Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Regno Unito
Serie: Schede Paese politico-parlamentare    Numero: 56
Data: 14/06/2012
Descrittori:
GRAN BRETAGNA     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

Casella di testo: SCHEDA PAESE
politico-parlamentare

n. 56 –  14  giugno  2012

Regno Unito                    

 


Il quadro istituzionale

Dal punto di vista della forma di Stato, il Regno Unito (United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland) è una monarchia parlamentare.

Capo dello Stato e capo del Commonwealth, dal 1952, è la regina Elisabetta II Alexandra Mary (n. 1926) della casa dei Windsor, i cui poteri sono prettamente formali e cerimoniali; la Sovrana non  fa parte del Governo, ma riceve settimanalmente il Primo ministro per riunioni nelle quali ha il diritto di esprimere il proprio parere; tuttavia, è tradizionalmente tenuta a rispettare le decisioni del Primo ministro e del parlamento.

L’esecutivo (Cabinet) è guidato dal Primo ministro, nominato dal monarca, che è normalmente il leader del partito o della coalizione che ha ottenuto la maggioranza alle elezioni legislative. Il Primo ministro nomina i ministri.

Il potere legislativo  è detenuto dal Parlamento bicamerale.  La Camera dei Comuni (House of Commons) consta (a far data dalle elezioni del 2010[1]) di 650 membri eletti ogni cinque anni con un sistema elettorale maggioritario uninominale a turno unico (“First past the post”), che prevede l’elezione, in ciascuno dei collegi uninominali nei quali è diviso il Regno Unito[2] del candidato che abbia ottenuto il maggior numero dei voti (è quindi sufficiente una maggioranza relativa). Sottoposto a referendum il 5 maggio 2011, in contrapposizione al sistema di voto alternativo, il First past the post ha prevalso con il 67,9% delle preferenze.[3]

La Camera alta, House of Lords non ha un numero di componenti prestabilito ed attualmente è composta da 827 membri (181, pari al 21,9% di sesso femminile) di cui 710 sono membri a vita nominati dalla Corona sentito il Primo ministro, 92 sono membri ereditari[4] e 25 appartenenti al clero. Secondo Freedom House (2012), il Regno Unito è uno “Stato libero”, in possesso dello status di “democrazia elettorale”; il Democracy Index 2011 dell’Economist Intelligence Unit lo classifica “democrazia piena” (cfr. infra “Indicatori internazionali sul Paese”).

 

La situazione politica

Dopo tredici anni di ininterrotto governo laburista da metà 2010, a seguito dei risultati delle elezioni politiche del 6 maggio, il Regno Unito è governato da una coalizione formata dal Partito conservatore (centro-destra) e dai liberaldemocratici (centristi). Le elezioni del 2010 hanno reso necessaria questa alleanza, poiché il Partito conservatore pur uscendo vittorioso dalle elezioni, non ha ottenuto la maggioranza assoluta (326 seggi), fermandosi a quota 306 (36,1%);  il Labour Party ne ha ottenuti 258 (29%). In tale contesto i liberal-democratici, pur arretrando di 5 seggi rispetto alle consultazioni del 2005, sono divenuti l’ago della bilancia tra i due maggiori partiti britannici e i loro 57 seggi determinanti per il raggiungimento della maggioranza parlamentare.

Primo ministro dall’11 maggio 2010 è il leader del Partito conservatore, David Cameron mentre il liberaldemocratico Nick Clegg è vice Primo ministro.

La solidità della maggioranza conservatrice-liberaldemocratica è messa a dura prova dall’austerità fiscale e dalla crisi economica che investe il Paese (che non sembra riequilibrata neanche dagli introiti previsti per lo svolgimento dei prossimi Giochi olimpici); la stabilità politica, inoltre, è sottoposta alle tensioni derivanti dalla crisi dell’eurozona, suscettibile di innescare una diffusa crisi finanziaria.

In tal quadro la popolarità personale di David Cameron (n. 1966) è sensibilmente diminuita dall’inizio del 2012, sebbene mantenga indici di gradimento ancora superiori a quelli dei suoi principali oppositori politici (tutti in declino).

L’arretramento dei consensi viene letto da taluni osservatori oltre che come conseguenza della diffusa preoccupazione per l’assenza di progressi sia in ambito economico sia in termini di riduzione della disoccupazione, anche  alla luce di una critica montante alla mancanza di contatto del Primo ministro e del suo gabinetto, provenienti per lo più da ambienti benestanti, con la realtà vissuta dagli  elettori: in una fase di caduta degli standard di benessere lo stile di governo "hands-off" (di non intervento) di Cameron  viene percepito, pertanto, come un handicap. La criticità del contesto sociale ed economico si riverbera anche sui rapporti, del Primo ministro con i liberaldemocratici, partner minori della coalizione. L’azione politica di Cameron si trova, pertanto, stretta tra l’esigenza di individuare un non facile equilibrio tra un’apertura a politiche gradite ai partner di coalizione e la richiesta, proveniente dai settori più conservatori dello schieramento politico britannico, di promuovere politiche più marcatamente liberiste su una serie di questioni, prime tra tutte l'Europa e l'economia.

Il calo dei consensi si è materializzato nei risultati delle elezioni locali del 3 maggio 2012  nelle quali entrambi i partiti della coalizione hanno perso centinaia di seggi, per lo più a vantaggio del Labour party. Taluni osservatori hanno rilevato, tuttavia, che l’emorragia di voti (intorno ai 10 punti percentuali) subita dai partiti di maggioranza è piuttosto contenuta e tutt’altro che infrequente nelle consultazioni locali che hanno luogo intorno alla metà del mandato governativo. Si fa notare altresì che Cameron, che ha ben operato sulla maggior parte dei dossier, ha tuttavia bisogno di rifocalizzare la sua compagine di governo sul messaggio lanciato all’inizio del mandato, incentrato su un coraggioso percorso di riduzione del disavanzo.

Nel perseguire tale finalità la parte economica dell’agenda di governo risulta essere di maggior successo rispetto alle prospettate riforme del settore pubblico, di una qualche efficacia limitatamente ai settori dell’istruzione e del welfare. Meno riuscito il progetto della Big Society, il piano per trovare
alternative a uno stato onnipresente nella fornitura di servizi pubblici, che è stato lo slogan della campagna elettorale 2010 dei Conservatori e che, viene osservato, avrebbe senso e prospettiva solo con il pieno coinvolgimento delle imprese profitmaking ed  è stato presentato, invece, come basato totalmente su volontarismo e associazioni di beneficenza.


 

Indicatori internazionali sul paese[5]:

Libertà politiche e civili: Stato libero (Freedom House); democrazia piena (Economist)

Indice della libertà di stampa: 28 su 179

Libertà di Internet: nessun filtraggio alla rete

Libertà religiosa: assenza eventi significativi (ACS); rispetto concreto della pratica religiosa (USA)

Corruzione percepita: 16 su 182

Libertà economica: Stato prevalentemente libero (“mostly free”) (14 su 179)

PIL (outlook aprile 2012): +2,8%.

 



[1] Precedentemente i seggi erano 646.

[2] I collegi sono 533 per l’Inghilterra, 59 per la Scozia, 40 per il Galles e 18 per Irlanda del Nord.

[3] Per un approfondimento sul referendum britannico del 2011 cfr. la Nota di politica internazionale n. 98 del 17 maggio 2011.

[4] L’House of Lords Act 1999 è l’ultimo degli interventi legislativi intervenuti a ridurre la quota – stabilita appunto in 92 - dei membri ereditari della Camera alta britannica.

 

[5] Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); la condizione della libertà economica come riportata dalla fondazione Heritage la condizione della libertà di Internet come riportata da OpenNet Initiative; il tasso di crescita del PIL come riportato dal Fondo monetario internazionale; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alle note esplicative presenti nel dossier Analisi dei rischi globali. Indicatori internazionali e quadri previsionali (29 luglio 2011) e nella nota Le elezioni programmate nel periodo settembre-dicembre 2011 (9 settembre 2011).

 

Servizio Studi – Analisi dei temi di politica estera nell’ambito dell’Osservatorio di Politica internazionale

( 06 6760-4939 – *st_affari_esteri@camera.it

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