Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: La crisi siriana - Cronologia degli avvenimenti (dicembre 2011-luglio 2012)
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 367
Data: 23/07/2012
Descrittori:
SIRIA     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

La crisi siriana

 

Cronologia degli avvenimenti
(dicembre 2011-luglio 2012)

 

 

 

 

 

 

n. 367

 

 

 

23 luglio 2012

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4939 / 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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INDICE

 

La crisi siriana: cronologia degli avvenimenti 
(dicembre 2011-luglio 2012)

§      Invio di una missione della Lega araba di osservazione (dicembre)              3

§      Fine della missione interaraba e nuove sanzioni dell’UE contro Damasco (gennaio)          4

§      Iniziative internazionale per una soluzione della crisi siriana. Intensificazione della repressione da parte del regime (febbraio)                                                                              5

§      Avvio della mediazione Annan. Eccidio di Homs. Dichiarazione del CdS delle Nazioni Unite (marzo)10

§      Invio di una missione di osservatori delle Nazioni Unite. Massacro di civili ad Hula. Rottura delle relazioni diplomatiche con la Siria (maggio)                                                 18

§      Impasse della missione internazionale di osservatori. Ipotesi d’intervento armato delle Nazioni Unite. Abbattimento di un jet militare turco da parte della contraerea siriana (giugno)        21

§      Nuovo piano internazionale di transizione per la Siria. Attentato al ministro siriano della difesa a Damasco. Escalation delle vittime (luglio)                                                    27

Aggiornamenti bibliografici                                                  37

 

 


La crisi siriana: cronologia degli avvenimenti

(dicembre 2011-luglio 2012)

 


Invio di una missione della Lega araba di osservazione (dicembre)

Il 19 dicembre 2011 la Siria ha accettava, dopo sei settimane di estenuanti trattative, una parte rilevante del piano di pace della Lega araba - cui Damasco aveva acconsentito formalmente già il 2 novembre -, ovvero l’invio di una missione di circa 500 osservatori arabi in territorio siriano. La Siria  comunque otteneva che i movimenti degli osservatori si coordinassero con quanto richiesto dal governo per ragioni di sicurezza interna. Il raggiungimento dell’accordo è stato anche in parte risultato delle pressioni di Mosca e Teheran su Damasco.

Nel lungo periodo delle trattative, peraltro, nonostante la liberazione di circa 2.800 prigionieri, il regime aveva continuato nella durissima repressione in atto contro le proteste in tutto il paese: secondo alcuni comitati di attivisti, nel mese e mezzo trascorso dalla formale accettazione del piano di pace della Lega araba sarebbero stati uccisi più di novecento civili, tra cui circa ottanta tra bambini e adolescenti.

I primi osservatori giungevano a Damasco tre giorni dopo la firma dell’intesa tra Siria e Lega araba, e la missione era a pieno organico entro Natale. La presenza degli osservatori non modificava però granché la situazione sul terreno, poiché veniva continuamente riferito di vittime civili durante rinnovate proteste contro il regime, mentre anche il fenomeno più recente degli attentati suicidi proseguiva, culminando nei due attacchi contemporanei del 23 dicembre e in quello del 6 gennaio 2012, in entrambi i casi a Damasco. Lo stesso svolgimento della missione della Lega araba destava critiche, soprattutto per l’asserito scarso contatto con esponenti della contestazione al regime, oltre al fatto di una certa dissonanza tra quanto dichiarato dagli osservatori sul campo e quanto riferito dal Segretario generale della Lega araba, decisamente più ottimista in ordine agli sviluppi siriani.

Si assisteva intanto un cospicuo reingresso sulla scena mediatica del presidente Assad, con il quarto discorso televisivo (10 gennaio 2012) alla nazione dall'inizio della crisi politica del paese: Assad insisteva nel negare qualunque responsabilità diretta del regime della sanguinosa repressione, attribuendo gli sviluppi tragici dei dieci mesi di proteste ad una serie di eventi innescata principalmente da una cospirazione contro il paese, che si servirebbe anche dell'azione di gruppi armati e terroristici. Proprio la lotta contro questi elementi dovrà accompagnare secondo Assad l'azione riformistica del governo, peraltro già più volte preannunciata, e stavolta nella forma di emendamenti alla Costituzione da sottoporre al voto popolare entro il mese di marzo 2012, per tenere poi due mesi dopo elezioni legislative. Il presidente siriano ribadiva altresì la sua volontà di restare al potere.

 

Fine della missione interaraba e nuove sanzioni dell’UE contro Damasco (gennaio)

L'11 gennaio Assad rilanciava con un comizio in Piazza degli Omayyadi, a Damasco, davanti a una folla di propri sostenitori e sotto gli occhi della moglie e dei figli. Quasi a smentire i toni trionfalistici di Assad, tuttavia, vi è stata nella stessa giornata la defezione di uno degli osservatori della Lega araba impegnati in Siria, algerino, che in un'intervista rilasciata ad al-Jazira ha accusato il regime siriano di perpetrare crimini e organizzare una serie di messinscene per depistare gli osservatori, utilizzando in pratica la missione della Lega araba come un paravento dietro il quale proseguire nella repressione. Inoltre, un noto corrispondente di guerra francese, Gilles Jacquier, recentemente vincitore del premio Ilaria Alpi, perdeva la vita nelle stesse ore,mentre seguiva un corteo lealista nella città di Homs, colpito da schegge di mortaio.

Mentre proseguiva senza soluzione di continuità l'ondata di violenze nel paese, che in effetti vedeva tra le vittime sempre più frequentemente anche appartenenti alle forze di sicurezza, la Siria rigettava con forza l’ipotesi, avanzata qualche giorno prima dall’emiro del Qatar, di inviare truppe di paesi arabi per fermare i massacri. Damasco si diceva pronta solo a considerare l'eventualità di una proroga del mandato della missione degli osservatori della Lega araba.

Il 22 gennaio 2012 si svolgeva nella capitale egiziana una riunione dei Ministri degli esteri degli Stati aderenti alla Lega araba ne corso della quale l'Arabia saudita annunciava il ritiro dei propri osservatori di fronte al mancato rispetto siriano del piano di pace. Alla fine della riunione si perveniva ad un risultato rilevante: la Lega araba chiedeva ufficialmente alle Nazioni Unite il sostegno per il nuovo piano di pace, che prevedeva entro due mesi il trasferimento dei poteri del presidente Assad al suo vice e la costituzione di un governo di unità nazionale - una soluzione molto simile a quella adottata per lo Yemen. Collateralmente la Lega araba decideva di estendere il mandato della missione di osservatori che aveva già operato in Siria per circa un mese.

I Ministri degli esteri dell'Unione europea, riunitisi il 23 gennaio, concordavano nel sostenere il ruolo che la Lega araba giocava al momento nella crisi siriana, approvando contestualmente l'undicesima tornata di sanzioni contro Damasco, con un'ulteriore estensione dei divieti sui visti e il congelamento di altri beni siriani in territorio europeo. Non vi sono stati tuttavia segnali di cedimento nel forte appoggio russo alla Siria.

Mentre sul terreno gli scontri tra le forze di sicurezza pro regime e i disertori oramai numerosi prendevano sempre più il posto delle pacifiche dimostrazioni duramente represse, e il regime, nel timore di uno sblocco della situazione in seno alle Nazioni Unite che avrebbe potuto portare all'intervento internazionale, cercava di accelerare le operazioni contro manifestanti e oppositori armati; sul piano diplomatico la Siria, pur continuando a rifiutare  il piano di pace messo a punto dalla Lega araba, il 24 gennaio infine acconsentiva a una proroga della missione di osservatori della Lega araba medesima in territorio siriano.

La Lega araba, dal canto suo, doveva fare i conti con il ritiro dal team di osservatori dell'Arabia Saudita e di altri stati monarchici del Golfo Persico. L’obiettivo del segretario generale al Araby pertanto diveniva quello di portare la questione siriana al Palazzo di vetro, per ottenere maggiore prestigio e credibilità sulla proposta di pace avanzata alla Siria, pur scontando anticipatamente l'opposizione russa, intenzionata con il veto a bloccare ogni possibilità di via libera a un intervento internazionale contro il regime di Assad.

L'escalation di violenza in atto in Siria ha trovato il 27 gennaio corrispondenza anche in Egitto, dove più di un centinaio di oppositori siriani ha assaltato l'ambasciata di Damasco, riuscendo a penetrarvi e a danneggiare alcune suppellettili, prima dell’intervento della polizia egiziana.

Considerata la grave accelerazione delle violenze in Siria, il 28 gennaio la Lega araba annunciava la sospensione della missione di osservatori, riservando ad un momento successivo una decisione definitiva sul destino di essa. Nel contempo, la Lega avviava colloqui con la Russia per un’intesa insede ONU, ove si sperava di far approvare una risoluzione, già messa a punto dalla stessa Lega araba e da alcuni paesi occidentali, basata sul piano di pace già da tempo avanzato dalla Lega araba al presidente Assad.

 

Iniziative internazionale per una soluzione della crisi siriana. Intensificazione della repressione da parte del regime (febbraio)

L'inizio di febbraio registrava il dispiegarsi di un intenso lavoro diplomatico concernente la situazione siriana, dapprima con il tentativo di far votare in Consiglio di sicurezza una risoluzione presentata dal Marocco per conto della Lega araba che prevedeva l'uscita di scena di Assad, e successivamente, nel tentativo di ottenere il consenso russo e cinese, un testo molto ammorbidito, che in pratica si limitava alla condanna della repressione messa in atto dal regime di Assad. Tuttavia, con grave disappunto delle democrazie occidentali e delle stesse Nazioni Unite, anche su questo testo il 4 febbraio si registrava il veto della Russia e della Cina, che innescava durissime reazioni delle cancellerie occidentali, come anche dei paesi appartenenti alla Lega araba.

In particolare, il 6 febbraio gli Stati Uniti hanno chiuso la loro rappresentanza a Damasco, mentre il giorno successivo gli Stati arabi appartenenti al Consiglio di cooperazione del Golfo e diversi paesi occidentali - Italia, Francia, Spagna e Olanda - hanno richiamato per consultazioni i propri ambasciatori in Siria. I paesi del CCG hanno fatto di più, giungendo ad espellere gli ambasciatori siriani accreditati nelle loro capitali e ad accusare il regime di Assad di massacro collettivo contro un popolo disarmato.

Di fronte all’impasse diplomatica, nei giorni successivi alla bocciatura della risoluzione in seno al Consiglio di sicurezza dell'ONU si rincorrevano le indiscrezioni su progetti di fornitura di armi ai ribelli siriani, sulla valutazione da parte americana di possibili opzioni di intervento militare - sulle quali non vi era l'accordo dell'Unione europea, comunque pronta anche ad operare mediante piani di evacuazione di emergenza dalla Siria -, nonché sulla presenza in territorio siriano di agenti militari dei paesi occidentali, ipotesi questa agitata soprattutto dalla Russia.

Il 12 febbraio la Lega araba, riunita al Cairo, imprimeva un nuovo slancio agli sforzi per venire a capo della tragica situazione della Siria: infatti l'Organizzazione panaraba poneva fine con nettezza alle ambiguità che avevano circondato lo svolgimento della missione di osservatori in territorio siriano, dichiarandone la cessazione, e rilanciando abbastanza clamorosamente con la richiesta alle Nazioni Unite della creazione di una forza di pace congiunta formata dalle Nazioni Unite e Lega araba. Veniva inoltre deciso di sospendere il coordinamento diplomatico tra paesi arabi e Siria, sia a livello bilaterale, sia in seno alle Organizzazioni internazionali. Di grande importanza è apparsa poi la richiesta di sottoporre al diritto internazionale la punizione di quanti verranno ritenuti responsabili dei massacri contro la popolazione civile siriana.

La Lega araba apriva altresì con chiarezza al fronte degli oppositori al regime di Assad, ai quali, in cambio del raggiungimento di una maggiore compattezza e unità di intenti, assicurava appoggio politico e finanziario, come dimostra anche il via libera dato alla richiesta tunisina di ospitare il 24 febbraio una conferenza degli amici della Siria. La proposta di una forza congiunta di pace sembrava incontrare il favore dell'Italia e dell'Unione europea, con un distinguo francese - di essa avrebbero dovuto far parte militari dei paesi occidentali -: sostanzialmente contraria invece la Russia, per la quale il primo obiettivo da perseguire era la cessazione delle ostilità sul terreno.

Anche l’inizio di febbraio vedeva purtroppo proseguire lo stillicidio di attacchi delle forze armate e di sicurezza siriane contro i civili, mentre il regime di Assad continuava a presentare gli avvenimenti quale legittima reazione ad un complotto armato in atto nel paese. Già il 1º febbraio si registravano una sessantina di morti nella regione centrale di Homs e nei dintorni di Damasco, ma anche sulle montagne occidentali nei pressi del confine libanese.

Dalla serata del 3 febbraio, poi, iniziava un pesante bombardamento della città di Homs, che secondo fonti dell’opposzione avrebbe provocato circa 250 morti e la distruzione di 30 edifici, fatti oggetto di colpi di mortaio e di artiglieria. Anche in altre località della Siria, come in un sobborgo a sud della capitale e nella città nord-occidentale di Hama vi sono state vittime deilla repressione. Per converso, le ambasciate siriane in molti paesi arabi ed europei venivano assaltate da seguaci dell'opposizione, che ne hanno quasi ovunque danneggiato gli arredi e sostituito la bandiera con il tricolore siriano dell'indipendenza.

Dopo il veto russo e cinese del 4 febbraio alla risoluzione in discussione nel Consiglio di sicurezza dell'ONU, il giorno successivo si registrava una recrudescenza dei combattimenti tra soldati governativi e disertori, con quasi sessanta vittime, mentre la furia degli oppositori siriani all'estero prendeva di mira anche le ambasciate russe in Libano e in Libia. Il 6 febbraio, nonostante l'imminente arrivo a Damasco del Ministro degli esteri russo Lavrov, con l’obiettivo di indurre il regime a considerare la possibilità di una trattativa con gli oppositori, oltre cinquanta persone sono morte per bombardamenti a Homs e nei sobborghi di Damasco.

Frattanto vi sono stati segnali di tensione nell'elemento militare delle opposizioni, ancora privo di una consolidata leadership. La repressione è proseguita senza soluzione di continuità il 7 febbraio con non meno di 25 vittime a Homs, a Daraa, alla periferia della capitale e presso il confine libanese. Il giorno successivo ha visto un nuovo picco del numero delle vittime, con un centinaio di morti tra Homs, Daraa e la regione a ovest della capitale: si sono diffuse anche le prime voci di bombardamenti contro ospedali, e uno di questi avrebbe provocato la morte di 18 neonati. L'escalation delle vittime è proseguita il 9 febbraio, sesto giorno consecutivo di bombardamenti su Homs, ove si sono avute la maggior parte delle oltre cento vittime della giornata.

Il 10 febbraio anche l'ambasciata siriana a Roma veniva danneggiata da alcuni militanti del “Coordinamento siriani liberi” di Milano, successivamente arrestati: nella stessa giornata del 10 febbraio un duplice attentato suicida colpiva nella regione settentrionale Aleppo, il maggiore centro economico del paese, provocando la morte di 28 persone e il ferimento di oltre duecento. Fino a quel momento non toccata dalla contestazione al regime di Assad, una settimana prima Aleppo aveva visto però le prime manifestazioni contro il governo, cui le opposizioni hanno attribuito la paternità degli attentati. Intanto, proseguendo il bombardamento di Homs e i combattimenti nei sobborghi di Damasco, si contavano il 10 febbraio almeno altre cinquanta vittime.

L'11 febbraio il regime siriano, dopo l'uccisione a Damasco di un generale medico, è tornato a denunciare l'azione del terrorismo, che sarebbe responsabile della tragica situazione del paese. Mentre pare evidente l'uso strumentale della teoria del complotto internazionale che il regime ha fatto sin dall'inizio della repressione – e alla quale non sembra credere nemmeno l’alleato russo -, non vanno sottovalutate le possibilità che effettivamente elementi del terrorismo internazionale si siano progressivamente infiltrati nel paese per sfruttarne l'instabilità: in tal senso si sono ad esempio espresse alcune fonti dell'intelligence statunitense, per le quali alla base di alcuni attentati perpetrati in Siria a partire dal dicembre 2011 vi sarebbero elementi di al Qaida provenienti dall'Iraq. Il 12 febbraio il capo di al Qaida al Zawahiri è sembrato in qualche modo dar ragione a questa ipotesi, intervenendo in video a sostegno della rivolta contro Assad, ma mettendo in guardia la popolazione nei confronti delle iniziative occidentali e di quelle della Lega araba.

Nella seconda metà di febbraio proseguiva la repressione violenta di ogni manifestazione di dissenso, con particolare accanimento contro le due città centrali di Homs e Hama, ma senza trascurare la capitale e l’area meridionale di Daraa. Frattanto veniva messa in campo un'intensa attività diplomatica intorno alla questione siriana, che ha visto però sempre la Russia e la Cina ostacolare ogni progetto della Comunità internazionale nei confronti di Damasco.

Il regime di Assad il 15 febbraio annunciava che 11 giorni dopo si sarebbe svolto un referendum su un progetto di nuova Costituzione che prevedeva l'introduzione di un sistema multipartitico, dando corso alla soppressione del monopolio politico del partito Baath. Tuttavia, la nuova Costituzione  vietava tanto i partiti costituiti su base religiosa, quanto quelli a base regionale: in tal modo sarebbero comunque esclusi dalla competizione politica sia i Fratelli musulmani che i partiti curdi. Il progetto di Costituzione prevedeva inoltre l'elezione a suffragio universale diretto del presidente, per non più di due settennati. Da notare che il combinato disposto di altre previsioni del progetto costituzionale fa sì che il presidente possa essere soltanto di sesso maschile e di religione musulmana. La giurisprudenza islamica veniva posta alla base di tutte le norme del paese, ed era abolito qualsiasi riferimento al socialismo nell'organizzazione socio-economica del paese. La reazione occidentale è stata quella di considerare l'offerta del regime assolutamente tardiva e non credibile.

Il 16 febbraio l'Assemblea generale dell'ONU approvava un progetto di risoluzione di condanna della repressione attuata dal regime siriano, oramai definita più volte anche dallo stesso Segretario generale delle Nazioni Unite alla stregua di crimini contro l'umanità: il documento, presentato dall'Egitto a nome della Lega araba, ha ricevuto il voto contrario di soli 12 paesi, mentre 17 si sono astenuti. Tra i contrari anche Russia e Cina, persistenti nel sostegno al regime di Assad, al di là di una dissociazione formale dagli aspetti più plateali della repressione. Mentre la Croce rossa internazionale ha intrapreso trattative con il regime siriano per una temporanea cessazione delle ostilità volta a consentire di recare aiuto ai civili coinvolti nella repressione in diverse città della Siria, Cina e Russia hanno infatti inviato propri emissari a Damasco, e si sono pronunciate a favore del processo di riforme intrapreso dal regime con il progetto di nuova Costituzione.

Il 22 febbraio un'inviata del Sunday Times ed un fotografo francese sono stati uccisi nel bombardamento dell'edificio in cui si trovavano nel quartiere Bab Amro di Homs, uno dei più martoriati dalla repressione. L'organizzazione Reporters sans frontières ha riferito del ferimento di altri due giornalisti occidentali, e ha accusato il regime di aver bombardato intenzionalmente la casa in cui si trovavano le due vittime, poiché era ampiamente risaputo che essa ospitava da tempo giornalisti stranieri.

Intanto Nazioni Unite e Lega araba incaricavano l'ex segretario dell'ONU Kofi Annan di intraprendere un'iniziativa diplomatica a tutto campo per tentare di giungere alla cessazione delle ostilità in Siria: anche la Cina e la Russia appoggiavano la nomina di Annan, soprattutto per togliere credibilità alla riunione del 24 febbraio degli amici della Siria, svoltasi a Tunisi su iniziativa della Lega araba, e con l'adesione di Stati Uniti, Unione europea e Turchia. Nonostante una vasta partecipazione di circa 60 paesi, l'incontro si chiudeva effettivamente senza particolari risultati, più che altro con una serie di dichiarazioni di intenti per un inasprimento dell'azione della Comunità internazionale verso il regime siriano.

Il 26 febbraio si è svolto in Siria il previsto referendum costituzionale, con un'affluenza di poco superiore alla metà degli aventi diritto: il progetto veniva tuttavia approvato con una larghissima maggioranza da quasi il 90% dei partecipanti alla consultazione.

Il 27 febbraio l'Unione europea varava il dodicesimo pacchetto di sanzioni contro il regime di Assad, procedendo in particolare al congelamento delle attività finanziarie della Banca centrale siriana, nonché al divieto del commercio di metalli preziosi e di diamanti e all'interdizione dei voli merci effettuati da compagnie siriane; tali misure si aggiungevan all'embargo sugli armamenti e all'embargo sulle importazioni ed esportazioni di petrolio siriano già in precedenza deliberati. Alle 150 personalità ed entità della Siria già colpite dall'Unione europea congelandone i beni e bloccandone i visti di ingresso nel territorio dell'Unione sono stati aggiunti sette ministri del governo di Damasco.

Successivamente, la sanguinosa repressione ha nuovamente raggiunto con particolare accanimento la roccaforte di Bab Amro nella città di Homs, nella quale peraltro sono rimasti per giorni prigionieri due reporter francesi, dopo che il 22 febbraio due altri loro colleghi aveva perduto la vita sotto le bombe del regime. Il 1º marzo fortunosamente i due reporter francesi hanno potuto raggiungere il Libano e mettersi in salvo, ma solo grazie all'aiuto di gruppi di ribelli al regime di Assad.

Il 2 marzo il vertice dei Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea ha deciso un ulteriore inasprimento delle sanzioni mirate contro il regime siriano, riconoscendo altresì il Consiglio nazionale siriano come legittimo rappresentante del popolo, e dando il via a una raccolta di prove per l'incriminazione dei responsabili delle stragi dinanzi alla Corte penale internazionale.

Intanto la situazione a Bab Amro, nonostante le affermazioni del regime di averne preso pieno possesso, si è mantenuta incerta, tanto che la Croce Rossa internazionale non ha potuto recare nel quartiere di Homs gli aiuti umanitari, limitandosi a rifornire le zone ad esso limitrofe e a soccorrere i numerosi profughi in fuga dalla regione centrale verso il confine con il Libano.

Nonostante il proseguire degli sforzi a livello internazionale quantomeno per attenuare la tragica situazione della Siria, la repressione è proseguita anche nella settimana successiva, concentrandosi in particolare contro la città di Idlib. Vi sono stati peraltro alcuni segnali di indebolimento del regime, quando l'8 marzo la televisione panaraba al Arabiya ha riportato notizie sulla diserzione di tre generali dell'esercito, che erano stati preceduti dall’ancor più importante abbandono del regime da parte del viceministro del petrolio Hussameddin, l'esponente di più alto grado a lasciare Assad dall'inizio delle proteste nel paese.

 

Avvio della mediazione Annan. Eccidio di Homs. Dichiarazione del CdS delle Nazioni Unite (marzo)

Il 10 marzo l'ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, inviato dall'ONU e dalla Lega araba per tentare di avviare una soluzione della questione siriana, si è recato a Damasco: qui lo stesso presidente Assad ha ribadito la versione ufficiale per cui la repressione in atto sarebbe occasionata esclusivamente dall'esistenza di gruppi armati e terroristi nel paese. Sostegno alla difficile missione di Kofi Annan è stato ribadito al Cairo nelle stesse ore da una dichiarazione congiunta della Lega araba e della Russia, che sono tornate a chiedere la cessazione delle violenze da qualsiasi parte perpetrate, la possibilità di un controllo da parte di istituzioni neutrali ma al di fuori di qualsiasi influenza straniera in Siria, il libero accesso di aiuti umanitari alla popolazione nelle zone più martoriate.

Il giorno successivo Kofi Annan si è nuovamente incontrato con Assad, mentre l'offensiva delle forze di sicurezza siriane su Idlib si intensificava: alla fine del colloquio l'ex Segretario generale dell'ONU ha rilasciato una dichiarazione che esprimeva al tempo stesso la consapevolezza della grande difficoltà di giungere a una cessazione delle violenze nel paese ed un ottimismo di fondo basato sull’esistenza, secondo Kofi Annan, di una volontà di giungere alla pace.

Nella notte tra 11 e 12 marzo un nuovo atroce episodio di violenza si consumava a Homs, ove intere famiglie sono state decimate, con un bilancio di una cinquantina di vittime, tra le quali molte donne e bambini.

Nel frattempo, alle Nazioni Unite, non registrava progressi un’ulteriore bozza di risoluzione, incentrata sull’esigenza di fare affluire aiuti umanitari urgenti alla popolazione siriana, e sulla quale è persistito lo scetticismo russo e cinese, i due paesi temendo sempre la ripetizione dello scenario libico di un anno prima. In questo contesto, nel quale oltre alla prosecuzione delle violenze contro i civili sarebbero stati ormai secondo le Nazioni Unite circa trentamila i siriani fuggiti nei paesi vicini e duecentomila gli sfollati interni; il regime, sulla base del referendum costituzionale di febbraio, ha indetto per il 7 maggio elezioni politiche, la cui regolarità è stata subito contestata dal Dipartimento di Stato USA.

Il 14 marzo anche il nostro Paese ha sospeso l’attività della propria rappresentanza diplomatica a Damasco, richiamandone in patria il personale, per motivi di sicurezza e per dimostrare la riprovazione italiana per le violenze perpetrate dal regime siriano.

Il 16 marzo il primo ministro turco Erdogan ha annunciato che il proprio paese avrebbe valutato la possibilità di creare una zona-cuscinetto al confine con la Siria, in presenza di un costante flusso di profughi verso la Turchia, che sarebbero stati già 15.000. Intanto il giorno dopo due esplosioni hanno colpito a Damasco la sede dei servizi di sicurezza dell'aeronautica e gli uffici della sicurezza criminale, provocando 27 vittime, per lo più civili. I servizi di sicurezza dell'aeronautica sono particolarmente famigerati, in quanto ritenuti la più efficiente agenzia di controllo e direzione della repressione.

Il 18 marzo anche la città di Aleppo è stata toccata dall'ondata di attentati, quando un'autobomba è esplosa vicino a un ufficio dei servizi della sicurezza politica, provocando almeno due morti e una trentina di feriti. Tutti questi attentati hanno nuovamente scatenato reciproche accuse fra il regime e gli oppositori, mentre la televisione e la stampa ufficiale del regime siriano hanno apertamente attaccato il Qatar e l'Arabia saudita, bollati come responsabili di tutte le violenze in atto nel paese.

Il 19 marzo giungeva a Damasco una squadra di cinque esperti nominati dall'emissario speciale dell'ONU e della Lega araba per la crisi siriana, Kofi Annan, con l'obiettivo di esaminare congiuntamente con le autorità di governo siriane la possibilità di applicare alcune delle proposte elaborate dall'ex segretario generale delle Nazioni Unite. Altro personale ONU si trovava già dal giorno precedente in Siria per una valutazione sul campo della situazione umanitaria.

Il 19 marzo il leader del gruppo liberaldemocratico al Parlamento europeo, Guy Verhofstadt, citando fonti dell'opposizione siriana, ha affermato che forze speciali della Russia avrebbero scaricato nel porto siriano di Tartus armi destinate al regime: Verhofstadt ha chiesto un'indagine da parte dell'ONU, poiché tale condotta, qualora appurata, renderebbe la Russia complice dei crimini contro l'umanità perpetrati dal regime di Assad.

Quasi facendo seguito alle aspre critiche all'atteggiamento del governo siriano da parte della Russia, pronunciate dal ministro degli esteri Lavrov il 20 marzo, il giorno successivo il Consiglio di sicurezza dell'ONU approvava una dichiarazione - con il concorso della Russia della Cina, che stavolta non si opponevano all’adozione del documento - nella quale si richiedeva a Damasco di attuare prontamente le proposte dell'inviato dell'ONU e della Lega araba Kofi Annan. Tali proposte comprendevano il ritiro delle forze militari dalle città e il rilascio di tutti coloro che fossero stati arbitrariamente arrestati. Come notava lo stesso Ministro degli esteri francese Juppé, si è delineata una certa evoluzione della posizione russa, in rapporto al fatto che il regime siriano appariva impermeabile a qualunque iniziativa internazionale.

Ciò è dimostrato dal fatto che il giorno dopo la dichiarazione del Consiglio di sicurezza, dunque il 22 marzo, vi è stata un’intensificazione delle violenze, con un bilancio non inferiore a 70 morti. Tra l'altro veniva impedito anche a centinaia di famiglie che cercavano di abbandonare il territorio siriano per entrare in Giordania di lasciare il paese, costringendole ad accamparsi a ridosso della frontiera siro-giordana. La presa di posizione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stata comunque criticata da esponenti del Consiglio nazionale siriano, poiché giudicata troppo blanda.

Il 23 marzo l'Unione europea ha adottato ulteriori misure sanzionatorie nei confronti di esponenti del regime siriano e di entità del paese, portando complessivamente a 126 il numero degli individui e a 41 il numero delle entità da esse toccati. L'ultima tornata di sanzioni ha riguardato quattro donne al vertice del potere siriano, ovvero la first lady, la madre del presidente Assad, nonché una sorella maggiore e una cognata di questi. Le ultime sanzioni hanno colpito anche il Ministro dell'elettricità, il ministro dell'amministrazione locale, alcuni sottosegretari e un imprenditore siriano. Due sono state invece le società toccate dalle nuove misure restrittive.

Il 23 marzo è peraltro coinciso anche con un nuovo venerdì di protesta, al termine del quale si sono contate 32 vittime, per lo più nella città di Homs. Il 24 marzo i bombardamenti delle forze governative su diverse città sono proseguiti, provocando almeno 20 morti, e tutto ciò ad onta del proseguire dell'iniziativa di Kofi Annan, che si recava a Mosca il 25 marzo, e a Pechino il 27 marzo. La crisi siriana è sembrata dunque sempre più precipitare in una dimensione di scontro militare, come testimoniava anche la decisione di creare un Consiglio militare nel quale dovrebbero confluire tutte le truppe dei disertori. La Turchia, che ha visto sempre più deteriorarsi i rapporti con l’ex alleato siriano, dal quale oltretutto temeva di veder favorire un rilancio del terrorismo secessionista curdo del PKK; concordava con gli Stati Uniti, nell’incontro tra Erdogan e il presidente Obama a Seul (25 marzo), nel dare il via a forniture di carattere non militare ai ribelli siriani.

La successiva settimana, apertasi con le speranze suscitate dal convergere della Russia e della Cina a favore del piano di Kofi Annan per la cessazione delle violenze nel paese, e soprattutto dall'annuncio del governo siriano (27 marzo) dell'accettazione del piano; si è poi dipanata con il consueto elenco quotidiano di scontri e di vittime, senza sostanziali progressi verso il cessate il fuoco. Nulla infatti è stato attuato del piano, a cominciare dal ritiro delle truppe e delle armi pesanti dai centri abitati della Siria e dalla parziale tregua quotidiana per consentire la fornitura di aiuti umanitari laddove necessario.

Profondo scetticismo era stato del resto espresso dagli oppositori siriani riuniti a Istanbul, ove il 28 marzo sono riusciti a convergere su un itinerario mirante all’instaurazione di un governo transitorio dopo l'auspicata fine del regime di Assad. Gli oppositori hanno inoltre ribadito che il Consiglio nazionale siriano va considerato l'interlocutore ufficiale e formale del popolo siriano. L'unico neo sulla riunione è stata la parziale defezione di alcuni elementi curdi, scontenti per la mancanza di prospettive di autonomia nel futuro assetto della Siria.

Il vertice della Lega araba, che per la prima volta in 22 anni si è svolto nella capitale irachena Baghdad (29 marzo), rilanciava l'esortazione alla Siria ad applicare immediatamente il piano Annan, constatando l'assoluta inerzia di fatto del regime di Assad nel dare seguito a quanto a parole accettato il 27 marzo. Tuttavia, Damasco non ha preso troppo sul serio quanto uscito dalla riunione di Baghdad, anche perché ufficialmente sospesa dalla Lega araba. Va del resto rilevato che anche da parte dei ribelli si poneva un ostacolo non irrilevante all'attuazione del piano, poiché anche questi ultimi non intendevano deporre le armi prima che a farlo fosse il regime siriano, ritirando i blindati e le armi pesanti dalle principali città.

 

Tensioni turco-siriane. Risoluzioni del CdS delle Nazioni Unite sulla crisi siriana (aprile)

Il 1º aprile si è svolta a Istanbul la seconda Conferenza degli amici della Siria, cui hanno preso parte circa 80 paesi, che ha chiesto con forza di indicare una data ultimativa al regime siriano per l'applicazione del piano formalmente accettato. In particolare, il segretario generale della Lega araba, al Arabi, ha esortato le Nazioni Unite ad adottare misure severe contro il regime di Assad, non escluse quelle previste dal VII capitolo della Carta dell'ONU, che riguarda gli interventi armati a difesa della pace.

Nonostante questa presa di posizione, nel complesso la Conferenza non ha espresso alcun orientamento per armare direttamente i ribelli, bensì solo per appoggiarli finanziariamente. La Conferenza ha inoltre ribadito il riconoscimento del Consiglio nazionale siriano come legittimo rappresentante di tutti i cittadini e raggruppamento delle varie frange dell'opposizione. Lo stesso Consiglio nazionale siriano, peraltro, ha giudicato un po' tiepide le misure uscite dalla Conferenza di Istanbul, richiedendo l'apertura di corridoi umanitari per la popolazione sotto il tallone della repressione, nonché la fornitura di armi ai disertori dell'esercito siriano impegnati nei combattimenti.

La data del 10 aprile, entro la quale secondo l'inviato speciale dell'ONU e della Lega araba Kofi Annan il governo siriano si sarebbe impegnato a ritirare le truppe dalle città e a cessare dalla repressione, è divenuta il terreno di scontro con il regime di Assad nell’ultima settimana: infatti la Siria ha sostenuto che il 10 aprile andava considerata data di inizio del ritiro delle proprie forze armate dai centri abitati, da completare semmai entro i due giorni successivi, ed esattamente entro le ore 6 del 12 aprile. Successivamente il regime di Assad ha manifestato la tendenza ad un’ulteriore dilazione del termine, considerando la mancanza di qualunque impegno delle forze di opposizione a cessare a loro volta dai combattimenti, che, si ricorda, il regime di Damasco ha costantemente richiamato quale vera causa della repressione.

L'atteggiamento della Siria ha preso corpo nonostante le esortazioni di Kofi Annan e dell'attuale Segretario generale dell'ONU a cessare immediatamente ogni violenza, e nonostante la seconda Dichiarazione del Consiglio di sicurezza dell'ONU del 5 aprile, nella quale si ribadiva il pieno sostegno all'opera di Kofi Annan, con l'obiettivo di favorire l'accesso degli ormai indispensabili aiuti umanitari in Siria e avviare un processo di transizione politica verso un regime pluralistico nel paese. La Dichiarazione insistevaaltresì sull’importanza di una credibile supervisione delle Nazioni Unite sul rispetto degli impegni assunti da Damasco - nella stessa giornata del 5 aprile, infatti, un primo gruppo di appartenenti alla missione di osservatori ONU era giunto nella capitale siriana.

Nei giorni successivi la repressione e i combattimenti sono proseguiti, mentre da parte dell'opposizione armata siriana è emerso progressivamente un impegno ad aderire alla cessazione delle ostilità entro il 12 aprile, accompagnato però dalla minaccia di riprendere immediatamente i combattimenti in caso di inosservanza del cessate il fuoco da parte del regime di Assad. Ulteriori difficoltà sono emerse poi del coinvolgimento indiretto dei paesi confinanti, anzitutto della Turchia, che ha visto salire in modo esponenziale il numero di profughi provenienti dalla Siria, e il cui campo di Kilis è stato più volte attinto dal fuoco delle truppe governative siriane impegnate a scoraggiare l'esodo dei profughi o a fronteggiare oppositori armati - naturalmente ciò ha suscitato forti proteste da parte del governo di Ankara.

Anche nel Nord del Libano il fuoco delle forze di sicurezza siriane ha provocato la morte di un cameraman della televisione libanese e il ferimento di due suoi colleghi, nelle stesse ore in cui due siriani e due turchi venivano feriti nel campo profughi di Kilis.

La pericolosità delle tensioni turco-siriane si presentava tanto maggiore alla luce delle accuse che Damasco rivolgeva da tempo alla Turchia, ma anche all’Arabia saudita e al Qatar, di sostenere attivamente e di addestrare i gruppi armati operanti nel paese.

Esortazioni a rispettare gli impegni per la cessazione delle ostilità sono nuovamente venute da Kofi Annan il 10 aprile, in occasione della visita in un campo profughi che ospitava siriani nel sud della Turchia. Nelle stesse ore, tuttavia, il Ministro degli esteri siriano poneva ulteriori condizioni all'espletamento del mandato della missione di osservatori, pretendendo anche di intervenire sulla composizione di essa, mentre le truppe governative provocavano la morte di un altro centinaio di persone.

L’11 aprile il governo siriano, dopo un trionfalistico annuncio sulla sconfitta dei “terroristi” e la ripresa totale di controllo del territorio, si diceva pronto ad attuare la tregua a partire dal giorno successivo, mantenendo peraltro le truppe pronte a nuovi interventi. In effetti nella giornata del 12 aprile, nonostante sporadici bombardamenti a Hama e Homs, il cessate il fuoco veniva sostanzialmente rispettato da entrambe le parti, come rilevava con moderata soddisfazione Kofi Annan.

La giornata del 12 aprile ha visto maturare a Washington, durante la seconda giornata della riunione dei ministri degli esteri del G8, un'evoluzione della posizione russa, disponibile ad accettare nella sede del Consiglio di sicurezza dell'ONU la discussione di una bozza di risoluzione per l'invio di una missione di osservatori in Siria. Mentre la tregua veniva rispettata solo parzialmente, tanto che nelle prime 36 ore le forze governative uccidevano una trentina di persone, al Palazzo di Vetro la Russia frapponeva qualche ulteriore resistenza all'approvazione del testo in discussione, giudicato da Mosca eccessivamente lungo e dettagliato.

Il 14 aprile, infine, la bozza di risoluzione è stata approvata all'unanimità dal Consiglio di sicurezza (Risoluzione 2042): il testo approvato prevede l'invio immediato di una missione esplorativa in Siria, composta da non più di trenta osservatori militari non armati, allo scopo di controllare il rispetto del cessate il fuoco, ma anche degli altri punti del piano di pace sottoposto ad Assad da Kofi Annan, con particolare riguardo al ritiro delle forze militari e degli armamenti pesanti dai centri abitati. Le autorità siriane sono inoltre invitate a consentire il libero accesso del personale umanitario a tutte le persone bisognose di assistenza, facilitandone l’operato. La risoluzione contiene inoltre l’intendimento del Consiglio di Sicurezza, qualora le parti assicurino una cessazione duratura delle violenze, di dar vita immediatamente ad una vera e propria missione di monitoraggio dell’ONU in Siria. Il Segretario generale delle Nazioni Unite viene impegnato a riferire sull’attuazione della risoluzione 2042 entro e non oltre il 19 aprile 2012.

La Russia, per bocca dell'ambasciatore presso le Nazioni Unite Churkin, ha in qualche modo tuttavia avvertito che per l'invio della missione di osservatori vera e propria avrebbe dovuto essere approvata una seconda risoluzione, successivamente ad un rapporto sulla situazione siriana da parte del Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon.

Nella serata del 15 aprile sono arrivati a Damasco i primi osservatori dell'ONU, mentre il segretario generale Ban Ki-moon esprimeva preoccupazione per le violazioni della tregua, che avrebbero provocato nella giornata 13 vittime tra i civili. Peraltro il governo di Damasco ha messo in qualche modo le mani avanti, precisando di non essere in grado di garantire l'incolumità degli osservatori se il loro lavoro e i loro movimenti non fossero avvenuti in completo raccordo con le autorità del paese, e ribadendo inoltre di avere il diritto di non accettare eventualmente la nazionalità di alcuni degli osservatori. A tale proposito il Consiglio nazionale siriano, per bocca di un suo esponente, ha esplicitamente accusato il regime di voler controllare tutti i movimenti della missione di osservatori, anche per mezzo della sezione speciale dei servizi di sicurezza che sarebbe stata creata già durante la missione di osservatori della Lega araba dei mesi scorsi.

Pur dopo l'inizio della missione di osservatori dell'ONU, la situazione nel paese è rimasta difficile, con le Nazioni Unite che in diverse prese di posizione hanno fatto presente come la tregua sia stata rispettata solo parzialmente dal regime, il quale, dal canto suo, sempre appoggiato dalla Russia, ne ha addossato la responsabilità ai combattenti definiti terroristi.

Il 19 aprile il Segretario generale dell'ONU ha denunciato il proseguire delle violenze da parte delle forze del regime e il mancato ritiro delle truppe e degli armamenti dalle città, mentre non vi era stato alcun rilascio di prigionieri e si continuavano a denunciare abusi contro di essi. Anche l'accesso di aiuti umanitari risultava ancora problematico. Da parte dei combattenti contro il regime di Assad sono state rivolte nella stessa giornata esortazioni a compiere operazioni militari mirate in appoggio alle azioni dei ribelli.

Il 21 aprile il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una seconda Risoluzione sulla Siria (la n. 2043), la cui urgenza era stata particolarmente sostenuta dalla Russia, votando all'unanimità l’invio di un contingente di non più di trecento osservatori militari disarmati, oltre alla necessaria componente civile. La missione  deliberata (UNSMIS – United Nations Supervision Mission in Syria) è stata posta sotto la guida del generale norvegese Robert Mood, e per essa è stata prevista una durata iniziale di 90 giorni – sull’impianto della missione già in precedenza le Nazioni Unite avevano firmato un protocollo d'intesa con il governo siriano. Si ricorda al proposito che il Consiglio dei ministri italiano ha autorizzato l’8 maggio la partecipazione all’UNSMIS di militari italiani, nel ruolo di “osservatori delle Nazioni Unite”, non armati, fino ad un massimo di 17 unità (D.L. 58/2012, convertito dalla legge  6 luglio 2012, n. 99). La Risoluzione invita inoltre sia le autorità siriane che le opposizioni armate a porre fine a ogni combattimento, presupposto questo essenziale per la valutazione del Segretario generale sulle modalità e i tempi di dispiegamento di UNSMIS.

Gli attivisti dei comitati di coordinamento che si oppongono in Siria al regime non hanno nascosto la loro delusione, sostenendo che la missione fallirà il proprio obiettivo, in quanto insufficiente a coprire il vasto territorio siriano, e si risolverà solo in un’ulteriore concessione di tempo al regime di Assad.

La nuova risoluzione ha inoltre aperto il problema di trovare l'accordo con la Siria sulle nazionalità dei componenti della missione, che Damasco desiderava più possibile appartenere a paesi non ostili al regime di Assad. Il 23 aprile, mentre si sono nuovamente levate voci a denunciare la perdurante repressione in atto nel paese, che viola l'impegno sul cessate il fuoco, nuove sanzioni europee e americane hanno colpito la Siria: in particolare, quelle decise dal Presidente USA Obama si sono rivolte verso una serie di tecnologie con le quali il regime sarebbe in grado di rintracciare e colpire gli oppositori mediante il controllo dei telefoni cellulari e dei social network della rete Internet.

Il 26 aprile vi è stata, tra l’altro, l’uccisione di 11 bambini nel bombardamento di un palazzo a Hama – ma il governo ha attribuito l’esplosione all’attività di terroristi che preparavano ordigni -, nelle stesse ore in cui la Turchia ha ventilato la possibilità di portare in sede NATO la situazione di tensione del proprio confine con la Siria, oggetto nei giorni precedenti di ripetute violazioni durante l’inseguimento di profughi. Il giorno successivo un attentato suicida ha colpito il centro di Damasco, confermando che il cessate il fuoco veniva sostanzialmente violato, con conseguente fallimento del piano di Kofi Annan, come già rilevato dalla Francia ed a seguire dagli USA.

Quando il 30 aprile diverse esplosioni hanno colpito la città nordoccidentale di Idlib, solo da un mese ritornata sotto il controllo del regime di Assad, il governo ha avuto buon gioco nell’attribuire la morte di non meno di otto persone ai “terroristi”. Gli oppositori hanno tuttavia rigettato ogni responsabilità sulle autorità siriane, accusate di organizzare attentati – come alcuni episodi recenti dimostravano – per poter presentarsi quali vittime del terrorismo agli occhi della Comunità internazionale. Del resto anche l’arrivo degli osservatori della Lega araba nello scorso dicembre era stato accompagnato, sempre secondo gli oppositori, da una serie di attentati.

 

Invio di una missione di osservatori delle Nazioni Unite. Massacro di civili ad Hula. Rottura delle relazioni diplomatiche con la Siria (maggio)

Il 3 maggio sono stati gli studenti universitari di Aleppo, solo da poco tempo unitisi alla contestazione del regime siriano, ad essere vittime della repressione, con una massiccia irruzione delle forze di sicurezza nei dormitori del campus, danneggiando suppellettili, procedendo ad arresti e - secondo quanto riferito – uccidendo due dei giovani ospiti. Nel contempo si diffondeva la notizia dell’arresto di due figli del noto dissidente Fayez Sara, fondatore della Lega dei giornalisti siriani. Il portavoce della UNSMIS ha in effetti rilevato che non vi era ancora il completo rispetto del cessate il fuoco.

Nemmeno le elezioni politiche del 7 maggio hanno segnato una ricomposizione dei contrasti: piuttosto, esse sono state boicottate anche da forze di opposizione moderata non colpite finora dalla repressione, in quanto giudicate solo un’operazione cosmetica del regime, il cui controllo sul Parlamento – già di per sé scarsamente incidente sulla vita politica siriana – non viene meno per la sola fine del monopolio politico del Partito Baath, giacché esso continuerà a designare oltre la metà dei deputati su base corporativa, mentre il divieto della formazione di partiti a sfondo etnico o confessionale ha reso possibile solo la presentazione di liste di candidati indipendenti piuttosto omogenei tra loro. Inutile dire che le elezioni sono state bollate alla stregua di una farsa dalle opposizioni più radicali.

L’8 maggio Kofi Annan rilevava come gran parte del suo piano per il cessate il fuoco non fosse stata attuata, ma esprimeva fiducia nell’azione dei trecento osservatori che entro la fine di maggio sarebbero stati verosimilmente tutti al lavoro in Siria - e tra loro un nucleo di osservatori italiani, dei quali 5 in imminente partenza, come deciso dal Governo l’8 maggio e comunicato il giorno successivo in un’informativa alle Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera.

Il pessimismo sul destino della missione ONU si è accresciuto il 9 maggio, quando un attentato ha sfiorato addirittura un convoglio di osservatori che si dirigeva verso Daraa, e soprattutto il giorno successivo, con la morte di oltre 50 persone – tra cui 11 bambini - e il ferimento di trecento in un duplice attacco di kamikaze a Damasco. L’attentato è stato rivendicato due giorni dopo da un gruppo fondamentalista sunnita poco conosciuto, il Fronte della vittoria, che già si era attribuito in gennaio un analogo ma meno sanguinoso atto terroristico nella capitale.

Il 13 maggio il Ministro degli Esteri Giulio Terzi ha ricevuto a Roma il capo del Consiglio nazionale siriano Burhan Ghalioun, proprio nella capitale italiana impegnato dal giorno precedente in un incontro del Segretariato del CNS. Tale riunione ha contribuito a sancire le perduranti divisioni nel fronte che si contrappone al regime di Assad, scosso da polemiche politiche e rivalità personali tra i dissidenti all'estero e quelli in patria - questi ultimi, riuniti in maggioranza nella Commissione per il coordinamento nazionale (CCN).

Gli esponenti della Ccn accusano il Cns di essere diretto solo da esponenti di élite espatriati, pur avendo un importante seguito di militanti all'interno della Siria. I dissidi interni alle opposizioni siriane si sono acuiti dopo la rielezione di Ghalioun nella riunione di Roma, ove ha sconfitto il candidato Sabra, cristiano e più legato all’opposizione operante all’interno della Siria, tanto che lo stesso Ghalioun si è detto pronto alle dimissioni per scongiurare il completo fallimento dei tentativi di unificare il fronte delle opposizioni, e si è dopo pochi giorni effettivamente dimesso, criticando anche le divisioni tra laici e islamici in seno allo stesso Cns.

Frattanto si sono verificati, a partire dalla metà di maggio, casi di propagazione del conflitto siriano in Libano, che hanno destato comprensibilmente una grande preoccupazione sia nelle locali autorità che nella Comunità internazionale. Il 18 maggio lo stesso segretario generale dell’ONU, a seguito di prove presentategli dal rappresentante siriano alle Nazioni Unite, ha riconosciuto la presenza di al Qaida in Siria e l’elevata probabilità che abbia portato a termine gli attentati di Damasco del 10 maggio. Nella stessa giornata del 18 maggio si è svolta ad Aleppo – seconda città della Siria -, in concomitanza con il venerdì di preghiera, la più massiccia manifestazione di contestazione al regime dall’inizio delle proteste nel 2011.

Il 25 maggio i carri armati del regime siriano sono entrati per la prima volta anche ad Aleppo, ma, soprattutto, va segnalato il massacro di Hula, cittadina della provincia di Homs, dove pesanti bombardamenti di artiglieria attribuiti dagli osservatori dell’ONU ai carri armati delle forze governative – che peraltro hanno negato ogni responsabilità, attribuendola a forze terroristiche impegnate in un complotto straniero - hanno provocato più di cento morti, e tra questi moltissimi bambini.

Tra le reazioni indignate della Comunità internazionale spicca quella del ministro degli esteri italiano Giulio Terzi,il quale, incontrando a Roma l'omologo francese Laurent Fabius, ha richiesto una nuova riunione del Gruppo degli Amici della Siria, per valutare ulteriori iniziative in sede ONU anche al di là del piano Annan, e definito inaccettabile lo sviluppo degli eventi in Siria. D'altra parte, il massacro di Hula ha fatto sì che l'Esercito libero siriano, essenzialmente composto da militari disertori, abbia dichiarato la fine del piano Annan, esortando le Nazioni Unite e i paesi amici dell'opposizione siriana a lanciare raid aerei contro le forze del presidente Assad, e preannunciando una escalation militare contro le forze governative, suscettibile di configurare sempre più la crisi siriana come una vera e propria guerra civile.

La Russia peraltro ha continuato a puntare con forza sulla riuscita del piano Annan, mettendo in luce come le responsabilità delle violenze siano ormai condivise dal regime e dall’opposizione siriani, e non è sembrata disponibile ad accogliere una soluzione – che piacerebbe invece agli USA - come quella che nello Yemen ha portato all’allontanamento dal potere del presidente Saleh, mantenendo però alla direzione del paese buona parte del suo entourage politico.

Il 28 maggio Kofi Annan è tornato a Damasco, lanciando un appello per l’effettiva applicazione del piano di pace da lui stesso formulato, soprattutto con la fine delle violenze da chiunque perpetrate. La reazione alla strage consumatasi a Hula ha raggiunto il 29 maggio un momento di coordinamento a livello europeo, con la decisione di Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito di espellere i rappresentanti diplomatici siriani nelle rispettive capitali, dichiarandoli persona non grata. Altrettanto hanno fatto gli Stati Uniti, il Canada e l'Australia: i capi delle diplomazie europee hanno chiuso ufficialmente ogni possibilità per Assad di rimanere alla guida della Siria, e anche il premier turco Erdogan ha parlato di situazione ormai giunta al limite da parte del regime di Assad.

La Russia, invece, ha proseguito nel sostegno al regime siriano, continuando a lanciare appelli alla fine delle violenze a tutti gli attori del conflitto, ed esortando l’ONU a condurre un'inchiesta imparziale sui fatti di Hula, sui quali è stato peraltro reso noto dall’Alto commissariato ONU per i diritti umani che i resti delle vittime dimostrerebbero come solo una piccola parte di esse sia stata provocata dai colpi di artiglieria, mentre quattro quinti dei morti sarebbero stati uccisi in un secondo tempo, in vere e proprie esecuzioni, anche con armi da taglio, da parte dei miliziani filogovernativi – questo tragico clichet si sarebbe poi ripetuto nei giorni sucessivi in varie circostanze.

Rilevato come le divisioni nel seno dell'opposizione al regime di Assad siano proseguite e semmai si siano aggravate - i vertici all'estero dell’Esercito di liberazione siriano (ELS) non hanno condiviso l'ultimatum di 48 ore lanciato il 30 maggio dai ribelli operanti all'interno della Siria perché il regime di Assad applicasse finalmente tutti punti del piano Annan - e segnalato come, in modo abbastanza strumentale, la questione siriana sia ormai entrata pienamente anche nella campagna per le presidenziali americane - il candidato repubblicano Romney ha infatti accusato il presidente Obama di consentire il massacro siriano rifiutandosi di armare i ribelli, mentre l'Amministrazione in carica ribatte che, per le divisioni al loro interno e le loro caratteristiche ancora in buona parte non chiarite, sarebbe troppo rischioso consegnare armamenti alle numerose fazioni dell'opposizione -; anche sul piano europeo si sono rilevate notevoli divergenze di posizione, con il Belgio quale unico sostenitore della prospettiva di intervento armato in Siria - ma il neopresidente francese Hollande non aveva escluso a sua volta del tutto  tale eventualità -, mentre la Germania, ad esempio, affida solo alla via dei negoziati e della politica la soluzione del rebus di Damasco.

Ciò ha consentito al presidente russo Putin, teoricamente in difficoltà per il costante appoggio alla permanenza del regime siriano, di affrontare senza troppe difficoltà il doppio vertice del 1º giugno a Berlino e del 2 giugno a Parigi, rispettivamente con la cancelliera Merkel ed il Presidente francese, facendo valere l'approccio più morbido della Germania nei confronti di una Francia per la quale è assolutamente improponibile l'ipotesi di una permanenza di Assad al potere. In tal modo, comunque, né la Germania nella Francia sono riuscite ad ottenere alcun cedimento russo sulla prospettiva, perlomeno, di un inasprimento sanzionatorio nei confronti di Damasco.

 

Impasse della missione internazionale di osservatori. Ipotesi d’intervento armato delle Nazioni Unite. Abbattimento di un jet militare turco da parte della contraerea siriana (giugno)

Il ruolo di sostegno al regime siriano da parte di Cina e Russia è stato confermato anche il 1º giugno, quando il Consiglio delle Nazioni Unite sui diritti umani ha approvato a Ginevra una risoluzione di condanna del massacro di Hula, con una maggioranza nella quale non figuravano né Mosca né Pechino.

Il 2 giugno, mentre una sessione straordinaria della Lega araba convocata in Qatar sollecitava nuovamente al rispetto del piano di pace di Kofi Annan, minacciando in caso contrario l'uso della forza, lo stesso Kofi Annan paventava la prospettiva di una guerra a tutto campo ormai imminente in Siria. Inoltre, il 2 e 3 giugno il conflitto siriano è tornato a riecheggiare anche nel Nord del Libano, dove nella città di Tripoli vi sono stati 14 morti e più di trenta feriti in rinnovati scontri tra gruppi sunniti e alawiti.

Nemmeno l’intervento di Assad in Parlamento (3 giugno) ha offerto speranze di una qualche evoluzione positiva della situazione: il presidente siriano è tornato ad accusare forze straniere e terroristiche per l’escalation delle violenze, incluso il massacro di Hula, e in tal senso ha escluso qualsiasi possibilità di dialogo con il Consiglio nazionale siriano. Dure critiche ha destato il discorso di Assad da parte dell’Arabia Saudita – il cui capo della diplomazia ha auspicato la creazione in Siria di una zona-cuscinetto – e della Turchia, per bocca del premier Erdogan.

Il Vertice tra Russia ed Unione europea svoltosi nei pressi di San Pietroburgo e concluso il 4 giugno non ha portato novità in riferimento alla tragedia siriana: le parti hanno sì convenuto sulla necessità di sostenere ulteriormente l’attuazione del Piano Annan, ma hanno confermato le divergenze già registrate in ordine al livello di pressioni da esercitare sul regime siriano e sul suo capo Bashar al-Assad – la cui permanenza al potere, tuttavia, la Russia ha precisato subito dopo – e nello stesso senso si è espressa Pechino - non sarebbe una priorità inderogabile.

All’interno della Siria è apparso poi con chiarezza il superamento della tregua che i ribelli avevano accettato all’inizio dell’applicazione del Piano Annan: soprattutto dopo il massacro di Hula essi hanno dichiarato di voler riprendere i combattimenti a protezione delle popolazioni siriane attaccate dal regime, mentre chiedono a gran voce l’intervento armato della Comunità internazionale. Che il conflitto siriano, nello stallo sostanziale della diplomazia, precipiti sempre più in una sorta di guerra civile, sembra confermato anche dal relativo calo del numero dei civili uccisi, accompagnato dal netto incremento delle vittime tra i governativi e i ribelli in armi. Il 5 giugno, come ritorsione all’espulsione degli ambasciatori siriani decretata il 29 maggio in diversi Paesi occidentali, la Siria ha dichiarato indesiderati 17 diplomatici.

Il 6 giugno – mentre a Damasco è stato incaricato un ex ministro dell’agricoltura di dar vita al nuovo governo dopo le contestate elezioni legislative del mese precedente - si è svolto il Vertice russo-cinese a Pechino, dal quale è venuta la proposta di una Conferenza internazionale per garantire l’attuazione del Piano Annan. Parallelamente, paesi occidentali e arabi si sono ritrovati a Istanbul nell’ambito del gruppo degli Amici della Siria, e si sono espressi per nuove sanzioni contro Damasco e per il deciso avvio di un processo di transizione. A quest’ultima prospettiva sembrano però opporsi le gravi divisioni interne al fronte degli oppositori del regime di Assad, come anche i rischi di degenerazione in uno scontro confessionale aperto tra sunniti e alawiti in Siria e nel vicino Libano.

La prospettiva della Conferenza lanciata da Russia e Cina sembra invece improbabile poiché Mosca e Pechino desidererebbero vi partecipasse anche l’Iran, paese indubbiamente in grado di premere sugli attori della crisi siriana, ma, secondo il resto della Comunità internazionale, in senso negativo.

Il 6 giugno vi è stata anche una nuova strage di civili ad opera dell’artiglieria governativa e delle milizie lealiste alla periferia di Hama: il bilancio è stato di circa cento vittime, di cui venti bambini. La nuova strage ha fatto dichiarare apertamente il giorno dopo al segretario generale Ban Ki-moon, davanti all’Assemblea generale dell’ONU, che il regime di Damasco ha ormai perso ogni legittimità.

Segnali di ricompattamento delle opposizioni al regime siriano si sono avuti il 10 giugno, quando il Consiglio nazionale siriano, nella riunione di Istanbul, ha eletto il nuovo leader, nella persona del curdo lungamente esiliato in Svezia Abdelbasset Sieda, una figura potenzialmente capace di coinvolgere maggiormente le minoranze etniche e religiose della Siria nell’opposizione ad Assad. Sieda ha subito annunciato che il Cns assumerà la direzione dei ribelli armati operanti all’interno del paese, inquadrati nell’Esercito libero siriano. Sieda, inoltre, è tornato a lanciare un vibrante appello alla Comunità internazionale perché, ai sensi del Capitolo VII della Carta dell’ONU, autorizzi un intervento armato a protezione dei civili siriani.

L'11 giugno gli osservatori della missione ONU in Siria hanno fatto rilevare una ulteriore escalation da parte del regime di Assad, con l'uso di elicotteri militari contro le basi della ribellione armata, e nel mezzo del conflitto sempre più numerosi sono i civili che restano intrappolati e privi anche dei più elementari mezzi di sussistenza. Non a caso gli stessi osservatori si sarebbero impegnati nell'evacuazione di un gran numero di civili, fra cui naturalmente anche donne e bambini, intrappolati nella città di Homs. Un rapporto sempre di fonte ONU ha subito dopo evidenziato gli orrori nei quali vengono coinvolti in Siria i bambini, uccisi, incarcerati e fatti oggetto di ogni forma di violenza, fino a utilizzarli come scudi umani nei convogli di soldati governativi.

Anche i ribelli, tuttavia, si sarebbero resi responsabili di tali atrocità, con il reclutamento e l'uso in combattimento di numerosi bambini. Sempre a proposito dei ribelli va segnalato, secondo testimoni citati dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, che il massacro di Hula del 25 maggio andrebbe addebitato invece che al regime alle opposizioni, stante il fatto che la maggior parte delle vittime sarebbero stati alawiti e non sunniti.

Il 13 giugno la Francia è tornata con forza, per bocca del nuovo ministro degli esteri Fabius, a invocare un intervento delle Nazioni Unite basato sul capitolo VII della Carta dell'ONU, che consentirebbe di armare coloro che vengono inviati sul campo. Inoltre, Fabius è tornato a ventilare l'opportunità di imporre una parziale no fly zone sui cieli siriani, a protezione dei civili delle zone più martoriate. È emerso intanto il raccapricciante assassinio di una madre e di cinque figli tutti di età non superiore a sei anni in una zona a Nord di Aleppo a maggioranza curda, nelle stesse ore nelle quali l'esercito governativo assumeva il controllo della cittadina di Haffe, nella regione costiera di Latakia, popolata da sunniti e cristiani, ma circondata da villaggi alawiti.

Parallelamente al rilancio francese in direzione di una possibilità almeno parziale di intervento armato delle Nazioni Unite - che Parigi ha poi ulteriormente corroborato annunciando la fornitura ai ribelli di mezzi di comunicazione -, gli Stati Uniti hanno accentuato la pressione su Mosca, accusata anche di fornire al regime siriano gli elicotteri militari utilizzati già più volte nella repressione: il ministro degli esteri russo Lavrov, in visita a Teheran, ha respinto ogni accusa, asserendo che Mosca fornirebbe a Damasco esclusivamente armamenti difensivi, confermando la propria opposizione ad ogni ipotesi di ricorso all'intervento armato in Siria e rigettando le accuse nel campo statunitense, con l'accusa a Washington di fornire armamenti ai ribelli siriani.

Il capo della missione di osservatori delle Nazioni Unite ha accusato il 15 giugno sia i governativi che i ribelli di limitare il lavoro della UNSMIS a causa della escalation delle violenze: il giorno successivo le operazioni sono state sospese e gli osservatori militari si sono ritirati nelle loro basi. vaIl Consiglio nazionale siriano ha richiesto l’invio di una missione ONU più numerosa e armata, in grado di proseguire nella propria opera nonostante le violenze.

Nell’incontro in margine al Vertice G20 di Los Cabos (Messico) del 18 e 19 giugno i presidenti russo e americano, in un clima assai più disteso rispetto alle relazioni bilaterali degli ultimi mesi, hanno convenuto di collaborare per contribuire a porre fine alle violenze in Siria e scongiurare lo spettro di una guerra civile totale, nonché permettere al popolo siriano di scegliere indipendentemente e democraticamente il proprio futuro: in pratica, tuttavia, ognuno è rimasto sulle sue posizioni, senza far registrare alcun progresso.

Mentre continuava l’impasse della missione di osservatori disarmati delle Nazioni Unite, impossibilitati a svolgere il loro compito per l’escalation della violenza, si è assistito intanto a un notevole intensificarsi delle azioni armate dei ribelli contro le forze di sicurezza del regime siriano: il 20 giugno un convoglio che comprendeva operatori italiani dell’ANSA è stato colpito, probabilmente da una bomba posta al margine della strada, che ha provocato la morte di uno degli agenti siriani che accompagnavano il convoglio e il ferimento di altri tre.

Si sono anche infittite le voci di intense trattative per giungere a uno sblocco della situazione siriana attraverso l'esilio di Bashar al-Assad, e si è avuto il 21 giugno anche il primo caso di defezione di un pilota militare siriano, il cui Mig-21 è atterrato in Giordania, ove è stato concesso al militare asilo politico.

Il 22 giugno la questione siriana si è arricchita di un nuovo elemento di grave tensione, quando un velivolo militare turco è stato abbattuto dalla contraerea siriana mentre si trovava in volo sul mare poco più a sud del confine turco-siriano, poiché avrebbe, secondo Damasco, violato lo spazio aereo nazionale. Una riunione d'urgenza veniva convocata ad Ankara da Erdogan, con la partecipazione del capo di stato maggiore, dei ministri dell'interno, degli esteri e della difesa, nonché del capo dei servizi segreti di Ankara. Il 23 giugno interveniva il presidente turco Abdullah Gul, dopo un contatto telefonico con Damasco, preannunciando un'indagine per comprendere se il velivolo turco avesse violato lo spazio siriano: Gul affermava inoltre che la vicenda dell'abbattimento dell'aereo era di gravità tale da non poter in nessun caso essere ignorata.

Il 24 giugno il ministro degli esteri turco Davutoglu, in un intervento in diretta televisiva, sosteneva che il velivolo si trovava nello spazio aereo internazionale – un possibile breve sconfinamento nello spazio aereo siriano non è stato escluso, ma si sarebbe verificato un quarto d'ora prima dell'abbattimento -, era disarmato e non tentava in alcun modo di nascondere la propria nazionalità. Inoltre, l'abbattimento sarebbe avvenuto senza alcun preavviso, e Davutoglu ha espresso scetticismo sulla dichiarazione siriana per la quale la contraerea di Damasco avrebbe ignorato trattarsi di un aereo della Turchia.

Il governo di Ankara ha dunque dichiarato quello siriano un atto ostile, precisando peraltro di voler dare una risposta nei limiti del diritto internazionale. Dalla Siria veniva una secca replica, rivendicando l'abbattimento come atto di difesa della propria sovranità, e comunque perpetrato alla stregua di un incidente, e non con intenti aggressivi, verso un veicolo che comunque si sarebbe trovato lo spazio aereo siriano.

I rapporti bilaterali tra Turchia e Siria sono stati inaspriti anche dalla denuncia di Damasco, che in qualche modo potrebbe collegarsi all’abbattimento del velivolo turco, delle continue infiltrazioni di gruppi definiti terroristici dal confine settentrionale - ovvero dalla Turchia - a tale proposito si sono moltiplicate le voci e le conferme di un’intensa attività della CIA nei pressi del confine siriano, con una sorta di smistamento degli armamenti che l'Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia invierebbero ai ribelli siriani, anche per impedire che finiscano nelle mani di Al-Qaïda o di gruppi fondamentalisti sunniti siriani.

Il governo turco chiedeva intanto alla NATO la convocazione di una riunione sull'abbattimento del proprio caccia da parte dei siriani: secondo la portavoce della NATO la Turchia avrebbe chiesto consultazioni sulla scorta dell'articolo 4 del Trattato istitutivo dell'Alleanza atlantica, che le prevede appunto qualora uno Stato membro ritenga di essere oggetto di una possibile minaccia alla sua sicurezza o indipendenza politica. La Turchia ha inoltre accompagnato l'iniziativa diplomatica con una nota di protesta inviata alla Siria.

In riferimento all’abbattimento del jet militare turco da parte dei siriani, avvenuto il 22 giugno, le riunioni dei ministri degli esteri UE del 25 giugno e quella degli Ambasciatori NATO del giorno successivo hanno espresso solidarietà alla Turchia, anche per il carattere finora equilibrato della sua reazione. Ai toni di crescente rabbia delle massime autorità turche la Siria – appoggiata da esperti russi – ha ribattuto di non credere alla versione turca del jet disarmato sconfinato per errore: si sarebbe trattato piuttosto di un tentativo di spiare le forze armate siriane  a vantaggio dei ribelli,  o addirittura di un test sulle difese antiaeree siriane a beneficio di possibili azioni della NATO.

La Turchia ha iniziato a rafforzare il dispositivo militare sui 600 km. di frontiera con la Siria, preannunciando immediate reazioni in caso di violazioni di frontiera. Il 30 giugno, il 1° e il 2 luglio velivoli turchi F-16 si sono alzati in volo a prevenire eventuali violazioni dello spazio aereo turco da parte di elicotteri siriani in avvicinamento alla frontiera comune. Il 3 luglio il presidente Assad, in un’intervista a un quotidiano turco, ha tentato di allentare la tensione esprimendo rincrescimento per l’abbattimento dell’aereo di Ankara e condoglianze alle famiglie dei due piloti - i cui corpi sono stati finalmente individuati il 4 luglio, giorno nel quale la pubblicazione della seconda parte dell’intervista ad Assad ha rinfocolato le tensioni, con accuse al premier turco Erdogan di ingerenza negli affari interni della Siria e di aperto sostegno ai gruppi “terroristi”. Peraltro il ritrovamento dei corpi dei due piloti e dei resti del jet turco abbattuto ha fatto emergere la maggior credibilità della tesi siriana, per la quale l'abbattimento sarebbe avvenuto effettivamente nelle acque territoriali della Siria, e la prova principale sarebbe l'assenza di tracce, sui rottami, dell’impatto di un missile - a riprova che l'aereo sarebbe stato colpito dal fuoco della contraerea a distanza ravvicinata. In tal senso Erdogan, che non ha ricevuto se non espressioni di solidarietà a parole, inizia a incassare anche le critiche della stampa nazionale, che constata il sostanziale blocco dell'iniziativa di Ankara. Anche l'opposizione politica turca, soprattutto quella socialdemocratica, attacca il governo denunciando i lati oscuri della vicenda e facendosi interprete dei sentimenti largamente pacifisti dell'opinione pubblica turca.

Mentre le atrocità sul terreno siriano non accennavano a scemare, e furiosi combattimenti interessavano anche i dintorni della capitale, la cittadina di Duma sarebbe divenuta un’altra delle emergenze umanitarie del paese, con la morte anche di numerosi bambini.

 

Nuovo piano internazionale di transizione per la Siria. Attentato al ministro siriano della difesa a Damasco. Escalation delle vittime (luglio)

è stata colpita da un attentato la cui dinamica rimane ancora poco chiara, anche se la rivendicazione è venuta poco dopo sia dall’Esercito libero siriano che dal gruppo Liwa al Islam, che ha provocato la morte del ministro della Difesa Daud Rajha

Il 30 giugno si è svolta a Ginevra una Conferenza sulla Siria convocata da kofi Annan dopo la constatazione del fallimento di fatto del proprio piano per la cessazione delle violenze nel paese mediorientale. Alla conferenza hanno preso parte USA, Regno Unito, Francia, cina, Russia, Iraq, Qatar, Kuwait e Turchia, oltre ai segretari generali di ONU e Lega araba e all’Alto rappresentante UE per la politica estera Catherine Ashton.

La Conferenza ha approvato un piano di transizione imperniato sulla creazione di un organo esecutivo formato da esponenti dell’attuale governo di Damasco e da membri dell’opposizione. Il piano non tratta esplicitamente del destino politico del presidente Assad, e proprio su tale questione sono riemerse dopo la Conferenza le divergenze tra chi (i paesi occidentali) ritiene che il piano implichi la fine politica di Assad, e chi invece (la Russia), attenendosi alla lettera del documento, non ne prevede necessariamente le dimissioni. Tanto le opposizioni quanto il regime di Assad hanno per una volta convenuto nel definire la Conferenza di Ginevra come ennesimo fallimento, poiché non avrebbe fatto registrare alcun mutamento nelle posizioni dei principali attori internazionali.

Nel crescente scetticismo sulle possibilità di una soluzione diplomatica del conflitto siriano, il regime ha promulgato il 2 luglio una nuova legge che prevede la pena di morte per chi a seguito di atti terroristici cagioni la menomazione o addirittura il decesso delle vittime. A fronte di tali inasprimenti, le opposizioni hanno proseguito nel mostrare profonde divisioni, con il boicottaggio della riunione del 3 luglio al Cairo – alla quale hanno partecipato il Consiglio nazionale siriano, la Turchia e la Lega araba – da parte dell’Esercito siriano libero, che opera all’interno del paese. Uno dei leader curdo-siriani si è spinto ad accusare il Cns di vole instaurare un regime islamico.

Il 6 luglio si è svolta a Parigi l’ennesima conferenza degli amici della Siria, con la massiccia presenza di ben 107 delegati di altrettanti Stati – ma con l’assenza di Russia e Cina -, dalla quale è risuonato un vigoroso monito ad Assad perché lasci il potere. In particolare, il segretario di Stato USA Hillary Clinton ha propugnato con forza la necessità di adottare una nuova risoluzione in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU, nella quale si definiscano con chiarezza le conseguenze per il regime siriano se continuerà a non rispettare il piano Annan, conseguenze che dovranno attingere anche le misure previste dal capitolo VII della Carta dell’ONU (che, si ricorda, prevede anche come extrema ratio interventi armati).

Tra i punti della dichiarazione finale della conferenza spiccano il rifiuto di ogni impunità per i crimini sinora commessi, l’effettiva applicazione delle sanzioni economico-finanziarie e un deciso rafforzamento dell’appoggio alle opposizioni al regime di Assad. La conferenza si è svolta mentre era in volo verso Parigi il generale Manaf Tlass, comandante di una delle unità della Guardia repubblicana e vicinissimo ad Assad, come suo padre lo era stato nei confronti del padre del presidente siriano, Hafez Assad: la defezione di Tlass è stata vista unanimemente come un duro colpo alla compattezza del regime siriano.

Il 7 luglio, a più riprese, razzi e proiettili di mortaio siriano hanno raggiunto il nord del Libano, uccidendo cinque persone, tra cui due profughi siriani: il giorno dopo, a margine della conferenza sull’Afghanistan svoltasi a Tokio, Hillary Clinton ha rincarato la dose, prospettando per la Siria il rischio di un attacco militare catastrofico. Alla Clinton ha risposto in serata il presidente Assad, accusando gli USA di sostenere politicamente e logisticamente i ribelli siriani in vista della destabilizzazione del paese. Il 10 luglio altre bombe siriane hanno colpito il territorio libanese, dopo che nella notte una sparatoria aveva coinvolto presso il confine le forze di sicurezza di Damasco e miliziani presumibilmente appartenenti alle opposizioni armate siriane.

Una nuova iniziativa diplomatica di Kofi Annan si è sviluppata il 9 e 10 luglio, rispettivamente con incontri a Damasco con il presidente Assad e a Teheran con la dirigenza iraniana, che l'ex segretario generale dell'ONU vorrebbe senz'altro coinvolgere nei tentativi di soluzione della grave crisi siriana - al proposito, la posizione di Teheran sembra relativamente distaccata rispetto al futuro politico di Assad, rimandando a libere elezioni dei siriani nel 2014, in attesa delle quali tuttavia gli Stati stranieri dovrebbero astenersi da interferenze nella grave situazione di scontro sul terreno interno.

Kofi Annan, che ha poi concluso il suo tour diplomatico con un incontro a Baghdad con il premier iracheno al-Maliki, ha fatto cenno a un “nuovo approccio” concordato con Assad, e volto a risolvere dapprima le situazioni più grave conflitto in vari distretti siriani. Va comunque rilevato che tanto le opposizioni al regime di Assad quanto gli Stati Uniti hanno rifiutato con forza la prospettiva di un coinvolgimento dell'Iran nella questione della Siria, il cui esercito intanto, a partire dal 7 luglio, ha dato dimostrazione di forza con lo svolgimento di esercitazioni militari su larga scala, mentre una squadra navale russa sarebbe in viaggio verso il porto siriano di Tartus, in missione di addestramento ma con evidenti riflessi a vantaggio del regime di Assad.

La situazione siriana si è mantenuta a lungo sullo sfondo di un sostanziale stallo diplomatico, con la Russia sempre impegnata a difendere la posizione del presidente Assad, perlomeno fino allo svolgimento di elezioni politiche - difficilmente ipotizzabili, però, nello scenario attuale -, mentre i paesi occidentali tentavano di accrescere le pressioni sul regime siriano, senza ancora trovare tuttavia gli strumenti necessari.

Infatti, nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si sono confrontate due diverse bozze di risoluzione, quella russa, che si limitava ad auspicare il rinnovo trimestrale del mandato della missione di osservatori dell'ONU, e quella dei paesi occidentali, che intimava al regime di Assad di cessare entro dieci giorni di utilizzare armi pesanti contro le città maggiormente coinvolte nella ribellione, a pena dell'imposizione immediata di sanzioni economiche e diplomatiche.

Il 12 luglio vi sarebbe stato un nuovo massacro nella città di Tremseh, nella provincia di Hama: secondo lo stesso Kofi Annan le forze di sicurezza siriane avrebbero utilizzato armi pesanti, carri armati ed elicotteri, violando impegni contratti con il piano di pace da lui prediposto. Il bilancio della strage sarebbe stato almeno di 150 morti. Di fronte alle veementi proteste internazionali, alle quali si sono uniti anche il Segretario di Stato USA Hillary Clinton e il Segretario generale dell'ONU, il regime siriano, servendosi anche di un rapporto degli osservatori dell'ONU giunti il 14 luglio a Tremseh, ha sostenuto che nella cittadina l'attacco sarebbe stato concentrato contro cinque edifici usati come base da quelli che il regime chiama terroristi, e che il numero dei morti sarebbe stato di gran lunga inferiore a quello riportato, con l'uccisione di 37 ribelli e solo due civili. Inoltre, a Tremseh le forze siriane non avrebbero utilizzato nessun tipo di arma pesante. Intanto il 15 luglio i combattimenti tra forze governative e ribelli hanno raggiunto i sobborghi della capitale, finora immuni dalle violenze, provocando la chiusura della strada che collega la capitale con l'aeroporto internazionale.

Il 16 luglio i combattimenti sono divampati nel punto più vicino al centro di Damasco mai raggiunto dall'inizio della ribellione in Siria, il quartiere di al Midan, mentre il ministro degli esteri russo Lavrov denunciava come irrealistiche le pressioni occidentali su Mosca per convincerla ad accettare la dipartita di Assad - secondo Lavrov ricattando la Russia con la minaccia di non prorogare il mandato della missione degli osservatori dell'ONU - poiché il presidente siriano sarebbe sostenuto in primis da una parte cospicua della popolazione siriana stessa.

Sul fronte delle pressioni diplomatiche va intanto segnalato che il 16 luglio il Marocco ha espulso l'ambasciatore siriano, ricevendone come ritorsione l’immediata dichiarazione di persona non grata nei confronti dell'ambasciatore marocchino. In questo scenario l'Unione europea, congiuntamente con gli Stati Uniti, avrebbe già effettuato esercitazioni di una evacuazione di massa per mettere in salvo circa 25.000 europei e americani presenti in Siria all'eventuale precipitare della situazione, nella prospettiva anche di un più ampio piano di evacuazione che dovrebbe coinvolgere ben 200.000 persone nel Libano, presumibilmente il primo tassello nell'effetto domino sulla regione.

Il 17, e soprattutto il 18 luglio, la situazione siriana ha registrato un’ulteriore escalation, con l’infuriare dei combattimenti nella capitale, che si sono sempre più avvicinati al centro della città, mentre diversi quartieri subivano i bombardamenti delle forze governative. Sintomaticamente, anche il governo iracheno ha ritenuto di dover invitare i propri cittadini presenti in Siria a rientrare in patria, dopo la morte di 23 connazionali coinvolti negli scontri dei giorni passati - tra le vittime irachene anche due giornalisti che seguivano gli eventi siriani sul terreno.

E’ inoltre cresciuto l’allarme sollevato già alcuni giorni prima, quando informazioni di intelligence avevano evidenziato come il regime siriano stesse spostando una frazione del notevole arsenale di armi chimiche in suo possesso: oltre all’attenzione statunitense, anche Israele ha iniziato serrate consultazioni interne tra i vertici politici e militari per studiare l'evoluzione della situazione, con particolare riguardo, oltre che alle armi non convenzionali in possesso dei siriani, anche all'eventualità che le alture del Golan - tuttora occupate dagli israeliani -possano divenire il terreno di un esodo di massa dalla Siria, che porrebbe a diretto contatto con le truppe israeliane masse di profughi disarmati in marcia per lasciare il paese.

Tutto ciò nello scenario già paventato da Israele da tempo, per il quale lo sfaldamento eventuale del regime siriano, con conseguente liberazione di un gran numero di elementi sunniti in precedenza repressi, possa agevolare le attività terroristiche di Al-Qaida contro lo Stato israeliano.

Il 18 luglio la sede della sicurezza nazionale siriana, mentre era in corso una riunione ad alto livello tra ministri e funzionari, è stata colpita da un attentato la cui dinamica rimane ancora poco chiara, anche se la rivendicazione è venuta poco dopo sia dall’Esercito libero siriano che dal gruppo Liwa al Islam, che ha provocato la morte del ministro della Difesa Daud Rajha – l’esponente cristiano più in alto nel regime, del generale Hassan Turkmani e soprattutto di Assef Shawkat, cognato del presidente Assad e direttamente impegnato nella direzione della repressione. Il successo dell'attentato ha corroborato le aspettative degli oppositori, già palesate anche dai Fratelli musulmani, di trovarsi in un momento di svolta nella crisi siriana, della quale hanno dichiarato di attendersi una fine non lontana: in tal senso le dichiarazioni di Abdulbaset Sieda, presidente del Consiglio nazionale siriano.

Intanto la Russia, che ha duramente condannato l’attentato, ha continuato a rifiutare l’ipotesi di una nuova risoluzione ONU sulla Siria, poiché essa andrebbe a sostenere quella che per Mosca è una rivoluzione in corso. Mentre Kofi Annan chiedeva un differimento del voto in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, La Lega araba ha convocato a Doha per il 22 luglio una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione.

­­­Sulla questione delle armi chimiche va segnalato che gli Stati Uniti hanno accresciuto la propria attenzione, soprattutto allarmati dall'ipotesi per cui, vistosi alle strette, il regime di Assad potrebbe addirittura usarne una parte contro l'opposizione e i civili, per non parlare dell'ipotesi funesta per la quale l'arsenale non convenzionale siriano possa finire nelle mani del terrorismo internazionale.

Tuttavia, Il portavoce del Dipartimento di Stato ha sottolineato il 19 luglio che non vi sono al momento indizi di una perdita di controllo del regime siriano su tali armamenti, aggiungendo anche che Damasco è comunque responsabile della sicurezza delle proprie armi non convenzionali, e il mancato rispetto dei relativi obblighi sarà motivo di incriminazione a livello internazionale dei responsabili. In ogni caso, secondo il New York Times, sarebbero stati avviati contatti tra israeliani americani su possibili iniziative comuni nei confronti degli armamenti non convenzionali siriani.

Il 19 luglio vi sono stati comunque segnali di ripresa del regime siriano, con un’apparizione televisiva del presidente Assad impegnato a ricevere il nuovo ministro della difesa, che ha contraddetto le voci di una sua fuga nella città costiera di Latakia. Per la prima volta sono apparsi anche i carri armati governativi a Damasco, ponendo le premesse di una progressiva ripresa di controllo della situazione nei quartieri semicentrali. Intanto la Russia e la Cina hanno nuovamente posto il veto a una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU di iniziativa occidentale, che prevedeva sanzioni contro il regime e faceva riferimento anche al capitolo VII della Carta dell'ONU.

Nella difficile situazione siriana emerge intanto progressivamente la tendenza più o meno forte delle minoranze etniche e religiose a non vedere un futuro e a lasciare preferenzialmente il paese: non va infatti dimenticato che il regime siriano, anche al vertice, ha visto per decenni esponenti di una minoranza, quella degli alawiti, in posizione preminente, e può caratterizzarsi proprio come un regime coalizionale di minoranze, che non a caso sotto il dominio degli Assad hanno sempre goduto di un elevato livello di garanzie. Nel nuovo scenario, in cui si prevede l'arrivo al potere della maggioranza sunnita (circa il 70% dei siriani),  le minoranze, oltre a temere vendette per il precedente status privilegiato, vedono un oggettivo restringimento degli spazi culturali e religiosi a propria disposizione.

Il 19 luglio è stato anche il giorno dell'incontro a Roma del Ministro degli esteri Giulio Terzi con il presidente del Consiglio nazionale siriano Sieda, a margine del quale il Ministro si è detto preoccupato per lo stallo della risoluzione nel Consiglio di sicurezza dell'ONU, che potrebbe dare al regime siriano la sensazione di essere ancora più indisturbato nel continuare con le violenze. Secondo il Ministro degli esteri italiano è comunque necessario reagire alla situazione, riattivando al massimo grado le possibilità insite nell'azione del Gruppo di amici del popolo siriano, per esercitare ulteriori pressioni sul regime e un potenziamento delle iniziative umanitarie attualmente carenti. Il Ministro Terzi ha infatti ricordato che vi sono oggi in Siria 2 milioni di rifugiati interni, e, oltre alle circa 20.000 vittime, 70.000 feriti, 170.000 arrestati e 70.000 scomparsi.

Lo stesso giorno ha poi preso corpo effettivamente l'opposizione russa e cinese alle iniziative della restante parte della Comunità internazionale nei confronti della Siria, quando Mosca e Pechino hanno posto il veto sul documento presentato dai paesi occidentali che minacciava sanzioni nei confronti del regime di Assad. Non è dunque stato sufficiente differire il voto sulla risoluzione, come era stato chiesto da Kofi Annan: l'ambasciatore russo presso le Nazioni Unite ha sostenuto che la bozza in discussione avrebbe aperto la porta ad un intervento militare, e minacciava sanzioni solo nei confronti del governo di Damasco, e non degli oppositori. Anche il rappresentante cinese ha rilevato come il documento fosse sbilanciato e suscettibile di un ulteriore aggravamento della situazione. Ancora una volta, l'atteggiamento russo cinese ha destato le aspre critiche dei paesi occidentali

Il 19 luglio si è confermata giornata cruciale della crisi siriana anche sul piano delle vittime: infatti l'Osservatorio nazionale per i diritti dell'uomo in Siria ha reso noto che vi sono stati 248 morti, il record dall'inizio della crisi.

Il 20 luglio il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha approvato all'unanimità una risoluzione che si limita prolungare di 30 giorni il mandato della missione di osservatori in Siria. Va rilevato che la Russia aveva minacciato di opporsi anche a questa bozza di risoluzione, per la condizionalità che essa pone al regime di Damasco, nel senso di specificare il divieto di ulteriore proroga del mandato della missione di osservatori qualora il regime non cessi di utilizzare armi pesanti contro i ribelli e non crei una situazione più sicura per l'espletamento dei compiti degli osservatori. L'approvazione del documento non ha messo la sordina alle polemiche tra Russia e paesi occidentali: gli Stati Uniti hanno autorevolmente sostenuto di aver ormai intenzione di agire al di fuori del quadro delle Nazioni Unite, e la Russia ha ribattuto definendo preoccupante ma anche inefficace questo tipo di iniziative

A Damasco intanto è proseguita la controffensiva dell'esercito per respingere le infiltrazioni dei ribelli, mentre per la prima volta si sono accesi scontri nella seconda città siriana, Aleppo.

Per quanto riguarda la situazione dei profughi, risultava che tra 19 e 20 luglio circa 30.000 siriani si siano riversati in Libano: ben più imponente il flusso di ritorno dei 400.000 iracheni circa che avevano a suo tempo cercato riparo in Siria, e che ora ritengono preferibile muoversi nella direzione opposta. Il governo iracheno, tra l'altro, ha iniziato a rafforzare il dispositivo di sicurezza nella regione di Anbar confinante con la Siria, inviando rinforzi alla frontiera, anche per prevenire iniziative di Al-Qaida o dei ribelli siriani, che il 19 luglio si erano impadroniti di un posto di confine siriano nella zona.

Per quanto concerne la situazione degli scontri, nella capitale è apparso che le forze governative abbiano ripreso progressivamente il controllo dei quartieri prossimi al centro, mentre anche nella giornata del 20 luglio vi sono state ben 145 vittime – tra di esse va annoverata la morte di un quarto esponente degli apparati repressivi per le ferite riportate nell’attentato del 18 luglio, segnatamente  il capo degli apparati di sicurezza Hiktiyar.

Il 21 luglio è stato reso noto che due tecnici italiani che lavorano per conto di una ditta legata ad Ansaldo Energia, per la costruzione di una centrale elettrica in Siria, sarebbero scomparsi il 17 luglio mentre stavano per lasciare il paese insieme ad altri loro colleghi. Le circostanze della scomparsa dei due italiani restano tuttora incerte, ma in ogni caso il Ministero degli Affari Esteri ha confermato l'episodio e ne segue da vicino gli sviluppi.

Mentre è apparso sempre più chiaramente che le forze governative hanno ripreso il controllo di buona parte della capitale, gli scontri sono proseguiti con violenza ad Aleppo. Prosegue poi con successo la strategia dei ribelli di conquistare alcuni posti di frontiera: nella giornata del 21 luglio ne è stato conquistato uno al confine tra Iraq e Siria, mentre due posti di frontiera tra Siria e Turchia erano già caduti nelle mani degli oppositori.

Risulta anche che altri due generali abbiano abbandonato il regime siriano e siano fuggiti in Turchia nella notte tra 20 e 21 luglio, unitamente a uno stuolo di altri ufficiali.

Gli Stati Uniti hanno dal canto loro nuovamente allertato sulla questione delle armi non convenzionali siriane, asserendo di monitorare i relativi depositi e di consultarsi attivamente con i paesi vicini per ogni possibile iniziativa.

Sul fronte delle Nazioni Unite va rilevato come, significativamente, il segretario generale delle Nazioni Unite abbia annunciato l'invio in Siria del sottosegretario per le operazioni di peacekeeping e del capo dei consiglieri militari del Segretario generale per una supervisione sull'azione degli osservatori dell'ONU il cui mandato è stato prorogato di un mese.

Il 22 luglio sono stati confermati i progressi militari del regime nella capitale, giacché i bombardamenti hanno cominciato a interessare oramai i sobborghi, ma anche la continuazione degli scontri nel centro di Aleppo. Bombardamenti sarebbero stati effettuati anche su Homs e Dayr az Zor. Un altro generale siriano avrebbe disertato nella notte tra 21 al 22 luglio, portando a 25 il numero dei suoi pari grado riparati in Turchia, secondo lo stesso ministero degli esteri di Ankara.

Intanto la Farnesina ha ripetuto l'invito ai connazionali presenti in Siria a lasciare il paese.

Fonti dei ribelli in Turchia hanno poi asserito che gli oppositori avrebbero conquistato un ulteriore posto di frontiera tra Siria e Turchia, che sarebbe il terzo, situato a nord di Aleppo: la notizia sarebbe stata confermata da diplomatici turchi a Istanbul.

Nella giornata del 22 luglio il nuovo primo ministro siriano Hijab si è presentato in Parlamento per illustrare il programma di governo, al centro del quale ha ribadito esservi la sicurezza. Hijab ha espressamente reso omaggio alle forze armate, impegnate a suo dire nella resistenza a piani ostili.

Per quanto riguarda il ruolo della Turchia nella crisi siriana, va rilevato il rafforzamento del dispositivo militare lungo la frontiera comune, con l'invio di batterie di missili terra-aria e veicoli da trasporto truppe nel sud-est della Turchia.

Qualificate fonti statunitensi avrebbero poi sostenuto che l'Amministrazione Obama avrebbe ormai abbandonato i tentativi di soluzione diplomatica della questione siriana, e starebbe accrescendo gli aiuti ai ribelli e i piani per assemblare una coalizione di paesi capace di esercitare una decisiva pressione perché Assad lasci il potere. In tal senso gli Stati Uniti si starebbero consultando prioritariamente con la Turchia e con Israele.


Aggiornamenti bibliografici

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(N. B.) Nella versione online del dossier tutti gli articoli richiamati sono direttamente visionabili, selezionando il titolo. Copia di ciascun contributo menzionato nella bibliografica è comunque disponibile presso la segreteria del Dipartimento Affari esteri del Servizio Studi.

 


 

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Acronimi

CFR – Council on Foreign Relations

CSIS - Center for Strategic and International Studies

GMFUS – The German Marshall Fund of the United StatesIRIS – Institut de relations internationales et stratégiques

I.A.I. – Istituto Affari internazionali

I .S.N. – International Relations and Security Network

I.S.P.I. – Istituto per gli studi di politica internazionale