Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Bahrain
Serie: Schede Paese politico-parlamentare    Numero: 17
Data: 14/06/2011
Descrittori:
BAHRAIN     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

n. 17 14 giugno 2011Casella di testo: SCHEDA PAESE
politico-parlamentare

Bahrain                            

 


Il quadro istituzionale

Dal punto di vista della forma di governo, il Bahrain è una monarchia costituzionale. In base alla Costituzione del 2002, il potere esecutivo è esercitato dal re, attraverso il primo ministro e il governo da lui nominato. Il potere legislativo è esercitato da un parlamento bicamerale, composto dal consiglio dei rappresentanti (Majlis Al Nuwab) e dal consiglio consultivo (Majlis Al Shura). Il consiglio dei rappresentanti è composto da 40 membri, eletti a suffragio universale maschile e femminile da tutti i cittadini maggiorenni (con più di 21 anni di età), con sistema uninominale maggioritario a turno unico. Il Consiglio consultivo è anch’esso composto da quaranta membri, nominati però dal re (la Camera alta appare prevalente nel processo legislativo).

Per Freedom House, il Bahrain è uno “Stato non libero”, non in possesso dello status di “democrazia elettorale”, mentre il Democracy Index 2010 dell’Economist Intelligence Unit lo definisce “regime autoritario” (cfr. infra“Indicatori internazionali sul paese”).

In particolare, per quanto concerne l’esercizio concreto delle libertà politiche e civili, la formale costituzione di partiti politici risulta proibita per legge, anche se il governo consente la costituzione di gruppi informali; inoltre una legge del 2005 ha proibito la costituzione di associazioni di carattere politico basate sulla classe, sull’appartenenza professionale o sulla religione; mentre per tutte le associazioni, comprese quelle a carattere politico, è richiesta la registrazione da parte del Ministero della giustizia. Anche la libertà di assemblea appare sottoposta a significative restrizioni: in particolare le manifestazioni pubbliche necessitano di un’apposita autorizzazione e comunque sono proibite dall’alba al tramonto. Analoghe criticità si manifestano con riferimento alla libertà di espressione e di stampa: il governo controlla tutti i mezzi di comunicazione di massa ed anche i tre editori privati di organi di stampa appaiono avere stretti legami con le autorità governative. Inoltre, risulta vietata la diffusione attraverso siti internet di contenuti politici; allo stesso tempo, però, il Bahrain risulta essere il Paese nel Medio Oriente più connesso a Internet, dopo gli Emirati Arabi Uniti.

L’Islam risulta la religione di Stato anche se le minoranze non musulmane appaiono generalmente libere di praticare il proprio culto (tutti i gruppi religiosi non musulmani necessitano di un’autorizzazione per operare legalmente, tuttavia appare esistere nel paese una tolleranza di fatto anche nei confronti dei gruppi privi di autorizzazione).

 

La situazione politica

Re del Bahrain è, dal 2002, Hamad bin Isa Al-Khalifa (n. 1950), già al potere dal 1999 con il titolo di emiro.Primo ministro, dall’indipendenza dell’Emirato nel 1971 (il più longevo per carica dei capi di governo del mondo) è Khalifa bin Salman Al-Khalifa (n. 1936).

A partire dal febbraio 2011 anche il Bahrain è stato interessato dalle proteste che hanno coinvolto Nord Africa e Medio Oriente, fino a giungere, il 14 marzo 2011, all’intervento di forze armate e di polizia dei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (in particolare Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti) a sostegno del governo del Bahrain. In questo paese alle cause generali e comuni a tutta l’area, che possono aver contribuito allo scoppio della crisi (quali il disagio di parte delle popolazione e in particolare delle giovani generazioni in un contesto di modernizzazione economica e sociale e di alti tassi di scolarizzazione), si sono aggiunte le tensioni, da tempo esistenti, tra la maggioranza della popolazione, sciita, e la minoranza sunnita, che però esprime la famiglia regnante e la classe dirigente del paese.

Con riferimento al secondo aspetto, le tensioni tra maggioranza sciita e minoranza sunnita nel paese, che parevano essere diminuite al momento dell’ascesa al trono di Khaled, il quale aveva mostrato da subito intenti riformatori culminate nella concessione della costituzione  nel 2002, si sono riacutizzate nel 2006. Nelle elezioni di quell’anno, infatti, l’associazione politica sciita Al-Wefaq, che aveva sostenuto fin dall’inizio il processo riformatore, ottenne 17 dei 40 parlamentari. I risultati elettorali furono vanificati però dalla prevalenza nel processo legislativo della Camera alta e del governo. Inoltre, osservatori internazionali registrarono numerose irregolarità nelle elezioni. In particolare, il governo del Bahrain è poi accusato dall’opposizione di mirare ad alterare l’equilibrio demografico tra sunniti e sciiti nella popolazione dello Stato attraverso concessione di incentivi per l’acquisizione della cittadinanza da parte dei residenti stranieri nell’isola, molti dei quali musulmani sunniti provenienti da Iraq e Siria. In questo contesto, nel 2006 è sorto, nell’area politica sciita, un nuovo movimento su posizioni più radicali, Al Haqq, che accusa Al Wefaq di eccessive compromissioni con il potere.

 

Conclusivamente si riporta di seguito una sintetica cronologia dei principali eventi succedutisi dall’inizio delle proteste:

14 febbraio: l’opposizione sciita alla dinastia indice, sull’onda delle proteste nel Nord Africa, una “giornata della rabbia”. Si registrano scontri e due morti in alcuni villaggi del paese.

15 febbraio: i manifestanti occupano piazza della Perla nella capitale Manama

17 febbraio: la forza di opposizione sciita Al Wefaq presente in Parlamento annuncia l’abbandono del Parlamento e richiede le dimissioni del governo (si ricorda, che, come già sopra segnalato, il primo ministro dell’isola, anch’egli appartenente alla famiglia reale Al Khalifa, è ininterrottamente in carica dal 1971). Negli scontri a Manama tra i manifestanti e l’esercito muoiono tre persone

20 febbraio: il segretario di Stato USA Clinton giudica inaccettabile la repressione e chiede al governo del Bahrain di “tornare al più presto a percorrere la via delle riforme”; a Manama sfilano, in segno di solidarietà con i manifestanti di piazza della Perla, cortei di diverse categorie professionali (insegnanti, operai, medici e infermieri)

26 febbraio: si dimettono quattro ministri del governo del Bahrein. Rientra a Manama dall’esilio britannico il leader del partito sciita al Haqq, ritenuto su posizioni radicali, Hassan Mushayma, graziato dal re per le sue precedenti condanne, nel tentativo di calmare le proteste

8 marzo: tre movimenti sciiti (Al Haqq, Wefaq e Movimento per la libertà) annunciano la costituzione di una “Coalizione per la repubblica”, che richiede appunto, l’abbandono della forma di Stato monarchica.

13 marzo: nuovi scontri in piazza della Perla

14 marzo: in attuazione di una decisione del consiglio di cooperazione del Golfo (organizzazione internazionale di cooperazione economica e politica composta da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Oman, Bahrain), truppe dell’Arabia Saudita entrano nel Bahrain d’accordo con il governo dell’isola per contribuire al “ristabilimento della sicurezza e alla tutela delle infrastrutture strategiche”. Anche forze di polizia degli Emirati Arabi Uniti affluiscono in Bahrain.

15 marzo: Un soldato saudita viene ucciso in Bahrain nel corso di uno scontro con i manifestanti antigovernativi. Migliaia di manifestanti sciiti del Bahrein protestano per 'l'occupazione militare' da parte delle truppe di Riad.

16 marzo: le autorità del Bahrain decidono di chiudere la Borsa di Manama a tempo indeterminato e sospendere le contrattazioni per il rischio di nuove proteste.  Viene imposto anche il coprifuoco notturno, entrato in vigore a partire dalle 16 ora locale fino alle 4 del mattino.

17 marzo: le forze di sicurezza del Bahrain arrestano sei leader politici dell'opposizione.

18 marzo: nuove proteste di piazza contro la dinastia regnante, nel corso delle quali viene abbattuta anche la statua simbolo di Piazza Perla.

22 marzo: muore una manifestante antigovernativa per le ferite riportate durante gli scontri con le forze di sicurezza avvenuti il 18 marzo a Manama.

25 marzo: viene realizzata la “giornata della collera”, con nove manifestazioni organizzate via Internet, di cui una presso l'aeroporto di Manama e un altra presso l'ospedale Salmaniya. Il ministro per lo Sviluppo Sociale, Fatima Albalooshi, accusa il movimento sciita Hezbollah e una tv iraniana di istigare la rivolta.

30 marzo: il leader dell'opposizione sciita in Bahrain, Sheikh Ali Salman, chiede all'Iran di non intromettersi negli affari interni del Paese.

31 marzo: il movimento libanese di Hezbollah nega le accuse provenienti da Manama di aver addestrato gli attivisti sciiti che stanno manifestando contro il governo.

7 aprile: il segretario alla Difesa Robert Gates afferma che gli Stati Uniti hanno le "prove" dell'ingerenza iraniana in Bahrain e in altri paesi del Medio Oriente. Un’altra manifestante uccisa a Sanabis, a nord di Manama.

8 aprile: sospese le attività del partito d'opposizione laico 'Waad', accusato di aver diffuso notizie "false" con l'obiettivo di alimentare "la sedizione" nel paese del Golfo, chiudendone gli uffici e il sito web.

11 aprile: due attivisti sciiti, arrestati nell'ambito della repressione delle proteste, sono morti in carcere, mentre delle bombe molotov sono state lanciate contro la residenza dell'ex deputato di al-Wefaq, il principale partito d'opposizione sciita, Jawad Fairooz. Sedici cittadini libanesi sono stati espulsi perché sospettati di avere avuto un ruolo nelle rivolte antigovernative e di legami con l'organizzazione sciita Hezbollah.

12 aprile: le autorità bahrenite hanno scarcerato 86 manifestanti arrestati nel mese di marzo.

13 aprile: muore in carcere un altro esponente del partito d’opposizione sciita Wefaq.

15 aprile: il ministro degli esteri iraniano chiede all’Onu di intervenire contro la repressione in Bahrain.

16 aprile: le forze di sicurezza bahrenite arrestano Mohammed al-Tajer, noto avvocato per i diritti umani e due medici per avere prestato soccorso ai manifestanti rimasti feriti negli scontri a Manama delle scorse settimane.

20 aprile: una giovane poetessa del Bahrain, Ayat al-Ghermezi, 20 anni, che recentemente aveva recitato le sue poesie contro il regime e il primo ministro Khalifah Ibn Salman al-Khalifah durante le proteste nella piazza della Perla nella capitale,  viene arrestata e sottoposta a torture dalle forze di Manama.

21 aprile: si è aperto in un tribunale militare di Manama il processo contro l'attivista per i diritti umani Abdul-Hadi al-Khawaja, che è stato accusato di 'incitamento alla rivolta'.

29 aprile: una manifestazione nel villaggio occidentale di Karzakan viene repressa con l’uso anche di gas lacrimogeni.

8 maggio: annunciata per il 1° giugno la revoca dello stato di emergenza imposto il 15 marzo scorso.

24 maggio: rilasciati 515 delle persone arrestate dall’inizio dello scoppio delle proteste.

2 giugno: le forze di sicurezza attaccano dei manifestanti a poche ore dalla cessazione dello stato di emergenza. Le autorità precisano che la “pressione” sui gruppi antigovernativi non verrà diminuita.

 

 


 

Indicatori internazionali sul paese[1]:

Libertà politiche e civili: “Stato non libero”, diritti politici: 6, libertà civili: 5 (Freedom House); “regime autoritario”, 122 su 167 (Economist)

Indice della libertà di stampa: 144  su 178

Libertà di Internet 2009: “filtraggio” pervasivo per i temi politici e sociali, sostanziale per quanto riguarda gli strumenti informatici, selettivo sui conflitti e la sicurezza (OpenNet Initiative)

Libertà religiosa: limitazioni alla libertà religiosa (ACS); Islam religione di Stato, riconoscimento della libertà religiosa in Costituzione e generale rispetto nella pratica, pur in presenza di limitazioni da parte del governo (USA)

Libertà economica: 10 su 179 (Heritage Foundation)

Corruzione percepita: 48  su 178

Variazione PIL 2009: -3  per cento

 

 


 

 

Fonti: The Statesman’s Yearbook 2011, Freedom House, Human Rights Watch, Arab Reform Bulletin –Carnegie endowment for international peace, Brookings Institution, Economist Intelligence Unit, Agenzie di stampa.

 


 

 

Servizio Studi – Analisi dei temi di politica estera nell’ambito dell’Osservatorio di Politica internazionale

( 06 6760-4939 – *st_affari_esteri@camera.it

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File: es0938paese.doc

 



[1]    Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); il tasso di crescita del PIL come riportato dal Fondo monetario internazionale; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alla nota esplicativa presente in Le elezioni programmate nel periodo febbraio-aprile 2011 (documentazione e ricerche n. 85, 9 febbraio 2011).