Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Israele
Serie: Schede Paese politico-parlamentare    Numero: 48
Data: 20/02/2012
Descrittori:
ISRAELE     

SIWEB

Casella di testo: SCHEDA PAESE
politico-parlamentare

n. 48 –  20  febbraio  2012

Israele                                 

 


Il quadro istituzionale

Lo Stato di Israele è, dal punto di vista della forma di governo, una Repubblica parlamentare.

Capo dello Stato è ilPresidente della Repubblica, eletto dal Parlamento monocamerale (Knesset) a maggioranza semplice per un mandato di sette anni, non rinnovabile.Il Parlamento monocamerale è composto da 120 deputati eletti per quattro anni con sistema proporzionale con liste chiuse in un collegio unico nazionale con soglia di sbarramento al due per cento (fino al 2006 era all’uno per cento). Il Presidente della Repubblica nomina primo ministro il componente della Knesset che abbia le maggiori probabilità di ottenere la maggioranza parlamentare che necessariamente deve sostenere il governo (tra il 1996 e il 2003 Israele ha sperimentato l’elezione diretta in coincidenza con le elezioni parlamentari del primo ministro, sistema poi abbandonato). Per l’approvazione parlamentare delle leggi è previsto il metodo delle tre letture.

Per “Freedom House” Israele è uno “Stato libero” in possesso dello status di “democrazia elettorale”, mentre il Democracy Index 2011 dell’Economist Intelligence Unit lo definisce “democrazia difettosa”.

Per quanto concerne il rispetto in concreto delle libertà politiche e civili, il rapporto Freedom in the World 2011 di Freedom Housericorda come la competizione politica in Israele risulti aperta. Si rileva altresì che la previsione del divieto di concorrere alle elezioni per partiti o candidati che neghino l’esistenza di Israele come Stato ebraico si oppongano al sistema democratico o incitino al razzismo ha in passato creato situazioni problematiche: ad esempio nel 2009 due partiti arabo-israeliani sono stati in un primo momento esclusi dalla campagna elettorale dal comitato per le elezioni della Knesset a causa di un loro presunto sostegno alle posizioni di Hamas. Tuttavia la decisione del comitato è stata ribaltata dalla Corte suprema e i due partiti hanno potuto partecipare alle elezioni, conquistando un totale di sette seggi. Anche le questioni connesse al riconoscimento della cittadinanza hanno suscitato contenziosi e discussioni. In particolare, perplessità ha suscitato una legge del 2003 che, con finalità antiterroristiche, nega in via transitoria la cittadinanza e la residenza in Israele a residenti della Cisgiordania o di Gaza coniugati con cittadini israeliani. Il provvedimento risulta, a fine 2010, all’esame della Corte suprema. I residenti arabi di Gerusalemme Est possono invece opzionare per la cittadinanza israeliana, anche se in pochi esercitano l’opzione per motivi politici. Ai residenti non cittadini è comunque riconosciuta parità di diritti con i cittadini, fatta eccezione per l’elettorato attivo e passivo. Nel corso del 2010 è invece stata abbandonato dal governo l’emendamento alla legge sulla cittadinanza che richiedeva ai nuovi cittadini di giurare fedeltà a Israele come “Stato ebraico e democratico”, ritenuto da molti osservatori come potenzialmente discriminatorio. La libertà di stampa, così come quelle di riunione e di associazione appaiono ampiamente rispettate. Freedom House e Human Rights Watch segnalano comunque tra recenti casi controversi in materia di libertà di associazione la legge del 2011 che penalizza le istituzioni culturali ed accademiche che celebrino la Nakba(catastrofe), vale a dire la commemorazione da parte palestinese della proclamazione dello Stato di Israele e del successivo primo conflitto arabo-israeliano. Risulta invece ancora in discussione il progetto di legge che richiede alle organizzazioni non governative di dichiarare tutti i finanziamenti esteri. Anche la libertà religiosa appare rispettata, sia pure in presenza di alcuni profili problematici. Le singole comunità religiose hanno giurisdizione sui propri membri in materia di matrimonio, divorzio e sepoltura: così i matrimoni tra ebrei e non ebrei possono essere riconosciuti solo se celebrati all’estero. Nel luglio 2010 ha suscitato perplessità da parte delle correnti non ortodosse dell’ebraismo il progetto di legge che attribuiva al Rabbino capo il controllo esclusivo delle conversioni all’ebraismo. Contenziosi sono inoltre sorti in passato in ordine a presunte allocazioni discriminatorie dei previsti fondi statali alle diverse comunità religiose, nonché in ordine all’accesso ai luoghi sacri di Gerusalemme.

Per la situazione del rispetto delle libertà politiche e civili ad opera delle forze di sicurezza israeliane nelle zone di Gaza e Cisgiordania si rinvia alla scheda-paese politico-parlamentare relativa all’Autorità nazionale palestinese.

La situazione politica interna

Attuale presidente della Repubblica è Shimon Peres (n. 1923). Primo ministro, dopo le elezioni del 2009, è Binyamin Netanyahu (n. 1949), alla guida di una coalizione conservatrice.

Successivamente alle elezioni del 10 febbraio 2009, il leader del partito di centro-destra Likud Netanyahu

ha ottenuto l’incarico di formare il governo nonostante il suo partito avesse ottenuto un seggio in meno (27) rispetto ai seggi del partito centrista Kadima (28) guidato dall’allora ministro degli esteri e primo ministro facente funzioni Tzipi Livni (si ricorda che Kadima è il movimento nato nel 2005 per iniziativa dell’allora primo ministro Sharon da una scissione del Likud per sostenere il piano del ritiro israeliano da Gaza; a Kadima aderirono anche esponenti del partito laburista, a partire dall’ex-primo ministro e ministro degli esteri Shimon Peres).

Netanyahu riuscì a formare una coalizione con il partito laburista e movimenti di destra: Israel Beiteinu (partito di destra sostenuto principalmente dagli israeliani di recente immigrazione, in particolare dai territori dell’ex-Unione sovietica); Shas (un partito religioso); HaBeyit HaYehudi (partito di destra); Torah (partito ultra-ortodosso).

Nel gennaio 2011 il partito laburista ha subito una scissione tra i componenti che hanno continuato a manifestare sostegno a Netanyahu, soprattutto con riferimento ai negoziati di pace (costituendo il movimento Hatzamaut, guidato dall’ex-primo ministro e attuale ministro della difesa Ehud Barak) e la maggioranza del partito ormai ostile alle politiche governative. I ministri laburisti si sono dimessi dal governo ed hanno abbandonato la maggioranza.

Sui recenti sviluppi del conflitto arabo-israeliano nonché sulla politica israeliana nel più ampio contesto mediorientale, temi al centro dell’agenda politica israeliana, si rinvia alle scheda contenute nel presente dossier

 


 

 

 

Indicatori internazionali sul paese[1]:

Fonti: Economist Intelligence Unit – ViewsWire; Freedom House; Human Rights Watch; IFES; Statesman’s Yearbook 2012

Libertà politiche e civili: “Stato libero” (Freedom House); “democrazia difettosa”  (2011: 16  su 167 Economist)

Indice della libertà di stampa: 92  su 179

Libertà religiosa: assenza di eventi significativi (ACS); generale rispetto nella pratica sia pure in presenza di alcune discriminazioni nei confronti dei gruppi non ebrei ortodossi  (USA)

Corruzione percepita: 36  su 183

Variazione PIL:   2010: +  4,8 per cento; 2011: + 4,7  per cento (stima)

Libertà economica: “Stato moderatamente libero” (48 su 179)



[1]   Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); la condizione della libertà economica come riportata dalla fondazione Heritage la condizione della libertà di Internet come riportata da OpenNet Initiative; il tasso di crescita del PIL come riportato dal Fondo monetario internazionale; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alle note esplicative presenti nel dossier  dossier Analisi dei rischi globali. Indicatori internazionali e quadri previsionali (documentazione e ricerche 29 luglio 2011) e nella nota Le elezioni programmate nel periodo settembre-dicembre 2011 (9 settembre 2011).

 

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File: es1043paese