Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri | ||||
Titolo: | Visita di una delegazione parlamentare alla Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico di Durban - (28 novembre - 9 dicembre 2011) | ||||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 302 | ||||
Data: | 30/11/2011 | ||||
Descrittori: |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione e ricerche |
Visita di una delegazione parlamentare alla Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico di Durban
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(28 novembre - 9 dicembre 2011) |
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n. 302 |
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30 novembre 2011 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri ( 066760-4172 - * st_affari_esteri@camera.it |
Ha partecipato alla redazione del dossier: |
Servizio Studi – Dipartimento Ambiente ( 066760-9253- * st_ambiente@camera.it Servizio Studi – Dipartimento Attività produttive ( 066760-9574 - * st_attprod@camera.it Servizio Rapporti internazionali ( 066760-3948 / 066760-9515 – * cdrin1i@camera.it Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 / 066760-2146 – * cdrue@camera.it
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File: es0968.doc |
INDICE
Agenda dell’incontro (a cura del Ministero degli Affari esteri)
United Nations Climate change Conference Durban, South Africa 28 November to 9 December 2011 – International Convention Centre Durban –Overview Schedule
United Nations ‘Provisional agenda and annotations, 19 September 2011
Bozza di conclusioni
Parliamentary Meeting on the Occasion of the United Nations Climate Change Conference – Durban (South Africa), 5 December 2011 – Preliminary Draft Outcome Document
La Conferenza di Durban e la partecipazione italiana
Sulla missione a Cancun (8-10 dicembre 2010) (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)
Lo sviluppo sostenibile (a cura del Servizio Studi, Dip. Ambiente)
La lotta ai cambiamenti climatici
La tutela della biodiversità e delle aree protette
Le Energie da fonti rinnovabili (a cura del Servizio Studi, Dipartimento Attività produttive)
Legislazione e politica nazionale di settore.
Promozione del risparmio ed efficienza energetici
Pubblicistica
E. Lanzi e R. Parrado ‘Gli impegni di Calcùn, gli impatti sulla sostenibilità’, in: Equilibri, n. 1/2011
G. Hedegaard ‘L’impegno dell’Europa’, in: ibidem
S. Malavasi ‘Il Congresso frena Obama’, in: ibidem
L. Gao ‘La strada per Durban è tutta in salita’, in: ibidem
M. Kamdar ‘Il potenziale indiano’, in: ibidem
A. Goria ‘La finanza per il clima: quali risorse e strumenti per sostenere le politiche globali?’, in: ibidem
’La cooperazione parlamentare in ambito ONU’, (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)
’Scheda-paese Repubblica Sudafricana’, a cura del Ministero degli Affari esteri
La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (UNFCCC)
La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico, adottata nel 1992 e aperta alla firma all’ Earth Summit di Rio dello stesso anno, è entrata in vigore nel marzo 1994.
La UNFCCC è il risultato di un processo iniziato nel 1979 con la prima conferenza mondiale sul clima e portato avanti dall’ International Panel on Climate Change[1] (IPCC). L’obiettivo della Convenzione è limitare l’aumento eccessivo delle temperature medie globali e i conseguenti cambiamenti climatici. Il documento, non vincolante, riconosce responsabilità differenziate e maggiori per i Paesi industrializzati. Dal 1995, ogni anno, i membri della UNFCCC si riuniscono nella Conferenza delle Parti (COP), massimo organo decisionale che promuove l’attuazione della Convenzione. Vi è inoltre un Bureau, composto da rappresentanti dei gruppi regionali, che assiste la COP soprattutto quando non è in sessione.
Nel corso della riunione tenutasi nel 1997 è stato steso il testo del Protocollo di attuazione della Convenzione sui cambiamenti climatici (Protocollo di Kyoto), trattato vincolante in materia ambientale da sottoporre alla ratifica degli Stati firmatari. A Kyoto gli Stati industrializzati si sono impegnati a ridurre nel periodo 2008-2012 le emissioni di gas serra del 5% rispetto ai livelli del 1990.
Dal 2005 la Conferenza delle Parti del Protocollo (CMP) si tiene contestualmente alla COP. Gli Stati membri della UNFCCC che non hanno siglato il Protocollo vi partecipano in qualità di osservatori. La CMP verifica e promuove l’attuazione del Protocollo di Kyoto.
Nel 1996 è stato creato il Segretariato dell’UNFCCC (Climate Change Secretariat), che opera anche come segretariato del Protocollo di Kyoto. Il Segretariato è istituzionalmente legato alle Nazioni Unite, senza però essere integrato in alcun programma ed è amministrato secondo le regole ONU. A capo vi è un Segretario Esecutivo nominato dal Segretario Generale, in accordo con il Bureau della COP, che ha il rango di Assistant-Secretary-General.
Il Segretariato UNFCCC è un organo imparziale, responsabile, attraverso il suo Segretario Esecutivo, di fronte alla COP, alla CMP e agli organi sussidiari. Agisce su indicazione del Bureau della COP.
Tra i suoi compiti principali:
- organizza le sessioni della COP e della CMP;
- monitora l'attuazione degli impegni assunti dalle parti;
- contribuisce alle negoziazioni attraverso analisi sostanziali;
-
tiene i registri
delle emissioni e del loro commercio;
- si coordina con i segretariati di altre organizzazioni e organismi internazionali quali Global Environment Facility (GEF), UNDP, UNEP, WB e IPCC.
La sede del Segretariato è a Bonn.
L’attuale Segretario Esecutivo dell’UNFCCC è Christiana Figueres, dal maggio 2010.
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novembre 2011 2 maggio 2011
Partecipazione della delegazione della Camera dei Deputati
alla Conferenza ONU sul clima di Durban
Dal 29 novembre al 9 dicembre si terrà a Durban la 17ma Conferenza delle Parti della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici (COP17 UNFCCC). Il Segretario esecutivo dell’UNFCCC è la costaricense, Cristiana Figueres, in carica dal giugno 2010.
La riunione di Durban assume particolare rilevanza in relazione alla prossima scadenza del Protocollo di Kyoto (2012) ed alla conseguente necessità di concordare tra le parti il nuovo regime internazionale in tema di lotta ai cambiamenti climatici.
Alcuni nodi di fondo del negoziato restano tuttora irrisolti, in particolare la formalizzazione di nuovi impegni di mitigazione tali da rendere meno remoto l'obiettivo di contenere entro i 2°C l’innalzamento (rispetto all’era pre-industriale) della temperatura globale. E’ da considerarsi quindi poco verosimile che la COP17 di Durban del prossimo dicembre raggiunga detto obiettivo, alla luce delle posizioni di chiusura circa un rinnovo del Protocollo di Kyoto di Giappone, Canada e Russia in mancanza del coinvolgimento di altri grandi emettitori (come ad esempio USA e Cina).
Appare quindi difficile che alla COP17 di Durban si arrivi ad un accordo globale di natura vincolante, mentre è più verosimile che si possa concordare un pacchetto di decisioni mirate a dare operatività, in modo bilanciato, agli accordi di Cancùn. In modo analogo si è espresso il MEF (Major Economies Forum), importante foro informale sulle sfide di lungo periodo nato per iniziativa USA, in ambito separato dal G20, per favorire il dialogo tra le maggiori economie mondiali e promuovere lo sviluppo globale delle fonti di energia alternative ai combustibili fossili. I prossimi 17-18 novembre si terrà a Washington una riunione del Forum.
Lo scorso 26 ottobre, sotto la Presidenza di turno sudafricana, si è tenuta a Città del Capo una pre-COP volta a consolidare il consenso sui testi prodotti all’ultima intersessionale UNFCCC tenutasi a Panama all’inizio dello stesso mese.
Per quanto riguarda gli aspetti prettamente finanziari del negoziato, va rimarcata la particolare importanza attribuita al Green Climate Fund quale strumento aggiuntivo di canalizzazione delle risorse a sostegno della lotta ai cambiamenti climatici; in particolare, il Comitato Transitorio di gestione del fondo contribuirà all’allocazione dei 100 miliardi di dollari annui decisi alla COP15 UNFCCC di Copenaghen. Il Comitato è presieduto congiuntamente da rappresentanti di Messico, Norvegia, Sudafrica e tra i suoi componenti annovera anche una rappresentante italiana (Dott.ssa Francesca Manno del Ministero delle Finanze).
Sul piano europeo, il Consiglio Ambiente del 10 ottobre scorso, in merito alla COP di Durban ha ribadito di essere disponibile ad un secondo periodo di adempimento ai sensi del Protocollo di Kyoto, nel quadro di una transizione verso un quadro giuridicamente vincolante più ampio, a condizione che siano mantenuti gli elementi essenziali del Protocollo, ne sia garantita l'integrità ambientale e migliorata l'architettura e che venga definita una tabella di marcia per la conclusione di un accordo globale vincolante.
Il Consiglio Europeo del 23 ottobre scorso ha ribadito la volontà dell’Unione di contribuire ad un risultato “ambizioso e bilanciato” per Durban, confermando la disponibilità verso un secondo periodo di impegni vincolanti, quale transizione verso un accordo quadro globale.
Da parte italiana, si guarda alla COP 17 di Durban come a un importante passo per le negoziazioni UNFCCC allo scopo di procedere nell’attuazione dei “Cancùn Agreements” e rafforzare il consenso tra i Paesi industrializzati e le economie emergenti. In particolare, l’Italia pone l’accento sulla necessità di coinvolgere tutte le Parti, compresi i maggiori emettitori, in un accordo globale vincolante contro i cambiamenti climatici.
Cambiamenti Climatici – inquadramento
Preparazione della COP XVII di Durban
La prima riunione intersessionale del 2011 dei gruppi di lavoro dell’UNFCCC si è svolta a Bangkok dal 3 all’8 aprile. Da questi lavori ci si attendeva l’inizio del processo negoziale per l’elaborazione ulteriore degli elementi già inclusi nei Cancùn Agreements: 1) un nuovo approccio "bottom-up" alla mitigazione caratterizzato dall'obiettivo tendenziale dei 2° centigradi (tramite impegni quantificati di mitigazione per i paesi industrializzati e impegni all’azione per la mitigazione - stabiliti su base volontaria - per i paesi emergenti); 2) i meccanismi di un sistema comune di monitoraggio, reporting e verifica (MRV); 3) l’organizzazione di un meccanismo internazionale per il trasferimento tecnologico; 4) gli elementi per la costituzione del "Green Climate Fund" con un target di 100 miliardi di dollari all'anno fino al 2020 per sostenere azioni di mitigazione e adattamento.
La sessione è stata dominata, invece, da una lunga disputa sull’articolazione dell’agenda del gruppo di lavoro LCA, strumento per la definizione del perimetro negoziale del gruppo fino alla prossima COP (COP17, Durban, dicembre 2011), che ha di fatto rinviato la sua approvazione all’ultimo giorno di negoziato.
Alcuni paesi hanno avuto un ripensamento sulle decisioni di Cancùn, ritenute ora sbilanciate sul fronte di un nuovo accordo internazionale a discapito della sopravvivenza del Protocollo di Kyoto. Si tratterebbe, in particolare, del gruppo di paesi sudamericani (ALBA), che già a Cancùn avevano manifestato forti riserve e che a Bangkok sono tornati a posizioni più intransigenti. Anche i grandi paesi emergenti (BASIC), pur mantenendo un profilo defilato in plenaria, sarebbero impegnati ad alimentare le divergenze interne al G77, contribuendo così a rallentare il negoziato.
Giappone e Federazione Russa hanno mantenuto rigido il loro rifiuto a sottoscrivere un secondo periodo di obbligo, a meno di cambiamenti nelle regole attuali e di progressi su un framework normativo che vincoli tutti i paesi emettitori.
Gli USA hanno reagito duramente, anche attraverso la stampa internazionale, alle posizioni del G77. Dal palcoscenico del Bloomberg New Energy Finance Summit 2011, l’inviato speciale del Presidente Obama per il Clima, Stern, ha dichiarato che il Protocollo di Kyoto è uno strumento ormai fuori dal tempo, confermando l’indisponibilità ad una possibile adesione statunitense. Riproponendo un approccio americano insofferente rispetto alla regolamentazione internazionale del settore, Stern si è spinto ancora oltre, dichiarando che un accordo internazionale sul clima, qualunque esso sia, sarebbe sostanzialmente inutile. Nella visione americana a fare la differenza sarebbero in effetti gli obiettivi e i vincoli incardinati dalla normativa nazionale.
Dal 6 al 17 giugno si è tenuta a Bonn la 34ma sessione dei due organi sussidiari della Convenzione (il gruppo ad hoc sulla cooperazione di lungo periodo ed il gruppo ad hoc sul Protocollo di Kyoto), senza registrare alcun progresso sostanziale riguardo al tema del Protocollo di Kyoto ed all'eventuale regime internazionale a partire dal 2012, a fronte della contrarietà di Giappone, Canada e Russia ad un Kyoto 2 e dell’insistenza di G77+Cina per un accordo vincolante in tema di riduzioni. Si sono invece compiuti dei progressi da parte dei comitati ad hoc emersi dalla COP di Cancun (i citati Transitional Commitee ed il TEC).
A tale proposito, si è svolto a settembre il terzo incontro del Transitional Committee del Green Climate Fund, che ha fatto registrare alcuni passi avanti, in particolare un ampio accordo sulla partecipazione del settore privato al fondo.
Dall’1 al 7 ottobre si è tenuta a Panama l’ultima intersessionale UNFCCC, che precede la COP17 prevista a Durban dal 28 novembre al 9 dicembre p.v. Si sono registrati alcuni progressi in particolare sul tema dell’adattamento e della finanza, anche grazie ad un rilevante contributo da parte UE. Resta invece insoluto il nodo politico relativo ai seguiti del Protocollo di Kyoto, lasciando spazio a diverse ipotesi che possano facilitare la difficile transizione ad un accordo globale sulle emissioni di gas serra (interim agreements, roadmap). La chiusura dei testi a Panama e la proposta di decisione sul mandato negoziale da affidare al gruppo di lavoro LCA garantiscono comunque maggiore agio alle parti ed alla Presidenza sudafricana per il prosieguo delle negoziazioni. Alla COP di Durban è pertanto da attendersi che gli sforzi si concentreranno sulla piena attuazione degli Accordi di Cancùn (in particolare per la parte finanza) e sul mantenimento di quella parte dell’impianto di Kyoto che riesce a far coincidere le aspettative dei paesi industrializzati e del G77+Cina, lasciando ancora incerto il tema delle riduzioni obbligatorie di CO2.
Esiti della CoP XVI di Cancùn
Nel dicembre 2010 si è tenuta la 16a CoP UNFCCC a Cancùn, che, concludendosi con un successo al di sopra delle aspettative, ha lanciato un segnale di fiducia nella capacità della comunità internazionale di esprimere una risposta condivisa alla sfida climatica attraverso l'approccio multilaterale. La plenaria conclusiva ha approvato un pacchetto di decisioni, i 'Cancun Agreements', in grado di sintetizzare in modo bilanciato le istanze di tutte le Parti, rassicurando i paesi in via di sviluppo sulla continuità del Protocollo di Kyoto, ma allo stesso tempo compiendo un primo passo importante per superarne la logica nella prospettiva di un futuro accordo legalmente vincolante sul clima. Ciò sia in termini di attenuazione della netta separazione tra impegni vincolanti dei paesi industrializzati e azioni volontarie dei paesi emergenti, sia in termini di approccio alla definizione di obiettivi di riduzione delle emissioni collettivi ed individuali da raggiungere.
Il pacchetto approvato alla Conferenza comprende una decisione, adottata nell'ambito del gruppo di lavoro KP (Protocollo di Kyoto), che riconferma l'impegno della comunità internazionale ad istituire un secondo periodo di impegni ai sensi di detto Protocollo. La decisione rinvia però al prossimo anno la definizione giuridica di tale periodo, così come l'individuazione di eventuali obiettivi di riduzione delle emissioni aggregati ed individuali per i singoli paesi. A questo fine, la decisione 'sollecita' ma non vincola le Parti ad aumentare il proprio obiettivo collettivo di mitigazione in linea con quanto suggerito dal quarto rapporto dell'Intergovernamental Panel on Climate Change e 'prende nota' degli obiettivi di riduzione e degli impegni di azione espressi su base volontaria da oltre 140 paesi a seguito dell'Accordo di Copenaghen[2].
Lo stesso riferimento è incluso anche nella seconda componente del pacchetto uscito da Cancun, una decisione adottata nell'ambito del gruppo di lavoro LCA (Cooperazione di Lungo Termine). Questo riferimento speculare inserisce a pieno titolo nel processo negoziale UNFCCC gli obiettivi di mitigazione volontariamente indicati da Paesi Annex I e Paesi non-Annex I negli allegati all'Accordo di Copenaghen, rimasti nel 2010 in un limbo giuridico a causa della mancata adozione formale dell'Accordo da parte della COP15 e schiude la porta, senza spalancarla, ad un importante cambio di approccio nel negoziato internazionale sul clima.
Il Protocollo di Kyoto nasceva da una logica di mitigazione di tipo 'top-down', basata sulla determinazione su base scientifica delle esigenze globali di riduzione delle emissioni e di una loro ripartizione tra le parti coinvolte in base a criteri di responsabilità storiche e capacità di azione. Obiettivi e impegni di azione sono invece indicati nell'Accordo di Copenaghen in base a scelte volontarie dei singoli paesi, determinate dalla proprie esigenze e possibilità nazionali. L'accettazione di queste offerte volontarie indica un'apertura verso un approccio 'bottom-up', che individui l'obiettivo globale di mitigazione come la somma degli obiettivi volontariamente offerti dai singoli paesi in base alle proprie politiche nazionali.
La decisione maturata nell'ambito del Gruppo di Lavoro sulla Cooperazione di Lungo Termine riflette due anni di negoziato sui pilastri costitutivi del Bali Action Plan (adottato nel 2007 dalla XIII CoP): visione comune di lungo periodo (shared vision); mitigazione per paesi Annex I e non Annex I, compresi meccanismi di lotta alla deforestazione, meccanismi settoriali e approcci di mercato; adattamento; sviluppo e trasferimento tecnologico; finanza e capacity building. La decisione in particolare:
1. identifica in 2°C il massimo aumento tollerabile della temperatura rispetto all'era pre-industriale, prevedendo un meccanismo di revisione e la possibilità di abbassare questo limite a 1,5° in presenza di indicazioni della comunità scientifica. Inoltre, formalizza la necessità di arrivare quanto prima al 'picco' delle emissioni mondiali per una progressiva riduzione successiva con un orizzonte al 2050;
2. istituisce il Cancun Adaptation Framework, che dovrebbe essere operativo entro il 2012, con l'obiettivo di favorire lo sviluppo di ricerca e tecnologia rilevanti e rafforzare le capacità istituzionali e i meccanismi di pianificazione dei paesi in via di sviluppo, in particolare i paesi più vulnerabili. Istituisce un Adaptation Committee della Convenzione per rafforzare il coordinamento delle azioni internazionali di adattamento. Infine, lancia un processo per valutare iniziative di interesse per i paesi più vulnerabili, quali opzioni per l'istituzione di meccanismi di assicurazione contro i rischi climatici;
3. per quanto riguarda la mitigazione, accoglie i target e gli impegni di azione di paesi di vecchia e nuova industrializzazione, nonché la logica con la quale sono stati offerti nell'ambito dell'Accordo di Copenaghen. Inoltre, acquisisce e approfondisce l'approccio a monitoraggio, reportistica e verifica (Monitoring, Reporting and Verification - MRV) maturato a Copenaghen, ponendo le basi per nuovi meccanismi di verifica internazionale sull'erogazione di finanziamenti per i paesi industrializzati e meccanismi di consultazione e analisi a livello internazionale (ICA, International Consultation and Analysis) per i paesi in via di sviluppo;
4. in tema di strumenti per la mitigazione, istituisce un meccanismo a livello internazionale per la lotta alla deforestazione (REDD+), lanciando il processo verso la definizione di regole condivise per il monitoraggio e la quantificazione delle riduzioni di emissioni; offre nuovo impulso al processo per la definizione di nuovi meccanismi di mercato che supportino tutti i paesi nel ridurre le emissioni nella maniera economicamente più efficace; istituisce un Forum nell'ambito degli organi sussidiari della Conferenza per valutare l'impatto avverso delle azioni di mitigazione;
5. raccoglie gli elementi dell'Accordo di Copenaghen legati all'aumento delle risorse finanziarie stanziate per il clima, dal riconoscimento dei fondi stanziati come Fast-Start finance per il periodo fino al 2012, all'obiettivo di mobilitazione (pubblico-privata) di 100 miliardi di dollari al 2020 per il clima. Lancia il processo per la costituzione del Green Climate Fund (precedentemente noto come Copenhagen Green Climate Fund) quale strumento aggiuntivo per l'efficace canalizzazione delle risorse. Infine istituisce uno Standing Committee per favorire il raccordo tra le varie componenti del meccanismo finanziario della Convenzione (Green Fund e GEF in primis) e crea un primo collegamento tra finanza per il clima e meccanismi per trasferimento tecnologico e capacity building. La prima riunione del TEC si è tenuta a Bonn ai primi di settembre, avviando la sua attività consultiva riguardo alle politiche, alle questioni tecniche ed alla partecipazione degli stakeholders in tema di meccanismi tecnologici;
6. istituisce un Meccanismo per il Trasferimento tecnologico, che dovrebbe essere operativo entro il 2012, basato sul lavoro di guida e raccordo di un Technology Executive Committee della Convenzione e operativamente facilitato da una rete internazionale per il trasferimento tecnologico stimolata da un Climate Technology Center della Convenzione;
7. stabilisce criteri per il rafforzamento delle azioni di capacity building nei PVS.
Raccogliendo tutti questi elementi, la decisione definisce inoltre le linee per il loro ulteriore sviluppo verso la forma legalmente vincolante di un nuovo accordo sul clima al quale si lavorerà nel corso del 2011.
Seppure mancanti di target quantificati di riduzione delle emissioni legalmente vincolanti, i ‘Cancun Agreements’ esprimono il rinnovato consenso della comunità internazionale su una strategia comune per affrontare la sfida dei cambiamenti climatici, con un attenzione crescente per un approccio bottom-up e un modello 'pledge and review'.
La grande differenza rispetto a Copenhagen è stata data, in primo luogo, dalla consapevolezza che tutta la complessa impalcatura del negoziato sui cambiamenti climatici era a rischio nel momento in cui i dati scientifici confermano la crescita della temperatura e un’ampia prevalenza di opinioni di studiosi ne attribuiscono la responsabilità all'attività dell'uomo e, in secondo luogo, dalla qualità del processo negoziale, sia nella sua sostanza, sia nella sua presentazione.
I nodi di fondo del negoziato sono peraltro rimasti irrisolti: la formalizzazione di nuovi impegni di mitigazione tali da rendere meno remoto l'obiettivo, di fatto simbolico (in quanto irraggiungibile in ogni caso), di limitare l'aumento della temperatura a 2°C rispetto all'era preindustriale, difficile da immaginare alla luce delle posizioni di grande chiusura circa un rinnovo del Protocollo di Kyoto prese da Giappone, Canada e Russia in mancanza del coinvolgimento di altri grandi emettitori.
Posizione europea
L’Unione Europea, che pure si è ancora una volta esplicitamente dichiarata aperta a sottoscrivere un secondo periodo di obbligo Kyoto, ha però fatto stato, per la prima volta in sede UNFCCC, delle posizioni più critiche del dibattito interno rispetto alle politiche climatiche dell’Unione. Il capo negoziatore della Commissione, Runge-Metzger, ha parlato dell'emergere di posizioni in seno ad alcuni paesi volte a rivedere le politiche UE, in considerazione dei problemi ambientali e di competitività che la loro attuale unilateralità sta creando (con meccanismi di carbon leakage), nel caso in cui non si pervenga a breve ad un regime che vincoli tutti i principali emettitori.
Il Consiglio Ambiente del 10 ottobre scorso ha ribadito che l’UE è disponibile ad un secondo periodo di adempimento ai sensi del protocollo di Kyoto, nel quadro di una transizione verso un quadro giuridicamente vincolante più ampio, a condizione che siano mantenuti gli elementi essenziali del protocollo di Kyoto, ne sia garantita l'integrità ambientale e migliorata l'architettura e che venga definita una tabella di marcia per la conclusione di un accordo globale vincolante.
Posizione italiana
In occasione dell’ultimo Consiglio Ambiente, il Ministro Prestigiacomo ha ribadito la posizione italiana sulla necessità di conseguire il coinvolgimento di tutte le Parti, compresi gli Stati grandi emettitori di gas ad effetto serra, in un accordo globale omnicomprensivo giuridicamente vincolante sulla lotta ai cambiamenti climatici.
La Conferenza delle Parti (COP)
sui cambiamenti climatici
Sotto l’egida dell'ONU, vengono organizzati Summit, Conferenze e altre iniziative volte a migliorare le legislazioni mondiali, tramite l'adozione di Convenzioni, e a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle questioni più delicate che l'ONU ha in agenda. La frequenza e l'importanza di tali appuntamenti sono tali da coinvolgere l'attenzione e le attese, non solo dei Governi di tutto il mondo, ma anche dei Parlamenti e della società civile, coinvolta in primo piano tramite le ONG e altre forme di associazione. In proposito, si segnala il crescente ruolo dell'Unione Interparlamentare, che si propone come versante parlamentare di tali iniziative, organizzando e prendendo parte ai forum parlamentari a margine delle Conferenze.
La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), adottata nel 1992 al Vertice di Rio de Janeiro, stabilisce impegni di stabilizzazione a livelli non pericolosi per gli equilibri climatici della concentrazione in atmosfera dell’anidride carbonica.
Più recentemente, nel 1997, è stato approvato un Accordo aggiuntivo importante al Trattato: il Protocollo di Kyoto. Esso è significativo perché prescrive dei parametri fisici e delle specifiche procedure per ridurre le emissioni di gas serra, le quali sono giuridicamente vincolanti per i paesi che hanno proceduto alla sua ratifica. Il Protocollo di Kyoto stabilisce quindi degli obiettivi di riduzione delle emissioni di sei gas serra (anidride carbonica, metano, protossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi e esafluoruro di zolfo). Periodicamente si svolgono delle Conferenze – dette Conferenze delle Parti (COP) - in cui i Paesi firmatari del Protocollo si riuniscono per monitorare i progressi e valutare il percorso da seguire per l’attuazione della Convenzione.
Si ricorda infine che il Segretariato dell’UNFCCCsupporta tutte le istituzioni coinvolte nel processo di cambiamento climatico, in particolare il COP, gli organi sussidiari e i loro Uffici di presidenza.
L’Italia ha ratificato il Protocollo con legge 1° giugno 2002, n. 120.
Il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore il 16 febbraio 2005.
La Conferenza di Durban (COP 17) avrà luogo dal 28 novembre al 9 dicembre 2011. Si segnalano in particolare due appuntamenti: il meeting parlamentare organizzato congiuntamente dal Parlamento del Sudafrica e dall’UIP (5 dicembre) ed l’High Level Segment (6-9 dicembre).
La giornata parlamentare, che si concluderà con l’adozione di un documento congiunto,sarà incentrata sui seguenti argomenti:
· Rendere operativi gli Accordi di Cancun: rapporto sull’avanzamento dei negoziati COP17/CMP7:
· Creare un meccanismo di “push and pull” per i progetti legati alle energie rinnovabili ed a basso impatto ambientale.
· Affrontare il riscaldamento globale: finanziamenti a breve ed a lungo termine.
· Azioni concordate per quanto riguarda il miglioramento e l’adattamento ai cambiamenti climatici. Un tema per i legislatori nazionali e le autorità locali.
Anche nel corso della XV e della XIV legislatura delegazioni della Camera dei Deputati hanno regolarmente partecipato alle Sessioni annuali della Conferenza delle parti.
La 16ma Conferenza delle Parti (COP 16) si è svolta a Cancun (Messico) dall’8 al 10 dicembre 2010. Vi hanno partecipato gli onn. Angelo Alessandri (LNP), Alessandro Bratti (PD) e Mauro Pili (PdL), Presidente e membri della Commissione Ambiente.
A Cancun si è raggiunto un accordo di compromesso che ha permesso di introdurre novità rispetto ai risultati – considerati deludenti - del Vertice di Copenhagen del 2009. L’accordo sollecita “profondi tagli alle emissioni di gas serra per frenare l’aumento della temperature a non più di 2 gradi Celsius rispetto ai livelli pre-industriali e chiede ai Paesi più sviluppati di ridurre le emissioni dal 25 al 40%, rispetto ai livelli del 1990, entro il 2020. L’accordo dà inoltre vita ad un nuovo organismo internazionale, il Green Climate Fund per amministrare il danaro destinato dai Paesi ricchi alle nazioni più colpite dai cambiamenti climatici. Ue, Giappone e USA si sono impegnati a donare 100 miliardi di dollari a partire dal 2020, insieme a 30 miliardi di dollari in aiuti urgenti per il periodo 2008-2012. La gestione del fondo è stata affidata temporaneamente e per i primi tre anni alla Banca Mondiale. E’ stato inoltre creato un Climate Tecnology Center and Network aiutare a diffondere il know how tecnico necessario a contenere le emissioni presso i Paesi in via di sviluppo. Sostegno è stato dato inoltre ai piani anti-disboscamento, mentre è stata rinviata la decisione relativa ad un eventuale seconda fase del Protocollo di Kyoto (che scade nel 2012).
La 15ma Conferenza della Parti (COP 15) si è svolta a Copenhagen dal 16 al 18 dicembre 2009 (High Level Segment) ed ai suoi lavori hanno partecipato gli Onorevoli Angelo Alessandri (LNP), Salvatore Margiotta (PD), Laura Froner (PD) e Agostino Ghiglia (PdL).
La Conferenza si è conclusa con un accordo di massima volto a ridurre le emissioni di anidride carbonica, ma senza entrare nello specifico. Solo nel gennaio 2010 sono state comunicate le quote per i singoli paesi: agli USA viene chiesto di ridurre entro il 2020 le emissioni del 17% (rispetto ai valori del 2005), all’UE di un 40/45% e all’India di un 20/25%.
La 14.ma Conferenza delle Parti (COP 14) relativa alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) si è svolta a Poznan, in Polonia, dal 1° al 12 dicembre 2008 e ha riunito oltre 12 mila delegati di circa 190 Paesi.
All’High level segment della Conferenza, svoltosi l’11 e il 12 dicembre, hanno partecipato gli onn. Bratti (Pd) e Gibiino (Pdl) per la Camera dei deputati e i senn. Monti (Lnp) e Della Seta (Pd) per il Senato della Repubblica. I deputati e i senatori hanno partecipato alla conferenza in qualità di osservatori, nell’ambito della delegazione governativa italiana. La Conferenza ha sofferto per l'incertezza sull'adozione di un piano europeo e per la transizione in Usa, che erano per l'ultima volta rappresentati dall'amministrazione Bush. Ciononostante gli Stati firmatari della Convenzione al termine del vertice hanno adottato una road map con un calendario e un programma di negoziati per i 12 mesi in vista dell’incontro di Copenaghen del dicembre 2009.
La Conferenza delle Parti chesi è svolta a Bali (COP13), dall’11 al 14 dicembre 2007. Per la Camera dei deputati vi ha partecipato l'on. Grazia Francescato (Verdi).
La Conferenza ha visto la partecipazione di 195 paesi ed aveva come obiettivo principale l’avvio del negoziato globale che si sarebbe dovuto concludere nel 2009 a Copenaghen (passando attraverso una verifica prevista a Poznan per dicembre 2008) con l’adozione di un nuovo trattato che continuasse e andasse oltre l’attuale protocollo di Kyoto, la cui scadenza è prevista nel 2012. L'intento di fondo è quello di contenere il riscaldamento globale del pianeta, ormai certificato con altissima probabilità di origine antropica, e di evitare un aumento della temperatura planetaria superiore ai due gradi centigradi, soglia oltre la quale potrebbero verificarsi disastri climatici estremi.
La Conferenza delle parti (COP12) si è svolta a Nairobi, dal 14 al 17 novembre 2006 e per la Camera dei deputati vi ha preso parte l’on. Franco Stradella (Forza Italia).
Il vertice si è concluso con un risultato che si potrebbe definire «di compromesso»: per un verso, infatti, vi è stato l'accordo formale per prolungare la vita del Protocollo di Kyoto oltre la scadenza naturale del 2012 (il cosiddetto «Kyoto 2»); per altro verso, tuttavia, permangono le indisponibilità dei principali Paesi non aderenti ad accettare le limitazioni imposte dal Protocollo. Nelle sue linee generali, l'accordo finale raggiunto a Nairobi prevede che i Paesi aderenti al Protocollo di Kyoto dovranno approvare, entro il 2008, le nuove regole per il cosiddetto «Kyoto 2», destinate a contenere le emissioni di gas serra a partire dal 1° gennaio 2013. L'intesa consentirà ad ogni Stato aderente di disporre del tempo necessario per approfondire gli aspetti tecnici e, soprattutto, per giungere a ratificare entro il 2012 le nuove misure decise per contenere il livello di inquinamento.
Una delegazione della Commissione VIII Ambiente della Camera dei Deputati ha preso parte al segmento ad alto livello della Sedicesima Conferenza delle Parti-COP della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change – UNFCCC) tenutasi a Cancun, in Messico, dall’8 al 10 dicembre 2010.
La delegazione era composta dal Presidente della Commissione, onorevole Angelo Alessandri, e dagli onorevoli Alessandro Bratti e Mauro Pili, in rappresentanza della Commissione Ambiente.
In occasione della Conferenza, l’Unione Interparlamentare ed il Parlamento messicano hanno organizzato congiuntamente un incontro parlamentare, che ha avuto luogo lunedì 6 dicembre 2010. Il Parlamento italiano era rappresentato dalla Vice Presidente della Camera dei Deputati, onorevole Rosy Bindi. I lavori della riunione sono stati aperti dal Presidente dell’Unione Interparlamentare, onorevole Theo-Ben Gurirab, dal Presidente della Camera dei Deputati messicana, onorevole Jorge Carlos Ramírez Marín, e dal Direttore facente funzione della Divisione di attuazione della politica ambientale (DEPI) dell’UNEP (United Nations Environment Programme), Signora Veerle Vandeweerd. Quindi, i lavori si sono articolati in una sessione di informazione dal titolo: “Come far avanzare il processo: Relazione sullo stato d’avanzamento dei negoziati COP16/CMP6”, che è stata introdotta dal Ministro degli Esteri messicano, nella veste di presidente entrante del COP16/CMP6, signora Patricia Espinosa Cantellano.
Si sono successivamente tenute due Tavole rotonde interattive, rispettivamente sul tema: ”La crescita delle energie pulite come nuovo paradigma di sviluppo” e sul tema: “Aprire le porte ad un’azione efficace sul clima a livello nazionale: i Parlamenti ne possiedono le chiavi?”. Si è inoltre tenuta una sessione sul tema. “La governance internazionale della finanza climatica”.
Al termine dei lavori è stata adottata una dichiarazione finale in cui, tra l’altro, si ribadisce l’importanza dell’approccio multilaterale per affrontare il problema dei cambiamenti climatici, in quanto problematica di carattere mondiale, nonché la necessità di stipulare una sorta di “nuovo patto con la natura”. Si sottolinea inoltre l’assoluta necessità di realizzare tagli netti alle emissioni globali al fine di conseguire il contenimento degli aumenti di temperatura globale entro i 2 gradi centigradi e si manifesta preoccupazione per il fatto che gli impegni finanziari inseriti nell’accordo di Copenaghen non siano stati ancora conseguiti.
I lavori della Sedicesima Conferenza delle Parti-COP della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change – UNFCCC) si sono tenuti a Cancun, presso il Moon Palace, in un clima relativamente tranquillo; si sono registrate alcune manifestazioni di contadini il giorno dell’apertura dell’high level segment. A tali lavori hanno partecipato oltre 190 Paesi.
I lavori sono stati aperti dal Presidente della Repubblica messicana, Felipe Calderón, e dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, il quale ha auspicato che l’appuntamento di Cancun potesse rappresentare un significativo passo in avanti nella realizzazione di una cornice internazionale volta a combattere i cambiamenti climatici.
Tra i Capi di Stato che hanno partecipato all’evento, va segnalata la presenza del Presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, del Presidente della Georgia, Mikheil Saakashvili, e del Presidente della Bolivia, Juan Evo Morales Ayma.
Il Presidente Correa ha affermato come l’accordo raggiunto a Copenhagen fosse modesto in quanto, da un lato, favoriva il rimboschimento, mentre, dall’altro, non prevedeva sanzioni adeguate a carico di chi disboscava. Dopo aver ricordato come la Foresta amazzonica rappresenti il polmone del mondo, ha sottolineato la necessità di calcolare anche le omissioni di emissioni e di procedere ad una vera “Dichiarazione universale dei diritti della natura”. Infine, ha ribadito la necessità di consentire ai poveri del pianeta di vivere con dignità e sicurezza.
Molto atteso e di grande impatto è stato l’intervento del Presidente boliviano, Evo Morales. La Bolivia ha sollevato una serie di obiezioni all’accordo di Cancun, che è stato comunque approvato. Il pianeta è ferito, ha esordito Morales, e i danni arrecati alle campagne ed ai contadini dai cambiamenti climatici, che determineranno una sempre maggiore scarsezza di acqua, daranno origine ad una nuova categoria di migranti: i migranti climatici. Per il Presidente boliviano, la causa dei cambiamenti climatici va individuata nel capitalismo, la cui crisi ha quattro risvolti: la crisi finanziaria, la crisi climatica, quella alimentare, che reputa la più importante, e la crisi energetica. Quindi, ha obiettato che, discutendo di cambiamenti climatici, ci si limita a discutere di uno solo degli effetti della più generale crisi del capitalismo. I Paesi sviluppati hanno un debito ecologico verso i paesi in via di sviluppo. Secondo gli esperti la temperatura è già di 0,8 gradi centigradi al di sopra del limite auspicabile, pertanto sarebbe opportuno un aumento della temperatura di un solo grado. Si prevede che nei prossimi anni un milione di persone l’anno moriranno per gli effetti diretti dei cambiamenti climatici. Infine, ha proposto l’indizione della prima Conferenza mondiale dei popoli sul riscaldamento globale verso i diritti di Madre Natura ed ha chiesto l’istituzione di una Corte internazionale che faccia rispettare le regole poste per arginare il fenomeno dei cambiamenti climatici.
Va ricordato, inoltre, che nella sessione plenaria è intervenuto il nostro Ministro dell’Ambiente, onorevole Stefania Prestigiacomo.
Contrariamente alle aspettative piuttosto pessimistiche, anche alla luce degli esiti di Copenhagen, ribattezzata, come si ricorderà, “Hopenhagen” (Speranzopoli), la plenaria conclusiva ha approvato un pacchetto di decisioni, i “Cancun Agreements”, in cui sono state sintetizzate in modo piuttosto bilanciato le istanze di tutte le Parti, rassicurando i Paesi in via di sviluppo sulla continuità del Protocollo di Kyoto, ma allo stesso tempo compiendo un primo passo importante per superarne la logica nella prospettiva di un futuro accordo legalmente vincolante sul clima. Ciò sia in termini di attenuazione della netta separazione tra impegni vincolanti dei Paesi industrializzati ed azioni volontarie dei Paesi emergenti, sia in termini di approccio alla definizione di obiettivi di riduzione delle emissioni collettive ed individuali da raggiungere.
Nel pacchetto approvato dalla Conferenza vi è, infatti, una decisione adottata nell'ambito del gruppo di Lavoro sul Protocollo di Kyoto, con la quale si riconferma l'impegno della comunità internazionale a realizzare un secondo periodo di impegni ai sensi del detto Protocollo, pur rinviando al prossimo anno la definizione giuridica di tale periodo, così come l'individuazione di eventuali obiettivi di riduzione delle emissioni aggregate ed individuali per i singoli paesi. A tal fine, la decisione “sollecita” ma non vincola le Parti ad aumentare il proprio obiettivo collettivo di mitigazione in linea con quanto suggerito dal quarto rapporto dell'Intergovernamental Panel on Climate Change e “prende nota” degli obiettivi di riduzione e degli impegni di azione espressi su base volontaria da oltre 140 paesi a seguito dell'Accordo di Copenaghen.
Questo riferimento speculare inserisce a pieno titolo nel processo negoziale UNFCCC gli obiettivi di mitigazione volontariamente indicati da Paesi Annex I e Paesi non-Annex I negli allegati all'Accordo di Copenaghen, rimasti nel 2010 in un limbo giuridico a causa della mancata adozione dell'Accordo da parte della COP15, e schiude la porta ad un cambio di approccio nel negoziato internazionale sul clima.
In estrema sintesi, oltre a ribadire la centralità dell’approccio multilaterale ed a registrare l’accordo dei Paesi parte del Protocollo di Kyoto sulla prosecuzione dei negoziati allo scopo di assicurare anche che non vi sia un gap tra il primo ed il secondo periodo di impegni del Protocollo stesso, si è previsto il rafforzamento dei meccanismi Clean Development del Protocollo al fine di orientare gli investimenti su progetti volti a ridurre le emissioni, nonché il lancio di una serie di iniziative finalizzate a proteggere i soggetti più vulnerabili rispetto ai cambiamenti climatici e a distribuire risorse finanziarie ai Paesi in via di sviluppo al fine di favorirne uno sviluppo sostenibile.
Il Gruppo di Lavoro sulla Cooperazione di Lungo Termine è giunto ad una decisione, presentata a Cancun, che riflette due anni di negoziato sui pilastri costitutivi del Bali Action Plan, nella quale è stato recuperato e consolidato il consenso su tutti gli elementi già inclusi nell'Accordo di Copenaghen, ma rimasti privi di ancoraggio al processo negoziale a causa della mancata adozione dell'Accordo da parte della COP.
Tale decisione si articola sui seguenti presupposti:
1) una visione comune di lungo periodo (shared vision) volta a conseguire gli obiettivi della Convenzione: infatti, nell’ambito di un processo multilaterale, da un lato, è previsto che i Paesi industrializzati sviluppino piani e strategie finalizzati alla riduzione delle emissioni di carbonio, individuando i mezzi migliori, inclusi i meccanismi di mercato; dall’altro, si istituisce un registro finalizzato alla registrazione e correlazione delle azioni di mitigazione delle emissioni promosse dai Paesi in via di sviluppo (con il supporto finanziario e tecnologico fornito dai Paesi industrializzati) al fine di dare riconoscimento ufficiale in ambito multilaterale alle azioni volte alla riduzione delle emissioni da parte di tali Paesi; è previsto che questi pubblichino ogni due anni dei progress report;
2) la necessità di aumentare l’azione e la cooperazione internazionale sul fronte dell’adattamento, creando al riguardo un Comitato per l’Adattamento;
3) la necessità di rafforzare l’azione per quanto concerne la mitigazione per paesi Annex I e non Annex l, compresi i meccanismi di lotta alla deforestazione, i meccanismi settoriali e gli approcci di mercato;
4) misure a favore dello sviluppo e del trasferimento tecnologico;
5) interventi sul fronte della finanza e della capacity building.
Gli snodi fondamentali del pacchetto denominato “Cancun Agreements” sono pertanto i seguenti:
1) si ribadisce l’identificazione in 2 gradi centigradi rispetto all'era preindustriale dell’aumento massimo della temperatura tollerabile, prevedendo un meccanismo di revisione e la possibilità di abbassare questo limite a 1,5 in presenza di indicazioni della comunità scientifica. Inoltre, si formalizza la necessità di arrivare quanto prima al “picco” delle emissioni mondiali per una progressiva riduzione successiva con un orizzonte al 2050;
2) per quanto concerne l’adattamento, si istituisce il “Cancun Adaptation Framework” con l'obiettivo di: a) favorire lo sviluppo di ricerca e tecnologia rilevanti; b) rafforzare le capacità istituzionali ed i meccanismi di pianificazione dei Paesi in via di sviluppo, in particolare i paesi più vulnerabili, attraverso un più intenso supporto finanziario. Inoltre, si istituisce un Adaptation Committee della Convenzione per rafforzare il coordinamento delle azioni internazionali di adattamento. Infine, lancia un processo per valutare iniziative di interesse per i paesi più vulnerabili, quali opzioni per l'istituzione di meccanismi di assicurazione contro i rischi climatici;
3) per quanto riguarda la mitigazione, come già ricordato, accoglie gli obiettivi e gli impegni di azione di paesi di vecchia e nuova industrializzazione, nonché la logica con la quale sono stati offerti nell'ambito dell'Accordo di Copenaghen. Inoltre, acquisisce e approfondisce l'approccio a monitoraggio, reportistica e verifica (Monitoring Reporting and Verification MRV) maturato a Copenaghen, ponendo le basi per nuovi meccanismi dì verifica internazionale sull'erogazione di finanziamenti per i paesi industrializzati e meccanismi di consultazione e analisi a livello Internazionale (ICA, International Consultation and Analysls) per i paesi in via di sviluppo;
4) in tema di strumenti per la mitigazione, istituisce un meccanismo a livello internazionale per la lotta alla deforestazione e al degrado forestale nei paesi in via di sviluppo denominato REDD+ (Riduzione di Emissioni per Deforestazione e Degrado), lanciando il processo verso la definizione di regole condivise per il monitoraggio e la quantificazione delle riduzioni di emissioni; offre nuovo impulso al processo per la definizione di nuovi meccanismi di mercato che supportino tutti i paesi nel ridurre le emissioni nella maniera economicamente più efficace; istituisce un Forum nell'ambito degli organi sussidiari della conferenza per valutare l'impatto avverso delle azioni di mitigazione;
5) quindi, si sono raccolti gli elementi dell'Accordo di Copenaghen legati all'aumento delle risorse finanziarie stanziate per il clima, dal riconoscimento dei fondi stanziati come “Fast-Start finance” per il periodo fino al 2012 (30 miliardi di dollari USA in aiuti urgenti per il periodo 2010-2012), all'obiettivo di mobilitazione (pubblico-privata) di 100 miliardi di dollari al 2020 per il clima. Una importante novità al riguardo è rappresentata dall’avvio il processo per la costituzione del Green Climate Fund (precedentemente noto come Copenhagen Green Climate Fund) quale strumento aggiuntivo per l'efficace canalizzazione delle risorse. Tale fondo, che dipenderà dalla COP e verrà monitorato nella sua fase iniziale dalla Banca Mondiale, avrà un Governing Board formato da 24 Paesi a composizione mista: 12 paesi avanzati e 12 in via di sviluppo. Il Green Climate Fund verrà a sua volta designato da un Comitato transitorio formato da 40 membri: 15 provenienti dai Paesi sviluppati e 25 da quelli in via di sviluppo (7 dall’Africa, 7 dall’Asia, 7 dal gruppo dell’America latina e dei Paesi caraibici, 2 dalle piccole isole PVS e 2 dai Paesi meno sviluppati). Infine, si istituisce uno Standing Committee per favorire il raccordo tra le varie componenti del meccanismo finanziario della Convenzione (Green Fund e GEF in primis) e si crea un primo collegamento tra finanza per il clima e meccanismi per trasferimento tecnologico e di capacity building;
6) si istituisce un meccanismo per il trasferimento tecnologico, basato sul lavoro di guida e raccordo di un Comitato Esecutivo Tecnologico (Technology Exeeutive Committee) della Convenzione e operativamente facilitato da una rete internazionale per il trasferimento tecnologico stimolata da un Climate Technology Center della Convenzione (Climate Technology Center e Network);
7) si stabiliscono criteri per il rafforzamento delle azioni di capacity building nei Paesi in via di sviluppo.
Infine, si è deciso che la prossima Conferenza delle Parti, la diciassettesima, e la settima sessione della Conferenza ministeriale si terranno in Sud Africa, a Durban, dal 28 novembre al 9 dicembre 2011. Si è altresì presa nota dell’offerta avanzata dal Qatar e dalla Repubblica di Corea di ospitare la successiva sessione, rispettivamente la diciottesima e l’ottava.
Si tratta, quindi, di una decisione caratterizzata da una coerenza interna e che consente una prima operatività. Inoltre, traccia le linee per una evoluzione verso un “nuovo accordo sul clima” in forma legalmente vincolante, sul quale si dovrà lavorare nel corso dell’anno appena iniziato.
L’esito di Cancun presenta alcuni aspetti positivi ed alcuni evidenti limiti.
Rispetto alle altre COP, la Conferenza ha messo in evidenza il fatto che il tema dei cambiamenti climatici rappresenta non solo una grande emergenza ambientale di cui tutti i Paesi sono consapevoli, ma anche una grande opportunità per l’economia mondiale.
Inoltre, come si è messo in luce in precedenza, il dato maggiormente positivo è rappresentato nel rilancio del processo multilaterale, dopo la fase di maggiore crisi che si è registrata proprio in relazione all’appuntamento di Copenhagen. In quella occasione si era registrato un irrigidimento delle posizioni di tutti i gruppi negoziali ed una progressiva perdita di fiducia nei confronti dell’approccio multilaterale al problema. L’accordo di Cancun registra invece il rinnovato consenso della comunità internazionale intorno alla scelta dell’approccio multilaterale nell’affrontare la sfida dei cambiamenti climatici.
Sotto il profilo sostanziale, si registra un passo in avanti rispetto ai punti chiave contenuti, talvolta anche in forma solo abbozzata, nel documento finale di Copenhagen, che gli Accordi di Cancun sviluppano sotto il profilo istituzionale ed operativo.
C’è da notare che non sono stati formalizzati nuovi impegni di mitigazione verso l'obiettivo di limitare l'aumento della temperatura a 2 gradi centigradi rispetto all'era preindustriale. In secondo luogo, il Giappone, il Canada, la Russia e l’Australia sono determinati a rifiutare nuovi impegni ed a procedere ad un rinnovo del Protocollo di Kyoto, senza un adeguato coinvolgimento degli altri grandi emettitori. Gli USA hanno rivestito un ruolo meno profilato (come peraltro testimoniato dalla partecipazione al segmento di alto livello dell’Inviato speciale per i cambiamenti climatici del Dipartimento di Stato, Todd Stern), pur salvaguardando l’impianto di Copenhagen, che, come si ricorderà, era stato deciso in sede di Comitato ristretto nella capitale danese dallo stesso Presidente Obama insieme ai rappresentanti dei Paesi cosiddetti BASIC ( Cina, Brasile, India e Sudafrica).
Tra questi ultimi, un ruolo di primo piano è stato giocato dal Ministro indiano Ramesh.
Va, infine dato atto al Messico dell’eccellente organizzazione dell’evento, sia per quanto riguarda la fase negoziale, sia per quel che concerne lo svolgimento della Conferenza. L’intera Amministrazione messicana ha dato prova di grande disponibilità e professionalità ed il Ministro degli Esteri messicano, la “Presidenta” Espinosa, ha condotto egregiamente i lavori.
Il Programma Agenda 21, approvato nella Conferenza di Rio de Janeiro del 1992[3] e sottoscritto da oltre 170 nazioni, è un catalogo delle politiche e delle azioni mirate allo sviluppo sostenibile[4]. L'Agenda 21 è il processo di partnership attraverso il quale gli enti locali operano in collaborazione con tutti i settori della comunità locale per definire piani di azione per perseguire la sostenibilità. Proprio in considerazione delle peculiarità di ogni singola città, le autorità locali di tutto il mondo sono quindi invitate a dotarsi di una propria Agenda.
Il 20 giugno 2011 la Commissione UE ha presentato una comunicazione (COM(2011)363 def.) intesa a preparare la posizione dell’UE in vista della conferenza ONU sullo sviluppo sostenibile in programma a Rio de Janeiro nel 2012 (Rio+20)[5]. Al fine di facilitare il passaggio ad un’economia verde nel contesto dello sviluppo sostenibile e della lotta contro la povertà la Commissione propone di sviluppare l’azione politica lungo tre linee di azione: investire in risorse chiave e nel capitale naturale (ad esempio, risorse idriche, energie rinnovabili, risorse marine, biodiversità e servizi ecosistemici, agricoltura sostenibile, foreste, rifiuti e riciclaggio); combinare strumenti normativi e di mercato; migliorare la governance e incoraggiare la partecipazione del settore privato.
Il 29 settembre il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione con la quale accoglie favorevolmente le proposte formulate dalla Commissione, in particolare, sostenendo la richiesta di una Roadmap globale per un’economia verde che definisca target “responsabili”, comprensivi di obiettivi globali sull'energia rinnovabile e l'efficienza energetica, nonché l’interruzione entro il 2020 di tutte le forme di incentivo che provocano danni all'ambiente.
Merita ricordare inoltre che il 7 luglio scorso l’ONU ha presentato il Rapporto 2011 sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio[6]. Relativamente al 7° obiettivo (assicurare la sostenibilità ambientale), nel rapporto viene evidenziata la criticità delle risorse marine globali e delle foreste (queste ultime, si legge nel rapporto, stanno rapidamente scomparendo in Sud America e Africa) e che, nonostante la crisi economica, le emissioni globali di gas-serra continuano ad aumentare.
L’Unione europea si è attivamente adoperata per recepire nella propria politica ambientale le indicazioni contenute nell’Agenda 21: il primo rilevante documento di riferimento è rappresentato dalla Decisione n. 2179/98/CE[7], a cui ha fatto seguito, nel giugno 2002, la decisione relativa al “Sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente"[8](6PAA), che individua le priorità e gli obiettivi della politica ambientale della Comunità europea per il periodo compreso tra il 22 luglio 2002 e il 21 luglio 2012 e indica i provvedimenti da adottare per contribuire alla realizzazione della Strategia dell'Unione europea in materia di sviluppo sostenibile[9].
In una comunicazione del 31 agosto 2011 la Commissione europea valuta positivamente il 6PAA, che negli ultimi dieci anni ha reso più prevedibili le iniziative di politica ambientale e consentito di consolidare e completare la normativa ambientale in tutti i settori prioritari. Per la definizione del futuro programma d’azione per l’ambiente, la Commissione auspica migliore coerenza tra l’elaborazione delle politiche e la loro attuazione, così come la coerenza con altre componenti della politica dell’UE – ad esempio, trasporti e pesca - vista la crescente interdipendenza delle sfide ambientali e la necessità di favorire il passaggio a un’economia verde, efficiente sotto il profilo delle risorse, competitiva e a bassa emissione di CO2.
Con la comunicazione COM(2009)400 “Integrare lo sviluppo sostenibile nelle politiche dell’UE”, la Commissione ha inteso aggiornare la propria strategia in materia evidenziando l’importanza di accelerare il passaggio ad un’economia più compatibile con l’ambiente quale soluzione tra le più efficaci per superare la crisi economica in atto.
Merita inoltre ricordare la strategia Europa 2020 (COM(2010)2020), che pone la crescita sostenibile al centro di una visione strategica che, in linea con gli obiettivi UE in materia di cambiamenti climatici, intende trasformare l’Europa nella regione in assoluto più compatibile col clima, proiettata verso un’economia a basse emissioni di carbonio, efficiente in termini di risorse e resiliente sotto il profilo climatico.
La strategia “Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva", approvata dal Consiglio europeo del giugno 2010, riflette l’impegno dell’UE, sancito dal pacchetto clima-energia del 2009,a trasformare l’Europa in un’economia dal profilo energetico altamente efficiente e a basse emissioni di CO2, impegno che nasce dalla piena consapevolezza che la questione energetica procede di pari passo con quella climatica, ed entrambe le dimensioni assumono rilievo per la stabilità economica dell’intero sistema produttivo e industriale europeo. A tale scopo “Europa 2020” ha integrato tra gli obiettivi prioritari gli obiettivi UE fissati dal pacchetto clima-energia per il 2020: ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20%, aumentare la quota di energie rinnovabili al 20% e migliorare l'efficienza energetica del 20%.
In tale contesto, la Commissione europea ha successivamente definito, da un lato, le priorità energetiche dell’UE per il prossimo decennio nella nuova strategia per un’energia competitiva, sostenibile e sicura(COM(2010)639), presentata il 10 novembre 2010, e dall’altro una strategia sull’uso efficiente delle risorse in Europa (COM(2011)21), presentata il 26 gennaio 2011.
Tale secondo documento offre un quadro strategico inteso a favorire la realizzazione di una crescita intelligente, sostenibile e solidale per l'Europa individuando l'efficienza delle risorse come principio guida trasversale a diversi settori delle politiche comunitarie: energia, clima, trasporti, industria, servizi, agricoltura, pesca, biodiversità e sviluppo regionale, con l’obiettivo a lungo termine di ridurre le emissioni di gas serra nell’UE dell'80-95% entro il 2050.
Il Consiglio competitività del 29 settembre 2011 ha accolto favorevolmente la strategia proposta dalla Commissione ponendo l’accento, in particolare, sull’importanza dell'efficienza delle risorse ai fini della definizione di strategie industriali a lungo termine.
Nel quadro dell’iniziativa faro sull’uso efficiente delle risorse si ritiene opportuno segnalare, in questa sede, le seguenti iniziative proposte dalla Commissione:
· una tabella di marcia (COM(2011)112) che, entro il 2050, dovrebbe trasformare in maniera economicamente sostenibile l'Europa in una società a basse emissioni di carbonio e permettere di ridurre le emissioni di gas a effetto serra dell’80-95% rispetto ai livelli del 1990, presentata l’8 marzo. In tale contesto, la Commissione propone di sviluppare l'azione per il clima attraverso una serie di piani strategici di lungo periodo intesi a mobilitare investimenti nel settore dei trasporti, dell'industria e delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e a dare maggiore impulso alle politiche a favore dell'efficienza energetica;
· una tabella di marcia per l'uso efficiente delle risorse (COM(2011)571), presentata il 20 settembre 2011, con la quale si propone un piano per la competitività e la crescita economica fondato sulla gestione e l’uso più razionale di tutti i materiali e risorse naturali nel corso del loro ciclo di vita - dall'estrazione al trasporto, dalla trasformazione al consumo, allo smaltimento dei rifiuti. Il percorso prospetta un ampio ricorso a strumenti basati sul mercato e appropriate interconnessioni tra differenti settori e diversi livelli politici;
Le Commissioni VIII (Ambiente) e X (Attività produttive) hanno avviato l’esame della predetta comunicazione nella seduta del 25 ottobre.
· una strategia UE sulla biodiversità fino al 2020 (COM(2011)244) (si veda in proposito la scheda relativa alla biodiversità).
Per quanto riguarda le iniziative italiane, si segnala che sin dal 1993, quindi immediatamente dopo il Summit di Rio de Janeiro, l’Italia si è dotata di un Piano globale, approvato dal CIPE, per l’attuazione dell’Agenda 21. Da diversi anni, poi, il Ministero dell'ambiente incentiva gli enti locali nell'attuare politiche di sviluppo sostenibile avviando specifiche azioni di sostegno, come il cofinanziamento dei processi di Agenda 21 locale.
Si ricorda, inoltre, che l’art. 21 della legge 23 marzo 2001, n. 93, ha istituito un fondo per il sostegno di una serie di iniziative, in particolare ai fini di promuovere ed attuare presso i comuni, le province e le regioni l'adozione delle procedure e dei programmi denominati «Agende 21».
Nell’ambito della politica europea per lo sviluppo sostenibile che invita gli Stati membri a delineare le proprie strategie nazionali, l’Italia ha provveduto ad approvare la “Strategia d'azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia”, (Deliberazione CIPE 2 agosto 2002, n. 57); un documento che riflette la proposta della Commissione europea sul Sesto Piano d’Azione per l’Ambiente e conferma la volontà nazionale di conformarsi al nuovo cammino europeo e internazionale a favore della sostenibilità[10].
Il comma 1124 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006) ha previsto l’istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente, di un Fondo per lo sviluppo sostenibile[11], allo scopo di finanziare:
§ progetti per la sostenibilità ambientale di settori economico-produttivi o aree geografiche;
§ l’educazione e l’informazione ambientale;
§ progetti internazionali per la cooperazione ambientale sostenibile.
Il successivo comma 1125 ha determinato la dotazione del fondo in 25 milioni di euro annui per il triennio 2007-2009. L’operatività del Fondo è stata avviata con l’adozione del decreto interministeriale 16 gennaio 2008.
Nel corso del processo di revisione del cd. codice dell’ambiente (d.lgs. n. 152/2006), con il d.lgs n. 4/2008 sono stati introdotti, nel testo del codice, alcuni articoli contenenti i principi generali sulla produzione del diritto ambientale. In particolare l’art. 3-quater ha introdotto il principio dello sviluppo sostenibile, in base al quale la pubblica amministrazione deve dare priorità alla tutela ambientale.
Nel corso dell’attuale legislatura l’Assemblea della Camera dei deputati ha approvato più volte atti di indirizzo, spesso condivisi da maggioranza e opposizione, volti ad impegnare il Governo ad avviare misure dirette a favorire uno sviluppo ambientale sostenibile.
Si vedano ad es. la mozione Alessandri, Ghiglia, Mariani, Piffari ed altri n. 1-00122 riguardante iniziative per favorire uno sviluppo ambientale sostenibile – approvata nella seduta del 24 febbraio 2009 - e la mozione Casini, Ghiglia, Realacci, Piffari, Zamparutti, Alessandri ed altri n. 1-00290, riguardante i cambiamenti climatici e le connesse politiche pubbliche – approvata nella seduta del 25 novembre 2009 -, nonché le mozioni Lo Monte ed altri n. 1-00342 e Cicchitto, Cota ed altri n. 1-00346 – approvate nella seduta del 17 marzo 2010 - concernenti misure urgenti per contrastare la crisi economica in atto, impegnando il Governo, tra l'altro, a sostenere, incentivandolo, il settore della green economy al fine di rilanciare politiche di risparmio energetico utili all'economia del Paese ed alla soluzione dei principali problemi dell'ambiente.
La consapevolezza della necessità di un passaggio all’economia verde è stata autorevolmente sancita, a livello internazionale, sia dal Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che ha indicato nella green economy la via d'uscita dalla crisi economica, sia dall’Agenzia ambientale dell’ONU (UNEP) nel rapporto “A global green new deal”[12], nel quale si auspica una nuova politica economica “verde” come antidoto alla recessione. La stessa consapevolezza è insita nelle politiche dell’UE, come dimostra - tra l’altro - il lancio del pacchetto clima-energia.
A livello nazionale, sebbene non sia possibile calcolare nel dettaglio il valore di questo complesso sistema, disperso in svariati segmenti di business, le stimedisponibili indicano, per il settore ambientale (rifiuti, energie rinnovabili, disinquinamento, salute e sicurezza, risorse agro-forestali)un fatturato complessivo di circa 10 miliardi di euro, e un numero di addetti prossimo alle 300.000 unità.
Secondo il CENSIS[13] poi sono decisamente positive “le previsioni sull’impatto nel mercato del lavoro: fonti diverse stimano da qui a dieci anni un potenziale occupazionale che varia da 100 mila a un milione di nuovi addetti, a seconda dei comparti presi in considerazione nella valutazione. Particolarmente dinamica appare la crescita del segmento dell’energia rinnovabile: secondo i dati raccolti da Terna e dal Gestore servizi elettrici, nel 2008 l’energia prodotta da fonti rinnovabili ha coperto il 16,5% del consumo nazionale, e la produzione è aumentata del 24,5% in soli cinque anni. Altrettanto positivo il quadro fornito dalle stime di Nomisma Energia: il fatturato dei principali comparti delle nuove rinnovabili è aumentato in cinque anni del 191% e nel 2008 supera i 5 miliardi di euro, mentre l’occupazione diretta e dell’indotto è cresciuta del 220% e sono più di 20.000 i posti di lavoro creati dallo sviluppo delle energie verdi”.
Secondo un’indagine di Unioncamere condotta nel marzo 2009 il 40% delle piccole e medie imprese italiane vuole puntare sulla green economy per superare la crisi con prodotti o tecnologie in grado di garantire un risparmio energetico e di minimizzare l’impatto ambientale.
In tema di green economy si segnala la recente iniziativa intitolata “Manifesto per un futuro sostenibile per l'Italia”[14] che è stata presentata il 7 novembre 2011.
Un’altra rilevante iniziativa è rappresentata dalla proposta, avanzata dal CNEL (in risposta alle raccomandazioni dell'Onu e dell'Ue e quale contributo alla Conferenza dell'Onu Rio+20), relativa alla creazione di una Consulta Nazionale in cui le parti sociali possano discutere proposte per la transizione verso un'economia verde e un'agenda delle priorità per uno sviluppo equo e sostenibile, in cui le politiche industriali innovative giochino un ruolo di primo piano per rendere più competitivo il sistema produttivo[15].
Uno dei settori normativi più rilevanti in tema di green economy, oltre a quelli delle fonti rinnovabili di energia e dell’efficienza e del risparmio energetico (v. paragrafi relativi), è sicuramente quello degli acquisti verdi o Green public procurement (GPP).
Per agevolare e incentivare l’applicazione degli acquisti verdi, l’Unione europea ha promosso l’adozione di specifici piani d’azione nazionali. In Italia si è proceduto con il Piano d’azione nazionale sul green public procurement (PAN GPP) emanato tramite il D.M. 11 aprile 2008, attuativo delle previsioni dell’art. 1, comma 1126, della legge 296/2006 (legge finanziaria 2007). In attuazione del citato piano sono stati emanati dal Ministero dell’ambiente quattro decreti recanti i criteri ambientali minimi da inserire nei bandi di gara della PA per l'acquisto dei seguenti prodotti: prodotti e servizi nei settori della ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari e serramenti esterni; prodotti tessili, arredi per ufficio, illuminazione pubblica, apparecchiature informatiche; ammendanti; carta in risme[16].
Nel 1999 una risoluzione parlamentare di approvazione del Documento di programmazione economico-finanziaria (approvata da entrambi i rami del Parlamento) ha previsto che il disegno di legge di bilancio contenga una sorta di bilancio ambientale dello Stato (o ecobilancio): tale adempimento è stato rispettato dal Governo fin dal disegno di legge di bilancio del 2000. A decorrere dal 2008, inoltre, a perfezionamento del ciclo di esposizione dei dati contabili del bilancio dello Stato, è stato presentato, unitamente al Rendiconto generale dello Stato, anche un eco-rendiconto, finalizzato all’illustrazione sistematica delle risultanze della gestione delle risorse finanziarie destinate alla tutela dell’ambiente. La rendicontazione delle spese ambientali è stata poi resa obbligatoria con la legge di riforma della contabilità (L. 196/2009).
In base a quanto riportato nell'ecobilancio allegato al ddl di bilancio 2012 le risorse stanziate dallo Stato per la spesa primaria per la protezione dell'ambiente e la gestione delle risorse naturali ammontano a circa 1,9 miliardi di euro nel 2012, pari allo 0,4% della spesa primaria complessiva del bilancio dello Stato. Viene evidenziato, inoltre, come la spesa ambientale sia caratterizzata da una significativa quota di residui passivi provenienti dagli esercizi precedenti. La maggior parte delle risorse destinate a finalità ambientali è assegnata al Ministero dell'ambiente (29% nel 2012) e al Ministero delle politiche agricole (23%).
Con la legge n. 308/2004 il Governo è stato delegato ad adottare uno o più decreti legislativi di riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative nei seguenti settori e materie, anche mediante la redazione di testi unici:
a) gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati;
b) tutela delle acque dall'inquinamento e gestione delle risorse idriche;
c) difesa del suolo e lotta alla desertificazione;
d) gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette di flora e di fauna;
e) tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente;
f) procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC);
g) tutela dell'aria e riduzione delle emissioni in atmosfera.
Con il decreto legislativo n. 152/2006, in attuazione della delega citata, le disposizioni relative alle materie indicate (ad eccezione di quelle in materia di aree protette) sono state raccolte in un unico testo legislativo, composto da più di 300 articoli e oltre 40 allegati.
Benché tale decreto non costituisca un vero e proprio testo unico in materia ambientale[17], esso rappresenta dal 29 aprile 2006 (data della sua entrata in vigore[18]) il principale atto normativo di riferimento in materia ambientale (o, per lo meno, in materia di VIA e VAS, tutela delle acque e difesa del suolo, rifiuti, inquinamento atmosferico e danno ambientale), tanto da venir comunemente indicato come “codice ambientale”.
Nel corso dei due anni successivi alla sua entrata in vigore[19], il Codice è stato oggetto di alcuni interventi correttivi, principalmente finalizzati a superare i contrasti emersi con la normativa dell’Unione europea.
In particolare, con il decreto legislativo n. 4/2008, sono stati introdotti alcuni principi generali del diritto ambientale nella Parte Prima, è stata totalmente riscritta la Parte Seconda sulle procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), la valutazione ambientale strategica (VAS) e l’autorizzazione integrata ambientale (AIA-IPPC nell’acronimo inglese) e sono state apportate anche alcune modifiche sostanziali alla Parte Terza sulle acque ed alla Parte Quarta sui rifiuti.
Con l’emanazione del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 155, il Governo non si è limitato a recepire la direttiva 2008/50/CE, ma ha provveduto anche a sostituire le disposizioni di attuazione della direttiva 2004/107/CE (recate dal D.Lgs. 152/2007), istituendo un quadro normativo unitario in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente. Tale decreto prevede, in particolare, la zonizzazione dell'intero territorio nazionale da parte delle regioni ai fini della valutazione della qualità dell'aria effettuata per ciascuno degli inquinanti previsti dalla norma.
Sempre in materia di qualità dell’aria si ricorda l’intervento correttivo alla parte V del codice dell’ambiente (relativa alle emissioni in atmosfera di impianti e attività) operato dal D.Lgs. 29 giugno 2010, n. 128, avente natura per lo più definitoria e ordinamentale.
Tale intervento correttivo ha riguardato anche la parte seconda del Codice. In particolare il decreto ha provveduto a trasporre, all’interno della parte seconda del Codice ambientale, la disciplina in materia di autorizzazione ambientale integrata (AIA) in precedenza contenuta nel d.lgs. 59 del 2005 ed ha apportato anche alcune modifiche alla disciplina della valutazione ambientale strategica (VAS) e della valutazione dell’impatto ambientale (VIA).
In tema di tutela delle acque, si ricorda il recepimento delle direttive 2008/105/CE, relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque, e 2009/90/CE sull’analisi chimica ed il monitoraggio dello stato delle acque, avvenuto con l’emanazione del D.Lgs. 219/2010, e della direttiva 2008/56/CE, cd. direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, avvenuto con l’emanazione del D.Lgs. 190/2010.
In precedenza è stato approvato il D.lgs. 16 marzo 2009, n. 30, di recepimento della direttiva 2006/118/CE sulla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento e dal deterioramento.
Relativamente al tema dei rifiuti, infine, le norme più rilevanti sono senz’altro quelle contenute nel D.Lgs. 205/2010 di recepimento della direttiva sui rifiuti 2008/98/CE, che prevede l’introduzione di rilevanti disposizioni e di più stringenti obiettivi di raccolta e recupero dei rifiuti attraverso una pressoché completa riscrittura della parte IV del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006).
Si segnala infine che con il decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 121, è stata recepita la direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell'ambiente nonché la direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni per violazioni.
Con il termine “Protocollo di Kyoto” si intende l’accordo internazionale sottoscritto il 7 dicembre 1997 da oltre 160 paesi partecipanti alla terza sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione sui cambiamenti climatici (UNFCCC[20]).
Oggetto del Protocollo è uno degli aspetti del cambiamento climatico: la riduzione, attraverso un’azione concordata a livello internazionale, delle emissioni di gas serra.
I paesi industrializzati (elencati nell’Annex I del Protocollo) si impegnano a ridurre le proprie emissioni entro il 2012.
Il protocollo di Kyoto non prevede vincoli alle emissioni per tutti i paesi firmatari (oltre 160), ma solo per quelli compresi nell’elenco riportato nell’Annex I: una lista di 39 paesi che include i paesi OCSE e quelli con economie in transizione verso il mercato. Tale scelta è stata operata in attuazione del principio di “responsabilità comune ma differenziata” secondo il quale, nel controllo delle emissioni, i paesi industrializzati si fanno carico di maggiori responsabilità, in considerazione dei bisogni di sviluppo economico dei PVS.
Obiettivo del Protocollo è la riduzione delle emissioni globali di sei gas, ritenuti responsabili di una delle cause del riscaldamento del pianeta: anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido di azoto (N2O), esafluoruro di zolfo (SF6), idrofluorocarburi (HFCs) e perfluorocarburi (PFCs).
Gli impegni generali previsti dal Protocollo sono:
- il miglioramento dell’efficienza energetica;
- la correzione delle imperfezioni del mercato (attraverso incentivi fiscali e sussidi);
- la promozione dell’agricoltura sostenibile;
- la riduzione delle emissioni nel settore dei trasporti;
- l’informazione a tutte le altre Parti sulle azioni intraprese (cd “comunicazioni nazionali”).
La misura complessiva di riduzione deve essere del 5,2% rispetto ai livelli di emissione del 1990. L’onere, tuttavia, è stato ripartito fra i Paesi dell’Annex I in maniera non uniforme, in considerazione del grado di sviluppo industriale, del reddito, dei livelli di efficienza energetica.
Per garantire un’attuazione flessibile del Protocollo e una riduzione di costi gravanti complessivamente sui sistemi economici dei paesi soggetti al vincolo sono stati introdotti i seguenti meccanismi flessibili:
§ l’emission trading (commercio dei diritti di emissione)[21], in base al quale i paesi soggetti al vincolo che riescano ad ottenere un surplus nella riduzione delle emissioni possono “vendere” tale surplus ad altri paesi soggetti a vincolo che - al contrario - non riescano a raggiungere gli obiettivi assegnati;
§ la joint implementation(attuazione congiunta degli obblighi individuali)[22], secondo cui gruppi di paesi soggetti a vincolo, fra quelli indicati dall’Annex I, possono collaborare per raggiungere gli obiettivi fissati accordandosi su una diversa distribuzione degli obblighi rispetto a quanto sancito dal Protocollo, purchè venga rispettato l'obbligo complessivo. A tal fine essi possono trasferire a, o acquistare da, ogni altro Paese “emission reduction units” (ERUs) realizzate attraverso specifici progetti di riduzione delle emissioni;
§ i clean development mechanisms(meccanismi per lo sviluppo pulito)[23] , il cui fine è quello di fornire assistenza alle Parti non incluse nell’Annex I negli sforzi per la riduzione delle emissioni. I privati o i governi dei paesi dell’Annex I che forniscono tale assistenza possono ottenere, in cambio dei risultati raggiunti nei paesi in via di sviluppo grazie ai progetti, “certified emission reductions” (CERs) il cui ammontare viene calcolato ai fini del raggiungimento del target.
In base all’accordo le riduzioni dovranno essere conseguite nelle seguenti misure percentuali:
Protocollo di Kyoto Impegni assunti[24] |
Riduzione (entro il 2008-2012) dei gas serra rispetto ai livelli del 1990 |
Stati membri UE |
8% |
USA |
7% |
Giappone |
6% |
Canada |
6% |
Totale paesi Annex I |
5,2%[25] |
Il Protocollo di Kyoto riconosce all’Unione europea (che ha provveduto a ratificarlo in data 31 maggio 2002) la facoltà di ridistribuire tra i suoi Stati membri gli obiettivi ad essa imposti, a condizione che rimanga invariato il risultato finale. Con la decisione politica nota come accordo sulla ripartizione degli oneri (raggiunto nel Consiglio Ambiente del 16-17 giugno 1998) sono state fissate le seguenti percentuali di riduzione:
Austria |
-13% |
-6,5% |
|
Belgio |
-7,5% |
Lussemburgo |
-28% |
Danimarca |
-21% |
Paesi Bassi |
-6% |
Finlandia |
0% |
Portogallo |
+27% |
Francia |
0% |
Regno Unito |
-12,5% |
Germania |
-21% |
Spagna |
+15% |
Grecia |
+25% |
Svezia |
+4% |
Irlanda |
+13% |
|
|
Secondo una relazione (COM(2011)624) presentata dalla Commissione il 7 ottobre 2011, l'UE-15 potrebbe complessivamente raggiungere l'obiettivo di Kyoto per il 2012. Gli ultimi dati relativi al 2009, infatti, indicano che le emissioni totali di gas serra nell’UE-15 sono diminuite per il sesto anno consecutivo e sono state inferiori del 12,7% rispetto alle emissioni dell’anno di riferimento, pur in presenza di una notevole crescita economica (+37% PIL UE dal 1990). Tra il 2008 e il 2009 l’Italia avrebbe fatto registrare uno dei contributi più cospicui in termini assoluti nell'abbattimento delle emissioni di gas serra (-50,6 Mt CO2 eq.), inferiore solo a Germania (-61,4 Mt CO2 eq.) e Regno Unito (-54,0 Mt CO2 eq.), sebbene l’Italia figuri tra i tre Stati membri (con Austria e Lussemburgo) che, ad avviso della Commissione, potrebbero avere difficoltà a conseguire i loro obiettivi.
Il protocollo è diventato vincolante a livello internazionale il 16 febbraio 2005 in seguito al deposito dello strumento di ratifica da parte della Russia[26].
Si ricorda, infatti, che l’art. 24 del Protocollo ne ha previsto l’entrata in vigore 90 giorni dopo la ratifica da parte di almeno 55 paesi firmatari della Convenzione, comprendenti un numero di Paesi dell’Annex I a cui sia riferibile almeno il 55% delle emissioni calcolate al 1990.
La XV sessione della Conferenza delle parti nell'ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP15) si è svolta a Copenaghen nel dicembre 2009, con l'obiettivo di adottare un nuovo accordo internazionale poiché il protocollo di Kyoto è destinato a cessare nel 2012. L’accordo raggiunto a Copenaghen, tuttavia, non contiene (nonostante le pressioni dell’UE) impegni vincolanti sulla riduzione di emissioni di gas-serra, ma si limita a richiamare un generico obiettivo di contenere entro i 2 gradi centigradi l'aumento della temperatura media planetaria e a prevedere un impegno finanziario verso i paesi poveri (30 miliardi di dollari per il triennio 2010-2012 e 100 miliardi all'anno dal 2020 in poi). La successiva COP16,che si è svolta aCancún (dicembre 2010), si è conclusa con un accordo di compromesso che rinvia le principali decisioni alla COP17 di Durban.
Nella seduta dell’VIII Commissione (Ambiente) del 4 maggio 2011, il Governo, nel corso dello svolgimento dell’interrogazione Bratti 5-04075, ha fornito elementi di informazione circa la sua posizione rispetto agli obiettivi posti dall'Accordo di Cancun[27].
Il Consiglio europeo del 23 ottobre 2011, nelle sue conclusioni, ha definito la posizione negoziale dell'UE per la COP17, confermando la disponibilità a considerare un secondo periodo di impegni ai sensi del protocollo di Kyoto, nel quadro di una transizione verso un quadro giuridicamente vincolante completo e un calendario chiaro che assicuri la partecipazione globale anche da parte delle grandi economie.
Nel corso di un’audizione svoltasi il 7 novembre presso la Commissione Ambiente del Parlamento europeo, il Commissario europeo per l’azione per il clima, Hedegaard, ha ribadito che tale disponibilità è condizionata alla definizione di una tabella di marcia con impegni chiari da parte di tutti i principali emettitori in ordine al raggiungimento, in tempi certi, di un accordo complessivo e legalmente vincolante, dal momento che il sistema di Kyoto copre soltanto l’11% delle emissioni globali. Tale posizione era stata anche espressa nel corso di un’audizione svoltasi il 6 ottobre 2011 presso le Commissioni riunite ambiente e politiche comunitarie della Camera e del Senato in cui il Commissario europeo aveva altresì posto l’attenzione sull’importanza di aumentare l’efficienza energetica e diminuire la dipendenza dell’Europa dall’importazione di combustibili fossili nelle politiche di lotta ai cambiamenti climatici.
Con una risoluzione approvata 16 novembre 2011, il Parlamento europeo ha invitato l’UE a ribadire pubblicamente e in modo inequivocabile il suo sostegno al protocollo di Kyoto e ad adottare tutti i provvedimenti necessari a garantire che, dopo il 2012, non si producano interruzioni negli impegni. Il Parlamento europeo chiede altresì all'Unione europea di puntare a superare il proprio obiettivo di protezione climatica del 20%, entro il 2020, stabilito col pacchetto clima energia.
Il Consiglio ECOFIN dell’8 novembre 2011 ha confermato che, fino a oggi, l’UE ha contribuito con 4,68 miliardi di euro – su un impegno totale di 7,2 miliardi di euro – all’attivazione di un meccanismo di finanziamento rapido a favore dei paesi in via di sviluppo per il periodo 2010-2012 rispettando, nonostante la perdurante situazione di crisi finanziaria, gli impegni assunti a Cancún[28].
L’Italia ha provveduto a ratificare il protocollo di Kyoto con la legge 1° giugno 2002, n. 120, la quale reca anche una serie di disposizioni finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.
In attuazione delle citate disposizioni finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra contenute nella legge di ratifica del Protocollo di Kyoto (n. 120/2002), il Ministero dell'ambiente ha provveduto ad elaborare il Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra 2003-2010 (per consentire all'Italia di rispettare l’obiettivo di riduzione del 6,5% previsto dal Protocollo di Kyoto), nonché la proposta di revisione della delibera CIPE n. 137 del 19 novembre 1998, recante le “linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”.
Tali documenti, approvati con la delibera CIPE 19 dicembre 2002, n. 123[29], contengono, secondo quanto previsto dalla legge di ratifica, l'individuazione delle politiche e delle misure finalizzate al contenimento ed alla riduzione delle emissioni di gas serra[30].
Per il finanziamento di tali misure è intervenuto l’art. 1, commi 1110-1115, della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007), che ha istituito presso la Cassa depositi e prestiti S.p.A., un Fondo rotativo per l'erogazione di finanziamenti a tasso agevolato (a soggetti pubblici o privati) di misure finalizzate all’attuazione del Protocollo di Kyoto, con una dotazione di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2007-2009[31].
Tale norma è stata attuata con il successivo D.M. ambiente 25 novembre 2008 che ha dettato la disciplina delle modalità di erogazione dei citati finanziamenti[32].
Sull’effettivo utilizzo del Fondo, il Governo ha riferito alla Camera in risposta all’interrogazione Mariani n. 5-03436 del 22 settembre 2009[33].
Ulteriori misure di attuazione del Protocollo sono state previste in numerosi provvedimenti normativi, che hanno riguardato principalmente l’incentivazione delle energie rinnovabili e la promozione dell’efficienza e del risparmio energetici (si veda in proposito la scheda relativa alle politiche energetiche).
Nonostante gli sforzi intrapresi, però, l’incertezza sulle possibilità di riuscire a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas-serra previsti dal Protocollo di Kyoto ha reso necessario l’avvio, sancito con la delibera CIPE n. 135 dell’11 dicembre 2007[34] (Aggiornamento della delibera CIPE n. 123/2002 recante «revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni di gas-serra»), di un più ampio processo di aggiornamento della delibera n. 123/2002.
Ai fini del citato aggiornamento della strategia nazionale per la riduzione delle emissioni di gas-serra, con la delibera CIPE 16/2009 è stato ricostituito il Comitato tecnico emissioni dei gas-serra (CTE) con il compito di sottoporre al CIPE le eventuali proposte di integrazione o modifica.
Si segnala, da ultimo, l’emanazione del D.lgs. 14 settembre 2011, n. 162, di recepimento della direttiva 2009/31/CE sullo stoccaggio geologico di CO2.
Si ricorda che, nell’ambito delle misure adottate per il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto, la direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 ha istituito un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità - denominato Emission Trading System (ETS) - al fine di anticipare la piena entrata in vigore dell'emission trading, prevista su scala globale dal Protocollo solo dal 2008.
Tale direttiva è stata recepita con il decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216, successivamente integrato e modificato dal d.lgs. 51/2008.
Ulteriori modifiche al D.Lgs. 216/2006 sono state introdotte da diversi provvedimenti. Si ricordano, in particolare, l'art. 27, comma 47, della legge 99/2009, che ha provveduto ad una ridefinizione, in senso restrittivo, delle funzioni del Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE e l'art. 4, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, finalizzato a definire e razionalizzare la collocazione amministrativa e la governance del Comitato.
Con il D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 257, inoltre, è stata recepita la direttiva 2008/101/CE che ha modificato la direttiva 2003/87/CE al fine di includere le attività di trasporto aereo nell’ETS. Coerentemente con l'impostazione adottata dalla direttiva, il decreto è stato articolato in modo tale da ristrutturare il decreto legislativo 216/2006 in quattro titoli che si riferiscono rispettivamente alle disposizioni generali, alle disposizioni relative alle attività di trasporto aereo, alle disposizioni relative agli impianti fissi e alle disposizioni comuni sia alle attività di trasporto aereo sia agli impianti fissi.
In attuazione del D.Lgs. 216/2006 i Ministeri competenti (dell'ambiente e dello sviluppo economico) hanno approvato (con decreto DEC/RAS/1448/2006) il PNA delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012[35] e, successivamente (in data 29 febbraio 2008), la Decisione di assegnazione per il periodo 2008-2012.
In seguito all’esaurimento della “Riserva nuovi entranti” prevista dalla Decisione di assegnazione per il periodo 2008-2012, l’art. 2 del D.L. 72/2010 (convertito dalla legge 111/2010) ha dettato le necessarie misure per l’assegnazione gratuita di quote di emissione di CO2 ai nuovi impianti entrati in esercizio.
Si ricorda inoltre che all'interno dell'Allegato B della legge comunitaria 2009 (L. 96/2010) è inclusa la direttiva 2009/29/CE, che concerne la revisione per il periodo post-2012 del sistema comunitario ETS di scambio delle emissioni di gas-serra (il cui termine di recepimento per gli Stati membri scade il 31 dicembre 2012) e che fa parte del cd. pacchetto clima-energia. Si rammenta altresì che per i settori non regolati dalla direttiva 2009/29/CE (cosiddetti settori "non ETS" identificabili approssimativamente con i settori agricolo, trasporti e civile), la decisione del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 406/2009 del 23 aprile 2009 (Decisione concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas a effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2020 - cd. Decisione “effort sharing”) stabilisce, per ogni Stato Membro della UE, obiettivi obbligatori di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Per l’Italia l’obiettivo di riduzione è del -13%, rispetto ai livelli del 2005, da raggiungere entro il 2020.
Sempre relativamente all'attuazione del Protocollo di Kyoto si ricorda che l’art. 2, comma 9, della legge 7 aprile 2011, n. 39, prevede che, in allegato al DEF (Documento di economia e finanza) sia presentato un documento, predisposto dal Ministro dell'ambiente, sentiti gli altri Ministri interessati, sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas-serra, in coerenza con gli obblighi internazionali assunti dall'Italia in sede europea e internazionale, e sui relativi indirizzi.
L’allegato al DEF 2011[36] presenta la situazione delle emissioni di gas serra al 2009 e le previsioni fino al 2012, indica le misure per colmare il “gap” che separa l’Italia dal raggiungimento dell’obiettivo di Kyoto, e sottolinea che, poiché “mancano solo due anni alla fine del primo periodo di impegno di Kyoto non è realistico ipotizzare che l’attuazione di ulteriori misure nazionali, seppure immediata, possa avere effetti significativi in termini di riduzioni di emissione entro tale scadenza”; occorrerà, pertanto, acquistare le quote necessarie a colmare il gap, per una spesa stimabile da un minimo di 271 a un massimo di 335 Meuro annui.
Lo stesso allegato, inoltre, valuta gli scenari delle emissioni con orizzonte temporale al 2020 idonei al raggiungimento dell’obiettivo previsto per i settori “non ETS” dalla Decisione 406/2009 del 23 aprile 2009 (“effort sharing”) per l’anno 2020 e indica le azioni preliminarmente necessarie al perseguimento di tale obiettivo.
Nel corso dell’esame parlamentare, la VIII Commissione ambiente, nella seduta del 27 aprile 2011, ha espresso un parere favorevole sul Documento di economia e finanza a condizione, tra le altre, che venga aggiornato l'Allegato sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, al fine di valutare l'efficacia di talune misure in corso di revisione nel raggiungimento degli obiettivi di Kyoto e di fornire un dato aggiornato concernente il gap annuale medio nel periodo 2008-2012.
L’Italia ha ratificato la Convenzione sulla Diversità Biologica[37] (adottata il 5 giugno del 1992, al Summit mondiale di Rio de Janeiro delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo) con la legge n. 124 del 1994 cui hanno fatto seguito numerose iniziative, anche normative[38].
Nel ratificare la Convenzione, le Parti contraenti si sono impegnate a intraprendere misure nazionali e internazionali finalizzate al raggiungimento di tre obiettivi: la conservazione in situ ed ex situ della diversità biologica (a livello di geni, popolazioni, specie, habitat ed ecosistemi), l'uso sostenibile delle sue componenti e l'equa condivisione dei benefici derivanti dall'utilizzazione delle risorse genetiche.
Di particolare rilevanza, per l’attuazione della Convenzione e della legge nazionale di ratifica, è l’intesa, raggiunta dalla Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 7 ottobre 2010, sulla Strategia Nazionale per la Biodiversità[39], che rappresenta “uno strumento di grande importanza per garantire, negli anni a venire, una reale integrazione tra gli obiettivi di sviluppo del Paese e la tutela del suo inestimabile patrimonio di biodiversità”. Si ricorda, altresì, che un rilevante passo per l’attuazione della citata strategia, già in preparazione da diversi anni[40], è stato compiuto con l’istituzione del Comitato nazionale per la biodiversità (avvenuta con D.M. Ambiente 5 marzo 2010, pubblicato nella G.U. 12 aprile 2010, n. 84) cui è stato attribuito, quale compito principale, quello di coordinare, monitorare e valutare l'efficacia delle azioni portate avanti per dare attuazione alla citata Strategia.
In attuazione della citata intesa, con il D.M. ambiente 6 giugno 2011 sono stati istituiti il Comitato paritetico e l'Osservatorio nazionale per la biodiversità, nonché il Tavolo di consultazione.
A livello europeo l’importanza della tutela della biodiversità è stata sottolineata prima dal Libro bianco della Commissione europea sui cambiamenti climatici e, ancor prima, nel Piano d'azione europeo a favore della biodiversità (Comunicazione della Commissione del 22 maggio 2006 “Arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010 e oltre” - COM(2006)216 def.) e, recentemente, dalla comunicazione della Commissione dal titolo “La nostra assicurazione sulla vita, il nostro capitale naturale: strategia dell'UE sulla biodiversità fino al 2020” del maggio 2011 (COM(2011)244 def.).
Presentata il 3 maggio 2011 e intesa ad aggiornare gli obiettivi UE per porre fine, entro il 2020, alla perdita di biodiversità e al degrado dei servizi ecosistemici, la strategia prevede sei obiettivi prioritari che dovranno consentire di preservare e valorizzare gli ecosistemi e i relativi servizi mediante il ripristino di almeno il 15% degli ecosistemi degradati. Oltre alla corretta attuazione della normativa esistente, la strategia prevede anche un maggior contributo dell’agricoltura, della silvicoltura e della pesca al mantenimento e al rafforzamento della biodiversità. Infine, la strategia sottolinea l’importanza del contributo attivo dell’UE per scongiurare la perdita di biodiversità a livello mondiale.
Il Consiglio ambiente del 21 giugno 2011 ha approvato conclusioni con le quali accoglie favorevolmente la comunicazione della Commissione sottolineando, tra l’altro, la necessità di un approccio complessivo che integri la biodiversità in altre politiche, quali la politica agricola comune, la politica comune della pesca e la politica di coesione, nonché nelle future prospettive finanziarie 2014-2020.
Sul ruolo chiave della biodiversità nelle strategie di mitigazione ed adattamento ai cambiamenti climatici si è soffermata anche la Carta di Siracusa[41], adottata nell’aprile 2009, nel corso del G8 Ambiente tenutosi nella città siciliana, cui ha fatto seguito la COP10 di Nagoya che si è conclusa con l’approvazione del cd. Protocollo di Nagoya, un piano d’azione articolato in venti punti per proteggere gli ecosistemi, frenare il degrado degli habitat naturali e l'estinzione delle specie viventi che li popolano.
Il degrado ambientale e le minacce che gravano su talune specie animali e vegetali hanno indotto l’UE a cercare di garantire la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali e seminaturali, e della flora e della fauna selvatiche sul territorio degli Stati membri. A tale scopo è stata emanata la direttiva 92/43/CEE, nota come direttiva habitat, che ha previsto l’istituzione di un sistema coordinato e coerente di aree per la conservazione della diversità biologica, cui è stato attribuito il nome Natura 2000, costituito dalle Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e dalle Zone di Protezione Speciale (ZPS).
La Commissione UE ha reso noto, di recente, che la rete ''Natura 2000'' copre quasi il 18% del territorio dell'UE e oltre 130.000 km2 di mari e oceani[42]. In Italia SIC e ZPS coprono complessivamente circa il 20% del territorio nazionale[43].
Uno dei principali strumenti a sostegno della Rete Natura è senz’altro il programma finanziario LIFE, ora LIFE+, dopo l’approvazione del Regolamento (CE) n. 614/2007[44].
Il 18 novembre 2011 la Commissione europea ha approvato sei decisioni che permettono di incrementare del 2,6% la superficie protetta dalla rete Natura 2000. Le decisioni riguardano sei regioni biogeografiche - le regioni alpina (C(2011)8202), atlantica (C(2011)8203), boreale (C(2011)8195), continentale (C(2011)8278), mediterranea (C(2011)8172) e pannonica (C(2011)8187) – e interessano sedici Stati membri tra cui l’Italia, che vede aumentare la superficie protetta di 871 km2 nelle tre regioni mediterranea (+ 660 km2), continentale (+ 185 km2) e alpina (+ 26 km2).
La conservazione dei territori naturali che ancora mantengono inalterate le matrici ecosistemiche rappresenta il principale obiettivo dell’istituzione di aree naturali protette. Attraverso l'individuazione dei territori terrestri e marini nei quali promuovere l'istituzione di riserve naturali statali e parchi nazionali, che attualmente occupano circa 1,3 milioni di ettari, e la definizione dei criteri di gestione, unitamente all'elaborazione di norme generali di indirizzo e coordinamento vengono realizzate le misure conservative.
La legge 6 dicembre 1991, n. 394 (“Legge quadro sulle aree protette”) ha provveduto alla classificazione delle aree naturali protette[45] ed ha istituito, altresì, l’Elenco ufficiale delle aree protette[46].
Tale elenco, periodicamente aggiornato a cura del Ministero dell'Ambiente, è stato rivisto con la delibera della Conferenza Stato Regioni del 24 luglio 2003[47].
Nell’ultima Relazione del Ministero dell’ambiente sullo stato di attuazione della legge quadro sulle aree protette (presentata alle Camere nel luglio 2009[48]) si legge, tra l’altro, che rispetto al V ed ultimo aggiornamento pubblicato nel 2003, in seguito ad ulteriori costituzioni di parchi e riserve intervenute successivamente, la superficie protetta del territorio nazionale è salita al 10,6% dell’intero territorio: “il numero delle aree protette è di 875, per un totale di circa 3,2 milioni di ettari a terra e di circa 2,8 milioni di ettari a mare (6 milioni di ettari in totale)”.
Nel VI aggiornamento dell’Elenco ufficiale delle aree protette, di cui al D.M. Ambiente 27 aprile 2010, è stato inserito un nuovo dato di riferimento significativo per le aree marine protette, che indica in 652 i chilometri di costa tutelati.
Nel campo delle energie rinnovabili rilievo centrale ha il "pacchetto clima-energia" adottato dal Consiglio europeo nel 2007. Si tratta di indirizzi e misure volti a combattere i cambiamenti climatici e a promuovere l'uso delle energie rinnovabili, che dovrebbe consentire alla UE, entro il 2020, di ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra (rispetto al 1990), di conseguire un risparmio energetico del 20% e di aumentare al 20% la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale di energia.
Tra le misure, oltre alla decisione n. 406/2009/CE diretta a ridurre i livelli delle emissioni anche tramite una maggiore efficienza energetica, rientra anche la direttiva 2009/28/CE sulla promozione delle energie rinnovabili, che fissa obiettivi vincolanti per ciascuno Stato membro, coerenti con l'obiettivo di una quota complessiva di energie rinnovabili sul consumo energetico finale della UE pari almeno al 20% nel 2020.
Per l’Italia tale quota complessiva di energie rinnovabili al 2020 dovrà essere non inferiore al 17% del consumo complessivo nazionale di energia. In attuazione di tale direttiva, l’Italia ha adottato il Piano di Azione Nazionale (PAN) per le energie rinnovabili dell’Italia, trasmesso alla Commissione europea ai fini della valutazione della sua adeguatezza, che pianifica il progressivo accrescimento di tale quota dal 4,92% del 2005 al 17% del 2020[49].
Per concretizzare le previsioni del sopra menzionato Piano nazionale di azione per le energie rinnovabili, e in attuazione della citata direttiva 2009/28/CE, è stato adottato il decreto legislativo 28/2011 (in base a delega conferita dalla legge 96/2010).
Questo decreto legislativo ha previsto: la razionalizzazione e all’adeguamento dei sistemi di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili (energia elettrica, energia termica, biocarburanti) e di incremento dell’efficienza energetica, così da ridurre i relativi oneri in bolletta a carico dei consumatori; la semplificazione delle procedure autorizzative; lo sviluppo delle reti energetiche necessarie per il pieno sfruttamento delle fonti rinnovabili.
In tema di biocarburanti (e i bioliquidi) è poi intervenuto il decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 55 (di recepimento della direttiva 2009/30/CE) che prevede l'aggiornamento delle specifiche dei combustibili utilizzati nei trasporti (carburanti), fissate ai fini della riduzione delle emissioni inquinanti.
Particolarmente complesso si presenta, in Italia, il quadro degli incentivi alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Tali incentivi sono finanziati dalla collettività tramite le bollette dell’energia elettrica è costituiscono – come ha rilevato l’Autorità per l’energia nella sua audizione in Senato nell’ottobre 2010 – la voce di spesa di gran lunga più rilevante tra quelle finanziate dagli utenti sotto la voce “oneri generali di sistema”. Coesistono, infatti, numerosi meccanismi di incentivazione (alcuni fondati su regimi di mercato e altri su regimi amministrativi) che vanno dalle “tariffe incentivate” in base alla delibera CIP 6/92 al sistema dei “certificati verdi”, dal sistema “feed-in-tariffs” per gli impianti di minor potenza al sistema del “conto energia” utilizzato per gli impianti fotovoltaici[50], fino ai contributi a fondo perduto per talune energie rinnovabili.
Il principale meccanismo attuale di incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è costituito dai certificati verdi. Si tratta di titoli emessi dal Gestore dei servizi energetici (GSE ) e attestanti la produzione di energia da fonti rinnovabili. Sono stati introdotti nell’ordinamento nazionale dall’articolo 11 del decreto legislativo 79/1999 per superare il vecchio criterio di incentivazione noto come CIP 6. La legge 244/2007 (finanziaria 2008) ha delineato, peraltro, una ulteriore disciplina di incentivazione per gli impianti entrati in esercizio dopo il 31 dicembre 2007: il sistema dei certificati verdi è mantenuto per gli impianti di potenza superiore a 1MW, mentre per gli impianti di potenza elettrica non superiore a 1MW si attribuisce il diritto, in alternativa ai certificati verdi, ad una tariffa fissa onnicomprensiva variabile a seconda delle fonte utilizzata.
I certificati verdi possono essere utilizzati per assolvere all’obbligo, posto a carico dei produttori ed importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica, a decorrere dal 2002, una quota minima - crescente negli anni - di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il 1° aprile 1999.
Il decreto legislativo 28/2011 sulle energie rinnovabili ha riformato i meccanismi incentivanti la produzione di elettricità da fonti rinnovabili per gli impianti entrati in esercizio dal 1° gennaio 2013, prevedendo un periodo di transizione dal sistema dei certificati verdi a un nuovo sistema consistente in tariffe fisse per i piccoli impianti (fino a 5 MW) e in aste al ribasso per gli impianti di taglia maggiore. Il GSE ritira annualmente i certificati verdi rilasciati per gli anni dal 2011 al 2015, in eccesso di offerta, ad un prezzo di ritiro pari al 78% del prezzo definito secondo i criteri vigenti. A partire dal 2013 la quota d'obbligo di energia rinnovabile da immettere nel sistema elettrico si riduce linearmente negli anni successivi fino ad annullarsi per l'anno 2015.
Altre misure sulle fonti rinnovabili sono contenute nella legge 99/2009, tra cui si segnala quella che consente ai comuni di destinare aree del proprio patrimonio disponibile alla realizzazione di impianti per l'erogazione in “conto energia” (fotovoltaici) e di servizi di “scambio sul posto” dell'energia elettrica prodotta, da cedere a privati cittadini. La medesima legge contiene anche misure di semplificazione per l’installazione e l’esercizio di impianti di cogenerazione, prevedendo la semplice comunicazione all’autorità competente ai sensi del T.U. in materia edilizia (D.P.R. 380/2001) per le unità di microcogenerazione, fino a 50 kWe, e una denuncia di inizio attività (DIA) per gli impianti di piccola cogenerazione, fino a 1 MWe. Il provvedimento è intervenuto anche in materia di geotermia, con una delega al Governo finalizzata al riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche in modo da garantire un regime concorrenziale per l'utilizzo delle risorse ad alta temperatura e semplificare i procedimenti amministrativi per l'utilizzo delle risorse a bassa e media temperatura. In attuazione di tale delega è stato emanato il decreto legislativo 22/2010.
Infine, ulteriori disposizioni sulla produzione di energia da fonti rinnovabili, con riferimento in particolare alla realizzazione dei relativi impianti o agli incentivi concessi, si trovano nel decreto-legge 105/2010, convertito dalla L. 129/2010, mentre con il DM Sviluppo economico 10 settembre 2010 sono state emanate Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Si segnala anche che nella seduta del 9 marzo 2011 la Commissione Ambiente della Camera ha deliberato lo svolgimento di un'indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili. La Commissione sta svolgendo un ciclo di audizioni[51].
Accanto alla liberalizzazione dei mercati energetici e allo sviluppo delle energie rinnovabili, la UE e i singoli Stati membri si sono mossi anche sul terreno della riduzione dei consumi attraverso il miglioramento della efficienza energetica. Lo strumento incentivante prescelto è stato quello dei "certificati bianchi" o "titoli di Efficienza Energetica".
Questo strumento di mercato che ha preso avvio nel gennaio 2005 per promuovere l'efficienza energetica negli usi finali. In particolare, i certificati bianchi servono per attestare il raggiungimento degli obiettivi di risparmio che le imprese distributrici di energia elettrica e gas devono conseguire, attraverso interventi e progetti per accrescere l'efficienza energetica negli usi finali di energia. La valutazione ed il controllo dei risparmi è affidata all'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) che certifica i risparmi energetici ottenuti e autorizza poi il Gestore del mercato elettrico (GME) ad emettere i "certificati bianchi" in quantità pari ai risparmi certificati, a favore dei distributori, delle società controllate dagli stessi distributori o a favore di società operanti nel settore dei servizi energetici (ESCO). Per dimostrare di aver raggiunto gli obblighi di risparmio energetico e non incorrere in sanzioni dell'Autorità, i distributori devono consegnare annualmente all'Autorità un numero di 'titoli' equivalente all'obiettivo obbligatorio.
L’AEEG ha pubblicato il Quinto Rapporto Annuale sui titoli di efficienza energetica, che rappresenta una sorta di bilancio del primo quinquennio di funzionamento dei certificati bianchi (gennaio 2005-31 maggio 2009) e da cui si evince che il meccanismo per promuovere l'efficienza energetica ha fatto risparmiare oltre 7 miliardi di kilowattora ogni anno, pari al 2% dei consumi elettrici nazionali. Secondo l'Autorità per l'energia, il bilancio del primo quinquennio di attuazione del meccanismo è in attivo anche sotto il profilo costi/benefici. Infatti, a fronte di incentivi per 531 milioni di euro erogati nel periodo 2005-2009 attraverso il contributo tariffario fissato e aggiornato dall'Autorità a valere sulle bollette dei consumatori di elettricità e di gas, è stata evitata l'emissione di 22,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica e sono state risparmiate circa 8,5 milioni di tonnellate equivalenti petrolio (Tep), pari alla produzione annua di una centrale da oltre 800 MW ed ai consumi annui di una città di 2 milioni di abitanti.
Sul piano delle novità legislative, sono state approvate anche negli ultimi anni numerose misure a favore del risparmio e dell’efficienza energetica. In particolare, la legge 99/2009 prevede la predisposizione, entro il 31 dicembre 2009, di un piano straordinario, da trasmettere alla Commissione europea, volto ad accelerare l'attuazione dei programmi per l'efficienza e il risparmio energetico. Il piano - che non risulta ancora predisposto - dovrà contenere misure di coordinamento e armonizzazione delle funzioni e compiti in materia di efficienza energetica tra Stato ed enti territoriali, misure di promozione di nuova edilizia a risparmio energetico e riqualificazione degli edifici esistenti, incentivi per lo sviluppo di sistemi di microcogenerazione, sostegno della domanda di certificati bianchi e certificati verdi, misure di semplificazione amministrativa per lo sviluppo reale del mercato della generazione distribuita, definizione di indirizzi per l’acquisto e l’installazione di prodotti nuovi e per la sostituzione di prodotti, apparecchiature e processi con sistemi ad alta efficienza, misure volte ad agevolare l’accesso delle piccole e medie imprese all’autoproduzione.
Inoltre il Parlamento ha convertito in legge due provvedimenti d’urgenza recanti misure a sostegno del risparmio e dell’efficienza energetica consistenti in detrazioni fiscali. In particolare:
§ il decreto-legge 185/2008, convertito dalla legge 2/2009, è intervenuto sulla disciplina relativa alla detrazione IRPEF del 55% per le spese relative ad interventi di riqualificazione energetica degli edifici, introdotta dalla legge 296/2006 (finanziaria 2007) e prorogata sino a tutto il 2010 dalla legge 244/2007 (finanziaria 2008). Il decreto-legge ha disposto, in particolare, per le spese sostenute a decorrere dal 1° gennaio 2009, che i contribuenti interessati a tali detrazioni inviano all'Agenzia delle entrate apposita comunicazione e che la detrazione dall'imposta lorda deve essere ripartita in cinque rate annuali di pari importo. La legge 220/2010, legge di stabilità 2011, ha poi prorogato sino a tutto il 2011 il beneficio in questione, prevedendo che per le spese sostenute a decorrere dal 1° gennaio 2011 la detrazione deve essere ripartita in dieci rate annuali di pari importo;
§ il decreto-legge 5/2009, convertito dalla legge 33/2009, aveva introdotto un’ulteriore agevolazione fiscale consistente in una detrazione IRPEF del 20% delle spese documentate sostenute entro il 31 dicembre 2009 per l'acquisto di mobili, elettrodomestici di classe energetica non inferiore ad A+, nonché apparecchi televisivi e computer.
Altre disposizioni in materia sono contenute in alcuni provvedimenti di attuazione di direttive comunitarie. Il decreto legislativo 56/2010 ha introdotto modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 115/2008, di attuazione della direttiva 2006/32/CE concernente l’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici. L'intervento normativo è volto a chiarire aspetti che potrebbero costituire un freno allo sviluppo dell’efficienza energetica e ad introdurre ulteriori elementi necessari allo sviluppo e alla promozione dei servizi energetici.
Con il decreto legislativo 15/2011 è stata recepita la direttiva 2009/125/CE sull’elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia. Il decreto legislativo 28/2011, di attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione delle energie rinnovabili, interviene anche sui sistemi di incentivazione dell'efficienza energetica. Si dispone che gli interventi di incremento dell'efficienza energetica (e di produzione di energia termica da fonti rinnovabili) sono incentivati mediante contributi a valere sulle tariffe del gas naturale per gli interventi di piccole dimensioni o, per le altre fattispecie, mediante il rilascio dei certificati bianchi di cui si razionalizza la disciplina. L’articolo 13 di tale decreto legislativo interviene anche sulla certificazione energetica degli edifici, apportando alcune modifiche al D.lgs. 192/2005[52].
Si segnala, infine, che il disegno di legge comunitaria 2011 (A.C. 4623) contiene la nuova direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia, che sostituisce la direttiva 2002/91/CE, abrogata dal 1º febbraio 2012.
Christiana Figueres
Segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC)
Christiana Figueres è stato nominata nuovo Segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) dal segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon il 17 maggio 2010.
La Signora Figueres è stata coinvolta nei negoziati sul cambiamento climatico dal 1995.Era membro del team negoziale del Costa Rica; in seguito ha rappresentato l'America Latina e i Caraibi nel Consiglio esecutivo del Meccanismo per lo sviluppo pulito nel 2007; è stata infine eletta Vice presidente dell'Ufficio di presidenza della Conferenza delle Parti nel periodo 2008-2009.
Nel 1995 ha fondato il Centro per lo sviluppo sostenibile delle Americhe (CSDA), un centro studi non-profit sulla politica dei cambiamenti climatici, che ha diretto fino al 2003. Nel 1994-1996 è stata Direttore del Segretariato Tecnico per l'energia rinnovabile nelle Americhe (Reia).
Ha iniziato la sua carriera come Ministro Consigliere presso l'Ambasciata del Costa Rica a Bonn, nel 1982. Ha servito quindi come Direttore della Cooperazione Internazionale del Ministero della Pianificazione in Costa Rica (1987-1988), ed è stata poi Capo di Gabinetto al Ministero dell'Agricoltura (1988-90).
Ha conseguito un Master in Antropologia presso la London School of Economics e un diploma in Sviluppo Organizzativo presso la Georgetown University. E’ nata a San José, Costa Rica, nel 1956, ed è sposata con due figli.
La cooperazione parlamentare
in ambito ONU
(a cura del Servizio Rapporti
Internazionali)
La cooperazione parlamentare in ambito ONU si è avvalsa, in ripetute occasioni, degli incontri tra gli Organi della Camera ed i massimi rappresentanti dell’Organizzazione.
Il 17 maggio 2011, si è svolto, presso il Senato della Repubblica, un incontro informale degli Uffici di presidenza delle Commissioni Affari esteri di Camera e Senato con il Presidente dell'Assemblea generale dell'ONU, Joseph Deiss.
Il 24 febbraio 2011, il Presidente della XIV Commissione, on. Mario Pescante, ha incontrato Wilfried Lemke, Consigliere speciale per lo sport, lo sviluppo e la pace del Segretario generale delle Nazioni Unite.
Il 27 aprile 2010 l’Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della Commissione Affari Esteri, ha audito in via informale l’Ambasciatore Carlo Trezza, Presidente dell’Advisory Board del Segretario Generale dell’ONU per le questioni del disarmo.
Il 20 aprile 2010, gli Uffici di Presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni Affari esteri di Camera e Senato hanno incontrato il Sottosegretario del Dipartimento del Field Support delle Nazioni Unite, Susana Malcorra.
Il 14 aprile 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha incontrato il Commissario Generale dell'UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi), Filippo Grandi.
Il 25 marzo 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha incontrato l'ex-Direttore Generale dell'AIEA e Presidente della Commissione sulle armi di distruzione di massa, Hans Blix, che ha tenuto alla Camera una Conferenza.
Il 24 marzo 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha ricevuto il Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Maria Costa, Direttore esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) e Direttore generale dell’Ufficio delle Nazioni Unite di Vienna
L'11 marzo 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha ricevuto l'Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Navy Pillay.
Il 4 febbraio 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha incontrato a New York il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-moon. L’incontro si è svolto nell’ambito della visita che il Presidente Fini ha effettuato negli Stati Uniti dal 3 al 5 febbraio 2010.
Il 12 novembre 2009 l'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi della Commissione Affari esteri, ha incontrato l'Amministratore dell'United Nations Development Programme (UNDP), Helen Clark.
Il 22 ottobre 2009 l’allora Vice Direttore Esecutivo del Programma alimentare mondiale, Staffan De Mistura è stato audito presso il Comitato per gli obiettivi di sviluppo del millennio della Commissione Affari Esteri.
Il 24 aprile 2009 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha ricevuto il Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Maria Costa, Direttore esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) e Direttore generale dell’Ufficio delle Nazioni Unite di Vienna.
L'8 aprile 2009 il Vice Presidente della Camera, on. Maurizio Lupi (PDL), ha incontrato il Vice Segretario Generale dell'ONU, Sha Zukang.
Il 2 luglio 2008 il Presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, Srgjan Kerim, in visita ufficiale in Italia, ha incontrato il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, e il giorno successivo, 3 luglio 2008, ha tenuto un'audizione informale dinanzi alle Commissioni riunite Affari Esteri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Per quanto riguarda la XV legislatura si segnalano i seguenti incontri.
Il 22 ottobre 2007, Asha-Rose Migiro, Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite ha effettuato una visita ufficiale in Italia ed ha incontrato alla Camera, il Presidente Fausto Bertinotti, nonché il Presidente della Commissione Affari esteri, Umberto Ranieri e il Presidente dell’Unione interparlamentare, Pier Ferdinando Casini.
Il 18 aprile 2007 il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha effettuato una visita ufficiale in Italia. In tale occasione ha incontrato il Presidente della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti, nonché le Commissioni Affari esteri della Camera e del Senato riunite.
Il 27 febbraio 2007 il Presidente della 61ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, Haya Al Khalifa, ha effettuato una visita ufficiale in Italia. In tale occasione ha incontrato il Presidente della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti, nonché l’Ufficio di Presidenza della Commissione Affari esteri della Camera, integrato dai rappresentanti dei Gruppi. Quindi, la Presidente Al Khalifa ha incontrato il Presidente dell’Unione interparlamentare, Pier Ferdinando Casini. Nella stessa occasione il Presidente Al Khalifa ha partecipato, presso la Fondazione della Camera dei deputati, ad una conferenza sul tema “Verso una cultura dell’eguaglianza di genere nel XXI secolo”.
L’11 ottobre 2006 gli Uffici di Presidenza, integrati dai rappresentanti dei Gruppi, delle Commissioni Affari costituzionali (I) e Affari esteri (III) della Camera dei deputati, hanno incontrato Doudou Diène, Relatore speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di razzismo, di discriminazione razziale, di xenofobia e relative intolleranze.
Il 12 luglio 2006 il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha incontrato il Presidente della Camera, Fausto Bertinotti, il Presidente dell’Unione interparlamentare Pier Ferdinando Casini e le Commissioni Esteri della Camera e del Senato.
Sempre il 12 luglio 2006 il Presidente della Commissione Affari esteri, Umberto Ranieri, ha incontrato Tom Koenings, Capo della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan.
La partecipazione parlamentare alle conferenze in ambito ONU
La delegazione
parlamentare italiana alle sessioni
dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite
L'Assemblea generale delle Nazioni Unite è la principale sede di decisione e l'organo più rappresentativo, composto da rappresentanti di tutti gli Stati membri, che dispongono di un voto ciascuno. La sessione annuale ordinaria dell'Assemblea inizia il terzo martedì di settembre e prosegue di regola fino alla terza settimana di dicembre e vi partecipano, invitate, in qualità di osservatori, delegazioni parlamentari degli Stati membri.
Nelle precedenti legislature, una delegazione parlamentare di componenti della Commissione Affari esteri si è recata a New York per ciascuna delle sessioni annuali, in concomitanza con la settimana ministeriale
Nella XVI legislatura la partecipazione alla sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è stata la seguente:
· 66ma sessione, dal 19 al 21 settembre 2011, cui hanno partecipato, per la Camera dei Deputati, gli onn. Riccardo Migliori (PdL) e Lapo Pistelli (PD).
· 65ma sessione, dal 20 al 25 settembre 2010, cui hanno partecipato, per la Camera dei Deputati, gli onn. Michaela Biancofiore (PdL) e Francesco Tempestini (PD).
· 64ma sessione, dal 23 al 26 settembre 2009, cui hanno partecipato, per la Camera dei Deputati, gli onn. Enrico Pianetta (PdL) e Gianni Vernetti (PD);
· 63ma sessione, dal 22 al 26 settembre 2008; per la Camera dei deputati ha preso parte ai lavori l’on. Alessandro Maran (PD),
In concomitanza con la 65ma sessione, si è svolta una Riunione di Alto livello sugli Otto Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite, convocata dal Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki Moon, al fine definire l’agenda della comunità internazionale per il raggiungimento degli otto Obiettivi entro il 2015. Ai lavori ha partecipato, in qualità di osservatore, dal 20 al 22 settembre 2010, una delegazione del Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, composta dal suo Presidente, l’onorevole Enrico Pianetta (PdL), e dall’onorevole Mario Barbi (PD).
* * *
L'agenda delle Nazioni Unite non si esaurisce con l'attività istituzionale dei suoi organi e con le attività poste in essere dalle Agenzie e dagli altri organismi che vi fanno capo, ma, sotto l'egida dell'ONU, vengono organizzati Summit, Conferenze e altre iniziative volte a migliorare le legislazioni mondiali, tramite l'adozione di Convenzioni, e a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle questioni più delicate che l'ONU ha in agenda.
Le Sessioni annuali della Conferenza delle Parti (COP) relativa alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici (UNFCCC)
Il Parlamento italiano ha attribuito particolare rilevanza alle tematiche a carattere ambientale cui fanno riferimento diverse conferenze relative alla applicazione delle Convenzioni Quadro delle Nazioni Unite. Dalla XIV legislatura delegazioni della Camera dei Deputati partecipano regolarmente all’High Level Segment delle Sessioni annuali della Conferenza delle Parti (COP) relativa alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici (UNFCCC), che ha il compito di promuovere e controllare periodicamente l'applicazione della relativa Convenzione.
Nella XVI legislatura, la partecipazione alla Conferenza della Parti sulla UNFCCC è stata la seguente[53]:
· XVI COP, Cancun (Messico), 8-10 dicembre 2010, cui hanno partecipato gli onn. Angelo Alessandri (LNP), Alessandro Bratti (PD) e Mauro Pili (PdL), presidente e membri della Commissione Ambiente.
· XV COP, Copenaghen, 16-18 dicembre 2009, cui hanno partecipato per la Camera dei deputati gli onn. Angelo Alessandri (Lnp), Salvatore Margiotta (PD), Laura Froner (PD) e Agostino Ghiglia (Pdl).
· XIV COP, Poznan (Polonia), 11-12 dicembre 2008, cui hanno partecipato per la Camera dei deputati gli onn. Alessandro Bratti (PD) e Vincenzo Gibiino (PdL).
La XVII COP avrà luogo a Durban, in Sudafrica, dal 28 novembre al 9 dicembre 2011.
Le riunioni annuali della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (CSW)
Tradizionalmente la Camera dei deputati partecipa alle riunioni della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (CSW) ed all'evento parlamentare che viene organizzato congiuntamente dalla Divisione delle Nazioni Unite per l'avanzamento delle donne e dall'Unione interparlamentare nel corso della riunione della Commissione.
Nella XVI legislatura il Parlamento italiano ha partecipato con proprie delegazioni alle seguenti riunioni:
La 53ma sessione della Commissione sullo status delle donne si è svolta a New York dal 2 al 13 marzo 2009. La tavola rotonda si è tenuta il 2 marzo ed ha avuto come tema "Un'equa condivisione delle responsabilità tra donne e uomini compresa l'assistenza ai malati di HIV/AIDS". I lavori dell'Unione interparlamentare si sono tenuti il 4 marzo 2009. Hanno partecipato ai lavori della Sessione le onn. Paola Pelino (PDL) e Emilia Grazia De Biasi (PD) e le senatrici Ida Maria Germontani (PdL) e Vittoria Franco (PD).
La 54ma sessione della Commissione sullo status delle donne (CSW) ha avuto luogo a New York dal 1° al 12 marzo 2010. L'evento parlamentare, organizzato congiuntamente dalle Nazioni Unite e dall'Unione interparlamentare, si è svolto il 2 marzo 2010 ed è stato dedicato al tema "Il ruolo dei Parlamenti nel rafforzare i diritti delle donne 15 anni dopo Pechino". Hanno partecipato ai lavori della Sessione le onn. Lorena Milanato (PdL - Presidente del Comitato per la pari opportunità), Emilia Grazia De Biasi (PD - membro del Comitato per le pari opportunità) e la sen. Anna Maria Serafini (PD - Vice Presidente della Commissione per l'Infanzia del Senato).
La 55ma sessione della Commissione sullo status delle donne (CSW) ha avuto luogo dal 22 febbraio al 4 marzo 2011. L'evento parlamentare, organizzato congiuntamente da ONU e UIP, si è svolto il 23 febbraio ed è stato dedicato al tema "Il ruolo dei parlamenti nel promuovere l'accesso e la partecipazione delle donne e delle ragazze all'istruzione, alla formazione, alla scienza e alla tecnologia". Inoltre, il 25 febbraio si sono tenuti due eventi sulla salute delle madri e dei bambini. In occasione della 55masessione è stato inaugurato l'UNWOMEN. Le onn. Lorena Milanato (PdL) e Sesa Amici (PD), designate a partecipare, non hanno potuto prendere parte alla missione per sopraggiunti impegni legati ai lavori dell'Aula.
La prossima sessione, la 56 ma, avrà luogo dal 27 febbraio al 9 marzo 2012.
REPUBBLICA SUDAFRICANA
novembre 2011
STRUTTURA ISTITUZIONALE E POPOLAZIONE
Superficie |
1.221.038 Kmq |
Capitale |
Pretoria (amministrativa); Cape Town (legislativa); Bloemfontein (giudiziaria) |
Altre principali città |
Johannesburg; Durban |
Forma di Stato |
Repubblica Federale (Governo nazionale e 9 governi provinciali) |
Forma di Governo
|
Repubblica Presidenziale: il Presidente, eletto dal Parlamento, è Capo di Stato e di Governo e da lui dipendono i Ministri. Il Parlamento può sfiduciarli mediante la mozione di “no confidence.” |
Capo dello Stato e del Governo |
Jacob ZUMA (dal 9 maggio 2009) |
Ministro degli Esteri |
Signora Maite NKOANE-MASHABANE |
Sistema legislativo |
Bicamerale, il Parlamento è costituito dalla National Assembly e dal National Council of Provinces |
Sistema legale |
Basato sul diritto romano germanico e sulla common law; ha accettato con riserva la giurisdizione obbligatoria della CIG. |
Suffragio |
Universale dal compimento del 18° anno di età. |
Partecipazione a Organizzazioni Internazionali |
ACP, AfDB, AU, BIS, CCC, ECA, FAO, G-24, G-77, IAEA, IBRD, ICAO, ICC, ICFTU, ICRM, IDA, IFAD, IFC, IFRCS, IHO, ILO, IMF, IMO, Interpol, IOC, IOM, ISO, ITU, MONUC, NAM, NSG, OPCW, PCA, SACU, SADC, UN, UNCTAD, UNESCO, UNHCR, UNIDO, UNITAR, UNMEE, UPU, WCL, WFTU, WHO, WIPO, WMO, WTO, ZC |
Ambasciata |
Pretoria – Ambasciatore Vincenzo SCHIOPPA |
Consolato Generale |
Johannesburg – Console Generale Enrico DE AGOSTINI |
Consolato |
Cape Town – Console Edoardo Maria VITALI |
Vice Consolato Onorario |
Port Elizabeth – Agente Consolare Onorario Loredana CIVICO LOYSON |
Popolazione |
49.991.300 (stime 2010) |
Tasso di crescita |
1,06% (stime 2010) |
Aspettativa di vita alla nascita |
Uomini (53,3) - donne (55,2) (stime per il 2010) |
Gruppi etnici |
Neri 79,4%, bianchi 9,2 %, coloured 8,8 %, Indiani 2,6% |
Religioni |
Cristiani 68%, Musulmani 2%, Hindu 1,5%, credi indigeni animisti 28,5% (stime per il 2010). |
Lingue |
11 lingue ufficiali: Afrikaans, Inglese, Ndebele, Pedi, Sotho, Swazi, Tsonga, Tswana, Venda, Xhosa, Zulu. |
Partiti politici principali |
African National Congress – ANC (Jacob ZUMA); Democratic Alliance – DA (Helen ZILLE); Congress of the People – COPE (Mosiuoa LEKOTA); Inkatha Freedom Party – IFP (Mangosuthu BUTHELEZI) |
Gruppi politici di pressione |
Congress of South African Trade Unions – COSATU; South African Communist Party – SACP (COSATU e SACP sono formalmente alleate dell’ANC); South African National Civics Organization – SANCO |
La colonizzazione europea del Sud Africa risale al XVII secolo, quando nel 1652 l’olandese J. Van Reibeek fondò la futura Città del Capo. I coloni, detti boeri (“contadino” in olandese), diedero vita a una comunità attiva e prospera, libera da legami con la madrepatria e fondata su agricoltura ed allevamento. Alla fine del XVIII secolo la Gran Bretagna occupò la Colonia del Capo, spingendo i boeri verso nord, dove fondarono le Repubbliche di Orange e Transvaal. Gli interessi contrapposti del colonialismo minerario-commerciale inglese e del tradizionalismo agro-pastorale boero sfociarono nella guerra anglo-boera (1899-1902). Nel 1910 Londra accordò al Paese lo status di Dominion, riconoscendo pari dignità a inglesi e boeri, e nel 1931 il Sud Africa ottenne la piena indipendenza. Durante la seconda guerra mondiale, il Sud Africa si schierò a fianco degli anglo-americani e lo sforzo bellico contribuì ad imprimere un formidabile slancio all’economia.
Nella prima metà del ‘900, il Governo centrale si affidò ad una politica segregazionista per controllare la maggioranza di colore, attraverso la Native Land Law del 1913 che espulse la popolazione nera dal 90% circa delle terre del Paese. Tale politica, funzionale agli interessi della grande industria e del settore minerario allora in forte espansione, portò alla nascita di un nuovo proletariato nero, situato nelle aree urbane. Onde rafforzare il controllo sulla popolazione di colore, fra 1948 e 1954, nacque il regime dell’apartheid, strutturato su una legislazione che discriminava a seconda dell’appartenenza razziale. Le vecchie riserve vennero tramutate in “Bantustan” (sorta di stati, formalmente indipendenti, in cui fu trasferita la popolazione di colore), si intensificò la repressione e furono soppressi i principali partiti neri, in primo luogo l’African National Congress (ANC), fondato nel 1912, ed ogni movimento o associazione di stampo marxista.
Di pari passo si intensificò l’azione di protesta della popolazione nera guidata dall’ANC e da leader come Nelson Mandela (arrestato nel 1963), per mezzo di scioperi, boicottaggi, manifestazioni di protesta e anche la creazione dell’Umkhonto we Size- MK (“lancia della nazione”), il movimento armato dell’ANC. Intorno alla metà degli anni ’70 gli scioperi e le manifestazioni si intensificarono, in concomitanza con la crisi economica e le forti pressioni della Comunità internazionale (l’Assemblea Generale dell’ONU condannò come crimine internazionale l’apartheid e raccomandò ai suoi membri di interrompere le relazioni con Pretoria). Anche la situazione regionale, con l’indipendenza di Angola e Mozambico, in cui erano giunti al potere Governi marxisti, rappresentava una minaccia per le autorità sudafricane.
La reazione di Pretoria consistette nell’elaborazione di una serie di politiche che alternavano la mano forte a riforme e concessioni. Internamente, le riforme si incentravano su una serie di misure volte a catturare l’adesione al sistema dei ceti più garantiti, ossia i neri urbani con impieghi da difendere. La riforma sindacale permise nella seconda metà degli anni ’70 la formazione di sindacati che, contro le intenzioni del governo, divennero rapidamente centri di aggregazione contro la legislazione di apartheid. Sul fronte regionale, l’esercito sudafricano fu impegnato contro il nuovo regime angolano, mentre al Mozambico venne riservata una politica di destabilizzazione per mezzo dell’appoggio alla dissidenza della RENAMO. Agli altri paesi della regione fu offerta l’alleanza in una costellazione di Stati dipendenti dalla potenza sudafricana in cambio di vantaggi economici. Questi, con l’eccezione del Malawi, scelsero però nel 1980 il coordinamento economico in seno all’organizzazione regionale SADC, isolando ulteriormente Pretoria.
Intorno alla seconda metà degli anni ’80 la forte crisi del sistema unita alla fine della guerra fredda spinse il Presidente Botha a rassegnare le dimissioni. Egli fu sostituito da F. W. de Klerk, appoggiato dai settori più avanzati del Partito nazionale e dagli ambienti economici più influenti. All’inizio del 1990 furono legalizzati i movimenti politici anti-apartheid, in primis l’ANC, e liberati i principali prigionieri politici, tra cui Nelson Mandela. Partirono così negoziati che portarono, dopo intense e difficili trattative, alle elezioni per un’Assemblea costituente ed un nuovo Parlamento. Le elezioni, che si tennero nell’aprile 1994, furono vinte da Mandela che, in un sistema di power sharing per cui de Klerk ottenne la vicepresidenza, resse il potere fino al 1999, guidando il Paese nei primi difficili anni di transizione. Gli successe Thabo Mbeki, in carica fino al 2008.
Il principale problema che il Sud Africa deve affrontare è costituito dall’integrazione economica e sociale tra le sue popolazioni: africana (39.6 milioni), bianca (4,5 milioni), meticcia (4,4 milioni) e asiatica (1.2 milioni). La stessa maggioranza nera è ulteriormente divisa secondo linee etniche (in particolare, Zulu e Xhosa) e tali fratture si riflettono anche nelle appartenenze politiche e nel voto.
Giunto a metà del suo mandato, il Presidente Jacob Gedleyihlekisa Zuma – eletto il 6 maggio 2009[54] – appare oggi ragionevolmente convinto di potersi confermare alla guida dell’African National Congress (ANC), il cui Congresso Generale è previsto per dicembre 2012. Questa circostanza equivarrebbe ad un’investitura a candidarsi alle elezioni del 2014 per un secondo mandato presidenziale. Tuttavia, non mancano nella figura politica dell’attuale Presidente elementi che potrebbero comprometterne le ambizioni per il futuro.
I primi due anni della Presidenza Zuma sono stati caratterizzati dal tentativo di differenziarsi dallo stile di governo del predecessore Mbeki. Ciò ha comportato anzitutto un ridimensionamento dell’importanza assegnata alla politica estera (la stessa scelta di una figura non di primissimo piano come la Signora Nkoana-Mashabane per il posto di Ministro degli Esteri ne è un chiaro sintomo) rispetto ai problemi interni del Paese e un approccio più concreto e pragmatico al problema della carenza dei servizi essenziali per la popolazione. I cinque obiettivi prioritari identificati da Zuma per il suo Governo sono: impiego, istruzione, sanità, sviluppo rurale e lotta alla criminalità.
La maggioranza di Governo pare tutt’altro che unita e coesa. Da un lato, personaggi di primissimo piano come il Capo della Commissione Nazionale di Pianificazione, Trevor Manuel, e l’ex Governatore della Banca Centrale, Tito Mboweni, continuano a presentarsi come i custodi di una linea di politica economica ortodossa e sensibile alle esigenze di mercato; dall’altro, la Lega Giovanile dell’ANC (ANCYL) ed i suoi alleati (Partito Comunista, SACP, e COSATU) premono per rendere prioritaria una riduzione delle enormi sperequazioni che continuano a caratterizzare la distribuzione della ricchezza nazionale. A ciò si sono aggiunti gli scioperi del 2010 nei settori sanitario e dell’educazione, dimostrazioni in alcune province contro le autorità locali, ripetute denunce di casi di corruzione nella pubblica amministrazione. In questa situazione di forte dialettica politica e di fermenti sociali, Zuma si è dimostrato distaccato, quasi a voler assumere una posizione di arbitro neutrale. Tale atteggiamento, però, ha alimentato le contestazioni da tutte le forze che ne avevano appoggiato la candidatura, senza contribuire a conquistare il sostegno dei moderati.
Per la prima volta nella storia del Sud Africa democratico, è stata presentata nel 2010 una mozione di sfiducia nei confronti del Capo dello Stato da parte delle opposizioni. Tale episodio, nonostante la maggioranza abbia riconfermato la fiducia, è significativo per il tentativo dei partiti di opposizione di cavalcare l’onda dello scontento popolare nei confronti del Presidente. Il 31 ottobre 2010 Zuma ha proceduto ad un rimpasto governativo, rimuovendo sette Ministri, ufficialmente a causa di “poor performance”. Il rimpasto è parso dettato da motivi riconducibili all’allontanamento di persone “compromesse” agli occhi dell’opinione pubblica e alla ricerca di equilibri interni al Governo, in vista del Congresso Generale dell’ANC. Contestata è stata poi la decisione di Zuma di nominare, evitando le abituali consultazioni politiche, il giudice Mogoeng quale Presidente della Corte Costituzionale (settembre 2011), giudice che non vanta un curriculum di eccellenza. Inoltre, la tempistica quantomeno sospetta (ottobre 2011) con cui il Presidente ha deciso di autorizzare la pubblicazione del rapporto della Commissione Donen sulle implicazioni del Sud Africa nello scandalo “Oil for Food” - che potrebbe compromettere i suoi principali potenziali rivali nella prossima competizione elettorale, il Vice Presidente Motlanthe e il Ministro per l’Edilizia popolare Sexwale - sembrerebbe tradire un crescente nervosismo di Zuma per il proprio futuro politico. Nell’ottobre 2011 si è avuto un ulteriore rimpasto governativo, accolto favorevolmente da tutte le opposizioni e dal COSATU, con la rimozione dai propri incarichi di due Ministri accusati di corruzione (Trasporti e Cooperative Governance) e del Capo della Polizia.
Le elezioni amministrative del 18 maggio 2011 hanno confermato la maggioranza schiacciante dell’African National Congress (ANC), che con il 61,95% mantiene quasi i due terzi dei suffragi, anche se leggermente in flessione rispetto alle ultime elezioni legislative e provinciali, svoltesi il 22 aprile 2009, in cui l’ANC con il 65.9% dei voti conquistò 264 seggi in Parlamento su 400. L’ANCrappresenta il partito dominante della scena politica sudafricana sin dalle prime elezioni democratiche del 1994. La base elettorale dell’ANC è costantemente aumentata sino alle elezioni del 2004 per poi subire una leggera flessione in occasione delle ultime elezioni (-3.79%). L’ideologia originale dell’ANC, ispirata al socialismo reale, è stata in buona misura abbandonata, a partire dal 1996, in favore di un modello orientato alla costituzione di un “Developmental State” che accoglie i principi del libero mercato pur corretto da propensioni dirigiste. Ciò ha portato il Partito Comunista (SACP) e la Confederazione dei Sindacati (COSATU) ad assumere un atteggiamento sempre più critico nei confronti della politica economica seguita dal Governo, accusata di non fare abbastanza per i ceti poveri, che costituiscono il 50% della popolazione. L’elezione di Jacob Zuma, leader dell’ala riformista dell’ANC, alla Presidenza del partito nel 2007 rappresentò un segnale della volontà di cambiamento da parte della base dell’ANC. Zuma, infatti, si era distinto come duro critico delle politiche di Mbeki (poi dimessosi, il 20 settembre 2008), accusato di non fare abbastanza per combattere la povertà, l’AIDS e i problemi di sicurezza.
Il secondo partito del Paese è il Democratic Alliance (DA), che alle ultime elezioni amministrative ha conquistato il 23,94% dei voti, rispetto al 16.86% delle elezioni legislative del 2009. Il partito è sostenuto dalla popolazione bianca e coloured, si ispira a principi di liberismo puro e critica fortemente l’interventismo dello Stato, in particolare la politica di Black Economic Empowerment. Il DA ha ottenuto una significativa affermazione nel corso di due elezioni locali suppletive svoltesi a fine maggio 2010 nella Provincia di Western Cape, area dove il sostegno a favore del DA è più che raddoppiato (passaggio dal 26,2% del 2006 al 60,3% delle recenti consultazioni). Nel 2007 è stata nominata alla direzione del partito il Sindaco di Città del Capo, Helen Zille, che ha cercato di attirare consensi anche da parte della popolazione di colore indicando quali nuove priorità la garanzia di una migliore istruzione, la lotta all’AIDS ed un maggiore coinvolgimento economico delle masse; la Zille sta ora incrementando la presenza di neri nella leadership del partito al fine di accrescerne la credibilità e attirare nuovi consensi (una giovane di colore, Lindiwe Mazibuko, è stata eletta alla carica di capogruppo del DA ad ottobre 2011).
Il Congress of the People (COPE), formazione politica creata nel dicembre 2008 da fuoriusciti dall’ANC, si era affermato come terzo partito del Paese alle elezioni del 2009 (7.42% dei voti e 30 seggi) e come valida alternativa partitica grazie alle sue posizioni liberiste, analoghe a quelle del DA, e alle dure critiche mosse nei confronti dell’azione di governo dell’ANC (soprattutto nei confronti delle “affermative actions”, di cui il COPE chiede un allargamento a tutte le fasce disagiate della popolazione a prescindere dal colore della pelle). Tuttavia, il COPE è presto entrato in crisi (alle amministrative di maggio 2011 ha ottenuto solo il 2,45% dei suffragi), a causa di diversi fattori, tra cui: la decisione di rifiutare l’offerta di DA di entrare a far parte del governo provinciale del Western Cape; una seria crisi finanziaria; la scarsa incisività di cui ha dato prova in Assemblea Nazionale; le recenti dimissioni di alcune figure di primo piano, lotte intestine di potere. E’ probabile che l’ANC abbia alimentato la crisi, offrendo a diversi membri del COPE la possibilità di rientrare nell’alveo del partito di maggioranza.
Fra le altre forze politiche va citato l’Inkatha Freedom Party (IFP), rappresentante dell’etnia Zulu, quarto partito del Paese (4,55% alle ultime elezioni). Tra i partiti minori che non hanno superato l’1% all’ultima tornata elettorale, si segnalano l’Independent Democrats (ID), lo United Democratic Movement (UDM), il Freedom Front Plus (VF+) e l’African Christian Democratic Party (ACDP). Scomparso invece il New National Party (NNP) di Van Schalkwyk, erede del National Party dei tempi dell’apartheid. A fronte di questo scenario, Patricia de Lille, leader dell’ID, ha proposto di formare un pool di opposizioni, prospettando una possibile alleanza con DA e COPE. L’alleanza con il DA è stata attuata in occasione delle elezioni amministrative del 18 maggio 2011.
Sicuramente il Sud Africa risente ancora del suo tragico passato caratterizzato dai vincoli ideologici, dal deterioramento delle strutture “ereditate dai bianchi”, dal protezionismo economico e da un mercato del lavoro bloccato dalle norme sulla protezione dei lavoratori. Tali tensioni sono riaffiorate in concomitanza con l’assassinio dell’estremista bianco Eugene Terre’Blanche il 3 aprile 2010 e delle crescenti polemiche sulla condotta del leader dell’ANCYL, Julius Malema, il quale ha pubblicamente appoggiato la politica di Mugabe di esproprio delle terre dei bianchi e di nazionalizzazione delle miniere, esaltandola come possibile modello per il Sud Africa. Nel novembre 2011 Malema è stato destituito da leader dell’ANCYL e sospeso per cinque anni dal partito, con l’accusa di creare divisioni all’interno del partito.
Il Sud Africa è il Paese più sviluppato del continente africano(produce il 33% del PIL dell’Africa Sub-sahariana, i tre quarti del PIL dell’area SADC ed è attualmente il 25° Paese per PIL al mondo). Un’“economia in transizione” dal sistema capitalistico avanzato e diversificato, caratterizzata da un elevato sviluppo di industria e terziario (con un settore dei servizi, specie finanziari, altamente sofisticato) che può contare su ricche risorse minerarie e dove trovano spazio anche le PMI.
In Sud Africa operano filiere produttive di rilevanza mondiale (nel settore agroalimentare, finanziario, dell’ingegneria estrattiva e della trasformazione chimica), soprattutto sotto il profilo tecnologico. Il Paese dispone della più importante piattaforma produttiva di tutto il Continente africano nel settore dell’automobile: grandi case automobilistiche straniere producono in Sud Africa modelli destinati all’intero mercato mondiale, compreso quello statunitense.
Tuttavia, il tasso di disoccupazione è molto elevato (24,9% nel 2010):in termini assoluti, i disoccupati sono 4.4 milioni. Il Governo ha predisposto un piano occupazionale finalizzato a ridurre la disoccupazione al 15% entro il 2020, creando 5 milioni di nuovi posti di lavoro (New Growth Pact, v. oltre).
Dopo il rallentamento legato alla crisi internazionale, nel 2010 la ripresa del PIL si è attestata attorno al 2,8%. I settori manifatturiero ed estrattivo sono i principali protagonisti di questa performance, cui si è sommato l’effetto degli ingenti investimenti per i Mondiali di Calcio del 2010. Sebbene le stime prevedano per l’anno in corso una crescita complessiva del PIL al 3,1%, i dati pubblicati recentemente sull’andamento dell’economia sudafricana nel secondo trimestre 2011 non sono affatto incoraggianti: la crescita si è limitata ad un magro 1,3%, il dato più basso degli ultimi due anni, minore anche dell’1,6% atteso dal Governo e già considerato non esaltante.
Mentre in passato il sistema economico del Sud Africa era basato essenzialmente sul binomio miniere-agricoltura, dopo la fine dell’apartheid l’economia del Paese si è andata notevolmente diversificando. Oggi il settore manifatturiero (15% del PIL nel 2010) ed il terziario (circa 70% del PIL) sono diventati i settori più importanti, mentre l’agricoltura contribuisce alla formazione del PIL solo per il 2,5%. Il settore minerario, pur ridimensionato, continua a ricoprire un ruolo importante e i prodotti minerari costituiscono la prima voce delle esportazioni. Particolarmente sviluppato è il settore finanziario.
I punti deboli dell’economia sudafricana sono costituiti da:
- altissimo livello della disoccupazione (v. sopra);
- sopravvalutazione della valuta nazionale, che incide negativamente su alcuni settori dell’economia: minerario, agricolo e manifatturiero;
- scarsa formazione professionale della forza lavoro, causata anche da altissimi abbandoni scolastici: mezzo milione di studenti all’anno non termina la scuola, per un totale di due milioni di persone tra i 15 e i 24 anni che non studiano né lavorano[55]. Il sistema, nonostante gli investimenti cresciuti negli anni è altamente inefficiente: soltanto il 31% delle scuole private sono classificabili come “top-performers” e questa percentuale cala ad un impressionante 1% se si considerano le scuole con una schiacciante maggioranza nera;
- livelli storicamente ridotti del risparmio e degli investimenti;
- arretrata condizione sociale di una parte consistente della popolazione;
- scarsa diversificazione delle esportazioni (costituite principalmente da materie prime);
- influenza negativa esercitata dalla diffusione dell’AIDS;
- inadeguatezza delle infrastrutture per i trasporti e le telecomunicazioni;
- crescente inadeguatezza del sistema energetico, a fronte del notevole aumento della domanda, indotto dalla crescita dell’economia.
Le risorse minerarie ed energetiche
Il Sud Africa possiede un’immensa ricchezza mineraria che incide in modo significativo sulla formazione del PIL (6% circa). Il 13 settembre 2010 il Governo sudafricano ha emesso una nuova normativa sull’industria mineraria, emendando il “Mines Charter” del 2002 con l’obiettivo di attribuire entro il 2014 il 26% della proprietà azionaria delle imprese del settore alle “categorie precedentemente svantaggiate” nel quadro del Black Economic Empowerment (BEE, v. oltre), e fissando al 40% la percentuale di HDSA[56] nelle varie qualifiche imprenditoriali ed impiegatizie, oltre a definire gli obblighi di acquisizione di beni e servizi da imprese certificate BEE.
- Minerali metalliferi: il Sud Africa detiene le maggiori riserve di oro del mondo (circa 36.000 tonnellate, il 35% delle riserve mondiali), tuttavia la sua produzione annua ha perso, dopo oltre un secolo, il primato nella classifica dei paesi produttori, che attualmente appartiene alla Cina. L’area di estrazione più importante è il Rand (Transvaal) in cui sono presenti circa 50 miniere. Il Sud Africa è il primo produttore mondiale di platino (di cui possiede il 55,7% delle riserve mondiali) con una produzione di circa 300.000 kg annui ed è ricco di ferro, manganese, antimonio, argento, vanadio, nichel e rame.
- Minerali non metalliferi: in termini di produzione di diamanti, il Sud Africa è al terzo posto mondiale per valore (1,7 miliardi di dollari annui) ed al quinto per volume (circa 16 milioni di carati di diamanti grezzi, sia ad uso industriale che destinati al settore della gioielleria). L’attività fa capo alla compagnia De Beers che controlla gran parte del commercio mondiale delle pietre. Il Sud Africa produce inoltre amianto, fosfati naturali, mica e zolfo.
- Risorse energetiche: il Sud Africa è il quinto produttore mondiale di carbone (245 milioni di t. annue). La più cospicua area carbonifera si estende dal Natal fino al Transvaal centrale; altre miniere si trovano nello Stato Libero d’Orange. Nel Paese sono presenti giacimenti offshore di petrolio, situati al largo delle coste del Capo, stimati in circa 15 milioni di barili. Il livello di produzione di petrolio è pari a circa 200.000 barili al giorno.
L’azienda elettrica sudafricana Eskom genera circa il 95% dell’elettricità utilizzata in Sud Africa e circa il 45% dell’elettricità viene da questa venduta ai paesi limitrofi (Mozambico, Botswana, Namibia, Swaziland, Lesotho, Zambia e Zimbabwe). La produzione elettrica si avvale, in ordine di importanza, di centrali alimentate a carbone e dell’unica centrale nucleare (impianto di Koeberg). Nel 2009, tuttavia, la produzione di energia (240.300 miliardi di kWh nel 2008) ha visto una flessione a causa della crisi internazionale e dell’aumento delle tariffe, con conseguente riduzione delle esportazioni di energia, ma nel 2010 si è registrata una ripresa stimata attorno al 2,3%. Il Sud Africa si sta inoltre dotando di due nuove centrali a carbone, che saranno fornite di impianti tecnologici per la riduzione delle emissioni (Medupi e Kusile plants).
Nel marzo 2009 l’Autorità per l’energia (NERSA) ha pubblicato un elenco di nuove fonti da energie rinnovabili con relative tariffe che i produttori privati immetteranno nella rete elettrica, con una revisione al ribasso delle Refits (Renewable Energy Fed-In-Tariffs), che variano a seconda delle tecnologie utilizzate (-7,3% per gli impianti solari termici a concentrazione, -41,3% per gli impianti fotovoltaici, etc.). Queste fonti includono l’energia prodotta da biomassa solida, biogas ed energia solare. In occasione del Vertice di Copenhagen (dicembre 2009), il Sud Africa ha annunciato una volontaria limitazione delle proprie emissioni di gas serra, nei termini del 34% entro il 2020 e del 42% entro il 2025.
Alla luce di questi obiettivi, il Governo sudafricano ha varato un nuovo piano di sviluppo energetico (Integrated Resource Plan), in base a cui il 42% di tutti i nuovi impianti che entreranno in funzione da qui al 2030 saranno alimentati da energie rinnovabili (per un totale di 17.800 mw) ed il 23% da energia nucleare (17.800 mw). Sarà inoltre istituito un operatore unico (Independent System and Market Operator) attraverso una graduale separazione del sistema di distribuzione da quello dell’azienda elettrica Eskom.
La prossima Conferenza delle NU sui cambiamenti climatici si terrà a Durban dal 28 novembre al 9 dicembre 2011.
Politica economica
Il principale problema che i Governi post apartheid hanno dovuto affrontare è stato quello dell’accentuato dualismo economico: parte del Sud Africa è moderna e industrializzata ma larghe aree rimangono arretrate e molto povere: benché stia emergendo una borghesia africana, la maggior parte della popolazione di colore continua a vivere in condizioni di estrema povertà, e la minoranza bianca mantiene il controllo sulle maggiori industrie del Paese e sull’80% circa dei terreni agricoli.
Il primo obiettivo dei governi post apartheid è stato di favorire la crescita, perseguito attraverso piani quinquennali di privatizzazioni, di riforma della spesa pubblica e del regime di tassazione (per ridurre le sperequazioni nella distribuzione della ricchezza), con misure per incoraggiare gli investimenti (soprattutto nelle infrastrutture), l’allentamento del controllo sui cambi, l’apertura al commercio internazionale. Il piano d’azione attualmente in vigore (IPAP2) individua tre clusters: nuove aree di intervento (fabbricazione di metalli, energia e ambiente, agricoltura e agro-processing); settori del primo IPAP (automotive, chimica, tessile, silvicoltura e legno, turismo); e settori che richiedono una visione di lungo periodo (energia nucleare, materiali avanzati e aerospazio).
In tale contesto è nato il “Black Economic Empowerment” (BEE): lanciato dall’ANC, prevede una serie di interventi di natura politico-sociale (quote riservate nel pubblico impiego e nelle ditte private, cessione di quote di proprietà, borse di studio) con lo scopo di accelerare la crescita economica della popolazione di colore al fine di inserirla con efficacia nella vita produttiva. La questione forse più delicata nel quadro del BEE riguarda la riforma agraria, che dovrebbe favorire l’aumento dei proprietari terrieri di colore (ancora oggi circa l’82% delle terre coltivabili è in mano alla minoranza bianca). Fino ad ora si è applicato il principio “willing buyer, willing seller”. Il Governo è parso però deluso dei risultati ottenuti (al momento solo il 3% delle tenute agricole è stato redistribuito) ed alcune frange estremiste dell’ANC protestano chiedendo una politica più interventista. Così, sono stati rivisti i criteri per l’assegnazione degli appalti pubblici, accentuando la preferenza accordata alle imprese che abbiano persone di colore nella propria dirigenza. La volontà di Zuma di dare maggiore incisività allo strumento dell’affirmative action viene fortemente contestata dalla popolazione bianca, che la ritiene concausa del brain drain dal Sud Africa.
Peraltro, con la Joint Initiative for Priority Skills Acquisition (JIPSA), sono stati intensificati gli sforzi nell’educazione e nella formazione, anche importando le professionalità richieste dall’estero: il sistema educativo è infatti fortemente inadeguato e non è in grado di formare le risorse umane necessarie alla crescita economica del Paese.
Nel novembre 2010 è stato presentato il New Growth Pact, piano programmatico finalizzato alla creazione di 5 milioni di posti di lavoro entro il 2020 grazie ad una politica monetaria meno restrittiva e a nuovi investimenti nei settori delle infrastrutture, agricolo, minerario, manifatturiero, turistico e nella “green economy” (che, da sola, dovrebbe produrre 300.000 nuovi posti di lavoro). Tale piano segue la decisione della Banca Centrale di abbassare di mezzo punto il tasso di interesse nominale, grazie anche alle performance positive a livello di inflazione.
Infine, sulla scia dell’effetto promozionale dovuto ai mondiali di calcio - grazie a cui il Paese è stato scelto anche per l’organizzazione della Coppa d’Africa 2013 - nel marzo 2011 è stata presentata dal Ministro Van Schalkwyk una Strategia nazionale per il turismo, finalizzata ad una più efficiente gestione del settore e ad una maggiore valorizzazione del Sud Africa come meta turistica. Per raggiungere questo obiettivo, il governo punta sia ad una maggiore diffusione della conoscenza del Paese presso i potenziali visitatori (sia locali che esteri), che ad un miglioramento dei servizi interni, con l’obiettivo di attrarre 15 milioni di visitatori nel 2020, facendo del Sud Africa una delle venti principali destinazioni mondiali e generando un valore di circa 65 milioni di dollari.
Commercio estero e investimenti
L’apertura al commercio internazionale ha rappresentato una delle priorità per il Paese che, in pochi anni, si è pienamente integrato nelle grandi Organizzazioni Internazionali ed ha firmato importanti accordi commerciali, sia bilaterali che regionali. Il Sud Africa ha aperto il proprio mercato nel 1994, attuando un sistematico processo di liberalizzazione commerciale. La struttura delle barriere tariffarie è stata semplificata al fine di adeguarla agli impegni presi in sede WTO, anche se rimane alquanto complessa, con ben nove livelli tariffari, e alcuni settori godono di un alto grado di protezione. In linea generale, si applica un’imposta del 14%.
Il processo di liberalizzazione commerciale e la crescente domanda interna hanno determinato un aumento esponenziale delle importazioni creando un deficit nella bilancia delle partite correnti. Tale segno negativo è però compensato dal saldo positivo nel conto finanziario della bilancia dei pagamenti[57], che consente l’accumulazione di valuta estera da parte della Banca Centrale.
Circa le barriere non tariffarie, ogni anno è pubblicata dal Directorate of Import and Export Council una lista di merci sottoposte a licenza di importazione (motivi sanitari, fitosanitari e strategici). Gli standard industriali e commerciali sono generalmente in linea con quelli internazionali.
La protezione dei diritti di proprietà, inclusi la proprietà intellettuale e le obbligazioni contrattuali, è garantita da un buon sistema di tutela giuridica. Il governo ha varato misure per combattere la contraffazione, ma il fenomeno permane di vaste proporzioni.
Il Sudafrica garantisce agli investimenti esteri uguale trattamento rispetto a quelli nazionali. Ciononostante, gli IDE continuano ad essere insufficienti (e in declino) a causa, soprattutto, della scarsa disponibilità di lavoro specializzato ma anche di alcune residuali restrizioni sulla possibilità di ottenere prestiti da banche locali. Alla recente diminuzione di IDE sembrano aver contribuito i provvedimenti legislativi adottati con il BEE, che ha reso il mercato del lavoro piuttosto rigido. Inoltre, la situazione sudafricana è influenzata da variabili extra-economiche negative, quali gli allarmanti livelli di criminalità e la forte diffusione dell’AIDS.
Il programma del Governo per il periodo 2011-2014 prevede investimenti per mille miliardi di Rand (più di 100 miliardi di Euro) da destinare allo sviluppo della rete infrastrutturale sudafricana. Circa la metà di questa somma sarà investita nella riabilitazione della rete stradale e ferroviaria (il settore più trascurato e decaduto delle infrastrutture del Paese), generando 120.000 nuovi posti di lavoro, con finanziamenti provenienti da Francia, Germania, Gran Bretagna, Canada e Corea del Sud.
Ansaldo STS aveva, a suo tempo, un manifestato interesse a partecipare a questo tipo di programmi di riabilitazione infrastrutturale.
Relazioni economiche e commerciali con i principali Paesi partner
I principali mercati di sbocco per il Sud Africa sono la Cina (12,7%), gli Stati Uniti (9,3%), il Giappone (8,1%) e la Germania (6,7%), mentre i principali fornitori sono la Cina (14,8%), la Germania (12,4%), gli USA (7,7%) e l’Arabia Saudita (5,4%).
Le esportazioni del Sud Africa sono rappresentate essenzialmente da metalli e pietre preziose (platino, palladio, rodio e oro), ferro, minerali di ferro e carbon fossile. Le importazioni sono costituite maggiormente da prodotti intermedi e di consumo: oli di petrolio o di minerali, componenti per trattori o autoveicoli, materiale da trasporto, prodotti chimici e manufatti.
A livello regionale il Sud Africa è membro fondatore della Southern African Customs Union (SACU), unione doganale di cui fanno parte anche Lesotho, Swaziland, Botswana e Namibia. Pretoria, data la sua leadership economica (il 68% del PIL dell’area SACU è costituito dal PIL sudafricano), trae i maggiori benefici dall’appartenenza all’organizzazione stessa, che le consente una più incisiva proiezione verso i mercati internazionali. È stato recentemente concluso il negoziato, iniziato nel 2003, per un accordo di libero scambio tra la SACU e l’EFTA.
Nel corso dell’ultimo decennio è notevolmente cresciuta l’espansione economico-commerciale del Sud Africa nel continente africano. Alcune tra le maggiori imprese del Paese, come MNT e Vodacom nel settore delle telecomunicazioni, Portnet in quello delle infrastrutture per i trasporti marittimi, e South African Airways nel trasporto aereo, rappresentano realtà produttive su scala continentale. Ad oggi, il 20% delle esportazioni sudafricane (principalmente beni manufatti ad alto valore aggiunto) sono dirette verso altri paesi africani.
Rapporti con le Istituzioni Finanziarie Internazionali (IFI)
Il Sud Africa è membro del Fondo Monetario Internazionale dal 1945 ed è stato uno dei fondatori dell’International Bank for Reconstruction and Development (IBRD); nel 1957 è divenuto membro dell’International Finance Corporation (IFC); nel 1960 dell’International Development Association (IDA) e nel 1994 del Multilateral Investment Guarantee Agency (MIGA).
Il Sudafrica è uno dei fautori di una riforma delle IFI che tenga in maggior conto la realtà politico-economica mondiale odierna. E’ una linea che Pretoria persegue anche in quanto membro del Gruppo dei 24 sulle questioni monetarie e dello sviluppo.
La Banca Mondiale sostiene sia finanziariamente che tecnicamente vari programmi che riguardano l’assistenza alle fasce povere della popolazione e la lotta all’HIV/AIDS. Il 15 gennaio 2008 il Consiglio Esecutivo della Banca Mondiale ha approvato l’ultima Country Partnership Strategy (CPS), che individua quale principale priorità per il Sud Africa lo sradicamento della povertà urbana e rurale, da perseguirsi prioritariamente attraverso lo sviluppo di iniziative di capacity building nel settore dei servizi pubblici.
Nell’aprile 2010, la Banca Mondiale ha approvato un prestito di 3,75 miliardi USD a favore di Eskom per lo sviluppo della centrale a carbone di Medupi (situata a Lephalale, nella regione nord-orientale del Limpopo). Nonostante l’iniziale opposizione da parte di organizzazioni ambientaliste internazionali, Greenpeace e WWF in primis, il governo sudafricano è riuscito ad ottenere il prestito, considerata l’importanza strategica della centrale che, una volta in funzione, genererà il 12% circa dell’energia necessaria al Paese.
OCSE – Accordo Consensus
L’Arrangement on Guidelines for Officially Supported Export Credits (Accordo OCSE/Consensus) è la cornice regolamentare per i programmi pubblici di credito alle esportazioni con dilazioni di pagamento uguali o superiori ai 2 anni. Il Sud Africa non ne è membro. Tuttavia, nell’ambito del processo di outreach OCSE,[58] il Sud Africa partecipa come osservatore alle riunioni del Gruppo Partecipanti all’Accordo Consensus/OCSE e del Gruppo Crediti all’Esportazione/OCSE. In seno a tali fori, la delegazione sudafricana ha sempre mostrato una buona apertura al dialogo.
Banca Africana di Sviluppo
Il Board della Banca Africana di Sviluppo ha approvato il 18 maggio 2011 il progetto di Kalagadi Industrial and Beneficiation, rendendo disponibile un prestito del valore massimo di 150 milioni di euro in favore della Kalagadi Manganese Pty Ltd per la realizzazione di una nuova miniera di manganese nel nord del paese.
Il 30 maggio 2011 è stato approvato il progetto Eskom Renewable Energy, volto ad assicurare energia al Paese a costi sostenibili (lo staff della Banca ha rassicurato circa le capacità di ripagamento della Eskom, la cui esposizione è assistita da garanzia sovrana).
PRINCIPALI INDICATORI MACROECONOMICI
|
2007 |
2008 |
2009 |
2010 |
PIL |
286.103 |
275.361 |
284.443 |
364.205 |
Variazione percentuale del PIL |
5,6% |
3,6% |
-1,7% |
2,8% |
Reddito pro capite (USD) |
5.760 |
5.860 |
5.760 |
n.d. |
Composizione del PIL |
Industria 31,3% Servizi 65,7% Agricoltura 3,0% |
Industria 32,3% Servizi 64,6% Agricoltura 3.1% |
Industria 31.1% Servizi 66,0% Agricoltura 2,9% |
Industria 30,8% Servizi 66,8% Agricoltura 2,5%. |
Inflazione |
10,8% |
9,2% |
5,7% |
4,9% |
Disoccupazione |
23,3% |
22,9% |
24% |
24,9% |
Riserve escluso oro |
32.943 |
34.069 |
39.675 |
43.829 |
Tasso di cambio (rand/$) |
6,86 |
9,30 |
7,36 |
6,59 |
Bilancia dei pagamenti |
6.800 |
3.200 |
2.100 |
3.300 |
Bilancia partite correnti |
-20.019 |
-20.083 |
-11.327 |
-10.118 |
Bilancia commerciale |
-5.161 |
-4.448 |
533 |
3.838 |
Esportazioni |
76.436 |
86.119 |
66.542 |
85.699 |
Importazioni |
81.596 |
90.567 |
66.008 |
81.862 |
Principali esportazioni |
||||
Principali importazioni |
||||
Principali Paesi fornitori |
||||
Principali Paesi clienti |
||||
Debito estero |
43.610 |
41.943 |
42.102 |
44.769 |
La politica sudafricana si ispira alla “African Renaissance”, dottrina elaborata da Nelson Mandela al vertice dell’Organizzazione dell’Unità Africana di Tunisi nel 1994 e sviluppata dal successore Mbeki. Il primo corollario di tale dottrina è l’importanza data dal Sud Africa alla politica africana, nella convinzione che il miglioramento delle condizioni di vita in tutto il Continente sia fondamentale per la stessa crescita economica sudafricana. In quest’ottica, è stato istituito l’African Renaissance Institute e sono stati organizzati numerosi convegni sul tema.
Secondo il Presidente Zuma, le linee-guida della politica estera sudafricana risalgono alla Freedom Charter, il manifesto redatto nel 1955 dall’ANC. In particolare, il Sud Africa sostiene i principi della pace, dell’uguaglianza, dell’autodeterminazione e sovranità di tutti gli Stati, mentre la politica estera sudafricana si regge su quattro pilastri: continente africano, cooperazione Sud-Sud, collaborazione con i Paesi occidentali, cambiamento del sistema multilaterale.
L’ex-Presidente Mbeki, intendendo coinvolgere in questa azione gli altri leader africani, ottenne dall’UA il mandato di avviare un colloquio con il G8 con il fine di mobilitare le risorse necessarie a promuovere sviluppo e good governance nel continente africano. A seguito di tale iniziativa, alVertice G8 di Genova del 2001, fu varata la New Partnership for Africa’s Development (NePAD), fondata sull’attribuzione della responsabilità (ownership) dello sviluppo del continente ai Paesi africani, con un patto per lo sviluppo dell’Africa fra i leader africani (che si impegnano ad eliminare corruzione e conflittualità) e i membri del G8 (che si impegnano ad aiutare finanziariamente i Paesi africani, a migliorare le condizioni di commercio e a favorire gli investimenti privati).
L’ambizione del Sud Africa a divenire protagonista oltre che nel continente africano nella scena internazionale globale e, in particolare, nello sviluppo della cooperazione Sud/Sud è stata recentemente coronata dall’inclusione nei gruppi G20 e BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa). Inoltre, nel 2003 era stato istituito il Foro di dialogo IBSA (India, Brasile, Sud Africa), il cui ultimo vertice ha avuto luogo in Sud Africa nell’ottobre 2011. In questa occasione, sono stati distribuiti i compiti fra i tre Paesi in settori concreti: al Sud Africa è stato attribuito un ruolo leader nei settori del commercio e delle infrastrutture. Oltre ai temi economico-commerciali, i tre Paesi si stanno coordinando sulla riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, al fine di ottenervi un seggio permanente. In tal senso, il Sud Africa sostiene il G4.
Il Sud Africa è membro non permanente del CdS (eletto con 182 voti su 190) per il biennio 2011-12. Linee guida dell’azione sudafricana in CdS sono: difesa degli interessi africani, collaborazione con i paesi del Sud, partnership con quelli del Nord e rafforzamento del sistema multilaterale. Lo scorso 17 marzo il SA ha votato a favore della risoluzione 1973 che ha autorizzato l’intervento militare in Libia, sollevando numerose critiche interne, legate per lo più alla marginalizzazione del ruolo dell’UA (Zuma è membro del Comitato per la soluzione della crisi libica dell’UA).
Il Sud Africa figura tra i 20 principali contributori di truppe in operazioni di peace-keeping ONU.
Principali partner internazionali
I rapporti con i Paesi europei sono tradizionalmente intensi. In particolare, Gran Bretagna, Germania e Paesi Bassi vantano consistenti rapporti economici con Pretoria. La Germania rappresenta uno dei principali partner economici del Paese e si stanno intensificando i rapporti politici, anche in ragione della candidatura di entrambi i Paesi ad un seggio permanente in CdS. Il Ministro degli Esteri Westerwelle e il Ministro per la Cooperazione allo sviluppo Niebel si sono recati in SA nell’aprile 2010. I rapporti con la Francia, in passato caratterizzati da momenti di tensione (Chirac criticò duramente la mediazione di Mbeki nel conflitto in Costa d’Avorio), sono in fase di rafforzamento e lo stesso Presidente Sarkozy si è recato in visita nel Paese nel 2008. Il Presidente Zuma ha confermato le migliorate relazioni bilaterali con una visita ufficiale a Parigi il 2-3 marzo 2011. Stretti anche i rapporti la Gran Bretagna, con cui Pretoria intrattiene consultazioni politiche regolari (l’ultima a giugno 2011).
Particolarmente intense sono le relazioni economiche con gli Stati Uniti, da cui proviene oltre il 40% degli investimenti esteri in Sud Africa. Washington è anche attiva nel Paese attraverso il “Foro bilaterale di Cooperazione”. Ciononostante Pretoria non esita ad esprimere posizioni critiche nei confronti di Washington, come nel caso del conflitto israelo-palestinese e dell’azione in Iraq, e più recentemente in merito alla crisi in Costa d’Avorio ed all’intervento in Libia. Nell’agosto 2009, la visita del Segretario di Stato era stata percepita come volontà di “resettare” le relazioni bilaterali superando le frizioni registrate durante le amministrazioni Bush e Mbeki. Nel giugno 2011 la First Lady Michelle Obama ha compiuto una visita ufficiale in Sud Africa.
Le relazioni bilaterali con la Cina hanno conosciuto intensi sviluppi negli ultimi anni, tanto che la Cina è divenuta il principale partner commerciale del Sud Africa e grande investitore (nel 2007 vi è stata l’acquisizione del 20% di una delle principali banche sudafricane, la Standard Bank, ad opera della Banca statale cinese, Industrial and Commercial Bank of China). La visita a Pretoria del Presidente Hu nel 2007 si è inserita in un processo diplomatico che, accanto alla promozione economica, è orientato a favorire la creazione di un nuovo baricentro nella politica internazionale che apra maggiori spazi agli interessi dei Paesi emergenti. Tale strategia si è concretizzata nell’ingresso del Sud Africa nel Gruppo dei BRICS a seguito della partecipazione di Zuma al Vertice di Sanya del dicembre 2010. Al tempo stesso Zuma, messe da parte le precedenti accuse sudafricane di “neocolonialismo”, ha inaugurato nell’agosto 2010 una “partnership strategica” con Pechino. Da parte sudafricana, si è insistito sull’importanza del sostegno cinese per una maggiore rappresentatività dei Paesi africani in seno al CdS. Il Presidente Zuma si è recato in Cina nel giugno 2009, ha incontrato a margine del G8 dell’Aquila il Consigliere di Stato cinese, Dai Bingguo, e, al Vertice di Copenhagen del 2009, il Presidente Hu Jintao. Cina e Sud Africa sono entrambi firmatari della Dichiarazione di Jakarta del 2005 sulla New Africa Asia Strategic Partnership (NAASP).
Fra Sud Africa e Giappone esiste una stretta attività di collaborazione, formalizzata nel programma “Partnership between South Africa and Japan for the 21st Century” ed incentrata sui temi dell’ambiente, della pace e della democrazia. Il Giappone è tra i primissimi partner commerciali del Sud Africa e numerose imprese giapponesi vi hanno effettuato importanti investimenti (Toyota ed aziende attive nei settori chimico, metallurgico ed elettronico).
Il dialogo tra Brasile e Sud Africa si è sviluppato nel quadro della South Africa-Brazil Joint Bilateral Commission, che prevede un dialogo politico nei settori di comune interesse, e dell’IBSA. Nell’ottobre 2009 Zuma si è recato in visita in Brasile con una delegazione di oltre 60 imprenditori. Nel 2009 i rispettivi Ministri del Commercio hanno intensificato la cooperazione per risolvere le dispute sul commercio di prodotti agricoli (il Brasile, secondo maggiore esportatore di prodotti agricoli in Sud Africa, incontra problemi per l’export di prodotti bovini e suini).
Più in generale, tutta l’America Latina rappresenta un’area di crescente importanza per il Sud Africa: nel 2000 è stato firmato un Accordo quadro per la creazione di un’area di libero scambio tra Sud Africa e Mercosur; vi è l’intenzione di firmare un accordo analogo tra Mercosur e SACU.
Negli ultimi anni, i rapporti fra Sud Africa e India si sono intensificati grazie alla creazione del Foro di dialogo IBSA ed all’organizzazione di numerose visite di Stato. L’India rappresenta uno dei primi dieci partner commerciali di Pretoria (l’interscambio ha raggiunto nel 2010 il valore di 10 miliardi USD, dovuto principalmente al forte incremento delle esportazioni sudafricane di oro e carbone) e consistenti sono gli investimenti indiani nel Paese. La solidità dei rapporti bilaterali è stata ribadita in occasione della visita in Sud Africa (gennaio 2011) del Ministro indiano dell’Industria e Commercio, che ha inaugurato a Johannesburg la prima branca continentale dell’impresa statale di commodities MMTC Indian Limited. I due Paesi hanno avviato un’iniziativa che mira a trasferire capacità manageriali attraverso programmi di formazione, scambi di esperti e nomina temporanea di funzionari pubblici indiani presso le amministrazioni sudafricane.
Per la Russia, il Sud Africa rappresenta un punto di riferimento fondamentale nel continente africano (il Sud Africa ha fornito il suo appoggio al futuro ingresso della Russia nel WTO). A sua volta, il Sud Africa conta sui buoni rapporti con Mosca per far avanzare l’“agenda Africa” in ambito G8 e perseguire obiettivi coordinati in seno al CdS. Nel settembre 2006 Putin ha compiuto una visita di Stato in Sud Africa nel quadro di un Accordo di amicizia e partenariato strategico. Nel febbraio 2008 il Ministro degli Esteri Zuma si è recato in Russia per presiedere una riunione ministeriale del Comitato Economico ed è stato firmato un Accordo per la collaborazione in campo spaziale.[59] Nell’agosto 2010 Zuma ha incontrato il Presidente Medvedev a Mosca, sottoscrivendo vari accordi tra cui un Memorandum d’Intesa nel campo dell’osservazione a distanza della Terra, un Accordo sull’abolizione dei visti per i passaporti diplomatici e di servizio, e uno sulla cooperazione nel settore agricolo. E’ stato prolungato fino al 2018 il contratto di fornitura di uranio arricchito tra la russa Techsnabexport e la sudafricana Eskom.
La Rivoluzione del 1979 segnò l’interruzione delle relazioni tra Iran e Sud Africa. Il dialogo è ripreso nell’era del dopo apartheid ed oggi l’Iran è uno dei principali partner commerciali del Sud Africa. Sul piano politico vi è un fitto dialogo, tanto che il Sud Africa si è impegnato per favorire una soluzione mediata della “questione nucleare iraniana” nell’ambito dell’AIEA e ha dichiarato di sostenere il diritto dell’Iran all’utilizzo dell’energia nucleare a scopi pacifici. Dal punto di vista delle relazioni economiche e commerciali, la principale voce di importazione dall’Iran è il petrolio.
Si riunisce periodicamente la “Haute Commission Binational de Cooperation” tra Sud Africa e Algeria. Durante la V sessione della Commissione (aprile 2010), cui hanno partecipato i Presidenti Zuma e Bouteflika, sono stati siglati sei accordi in tema di nucleare civile, energia, turismo, sport e sicurezza sociale, e un memorandum di intesa tra Sonatrach e Petroleum South Africa. Si è inoltre parlato di Sahara Occidentale in termini di “questione di decolonizzazione” da risolvere sulla base del diritto all’autodeterminazione esercitato attraverso lo strumento del referendum.
Intensi i rapporti anche con l’Egitto, soprattutto dal punto di vista commerciale (le esportazioni egiziane superano attualmente i 20 milioni USD, mentre le importazioni di prodotti sudafricani hanno raggiunto quota 44 milioni USD nel primo trimestre 2010). Il 19 ottobre 2010 si è tenuto un incontro tra Mubarak e Zuma, in occasione del Forum degli uomini d’affari egiziano-sudafricano, al Cairo. I due leader hanno concordato di accrescere la cooperazione in settori chiave come quelli energetico, industriale, tecnologico, della navigazione e degli investimenti, ambiti contemplati nel Memorandum siglato nel 2008 durante la visita di Mubarak in Sud Africa.
Da segnalare infine l’interesse della Turchia nei confronti del Sud Africa. Il Primo Ministro turco Erdogan ha effettuato ad ottobre 2011 una visita nel Paese, accompagnato dai Ministri del Commercio e dell’Industria e dell'Energia, nonché da una folta delegazione di uomini d'affari. Nel corso dell’incontro è emersa la volontà di rilanciare un partenariato strategico tra i due Paesi, principalmente attraverso un’espansione dell'interscambio commerciale, caduto da un livello di 2,7 miliardi USD nel 2008 a 1,2 miliardi nel 2010.
Situazioni di crisi in Africa
Il Sud Africa è attivo nelle mediazioni in numerose aree di crisi del continente e, in particolare, nei processi di pace in Sudan, Repubblica Democratica del Congo (RDC), Burundi, Somalia e Comore. Pretoria ha inviato truppe per il mantenimento della pace e tecnici per l’addestramento delle forze di polizia in Burundi, Sudan, RDC e, in passato, in Costa d’Avorio. Il Sud Africa è inoltre Presidente del “Post-Conflict Reconstruction Committee” per il Sudan. In tutte le aree citate il Sud Africa assume una posizione volta a favorire il dialogo e l’ownership africana dei processi di pace.
Grandi laghi
Pretoria è presente in RDC attraverso la South African Military Mission to the DRC (SAMM) e sta attualmente riconsiderando il suo livello di partecipazione al Security Sector Reform nel Paese, che include la riforma delle forze armate congolesi. In particolare, Pretoria sottolinea la necessità che la comunità internazionale sostenga il rafforzamento delle istituzioni pubbliche nel Paese e lo sviluppo dell’economia. Per quanto riguarda il Burundi, il Sud Africa ha svolto fino al 2009 il mandato di facilitatore ma, a seguito del ritiro delle forze di peace-keeping dal Paese, il ruolo di Pretoria è divenuto più passivo, subordinando le proprie iniziative alle scelte di UA e SADC.
Darfur
Pretoria ha espresso soddisfazione per l’accettazione e l’istituzione della forza di pace ibrida UN-AU e contrarietà nei confronti di nuove sanzioni, rispetto allo sforzo da compiere invece per facilitare il dialogo politico, incoraggiando gli sviluppi positivi ultimamente registrati. A giudizio dello stesso Ministro degli Esteri sudafricano, l’approccio della comunità internazionale alla crisi deve rimanere incardinato su un triplice fronte: dialogo politico, aiuti umanitari e peace-keeping. Il Sud Africa guarda con speranza ma anche con realismo alla mediazione congiunta UN-UA di Sirte e ha in più occasioni sottolineato la necessità di allargare i negoziati a tutte le parti interessate. Pretoria partecipa con personale di polizia (130 unità) alla missione di peace-keeping UNAMID e con 4 soldati alla missione UNMIS. Nel 2008 il Presidente del Sudan Bashir ha compiuto una visita di Stato a Città del Capo.
Somalia
Anche in Somalia il Sud Africa incoraggia a rilanciare il dialogo politico, che deve essere il più inclusivo possibile. Pretoria non partecipa né contribuisce fattivamente ad AMISOM e ha anzi fatto stato della difficoltà dei paesi africani di contribuire finanziariamente alle missioni di pace. Zuma ha annunciato nel febbraio 2011 che il governo sta effettuando i primi passi per lo stabilimento di formali relazioni diplomatiche con Mogadiscio.
Costa d’Avorio
Nel 2005 la mediazione dell’allora Presidente Mbeki permise di giungere ad un accordo fra le parti in conflitto, firmato a Pretoria. A seguito della grave crisi seguita alle elezioni presidenziali del novembre 2010, Pretoria ha votato afavoredellarisoluzione UN 1975 (2011) ritenuta in linea con laroadmapdelineatadall’UA, in cui si richiedonola fine delle ostilità, la protezione dei civilie l’attuazione da parte degli attori coinvolti della soluzionepolitica sottoscrittadall’UA.
Pretoria ha tradizionalmente mantenuto una politica di “quiet diplomacy” verso Mugabe, facendo prevalere le esigenze di stabilità della regione. Vi sono peraltro in Sud Africa circa 5 milioni di immigrati zimbabwani. Tuttavia Zuma, che come il suo predecessore Mbeki è Mediatore SADC e garante dell’accordo di power-sharing del 15 settembre 2008, ha progressivamente abbandonato la quiet diplomacy a favore di una più radicale presa di posizione nei confronti di Mugabe. Ciò in occasione del vertice SADC del 10 aprile 2011 a Livingstone, dove si è espresso in favore di una mediazione SADC per la formulazione di una roadmap elettorale condivisa dalle Parti.
Contestualmente, nel novembre 2009, è stato stipulato un Accordo bilaterale di promozione e protezione degli investimenti, dal quale è esclusa la spinosa questione della proprietà terriera.
RELAZIONI CON L’UNIONE EUROPEA
L’Unione Europea ha dato un contributo importante alla fine dell’apartheid, adottando sanzioni nei confronti dei Governi sudafricani dell’epoca.
Sul piano economico, l’UE rappresenta il principale partner commerciale ed investitore internazionale in Sud Africa: circa il 30% degli IDE in Sud Africa provengono dall’UE, che assorbe circa il 40% delle importazioni ed è destinataria del 30% delle esportazioni sudafricane.
Il quadro di riferimento delle relazioni commerciali fra UE e Sud Africa è costituito dall’EU-South Africa Trade, Development and Cooperation Agreement (TDCA), firmato a Pretoria l’11 ottobre 1999 ed entrato in vigore il 1° maggio 2004. L’Accordo prevede, al termine di un periodo di transizione di 10-12 anni, la creazione di un’area di libero scambio che coprirà il 90% circa del commercio tra le due Parti e che sarà diretta a promuovere l’integrazione economica fra i Paesi dell’Africa australe. Le disposizioni in materia di regole di origine consentiranno di estendere le agevolazioni commerciali previste per il Sud Africa ai prodotti dei Paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico) sottoposti a lavorazione in quel Paese. L’Accordo istituisce inoltre un dialogo politico regolare, prevede la cooperazione tra l’UE e il Sud Africa in una vasta gamma di settori (commercio, economia, finanza e assistenza tecnica) e disciplina l’assistenza allo sviluppo.
Nel settembre 2009 è stata firmata a Kleinmond la revisione dell’Accordo con modifiche e integrazioni in materia di dialogo politico, tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni, cooperazione allo sviluppo e obiettivi del millennio, energia, trasporti, scienza e tecnologia, cultura, lotta alle droghe, alle armi di distruzione di massa, al terrorismo e al crimine organizzato, immigrazione, tribunale penale internazionale. La revisione non riguarda la sezione relativa agli scambi e le questioni commerciali, che sono oggetto dei negoziati sull’Economic Partnership Agreement (EPA) tra UE e paesi dell’Africa australe (SADC).
Non è ancora stato possibile concludere un EPA definitivo con l’area dell’Africa australe, mentre si è proceduto a firmare alcuni EPA provvisori con i singoli Paesi della regione. I negoziati sono stati frenati dalle accuse di neocolonialismo economico mosse dai Paesi africani, secondo cui l’apertura dei mercati ACP alle merci europee ne condannerebbe economia e sviluppo. Tali critiche sono state veicolate dal Sud Africa, accusato da molti di voler boicottare il negoziato EPA: Pretoria, i cui rapporti commerciali con l’UE sono già garantiti dal TDCA, non avrebbe interesse alla conclusione di un tale Accordo commerciale; anzi, il Sud Africa, principale attore dell’area, teme che l’apertura dei Paesi della regione all’UE possa compromettere tale posizione privilegiata. Durante il 4° Summit UE-SA (v. sotto) le parti si sono impegnate ad una maggiore flessibilità circa la fissazione di tariffe commerciali che da un lato consentano un maggiore accesso delle imprese sudafricane al mercato europeo, salvaguardando dall’altro alcuni punti fermi per l’UE quali, ad esempio, la tutela del principio delle denominazioni di origine controllata.
Altro motivo di frizione con l’UE è costituito dalle diverse posizioni in merito al Kimberley Process (accordo di certificazione volto a garantire che i profitti ricavati dal commercio di diamanti non siano usati per finanziare guerre civili), dal momento che Pretoria non fa segreto di voler a continuare ad importare diamanti dallo Zimbabwe. In tal modo Pretoria mette a repentaglio non soltanto il Processo medesimo ma anche le proprie esportazioni, qualora venisse confermato che esse includono pietre provenienti dal Paese vicino.
Per quanto concerne la cooperazione allo sviluppo, l’UE si colloca al primo posto tra i Paesi donatori e nella scorsa decade ha finanziato programmi di sostegno pari ad una media annuale di 125 milioni di euro. Per il periodo 2007/2013 l’UE ha varato un piano di cooperazione del valore complessivo di 970 milioni di euro destinati a sostenere i programmi sudafricani per la lotta alla povertà e a cui vanno aggiunti prestiti addizionali da parte della Banca Europea degli Investimenti.
Nel 2010, in occasione del 3° Summit UE - Sud Africa, è stato siglato un programma di sostegno alla politica di educazione primaria e sono state discusse questioni importanti quali la protezione dei marchi europei e l’indicazione geografica protetta per i prodotti alimentari. Nel corso del 4° Summit (Kruger Park, 13-16 settembre 2011), tra le altre cose, è stato formalizzato l’inizio di un dialogo sui diritti umani fra UE e Sud-Africa.
Principali obiettivi ed interessi italiani
Il Sud Africa costituisce un interlocutore di primo piano per il nostro Paese, non solo relativamente ai temi africani di nostro interesse ma anche ai grandi temi della politica internazionale, in quanto è ilPaese di maggior peso dell’Africa Sub-sahariana, con un’economia di dimensioni notevoli (è il 25° PIL del mondo) ed un sistema politico democratico evoluto e stabile. La sua politica estera ha respiro globale e condivide con i Paesi europei i valori di democrazia, pace, rispetto dei diritti umani, sviluppo umano e lotta alla povertà.
Obiettivo prioritario dell’Italia è di intensificare le relazioni bilaterali con il Sud Africa a tutti livelli, a cominciare da quelli politico ed economico per passare a quelli culturale e scientifico, nell’intento di dar luogo ad un partenariato strategico di largo respiro.
Relazioni politiche ed incontri bilaterali
L’Italia ha favorito la fine dell’apartheid e l’avvio del processo di democratizzazione nel Paese: all’energica azione di pressione esercitata, di concerto con i partner comunitari, sui Governi segregazionisti è poi seguita la graduale abrogazione delle sanzioni.
Il consolidamento dei rapporti politici è stato favorito dalla firma (23 gennaio 2003) del Memorandum d’Intesa per consultazioni politiche periodiche su temi bilaterali ed internazionali di reciproco interesse e forme di collaborazione e consultazione in seno agli Organismi multilaterali.
Numerose visite ufficiali hanno contribuito a rafforzare le relazioni con Pretoria:
· Marzo 2002: visita di Stato del Presidente della Repubblica Ciampi in Sud Africa (prima visita di un Capo di Stato italiano nel Paese).
· Giugno 2002: visita del Presidente Mbeki a Roma per il vertice FAO e incontro con il Presidente del Consiglio Berlusconi.
· Novembre 2004: visita del Vice Presidente Zuma in Italia e incontro con il Ministro degli Esteri Fini.
· Maggio 2005: visita di lavoro del Presidente Mbeki a Roma e incontri con il Presidente Ciampi e con il Presidente del Consiglio Berlusconi.
· Novembre 2005: visita del Ministro degli Affari Esteri, Signora Dlamini Zuma e incontro con il Ministro degli Esteri Fini.
· Marzo 2006: visita di Stato in Italia del Presidente Thabo Mbeki accompagnato da numerosi imprenditori (colloqui con il Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Sindaco di Roma, esponenti dell’opposizione, simposio imprenditoriale presso Confindustria).
· Marzo 2007: si sono svolte a Pretoria le consultazioni politiche bilaterali fra il Rappresentante Personale del Presidente del Consiglio per l’Africa, Amb. Sanguini, e il Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri sudafricano, Amb. Ntsaluba.
· Luglio 2007: visita in Sud Africa del Ministro degli Esteri On. Massimo D’Alema, accompagnato da una folta delegazione di imprenditori e dal Ministro del Commercio Internazionale On. Emma Bonino.
· Settembre 2007: visita a Roma del Vice Presidente sudafricano, Signora Mambo-Ngcuka; nello stesso mese il Ministro dell’Università, Mussi, si è recato in Sud Africa.
· Ottobre 2007: missioni in Italia del Ministro dell’Intelligence Kasrils e del Ministro per la Funzione Pubblica e l’Amministrazione Fraser-Moleketi.
· Novembre 2007: Vice Ministro degli Esteri, Danieli, compie una visita in Sud Africa e il Ministro dell’Agricoltura, Lulama Xingwana, si reca a Roma.
· 16 aprile 2008: incontro fra l’On. Prodi e il Presidente Mbeki a margine della riunione a livello di Capi di Stato e di Governo organizzata presso il CdS dalla Presidenza sudafricana di turno.
· 6 settembre 2008: l’On. Ministro Frattini incontra, a margine del forum economico di Cernobbio, il Ministro degli Esteri sudafricano, Signora Dlamini-Zuma;
· Luglio 2009: Partecipazione del Presidente Zuma al vertice G8 dell’Aquila;
· Agosto-settembre 2009: Visita del Ministro dello Sviluppo Economico, On. Claudio Scajola, in Sud Africa;
· Settembre 2009: Incontro, a margine della 64ª UNGA, fra l’On. Ministro Frattini e il suo omologo sudafricano, Signora Maite Nkoana-Mashabane;
· Ottobre 2010: Incontro a Roma tra il Ministro dell’Interno On. Roberto Maroni e il Ministro dell’Interno sudafricano, Signora Nkosazana Dlamini Zuma.
· Giugno 2011: Incontro a Roma del Ministro dell’Agricoltura, Foreste e Pesca, On. Tina Joemat-Pettersson con l’On. Ministro dell’Agricoltura, Romano.
· Luglio 2011: Incontro a Roma del Ministro dei Trasporti Ndebele con il Ministro Matteoli.
E’ molto intensa anche l’attività svolta da alcune Regioni e Province italiane in Sud Africa. In particolare, vanno segnalate le attività della Regione Lombardia, che ha mantenuto la prima posizione nella graduatoria delle esportazioni delle regioni italiane verso il mercato sudafricano, con il 21,6% del totale (pari a quasi 600 milioni di euro) delle esportazioni italiane verso il Sud Africa, seguita dal Veneto con il 18,7% e dalla Toscana 10,5%. Nel 2009 il Lazio ha fatto registrare un incremento delle proprie vendite verso il Sud Africa, portando la propria incidenza sul totale delle esportazioni italiane al 5,8% rispetto al 3,5% del 2008. Per quanto concerne le importazioni delle Regioni italiane dal Sud Africa, nel 2009 è stato il Veneto la Regione italiana che ha fatto registrare i valori più cospicui, seguito da Puglia, Toscana, Lombardia e Lazio.
Relazioni economiche e commerciali
Rapporti commerciali
Nel 2010 le esportazioni sudafricane verso l’Italia, dopo la flessione registrata negli ultimi tre anni, hanno avuto un incremento del 30,8%, collocando il nostro paese in 15° posizione tra i clienti del Sud Africa e attestandosi all’11° posto tra i paesi fornitori. Sempre nel 2010, il volume dell’interscambio ha registrato 3,3 miliardi di euro con saldo commerciale negativo per l’Italia pari a circa 500.000 euro.
Le nostre esportazioni si compongono soprattutto di oli di petrolio e minerali bituminosi, medicamenti per la medicina umana o veterinaria, macchine ed apparecchi specializzati per industrie specializzate, etc.; mentre le nostre importazioni riguardano soprattutto oro, carbone, ghisa e ferro, argento, minerali di ferro.
Investimenti italiani
Negli ultimi anni l’imprenditoria italiana ha realizzato in Sud Africa numerose iniziative di localizzazione produttiva o di distribuzione per la commercializzazione, in particolare nei settori dell’energia, dei mezzi di trasporto, delle industrie della difesa, del tessile e dell’abbigliamento, ad opera di medie e grandi imprese italiane. Dopo il forte sviluppo registrato alla fine degli anni novanta, la presenza di imprese italiane in Sud Africa è apparsa in diminuzione e solo recentemente sono emersi segnali di un rinnovato interesse, anche da parte di piccole imprese.
Per favorire gli investimenti nel Paese, Italia e Sud Africa hanno firmato un Accordo per evitare le doppie imposizioni (in vigore dal 2 marzo 1999) e un Accordo sulla promozione e protezione degli investimenti (in vigore dal 16 marzo 1999).
L’Accordo sulla promozione e protezione degli investimenti è stato fatto valere dalle Società italiane Marlin Corporation e Red Graniti che hanno presentato un ricorso contro il Governo sudafricano presso il tribunale arbitrale dell’ICSID (International Centre for Settlement of Investment Disputes) di Washington, a seguito dell’entrata in vigore, nel maggio 2004, del Mineral and Petroleum Resources Development Act e del complementare Mines Charter. Nel 2010 si è concluso il contenzioso con il lodo arbitrale emesso dalla Corte permanente di Arbitrato dell’Aja, a danno del Governo sudafricano.
In occasione del G8 ambiente di Siracusa, il 23 aprile 2009, il Ministro dell’Ambiente Prestigiacomo ha firmato con l’omologo sudafricano Van Schalkwyk una Lettera di Intenti sulla Cooperazione Ambientale, allo scopo di creare una “partnership” tecnica bilaterale sul Clean Development Mechanism per la riduzione dei gas serra e la promozione dello sviluppo sostenibile sulla base di quanto previsto dal Protocollo di Kyoto.
Imprese italiane presenti nel Paese
· IVECO-Gruppo FIAT, una delle poche imprese italiane a stabilirsi in questo paese con una visione a lungo periodo trasferendo a Johannesburg la responsabilità dei mercati dell’Africa meridionale (inizio 2008). E’ presente in Sud Africa nel settore auto, con il proprio marchio e con Alfa Romeo, nonché in quello dei veicoli commerciali con IVECO.
· Magneti Marelli ha investito 20 milioni USD in un impianto produttivo di componenti per auto.
· CMC ha aperto una filiale in Sud Africa e si è aggiudicata nel 2008 un appalto di circa 600 milioni di euro per la costruzione della centrale idroelettrica di Ingula.
· Techint Technologies, azienda siderurgica, ha finalizzato l’acquisizione del maggiore fornitore sudafricano di fornaci siderurgiche, la Pyromet.
· Duferco, azienda siderurgica, ha un impianto nel Paese del valore di circa 300 milioni USD, al momento sta però valutando la possibilità di venderlo.
· Carel, si occupa dei controlli elettronici per impianti di condizionamento.
· BLM, produce macchine per la lavorazione dei metalli.
· Bonfiglioli, impresa di riduttori industriali.
· Comau, attiva nel settore della componentistica per auto.
· Pirelli ha creato una società commerciale per la distribuzione di pneumatici.
· Luxottica ha una filiale per la distribuzione e commercializzazione dei propri prodotti.
· Ferrero ha una filiale per la distribuzione e commercializzazione dei propri prodotti.
· MSC occupa il primo posto in Sud Africa fra le imprese nel settore del trasporto marittimo.
· Pegaso Yachting, cantieristica da diporto, costruisce yacht da diporto.
· Filk e Silmar si occupano di catename in oro.
· Consorzio Exportrade di Modena, capofila per industrie emiliane operanti nei settori delle costruzioni, del mobile e del turismo, ha stipulato una convenzione con il Blythedale Coastal Resort Ltd per lo sviluppo immobiliare di un’area di circa 1.300 ettari, 70 km a nord di Durban.
· Parmalat ha rilevato due società sudafricane e ha acquisito la maggioranza delle azioni della sudafricana Bonita.
· Finmeccanica e le sue associate (Agusta, Alenia, Selex, Galileo Avionica, Oto Melara, WASS): con Ansaldo Energia SpA, è in trattative con la filiale sudafricana della franco-belga Suez per la fornitura di due impianti energetici (per un valore di circa 500 milioni di euro). Ansaldo ha firmato nel 2008 un Memorandum of Understanding per la collaborazione nel settore energetico con la Rotek, società controllata della Eskom, monopolista sudafricano del settore.
· Magnetto Automotive S.p.A. di Potenza, si occupa di assemblaggio di componenti metallici.
· Maccaferri SA Ltd., opera nel settore dell’industria (ingegneria, idraulica, energia).
· ENI ha firmato (giugno 2011) un Memorandum of Understanding con PetroSA (Petroleum Oil and Gas Corporation of South Africa) per iniziative di cooperazione legate allo sviluppo di idrocarburi convenzionali e non convenzionali in Sud Africa e in altri Paesi africani.
· MedEnergy Global, attiva nel settore delle energie rinnovabili.
Prospettive future
In Sud Africa vi sono molte imprese italiane attive nel territorio che operano in settori considerati prioritari dal Ministero dell’Industria e il Commercio Estero sudafricano (DTI): l’agro-industria; il settore automobilistico (uno dei settori più dinamici, che potrebbe risultare particolarmente attraente per le imprese italiane che producono componenti per auto); i trasporti marittimi, aerei e ferroviari; il settore minerario, dove la disponibilità di oro e la mancanza di alti livelli di know-how rendono il settore di notevole interesse per l’industria italiana della gioielleria; l’arredamento (Cape Town è stata nominata capitale mondiale del design per il biennio 2014-2015); e, infine, il settore turistico.
In particolare, in base alla Strategia nazionale per il turismo annunciata nel marzo 2011, il Governo sudafricano si ripromette di attrarre 15 milioni di visitatori nel 2020, facendo del Paese una delle 20 principali destinazioni mondiali, generando così introiti per circa 65 miliardi USD e creando 225.000 posti di lavoro.
Al fine di promuovere gli investimenti italiani nel settore delle energie rinnovabili, l’Ambasciata, in collaborazione con l’Ufficio ICE di Johannesburg, ha organizzato nel quadro del “Power and Electricity World Africa” - la più importante conferenza sui temi energetici del continente africano (29-31 marzo 2011) - un evento con la partecipazione di alcuni oratori istituzionali italiani (Confindustria e GSE - Gestore Servizi Energetici). La partecipazione italiana ha permesso di illustrare l’eccellenza raggiunta dagli attori del nostro Paese nelle tecnologie rinnovabili.
Il Consolato Generale sudafricano a Milano si è fatto promotore lo scorso novembre di un roadshow sulle energie rinnovabili sponsorizzato dal Department of Trade and Industry (DTI) e realizzato insieme a Confindustria. Il DTI e Confindustria hanno quindi organizzato una missione imprenditoriale italiana in Sud Africa nel settembre 2011, che ha coinvolto circa 25 imprese con seminari, incontri B2B e “site visits”.
Particolarmente attiva nel settore è Enel Green Power (EGP), che ha formalizzato una joint venture con l’italiana ITALGEST, già presente in Sud Africa, e con altri due partner sudafricani per lo sviluppo di un campo fotovoltaico a Bronkhorspruit, nell’area di Johannesburg. La società italiana Medenergy Global ha invece creato in Sud Africa l’impresa African Rainbow Energy, di cui detiene il 100% ed ha stabilito rapporti di collaborazione con la Cape Town University. L’azienda italiana è interessata a partecipare ad una gara per la realizzazione di un impianto fotovoltaico nella provincia del Nortnern Cape, del valore di circa 100 milioni di euro.
Rapporti bilaterali nel campo dei sistemi e delle industrie per la difesa
Nell’ultimo decennio il Sud Africa ha dato corso ad un rinnovamento pressoché completo dei propri armamenti e delle dotazioni delle proprie forze armate; tenuto anche conto del ruolo crescente che il Sud Africa è chiamato a svolgere per la sicurezza regionale, appaiono dunque incoraggianti le prospettive di un rilancio della presenza su questo mercato delle nostre aziende del settore aerospaziale e dei materiali di difesa, dopo la flessione subita negli ultimi anni.
Tra le principali imprese operanti nel settore degli armamenti vi sono: Finmeccanica, Alenia Aeronautica, Galileo Avionica, Telespazio, Oto Melara, IVECO (autocarri e velivoli blindati), Piaggio (velivoli). In particolare:
· Agusta Westland si è aggiudicata una commessa per la fornitura di 30 elicotteri militari A109 Power all’Aeronautica Militare sudafricana, per un valore di 250 milioni USD, con la possibilità di fornirne altri 10-20 nei prossimi anni; l’azienda italiana è inoltre interessata alla fornitura di 6 elicotteri Super Lynks alla Marina Militare sudafricana.
· Selex Communications, che opera in Sud Africa attraverso la controllata Elmer Communication Systems, ha firmato contratti per la fornitura di apparati avionici per velivoli da trasporto C-130 B e per gli elicotteri dell’Agusta Westland.
· Selex Sistemi Integrati ha effettuato forniture per sistemi di controllo del traffico aereo ed ha un forte interesse a partecipare ad una gara per il rinnovo dell’intero sistema radar dell’aeronautica sudafricana.
· WASS (Whitehead Alenia Sistemi Subacquei S.p.A) ha effettuato forniture di sistemi antisiluro ed ha un accordo con un ente locale di ricerca per future collaborazioni nel Paese in materia di acustica subacquea.
· Beretta, dopo la recente fornitura di 4.000 pistole alla polizia sudafricana, intende partecipare ad una gara per la fornitura all’esercito sudafricano di fucili d’assalto. E’ inoltre interessata a promuovere i propri prodotti per la caccia.
· Fincantieri è interessata a partecipare alle gare per la fornitura di 6 corvette, in vista della quale ha stipulato accordi di collaborazione con due cantieri navali di Durban, e di una nave idrografica da parte della marina militare sudafricana.
· Oto Melara aspira alla vendita di cannoni di 127 mm, che andrebbero a sostituire quelli attualmente a bordo di 4 fregate sudafricane, nonché delle 6 corvette per la cui fornitura è interessata Fincantieri.
· IVECO si è recentemente consorziata con BAE Land Systems per un programma (“Vistula”) che potrebbe comportare l’acquisto per l’esercito sudafricano di 5.000 nuovi camion e per un altro programma (“Sapula”) che prevede la fornitura di 3.000 unità per trasporto truppe corazzato antimine.
Il 10 luglio 1997 è stato firmato a Roma un Accordo di cooperazione nel campo della Difesa e degli equipaggiamenti della Difesa, rinnovato nel 2009. Nell’ambito di tale accordo, sono stati successivamente firmati, a cura di SEGREDIFESA, accordi tecnici nei settori dei Servizi Governativi di Assicurazione della Qualità e C4I3RS (Command, Control, Communication, Computers, Intelligence, Infrastructure, Information, Reconnaissance, Surveillance).
La firma dell’Accordo di cooperazione in materia di polizia (il cui testo è definito da circa due anni) è stata più volte rimandata a causa di sopravvenuti impegni del Ministro dell’Interno Maroni.
Imprese sudafricane in Italia
Consistente è la presenza di imprese sudafricane in Italia impegnate in vari settori economici: De Beers ha aperto a Milano un Ufficio (Diamond Trading Company);SAB Miller South Africa, attiva nel settore delle bevande, ha acquisito il Gruppo Peroni;Sappi Fine Paper South Africa (Pty) Ltd, attiva nel settore della produzione di carta, ha aperto a Milano un Ufficio vendite;Ceres Fruit Juices (Pty) Ltd, attiva nel settore dei succhi di frutta;Dimension Data, società che si occupa di Information Technology;Sasol Pty Ltd, attiva nel settore della chimica e degli idrocarburi;Capespan, attiva nel settore del commercio di frutta;Sun International, attiva nel settore turistico.
SACE
L’atteggiamento assicurativo attualmente in vigore nei confronti del Sud Africa si configura come segue: il Paese è classificato nella 3° categoria di rischio Paese OCSE (su sette). Vi è apertura su tutti i profili di rischio (rischio privato, rischio bancario, rischio sovrano).
Nel giugno 2008 SACE ha aperto un Ufficio a Johannesburg competente per tutta l’Africa Sub-sahariana, che mira allo sviluppo del Piano Africa, iniziativa lanciata d’intesa con il MAE, per favorire una maggiore apertura nei confronti dei paesi dell’Africa Sub-sahariana.
SACE ha concluso un accordo di cooperazione con l’omologa sudafricana (ECIC) per il sostegno ad operazioni di esportazione congiunte di aziende italiane e sudafricane verso Paesi terzi. SACE ha da tempo avviato rapporti molto solidi con la Standard Chartered Bank (SCB), principale istituto di credito nell’area dell’Africa Sub-sahariana e di base in Sud Africa, ed ha manifestato interesse a partecipare all’Agenzia di credito pan-africana ATI.
SIMEST – Fondo di Venture Capital
Il Sud Africa è eleggibile al Fondo Unico di Venture Capital, gestito da SIMEST per conto del Ministero dello Sviluppo Economico. Si tratta di un fondo pubblico finalizzato a supportare gli investimenti delle imprese italiane in aree considerate strategiche per il “Sistema Italia”. Attraverso il Fondo Unico è possibile finanziare l’acquisizione di quote di capitale di rischio di società, partecipate da imprese italiane. L’intervento del Fondo si aggiunge alla normale quota di partecipazione di SIMEST sulla base della l.100/90. Resta fermo l’obbligo a medio termine di riacquistare la quota SIMEST, reintegrando così il Fondo rotativo.
Situazione debitoria nei confronti dell’Italia
Il Sud Africa non ha debiti verso l’Italia.
Relazioni culturali, scientifiche e tecnologiche
Un Accordo bilaterale di cooperazione scientifica e tecnologica è in vigore dal 15 giugno 2000. Il 29 novembre 2010 è stato siglato presso il Ministero della Scienza e della Tecnologia sudafricano il Programma Esecutivo di Cooperazione Scientifica e Tecnologica tra Italia e Sud Africa per il triennio 2011-2013. Sebbene il documento preveda solo 10 progetti di scambio di ricercatori (a fronte dei 25 del precedente Programma), esso rappresenta un salto di qualità rispetto al passato sia grazie al coinvolgimento di grandi Enti di ricerca italiani (INAF, INFN, alcuni istituti del CNR) sia nell’elaborazione di progetti con possibili ricadute economico-industriali per l’Italia. Il nuovo programma apre altresì la cooperazione in aree di tecnologia alta e avanzata quali la radioastronomia, l’ICT e le macchine a luce di sincrotrone.
Relativamente alla cooperazione scientifica va ricordato, inoltre, l’impegno profuso dall’Italia per la creazione del Polo di Città del Capo dell’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB), inaugurato nel settembre 2007 dal Ministro dell’Università Mussi.
Un Accordo di cooperazione nel campo delle arti, della cultura e dello sport è stato firmato il 13 marzo 2002 a Cape Town in occasione della visita del Presidente Ciampi (in vigore dal 2004). E’ in corso un negoziato per concordare il primo protocollo esecutivo.
Cooperazione scientifica
L’Italia è interessata a partecipare alla realizzazione del Progetto Ska (finalizzato alla costruzione del più grande radiotelescopio costituito da 2.400/3.000 parabole, il cui epicentro sarà situato o in Sud Africa o nel deserto dell’Australia Occidentale, il costo complessivo dovrebbe essere compreso fra 1,5 e 2,2 miliardi di euro) e, tramite l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), alle fasi di sviluppo tecnico promosse dalla Commissione Europea nell’ambito del VII Programma Quadro.
Inoltre, è stata avviata una collaborazione fra Italia e Sud Africa per la realizzazione di altri due progetti di carattere scientifico: la realizzazione del primo sincrotrone del continente africano in cooperazione con il Sincrotrone di Trieste e la creazione nel Paese di una rete telematica per la ricerca che colleghi istituzioni scientifiche, università, etc. (progetto GRID Computing).
La collaborazione interuniversitaria tra Università italiane ed Università/Enti di ricerca sudafricani è molto vivace. Attualmente sono in vigore 38 accordi di cooperazione così ripartiti per settore: 13 riguardano le scienze mediche, 11 le scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche, 6 l’ingegneria civile e l’architettura, 6 l’ingegneria industriale e dell’informazione.
Le Università italiane che hanno accordi di collaborazione con Università sudafricane sono:
- Università degli Studi di Bologna (Nelson Mandela Metropolitan University);
- Università degli Studi di Cagliari (University of Cape Town);
- Università Carlo Cattaneo-LIUC (KwaZulu-Natal University);
- Università degli Studi di Ferrara (KwaZulu-Natal University);
- Università degli Studi di Milano (University of Pretoria, University of Stellenbosch);
- Politecnico di Milano (KwaZulu-Natal University, Cape Peninsula University of Technology);
- Università Cattolica del Sacro Cuore (Agricoltural Research Council, South African Medical Research Council, Rhodes University);
- Libera Università “Vita Salute S. Raffaele” Milano (University of Pretoria);
- Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” (University of South Africa);
- Università degli Studi di Padova (University of Stellenbosch);
- Università degli Studi di Palermo (University of Free State);
- Università degli Studi di Pavia (University of Stellenbosch, University of Cape Town);
- Università degli Studi di Perugia (University of Western Cape, University of Pretoria);
- Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (South African Medical Research Council);
- Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” (University of KwaZulu-Natal);
- Università degli Studi Roma Tre (University of KwaZulu-Natal);
- Università degli Studi di Torino (University of Stellenbosch, University of Free State, Rhodes University).
Non sono presenti istituzioni scolastiche italiane.
In seguito al calo degli anni ’90, da qualche anno si registra un ritorno di interesse per le lingue straniere e anche dell’italiano. L’insegnamento della lingua italiana viene impartito presso l’Università di Pretoria (università con insegnamento a distanza che copre tutta l’Africa), dove dall’anno accademico 1996/97 è stato istituito un posto di lettore di nomina ministeriale.
In Sud Africa sono operativi 117 corsi di lingua e cultura italiana di cui 58 presso scuole pubbliche e 59 presso istituzioni locali. Corsi d’italiano si tengono presso l’Università del Witwatersrand di Johannesburg, l’Università di Città del Capo, l’Università del Natal di Durban e la “Westville Boys High School”. Comitati della Dante Alighieri sono presenti a Città del Capo, Durban, Johannesburg e Pietermaritzburg. Sono circa 800 gli iscritti ai corsi di italiano della Dante Alighieri, con un incremento del 50% negli ultimi tre anni.
Principali eventi del 2010
Eventi musicali: “Un concerto fuori dal comune” (2, 6, 7 aprile), serie di concerti del coro sudafricano Akustika, vincitore del concorso corale internazionale Riva del Garda 2010.
Arte: Esposizione della “Collezione Farnesina Design” presso Casa Azzurri (15 giugno-11 luglio), l’area ufficiale di ospitalità della Federazione Italiana Gioco Calcio durante i campionati del mondo di calcio; Convegno “Eco-design e territorio” (17 giugno) presso il Council for Scientific and Industrial Research di Pretoria. Particolarmente apprezzati sono stati gli interventi del curatore della Collezione Farnesina Design, Dott.ssa Renza Fornaroli, del membro del Comitato Scientifico di CDF, Sott. Stefano Salvi, e dei due designer italiani, Gregorio Marrucco e Giorgio Di Tullio.
Comunità italiana, comunità del Paese in Italia e questioni migratorie
Gli italiani residenti in Sud Africa iscritti all’Anagrafe Consolare al 31 dicembre 2010 sono 30.673, così suddivisi per circoscrizione consolare:
- Johannesburg 20.424
- Cape Town 7.993
- Pretoria 3.200
In Sud Africa sono presenti tre Comites: a Johannesburg, Cape Town e Durban. I membri del CGIE che rappresentano la collettività italiana in Sud Africa sono il Sig. Giuseppe Nanna e il Sig. Riccardo Pinna, entrambi residenti a Johannesburg. Le Associazioni italiane, situate in tutti i maggiori centri urbani del Paese, hanno come principale obiettivo di tenere unite le nostre comunità e svolgono un’importante funzione organizzando varie iniziative ed eventi.
La massiccia presenza italiana è legata al fatto che in Sud Africa vi fu il più grande campo di prigionia della II guerra mondiale (Zonderwater), dove furono detenuti circa 80.000 soldati italiani. Circa 20.000 di questi, dopo la fine del conflitto, scelsero di restare nel Paese formando il nucleo dell’attuale comunità, cui si sono aggiunte alcune migliaia di nuovi immigrati negli anni ’60 e ’80.
Mentre l’integrazione della “vecchia” immigrazione di origine italiana risulta molto differenziata a seconda delle fasce d’età (isolati i membri più anziani, “sudafricanizzata” la componente più giovane, al punto da non risultare spesso neppure iscritta alle anagrafi consolari), l’inserimento dei più recenti immigrati italiani nel tessuto socio-economico locale si può definire un fenomeno ormai consolidato. I connazionali sono attivi con successo in molte articolazioni sociali: dal mondo della grande industria a quello del commercio e dell’artigianato, dal mondo culturale a quello delle professioni. Anche grazie a tale presenza, il Made in Italy e in generale lo stile di vita e il patrimonio culturale italiano costituiscono motivo di forte attrazione per la società sudafricana, come testimonia anche il crescente movimento turistico verso l’Italia.
Questioni migratorie
Al 31 gennaio 2010, in Italia risultano presenti, con regolare permesso di soggiorno, 490 cittadini sudafricani.
Cooperazione allo Sviluppo
Nonostante il Sud Africa sia un Paese a medio reddito pro capite, coesistono vaste aree di povertà e sottosviluppo, contrapposte a strutture organizzative di tipo avanzato. La povertà è concentrata tra la popolazione nera. Il superamento delle disuguaglianze è uno dei motivi per i quali il Sud Africa continua ad essere assistito dalla comunità internazionale. In termini percentuali tuttavia, il livello di assistenza non supera lo 0,3% del PIL e l’1,3% delle risorse di bilancio del Paese. Tra gli altri motivi per cui il Sud Africa beneficia dell’aiuto internazionale vanno citate ragioni scientifico-umanitarie, in particolare l’alta incidenza dell’HIV/AIDS nel Paese, dove i sieropositivi, stando alle stime dell’OMS, variano tra il 16 e il 20% della popolazione.
In questo quadro si colloca anche la politica della Cooperazione italiana con il Sud Africa che, nel periodo 1985-2009, ha beneficiato di doni italiani per circa 51 milioni di euro. La strategia di cooperazione italiana, basata sull’Accordo di Cooperazione del 1996, identifica quali settori prioritari la sanità, l’educazione, la promozione della piccola e media impresa ed il settore sociale in genere. Dal punto di vista geografico, l’aiuto italiano è concentrato in una serie di Province, congiuntamente individuate con il Governo locale: Gauteng (regione di Johannesburg e Pretoria), Mpumalanga, Kwazulu-Natal e, con il nuovo progetto sanitario, Eastern Cape.
Nel corso del 2008 sono arrivati a conclusione una serie di progetti del valore di circa 11 milioni di euro, relativi al settore materno infantile e ai sistemi informativi sanitari, sia a livello nazionale che periferico (Kwazulu-Natal, Gauteng, e Mpumalanga), nonché un’azione di supporto alla lotta alle grandi pandemie (a livello nazionale e in Kwazulu-Natal), per complessivi 4,4 milioni di euro, realizzati in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS). In tale ambito vi sono due progetti in corso di attuazione: “Programma di sostegno al Ministero della Sanità del Sud Africa per la realizzazione del programma nazionale di risposta globale all’HIV-AIDS nelle zone di confine tra Sud Africa e Paesi circostanti ed in regioni di sviluppo selezionate” (AID8421), affidato all’IIS e “Assistenza tecnica alla Sanità pubblica nella Provincia di Eastern Cape nel settore della prevenzione e cura delle malattie trasmissibili” (AID 9533) a gestione diretta. Il primo, la principale iniziativa della Cooperazione italiana in Sud Africa, affianca ad una componente di “cooperazione pura” una componente scientifica ed una industriale e, dopo aver stentato nell’avviamento, prosegue oggi con speditezza e grande soddisfazione delle parti coinvolte. Il 19 aprile 2011 è stata inaugurata, con una cerimonia ufficiale, la fase 3 dell’AID8421, ovvero il lancio del trial clinico sudafricano del candidato vaccino TAT di proprietà dell’IIS, che è già in sperimentazione in Italia.
Il 23 novembre 2010 è stato inaugurato il “Mother’s Sleep Over Lodge” all’interno dell’ospedale Albert Luthuli di Durban frutto di un progetto predisposto dall’ONG ISADO (Italian South African Development Organisation) con la collaborazione dell’ex Consolato italiano nella città e due imprese italiane, la società di costruzione Stefanutti e la CMC.
PRINCIPALI ESPORTAZIONI E IMPORTAZIONI ITALIANE (2010) |
|
ESPORTAZIONI |
IMPORTAZIONI |
1. Oli di petrolio e di minerali bituminosi (escl. grezzi); 2. medicamenti per la medicina umana e veterinaria; 3. altre macchine ed apparecchi specializzati per industrie specializzate; 4. macchine, apparecchi e utensili non elettrici; 5. pompe per liquidi, elevatori per liquidi; 6. macchine ed apparecchi per riscaldamento e refrigerazione; 7. trattori; 8. automobili e altri veicoli a motore per il trasporto di persone; 9. carta e cartone; 10. manufatti in metalli comuni; |
1. Oro per uso non monetario; 2. Carboni fossili, anche polverizzati; 3. Ghisa, ghisa speculare, ferro spugnoso, graniglia e polveri di ferro e di acciaio; 4. argento, platino e matalli del gruppo platino; 5. minerali di ferro e loro concentrati; 6. frutta fresca e secca (escl. i frutti oleaginosi); 7. lane e altri peli animali (incl. nastri di lana); 8. minerali di metalli comuni e loro concentrati, n.c.a.; 9. pesci freschi (vivi o morti), refrigerati e congelati; 10. pietre, sabbia e ghiaia; |
Fonte: Elaborazioni ICE su dati ISTAT |
INCIDENZA INTERSCAMBIO SUL COMMERCIO ESTERO ITALIANO (2010) |
|
Esportazioni verso il Sud Africa sul totale delle esportazioni italiane Importazioni dal Sud Africa sul totale delle importazioni italiane |
0,3% 0,5% |
Fonte: ISTAT |
QUOTE DI MERCATO (gen – lug 2010) |
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PRINCIPALI FORNITORI |
%su import |
PRINCIPALI ACQUIRENTI |
% su export |
1. Cina |
13,7 |
1. Cina |
9,8 |
2. Germania |
11,6 |
2. Non dichiarato |
9,7 |
3. Stati Uniti |
8,9 |
||
3. USA |
7,0 |
4. Giappone |
8,2 |
4. Giappone |
5,2 |
5. Germania |
7,9 |
5. Arabia Saudita |
4,4 |
6. Regno Unito |
4,7 |
6. Iran |
3,8 |
7. India |
3,8 |
7. Regno Unito |
3,8 |
8. Paesi Bassi |
3,2 |
8. India |
3,4 |
9. Svizzera |
2,8 |
9. Francia |
3,1 |
10. Zimbabwe |
2,7 |
10. Angola |
3,0 |
|
|
11. Italia |
2,5 |
15. Italia |
2,0 |
Fonte: South African Revenue Services |
SACE (milioni di euro) |
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Categoria di rischio OCSE (Consensus) |
3/7 (condizioni di assicurabilità: apertura senza condizioni per rischio sovrano, bancario, corporate) |
Garanzie deliberate (approvate) |
201,7 |
Garanzie perfezionate (efficaci sulle quali già è stata pagata una parte del premio) |
110,0 |
Garanzie erogate |
110,0 |
Fonte: SACE; dati aggiornati al 31marzo 2011 |
[1] L’International Panel on Climate Change[1] (IPCC) è un organismo tecnico che “valuta le informazioni scientifiche tecniche e socio-economiche necessarie a comprendere le basi scientifiche del rischio dei mutamenti climatici indotti dall’uomo, i loro potenziali impatti e le opzioni di adattamento e mitigazione”.
[2] Accordo politico adottato dalla 15a CoP (Copenhagen, dicembre 2009) che, sebbene non legalmente vincolante, ha comunque raggiunto un compromesso nel senso di coinvolgere i paesi emettitori in un processo di maggiore trasparenza e impegno di fronte alla Comunità Internazionale. Il testo non prevede obiettivi quantificati globali di riduzione delle emissioni, né nel medio né nel lungo termine, ma stabilisce che tutti i paesi, eccetto quelli meno avanzati, riportino nelle rispettive comunicazioni nazionali i risultati delle misure adottate sul proprio territorio e stabilisce che le misure adottate con il sostegno finanziario dei paesi industrializzati siano verificate alla luce di una sistema di reporting definito dalla CoP.
L'Accordo contempla, infine, l'impegno dei paesi industrializzati a mobilizzare fondi strumentali al programma Fast start (30 miliardi di dollari tra il 2010 ed il 2012) per azioni di “capacity building” e per iniziare attività di mitigazione ed adattamento nei PVS. In particolare, il testo indica in 100 miliardi l'anno dal 2020 il contributo da parte dei paesi industrializzati ai PVS per i cambiamenti climatici, includendovi il contributo di finanza pubblica e privata e di strumenti finanziari innovativi. Per la governance finanziaria viene previsto un Copenhagen Green Climate Fund come principale strumento per l’impiego dei fondi pubblici.
[3] La Conferenza ha rappresentato uno dei momenti più importanti del percorso internazionale dello sviluppo sostenibile, cui ha fatto seguito, in ordine di importanza, nel 2002, il Vertice di Johannesburg.
[4] "Lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri" (Rapporto Brundtland, 1987).
[5]www.minambiente.it/home_it/menu.html?mp=/menu/menu_attivita/&m=argomenti.html|Sviluppo_sostenibile__SvS_.html|Conferenza_Rio_20.html.
[6] http://mdgs.un.org/unsd/mdg/Resources/Static/Products/Progress2011/11-31339 (E) MDG Report 2011_Book LR.pdf. Si ricorda che tali obiettivi, che dovrebbero essere raggiunti nel 2015, sono stati lanciati nel settembre 2000 con l'approvazione della Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite (www.un.org/millenniumgoals).
[7] Decisione del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 1998 relativa al riesame del Programma Comunitario di politica ed azione a favore dell’ambiente e di uno sviluppo sostenibile, noto anche come “Quinto Programma d’azione a favore dell’ambiente” (1992-2000).
[8]Cfr.http://europa.eu/legislation_summaries/agriculture/environment/l28027_it.htm. Per approfondimenti sulle attività ed i documenti dell'UE sullo sviluppo sostenibile si rinvia a http://europa.eu/legislation_summaries/environment/sustainable_development/index_it.htm.
[9] Tale valutazione dei risultati raggiunti nell’ambito della citata strategia è stata compiuta dalla Commissione europea nella Relazione dell’ottobre del 2007 (COM[2007]642 def.). Nelle conclusioni di tale documento si legge che “i progressi concreti sono modesti, ma che, a livello sia dell'UE che degli Stati membri, vi è stato un considerevole sviluppo delle politiche in numerosi settori, e in particolare per quanto riguarda i cambiamenti climatici e l'energia pulita”.
[10] Nel Rapporto 2007 - Strategia europea per lo Sviluppo Sostenibile - Contributo degli Stati membri – Italia (http://www.politichecomunitarie.it/file_download/93), vengono analizzati i progressi nazionali nell’attuazione della strategia europea.
[11] Già previsto, in precedenza, dall’art. 109 della legge finanziaria 2001.
[13] Green economy italiana tra mito e realtà, in CENSIS - Rapporto 2009.
[14] www.fondazionesvilupposostenibile.org/f/Documenti/Manifesto_per_un_futuro_sostenibile_dell_Italia.pdf
[17] Poiché non tocca settori normativi, quali – ad esempio, tra gli altri – l’inquinamento acustico, l’inquinamento elettromagnetico, la tutela della fauna e le energie rinnovabili.
[18] Ad eccezione della Parte II, in materia di VIA, VAS e IPCC, entrata in vigore (dopo una serie di proroghe, l’ultima delle quali disposta dall’art. 5, comma 2, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300) il 31 luglio 2007.
[19] Sulla base della delega contenuta nel comma 6 dell’art. 1 della stessa legge n. 308/2004 che, al comma 1, aveva delegato il Governo all’emanazione del “Codice”.
[21] Previsto dall’art. 3 del Protocollo.
[22] Prevista dall’art. 6 del Protocollo.
[23] Previsti dall’art. 12 del Protocollo.
[24] Le percentuali di responsabilità nelle emissioni globali sono le seguenti: gli Stati membri UE sono responsabili del 22,1%, gli USA del 30,3%, il Giappone del 3,7%, il Canada del 2,3%.
[25] La percentuale di riduzione globale che il Protocollo si prefigge quale obiettivo è scesa - dopo l’abbandono del negoziato da parte degli Stati Uniti - dal 5,2% al 3,8%.
[26] Il notevole ritardo con cui si è pervenuti all’entrata in vigore, rispetto alla firma del protocollo medesimo, è stato principalmente causato dall'uscita dal Protocollo degli USA, che rappresentano da soli il 36% delle emissioni dei Paesi industrializzati.
[27] La risposta del Ministro dell’ambiente, pubblicata in allegato al resoconto, è consultabile al link https://leg16.camera.it/_dati/leg16/lavori/bollet/201105/0504/HTML/08/allegato.htm#149n1.
[28] Per approfondimenti sul percorso negoziale e sui vari documenti approvati in sede UE si rinvia a Prina Pera G., Verso la COP 17 dell’UNFCCC sui CAMBIAMENTI CLIMATICI - Durban (SUD AFRICA) 28 novembre - 9 dicembre 2011 - La situazione al 10 novembre 2011, disponibile al link http://www.regioni.it/download.php?id=231113&field=allegato&module=news.
[30] Nella legge di ratifica viene specificato che tali azioni devono tendere al raggiungimento dei migliori risultati in termini di riduzione delle emissioni mediante il miglioramento dell'efficienza energetica del sistema economico nazionale e un maggiore utilizzo delle fonti di energia rinnovabili, all'aumento degli assorbimenti di gas serra derivanti dalle attività e dai cambiamenti di uso del suolo e forestali, alla piena utilizzazione dei meccanismi istituiti dal Protocollo di Kyoto per la realizzazione di iniziative congiunte con gli altri Paesi industrializzati (joint implementation) e con quelli in via di sviluppo (clean development mechanism), e, infine, all’accelerazione delle iniziative di ricerca e sperimentazione per l’introduzione dell’idrogeno quale combustibile e per la realizzazione di impianti per la produzione di energie alternative pulite (biomasse, biogas, combustibile derivato dai rifiuti, impianti eolici, fotovoltaici, solari).
[31] Tale norma è stata attuata con il successivo D.M. ambiente 25 novembre 2008 che ha dettato la disciplina delle modalità di erogazione dei citati finanziamenti.
[32] Gli allegati a tale decreto sono stati modificati dal recente D.M. Ambiente 19 luglio 2011 (pubblicato nella GU n. 183 del 8-8-2011 - Suppl. Ordinario n.185).
[35] Tutti i documenti relativi all’assegnazione delle quote di emissione sono disponibili all’indirizzo www.minambiente.it/menu/menu_attivita/Assegnazione_delle_quote_di_emissione_di.html.
[38] Si ricorda, tra le altre, l’istituzione - in data 27 aprile 2004, con decreto del Ministro per le politiche comunitarie - del Comitato di Coordinamento Nazionale per la Biodiversità.
[39]www.minambiente.it/export/sites/default/archivio/allegati/biodiversita/Strategia_Nazionale_per_la_Biodiversita.pdf.
[40] Già nel corso del 2005 il Ministero dell'Ambiente aveva pubblicato un importante volume dal titolo “Stato della biodiversità in Italia”, quale contributo propedeutico alla preparazione di una Strategia nazionale per la Biodiversità.
[41] www.g8ambiente.it/public/images/20090424/docita/09_04_24_Carta di Siracusa sulla Biodiversità.pdf.
[42]http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/11/18&format=HTML&aged=0&language=IT&guiLanguage=en.
[43] Il Ministero dell'ambiente ha emanato tre decreti, tutti in data 14 marzo 2011, con cui si è provveduto ad un quarto aggiornamento (ai sensi della direttiva habitat) dei SIC per le regioni biogeografiche continentale, mediterranea e alpina.
[44] Relativamente al programma LIFE+ si veda, per l’aspetto comunitario, http://europa.eu/legislation_summaries/agriculture/environment/l28021_it.htm, mentre a livello nazionale www.minambiente.it/home_it/menu.html?mp=/menu/menu_attivita/&m=argomenti.html|biodiversita_fa.html|LIFE__per_la_protezione_della_natura_e_l.html&lang=it.
[45] La classificazione delle aree protette è disciplinata dalla deliberazione del 21/12/1993 (G.U. n. 62/1994), che è stata integrata con la Deliberazione 2 dicembre 1996, del Comitato per le aree naturali protette (G.U. 139/1997), che ha incluso nell’elenco anche le ZPS e le ZSC. Tale ultima delibera è stata integrata dalla Deliberazione 26 marzo 2008 della Conferenza Stato-Regioni (pubblicata nella G.U. n. 137 del 13 giugno 2008) che ha disciplinato il regime di protezione applicabile alle ZPS ed alle ZSC.
[46] Tale elenco include tutte le aree che rispondono ai criteri fissati dalla delibera 1° dicembre 1993 del Comitato Nazionale per le Aree Naturali Protette (comitato soppresso dal D.Lgs. 281/1997).
[47] Pubblicata nella G.U. n. 205 del 4 settembre 2003 – S.O. n. 144.
[48] Doc. CXXXVIII, n. 1, disponibile all’indirizzo internet:
www.camera.it/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/138/001/INTERO.pdf
[49] La pianificazione è formulata sulla previsione che nel 2020 l’Italia abbia un consumo finale lordo di energia di 133.042 KTOE (tonnellate equivalenti di petrolio), in calo quindi rispetto ai 141.226 KTOE del 2005.
[50] Secondo l’Autorità per l’energia “l’incentivazione del fotovoltaico in Italia è oggi una delle più profittevoli al mondo”. In materia si sono susseguiti, in sei anni (dal 2005 ad oggi), quattro D.M. Sviluppo Economico per l’approvazione di altrettanti “Conto energia”, con cui sono stati disciplinati modalità e misure di incentivazione riferiti ai diversi tipi di impianti da fotovoltaico. Il quarto e ultimo “Conto energia” è stato adottato con DM 5 maggio 2011.
[51] Obiettivi dell'indagine sono: la verifica del livello di contributo effettivo alla lotta ai cambiamenti climatici ed alla realizzazione degli obiettivi del "pacchetto clima-energia" da parte degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili; la verifica del grado del necessario contemperamento tra l'obiettivo strategico di contenimento delle emissioni inquinanti con quello concreto di tutela ambientale dei territori interessati dalla realizzazione degli impianti, e quindi l'impatto paesaggistico e ambientale degli impianti medesimi, anche con riguardo agli effetti sull'assetto idrogeologico del suolo, sull'occupazione del territorio, sulla tutela della biodiversità, nonché sulle vocazioni turistiche delle zone interessate; la verifica delle procedure autorizzative soprattutto con riferimento alle nuove norme di semplificazione in materia di conferenza di servizi e SCIA; la valutazione dei criteri di buona progettazione, minor consumo di territorio e riutilizzo di aree degradate, quali elementi utili alla valutazione favorevole del progetto di impianto di produzione di energia elettrica; la verifica delle politiche regionali messe in atto per garantire il raggiungimento degli impegni assunti dall'Italia sul tema clima-energia, a partire dall'analisi delle normative regionali e del processo di recepimento delle misure adottate in ambito europeo e nazionale; la verifica del grado di partecipazione e di informazione delle popolazioni interessate dagli impianti, a partire dall'analisi della disciplina riguardante l'introduzione, in favore delle comunità locali, di misure compensative per il mancato uso alternativo del territorio.
[52] Si ricorda che la certificazione energetica, attestante il fabbisogno annuo di energia di un edificio, è ritenuta a livello comunitario una delle azioni più efficaci per ridurre i consumi nel settore civile che assorbono una parte consistente dell’intero fabbisogno di energia. A partire dal 2005 nel nostro Paese sono state emanate diverse normative che hanno reso obbligatoria la certificazione energetica degli edifici sia di nuova costruzione sia già esistenti (v. in particolare il citato decreto legislativo 192/2005 e successive modificazioni). Le Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici sono state predisposte con D.M. 26 giugno 2009.
[53] Nelle precedenti legislature si sono svolte le seguenti Conferenze delle Parti: VI COP Bonn, 18-21 luglio 2001; VII COP, Marrakech, 7-9 novembre 2001; VIII COP, Nuova Delhi, 30 ottobre-1° novembre 2002 ; IX COP, Milano, 10 -12 dicembre 2003; X COP, Buenos Aires, 13-18 dicembre 2004; XI COP, Montreal, 7-9 dicembre 2005; XII COP, Nairobi, 14 - 17 novembre 2006; XIII COP, Bali, 11-14 dicembre 2007.
[54] Inizialmente un ostacolo alla nomina di Zuma alla Presidenza della Repubblica sembrava costituito da un processo per corruzione (nel 2005 Zuma, all’epoca Vice Presidente, fu accusato di corruzione e stupro – accusa, quest’ultima, che venne subito meno – e allontanato dal Governo Mbeki). Nel settembre 2008 il processo si concluse con una sentenza di proscioglimento per irregolarità procedurali (tra cui pressioni politiche da parte di esponenti dell’ANC ostili a Zuma) e la sentenza si trasformò in un atto di accusa contro e la corrente politica di Mbeki, costretto a dimettersi.
[55] Rapporto annuale dello Human Science Research Council.
[56] Historically Disadvantaged South Africans (HDSA)
[57] Nel primo trimestre del 2010, si è registrato un raddoppio dei flussi di capitale da 21,3 miliardi di rand, nel quarto trimestre del 2009, a 48,6 miliardi, in particolare investimenti di portafoglio.
[58] Il Sud Africa è uno dei 5 Paesi con cui l’OCSE ha avviato il processo di “Enhanced Engagement”, nella prospettiva di una possibile futura membership.
[59] Il 17 settembre 2009 un micro satellite sudafricano per l’osservazione terrestre è stato lanciato dal cosmodromo di Baikonur dall’agenzia spaziale russa Roscosmos.