Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Libia
Serie: Schede Paese politico-parlamentare    Numero: 13
Data: 14/06/2011
Descrittori:
LIBIA     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

n. 13 –  14 giugno 2011

Libia                               

 


Il quadro istituzionale

Dal punto di vista della forma di governo, la Grande Jamahiryia (traducibile con “Stato delle masse”) socialista araba del popolo libico,si presenta, a dispetto di una situazione di fatto che vede un controllo pressoché assoluto della vita politica e civile da parte di Muammar Gheddafi, come una sorta di “democrazia diretta”  nella quale tutti i cittadini libici maggiorenni possono partecipare all’attività politica attraverso congressi di base del popolo. Ciascuno di questi congressi designa un comitato del popolo, responsabile degli affari locali. I responsabili dei congressi di base e i componenti dei comitati del popolo costituiscono il Congresso generale del popolo che si riunisce una volta all’anno per circa una settimana. Il congresso generale del popolo nomina un suo segretariato e il Comitato generale del popolo, i cui membri, paragonabili ai ministri di un governo, sono a capo di specifici dipartimenti.

Questa originale struttura istituzionale è stata creata nel 1977, sostituendo il precedente Consiglio di comando rivoluzionario guidato da Gheddafi che, colonnello ventisettenne dell’esercito libico, aveva preso il potere con un colpo di stato nel 1969: essa si presenta come ispirata ai principi della “rivoluzione del 1969”, una sorta di fusione di motivi socialisteggianti, panarabisti ed islamisti, esposti nel libro verde dello stesso Gheddafi.

Per Freedom House la Libia è uno “Stato non libero” e non è una “democrazia elettorale” mentre il Democracy Index 2010 dell’Economist Intelligence Unit la classifica come “regime autoritario” (per ulteriori elementi cfr. infra Indicatori internazionali sul paese). Al riguardo, con riferimento al rispetto delle libertà politiche e civili, fonti indipendenti indicano che la legge libica proibisce la costituzione di gruppi che si oppongano ai “principi della rivoluzione del 1969” e il codice penale punisce con la pena di morte chi aderisca o supporti tali gruppi (nel 2010 si è però registrato il rilascio di 214 prigionieri politici, ancora detenuti nonostante le autorità giudiziarie ne avessero già disposto la liberazione e l’elargizione di compensazioni per detenzioni illegali di alcuni prigionieri); non esistono organizzazioni non governative indipendenti e persistono pesanti limitazioni alla libertà di associazione. La sola organizzazione che è autorizzata a svolgere compiti di monitoraggio sulle violazioni dei diritti umani è la “Società per i diritti umani” della fondazione Gheddafi che è guidata dal  figlio di Gheddafi, Saif al Islam.Per quel che concerne la libertà di stampa, nel quinquennio precedente al 2010 si è registrata una graduale apertura ad un maggiore libertà di dibattito e di discussione, specialmente su Internet. Con riferimento a tale ultimo aspetto, OpenNet Iniziative evidenziava, per l’anno 2009, una situazione di censura selettiva dei siti internet che affrontavano temi politici, mentre non si avevano prove di censure per siti che affrontassero problemi sociali o di sicurezza; il tasso di penetrazione di Internet risultava però nel 2010 ancora basso e pari al 5,1 per cento, anche se la situazione appariva destinata a migliorare con l’introduzione del primo servizio Wimax nel gennaio 2009 (l’unico provider per l’accesso ad Internet risultava comunque quello della compagnia statale Libya Telecom). La situazione della libertà di stampa, però, secondo Human Rights Watch sarebbe tornata a deteriorarsi nel 2010, quando il governo libico avrebbe bloccato l’accesso ad almeno sette siti indipendenti e di opposizione; sospeso le trasmissioni della stazione radio “Good Evening Bengasi”, arrestato brevemente alcuni suoi giornalisti; arrestato almeno 20 giornalisti della Libya Press Agency e sospeso la pubblicazione del periodico “Oea” (sia la Libya Press Agency sia “Oea” sono riconducibili a Saif Al-Islam Gheddafi). Freedom House indica inoltre come già nel 2009 fosse stato nazionalizzato l’unico gruppo editoriale semindipendente, vale a dire quello Al-Ghad anch’esso riconducibile a Saif Al-Islam Gheddafi.

Human Rights Watch indica anche come profilo problematico della realtà libica l’assenza di procedure legali per il riconoscimento dello status di rifugiati agli immigrati presenti sul suolo libico.

Inoltre, sulla realtà libica, continuerebbe a pesare il mancato accertamento delle responsabilità del massacro della prigione di Abu Salim, nel quale morirono nel 1996 circa 1200 persone.  In base alle informazioni disponibili, nel marzo 2010, la maggior parte delle famiglie delle vittime, residenti a Bengasi, hanno rifiutato gli indennizzi offerti in cambio della rinuncia all’azione legale.

La situazione politica e sociale

Muammar Gheddafi (n. 1942) non svolge nessun definito ruolo istituzionale, mentre ricopre la carica di leader della rivoluzione. 

Nel marzo 2010 la carica di segretario del Congresso generale del popolo risulta ricoperta da Mohamed Abdul Quasim Al-Zwai, mentre il Comitato generale del popolo vede, tra gli altri, Al-Baghdadi Al-Mahmoudi come segretario, Mussa Kussa responsabile del dipartimento esteri.

Forte è il peso nella vicenda politica libica della famiglia Gheddafi ed in particolare dei figli del Rais, come testimoniato dal ruolo di Saif Al Islam Gheddafi, che, come sopra richiamato, sembrava aver inaugurato, negli scorsi anni, una fase di relativa apertura del regime.

Con riferimento ad un altro aspetto meritevole di attenzione, anche alla luce degli eventi recenti, le forze armate libiche risultano, in base ai dati del Military Bilance 2010, dell’International Institute for Strategic Studies relativamente piccole rispetto alla quantità di armamenti in loro dotazione: l’esercito è composto di 50.000 unità, metà delle quali sottoposte a coscrizione (la coscrizione varia da uno a due anni); la flotta da 8000 unità; l’aviazione da 18.000 unità. La spesa in armamenti è stata assai rilevante negli anni Settanta e Ottanta per poi declinare negli anni Novanta: ad un’ampia dotazione di provenienza sovietica si affiancano alcuni armamenti di provenienza occidentale come caccia Mirage di costruzione francese e aerei C-130 da trasporto di costruzione USA. Nell’annuario 2010 il SIPRI evidenzia come la Libia si collochi attualmente al 110° posto nella classifica mondiale degli importatori mondiali di armi e le uniche importazioni significativedi armi nel periodo 2005-2009 risulterebbero quelle di elicotteri A-109-K di costruzione italiana per i controlli di frontiera e di missili anti-tank Milan 3 di costruzione francese. A fianco delle forze armate esiste poi la riserva delle milizia del popolo con circa 40.000 persone. 

Per ulteriori elementi in ordine alle forze di opposizione al regime di Gheddafi e all’assetto tribale della società libica si rinvia ai sottostanti box 1 e 2.

Per una cronologia, invece, delle vicende relative al conflitto armato interno libico scoppiato nel febbraio 2011 e all’intervento internazionale armato a protezione della popolazione civile avviato nel marzo 2011 si rinvia invece all’ulteriore documentazione predisposta dal Servizio studi.

 


 


Indicatori internazionali sul paese[1]

Libertà politiche e civili: Stato “non libero”; diritti politici:7  libertà civili:7 (Freedom House); regime autoritario 158 su 167 (Economist)

Indice della libertà di stampa: 160 su 178

Libertà di internet 2009: non vi sono significativi “filtraggi” per quanto riguarda tematiche sociali, legate ai conflitti e sicurezza, nonché per quanto riguarda gli strumenti di internet; vi sono invece filtraggi selettivi sulle questioni politiche (OpenNet Initiative)

Libertà religiosa: assenza di eventi significativi (ACS);rispetto in generale della libertà religiosa sia pure con controllo della vita religiosa organizzata e limitazioni delle attività dei movimenti islamisti (USA)

Libertà economica: 173 su 179 (Heritage Foundation)

Corruzione percepita: 146 su 178

Variazione PIL 2009: - 2,3 per cento


 

Box 1: Principali forze di opposizione al regime libico[2] e il Consiglio nazionale di transizione libico

 

La dura repressione delle forze di opposizione operata dal regime libico ne influenza oggi la loro attuale consistenza, che appariva fino allo scoppio delle rivolte in atto (delle quali rimangono però ancora da interpretare le dinamiche) debole. Dal punto di vista idelogico, le forze di opposizione appaiono riconducibili a tre diverse aree: quella monarchica; quella democratica e quella islamista.

Gran parte dei movimenti di opposizione, inoltre, opera in esilio (dove sono stati in passato raggiunti dagli attacchi e dagli omicidi mirati dei servizi segreti libici; a loro volta esponenti dell’opposizione si sono resi responsabili dell’omicidio di esponenti governativi libici all’estero). Centro dell’emigrazione politica libica risulta in particolare Londra: nella capitale britannica hanno sede l’Alleanza nazionale; il Movimento nazionale libico; il Movimento libico per il cambiamento e la riforma; il Raggruppamento islamista; il Fronte nazionale di salvezza libico e il Raggruppamento repubblicano per la democrazia e la giustizia. Sempre a Londra ha sede il movimento monarchico che sostiene Mohammed Al Sanusi, nipote dell’ultimo re di Libia Idris, deposto da Gheddafi nel 1969. Questi movimenti hanno costituito nel 2005 l’Accordo nazionale, chiedendo le dimissioni di Gheddafi e la costituzione di un governo transitorio. Il ritorno in Libia, tra il 2005 e il 2006, di circa 787 dissidenti in esilio aveva lasciato intravedere la possibilità dell’avvio di un processo di dialogo, successivamente sfumato.

Sul territorio libico opera in condizioni di semiclandestinità la Fratellanza musulmana libica. Centinaia di componenti della Fratellanza sono stati sottoposti ad ondate di arresti, processi e condanne, lungo tutta la durata del regime di Gheddafi, in particolare nel 1973 e nel 1998. Anche nel 2001-2002 due leader eminenti della Fratellanza sono stati condannati a morte e oltre settanta all’ergastolo. Leader attuale della Fratellanza libica è Suleiman Abdel Qadir, che, nel 2005 ad Al Jazeera, ha descritto gli obiettivi della fratellanza come pacifici ed ha richiesto l’abrogazione delle leggi che sopprimono i diritti politici. Nel 2008, sempre ad Al Jazeera, Qadir ha espresso apprezzamento per gli intenti riformatori di Saif Al Islam Gheddafi, che, a sua volta, era apparso rivolgere alcune aperture nei confronti della Fratellanza.

Presente sul territorio libico è anche il Gruppo di combattimento islamico libico, organizzazione islamista armata. Saif Al Islam Gheddafi ha avviato negli scorsi anni un dialogo con i leader in prigione del gruppo, ottenendo nel 2009 alcuni impegni sulla rinuncia alla violenza da parte del movimento. Allo stesso tempo, nel 2007, il leader di Al Qa’ida Ayman Al-Zawahiri ha annunciato la fusione tra il gruppo ed Al Qa’ida, fusione smentita da esponenti del gruppo a Londra.

 

Lo scoppio della rivolta e il Consiglio nazionale di transizione libico

L’effettivo collegamento tra i movimenti di opposizione al regime libico e la rivolta scoppiata a metà di febbraio 2011 appare dubbio. Da fonti di stampa, la ricostruzione più attendibile individua la causa scatenante della rivolta nell’arresto, il 15 febbraio, di Fatih Tarbel, avvocato di Bengasi che aveva assunto la difesa dei parenti dei circa 1.200 deceduti nella repressione della rivolta del carcere di Abu Salim nel 1996 (nel marzo 2010 i parenti delle vittime avevano rifiutato gli indennizzi offerti in cambio della rinuncia all’azione legale; la protesta dei parenti, la maggior parte dei quali di Bengasi, andava avanti dal 2007; al riguardo cfr. box sotto). La protesta per l’arresto aveva coinvolto, a Bengasi, circa 2000 persone già lo stesso 15 febbraio. Inoltre, un gruppo su Facebook, animato da un esule trentenne in Svizzera, Hassan Al Djahmi e chiamato “17 febbraio – il giorno della rabbia”, ha convocato, appunto per il 17 febbraio, una manifestazione di protesta (“giornata della rabbia”) contro il regime libico, raggiungendo oltre 30.000 iscritti in 48 ore. Le manifestazioni del 17 febbraio 2011 avrebbero visto la partecipazione di oltre 100.000 persone e si sono successivamente estese ad altre città della Cirenaica, come Bengasi, Al Bayda, Tobruk, Derna; dalla repressione, che avrebbe causato decine di vittime e visto l’intervento di mercenari africani al soldo del regime libico, si sarebbero rapidamente dissociate, per unirsi ai ribelli, le forze di polizia locali (fornendo in questo modo la ribellione anche di armi). Questo ha condotto alla costituzione, in diverse città della Cirenaica, già tra il 15 e il 21 febbraio, di diversi comitati locali, consigli civici e militari, che avrebbero assunto il controllo delle città cadute in mano alle forze ribelli e organizzato milizie locali di difesa, coordinandosi con le forze dell’ordine e militari passate dalla parte della rivolta. Dopo un’iniziale ambiguità, il 22 febbraio, si è unito alla rivolta, insieme alle sue truppe, Abdel Fattah Younes, comandante per la regione di Bengasi delle forze speciali “Saiqa” e già ministro dell’interno. Younes, divenuto leader del comitato militare di Bengasi, è comunque giudicato da altri esponenti della rivolta come eccessivamente compromesso con il regime di Gheddafi. Intorno al 6 marzo 2011 le forze militari libiche passate dalla parte della rivolta ammonterebbero a circa 12.000 unità.

In questo contesto, è sorto, a coordinare la rivolta e l’attività dei diversi comitati locali (ai quali è rimasta affidata l’amministrazione delle diverse città), a partire da sabato 26 febbraio 2011, il Consiglio transitorio nazionale libico, guidato dall’ex-ministro della giustizia di Gheddafi, passato con i rivoltosi, Mustafa Abdel Jalil. La formazione del consiglio, e in particolare la designazione alla leadership di Jalil è apparsa tormentata. In particolare, già domenica 27 febbraio, la leadership di Jalil, annunciata il giorno prima, è stata messa in discussione da un avvocato dissidente di Bengasi, esponente del comitato locale, Abdel-Hadifiqh Ghoga, autodesignatosi portavoce del consiglio, che avrebbe accusato Jalil di avere un’influenza limitata alla sua città natale di Al Bayda. Il 6 marzo si è giunti ad un accordo sulla composizione del consiglio che ha designato alla presidenza Jalil, e ha confermato Ghoga come portavoce. Il consiglio è poi composto da, oltre al presidente, altri trentadue esponenti. Al 13 giugno[3], solo i nomi di tredici componenti sono stati però resi noti, per tutelare gli altri che si troverebbero in zone sotto il controllo delle forze fedeli a Gheddafi. Tra gli esponenti i cui nomi sono stati resi noti si segnalano personalità legate al regime di Gheddafi come, oltre a Jalil, l’ex-ministro dell’interno Al Obedi. Risultano però presenti anche esponenti della, peraltro assai debole, borghesia delle professioni libica, emersi alla guida del comitato locale di Bengasi, come il professore di scienze politiche Fathi Mohammed Baja, e Ahmed Al-Abaar, dirigente di una banca agricola, e dissidenti del regime, come l’avvocato Fethi Terbil, dal cui arresto le proteste di Bengasi hanno avuto inizio, e l’ex prigioniero politico El-Sharif. A fianco del consiglio, chiamato a svolgere anche funzioni “legislative”, è presente un governo provvisorio guidato da Mahmoud Jabril, già capo dell’ufficio libico per lo sviluppo economico, incaricato negli scorsi anni di porre in essere le programmate politiche di liberalizzazione economica del regime libico. Vice capo dell’esecutivo è l’ex-ambasciatore libico in India Ali al-Assawi, già responsabile, in una prima fase, degli affari esteri degli insorti (responsabilità ora assunta direttamente da Jabril). Nell’ambito dell’esecutivo, ad un altro ex-prigioniero politico, Omar Al Hariri, per oltre 20 anni rinchiuso nelle carceri del regime libico, e in precedenza comandante dell’esercito a Tobruk, è stata affidata la responsabilità degli affari militari . La designazione di Al Hariri ha peraltro determinato uno strisciante contrasto con il già ricordato generale Younes, che comunque eserciterebbe di fatto il comando delle forze ribelli  ed è stato nominato comandante delle “Forze armate della Libia libera”.

Il consiglio transitorio nazionale ha dichiarato il proprio impegno per il mantenimento dell’unità nazionale libica: risulterebbe inoltre allo studio la costituzione di un “parlamento transitorio”, in attesa di poter convocare libere elezioni su tutto il territorio libico; tale parlamento risulterebbe composto da cinque rappresentanti per ciascuna delle principali tribù della Libia; la rappresentanza paritaria è stata però rifiutata dai rappresentanti delle tribù più grandi, mentre la determinazione di un criterio di rappresentanza proporzionale tra le tribù in questa fase appare non facilmente perseguibile. Peraltro, nel corso della rivolta, è stato anche costituito un comitato per il dialogo, composto da rappresentanti delle tribù, che ha proposto, il 14 marzo 2011, una mediazione tra le parti in conflitto .


 

Box 2: L’assetto tribale della società libica

 

La società libica appare ancora oggi fortemente influenzata dai legami di clan e tribali. In attesa di ulteriori approfondimenti, si rileva che in una prima fase nella rivolta contro Gheddafi sono apparse coinvolte le tribù del Gebel, zona non distante da Tripoli ed in particolare gli Orfella, gli Zintan, i Roseban, che già contrastarono l’invasione italiana del 1911. A contribuire alla disaffezione delle tribù nei confronti di Gheddafi sarebbero stati anche i contrasti sulla ripartizione della rendita dei proventi petroliferi, che, peraltro, negli anni 2008-2009 hanno subito una restrizione a causa della crisi economica internazionale .

Tra le altre tribù coinvolte inizialmente si segnalano anche i Warfala, i Rojahan, i Risina, i al Farjane, nella zona occidentale del Paese e gli al Zuwayya nel deserto orientale. Successivamente molte tribù hanno assunto una posizione maggiormente attendista, alcune spaccandosi al loro interno: è successo ad esempio alla più numerosa tribù del paese, i Warfalla che comunque appaiono prevalentemente schierati con il governo di Gheddafi.

In Cirenaica, la zona orientale del paese, con capoluogo Bengasi, appare invece ancora esercitare una forte influenza la tradizione senussa: i senussi sono una confraternita di revival islamico di orientamento sufi sorta alla fine del ‘700 che assunse rapidamente il controllo de facto della Cirenaica. Animatori dell’insurrezione antitaliana nel periodo coloniale, con il loro leader Omar Al Muktar, si schierarono successivamente, durante la seconda guerra mondiale, in funzione antitaliana a fianco dei britannici. Senusso era il re Idris, insediatosi al potere dopo la seconda guerra mondiale.

 

 

 

Fonti: The Statesman’s Yearbook 2011, Unione interparlamentare, Freedom House, Human Rights Watch, Arab Reform Bulletin –Carnegie endowment for international peace, Brookings Institution, Economist Intelligence Unit, Ansa.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Servizio Studi – Analisi dei temi di politica estera nell’ambito dell’Osservatorio di Politica internazionale

( 06 6760-4939 – *st_affari_esteri@camera.it

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file: es0934paese.doc

 



[1]Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); la condizione della libertà economica come riportata dalla fondazione Heritage la condizione della libertà di Internet come riportata da OpenNet Initiative; il tasso di crescita del PIL come riportato dal Fondo monetario internazionale; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alla nota esplicativa presente in “Le elezioni programmate nel periodo febbraio-aprile 2011” (documentazione e ricerche n. 85, 9 febbraio 2011).

[2] Fonte: Congressional Research Service, Libya: Background and US relations (16 luglio 2010), in www.opencrs.com

 

 

[3]    Le informazioni sono reperibili nel sito del consiglio: www.ntclibya.org