Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: La situazione nel Corno d'Africa
Serie: Note di politica internazionale    Numero: 106
Data: 19/06/2012
Descrittori:
CORNO D'AFRICA     

Casella di testo: Note di politica internazionalen. 106 19 giugno 2012

La situazione nel Corno d’Africa


 


Il 3 febbraio scorso è stata ufficialmente decretata la fine dello stato di carestia in Somalia – il paese del Corno d’Africa più colpito dalla gravissima crisi alimentare la cui punta massima è stata raggiunta nell’estate del 2011, l’anno più secco dal 1950: non si può dire, tuttavia, che l’emergenza sia stata superata.

Oltre 13 milioni di persone infatti, in Somalia, Kenya, Etiopia e Gibuti, hanno subìto le conseguenze della gravissima siccità, esacerbate dai conflitti che attraversano la regione e dalle difficoltà di far giungere in Somalia gli aiuti umanitari. Si tratta della peggiore crisi alimentare degli ultimi venticinque anni (la carestia del 1984-85 in Etiopia uccise oltre un milione di persone).

La situazione è cominciata a migliorare negli ultimi mesi del 2011 quando l’arrivo delle piogge e una grande mobilitazione internazionale hanno prodotto un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione colpita dalla carestia.

Secondo l’ultimo rapporto semestrale dell’UNICEF(aprile 2012), tuttavia, alla fine di marzo oltre otto milioni di persone necessitano ancora di assistenza umanitaria: l’UNICEF ritiene che per il 2012 siano necessari ulteriori 413,8 milioni di dollari per continuare le operazioni di soccorso nella regione. Di questi, 289,1 milioni di dollari sarebbero necessari per la sola Somalia.

Secondo l’Unicef, quasi un terzo della popolazione della Somalia (circa due milioni e mezzo di persone, tra i quali 323.000 bambini, affetti da malnutrizione acuta) vive ancora una grave crisi umanitaria: la Somalia risente maggiormente degli effetti della crisi alimentare rispetto a quanto accade negli altri paesi del Corno d’Africa perché questa è andata ad aggravare le condizioni di vita di una popolazione già stremata dal conflitto interno in corso ormai da vent’anni (lo stadio di carestia era stato riconosciuto in sei aree del centro e del sud della Somalia, compresa quella di Mogadiscio).

Tra i somali ancora bisognosi di aiuti alimentari urgenti vi sono circa 1.350.000 sfollati interni, 463.000 rifugiati nei campi profughi di Dadaab[1] (nel Kenia), 142.000 rifugiati nel campo di Dollo Ado (in Etiopia) e 22.000 nel campo di Ali Addeh (a Gibuti). Tra gli effetti della carestia – unitamente a quelli del conflitto interno – si registra un aumento dei profughi che, nel 2011 sono aumentati di 290 mila unità. La maggior parte di questi si è diretta in Kenia e in Etiopia che, al contempo, deve fronteggiare anche l’arrivo di un flusso migratorio proveniente dal Sudan e dal Sud Sudan.

Secondo dati forniti dall’UNHCR (l'agenzia dell'Onu per i rifugiati), 103.000 sfollati dal Corno d’Africa si sono recati nel 2011 nello Yemen per chiedere asilo. Si tratta di un numero di persone decisamente elevato se si tiene conto dell’instabilità dello Yemen e del fatto che, nell’anno precedente, i rifugiati diretti in quel paese provenienti dal Corno d’Africa erano stati la metà.

Anche l’Agenzia statunitense USAID (United States Agency for International Development) registra un miglioramento generale della situazione alimentare nella regione del Corno d’Africa ma afferma che la diffusione della malnutrizione globale acuta nelle aree rurali del sud della Somalia si attesta tra il 20 e il 30% (in alcune aree, particolarmente quella costiera è ancora al di sopra del 30%), rimanendo quindi oltre la soglia di emergenza.

Alla fine di marzo, la FAO aveva lanciato un appello urgente per la raccolta di 50 milioni di dollari per coprire il deficit di finanziamento delle attività agricole e della pastorizia nel Corno d'Africa. I fondi sarebbero stati messi utilizzati per massimizzare i risultati della semina che sarebbe avvenuta tra aprile  e giugno. Il direttore generale della FAO,José Graziano da Silva, era però stato costretto ad ammettere un mese e mezzo più tardi (1° maggio 2012) che esiste un grande problema di finanziamenti[2] per le attività programmate dall’Agenzia e dirette non solo all’aiuto alle famiglie, ma anche a sostenere la piccola produzione, a promuovere iniziative a lungo termine e a ridurre la vulnerabilità della regione in caso di eventi estremi.

Sempre in ambito FAO, si segnala che nel corso della conferenza regionale per l’Africa (Brazzaville, 30 aprile) è stata discussa la proposta della creazione di un trust fund per sostenere la sicurezza alimentare nel continente, finanziato con sole risorse africane.

L’Unione europea, particolarmente sotto la spinta dell’emergenza umanitaria dello scorso anno, ha rinnovato il proprio impegno nel Corno d’Africa allocando nell’intera regione 675 milioni di euro nel 2011 sulla base di una strategia fondata su un approccio integrato,  il c.d. comprehensive approach .

Quello del finanziamento degli interventi umanitari nella regione rimane un problema di difficile soluzione.

Il Financial Tracking Service dell’OCHA (United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs) afferma che, al 18 giugno 2012, i fondi destinati alla Somalia dall’Appello dell’Onu del 14 dicembre 2011 non raggiungono che il 31% degli aiuti richiesti mentre per il Kenia è stato raccolto il 52% dei contributi promessi.

Riguardo la Somalia, l’Italia, il cui contributo era previsto in 5,17 milioni di dollari, contribuisce con l’1,1% del totale.

L’ultima relazione annuale del governo sull’attuazione della politica di cooperazione allo sviluppo presentata alle Camere, riferita all’anno 2010, evidenza che per quell’anno la DGCS ha assistito 16 interventi in Somalia per un impegno pari a 17 milioni di euro.

Il rapporto pubblicato dall’UTL (Unità tecnica locale) di Nairobi l’8 giugno scorso, intitolato Stories of Changes, dettaglia invece gli interventi finanziati dall’Italia in Kenia, Somalia e Tanzania per sostenere le popolazioni locali e migliorare le loro condizioni economiche.

In stretto contatto con gli altri donatori, il Governo italiano ha focalizzato le sue iniziative in alcuni settori cruciali come l’acqua, la salute e la riqualificazione urbana delle baraccopoli di Nairobi e dei quartieri di Mogadiscio.

Negli ultimi cinquant’anni, e ancora di più a partire dal 1991, l’Italia ha posto la Somalia fra i principali paesi destinatari di aiuti, una priorità riconfermata dal ministro degli esteri Giulio Terzi. Come si evince dal rapporto dell’UTL di Nairobi, nel 2011 l’Italia ha finanziato attività per fronteggiare l’emergenza in Somalia per un totale di 2 milioni di euro, destinati alla fornitura di servizi essenziali (acqua, sanità, cibo) in collaborazione con sei ONG italiane che da tempo operano in quel paese.

 

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Il Corno d’Africa è una regione formata di paesi che, ciascuno con la propria complessità, ha patito o patisce ancora conflitti armati molto sanguinosi che si protraggono da molto tempo, unitamente alla povertà endemica. Il paese indubbiamente più sofferente è la Somalia, definito il paese “meno riuscito” al mondo.

Il 23 febbraio 2012 si è svolta a Londra la Conferenza sulla Somalia in cui i leaders di oltre 50 paesi e di organizzazioni internazionali hanno dibattuto sul futuro di un paese allo stremo, considerato una minaccia per se stesso, per il Corno d’Africa e per il mondo intero. 

La Conferenza si è incentrata su tre punti fondamentali: la pirateria, il terrorismo e l’emergenza umanitaria.

E’ stata respinta dal segretario di Stato Usa Clinton la richiesta di bombardamenti aerei contro gli Shabaab richiesti dal primo ministro somalo Abdiweli Mohamed Ali ma non senza promettere che saranno irrogate sanzioni a chi si oppone alla transizione politica in Somalia oltre ad aiuti aggiuntivi di 64 milioni di dollari. Anche l’Unione europea ha promesso un contributo di 100 milioni di euro per finanziare progetti immediati per il consolidamento istituzionale della Somalia.

Nella stessa sede il ministro degli esteri Terzi aveva sottolineato che l'Italia ritiene necessario ''uno sforzo per coinvolgere i gruppi islamici somali che rinunciano al terrorismo internazionale'' nel processo di stabilizzazione della Somalia.

La Conferenza di Londra ha avuto un seguito nella Conferenza di Istanbul del 1° giugno, ospitata dal premier islamico turco Recep Tayyip Erdogan (la Turchia è l’unico paese ad aver aperto l’ambasciata a Mogadiscio) e dal segretario dell'Onu Ban Ki-moon. La Conferenza ha ratificato il calendario della fine della transizione che prevede il 20 agosto l'elezione del nuovo capo dello stato in base alla road map per la stabilizzazione del paese (v. infra).

I rappresentanti istituzionali della Somalia si erano incontrati qualche giorno prima (24 maggio) ad Addis Abeba per firmare un accordo sulla formazione del nuovo governo, che entro agosto dovrebbe sostituire quello attuale, e sulla definizione della bozza di costituzione che avrebbe dovuto essere approvata entro il primo giugno.

La minaccia di sanzioni avanzata dalla signora Clinton è stata nuovamente ricordata dal segretario di stato aggiunto americano per gli affari africani, Johnnie Carson, che in una recente missione in Somalia (11 giugno), ha dichiarato che gli Stati Uniti, nonostante riconoscano i progressi effettuati per neutralizzare gli Shabaab, sono pronti ad imporre sanzionia tutti coloro che ostacolino la road map per il completamento del processo di transizione della Somalia e, in particolare, contro chi si opporrà all’adozione della nuova Costituzione.

La road map, un piano coordinato dalle Nazioni Unite, dovrebbe essere portata a compimento entro 20 agosto prossimo con l'adozione di una nuova costituzione e la nomina di un nuovo parlamento. Sottoscritto lo scorso settembre dal presidente somalo, Sharif Sheick Ahmed, dai responsabili dell'autoproclamata regione autonoma del Puntland e dalla milizia filo-governativa Ahlu Sunna wal Jamaa, il piano ha infatti subito numerosi ritardi ed alcuni dei numerosi punti nei quali è articolato, non sono stati attuati.

Il percorso verso la normalizzazione della Somalia è ancora accidentato ma, anche grazie al sostegno  delle forze di Kenia ed Etiopia e dell’Unione africana[3], la dilagante presenza degli Shabaab è stata parzialmente arginata, consentendo la riconquista di Mogadiscio e di altre importanti città come Afgoye, a trenta km dalla capitale, e Afmadow, strategica perché sulla strada per il porto di Kismayo.

A questo proposito, il 12 giugno il primo ministro del Kenia, Raila Odinga, ha riferito che l’esercito del suo paese sta preparando un attacco per espugnare Kisimayo, roccaforte di Shabaab, ed ha chiesto un sostegno, sia finanziario che militare, agli Stati Uniti e ai paesi dell'Unione europea. La conquista di Kisimayo sottrarrebbe tra l’altro una grande parte dei finanziamenti agli Shabaab che sopravvivono anche grazie alla riscossione delle tasse sui movimenti delle merci attraverso il porto.

Una decina di navi controllano le acque del Corno d’Africa come parte della missione dell’Unione europea Atalanta, lanciata nel 2008 per proteggere il transito delle navi commerciali dagli attacchi dei pirati. Nonostante il mandato di Atalanta [4] sia stato recentemente rivisto, consentendo ora anche attacchi di terra a basi di pirati, il portavoce europeo per la politica estera, Michael Mann, ha affermato che un bombardamento militare contro le basi Shabaab è al di fuori del mandato stabilito.

A seguito della perdita di terreno degli Shebaab, alcuni analisti internazionali azzardano l’ipotesi di un loro ritiro dalla Somalia e di un loro trasferimento nel Nord del Mali, nel nuovo autoproclamato stato del l’Azawad dove predominano le forze fedeli ad Al Qaeda.

La situazione in Somalia è ancora altamente instabile, come dimostrano i frequenti attentati, di cui quello suicida del 16 giugno – nel quale sembra che non ci siano stati morti – è solo l’ultimo in ordine di tempo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: es1160inf.doc



[1] In origine, il campo di Dadaab fu costruito per fornire un asilo temporaneo a 90.000 rifugiati, ma attualmente si estende per oltre 50 kmq e ospita oltre mezzo milione di persone .

[2] I dati riferiti al mese di maggio evidenziano che il totale dei contributi erogati è inferiore alla metà di quelli richiesti.

[3] Nella missione dell’Unione Africana, AMISOM (African Union Mission in Somalia), sono impiegate prevalentemente truppe ugandesi e burundesi di religione cristiana.

[4] il 23 marzo 2012 l’Unione europea ha deciso di prorogare il mandato dell’operazione “Atalanta” fino alla fine del 2014 e di consentire azioni militari sulla costa, previsione già inserita nella risoluzione n. 1816/ 2008 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla base della richiesta del governo di transizione somalo.