Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: 'La situazione dei diritti umani nel mondo'. Rapporto annuale di Amnesty International
Serie: Note di politica internazionale    Numero: 109
Data: 26/06/2012
Descrittori:
AMNESTY INTERNATIONAL   DIRITTI DELL'UOMO
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

Casella di testo: Note di politica internazionalen. 109 –  26 giugno 2012

“La situazione dei diritti umani nel mondo”. Rapporto annuale di Amnesty International


 

Come ogni anno dalla fondazione, Amnesty International (1961) ha diffuso il proprio flagship yearly report, ossia il Rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani nel mondo (presentato il 24 maggio scorso).

Il rapporto, redatto in lingua inglese e tradotto a cura delle sezioni locali di Amnesty[1], fornisce un resoconto della situazione dei diritti umani in 155 Paesi e territori del mondo.

Il rapporto è suddiviso per aree geografiche, Africa sub Sahariana, Americhe, Asia e Pacifico, Europa e Asia centrale, Medio Oriente e Africa del nord (MENA), ciascuna introdotta da una panoramica dei principali avvenimenti ed andamenti riferibili al quadro dei diritti umani nell’anno precedente (il 2011 nell’edizione in commento). All’interno di ogni area geografica sono disponibili le schede di ciascuno dei paesi che ne fanno parte.

Nell’introduzione, a cura Salil Shetty, Segretario generale di Amnesty International, viene dato particolare risalto alla mancanza di leadership capaci di mettere in campo policies adeguate a dare risposta alle questioni – diritti umani, giustizia, uguaglianza, dignità - poste dalle proteste popolari partite nell’area nord africana e dilagate in moltissimi paesi.

Il “totale fallimento delle leadership” riguarda i governi dei paesi direttamente coinvolti nelle proteste, che hanno reagito con brutalità dagli esiti spesso letali a manifestazioni per lo più pacifiche. Ma la mancanza di leadership ha caratterizzato anche i governi occidentali, sorpresi dalle rivolte pur non essendo ignari delle motivazioni ad esse sottese; tali governi sono apparsi in più di un caso orientati a ritenere più probabile il contenimento piuttosto che la propagazione della rivolta civile, probabilmente perché condizionati dall’interesse a non danneggiare o perdere le “relazioni speciali” a contenuto economico (energia, traffico di armi) con i governi repressivi.

 

 

Il deficit di leadership ha connotato, infine, anche la reazione agli eventi da parte di talune organizzazioni sovranazionali, tra cui il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e la Lega araba; tale deficit induce il Segretario generale di Amnesty a qualificare come finora largamente inadeguata l’azione internazionale nel garantire giustizia e sicurezza per la popolazione, con particolare riferimento all’area MENA.

Il rapporto documenta restrizioni alla libertà d’espressione in almeno 91 paesi, casi di maltrattamenti e torture in almeno 101 paesi, soprattutto nei confronti di persone che avevano preso parte a manifestazioni antigovernative.

Secondo il report le vittime annuali per atti di violenza armata ammontano a 500.000 mentre milioni sono le persone ferite, represse brutalmente, stuprate o costrette a lasciare la propria abitazione a causa di violazioni di diritti umani legate all’uso di armi convenzionali.

Con riguardo, in particolare, al commercio internazionale di armi Amnesty è impegnata a chiedere (in occasione della Conferenza sul Trattato sul commercio delle armi Arms Trade Treaty-ATT[2] in programma a New York il prossimo 2-27 luglio, cui parteciperanno i 193 paesi membri delle Nazioni Unite insieme a rappresentanti di organizzazioni non governative, a gruppi di interesse pubblico, a esponenti dell'industria delle armi, media ed organizzazioni intergovernative), un trattato internazionale forte, finalizzato ad impedire il trasferimento di armi ai Paesi dove l’impiego delle medesime è suscettibile di contribuire a gravi violazioni dei diritti umani.

Sul punto il rapporto 2012 precisa che almeno il 60% delle violazioni dei diritti umani documentate da Amnesty è legato all’uso di armi di piccolo calibro e di armi leggere; 55 gruppi armati e forze governative, inoltre, arruolano bambini come soldati o ausiliari (dati ONU) mentre soltanto 35 paesi pubblicano rapporti nazionali sul trasferimento di armi convenzionali.

Con riferimento alla pena di morte il report fornisce alcuni dati, qui sommariamente riassunti: 141 paesi sono abolizionisti per legge o nella prassi; 21 dei 198 paesi del mondo (cioè il 10,61%) hanno eseguito condanne a morte nel 2011, con una diminuzione di un terzo rispetto a un decennio fa; almeno 18.750 persone si trovavano nei “bracci della morte” alla fine del 2011; esecuzioni pubbliche hanno avuto luogo in Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita e Somalia; la Cina ha applicato la pena capitale, ma non sono noti i dati relativi.

 

Le tendenze regionali del 2011

Con riferimento alle cinque aree geografiche, si riportano, in estrema sintesi, le tendenze relative alla situazione dei diritti umani nel 2011 evidenziate dal rapporto.

Africa sub Sahariana

Viene segnalata la violenza nelle repressione delle manifestazioni antigovernative svoltesi in numerosi paesi. Le forze di sicurezza hanno usato armi letali contro i dimostranti, peraltro godendo quasi sempre di impunità.

Violenza e i conflitti armati hanno provocato sofferenze e innumerevoli vittime in Costa d’Avorio, nella regione orientale della Repubblica Democratica del Congo, in Somalia, nel Sud Sudan e in Sudan. Operatori dell’informazione, difensori dei diritti umani e oppositori politici hanno subito minacce e intimidazioni, arresti arbitrari, imprigionamenti e attacchi mortali.

Americhe

Si registrano progressi nella lotta contro l’impunità con riferimento alle violazioni dei diritti umani del passato, anche se le forze di sicurezza nella regione hanno proseguito nelle pratiche di tortura, esecuzioni extragiudiziali e sparizioni. I difensori dei diritti umani in America Latina e nei Caraibi hanno subito minacce, intimidazioni e attacchi mortali. Nonostante la prosecuzione delle lotte dei popoli nativi per i propri diritti, specialmente per quello alla terra, gli interessi delle aziende hanno spesso avuto la meglio. Si sono registrati attacchi, stupri ed uccisioni di migranti centroamericani in transito per il Messico. Permane diffusa la preoccupazione per la violenza di genere e le violazioni dei diritti sessuali e riproduttivi di donne e ragazze.

Asia e Pacifico

Il report registra restrizioni alla libertà di espressione con riduzione al silenzio di uomini di cultura, operatori dell’informazione ed oppositori. Forti controlli all’uso di Internet. In India, in particolare, sono state introdotte nuove restrizioni ai social media. In Corea del Nord migliaia di dissidenti sono rimasti nei campi di prigionia. In Thailandia un’applicazione “aggressiva” della legge sulla lesa maestà, che vieta qualsiasi tipo di critica nei confronti della famiglia reale, ha portato ad  infliggere pene detentive severe. Le minoranze etniche e religiose hanno continuato a subire discriminazioni: in Pakistan due politici sono stati assassinati (Salman Taseer, governatore del Punjab e Shahbaz Bhatti, ministro cristiano per le minoranze)  per aver contestato l’uso delle leggi sulla blasfemia;  la comunità Ahmadiyya, un gruppo religioso basato principalmente in Asia che si considera aderente all’Islam, è stata discriminata in Bangladesh, Indonesia, Pakistan, Malesia e altrove. Tortura e maltrattamenti sono stati documentati in numerosi paesi, tra cui Cina e Corea del Nord. Lavoratori migranti sono stati sfruttati, col rischio di essere vittime del traffico di esseri umani e di essere costretti a svolgere lavoro forzato.

Medio Oriente e Africa del nord (MENA)

Manifestanti nelle rivolte popolari che hanno portato alla deposizione di regimi al potere da decenni e dissidenti hanno subito violenze e repressione; rari gli interventi per chiamare in causa i responsabili. In Egitto, Libia e Tunisia, dove pure migliaia di prigionieri politici sono stati rilasciati e dove la libertà di espressione è stata ampliata, sono tuttavia proseguite le violazioni già in uso sotto i precedenti regimi, come tortura, uso eccessivo della forza e restrizioni alla libertà di parola. In tutta la regione, la radicata discriminazione contro donne, minoranze e migranti è rimasta diffusa. Si è registrato un incremento delle esecuzioni capitali, in particolare in Iraq, Arabia Saudita, Iran e Yemen.

 

Europa e Asia centrale

 In tutto lo spazio ex sovietico i difensori dei diritti umani e gli operatori dell’informazione sono stati spesso perseguitati, intimiditi e percossi. In Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan persone che avevano criticato le autorità sono state sottoposte a processi irregolari e a persecuzioni. Le proteste antigovernative in Bielorussia e Azerbaigian sono state stroncate con la violenza o dichiarate illegali e i loro organizzatori imprigionati. In Russia persone che prendevano parte a manifestazioni contro il governo hanno subito violenza. Almeno 1500 rifugiati e migranti, tra cui donne incinte bambini, sono annegati mentre cercavano di raggiungere l’Europa via mare. L’Unione Europea ha respinto le imbarcazioni piuttosto che impedire la morte delle persone a bordo. L’Italia ha espulso molte persone arrivate dalla Tunisia e paesi come la Francia o il Regno Unito hanno rifiutato di reinsediare migranti libici. Le minoranze, come migranti, rom e persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender hanno subito ampie discriminazioni.

La situazione italiana

Per quanto riguarda l’Italia nella scheda relativa al nostro paese (pagg. 477-484 nel testo in italiano) si richiamano

§         i contenuti del rapporto[3] del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg, dove si evidenzia, tra il resto, che la dichiarazione dell’“emergenza nomadi[4] del 2008 era stata alla base di diffusi sgomberi degli insediamenti rom, spesso in violazione degli standard internazionali sui diritti umani. La dichiarazione autorizzava “commissari delegati” in varie regioni a derogare a numerose leggi, nei casi che riguardavano gli abitanti di “insediamenti nomadi”. Con riferimento al brusco aumento di arrivi via mare dall’Africa del Nord dall’inizio dell’anno, che ha messo a dura prova il sistema di accoglienza per migranti, richiedenti asilo e rifugiati, il Commissario ha sollecitato le autorità italiane a rafforzare la capacità di accoglienza del paese nonché il sistema di integrazione per rifugiati e altri beneficiari di protezione internazionale; egli ha chiesto, altresì, alle autorità di garantire che, quando si incontrano in mare imbarcazioni in difficoltà, l’incolumità e il soccorso delle persone a bordo abbiano priorità assoluta su tutte le altre considerazioni;

§         il terzo parere consultivo sull’Italia della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa per la tutela delle minoranze nazionali[5] nel quale viene rilevato un aumento dei comportamenti razzisti e xenofobi nei confronti di alcuni gruppi quali rom, musulmani, migranti, rifugiati e richiedenti asilo, nonché preoccupazione per l’ulteriore peggioramento delle condizioni di vita delle comunità rom;

§         le osservazioni conclusive[6] del Comitato Cedaw (Committee on the Elimination of Discrimination against Women) che sollecitano il nostro paese, tra il resto, ad introdurre politiche idonee a superare la rappresentazione delle donne come oggetti sessuali e a mettere in discussione gli stereotipi sul ruolo di uomini e donne nella società e nella famiglia;

§         gli episodi di violenza razzista e di  discriminazione che hanno colpito persone sulla base dell’orientamento sessuale, dell’appartenenza etnica e della religione. Con riferimento ai diritti delle persone non eterosessuali il rapporto evidenzia che, non essendo stata colmata la lacuna legislativa contro i crimini motivati dalla discriminazione, le vittime di reati basati sull’orientamento sessuale e l’identità e l’espressione di genere non hanno avuto la stessa tutela garantita alle vittime di reati motivati da altri tipi di discriminazione;

§         con riferimento alla situazione di rifugiati, richiedenti asilo e migranti, il rapporto sottolinea che nel 2011 oltre 52.000 persone sono giunte in Italia via mare dall’Africa del Nord, in particolare sull’isola di Lampedusa, con un considerevole incremento rispetto agli anni precedenti. “La risposta delle autorità è stata carente e ha determinato violazioni dei diritti umani di richiedenti asilo, migranti e rifugiati” - si legge nel rapporto, che segnala tra le azioni intraprese - “espulsioni sommarie di massa, violazioni del divieto di non-refoulement e detenzioni illegali”. Nel documento si fa cenno alla preoccupazione per le conseguenze, in termini di negazione dell’accesso alla protezione internazionale per i richiedenti asilo e di rischio di espulsione sommaria, derivanti dall’applicazione di accordi per il controllo dell’immigrazione, firmati con vari paesi nordafricani come Libia, Tunisia ed Egitto. Il rapporto segnala, inoltre, che le condizioni nei centri di accoglienza e detenzione “non sono state conformi agli standard internazionali; richiedenti asilo e rifugiati sono stati lasciati nell’indigenza”;

§         il documento accenna al provvedimento legislativo adottato per recepire nella legislazione interna la direttiva comunitaria sui rimpatri[7], nonché alla sentenza della Corte europea di giustizia sul caso El Dridi[8];

§         il report evidenzia che non è ancora stato ratificato dal nostro paese il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura[9] né è stato  creato un meccanismo nazionale di prevenzione contro la tortura e altri maltrattamenti, a livello di diritto interno, né il reato di tortura è stato ancora inserito nel codice penale;

§         Amnesty rammenta la denuncia di varie organizzazioni, quali UNHCR e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), per essersi visto negare l’autorizzazione a visitare a Bari 150 persone, intercettate in mare. Tutte le organizzazioni erano partner del governo per l’applicazione del progetto Praesidium, creato per migliorare, in termini di capienza e qualità, l’accoglienza di persone potenzialmente bisognose di protezione internazionale;

§         il rapporto, infine, ritiene preoccupante il ricorso del governo alle leggi antiterrorismo, rammenta i processi in corso per il G8 di Genova e i decessi di persone in stato di detenzione custodia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

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File: es1166inf.doc



[1] Il testo in italiano è disponibile sul web e navigabile a partire dall’indirizzo http://rapportoannuale.amnesty.it/

 

[2] La decisione di convocare nel 2012 una Conferenza delle Nazioni Unite al fine di negoziare un trattato vincolante in materia di commercio delle armi convenzionali è stata assunta dalla 64ma sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (2009).

[3] Rinvenibile all’indirizzo internet https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?id=1826921

[4] La pronuncia del Consiglio di Stato n. 6050/2011 ha dichiarato illegittimo il provvedimento del Governo dichiarativo dello stato di emergenza nomadi in alcune regioni del territorio nazionale. Nel febbraio 2012 il Governo ha presentato ricorso contro tale sentenza e, il 9 maggio, il Consiglio di Stato ha adottato, a titolo cautelare, un’ordinanza (ord. 1769/2012) volta a portare a compimento esclusivamente le procedure in itinere, che sospende in parte degli effetti della precedente decisione di illegittimità.

[5] Rinvenibile all’indirizzo web http://www.coe.int/t/dghl/monitoring/minorities/3_fcnmdocs/PDF_3rd_Com_Italy_it.pdf

[6] Link dall’indirizzo web http://www.cidu.esteri.it/ComitatoDirittiUmani/Menu/Informazione_formazione/Osservazioni_conclusive/

 

[7] Si tratta del Decreto-legge n. 89 del 2011 (convertito con la legge 129/2011) attuativo della la direttiva 2004/38/CE

[8] CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA, Sezione prima, sentenza del 28 aprile 2011 (causa C-61/11). La sentenza – riporta Amnesty – “ha sostituito con ammende la sanzione della reclusione da uno a quattro anni per non aver rispettato l’ordine di abbandonare il paese”.

[9] Firmato dall’Italia il 23 agosto 2003 e non ancora ratificato dal nostro paese, il Protocollo è entrato in vigore il 22 giugno 2006.