Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Iraq
Serie: Schede Paese politico-parlamentare    Numero: 19
Data: 14/06/2011
Descrittori:
IRAQ     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

Casella di testo: SCHEDA PAESE
politico-parlamentare

 


n. 19 –  14 giugno 2011

Iraq                                      

 


Il quadro istituzionale

Dal punto di vista della forma di Stato, in base alla nuova Costituzione del 2005, l’Iraq è una “repubblica democratica, federale, rappresentativa e multietnica”. L’Islam è la religione ufficiale dello Stato e il diritto islamico è la fonte della legislazione.

Dal punto di vista della forma di governo, l’Iraq è una repubblica parlamentare. Il potere legislativo è esercitato dal Consiglio dei rappresentanti, composto da 325 deputati (fino al 2010 275) eletti per quattro anni con sistema proporzionale (318 deputati sono eletti con sistema proporzionale nelle circoscrizioni plurinominali corrispondenti ai 18 governatorati, mentre i rimanenti 7 sono ripartiti secondo i risultati nazionali delle diverse liste). La Costituzione del 2005 prevede anche una seconda Camera, il Consiglio federale, chiamato a rappresentare gli interessi delle province, le cui modalità di elezione non sono state però ancora definite. Il Consiglio dei rappresentanti elegge il Presidente della Repubblica e i due vicepresidenti, mentre il primo ministro è nominato dal Presidente della repubblica, su indicazione della coalizione di partiti maggioritaria nel Consiglio dei rappresentanti e deve ricevere, insieme al governo, la fiducia dell’Assemblea.

Per Freedom House, l’Iraq è uno “Stato non libero”, non ancora in possesso dello status di “democrazia elettorale”, mentre il Democracy Index 2010 dell’Economist Intelligence Unit lo definisce “regime ibrido”.

Per quanto concerne le condizioni di concreto esercizio delle libertà politiche e civili, La libertà di assemblea e di associazione sono riconosciute dalla costituzione fatto salvo il caso di violazione “dell’ordine pubblico e della moralità”; tale libertà è generalmente riconosciuta nella pratica, anche se le condizioni di sicurezza non sempre garantiscono l’ordinario svolgimento della vita associativa. Per quanto concerne la libertà di stampa, osservatori internazionali evidenziano significative interferenze delle autorità nei media, in particolare a seguito dell’approvazione nel 2006 della norma che persegue penalmente le offese ai pubblici ufficiali, la cui interpretazione estensiva ha favorito il notevole incremento di procedimenti legali contro i mezzi di comunicazione.L’Iraq non dispone di un sistema di filtraggio nazionale per quanto riguarda I siti web. Tuttavia, il governo ha annunciato dei piani per bloccare contenuti “immorali”, controllare le attività in rete e regolare gli Internet cafè.

La Costituzione garantisce la libertà religiosa, anche se le continue violenze in varie zone del Paese hanno avuto un impatto negativo sull’effettiva libertà di culto.

 

La situazione politica-sociale

A seguito delle elezioni svoltesi nel marzo 2010, dopo lunghe trattative, l’Assemblea nazionale, tra novembre e dicembre 2010, ha confermato Presidente della Repubblica l’esponente politico curdo Jalal Talabani (n. 1933), già presidente dal 2005, e primo ministro l’esponente sciita Nouri Al Maliki (n. 1950), già primo ministro dal 2005. Maliki è alla guida di un governo di unità nazionale, sostenuto tra gli altri dalle due principali coalizioni politiche, il blocco “Iraqiyya” dell’ex-primo ministro Allawi, sciita ma sostenuto da larga parte della popolazione sunnita, che alle elezioni aveva ottenuto la maggioranza relativa dei seggi (91) e il blocco “Stato di diritto” dello stesso Maliki, che si era fermato a 89 seggi, nonché dall’altro blocco sciita, l’alleanza nazionale irachena, al cui interno era presente anche il movimento del leader filo-iraniano Moqtada Al Sadr. La formazione del governo è stata a lungo impedita dal contrasto tra Maliki e Allawi. Quando nell’ottobre scorso si era andata profilando, grazie all’intervento iraniano, la formazione di un governo Maliki sostenuto anche dall’Alleanza nazionale irachena, e quindi con un peso determinante dei deputati vicini a al-Sadr, l’intervento degli USA, agevolati anche dalla mediazione operata dal leader politico curdo Barzani, ha contribuito al raggiungimento dell’intesa tra Maliki e Allawi; in base all’accordo, nel governo, che conta ben 42 membri, al partito di Maliki sono stati attribuiti anche i ministeri della difesa, dell’interno e della sicurezza nazionale; a quello di Allawi dieci ministeri, mentre ad al Sadr appaiono riconducibili otto ministri, ministro degli esteri è stato confermato l’esponente curdo Zebari. Nuove nomine ministeriali sono state effettuate nel mese di febbraio (cfr. infra) L’accordo prevedeva anche l’istituzione di un consiglio nazionale per le politiche strategiche, la cui guida doveva essere affidata ad Allawi o a un altro esponente del suo partito, ancora non costituito (sulle forze politiche partecipanti alle elezioni del 2010 cfr. sotto box 1).

Nel quadro delle proteste in corso in Nord-Africa e Medio Oriente, la posizione dell’Iraq risulta peculiare in quanto il paese, superata la fase più cruenta del conflitto armato interno seguito all’intervento di USA e Gran Bretagna nel 2003 (come dimostrano i grafici 1 e 2 infra), è stato fin qui solo marginalmente toccato dagli eventi in corso, mentre è ancora in evoluzione l’opera di consolidamento istituzionale interno, testimoniata dal dibattito sull’attuazione dell’assetto federale dello Stato (al riguardo cfr. sotto box 2). A fare la differenza rispetto agli altri stati della regione è peraltro l’esistenza, in Iraq, di un processo elettorale democratico, per quanto ancora in difficile sviluppo.

In questo contesto, e in un quadro ancora deteriorato, come testimoniato dall’attacco terroristico alla chiesa siro-cristiana di Baghdad dello scorso 31 ottobre, che ha provocato oltre cinquanta morti, si sono comunque verificate a partire dallo scorso mese di febbraio alcune manifestazioni di protesta, miranti in particolare a denunciare la diffusa corruzione. Di seguito si riporta una sintetica cronologia degli ultimi eventi:

5 gennaio: Moqtada al Sadr rientra in Iraq dall’Iran, dove aveva trascorso gli ultimi mesi; farà ritorno in Iran il 22 gennaio, per rientrare in Iraq a metà febbraio in coincidenza con le prime proteste popolari;

5 febbraio: Il Premier Al Maliki annuncia la sua intenzione di non candidarsi per un terzo mandato, aggiungendo che spera di modificare la Costituzione per fissare un limite di due mandati per il ruolo di primo ministro.

6 febbraio: dimostrazioni popolari di protesta in molte città, attribuiti da molte fonti alle difficoltà di approvvigionamento elettrico

13 febbraio: un tecnico, Radd Shallah, è nominato ministro dell’elettricità e dell’energia

15 febbraio: l’ex-segretario di Stato USA Powell chiede l’apertura di un’inchiesta a seguito delle rivelazioni di un ex-dissidente iracheno, al Janabi, che al “The Guardian” ha dichiarato di aver deliberatamente mentito ai servizi segreti occidentali sul possesso da parte di Saddam Hussein di armi di distruzione di massa

25 febbraio: manifestazioni e proteste della popolazione in seguito alla condizione di alta corruzione avvertita nel Paese. Il Premier Al Maliki ha dato 100 giorni di tempo al proprio esecutivo per dare un segnale significativo al riguardo.

4 marzo: migliaia di iracheni scendono in piazza a Baghdad e a Bassora per chiedere al governo sciita di aumentare salari, combattere la corruzione e assicurare servizi essenziali ai cittadini.

16 marzo: appello dell’Ayatollah Al Sistani, guida spirituale degli sciiti iracheni, alle autorità del Bahrein affinché sospendano ogni violenza sui manifestanti sciiti.

19 marzo: diverse migliaia di sciiti iracheni sono tornati a manifestare nel sud dell’Iraq contro la repressione delle proteste sciite in Bahrain e l’invio di truppe saudite a Manama. A Bassora, hanno sfilato circa 5 mila manifestanti. La manifestazione è stata indetta dal partito Daawa, di cui fa parte l’attuale premier Al Maliki, del Supremo consiglio islamico iracheno (ISCI), guidato dalla famiglia Hakim vicina a Teheran e da altre formazioni sciite irachene. Il Parlamento ha deciso di sospendere i lavori in segno di dissenso contro l’uso della forza da parte dei vicini paesi del Golfo.

28 marzo: visita dell’ambasciatore turco Erdogan a Baghdad, finalizzata a rafforzare i rapporti politici ed economici tra i due paesi. Particolare attenzione è stata data alla questione del PKK curdo.

29 marzo: annunci e smentite circa su un possibile nuovo esecutivo iracheno. Intanto, il Consiglio Supremo Islamico dell’Iraq ha reso noto che sta valutando l’ipotesi di passare all’opposizione.

31 marzo: Al Maliki, primo ministro iracheno, ha fornito oggi, in un incontro con i capi tribù della cittadina di Tal Afar, tra le aree più colpite dagli scontri con Al Qaeda, una stima sulle morti avvenute dal 2003 a oggi. Secondo tale dato, le vittime sarebbero 66200.

7 aprile: il segretario alla Difesa statunitense Robert Gates, in visita in Iraq, sottolinea i progressi "straordinari" compiuti nel Paese, rilevando come la democrazia irachena possa rappresentare un esempio per i popoli che si sono sollevati nel mondo arabo.

8 aprile: migliaia di iracheni sono scesi in piazza lanciando slogan contro il governo americano, in contemporanea con la visita a Baghdad del segretario alla Difesa Usa, Robert Gates.

12 aprile: I Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo chiedono la cancellazione del vertice della Lega Araba previsto a Baghdad per l’11 maggio, in seguito alle dichiarazioni del  primo ministro iracheno che si era mostrato contrario all'invio di soldati in Bahrain da parte dei Paesi del Golfo.

17-19 aprile: almeno 98 persone rimangono ferite, sette delle quali da colpi d'arma da fuoco, durante scontri avvenuti oggi nel Kurdistan iracheno, nella città di Suleimaniya, dove molte persone si erano radunate per protestare contro il governo autonomo regionale curdo.

26 aprile: a Mosul sciopero generale indetto dal consiglio provinciale della zona di Ninve, nel nord dell'Iraq, contro la repressione attuata dalle forze della sicurezza locali, controllate dal governo centrale di Baghdad, nei confronti di una manifestazione organizzata ieri in città. I manifestanti erano scesi in piazza per protestare contro la presenza delle truppe statunitensi in Iraq.

30 aprile: il parlamento iracheno ha approvato il pagamento di un risarcimento complessivo di 400 milioni di dollari ai cittadini americani che furono presi in ostaggio dal regime di Saddam Hussein allo scoppio della prima guerra del Golfo nel 1990.

3 maggio: l'Iraq propone la creazione di un'organizzazione regionale per la sicurezza' per garantire la stabilità nella regione.

11 maggio: il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki propone lo svolgimento di una riunione tra tutti i movimenti politici del Paese per decidere un'eventuale richiesta di estensione della presenza militare americana, che dovrebbe concludersi il 31 dicembre.

12 maggio: dopo oltre cinque mesi il Parlamento iracheno ha eletto i tre vicepresidenti del Paese, che lavoreranno a fianco del presidente Jalal Talabani. Si tratta di Tareq Hashemi, del blocco Iraqiya di Iyad Allawi, di Adel Abdel Mahdi, del Consiglio Supremo Islamico, e di Khudayr al-Khuzaie, della coalizione Stato di Diritto del premier Nouri al-Maliki.

20 maggio: venerdì di proteste nel paese. Centinaia di manifestanti hanno chiesto di porre fine al pagamento degli indennizzi finanziari, corrisposti dall'Iraq al Kuwait come sanzione per l'invasione e la successiva guerra del Golfo del 1991. Tra le richieste della folla anche la liberazione dei detenuti politici e maggiore contrasto alla corruzione.

26 maggio: è stato ucciso a Baghdad un politico iracheno che guidava il comitato incaricato di epurare membri del Baath, il disciolto partito unico di Saddam Hussein, dalla vita politica irachena.

30 maggio: si dimette Adel Abdul Mahdi, uno dei tre vicepresidenti dell'Iraq nominati questo mese dopo 5 mesi di stallo.

 


 

Indicatori internazionali sul paese[1]

Libertà politiche e civili: “Stato non libero”, diritti politici: 5  libertà civili: 6 (Freedom House); “regime ibrido” 111 su 167 (Economist)

Indice della libertà di stampa: 145  su 178

Libertà di internet 2009: assenza di alcun filtraggio (OpenNet Initiative)

Libertà religiosa: limitazione della libertà religiosa (ACS); Islam religione di stato, minacce alle religioni minori(USA)

Libertà economica:  // (Heritage Foundation)

Corruzione percepita: 175  su 178

Variazione PIL 2009: 4,2 per cento circa

Conflitto armato interno in corso (2010)

 


Risultati elezioni Consiglio dei rappresentanti iracheno (marzo 2010)

 

 

Partito

Seggi

Coalizione “Iraqiyya” (Allawi)

91

Coalizione “Stato di diritto” (Maliki)

89

Alleanza nazionale irachena

(di cui: sadristi:

70

40)

Alleanza del Kurdistan

43

Alleanza unita dell’Iraq (Bolani)

4

Intesa irachena (al-Samarrai)

6

Altri movimenti curdi

14

 

 

Box 1: Principali forze politiche irachene  alle elezioni politiche del 2010[2]

Coalizione “Stato di diritto”: guidata dal primo ministro al Maliki e dal suo partito “Dawa  e formata da altri movimenti politici sciiti; ha, tra l’altro, assunto una posizione molto critica nei confronti della reintegrazione nella vita civile degli esponenti del partito Baath, escludendo anche la loro candidatura alle elezioni (secondo i critici esplicitando così una pregiudiziale antisunnita).

Iraqyyia: coalizione di movimenti formata nell’ottobre 2009 dall’ex-primo ministro Iyad Allawi, sciita; la coalizione include però anche movimenti politici sunniti, come il fronte iracheno per il dialogo nazionale,  guidato da Saleh al-Mutlaq. Proprio la candidatura di Mutlaq, insieme a quelle di un altro esponente politico sunnita, è stata impedita dalla Commissione “giustizia e responsabilità” (in precedenza commissione per la “debaathificazione”) per i supposti legami con il partito Baath , fuori legge

Alleanza nazionale irachena: coalizione di movimenti politici sciiti ostili a al-Maliki. Include l’ISCI il supremo consiglio islamico iracheno di al-Hakim, il congresso nazionale iracheno di Ahmed Chalabi e il movimento di Moqtada al-Sadr. L’Alleanza è considerata vicina, in assenza però di un appoggio esplicito, all’Ayatollah al-Sistani.

Alleanza del Kurdistan: lista unitaria dei due principali movimenti politici curdi, l’Unione patriottica del Kurdistan (PUK) del presidente iracheno Talabani e il partito democratico del Kurdistan (PDK) di Masoud Barzani, presidente del governo regionale del Kurdistan.

Alleanza unita dell’Iraq, guidata da Jawad Bolani, già ministro dell’interno, per un breve periodo seguace di al Sadr; si tratta tuttavia di una lista multietnica e multiconfessionale, includente anche personalità riconducibili al movimento del risveglio sunnita della provincia di Anbar, che contribuì, alienando le simpatie della popolazione sunnita all’insorgenza in quella provincia, al successo del surge del 2007.

Intesa irachena: coalizione di movimenti politici sunniti guidata dall’esponente politico sunnita al-Samarrai, già presidente del parlamento irakeno.


 

Box 2: L’attuazione del federalismo in Iraq – Il contenzioso con la regione autonoma del Kurdistan[3]

L’assetto istituzionale del nuovo Stato iracheno rimane ancora non completato a causa della mancata attuazione del federalismo previsto dalla Costituzione, così come testimonia anche la mancata elezione del Consiglio federale (cfr. supra). All’origine dello stallo vi sono in particolare le tensioni con il governo regionale del Kurdistan guidato da Masoud Barzani, leader del partito democratico del Kurdistan. Il governo regionale curdo, che ha goduto di un’indipendenza di fatto dal regime iracheno di Saddam Hussein, a partire dall’istituzione della No Fly Zone a protezione della popolazione civile nella primavera del 1991, al termine della prima guerra del golfo, rivendica il controllo della provincia di Tamin, che include la città etnicamente mista (vi è presente anche in misura significativa l’etnia dei Turcomanni) e ricca di giacimenti petroliferi di Kirkuk. Lo status della città di Kirkuk doveva essere deciso con un referendum ai sensi dell’articolo 140 della nuova Costituzione irachena del 2005, referendum che tuttavia è stato ripetutamente rinviato (non vi è in particolare accordo sul censimento degli aventi diritto al voto, e in particolare sui criteri per determinare il requisito della residenza in città). Il contenzioso tra il governo centrale e la regione del Kurdistan ha determinato, alla fine del 2009, il blocco delle esportazioni petrolifere da quella regione, a causa del dissidio tra governo centrale e regionale su chi dovesse incassare i pagamenti degli investitori stranieri nel settore. In questo contesto, il sostegno dei movimenti politici curdi al governo al-Maliki formatosi alla fine del 2010 è stato condizionato a diciannove richieste, comprendenti l’inclusione di Kirkuk nella regione del Kurdistan e l’individuazione di una soluzione legislativa alla disputa sulle rendite petrolifere. In questo quadro, nel gennaio 2011, è stata raggiunta una prima intesa che ha consentito di reimmettere il petrolio curdo negli oleodotti iracheni, superando il blocco del 2009

 


 

 

 

Fonti: The Statesman’s Yearbook 2011, Unione interparlamentare, Freedom House, Human Rights Watch, Arab Reform Bulletin –Carnegie endowment for international peace, Brookings Institution, Economist Intelligence Unit, Agenzie di stampa


Grafico 1

Stima delle vittime civili irachene dal maggio 2003 ad oggi[4]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Grafico 2

Numero di attacchi contro le truppe straniere e le truppe regolari irachene dal 2003 al luglio 2010[i]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 



[1]Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); la condizione della libertà economica come riportata dalla fondazione Heritage la condizione della libertà di Internet come riportata da OpenNet Initiative; il tasso di crescita del PIL come riportato dal Fondo monetario internazionale; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alla nota esplicativa presente in “Le elezioni programmate nel periodo febbraio-aprile 2011” (documentazione e ricerche n. 85, 9 febbraio 2011).

[2]    Fonte: Congressional Research Service, Iraq, Politics, Elections and Benchmarks, 1° marzo 2011

[3]    Cfr. Anche International Crisis Group, Iraq and the Kurds: Confronting Withdrawal Fears (28 marzo 2011)

[4]   Fonte Brookings Institution, Iraq Index 25 febbraio 2011



[i]   Fonte Brookings Institution, Iraq Index 25 febbraio 2011

 

 

 

Servizio Studi – Analisi dei temi di politica estera nell’ambito dell’Osservatorio di Politica internazionale

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