Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: La crisi nel Mali
Serie: Note di politica internazionale    Numero: 107
Data: 20/06/2012
Descrittori:
MALI     

Casella di testo: Note di politica internazionalen. 107  –  20 giugno 2012

La crisi nel Mali


 


Il golpe del 22 marzo 2012

Il 22 marzo scorso un colpo di stato militare ha deposto il presidente maliano Amadou Toumani Touré

Nato da un ammutinamento di truppe nel campo militare di Kati (vicino la capitale Bamako) e guidato da un ufficiale delle forze armate, Amadou Sanogo, il golpe aveva l’obiettivo di sostituire il governo di Touré ritenuto incapace di garantire la sicurezza nel paese a causa della rivolta dei tuareg in corso dal mese di gennaio. Con l’esercito allo sbando, il golpe ha però sortito l’effetto opposto, quello cioè di aprire la strada alla conquista delle città del nord da parte dei tuareg.

Amadou Toumani Touré, anch’egli militare, aveva rovesciato la dittatura militare nel Mali nel 1991, dando vita ad un comitato di transizione e introducendo la democrazia; dopo aver ceduto il potere ad un presidente democraticamente eletto nel 1992, fu eletto a sua volta presidente nel 2002 e rieletto nel 2007 attraverso elezioni internazionalmente riconosciute come libere.

A seguito della mediazione della CEDEAO[1], Touré ha firmato le proprie dimissioni l’8 di aprile, per permettere la costituzione di un organismo di transizione incaricato di organizzare le elezioni, di porre fine alla ribellione nel nord del paese e di riconsegnare i golpisti ai propri compiti nell’esercito.

L’accordo firmato il 6 aprile tra la CEDEAO e la Giunta militare per il ritorno alla normalità, prevede che il presidente del Parlamento, Dioncounda Traoré, assuma la carica di presidente ad interim e che dal suo insediamento (avvenuto giovedì 12 aprile) decorra il termine di 40 giorni per organizzare le nuove elezioni presidenziali.

L’accordo prevede inoltre il ritiro delle sanzioni economiche poste in essere dalla CEDEAO all’indomani del colpo di stato e l’amnistia per i militari in esso coinvolti.

La CEDEAO – attraverso il suo mediatore, il ministro burkinese Djibrill Bassolé – che sta svolgendo un ruolo determinante nella gestione della crisi maliana, ha allo stesso tempo respinto la dichiarazione di indipendenza della regione settentrionale di Azawad - un territorio che comprende le città di Timbuctu, Gao e Kidal - proclamata dai Tuareg del MNLA (v. infra).

La normalizzazione del paese, ed il graduale ritorno alla democrazia, non riguardano dunque al momento la parte settentrionale del Mali, controllata in buona parte da gruppi Tuareg e dove il rischio di una catastrofe umanitaria è già stato segnalato dall’Onu.

L’alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Navi Pillay, si è dichiarata “vivamente preoccupata per l’interruzione dei rapporti che fanno stato di gravi violazioni dei diritti umani contro la popolazione, in particolare nelle zone del Nord occupate dai ribelli”.

Le testimonianze che provengono dal Nord raccontano di uccisioni, furti, stupri, e del fatto che i civili sono costretti a fuggire. Non è possibile al momento stabilire l’entità delle violazioni, ma differenti gruppi di ribelli sono stati accusati di aver depredato proprietà pubbliche e private, inclusi ospedali. Le cronache avvertono che vengono fomentate le violenze tra i diversi gruppi etnici: inoltre, secondo alcune dichiarazioni, i non musulmani del Nord sarebbero presi di mira e in molti casi uccisi da estremisti religiosi.

Secondo l’Alto Commissario, violazioni dei diritti umani (arresti illegali, inaccettabili condizioni di detenzione e tentativi di limitare la libertà di espressione) sarebbero state registrate anche a Bamako subito dopo il colpo di stato militare del 22 marzo.

Le scarse possibilità che, nel breve lasso di tempo di 40 giorni, il nuovo presidente ad interim potesse indire le elezioni, sono state confermate il successivo 19 maggio quando, nell’imminenza dello scadere del termine, è stato sottoscritto un nuovo accordo, su pressione della CEDEAO e dell’autorità provvisoria, e che, soprattutto a causa della situazione di instabilità del Nord del paese, i golpisti hanno dovuto accettare, che stabilisce un periodo di transizione di ulteriori dodici mesi, per organizzare le elezioni presidenziali, durante i quali sarà sempre Dioncounda Traorè a guidare il paese.

La notizia dell’accordo ha provocato, il 21 maggio, pesanti proteste dei sostenitori della fazione golpista che, sono sfociate in disordini di piazza culminati con l’assalto da parte dei manifestanti al palazzo presidenziale e l’aggressione ed il ferimento del presidente ad interim Traorè nel suo ufficio di Koulouba, nei pressi di Bamako.

Dioncunda Traorè, che ha 70 anni, è stato picchiato e ferito seriamente e, successivamente, si è recato per sottoporsi a controlli medici a Parigi, dove è stato operato, in un ospedale militare della periferia della capitale francese. Il presidente maliano ad interim dovrebbe fare ritorno nel suo paese nei prossimi giorni. La situazione rimane incerta in quanto non appare ancora chiaro, al momento, il ruolo che Amadou Sanogo, capo riconosciuto dei golpisti, ricoprirà nella fase di transizione.

La rivolta dei Tuareg nel Nord del Paese

L’Azawad, la regione settentrionale maliana di cui i Tuareg chiedono l’indipendenza, è un vasto territorio comprendente le regioni di Timbuktu, Gao e Kidal. E’ stato al centro delle rivolte (1963, 1990, 2000, 2006-2008) contro il Governo centrale che cercava di imporsi nell’area. L’affermazione parziale dell’autorità statale, ha permesso alla criminalità organizzata ed allo jihadismo nordafricano di rifugiarvisi trasformandolo in un importante crocevia per il traffico di droga e di armi. Dopo la fine del conflitto libico, al quale molti tuareg avevano preso parte per lo più al fianco delle truppe di Gheddafi, è ripresa la lotta per l’autonomia della regione.

Dopo la caduta del regime di Gheddafi, il governo di Bamako ha stimato che circa 2.000 uomini sono rimpatriati (4.000 secondo fonti tuareg) portando nel Mali anche grandi quantità di armi provenienti dagli arsenali libici. Per scongiurare possibili disordini e favorire l’integrazione, le autorità maliane hanno organizzato grandi cerimonie di benvenuto durante l’ultimo trimestre dello scorso anno, realizzate dal colonnello El Hadj Gamou, un tuareg al servizio del deposto presidente Touré.

L’operazione ha fatto sì che la maggior parte dei combattenti provenienti dalla Libia si sia schierata dalla parte del governo maliano, con l’eccezione di alcuni gruppi di irriducibili, in particolare i due maggiori gruppi tuareg che hanno preso parte alla rivolta sono il MNLA (Movimento nazionale per la liberazione dell'Azawad) e Ansar Dine. Sebbene abbiano talvolta stabilito alleanze strategiche, lottando fianco a fianco come nel caso della conquista di Timbuctu, tra i due gruppi esistono forti divergenze e tensioni

Il gruppo MNLA, che si dichiara di orientamento antifondamentalista, è nato con l’obiettivo di ottenere l’indipendenza della regione dell’Azawad, ritenuta la patria dei tuareg. Nel movimento confluiscono le tribù degli Iforas, stanziati nella regione, e gli Idnan, guerrieri e nomadi. Il movimento sembra però avere un sostegno popolare più ampio perchè non si rinchiude nell’etnia, ma si rivolge all’intera popolazione dell’Azawad, formata da gruppi songhai, peulhe di origine araba.

Del gruppo fanno parte esperti militari che hanno combattuto al fianco di Gheddafi e che, dopo la sua caduta, sono rientrati nel Mali portando con sé equipaggiamenti militari e armi pesanti. Le due figure di spicco sono Bila Ag Sherif, segretario generale, e Mohamed Ag Najim, capo dell’ala militare del movimento. Quest’ultimo, in particolare, è stato colonnello nell’Esercito libico fino al luglio 2011, quando ha lasciato Bani Walid assediata dalle forze del Consiglio nazionale di transizione libico per rientrare con le sue truppe nel Mali. E’ considerato la mente della ribellione tuareg e ne rappresenta l’anima più radicale.

Ansar Dine (o Ançar Eddine - “Difensori della fede”) è invece un gruppo salafita, guidato da un leader tuareg, Iyad Ag Ghali. Il gruppo, che ha stretti legami con AQMI (Al-Qaeda nel Maghreb Islamico), non ha mire secessionistiche, né tantomeno può accettare la nascita di un altro stato laico, poiché il suo obiettivo dichiarato è quello di imporre la legge coranica in tutto il paese, dove prevale la religione musulmana.

Il mosaico delle forze che fomentano la ribellione è composto anche alcune centinaia di combattenti del movimento islamista nigeriano, Boko Haram, dati per presenti nella città occupata di Gao, così come da Mujoa (Movimento per l’unicità della jihad nell’Africa dell’Ovest) di cui fanno parte i neri di Aqmi (originari di Mali, Mauritania e Nigeria).

Le formazioni ribelli sono andate alla conquista di decine di villaggi, nei mesi di gennaio e febbraio, cui ha fatto seguito, dopo il golpe, l’occupazione di tre città (Kidal, Gao e Timbuctu). L’insurrezione è culminata il 6 aprile nella dichiarazione di indipendenza dalla quale però si sono dissociate le milizie islamiche che controllano Timbuctu. I.

Le forze ribelli possono contare sull’appoggio di alcuni importanti alleati. In primis Iyad Ag Aghaly, ex consigliere culturale dell’Ambasciata maliana in Arabia Saudita, uno dei leader del gruppo salafita Ansar al-Din. Capo della rivolta degli anni Novanta, ha servito il Governo maliano fino al 2011 in qualità di mediatore delle dispute tra le tribù tuareg. Secondariamente possono contare sul supporto di Abu Zeid e di Abdel Karim Targui, due emiri qaedisti che partecipano attivamente ai combattimenti nel Nord del Paese. Un altro sostenitore della causa del MNLA è l’ex ambasciatore libico in Niger Husayn al-Kuni, attualmente governatore di Ghat, il quale controlla la strada attraverso cui passano i rifornimenti di armi ai guerrieri maliani e ciadiani.

La maggioranza degli abitanti dell’Azawad sostiene tuttavia l’integrità territoriale delle entità amministrative esistenti. La rivolta viene piuttosto percepita come il tentativo di alcuni leader, scontenti della politica governativa nella zona, di approfittare del caos seguito al ritorno dei Tamashek arruolatisi in Libia, per avanzare nuove richieste ed ottenere più benefici.

Le tensioni sempre più evidenti tra MNLA e gli altri gruppi di ribelli sono state evidenziate in un reportage apparso il 12 aprile sul quotidiano algerino En-Nahar, nel quale si afferma che il MNLA avrebbe concesso un mese di tempo ai miliziani di AQMI e delle altre formazioni jihadiste presenti nell’Azawad per lasciare la regione. Secondo En-Nahar, l’allontanamento dei gruppi islamici avrebbe lo scopo di ottenere la solidarietà della Comunità internazionale che ha finora rifiutato di riconoscere l’indipendenza dell’Azawad.

La dichiarazione d’indipendenza è stata respinta da Francia, Stati Uniti, Unione europea e Unione africana, mentre i governi degli Stati confinanti (Niger, Algeria, Mauritania, Burkina Faso) hanno espresso timori per un possibile allargamento del fenomeno ai loro territori.

Molto dura è stata in particolare la presa di posizione dell’Algeria che ha posto in stato di allerta l’esercito lungo il confine con il Mali, anche a seguito di due azioni terroristiche rivendicate dal gruppo Mujoa: il rapimento del console algerino a Gao e di altri sei diplomatici (5 aprile) e un attentato kamikaze contro una caserma nel centro di Tamanrasset che ha provocato il ferimento di una quarantina di persone (3 marzo).

Le autorità algerine hanno affermato di ritenere l'MNLA responsabile della sorte del console di Gao in quanto si tratta del gruppo che ha dichiarato guerra all'esercito del Mali, e hanno rifiutato di negoziare la liberazione del proprio console in cambio di quella di un gruppo di jihadisti detenuti nelle carceri algerine.

Nel momento del suo insediamento, il nuovo presidente Dioncounda Traoré ha minacciato una “guerra totale e implacabile” contro i separatisti del Nord. I ministri degli esteri della CEDEAO, che si riuniranno ad Abidjan il prossimo 19 aprile, riprenderanno in considerazione l’opzione, finora rifiutata dal Mali, dell’invio di una forza militare regionale contro i ribelli e gli islamisti del Nord.

Il Mali ha inoltre denunciato, il 31 maggio, alla Corte penale internazionale, i tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell'Azawad e i gruppi jihadisti, con riferimento agli atti di violenza contro la popolazione di cui si sarebbero resi responsabili: fatti che, secondo il governo maliano, “possono essere qualificati come crimini di guerra, crimini contro l'umanità e altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario”.

Il gruppo laico di Tuareg MNLA ed il gruppo fondamentalista islamico Ansar Dinehanno annunciato, il 27 maggio, un accordo che stabiliva la fusione dei due movimenti e la creazione di un nuovo Stato islamico, che le autorità Mali hanno respinto “categoricamente”.

L’accordo è sembrato segnare una vittoria politica di enorme portata per gli integralisti, che ottenevano il riconoscimento da parte del MNLA (che ha fatto da sempre della laicità la sua specifica connotazione) del carattere islamico del nuovo Stato. Ansar Dine, collegato ad al-Qaeda, ha infatti già cominciato ad imporre la Sharia nelle città occupate, fra le quali Timbuctu.

Nei giorni successivi, il progetto di fusione è stato bloccato a causa di disaccordi di fondo, compresal'applicazione della legge islamica. Una maggiore attenzione dei tuareg del MNLA al testo dell’accordo ha fatto individuare la sua sostanziale incompatibilità con i principi laici sempre sostenuti.

La difficoltà, che sembrava insormontabile già quando l'accordo era stato siglato, stava appunto nell’accettazione da parte dei tuareg dell’islamizzazione della futura entità statuale, che configgeva oltretutto, in modo evidente, con la storia di questo popolo legato ad una visione civile e non religiosa delle proprie rappresentanze. Tra i tuareg, infatti, la filiera di comando nella società passa per l'anzianità e per la rappresentatività (ovvero il peso delle rispettive famiglie o tribù) e non per la fede nell'islam.

Non si sono comunque interrotte le trattative tra i rappresentanti dei due gruppi, anche se sono scoppiati e proseguono giorno per giorno a Timbuctu e a Kidal, gli scontri tra gruppi armati del MNLA e jihadisti.

Il MNLA ha aperto intanto un altro fronte di trattative con gruppi arabi maliani, per accantonare provvisoriamente le divisione e fare fronte comune contro l'espansione degli jihadisti nel nord del Paese.

Stando ad alcune fonti, alla riunione che si è tenuta il 4 giugno a Mbeiket Lahwach, nel sud-est della Mauritania, erano presenti anche alti ufficiali dell'esercito del Mali, capi tribù arabi e esponenti politici. Si tratta di un tentativo di alleanza in funzione anti-jihad che si fonda, senza preamboli o premesse, solo sul comune interesse di scacciare dal nord coloro che vi vogliono instaurare uno Stato islamico.

L'esito dell'incontro non si può ancora valutare ma la questione sembra oggi assumere profili inediti nel delicato contesto regionale: non si tratta più di consentire o meno la creazione di uno Stato tuareg quanto di frenare un'espansione delle frange più integraliste dell'islam e con essa di un processo che potrebbe investire anche altri Paesi, tra i quali l'Algeria e la Mauritania che, in qualche modo, di questo vertice s'e' fatta garante, dispiegando, a sicurezza dei partecipanti, un imponente apparato militare.

Si muovono infine, per evitare un tracollo della situazione in Mali, i Paesi dell’Africa occidentale: il 9 giugno il presidente del Burkina Faso, Blaise Compaorè ha incontrato una delegazione del MNLA. Due giorni dopo i presidenti della Guinea, Alpha Condè e del Niger, Mahamadou Issoufou, hanno lanciato un appello comune alla comunità internazionale affinché sostenga l’azione della CEDEAO.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: es1156inf.doc



[1]    La CEDEAO (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) o ECOWAS, secondo l’acronimo inglese, è un’organizzazione di cooperazione regionale della quale fanno parte 15 paesi dell’Africa occidentale, tra cui il Mali.