nell’ordine del giorno dell’Assemblea. La decisione conferisce un ulteriore riconoscimento allo status dalla UIP e permette anche di risolvere alcune difficoltà relative all’accesso alle riunioni di tutte le delegazioni. La risoluzione chiede inoltre che siano presi accordi formali per la consultazione e la cooperazione tra le due Organizzazioni. Si auspica anche una più stretta collaborazione tra le due Organizzazioni in seno ai nuovi organi delle Nazioni Unite: il Consiglio dei diritti umani, la Commissione per la costruzione della pace e il Fondo delle Nazioni Unite per la Democrazia, organi tutti creati sulla base del principio che pace e sviluppo sostenibile non possono essere conseguiti senza l’apporto delle istituzioni rappresentative. In tal senso il Consiglio dell’UIP ha adottato una decisione in occasione della 115ma Assemblea[46].

La più recente novità nell’ambito delle relazioni UIP-ONU è rappresentata dalla creazione della Commissione sugli Affari delle Nazioni Unite  (IPU Committee on UN Affairs),una Commissione plenaria di cui fanno parte due parlamentari per delegazione uno in rappresentanza della maggioranza e d uno dell’opposizione. La Commissione, è stata costituita su base sperimentale ed è in attesa di una decisione finale del Consiglio. In linea di principio si riunirà una volta l’anno, in occasione delle sessioni plenarie. Dovrà adottare un proprio regolamento alla stregua di quello delle altre Commissioni dell’Assemblea. Nel suo interno è stato identificato un Comitato ristretto di parlamentari esperti in tema di Nazioni Unite che eserciterà un ruolo di sindacato e controllo sulle attività delle Nazioni Unite. La Commissione si occuperà in particolare di finanziamento allo sviluppo, diritti dell’uomo e funzionamento del nuovo Consiglio dei diritti dell’uomo, fonti di finanziamento delle Nazioni Unite e utilizzo dei fondi, organizzazione delle operazioni di consolidamento della pace. La Commissione  si è riunita per la prima volta a Ginevra nel corso della 117ma Assemblea (8-10 ottobre 2007). In tale occasione l’on. Versnick (Belgio) ha presentato un documento strategico sulla natura delle relazioni tra le Nazioni Unite e i Parlamenti nazionali, approvata dalla Commissione e, in seguito, dall’Assemblea.

La cooperazione tra la UIP e l’ONU include una Giornata parlamentare che si svolge ogni anno alle Nazioni Unite nel corso della Sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Nella XIV Legislatura tali riunioni, cui la Camera ha sempre partecipato con una propria rappresentanza, hanno avuto luogo il 4 dicembre 2001, il 19 novembre 2002, il 27 ottobre 2003, 19-20 ottobre 2004, il 31 ottobre e 1° novembre 2005.

Nella XV legislatura i parlamentari italiani hanno partecipato a due riunioni: il 13 e 14 novembre 2006e vi hanno partecipato il Presidente dell’Unione interparlamentare, on. Pier Ferdinando Casini, e il Presidente del Gruppo italiano, on. Antonio Martino (Forza Italia). Il tema dell’incontro è stato ” La prevenzione dei conflitti e la costruzione della pace: rafforzare il ruolo chiave delle Nazioni Unite”; il 20 e 21 novembre 2007 con la partecipazione degli onn. Gino Capotosti (Misto), Osvaldo Napoli (FI), Antonio Razzi (IdV) e il sen. Mauro Libè (UDC). Si deve sottolineare che dal 2007 la giornata parlamentare viene organizzata congiuntamente dall’ONU e della UIP, in attuazione del nuovo corso di relazioni tra le due Organizzazioni, sancito dalla Risoluzione A/RES/61/6. La riunione ha avuto come tema: “Il ruolo dei Parlamenti nel rafforzare lo stato di diritto nelle relazioni internazionali”.

Nella XVI legislatura la prima riunione cui hanno partecipato i parlamentari italiani si è tenutadal 20 al 22 novembre 2008 e ai lavori hanno partecipato l'On. Antonio Martino (PdL), Presidente del Gruppo Italiano dell’UIP, il Sen. Francesco Amoruso (PdL) e gli Onn. Antonio Razzi (IdV) e Luca Volontè (UDC). Nelle due giornate di lavoro, si è approfonditamente dibattuto sul tema all’ordine del giorno: “Rispetto degli impegni per un reale mantenimento della pace e la prevenzione dei conflitti”.

La riunione che ha avuto luogo il 19-20 novembre 2009 ha avuto come tema “Creare il sostegno politico e rispondere in modo efficace alla crisi economica globale”. Ai lavori ha partecipato l’on. Antonio Razzi ( IdV).

Nel 2010 la riunione si è svolta dal 2 al 3 novembre 2010 ed ha avuto come tema “Verso una ripresa economica: ripensare lo sviluppo e ricreare una governance a livello globale”. Ai lavori hanno partecipato l'Onorevole Antonio Martino (PdL), Presidente del Gruppo Italiano UIP, e gli Onorevoli Elena Centemero (PD), Antonio Razzi (IdV), Marco G. Reguzzoni (LnP) e Luca Volontà (UDC).

L’ultima giornata parlamentare si è svolta dal 28 al 29 novembre 2011 ed il tema all’ordine del giorno è stato “Rafforzare la responsabilità politica per un mondo più prospero e pacifico”. AI lavori hanno preso parte gli onorevoli. Antonio Martino, Presidente del Gruppo italiano all’UIP, e Antonio Razzi.

 

Partecipazione del Parlamento italiano alla giornata parlamentare organizzata in occasione della Sessione annuale della COMMISSIONE SULLO STATUS DELLE DONNE (CSW)

Il Parlamento italiano partecipa altresì alla giornata parlamentare che, a partire dal 2005, la UIP organizza in collaborazione con la Divisione per il progresso delle donne delle Nazioni Unite contestualmente la sessione annuale della CSW.

La Commissione sullo status delle donne (CSW) è stata istituita dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC)[47] con la risoluzione 11 del 21 giugno 1946, come organismo parallelo alla Commissione sui Diritti Umani. Il compito principale della Commissione, il cui mandato è stato esteso nel 1987 (risoluzione ECOSOC 1987/22), è quello di elaborare rapporti e fornire raccomandazioni all’ECOSOC sulla promozione dei diritti delle donne in campo politico, economico, sociale e dell’istruzione. La Commissione presenta, inoltre, raccomandazioni e proposte d’azione al Consiglio su problemi urgenti che richiedono l’immediata attenzione nel settore dei diritti umani[48].

Ogni anno, i rappresentanti degli Stati membri si riuniscono per fare il punto sui progressi riguardanti la parità di genere, per individuare le sfide future, per stabilire gli standard globali e per formulare politiche concrete di promozione della parità di genere e dell’avanzamento delle donne in generale.

La Commissione si riunisce annualmente per un periodo di dieci giorni di lavoro, alla fine di febbraio – inizio marzo.

La Commissione sullo status delle donne ha ricevuto il compito dall’Assemblea Generale ONU di integrare nel suo programma il follow-up della Quarta conferenza Mondiale sulle Donne. A partire dal 1995, quindi, effettua la verifica della attuazione degli obiettivi fissati nella Conferenza di Pechino; ha quindi esaminato numerose delle aree critiche contenute nella Piattaforma stessa, allo scopo di verificare i progressi compiuti e di avanzare le raccomandazioni necessarie per accelerarne l'attuazione[49].

La 56ma Sessione della Commissione si è svolta dal 27 febbraio al 9 marzo 2012. La delegazione italiana era guidata dalla Professoressa Elsa Fornero, Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, con delega alle Pari opportunità. Ai lavori ha partecipato anche una delegazione parlamentare, composta, per la Camera dei deputati, dalle onorevoli Lorena Milanato (PdL) e Sesa Amici (PD), rispettivamente Presidente e componente del Comitato per le pari opportunità della Camera, e dall’on. Maria Rosaria Carfagna (PdL), componente della Commissione Giustizia ed ex Ministro delle pari opportunità; mentre per il Senato erano presenti la Vice Presidente Emma Bonino (PD) e la senatrice Maria Ida Germontani (Per il Terzo Polo: ApI-FLI), rispettivamente Presidente e membrodellaCommissione Pari opportunità di quel ramo del Parlamento.Il 29 febbraio 2012 si è tenuta la giornata parlamentare, organizzata dalla Unione Interparlamentare (UIP) in collaborazione con la Divisione per il progresso delle donne delle Nazioni Unite, che ha avuto come tema: L’empowerment delle donne rurali: quale ruolo per i Parlamenti?

La 55ma Sessione della Commissione si è svolta a New York, nel quartiere generale delle Nazioni Unite, dal 22 febbraio al 4 marzo 2011. Essa ha avuto come oggetto “Accesso e partecipazione delle donne e delle ragazze all’istruzione, la formazione scientifica e tecnologica, compresa la promozione delle pari opportunità nell’impiego e la ricerca di un lavoro dignitoso”. Inoltre, il 25 febbraio si sono tenuti due eventi sulla salute delle madri e dei bambini. In occasione della 55ma sessione è stato inaugurato l’UNWOMEN. Le onn. Lorena Milanato (PdL) e Sesa Amici (PD), designate a partecipare, non hanno potuto prendere parte alla missione per sopraggiunti impegni legati al calendario dell’aula.

La 54ma Sessione della Commissione si è svolta a New York, nel quartiere generale delle Nazioni Unite, dal 1° al 12 marzo 2010. Essa ha avuto come oggetto: “La attuazione della Dichiarazione di Pechino e della relativa Piattaforma di Azione”, a quindici anni dalla loro adozione. L’evento parlamentare si è tenuto il 2 marzo 2010 presso la sede delle Nazioni Unite a New York, ed ha avuto come tema: “Fare rispettare i diritti delle donne quindici anni dopo Pechino: il ruolo dei Parlamenti”.

Si ricorda altresì che la UIP ha organizzato un side-event (evento parlamentare collaterale) il 1° marzo 2010, avente ad oggetto il seguente tema: Il Ruolo dei Parlamenti nella imposizione della legislazione contro la violenza sulle donne. La delegazione italiana alla Conferenza di New York è stata guidata, come nelle sessioni precedenti, dal Ministro per le pari opportunità, Maria Rosaria Carfagna. Ai lavori ha partecipato anche una delegazione parlamentare, composta, per la Camera dei deputati, dalla Presidente Lorena Milanato (PdL) e dall’on. Emilia Grazia De Biasi (PD), rispettivamente Presidente e componente del Comitato per le pari opportunità della Camera; mentre per il Senato ha partecipato la senatrice Anna Maria Serafini (PD), Vicepresidente della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, non avendo potuto la senatrice Laura Bianconi (PdL),componente la medesima Commissione, prendere parte all’evento.


Approfondimenti geopolitici

 


Scheda paese politico-istituzionale sulla Federazione russa
(a cura del Ministero degli Affari esteri)

FEDERAZIONE RUSSA[50]

 

http://www.fieldhockey.ca/e/nationalteams/women/SA%20Tour%20Feb%2008/WomensSouthAfricanTourFebruary2008.htm

 

Map of Russia

 

DATI GENERALI

Superficie

17.075.000 Kmq

Capitale

Mosca (oltre 10 milioni di abitanti)

Abitanti

138,082,178 (stime luglio 2011)

Lingua

Russo

Tasso crescita popolazione

-0.48% (stime luglio 2011)

Aspettativa di vita

totale: 66,46 anni (stime 2011)
uomini: 60,11 anni - donne: 73,18 anni

Tasso alfabetizzazione

99,4%

Composizione etnica

Russi 79.8%, Tatari 3.8%, Ucraini 2%, Bashkiri 1.2%, altri 13,2% (2002)

Religioni praticate

Russi Ortodossi 15-20%, Musulmani 10-15%, altri Cristiani 2% (stime 2006 sui praticanti)

 

 

 

 

PRINCIPALI CARICHE DELLO STATO

Presidente della Federazione russa

Vladimir Vladimirovich PUTIN (dal 7 maggio 2012)

Presidente della Duma

Sergey NARYSHKIN

Presidente del Consiglio della Federazione

 

Valentina MATVIENKO

 

 

 


 

COMPOSIZIONE DEL GOVERNO*

 

Presidente della Federazione Russa

 

Vladimir Vladimirovich PUTIN (dal 7 maggio 2012)

 

 

 

Primo Ministro

Dmitriy Anatolievich MEDVEDEV (8 maggio 2012)

Primo Vice Primo Ministro

Igor Ivanovich SHUVALOV

(competente per questioni finanziarie e privatizzazione)

Vice Primo Ministro

Vladislav SURKOV (Capo dell’Apparato di Governo)

Vice Primo Ministro

Arkadiy Vladimirovich DVORKOVICH

(competente per industria, energia e agricoltura)

Vice Primo Ministro

Olga Yurievna GOLODETS

(competente per gli affari sociali)

Vice Primo Ministro

Dmitriy Nikolaievich KOZAK

(competente per sviluppo regionale e Olimpiadi Sochi 2014)

Vice Primo Ministro

Dmitriy Olegovich ROGOZIN

(Rappresentante presidenziale per la Difesa Missilistica, la Transnistria el’industria Militare)

Vice Primo Ministro

Aleksandr Gennadievich KHLOPONIN

(Rappresentante Presidenziale nel Caucaso Settentrionale)

Ministro degli Affari Esteri

Sergei ViktorovichLAVROV

Ministro della Difesa

Anatoliy Eduardovich SERDYUKOV

Ministro degli Affari Interni

Vladimir Aleksandrovich KOLOKOLTSEV

Ministro della Giustizia

Aleksandr Vladimirovich KONOVALOV

Ministro per la Difesa Civile, le Emergenze e le Catastrofi

Vladimir AndrieievichPUCHKOV

Ministro delle Finanze

Anton Germanovich SILUANOV

Ministro dell’Industria e del Commercio

Denis Valentinovich MANTUROV

Ministro dello Sviluppo Economico

Andrei RemovichBELOUSOV

Ministro delle Risorse Naturali e della Protezione Ambientale

Sergei Efimovich DONSKIY

Ministro dell’Energia

Aleksandr ValentinovichNOVAK

Ministro dell’Agricoltura

Nikolai Vasilevich FYODOROV

Ministro dei Trasporti

Maksim Yurievich SOKOLOV

Ministro per lo Sviluppo Regionale

Oleg MarkovichGOVORUN

Ministro per lo Sviluppo

per l’Estremo Oriente

Viktor IvanovichISHAEV

Ministro delle Comunicazioni e dei Mezzi di Comunicazione di Massa

Nikolai Anatolievich NIKIFOROV

Ministro della Cultura e del Turismo

Vladimir Rotislatovich MEDINSKIJ

Ministro dell’Educazione,

delle Scienze e

delle Problematiche Giovanili

Dmitriy Viktorievich LIVANOV

Ministro della Sanità

Veronika Igorievna SKVORTSOVA

Ministro del Lavoro e della Sicurezza Sociale

Maksim Anatolievich TOPILIN

Ministro dello Sport

Vitaliy LeontievichMUTKO

Ministro (senza portafoglio) per i Rapporti con il “Governo Aperto”

Mikhail Anatolievich ABYZOV

 


 

PROSSIME ELEZIONI

Elezioni presidenziali

Marzo 2018

durata del mandato: 6 anni

ultime elezioni: 4 marzo 2012

Elezioni legislative

Dicembre 2016

durata del mandato: 5 anni

ultime elezioni: 4 dicembre 2011

 


QUADRO POLITICO

 

 

Elezioni presidenziali (4 marzo 2012)

Vladimir PUTIN (Russia Unita)

63,6%

Gennady Andreyevich ZYUGANOV (Partito comunista)

17,18%

Mikhail Dmitrievitch PROKHOROV (indipendente)

7,98%

Sergey Mikhailovich MIRONOV (Russia giusta)

3,85%

 

Composizione della Duma (elezioni del 4 dicembre 2011)[51]

 

Partiti politici

seggi

Voti %

Russia Unita

238

50,10

Partito comunista

92

19,19

Una Russia giusta

64

13,46

Partito liberal democratico

56

11,86

Totale

450

-

 

 


QUADRO ISTITUZIONALE

 

 

 

Sistema politico

 

La Russia è uno Stato federale democratico con la forma repubblicana di governo. L’attuale Costituzione della Repubblica è stata adottata, con referendum,il 12 dicembre 1993 ed è stata emendata il 30 dicembre 2008 (vedi infra).

La Federazione Russa è composta da 83 soggetti (21 repubbliche, 9 kray, 46 regioni, 1 regione autonoma e 4 distretti autonomi) compreso due città federali di Mosca e San Pietroburgo.

 

Presidente della Repubblica

 

Il Presidente della Federazione russa è il Capo dello Stato e garante della Costituzione. Le modiche alla Costituzione approvate nel dicembre 2008 hanno portato il mandato presidenziale da quattro a sei anni (tale modifica sarà applicabile a partire dalle prossime elezioni).

Il Presidente della Federazione non può essere rieletto per più di due mandati consecutivi e gode dell'immunità.

Al Presidente della Federazione russa sono riconosciuti ampi poteri normativi, di indirizzo della politica interna ed estera: nomina in accordo con la Duma di Stato, il Presidente del Governo della Federazione e il Presidente della Banca Centrale e ha il diritto di presiedere le sedute del Governo federale.

Nomina e presiede il Consiglio di sicurezza, nomina e revoca il comando supremo delle Forze armate. Indice le elezioni. Scioglie la Duma di stato in conformità a quanto prevede la Costituzione. Firma e promulga le leggi federali Esercita la direzione della politica estera e dichiara lo stato di guerra.

A seguito della formazione di sette grandi distretti amministrativi, il Presidente della Repubblica ha anche il potere di nominare i sette Rappresentanti speciali che hanno il compito di assicurare l’applicazione delle leggi federali nei soggetti della Federazione e di vigilare sull’operato dei Governatori.

Sulla base delle modifiche legislative del 2004[52] alla legge relativa ai “Principi generali dell’organizzazione degli organi legislativi del potere statale dei Soggetti della Federazione russa”, spetta al Presidente designare (ed eventualmente rimuovere) i Governatori della Federazione. Il candidato designato è sottoposto alla ratifica delle Assemblee regionali. Se queste per due volte esprimono un voto negativo, possono essere sciolte con decreto presidenziale.

Fra gli organi dell’Amministrazione presidenziale si segnala il Consiglio di Sicurezza Nazionale[53] che riferisce direttamente al Presidente in ordine alle politiche strategiche e di sicurezza da adottare, sia in politica estera, sia in politica interna.

 

 

Parlamento

 

L’Assemblea federale si compone di due camere, la Duma di Stato ed il Consiglio della Federazione.

 

La Duma di Stato si compone di 450 membri, eletti a suffragio universale, sulla base di un sistema interamente maggioritario (con sbarramento al 7%)[54].

 

Secondo quanto stabilito dalla modifica costituzionale di dicembre 2008, il mandato della Duma, a partire dalla prossima legislatura, viene prolungato da quattro a cinque anni. L’attuale Duma è stata eletta il 4 dicembre 2011.

 

Il Consiglio della Federazione è composto da 168 membri: due rappresentanti di ogni soggetto della Federazione russa (Repubbliche, regioni e territori autonomi, province), uno in rappresentanza dell’organo legislativo e l’altro per l’organo esecutivo. A partire dal 2002 dei due membri chiamati a rappresentare i “soggetti della Federazione” in seno al Consiglio della Federazione, uno è designato dal Governatore con il consenso dell’Assemblea legislativa locale e l’altro è eletto direttamente da quest’ultima. L’inizio del loro mandato dipende dalle elezioni delle singole entità federate.

 

Procedimento legislativo

 

Le leggi federali sono approvate dalla Duma di Stato a maggioranza dei voti del numero complessivo dei deputati della Duma, ove non previsto diversamente dalla Costituzione. La Duma le trasmette entro cinque giorni al Consiglio della Federazione. Una legge federale si considera approvata dal Consiglio della Federazione se a favore di essa ha votato più della metà del numero complessivo dei Membri di questa Camera, oppure se nel corso di quattordici giorni essa non è stata esaminata dal Consiglio della Federazione.

In caso di rigetto di una Legge federale da parte del Consiglio della Federazione, le Camere possono costituire una Commissione di Conciliazione per il superamento dei dissensi, dopo di che la Legge federale viene sottoposta ad un ulteriore esame da parte della Duma di Stato.

Se persiste il disaccordo tra le due Camere, una Legge federale si considera approvata se alla votazione reiterata a favore di essa hanno votato non meno di due terzi del numero complessivo dei Deputati della Duma di Stato.

Per approvare una legge costituzionale è necessaria una maggioranza di non meno di tre quarti del numero complessivo dei membri del Consiglio della Federazione e di non meno di due terzi di quelli della Duma di Stato.

 

 

Governo

 

Il Governo della Federazione Russa è composto dal Presidente del Governo della Federazione Russa, dai Vicepresidenti del Governo della Federazione Russa e dai Ministri federali.

Il Presidente del Governo della Federazione Russa è nominato dal Presidente della Federazione Russa con l'assenso della Duma di Stato. Se la Duma di Stato rifiuta per tre volte la proposta sulle candidature a Presidente del

Governo, il Presidente della Federazione Russa nomina il Presidente dei Governo, scioglie la Duma ed indice nuove elezioni.

Si segnala che nella Federazione russa il Potere esecutivo è ripartito tra un’Amministrazione presidenziale - dotata di un imponente apparato burocratico che spesso si articola in numerosi organi collegiali, e che incide largamente sulla concezione e sullo sviluppo degli indirizzi governativi - e la struttura ministeriale vera e propria, cui spettano concrete prerogative di attuazione a livello tecnico di quegli indirizzi. Di rilievo è la figura del Capo dell’Amministrazione di Governo, che ha il compito di coordinare l’attività del Governo e regolare i conflitti che possono insorgere tra le diverse Amministrazioni.

 

Magistratura

 

Il sistema giudiziario della Federazione Russa è disciplinato dalla Costituzione federale e dalla Legge costituzionale federale. Non è ammessa l’istituzione di Tribunali straordinari. I giudici godono dell’immunità.

La Corte Costituzionale, composta da 19 giudici, controlla la legittimità delle leggi federali, degli atti normativi del Presidente, dei trattati internazionali e degli accordi interni fra i “soggetti” della Federazione.

Particolare importanza riveste il Procuratore Generale, che ha le seguenti funzioni: rappresentare lo Stato nei pubblici processi nonché gli interessi dei cittadini nei casi previsti dalla legge; controllare tutta l’attività investigativa ed accertare eventuali violazioni di legge commesse nell’emanazione di sentenze da parte dei tribunali, vigilare sull’applicazione di misure di coercizione e di limitazione della libertà personale emesse a sfavore dei cittadini. Il Procuratore Generale è nominato e revocato dal Consiglio della Federazione russa, su proposta del Presidente della Federazione. I poteri, l’organizzazione e le modalità di attività della Procura sono stabiliti dalla Legge federale.

 

 


 

ATTUALITA’ DI POLITICA INTERNA ED ESTERA

 

 

Quadro della politica interna

Con le elezioni presidenziali del 4 marzo 2012, si è conclusa la delicata fase di transizione elettorale in Russia. In conformità con le previsioni, è tornato alla Presidenza della Federazione Vladimir Putin (“Russia Unita”), rieletto con il 63,6% dei voti e Dmitriy Medvedev (“Russia Unita”) è stato nominato Primo Ministro.

Alle elezioni, il comunista Zyuganov ha ottenuto il 17,18% delle preferenze, l’oligarca Prokhorov il 7,98%, Zhirinovski il 6,22% (“Partito Liberal Democratico”) e Mironov (leader del Partito “Russia Giusta”) solo il 3,85%.

Secondo l’OSCE, le votazioni si sarebbero svolte in maniera “complessivamente positiva”, ma “distorta” a favore di Putin, con diverse irregolarità procedurali durante la fase del conteggio.

 

Da tempo si registrano rilevanti dimostrazioni di protesta collegate anche allo svolgimento delle elezioni. Dopo le manifestazioni del 10 e 24 dicembre 2011, nonché del 4 febbraio 2012 alla vigilia dell’insediamento di Putin al Cremlino, il 6 maggio 2012, una nuova protesta ha avuto luogo in particolare in Piazza Bolotnaya a Mosca. In tale occasione sono state fermate (e subito rilasciate) circa 650 persone, inclusi i leader del movimento Navalniy, Nemtsov e Udaltsov. L’ultima dimostrazione si è svolta in maniera pacifica il 12 giugno 2012 [55]

 

Il successo elettorale di Putin, incontestabile sul piano politico, costringe l’opposizione a confrontarsi con l’esigenza di darsi una connotazione maggiormente unitaria e programmatica, che superi facili slogan e protagonismi dei singoli leader. Dopo le prime fasi di incertezza, le Autorità hanno saputo alternare aperture ed assertività, fino a promuovere una nuova legge che, semplificando la registrazione di nuovi partiti con l’abbassamento a 500 del numero minimo di iscritti, faciliterà la rappresentanza politica degli interessi sociali ma potrebbe avere anche la conseguenza di frammentare l’opposizione in una miriade di piccole formazioni. Sul piano della governance, complesso è il percorso della legge per l’elezione diretta dei Governatori Regionali. Gli emendamenti introdotti dalla Duma (numero minimo di firme a sostegno dei candidati pari allo 0,5% degli elettori e in rappresentanza di 3/4 dei distretti regionali) hanno ridimensionato fortemente il carattere diretto delle elezioni, introducendo requisiti che solo “Russia Unita” sarebbe in grado al momento di rispettare. In positivo si segnala la possibilità di referendum popolari per la rimozione dei Governatori Regionali, il limite a due mandati e l’elezione a doppio turno. Putin si propone di favorire il processo di sviluppo interno: incremento demografico; sviluppo socio-economico dei territori asiatici; qualificazione dell’occupazione; rafforzamento del sistema economico per fronteggiare shock esterni; consolidamento dello status internazionale del Paese attraverso i processi di integrazione regionale (Comunità Euro-Asiatica, Area di libero Scambio nella CSI, Spazio Economico Comune).

 

Il Primo Ministro Medvedev, che dal 26 maggio 2012 è Presidente del Partito “Russia Unita”, ha presentato la nuova compagine governativa. L’Esecutivo di Medvedev vede confermati nelle posizioni chiave uomini dell’apparato fedeli a Putin: Shuvalov (Primo Vice-Primo Ministro), Lavrov (Affari Esteri), Serdyukov (Difesa). Sotto il controllo del Presidente, in aggiunta ai Dicasteri “di sovranità” (Affari Esteri, Difesa, Interni, Giustizia) subordinatigli costituzionalmente, appare anche buona parte di quelli del “blocco economico”, come Finanze (Siluanov), Industria e Commercio (Manturov) e Sviluppo Economico (Belousov). L’ala medvediana conta sull’economista Dvorkovich, Vice-Primo Ministro per le questioni energetiche ed industriali: questi è stato nominato anche co-presidente del Consiglio di Cooperazione Economica, Industriale e Finanziaria con l’Italia (il cui co-presidente italiano è il Ministro degli Affari Esteri).

 

Le elezioni parlamentari alla Duma del 4 dicembre 2011, con riferimento alle quali l’OSCE ha registrato diverse irregolarità soprattutto nella fase di conteggio dei voti, hanno segnato una sensibile perdita di consensi per il partito “Russia Unita”, che è riuscito tuttavia a mantenere la maggioranza assoluta dei seggi alla Duma. Il Partito comunista ha ottenuto il 19,19% dei consensi e “Russia Giusta”(di vago orientamento social-democratico) di Levichev, ha registrato risultati molto positivi, divenendo, con il 13,24% dei voti, il terzo Partito davanti ai Liberal-Nazionalisti diZhirinovski. Nettamente sconfitta è apparsa invece la “galassia” dei partiti liberali, vittima di divisioni e personalismi: “Yabloko” ha ottenuto un modesto 3,43% dei consensi, e il Partito della destra liberale “Giusta Causa” si è attestato allo 0,97%, rimanendo entrambi esclusi dalla Duma.

 

 

Quadro della politica estera

Su scala globale, la Russia è fautrice di un ordine mondiale multipolare, secondo un approccio “multivettoriale” (così definito da Medvedev) ancorato al ruolo centrale delle Nazioni Unite, e intende salvaguardare uno status paritario rispetto agli altri principali attori globali (USA-UE-Cina).

A questi indirizzi Mosca ispira la propria azione sia in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sia nei principali fori di governance internazionale di cui fa parte (non solo il G8 ed Riduci a iconail G20, ma anche i formati di raccordo con le economie emergenti quali il BRICS – Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa - con i quali Mosca promuove una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale).

Lo “status” di attore globale che la Federazione Russa ha già riacquistato le garantisce un ruolo nei consessi in cui vengono trattate le principali questioni regionali (EU3+3 per l’Iran; colloqui esapartito per la Corea del Nord; Quartetto per il Medio Oriente; Gruppo di Contatto sulla Bosnia; Discussioni di Ginevra per Abkhazia e Sud Ossezia; Gruppo di Minsk per il Nagorno-Karabakh).

Da registrare anche un rinnovato attivismo sia nei confronti dell’America Latina (con la ripresa dal 2008 dei contatti al più alto livello con molti Paesi della regione ed il rilancio della cooperazione economica su basi pragmatiche) sia dell’Africa, dove Mosca cerca di recuperare almeno parte dei legami affievolitisi dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

La determinazione a mantenere un ruolo di grande potenza globale deve tuttavia fare i conti con i vincoli imposti da un sistema economico che soltanto con affanno riesce a conciliare sviluppo sociale, industriale e infrastrutturale con il finanziamento di un'adeguata capacità di difesa. L’obiettivo di modernizzare il sistema ereditato dall’URSS risponde anche ad un’esigenza strategica nella partnership con UE e USA costituendo la condizione per avere accesso a risorse e a capacità tecnologiche.

 

I rapporti di collaborazione fra UE e Russia, legate da un partenariato strategico fondato sull’interdipendenza e la comunanza di interessi (l’UE è al primo posto nell’interscambio commerciale), si articolano nell’ambito dei Quattro Spazi Comuni (Economico; di Libertà, Sicurezza e Giustizia; di Sicurezza Esterna; di Ricerca, Istruzione e Cultura) previsti dall’Accordo di Partenariato e Cooperazione (scaduto il 1° dicembre 2007 e prorogato in attesa dell’entrata in vigore di un “Accordo di partenariato rafforzato” il cui negoziato è attualmente in corso).

Se il Vertice UE-Russia del 4-5 giugno 2012 ha sostanzialmente riportato un’atmosfera positiva ed un atteggiamento non confrontativo del Presidente Putin riguardo le questioni delicate (“dossier energetici”, questione dei visti, Accordo-Quadro, ecc. ) il Vertice (15 dicembre 2011) ha segnato progressi non solo sull’adozione dei “common steps” verso una futura liberalizzazione dei visti ma anche sull’adesione di Mosca al WTO.

 

A tal proposito, l’Accordo di adesione della Federazione Russa al WTO, firmato a Ginevra in data 16 dicembre 2011, è stato ratificato dalla Duma il 21 luglio 2012. Dopo 18 anni di negoziati, la Russia diverrà effettivamente il 156° Paese membro del WTO il 23 agosto 2012. Nonostante esistano numerose incognite in particolare riguardo l’attuazione degli impegni, l’ingresso russo nel sistema multilaterale degli scambi rappresenta un notevole passo avanti in termini di sviluppo del processo di modernizzazione del Paese e di miglioramento del clima degli investimenti.[56]

 

Si è assistito negli ultimi anni ad un rilancio delle relazioni russo-americane (il c.d. “reset”). Significativo di tale fase dei rapporti tra i due Paesi è stato, in particolare, l’accordo sul Trattato successore dello START, firmato l’8 aprile 2010 a Praga ed entrato in vigore l’1 febbraio 2011. Si segnala inoltre il positivo andamento dei negoziati sui visti tra i due Paesi, e l’esplicito riconoscimento ad Obama da parte di Medvedev (giugno 2011) del merito di aver promosso il miglioramento dei rapporti bilaterali. Tuttavia, lo stallo nel negoziato sulla Difesa Missilistica ha fatto registrare un progressivo irrigidimento delle posizioni russe e delle prese di posizione critiche nei confronti di Washington, accusata di non tenere conto delle sensibilità ed esigenze di Mosca al riguardo. Da segnalare inoltre il rammarico russo per le critiche espresse dal Segretario di Stato Clinton circa la regolarità del voto per il rinnovamento della Duma (4 dicembre 2011).

 

 

Per quanto concerne i rapporti con la Cina, l’eventuale emergere di un G2 (USA-Cina) non potrebbe non preoccupare Mosca, come non può passare inosservato il mutato rapporto di forza – a favore della Cina – in campo economico. Su questo versante, il tema energetico è fondamentale: all'intesa sull'oleodotto ESPO (Siberia Orientale – Oceano Pacifico)[57] del febbraio 2009, si è aggiunto un accordo quadro tra China National Petroleum Corporation e Gazprom sulle forniture di gas che quest’ultima dovrebbe fornire per un trentennio a partire dal 2015, di circa 30 miliardi di metri cubi annui lungo due direttrici, quella occidentale (Siberia centrale) e quella orientale (Sakhalin). Inoltre, vale la pena segnalare il recente inserimento del progetto di gasdotto “Altai” tra le iniziative prioritarie del Governo russo da avviare tra il 2015 ed il 2018. Tra le due economie vi è dunque un notevole potenziale di complementarietà (risorse naturali / prodotti industriali) anche se sussistono non trascurabili elementi di divergenza, a cominciare dalla competizione in Asia Centrale, dallo squilibrio demografico e dal crescente interesse di Pechino verso i Paesi europei della CSI.  Inoltre, la dinamica commerciale continua a far registrare sostanziosi passivi per la Russia.

 

Per quanto riguarda l’India, malgrado i recenti arretramenti dell’industria bellica russa nel Paese, si registra un progressivo avvicinamento verso Nuova Delhi in funzione di bilanciere rispetto al peso cinese, tanto da auspicarne non solo l’ingresso nella SCO, ma anche un più deciso ruolo in seno alla riforma del Consiglio di Sicurezza.

 

Su scala regionale, la priorità russa è quella di salvaguardare una sfera di influenza nelle regioni dello spazio ex-sovietico (Paesi del Vicinato) strategicamente importantiancheper l’approvvigionamento e/o per il trasporto di idrocarburi, settore quest’ultimo che rappresenta il principale volano dello sviluppo economico russo. In tale contesto, il contestato allargamento della NATO a Ucraina e Georgia ha rappresentato a suo tempo un gravissimo motivo di contrasto fra Mosca e la comunità euro-atlantica, in parte rientrato dopo il vertice di Lisbona del novembre 2010. Significative incomprensioni con Mosca a seguito del Vertice di Chicago su Difesa missilistica e Georgia sono state evitate, essendo i russi già informati dei contenuti dei documenti finali prima della loro approvazione.

 

Le relazioni con la Georgia rimangono tese dopo la guerra dell’agosto 2008 e la successiva firma del cessate il fuoco che ha istituito le Discussioni di Ginevra. L’esercizio ginevrino, co-presieduto da UE, OSCE e ONU, prevede discussioni a cadenza bimestrale sulla sicurezza (non uso della forza) e sulle questioni umanitarie (sfollati e rifugiati). A oggi non si sono registrati sostanziali progressi per la definizione dello status delle Repubbliche separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud. D'altro canto le rinnovate accuse ai servizi georgiani di collaborare con il terrorismo nord-caucasico (per possibili attentati in occasione dell’Olimpiadi di Sochi 2014) contribuiscono a mantenere elevata la tensione tra Mosca e Tbilisi.

 

Oltre al Caucaso meridionale, ha un alto valore strategico – principalmente per gli interessi in campo energetico - l’Asia Centrale, nei cui confrontila Russia si è posta in un’ottica di contenimento della crescente influenza cinese e in parte anche occidentale. Strumenti importanti per la proiezione russa nell’area sono alcune organizzazioni regionali: la CSI, la CSTO (oggetto da alcuni anni di ambiziosi programmi di riforma), l’EurAsEc, l’Unione Doganale (ora Spazio Economico Comune) e l’Area di Libero Scambio in ambito CSI. L’atto istitutivo di quest’ultima è stato sottoscritto il 17 ottobre 2011 da Russia, Moldova, Ucraina, Belarus, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tagikistan e Armenia. Russia, Kazakistan e Bielorussia hanno inoltre firmato a San Pietroburgo il 18 novembre 2011 un accordo che ha istituito una Commissione Economica Eurasiatica, primo organo di un’Unione Eurasiatica da istituirsi entro il 2015. Tagikistan e Kyrgyzstan manifestano interesse ad aderirvi. Si registra inoltre un’evidente pressione di Mosca sull’Ucraina affinché a sua volta vi si associ.

 

 

 

QUADRO ECONOMICO

 

 

PRINCIPALI INDICATORI ECONOMICI[58]

 

PIL, a parità di potere di acquisto (2011)

2.414 miliardi di dollari

Composizione per settore

Agricoltura 4,5%, industria 36,9%, servizi 58,6%

Crescita PIL

4%

PIL pro capite, a parità di potere di acquisto

17.000 dollari

Inflazione (%)

8,4%

Tasso di disoccupazione

6,6%

Tasso di povertà

13,1%

Debito estero

519,4 miliardi di dollari

 

Dopo un periodo di crescita sostenuta, nel 2009 la Federazione Russa ha risentito duramente degli effetti della crisi finanziaria internazionale. Nel 2010 e 2011 si è registrata una ripresa, con tassi annui di crescita del 4,3 %, grazie anche al positivo andamento delle esportazioni, della dinamica dei consumi e degli investimenti ed al forte recupero nel campo dell’agricoltura. Attestatosi al -4% nel 2010, nel 2011 il bilancio federale ha fatto registrare un avanzo primario (10,6 MEuro).

L’aumento della domanda internazionale di idrocarburi e delle loro quotazioni ha sostenuto le esportazioni russe (+30,19%) e visto un aumento delle importazioni (29,6%). Si è assistito, però, anche ad un forte deflusso di capitali verso l’estero (superiore a quello del 2010) con un saldo netto pari a – 49,3 mld $. Le riserve in valuta e in oro hanno raggiunto i 545 mld $.

Data la ripresa dell’economia, si è registrata una costante diminuzione della disoccupazione: 6,6% nel 2011 (7,5% nel 2010). L’inflazione si è attestata all’8,4% nel 2011 (6,9% nel 2010). Secondo i dati EIU, il rapporto Debito-PIL nel 2011 è stimato all’8,3% (contro il 9,4% del 2010).

Gli Investimenti Diretti Esteri (IDE) - secondo i dati del Servizio Federale di Statistica russo (Rosstat) – sono aumentati del 43,19% tra i primi 9 mesi del 2011 e lo stesso periodo del 2010. Il più recente rapporto “Doing Business” (2011) della Banca Mondiale colloca la Russia al 120° posto su 183 Paesi.

Vanno menzionate tra le debolezze del modello di sviluppo economico russo la scarsa diversificazione del tessuto produttivo, dipendente dall’estrazione e dall’esportazione di materie prime; l’ obsolescenza della rete infrastrutturale; i disequilibri socio-economici (tra fasce di popolazione e all’interno dei molteplici territori); l’alto tasso di corruzione e l’inefficienza dell’apparato pubblico.

A fine giugno 2011 è stato presentato il “Fondo Russo per gli Investimenti Diretti” con lo scopo di contribuire a convogliare maggiori capitali verso il Paese e stimolare altresì la diversificazione del tessuto economico. Il Fondo mira al finanziamento di investimenti di lungo periodo, che garantiscano diversificazione e stabilità al sistema economico russo. L’“endorsement” del progetto da parte di Medvedev e Putin consente di auspicare che gli investimenti stranieri cofinanziati dal Fondo godranno di particolare protezione. L’Indice di Sviluppo Umanodella Federazione Russa calcolato dall’UNDP per il 2011 è 0,755 e colloca questo Paese al 66° posto, preceduto dal Belarus e seguito da Grenada. Nel 2010 il Paese si trovava in 65° posizione.

La Russia continua ad essere il primo esportatore al mondo di prodotti petroliferi grezzi e raffinati. La produzione di petrolio ha raggiunto nel settembre 2011 un nuovo massimo storico dalla fine dell’URSS raggiungendo i 10,34 mln di barili al giorno (10,156 mln nel 2010), mentre quella del gas ha subito una riduzione (1,59 mld m³ al giorno  rispetto ai 2,03 mld/2010). Secondo dati di fonte russa, nella struttura merceologica delle esportazioni russe la quota principale è rappresentata dagli idrocarburi (69% del totale); il secondo posto spetta ai metalli e prodotti derivati dalla loro lavorazione (9%); le restanti voci sono costituite dai prodotti dell’industria chimica, dai macchinari, delle attrezzature e dai mezzi di trasporto, dal settore agroalimentare, da legno e cellulosa. Le importazioni sono composte maggiormente da macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto (45%), alimentari e risorse dell’agricoltura (16%), prodotti dell’industria chimica (15%).

Va poi rilevata la costituzione (08.02.12) dell’Agenzia russa per il credito all’esportazione, “EXIAR” (Russian Agency for Export Credit and Investment Insurance), che rappresenta uno sviluppo rilevante anche nei rapporti italo-russi. La SACE, infatti, ha concluso con essa un accordo di collaborazione che prevede per l’agenzia italiana un ruolo di “advisor”.


La crisi siriana: ultimi sviluppi
(aggiornamento al 18 settembre 2012)
(a cura del Servizio Studi del Senato)

Dall'agosto 2011 i paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, premono, insieme alla Lega Araba e alla Turchia, perché il leader siriano Assad prenda atto delle aspirazioni di riforma democratica del popolo siriano e ceda il passo alla formazione di un governo di unità nazionale. Nel senso di una forte pressione sul regime si muovono anche gli "Amici del popolo siriano" che dall'iniziale numero di 60 Stati sono passati a 107.

Russia, Cina e Iran si oppongono invece ad ogni azione coercitiva, comprese le sanzioni, e respingono la tesi, abbracciata da Stati Uniti ed Unione europea, che le dimissioni di Assad siano ormai una precondizione per l’avvio di una transizione politica nel paese. Gli interessi strategici di questo gruppo di Paesi, due dei quali con potere di veto in Consiglio di sicurezza, sono ben noti. L'Iran mantiene la tradizionale stretta alleanza con il regime alawita ai fini di una proiezione d'influenza non solo sulla Siria ma anche sulle forze Hezbollah in Libano. La Cina, che dal 2009 rappresenta il maggior partner  commerciale dell’Iran, è spinta dalle crescenti necessità di petrolio verso la difesa del regime di Assad in Siria, con l’intento di evitare di isolare la Repubblica Islamica dal resto della regione. Infine la Russia vuole mantenere un ruolo in Medio Oriente tramite l'alleata Siria che, ospitando la base navale russa di Tartus, le consente anche di mantenere un accesso al Mediterraneo.

 

Nel febbraio 2012 Nazioni Unite e Lega araba avevano designato Kofi Annan come Inviato Speciale congiunto, con il compito di promuovere una soluzione diplomatica in grado di porre fine alle violenze. Alla fine di marzo 2012 Annan aveva presentato il suo Piano in sei punti, ottenendo il sostegno del Consiglio di sicurezza e degli stessi siriani. Il Piano Annan si prefiggeva, tramite l'instaurazione di un dialogo tra governo siriano e l'intero spettro dell'opposizione siriana, di porre immediatamente fine a qualsiasi violenza e violazione dei diritti umani, garantendo piena autonomia alle operazioni umanitarie, e agevolando la transizione politica a guida siriana verso un sistema politico democratico e pluralista in grado di garantire l'uguaglianza dei cittadini.

Al fine di monitorare e sostenere la piena attuazione del Piano, nonché al fine di monitorare la cessazione della violenza armata in ogni forma e da parte di tutte le parti in causa, con la Risoluzione 2043(2012)  del 21 aprile 2012 del Consiglio di Sicurezza veniva istituita una missione di 300 osservatori militari delle Nazioni Unite United Nations Supervision Mission in Syria (UNSMIS).

L'Italia assicurava alla missione la partecipazione di personale militare (in data 15 maggio partivano i primi 5 osservatori militari) nonché il trasporto aereo di mezzi ed equipaggiamenti destinati alla missione in Siria, realizzato con i velivoli della 46° Brigata Aerea di Pisa.

Tuttavia, il piano Annan, pur stabilendo un momentaneo cessate-il-fuoco e consentendo, nonostante le numerose violazioni, il dispiegamento di 300 osservatori ONU, non è riuscito a portare ad una stabilizzazione del paese e, dopo l’uccisione di 108 persone nella regione di Hula da parte delle forze armate siriane (25 maggio 2012), è apparso perdere ogni concreta possibilità di attuazione. Il 16 giugno la UNSMIS aveva dovuto sospendere le proprie attività per l'impossibilità di procedere nel proprio impegno, sia per ragioni di sicurezza del personale, sia per la constatazione della totale indifferenza del regime ad attuare il Piano Annan. Palese - nelle parole del Ministro degli affari esteri Giulio Terzi[59]-  era anche la constatazione della "mancanza di buona fede del regime[60]" che, in un crescendo di repressioni e violenze, si limitava a dare una risposta "cosmetica" alle aspirazioni della comunità internazionale tramite il referendum costituzionale del 26 febbraio, le elezioni del 7 maggio e la formazione del nuovo governo del 23 giugno.

Dato il perdurante veto di Russia e Cina ad una nuova proposta di risoluzione che ponesse il piano Annan sotto il Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, il 20 luglio il Consiglio di sicurezza dell'ONU riusciva solo ad approvare una risoluzione che si limitava a stabilire l'ultima proroga di 30 giorni del mandato della missione di osservatori in Siria. Pertanto il 19 agosto UNSMIS ha terminato il suo mandato. Frattanto il 2 agosto Kofi Annan si dimetteva dall'incarico ed il 17 veniva nominato Lakhdar Brahimi come nuovo Inviato Speciale congiunto di Nazioni Unite e Lega Araba.

Con l'esplosione tra giugno e luglio delle ostilità a Damasco ed Aleppo, principali centri politici ed economici del regime, si è avuta un'escalation di violenza che, da una parte, ha registrato una vasta azione coordinata da parte delle milizie dell'Esercito libero siriano e, dall'altra, una dura reazione delle forze lealiste con l'impiego di assetti aerei. Per effetto dei bombardamenti di interi quartieri, dell'impiego dell'artiglieria, degli elicotteri e dei mezzi aerei i massacri di civili hanno assunto - nelle parole del Ministro degli affari esteri Giulio Terzi- "caratteristiche tali da farli apparire come crimini contro l'umanità"[61]. La drammatica accelerazione degli scontri ha provocato notevoli perdite soprattutto tra i civili e fatto aumentare il numero dei profughi verso il Libano, la Turchia, la Giordania, l'Iraq. Si ritiene che il rafforzamento dell'Esercito libero siriano sia stato reso possibile sia dall'arrivo di armi dall'estero - Arabia Saudita e Qatar- sia dal supporto addestrativo -garantito dalla Turchia-  nonché logistico, grazie alla fornitura di apparecchi per le telecomunicazioni, da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna.

Nel mese di agosto, l'azione diplomatica a livello di Nazioni Unite riprende all' Assemblea generale  dell'ONU che approva, con una maggioranza superiore ai 2/3 dei membri, la risoluzione (A/66/L.57)  del 3 agosto, in cui il regime di Assad viene ritenuto il principale responsabile delle violenze e delle sistematiche  gravi violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali e viene chiesto alle parti di impegnarsi a consentire una transizione democratica a guida siriana che vada incontro alle aspirazioni del popolo siriano. Inoltre, il 15 agosto viene pubblicato il rapporto della Commissione d'inchiesta ONU sulla Siria e in particolare sui drammatici fatti di Hula in cui il regime viene individuato come principale responsabile dei massacri, qualificati come crimini contro l'umanità.

Frattanto i paesi occidentali individuano con sempre maggiore chiarezza come l'obiettivo prioritario in vista di una soluzione della crisi siriana sia una transizione politica ad un governo di intesa nazionale senza Assad. Come chiarito dal Ministro Terzi, liberazione del popolo siriano e  stabilizzazione regionale vanno di pari passo[62]. Data l'importanza geostrategica della Siria in Medioriente, una transizione democratica incompiuta condannerebbe la Siria ad una instabilità prolungata che lascerebbe campo libero alle interferenze esterne da parte di forze interessate alla destabilizzazione (Hezbollah, elementi jihadisti simili ad Al-Qaeda) o alla modifica in chiave egemonica degli equilibri regionali (Iran), nonché al pericolo della proliferazione di armi di distruzione di massa (dal momento che la Siria possiede il maggior arsenale di armi chimiche e biologiche in Medio Oriente).

Di fronte alla necessità di accelerare i tempi per fermare il conflitto, la strategia comune agli "Amici del popolo siriano" si sta sviluppando su due fronti tra loro sempre più interconnessi. Nell'immediato, l'assistenza al popolo e all'opposizione siriani per aiutarli a resistere al regime, in tutte le maniere possibili, con la sola eccezione dell'intervento militare, e a prepararsi alla transizione; l'avvio, allo stesso tempo, di piani su come aiutare la Siria nel dopo-Assad, per la sua piena stabilizzazione politica ed economica.

Sul primo fronte, l'Italia continua, in raccordo con la Lega Araba ed i principali partner, l' azione di persuasione sull'opposizione per mettere da parte le restanti rivalità e costituire un cartello politico che possa diventare la base di riferimento per avviare la transizione. L'Italia sta anche considerando, sulla scia di alcuni nostri principali alleati, la fornitura all'opposizione di strumenti di comunicazione utili per poter prevenire attacchi contro civili. Sul piano umanitario, l'Italia partecipa a numerose iniziative in favore dei rifugiati e feriti siriani nei paesi limitrofi, dal Libano, alla Giordania e alla Turchia e, da ultimo, in favore della popolazione di Aleppo.

Sul secondo fronte, il Ministro Terzi ha istituito una Task Force sulla Siria all'interno del Ministero degli Esteri e dato il via ad un apposito Tavolo interministeriale con rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e dei Dicasteri Interno, Giustizia, Difesa, Sviluppo Economico, Beni Culturali, Cooperazione Internazionale. Il suddetto Tavolo, in occasione dell'apertura dei lavori il 3 settembre 2012, ha ribadito che la priorità assoluta per l’azione di tutta la comunità internazionale ed anche per l’Italia  è rappresentata dall'emergenza umanitaria. Punto di partenza è il dato allarmante sugli sfollati all’interno del Paese (almeno un milione e mezzo) e sui rifugiati nei Paesi confinanti (oltre 200.000, fra Turchia, Giordania, Libano, Kurdistan iracheno), un aspetto della crisi che, oltre ai suoi dolorosi risvolti umanitari, può ripercuotersi sulla stabilità regionale, ed in prospettiva può costituire anche un elemento di preoccupazione per i flussi migratori verso l’Europa. Tale Tavolo ha anche affrontato il tema della ricostruzione economica della Siria, in considerazione dei tradizionalmente forti legami economici bilaterali, che, prima della crisi, vedevano l’Italia primo partner commerciale del Paese fra gli Europei.

Sul fronte del sostegno attivo alla resistenza siriana, frattanto sembrerebbe delinearsi un meccanismo di coordinamento tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Turchia e Giordania in materia di scambio di informazioni  e di pianificazione, che prevede anche consultazioni con gli Stati del Golfo, l'Arabia Saudita ed il Qatar[63].

 


La crisi siriana: recenti sviluppi (a cura dell’Osservatorio di politica internazionale), settembre 2012

La questione nucleare iraniana: recenti sviluppi (a cura dell’Osservatorio di politica internazionale), settembre 2012

 

 

INSERIRE FILE PDF NOTE OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

 

 


L’evoluzione della situazione in Afghanistan

Il quadro istituzionale

Dal punto di vista della forma dello Stato l’Afghanistan è una Repubblica islamica. Quanto alla forma di governo, il paese sud asiaticoè una Repubblica presidenziale.

Secondo ilrobusto sistema presidenziale delineato dalla Costituzione del 2004 il Presidente è Capo dello Stato e Capo del Governo.

Nell’esercizio del potere esecutivo il Presidente è affiancato da due Vice Presidenti eletti in ticket con lui con voto diretto e sistema maggioritario a doppio turno. Qualora nessun candidato ottenga almeno il 50% dei voti al primo turno, i due candidati più votati passano al ballottaggio. La durata del mandato è di cinque anni, rinnovabile una sola volta. I membri del Governo, che nella composizione riflette tradizionalmente il mix etnico del paese (Pashtun 42%, Tajik 27%, Hazara 9% ed Uzbeki 9% sono i principali gruppi etnici afgani) vengono nominati dal Presidente ed ottengono la fiducia individuale dalla Camera bassa del Parlamento. Anche altre significative decisioni del Presidente, quali le nomine delle massime autorità dello stato, i decreti e la firma di trattati, devono essere sottoposti alla Wolesi Jirga, che ha il diritto di rigettarle. Il Presidente può rinviare le leggi al Parlamento, ma è tenuto a promulgarle se questo le riapprova con una maggioranza qualificata.

Il potere legislativo è esercitato dal Parlamento bicamerale composto dalla Meshrano Jirga o House of Elders e dalla Camera bassa Wolesi Jirga (House of People). I titolari dei 102 seggi della Camera Alta sono eletti per un terzo dai 34 consigli provinciali, con mandato di quattro anni, per un terzo (34 seggi) dai consigli di distretto, con mandato triennale e per un terzo sono nominati dal Presidente, con mandato di durate quinquennale. La Wolesi Jirga conta 249 seggi i cui titolari sono eletti con sistema proporzionale e mandato quinquennale. Le disposizioni elettorali stabiliscono, a seconda della densità della popolazione, il numero dei candidati da eleggere in ciascuna delle 34 circoscrizioni; tale numero oscilla tra un massimo di 33 eletti per la circoscrizione della capitale Kabul e un minimo di due (Nimroz, Nuristan e Panjsher); dieci seggi (di cui almeno tre a donne) sono riservati ai nomadi Kuchis, popolazione pashtun della parte orientale e meridionale dell’Afghanistan.

La Costituzione riserva 68 seggi (27,3% del totale) alle donne; tuttavia, anche se una candidata riceve voti sufficienti a vincere un seggio al di fuori del sistema delle quote, il suo seggio viene computato tra i 68 riservati.

La Costituzione prevede la possibilità, per il governo, di convocare una Loya Jirga (Gran Consiglio) sulle questioni che riguardino l’indipendenza, la sovranità nazionale e l'integrità territoriale; il Consiglio, composto da parlamentari e da presidenti dei consigli provinciali e distrettuali può modificare le disposizioni della Costituzione e perseguire il Presidente.

Freedom House qualifica l’Afghanistan come “Stato non libero”.

Il Democracy Index 2011 dell’Economist Intelligence Unit lo definisce un “regime autoritario” e lo collola in una posizione ancor più in basso nella classifica rispetto all’anno precedente (cfr. infra “Indicatori internazionali sul paese”).

 

 

La situazione politica

Dall’iniziale conteggio dei voti espressi alle elezioni presidenziali del 20 agosto 2009 era risultata la rielezione di Hamid Karzai con il 54% delle preferenze, a fronte del 28% ottenuto dal rivale Abdullah Abdullah. Le contestazioni sulla regolarità del voto ampiamente espresse sia all’interno del Paese sia dalla comunità internazionale, con accuse di brogli elettorali ad entrambi i contendenti, e il conseguente riconteggio delle schede, avevano prodotto la convocazione dei comizi elettorali per il turno di ballottaggio, calendarizzato per il 7 novembre. Il ritiro, alla vigilia delle elezioni, di Abdullah Abdullah, in polemica con l’autorità preposta alla procedure elettorali – quell’Independent Election Commission del cui presidente chiedeva le dimissioni - provocava la cancellazione del ballottaggio e la proclamazione (giuridicamente controversa) di Karzai a Presidente. Primo Vice presidente è Mohammad Qasim Fahim e secondo Vice presidente Mohammad Karim Khalili

Hamid Karzai (n. 24 dicembre 1957), di etnia pashtun, appartenente ad una famiglia fra le maggiori sostenitrici dell’ultimo re dell’Afghanistan, Zahir Shah, e parte dell'influente clan Popalzay, era stato designato alla Conferenza di Bonn (dicembre 2001) capo dell’Amministrazione transitoria afgana e, dal giugno 2002, Presidente ad interim. Nello stesso anno è sopravvissuto ad un attentato, due mesi dopo l’omicidio di uno dei vicepresidenti. Vincitore (55,4%) delle prime elezioni presidenziali celebrate nel paese (9 ottobre 2004) è stato proclamato per la prima volta Presidente il 7 dicembre dello stesso anno. Fautore di un modello governativo che tiene in ampia considerazione la rappresentanza tribale, con un approccio teso alla riduzione della violenza tra i warlords delle varie tribù, ha goduto sin dall’inizio del suo mandato dell’appoggio della maggioranza dei principali leader tribali, ma l’insufficiente potenza militare lo ha indotto a mantenere alleanze con le fazioni armate regionali.

Dopo la controversa vittoria elettorale del 2009 Karzai si è trovato a fronteggiare l’ostilità della Camera bassa, che ha più volte negato la fiducia individuale ai membri del Governo indicati dal Presidente, mentre la comunità internazionale lo ha ripetutamente posto sotto pressione a causa del persistente sistema di corruzione presente nel paese (si vedano, infra, i relativi indicatori).

Alle elezioni parlamentari del 18 settembre 2010, anche questa volta afflitte da brogli che ne hanno minacciato la validità nonché da problemi connessi alle condizioni di sicurezza del paese, ha fatto seguito una lunga querelle sulla validità dei voti e quindi sull’identificazione degli eletti, che ha determinato il differimento della sessione di apertura del Parlamento alla fine di gennaio 2011, peraltro in un quadro di contenziosi non del tutto risolti. L’influenza politica della maggioranza pashtun filo presidenziale è comunque uscita ridimensionata dal voto.

Va rammentato che il sistema elettorale afgano non si avvale dei registri elettorali che permettano di identificare con certezza i votanti e di evitare il voto multiplo. Tale carenza è connessa al più generale problema dell’anagrafe dei cittadini, di difficile gestione sia a causa della precarietà della situazione di sicurezza, sia della presenza di popolazione nomade e di un’ampia diaspora all’estero; ma sono in particolare ostacoli di natura etnico-politica ad opporsi al censimento, dai cui esiti potrebbe evidenziarsi il ridimensionamento della consistenza numerica delle due principali componenti etniche del paese, pashtun e tagika, con conseguenti modifiche negli assetti di potere.

 

 

Il ritiro degli alleati nel 2014

L’agenda politica afgana si incentra sul ritiro, previsto per la fine del 2014, delle forze della coalizione internazionale e sul passaggio alle forze nazionali delle responsabilità della sicurezza del secondo la tempistica stabilita al vertice di Lisbona (novembre 2010) e confermata in tutte le assise e i vertici internazionali e bilaterali[64].

La tabella di marcia prevede che le forze afghane siano operative già a partire dalla metà del 2013, con le truppe dell'Alleanza atlantica che, in prospettiva, cesseranno di combattere e resteranno sul territorio con funzione prevalentemente di supporto. "Continueremo a formare e ad equipaggiare le forze afghane fino a tutto il 2013", ha detto il generale John Allen, capo dell'ISAF, confermando che il ritiro completo delle truppe avverrà nel 2014.

Per rinforzare la solidità del Governo afghano, il 1° maggio 2012, il presidente statunitense Barak Obama ha siglato, con il presidente afghano Karzai, un accordo bilaterale di partnership strategica a lungo termine che ha a lungo impegnato i negoziatori delle due parti. A norma dell’accordo gli Usa saranno presenti in Afghanistan ancora per almeno un decennio dopo il ritiro delle truppe. Il documento, che prevede la continuazione del sostegno americano all’Afghanistan nei tre settori dell’addestramento delle truppe, della ricostruzione e dello sviluppo di istituzioni democratiche, non quantifica l’impegno finanziario che gli Usa intendono assumersi ed è destinato ad essere ogni anno rivisto ed approvato dal Congresso.

L'accordo è finalizzato inoltre a garantire il controllo da parte della sicurezza afghana di tutte le prigioni nel Paese e la fine di raid notturni nelle case afghane. L’accordo deve essere approvato dal Congresso USA e sottoposto dal presidente Karzai ai leader nazionali e ad entrambe le camere del Parlamento afghano.

Il 7 luglio 2012 è stato infine dato l’annuncio che l'Afghanistan ha acquisito lo status di “maggiore alleato non Nato” degli Stati Uniti.

Il paese asiatico si aggiunge ad una lista di quattordici Paesi che godono di questo rapporto preferenziale con gli USA, che comprende Israele, Egitto, Giappone e Pakistan.

 

 

Dal vertice di Chicago alla Conferenza di Tokyo

Il vertice NATO di Chicago del 20 e 21 maggio 2012 ha confermato il completamento del ritiro delle truppe della missione ISAF entro il dicembre 2014 quando sarà concluso il graduale trasferimento in corso delle responsabilità per la sicurezza del paese dalle truppe ISAF alle Forze di sicurezza afghane. Gli alleati si sono impegnati a proseguire il loro sostegno all'Afghanistan nella marcia verso la sua autonomia in materia di sicurezza, verso una migliore governance ed uno sviluppo economico e sociale. La loro presenza nel paese si svilupperà attraverso una nuova missione con compiti di formazione, di consulenza e di supporto. Il Governo afghano si è contestualmente impegnato a perseguire i principi del buon governo, della lotta alla corruzione e del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, compresa la parità tra uomini e donne, nonchè la trasparenza e la regolarità delle elezioni.

Il Vertice dell'Alleanza atlantica ha inoltre riconosciuto l'importanza del ruolo degli Stati della regione asiatica, in particolare del Pakistan, nel garantire una pace duratura nell'area, nonchè la stabilità e la sicurezza dell'Afghanistan.

Gli Alleati hanno ribadito il loro impegno, anche finanziario, a contribuire alla formazione, all’equipaggiamento e allo sviluppo delle capacità delle forze afghane a cui viene trasferita la responsabilità della sicurezza del paese. Il costo di questa operazione è individuato in 4.100 milioni di dollari annui, per un decennio (con possibilità di rivedere periodicamente lo stanziamento sulla base della situazione di sicurezza del paese).

L’Esecutivo afghano ha contestualmente annunciato un impegno che parte da un contributo minimo di 500 milioni di dollari partire dal 2015 fino ad assumere progressivamente l’intero onere della difesa nazionale entro il 2024.

A Chicago sono state formulate alcune promesse di contributo nei seguenti termini: 2.300 milioni di dollari dagli USA, 110 milioni di dollari dalla Gran Bretagna, 100 milioni dall’Australia e 20 dalla Turchia. L’Italia ha assunto un impegno complessivo di 360 milioni di euro (nel triennio 2015-2017), la Germania di 150 milioni di euro, mentre l’Austria e l’Olanda contribuiranno con 18 milioni di euro ciascuna ed il Belgio con 12. La Francia non ha dato indicazioni ma, secondo indiscrezioni, gli USA premono per un contributo di 200 milioni di euro, considerato il risparmio di Parigi per il ritiro anticipato dei suoi 3.400 soldati già entro la fine di quest'anno.

L'impegno finanziario della Comunità internazionale è stato definito nella Conferenza di Tokyo dell’8 luglio 2012, che ha riunito nella capitale nipponica il governo afgano e la comunità internazionale,si è focalizzata sugli elementi non-security.

Nel loro insieme Chicago e Tokyo costituiscono i rinnovati e più robusti pilastri fondativi della partnership internazionale con Kabul, finalizzata a supportare lo sviluppo e la crescita sostenibile dell’Afghanistan lungo quella che viene definita la Transformation Decade (2015-2024).

Gli impegni assunti dai partecipanti in entrambi gli eventi sono stati costruiti sui risultati della Conferenza di Bonn (5 dicembre 2011), nella quale il governo afgano e la comunità internazionale avevano rinnovato l’impegno reciproco di lungo termine in materia di governance, sicurezza, processo di pace, sviluppo sociale ed economico e cooperazione regionale.

La Conferenza di Tokyo sull’Afghanistan è stata presieduta dai governi giapponese ed afgano ed ha visto la partecipazione di ministri e rappresentanti di 55 Stati e di 25 organizzazioni operanti su scala mondiale, tra cui il Presidente afghano Hamid Karzai, il Segretario Generale dell'Onu Ban Ki-moon e il Segretario di Stato Usa Hillary Clinton; l’Italia era rappresentata dal sottosegretario agli affari esteri Staffan de Mistura.

Come si legge nella Dichiarazione di Tokyo, documento conclusivo della Conferenza, i partecipanti hanno introdotto in termini netti la verifica dei progressi compiuti da Kabul in tutti i settori della partnership quale precondizione per l’erogazione degli aiuti successivi.

In punti salienti della Dichiarazione di Tokyo riguardano, tra l’altro:

Ø      i progressi e lo sviluppo ottenuti in svariati campi dall’Afghanistan, grazie al forte e costante supporto della comunità internazionale a far data dalla Conferenza di Tokyo del gennaio 2002;

Ø      il fatto che, anche se il paese ha stabilito le fondamenta di un sistema di governo democratico ed ha adottato una Costituzione che sancisce l’impegno al pluralismo ed al rispetto dei diritti umani, resta tuttavia molto da fare in termini di sicurezza, tutela dei diritti umani, delle donne e dei minori, promozione dell'istruzione e della cultura, miglioramento della governante;

Ø      i reciproci impegni assunti a Bonn (5 dicembre 2011) vengono trasformati in un accordo solido e credibile, con l’istituzione del Tokyo Mutual Accountability Framework tra l'Afghanistan e la comunità internazionale per il decennio di trasformazione 2015-2024;

Ø      la necessità di liberare il paese dai due elementi fondamentali di destabilizzazione ed insicurezza, la minaccia terroristica e la produzione e traffico di stupefacenti;

Ø      i progressi compiuti nel processo di transizione, che vede dal maggio 2012 il 75% della popolazione sotto la responsabilità dell’Afghan National Security Forces (ANSF);

Ø      l’impegno, da parte del governo afghano, di svolgere libere, eque, trasparenti, e inclusive elezioni presidenziali nel 2014 e parlamentari nel 2015;

Ø      l’obiettivo, confermato, della crescita economica di lungo termine e dell’autonomia fiscale viene perseguito dal governo afgano nell’ambito di una strategia per la crescita e lo sviluppo sostenibile da attuare per il tramite dei programmi prioritari nazionali (National Priority Programs-NPPs) focalizzati su crescita economica, entrate fiscali, lavoro e sviluppo umano.

Ø      sostenuta la necessità del rafforzamento della cooperazione economica regionale attraverso gli organismi presenti nell’area, nella Dichiarazione viene salutata con favore la decisione di concedere all’Afghanistan lo status di osservatore in ambito SCO (Shanghai Cooperation Organization)[65];

Ø      viene concordata l’istituzione di un meccanismo di follow-up che consenta di rivedere gli impegni di lungo termine reciprocamente presi dall’Afghanistan e dalla comunità internazionale contenuti nella Dichiarazione di Tokyo e nel Tokyo Framework, annesso integrante della Dichiarazione.

All'inizio del “decennio di trasformazione” 2015-2024 la Comunità internazionale si è impegnata a fornire oltre 16 miliardi di dollari entro il 2015, e a continuare a fornire il supporto fino al 2017. Le risorse, nel complesso, sono “pari al livello di aiuti uguale o simile al decennio passato per rispondere al gap di bilancio stimato dalla Banca Mondiale (tra 3,3 e 3,9 miliardi di dollari nei primi tre anni) e dal governo afgano”.

Il prossimo appuntamento di verifica della road map sarà nel 2014 nel Regno Unito.

 

La posizione italiana

Nell’ambito delle Comunicazioni del Governo sulla partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali svolte dai Ministri degli esteri e della difesa nella seduta delle Commissioni riunite esteri e difesa di Camera e Senato del 18 gennaio 2012, il Ministro degli esteri Giulio Terzi, in riferimento al quadro afgano, aveva evidenziato, tra l'altro, che per il futuro l’Italia intende continuare nel consolidamento delle amministrazioni afgane, nella formazione, nello sviluppo economico e nella promozione dei diritti delle donne e dei bambini. I ministri anticipavano inoltre che l’Italia stava lavorando ad un accordo bilaterale di partenariato di lungo periodo, che mira ad accrescere la cooperazione in campo politico, economico e culturale; che riguarda i settori della sicurezza, la lotta al narcotraffico, il rafforzamento istituzionale e il rafforzamento dello Stato di diritto. L’accordo è stato firmato a Roma dal Presidente del Consiglio Mario Monti e dal Presidente afghano Hamid Karzai il successivo 26 gennaio[66].

In vista della Conferenza di Tokio, il 5 luglio scorso la Commissione Affari esteri della Camera ha adottato una risoluzione, d’iniziativa dell’on. Tempestini ed altri (n. 7/00928) che impegna il Governo italiano a ribadire in quella sede, il proprio impegno nel considerare la lotta alla violenza sulle donne in Afghanistan come obiettivo prioritario dello sviluppo, adottando ogni iniziativa utile per la concreta attuazione del Piano nazionale per le donne afgane (NAPWA) e per lo sviluppo di un Piano d'azione nazionale afgano per l'attuazione della risoluzione n. 1325, con particolare attenzione alla partecipazione delle donne nella costruzione della pace e favorendo un loro ruolo più attivo nel settore della cooperazione per la sicurezza per l'Afghanistan

A Tokio, il rappresentante italiano, il sottosegretario agli Affari esteri Staffan de Mistura, ha sottolineato nel proprio intervento la rilevanza del superamento del vecchio concetto di mutuo impegno, risalente alla Conferenza di Bonn del 2011, a favore della più impegnativa mutua reciproca responsabilità, fondativa di un rapporto più maturo tra l’Afghanistan e la comunità internazionale.

Il sottosegretario De Mistura ha evidenziato che in tale contesto le risorse finanziarie messe a disposizione dei progetti di sviluppo diverranno concretamente disponibili solo a fronte di concreti miglioramenti in termini di tutela dei diritti umani, con particolare riguardo ai diritti delle donne.

L’Italia – ha affermato il Sottosegretario - ha intenzione di fare la sua parte in termini di sforzi per aiutare l’Afghanistan, come dimostra l’annuncio, in occasione del Summit Nato di Chicago, di risorse molto significative a sostegno delle forze di sicurezza afgane (120 milioni di euro annui per il triennio 2015-2017); quanto al contributo alla ricostruzione e allo sviluppo economico e sociale del paese asiatico “sarà almeno allo stesso livello se non di più di quello attuale”. Tuttavia – ha dichiarato de Mistura – “tali contributi saranno messi in dubbio dai nostri Parlamenti qualora vedessimo sviluppi negativi oppure nessun miglioramento nella protezione dei diritti umani e specialmente nei diritti delle donne”.

 

Indicatori internazionali sul paese[i]

Libertà politiche e civili: “Stato non libero”, diritti politici: 6 libertà civili: 6 (Freedom House); “regime autoritario” 152 su 167 (Economist)

Indice della libertà di stampa: 150 su 179

Libertà religiosa: limitazione della libertà religiosa (ACS, 2010); paese sotto osservazione (Watch List) per violazioni della libertà religiosa commesse o tollerate dai governi (USA, 2010)

Libertà economica: // (Heritage Foundation)

Corruzione percepita: 180 su 182

Conflitto armato interno in corso

 

 


Organi e agenzie delle Nazioni Unite

 


Il programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP)
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), creato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1965 è l’organo principale di coordinamento e programmazione delle attività di cooperazione allo sviluppo del sistema delle Nazioni Unite. L’UNDP fornisce appoggio ai Paesi in via di sviluppo e in transizione per la definizione di strategie e di politiche di sviluppo ma anche per il rafforzamento delle capacità nazionali e per il coordinamento dell'aiuto esterno, nonché per la cooperazione Sud-Sud.

 

L’UNDP esercita la funzione di coordinamento del sistema attraverso la rete dei suoi Rappresentanti Residenti, che sono nella maggior parte dei casi Coordinatori Residenti del sistema delle Nazioni Unite, in 166 Uffici nei paesi in via di sviluppo. L'Amministratore dell’UNDP svolge inoltre una funzione di coordinamento in qualità di Presidente dello United Nations Development Group (UNDG) formato da rappresentanti dei Fondi, Programmi e Agenzie di tutto il sistema ONU ed istituito dal Segretario Generale per migliorare l’efficacia delle attività di sviluppo delle Nazioni Unite.

 

Le attività dell'UNDP si ispirano all'obiettivo generale dello sviluppo umano sostenibile, uno sviluppo che non persegue solo la crescita economica ma anche lo sviluppo sociale, tenendo conto delle differenze di genere, del rispetto dei diritti umani, della necessità di lottare contro l'emarginazione sociale e della sostenibilità ambientale dei processi di sviluppo.

 

L'UNDP svolge inoltre un’importante attività di analisi ed elaborazione di strategie operative, nonché di advocacy per la cooperazione allo sviluppo. Costituisce un esempio di questa attività l'elaborazione del concetto di sviluppo umano sostenibile e gli studi su queste tematiche, quali il rapporto annuale Human Development Report dedicato ad ogni edizione ad un tema specifico, che rappresenta un importante punto di riferimento per la cooperazione internazionale allo sviluppo.

 

L'UNDP ha sede a New York ed è presente in 166 paesi. L’Amministratore è la Sig.ra Helen Clark (Nuova Zelanda), nominata dal Segretario Generale e confermata dall’Assemblea Generale nel marzo 2009; ha preso servizio ufficialmente il 20 aprile 2009 per un periodo di 4 anni..

 

L'UNDP cura l'amministrazione di alcuni Fondi speciali creati per raccogliere risorse per tematiche giudicate di particolare importanza: il Programma Volontari Nazioni Unite (UNV) e il Fondo di Sviluppo per le Donne (UNIFEM).

 

In un contesto internazionale sempre più complesso, l’UNDP è continuamente sollecitato ad assumere nuovi compiti e nuove responsabilità, pur avendo subito (come altre istituzioni) molto direttamente le conseguenze dei problemi budgetari cui sono confrontati molti dei suoi donatori più importanti. Per far fronte a queste nuove esigenze l’UNDP ha messo in opera un vasto programma di riforme e ristrutturazioni interne che hanno portato ad una riduzione e riqualificazione del personale, ad un maggiore decentramento delle attività e ad una razionalizzazione dei sistemi di gestione, programmazione e valutazione attraverso l’introduzione del sistema di results based management. Ha inoltre adottato una articolata  accountability framework con l’obiettivo di migliorare la trasparenza e l’efficienza delle proprie attività.

 

Il processo di riforma delle Nazioni Unite ed in particolare le raccomandazioni del panel di Alto livello sulla “System Wide Coherence” nel campo dello sviluppo, dell’assistenza umanitaria e dell’ambiente prevedono una maggiore razionalizzazione di ruoli e funzioni delle agenzie specializzate e dei fondi e programmi nonché dei loro sistemi di finanziamento e di governance.

Le risorse dell'UNDP sono divise sostanzialmente in due categorie: le risorse cosiddette generali (core) indispensabili per lo svolgimento dei compiti istituzionali dell’organismo e la cui allocazione viene decisa sulla base di criteri definiti dal Consiglio di Amministrazione e le risorse aggiuntive (non core) derivanti da contributi messi a disposizione dell'organismo per attività specifiche.

 


Il Department of Peace-Keeping Operations (DPKO)
(a cura del Servizio Studi del Senato)

Il DPKO (Department of Peace-keeping Operations) è l'ufficio delle Nazioni Unite, collocato all'interno del Segretariato Generale, con la funzione di assistere gli Stati membri dell'ONU e il Segretario generale all'espletamento del compito del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Il DPKO vede al proprio vertice un Segretario generale aggiunto, sotto le dipendenze dirette del Segretario generale dell'ONU.

Da tale Segretario generale aggiunto, capo del Dipartimento, dipendono quattro uffici: per le operazioni; per gli affari militari; per gli affari giuridici e la sicurezza; infine la divisione per l’addestramento, la valutazione e la politica.

Si ricorda che nel giugno del 2007 è stato istituito il Dipartimento per il sostegno logistico delle Nazioni Unite  con l’intento di rafforzare il Dipartimento Operazioni di Peacekeeping. Esso fornisce sostegno alle missioni per la promozione della pace e della sicurezza relativamente alle aree del finanziamento, della logistica, dell’informazione, comunicazione e tecnologia, delle risorse umane e dell’amministrazione generale[67].

Il Budget annuale delle Nazioni Unite prevede una specifica voce di finanziamento dedicata al DPKO, cui tutti gli Stati membri devono contribuire, o in termini monetari o di uomini e mezzi.

Il Segretario generale aggiunto per il DPKO è Hervé Ladsous, che ha assunto formalmente l’incarico nell'ottobre 2011. Il suo predecessore era Alain Le Roy.

 

La missione principale del DPKO consiste nel pianificare, preparare, gestire e dirigere le operazioni di mantenimento della pace patrocinate dalle Nazioni Unite, al fine di assicurare l'esercizio del mandato sotto l'autorità del Consiglio di Sicurezza e dell'Assemblea generale, nonché sotto la direzione generale attribuita al Segretario generale, come espressamente previsto dalla risoluzione di autorizzazione delle stesse missioni.

 

Il DPKO provvede a fornire le indicazioni di tipo politico e tecnico per la realizzazione delle missioni di pace delle Nazioni Unite nonché a mantenere un canale costante di dialogo con il Consiglio di Sicurezza, con i Paesi membri che forniscono le truppe e gli equipaggiamenti per le missioni, nonché con le parti del conflitto, perché questi possano realizzare gli obiettivi per il mantenimento della pace stabiliti dalla risoluzione di autorizzazione della missione del Consiglio di Sicurezza.

 

Il DPKO, quindi, funge non solo da centro di comando e controllo delle missioni di pace, ma anche di coordinamento tra i diversi attori che in esse sono interessati, come organizzazioni non governative (ONG), autorità governative e non a livello locale, nonché forze di polizia e militari impegnati sul campo. Al DPKO, inoltre, è attribuita la responsabilità del coordinamento di tutti gli aspetti concernenti le missioni di pace ONU, dalle problematiche militari, di polizia, politiche ed economiche.

Le operazioni di peace-keeping[68]istituite dalle Nazioni Unite sono comunemente oggetto di sistemazione dottrinaria atta a distinguerle in operazioni di prima, seconda e terza generazione. Tale distinzione concerne non soltanto il periodo storico in cui queste sono state istituite, ma anche i compiti cui esse sono state votate e la natura stessa della missione cui erano chiamate a rispondere.

 

Appartengono alle c.d. operazioni di prima generazione (o di peace-keeping puro) quelle operazioni istituite tra il 1948 sino al 1987. Caratteristiche di tali tipo di operazioni erano la necessità di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU autorizzante la missione, il consenso dello Stato in cui veniva effettuata l'operazione, il ricorso all'uso della forza armata da parte del personale militare impiegato nella missione al solo caso di legittima difesa, nonché nei soli casi di conflitti internazionali.

 

Con la fine della Guerra fredda, si assiste al sorgere delle operazioni di pace c.d. di seconda generazione, che si ispirano al documento An Agenda for Peace[69] dell'allora Segretario generale dell'ONU Boutros Boutros-Ghali. In tale documento strategico, Boutros-Ghali sottolineava come il numero di missioni istituite tra il 1948 e il 1987 (13 missioni di peacekeeping) uguagliava quello delle missioni comprese tra il 1987 e il 1992, evidenziando la necessità di un ripensamento globale del ruolo delle Nazioni Unite e delle missioni da esse istituite alla luce del cambiamento dello scenario globale.

 

Le operazioni di seconda generazione sono state definite di peacemaking e/o peacebuilding, che implicano un ruolo di maggiore rilievo per la c.d. componente civile nelle operazioni, la collaborazione con le forze appartenenti ad organizzazioni regionali, l'amministrazione del territorio, il monitoraggio elettorale, l'assistenza umanitaria, la ricostruzione economica e finanziaria, nonché la protezione dei diritti umani. A tal fine è stato istituito nell’aprile 1993 il Situation Centre of the Department of Peacekeeping Operations, allo scopo di supportare il processo di decisione e il coordinamento tra civili, militari e forze di polizia attraverso uno scambio di informazioni a livello strategico[70].

 

Eventi quali il genocidio in Ruanda nel 1994 e il massacro di Srebrenica nel 1995 spinsero molti tra i paesi membri delle Nazioni Unite a chiedere all’Organizzazione di rivedere la propria politica di peacekeeping e contribuirono al superamento delle operazioni di cosiddetta seconda generazione.

 

Il terzo punto di svolta è rappresentato dal c.d. Brahimi Report pubblicato nel 2001, ovvero il documento finale del Panel on United Nations Peace Operations[71] istituito per volontà dell'allora Segretario generale Kofi Annan, allo scopo di rivedere il sistema di funzionamento e il quadro giuridico delle missioni di pace ONU.

Il documento analizza le diverse operazioni per la pace poste in essere dalle Nazioni Unite, evidenziando allo stesso tempo le difficoltà che il personale, civile e militare, ha incontrato e che hanno determinato l’insuccesso delle medesime. I suggerimenti che il Report fornisce sono in particolare due: dare al mandato delle Nazioni Unite maggiore chiarezza, credibilità e realizzabilità, nonché l’importanza di migliorare la cooperazione ed il dialogo con i paesi che contribuiscono alle peacekeeping operations attraverso l’invio di truppe. Altro nodo cruciale è rappresentato dalla c.d. Responsibility to Protect, principio derivante dalle lessons learned rappresentate dalle missioni in Rwanda e in Bosnia negli anni Novanta.

 

Le operazioni di cosiddetta terza generazione, quindi, si collocano nella categoria del c.d. peace enforcing e peace support operations, categorie ibride rispetto al passato, la cui base giuridica non trova riferimento nella Carta dell’ONU.

 

Le missioni che vengono istituite in seno alle Nazioni Unite, e di cui risponde il DPKO, devono conformarsi ad un ventaglio di princìpi, espressamente richiamati in specifici documenti strategici delle Nazioni Unite, quali, come detto prima, An Agenda for Peace del 1992, il Final Report del Panel on United Nations Peace Operations del 2000, infine il documento Peace Operations 2010 presentato all'interno del Report dell'Assemblea generale del 24 febbraio 2006[72].

In generale, si può affermare che le missioni di pace dell'ONU debbano tendere ad alleviare le sofferenze umane e soprattutto creare un ambiente favorevole per istituzioni responsabili, affinché le condizioni di pace e sicurezza siano durature nel tempo.

 

Le Nazioni Unite, quindi, agiscono come attore super partes, allo scopo di mantenere la neutralità ed imparzialità cui l'Organizzazione è votata. È soprattutto con la Risoluzione A/RES/60/1, ovvero con il documento conclusivo del World Summit 2005, che le Nazioni Unite si dotano di un documento strategico fondato su un approccio multidimensionale alla pace e sicurezza mondiale, in cui due paragrafi sono dedicati rispettivamente al peacekeeping e al peacebuilding. In esso viene sottolineata l'importanza della cooperazione civile e militare nei teatri operativi, così come l'apporto fornito, in accordo al Capitolo VIII della Carta, da parte delle organizzazioni regionali per la sicurezza (soprattutto con riferimento all'Unione Europea e l'Unione Africana). Per ciò che concerne il peacebuilding, è di rilievo l'auspicio della creazione di un Fondo dedicato integralmente al peacebuilding, con pianificazione pluriennale, nonché l'auspicio della creazione di una commissione a composizione mista dedicata integralmente a tali tipi di operazioni.

 

Secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite aggiornati fino al luglio 2012, le operazioni attualmente in corso e sotto la responsabilità del DPKO sono 15[73] e coinvolgono[74]:

82.9 88 unità militari, compresi gli osservatori;

13.549 poliziotti;

5.534 personale civile internazionale (30 giugno 2012);

12.636 civili dello staff locale (30 giugno 2012);

2.212 Volontari delle Nazioni Unite.

 

 Anche a seguito di scandali riguardanti il comportamento di peacekeepers, tanto civili come militari, il DPKO si è dotato di un Codice di Condotta[75] e delle c.d. 10 regole del Peacekeeper[76], cui ciascun individuo impiegato in missioni di pace sotto l’egida ONU deve attenersi.

 

Se il DPKO è responsabile della gestione delle operazioni per la pace promosse dalle Nazioni Unite, è altrettanto vero che l'Organizzazione ha deciso di dotarsi di una apposita Commissione per le missioni di peace-building[77]. Scopo di tale Commissione è  quello di proporre strategie integrate post-conflict, sostenere i finanziamenti per la realizzazione delle missioni, fornire alle missioni stesse una prospettiva di medio e lungo periodo, nonché sviluppare le c.d. best practices.

 

La Commissione ha una composizione mista, presentando al proprio interno 7 membri del Consiglio di Sicurezza, 7 dell'ECOSOC (Comitato Economico e sociale), rappresentanti di 5 Paesi tra i 10 che più contribuiscono al budget dell'ONU, dei 5 tra i 10 che forniscono più truppe, ed infine 7 membri a rotazione. Alla Commissione viene attribuito un ruolo di indirizzo strategico, e non operativo, come invece è quello attribuito al DPKO. L'importanza della Commissione risiede nella redazione di un Annual Report[78] indirizzato all'Assemblea generale, nel quale viene fotografato lo status quo delle missioni di peacebuilding in corso, nonché indirizzi strategici per il futuro. Tale Report è stato redatto e successivamente presentato all'Assemblea generale dell'Onu il 9 maggio 2011. Tale documento è stato preso in considerazione e le sue indicazioni più volte indicate come linee guida per le operazioni di peace-keeping  nella risoluzione 65/310 del dicembre 2011 ("Comprehensive review of the whole question of peacekeeping operations in all their aspects") con la quale l'Assemblea generale ha dato mandato alla Commissione stessa di preparare un'altra relazione sulle tematiche connesse a questo argomento.

 

 

 

 

 

 

 


Organigramma del Dipartimento

 

 

 

 


L’Alto Rappresentante per il Disarmo
(A cura del Servizio Studi del Senato)

L’UNODA (United Nations Office for Disarmament Affairs) è l’ufficio ONU per il disarmo. Esso si rapporta direttamente al Segretario generale. Dalla sua istituzione, avvenuta nel 1982su raccomandazione della seconda sessione speciale sul disarmo dell’Assemblea generale (SSOD II), e fino al 1992, l’organismo delle nazioni Unite dedicato ai temi del disarmo era configurato come un Dipartimento; nei successivi cinque anni (fino al 1997) esso è stato un Centro sottoposto al Dipartimento degli Affari politici.  In seguito si trasformò in Department for Disarmament Affairs e infine, nel 2007, assunse l'attuale denominazione e configurazione di United Nations Office for Disarmament Affairs.

L’UNODA promuove gli obiettivi del disarmo e della non proliferazione nucleare nonché il disarmo con riguardo alle altre armi di distruzione di massa e a quelle chimiche e biologiche. Anche il disarmo in riferimento alle armi convenzionali, in particolare mine e piccole armi, strumenti offensivi d’elezione nei conflitti contemporanei, é oggetto della sua attività.

L’UNODA fornisce supporto sostanziale e organizzativo nell’area di propria competenza ai lavori della prima commissione dell’Assemblea generale, la DISAC (Disarmament and International Security Committee), della Commissione Onu per il disarmo UNDC[79] (United Nations Disarmament Commission) e della Conferenza sul disarmo, CD[80].

L’UNODA incoraggia i processi di disarmo attraverso il dialogo e agisce non soltanto a livello globale ma anche a livello regionale, seguendo tra l'altro il Registro delle armi convenzionali dell'ONU e i forum regionali. Inoltre, UNODA svolge funzioni informative a beneficio degli Stati membri, di organizzazioni e istituzioni intergovernative nonché di centri di ricerca e formazione non-governativi e dei media.

UNODA favorisce misure concrete di sostegno al disarmo dopo i conflitti, sostenendo il disarmo e la smobilitazione dei combattenti e supportandone il reintegro nella società civile.

Per lo svolgimento di tali attività la struttura dell’Unoda è organizzata in 5 articolazioni. UNODA ha sedi in vari continenti.

In particolare il Segretariato (CD Secretariat and Conference Support Branch), che ha sede a Ginevra, supporta le attività della Conferenza sul Disarmo e dei suoi organi sussidiari predisponendo documenti di analisi ed effettuando ricerche e assiste il Segretario generale della Conferenza nello svolgimento delle sue funzioni, fornendo indicazioni in materia di controllo delle armi, non-proliferazione e connesse questioni di sicurezza.

 

Il Segretariato mantiene i collegamenti con le missioni permanenti presenti a Ginevra, con le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite e con le organizzazioni non governative di area europea e, se richiesto, fornisce supporto alle conferenze e ai meetings sui temi del disarmo multilaterale che si svolgono in Europa.

Infine, il Segretariato sovrintende allo sviluppo del Programme of Fellowships on Disarmament[81].

 

Dal marzo di quest'anno (2012), la carica di Alto Rappresentante per il Disarmo è ricoperta da una funzionaria di carriera dell'ONU, la tedesca Angela Kane.

 

 

 

 


L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento
degli Affari umanitari (OCHA)

(a cura del Servizio Studi del Senato)

Nel dicembre del 1991, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, adottò la Risoluzione 46/182 col proposito di rafforzare la capacità delle Nazioni Unite di fronteggiare emergenze complesse e disastri naturali, nonché di offrire un aiuto al miglioramento dell'efficienza sul campo delle operazioni umanitarie avviate sotto l'egida della massima assise internazionale.

Con quel documento venne istituito l'incarico di Coordinatore dell'assistenza post emergenziale (ERC) preposto al coordinamento degli sforzi dei rappresentanti speciali del Segretario generale per fronteggiare situazioni di emergenza e disastri naturali. In breve tempo il Coordinatore assunse a tutti gli effetti il profilo di un nuovo Sotto-Segretario generale, destinato ad assumere la denominazione ufficiale di Under-Secretary-General for Humanitarian Affairs (USG) e coadiuvato, nell'esercizio delle sue funzioni, da uffici appositi istituiti presso le sedi principali dell'Organizzazione, a New York ed a Ginevra.

In seguito il Segretario Generale provvide ad istituire il Dipartimento degli Affari Umanitari (DHA) al fine di dotare il settore dell'assistenza umanitaria di una più adeguata struttura di coordinamento. La già richiamata Risoluzione 46/182 aveva peraltro istituito l'Inter-Agency Standing Committee (IASC), il Consolidated Appeals Process (CAP) ed il Central Emergency Revolving Fund (CERF) come organismi e strumenti chiave per l'azione del coordinatore dell'assistenza in emergenza.

Nel 1998, nel quadro di un programma complessivo di riforma e ristrutturazione predisposto dal Segretario Generale, il Dipartimento degli Affari Umanitari (DHA) venne riorganizzato nell'Office for the Coordination of Humanitarian Affairs, OCHA, il cui mandato venne ampliato sino ad includere il coordinamento della risposta umanitaria, la politica di sviluppo ed il sostegno umanitario.

L'OCHA svolge la sua primaria funzione attraverso un Inter-Agency Standing Committee (IASC), chiamato ad assicurare una risposta coordinata all'evento emergenziale. Lo IASC, al quale partecipano anche altre agenzie delle Nazioni Unite, nonché ONG e organizzazioni internazionali, svolge il compito primario di facilitare il processo di decisione in merito alle risposte da porre in essere di fronte ad emergenze umanitarie e disastri naturali particolarmente drammatici.

A presiedere l'ufficio dell'OCHA è il Segretario generale aggiunto per gli Affari Umanitari e coordinatore per l'assistenza in emergenza.

L'obiettivo dell'Ufficio è quello di mobilitare e coordinare l'effettiva azione umanitaria delle Nazioni Unite, in partnership con attori nazionali ed internazionali, al fine di alleviare le sofferenze umane provocate da disastri naturali o da situazioni emergenziali, di patrocinare i diritti delle persone in stato di bisogno, di promuovere iniziative di prevenzione e di preparazione a fronteggiare disastri ed emergenze, di facilitare l'adozione di soluzioni sostenibili.

In particolare l'OCHA interviene per garantire ad ogni persona vittima di un disastro o di un conflitto il diritto a ricevere assistenza. Quando un Governo nazionale sia impossibilitato o incapace di fornire un aiuto sufficiente, può richiedere il sostegno internazionale sotto forma di cibo o di aiuto materiale, di protezione dei diritti, di accesso all'acqua, ai servizi sanitari, all'informazione o ad altre forme di assistenza. L'OCHA cerca di assicurare che questo genere di assistenza venga fornito in modo effettivo ed efficiente, riducendo il rischio della duplicazione degli sforzi o delle lacune organizzative del complesso apparato internazionale.

 

Organizzazione e funzionamento dell' Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA)

L'organismo, che ha le sue sedi principali a New York e a Ginevra, è presente in oltre 50 Paesi, e si articola in  24 sedi regionali o sub-regionali distribuite nelle diverse aree del pianeta, varie unità di supporto umanitario e diversi uffici di collegamento. Attualmente (2012) lo staff ammonta a circa  2005 unità, tre quarti delle quali dislocate nelle varie aree di operazione.

Finanziato in parte dai Fondi ordinari delle Nazioni Unite - pur essendo inserito all'interno del Segretariato Generale delle Nazioni Unite, l'OCHA dispone di una voce autonoma nel quadro del bilancio ordinario dell'Organizzazione - l'Ufficio di Coordinamento degli Affari Umanitari si basa principalmente sui contributi che vengono versati dai singoli Stati sulla base di una formula che tiene conto del prodotto nazionale lordo di ciascuno di essi. Il budget gestito dall'Ufficio, nel 2011, è stimato in 242,197 milioni di dollari, di cui circa 159,377 impiegati per operazioni sul campo.  Per il biennio 2010-2011 solo  14 milioni di dollari, pari allo 0,6 % dei Fondi ordinari delle  NU sono stati assegnati all'OCHA. 

Dal 2002  il budget dell'OCHA è quadruplicato, mentre la quota  di finanziamento proveniente dal Fondo ordinario è rimasta più o meno invariata. Ciò rende ancora più essenziali  le risorse extra-budget. Il reddito dell'OCHA proviene in grandissima parte, infatti, da contribuzioni volontarie degli Stati membri e dell'Unione europea.

I donatori dell'OCHA sono riuniti in un gruppo di supporto informale (ODSG) che fornisce sostegno finanziario, politico e tecnico alle attività dell'organizzazione.

 Nel 2010  lo stanziamento italiano è stato di 1.415.945  euro.

   A livello operativo, l'OCHA è chiamato a supportare e facilitare il lavoro delle Agenzie specializzate delle Nazioni Unite, delle organizzazioni non-governative e della Croce e Mezzaluna Rosse nell'offrire servizi di assistenza umanitaria e sostegno alle persone che versino in stato di bisogno. Lavora inoltre a stretto contatto con i Governi dei diversi Paesi, sostenendone l'azione di risposta alle situazioni emergenziali.

 

In particolare l'Ufficio si attiva per offrire strumenti di risposta nella fase iniziale di crisi.

Questi strumenti di intervento includono:

-          The UN Disaster Assessment and Coordination Team (UNDAC);

-          la ricerca, il soccorso ed il coordinamento di soccorso, in conformità alle linee guida dell'International Search and Rescue Advisory Group (INSARAG);

-          Il supporto civile e militare, personale di coordinamento, il supporto logistico;

-          l'accesso alle dotazioni militari come ultima risorsa per rispondere a situazioni di disastro;

-          strumenti di gestione dell'informazione per l'uso delle agenzie umanitarie al fine di sostenerne l'azione di programmazione, risposta e coordinamento.

Per ciò che attiene il meccanismo di funzionamento dell'OCHA, il supporto e l'assistenza umanitaria sono erogati attraverso cinque canali istituzionali.

In primo luogo, attraverso il c.d. Emergency Response Fund, chiamato anche Humanitarian Response Fund, il cui compito primario è quello di fornire fondi rapidi e flessibili per cercare di sopperire ai bisogni umanitari. Nel tempo si è dimostrato particolarmente efficace nel supporto all'attività di attori locali, nei contesti nei quali le organizzazioni non governative affrontano difficoltà insormontabili per soddisfare le richieste umanitarie in ragione di ostacoli di tipo politico e di sicurezza.

Un secondo strumento è il c.d. Consolidate Appeals Process (CAP), ovvero un complesso meccanismo di raccolta di fondi da destinare alle azioni umanitarie, nonché per l'assistenza ai vari partners per gli aiuti umanitari, in materia di pianificazione, implementazione e monitoraggio dell'intervento umanitario medesimo.

Il c.d. Flash Appeal, invece, è uno strumento funzionale alla creazione di una risposta unitaria di fronte a crisi umanitarie. Esso è dispiegabile, generalmente, in una settimana per un periodo di tempo che va dai tre ai sei mesi. Esso fornisce gli strumenti essenziali per fronteggiare la crisi umanitaria.

Il Central Emergency Response Fund, invece, principalmente finanziato da donazioni da parte degli Stati membri dell'ONU, nonché da donors privati e da singoli individui, è il sistema di raccolta fondi per gli aiuti umanitari, nonché per l'assistenza ai partners locali per la pianificazione, implementazione e monitoraggio degli aiuti umanitari in loco.

Infine il c.d. Financial Tracking System è un database in cui vengono registrate tutte le richieste di aiuti umanitari nonché gli aiuti effettivamente posti in essere, da parte sia di attori governativi sia non governativi.

Per la concreta attivazione del sostegno umanitario, l'OCHA si avvale di un meccanismo di coordinamento finalizzato alla massimizzazione degli aiuti erogati e dei benefici per i fruitori, ed alla minimizzazione dei rischi di un possibile fallimento.

La strategia d'azione dell'OCHA, così come si evince dalle politiche stabilite dall'Inter-Agency Standing Committee e dalle strutture di cui è dotata l'OCHA, si fonda su sei pilastri d'azione, quali:

·          sviluppo di strategie comuni;

·          valutazione delle fattispecie e dell'esigenze strategiche;

·          convocazione di appositi forum di coordinamento e di pianificazione;

·          utilizzo di risorse funzionali all'azione che deve essere posta in essere;

·          capacità di affrontare problemi comuni e di offrire soluzioni comuni;

·          gestione condivisa dei meccanismi di coordinamento e degli strumenti a disposizione per fronteggiare l'emergenza umanitaria.

Infine, l'OCHA si avvale anche del Regional Disaster Response Advisers (RDRAs) in quelle regioni del mondo particolarmente esposte al rischio di disastri naturali o emergenze umanitarie. Oltre ad aiutare gli attori locali, i RDRAs forniscono assistenza alla formazione, tecnica e strategica ai governi locali, alle agenzie delle Nazioni Unite nonché alle organizzazioni regionali per migliorare la pianificazione delle risposte alle catastrofi naturali, nonché assicurare una transizione quanto meno invasiva verso la normalità.

L'Ufficio per il coordinamento degli Affari Umanitari svolge altresì una puntuale attività di advocacy finalizzata al sostegno delle popolazioni sconvolte da crisi umanitarie, che include la protezione dei civili, la prevenzione dello sfollamento, la preparazione al disastro e l'efficacia della risposta umanitaria. Fra le prioritarie azioni di advocacy poste in essere dall'Ufficio nel corso degli ultimi anni a livello globale si ricordano quelle relative alle questioni dello sfollamento interno delle persone, il cambiamento climatico, la violenza di genere. 

In materia di informazione e comunicazione, l'OCHA può contare su una importante struttura di supporto, recentemente rinnovata,  il  Communications and Information Services Branch (CISB), che si occupa della  gestione delle informazioni e alla comunicazione strategica di esse  così da influenzare le politiche e le pratiche degli attori chiave, ad esempio, l'advocacy.  Il CISB  mantiene i contatti con donatori e Stati membri, con i membri dello IASC, con le ONG, con i media internazionali, i centri di ricerca etc.

 

Compongono la  struttura  del CISB:

 

-        la Communication Services Section (già Advocacy and Public Information Section) che a sua volta comprende la Public Information Unit,  che organizza conferenze stampa e diffonde briefing, note, messaggi chiave sui maggiori temi di interesse per l'Ufficio e la sua struttura, la Advocacy Unit e la Visual Media Unit;

 

-        la Information Technology Section chelavora per fornire  i sistemi di comunicazione di base come le e-mail e le infrastrutture più complesse quali il Web Content Mangament e il Document Management System  per i quartier generali e le strutture locali anche nel corso delle operazioni di emergenza;

 

-        la Information Services Section che al verificarsi diun'emergenza, immediatamente si attiva in collaborazione con i partners chiave allo scopo di  produrre informazioni standard in grado di supportare il coordinamento di tutte le organizzazioni umanitarie;

 

-        la Web Services Section che si occupa di studiare strategie per l'uso da parte dell'OCHA dei siti web e dei nuovi media collegati in rete come i blog, twitter, i siti di foto e video e i social networks;

 

-        Reliefweb cheè uno strumento globale di informazione umanitaria sulle situazioni emergenziali e i disastri;

 

-        Integrated regional Information networks (IRIN) che ha il compito di fornire notizie ed informazioni attraverso i servizi radio, aggiornando di continuo sulle crisi correnti;

L'Ufficio per il coordinamento degli  affari comunitari è altresì impegnato nello sforzo di raccogliere fondi a sostegno dell'azione umanitaria ed in particolare per promuovere un apposito strumento internazionale di finanziamento dell'azione umanitaria. Attraverso la sua partecipazione al Good Humanitarian Donorship Iniziative (GHD) - un forum dei donatori del settore umanitario impegnati nella discussione sulle buone pratiche in materia di finanziamento dell'azione umanitaria - l'OCHA contribuisce a migliorare la qualità e la quantità dei fondi disponibili.

L'Ufficio gestisce altresì il Central Emergency Response Fund (CERF), un fondo umanitario istituto appositamente dalle Nazioni Unite allo scopo di raccogliere fondi per offrire risposte più puntuali ed efficaci alle popolazioni colpite da disastri naturali e conflitti armati.   

L'OCHA partecipa anche, con un ruolo di facilitatore, al Consolidated Appeals Process (CAP), uno strumento di pianificazione degli aiuti utilizzato dalle organizzazioni per coordinare, raccogliere fondi e monitorare congiuntamente le risposte umanitarie seguite alle emergenze allo scopo di rispondere immediatamente alle necessità più impellenti, senza disperdere gli sforzi,  e gettare nel contempo le basi per le ricostruzioni future.  Il CAP, istituito nel 1992, ha fin qui messo a disposizione delle Agenzia specializzate e dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e per Organizzazioni non governative più di 42 milioni di dollari per 330 appelli. 

L'OCHA infine gestisce il Financial Tracking Service (FTS), un database globale cui si è già accennato, presente su web all'indirizzo web www.reliefweb.int/fts, che riporta ogni genere di informazioni sugli aiuti umanitari a livello planetario e sul bisogno di fondi e di contributi che essi richiedono. Il database, attraverso una serie di tabelle analitiche che mostrano i flussi di aiuti umanitari per le diverse crisi, è finalizzato ad offrire una panoramica complessiva sul mondo degli aiuti umanitari funzionale ad una migliore capacità decisionale in ordine alle modalità di allocazione delle risorse disponibili.

Il ruolo di direzione del Sotto-Segretario generale per gli Affari Umanitari

L'OCHA è sottoposta alla direzione del Sotto Segretario generale per gli Affari Umanitari, che riveste a sua volta il ruolo di coordinatore dei soccorsi in casi di emergenze naturali o umanitarie (USG/ERC, secondo l'acronimo inglese).

L' USG/ERC è il principale consigliere del Segretario generale per ciò che attiene gli affari umanitari; proprio per tale circostanza, riveste il ruolo di coordinatore e catalizzatore per l'azione umanitaria tra la Comunità internazionale e gli organi intergovernativi delle Nazioni Unite, così come sviluppa quei concetti relativi ai diritti umani, sviluppo, sicurezza e politica, funzionali ai lavori degli organi delle Nazioni Unite. In caso di disastro o emergenza umanitaria, l'USG/ERC funge da primo interlocutore tra la Comunità internazionale degli aiuti umanitari e i principali organi delle Nazioni Unite, quali il Consiglio di Sicurezza, l'Assemblea generale, il Consiglio economico e sociale, al fine di sviluppare una strategia funzionale per fornire quell'aiuto umanitario alle vittime di disastri o emergenza. L'USG/ERC gioca inoltre  un ruolo di primo piano nel mantenere un dialogo costante con gli altri dipartimenti del Segretariato, nonché  con le agenzie specializzate delle Nazioni Unite.

All'interno del sistema dell'ONU, l'USG/ERC presiede la Executive Committee on Humanitarian Affairs (ECHA), ovvero quel forum interno all'organizzazione in cui viene costantemente condotta un'azione di condivisione di esperienze, nonché di idee, di politiche e di strategie per affrontare le emergenze naturali ed umanitarie.

In caso di disastro naturale o emergenza umanitaria, la figura cardine è rappresentata dal Coordinatore locale, il quale è responsabile di fronte all'USG/ERC per facilitare la realizzazione di una risposta internazionale alla catastrofe o emergenza umanitaria. Inoltre, il Coordinatore locale riveste il ruolo della la figura di contatto tra il Quartiere generale delle Nazioni Unite e le autorità locali. In caso di disastro o emergenza umanitaria, l'USG/ERC può decidere di nominare un proprio Coordinatore per l'emergenza umanitaria, a seconda anche del grado di intensità e gravità della medesima. Egli sarà la più alta figura di riferimento e responsabilità sul campo e sarà, inoltre, direttamente responsabile di fronte al USG/ERC.

Il Coordinatore per l'emergenza umanitaria, oltre a fornire costanti aggiornamenti circa lo status quo delle operazioni di aiuto, avrà anche il compito di facilitare il coordinamento attraverso la valutazione della situazione,  lo sviluppo di piani di l'azione e la rilevazione dei risultati ottenuti.

L'Ufficio avrà inoltre il ruolo di fornire supporto anche diplomatico per l'implementazione degli aiuti, di coordinare e rendere unitaria l'azione di aiuto sul campo, fornire i supporti logistici, nonché creare una rete di collegamento tra tutti gli attori coinvolti nell'attuazione della strategia di aiuti.

La comunicazione a più livelli, volta soprattutto ad un maggiore coinvolgimento dello  Stato/regione colpita dal disastro, risulta essere di rilevanza strategica per l'USG/ERC, il quale, grazie al patrocinio dell'OCHA e dell'Information Management Branch, pone in essere una costante campagna informativa e di sensibilizzazione a più livelli.

 


Il Consigliere Speciale per l’Africa ed il programma
New Partnership for Africa's Development (NEPAD)

La posizione di Consigliere Speciale per l’Africa è ricoperta dal maggio scorso da Maged Abdelaziz; l’incarico è al livello di Vice Segretario Generale. Maged Abdelaziz ha oltre trentarè anni di esperienza nella diplomazia multilaterale; al momento di assumere il ruolo di Consigliere Speciale era il Rappresentante permanente dell’Egitto presso le Nazioni Unite, con anche l’incarico di vicepresidente del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) e rappresentava l’Africa presso la Conferenza Rio +20.

L’ Ufficio del Consigliere speciale sull’Africa (OSAA) è stato istituito nel 2003, in applicazione della Risoluzione dell’Assemblea Generale A/RES/57/7 del 4 novembre 2002.

La missione dell’ OSAA è quella di

·        accrescere l’aiuto internazionale per lo sviluppo e la sicurezza dell’Africa tramite azioni di analisi e di advocacy;

·        assistere il Segretario Generale nel migliorare la coerenza e il coordinamento del supporto all’Africa del sistema delle Nazioni Unite;

·        facilitare le decisioni inter-governative a livello globale, in particolare in relazione al programma New Partnership for Africa's Development (NEPAD).

 

Il NEPAD è un programma che trae origine da un mandato conferito nel 2000 dall'Organizzazione dell'Unità Africana a cinque Stati (Algeria, Egitto, Nigeria, Senegal e Sudafrica) per la creazione di una struttura socio-economica integrata di sviluppo per l'Africa. Nel successivo vertice di Lusaka del 2001 il NEPAD è stato ufficialmente adottato come framwork per lo sviluppo del continente. Dal 2010 è inserito più compiutamente nella struttura dell'Unione Africana con la costituzione di una specifica Agenzia.

Gli obiettivi dichiarati del programma sono l’eliminazione della povertà, l’avvio di un processo di crescita e sviluppo sostenibile e la cessazione all’emarginazione del continente africano rispetto ai flussi principali dell’economia globale.

In questo quadro sono state individuate come priorità: la realizzazione di condizioni per uno sviluppo sostenibile assicurando pace e sicurezza, democrazia, cooperazione e integrazione regionale; le riforme politiche per accrescere gli investimenti in alcuni settori ritenuti strategici come agricoltura, sanità, trasporti, energia, turismo e mercato intra-africano; la mobilitazione di risorse attraverso maggiori investimenti sia interni che esteri, una più ampia partecipazione al commercio internazionale e un incremento dell’aiuto allo sviluppo.

Collegato al NEPAD è l'African Peer Review Mechanism (APRM), strumento al quale hanno sinora aderito su base volontaria una trentina di Stati africani, per valutare il progresso verso gli obiettivi condivisi individuati in ambito NEPAD in termini di democrazia, governance politica economica e aziendale e sviluppo socio-economico.

L’istituzione in ambito ONU della figura del Consigliere Speciale per l’Africa e dell’OSAA è quindi strettamente legata all’obiettivo di accrescere il supporto per il NEPAD al di fuori del continente africano e di coordinare le attività delle Nazioni Unite in questa direzione. Le finalità del NEPAD sono ovviamente strettamente connesse con gli Obiettivi di sviluppo del Millennio. L’OSAA è inoltre ora particolarmente impegnata nella promozione della cooperazione cd. Sud-Sud.

Un quadro complessivo sull’azione di supporto delle Nazioni Unite è offerto da un Rapporto specifico su questo tema (E/AC.51/2012/5) prodotto dal Segretario Generale lo scorso 28 marzo. Il rapporto analizza le azioni compiute suddividendole in 9 cluster.

Il coordinamento del primo di essi, sviluppo delle infrastrutture, è affidato all’Economic Commission for Africa (ECA). In questo ambito i settori ritenuti più rilevanti sono quelli dell’acqua, dell’energia, delle telecomunicazioni e dei trasporti. Il cluster relativo alla governance è coordinato dall’United Nation Development Programme (UNDP), che tra l’altro fornisce supporto al sopracitato African Peer Review Mechanism. La supervisione del cluster relativo alla pace e sicurezza è svolta congiuntamente dall’OSAA, dal Dipartimento ONU per gli Affari politici e dall’Unione africana. Nel suo ambito rientrano l’architettura di sicurezza all’interno della UA, la ricostruzione post-conflitto e la promozioni dei diritti umani, la giustizia e la riconciliazione. Le attività relative all’agricoltura, sviluppo rurale e sicurezza alimentare sono coordinate dalla FAO, con il supporto tecnico del World Food Programme per ciò che concerne le emergenze umanitarie.

L’operato delle Nazioni Unite in relazione ai rimanenti cluster (industria, commercio e accesso al mercato; ambiente popolazione e urbanizzazione; sviluppo sociale e umano, scienza e tecnologia; comunicazione e advocacy) vede il coinvolgimento, oltre di quelle gia menzionate, di numerose altre agenzie onusiane. L’azione di tali organismi, che in ogni caso agiscono sempre a supporto del ruolo primario svolto dall’Agenzia NEPAD istituita dall’Unione africana, consiste principalmente in attività di finanziamento, sviluppo delle istituzioni e consulenza normativa.

 

Una ricognizione generale sui progressi compiuti nell’ambito NEPAD è contenuta nel Rapporto (A/67/204 del 27 luglio scorso) redatto dal Segretario Generale dell’ONU per la imminente Sessione dell’Assemblea Generale. Il documento sottolinea, tra l’altro, alcuni punti critici, come il fatto che la crescita economica nell’Africa subsahariana per il 2011, pari al 4,5 per cento, sia significativamente inferiore al 6,5 per cento registrato nel periodo che ha preceduto l’attuale crisi economica e sia considerata insufficiente per ridurre significativamente la povertà. Desta preoccupazione anche il mancato rispetto dei ripetuti impegni volti a mobilitare risorse per favorire lo sviluppo assunti nel corso di importanti vertici internazionali.

Anche alla luce delle conclusioni del vertice di Busan e del dibattito sui nuovi strumenti di cooperazione appare significativa l’inclusione nel documento di un paragrafo specifico sulla cooperazione cd. Sud-Sud che riferisce circa  iniziative adottate da Brasile, India e Cina.

Tra le raccomandazioni conclusive vi è la richiesta al sistema delle Nazioni Unite di assistere i Paesi africani al fine di migliorare la loro capacità di mobilitare risorse interne e l’individuazione del ruolo strategico delle Comunità economiche regionali africane per implementare gli obiettivi NEPAD.

 

 

 


Profili biografici
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

 


BAN KI-MOON
Segretario Generale delle Nazioni Unite

 

Official portrait of Secretary-General Ban Ki-moon. Click photo to enlarge.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ban Ki-moon è l’ottavo Segretario Generale delle Nazioni Unite: eletto il 14 dicembre 2006, ha assunto l’incarico il 1° gennaio 2007.

È nato il 13 giugno 1944 nella Repubblica di Corea. Si è laureato in Relazioni internazionali presso la National University di Seoul nel 1970. Nel 1985 ha conseguito un Master in Scienze politiche presso l’Università di Harvard. Parla coreano, inglese e francese.

Al momento della sua elezione a Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon era Ministro degli Affari esteri del suo paese, incarico che ricopriva dal gennaio 2004.

Diplomatico di carriera dal 1970, ha occupato diverse posizioni tra cui quella di Consigliere del Presidente della Repubblica per la politica estera e per la sicurezza nazionale, Vice Ministro per la pianificazione politica e Direttore generale per gli affari americani.

Ban Ki-moon ha avuto intense relazioni con le Nazioni Unite a partire dal 1975 quando lavorava nella Divisione Nazioni Unite del Ministero per gli Affari esteri. È stato Primo Segretario nella Missione Permanente della Repubblica di Corea presso le Nazioni Unite a New York, Direttore della Divisione per le Nazioni Unite nel Ministero degli Affari esteri a Seoul, e Ambasciatore in Austria, dove  è stato Rappresentante Permanente presso le Organizzazioni internazionali a Vienna. Mentre ricopriva quest’ultimo incarico ha presieduto, nel 1999, la Commissione preparatoria dell’Organizzazione del Trattato per la messa al bando totale degli esperimenti nucleari (CTBT).

Nel 2001–2002, quando la Corea ha assunto la presidenza della 56ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon ha ricoperto l’incarico di Capo di Gabinetto del Presidente dell’Assemblea, Han Seung-Soo, ed ha agevolato la rapida approvazione della risoluzione di condanna degli attacchi terroristici dell'11 settembre e intrapreso una serie di iniziative volte a rafforzare il funzionamento dell'Assemblea.

Ban Ki-moon è stato molto attivo anche nel campo delle relazioni inter-coreane. Nel 1992, in qualità di Consigliere Speciale del Ministro per gli Affari esteri, è stato Vice Presidente della Commissione congiunta per il Controllo nucleare Nord – Sud e si è adoperato per l’adozione della dichiarazione congiunta sulla denuclearizzazione della penisola coreana. Nel settembre 2005, in qualità di Ministro degli Affari esteri, ha svolto un ruolo di rilievo nella conclusione dell’accordo per la promozione della pace e della stabilità nella penisola coreana con l’adozione della Dichiarazione congiunta sulla questione nucleare nord coreana.

Il 18 aprile 2007, Ban Ki-moon ha effettuato una visita ufficiale in Italia dove ha incontrato il Presidente della Camera Fausto Bertinotti, nonché le Commissioni Affari esteri di Camera e Senato riunite.

Si segnala infine che Ban Ki-moon ha nominato nel gennaio 2010 gli italiani Carlo Trezza e Filippo Grandi ai posti, rispettivamente, di Presidente del Comitato Consultivo dell’ONU per gli Affari del Disarmo e di Commissario Generale della Agenzia dell’ONU per i Profughi Palestinesi (UNRWA) e che il 27 gennaio 2010 ha nominato il diplomatico italo-svedese Staffan de Mistura Rappresentante delle Nazioni Unite in Afghanistan[82] (si ricorda che l’Ambasciatore Staffan de Mistura è stato audito, nella qualità di Vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale, il 22 ottobre 2009 nell’ambito di un’audizione svolta dal Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio costituito nell’ambito della Commissione Affari esteri della Camera dei Deputati).


OSCAR FERNANDEZ-TARANCO
Assistant Secretary-Generaldell'ONU per il Dipartimento degli Affari politici

 

 

Oscar Fernandez-Taranco è stato nominato Assistant Secretary-General dell’ONU per il Dipartimento degli Affari politici nel marzo 2009.

Di nazionalità argentina, Fernandez-Taranco ha studiato economia e pianificazione economica regionale-urbana alla Cornell University ed al Massachusetts Institute of Technology di Boston.

Prima della sua nomina, è stato Coordinatore residente nella Repubblica unita di Tanzania. Tra il 1998 e il 2011 è stato Rappresentante residente, Coordinatore Residente e Vice Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite ad Haiti.

Dal 1994 al 1998 ha ricoperto la carica di Vice Rappresentante speciale dell’Amministratore del programma per Gaza e Cisgiordania di assistenza alla popolazione palestinese. Per cinque anni ha anche ricoperto la carica di Vice Assistente Amministratore e Vice Direttore regionale del Bureau regionale degli Stati arabi nel programma di sviluppo delle Nazioni Unite.

Fernandez-Taranco ha iniziato a lavorare per le Nazioni Unite come volontario, nel Benin.

È nato nel 1957, è sposato e ha due figli.


VUK JEREMIC
Presidente della 67ma Sessione
dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite

 

 

 

E’ stato eletto Presidente l’8 giugno 2012.

Al momento dell’elezione era Ministro degli Esteri della Serbia, carica che occupava dal 15 maggio 2007. Durante tale periodo ha partecipato attivamente ai lavori dell’ONU rappresentando il suo Paese presso l’Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza. In particolare, ha guidato la delegazione serba nel corso dei colloqui ad alto livello presso il Consiglio dei Diritti dell’Uomo (2008, 2010 e 2011) presso l’UNESCO e presso l’Alleanza delle Civiltà.

Ha inoltre rappresentato la Serbia alla quarta Conferenza delle Nazioni Unite sui paesi meno avanzati che si è tenuta ad Istanbul nel 2011, alla riunione sulla sicurezza nucleare ONU che si è tenuta a New York nel 2011 ed alla Conferenza delle Parti sulla non proliferazione nucleare che si è tenuta a New York nel 2010.

Altre missioni hanno riguardato le riunioni dell’Unione Africana, dell’Organizzazione degli Stati Americani e del Movimento dei Paesi non allineati. Nel settembre 2011 ha organizzato una manifestazione commemorativa per il cinquantesimo anniversario della nascita a Belgrado del Movimento dei Paesi non allineati.

       In quanto Ministro degli Esteri della Serbia, ha preso parte ai lavori dell’OSCE  (Riunioni ministeriali di Corfu 2009, Almaty 2010, e Astana 2010). Nel biennio 2011-2012 ha inoltre presieduto organizzazioni regionali quali l’INCE e l’Iniziativa regionale sulle migrazioni, il diritto d’asilo e diritti dei rifugiati nell’ambito dell’Organizzazione per la Cooperazione Economica del Mar Nero.

       Da maggio a novembre 2007 ha presieduto il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Ha preso parte ai Forum per la Democrazia che si sono tenuti in Svezia, Armenia e Cipro.

       Nel 2010 e 2011 ha svolto un ruolo di primo piano nell’organizzazione di due conferenze internazionali intese a trovare una soluzione al problema dei rifugiati a causa delle guerre balcaniche degli anni ’90.

       Nato a Belgrado nel 1975, è laureato in fisica presso l’Università di Cambridge e si è successivamente specializzato in amministrazione pubblica presso l’Università di Harvard.

Ha iniziato la sua carriera pubblica nel 2000 come consigliere presso il Ministero delle Telecomunicazioni dell’ex Repubblica Federale di Jugoslavia. Entrato in politica nelle fila del Partito Democratico, ne è diventato presidente della commissione per gli affari esteri.

Appassionato di tennis, è Presidente della Federazione serba di tale sport.


CORINNE WOODS
Direttrice della Campagna per gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio

 

 

 

Corinne Woods è Direttore della Campagna per gli Obiettivi del Millennio dell'ONU dal 1 agosto 2010.

 

Negli anni precedenti ha prestato servizio, in diversi ruoli, presso l’UNICEF.

 

Dal 1999-2002, è stata consulente senior per la Sessione speciale sui Bambini delle Nazioni Unite, una riunione dell'Assemblea generale focalizzata sul raggiungimento di nuovi impegni dei governi per i bambini.

In questo ruolo ha progettato e costruito un movimento globale per i bambini attraverso i media e la società civile, sviluppando e realizzando il "Say Yes for Children", una campagna che ha ricevuto milioni di assensi e che è stata guidata da Nelson Mandela e dal Segretario generale dell'ONU.

 

Nel periodo 1994-1999 è stata responsabile della comunicazione di Save the Children UK.

 

In precedenza ha sostenuto una serie di politiche per cambiare il comportamento in materia di salute in ruoli nella UK Health Education Authority.

 

E’ laureata in Filosofia presso l'Università di Leicester nel Regno Unito.

 


Documentazione

 


Il XXXIV Forum annuale dei Parlamentarians For Global Action sulla Corte Penale Internazionale
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

Parlamentarian for Global Action (PGA) è un'organizzazione non governativa con status consultivo generale presso le Nazioni Unite. Ha sede a New York e a L'Aia ed è composta da oltre 1000 parlamentari di 130 democrazie del mondo che vi aderiscono a titolo individuale.

 

I progetti di PGA riguardano tre aree tematiche principali:

 

·         diritto internazionale e diritti umani

·         pace e democrazia

·         sviluppo sostenibile e popolazione

 

PGA offre assistenza tecnica ai legislatori e alle Commissioni parlamentari di alcuni paesi in via di sviluppo nelle quali i parlamentari non hanno risorse per esperti o consulenti tecnici, che spesso non sono neppure presenti nelle comunità scientifiche nazionali. L’associazione si propone di adoperarsi per un approccio globalizzato alla soluzione di problemi difficilmente risolvibili dai governi dei singoli paesi, come il disarmo, la pace, lo sviluppo economico, il ruolo delle donne nella società.

Fin dalla sua istituzione, organizza un Forum annuale su tematiche di interesse internazionale, quali la cancellazione del debito, pace e giustizia, lo sradicamento della povertà ed il ruolo dei parlamentari nel processo democratico. Si ricorda che l'11 e il 12 dicembre 2000 il Senato italiano ha ospitato il XXII Forum annuale dei Parliamentarians for Global Action; il dibattito è stato dedicato al tema della Cancellazione del debito finalizzata all'eradicazione della povertà e allo sviluppo dei paesi poveri maggiormente indebitati. L'incontro si è concluso con l'adozione della Dichiarazione di Roma su debito e sviluppo.

Il XXXIV Forum annuale si terrà a Roma, presso la Camera dei deputati, il 10 e l’11 dicembre di quest’anno.

L’associazione si è inoltre battuta in particolare per l’istituzione del Tribunale per i crimini internazionali.

I finanziamenti delle attività di PGA provengono dalla Commissione Europea (strumento europeo per la democrazia e i diritti umani), da alcuni Stati (tra di essi, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi, Svezia e Svizzera) e, in misura assai minore, fondazioni private. Il Gruppo italiano di PGA è composto da 14 parlamentari di vari partiti politici. Il rappresentante principale del segretariato internazionale di PGA in Europa è il dr. David Donat-Cattin (Direttore del programma Diritto internazionale e diritti umani e Rappresentante presso l'Unione Europea), che è stato udito in qualità di esperto in vari Parlamenti nazionali compresi il Bundestag (Commissione per gli Affari Umanitari e i Diritti Umani) nel settembre 2007 e la Camera dei Deputati (Comitato per i Diritti Umani) nel dicembre 2008 e nel febbraio 2009.

 

 Il 13 dicembre 2011 il Presidente di Parliamentarians for Global Action, Ruth Wijdenbosch, e il presidente del programma Diritto internazionale e diritti umani, Alain Destexhe, hanno inviato una lettera al Presidente della Camera Fini chiedendo la disponibilità della Camera ad ospitare, il 10 ed 11 dicembre 2012, il XXXIV Forum interparlamentare sul tema della Corte Penale Internazionale. Il Presidente Fini è, inoltre, invitato a svolgere un intervento inaugurale. L’evento parlamentare si colloca nel quadro delle celebrazioni del decimo anniversario dell'entrata in vigore dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (CPI), che ebbe luogo il 1° luglio 2002 a seguito delle prime sessanta ratifiche dello Statuto adottato il 17 luglio 1998 nella sede romana della FAO, in un contesto storico di evoluzione del Diritto internazionale che è stato paragonato alla conferenza di San Francisco del 1945 che generò la Carta dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). La finalità del Forum – i cui lavori coincideranno con l'Assemblea Consultiva Parlamentare sulla Corte Penale Internazionale e lo Stato di Diritto - è di stimolare una riflessione all’interno delle assemblee legislative dei Paesi aderenti per la creazione di un ordine internazionale più giusto, fondato sul rispetto dei diritti umani e sullo Stato di diritto, in cui i crimini di genocidio, contro l'umanità e di guerra siano perseguiti con imparzialità ed efficacia dalla giurisdizione internazionale e dai sistemi penali interni. Il gruppo italiano di PGA, assistito dal segretariato internazionale, costituirà un Comitato organizzatore della settima Assemblea Parlamentare consultiva sulla Corte Penale Internazionale e lo Stato di Diritto, che sarà aperto all’adesione di tutti i parlamentari interessati al tema della legalità internazionale e della tutela dei diritti fondamentali. E’ prevista la partecipazione al Forum di circa 100 parlamentari in rappresentanza dei 130 Paesi membri di PGA, nonché esperti della materia ed esponenti della società civile e dei media internazionali. Sarà altresì invitato ad intervenire nella sessione di apertura il Presidente del Consiglio, professor Mario Monti.


Profilo del Parliamentarians For Global Action

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Presentazione del Seminario AWEPA ‘Managing Africa’s Natural Resources Towards Achieving the Millennium Development Goals’, Roma, 28 settembre 2012

Concept Paper ‘Managing Africa’s Natural Resources Towards Achieving the Millennium Development Goals, (Testo in inglese)

Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite ‘United Nations system support for the New Partnership for Africa’s Development’, 28 marzo 2012 (Testo in inglese)

La crisi siriana: recenti sviluppi (a cura dell’Osservatorio di politica internazionale), settembre 2012

La questione nucleare iraniana: recenti sviluppi (a cura dell’Osservatorio di politica internazionale), settembre 2012

 



[1]    G4, the Uniting for Consensus group (UfC), the L.69 group, the Committee of Ten African Permanent Representatives (C-10), and the Small Five group (S5).

[2]    Si veda in particolare il discorso dell’Amb. Cesare Maria Ragaglini nella riunione dell’A.G. del 21 febbraio 2012.

[3]    Svizzera, Costa Rica, Giordania, Liechtenstein, Singapore.

[4]    Nel 2008 il 47% della popolazione viveva ancora con meno di 1,25 dollari al giorno. La diminuzione del tasso di povertà è stata, nel corso di diciotto anni (1990-2008), solo del 9%.

[5]    “decent job” secondo la definizione coniata da Juan Somavia, Direttore Generale dell'ILO (International Labour Organization).

[6]    Dati FAO pubblicati nel 2011e riferiti al periodo 2006-2008.

[7]    Dati riferiti al 2010.

[8]    Il DOTS, così come lo Stop TB Strategy – che si basa sul precedente - sono strategie, articolate in vari punti, raccomandate a livello internazionale che hanno il fine di prevenire e tenere sotto controllo la  diffusione della TBC e di indirizzare i malati verso la giusta terapia.

[9]    L’Egitto è peraltro il paese nel quale il rapporto tra povertà totale e povertà femminile è più elevato.

[10]  Algeria, Burundi, Egitto, São Tomé e Principe, Tanzania, Togo e Tunisia hanno già superato il target.

[11]  Rwanda, Sudafrica, Mozambico, Angola, Tanzania, Burundi e Uganda.

 

[12]  25 paesi nel 2010 hanno raggiunto il target di avere assegnato almeno il 10 per cento del proprio territorio e delle aree marine ad aree protette. Botswana, Zimbabwe e Guinea Bissau sono al vertice di questa classifica.

[13]  Aid for Trade è un’iniziativa in ambito WTO che ha lo scopo di aiutare i paesi in via di sviluppo, e in particolare i paesi meno sviluppati, a mettere a punto pratiche ed infrastrutture necessarie per implementare e beneficiare degli accordi WTO e per espandere i loro commerci.

 

[14]  Contenuto nel Rapporto del Segretario generale dell’ONU del 16 marzo 2012 Delivering justice: programme of action to strengthen the rule of law at the National and International levels - A/66/749

[15]  Afghanistan, Bosnia-Erzegovina, Burundi, Repubblica Centro africana, Ciad, Colombia, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Egitto, El Salvador, Georgia, Guinea-Bissau, Guinea (Conakry), Guatemala, Haiti, Honduras, Iraq, Giamaica, Kenya, Kyrgyzstan, Kosovo, Liberia, Libia, Nepal, Nicaragua, Territori Palestinesi, Papua Nuova Guinea, Pakistan, Sierra Leone, Isole Salomon, Somalia, Sri Lanka, Sud Sudan, Sudan, Timor-Est, Tunisia, Yemen.

[16]  Strengthening the Rule of Law in Crisis-affected and Fragile Situations. Global Programme Annual Report 2011.

[17] N. 6-00052 presentata dall'on. Mazzocchi ed altri.

[18] N. 1-00058 , d’iniziativa dell’on. Evangelisti ed altri.

[19][19] Si tratta delle le mozioni 1-00037 dell'on. Volontè ed altri e 1-00052 dell'on. Bertolini ed altri e della la risoluzione 6-00010 degli onn. Cota e Gibelli.

[20] N. 2-00197 a prima firma dell'on. Renato Farina.

[21] N. 3-00393, a firma dell’on. Piffari, discussa il 18 febbraio 2009.

[22] N. 3-00834, dell’onorevole Vietti, (seduta del 13 gennaio 2010).

[23] N. 2-00630 dell’onorevole Castagnetti.

[24] N. 2-00938 a prima firma dell'onorevole Renato Farina.Un'ulteriore interpellanza urgente dell' on. Renato Farina ed altri (2-01048) in tema di iniziative per la salvaguardia della vita di Asia Bibi, è stata svolta dall'Assemblea nella seduta del 14 aprile 2011.

[25] N. 2-01225 a prima firma dell'on. Renato Farina e 2-01239 degli onn. Tempestini e Ventura.

[26] N. 2-01363 a prima firma dell’on. Renato Farina.

[27] Interrogazione 5-00281 d'iniziativa dell'on. Migliori.

[28] Interrogazione n. 5-02352 dell'on. Leoluca Orlando (seduta del 20 gennaio 2010).

[29] N. 5-03573 di iniziativa degli onn. Polledri e Pini.

[30] N. 5-04890 d'iniziativa dell'on. Farina.

[31] N. 5-05968 di iniziativa dell’on. Renato Farina. Si segnalano, altresì, l’interrogazione (5-04989) presentata dall'on. Farina e incentrata sugli attacchi alla minoranza cristiana in Indonesia, svolta in Commissione il 15 settembre 2011 e, ad iniziativa del medesimo onorevole Farina, due interrogazioni incentrate l’una (5-05485) sull'assassinio di due cristiani nella città di irachena di Kirkuk, l’altra (5-05522) sulla persecuzione di una bambina cristiana in Pakistan svolte il 9 novembre 2011.

 

 

 

[32]  Legge n. 9 del del 22 febbraio 2011, GU n. 46 del 25 febbraio 2011.

[33]  Ai sensi della Risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite n. 3472 B approvata nel 1975, si definisce Nuclear Weapon-Free Zone una zona stabilita come tale in forza di un trattato o di una convenzione, caratterizzata da totale assenza di armi nucleari, delimitata secondo una procedura prescritta dal trattato o convenzione stessi, soggetta ad un sistema internazionale di verifiche e controlli. Sul globo terrestre esistono da tempo zone senza armi nucleari nelle

seguenti aree: America Latina e Caraibi, Sud Pacifico, Sud-Est asiatico, Africa, Asia centrale, Mongolia, Antartide, nonché i fondali marini. Inoltre, sono liberi da armi nucleari pure la Luna e i corpi celesti.

[34]  Intervenuto in sostituzione dell'accordo START che era stato siglato tra le due potenze nel 1991 e che era in scadenza a dicembre 2009, il nuovo START contiene misure per la limitazione degli armamenti strategici -che, per la loro gittata a lungo raggio, sono idonee ad attacchi a distanze intercontinentali -offensivi, fissando un limite massimo di 1.550 testate nucleari e di 700 vettori operativi per ciascuno dei due Paesi, e introduce aggiornati sistemi di verifiche e di conteggio, sensibilmente diversi rispetto a quelli scarsamente affidabili del passato.

[35]  Tra i 47 Stati partecipanti al Vertice, il Presidente cinese Hu Jintao, ma anche rappresentanti di paesi come l'India e il Pakistan, potenze nucleari non partecipanti al TNP, con il Pakistan, soprattutto, esposto a furti e contrabbando di materiali nucleari. Assenti la Corea del Nord e l'Iran. Il risultato del Vertice, riflesso dal comunicato finale, è stato l’impegno dei 47 Stati partecipanti a porre in sicurezza, nei prossimi quattro anni, i materiali nucleari vulnerabili e ad un'attenta contabilizzazione di tali materiali. Si dovrà inoltre impedire ad attori non statali di venire possesso di informazioni o tecnologie nucleari, e si dovrà altresì compiere ogni sforzo per passare da reattori nucleari ad uranio altamente arricchito a reattori che utilizzino combustibile a basso tasso di arricchimento. Altro impegno dei partecipanti al Vertice è quello di una collaborazione internazionale per il controllo dei traffici nucleari illeciti. A margine del Vertice sono stati conclusi significativi accordi per rafforzare la cooperazione per la messa in sicurezza di materiale fissile in alcuni stati-chiave (come l'Ucraina, il Messico, il Cile ed altri).

[36]  Per maggiori informazioni, si veda http://disarmament.un.org/CAB/pdm-gis.html

[37]  Nel 2008 (anno di riferimento delle statistiche più aggiornate al momento) i Paesi che hanno comunicato i loro dati sono stati 80. Si tratta di un numero relativamente alto ma purtroppo inferiore alle cifre di anni precedenti. Inoltre, si rileva che i Paesi di alcune aree geografiche rispondono più di quelli di altre. L'Italia è tra i Paesi che dal 1992 ad oggi hanno sempre fornito i propri dati.

[38]  Mancano attualmente la firma e la ratifica di molti paesi. Per maggiori dettagli, si veda:

http://www.unog.ch/80256EE600585943/(httpPages)/67DC5063EB530E02C12574F8002E9E4 9?OpenDocument

[39]  Per approfondimenti e futuri aggiornamenti, si consulti l'indirizzo:  http://www.un.org/disarmament/convarms/ArmsTradeTreaty/

[40]  Nelle precedenti legislature si sono svolte le seguenti Conferenze delle Parti: VI COP Bonn, 18-21 luglio 2001; VII COP, Marrakech, 7-9 novembre 2001; VIII COP, Nuova Delhi, 30 ottobre-1° novembre 2002 ; IX COP, Milano, 10 -12 dicembre 2003; X COP, Buenos Aires, 13-18 dicembre 2004; XI COP, Montreal, 7-9 dicembre 2005; XII COP, Nairobi, 14 - 17 novembre 2006; XIII COP, Bali, 11-14 dicembre 2007.

[41] The future we want”, outcome of the UNCSD Conference, Rio+20 (20-22 june 2012)

[42]  107ma Conferenza Interparlamentare (Marrakesh, 17-23 marzo 2002)

[43]  109ma Assemblea(Ginevra, 1° - 3 ottobre 2003),

[44]  111ma Assemblea (Ginevra, 28 settembre – 1° ottobre 2004).

[45]  Il Rapporto Cardoso è stato esaminato dalla 59ma Assemblea generale delle Nazioni il 4 e 5 ottobre 2004. Per maggiori informazioni si veda la scheda di merito.

[46]            Nairobi, 7 – 12 maggio 2006.

[47]  Si ricorda che l’Italia fa parte del Consiglio dell’ECOSOC dal 2010 e che la sua partecipazione terminerà alla scadenza dei tre anni di mandato, ovvero il 31 dicembre 2012. Il Consiglio ECOSOC è composta da 54 membri governativi, eletti dalla Assemblea Generale. I seggi vengono assegnati sulla base della consueta allocazione di quote numeriche per criterio di appartenenza ad area geografica (Africa, Europa, ecc.).

[48]  Si ricorda che particolare rilevanza ha avuto nel settembre del 1995 la Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne a Pechino, che ebbe un grande successo nel determinare un nuovo impegno internazionale verso gli obiettivi dell'uguaglianza, dello sviluppo e della pace per tutte le donne del pianeta, facendo evolvere l'agenda globale verso il progresso delle donne nel ventunesimo secolo. Al termine dei lavori, la Conferenza di Pechino adottò la: Dichiarazione di Pechino e la Piattaforma di Azione di Pechino (Platform for Action). Questi due documentirappresentano tutt’oggi le disposizioni della comunità internazionale per la promozione di maggiori poteri e responsabilità delle donne e del principio di eguaglianza di genere.

[49]  Nel 2000, l’Assemblea Generale – nel corso della 23a sessione speciale “Donne 2000: uguaglianza di genere, sviluppo e pace per il 21° secolo” - ha riesaminato i progressi compiuti nell’attuazione degli obiettivi contenuti nella Platform for Action e ha adottato due risoluzioni contenenti, rispettivamente una Dichiarazione politica e Ulteriori Azioni e Iniziative per attuare la Dichiarazione di Pechino e la Piattaforma di Azione.

[50]  Fonti: Ministero degli Affari esteri, CIA The World Factbook 2012, fonti di stampa.

*     A cura del MAE

[51]  Fonte: Sito dell’Unione interparlamentare

[52]  A seguito dell’attentato terroristico nella scuola di Beslan, nel settembre 2004, in cui morirono circa 300 persone di cui 184 bambini, sono state adottate misure volte a centralizzare il potere ed aumentare le prerogative del Presidente. Va ricordato che la Corte costituzionale della Federazione russa, chiamata a pronunciarsi su istanza dei deputati della Duma di Stato dell’Assemblea federale, ha deliberato la conformità della legge federale del 2004 alla Costituzione vigente.

[53]  E’ stato creato nel 1992 ed è presieduto dal Presidente della Federazione.

[54]  Il 30 giugno 2006, la Duma ha approvato definitivamente una riforma elettorale intesa a punire i deputati “sleali” nei confronti del proprio partito, punendoli con la sospensione dalla carica legislativa e sbarrando la strada per un passaggio politico all’opposizione. Il Parlamento ha inoltre posto fine alla possibilità di “votare contro tutti” riservata agli elettori che avessero voluto esprimere il proprio dissenso contro tutti i candidati. La norma antitrasformismo renderà impossibili non solo le “aggregazioni” all’interno del Parlamento ma impedirà anche il sostegno a partiti da parte di candidati di altri schieramenti durante le campagne elettorali.

[55]  Sono da segnalare le dimostrazioni seguite alla condanna a due anni di reclusione, avvenuta il 17 agosto, delle componenti del gruppo punk  Pussy Riot, tre giovani cantanti che si erano esibite in una performance anti Putin nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca. La pena è stata considerata iniqua e troppo severa da molti osservatori internazionali. In tale occasione, tra i fermati figurano anche l'ex campione di scacchi Garry Kasparov e Sergei Udaltsov, leader del Fronte di Sinistra e capofila dell'opposizione al presidente Putin.

[56]  In sede negoziale la Russia è riuscita ad ottenere deroghe temporanee ai regolamenti del WTO per alcuni settori strategici dell’economia  (rimarranno in vigore fino al 2018 i sussidi diretti al settore automobilistico nazionale, a quello aereonautico e agricolo).

[57]  Il tratto russo è stato completato nell'agosto 2010, mentre nel settembre 2010, in occasione della visita di Medvedev in Cina, è stato inaugurato il tratto Skovorodino-Daquin.

[58]  Fonti: The Cia Worldfactbook, e MAE

[59]  Audizione del Ministro degli esteri Giulio Terzi di Sant'Agata sui recenti sviluppi della situazione in Siria nel quadro regionale, innanzi alle commissioni congiunte 3° Senato e III Camera, 25 luglio 2012.

[60]  Ibidem.

[61]  Ibidem.

[62]  G. TERZI, Aiuti umanitari e mediazione politica: così stiamo costruendo il dopo-Assad, in La Repubblica, 23 agosto 2012.

[63]  La France se prépare à affronter une crise syrienne de longue durée, in Le monde, 16-17 septembre 2012, p. 4.

[64]  Si ricorda che il 12 ottobre 2011 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità la risoluzione S/RES/2011 (2011) che ha esteso il mandato ISAF di un anno, sino al 13 ottobre 2012. Nel testo il Consiglio di Sicurezza accoglie con favore il trasferimento alle autorità afghane della responsabilità della sicurezza entro il 2014, attraverso il processo di rafforzamento dell’efficacia, professionalità e responsabilità dell’Afghan National Army e delle forze afgane di polizia.

[65]  Attualmente in ambito SCO, di cui sono Stati membri Kazakhstan, Cina, Kyrgyzstan, Russia, Tajikistan e Uzbekistan, lo status di Paesi osservatori è riconosciuto a quattro Stati: India, Iran, Mongolia e Pakistan.

[66]  Il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica dell’Accordo di partenariato e cooperazione di lungo periodo tra l’Italia e l’Afghanistan è attualmente all’esame della Camera dei deputati (A.C. 5193) dove la Commissione Affari esteri ha concluso l’esame in sede referente il 27 giugno 2012. Per l’analisi dei contenuti dell’Accordo si veda il Dossier provvedimento n. 644 del 22 maggio 2012.

[67]  Per approfondimenti sul tema vedi: il dossier n. della serie "Documentazione e Ricerche" del novembre 2011, predisposto dai Servizi Studi della Camera dei deputati (n. 296) e del Senato della Repubblica (n. 318) "Incontro delle Commissioni Affari Esteri e Difesa della Camera e del Senato con il Capo del Dipartimento per il sostegno logistico alle operazioni di pace delle Nazioni Unite" (http://www.senato.it/leggiedocumenti/152388/152413/152414/357177/schedadossier_web_.htm)

[68]  Dal 1948 ad oggi sono 67 le operazioni di peace-keeping (Fonte: http://www.un.org/en/peacekeeping/resources/statistics/factsheet.shtml)

[69]  Boutros Boutros Ghali, An Agenda for Peace - Preventive Diplomacy, peacemaking and peacekeeping, in http://www.un.org/docs/SG/agpeace.html

[70]  Si veda http://www.un.org/Depts/dpko/dpko/info/sitcentre.shtml

[71]  Brahimi Lakhdar, Report of the Panel on United Nations Peace Operations, in

http://www.un.org/peace/reports/peace_operations/

[72]  Assemblea generale delle Nazioni Unite, A/60/696, Overview of the financing of the United Nations peacekeeping operations: budget performance for the period from 1 July 2004 to 30 June 2005 and budget for the period from 1 July 2006 to 30 June 2007. Si veda, http://www.un.org/Depts/dpko/dpko/reports.htm

[73]  Per l'elenco delle 15 operazioni in corso e per la speciale missione in Afghanistan vedi: http://www.un.org/en/peacekeeping/operations/current.shtml

[74]  http://www.un.org/en/peacekeeping/about/

[75]  http://www.un.org/Depts/dpko/dpko/Conduct/un_in.pdf

[76]  http://www.un.org/Depts/dpko/dpko/Conduct/ten_in.pdf

[77]  La Peace-building Commission è stata creata con la Risoluzione dell'Assemblea generale del 30 Dicembre 2005, A/RES/60/180.

[78]  Official Records of the General Assembly, Sixty-fifth Session, Supplement No. 19 (A/65/19).

[79]  La Commissione sul disarmo , istituita nel 1952 con un mandato generale sulle questioni relative al disarmo. Nel 1978 la prima Sessione Speciale sul Disarmo (SSOD I) dell’Assemblea generale Onu ha trasformato l’organismo in un organo sussidiario dell’Assemblea generale composto dai rappresentati di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite. L’UNDC, che formula raccomandazioni e linee guida sulle problematiche connesse al disarmo e che ogni anno presenta un proprio rapporto all’Assemblea generale, dal 1989 limita la propria agenda ad alcuni temi di volta in volta precisamente individuati, al fine di poterli sottoporre ad un esame approfondito.

[80]  La Conferenza sul disarmo venne istituita nel 1979, dopo la prima Sessione Speciale sul Disarmo (SSOD I) dell’Assemblea generale ONU (1978) come unico forum di negoziazione unilaterale sul disarmo della Comunità internazionale. La carica di Segretario della Conferenza, nonché di rappresentante personale del Segretario generale dell’Onu, viene conferita al direttore generale del UNOG.

[81]  Lanciato nel corso della prima Sessione speciale sul disarmo (SSOD I) dell’Assemblea generale ONU (1978) il programma di cooperazione sul disarmo è destinato alla specializzazione di operatori nazionali, con particolare riguardo a quelli provenienti dai Paesi in via di sviluppo, al fine di favorire una loro partecipazione più qualificata ai forum internazionali di negoziazione e deliberazione sul disarmo.

[82]  Staffan de Mistura, che dal 2001 al 2004 è stato rappresentante speciale dell’ONU nel Libano meridionale e per 15 mesi rappresentante speciale per l’Iraq, quindi Vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale, ha preso il posto del norvegese Kai Eide il 1° marzo 2010.