Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Siria
Serie: Schede Paese politico-parlamentare    Numero: 4
Data: 14/06/2011
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

 

n. 4 –  14 giugno 2011

                                             Siria                                    

 


Il quadro istituzionale

In base all’art. 1 della Costituzione del 1973, la Repubblica Araba di Siria è uno “Stato democratico, popolare, socialista e sovrano”.

La Costituzione riconosce, all’art. 8, un ruolo di partito guida nella società e nello Stato al partito arabo socialista Ba’ath (Rinascita), che, in particolare, guida il fronte progressista nazionale, composto anche da altri piccoli partiti “satellite”.

Il partito Ba’ath, di orientamento socialista panarabista, ha conquistato il potere in Siria nel 1963, due anni dopo il fallimento dell’unione tra Siria ed Egitto nella Repubblica Araba Unita. E’ ideologicamente affine (anche se politicamente e strategicamente rivale) al partito Ba’ath iracheno, al potere in quel paese fino alla caduta di Saddam Hussein nel 2003.

Capo dello Stato è il Presidente della Repubblica, eletto, con un mandato di sette anni, sulla base di un meccanismo che prevede la designazione di un candidato da parte del Parlamento, su proposta del partito Ba’ath, e la sua conferma da parte dei cittadini con referendum, nel quale il candidato deve ottenere la maggioranza assoluta dei voti validi (in caso contrario il Parlamento indica un altro candidato).

Il Parlamento monocamerale (Assemblea del popolo), composto da 250 membri, è eletto per quattro anni, con un sistema elettorale maggioritario plurinominale, basato su 15 circoscrizioni corrispondenti ai distretti amministrativi del paese. Ciascuna lista deve includere almeno due terzi dei candidati appartenenti al fronte progressista nazionale, che ha garantiti almeno 131 seggi.

Per “Freedom House” la Siria è uno “Stato non libero” e non possiede lo status di “democrazia elettorale” mentre il Democracy Index 2010 dell’Economist Intelligence Unit la definisce “regime autoritario”.

I partiti del Fronte progressista nazionale rappresentano gli unici partiti legali in Siria, mentre, come si è visto, al di fuori dei partiti del Fronte sono consentite solo candidature indipendenti.

Molte fonti evidenziano peraltro come l’esercizio concreto delle libertà fondamentali civili e politiche, pure riconosciute dalla Costituzione, e nonostante le aperture che hanno caratterizzato l’inizio della presidenza di Bashar al Assad (cfr. infra), risulti pregiudicato in vari modi: il codice penale, la legge di emergenza (in vigore dal 1963) e la legge sulle pubblicazioni del 2001 impediscono la pubblicazione di materiali che danneggino l’unità nazionale, infanghino l’immagine dello Stato e minaccino gli “obiettivi della rivoluzione”; l’accesso a Internet è consentito solo attraverso server statali che impediscono l’accesso a molti siti; le dimostrazioni pubbliche sono illegali senza autorizzazione ufficiale e la costituzione delle associazioni risulta subordinata alla registrazione governativa. Infine, se la magistratura ordinaria appare dimostrare, secondo diverse fonti, margini significativi di indipendenza, i casi politicamente rilevanti sono affrontati dalla Corte suprema per la sicurezza dello Stato, tribunale speciale istituito dalla legge di emergenza che nega il diritto di appello, limita il diritto alla difesa e tratta molti casi in udienze non pubbliche.

La situazione politica interna

Presidente della Repubblica Araba di Siria è, dal luglio 2000, Bashar Al Assad (n. 1965), succeduto al padre, Hafez Al Assad (1930-2000); presidente ininterrottamente dal 1971 al 2000.

Hafez Al Assad, generale dell’aviazione, già ministro della difesa dal 1966, conquistò il potere con un colpo di Stato nel 1971 (la famiglia Assad appartiene alla minoranza islamica degli Alawiti, di orientamento sciita, che fornisce la maggior parte dei quadri dirigenti del Ba’ath siriano). La sua presidenza fu caratterizzata dalla partecipazione alla guerra del Kippur contro Israele nel 1973 (che tuttavia fallì nel tentativo di riconquista delle alture del Golan occupate da Israele nel 1967), dall’intervento nella guerra civile libanese nel 1976, dalla repressione dei fondamentalisti sunniti della Fratellanza musulmana, massacrati nella città di Hamah nel 1982, dall’adesione alla coalizione internazionale anti-irachena nel corso della prima guerra del Golfo nel 1990-’91.

Bashar Al Assad è stato confermato presidente per il suo secondo mandato dal referendum tenuto il 27 maggio 2007, nel quale la sua candidatura è stata approvata con il 97,6 per cento dei voti.

Le ultime elezioni per l’Assemblea del popolo, svoltesi il 22 e il 23 aprile 2007 hanno visto il Fronte nazionale progressista guidato dal partito Ba’ath conquistare 172 dei 250 seggi.

In politica interna, l’avvento alla presidenza di Bashar al Assad, nel 2000, era apparso coincidere con l’avvio di un processo di cauta liberalizzazione politica ed economica, caratterizzato dal rilascio di prigionieri politici, dal rientro di dissidenti in esilio e dall’avvio di una discussione pubblica sul futuro del paese. Fin dal 2001 il processo è apparso però indebolirsi, con l’arresto di esponenti riformisti e l’inasprimento di interventi repressivi e di censura.

In politica estera, la Siria occupa un ruolo strategico in Medio Oriente: tradizionalmente alleata dell’Iran, la Siria ha, a partire dagli accordi di Taif del 1990 che posero fine alla guerra civile, esercitato una sorta di “protettorato” in Libano. Se successivamente all’omicidio dell’ex-primo ministro libanese Hariri, avvenuto nel 2005 in circostanze tali da lasciar presumere un coinvolgimento di esponenti del movimento filoiraniano e filosiriano libanese di Hezbollah (ed anche, specialmente in una prima fase, di esponenti dei servizi segreti siriani), le proteste popolari libanesi indussero la Siria a decidere il ritiro delle truppe presenti in Libano, lo Stato mediorientale continua comunque ad esercitare una notevole influenza nelle vicende libanesi. Più in generale, nello scacchiere mediorientale si sono registrati ripetuti tentativi diplomatici volti a spingere ad un diverso atteggiamento la Siria, e, in particolare, a incrinare l’alleanza tra Siria e Iran e a promuovere un negoziato tra Siria e Israele. In particolare, in tale tentativo si è adoperata, negli scorsi anni, la Turchia. Anche gli USA sono apparsi alternare, nei confronti della Siria, atteggiamenti di chiusura e di apertura. Da ultimo, merita però rilevare che il presidente Obama ha nominato, il 29 dicembre 2010, per la prima volta dal 2005, un ambasciatore in Siria, Robert Ford.

In questo contesto, la Siria è stata gradualmente coinvolta dall’ondata di proteste che sta coinvolgendo Nord Africa e Medio Oriente a partire dalla seconda metà di febbraio. Una prima valutazione dei fatti indica nelle proteste una combinazione tra le richieste di maggiori libertà civili e politiche avanzate dagli storici dissidenti del regime, la cui influenza è però limitata, e circoscritta alle aree urbane (sulle forze di opposizione al regime cfr. infra box 1), e l’insoddisfazione di alcuni clan tribali, assai influenti nelle aree rurali, insoddisfazione legata a fattori politici locali (quali il mancato sostegno alla crisi agricola nella regione di Hawran, il “granaio” della Siria e presunti episodi di corruzione che coinvolgerebbero esponenti del regime, come l’installazione, nella città di Daraa nella stessa regione, di una serie di ripetitori per la telefonia cellulare, appartenenti alla compagnia di proprietà del cugino del presidente Assad, in prossimità delle abitazioni e di cisterne per l’acqua potabile). Questi fattori si inseriscono in un quadro, quello siriano, già di per sé complesso, come testimonia l’egemonia esercitata, sia pure attraverso l’ideologia laica e panarabista del Ba’ath, dalla setta sciita degli Alawiti, cui appartiene la famiglia Assad in un paese a maggioranza sunnita (sul più complessivo assetto etnico e religioso siriano cfr. infra box 2).

Di seguito è riportata una sintetica cronologia degli ultimi eventi:

febbraio: Aisha Abizaid, del clan degli Abizaid, radicato nella città di Daraa 150 km a sud di Damasco, è arrestata con l’accusa di aver espresso un’opinione politica su Internet.

6 marzo:  si ha notizia dell’arresto di circa 20 adolescenti nella città di Daraa, tutti appartenenti al clan degli Abizaid, colpevoli di aver cantato a scuola slogan contro il regime.

15 marzo: si svolgono manifestazioni di protesta contro il regime promosse dal gruppo Facebook “Intifada siriana 15 marzo”; le manifestazioni vedono una scarsa partecipazione a Damasco, dove si svolge un sit-in davanti al Ministero dell’interno con circa 150 partecipanti, mentre vedono una partecipazione massiccia a Daraa e a Dayr az Zor, capoluogo della regione orientale ai confini con l’Iraq.

18 marzo: repressione da parte delle forze di sicurezza  delle manifestazioni di Daraa.

20 marzo: viene annunciato il rilascio dei bambini arrestati a Daraa, senza che tuttavia se ne abbiano conferme. Annunciato anche il dimissionamento del governatore di Daraa.

23 marzo: le manifestazioni di Daraa sono represse dalle forze dell’ordine; fonti ospedaliere riportano la presenza di 37 morti, mentre per gli organizzatori delle manifestazioni il bilancio sarebbe più grave, con circa 100 morti. Segnalato anche l’arresto di Marzen Darwish, dissidente, presidente del Centro per i Media e per la libertà di espressione siriano.

24 marzo: il consigliere del presidente Assad Bhutayana Shaaban annuncia l’avvio di un processo di riforme, attraverso la convocazione di un Alto comitato di studio incaricato di predisporre l’abrogazione dello stato di emergenza, in vigore, come già si è accennato, ininterrottamente dal 1963 e di elaborare una legge sui partiti, per superare il monopolio del partito Ba’ath. E’ inoltre annunciato l’aumento del 30 per cento degli stipendi dei pubblici dipendenti e l’introduzione di misure anti-corruzione.

25-26 marzo: nuove manifestazioni si verificano a Daraa ed anche in altre città quali Latakia, città di origine della famiglia Assad. Secondo Amnesty International nel complesso delle proteste potrebbero essere rimaste uccise almeno 55 persone. E’ annunciato il rilascio di prigionieri politici detenuti nelle carceri siriane.

27 marzo: il consigliere del presidente Shabaan annuncia che la decisione della revoca dello stato di emergenza è stata presa, mentre è atteso nel corso della settimana l’annuncio da parte del presidente Assad della costituzione di un nuovo governo.   

28 marzo: Il Parlamento siriano ha chiesto al presidente di spiegare in aula il programma di riforme democratiche. Continuano le proteste a Daraa contro il partito Baath, mentre i carri armati circondano la cittadina. Intanto,vari leader religiosi sunniti e alawiti si sono incontrati a Latakia.

 29 marzo: migliaia di persone si sono riunite a Damasco in sostegno del presidente Bashar al Assad, il quale ha affermato di accettare le dimissioni del governo guidato da Naji Otri.

30 marzo: rilasciati sette manifestanti arrestati il 16 marzo. Il Presidente tiene un discorso alla Nazione in Parlamento, in cui parla di "dolore e rammarico" per le vittime degli scontri, senza fare un chiaro riferimento alle riforme. Proseguono le proteste a Latakia.

31 marzo: Assad crea una commissione che dovra' studiare la possibilita' di revocare lo stato d'emergenza, in vigore dal 1963 ed incarica la magistratura di istituire una commissione che indaghi sulla morte di civili e soldati a Daraa e Latakia. Altri 25 morti a Latakia.

1 aprile: manifestanti anti-regime curdi musulmani e cristiani sono scesi in piazza nel nord-est della Siria, nella provincia di Qamishli. Proseguono le manifestazioni anche a Daraa, Latakia e Damasco; in questa ultima città, centinaia di manifestanti sono stati rinchiusi all'interno della Grande moschea degli Omayyadi, da agenti in borghese. Vi sarebbero stati almeno altri 14 morti in tutto il Paese.

2 aprile: le forze di sicurezza siriane hanno effettuato arresti nel corso dei funerali delle vittime uccise ieri durante le proteste anti-governative.

3 aprile: il presidente siriano al-Assad ha affidato all’'ex ministro dell'Agricoltura, Adel Safar, il compito di formare un nuovo governo.

4 aprile: gli attivisti invitano l'Esercito e le forze di sicurezza siriane a sostenere la mobilitazione antigovernativa.

5 aprile: un attivista denuncia il comportamento delle forze di sicurezza che fanno ricorso alla tortura contro i manifestanti. Il gruppo Facebook "Syrian Revolution 2011"  annuncia "La settimana dei martiri", una serie di proteste per le vittime degli scontri dei giorni scorsi.

6 aprile: le autorita' siriane hanno deciso di reintegrare le insegnanti di scuola che indossano il niqab (velo che lascia scoperti solo gli occhi) e di chiudere l'unico casino' del Paese, aperto da soli pochi mesi.

7 aprile: il presidente rimuove il governatore di Homs, citta' a nord di Damasco e teatro nei giorni scorsi di repressioni, e concede la naturalizzazione ai curdi del nord est del Paese. 8 aprile: arrestato un dignitario religioso, Sheikh Imad Rasheed, per aver manifestato il proprio appoggio per le proteste anti-governative. Anche un corrispondente in Siria della televisione Al-Arabiya e' stato arrestato dalle forze di sicurezza di Damasco. Proseguono le proteste a Latakia, Homs, Daraa e nell’est del Paese a maggioranza curda; le persone in piazza erano circa tremila. A Daraa il bilancio dei morti sale a 22 tra i manifestanti (ed altri 5 ad Homs) e 19 tra gli agenti di polizia.

9 aprile: dopo la dura repressione del giorno precedente, gli attivisti invitano a scendere in piazza ogni giorno. L’Alto Commissario per la politica estera dell’Unione Europea condanna la violenza esercitata in Siria. Il ministero siriano dell'Informazione dispone il licenziamento di Samira Masalmeh, direttrice del quotidiano ufficiale 'Teshreen', che ieri ha preso posizioni critiche nei confronti del governo.

10 aprile: l'emittente iraniana Press Tv afferma che dietro l'intensificarsi delle proteste antigovernative in Siria si nascondono Arabia Saudita e Giordania. I disordini si sono estesi alla citta' costiera di Banias, dove alcuni sostenitori del presidente hanno ferito cinque persone aprendo il fuoco dall'interno di una macchina.

11 aprile: almeno sette studenti sono stati arrestati all'Universita' di Damasco durante due diversi raduni anti-regime. La città di Banias viene assediata dalle forze di sicurezza.

12 aprile: si sono avuti scontri a fuoco vicino alla cittadina di Banias, a Baida, mentre seguono le manifestazioni a Daraa.

13 aprile: le donne di Baida scendono in piazza per chiedere la scarcerazione dei loro uomini arrestati nelle proteste antigovernative dei giorni scorsi. Le autorita' siriane hanno accusato 'gruppi armati' di

impedire agli agenti delle forze di sicurezza feriti di
ricevere assistenza medica, mentre alcuni media hanno affermato il contrario, cioè che sarebbero state  le autorita' ad impedire ai feriti di recarsi in ospedale. Le forze di sicurezza hanno arrestato cinque persone che hanno partecipato alle proteste nella Facolta' di Lettere dell'Universita' di Aleppo dove stavano manifestando 500 studenti; anche all’università di Damasco seguono le violenze contro gli studenti in protesta.

14 aprile: il Wall Street Journal riferisce che, secondo alcuni funzionari USA, l’Iran sta garantendo a Damasco le attrezzature necessarie alle forze di sicurezza per affrontare la piazza. Gli abitanti di Banias, hanno raggiunto un accordo con le autorita' per permettere l'ingresso dell'esercito nella citta' allo scopo di ristabilire l'ordine; un soldato, però, avrebbe perso la vita ed uno altro sarebbe rimasto ferito, colpiti da un cecchino. Bashar al Assad ha ricevuto a Damasco una delegazione di residenti di Daraa. Rappresentanti religiosi musulmani e cristiani di Homs si sono incontrati con i leader locali del Baath per scongiurare nuove proteste anti-governative. Il premier Adel Safar ha formato il nuovo esecutivo, con la sostituzione dei ministri degli interni, della giustizia e delle finanze. Al-Assad ha ordinato il rilascio di tutti i detenuti arrestati nel corso delle manifestazioni dei giorni scorsi, eccetto quelli che hanno commesso "crimini contro la nazione e contro l'umanita' ". Trecento persone sono scese in piazza nella citta' di Sweida, cuore dell'etnia drusa, circa 100 km a sud est di Damasco.

15 aprile: le proteste proseguono a Homs, Daraa e in molte città siriane nonostante l’amnistia. Un poliziotto ucciso a Homs con pietre e bastoni.

16 aprile: La tv di Stato di Damasco ha accusato il partito 'Movimento del Futuro' dell'ex premier libanese, Saad Hariri, di minare la stabilità della Siria e di interferire nelle proteste. Nel discorso pronunciato di fronte al nuovo governo di Damasco, al-Assad ha manifestato cordoglio per i siriani morti durante le manifestazioni ed annuncia la revoca entro una settimana al massimo dello stato d’emergenza.

17 aprile: nonostante le promesse del Presidente, continuano le proteste con undici morti e ulteriori feriti a Homs e Talbisa, manifestazioni ad Aleppo, Ladhiqiya e Damasco.

18 aprile: il Washington Post, citando dispacci diplomatici il cui contenuto e' stato rivelato da Wikileaks, afferma che Il Dipartimento di Stato americano ha finanziato segretamente gruppi politici di opposizione siriani e progetti ad essi collegati, quali l'emittente satellitare con sede a Londra 'Barada TV'. Intanto Hezbollah esprime il proprio sostegno al presidente siriano, Bashar al-Assad. Altre proteste sono avvenute a Deraa, citta' meridionale simbolo della contestazione al regime, e a Jisr al-Shoughour, nel nord-ovest, dove un gruppo di 1500 dimostranti ha bloccato la strada che conduce ad Aleppo.

19 aprile:  non si placano le proteste in Siria,  tanto ad Homs, con altri quattro morti, quanto nella citta' settentrionale di Banyas. Il governo siriano ha parlato di insurrezione armata che non sara' tollerata, vietando quindi tutte le manifestazioni. Ad Homs sarebbero rimasti uccisi anche 3 ufficiali dell’esercito e 3 bambini da forze armate salafite come sostenuto dal governo. Quest’ultimo ha annunciato ufficialmente un disegno di legge per la revoca dello Stato di emergenza, che è in vigore nel Paese mediorientale dal 1963, l'abolizione della Corte di sicurezza dello Stato e un progetto di legge che regolerà il diritto a manifestare.

20 aprile: le proteste non si placano neppure nella notte, quando le autorita' siriane hanno arrestato a Homs Mahmoud Issa, noto attivista e figura di spicco dell'opposizione. In giornata migliaia di siriani sono tornati in piazza in varie citta' del Paese, mentre le forze di sicurezza hanno arrestato decine di studenti radunatisi nei pressi dell'universita' di Aleppo. A Banias gli attivisti denunciano la morte di almeno otto manifestanti, uccisi da agenti in borghese. L'opposizione convoca per il giorno 22 una manifestazione oceanica.

21 aprile: il presidente siriano ha nominato Ghassan Mustafa Abdelaal nuovo governatore di Homs.A Homs alcuni cittadini denunciano le varie chiamate al Jihad (Guerra santa) da parte di bande armate che sono ricollegabili alla corrente salafita. Circa 150 studenti hanno organizzato un sit-in nella città di Hassaké, a circa 600 chilometri a nord est di Damasco, in solidarietà con i manifestanti nelle altre regioni siriane. La tv di Stato ha precisato che Assad ha firmato i tre progetti legislativi approvati martedi' scorso dal nuovo governo siriano e riguardanti l'abrogazione dello stato d'emergenza, lo scioglimento della Corte suprema per la sicurezza dello Stato (tribunale speciale) e la concessione del diritto di manifestazione pacifica. Almeno due siriani sono rimasti feriti da spari di arma da fuoco esplosi dalle forze di sicurezza a Daraya, sobborgo meridionale di Damasco.

22 aprile: per la prima volta dall'inizio delle proteste, la piattaforma di attivisti e dissidenti che a livello locale organizza la mobilitazione emette un comunicato congiunto in cui si chiede la fine del monopolio del Baath e l'instaurazione di un sistema politico democratico. Il bilancio finale della giornata sarà di almeno 112 morti.

23 aprile: il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, condanna la repressione e richiede un'indagine "indipendente e trasparente" sulle uccisioni di manifestanti. Due deputati si dimettono, seguiti anche dal mufti di Daraa, prima autorita' religiosa sunnita del Paese, per esprimere pubblicamente il dissenso con la politica del regime.

25 aprile: almeno venticinque altri morti a Daraa a causa di un raid di 3.000 soldati, entrati in città per catturare dei gruppi estremisti e terroristi, come hanno dichiarato. Le autorita' di Damasco hanno chiuso il confine con la Giordania, nei pressi della citta' di Daraa. Almeno 500 i manifestanti arrestati.

26 aprile: l'esercito siriano apre il fuoco anche a Douma, sobborgo di Damasco. Gli Stati Uniti ordinano una parziale evacuazione della loro rappresentanza diplomatica in Siria. A Daraa la situazione peggiora sempre più, tanto da richiedere la necessità di un cessate il fuoco umanitario di almeno due ore per poter rifornire la citta' di medicine, acqua, latte per i bambini, sangue per le trasfusioni.

27 aprile: le autorità siriane riferiscono l'arresto di due diverse cellule terroriste estremiste nel sud del Paese e nella regione costiera a nord-ovest di Damasco, a Daraa e Jabla. Tre soldati siriani sono stati uccisi e 15 feriti da un gruppo terrorista estremista mentre erano appostati su una strada in direzione delle Alture occupate del Golan. L’Italia convoca l'ambasciatore siriano a Roma, Khaddour Hasan, nel quadro di un'azione coordinata con Gran Bretagna, Germania, Francia e Spagna. Intanto l'esercito invia carri armati e l’aviazione a Daraa. Oltre duecento membri del partito al potere Baath hanno annunciato le proprie dimissioni per protestare contro "le pratiche dei servizi di sicurezza".

28 aprile: notte di violenze a Talkah, città del governatorato di Homs, nella Siria occidentale, con almeno un morto; due morti a Madaya. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu non riesce a raggiungere un accordo su un documento di condanna per la repressione delle manifestazioni di protesta. Il ministro per l'informazione di Damasco ha affermtao che a Daraa l'esercito e' intervenuto su richiesta della popolazione per ristabilire l'ordine. I Fratelli musulmani lanciano in serata un appello per un venerdì di mobilitazione in tutta la Siria il giorno successivo.

29 aprile: nuove proteste contro il presidente Bashar al-Assad e la sua amministrazione al termine delle preghiere del venerdi', anche nella zona nordest del Paese, nella citta' di Qamishli e nella cittadina di Amuda. Ad Homs, diversi imam, che nei giorni scorsi hanno espresso solidarieta' nei confronti della mobilitazione popolare contro il presidente Bashar al-Assad, sarebbero stati posti agli arresti domiciliari. I Fratelli Musulmani hanno accusato il regime di commettere un genocidio. Intanto l’esercito raffroza la sua presenza lungo i confini con Giordania e Libano. Almeno altri sessantadue morti in tutto il Paese.

30 aprile: nuove truppe inviate a Daraa, con 20 carri armati che distruggono numerose abitazioni. Circa 100 sostenitori del presidente siriano Bashar al-Assad si sono radunati davanti alla sede di Damasco della rete satellitare Al-Jazeera, accusandola di appoggiare il movimento di opposizione in Siria.

1 maggio: le forze siriane arrestano due esponenti dell'opposizione curda nella città di Qamishli, nel nord est del Paese, i quali avevano esortato a manifestare in favore della democrazia. Arrestato a Raqqa, nell'est del paese anche un noto avvocato siriano attivo nel campo della difesa dei diritti umani, Abdallah Khalil.

A Daraa dieci persone sono state uccise e 499 arrestate in un raid porta a porta.

15 maggio: in occasione della commemorazione della “Nakba” (catastrofe: termine con il quale i palestinesi ricordano la dichiarazione di indipendenza di Israele e la prima guerra arabo-israeliana), decine di migliaia di palestinesi manifestano al confine tra Israele e Libano

1° giugno: dopo che le proteste e le repressioni sono proseguite per tutto il mese di maggio, il presidente Assad annuncia un’aministia generale per tutti i reati politici commessi prima del 31 maggio 2011.

6 giugno: iniziano gli scontri nella città settentrionale di Jisr al-Shugour: secondo alcune fonti, gli scontri sarebbero stati originati da militari siriani che avrebbero aperto il fuoco sui partecipanti ai funerali di sei morti nel corso delle manifestazioni del venerdì precedente. Secondo fonti militari siriane nella città si sarebbe invece verificata un’insurrezione armata. Effettivamente, le forze di sicurezza siriane impiegheranno fino al 13 giugno per occupare la città, impiegando elicotteri e 700 carri armati ed incontrando una resistenza armata; circa 7000 persone fuggono verso la vicina Turchia

Nella medesima giornata del 6 giugno forze di sicurezza israeliane avrebbero causato la morte di almeno 23 manifestanti palestinesi e siriani, partecipanti alla manifestazione di protesta al confine sul Golan in occasione dell’anniversario della vittoria israeliana nella guerra dei Sei giorni.



 

Indicatori internazionali sul paese:[1]

Libertà politiche e civili: “Stato non libero”; diritti politici:7 libertà civili:6 (Freedom House); “regime autoritario”, 152 su 167 (Economist)

Indice della libertà di stampa: 173 su 178

Libertà di Internet 2009: “filtraggio” pervasivo sulle questioni politiche e gli strumenti di internet, selettivo per i temi sociali e quelli legati ai conflitti e alla sicurezza (OpenNet Initiative)

Libertà religiosa: limitazioni alla libertà religiosa (ACS); riconoscimento formale ma restrizioni nella pratica (USA)

Libertà economica: 140 su 179 (Heritage Foundation)

Corruzione percepita: 127  su 178

Variazione PIL 2009: + 6  per cento (stima)

Cessate il fuoco in conflitto armato internazionale

 

 

Principali forze di opposizione in Siria

Le forze di opposizione al regime di Assad sono riconducibili a tre aree:

-          quella islamista, rappresentata principalmente dalla fratellanza musulmana siriana (che subì nel 1982 la dura repressione da parte delle forze di sicurezza siriane nella città di Hama, che provocò circa 20.000 vittime); si registra anche la presenza di un movimento islamico per il cambiamento, accusato di un attentato compiuto a Damasco nel 1996;

-          quella laica; tra queste si segnala il raggruppamento democratico nazionale, attivo dal 1980, come cartello di diversi movimenti di opposizione secolare al regime; si registra anche la presenza di un partito di azione comunista marxista leninista;

-          quella riconducibile alla minoranza curda presente nel paese, rappresentata dal partito democratico curdo di Siria.

Tali forze hanno peraltro tentato, nello scorso decennio, di sviluppare forme di aggregazione, sottoscrivendo, nel 2005, la Dichiarazione di Damasco per il cambiamento democratico nazionale e costituendo, nel 2006, il Fronte nazionale di salvezza nonché promuovendo nello stesso anno, la dichiarazione di Beirut-Damasco per il riconoscimento della sovranità libanese. L’aggregazione delle forze di opposizione è tuttavia stata messa in discussione nel 2009 dall’abbandono del Fronte di salvezza nazionale da parte della fratellanza musulmana siriana, come segno di apprezzamento per la posizione del governo di Assad a sostegno di Hamas.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’assetto etnico e religioso siriano[2]

Dal punto di vista etnico, la popolazione siriana (stimata nel 2009 in 20.127.000 persone) è per il 90,3 per cento araba e per il rimanente 9,7 composta da Curdi, Armeni e altri gruppi etnici.

Dal punto di vista religioso, i musulmani sunniti rappresentano circa il 74 per cento della popolazione, altri gruppi musulmani quali gli sciiti, gli alawiti e i drusi rappresentano il 16 per cento; diverse confessioni cristiane il 10 per cento (i greco-ortodossi risultano 700.000 persone; i greco-cattolici 350.000 persone, gli armeni-gregoriani 250.000 persone), mentre è indicata anche la presenza di piccole comunità ebraiche.

Gli alawiti, cui appartiene la famiglia Assad (che però ha governato la Siria con l’ideologia laica panarabista del Baath), rappresentano una ramificazione dell’Islam sciita, dal quale si separarono intorno al IX secolo. La dottrina alawita si caratterizza per una lettura esoterica del Corano ed ha assunto con il tempo un’aura di segretezza, che vieta anche la pubblicazione dei testi sacri. Considerati a lungo apostati dell’Islam (solo nel 1974, successivamente all’ascesa al potere di Hafez Al Assad, un Imam sciita riconobbe agli alawiti lo status di “veri musulmani”), la minoranza emerse come élite dirigente della Siria ai tempi del mandato francese, tra le due guerre mondiali. Gli alawiti risultano divisi in cinque sotto-sette, a loro volta organizzate in clan tribali.

Significativa nella storia siriana (anche se, a differenza degli Alawiti, non ha mai occupato posizioni consistenti di potere) è anche la presenza della minoranza drusa. Anche in questo caso si tratta di un gruppo religioso dalle origini incerte, risalenti all’XI secolo, che si pone fuori sia dall’Islam che dal Cristianesimo, pur considerandosi “corpo annesso” alla Umma (comunità) dei fedeli musulmani. La dottrina drusa, anch’essa di carattere esoterico, accoglie elementi dell’islamismo, del giudaismo, dell’induismo e del cristianesimo, sostenendo la fede in un principio divino, che può svelarsi anche in forma umana, nonché la metempsicosi, vale a dire la trasmigrazione delle anime dopo la morte. Oggetto di numerose persecuzioni nel corso della sua storia, conta oggi circa 700.000 componenti (dal 1043 solo chi è figlio di drusi può essere considerato druso), concentrati soprattutto in Siria e in Libano.

Fonti: The Statesman’s Yearbook 2011, www.ipu.org, www.freedomhouse.org, www.hrw.org, www.icg.org, International Institute for Strategic Studies – Strategic Survey 2010, agenzie di stampa

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Servizio Studi – Analisi dei temi di politica estera nell’ambito dell’Osservatorio di Politica internazionale

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[1]  Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); la condizione della libertà economica come riportata dalla fondazione Heritage la condizione della libertà di Internet come riportata da OpenNet Initiative; il tasso di crescita del PIL come riportato dal Fondo monetario internazionale; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alla nota esplicativa presente in “Le elezioni programmate nel periodo febbraio-aprile 2011” (documentazione e ricerche n. 85, 9 febbraio 2011).

 

[2]  Fonti: A. Pitasso, Siria sviluppi di situazione, Senato della Repubblica – Servizio studi, Servizio rapporti internazionali, contributi di istituti di ricerca specializzati (a cura del Ce.S.I.), settembre 2007; CIA World Factbook