Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Altri Autori: Servizio Rapporti Internazionali
Titolo: Partecipazione alla 66ma Sessione dell'Assemblea generale dell'ONU - (New York, 19-23 settembre 2011)
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 271
Data: 16/09/2011
Descrittori:
ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE ( ONU )     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Partecipazione alla 66ma Sessione dell’Assemblea generale dell’ONU

 

(New York, 19-23 settembre 2011)

 

 

 

 

 

 

n. 271

 

 

 

16 settembre 2011

 


Servizi responsabilI:

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4939 / 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

Hanno collaborato:

Servizio Rapporti internazionali

( 066760-3948 / 066760-9515 – * cdrin1i@camera.it

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: es0888.doc

 


INDICE

Agenda dei lavori

Partecipazione della Delegazione di osservatori parlamentari alla 66ma Assemblea generale  delle Nazioni Unite (New York, 19-23 settembre 2011)3

Focus tematici

Recenti sviluppi del processo di pace in Medio Oriente  9

La questione del riconoscimento della Palestina come Stato membro dell’ONU: aspetti di diritto internazionale  25

Il processo di riforma delle Nazioni Unite  35

Il Rapporto 2011 sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio  49

La situazione umanitari nel Corno d’Africa: il dibattito parlamentare  57

Le iniziative internazionali per la lotta alle mutilazioni genitali femminili61

Lo status dei funzionari italiani dipendenti da organizzazioni internazionali69

La cooperazione parlamentare in ambito ONU (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)73

La partecipazione di parlamentari italiani alle  Conferenze in ambito ONU (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)76

Le relazioni tra l’Unione interparlamentare e le Nazioni Unite (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)79

Schede paese

Iran: quadro politico interno ed indirizzi di politica estera (a cura del Ministero degli Affari esteri)87

POLITICA INTERNA  87

§      Assetto istituzionale  88

§      Sviluppi della situazione politica interna  90

§      La “primavera araba” e l’Iran  93

§      Diritti Umani94

POLITICA ESTERA  96

§      Area africana  96

§      Area americana  97

§      Area asiatica  98

§      Area del Golfo e del Medio Oriente  98

§      Area europea  101

RELAZIONI CON LE ORGANIZZAZIONI INTERNAIZONALI102

§      Banca Mondiale  102

§      Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC)102

§      Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)102

§      Unione Europea (UE)104

RAPPORTI BILATERALI104

§      Relazioni politiche  104

§      Relazioni economiche, finanziarie e commerciali108

§      Cooperazione allo sviluppo  111

§      Relazioni culturali, scientifiche e tecnologiche  112

APPENDICE   115

§      Tabella 1 Principali indicatori macroeconomici115

Federazione russa: quadro politico interno ed indirizzi di politica estera (a cura del Ministero degli Affari esteri)117

Repubblica popolare democratica di Corea: quadro politico interno ed indirizzi di politica estera (a cura del Ministero degli Affari esteri)125

Repubblica araba d’Egitto: : quadro politico interno ed indirizzi di politica estera (a cura del Ministero degli Affari esteri)135

Somalia: il quadro istituzionale e l’attuale situazione politica (a cura del Servizio Studi)159

Profili biografici  (a cura del Servizio Rapporti internazionali)

Ban Ki-Moon Segretario Generale delle Nazioni Unite  167

Nassir Abdulaziz Al-Nasser Presidente della 66ma Sessione  dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite  169

Oscar Fernandez-Taranco Assistant Secretary-General dell'ONU per  il Dipartimento degli Affari politici171

Corinne Woods Direttrice della Campagna per gli Obiettivi  di Sviluppo del Millennio  173

Ali Akbar Salehi Ministro degli Affari esteri iraniano  175

Staffan De Mistura Rappresentante speciale dell'ONU  per l'Afghanistan  177

Augustine p. Mahiga Rappresentante speciale per la Somalia e Capo dell’Ufficio politico delle Nazioni Unite per la Somalia (UNPOS)179

Pak Kil-yon Vice Ministro degli Affari Esteri  della Repubblica Democratica di Corea  181

Rapporti parlamentari (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

Relazioni parlamentari italo-iraniane  185

Relazioni parlamentari Italia-Federazione russa  199

Rapporti parlamentari con la Repubblica popolare democratica di Corea  (Corea del Nord)207

Relazioni parlamentari Italia-Egitto  221

Rapporti parlamentari Italia-Libia  229

Documentazione

§      Parlamento europeo ‘Raccomandazione del Parlamento europeo dell’’8 giugno 2011 destinata al Consiglio sulla 66ma sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (2011/2030(INI))’, Strasburgo, 8 giugno 2011 (Edizione provvisoria)235

§      Commissioni Riunite III Camera e 3° Senato ‘Audizione del Ministro degli Affari esteri, Franco Frattini, sugli sviluppi della situazione in Libia’, 7 settembre 2011  247

 

 

 

 

 


SIWEB

Focus tematici

 


Recenti sviluppi del processo di pace in Medio Oriente

Dopo la grave crisi rappresentata dall’operazione militare israeliana Piombo fuso nella Striscia di Gaza, in risposta a incessanti lanci di razzi contro le città israeliane più vicine, il 10 febbraio 2009 si sono svolte in Israele le previste elezioni politiche anticipate, i cui risultati hanno infine determinato la nascita di un Governo nettamente orientato a destra, ma con la presenza al suo interno del leader laburista Barak, nonostante l'aperta opposizione di una parte della relativa rappresentanza parlamentare.

Il nuovo governo di Tel Aviv ha subito proposto un nuovo approccio alla questione – “pace contro pace” e non più “pace contro territori”-, dichiarandosi sostanzialmente non più impegnato alla realizzazione della Road Map, e in particolare diffidando della formazione di uno Stato palestinese indipendente, che rapidamente cadrebbe secondo le autorità israeliane sotto il controllo di Hamas, amplificando e non risolvendo i problemi delle relazioni con lo Stato ebraico.

D’altra parte, le divisioni tra i palestinesi sono state pienamente confermate dopo l’insediamento a Ramallah del nuovo esecutivo dell’ANP (19 maggio).

Il 18 maggio 2009 il premier israeliano Netanyahu ha incontrato a Washington il presidente Obama, senza alcun risultato effettivo: Netanyahu non si è spinto oltre la possibilità di un autogoverno dei palestinesi, senza menzionare lo sbocco di uno Stato indipendente. Anche in riferimento al contrasto della strategia regionale dell’Iran ed il suo progetto di assurgere al rango di potenza nucleare, non sono mancate tra i due leader sfumature dissonanti.

Nella seconda metà del 2009 la questione degli insediamenti ha visto prolungarsi l'alternanza di aperture e rigidità da parte israeliana: il 25 novembre, però, giungeva la decisione israeliana di un congelamento di dieci mesi dei nuovi insediamenti in Cisgiordania (ma non a Gerusalemme), quale atto di buona volontà per far progredire i negoziati con i palestinesi. La decisione è stata adottata nel Gabinetto di sicurezza, organo ristretto al di fuori del quale probabilmente la determinazione avrebbe comportato la caduta del governo, sempre in bilico tra le richieste del partito laburista di concedere prospettive ai negoziati con i palestinesi, e quelle dei partiti di destra, contrari a mettere un freno all'espansione degli insediamenti.

All'inizio di marzo del 2010, dopo l'accettazione da parte dei palestinesi di negoziati indiretti con gli israeliani attraverso la mediazione statunitense, il vicepresidente americano Joe Biden si è recato in Medio Oriente, dove non ha mancato di ribadire il forte impegno degli Stati Uniti per la sicurezza di Israele, soprattutto nei confronti della minaccia nucleare iraniana. La partenza del negoziato è stata tuttavia subito pregiudicata, dopo che le autorità israeliane hanno annunciato l'approvazione di un piano per la costruzione di circa 1.600 nuove abitazioni a Gerusalemme est, in un quartiere, per di più, abitato da ebrei ultraortodossi.

Il deterioramento delle relazioni turco-israeliane

Vale la pena di evidenziare un aspetto peculiare delle tensioni mediorientali: a partire dal 2009 il contesto regionale mediorientale ha infatti posto a Israele un problema affatto nuovo, ossia il peggioramento sempre più marcato delle  relazioni con la Turchia, da sempre invece in buoni rapporti con Tel Aviv, ed uno dei pochi Stati musulmani a intrattenere relazioni diplomatiche dirette con Israele, tanto da giungere nel 1996 alla sigla di un'intesa strategica bilaterale.

Le ragioni di tale evoluzione sono molteplici: la Turchia, da lungo tempo in attesa di poter aderire all'Unione europea, ha visto tale obiettivo allontanarsi progressivamente, fino alla chiara manifestazione da parte di alcuni importanti Stati europei della inopportunità dell'adesione di Ankara e della necessità di una mera partnership privilegiata. In tal modo la diplomazia turca, soprattutto per opera dell'attuale ministro degli esteri Ahmed Davutoglu, ha iniziato a considerare la possibilità di un ruolo più indipendente nella regione, basato sul perseguimento degli interessi nazionali mediante relazioni privilegiate con tutti gli Stati vicini, dalla Siria all’Iraq, dall'Armenia all'Iran, senza trascurare le importanti prospettive turche nei confronti dell'Asia centrale, ove esistono consistenti gruppi etnici e linguistici di comune derivazione.

In questo contesto l'operazione israeliana a Gaza all'inizio del 2009 non ha certo facilitato il miglioramento dei rapporti tra Ankara e Tel Aviv, creando un forte imbarazzo turco nei confronti dei palestinesi e del mondo arabo, proprio per la consolidata amicizia con Israele. Si spiega così in buona parte il rifiuto turco in ottobre ad ammettere l'aviazione di Israele a partecipare alle manovre già programmate nello spazio aereo anatolico.

Un ulteriore episodio di tensione si è avuto per le vive proteste di Gerusalemme a seguito di una serie televisiva turca, nella quale si presentavano i soldati israeliani come assassini deliberati di bambini palestinesi in rivolta: ricevendo l'ambasciatore turco, il vice ministro degli esteri di Tel Aviv Ayalon gli ha riservato un trattamento considerato offensivo.

A metà gennaio 2010 il ministro della difesa israeliano Barak si è recato in Turchia per ridiscutere i rapporti tra i due paesi, sempre più problematici: la visita di Barak non deve aver avuto particolare successo se in aprile il premier turco Erdogan, in visita a Parigi, sempre con riferimento all'operato di Tel Aviv durante la crisi di Gaza tra 2008 e 2009 definiva Israele una delle principali minacce per la pace in Medio Oriente, asserendo che le forze armate israeliane avevano impiegato nell'occasione mezzi sproporzionati alle minacce reali.

In precedenza, durante una visita della cancelliera tedesca Angela Merkel in Turchia, Erdogan aveva rimarcato che nessuna sanzione viene proposta dalla Comunità internazionale contro Israele – non aderente al Trattato di non proliferazione nucleare, e comunemente ritenuto in possesso di armi nucleari -, dicendosi pertanto contrario a nuove misure restrittive nei confronti dell'Iran, cui si può imputare al massimo il progetto di costruzione di esse.

Il blocco della striscia di Gaza e lo scontro del 31 maggio 2010

Il 31 maggio 2010, poco prima dell'alba, forze speciali israeliane sono intervenute in acque internazionali per impedire l'accesso a Gaza di una flottiglia allestita da varie organizzazioni non governative sotto la sigla Free Gaza.

La spedizione intendeva forzare il blocco selettivo imposto da Israele dal 2007 - anno in cui Hamas si era di fatto impadronito di Gaza - allo scopo di prevenire l’afflusso nella Striscia di armamenti o materiali suscettibili di utilizzazione bellica: in tal modo, tuttavia, gli abitanti di Gaza sono stati privati di un gran numero di articoli commerciali in precedenza disponibili.

Il blocco era stato forzato già nell’estate 2008, ma si era trattato di piccolo naviglio, mentre nel dicembre dello stesso anno un tentativo più importante era stato interrotto dalla marina israeliana, durante l’operazione “Piombo fuso” a Gaza.

Gli accadimenti del 31 maggio 2010 hanno segnato un’altra tappa di allontanamento tra Israele e Turchia. Infatti, nel tentativo di fermare la flottiglia, le forze armate israeliane abbordavano mediante elicotteri la nave più grande, la turca Mavi Marmara, ove in circostanze non del tutto chiarite si accendeva uno scontro,  durante il quale le forze israeliane ricorrevano all'uso delle armi da fuoco, provocando nove morti e diversi feriti. Al proposito va ricordato che anche altre due navi della spedizione erano di nazionalità turca, come numerosi partecipanti ad essa, tra i quali alcune delle vittime. Dopo lo scontro le sei navi state scortate verso il porto israeliano di Ashdod, ove la polizia ha arrestato 16 attivisti, disponendo l'espulsione degli altri. Gli italiani partecipanti alla spedizione sono stati quattro.

La reazione turca è stata estremamente dura, con il richiamo immediato dell'ambasciatore in Israele: il premier Erdogan ha interrotto una visita di Stato in Cile per la gravità dell'accaduto, che ha paragonato a un'azione di terrorismo di Stato  totalmente contraria ai principi di diritto internazionale, e che non sarebbe rimasta priva di conseguenze da parte di Ankara.

Se la Dichiarazione presidenziale del Consiglio di sicurezza, grazie soprattutto agli Stati Uniti, si era mantenuta in una certa genericità, ad esempio non indicando chi dovesse in concreto svolgere le indagini sui fatti, la successiva risoluzione approvata a Ginevra in sede di Consiglio dei diritti umani ha invece indicato la necessità di una Commissione internazionale per la conduzione dell'inchiesta. Sulla risoluzione si è peraltro registrato il voto contrario degli Stati Uniti, dell'Italia e dei Paesi Bassi, mentre gli altri Stati europei si sono astenuti.

La posizione di Israele, tuttavia, si è mantenuta in un primo momento decisa: il premier Netanyahu ha ribadito che la spedizione navale includeva tra i circa 700 partecipanti anche alcuni terroristi, e si è detto nettamente contrario ad attenuare il blocco navale nei confronti della Striscia, nonostante l'esortazione del Segretario generale dell'ONU per un'immediata revoca di esso.

Ben presto però la pressione della Comunità internazionale, incluso lo storico alleato statunitense, ha indotto Israele a un ammorbidimento di toni: pertanto Netanyahu si è pronunciato per la possibilità di un allentamento al blocco navale, a condizione che gli Stati Uniti, la NATO o la stessa ONU si incarichino di controllare le navi in acque internazionali, prima dell'approdo a Gaza.

Il 14 giugno 2010 il Consiglio dei ministri israeliano ha formalizzato la nomina della Commissione di saggi incaricata di condurre l'inchiesta sui fatti del 31 maggio: sia gli Stati Uniti che l'Unione europea hanno accolto la nomina della Commissione positivamente, mentre del tutto opposta è stata la reazione delle diverse fazioni palestinesi e soprattutto della Turchia, che ha espresso completa sfiducia nella possibilità che Israele conduca un'inchiesta imparziale sull'operato delle proprie forze armate.

Sul fronte del blocco di Gaza, comunque, il 20 giugno, il Gabinetto di sicurezza adottava un provvedimento formale di revoca del blocco terrestre della striscia di Gaza in ordine a prodotti di uso civile, senza peraltro alcun mutamento nei confronti del blocco via mare.

Il provvedimento ha confermato in effetti il cambio d’impostazione nell’embargo selettivo, con la messa a punto di un elenco di articoli la cui introduzione a Gaza sarà vietata, con la conseguenza di permettere l’ingresso nella Striscia di tutto quanto esula dall’elenco. Israele ha deciso di consentire anche l’ingresso di merci suscettibili di usi bellici, come i materiali per l’edilizia, quali il cemento e il ferro, per progetti di infrastrutturazione, di recupero abitativo e di carattere umanitario e sanitario, purché essi siano stati deliberati dall’Autorità nazionale palestinese e si svolgano sotto stretto controllo internazionale.

Frattanto la Turchia, in attesa irremovibile di scuse ufficiali israeliane, in una conferenza stampa a margine dei lavori del G20 di Toronto, ha annunciava, per bocca dello stesso premier Erdogan, la completa chiusura del proprio spazio aereo ai velivoli israeliani - senza peraltro precisare se il divieto si estendesse anche ai voli civili. All’inizio di luglio, poi, Ankara ha rincarato la dose, minacciando di procedere alla rottura delle relazioni diplomatiche se Israele continuerà a rifiutare di presentare scuse ufficiali per le vicende del 31 maggio.

Il 12 luglio è stato reso noto il rapporto della Commissione militare israeliana di inchiesta sui fatti del 31 maggio, dopo lavori durati cinque settimane. La Commissione non ha stabilito responsabilità di carattere personale, rilevando alcuni errori negli alti comandi, ma nessuna mancanza di elevata gravità. Le critiche si sono appuntate soprattutto verso la marina israeliana, priva di un piano alternativo rispetto a quello adottato.

 

La ripresa dei negoziati tra Israele e l’ANP

Dopo un periodo di intenso lavoro diplomatico portato avanti dall’inviato speciale USA per il Medio Oriente, George Mitchell, che ha reso possibili colloqui indiretti tra le parti e con altri importanti attori regionali; all'inizio di settembre 2010 sono ripresi i negoziati diretti tra Israele e l'Autorità nazionale palestinese, con un incontro tra Netanyahu e Abbas a Washington, nella cui imminenza vi era stata una riunione più ampia con la partecipazione dell'allora presidente egiziano Mubarak e del re di Giordania Abdallah II.

La ripresa delle trattative, che hanno ben presto mostrato segni di esaurimento già nel secondo incontro tenutosi a Sharm-el-Sheik a metà settembre, era gravata da pesanti condizionamenti, quali ad esempio il fatto che in essa Hamas e la Striscia di Gaza apparivano tagliati fuori, mentre Israele insisteva sulla necessità del riconoscimento del carattere ebraico dello Stato, e i palestinesi dell’ANP ribadivano l'assoluta necessità di un congelamento dei nuovi insediamenti ebraici nel territorio della Cisgiordania - su quest'ultimo punto, peraltro, la posizione di Netanyahu è apparsa inequivoca nel senso di non voler prorogare la moratoria in via di scadenza a fine settembre 2010.

Non va poi dimenticato che la ripresa dei negoziati a Washington era stata preceduta dall'assassinio di quattro coloni israeliani in un insediamento vicino a Hebron, rivendicato dal braccio armato di Hamas, le brigate Ezzeddin al-Qassam - uno dei cui comandanti, ritenuto responsabile dell'omicidio, è stato peraltro prontamente liquidato a metà settembre dalle forze di sicurezza israeliane.

Nuove tensioni sono sorte inoltre tra Israele e la Striscia di Gaza, al ripetersi seppure sporadico di lanci di razzi verso le città israeliane più vicine, con la prevedibile reazione israeliana concretizzatasi in raid aerei e colpi di artiglieria.

Va altresì ricordato che vi sono state anche forti tensioni al confine tra Israele e il Libano: all'inizio di agosto 2010 si sono verificati scontri che hanno causato la morte di tre soldati libanesi e di un giornalista loro connazionale, nonché di un ufficiale israeliano. Gli incidenti hanno corroborato l'idea, che si faceva strada negli ambienti militari israeliani, della progressiva subordinazione del carattere nazionale dell'esercito libanese alle istanze e alla forza di Hezbollah, che renderebbe le forze armate di Beirut sempre meno un interlocutore è sempre più un potenziale nemico.

Nel mese di ottobre 2010 le speranze di una prosecuzione proficua dei negoziati sono definitivamente naufragate, a partire dal 4 ottobre, quando è stata incendiata una moschea in un villaggio nei pressi di Betlemme, e i palestinesi ne hanno subito individuato la responsabilità in un gruppo di coloni ebraici della zona.

Va ricordato che il grave episodio è avvenuto subito dopo la conferma nei fatti che Israele non avrebbe proceduto ad una moratoria nella costruzione di nuovi insediamenti dopo la scadenza – avvenuta appunto a fine settembre - di quella precedentemente in atto.

Segnali di netta chiusura erano del resto pervenuti anche dal ministro degli esteri israeliano Lieberman, sia per quanto riguarda il congelamento degli insediamenti sia con riferimento al rifiuto di un accordo definitivo con i palestinesi basato sui confini precedenti la Guerra dei Sei Giorni del 1967, con limitati scambi di territori per rendere coerenti i confini -che è sostanzialmente quella su cui si è incentrata l'attività diplomatica statunitense. I servizi segreti israeliani, inoltre, sono tornati a colpire duramente nel sud della Cisgiordania le brigate Ezzeddin al-Qassam, uccidendo due loro importanti esponenti, anch'essi accusati degli attentati di inizio settembre volti a provocare il fallimento dei negoziati che stavano per riprendere a Washington.

Il 10 ottobre, poi, il Governo israeliano ha dato il via libera per la presentazione in Parlamento di un emendamento alla legge sulla cittadinanza che impone ad ogni richiedente la medesima un giuramento di fedeltà allo Stato israeliano in quanto ebraico e democratico: l'iniziativa ha destato diverse critiche, significativamente bipartisan, poiché hanno visto accomunati lo speaker della Knesset Rivlin, esponente del Likud, ma anche la leader dell'opposizione Tzipi Livni di Khadima.

Come immaginabile, l'iniziativa del governo di Tel Aviv ha suscitato contrarietà anche in ambienti intellettuali israeliani. Il giorno successivo, aprendo la sessione invernale della Knesset, il premier Netanyahu ha rilanciato, chiedendo ai palestinesi un franco riconoscimento di Israele come Stato ebraico, in cambio del quale si sarebbe potuto esaminare la possibilità di una nuova moratoria degli insediamenti: la risposta dell'Autorità nazionale palestinese è stata come prevedibile seccamente contraria.

Dopo la metà di ottobre, inoltre, vi è stata una ripresa di attività edilizia sia negli insediamenti della Cisgiordania dapprima sottoposti a moratoria, sia a Gerusalemme est, dove una sorta di moratoria de facto era iniziata nel marzo 2010 dopo le dure polemiche tra Israele e gli Stati Uniti seguite alla visita del vicepresidente Joe Biden a Gerusalemme.

 

Il Sinodo speciale per il Medio Oriente dell’ottobre 2010

 Il tema dell'espansione degli insediamenti è stato uno di quelli, del resto, che hanno provocato notevole tensione tra Israele e la Santa Sede a seguito del Sinodo speciale vaticano per il Medio Oriente svoltosi dal 10 al 24 ottobre 2010, e nel corso del quale l'imposizione del giuramento al carattere ebraico dello Stato israeliano è stata giudicata alla stregua di una flagrante contraddizione con i princìpi democratici.

Inoltre, il Sinodo ha criticato l'espansione degli insediamenti ebraici, suscettibile di inceppare definitivamente la possibilità di una trattativa che sfoci nella creazione di due Stati della regione. Le pretese di alcune parti dello schieramento politico israeliano all'occupazione dei Territori palestinesi non possono essere inoltre giustificate, secondo il Sinodo, con argomentazioni basate sulla Bibbia, che per i cristiani non è accettabile interpretare con riferimento a una sola terra promessa e ad un unico popolo eletto - su questo punto Israele ha reagito dichiarando il proprio scandalo per l'imputazione di integralismo biblico alla condotta del governo verso gli insediamenti.

Più in generale, Israele ha accusato l'atmosfera prevalente nel Sinodo di essere fortemente ispirata alla propaganda araba, il che ha consegnato l'Assemblea sinodale nelle mani di una maggioranza antisraeliana. Come è comprensibile, di segno del tutto opposto sono state le reazioni dei palestinesi allo svolgimento e alle conclusioni dei lavori del Sinodo sul Medio Oriente.

Nei tre mesi che hanno preceduto lo scoppio delle rivolte nordafricane è proseguita l’impasse nel processo di pace fra israeliani e palestinesi, tanto più che l’insuccesso del presidente Obama nelle elezioni americane di medio termine ha ulteriormente indebolito uno degli attori maggiormente impegnati nel rilancio dei negoziati. Tale situazione ha avuto riflessi preoccupanti nell'aumento di tensione fra Israele e la striscia di Gaza, da dove si è tornati a effettuare massicci lanci di razzi verso il territorio meridionale di Israele, provocandone la risposta armata. Per di più, a Gaza si è profilata la prossimità dell'emergere di gruppi estremisti ben più radicali di Hamas nei confronti di Israele, per i quali il lancio provocatorio di razzi riveste anche la valenza di contestazione della leadership nella Striscia.

 

Le divisioni all’interno del mondo palestinese e le ricadute della primavera araba sul processo di pace

Nella politica interna israeliana è degno di nota l’uscita di Ehud Barak dal Partito laburista - ritiratosi dalla coalizione di governo in polemica con la chiusura verso il negoziato con i palestinesi -; Barak ha dato vita ad un'altra formazione politica di centro, d'impronta sionista e democratica.Le dimissioni di Barak ha naturalmente ancor più indebolito il Partito laburista, che già da tempo ha visto prendere il proprio posto come opposizione principale dal partito Kadima, fondato dall'ex premier Sharon.

Sul versante palestinese vi è stata la pubblicazione sul sito Internet di al-Jazeera di numerosissimi documenti relativi agli anni dal 1999 al 2010, riguardanti i negoziati tra Israele e l'Autorità nazionale palestinese, dai quali si intravvede un atteggiamento cedevole nei confronti degli israeliani, ben diverso dai toni propagandistici utilizzati verso la popolazione palestinese.

D'altra parte, la persistente divisione tra Autorità nazionale palestinese e Hamas ha continuato a costituire un elemento di debolezza, ancor più grave se si pensa che la stessa Hamas, come già accennato, si è trovata coinvolta in numerose rappresaglie israeliane per lanci di razzi dai quali si è dissociata, e che sarebbero stati invece effettuati da miliziani che guardano ad al Qaida e a posizioni estreme di lotta contro Israele

I primi mesi del 2011, che hanno visto un inaspettato sommovimento generale nel Nord Africa e in alcune parti del Medio Oriente contro governi da lungo tempo al potere, non potevano lasciare indifferente lo Stato di Israele, in ragione dei prevedibili mutamenti degli equilibri interni dei vari paesi arabi e dell'intera regione. In particolare, la caduta di Mubarak ha privato di Israele di un interlocutore dimostratosi negli ultimi decenni assolutamente affidabile per una collaborazione a tutto campo - e non a caso uno dei primi allarmi in Israele è venuto dai ripetuti sabotaggi del gasdotto tra Arish e Ashkelon, concreto esempio di collaborazione non solo politica con il grande paese arabo confinante.

Man mano che la dialettica politica del dopo Mubarak si dipanava in Egitto, le preoccupazioni di Israele sono state piuttosto accresciute dalla possibilità che la Fratellanza musulmana acquisti nelle scelte politiche future dell'Egitto una grande importanza, nonché dalle minacce che potrebbero provenire da numerosi esponenti di gruppi integralisti che Mubarak aveva tenuto in carcere, e che a seguito della rivoluzione ne sono usciti.

L'area geografica di maggior preoccupazione è venuta così progressivamente ad essere la zona di confine tra l'Egitto e la striscia di Gaza, in cui Israele ha constatato un forte allentamento dei controlli di sicurezza che Mubarak aveva invece mantenuto assai stretti.

A fronte delle apprensioni israeliane, gli eventi della primavera araba non sembrano invece aver posto in questione il rapporto tra il ceto dirigente palestinese - sia esso quello di al-Fatah in Cisgiordania o quello di Hamas a Gaza - e la popolazione di riferimento, che pure non versa in una situazione rosea dal punto di vista strettamente economico e dei bisogni quotidiani. Se ancora in febbraio vi è stato un episodio di forte reciproca contrarietà tra Hamas e l'Autorità nazionale palestinese - al cui interno si è deciso di effettuare un rimpasto di governo dando mandato al premier Salam Fayyad di formare un nuovo esecutivo e di iniziare la procedura per poter svolgere le elezioni presidenziali e parlamentari, già in ritardo di 14 mesi, entro settembre 2011 -; già dal mese successivo è emersa, dapprima in una manifestazione a Ramallah, l’esigenza di ritrovare una comune posizione con i palestinesi della Striscia.

Sul piano più strettamente legato alla sicurezza, Israele ha potuto corroborare le proprie preoccupazioni alla metà di marzo del 2011, quando nel giro di poche ore vi è stato dapprima un sequestro da parte egiziana di una grande quantità di armi e munizioni diretti alla striscia di Gaza e provenienti dal Sudan, e successivamente la marina israeliana ha proceduto a bloccare una nave in viaggio dalla Siria al porto egiziano di Alessandria, sulla quale vi era l'altro un sistema missilistico antinave da crociera già utilizzato dal movimento libanese Hezbollah. In questo secondo caso i sospetti si sono appuntati sull’Iran, anche perché sarebbero stati rinvenuti sulla nave dei manuali di istruzioni in lingua farsi. Israele, già allarmato dal lancio di due razze di categoria superiore contro la città di Beersheva alla fine di febbraio, ha visto poi, nella seconda metà di marzo, la ripresa in gran numero dei lanci di razzi dalla Striscia di Gaza, con il probabile nuovo diretto coinvolgimento di Hamas nell'operazione.

Il progressivo mutamento degli equilibri geopolitici mediorientali ha trovato il 4 maggio 2011 una prima importante conferma, quando al Fatah e Hamas hanno annunciato di aver raggiunto un accordo per una riconciliazione e la riunificazione politica e amministrativa dei Territori palestinesi, differendo al 2012 le elezioni.

L'accordo tra le fazioni palestinesi è apparso immediatamente come risultato di un mutamento lieve ma significativo della politica regionale dell'Egitto, caratterizzato da una maggiore disponibilità verso le istanze palestines - va anche ricordata al proposito l'apertura del valico di Rafah al confine tra Egitto e Gaza. Peraltro, il nuovo clima all'interno del fronte palestinese non ha impedito a Hamas di mettersi di traverso rispetto alla nomina di Salam Fayyad quale capo del governo provvisorio. Israele non ha salutato con favore l'accordo fra i palestinesi, ricordando che Hamas è tuttora definito alla stregua di gruppo terroristico non solo a Tel Aviv, ma anche dalle autorità americane ed europee. In ongi modo, il presidente americano Obama ha ritenuto di inserirsi nel nuovo clima regionale del Medio Oriente, per un rilancio del negoziato tra Israele e palestinesi: il 19 maggio 2011 è tornato sulla necessità della nascita di due Stati basati sui confini del 1967, corretti dalla possibilità di limitate compensazioni territoriali.

Ancora una volta il presidente americano ha sperimentato la difficoltà di una ripresa dei negoziati, scontando la netta contrarietà israeliana sulla sua proposta di rilancio, e quanto meno un atteggiamento di freddezza da parte del presidente Abu Mazen.

In tale clima ha preso sempre maggiore quota il proposito dell'Autorità nazionale palestinese di richiedere direttamente all'Assemblea generale delle Nazioni Unite - la cui 65ma Sessione verrà inaugurata dopo la metà di settembre - il riconoscimento di uno Stato palestinese nei confini del 1967, richiedendo altresì l'accoglimento del nuovo Stato come membro a tutti gli effetti delle Nazioni Unite. Anche in questo caso l'atteggiamento di Israele è di completa opposizione all'iniziativa palestinese, giudicata anzi un ulteriore ostacolo sulla via dei negoziati.

 

L’assassinio di Vittorio Arrigoni e le manifestazioni per la ricorrenza della Nabka

L'Italia è stata in vario modo molto coinvolta in questo dibattito, soprattutto con una presa di posizione del Ministro degli esteri Frattini, che ha giudicato negativamente l'iniziativa palestinese nei confronti delle Nazioni Unite in quanto unilaterale, e quindi non suscettibile di incontrare corrispondenza da parte di Israele. Va però ricordato che il presidente della Repubblica Napolitano in visita in Cisgiordania ha preannunciato che la delegazione dell'Autorità nazionale palestinese in Italia sarebbe stata elevata al rango di missione diplomatica: secondo il Capo dello Stato si tratterebbe di un passo mirante a dare impulso a un accordo di pace sulla base della formula dei due popoli, due Stati.

Purtroppo il nostro paese è stato coinvolto anche in modo tragico nelle vicende mediorientali, quando il 15 aprile il cooperante italiano Vittorio Arrigoni – residente a Gaza ormai da quattro anni - è stato sequestrato da appartenenti ad una formazione salafita locale, che sembra intendesse scambiare la vita di Arrigoni con quella del proprio leader detenuto, ma che il giorno seguente, di fronte alla pressione delle forze di sicurezza di Gaza, avrebbe rinunciato allo scambio assassinando il cooperante italiano.

Per quanto riguarda più precipuamente Israele, il 15 maggio ha dovuto fronteggiare, in occasione della ricorrenza della Nakba - ossia l'inizio dell'esodo dei palestinesi dopo la prima guerra scaturita dalla dichiarazione d'indipendenza di Israele - una serie di manifestazioni palestinesi che hanno coperto quasi l'intero arco della frontiera con il Libano e con la Siria, oltre a dipanarsi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Negli scontri sviluppatisi al confine con il Libano si sono registrati tra i manifestanti dieci morti e centinaia di feriti, mentre due vittime vi sono state anche sulle alture del Golan (frontiera con la Siria). Secondo ambienti israeliani, responsabile di questi scontri sarebbe stato il tentativo siriano di distogliere l'attenzione dalla durissima repressione in atto nel paese contro il movimento di contestazione che ha investito anche il regime di Assad. Il 5 giugno si sono ripetuti scontri sul Golan, e stavolta i morti tra i palestinesi sono stati una ventina.

La preoccupazione della popolazione israeliana, soprattutto di quella delle città più vicine alla Striscia di Gaza, per lo stillicidio di lanci di razzi, è stata in parte attenuata dall'entrata in funzione ai primi di aprile di un sistema antimissilistico denominato Iron Dome, capace a quanto sembra di intercettare anche lanci di piccola portata, difficilmente contrastabili dai normali sistemi di difesa antimissile.

 

La richiesta di riconoscimento dello Stato palestinese da parte delle Nazioni Unite e la nuova escalation di violenze nel Neghev

Il 14 luglio 2011, a conclusione di una riunione ad hoc della Lega Araba nella capitale del Qatar, il nuovo segretario generale, l’egiziano al-Arabi, ha dichiarato che saranno proprio i paesi appartenenti alla Lega Araba a presentare all'Assemblea generale delle Nazioni Unite la richiesta di riconoscimento dello Stato palestinese. Due giorni dopo, il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen è partito per un giro di consultazioni nelle capitali norvegese, spagnola e turca, al fine di ottenere appoggi per l'imminente iniziativa.

L'8 settembre una riunione dell'Organizzazione per la liberazione della  Palestina – che include tutte le componenti palestinesi - svoltasi a Ramallah ha ribadito con forza la decisione di chiedere all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il riconoscimento dello Stato palestinese, per ottenere poi la ratifica da parte del Consiglio di sicurezza - a tale proposito gli Stati Uniti hanno più volte preannunciato che porrebbero il veto sulla richiesta palestinese.

Del resto, i rapporti con Israele si sono nuovamente deteriorati dall'inizio di agosto 2011, con una ripresa quotidiana di lanci di razzi dalla striscia di Gaza e relative risposte armate israeliane. Il clima è stato ulteriormente peggiorato quando, in risposta a un'inedita mobilitazione di piazza degli israeliani contro la politica economica del governo, sostenuta soprattutto dal ceto medio impoverito, il governo israeliano ha rilanciato con la proposta di costruire migliaia di nuove case a Gerusalemme est, onde dare sfogo alla richiesta pressante di alloggi, i cui costi sono divenuti insopportabili per molte fasce della popolazione israeliana. A fronte del via libera alla costruzione di 1.600 abitazioni nell'insediamento di Ramat Shlomo, il governo ha preannunciato una prossima autorizzazione per almeno altri 2.600 alloggi nelle zone vicine.

Il 18 agosto vi è stato un’escalation nelle violenze, quando una serie di attentati multipli accuratamente congegnati hanno colpito civili e militari israeliani nella regione meridionale del Neghev, provocando, oltre a numerosi feriti, almeno otto morti, con una conseguente immediata e dura rappresaglia sulla Striscia di Gaza da parte dell'aviazione israeliana. Il 19 agosto anche numerose città meridionali di Israele sono state colpite da una pioggia di razzi, mentre proseguivano le missioni dell'aviazione israeliana su Gaza.

Le nuove violenze hanno attirato l'attenzione israeliana sul delicato confine del Sinai, che è sembrato improvvisamente divenire permeabile al passaggio di gruppi armati intenzionati ad effettuare attacchi sul territorio israeliano: il progetto di costruire una barriera lungo i 200 km del confine israeliano con il Sinai risulta in ritardo, essendo stato finora realizzato meno di un quarto dello sbarramento.

 

Un nuovo indirizzo della politica estera egiziana nei riguardi di Israele?

La reazione israeliana ha avuto anche l'effetto di aprire un'aspra polemica con l'Egitto, che ha lamentato l'uccisione di cinque agenti della guardia di frontiera colpiti da un missile israeliano nel corso della rappresaglia: già il 19 agosto vi sono state dimostrazioni di centinaia di persone in piazza Tahrir e nei pressi dell'ambasciata israeliana al Cairo, che sono giunte a chiedere la chiusura della rappresentanza diplomatica e l’espulsione dell'ambasciatore.

Anche alcuni probabili candidati alle prossime elezioni presidenziali egiziane, tra i quali el Baradei e Amr Mussa, si sono espressi con asprezza nei confronti di Israele. Peraltro, mentre proseguivano il lancio di razzi da Gaza e le conseguenti reazioni israeliane, Hamas annunciava di non aderire più alla tacita tregua con Israele succeduta all'operazione “Piombo fuso”.

Di fronte ad alcune voci su un possibile richiamo al Cairo dell'ambasciatore egiziano in Israele, il Ministro della difesa di Tel Aviv Ehud Barak esprimeva rammarico per la morte dei militari egiziani, dando la disponibilità di Israele a un'inchiesta congiunta con l'Egitto per verificare le circostanze dell'incidente - che peraltro, secondo i vertici militari israeliani, potrebbe non essere stato causato da fuoco israeliano, quanto piuttosto da ordigni piazzati da terroristi o da loro raffiche.

Da parte sua l'Egitto è sembrato adoperarsi attivamente per spegnere la tensione rinnovata tra Israele e la Striscia, tanto che nei giorni immediatamente successivi l'asprezza dello scontro è stata attenuata. Da rimarcare soprattutto l'accordo tra Egitto e Israele, che ha visto il consenso di Tel Aviv nel derogare almeno temporaneamente agli accordi di smilitarizzazione del Sinai fissati nel 1979, onde permettere il dispiegamento di forze egiziane nella regione per prevenire attacchi contro Israele. L'impegno egiziano ha altresì consentito l'importante risultato di far aderire anche la Jihad islamica palestinese alla sospensione degli attacchi contro Israele, in ciò seguendo quanto già deciso da Hamas.

All'atteggiamento responsabile dell'Egitto, o meglio di chi in Egitto effettivamente oggi ha la responsabilità di prendere decisioni, ossia essenzialmente i militari, sembra tuttavia corrispondere un certo scollamento della popolazione e anche di importanti esponenti politici, come i già citati candidati alle prossime presidenziali o il neo segretario della Lega Araba al-Arabi, che più volte sono sembrati cavalcare gli umori fortemente antisraeliani di larghe fasce della popolazione egiziana.

Tale schema è sembrato inverarsi il 9 settembre al Cairo, quando, dopo aver demolito il muro di protezione eretto solo da pochi giorni davanti all’edificio assai alto, uno dei cui piani è occupato dall'ambasciata israeliana, decine di manifestanti si sono arrampicati fino ai locali della rappresentanza diplomatica, costringendo l'ambasciatore, il personale diplomatico e i loro familiari a una fuga drammatica, mentre sei appartenenti alla sicurezza israeliani sono stati messi in salvo solo per l'intervento di forze speciali egiziane.

Al di fuori dell'ambasciata si sono poi verificati violenti scontri tra i manifestanti e le forze dell'ordine egiziane arrivate in massa a fronteggiare la gravissima circostanza.

Le autorità del Cairo hanno reagito il giorno seguente con una riunione straordinaria del Consiglio supremo delle forze armate e del gabinetto di crisi del governo, respingendo anzitutto le dimissioni del premier Sharaf, e assicurando il rispetto di tutti trattati internazionali che vincolano l'Egitto, inclusi quelli relativi alla protezione delle sedi diplomatiche. Le autorità hanno inoltre ammonito sulla possibilità di ricorrere alla normativa sullo stato d'emergenza, tuttora in vigore.

Il 2 settembre Israele ha visto aprirsi un altro fronte di grave preoccupazione, in prospettiva addirittura più grave della pur difficile situazione in atto: in tale data è stato infatti ufficialmente reso noto il rapporto della Commissione nominata dal Segretario generale dell'ONU per far luce sugli incidenti del 31 maggio 2010, quando le forze speciali israeliane avevano provocato diverse vittime nella flottiglia che tentava di rompere il blocco navale imposto alla striscia di Gaza.

Le conclusioni del rapporto, pur riconoscendo la legittimità del blocco navale quale misura di prevenzione rispetto minacce che da Gaza sono state più volte arrecate alla sicurezza di Israele, definiscono eccessivo e irragionevole il comportamento delle forze di sicurezza israeliane nel fronteggiare la flottiglia, invitando il governo di Tel Aviv ad esprimere il proprio rammarico in modo appropriato e a risarcire le famiglie delle nove vittime turche cadute a bordo della nave Mavi Marmara. Alla redazione del rapporto hanno partecipato anche esponenti israeliani e turchi, ma entrambi si sono dissociati per opposte ragioni dalle conclusioni.

 

Recenti tensioni turco-israeliane

La pubblicazione del rapporto ha fatto riesplodere il contrasto già pesantemente emerso tra Turchia e Israele, poiché, di fronte al rifiuto israeliano di presentare scuse ufficiali alla Turchia per la morte dei nove attivisti turchi, lo stesso 2 settembre Ankara ha proceduto a espellere l'ambasciatore israeliano e a porre fine a tutti gli accordi di cooperazione militare bilaterale con Tel Aviv, preannunciando inoltro un ricorso alla Corte internazionale di giustizia contro il blocco di Gaza.

Il 6 settembre, poi, il primo ministro turco Erdogan ha annunciato la sospensione completa dei rapporti commerciali nel settore militare nei confronti di Israele, ventilando anche le possibilità di inviare frequentemente navi militari turche nelle acque internazionali prospicienti la Striscia di Gaza, nonché di recarvisi addirittura in visita in concomitanza del prossimo viaggio in Egitto. Due giorni dopo sono state diffuse notizie per le quali la Turchia potrebbe addirittura spingersi fino a porre a livello internazionale la questione dell'arsenale atomico israeliano, ufficialmente non dichiarato ma generalmente attribuito a Tel Aviv.

Recatosi in visita in Egitto, il 13 settembre il premier turco è intervenuto nella sede della Lega Araba, ove ha ribadito l'assoluta necessità del riconoscimento internazionale dello Stato palestinese, nonché l'atteggiamento di fermezza già esplicitato nei confronti di Israele.

Nel clima di grande tensione testimoniato dall' assalto all'ambasciata israeliana in Egitto del 9 settembre, la visita di Erdogan al Cairo ha ulteriormente allarmato le autorità israeliane, in quanto suscettibile di rinfocolare l'avversione contro Israele. In questo contesto è riemersa la voce di Barak, quale elemento moderato del governo israeliano, che ha esortato con urgenza a intraprendere passi per uscire da quello che appare sempre più come un pericoloso isolamento internazionale e regionale, aprendosi alla possibilità di compromessi nei confronti dei palestinesi.

La presa di posizione di Barack sembra corrispondere ai tentativi affannosi degli Stati Uniti e dell'Unione europea di disinnescare almeno in parte gli effetti del progetto palestinese di ottenere il riconoscimento diretto delle Nazioni Unite, convincendo i palestinesi a ricercare semplicemente il voto dell'Assemblea generale come atto simbolico, per poi tornare al tavolo negoziale con Israele.

 

 


La questione del riconoscimento della Palestina come Stato membro dell’ONU: aspetti di diritto internazionale

La richiesta di ammissione come Stato membro

Il 15 agosto scorso, facendo seguito a precedenti prese di posizione del presidente Abu Mazen, il ministro degli esteri dell’Autorità nazionale palestinese ha annunciato che l’Autorità presenterà la propria domanda per il riconoscimento come Stato membro dell’ONU all’apertura della sessantaseiesima sessione dell’Assemblea generale, il 20 settembre prossimo.

Perché venga accolta, la richiesta dell’Autorità palestinese, che già attualmente gode di uno status specifico nell’organizzazione della Nazioni Unite (vedi box 1), dovrà ottenere l’appoggio del Consiglio di sicurezza , con il voto positivo di almeno 9 dei 15 Stati componenti e senza il voto contrario di nessuno degli Stati con diritto di veto (USA, Regno Unito, Francia, Repubblica della Cina popolare e Federazione russa), e quindi il voto favorevole dei due terzi dell’Assemblea generale (per dettagli sulla procedura vedi box 2).

 

Lo status dell’Autorità nazionale palestinese all’ONU.

Già attualmente l’Autorità nazionale palestinese gode di uno status del tutto peculiare all’interno dell’ONU in quanto, pur non essendo riconosciuta come Stato membro, le sue prerogative risultano superiori a quelli di un semplice osservatore.

Nell’ottobre 1974 l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) fu riconosciuta con risoluzione dell’Assemblea generale come rappresentante del popolo palestinese ed invitata a partecipare ai lavori dell’ONU aventi ad oggetto la questione palestinese. Il mese successivo ottenne lo status di osservatore all’Assemblea generale e successivamente lo status di osservatore in numerosi organi delle Nazioni Unite come il Consiglio economico e sociale, il programma per lo sviluppo e l’Organizzazione mondiale per la sanità. Dal 1975 anche il Consiglio di sicurezza riconobbe l’OLP, conferendo ai suoi rappresentanti il diritto a partecipare ai lavori del Consiglio aventi ad oggetto le tematiche mediorientali.

A seguito della dichiarazione di indipendenza dello Stato palestinese da parte dell’OLP nel 1988, l’Assemblea generale il 15 dicembre 1988 approvò una risoluzione che “riconobbe la proclamazione dello Stato di Palestina” e decise la sostituzione in ambito ONU della denominazione “Organizzazione per la liberazione della Palestina” con quella “Palestina”.

Nel luglio 1998 una nuova risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU diede ai rappresentanti dell’Organizzazione diritti e prerogative ulteriori rispetto a quelli dello status di osservatore, quali ad esempio il diritto di sostenere progetti di risoluzione sulla questione palestinese. Nel 1998 una nota del Segretario generale ONU ha chiarito limiti e caratteristiche della partecipazione della “Palestina” ai lavori dell’ONU (Secretary-General Note on Palestine Partecipation, UN General Assembly A/52/1002, 4 agosto 1998).

Al riguardo si ricorda comunque che l’eventuale riconoscimento della Palestina come Stato membro dell’ONU non ne implicherebbe di per sé il riconoscimento come Stato sovrano ai fini del diritto internazionale, come verrà spiegato più in dettaglio infra.

 

La procedura per l’adesione all’ONU

L’articolo 4della Carta ONU stabilisce che l’Organizzazione “è aperta alla partecipazione di tutti gli Stati amanti della pace che accettano gli obblighi contenuti nella Carta e che, a giudizio dell’Organizzazione sono in grado di sostenerli e disposti a farlo. L’ammissione quale Membro delle Nazioni Unite di uno Stato che adempia a tali condizioni è effettuata con decisione dell’Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza. “.In particolare la procedura prevede che:

1. il richiedente rivolga una formale domanda di ammissione al Segretario generale dell’ONU con una lettera nel quale si dichiara disposto ad accettare le obbligazioni derivanti dalla Carta ONU

2. la richiesta venga esaminata dal Consiglio di sicurezza e approvata con il voto favorevole di nove Stati membri su quindici e senza il voto contrario di nessuno degli Stati con diritto di veto (USA, Regno Unito, Francia, Repubblica della Cina popolare e Federazione russa)

3. la raccomandazione del Consiglio per l’accoglimento della richiesta venga approvata dall’Assemblea generale con il voto favorevole dei due terzi dei componenti dell’Assemblea.

Si ricorda che attualmente l’ONU ha 193 Stati membri. La soglia dei due terzi dell’Assemblea generale è quindi rappresentata da 129 voti. In base a notizie di stampa, schierati per un eventuale riconoscimento della Palestina risulterebbero circa 124 Stati[1]

Se la richiesta è accolta, il riconoscimento come Stato membro dell’ONU diviene effettivo a far data dall’approvazione della risoluzione.

Qualora l’esame da parte del Consiglio di sicurezza risultasse bloccato dall’esercizio del diritto di veto[2], il riconoscimento della Palestina come Stato membro potrebbe essere oggetto di:

-       una risoluzione dell’Assemblea generale che riconosca l’indipendenza dello Stato palestinese, da approvare sempre con i due terzi dei voti; la risoluzione tuttavia, ai sensi della Carta ONU non avrebbe valore vincolante (gli articoli da 10 a 17 della Carta fanno unicamente riferimento alla possibilità per l’Assemblea di approvare “raccomandazioni”);

Come già sopra ricordato, il raggiungimento della soglia di voti per far approvare una simile risoluzione (129 voti) appare vicino (al momento risulterebbero a favore circa 124 Stati)

-       una risoluzione dell’Assemblea generale di riconoscimento dell’indipendenza dello Stato palestinese, sempre da approvare con i due terzi dei voti, che, nonostante il dettato già richiamato della Carta ONU, potrebbe essere riconosciuta di carattere vincolante attraverso il richiamo del precedente della risoluzione Uniting for Peace del 3 novembre 1950. Tale precedente consentirebbe infatti all’Assemblea generale di assumere decisioni di carattere vincolante “qualora il Consiglio di sicurezza, a causa della mancanza di unanimità dei membri permanenti, fallisca nell’esercizio della sua primaria responsabilità per il mantenimento della pace internazionale e della sicurezza”[3].

Si segnala tuttavia che, nella dottrina internazionalistica, la posizione favorevole a riconoscere valore vincolante ad una risoluzione dell’Assemblea generale la quale richiami il precedente della risoluzione Uniting for Peace risulta minoritaria. Per dettagli cfr. box sotto.

 

La risoluzione Uniting for Peace

La risoluzione Uniting for Peace fu adottata il 3 novembre 1950 nell’ambito della crisi coreana. Al momento dell’invasione della Corea del Sud da parte della Corea del Nord comunista, nel giugno 1950, l’URSS stava boicottando i lavori del Consiglio di sicurezza a causa del mancato riconoscimento della Cina popolare come rappresentante della Cina, in luogo della Cina nazionalista di Taiwan.

L’assenza dell’URSS consentì l’adozione da parte del Consiglio di sicurezza di due risoluzioni: la prima, la n. 83 del 27 giugno 1950, raccomandò agli Stati membri di soccorrere la Corea del Sud per respingere l’attacco della Corea del Nord (nella storia ONU una risoluzione analoga è stata approvata solo nel novembre 1990, la n. 678, a seguito dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq); la seconda, la n. 84 del 7 luglio 1950, accettò che il comando delle forze operanti contro la Corea del Nord fosse assunto dagli USA ed autorizzò l’uso della bandiera ONU. Tuttavia, in vista di un possibile ritorno dell’URSS alla partecipazione dei lavori del Consiglio di sicurezza, che sarebbero così risultati bloccati in relazione alla crisi coreana, l’Assemblea generale approvò la risoluzione Uniting for Peace.

Il dispositivo della risoluzione “stabilisce che, se il Consiglio di sicurezza, a causa della mancanza di unanimità dei membri permanenti, fallisce nell’esercizio della sua primaria responsabilità nel mantenimento della pace internazionale e della sicurezza, in ogni caso in cui appaia presente un rischio per la pace, una rottura della pace o un atto di aggressione, l’Assemblea generale considererà la materia immediatamente al fine di rivolgere le appropriate raccomandazioni ai membri per le misure di sicurezza collettiva, incluso, in caso di rottura della pace o di atti di aggressione, l’uso della forza armata quando necessario, per mantenere o ripristinare la pace internazionale e la sicurezza”.

Il precedente della risoluzione Uniting fo Peace fu richiamato dagli USA quando effettivamente l’URSS rientrò nel Consiglio di sicurezza ed esercitò il proprio diritto di veto per impedire ulteriori delibere relative alla crisi coreana. A tale precedente, inoltre, gli USA e gli Stati occidentali si richiamarono in più occasioni nel corso degli anni Cinquanta, incontrando l’opposizione degli Stati socialisti. Successivamente, a seguito della decolonizzazione e dell’aumento degli Stati membri dell’ONU, anche gli Stati propugnatori della Uniting for Peace cessarono di farsene promotori e di richiamare la risoluzione.

Alla luce degli elementi sopra esposti, la parte prevalente della dottrina internazionalistica tende ad escludere la formazione di una norma consuetudinaria di diritto internazionale volta ad attribuire all’Assemblea generale dell’ONU  i poteri delineati dalla risoluzione Uniting for Peace. In tal senso, la risoluzione Uniting for Peace, al pari di tutte le risoluzioni dell’Assemblea generale, avrebbe per il diritto internazionale valore non vincolante. 

Merita infine rilevare che l’eventuale accoglimento della richiesta dell’Autorità nazionale palestinese di essere riconosciuta come Stato membro dell’ONU avrebbe effetto unicamente per quel che concerne l’organizzazione e non costituirebbe di per sé l’attribuzione all’Autorità palestinese della piena qualificazione come Stato indipendente e sovrano.

Si ricorda infatti che per il diritto internazionale, requisiti ampiamente condivisi della statualità risultano essere il territorio, la popolazione e l’esercizio effettivo di un’autorità indipendente e sovrana.

Conseguentemente, il riconoscimento diplomatico da parte di altri Stati non appare costituire un requisito né necessario né sufficiente per la qualificazione come Stato. Esso può semmai rappresentare un elemento di valutazione ai fini della qualificazione di un soggetto come Stato indipendente e sovrano. In tal senso, anche l’approvazione di una risoluzione non vincolante da parte dell’Assemblea generale potrebbe sicuramente rappresentare un elemento significativo in ordine agli orientamenti di un numero consistente di membri della comunità internazionale sulla questione palestinese.

Si ricorda che attualmente risultano 126 gli Stati che riconoscono lo Stato della Palestina; dal 2008 si sono registrati 22 nuovi riconoscimenti, mentre nel periodo tra il 1995 e il 2007 i riconoscimenti erano stati soltanto 5-

 

 

 

La richiesta di ammissione come Stato non membro osservatore permanente

Secondo altre fonti[4], l’Autorità nazionale palestinese, di fronte alle difficoltà di ottenere un voto positivo in Consiglio di sicurezza per l’adesione all’ONU come Stato membro, starebbe invece meditando di promuovere in sede di Assemblea generale una risoluzione per richiedere lo status di Stato non membro osservatore permanente.

In altre parole fino ad oggi i rappresentanti palestinesi partecipano ai lavori ONU in quanto rappresentanti dell’OLP, ritenuta organizzazione di rappresentanza del popolo palestinese (cfr. supra box 1). Il nuovo status risulterebbe invece analogo a quello della Santa Sede.

Una simile modifica non necessiterebbe del passaggio dal Consiglio di sicurezza e potrebbe essere invece introdotta con una risoluzione approvata dal Consiglio di sicurezza con i due terzi dei voti.

Secondo alcuni osservatori il nuovo status agevolerebbe la possibilità per l’Autorità palestinese di adire a tribunali internazionali come la Corte internazionale di giustizia e la Corte penale internazionale. In entrambi i casi, pero, tale possibilità, pure agevolata, non sarebbe automatica ma rimessa alle determinazioni delle due corti sui ricorsi che venissero presentati.

 

L’audizione del ministro Frattini presso le Commissioni Affari esteri riunite di Camera e Senato del 14 settembre scorso

E’ importante ricordare che, nel corso dell’audizione del ministro Franco Frattini, sui recenti sviluppi del processo di pace in Medio Oriente, svoltasi il 14 settembre scorso presso le Commissioni Affari esteri riunite dei due rami del Parlamento, il capo della diplomazia italiana ha ampiamente affrontato la questione in oggetto, osservando preliminarmente:”L'idea che oggi vi trasmetterò è quella di una valutazione aperta, sulla quale sarò particolarmente grato se vorrete farmi conoscere le valutazioni, le opinioni, i suggerimenti, rispetto a una situazione in cui né l'Italia né gli altri Paesi europei hanno ancora formalmente assunto una posizione nelle sedi ufficiali,poiché evidentemente stiamo lavorando tutti - come ora vi dirò - per gestire una fase, durante i lavori dell'Assemblea generale e dopo la loro conclusione, che non solo non danneggi ma, al contrario, migliori le prospettive di una riconciliazione in Medio Oriente, anche alla luce delle forti attese dei popoli e dei Paesi del mondo arabo intorno a questa vicenda”.

Facendo riferimento al quadro politico israeliano il ministro Frattini ha deplorato fortemente alcuni sviluppi violenti della “primavera araba” come l’assalto all'ambasciata israeliana al Cairo, ed ha evidenziato come “la dirigenza israeliana, anche quella maggiormente incline al dialogo, tiene oggi in particolare considerazione un senso di progressivo isolamento, se non accerchiamento, e il timore di un uso della vicenda tale da contribuire a un ulteriore isolamento, dinanzi all'Assemblea generale dell'ONU, dello Stato di Israele. Questo sentimento è percepito non solo in Israele. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, esso è percepito in Paesi non secondari membri della Lega Araba che comprendono come l'interesse comune sia non certamente quello di isolare Israele ma, al contrario, quello di definire una prospettiva in cui esso sia rassicurato e certamente non isolato o marginalizzato”.

Il Ministro ha richiamato una prima opzione, incentrata su una “forte e articolata risoluzione del Quartetto”.

Si sta ipotizzando – ha aggiunto - una dichiarazione del Quartetto che, anzitutto, spinga con forza le due parti al ritorno al negoziato; delinei le caratteristiche di uno Stato palestinese e dei suoi contenuti (molto abbiamo parlato di uno Stato palestinese, poco abbiamo parlato del contenuto di questo Stato, vi sono state idee molto diverse e nessuno ancora ha messo a fuoco la questione di sostanza); tocchi ancora una volta il tema dei confini rispetto a una soluzione che l'Europa ha condiviso e che il Presidente Obama ha ripetuto - quella di un ritorno ai confini del 1967, con scambi di territorio conseguenti a una negoziazione tra le parti -; riaffermi il diritto di Israele al riconoscimento come Stato ebraico, o come Stato del popolo ebraico, in un contesto di sicurezza; richieda un impegno dei Paesi della Lega Araba alla normalizzazione con lo Stato di Israele, a cominciare dalle controversie commerciali e dai rapporti economici.”

La seconda opzione è rappresentata, secondo il Ministro, da una risoluzione da presentarsi al Consiglio di sicurezza o, in alternativa, all'Assemblea generale, che sancisca la nascita dello Stato palestinese, indicandone le caratteristiche e rimettendo a un negoziato successivo la definizione contenutistica e di aspetti che la risoluzione di principio non potrebbe affermare.

Sapete già – ha osservato - che sulla prima versione di questa seconda opzione - Consiglio di sicurezza - vi è un preannuncio quasi formale, diciamo così, di veto americano e sapete anche che il veto al Consiglio di sicurezza pregiudicherebbe ovviamente l'efficacia anche legale di una risoluzione ove presentata al Consiglio. Quanto alla presentazione all'Assemblea generale, sappiamo già ora, al di là di quello che dirò sul ruolo dell'Europa, che vi è un largo numero di Paesi membri che hanno già preannunciato il sostegno a un'eventuale risoluzione all'Assemblea generale; probabilmente si tratta di un numero di Paesi importante e probabilmente di una maggioranza.”

La terza opzione in campo concerne un upgrading dello status attuale dell'Autorità nazionale palestinese - che, come sapete, è ente che ha ricevuto un invito permanente a partecipare come osservatore - a un livello di Stato non membro osservatore permanente; quella che tutti quanti avete sentito nominare come «ipotesi Vaticano», cioè lo status della Santa Sede.

Questa opzione ha già evidenziato, a parere del Ministro, punti di incertezza da parte palestinese. Non sappiamo, in altri termini, se la leadership palestinese la riterrebbe sufficiente. Non abbiamo una posizione chiara della Lega Araba su questo tema, ma abbiamo con certezza un'obiezione israeliana e non solo israeliana: questa opzione consentirebbe, anche senza il riconoscimento dello status di Stato membro, la possibilità di adesione al sistema della Corte penale internazionale, ivi compreso il diritto di sollevare casi e di presentare denunzie.

La preoccupazione emersa nei lavori della nostra discussione europea e in altre sedi internazionali in cui abbiamo discusso di questo, – ha aggiunto - è che lo strumento, pur senza attribuire lo status di Stato membro dell'Assemblea generale, consentirebbe l'apertura di un numero potenzialmente indeterminato di casi contro Israele dinanzi alla Corte penale internazionale”.

Il Ministro ha poi riferito di un incontro, svoltosi il 13 settembre scorso, in cui, dinanzi alla Lega Araba, l'Alto Rappresentante dell'Unione europea, Lady Ashton, nella sua missione al Cairo ha avuto modo di esprimere quali siano oggi le posizioni su cui l'Unione europea intende attestarsi, condivise dal Governo italiano.

Il primo punto della posizione europea è evitare una divisione dell'Unione europea. Essa avrebbe effetti catastrofici per la credibilità dell'Europa se, in altri termini, si cominciasse con l'esplicitazione e la sommatoria di posizioni nazionali che - è già emerso in Polonia - non sarebbero coincidenti oggi sull'ipotesi di una risoluzione di proclamazione dello Stato palestinese indipendente. Inoltre, tale idea sarebbe catastrofica per la divisione che si creerebbe qualora gli Stati Uniti ponessero un veto e l'Unione europea non solo non mantenesse la sua unità ma si trovasse in una posizione di divergenza con gli Stati Uniti d'America in alcuni suoi membri e di sostegno in altri dei suoi Paesi membri.”

Occorre evitare che “l'Unione europea dia la sensazione di non comprendere quelle fortissime attese che nello scenario che ho descritto vengono da Israele ma anche da milioni e milioni di giovani nel mondo arabo, che nella primavera araba non hanno bruciato le bandiere di Israele ma che, ove fossero frustrate - o questa fosse la percezione - per sempre le aspettative di nascita in tempi rapidi di uno Stato palestinese, potrebbero davvero trasformarsi in sentimenti diffusi difficilmente governabili anche in Paesi che non sono stati attraversati finora dalle cosiddette «rivoluzioni» nei Paesi arabi”.

Un quarto punto estremamente importante è considerare il giorno dopo, ossia cosa accade dopo l'assunzione di decisioni, dopo una risoluzione del Quartetto, dopo una risoluzione presentata e bocciata al Consiglio di sicurezza, dopo una risoluzione, ancorché votata all'Assemblea generale, che determini un'interruzione del negoziato o, peggio, azioni scongiurabili da parte di grandi attori globali, ad esempio, sul fronte del sostegno economico alla Palestina. Guardare al giorno dopo e non solo al giorno prima è un compito che l'Europa si è data e che, a mio avviso, impone di considerare un pacchetto di proposte e di iniziative, non solo risoluzione sì o risoluzione no.”

L’Italia – ha rilevato conclusivamente – seguirà su queste linee l'obiettivo principale di tenere unita l'Europa, di far giocare all'Europa un ruolo politico proattivo, di lavorare nel Quartetto e con la Lega Araba affinché si trovi una soluzione che permetta al negoziato di pace di avere successo e non metta a rischio il negoziato stesso. Questo è l'impegno della signora Ashton, questo è l'impegno del Comitato internazionale dei donatori per la Palestina guidato dalla Norvegia, il cui Ministro Store ha confermato in Polonia questa determinazione; questo credo debba essere l'impegno della comunità internazionale”.

 

 

 


Il processo di riforma delle Nazioni Unite

Negli ultimi anni le Nazioni Unite, considerate come sistema che comprende programmi, agenzie specializzate e fondi, hanno avviato un processo di riforma, finalizzato a rafforzare l'efficacia dell'organizzazione e renderla più vicina alle sfide del presente ed alle richieste dei suoi membri.

Tale processo di riforma è stato intrapreso a più livelli ed in diverse sedi. Tra di esse il World Summit, che si è svolto nel settembre 2005 a margine della 60a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel cui documento finale (Outcome Document) viene dichiarato l’obiettivo di rafforzare l’autorità e l’efficienza dell’Onu, ossia di riformare l’Organizzazione affinché possa effettivamente affrontare le sfide attuali (capitolo quinto).

In relazione ai due principali organi delle Nazioni Unite (l’Assemblea generale ed il Consiglio di sicurezza), tuttavia, l’Outcome Document si limita a fornire alcune indicazioni di carattere generale.

Dell’Assemblea generale si afferma la posizione centrale quale principale organo deliberativo, politico e rappresentativo dell’Organizzazione. Si esprime consenso con le misure adottate, volte a rafforzare il ruolo e l’autorità del Presidente dell’Assemblea e si auspica un’intensificazione delle relazioni dell’Assemblea con gli altri organi delle Nazioni Unite al fine di garantire un coordinamento sulle questioni che richiedono un intervento concertato (par. 149-151).

A seguito delle indicazioni emerse nel World Summit, è stato istituito, nella 61a Sessione, un Gruppo di lavoro ad hocper la rivitalizzazione dell’Assemblea generale, ricostituito poi in tutte le Sessioni successive. Il Gruppo di lavoro operante nel corso della 64a Sessione (copresieduto da Argentina e Slovenia), che ha ultimato i propri lavori l’8 settembre 2010, ha approfondito una serie di temi, tra i quali, in particolare, l’esigenza di una verifica sull’implementazione delle decisioni e delle risoluzioni già adottate in tema di rivitalizzazione dell’Assemblea generale; il ruolo dell’Assemblea e le sue relazioni con gli altri organismi delle Nazioni Unite (in particolare con il Consiglio di Sicurezza); il ruolo e la responsabilità dell’Assemblea generale nel procedimento di nomina ed elezione del suo Segretario generale; il rafforzamento della “memoria istituzionale” dell’ufficio del Presidente dell’Assemblea.

Come di consueto, il lavoro del Gruppo ad hoc si è concluso con la sottoposizione all’Assemblea generale di un Rapporto e di una bozza di risoluzione.

 

Il dibattito sulla riforma del Consiglio di sicurezza.

Nel citato Outcome Document del World Summit 2005, si riconosce al CdS la primaria responsabilità nel mantenimento della pace e della sicurezza, e si sostiene l’opportunità di una riforma complessiva che lo renda maggiormente rappresentativo, più efficiente e più trasparente. Si raccomanda inoltre l’adozione di metodi di lavoro che consentano di coinvolgere gli Stati non membri del Consiglio (par. 152-154).

Il dibattito sulla riforma del Consiglio di sicurezza impegna le Nazioni Unite sin da prima della loro costituzione: infatti, già alla conferenza di San Francisco nel 1945, che ha adottato la Carta delle Nazioni Unite, la composizione e, in particolare, la questione del potere di veto dei futuri membri furono oggetto di svariate critiche. Gli argomenti principali avanzati per sostenere l’opportunità di un maggior numero di membri non permanenti riguardarono la rappresentatività, l’inclusività, e la democrazia. Tuttavia gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l'Unione Sovietica insistettero sulla necessità di mantenere ridotte dimensioni del Consiglio, di modo che potesse affrontare le crisi in modo efficace e tempestivo.

Finora, l'unico tentativo riuscito di riformare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è avuto nel 1965, con l’aumento del numero dei componenti elettivi da 6 a 10, sulla scia della decolonizzazione e del conseguente numero sempre crescente dei nuovi Stati membri dell’ONU. Nel 1956, alcuni paesi latinoamericani avevano suggerito per primi un ampliamento del numero di membri non permanenti, e già nel 1960 un certo numero di paesi dell'Europa occidentale avevano aderito a questa campagna. Nel 1963, il movimento dei “Non Allineati” presentò un progetto di risoluzione che mirava ad aumentare il numero dei seggi elettivi nel Consiglio di sicurezza: i quattro seggi supplementari avrebbero dovuto essere appannaggio dei paesi asiatici e africani. La proposta incontrò il favore della maggioranza dell’Assemblea Generale, ma solo della Repubblica di Cina (Taiwan) tra i membri permanenti, mentre soprattutto l’Unione Sovietica e la Francia erano fortemente contrarie. Eppure, di fronte ad una maggioranza divenuta schiacciante in seno all’Assemblea Generale, alla fine tutti i membri permanenti decisero di accettare la riforma, entrata in vigore il 31 agosto 1965.

Gli unici cambiamenti nella composizione del Consiglio di Sicurezza, con riferimento ai membri permanenti, sono stati conseguenti a mutamenti negli equilibri di potere a livello internazionale: nel 1971, la Repubblica popolare cinese ha sostituito la Repubblica di  Cina in Taiwan come unico rappresentante della Cina. Questa avvicendamento si basa su una risoluzione dell'Assemblea Generale; singolarmente, dalla votazione di una questione di credenziali, piuttosto che di appartenenza (che formalmente è rimasta invariata), l'Assemblea è stata in grado di influire sul Consiglio di sicurezza. Nel 1991, poi, con il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia ha ereditato il seggio come Stato legittimamente successore. 

Nel dicembre 1974 le Nazioni Unite istituirono una Commissione ad hoc sulla Carta delle Nazioni Unite, con particolare accento sulla riforma dei meccanismi di composizione e di voto nel Consiglio di sicurezza: una serie di progetti di risoluzione che prevedevano l’aumento del numero dei membri non permanenti non ebbe seguito. Infatti, oltre alla forte contrarietà dei membri permanenti – eccezion fatta per la Cina -, anche in Assemblea Generale vi furono posizioni assai diversificate.. Anche se formalmente la questione rimase all'ordine del giorno dell'Assemblea Generale, iniziò sulla questione una lunga impasse.

Dopo la fine della Guerra Fredda, la spinta per la riforma del Consiglio di Sicurezza sembrò riacquistare slancio: nel 1992, l'Assemblea Generale decise di istituire un Gruppo di lavoro ad hoc, in seno al quale ben presto, dopo una fase iniziale in cui l’istanza fondamentale sembrava quella dell’aggiunta ai membri permanenti di Germania e Giappone, emerse l’orientamento per un più corposo allargamento del Consiglio. In particolare, il Regno Unito, gli USA e la Russia concordarono su un allargamento secondo la formula 2+3 (due membri permanenti e tre elettivi), rigettando d’altronde ogni ipotesi di un Consiglio di sicurezza con più di 21 membri. Il dibattito culminò nella proposta del presidente dell'Assemblea generale e presidente del Gruppo di lavoro, il diplomatico malaysiano Razali Ismael, di un allargamento a quattro nuovi Stati membri, con un contestuale aumento a dieci dei membri permanenti. La proposta provocò tuttavia una grave divisione tra gli Stati membri: in particolare, il cosiddetto Coffee Club - una coalizione di paesi guidati da Italia e Pakistan – si oppose a qualsiasi riforma che migliorasse a loro danno lo status di rivali regionali come Germania, India o Brasile, a loro stesso danno. Vi fu anche una notevole contrarietà dei membri permanenti, salvo la Francia. Ancora una volta, il processo di riforma del Consiglio di sicurezza era in stallo.

Nel settembre 2003, l’allora Segretario Generale ha affrontato nuovamente la questione, questa volta nel contesto di uno sforzo di riforma globale delle Nazioni Unite. Il Segretario Generale Kofi Annan istituì il "Gruppo ad alto livello sulla minacce, sfide e cambiamento", che nel suo rapporto finale presentò due modelli alternativi per l’allargamento del Consiglio di sicurezza. Kofi Annan adottò quelle proposte, senza indicare alcuna preferenza tra i due modelli. Nel frattempo, Brasile, Germania, India e Giappone avevano formato il "G4" per promuovere le loro ambizioni comuni di seggi permanenti e diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza. Anche in questo caso, tuttavia, vi fu una forte opposizione da parte degli Stati partecipanti al precedente Coffee Club, ricostituitosi con la denominazione Uniting for Consensus; inoltre, il gruppo dei paesi africani premeva a sua volta per una maggiore sua rappresentanza in seno al Consiglio. Il risultato fu anche stavolta l’impossibilità di ogni progresso sull'allargamento del Consiglio di Sicurezza impossibile.

Nel gennaio 2007 il presidente della 61a Assemblea generale ha dato mandato a cinque moderatori di individuare linee di possibile consenso su cinque questioni che riguardano il futuro del Consiglio di Sicurezza, e cioè le categorie di appartenenza, il diritto di veto, la rappresentanza regionale, le dimensioni e metodi di lavoro,  le relazioni tra il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale. Anche in questo caso, però, il dibattito si è rapidamente impantanato lungo linee familiari, e nessuno dei vari modelli presentati ha raggiunto sufficiente sostegno tra gli Stati membri. Tuttavia, l’Assemblea Generale decideva di traslare la discussione sulle cinque questioni dal livello di gruppo di lavoro a quello di negoziati formali all'interno dell’A.G. medesima. Nei negoziati sono state affrontate alcune questioni fondamentali, quali la natura della membership (membri permanenti e membri a rotazione), il diritto di veto, i rapporti tra il Consiglio di sicurezza e l’Assemblea generale, le dimensioni del CdS, i suoi metodi di lavoro. In tali negoziati, però, i vecchi problemi e le rivalità regionali sono stati tutti confermati.

In ogni modo, mentre i cambiamenti nella composizione e nel potere di veto dei membri permanenti finora sono state impossibili da realizzare, vi sono stati considerevoli progressi nel rafforzamento della trasparenza e inclusività del processo decisionale nel Consiglio di Sicurezza, compresi i cinque membri permanenti,  con particolare riferimento al flusso di informazioni e alla consultazione dei membri permanenti con gli altri Stati, come anche con attori non statali. Si ricorda che nell'agosto 2008 il Consiglio di Sicurezza ha organizzato audizioni e dibattiti pubblici sulla riforma dei propri metodi di lavoro.

 

Sul piano negoziale, dunque, si fronteggiano ancora a tutt’oggi diverse proposte, due delle quali, le più “forti”, sono sostenute, rispettivamente, dal Gruppo dei G4 (Giappone, Germania, Brasile e India) e dal Gruppo Uniting for Consensus (Italia, Pakistan, Colombia, Argentina ed altri).

La proposta del G4, come è noto, insiste sull’ampliamento del numero dei seggi (6 permanenti e 4 non permanenti, che porterebbe il totale dei componenti a 25) che verrebbero assegnati in base ad elezioni nel rispetto di una precisa rappresentanza regionale. Secondo questa proposta, il diritto di veto non verrebbe esteso ai nuovi membri permanenti.

La proposta di Uniting for Consensus, invece, mira ad innalzare il numero dei membri non permanenti a venti stabilendo la durata del mandato in due anni; i membri non permanenti verrebbero eletti, a ciascun gruppo regionale verrebbe assegnato un numero predefinito di seggi; ai Paesi dell’Europa occidentale verrebbero attribuiti tre seggi.

Nell’aprile 2009, l’Italia si è fatta portavoce, insieme alla Colombia, di una nuova proposta globale che affronta tutti gli aspetti della riforma, dal numero dei membri ai metodi di lavoro (Uniting for Consensus Platform on Security Council reform) e che, rispetto alla proposta presentata da UfC nel 2005 presenta alcune novità.

Riguardo la composizione del CdS, la nuova piattaforma ribadisce l’assoluta contrarietà ad un aumento del numero dei seggi permanenti, prendendo unicamente in considerazione la questione dei seggi addizionali. La novità più rilevante riguarda la rappresentanza regionale, in considerazione del fatto che,  per assicurare la stabilità politica internazionale i soli attori nazionali non sono più sufficienti. La piattaforma propone che i seggi destinati alle organizzazioni regionali abbiano una durata più lunga rispetto agli attuali due anni: dai tre ai cinque anni o, in alternativa, di 2 anni secondo un meccanismo di rieleggibilità che non potrebbe comunque superare un limite massimo di sei anni consecutivi.

La posizione sostenuta dall’Italia sembra aver segnato un punto a suo favore nell’ultima seduta della 63ma Sessione dell’Assemblea generale (14 settembre 2009) che, oltre ad aver deciso che i negoziati intergovernativi sarebbero proseguiti anche nel corso della 64ma Sessione, non ha sostenuto il tentativo del gruppo dei G4  di ottenere un riconoscimento della necessità di un ampliamento del numero dei seggi permanenti del Consiglio di sicurezza. L’istanza dei G4 è stata accolta con talmente poco favore da avere sconsigliato ai suoi sostenitori il ricorso al voto.

Secondo il rappresentante permanente italiano, ambasciatore Terzi, si è trattato di un “evidente successo della linea negoziale italiana”  che il ministro Frattini aveva  posto al centro del Vertice informale sulla riforma dell’ONU svoltosi alla Farnesina il 4 e 5 febbraio 2009, con la partecipazione di 77 Paesi.

I negoziati intergovernativi, proseguiti durante la 64a Sessione, hanno condotto ad alcuni risultati tangibili, tra i quali va sottolineata  la convergenza sul tema dell’ampliamento del Consiglio di Sicurezza (ad un numero di membri di non molto superiore ai 20), sulla revisione dei metodi di lavoro e del processo decisionale, sullo sviluppo dei rapporti del Consiglio di Sicurezza con l’Assemblea generale e gli altri organi dell’Onu.

Con riguardo al ruolo dell’Unione Europea in CdS nell’ambito della rappresentanza regionale, caposaldo della posizione  italiana, è stato rilevato che l’entrata in vigore, il 1° dicembre 2009, del Trattato di Lisbona reca con sé innovazioni destinate ad incidere sulla rappresentanza europea alle Nazioni Unite. Tali innovazioni consistono non tanto nel riconoscimento formale della personalità giuridica internazionale della UE, quanto nella creazione della figura dell’Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza comune il quale, assistito da un Servizio europeo per l’azione esterna - composto da funzionari del Consiglio, della Commissione e dei servizi diplomatici degli Stati membri - incarna il volto e la voce dell’Unione nel mondo. Il Trattato, pertanto, rafforza i contenuti ed il coordinamento della politica estera comune dell’Unione Europea, rilanciandone ulteriormente la capacità di proiezione esterna. L’Italia è favorevole a un’accresciuta voce per l’Unione Europea nel Consiglio di Sicurezza, in vista di un futuro seggio unico europeo.

Il 3 maggio 2011 l’A.G. ha adottato, con 180 voti a favore, una risoluzione che innalza lo status dell’Unione europea e ne riconosce il ruolo di attore globale fondamentale.

Il 13 settembre 2010, a ridosso della chiusura della 64a Sessione, l’Assemblea generale ha deciso la prosecuzione dei negoziati intergovernativi sulla riforma del Consiglio di sicurezza nella sessione successiva, indicazione raccolta dal presidente della 65 a Sessione, l’ambasciatore svizzero Joseph Deiss che, nel suo discorso di apertura, ha sottolineato l’importanza del tema. L’ambasciatore afghano Zahir Tanin è stato riconfermato capo negoziatore. I colloqui tra gli Stati sono basati su un testo (“compilation text”) la cui prima versione, risalente al maggio 2010, è stata modificata per tre volte.

Nel corso della prima sessione informale dedicata alla riforma nella 65a Sessione, il 21 ottobre 2010, i vari raggruppamenti hanno sostanzialmente riconfermato le posizioni degli anni precedenti. Da rilevare che Germania, India e Brasile, paesi del G4, il gruppo che preme maggiormente per una soluzione rapida, fanno parte del Consiglio nel biennio 2011-12, e che il Portogallo (anch'esso membro per il biennio 2011-12), ha avanzato la proposta di ospitare nella sua delegazione in Consiglio un rappresentante dell'Unione europea[5]. (Anche il ministro Frattini, in margine al vertice italo-turco del 9 novembre, ha nuovamente ribadito che l’Italia è fortemente interessata all’assegnazione di un seggio permanente all’Unione europea).

L’11 novembre 2010 l’Assemblea generale ha affrontato la questione dell’equa rappresentanza e dell’aumento del numero dei membri del Consiglio di Sicurezza.

L'annuncio del presidente americano Barack Obama a favore dell'ingresso dell'India nel Consiglio di Sicurezza ha sollecitato le reazioni di Brasile, Germania[6] e Giappone, che come l’India (insieme alla quale costituiscono il gruppo G4) mirano ad un seggio permanente. Il G4 ha ribadito la propria posizione che si sostanzia nell’aumento dei seggi del CdS – sia quelli permanenti che quelli non permanenti – nell’abbreviazione del testo negoziale, e nell’avvio negoziati veri e propri. Il G4 gode dell’appoggio del Regno Unito, membro permanente del CdS.

La proposta di un Consiglio di Sicurezza allargato è stata ancora una volta bocciata dall'Italia che, insieme alla Colombia, ha parlato in rappresentanza del gruppo UfC (Uniting for Consensus). La posizione di UfC resta centrata sulla convinzione che una riforma democratica e rappresentativa non può essere raggiunta con “l'allargamento di privilegi datati e inefficaci”, bensì con l’aumento del numero dei membri non permanenti.

La Svizzera, che ha preso la parola a nome del gruppo S5 (Small Five Groups)[7] ha sottolineato che bisogna lavorare sulla riforma dei metodi di lavoro del CdS, che si trovi o meno un accordo sull’ampliamento del numero dei suoi membri.

Anche il gruppo L.69  - formato da Paesi africani, dell’America latina, dell’Asia e del Pacifico - è a favore dell’allargamento delle due categorie di membri del CdS, per il quale chiede anche un ampio cambiamento della composizione per tenere conto della nuova realtà globale.

La seconda sessione informale sulla riforma del Consiglio di sicurezza, tenuta il 14 dicembre 2010, ha avuto come base la seconda versione del testo negoziale.

L’Italia, sottolineando la flessibilità dei membri di UfC, ha proposto di iniziare la discussione sulle parti meno controverse del documento, quelle riguardanti la rappresentanza regionale, i metodi di lavoro e le relazioni tra Consiglio di sicurezza e Assemblea generale.

Il G4 e il gruppo L.69 hanno sostenuto la proposta della Giamaica mirata all’espansione del CdS con membri provenienti da regioni non rappresentate o sottorappresentate. Secondo la proposta del G4, inoltre, il CdS dovrebbe subire una revisione totale dopo 15 anni dall’entrata in vigore della riforma.

Il 2 marzo 2011 è iniziato il settimo round negoziale e l’Assemblea generale informale plenaria ha adottato la terza revisione del testo. La riunione si è svolta a porte chiuse ma due paesi (Italia e Germania) hanno reso pubblici i loro interventi.

L’Italia, a nome di UfC, ha espresso rammarico per il fatto che la terza revisione del testo non collega i cinque punti chiave della riforma, ma piuttosto li affronta separatamente. Altro motivo di insoddisfazione riguardava la trattazione della proposta di raggruppare i punti potenzialmente in comune per facilitare i negoziati, a proposito della quale l’Italia criticava il fatto che la parte del documento dedicata all’approccio intermedio iniziava con il dare conto delle posizioni contrarie ad esso.

Al contrario, la Germania, a nome del G4, ha manifestato soddisfazione per la terza revisione del testo negoziale che ha raggruppato le posizioni degli Stati membri e lo ha reso più chiaro. La Germania ha tuttavia lamentato una perdurante eccessiva lunghezza del testo ed ha espresso la necessità di eliminare da esso le posizioni decisamente minoritarie.

Si segnala infine che il 14 aprile 2011 il Gruppo S5 ha presentato una bozza di risoluzione per migliorare i metodi di lavoro del Consiglio di sicurezza.

 

Per il Consiglio economico e sociale, l’Outcome Document auspica un maggior ruolo in qualità di principale organo per il coordinamento, la valutazione delle politiche e la formulazione di raccomandazioni sui temi dello sviluppo economico e sociale. In particolare, si chiede che il Consiglio promuova un dialogo globale sulle tematiche di competenza, tenga un forum biennale sulla cooperazione allo sviluppo, divenga un luogo di verifica puntuale del conseguimento degli obiettivi di sviluppo, sostenga ed integri gli sforzi internazionali volti ad affrontare le emergenze, incluse quelle umanitarie, svolga un maggior ruolo nel coordinare fondi, programmi ed agenzie (par. 155-156).

Il 30 giugno 2006 l’Assemblea generale ha adottato una risoluzione per dare corso agli impegni assunti nel World Summit (A/60/265), compresi gli Obiettivi del Millennio e gli altri impegni assunti a livello internazionale in materia di sviluppo. La questione del rafforzamento dell’ECOSOC è tuttora aperta.

Dopo mesi di inattività, il 7 marzo 2011 è ripreso presso l’Assemblea Generale il primo round di negoziati per l’implementazione della risoluzione 61/16 sul rafforzamento dell’ECOSOC.

 

Per dare priorità alla tutela dei diritti umani è stata decisa l’istituzione di un Consiglio per i diritti umani con il compito di promuovere la protezione dei diritti umani a livello internazionale e di curare il coordinamento con gli altri organi delle Nazioni Unite.

Dopo mesi di intensi negoziati, il 15 marzo 2006 l’Assemblea generale dell’ONU ha votato a larghissima maggioranza[8] l’istituzione del nuovo Consiglio per i diritti umani, in sostituzione della molto criticata Commissione di Ginevra.

Rispetto alla precedente Commissione, il nuovo Consiglio, che ha lo status di organismo sussidiario dell’Assemblea generale, si riunisce con maggiore frequenza ed ha una composizione che tiene conto della rappresentanza geografica.

Il Consiglio, infatti, è composto di 47 membri, eletti, con voto segreto, dalla maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea generale (96 voti). La partecipazione è aperta a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite ma, come si è detto, la distribuzione dei seggi rispetta la rappresentanza geografica (13 ai Paesi africani; 13 ai Paesi asiatici; 6 dai Paesi dell’Europa orientale; 8 all’America latina ed ai Caraibi; 7 all’Europa occidentale ed altri Stati).

L’Assemblea generale, con la maggioranza dei due terzi presenti e votanti, può sospendere il diritto di appartenenza ad un membro del Consiglio che commetta gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani.

La novità più rilevante del nuovo meccanismo è la Revisione Universale Periodica (Universal Periodic Review- UPR), alla quale si sottopongono a turno tutti i 192 paesi membri delle Nazioni Unite. La revisione consiste nell’esame del rispetto degli obblighi assunti in tema di diritti fondamentali dell’uomo da parte dei paesi, effettuato da un gruppo di lavoro che comprende i 47 Stati membri del Consiglio dei diritti umani guidato, per l’esame di ciascun Paese, da una troika composta da tre di essi. L’UPR è un meccanismo cooperativo fondato sul dialogo con il paese interessato, pienamente coinvolto nel procedimento. La UPR viene effettuata sulla base di tre documenti: un rapporto fornito dallo Stato sotto esame; una compilazione di tutte le informazioni provenienti dai diversi strumenti e meccanismi di monitoraggio della situazione dei diritti umani del paese in esame preparata dall’Alto Commissariato per i diritti umani (OHCHR); un sommario delle osservazioni dei relevant stakeholders (organizzazioni non governative, istituzioni nazionali di tutela dei diritti umani, università, istituti di ricerca, organizzazioni regionali e rappresentanti della società civile) in materia di diritti umani nel paese esaminato. Al termine del procedimento il Consiglio dei diritti umani adotta per ciascun paese esaminato un documento finale che riassume la procedura dando conto degli interventi di ciascuno e fornisce indicazioni al paese esaminato.

Il 9 febbraio 2010 a Ginevra, per la prima volta l'Italia è stata sottoposta alla Revisione Periodica Universale.

 

L’Outcome document sostiene inoltre la riforma interna già avviata dal Segretario generale per ottenere un Segretariato efficiente, efficace e responsabile (par. 161 e segg.). La riforma mira in particolare a rafforzare la responsabilità e il controllo, migliorare la qualità e la trasparenza della gestione e rafforzare l’eticità della condotta dei  funzionari.

Quanto alla riforma dell’amministrazione delle Nazioni Unite, l’Outcome Document riconosce la debolezza amministrativa dell’Organizzazione e la necessità di accrescere l’indipendenza delle strutture di controllo. Il Documento riconosce inoltre la necessità di introdurre nuovi criteri e modalità per la gestione delle risorse umane e finanziarie dell’Organizzazione, considerazioni sulla base delle quali il 7 marzo 2006 il Segretario generale dell’ONU ha presentato il documento Investing in the United Nations: For a Stronger Organization Worldwide, sulla riforma dell’organizzazione che conteneva 23 proposte sulla gestione del Segretariato.

 

Oltre alla creazione del nuovo Consiglio per i diritti umani, il vertice mondiale del 2005 ha deciso l’istituzione di altro organismo: la Commissione per il peace-building (terzo capitolo dell’Outcome Document, dedicato ai temi della pace e della sicurezza collettiva).

Il documento sottolinea l’importanza del peace-building per i Paesi che emergono da situazioni di conflitto e necessitano di complessi interventi di ricostruzione di carattere istituzionale ed economico, e propone quindi l’istituzione di un’apposita Commissione avente la natura di organo intergovernativo consultivo. La Commissione ha il compito di riunire tutti gli attori rilevanti per la mobilitazione delle risorse e per la definizione di strategie complessive per il peace-building e il ripristino delle condizioni di normalità dopo un conflitto, con particolare attenzione alla ricostruzione, al rafforzamento delle istituzioni ed all’elaborazione di strategie per uno sviluppo sostenibile.

La Commissione si può riunire in varie forme ed è costituita da un Comitato organizzativo e da Comitati che rappresentano specifici paesi. Dei 31 membri[9] che formano il Comitato organizzativo, 7 sono selezionati dal Consiglio di Sicurezza; 7 sono eletti dall’ECOSOC, 5 provengono dai primi dieci contributori al bilancio ONU; 5 dai dieci paesi che maggiormente contribuiscono alle missioni ONU dal punto di vista militare.

Vi sono, infine, 7 membri eletti dall’Assemblea generale con l’intento anche di bilanciare gli eventuali squilibri geografici. Fanno parte dell’architettura del peacebuilding anche il Fondo per il peace-building (PBF) - un fondo fiduciario che ha il compito di assistere il passaggio da una situazione di conflitto ad una di ripresa economica, se altri fondi non sono presenti e disponibili – e l’Ufficio per il supporto delle operazioni di peacebuilding (PBSO) che sostiene il lavoro della Commissione.

La Peace-building Commission-PBC, che funziona dal giugno 2006, si sta occupando di Sierra Leone, Burundi, Guinea-Bissau e Repubblica centrafricana.

 

 

 


 


Il Rapporto 2011 sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio

E’ stato presentato il 7 luglio scorso a Ginevra il Millennium Development Goals(MDGs) Report 2011 pubblicato a cura delle Nazioni Unite. Il documento, giunto alla sua settima edizione, si basa, come i precedenti, su dati raccolti ed elaborati da Agenzie specializzate delle Nazioni Unite e da un gruppo di esperti internazionali, sotto la direzione del Dipartimento degli Affari economici e sociali del Segretariato delle Nazioni Unite.

Come ha affermato il Segretario generale dell’ONU, Ban ki-Moon, nel presentare il nuovo Rapporto, esso tratteggia uno scenario piuttosto variegato: da un lato è dimostrata la validità della scelta fatta nel 2000 di dare vita al progetto ambizioso degli Obiettivi del Millennio, ma dall’altro i progressi fin qui conseguiti mostrano il permanere di una disuguaglianza - sia sotto il profilo geografico, sia riguardo il grado di realizzazione di alcuni Obiettivi rispetto ad altri - che colpisce in maniera drammatica le fasce dei più poveri fra i poveri.

E’ merito degli MDGs aver diffuso consapevolezza ed aver costruito una cornice che rimane il punto di riferimento per lo sviluppo nel mondo intero, oltre che di aver promosso azioni che hanno significativamente inciso sulla vita di milioni di persone. Ban ki-Moon ha sottolineato che nonostante la crisi economica globale e la crisi alimentare ed energetica, i target che riguardano la riduzione della povertà saranno raggiunti e anzi superati: è previsto che nel 2015 il tasso globale di povertà sarà sceso al 15%, ben al di sotto dell’obiettivo fissato, che era del 23%.

Ban ki-Moon avverte tuttavia che sono necessari ulteriori sforzi e investimenti per colmare le lacune, talvolta profonde, in alcuni settori (istruzione secondaria e terziaria, salute materna e infantile, accesso ai servizi sanitari) e per universalizzare i risultati, recuperando le fasce dei più vulnerabili.

Infine, il Segretario generale delle Nazioni Unite ha ricordato che un ulteriore impedimento al conseguimento degli Obiettivi del Millennio è costituito dalla diffusione di quattro malattie non trasmissibili (malattia cardiovascolare, cancro, malattie polmonari croniche e diabete) che sono la causa di morte di tre persone su cinque in tutto il mondo e causano gravissimi danni socioeconomici in tutti i paesi, con particolare riguardo a quelli in via di sviluppo. La questione sarà oggetto di un meeting ad alto livello nel prossimo mese di settembre presso le Nazioni Unite.

Con l’approssimarsi del 2015 (data fissata per il raggiungimento degli MDGs), il Segretario generale dell’ONU ha ricordato che il loro compimento – e a maggior ragione vista la parzialità dei risultati – non può che essere considerato una parte del lavoro che ancora spetta alla Comunità internazionale, ragione per la quale è già in corso di elaborazione un’ambiziosa agenda post-2015. 

L’Obiettivo 1

La robusta crescita della prima metà del decennio ha prodotto nei PVS una sostanziosa riduzione del numero delle persone che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno: da 1,8 miliardi nel 1990 a 1,4 miliardi nel 2005, con una diminuzione del tasso di povertà dal 46 al 27 per cento. Come si è già detto, nonostante la crisi economica globale che ha provocato una flessione del prezzo delle materie prime, degli scambi e degli investimenti, le tendenze attuali suggeriscono che lo slancio della crescita  nei PVS consentirà comunque il raggiungimento dell’obiettivo del dimezzamento del numero delle persone che vivono al di sotto della soglia della povertà.

In contrasto con questo dato, tuttavia, il numero di persone sottonutrite non sta diminuendo, essendosi attestato nel corso di questo decennio (dati disponibili fino al 2007) intorno al 16%. Tale discrasia, che segnala una disfunzione nei meccanismi che governano l’accesso al cibo nei paesi in via di sviluppo, è allo studio della FAO che intraprenderà un esteso esame per individuarne le cause.

Particolarmente grave il dato che riguarda i bambini sottopeso al di sotto dei cinque anni che, nei paesi in via di sviluppo, sono ben il 25%. Nell’Asia meridionale la situazione peggiore, dove la percentuale raggiunge il 43% (nel 2009, contro il 52% nel 1990) ma anche nell’Africa sub sahariana (22% nel 2009, 27% nel 1990).

Come risulta comprensibile, la crisi economica ha avuto un impatto negativo sull’obiettivo di ridurre i lavori precari, praticamente in fase di stallo (particolarmente in Oceania, Asia meridionale e Africa sub-sahariana) e il Rapporto segnala che la ripresa economica non è riuscita a tradursi in maggiori opportunità di lavoro quasi dovunque, con cambiamenti pressoché inesistenti dal 2007 ad oggi, (con la sola eccezione delle regioni del Caucaso e dell’Asia centrale dove è in corso un miglioramento nel rapporto tra popolazione impiegata e popolazione totale).

 

L’Obiettivo 2

Le iscrizioni alle scuole primarie sono aumentate in tutto il mondo in via di sviluppo negli ultimi dieci anni, ma ad un passo troppo lento. La regione che ha fatto registrare più progressi è quella dell’Africa sub-sahariana anche se, date le condizioni di partenza, continua a rimanere quella con il più alto numero di bambini fuori dalla scuola (24 su 100, che corrisponde al 48% dei 67 milioni di bambini che in tutto il mondo non frequentano le classi di istruzione primaria). Naturalmente i più soggetti all’esclusione sono i bambini poveri, ancor di più le bambine, che vivono in zone afflitte da conflitti, o che sono rifugiati.

 

L’Obiettivo 3

L’Obiettivo di raggiungere la parità di genere nell’istruzione primaria e secondaria sta avanzando, anche se ancora persistono disparità in molte regioni. Riguardo l’educazione primaria, la parità è raggiunta nelle regioni del Caucaso e dell’Asia centrale, dell’America latina e dell’Asia sudorientale; nell’istruzione secondaria la parità è raggiunta nel Caucaso-Asia centrale e nell’Africa Settentrionale, mentre nell’Asia sudorientale, nell’Asia orientale e nell’America Latina, il numero di ragazze iscritte supera addirittura quello dei ragazzi. Riguardo l’istruzione terziaria, invece, va notato come in ben quattro macroregioni vi sia una prevalenza femminile (Asia orientale, Caucaso-Asia centrale, Asia sudorientale e America Latina).

Il gap tra uomini e donne sul piano dell’accesso a lavori retribuiti in campi diversi dall’agricoltura rimane in almeno la metà delle regioni, con le maggiori disparità in Asia occidentale, Asia meridionale e Nord Africa. I progressi che si erano verificati negli ultimi anni, hanno subito un rallentamento a seguito della crisi economica e finanziaria a partire dal 2008.

Persiste una forte disparità fra il numero delle donne parlamentari e i loro colleghi uomini nelle asssemblee di tutto il mondo, talché il target della parità sarà ben lontano dall’essere raggiunto nel 2015: nei paesi sviluppati, nel 2009,  le donne ricoprivano il 23 % dei seggi, contro il 18% dei paesi in via di sviluppo (le situazioni peggiori si registrano in Oceania e Asia occidentale), dati che dimostrano la diffusione del problema e la lentezza con la quale viene affrontato.

 

L’Obiettivo 4

L’Obiettivo di ridurre (di due terzi entro il 2015) la mortalità dei bambini al di sotto dei cinque anni sta avanzando in tutti i paesi anche se con risultati eterogenei. Ancora una volta i progressi più scarsi si registrano nell’Africa sub-sahariana, nell’Asia meridionale e nell’Oceania, mentre in tutte le altre regioni la riduzione della mortalità infantile raggiunge il 50%. Le regioni dove maggiormente si è riusciti ad ottenere buoni risultati sono l’Africa settentrionale e l’Asia orientale, dove la mortalità al di sotto dei 5 anni è diminuita del 68% e del 58% rispettivamente.

Ci sono ancora 31 paesi – tutti appartenente all’area dell’Africa sub-sahariana tranne l’Afghanistan –  nei quali il rapporto tra bambini morti prima dei cinque anni e nati vivi è di oltre 100 a 1.000. Il Rapporto suggerisce che l’Obiettivo potrebbe essere raggiunto, ma solo a patto di un sostanziale sforzo per eliminare le maggiori cause di mortalità infantile nei paesi dell’Africa sub-sahariana: la diarrea, la malaria e la polmonite. Grandi successi si sono avuti nella lotta al morbillo, la cui drastica diminuzione (78% di morti in meno a livello mondiale) conta per un quarto nella diminuzione della mortalità infantile globale. La diminuzione dei fondi destinati alle vaccinazioni, tuttavia, potrebbe mettere a rischio i risultati fin qui ottenuti.

Prescindendo dalle differenze geografiche, tuttavia, i bambini che vivono in aree rurali o molto difficili da raggiungere, o che appartengono a famiglie poverissime, sono naturalmente molto più a rischio della media. Anche il grado di istruzione delle madri ha un pesante influsso sulla sopravvivenza dei bambini, come dimostrano i dati raccolti nel 2008 in 68 paesi in via di sviluppo.

 

L’Obiettivo 5

Rimane un evidentissimo gap tra i dati sulla salute materna riguardanti le regioni sviluppate e quelle in via di sviluppo. Malgrado gli interventi effettuati per prevenire le morti in gravidanza o durante il parto, i progressi sono ancora troppo deboli in molte parti del mondo, prima fra tutte l’Africa sub sahariana, dove si registrano (dati del 2008) 640 donne decedute ogni 100.000 nati vivi. Il dato è sconvolgente se paragonato a quello dei paesi sviluppati, dove il rapporto è di 17 a 100.000 e se si considera che la percentuale, nell’Africa sub sahariana, è calata solo del 26% rispetto a quella registrata nel 1990.

Del resto, l’Africa sub sahariana è anche la regione nella quale si verifica un numero molto basso di parti assistiti da personale qualificato (46 %) e i dati, se confrontati con quelli del 1990 (42%), non sembrano mostrare tendenze incoraggianti. Molto diversa invece la situazione nel Nord Africa, dove si registra il cambiamento più rilevante (dal 45% nel 1990 all’81% del 2008).

L’Obiettivo 5, attraverso i suoi target, monitora altri e diversi aspetti correlati con la salute materna. Si viene così a conoscenza del fatto che è in aumento la percentuale di donne che riceve almeno una visita medica (o di altro personale qualificato) durante la gravidanza, ma che non abbastanza donne ricevono una sufficiente assistenza prenatale (il numero raccomandato è di almeno quattro visite in gravidanza).

Vi è poi il grave problema delle gravidanze adolescenziali(tra i 15 e i 19 anni). Infatti la gravidanza, se intrapresa troppo precocemente, reca con sé maggiori rischi di complicazioni e perfino di morte. Rimane elevatissimo il numero delle nascite da madri adolescenti nell’Africa sub-sahariana (122 su mille), ben oltre il doppio della media nei paesi in via di sviluppo (nelle regioni sviluppate la proporzione è di 54 madri adolescenti ogni 1.000 nascite). In quasi tutte le regioni, inoltre, si registra, dopo un’iniziale sensibile diminuzione del numero delle madri adolescenti (avvenuta nel corso degli anni Novanta),  un rallentamento di tale tendenza, quando non addirittura una sua inversione.

Il capitolo dei contraccettivi mostra un aumento del loro uso fra le donne - tra i 15 e i 49 anni - sposate o comunque accoppiate: oltre la metà di queste faceva ricorso nel 2008 ad una qualche forma di contraccezione, salvo che in due regioni, l’Africa sub-sahariana e l’Oceania.

Il Rapporto rileva inoltre un bisogno non soddisfatto di pianificazione famigliare da parte di donne che vorrebbero ritardare la gravidanza ma non fanno uso di contraccettivi; ancora una volta le percentuali indicano nell’Africa sub-sahariana (seguita dai Caraibi) la regione dove il fenomeno è più accentuato. Si presume che negli anni a venire la domanda di pianificazione famigliare sarà in aumento, anche a causa dell’aumento del numero di persone in età riproduttiva. Tuttavia, gli aiuti per la pianificazione famigliare, in proporzione al totale degli aiuti destinati alla salute è diminuito percentualmente nell’ultimo decennio, risultando pari al 2,6% nel 2009.

 

L’Obiettivo 6

Nella regione sub-sahariana, dove l‘epidemia di AIDS ha colpito il maggior numero di persone, si registra un trend incoraggiante, dato che il numero delle nuove infezioni è diminuito dallo 0,57% (cioè quasi 6 persone su 1.000 nella popolazione di età compresa fra i 15 e i 49 anni)  nel 2001 a 0,40 nel 2009. La tendenza alla diminuzione del tasso di incidenza, tuttavia, è in fase di stallo in molte altre regioni (Asia orientale, Europa occidentale, Europa centrale e Nord America) e sta addirittura cambiando di segno nell’Europa orientale e nell’Asia centrale.

Nel 2009, 33,3 milioni di persone vivevano con il virus dell’HIV (nel 1999 erano 26 milioni, quindi l’aumento è stato, nel giro di un decennio, del 27 %). Si deve registrare tuttavia un netto miglioramento per quanto riguarda le morti causate da AIDS: grazie alla maggiore diffusione dei farmaci antiretrovirali (il cui uso è aumentato di 13 volte tra il 2004 e il 2009) esse sono diminuite (negli stessi 5 anni) del 19%. La diminuzione del numero dei morti sommata con la diminuzione del numero delle nuove infezioni, fanno sì che la popolazione in vita con il virus dell’HIV sia in aumento.

Le donne e i giovani sono i soggetti più vulnerabili e, soprattutto i secondi, sono i più inconsapevoli del fatto che l’uso del preservativo riduce il rischio di contagio. I più sprovveduti sono i giovani (tra i 15 e i 24 anni) che vivono nell’Africa sub-sahariana.

Nonostante la rapida diffusione del trattamento antiretrovirale, ai ritmi attuali non sarà possibile raggiungere l’obiettivo dell’accesso universale alle cure contro l’AIDS con la conseguenza, tra le altre, che continueranno a nascere bambini infettati dalle proprie madri (nel 2008, solo il 53 per cento delle donne incinte infettate dal virus dell’HIV ha ricevuto la terapia).

Considerevoli progressi sono stati fatti sul piano della lotta alla malaria grazie all’uso di reti impregnate di insetticida sotto le quali proteggere i bambini nel sonno e grazie anche al trattamento con i farmaci. In declino anche la diffusione e le morti per tubercolosi.

 

L’Obiettivo 7

L’Obiettivo 7 contiene numerosi target relativi alla sostenibilità ambientale.

La superficie coperta da foreste sta riducendosi con velocità allarmante in Sud America e Africa, mentre in Asia, e soprattutto in Cina, essa sta aumentando.  Il tasso di deforestazione e di perdita di foreste dovuta a cause naturali (parzialmente compensato in alcune regioni dalle attività di rimboschimento) sta rallentando, ma rimane ancora troppo alto. Crescono le aree protette che oggi coprono circa il 13 per cento delle foreste del mondo.

Nonostante il rallentamento delle attività economiche, aumentano le emissioni di CO2 che, nel 2008, assommavano globalmente a 30,1 miliardi di tonnellate (21,8 nel 1990), con un contributo dei paesi in via di sviluppo decisamente superiore a quello dei paesi sviluppati dove esse sono in diminuzione. Le emissioni pro capite, tuttavia, rimangono superiori nelle regioni più sviluppate (11,2 tonnellate di CO2 contro le 2,9 dei PVS e le 0,8 nell’Africa sub-sahariana).

La quantità di aree protette, terrestri e marine, è in aumento, ma non in misura sufficiente da garantire la protezione della biodiversità, che è in diminuzione. Del pari, sono in diminuzione le specie animali e le loro popolazioni, come mostra l’”Indice della Lista Rossa”, che monitora tutte le specie di uccelli, mammiferi e anfibi (questi ultimi sono gli animali che rischiano maggiormente l’estinzione).

Molto preoccupante il quadro che riguarda le risorse di acqua, il cui prelievo in alcune regioni (Asia occidentale e Nord Africa) ha abbondantemente superato la soglia dellasostenibilità, fissata al 75% delle fonti interne rinnovabili [10].

Il target che prevede il dimezzamento della popolazione che non ha accesso all’acqua potabile sarà raggiunto, sebbene sia probabile che nel 2015 una persona su dieci sarà ancora esclusa da tale beneficio.

Non è invece raggiungibile il target che prevede il dimezzamento della popolazione che non ha a disposizione bagni provvisti di sciacquone o altre forme di servizi igienici avanzati che, nel 2008, era pari a circa la metà di tutti gli abitanti della terra. Al ritmo di progresso attuale, soltanto nel 2049 il 77% della popolazione potrebbe usufruire di tali servizi. I grafici mostrano una diminuzione della disparità tra aree urbane e rurali, da sempre e tuttora più arretrate riguardo la disponibilità di servizi igienici.

Un ulteriore target prevede il raggiungimento di un significativo miglioramento delle condizioni di vita di circa cento milioni di abitanti delle baraccopoli. Dal 2000 al 2010 la percentuale dei residenti in baraccopoli nei PVS è diminuita dal 39 al 33 per cento ma, in valori assoluti, il loro numero  continua ad aumentare a causa del continuo e rapido aumento dell’urbanizzazione. Si stima che gli abitanti delle baraccopoli – la cui maggiore presenza è nell’Africa sub sahariana - siano oggi 828 milioni, mentre erano 657 milioni nel 1990 e 767 milioni nel 2000. Oltre 200 milioni di essi hanno avuto accesso a servizi igienici adeguati o ad abitazioni più stabili e meno affollate.

 

L’Obiettivo 8

Riguardo questo Obiettivo (“Sviluppare un partenariato per lo sviluppo”), il Rapporto ci informa innanzitutto che gli aiuti allo sviluppo – nelle varie forme - hanno raggiunto nel 2010 l’ammontare di 128,7 miliardi di dollari, che equivale allo 0,32 per cento del reddito nazionale (cumulativo) dei paesi sviluppati. Nonostante si tratti di una cifra-record, siamo però al di sotto di quanto i leader del G8 di Gleneagles (2005) si erano impegnati a sborsar: 130 miliardi di dollari nel 2010 al valore del 2004; secondo il Rapporto, mancherebbero, per arrivare al totale della somma promessa, circa 19 miliardi di dollari.

L’analisi delle tendenze dell’aiuto pubblico allo sviluppo basata sui dati forniti dall’OCSE (che mette in rilievo i ritardi di alcuni paesi, tra i quali l’Italia) rivela che gli aiuti si concentrano sempre più sui paesi più poveri e per oltre un terzo sui Paesi Meno Sviluppati (Least Developed Countries – LDCs).

Uno dei target di questo Obiettivo prevede l’ulteriore sviluppo di un sistema finanziario aperto, regolamentato, prevedibile e non discriminatorio. Sotto questo profilo, il Rapporto sottolinea che, nonostante i timori di un ritorno al protezionismo,  sollevati all’inizio della crisi del 2008, la forte governance internazionale emersa dal G20 e da altre iniziative multilaterali, ha permesso di evitare un ritorno a pratiche commerciali restrittive. Per quanto riguarda in particolare il commercio con i Paesi Meno Sviluppati, tutti i paesi sviluppati, con la sola eccezione degli Stati Uniti, hanno concesso l’accesso senza dazi ad almeno il 97% dei prodotti da essi provenienti.

La netta caduta delle esportazioni nel 2009 ha interrotto la tendenza alla diminuzione del tasso di interesse del debito nei paesi in via di sviluppo, ancora molto alto in alcuni di questi (nella regione dell’Asia occidentale risultava, nel 2009, del 9% rapportato alle entrate derivanti dalle esportazioni). In America Latina e nel Nord Africa, i dati mostrano addirittura un’inversione di tendenza, con un leggero aumento del tasso di interesse del debito nel 2009 rispetto all’anno precedente.

Le nuove tecnologie, specialmente nel campo dell’informazione e della comunicazione, sono sempre più a disposizione degli abitanti del pianeta. Alla fine del 2010, il 90% della popolazione mondiale era coperta da un segnale di telefonia mobile e il numero degli abbonamenti era salito a 5,3 miliardi. La crescita della telefonia mobile è molto sostenuta soprattutto nei paesi in via di sviluppo, essendo i paesi sviluppati sostanzialmente saturi di questo bene.

Continua ad essere costante l’aumento degli utenti di internet, che rappresentano circa un terzo della popolazione mondiale; il livello di penetrazione rimane tuttavia relativamente basso nei paesi in via di sviluppo: 21 per cento contro il 72 per cento dei paesi sviluppati.


La situazione umanitari nel Corno d’Africa: il dibattito parlamentare

L'Assemblea di Montecitorio, nelle sedute del 6 e 7 settembre 2011, ha discusso e votato mozioni sulla situazione umanitaria nel Corno d'Africa, giungendo all'approvazione di un unico documento unitario, mentre la Commissione Affari esteri già il 27 luglio 2011 aveva approvato una risoluzione sullo stesso argomento.

La gravissima crisi alimentare che colpisce attualmente alcune aree del Corno d'Africa deriva dalla combinazione di un periodo di prolungata siccità con l'incremento dei prezzi dei generi alimentari di base verificatosi negli ultimi anni per vari fattori. La crisi alimentare si innesta in una situazione già di per sé critica, soprattutto per quanto concerne la Somalia, priva di una dimensione statuale complessiva e in preda a combattimenti in diverse regioni del paese.

La drammatica situazione alimentare sta provocando pesanti riflessi anche sui paesi vicini, come il Kenya, meta di un consistente flusso di affamati in fuga dalla Somalia. L'UNICEF ha reso noto alla metà di agosto che la crisi umanitaria interessa oltre 12 milioni di persone, tra le quali due milioni e mezzo di bambini, la cui mortalità è accresciuta anche dall'insorgere di malattie come il morbillo e il colera.

Il 25 agosto una riunione ad Addis Abeba dei paesi africani donatori ha raccolto un totale di 352 milioni di dollari, dei quali gran parte saranno forniti dalla Banca africana di sviluppo. La Somalia, in particolare, è stata al centro dell'attenzione dell'Organizzazione per la Conferenza islamica e della Turchia, che hanno stanziato a suo favore rispettivamente 350 e circa 150 milioni di dollari. Ciononostante, le Nazioni Unite hanno denunciato l'estendersi della carestia verso l'intera area meridionale somala, con più di settecentomila persone a rischio di morte entro l'anno.

Come accennato, nella seduta del 6 settembre 2011 l’Assemblea di Montecitorio ha iniziato la discussione di alcune mozioni sulle iniziative da adottare di fronte al progressivo aggravamento della crisi umanitaria nel Corno d’Africa, innescata dalla siccità e dalla conseguente carestia, ma aggravata dalla cronica instabilità della Somalia, non a caso il paese più colpito dalla tragedia in atto: la discussione si è conclusa il 7 settembre 2011, con la presentazione e l’approvazione di una mozione che ha raccolto l’unanimità dei presenti e votanti.

Il documento impegna il Governo italiano, anche attraverso la cooperazione allo sviluppo, a mettere a disposizione delle organizzazioni internazionali le risorse necessarie per fronteggiare l'emergenza, incrementandone l'ammontare. Inoltre il Governo dovrà agire, coinvolgendo l'Unione europea, per assicurare alle popolazioni del Corno d'Africa stabilità statuale e democratica, nonché dare il proprio contributo alla grande campagna di informazione in atto per sensibilizzare sull'argomento della crisi umanitaria nel Corno d'Africa l'opinione pubblica italiana. Con riferimento ai milioni di bambini coinvolti drammaticamente nell'emergenza umanitaria, il Governo viene infine impegnato ad iniziative normative che ne semplifichino il sistema di adozioni internazionali.

Il 27 luglio 2011 la Commissione Affari esteri della Camera aveva già affrontato la discussione della risoluzione 7-00650, a prima firma dell'on. Renato Farina, dedicata alla situazione umanitaria creatasi nel Corno d'Africa in seguito alla crisi alimentare in corso.

L'approfondita discussione si è conclusa con l'approvazione della risoluzione in un testo modificato (8-00140), il cui dispositivo, anche richiamando l'appello rivolto dal Pontefice, impegna il Governo a rendere disponibili per le Organizzazioni internazionali impegnate in loco aiuti tali da poter fronteggiare utilmente l'emergenza umanitaria e la carestia, contribuendo inoltre alla campagna di informazione a livello internazionale, per sensibilizzare anche l'opinione pubblica italiana sugli accadimenti tragici in Paesi con i quali vantiamo particolari legami storici. Infine, il testo approvato impegna il nostro Governo, in una prospettiva meno immediata, a compiere maggiori sforzi per assicurare alle popolazioni del Corno d'Africa governi stabili e democratici.

Alla seduta è intervenuto per conto del Governo il sottosegretario agli Affari esteri sen. Alfredo Mantica, che ha svolto una nutrita serie di considerazioni sulla situazione e sulle prospettive di medio termine della regione, ricordandone i legami storici con l'Italia. Premesso che l'emergenza attuale nel Corno d’Africa deriva da una delle più gravi siccità degli ultimi 60 anni, che ha sommato gli effetti sulla scarsità dei raccolti con le tendenze all’aumento dei prezzi delle derrate alimentari di base, il sen. Mantica ha rilevato come le aree maggiormente colpite siano in Somalia, Etiopia, Kenya e Gibuti, con una situazione che si caratterizza anche per il gran numero di profughi, soprattutto somali, che esercitano una pressione ormai al limite delle limitate disponibilità dei paesi vicini.

Ricordati gli storici legami dell'Italia con l’intera regione del Corno d'Africa, il sen. Mantica ha menzionato una serie di progetti a carattere umanitario che la cooperazione italiana porta avanti nella regione, soprattutto avendo di mira la sicurezza alimentare, la sanità, l'accesso all'acqua, l'istruzione e il sostegno ai profughi e agli sfollati. Oltre alla cooperazione italiana possono esercitare un ruolo importante anche altri attori non governativi, e il sen. Mantica ha citato in particolare l'Agenzia italiana per la risposta alle emergenze, la quale, raccogliendo diverse Organizzazioni non governative, è in grado di accrescere la sensibilità sulla questione e convogliare così ulteriori fondi per far fronte all'emergenza umanitaria.

È stato inoltre ricordato come il ministro Frattini abbia lanciato un appello urgente alla Comunità internazionale per l'apertura di corridoi umanitari verso le popolazioni bisognose, non facili da assistere proprio per la contemporanea presenza sul terreno di vari conflitti tra fazioni contrapposte. Per quanto riguarda l'impegno della Commissione europea, il sen. Mantica ha ricordato come dall'inizio della crisi alimentare nel Corno d'Africa l’Unione europea, che già in precedenza aveva stanziato 70 milioni di euro per aiuti umanitari, ha provveduto a impegnare una somma che sfiora i 90 milioni per il 2011.

La seconda parte dell'intervento è stata dedicata a fare il punto sul ruolo dell'Italia per le prospettive di medio termine della regione, con particolare riferimento al conflitto interno somalo. Facendo perno sull’Organizzazione interstatuale del Corno d'Africa (IGAD), la strategia italiana sostiene in particolare alcuni uffici chiave delle autorità transitorie somale, come quelli del Presidente e del Primo Ministro, nonché dei Ministeri degli esteri e dell'interno, delle finanze, dell'informazione, della sanità e della sicurezza nazionale.

Nella regione la dimensione tribale rimane fondamentale, e in tal senso il sottosegretario ha fatto cenno alla necessità di un maggior coinvolgimento degli attori regionali somali, che in alcuni casi hanno già mostrato di saper utilizzare la concertazione tra i clan per una stabilizzazione proficua. Infine, il sottosegretario ha ricordato come l'Italia si sia fatta promotrice, assieme al Regno Unito e all'Uganda, dell'organizzazione di una riunione a livello ministeriale dedicata alla Somalia, in margine alla prossima Assemblea Generale dell'ONU di settembre; nonché della nomina di un Rappresentante speciale dell'Unione europea per il Corno d'Africa.

 

 


Le iniziative internazionali per la lotta alle mutilazioni genitali femminili

 

Per mutilazioni genitali femminili (MGF) si intendono tutte le pratiche volte alla parziale o totale rimozione degli organi genitali femminili esterni o qualsiasi altro danno arrecato agli organi genitali della donna, a fini non terapeutici. Sono classificate in quattro tipi, ciascuno dei quali articolato in varianti.

Secondo l’Organizzazione mondiale della Salute (OMS), il tipo più comune di mutilazione è l'escissione del clitoride e delle labbra, che rappresenta più dell'80% di tutti i casi, mentre la forma più estrema, l'infibulazione, rappresenta circa il 15%.

Le MGF sono praticate prevalentemente in 28 paesi africani ma anche nella penisola araba, nel Medio Oriente e nel sudest asiatico. La Tabella allegata alla Dichiarazione congiunta del 2008 delle Agenzie dell’ONU[11] (v. infra) mostra che i paesi nei quali la pratica è maggiormente diffusa sono, in ordine decrescente, Somalia, Egitto, Guinea, Sierra Leone, Gibuti, Mali e Sudan, nei quali si stima che essa sia stata messa in atto su oltre il 90 per cento delle donne tra i 15 e i 49 anni.

Si calcola che siano 100-140 milioni le donne e le ragazze al mondo che hanno subito tali mutilazioni in qualunque momento della loro vita (ma le MGF vengono effettuate perlopiù al di sotto dei quindici anni) fra le quali 92 milioni di bambine maggiori di dieci anni che vivono in Africa.

Ogni anno, circa 3 milioni di ragazze sono (o corrono il rischio di essere) sottoposte a MGF. Secondo il Parlamento europeo, su 500 mila donne che vivono in Europa sono state praticate mutilazioni, mentre secondo l’Istat, ogni anno in Italia sono circa 35 mila  le donne e le bambine emigrate vittime di tale pratica.

Le mutilazioni genitali femminili sono riconosciute a livello internazionale come violazioni dei diritti umani delle donne e riflettono disparità tra i sessi profondamente radicate nonchè gravi forme di discriminazione. Oltre ad essere pratiche dolorose, esse costituiscono fonte di rischio per la salute, potendo causare shock, emorragie, infezioni batteriche, problemi urinari, danni permanenti all’area genitale, infertilità. Le MGF possono inoltre comportare maggiori rischi al momento del parto, riferiti sia alla madre che al bambino.

Da quanto detto finora si evince che le MGF costituiscono anche un impedimento al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: l’Obiettivo n. 3, ad esempio, promuove la parità di genere e l’empowerment delle donne; l’Obiettivo n. 4 la riduzione della mortalità infantile, e il Goal 5 la riduzione della mortalità materna. Nessuno di questi Obiettivi potrà essere realizzato finché non saranno completamente abbandonate le pratiche di MGF, poiché la salute delle donne, l’acquisizione di maggior potere e il riconoscimento dei loro diritti sono condizioni essenziali per l’eliminazione della povertà (oggetto dell’Obiettivo n. 1).

L’OMS avverte che, sebbene le mutilazioni genitali siano praticate in varie forme da molte centinaia di anni, le ricerche scientifiche sulle ragioni per le quali esse continuano ad esserlo nel presente sono piuttosto limitate. Tuttavia, appare chiaro che le cause delle mutilazioni genitali siano da ricondurre ad un insieme di fattori culturali, religiosi e sociali che regolano le famiglie e le comunità.

Laddove le MGF sono una convenzione sociale, la pressione che spinge ad adeguare il proprio comportamento a quello prevalente è una forte motivazione per non dismettere l’abitudine. Alcuni falsi convincimenti, inoltre, contribuiscono a perpetrarla, come l’idea che le mutilazioni siano una parte necessaria della corretta educazione delle bambine e che esse corrispondano ad un dettato religioso. Alcuni tipi di MGF, inoltre, vengono praticati con il proposito di limitare allo stretto necessario i rapporti sessuali delle donne, scoraggiandone quelli illeciti  (per paura del dolore) e assicurando così la fedeltà della moglie verso il marito (presente o anche solo futuro).

I leader religiosi hanno assunto posizioni molto diversificate riguardo il problema: alcuni sostengono le MGF, altri le avversano, altri ancora le ritengono assolutamente irrilevanti per la religione.

 

Per la prima volta nel 1997 l’OMS, l’UNICEF e l’UNFPA (United Nations Population Fund) hanno adottato una Dichiarazione comune che descriveva l’impatto della pratica sulla salute e ne sottolineava l’aspetto di violazione dei diritti umani. Da quel momento sono stati compiuti passi in avanti, anche grazie alla ricerca che ha permesso di individuare strategie di intervento e grazie al lavoro svolto all’interno delle comunità e all’approvazione di nuove normative in molti paesi. Tuttavia, nonostante gli sforzi a livello locale e internazionale[12], la diffusione delle MGF rimane alta.

Un passaggio importante è costituito da una nuova Dichiarazione, nel 2008, (Eliminating Female Genital MutilationAn Interagency Statement) nata dall’esigenza di ottenere maggiori finanziamenti,unitamente a quella di coordinare il lavoro delle altre Agenzie dell’ONU che nel tempo si sono aggiunte a quelle del nucleo iniziale per collaborare nella lotta al fenomeno.

La Dichiarazione è sottoscritta, oltre che dall’OMS, dall’UNICEF e dall’UNFPA, dall’UNAIDS (Programma delle Nazioni Unite per l’AIDS/HIV), dall’UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo), dall’UNECA (Commissione delle Nazioni Unite per l’Africa), dall’UNESCO, dall’UNIFEM (Ente delle Nazioni Unite per l’eguaglianza dei sessi e l’autonomizzazione delle donne), e dall’UNHCHR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani). Essa contiene un’ampia disamina dei dati disponibili e, sulla base delle esperienze accumulate, fornisce indicazioni sugli elementi necessari per l’ottenimento del completo abbandono delle pratiche di MGF e la presa in carico delle vittime.

Nel 2007 l’UNFPA e l’UNICEF hanno deciso di dar vita ad un Programma congiunto con un approccio sub-regionale che, basandosi su iniziative che avevano già dimostrato il loro successo, promuove un’azione coordinata tra i paesi con caratteristiche simili. Nel 2008 il Programma coinvolgeva otto paesi, divenutati dodici nel 2009[13]. A questi se ne sono aggiunti altri cinque (“altri paesi prioritari”) che portano il totale dei paesi seguiti in Africa a 17. Il Programma congiunto si propone di accelerare l’abbandono delle pratiche di mutilazione genitale femminile - con la riduzione del 40% sulle bambine al di sotto dei 15 anni - nei paesi nei quali esso è attivo e con l’obiettivo dell’abbandono totale in almeno uno di essi entro il 2012.

L’impegno internazionale unitamente all’impegno delle singole realtà locali ha fatto sì che oggi in 19 dei paesi africani più afflitti dalla pratica, le mutilazioni siano fuorilegge (tra di essi anche Burkina Faso, Togo, Senegal e Uganda). Un risultato dovuto anche all’entrata in vigore nel 2005 del Protocollo dell’Unione Africana sui Diritti delle Donne in Africa, che all’Articolo 5 prescrive l’adozione di legislazioni nazionali contro le MGF[14].

L'eliminazione delle mutilazioni genitali femminili è riconducibile anche a numerose Convenzioni internazionali o regionali tra le quali si ricordano:

·           Convenzione contro la tortura e altre pratiche o punizioni inumane, crudeli e degradanti (1984);

·           Convenzione sui diritti civili e politici (1966);

·           Convenzione sui diritti economici, sociali e culturali (1966);

·           Convenzione sull'eliminazione delle discriminazioni nei confronti delle donne (CEDAW) (1979) (Che obbliga gli Stati firmatari a prendere le misure idonee, inclusa nuova legislazione, per modificare o abolire le leggi esistenti, i regolamenti e i costumi e le pratiche che costituiscono una discriminazione contro le donne);

·           Convenzione sui diritti dell'infanzia (1989) (Essa protegge i diritti della bambina all'eguaglianza di genere e stabilisce che gli stati debbano adottare ogni misura efficace atta ad abolire le pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute dei minori);

·           Convenzione sullo status dei rifugiati e i relativi protocolli (1951).

Convenzioni di ambito regionale:

·            la Carta africana sui diritti umani e dei popoli (1981),

·            Protocollo alla Carta africana sui diritti umani e dei popoli, relativo ai diritti della donna in Africa (2003);

·            la Carta africana sui diritti e il benessere dei bambini (1990) (che impone ai paesi che la ratificano di prendere tutte le misure appropriate per abolire le pratiche consuetudinarie dannose per il benessere, la crescita normale e lo sviluppo dei bambini e delle bambine, in particolare i costumi e le pratiche pregiudizievoli per la salute e discriminatori sulla base del sesso o di altro status);

·            la Convenzione europea sui diritti dell'uomo e le libertà fondamentali (1950).

·            I documenti internazionali di rilievo sono numerosi, tra di essi si possono segnalare:

·            il Programma di azione approvato alla quarta Conferenza sulle donne a Pechino (1995) (che dispone di rafforzare le leggi, riformare le istituzioni e promuovere norme e pratiche che eliminano la discriminazione contro le donne ed incoraggiano donne e uomini ad assumersi la responsabilità del loro comportamento sessuale e nella procreazione; assicurare il pieno rispetto per l'integrità fisica del corpo umano; eliminare la discriminazione nei confronti delle bambine nei settori della salute e della nutrizione, prendere tutte le misure appropriate per abolire le pratiche tradizionali pregiudiziali alla salute) ;

·            la dichiarazione dell'Assemblea generale delle Nazioni unite sull'eliminazione della violenza contro le donne (1993);

·            il Programma di azione della Conferenza internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo  (ICPD) (1994) (Essa richiede ai governi di abolire le Mgf dove esistano e di sostenere le ONG e le istituzioni che lottano per eliminare tali pratiche);

·            la dichiarazione della Commissione sulla condizione femminile del Consiglio economico e sociale delle Nazioni unite relativa all'abolizione della pratica delle mutilazioni genitali femminili (E/CN.6/2007/L.3/Rev.1)

·            la Risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni unite A/Res/52/99 sulle pratiche tradizionali o consuetudinarie che riguardano la salute della donna.

Si ricorda che la Commissione sullo Status delle Donne (CSW) il 12 marzo 2010 ha adottato la risoluzione 54/7 per porre fine alle mutilazioni genitali femminile, che esprimeva soddisfazione per la nomina dello Speciale Rappresentante sulla violenza contro i bambini e sottolineava che l’empowerment delle donne e delle bambine è la chiave per ottenere il rispetto dei diritti umani. Tra l’altro, la risoluzione chiede agli Stati di attivare ragazzi e ragazze per la creazione di programmi per la prevenzione e l’eliminazione delle pratiche di MGF e di prendere le misure necessarie – anche legislative - per metterle al bando. La risoluzione, inoltre, chiede che gli Stati prevedano un insieme di misure punitive ed educative per promuovere il consenso intorno alla politica di abbandono di tali pratiche, nonché speciali misure per le donne rifugiate e migranti.

La International Campaign to Ban Female Genital Mutilation Worldwide (costituita prevalentemente da parlamentari e attivisti dei diritti umani aderenti al Comitato inter-africanosulle pratiche tradizionali che incidono sulla salute di donne e bambini-CIAF, alla rete EURONET, all'Associazione La Palabre e all’associazione Non C’è Pace Senza Giustizia) si propone di promuovere  l'adozione di una Risoluzione di messa al bando universale delle mutilazioni genitali femminili da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite entro il 2011. La Campagna si basa sulla convinzione che una risoluzione dell’Assemblea generale costituirebbe un momento cruciale per la lotta alle MGF poiché la gravità e le dimensioni del fenomeno richiedono l’impegno dell’intera comunità internazionale all’adozione di tutte le misure necessarie ad estirparlo. Una risoluzione dell’ONU contenente un esplicito divieto, secondo i promotori, aiuterebbe a completare il mutamento di prospettiva: da problema di ordine sanitario o culturale, le MGF assumerebbero una volta per tutte il rango di violazioni dei diritti umani e la forma indiscussa di violenza contro le donne.

La necessità di approvare tale risoluzione è sostenuta anche dal Governo italiano che si è fatto carico di ricercare il necessario consenso di tutti i paesi africani ai fini della sua presentazione presso le Nazioni Unite (v. infra), intervento presso il Senato del Sottosegretario agli affari esteri Scotti), lavorando a stretto contatto con l’associazione Non C’è Pace Senza Giustizia.

L’Italia ha inoltre aderito alla Campagna End Fgm, promossa da Amnesty International Ireland e da una decina di Ong europee fra le quali AIDOS (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo), che ha già raccolto 42mila firme. La Campagna ha lo scopo di ottenere l’adozione da parte dell’Unione europea di una Strategia definitiva per porre fine alle pratiche di MGF e che preveda forme di assistenza alle donne che fuggono dai loro paesi per sfuggire a tali pratiche.

Infine, si ricorda che ogni anno, il 6 febbraio si celebra la Giornata internazionale della tolleranza zero contro le mutilazione genitali femminili. In occasione della celebrazione della Giornata 2011 l'associazione radicale Non c’è pace senza giustizia, ha lanciato una campagna di comunicazione dal titolo "Decidi tu che segno lasciare", per sensibilizzare le comunità di migranti che soggiornano in Italia.

 

Attività legislativa e parlamentare

La legge n. 7 del 2006 detta le misure necessarie per prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile, quali violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine (art. 1).

Tale legge in particolare ha introdotto nel codice penale un’autonoma fattispecie di reato (Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, art. 583-bis) che punisce con la reclusione da 4 a 12 anni chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili (clitoridectomia, escissione, infibulazione ed altre analoghe pratiche).

Quando la mutilazione sia di natura diversa dalle precedenti e sia volta a menomare le funzioni sessuali della donna, la pena è la reclusione da 3 a 7 anni; una specifica aggravante (pena aumentata di un terzo) è prevista quando le pratiche siano commesse a danno di un minore ovvero il fatto sia commesso a fini di lucro.

L’art. 583-bis – previa richiesta del Ministro della giustizia - stabilisce la punibilità delle mutilazioni genitali femminili, anche se l’illecito è commesso all’estero da cittadino italiano (o da straniero residente in Italia) o in danno di cittadino italiano (o di straniero residente in Italia).

Nella disciplina previgente, tali pratiche erano penalmente perseguibili nel nostro Paese, solo indirettamente, come lesioni personali (di solito gravi o gravissime) ai sensi degli articoli 582 e 583 del codice penale.

Pesanti pene accessorie sono previste dalla legge (nuovo art. 583 ter c.p.) nei confronti dei medici condannati per mutilazioni genitali: interdizione dall’esercizio della professione per un periodo da 3 a 10 anni; comunicazione della sentenza di condanna all’Ordine dei medici chirurgi e degli odontoiatri.

Attraverso l’inserimento dell’art. 25-quater.1 nel decreto legislativo n. 231 del 2001 (in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche derivante da reato) la legge ha disposto specifiche sanzioni interdittive e pecuniarie (da 300 a 700 quote) a carico degli enti nella cui struttura è commesso il delitto di cui all’art. 583-bis.

La medesima legge, inoltre, ha previsto campagne informative e di sensibilizzazione delle popolazioni in cui tali pratiche sono più diffuse nonchè una più adeguata formazione del personale sanitario[15], oltre che l’istituzione di un numero verde volto sia a ricevere segnalazioni che a fornire informazioni e assistenza ai soggetti coinvolti nella pratica delle utilazioni genitali femminili.

Il tema delle mutilazioni genitali femminili è stato affrontato nella legislatura in corso da entrambi i rami del Parlamento, innanzitutto a partire dall’esame del ddl di conversione del decreto-legge 6 luglio 2010, n. 102, recante proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace, di stabilizzazione e delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia. Il decreto, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2010, n. 126, reca all’articolo 2, comma 6 una disposizione che prevede una spesa aggiuntiva di euro 778.500per favorire iniziative dirette ad eliminare le mutilazioni genitali femminili, anche in vista dell'adozione di una risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite”.

Una norma analoga è contenuta anche nel D.L. 29 dicembre 2010, n. 228, (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2011) recante Proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle forze armate e di polizia che, per il primo semestre del 2011, autorizzata la spesa di euro 500.000 per il sostegno alla realizzazione di iniziative dirette ad eliminare le mutilazioni genitali femminili.

Inoltre, il 21 luglio 2010, in sede di discussione presso la Camera dei deputati del decreto-legge citato, il governo ha accettato l’ordine del giorno Pianetta ed altri 9/3610-A/1 che impegna il Governo “ad assumere ogni iniziativa utile ai fini della presentazione ed approvazione presso la prossima Assemblea generale dell'ONU di una risoluzione per la messa al bando delle mutilazioni genitali femminili”.

Il 16 settembre 2010 il Senato ha approvato la mozione 1-00289 cheimpegna il Governo ad adoperarsi affinché l'Assemblea delle Nazioni Unite adotti una risoluzione per la messa al bando a livello globale delle mutilazioni genitali femminili. La mozione, a prima firma Bonino, è stata sottoscritta da senatori di tutte le forze politiche.

Nella seduta del 27 ottobre 2010 presso la Commissione Affari esteri del Senato, il sottosegretario Scotti ha reso comunicazioni circa l’attuazione della citata mozione 1-00289, sulla quale il governo aveva espresso parere favorevole.

Il Sottosegretario ha ricordato l’azione del governo italiano per promuovere l'adozione di una specifica risoluzione dell'Assemblea ONU ricordando che essa è ispirata al principio secondo il quale sono proprio i Paesi afflitti dal fenomeno – e in particolare l’Africa - a dover essere i principali promotori dell'iniziativa di bando. Il Governo italiano si sta adoperando dunque per far maturare un consenso tra tali paesi, adottando un approccio graduale di cui ha dato conto (a partire dalla riunione presieduta dal Ministro degli affari esteri nel settembre 2009 a margine dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, da cui è scaturita la creazione di un gruppo di lavoro informale, fino ai contatti avviati con i Paesi africani e in particolar modo con l'Egitto).

L’intendimento del Governo italiano è di presentare la risoluzione direttamente in Assemblea generale (dove dovrebbe essere adottata per consenso), senza passare attraverso il previo esame della Terza Commissione, l’organo preposto alla trattazione dei diritti umani.

Più di recente, nella seduta del 9 febbraio 2011, il ministro per le pari opportunità, Maria Rosaria Carfagna, intervenendo alla Camera ha dato risposta all’interrogazione 3-01450, Baldelli e Sbai, su Iniziative per contrastare la pratica delle mutilazioni genitali femminili. Il ministro ha fornito un aggiornamento sui più recenti passi intrapresi dal Governo per combattere una battaglia contro tale fenomeno tra i quali la ricostituzione della Commissione per la prevenzione e il contrasto delle pratiche delle mutilazioni genitali femminili e l'attivazione di un numero verde gratuito, gestito dalla Direzione generale anticrimine del dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno.

Il Parlamento sta attualmente esaminando il disegno di legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale (A.S. 1949-B) che interviene anche sulle sanzioni accessorie del reato di mutilazioni genitali femminili (art. 583-bis c.p.).

In particolare, il disegno di legge già approvato dalla Camera e all’esame del Senato, dispone che quando il reato è commesso dal genitore o dal tutore del minore, la condanna comporta anche la decadenza dall’esercizio della potestà del genitore ovvero l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno.

 


Lo status dei funzionari italiani dipendenti da organizzazioni internazionali

Il numero dei funzionari internazionali italiani (cittadini italiani impiegati da organizzazioni internazionali riconosciute dal nostro Stato) è stimato in circa 3.000-3.500 unità, a cui si aggiunge un numero variabile di funzionari e di consulenti con contratti a breve termine. Il trattamento economico e pensionistico dei funzionari italiani presso le organizzazioni internazionali è variabile a seconda dello statuto giuridico e dei regolamenti interni delle varie organizzazioni.

Legge 17 dicembre 2010, n. 227, ha definito disciplina organica per i cittadini italiani che prestano o hanno prestato servizio in qualità di dipendenti delle organizzazioni internazionali.

L’articolo 1, comma 1, stabilisce che la Repubblica promuove l'accesso alla funzione pubblica internazionale, riconoscendo il ruolo svolto dai funzionari italiani che prestano servizio presso le organizzazioni internazionali alle quali l'Italia aderisce. Il comma 2 definisce - per le finalità della stessa legge - “funzionari internazionali” i cittadini italiani che svolgono funzioni professionali o direttive con rapporto di lavoro dipendente presso una organizzazione internazionale.

L’articolo 2 istituisce l'elenco dei funzionari internazionali di cittadinanza italiana presso il Ministero degli affari esteri (comma 1).

Ai sensi del successivo comma 2, sono iscritti nell'elenco i funzionari internazionali che svolgono o che hanno svolto funzioni professionali o direttive con rapporto di lavoro dipendente presso organizzazioni internazionali per almeno due anni continuativi ovvero per almeno tre anni non continuativi.

L'iscrizione avviene dietro presentazione di apposita domanda da parte del funzionario internazionale interessato (comma 3). Una sezione speciale del richiamato elenco è prevista per l’iscrizione dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2 del D.Lgs. 165/2001[16] (comma 4).

Allo stesso Ministero è demandata la tenuta e l'aggiornamento dell'elenco, il controllo del quale, con cadenza almeno annuale, è conferito ad una apposita commissione interministeriale, istituita presso il medesimo Ministero (comma 5).

La commissione è composta da un rappresentante designato dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, da un rappresentante designato dal Ministero degli affari esteri e da un rappresentante designato dal Ministero dell'economia e delle finanze, ed è integrata da un rappresentante designato a maggioranza delle associazioni dei funzionari internazionali di cittadinanza italiana costituite nelle città estere sedi di organizzazioni internazionali. Ai componenti della commissione non è corrisposto alcun compenso, indennità o rimborso spese.

Lo stesso Ministero, inoltre, provvede a pubblicizzare e a dare il più ampio risalto possibile all'elenco, sia presso le amministrazioni pubbliche sia presso le imprese private, allo scopo di facilitare la mobilità da e verso le organizzazioni internazionali (comma 6).

Infine, il comma 7 dispone che, con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della L. 400/1988, su proposta del Ministro degli affari esteri, entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge[17], siano disciplinate le modalità di iscrizione e di cancellazione dall'elenco e le modalità di costituzione e di funzionamento della commissione interministeriale di controllo in precedenza richiamata.

L’articolo 3, comma 1, prevede la che lo Stato favorisca la formazione mirata all'ottenimento delle professionalità necessarie per l'accesso alle organizzazioni internazionali. Il comma successivo riconosce le attività di promozione e diffusione delle iniziative di formazione attuate ai sensi del precedente comma da parte del Ministero degli affari esteri.

L’articolo 4 prevede il riconoscimento della qualifica di funzionario internazionale quale titolo valutabile per i concorsi pubblici per la copertura di posti vacanti, commisurato agli anni di servizio effettivo prestato nelle organizzazioni internazionali, in base a criteri da stabilire con lo stesso regolamento disciplinante le modalità di iscrizione e di cancellazione dall'elenco e le modalità di costituzione e di funzionamento della commissione interministeriale di controllo.

L’articolo 5 introduce l’istituto dell’aspettativa per i coniugi lavoratori, pubblici e privati, che prestano servizio all'estero in qualità di funzionario internazionale ai sensi del provvedimento in esame.

In particolare, il comma 1 prevede la facoltà, per i coniugi dipendenti delle amministrazioni pubbliche, di richiedere il collocamento in aspettativa, nel caso in cui l'amministrazione non ritenga di poterlo destinare a prestare servizio nella stessa località in cui si trovi il coniuge, o qualora non sussistano i presupposti per il suo trasferimento nella medesima località.

Tale aspettativa, ai sensi del successivo comma 2, ha una durata massima di tre anni: il periodo trascorso in aspettativa non è computato ai fini della progressione di carriera, dell'attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e previdenza. Il successivo comma 5 dispone l’applicabilità delle disposizioni di cui alla L. 11 febbraio 1980, n. 26, recante norme relative al collocamento in aspettativa dei dipendenti dello Stato il cui coniuge, anche esso dipendente dello Stato, sia chiamato a prestare servizio all'estero, per quanto non espressamente previsto dallo stesso articolo 5. Sono comunque fatte le eventuali misure di maggior favore per i dipendenti, contenuti nei contratti di lavoro (comma 6).

L’articolo 6, infine, inserisce una clausola d’invarianza finanziaria  e dispone che le amministrazioni interessate provvedano alla sua con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

 

 


La cooperazione parlamentare in ambito ONU
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

 

La cooperazione parlamentare in ambito ONU si è avvalsa in ripetute occasioni degli incontri tra gli Organi della Camera e i massimi rappresentanti dell’Organizzazione.

Il 17 maggio 2011 si è svolto, presso il Senato della Repubblica, un incontro informale degli Uffici di presidenza delle Commissioni Affari esteri di Camera e Senato con il Presidente dell'Assemblea generale dell'ONU, Joseph Deiss

Il 24 febbraio 2011 il Presidente della XIV Commissione, on. Mario Pescante, ha incontrato Wilfried Lemke, consigliere speciale per lo sport, lo sviluppo e la pace del Segretario generale delle Nazioni Unite

Il 27 aprile 2010 l’Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della Commissione Affari Esteri, ha audito in via informale l’ambasciatore Carlo Trezza, Presidente dell’Advisory Board del Segretario Generale dell’ONU per le questioni del disarmo.

Il 20 aprile 2010 gli Uffici di Presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni Affari esteri di Camera e Senato hanno incontrato il Sottosegretario del Dipartimento del Field Support delle Nazioni Unite, Susana Malcorra.

Il 14 aprile 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha incontrato il Commissario Generale dell'UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi), Filippo Grandi.

Il 25 marzo 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha incontrato l'ex-Direttore Generale dell'AIEA e Presidente della Commissione sulle armi di distruzione di massa, Hans Blix, che ha tenuto alla Camera una Conferenza.

Il 24 marzo 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha ricevuto il Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Maria Costa, Direttore esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) e Direttore generale dell’Ufficio delle Nazioni Unite di Vienna

L' 11 marzo 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha ricevuto l'Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Navy Pillay.

Il 4 febbraio 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha incontrato a New York il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-moon. L’incontro si è svolto nell’ambito della visita che il Presidente Fini ha effettuato negli Stati Uniti dal 3 al 5 febbraio 2010.

Il 12 novembre 2009 l'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi della Commissione Affari esteri, ha incontrato l'Amministratore dell'United Nations Development Programme (UNDP), Helen Clark.

Il 22 ottobre 2009 l’allora Vice Direttore Esecutivo del Programma alimentare mondiale, Staffan De Mistura è stato audito presso il Comitato per gli obiettivi di sviluppo del millennio della Commissione Affari Esteri.

Il 24 aprile 2009 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha ricevuto il Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Maria Costa, Direttore esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) e Direttore generale dell’Ufficio delle Nazioni Unite di Vienna. 

L'8 aprile 2009 il Vice Presidente della Camera, on. Maurizio Lupi (PDL), ha incontrato il Vice Segretario Generale dell'ONU, Sha Zukang.

Il 2 luglio 2008 il Presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, Srgjan Kerim, in visita ufficiale in Italia, ha incontrato il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, e il giorno successivo, 3 luglio 2008, ha tenuto un'audizione informale dinanzi alle Commissioni riunite Affari Esteri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Il 22 ottobre 2007, Asha-Rose Migiro, Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite ha effettuato una visita ufficiale in Italia ed ha incontrato alla Camera, il Presidente Fausto Bertinotti, nonché il Presidente della Commissione Affari esteri, Umberto Ranieri e il Presidente dell’Unione interparlamentare, Pier Ferdinando Casini.

Il 18 aprile 2007 il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha effettuato una visita ufficiale in Italia. In tale occasione ha incontrato il Presidente della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti, nonché le Commissioni Affari esteri della Camera e del Senato riunite.

Il 27 febbraio 2007 il Presidente della 61ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, Haya Al Khalifa, ha effettuato una visita ufficiale in Italia. In tale occasione ha incontrato il Presidente della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti, nonché  l’Ufficio di Presidenza della Commissione Affari esteri della Camera, integrato dai rappresentanti dei Gruppi. Quindi, la Presidente Al Khalifa ha incontrato il Presidente dell’Unione interparlamentare, Pier Ferdinando Casini. Nella stessa occasione il Presidente Al Khalifa ha partecipato, presso la Fondazione della Camera dei deputati, ad una conferenza sul tema “Verso una cultura dell’eguaglianza di genere nel XXI secolo”.

L’11 ottobre 2006 gli Uffici di Presidenza, integrati dai rappresentanti dei Gruppi, delle Commissioni Affari costituzionali (I) e Affari esteri (III) della Camera dei deputati, hanno incontrato Doudou Diène, Relatore speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di razzismo, di discriminazione razziale, di xenofobia e relative intolleranze.

Lo scorso 12 luglio 2006 il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha incontrato il Presidente della Camera, Fausto Bertinotti, il Presidente dell’Unione interparlamentare Pier Ferdinando Casini e le Commissioni Esteri della Camera e del Senato.

Sempre il 12 luglio il Presidente della Commissione Affari esteri, Umberto Ranieri, ha incontrato Tom Koenings, Capo della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan.

 

 


La partecipazione di parlamentari italiani alle
Conferenze in ambito ONU
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

 
La delegazione parlamentare italiana alle sessioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite

L'Assemblea generale delle Nazioni Unite è la principale sede di decisione e l'organo più rappresentativo, composto da rappresentanti di tutti gli Stati membri, che dispongono di un voto ciascuno. La sessione annuale ordinaria dell'Assemblea inizia il terzo martedì di settembre e prosegue di regola fino alla terza settimana di dicembre e vi partecipano, invitate, in qualità di osservatori, delegazioni parlamentari degli Stati membri.

Nel corso della XIV e della XV legislatura, una delegazione parlamentare di componenti della Commissione Affari esteri si è recata a New York per ciascuna delle sessioni annuali, in concomitanza con la settimana ministeriale:

In concomitanza con la 65ma sessione, si è svolta una Riunione di Alto livello sugli Otto Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite, convocata dal Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki Moon, al fine definire l’agenda della comunità internazionale per il raggiungimento degli otto Obiettivi entro il 2015. Ai lavori ha partecipato, in qualità di osservatore, dal 20 al 22 settembre 2010, una delegazione del Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, composta dal suo Presidente, l’onorevole Enrico Pianetta (PdL), e dall’onorevole Mario Barbi (PD).

 

 

La partecipazione parlamentare alle principali Conferenze ONU

L'agenda delle Nazioni Unite non si esaurisce con l'attività istituzionale dei suoi organi e con le attività poste in essere dalle Agenzie e dagli altri organismi che vi fanno capo, ma, sotto l'egida dell'ONU, vengono organizzati Summit, Conferenze e altre iniziative volte a migliorare le legislazioni mondiali, tramite l'adozione di Convenzioni, e a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle questioni più delicate che l'ONU ha in agenda.

Il Parlamento italiano ha attribuito particolare rilevanza alle tematiche a carattere ambientale cui fanno riferimento diverse conferenze relative alla applicazione delle Convenzioni Quadro delle Nazioni Unite. Dalla XIV legislatura delegazioni della Camera dei Deputati partecipano regolarmente alle Sessioni annuali della Conferenza delle Parti (COP) relativa alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici (UNFCCC), che ha il compito di promuovere e controllare periodicamente l'applicazione della relativa Convenzione:

Tradizionalmente la Camera dei deputati partecipa alle riunioni della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (CSW) ed all'evento parlamentare che viene organizzato congiuntamente dalla Divisione delle Nazioni Unite per l'avanzamento delle donne e dall'Unione interparlamentare nel corso della riunione della Commissione.

Il tema della 51ma Sessione della CSW, tenutasi a New York dal 29 febbraio al 9 marzo 2007, è stato "L'eliminazione di tutte le forme di violenza e discriminazione nei confronti delle bambine". Il Presidente Bertinotti aveva investito della questione il Presidente del Comitato pari opportunità, Titti De Simone, ma per concomitanti impegni parlamentari non è stato possibile designare alcun parlamentare. L'evento parlamentare, che si è svolto il 1° marzo 2007, è stato dedicato al ruolo dei Parlamenti nella lotta alla discriminazione e alla violenza nei confronti delle bambine. Ai lavori ha partecipato l'on. Angela Napoli (AN).

La 52ma sessione della Commissione sullo status delle donne si è svolta a New York dal 25 febbraio al 7 marzo 2008. L'evento parlamentare, organizzato dall'Unione interparlamentare e dalle Nazioni Unite, si è tenuto il 27 febbraio e ha avuto come tema "Il ruolo dei Parlamenti nel finanziamento della parità di genere". Nessun parlamentare italiano ha potuto prender parte ai lavori.

La 53ma sessione della Commissione sullo status delle donne si è svolta a New York dal 2 al 13 marzo 2009. La tavola rotonda si è tenuta il 2 marzo ed ha avuto come tema "Un'equa condivisione delle responsabilità tra donne e uomini compresa l'assistenza ai malati di HIV/AIDS". I lavori dell'Unione interparlamentare si sono tenuti il 4 marzo 2009. Hanno partecipato ai lavori della Sessione le onn. Paola Pelino (PDL) e Emilia Grazia De Biasi (PD) e le senatrici Ida Maria Germontani (PdL) e Vittoria Franco (PD).

La 54ma sessione della Commissione sullo status delle donne (CSW) ha avuto luogo a New York dal 1° al 12 marzo 2010. L'evento parlamentare, organizzato congiuntamente dalle Nazioni Unite e dall'Unione interparlamentare, si è svolto il 2 marzo 2010 ed è stato dedicato al tema "Il ruolo dei Parlamenti nel rafforzare i diritti delle donne 15 anni dopo Pechino". Hanno partecipato ai lavori della Sessione le onn. Lorena Milanato (PdL - Presidente del Comitato per la pari opportunità), Emilia Grazia De Biasi (PD - membro del Comitato per le pari opportunità) e la sen. Anna Maria Serafini (PD - Vice Presidente della Commissione per l'Infanzia del Senato).

La 55ma sessione della Commissione sullo status delle donne (CSW) ha avuto luogo dal 22 febbraio al 4 marzo 2011. L'evento parlamentare, organizzato congiuntamente da ONU e UIP, si è svolto il 23 febbraio ed è stato dedicato al tema "Il ruolo dei parlamenti nel promuovere l'accesso e la partecipazione delle donne e delle ragazze all'istruzione, alla formazione, alla scienza e alla tecnologia". Inoltre, il 25 febbraio si sono tenuti due eventi sulla salute delle madri e dei bambini. In occasione della 55masessione è stato inaugurato l'UNWOMEN. Le onn. Lorena Milanato (PdL) e Sesa Amici (PD), designate a partecipare, non hanno potuto prendere parte alla missione per sopraggiunti impegni legati al calendario dei lavori dell'Aula.

La prossima sessione, la 56 ma, avrà luogo dal 27 febbraio al 9 marzo 2012.

 

 


Le relazioni tra l’Unione interparlamentare e le Nazioni Unite
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

 

A partire dagli anni Novanta l’Unione interparlamentare ha dedicato crescenti sforzi per migliorare i propri rapporti con le Nazioni Unite convinta della necessità di realizzare un filo diretto tra l’ONU e i Parlamenti nazionali che la UIP rappresenta. Le Nazioni Unite hanno, a loro volta, riconosciuto l’importante contributo dei Parlamenti nazionali sia nel promuovere iniziative che nel tradurre gli impegni globali in specifiche normative e politiche nazionali.

Le relazioni tra le due Organizzazioni sono state formalizzate nel luglio 1996 con un Accordo di cooperazione e successivamente l’ONU ha riconosciuto alla UIP lo status di osservatore (ris. A 57/32 del 19 novembre 2002). Con una successiva risoluzione (A 57/47 del 21 novembre 2002) l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha autorizzato la circolazione dei documenti ufficiali della UIP in occasione delle sessioni dell'Assemblea Generale. Ciò ha consentito all’Unione interparlamentare di farsi conoscere in quel consesso grazie alla diffusione delle risoluzioni adottate nelle Assemblee UIP e nelle riunioni specializzate e di contribuire in maniera più incisiva ai lavori delle Nazioni Unite.

Nel 2002 la UIP, nell’ambito di una più stretta collaborazione con l’ONU, ha aperto a New York un proprio Ufficio: l’Ufficio dell’Osservatore permanente (OPO), il cui Direttore è l’Ambasciatore rumeno, Signora Anda Filip. Il mandato dell’Ufficio riguarda tre aspetti: rappresentanza, informazione e comunicazione, sostegno a progetti. In particolare, l’Ufficio rappresenta la UIP nelle riunioni degli organi ONU di cui segue i dibattiti e le iniziative; sostiene la posizione dell’Unione interparlamentare nell’Assemblea generale e nei suoi organi sussidiari; coordina le giornate parlamentari e gli altri eventi UIP che si svolgano al Quartier generale dell’ONU; assicura la circolazione di informazioni sull’Unione e sulle sue principali attività; facilita lo scambio di informazioni identificando possibili nuovi campi di collaborazione, sviluppa le relazioni con il Congresso degli Stati Uniti a Washington.

Da parte sua il Consiglio[18] dell’Unione interparlamentare, nel definire i rapporti tra le due Organizzazioni, ha cercato di disciplinare le modalità di partecipazione della UIP ai dibattiti dell’ONU stabilendo, comeprincipio di base, che solo un membro del parlamento può esprimere le posizioni dell’UIP, una volta ricevuto mandato dall’Organizzazione a tale proposito. Richiamandosi ad esperienze passate, il Consiglio ha inoltre suggerito che il Rappresentante UIP in seno all’ONU possa essere di volta in volta il Presidente del Consiglio, un suo Vice od altro membro del Comitato Esecutivo, oppure anche il Presidente di Parlamento del Paese che ospiti la Conferenza.

Il Consiglio interparlamentare è tornato nuovamente sul tema dei rapporti ONU/UIP in occasione dell’esame del Rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, sullo status dell’attività dell’UIP[19]. Nel documento, il Segretario Generale sottolineava come la partecipazione dell’Unione interparlamentare ai meeting delle Nazioni Unite avesse un duplice, benefico effetto: di intervenire nella fase di decisione in ambito ONU e di favorire l’accoglimento delle decisioni ONU presso le Assemblee parlamentari.

Tuttavia, le differenti dimensioni delle due Organizzazioni imponevano, inevitabilmente, delle scelte, dal momento che l’Unione interparlamentare, con la sua organizzazione ed il suo budget, non può occuparsi di tutte le questioni all’ordine del giorno delle Nazioni Unite. Annan suggeriva, quindi, che l’Unione interparlamentare si concentrasse, in via prioritaria, su alcune tematiche specifiche: democrazia, pace e sicurezza, sviluppo sostenibile, commercio e finanza.

Dal canto suo, l’Unione interparlamentare ha deciso di potenziare la cooperazione con le agenzie ONU deputate alla protezione dell’infanzia e alla diffusione dell’AIDS, ovvero con l’UNICEF e l’UNAIDS come peraltro dimostrato dalla sempre più attiva partecipazione alle Conferenze internazionali degli ultimi anni.

A testimonianza della volontà di realizzare una più stretta concertazione tra la UIP e l’ONU, il Consiglio direttivo[20] ha stabilito che l’agenda di lavoro delle tre Commissioni permanenti dell’Unione interparlamentare sia definita sulla falsariga delle priorità individuate a livello di Nazioni Unite, consentendo così un’azione integrata tra le due Organizzazioni. Il Segretariato dell’UIP è quindi chiamato a raccordarsi con il Segretariato delle Nazioni Unite per identificare le priorità delle Nazioni Unite che possano rappresentare la base di lavoro delle Commissioni permanenti dell’Unione interparlamentare.

Di relazioni ONU/UIP si è occupato il cd. Rapporto Cardoso[21] (United Nations High Level Panel on relations between the United Nations and civil society). Il documento è stato esaminato sia nell’ambito dell’Unione interparlamentare che nell’ambito dellaII Conferenza mondiale dei Presidenti dei Parlamenti ed ha suscitato perplessità e preoccupazione. Nelle conclusioni, il Gruppo di esperti che ha elaborato il documento proponeva di istituire dei comitati parlamentari che dovevano agire sotto la direzione di organizzazioni inter-governative, quali appunto le Nazioni Unite. Tale proposta non rispettava, secondo l’Unione interparlamentare, i più elementari principi di separazione ed indipendenza dei poteri, come pure i principi di trasparenza e legittimità democratica. Criticata è stata inoltre la proposta di istituire dei meccanismi parlamentari all’interno delle Nazioni Unite pressoché identici a quelli già esistenti all’interno dell’UIP.

Tuttavia, prendendo spunto dalle raccomandazioni del Panel Cardoso sul coinvolgimento dei parlamentari nell’attività delle Nazioni Unite, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una Risoluzione sulla Cooperazione tra le Nazioni Unite e l’Unione interparlamentare (ris.A59/19 dell’8 novembre 2004) in cui si incoraggiano le due Organizzazioni a continuare a cooperare, soprattutto nei settori della pace e della sicurezza, dello sviluppo economico e sociale, dei diritti umani, della parità dei sessi, in considerazione dei significativi benefici che derivano dalla reciproca collaborazione.

Come suggerito dalla risoluzione del 2004, il tema della cooperazione UIP/ONU è stato inserito nell’ordine del giorno della 61ma Sessione dell’Assemblea generale che, lo scorso 20 ottobre 2006, ha approvato la risoluzione A/RES/61/6  sulla cooperazione tra le Nazioni Unite e l’Unione interparlamentare. Il tema centrale della risoluzione è costituito dal riconoscimento che la giornata parlamentare UIP/ONU è un evento congiunto delle due Organizzazioni, formalmente inserito nell’ordine del giorno dell’Assemblea. La decisione conferisce un ulteriore riconoscimento allo status dalla UIP e permette anche di risolvere alcune difficoltà relative all’accesso alle riunioni di tutte le delegazioni. La risoluzione chiede inoltre che siano presi accordi formali per la consultazione e la cooperazione tra le due Organizzazioni. Si auspica anche una più stretta collaborazione tra le due Organizzazioni in seno ai nuovi organi delle Nazioni Unite: il Consiglio dei diritti umani, la Commissione per la costruzione della pace e il Fondo delle Nazioni Unite per la Democrazia, organi tutti creati sulla base del principio che pace e sviluppo sostenibile non possono essere conseguiti senza l’apporto delle istituzioni rappresentative. In tal senso il Consiglio dell’UIP ha adottato una decisione in occasione della 115ma Assemblea[22].

La più recente novità nell’ambito delle relazioni UIP-ONU è rappresentata dalla creazione della Commissione sugli Affari delle Nazioni Unite  (IPU Committee on UN Affairs),una Commissione plenaria di cui fanno parte due parlamentari per delegazione, uno in rappresentanza della maggioranza ed uno dell’opposizione. La Commissione è stata costituita su base sperimentale ed è in attesa di una decisione finale del Consiglio. In linea di principio si riunirà una volta l’anno, in occasione delle sessioni plenarie. Dovrà adottare un proprio regolamento alla stregua di quello delle altre Commissioni dell’Assemblea. Nel suo interno è stato identificato un Comitato ristretto di parlamentari esperti in tema di Nazioni Unite che eserciterà un ruolo di sindacato e controllo sulle attività delle Nazioni Unite.

La Commissione si occuperà in particolare di finanziamento allo sviluppo, diritti dell’uomo e funzionamento del nuovo Consiglio dei diritti dell’uomo, fonti di finanziamento delle Nazioni Unite e utilizzo dei fondi, organizzazione delle operazioni di consolidamento della pace. La Commissione  si è riunita per la prima volta a Ginevra nel corso della 117ma Assemblea (8-10 ottobre 2007). In tale occasione l’on. Versnick (Belgio) ha presentato un documento strategico sulla natura delle relazioni tra le Nazioni Unite e i Parlamenti nazionali, approvata dalla Commissione e, in seguito, dall’Assemblea.

La cooperazione tra la UIP e l’ONU include una giornata parlamentare che si svolge ogni anno alle Nazioni Unite nel corso della Sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Nella XIV Legislatura tali riunioni, cui la Camera ha sempre partecipato con una propria rappresentanza, hanno avuto luogo il 4 dicembre 2001, il 19 novembre 2002, il 27 ottobre 2003, 19-20 ottobre 2004, il 31 ottobre e 1° novembre 2005. Nella XV legislatura i parlamentari italiani hanno partecipato a due riunioni: il 13 e 14 novembre 2006e vi hanno partecipato il Presidente dell’Unione interparlamentare, on. Pier Ferdinando Casini, e il Presidente del Gruppo italiano, on. Antonio Martino (Forza Italia). Il tema dell’incontro è stato ” La prevenzione dei conflitti e la costruzione della pace: rafforzare il ruolo chiave delle Nazioni Unite”; il 20 e 21 novembre 2007 con la partecipazione degli onn. Gino Capotosti (Misto), Osvaldo Napoli (FI), Antonio Razzi (IdV) e il sen. Mauro Libè (UDC). Si deve sottolineare che dal 2007 la giornata parlamentare viene organizzata congiuntamente dall’ONU e della UIP, in attuazione del nuovo corso di relazioni tra le due Organizzazioni, sancito dalla Risoluzione A/RES/61/6.

La riunione ha avuto come tema: “Il ruolo dei Parlamenti nel rafforzare lo stato di diritto nelle relazioni internazionali”. Nella XVI legislatura la prima riunione cui hanno partecipato i parlamentari italiani si è tenutadal 20 al 22 novembre 2008 e ai lavori hanno partecipato l'On. Antonio Martino (PdL), Presidente del Gruppo Italiano dell’UIP, il Sen. Francesco Amoruso (PdL) e gli Onn. Antonio Razzi (IdV) e Luca Volontè (UDC). Nelle due giornate di lavoro, si è approfonditamente dibattuto sul tema all’ordine del giorno: “Rispetto degli impegni per un reale mantenimento della pace e la prevenzione dei conflitti”.

La riunione, che ha avuto luogo il 19-20 novembre 2009, ha avuto come tema Creare il sostegno politico e rispondere in modo efficace alla crisi economica globale”. Ai lavori ha partecipato l’on. Antonio Razzi ( IdV).

L’ultima riunione ha avuto luogo dal 2 al 3 novembre 2010 ed ha avuto come tema Verso una ripresa economica: ripensare lo sviluppo e ricreare una governance a livello globale”. Ai lavori hanno partecipato l'Onorevole Antonio Martino (PdL), Presidente del Gruppo Italiano UIP, e gli Onorevoli Elena Centemero (PD), Antonio Razzi (IdV), Marco G. Reguzzoni (LnP) e Luca Volonté (UDC).

La prossima giornata parlamentare avrà luogo a New York il 21 settembre 2011 ed avrà come tema La mediazione per la pace”.

 


Schede paese

 


Iran: quadro politico interno ed indirizzi di politica estera
(a cura del Ministero degli Affari esteri)

 

 

 

 

16 settembre 2011

  

POLITICA INTERNA

 

 

Composizione del governo

con la riduzione dei Ministeri da 21 a 17 ( maggio 2011)

Capo dell’Ufficio del Presidente

Gholam-Hossein Elham

Vice Presidente della Repubblica

Fereydoun Abbasi Davani

Ministro dell’Agricoltura

Sadeq Khalilian

Ministro del Commercio (che accorpa Min.industria e miniere)

Mehdi Ghazanfari

Ministro per la Scienza, la Ricerca e la Tecnologia

Kamran Daneshjou

Ministro dell’Interno

Mostafa Mohammad Najjar

Ministro della Cultura e della Guida Islamica

Sayyed Mohammad Hosseini

Ministro delle Comunicazioni

Reza Taqipour

Ministro per gli Alloggi e lo Sviluppo Umano (che accorpa Min. Trasporti)

Abdol-Reza Sheikholeslami

Ministero del Lavoro e Affari Sociali (che accorpa Min sicurezza sociale)

Abdol-Reza Sheikholeslami (ad interim)

Ministro degli Esteri

Ali Akbar Salehi

Ministro della Difesa

Morteza Bakhtiari

Ministro dell’Economia

Seyyed Shamseddin Hosseini

Ministro dell’Informazione

Heydar Moslehi

Ministro delle Cooperative

Mohammad Abbasi

Ministro della Salute

Marzieh Vahid-Dastjerdi

Ministro dell’Istruzione

Hamid Reza Hajibabai

Ministro dell’Energia e Petrolio (i due Ministeri vengono accorpati)

Mohammed Aliabadi (che sostituisce Ahmadinejad)

Altre personalità di rilievo

Portavoce del Majilis

Ali Larijani

Capo del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale

Said Jalili

Capo dell’Organizzazione per il Management and Planning

Amir Mansour Borghei

Capo dell’Organizzazione dell’Energia Atomica Iraniana

Fereydoun Abbasi Davani

Governatore della Banca Centrale

Mahmoud Bahmani

 

Assetto istituzionale

L'Iran è una Repubblica Islamica basata sull'Istituto del "Velayat-e-Faqih" (primato del giureconsulto sciita). In tale sistema, la Guida Suprema, massima Autorità religiosa del Paese, è preposta ad ogni altra carica istituzionale. Dal 1988, a seguito di una riforma costituzionale che ha abolito la carica di Primo Ministro, la forma di Governo è di tipo presidenziale. La titolarità del Potere Esecutivo è stata trasferita al Presidente della Repubblica, la cui attività è comunque sottoposta al controllo della Guida Suprema.  L'esercizio del potere in Iran si basa oggi su un delicato equilibrio tra sei organi principali.

1)      La Guida Suprema (Rahbar). La Costituzione le attribuisce un ruolo primario e “super partes”, ulteriormente rafforzato dalla singolare frammentazione del potere che contraddistingue l’assetto istituzionale iraniano. Tra le sue prerogative vi sono quella di nomina del Capo del Potere Giudiziario, il monitoraggio delle leggi e delle attività delle Istituzioni pubbliche e la nomina dei sei membri religiosi che compongono il Consiglio dei Guardiani. Egli é inoltre il comandante in capo delle Forze Armate.

2)      Il Consiglio dei Guardiani. È composto da sei membri appartenenti al clero sciita e da sei giuristi (in carica per sei anni). Ha il potere di veto sulle leggi proposte dal Parlamento (Majlis) e su qualsiasi altra norma ritenuta in contrasto con l’Islam o con la Costituzione iraniana. Esercita inoltre un analogo potere di veto sulle candidature a cariche pubbliche.

3)      Il Presidente della Repubblica. È eletto a suffragio popolare con mandato quadriennale rinnovabile (ai sensi dell’art. 114 della Costituzione la sua rielezione é ammessa per un solo periodo consecutivo al primo). Il sistema teocratico istituito nel 1979 dall’Ayatollah Khomeini, pone un limite alla sua libertà d’azione nelle determinazioni della Guida Suprema.

4)      Il Consiglio per la Determinazione delle Scelte. Organo d’equilibrio istituzionale creato dall’Ayatollah Khomeini nel 1988, che ha come principale funzione quella di mediare le eventuali controversie fra il Consiglio dei Guardiani e il Majlis. Può fare promulgare una legge che sia dichiarata illegittima dal Consiglio dei Guardiani, ma nuovamente approvata dal Parlamento. È costituito da 31 membri, scelti tra le diverse correnti politiche, ed è attualmente presieduto da Akbar Rafsanjani, che ne ha assunto la guida nel 1997, al termine del suo secondo mandato presidenziale.

5)      Il Parlamento (Majlis). I suoi membri, 290, sono eletti a suffragio universale e restano in carica per quattro anni. Il Majlis esercita il potere legislativo e non può essere sciolto dal Presidente della Repubblica. Ha il potere di opporre un veto alla nomina dei Ministri proposta dal Presidente della Repubblica. In tal caso, quest’ultimo può nominare un reggente, il Dicastero, al cui titolare proposto sia stata negata la fiducia, ed ha tre mesi di tempo per proporre al Majlis un secondo Ministro. A seguito della proposta della Suprema Corte di Giustizia, approva la nomina dei sei giuristi del Consiglio dei Guardiani.

6)      L’Assemblea degli Esperti. È composta da 86 membri giurisperiti islamici, eletti a suffragio universale su base regionale, che restano in carica otto anni. Solo i cittadini iraniani di religione islamica godono dell’elettorato passivo. L’Assemblea degli Esperti ha il compito di nominare la Guida Suprema, ovvero un collegio di cinque giurisperiti islamici che ne faccia le veci. Presieduto dal marzo 2011 dall’Ayatollah Mohammad Reza Mahdavi Kani, conservatore moderato vicino al Leader Khamenei (sostituisce Akbar Rafsanjani che mantiene la carica di Presidente del Consiglio per la Determinazione delle Scelte).

 

Principali formazioni partitiche

All'interno del sistema politico iraniano, la nozione di ''partito'' non ricalca esattamente l’accezione del termine comune nelle democrazie occidentali (associazione di persone che difendono un programma politico), ed il limite con le semplici associazioni è talvolta tenue.

In base alla vigente Costituzione, gruppi di pressioni, organizzazioni professionali e corporative, nonché veri e propri Partiti politici – le cui sigle sono poco significative anche in quanto tali enti vengono spesso sciolti e ricostituiti con diverse denominazioni –  possono presentarsi alle elezioni, purché il Consiglio dei Guardiani ne certifichi la sincera adesione al principio costituzionale della “Autorità del Giurisperito Retto e Competente” (“Velayat-e-Faqih”), in base al quale le istituzioni rappresentative devono accettare la primazia della Guida suprema, interprete inappellabile dell’ortodossia islamica “di scuola Sciita Giafarita Imamita” , successore dell’Imam Khomeini e al tempo stesso figura apicale della Repubblica islamica.  Lo stesso Consiglio dei Guardiani, composto da 12 giuristi islamici, di cui sei nominati direttamente dalla Guida suprema e sei dal Parlamento, vaglia le singole candidature individuali, con potere di veto basato sull’adesione ai valori costituzionali o religiosi.

Gli schieramenti politici sono storicamente riconducibili a quattro filoni: i radicali, che fanno oggi riferimento prevalentemente ad Ahmadinejad, i conservatori, che al momento sembrano più compatti intorno al Presidente del Parlamento Larijani, i moderati,  in declino come il loro anziano leader, l’ex Presidente Rafsanjani e i riformisti, che dopo i disordini post-elettorali dell’estate 2009 sono stati di fatto estromessi dal sistema, con il loro candidato presidenziale, l’ex Premier Moussavi praticamente agli arresti domiciliari, e gli altri due principali esponenti, l’ex Presidente Khatami e il suo ex Ministro Karroubi in grave difficoltà. La Guida suprema Khamenei, pur di orientamento radicale, sembra sottilmente alimentare la dura dialettica in atto tra Ahmadinejad e Larijani, sostenendo ora la Presidenza, ora il Parlamento per meglio evidenziare l’irrilevanza politica di riformisti e moderati, che egli considera i veri nemici del regime, in quanto potenziali fautori di concessioni negoziali nei confronti dell’Occidente.  I principali esponenti conservatori e radicali sono quasi tutti ex Pasdaran, ed in effetti molti osservatori hanno evidenziato il crescente il ruolo politico delle numerose fazioni esistenti all’interno dell’elefantiaco Corpo dei Guardiani della Rivoluzione, che oltre ad assorbire le Forze armate del regime (distinte da quelle ordinarie) e la Milizia volontaria (i “Basiji”), controlla direttamente ed indirettamente (anche tramite le Fondazioni religiose) gran parte dell’economia iraniana. In declino appare invece l’influenza diretta dei vertici religiosi, confinati nelle città sante sciite di Qom e Mashad. Gran parte degli Ayatollah iraniani – sempre meno entusiasti degli esiti della Rivoluzione khomeinista, che ha paradossalmente contribuito a laicizzare suo malgrado le abitudini di vita di un Paese la cui popolazione è più che raddoppiata dal 1979 – invecchiando e percependo la crescente impopolarità del regime, stanno lentamente tornando alla antica tradizione quietista, che non contrasta il potere politico, ma neppure ama condividerne le alterne fortune.

 

Sviluppi della situazione politica interna

Elezioni Parlamentari del 2008

Le elezioni parlamentari del 14 marzo 2008 hanno registrato un’imponente affluenza alle urne (circa il 60% su scala nazionale contro il 51% delle elezioni del 2004) indotta anche dai numerosi appelli al voto degli ultimi giorni di campagna elettorale e dalla chiusura posticipata dei seggi. Il meccanismo elettorale ha previsto due turni di voto e l’attribuzione del seggio al candidato che ha riporta la maggioranza relativa superando la soglia di sbarramento del 25%.

Al primo turno la coalizione dei conservatori si è imposta con il 71% dei voti: 113 seggi sui 190 assegnati sono andati al Principle-ist Front che si era presentato con due liste: Broad Principle-ist Front e Unified Principle-ist Front), permettendo ad Ahmadinejad di avere più libertà di manovra per inserire i candidati a lui più vicini senza doverli candidare tutti nella sua lista "Dolce Profumo del Servizio".

L’ottavo Majlis è risultato pertanto sostanzialmente simile al settimo, con una maggioranza di 190 seggi, oltre il 70% su 290, assegnata ai conservatori tradizionalisti; il 20% è occupato dai riformisti e il rimanente 10% è distribuito tra le minoranze religiose (cristiane, ebree e zoroastriane) e gli indipendenti. I conservatori tradizionalisti sono appoggiati dalle cosiddette “Fondazioni” o Bonyad, sorte per la gestione dei patrimoni confiscati al precedente regime, sono poi divenute Istituzioni finanziare centrali nel contesto economico iraniano basato sulle sovvenzioni. Tra le più influenti, si segnalano la Astan-e-Ghods-e Razavi (Mausoleo dell’Imam Reza a Mashad) e la Bonyad-e Mostazafin va Janbazan (Fondazione degli oppressi e dei veterani di guerra). Gli ultra-conservatori islamici emersi sulla ribalta della scena politica iraniana dopo l’elezione a Presidente del populista Mahmoud Ahmadinejad, provengono dagli strati sociali più popolari e provinciali, dalle fila dei basiji e dei pasdaran ed in generale rappresentano le fazioni più radicali del Potere Giudiziario e del clero sciita. Dei 60 seggi dei riformisti, 15 sono riconducibili ai partiti riformisti di ispirazione islamica e 45 a riformisti indipendenti. I riformisti hanno una visione moderata dell’Islam, disponibili al dialogo e al confronto interreligioso e interculturale. A seguito del tramonto dell’era khatamista hanno stretto un’alleanza tattica con i conservatori pragmatici con cui condividono la necessità di un approccio meno oltranzista, soprattutto nel settore economico.

 

Elezioni Presidenziali del 2009 e sviluppi successivi

Il 12 giugno 2009 si sono svolte le elezioni presidenziali. Khatami, che si era candidato con il sostegno del movimento “La terza Onda”, aveva ritirato la propria candidatura a favore dell’altro riformista Moussavi, ex-Premier (dal 1981 al 1989), assente dalla vita politica da più di 20 anni, famoso per il successo delle sue politiche economiche nei duri anni della guerra contro l’Iraq.

Solo quattro su 473 aspiranti sono stati i candidati che hanno superato il vaglio del Consiglio dei Guardiani. Tra questi Ahmadinejad, Moussavi, Rezai (ex-comandante dei Pasdaran ed ex-Segretario del Consiglio per la determinazione delle scelte) sostenuto ufficialmente da Rafsanjani e Karroubi.

Poche ore dopo la chiusura delle urne, il Ministero dell’Interno iraniano ha diffuso i dati relativi al conteggio delle schede da cui emergeva la schiacciante vittoria del Presidente uscente Ahmadinejad, esito ampiamente contestato dalla piazza e dal candidato perdente, Moussavi.

Al crescere delle manifestazioni popolari a sostegno di Moussavi ha corrisposto un acuirsi della repressione del regime e all’arresto anche di Hajarian, rappresentante di spicco dell’opposizione, che aveva diretto la campagna elettorale di Moussavi.

La repressione ha lasciato il quadro interno iraniano ancor più diviso e confuso. Il leader Khamenei sembra riuscito a marginalizzare definitivamente il suo principale rivale, l'ex Presidente Rafsanjani e l'opposizione riformista, ma resta forte la contrapposizione tra Ahmadinejad e il Parlamento a maggioranza conservatrice, guidato dallo speaker Larijani, che pur attingendo in larga parte alla stessa constituency del Presidente (i Pasdaran e i loro multiformi e crescenti interessi economici), si esprime in costante contrapposizione al Governo, anche se non sempre in favore di una linea più moderata in politica estera e sul dossier nucleare. Uno dei più eclatanti episodi di tale contrapposizione ha riguardato l'improvvisa rimozione del Ministro degli Esteri Mottaki (il rappresentante della compagine governativa più vicino a Larijani) durante una visita in Senegal, il 13 dicembre 2010, sostituito dal Capo dell'Organizzazione Atomica iraniana Ali Akbar Salehi[23]. Pochi giorni dopo, il Capo di Gabinetto di Ahmadinejad, Mashai, ha espresso la contrarietà del Governo alla dura pena (6 anni di carcere e 20 anni di inattività artistica) inflitta in primo grado al celebre regista Jafar Panahi.

Non accennano nel frattempo ad allentarsi le maglie della repressione contro uomini politici, religiosi e ogni altro soggetto che mostri segnali di disallineamento rispetto al regime. Sono stati recentemente bloccati i siti Internet di personalità riformiste, mentre le residenze dei candidati presidenziali Mousavi e Karroubi restano circondate da forze di sicurezza che impediscono l'accesso ai visitatori.

La censura non risparmia neppure i più alti esponenti del clero sciita, alcuni dei quali - nonostante le pressioni subite - si sono platealmente rifiutati di incontrare la Guida Suprema Khamenei nel corso di due visite alla Città Santa di Qom tra fine ottobre e novembre del 2010. In tale occasione il leader del regime di Teheran avrebbe per l'ennesima volta fallito nel suo tentativo di farsi accettare come "Grande Ayatollah" e vertice del clero sciita, titolo che gli viene fittiziamente riconosciuto solo dai media della Repubblica islamica, in quanto la maggior parte dei "pari grado" - tra i quali non soltanto iracheni e libanesi, ma persino da alcuni iraniani - non gli hanno mai manifestato il necessario consenso.

 

La “primavera araba” e l’Iran

L’ondata di proteste iniziata in Tunisia e continuata in Egitto ed in altri paesi dell’area dell’inizio del 2011 ha toccato anche l’Iran dove vi sono state manifestazioni di piazza che hanno incontrato la dura reazione di un imponente dispositivo di sicurezza. A seguito delle manifestazioni del 14 febbraio 2011 le autorità iraniane hanno accusato i leader dell’opposizione Karroubi e Mousavi di essere parte di un complotto occidentale volto a rovesciare il regime islamico e il parlamento iraniano ha invitato i giudici a condannare a morte coloro che hanno fomentato i disordini. A differenza di quanto emerso in paesi come Egitto e Tunisia, il composito apparato di sicurezza iraniano non sembra mostrare cedimenti e le rivalità esistenti all’interno delle gerarchie sembra si siano ancora una volta ricomposte di fronte all’esigenza di preservare il controllo del Paese. 

Si è trattato di una ricomposizione apparente, gli ultimi avvenimenti testimoniano che prosegue il braccio di ferro tra i principali poteri dello stato e cioè tra la Guida suprema  Khamenei e Ahamdinejad. Su ordine di Khamenei Ahmadinejad ha dovuto revocare la destituzione di Moslehi da capo dell’intelligence iraniana. Ha preso al contempo avvio una vera e propria campagna denigratoria nei confronti di Ahmadinejad e dei suoi sostenitori che ha portato all’arresto per presunta stregoneria di 25 membri del suo entourage compreso Mashaej suo consuocero e principale sostenitore.

Per tutta risposta Ahamdinejad ha inizialmente disertato il Consiglio Supremo e successivamente col pretesto di dover attuare una riforma già approvata nel corso del 2010 ha ridotto i Ministeri da 21 a 17 decretando la confluenza del Ministero del Petrolio in quello dell’Energia, di quello dei Trasporti in quello per Abitazioni e sviluppo, del Ministero per l’Industria e Miniere in quello del Commercio e infine di quello del Welfare in quello del Lavoro e degli Affari Sociali, inoltre Ahmadinejad si è attribuito ad interim la gestione del Ministero del Petrolio, al cui titolare spetta per l’anno in corso, per la prima volta dal 1975, anche la presidenza dell’Opec, un’importante vetrina internazionale.  La manovra ha provocato la reazione di molti esponenti politici ed in particolare del presidente del parlamento Larijani che ha richiesto di sottoporla al vaglio parlamentare. Nei giorni successivi è’ intervenuto il Consiglio Supremo che ha rigettato la nomina ad interim di Ahmadinejad al Ministero del Petrolio, confermando in modo inequivocabile il grave conflitto in atto nel regime. Ahmadinejad ha reagito nominando alla carica Aljabadi uomo della sua cerchia, che fino a quel momento aveva ricoperto la carica di Vice presidente con delega allo sport e capo del comitato  olimpico, ritenuto quindi da molti osservatori non adatto alla gestione di un Ministero così peculiare ed importante per il futuro dell’Iran.

 

Diritti Umani

Nonostante l’Iran sia parte di numerose convenzioni internazionali in materia di diritti umani[24], continuano ad essere commesse gravi violazioni. Si assiste ad una persistente negazione dei diritti delle minoranze etniche e religiose (quali ad esempio Baha’i e Pentecostali), a gravi negazioni dei diritti delle donne, ad un’accentuata censura su musica, cultura ed arti in generale, ad una forte limitazione delle libertà di espressione ed associazione (testate riformiste e d’orientamento liberale vengono sistematicamente chiuse e giornalisti e blogger continuano ad essere sottoposti a detenzioni arbitrarie, intimidazioni e vessazioni[25]) nonché allo sistematico allontanamento dagli Atenei dei docenti di idee riformiste. Pratiche quali la tortura ed i maltrattamenti crudeli, inumani o degradanti, risultano essere tollerati, in particolare nei confronti dei detenuti.

Nel dicembre 2008, la situazione dei diritti umani nel Paese è stata oggetto di una risoluzione (presentata dal Canada e co-sponsorizzata dall’Italia e dai partner comunitari) adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni che condanna le gravi forme di tortura e di trattamenti inumani e degradanti, nonché l'alta incidenza di condanne eseguite senza il rispetto degli standard internazionali, chiedendo alle Autorità di Teheran di abolire le forme più crudeli di esecuzione capitale e ogni altra sentenza effettuata in disprezzo delle garanzie internazionalmente riconosciute. Il 15 febbraio 2010, si è tenuta a Ginevra, presso il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, l’Universal Period Review sulla situazione dei diritti umani e la delegazione iraniana ha accettato 123 raccomandazioni, di cui due italiane in cui si sollecitavano la ratifica della Convenzione contro la tortura e sul bando delle esecuzioni di minori in accordo con l’articolo 6 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici.

Nonostante le rassicurazioni delle Autorità iraniane, la situazione dei diritti umani in Iran resta assai preoccupante, con gravi e ripetute violazioni. Il ricorso alla pena di morte (previsto per reati che vanno dalla blasfemia alla violenza sessuale, omosessualità, adulterio ed alcolismo) è in aumento[26] e le esecuzioni capitali nei confronti dei minori sono le più alte al mondo (l’Iran è tra i pochi Paesi a mantenere la pena di morte per i minori e per coloro che hanno commesso il reato in età inferiore ai 18 anni)[27]. L'Italia - che da anni sostiene e promuove presso l’ONU iniziative per la moratoria ed, in prospettiva, l'abolizione della pena di morte - sostiene l'opportunità di porre in primo piano nell'agenda politica complessiva con Teheran il tema dei diritti umani[28].

Tra i casi su cui si sono ultimamente concentrate le pressioni internazionali si segnalano:

·         il caso di Sakineh, accusata di complicità nell’omicidio del marito, condannata alla pena capitale (la pena dovrebbe essere stata commutata alla detenzione a vita);

·         il caso del regista Jafar Panahi condannato a sei anni di reclusione per aver iniziato a girare un film sull'opposizione ad Ahmadinejad;

·         il caso dell’avvocatessa Nasrin Sotoudeh, attivista per i diritti delle donne in Iran, arrestata dalle autorità iraniane il 4 settembre 2010, accusata di aver svolto attività  contro la sicurezza nazionale;

·         il caso della cittadina iraniano-olandese Zahra Bahrami, arrestata nel corso delle proteste dell'Ashura del 2009 (il 27 dicembre), ma formalmente condannata per detenzione di droga, la cui sentenza di morte è stata eseguita il 29 gennaio 2011[29].

·         Il caso di Maryam Bahrman, attivista iraniana per i diritti delle donne e diritti umani, una delle promotrici della campagna "un milione di firme per l'uguaglianza, ingegnere, attivista dei diritti umani, arrestata l'11 maggio 2011 per un suo intervento al CSW sull’uso dei mezzi informatici da parte delle donne.


 

POLITICA ESTERA

 

Nella sua proiezione verso l’esterno, l’Iran è un’entità sostanzialmente omogenea per quanto attiene la rappresentazione dei propri interessi geo-politici e geo-strategici. Particolarmente avvertita in Iran è la rivendicazione, a cui nessuna parte politica è disposta a rinunciare, del riconoscimento di un suo alto profilo regionale, per oggettivo peso specifico, posizione geo-strategica e tradizionale status di grande potenza. Teheran percepisce i rischi dell’isolamento internazionale, ma ben poche sono state finora le iniziative per il loro superamento, in parte perché funzionali al mantenimento del consenso interno e all’acquisizione di un più vasto ascendente nel mondo islamico, in parte a causa del radicalismo insito nella stessa matrice ideologica del regime.

 

Area africana

 

Algeria

Il Ministro degli Esteri iraniano si è recato in visita in Algeria agli inizi di febbraio 2011, sottolineando la necessità di rafforzare le relazioni bilaterali alla luce delle risultanze dell’Alta Commissione algero-iraniana svoltasi a Teheran nel novembre 2010 e presieduta dal Primo Ministro algerino e dal Primo Vice Presidente iraniano. In tale occasione erano state firmate 10 intese bilaterali.

 

Somalia

Si è svolta nel dicembre 2010 una visita a Teheran del Presidente del Parlamento somalo. I colloqui si sono incentrati sull’assistenza iraniana in campo umanitario e scolastico e da parte iraniana si è auspicato un ruolo nella soluzione della questione somala, cooperando con il nuovo governo, l’Unione Africana e l’IGAD (Intergovernamental Authority on Development)[30], di cui Teheran sarebbe pronta a ospitare la prossima riunione.

 

Area americana

 

Stati Uniti

Nei rapporti con gli Stati Uniti di Obama, la speranza di cambiamento della classe colta - studenti, accademici, dirigenti formatisi all’estero - si contrappone all’inquietudine del clero radicale, dei militari, degli imprenditori al riparo dalla concorrenza e dei privilegiati di regime, inquieti, come tutti i conservatori, per le novità del cambiamento. Nella loro percezione, uno storico rapprochement agli Stati Uniti (politico, economico e culturale) porta con sé il rischio di una disgregazione della Repubblica Islamica. Il soft power di un’America amica, unito alla sua forza politica ed economica, costituirebbe una minaccia grave alla conservazione del regime.

 

Venezuela

I rapporti tra i due Paesi sono ottimi, tanto è vero che il Venezuela è contrario alle sanzioni internazionali e nelle parole del Presidente Chavez, “resterà affianco all’Iran in ogni circostanza”. Dopo la visita di Ahmadinedjad a Caracas nel novembre 2009, Chavez ha visitato Teheran nell’ottobre 2010, nona visita ufficiale, con lo scopo di rafforzare le relazioni bilaterali soprattutto nel settore energetico, (il Venezuela aveva appena firmato un accordo con la Russia per la costruzione del primo impianto nucleare). Gli iraniani valutano l’interscambio bilaterale annuo a 3,5 mld USD. Sono stati firmati 11 accordi economici ed intese per la costruzione in Venezuela di 35mila abitazione da parte di società iraniane. Al termine della visita è stata rilasciata una dichiarazione congiunta che critica la Risoluzione 1929 del Cds e condanna le interferenze delle forze straniere in Sud America.

 

Area asiatica

 

Afghanistan e Pakistan

Il 16 gennaio 2010 si è tenuta ad Islamabad il “Trilateral Ministerial Meeting”, al termine del quale i Ministri degli Esteri di Afghanistan, Iran e Pakistan hanno rilasciato una Dichiarazione congiunta con la quale: riconoscono che la sicurezza e la stabilità della regione dipendono dal rispetto dei principi di non ingerenza e sovranità territoriale; riconoscono che il terrorismo costituisce una sfida comune che richiede sforzi concertati; concordano nell’intento di sviluppare corridoi di trasporto e di conduzione di energia in ambito regionale; sottolineano come ogni sforzo verso gli obiettivi suindicati debba essere effettuato dagli attori regionali; stabiliscono un Joint Committee of National Coordinators per monitorare l’attuazione dell’agenda trilaterale. Dal 28 febbraio al 1 marzo 2010, si è svolta a Teheran la riunione dei Ministri dell’Industria dei Paesi del D8 (“developing countries”), a cui sono interventi Bangladesh, Egitto, Indonesia, Malesia, Nigeria, Pakistan e Turchia. Scopo dell’incontro sviluppare maggiormente la collaborazione economica reciproca.

 

India

I rapporti tra i due Paesi sono buoni, seppur anche l’India abbia votato le sanzioni dell’ONU contro l’Iran, ed i due paesi svolgono consultazioni congiunte sull’Afghanistan. L’India è interessata a sviluppare i legami nel settore energetico e vede con favore la costruzione del gasdotto Iran-Pakistan-India (2.780 Km) proposto nel 1990 e mai realizzato (IPI project).

 

Area del Golfo e del Medio Oriente

Le relazioni tra Teheran con le monarchie del Golfo, governate da élites sunnite timorose di subire l’egemonia di un grande Paese sciita come l’Iran, hanno alterne vicende a seconda delle contingenze politiche. La presenza di forti comunità sciite in Arabia Saudita (circa il 20% della popolazione), Bahrein (circa il 70%), Kuwait (circa il 30%), ed in misura minore anche in Qatar (intorno al 5%) oltre che la forte presenza di investimenti iraniani da parte di gruppi economici privati e non, fa sì che i Governi di tali Stati guardino con preoccupazione alla transizione istituzionale in Iraq che ha visto prevalere di larga misura la componente sciita.  Le mire espansionistiche dell’Iran verso alcuni Emirati sono state spesso fonte di polemiche, ad esempio nel febbraio 2009 le rivendicazioni territoriali dell’Iran sul Bahrein. Alle polemiche ha messo fine una lettera ufficiale di Ahmadinejad in cui si riconosce la sovranità territoriale del Bahrein ed il successivo scambio di visite nelle rispettive capitali dei due Ministri degli Esteri. L’Iran appoggia totalmente le rivendicazioni degli sciiti in Bahrein. Pesanti sono invece state le ripercussioni sul mondo arabo. Il Marocco ha rotto le relazioni diplomatiche con l’Iran ed anche la Tunisia ha espresso forti critiche. Anche le relazioni fra Teheran e Abu Dhabi, continuano ad essere turbate dalla controversia sulla sovranità delle tre isole di Abu Mussa, Grande e Piccola Tunb, situate in posizione strategica sullo stretto di Hormuz e attualmente occupate dall’Iran, che vi ha costruito installazioni militari. Oggetto di rivendicazioni da parte di entrambe sin dal XIX secolo, allorché la Penisola arabica si trovava sotto il controllo britannico, le tre isole sono state annesse dall’Iran dello Shah nel 1971, sulla base di un accordo concluso da Teheran con l’Emirato di Sharjah, a seguito di negoziati condotti sotto l’egida della Gran Bretagna. Dopo l’indipendenza e la nascita della Federazione degli EAU, il Governo degli Emirati non ha riconosciuto l’accordo ed ha, a più riprese, chiesto il sostegno della Lega Araba, del Consiglio di Cooperazione del Golfo e delle Nazioni Unite, affinché fosse la Corte Internazionale di Giustizia a pronunciarsi sulla sovranità delle tre isole. Forte inoltre la contrapposizione con l’Arabia Saudita, più volte accusata di indebita ingerenza nella crisi yemenita. In data 13 gennaio 2010, il Presidente Ahmadinejad ha nuovamente attaccato l’Arabia Saudita, durante un comizio nella città di Ahvaz. A seguito della recente visita del Segretario di Stato, Hillary Clinton, a Riad nel febbraio 2010, i media iraniani hanno riferito le dure critiche mosse dal Presidente del Parlamento iraniano, Ali Larijani, nei confronti dell’Arabia Saudita e del sostegno dato agli USA. In un discorso al Parlamento, Larijani ha accusato Riad di “sacrificare la cooperazione islamica in favore di un Paese che sta tentando di uscire dai numerosi errori commessi in Iraq, Afghanistan, Palestina e Libano”. Il 2 febbraio 2010 si è svolta la visita a Teheran del Principe ereditario del Qatar, Sceicco Tamim bin Hamad Al-Thani. Il Principe è stato ricevuto dalla Guida Suprema ed ha avuto colloqui con il Presidente Ahmadinejad. Dichiarazioni ufficiali positive e di grande calore. Nei colloqui si sarebbe parlato di petrolio, gas, trasporto aereo, investimenti congiunti, turismo e cooperazione nel settore agricolo (temi sui quali sarebbero stati sottoscritti alcuni MoU tra i due Paesi). La stampa iraniana ha dato risalto alla firma dell’Accordo di Cooperazione in materia di Difesa, in data 24 febbraio 2010 a Doha, tra il Ministro della Difesa iraniana Ahmad Vahidi e il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate qatarine, Al Attiyah. L’accordo prevedrebbe il rafforzamento della cooperazione in campo militare tra i due Paesi, attraverso consultazioni, collaborazione nell’addestramento del personale ed esercitazioni congiunte contro il terrorismo e l’instabilità regionale. Tra Iran ed Oman i rapporti sono buoni e molto intensa è la collaborazione bilaterale nell’azione di contrasto al traffico di droga ed al contrabbando di merci. Numerosi gli scambi di visite, tra cui si annovera la visita di stato del Sultano Qaboos a Teheran nel 2009. L’Oman non considera l’Iran una minaccia per la stabilità dell’area. Dopo la rivolta che ha portato alla fine del regno di Mubarak, l’Iran ha adottato una politica di cauta apertura verso l’Egitto considerando che sono stati “sia l’Islam che il popolo” a muovere la rivoluzione egiziana. Quanto alla Libia, gli iraniani, pur senza difendere esplicitamente Gheddafi – con cui avevano rapporti tesi prima della rivolta in quel paese - condannano l’“ingerenza egemonizzante dell’Occidente”.

 

Siria

Il 3 ottobre 2010 il Presidente siriano Assad ha svolto una breve visita di un giorno a Teheran alla testa di una folta delegazione Il rapporto bilaterale è stato celebrato da entrambe le parti come un esempio da additare ai Paesi della regione, un tassello essenziale della stabilità in Medio Oriente, in un'unità di vedute fra due Paesi che stanno dalla stessa parte; Assad ha ricevuto la più alta decorazione iraniana e, a sottolineare il rilievo dell'ospite, si è intrattenuto a colloquio con la Guida Suprema e con il suo omologo, Ahmadinejad. Durante la visita sono stati sottoscritti due Memorandum in materia di libero commercio e cooperazione industriale. Nel gennaio 2011, si sono svolte a Damasco le visite del Ministro per il Petrolio iraniano, Mir-Kazemi – nel corso della quale e’ stato firmato un Accordo di Cooperazione nel settore del gas che prevede la costruzione di un nuovo gasdotto per le forniture di gas iraniano alla Siria attraverso l’Iraq - e del Ministro degli esteri iraniano, Salehi. Kazemi ha altresì approfondito con i siriani prospettive di cooperazione per la raffinazione tra Siria, Iran e Venezuela sulla base di un progetto avanzato dal Presidente Chavez nel corso della visita a Damasco dell’ottobre 2010. Agli inizi del 2011 è stato firmato tra le Marine Militari dei due Paesi un accordo di cooperazione per l’addestramento e lo scambio di personale.

L’Iran considera i moti in Siria contro il governo del Presidente Assad “fomentati dallo straniero” e non genuinamente del popolo.

 

Libano

Il Presidente iraniano Ahmadinedjad ha svolto una visita simbolica in Libano nell’ottobre 2010 con rilevanza per i difficili equilibri di politica interna libanese alla luce del ribadito appoggio ad Hezbollah, definito dallo stesso Ahamadinedjad “divisione avanzata della Guardia rivoluzionaria. La visita e’ stata altresi l’occasione per ribadire la posizione anti-americana dell’Iran e la sfida al regime sionista israeliano “che continuera’ la sua caduta”, il diritto di ogni paese di sviluppare ed usare il nucleare a fini civili. Nel corso della visita sono stati firmati 14 accordi di natura commerciale, infrastrutturale ed energetica. 

 

Area europea

 

Germania

La Germania è stata nel 2010 il secondo partner commerciale europeo dell’Iran, il 75% delle aziende iraniane impiega tecnologia tedesca. Nel giugno 2010, il Vice Ministro degli Esteri iraniano è stato ricevuto a Berlino dal Segretario di Stato agli Esteri Born, dalla Commissione Esteri del Bundestag e dal gruppo parlamentare di amicizia tedesco-iraniano. I colloqui si sono concentrati sul dossier nucleare e sul ruolo di Teheran nella Regione mediorientale. Nel febbraio 2011, il Ministro degli Esteri, Westerwelle, si e’ incontrato a Teheran con il Presidente iraniano, ottenendo la liberazione di due giornalisti tedeschi detenuti in Iran da ottobre 2010.

 

Gran Bretagna

Severe sono le critiche britanniche al regime iraniano e sempre più tesi i rapporti delle Autorità iraniane con la Gran Bretagna, accusata di complicità, insieme agli USA, nell’omicidio dello scienziato nucleare Mohammadi, ma soprattutto di aver ufficialmente riconosciuto l’Associazione Monarchica Iraniana.

 

Turchia

La Turchia attribuisce grande importanza al mantenimento di relazioni amichevoli con gli stati vicini. Con l’Iran vi è convergenza politica, opponendosi entrambi alla divisione dell’Iraq e alla prospettata formazione di uno stato autonomo curdo che rafforzerebbe le spinte autonomiste curde all’interno di Iran e Turchia. Vi è interesse reciproco al coordinamento nella lotta al terrorismo. Sulla questione del nucleare iraniano le Autorità turche concordano con la Comunità internazionale nel proibire che l’Iran sia dotato di armi nucleari, ma sostengono il diritto di Teheran di sviluppare tecnologia nucleare a scopi civili.

Tra i due Paesi vi e’ un Protocollo di Cooperazione economica e commerciale. L’interscambio bilaterale ha raggiunto nel 2010 10,7 miliardi USD pur nel contesto delle sanzioni internazionali e le pressioni Usa sul settore bancario.

Il presidente turco, Gul, si è recato in visita a Teheran nel febbraio 2011, (l’ultima visita di stato di un Presidente turco risaliva al 2002; Gul era stato a Teheran nel 2009 per un vertice economico; dal 2008 Ahmadinejad ha visitato la Turchia quattro volte).

Particolarmente significativi i rapporti bilaterali nel settore energetico per cui si rimanda all’analisi della situazione del settore alle pagine precedenti. Si ricorda qui l’investimento turco nel giacimento South Pars. È recente l’intesa energetica con Ankara destinata a trasportare 35 miliardi di metri cubi di gas naturale iraniano (e turkmeno) verso la Turchia e da qui verso l’Europa. E’ stato inaugurato nell’aprile 2011 un nuovo valico doganale fra Iran e Turchia (che dovrebbe divenire operativo il prossimo autunno) fra le località frontaliere di Razi e Kapikoy: si tratta del terzo valico attrezzato per il transito di merci fra i due Paesi. Esistono inoltre progetti di cooperazione nel settore idrico.

 

 

RELAZIONI CON LE ORGANIZZAZIONI INTERNAIZONALI

 

Banca Mondiale

Le difficoltà lamentate da parte iraniana, da ultimo all’Annual Meeting 2010, di ottenere dalla Banca risorse finanziarie non derivano dall’apparato sanzionatorio, che di per sé non impediscono le attività della Banca in Iran, ma dalla mancanza di un framework programmatico. L’ultima Interim Strategy venne approvata nel 2001 per il periodo fino al 2005. Ai sensi di tale CAS, sono tuttora in fase di esecuzione due progetti nel settore idrico.

 

Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC)

L’Iran ha presentato domanda di ammissione all’OMC nel 1996 ed il relativo gruppo di lavoro è stato istituito nel 2005, ma ad oggi non si è ancora riunito. La domanda di ammissione è praticamente rimasta “congelata” a causa dell’opposizione degli USA, nonostante la Commissione Europea si sia invece sempre espressa a favore di una valutazione della richiesta sulla base unicamente di parametri economici oggettivi.

 

Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)

Le Nazione Unite hanno nel 2011 aperto a Teheran un’antenna UNAMI, guidata dall’olandese Rene’ Aquarone, assistito dall’italiano Salvatore Pedulla, al fine di monitorare la situazione iraniana anche attraverso contatti con locali su temi di interesse come il contrasto al narcotraffico, la gestione ambientale, lo sminamento delle aree frontaliere, la sorte del campo di Ashraf, ed eventualmente, il settore idrico. In occasione dell’apertura dell’ufficio si è svolta a Teheran la visita, il 7 marzo 2011, del SGSR (Rappresentante Speciale del Segretario Generale) per l’Iraq, Ad Melkert, che ha incontrato il Ministro degli Esteri iraniano, Salehi.

 

L’Iran e’ stato eletto all’ ECOSOC Commissione Popolazione e Sviluppo delle NU per il periodo 26 maggio 2011 – 31 dicembre 2015 con 22 voti su 44 Paesi membri; 13 le astensioni. Il voto si e’ svolto a scrutinio segreto.

 

L’UNODC e la lotta al traffico internazionale di narcotici

Le Autorità iraniane sono fortemente impegnate a contrastare il traffico di sostanze stupefacenti, che dall’Asia sud-occidentale raggiungono i mercati europei e del Golfo Persico, attraverso la Repubblica Islamica. Nell’ambito della collaborazione con l’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime), le Autorità iraniane hanno promulgato in data 9 dicembre 2009 un decreto antiriciclaggio che ha istituito la FIU (Financial Intelligence Unit), organismo deputato ad analizzare le operazioni sospette segnalate dagli intermediati finanziari e da altri soggetti a ciò obbligati, nonché ogni fatto che potrebbe essere correlato al riciclaggio. Da evidenziare inoltre il progetto IRN/S12 “Improvement of Iranian legislative and judicial capacity to tackle organized crime and money laundering and promotion of mutual legal assistance”, finanziato quasi interamente dall’Italia, insieme a Germania e Regno Unito, con oltre 1 milione di Euro. Nel febbraio 2011, è stato definitivamente approvato il Programma di assistenza e cooperazione su droga e crimine in Iran per il periodo 2011-2014, che ha come obiettivo l’innalzamento delle capacità iraniane a contrastare il traffico ed il consumo di sostanze stupefacenti, la lotta al crimine transnazionale, al riciclaggio, alla corruzione ed al traffico di beni culturali, nonché la promozione di standard internazionali a cui uniformare la legislazione iraniana. Il finanziamento necessario è di 13,5 milioni di USD, di cui 4,5 stanziati dalla Norvegia. Parte del programma (Sub-3- Crimine, giustizia e corruzione) copre attività già svolte dall’Italia nell’ambito del progetto IRN/S12 ed è stato affidato all’italiano Danilo Rizzi (ex Colonnello della Guardia di Finanze in servizio presso l’Ufficio UNDOC di Teheran) che aveva realizzato l’IRN/S12. Tale sub-programma necessita di un budget di 4,6 USD (di cui 2 stornati dal contributo totale norvegese).

Dal 2 al 3 agosto 2010 si è tenuto a Teheran un seminario internazionale sulla lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, organizzato dal locale Ufficio UNODC in collaborazione con le Autorità iraniane. Il governo iraniano ha sostenuto di aver speso 600 milioni di USD negli ultimi due anni per il controllo delle proprie frontiere con l'Afganistan, di aver sequestrato 370 tonnellate di narcotici negli ultimi sei mesi e che il flagello del narcotraffico afgano da oltre tre decenni miete vittime fra le forze di polizia iraniane (circa 3000 è la stima totale avanzata). Nonostante gli sforzi da parte iraniana per contenere il fenomeno, i successi conseguiti con ingenti sequestri di droga ed i progressi sul versante della prevenzione, permangono serie criticita': la quantita' di droghe che attraversano il territorio destinate ad altri Paesi e di quelle per il mercato interno sono molto elevate, emergente e’ la minaccia delle amfetamine, a livello di abuso, produzione e traffico. Sul fronte normativo, l'impianto sanzionatorio non e’ stato modificato, continuando a punire con la pena capitale alcuni delitti, tra cui il traffico di oltre 5 kg. di oppio o 30 gr. di eroina. Sul versante internazionale, mentre sembra dare qualche risultato il modulo collaborativo posto in essere con Afghanistan e Pakistan (Triangular Initiative) per effettuare operazioni congiunte contro il traffico di stupefacenti

 

Unione Europea (UE)

Il tracollo nel negoziato nucleare tra l’UE e l’Iran seguito all’elezione alla Presidenza della Repubblica iraniana dell’ultra-conservatore Ahmadinejad ha portato ad un inasprimento del confronto fra l’UE e l’Iran anche su altri temi cruciali, come i diritti umani, la lotta al terrorismo, la sicurezza della regione. Nonostante le sanzioni, gli scambi commerciali con l’Iran proseguono.

 

RAPPORTI BILATERALI

Relazioni politiche

Il nostro Paese, pur non venendo mai meno agli obblighi derivanti dalla sua collocazione nel contesto euro-atlantico, ha sempre mantenuto un canale di comunicazione - e di dialogo - con l’Iran, che abbiamo ripetutamente esortato ad atteggiamenti più costruttivi ed al ritorno al tavolo negoziale sulla questione nucleare.

 

Accordi in vigore

Data firma

 

25.06

1928

Dichiarazione del Governo iraniano relativa al trattamento giudiziario dei cittadini italiani.

10.07

1933

Scambio di note per la reciproca protezione dei marchi e brevetti.

24.09.

1950

Trattato di amicizia.

26.01

1955

Trattato di commercio, stabilimento e navigazione, con scambio di note.

09.02.

1955

Scambio di note relativo agli articoli 25 e 29 del trattato del commercio, stabilimento e navigazione del 26/01/1955.)

29.01

1958

Accordo commerciale e accordo di pagamento, con scambio di note sull’abolizione dei certificati di origine.

07.05

1958

Scambio di note relativo agli articoli 3 e 18 del trattato di commercio, stabilimento e navigazione del 26/01/1955.

29.11

1958

Accordo culturale

23.04

1961

Protocollo per la proroga e la modifica degli accordi commerciali e di pagamento del 29/01/1958

03.06

1969

Scambio di note in materia di facilitazioni creditizie.

17.09

1970

Accordo di cooperazione scientifica e tecnica

05.06

1974

Memorandum di intesa per l’istituzione di una commissione mista in materia di cooperazione economica

25.07

1990

Accordo per i trasporti internazionali su strada.

10.03

1999

Accordo sulla reciproca promozione e protezione degli investimenti, con protocollo.

10.03

1999

Memorandum di intesa sulla cooperazione in materia di lotta al traffico di stupefacenti, sostanze psicotrope e precursori.

23.10

2001

Memorandum di intesa sulle consultazioni tra i rispettivi Ministeri degli Esteri.

31.10

2002

Accordo di cooperazione in materia di sicurezza.

11.10

2004

Accordi di mutua assistenza amministrativa per la prevenzione, l’accertamento e la repressione delle infrazioni doganali, con allegato.

 

 

 

SCAMBI DI VISITE

Data

Visita

febbraio

2007

Visita a Roma del capo negoziatore Lariani e suoi incontri con il Presidente del Consiglio Prodi e con il Ministro degli Esteri D’Alema

marzo

2007

Visita a Roma del Ministro degli Esteri iraniano Mottaki. Incontro con il Presidente del Consiglio Prodi

maggio

2007

Visita a Roma dell’ex-Presidente della Repubblica Iraniana e attuale Direttore del Centro per il Dialogo tra le Civiltà e le Culture, Khatami

settembre

2007

Visita in Italia del Vice Ministro Jalili (incontri con Prodi e Intini)

ottobre

2007

Visita a Roma di una Delegazione parlamentare (incontri con Violante e Bertinotti)

ottobre

2007

Visita di Jalili e Lariani a Roma: incontri con Presidente del Consiglio e On.le Ministro

novembre

2007

Presidente Commissione Affari Esteri a Roma: incontri con On. Ministro, On. Ranieri, Presidente Bertinotti e Sen. Dini

ottobre

2008

Visita a Teheran del Prof. Romano Prodi per partecipare a Conferenza “Religion in the Modern World”

ottobre

2008

Segretario Generale del Ministero dei Beni Culturali, Giuseppe Proietti, a Teheran per progetto di salvaguardia e recupero del patrimonio storico della regione di Bam

novembre

2008

Visita a Teheran del DG per i Paesi del Mediterraneo e MO, Amb. Ragaglini

gennaio

2009

Visita a Milano del Sindaco di Teheran, Qalibaf, su invito Sindaco Moratti

febbraio

2009

Segretario Generale del Ministero dei Beni Culturali, Giuseppe Proietti, a Teheran per progetto di salvaguardia e recupero del patrimonio storico della regione di Bam

aprile

2009

Visita a Teheran dell’Ambasciatore Iannucci, Inviato Speciale del MAE per l’Afghanistan ed il Pakistan, ed incontro con il Direttore Europa del Mae iraniano, Ali Qanezadeh

maggio

2009

Segretario Generale del Ministero dei Beni Culturali, Giuseppe Proietti, a Teheran per la firma del MoU per il restauro della tomba di Ciro il Grande

novembre

2009

Visita a Teheran del Presidente dell’IPALMO, On. Gianni De Michelis, per tenere una conferenza presso l’Istituto per gli Studi Politici ed Internazionali (IPIS)

dicembre

2009

Visita del Segretario Generale del MIBAC, Prof. Giuseppe Proietti, e incontro con il Vice Presidente della Repubblica, Hamid Baghaei (anche responsabile dell’Iran Cultural Heritage (ICHTO)

gennaio

2010

Visita privata a Teheran del Sen.Pietro Marcenaro (Presidente Commissione Diritti Umani)

aprile

2010

Partecipazione del Presidente dell’IPALMO, On. De Michelis, in qualità di relatore, alla Conferenza Internazionale su “Disarmo e non proliferazione: energia atomica per tutti, armi nucleari per nessuno”, organizzata dal Governo di Teheran il 17 e 18 aprile 2010

maggio

2010

Visita a Teheran dell’Ambasciatore Iannucci, Inviato Speciale del MAE per l’Afghanistan ed il Pakistan, ed incontro con il Direttore Europa del Mae iraniano, Ali Qanezadeh

luglio

2010

Incontro tra l’On. Ministro e il Ministro degli Esteri iraniano Mottaki a margine della Conferenza di Kabul del 20 luglio

settembre

2010

Visita privata in Iran del Sen.Maritati, Vice Presidente Commissione Giustizia del Senato

settembre

2010

Incontro tra l’On. Ministro e il Ministro degli Esteri Mottaki a margine della 65° Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York

settembre

2010

Visita a Teheran del Prof.Prodi su invito Universita’ Azad di Teheran per conferenze ed incontri istituzionali

settembre

2010

Visita a Milano Vice Presidente Iran, e Capo Organizzazione per Educazione Fisica, Ali Saidloo per Campionati Mondiali di Pallavolo

ottobre

2010

Incontro a Roma tra l’Ambasciatore Iannucci, Inviato Speciale del MAE per l’Afghanistan ed il Pakistan, ed incontro con il Direttore Europa del Mae iraniano, Ali Qanezadeh

ottobre

2010

Visita a Roma, su invito dell'IPALMO, del Vice Ministro per l'Europa Ali Ahani

novembre

2010

Visita in Italia del Vice Presidente iraniano e Presidente dell’Organizzazione per i Beni Culturali, Hamid Baghaei

febbraio

2011

Visita in Italia del Presidente della Commissione Esteri e Sicurezza del Majlis, Bouroujerdi (16-17 febbraio). Incontro di cortesia con l’On.le Ministro

marzo

2011

Visita a Milano e Roma del Vice Ministro dell’Economia Alishiri a capo di una delegazione imprenditoriale per la presentazione di progetti di investimento[31]

 

Relazioni economiche, finanziarie e commerciali

Le relazioni economiche bilaterali - pur in presenza di un mercato potenzialmente assai promettente per le imprese del nostro Paese - hanno conosciuto negli ultimi anni una sostanziale stagnazione, in linea con gli altri Paesi europei, in un contesto internazionale difficile che scoraggia investimenti stranieri (in specie europei) anche nei settori non soggetti a sanzioni. Gli sviluppi auspicati a suo tempo nella settima (ed ultima) Commissione Mista, tenutasi a Teheran il 18 e 19 gennaio 2005, sono stati influenzati dal peggioramento del quadro internazionale legato alla questione nucleare. Il regime sanzionatorio internazionale pone limiti stringenti alle attività delle imprese italiane in Iran e ha portato in pratica alla cessazione delle attività di SACE e SIMEST. La collaborazione economica tra i due Paesi, malgrado il progressivo deteriorarsi degli scenari, può tuttora beneficiare di un quadro di conoscenza e fiducia reciproca che il nostro Paese si è qui guadagnato nel corso di decenni di apprezzate attività delle nostre aziende. In particolare, il nostro Paese ha aumentato nel 2010 le esportazioni del 2,4 % e le importazioni del 137,4 % (l'80 % delle importazioni italiane riguardano petrolio e prodotti chimici, non sanzionati).

Secondo dati Eurostat relativi ai primi due mesi del 2011 le esportazioni italiane sono in diminuzione (- 14,8%), cosi’ come le nostre importazioni di prodotti petroliferi (-10,2%). L’Italia e’ passata dal secondo al terzo posto come paese esportatore, superata dalla Francia. Il primo paese esportatore resta la Germania con un aumento dell’1,6%.

 

Interscambio Italia-Iran

(in milioni di Euro)

 

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

genn-febb. 2010

genn-febb. 2011

Esportazioni

2.157

2.256

1.825

1.856

2.125

2.013

2.061

297

253

Var. %

0

4,59

-19,1

1,7

14,49

-5,27

2,38

 

-14,8

Importazioni

2.179

2.946

3.894

4.158

3.920

1.968

4.673

491

441

Var. %

0

35,2

32,18

6,78

-5,72

-49,8

137,45

 

-10,2

Saldo

-22

-690

-2.069

-2.302

-1.795

45

-2.612

-194

-188

Interscambio

4.336

5.202

5.719

6.014

6.045

3.981

6.734

788

694

[Fonte: ISTAT]

 

 

 

Fonte: ISTAT

 

Interscambio con i Paesi EU-27

 

 

 

 

 

(in ordine di valore dell’interscambio)

 

 

 

 

 

 2010 in mln Euro

Esportazioni

% UE

Importazioni

% UE

Interscambio

% UE

Saldo

ITALIA

2.061

18,2

4.673

35,2

6.734

27,4

-2.612,0

GERMANIA

3.800

33,5

853

6,4

4.653

18,9

2.947,0

SPAGNA

494

4,4

3.416

25,7

3.910

15,9

-2.922,0

PAESI BASSI

587

5,2

2.187

16,5

2.774

11,3

-1.600,0

FRANCIA

1.784

15,7

850

6,4

2.634

10,7

934,0

BELGIO e LUX

582

5,1

417

3,1

999

4,1

165,0

EU27

11.336

 

13.281

 

24.617

 

-1.945,0

 

Variazioni valori delle esportazioni e delle importazioni in mln di €.

Anni 2009-2010

(Posizionamento sulla base dei valori 2010)

Esportazioni verso Iran

2009

2010

Var %

Importazioni dall’Iran

2009

2010

Var %

Germania

3.712,5

3,800,4

0,5

Italia

1.968,4

4.672,6

137,4

Italia

2.023,2

2061,2

2,4

Spagna

1.978,0

3.283,6

66,0

Francia

1.445,6

1783,8

23,3

Paesi Bassi

2.012,0

2.253,8

12,0

Paesi Bassi

556,3

587,6

5,7

Germania

491,1

853,8

73,8

Belgio

415,9

581,5

39,8

Francia

1.000,4

849,5

-15,1

(valori in mln. di €)

Fonte: Eurostat

 

  (Elaborazioni DGAP IX su dati Eurostat)

 

 

SACE  (Operativita’ nei limiti delle sanzioni ONU ed UE)

 

Rischio: medio-basso (H2)

Outlook: negativo

CONDIZIONI DI ASSICURABILITA’

GARANZIE (al 31 dicembre 2010)

Categoria OCSE: 6/7 (*)

Consensus: 2 (**)

 

Rischio sovrano

caso per caso

Deliberate (mln€)

1.671,0

Rischio bancario

caso per caso

Perfezionate (mln€)

1.359,7

Rischio privato

caso per caso

Di cui erogate (mln€)      

1.344,0

 

(*) Categoria assegnata dall’OCSE ai diversi Paesi, che indica il grado di rischiosità (da = a 7, ove 0 rappresenta il rischio minore e 7 il rischio massimo). A ciascuna categoria – ad eccezione della 0 – corrisponde un premio minimo a copertura del rischio sovrano.

(**) Definisce i termini massimi di dilazione di pagamento per le operazioni di credito all’esportazione con dilazione di pagamento di due anni e oltre. Categoria 1: il termine di ripaga mento massimo è 5 anni (con possibile estensione a 8,5 anni). Categoria 2: il termine di ripagamento massimo è di 10 anni. 

 

Turismo

Il flusso turistico verso l’Italia è limitato (circa 5.000 l’anno, dato che ci posiziona alle spalle di Francia, Spagna ed Austria) e consiste prevalentemente in imprenditori, di livello socio-culturale medio-alto che abbinano al viaggio d’affari turismo e shopping (mete preferite: nord Italia e città d’arte). I collegamenti aerei diretti tra Italia ed Iran sono assicurati dall’Alitalia con 4 voli settimanali da Roma e dall’Iran Air con un volo.

 

Expo Milano 2015

Nel corso di un incontro nel febbraio 2011 con il DG Affari Internazionali della Società Expo 2015, Cons. Amb. Stefano Gatti, il Presidente e AD della Società delle Fiere Internazionali iraniana, Kazem Akbarpour, ha confermato la partecipazione alla manifestazione, ribadendo l’intenzione di sviluppare il tema del cambiamento globale verso un modello di alimentazione e vita più sani e sfruttare l’occasione per presentare al mondo l’identità di una nazione ben diversa da quella dipinta dai media internazionali.

 

Cooperazione allo sviluppo

L’Iran è inserito, sulla base delle classificazioni OCSE, nel gruppo dei Paesi a reddito medio-basso e può essere pertanto considerato beneficiario di aiuto pubblico allo sviluppo.

Tra i progetti di cooperazione, si segnalano:

1)      Sostegno alle strutture del Museo Nazionale di Teheran: ammodernamento del museo da parte di esperti della DGCS con un finanziamento a dono di 692.000 USD, nell’obiettivo di catalogare il ricco materiale del museo;

2)      Sviluppo dell’acquacoltura nel Sistan-Baluchistan: programma di sviluppo settoriale avviato nel 2004, a durata quadriennale, finanziato a dono per 3.034.000 USD (nel 2009 è stato deciso un rifinanziamento per 434.000 USD);

3)      Progetto di sostegno al microcredito rurale nelle provincie dell’Azerbaidjan e Kurdistan: volto al rafforzamento delle comunità rurali attraverso gruppi di auto-sostegno e la creazione di legami tra gruppi di garanzia e banche tradizionali (finanziamento di 970.000 USD, l’Italia ha erogato un contributo all’IFAD pari a 395.000 USD);

4)      Miglioramento della legislazione iraniana al fine di contrastare il crimine organizzato ed il riciclaggio del denaro sporco: avviato dal 2007 con un budget di 1,6 mil. di USD, di cui 950.000 finanziati dall’Italia (insieme al Regno Unito), per programmi di formazione di magistrati e assistenza legale. Nel novembre 2009, l’Italia ha rifinanziato il progetto con 200.000 USD;

5)      In ambito UNODC, l’Italia collabora con le Autorita’ iraniane per migliorarne l’azione di contrasto al traffico di droga.

 

Lotta ai traffici internazionali di narcotici

Oltre alle attivita’ in ambito UNODC, si segnala che la Direzione Centrale per i Servizi Antidroga (DCSA) del Ministero dell’Interno svolge programmi di assistenza in favore delle istituzioni iraniane: viaggio di studio in Italia per medici iraniani orientato alla prevenzione, corsi antidroga per ufficiali di polizia iraniani, missione del Generale della Guardia di Finanza Paolo Aielli, tesa a pianificare attività di analisi e supporto strategico.

Il 28 aprile 2005, la nostra Direzione Nazionale Antimafia ha inoltre sottoscritto con il Potere Giudiziario iraniano, un Memorandum di Cooperazione per la lotta alla criminalità organizzata transnazionale e, in particolare, al traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope.

 

Relazioni culturali, scientifiche e tecnologiche

La cooperazione bilaterale culturale è regolata dall’Accordo di collaborazione culturale del 29 novembre 1958 ed incentrata nella valorizzazione del patrimonio archeologico iraniano. Il Programma Esecutivo di collaborazione culturale, scaduto nel 2004 ed in fase di rinnovo, ha costituito un primo quadro di riferimento per molteplici e differenziate attività di collaborazione. É altresì in corso di definizione il progetto per l’istituzione di un centro di ricerca scientifica per il patrimonio culturale dell’Iran, con sede a Isfahan, a cui partecipano enti italiani, iraniani, libanesi e della Santa Sede. Nel corso dell’incontro del 16 novembre 2010 tra il Ministro Bondi e il Vice Presidente iraniano e Presidente dell’Organizzazione per i Beni Culturali, Hamid Baghaei si è concordato di concentrare la futura collaborazione culturale su 4 direttrici fondamentali: il restauro e la conservazione, la cooperazione museale (con particolare riferimento all’ammodernamento e ampliamento del Museo nazionale di Teheran), lo scambio di giovani artisti contemporanei e la lotta al traffico illecito dei beni culturali. Attività di promozione culturale in corso per settori:

·         archeologia:

o        il 24 maggio 2009 è stato firmato dal Segretario Generale del Ministero dei Beni Culturali, dott. Proietti, e dall’Organizzazione Iraniana per il Turismo, l’Artigianato ed il Patrimonio Culturale (CHDICHTO) un MoU per la conservazione ed il restauro della tomba di Ciro il Grande.

o        il 25 febbraio 2010 si è svolta la cerimonia di consegna dei reperti trovati nel corso degli scavi effettuati prima della rivoluzione nella Moschea di Isfahan da un team dell’ISMEO e catalogati in anni recenti da esperti dell’ISIAO. Tale evento rappresenta una delle più importanti collaborazioni tra Iran ed Italia in campo archeologico. L’attenzione degli studiosi si è concentrata sulla classificazione dei reperti – ceramica, ma anche vetri, mattonelle invetriate, stucchi – preliminare al vero e proprio studio. La classificazione della ceramica consentirà di ricostruire una sequenza interrotta dal periodo sasanide all’età moderna, percorso essenziale per la datazione dei futuri ritrovamenti.

·         Ricerca: in data 17 ottobre 2009 è stato inaugurato il Centro di Ricerca italo-iraniano  “Ludovico Quaroni”  sulla città e l’architettura storica e moderna, sulla base dei programmi già avviati tra l’Università “La Sapienza” e  l’Università  Sureh di Teheran. Il centro avrà una sede nella Facoltà di Architettura a Teheran e a Roma, sarà retto da un Consiglio paritetico ed effettuerà studi sia nel campo urbanistico che in quello del restauro dei monumenti storici dell’Iran.

·         Università: nell’ottobre 2009, una delegazione composta da rappresentanti dell’Università degli Studi di Ferrara, dell’Università di Perugia e dell’azienda ospedaliera di Reggio Emilia è giunta in Iran allo scopo di visitare le Facoltà di Medicina (che dipendono direttamente dal Ministero della Salute) e le strutture assistenziali. La delegazione ha firmato il 15 ottobre accordi-quadro tra l’Università Medica di Teheran e le Università di Ferrara e Perugia ed ulteriori accordi con l’Università Libera Islamica e la Royan Institute (centro di ricerca sulle cellule staminali) sono stati firmati il 17 ottobre.

·         Diffusione della lingua italiana: in Iran operano 3 lettori di ruolo inviati dal MAE, due a Teheran, presso la Libera Università islamica e presso la Teheran State University ed uno presso l’Università di Isfahan (gli studenti che hanno seguito i corsi nel 2010 sono stati 590). Corsi di lingua italiana vengono organizzati anche presso la Scuola italiana di Teheran che ha firmato una convenzione per la certificazione dell’apprendimento della lingua italiana con l’Università di Siena.

·         Istruzione: oltre ad essere presenti nel Paese con il complesso scolastico privato denominato “Pietro della Valle” (fondato nel 1960, con 120 studenti nel 2010), sono operative le seguenti collaborazioni interuniversitarie:

o        Istituto Orientale di Napoli ed Università di Teheran;

o        Università di Roma "La Sapienza" ed Università di Teheran (Accordo quadro);

o        Politecnico di Milano ed Università di Teheran (Accordo quadro);

o        Azienda Ospedaliera S. Maria Nuova di Reggio Emilia ed Università di Medicina di Isfahan (gennaio 2009) con programmi di studio e ricerca congiunti;

o        Università di Modena ed Università di Medicina Behesti di Teheran per la promozione di seminari e congressi medici.

·         Manifestazioni culturali: le attività di promozione culturale a cura dell’Ambasciata d’Italia a Teheran, stanno registrando una continua crescita e diversificazione attraverso il potenziamento dell’offerta di eventi musicali, teatrali, cinematografici e mostre. Il 16 gennaio 2010 – in concomitanza con la IX settimana della lingua italiana ed organizzata dall’Ambasciata italiana congiuntamente con l’Università Sureh.- si è inaugurata la mostra fotografica “L’Arte, il Genio, la Guerra, la Città”, originariamente preparata dal Dipartimento di Architettura e Costruzioni dell’Università La Sapienza di Roma. Il 10-11 marzo 2010 si è svolto a Teheran presso il Dipartimento di Architettura dell’Università un workshop ed un seminario di presentazione del design industriale italiano, attraverso la presentazione dei modelli di produzione “Artemide” (Gruppo di Pregnana Milanese). Nutrita e’ stata nel febbraio 2011 la partecipazione italiana al Festival Fajr organizzato per celebrare la rivoluzione del 1979 con spettacoli di 4 compagnie teatrali; italiani anche un membro della giuria internazionale e  due esperti. 

 

Il 5 febbraio 2011, il Prof. Guido Ferlazzo dell’Universita’ di Messina ha ricevuto dal Governo iraniano il Premio Khwarazmi per i suoi lavori nel campo immunologico.

In data 1 marzo 2011 la Fondazione Willy Brandt italiana (presieduta da Mario Spadari) ha firmato un accordo con il National Center for Globalization di Teheran (presieduto dal capo di Gabinetto di Ahmadinejad, Rahim Mashaee) un accordo per la collaborazione sulle tematiche della globalizzazione.

 


 

APPENDICE

 

Tabella 1 Principali indicatori macroeconomici

 

2006

2007

2008

2009 (*)

2010 (*)

2011 (**)

2012 (**)

PIL:

PIL nominale (mil. US$)

PIL nominale (mld. IR)

Crescita reale PIL (%)

 

222.881

2.044

5,8

 

286.058

2.655

7,8

 

344,823

3.251

6,5

 

367.228

3.622

0,7

 

411.389

4.241

2,90

 

465,442

4.942

1,9

 

530.802

     5,805

       2,1

Consumi sul PIL (%):

- Consumi privati

- Consumi statali

- Investimento lordo in

  capitale fisso

- Export di beni e servizi

- Importazioni di beni e

  servizi

 

6,2

7,4

3,3

 

2,0

4,0

 

9,1

-4,3

6,0

 

6,0

8,3

 

8,5

5,0

5,8

 

4,0

9,0

 

3,1

3,0

2,8

 

-4,0

5,5

 

2,6

2,2

3,0

 

0,2

4.0

 

0,3

2,5

3,3

 

-0,5

-0,1

 

1,2

2,4

3,4

 

-1,1

0,8

Origine del PIL (%):

- agricoltura

- industria

- servizi

 

4,7

6,9

6,5

 

6,2

7,9

6,8

 

3,0

4,5

5,8

 

2,8

-1,0

1,3

 

3,5

-0,5

5,0

 

4,0

-0,8

3,2

 

4,4

-1,0

3.5

Popolazione e reddito:

- Popolazione (mil.)

- Reddito procapite

   (US$)

- Disoccupazione (%)

 

71,6

9.689

 

12,1

 

72,4

10.627

 

12,3

 

73,3

11.433

 

12,5

 

74,2

11.478

 

12,9

 

75,1

11.736

 

13,2

 

75,9

12.021

 

14,1

 

76,7

12,424

 

15,0

Indicatori fiscali (% del PIL):

- Entrate statali

- Spese statali

- Bilancio

- Debito pubblico

 

 

39,1

27,5

-7,2

24,3

 

 

39,7

21,4

-3.6

21,0

 

 

35,4

24,8

-6,5

18,3

 

 

29,8

21,9

-4,6

18,5

 

 

26,3

21,8

-0.6

17,0

 

 

25,8

21,1

0,8

14,9

 

 

22,6

19.9

-0,2

12,4

Prezzi e indicatori finanziari:

- Tasso di cambio             

   IR:US$ (media)

- Prezzi al consumo (%)

- Offerta di moneta M1

  (%)

- Offerta di moneta M2

  (%)

- Tasso di interesse sul  

  credito (%)

 

 

9.171

 

11,6

25,9

 

29,1

 

14,0

 

 

9.281

 

17,1

30,5

 

30,6

 

12,5

 

 

9.429

 

25,5

2,8

 

7,9

 

12,0

 

 

9.864

 

13,5

9,3

 

27,7

 

12,0

 

 

10.308

 

9,9

8,0

 

17,4

 

12,5

 

 

10.617

 

20,5

11,5

 

16,7

 

12,5

 

 

 

10,936

 

16,5

13,0

 

18,3

 

12,5

Partite correnti (mil. US$):

- Bilancia commerciale:

   Merci: export fob

   Merci: import fob

- Bilancia dei servizi

- Disponibilità di 

   reddito

- Bilancia trasferimenti

   correnti

- Bilancia partite

   correnti

 

 

26.203

76.190

-49,987

-9.241

 

3.110

 

513

 

20.585

 

 

39,428

97.668

-58.240

-11.260

    

  3.784

 

642

 

32,594

 

 

31.090

101.289

-70,199

-13,826

 

3,827

 

811

 

22,903

 

 

25,751

84,718

-58.967

-10,934

 

1,897

 

876

 

17,590

 

 

22,728

81,695

-58,967

-11.254

 

425

 

858

 

12,757

 

 

26,590

85,852

-59,262

-11.343

 

828

 

841

 

16,917

 

 

18,173

78,087

-59,914

-11,473

 

552

 

866

 

8,119

Debito esterno (mil. US$):

- Debito totale

- Servizio debiti (pagati)

 Rimborsi principali

Interessi

 

 

19.376

2.748

1,716

1,032

 

21.069

2.932

1,987

945

 

13.938

2.794

2,173

621

 

12.629

2.250

1,541

709

 

13,293

2.207

1,540

667

 

13.112

2.530

1,753

778

 

12,773

2,425

1,624

802

 

Riserve internazionali (mil. US$):

Totale riserve internazionali

 

 

58.459

 

 

82.059

 

 

96.559

 

 

81.309

 

 

75.060

 

 

73.060

 

 

71,560

[Fonte: EIU Country Report marzo 2011]

(*) Stime EIU

(**) Previsioni EIU

 

 

 


Federazione russa: quadro politico interno ed indirizzi di politica estera
(a cura del Ministero degli Affari esteri)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


16 settembre 2011

 

 


 

La Russia, su scala globale, è fautrice di un ordine mondiale multipolare, secondo un approccio “multivettoriale”, così definito dal presidente Medvedev, ancorato al ruolo centrale delle Nazioni Unite, e intende salvaguardare uno status paritario rispetto agli altri attori globali (USA-UE-Cina). A questi indirizzi Mosca ispira la propria azione sia in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sia nei principali fora di governance internazionale di cui fa parte (non solo il G8 ed il G20, ma anche i formati di raccordo con le economie emergenti quali il BRICS – Brasile, Russia, Cina ed India e Sud Africa). Lo “status” già progressivamente riacquistato di attore globale le ha anche garantito un ruolo nei consessi in cui vengono trattate le principali questioni regionali (EU3+3 per l’Iran; colloqui esapartito per la Corea del Nord; Quartetto per il Medio Oriente; Gruppo di Contatto, limitatamente alla Bosnia). Da registrare anche un rinnovato attivismo sia nei confronti dell’America Latina (con la ripresa dal 2008 dei contatti al più alto livello con molti Paesi della regione e il rilancio della cooperazione economica su basi pragmatiche), sia dell’Africa, dove Mosca cerca di recuperare almeno parte dei legami andati persi dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

La determinazione a mantenere un ruolo di grande potenza globale deve tuttavia fare i conti con i vincoli imposti da un sistema economico che soltanto con affanno riesce a conciliare sviluppo sociale, industriale e infrastrutturale con il finanziamento di un'adeguata capacità di difesa, rispetto alla quale viene privilegiata la componente strategica nel contesto peraltro di un complesso processo di riforma militare. Si segnala a quest’ultimo proposito che a dicembre 2010 il Presidente Medvedev ha annunciato ingenti investimenti (oltre 500 miliardi di euro) finalizzati all’ammodernamento delle dotazioni militari. L’obiettivo di modernizzare il sistema ereditato dall’URSS risponde quindi anche ad un’esigenza strategica, nella convinzione che la partnership con UE e USA costituisca la condizione per avere accesso a risorse e a capacità tecnologiche.

 

La priorità russa è, su scala regionale, salvaguardare una sfera di influenza nelle regioni dello spazio ex-sovietico (l’estero vicino) strategicamente importanti anche per l’approvvigionamento e/o per il trasporto di idrocarburi, settore quest’ultimo che rappresenta il principale volano dello sviluppo economico russo. In tale contesto, il temuto allargamento della NATO a Ucraina e Georgia ha rappresentato a suo tempo un gravissimo motivo di contrasto fra Mosca e la comunità euro-atlantica, in gran parte rientrato dopo il vertice di Lisbona del novembre 2010. Oltre al Caucaso meridionale, ha un alto valore strategico – principalmente per gli interessi in campo energetico - l’Asia centrale, nei cui confronti la Russia si e’ posta fino al recente passato in un’ottica di contenimento della crescente influenza cinese e in parte anche occidentale (adottando da ultimo un approccio di maggiore concertazione con gli Stati Uniti, come reso evidente dalla crisi kirghisa). I rapporti fra Mosca e i cinque Paesi centro-asiatici hanno una natura disomogenea e non sempre priva di complicazioni. Strumenti importanti per la proiezione russa nell’area sono alcune organizzazioni regionali: la CSI, l’EURASEC e l’Unione Doganale.

 

RAPPORTI BILATERALI

L’Italia intrattiene con la Russia un partenariato strategico basato su interdipendenza e interessi comuni. Dietro a queste affinità c’è un’attitudine pragmatica piuttosto che un approccio prescrittivo, nella convinzione che una rafforzata collaborazione possa rafforzare un processo di positiva contaminazione volto ad assecondare la graduale apertura economica, sociale e politica della Russia. In tale ottica, Italia e Russia hanno istituito a dicembre scorso un Partenariato bilaterale per la Modernizzazione che ha dato vita ad un  Gruppo di lavoro in seno al Consiglio di cooperazione economica, di impronta inter-disciplinare, focalizzato sull’individuazione e promozione di qualificate cooperazioni nel campo dell’innovazione tecnologica, della ricerca applicata e dell’efficienza amministrativa, presieduto per parte italiana dal Ministero degli affari esteri. I rapporti bilaterali sono corroborati da intensi scambi turistici, culturali e universitari (il 2011 è l’Anno della cultura e della lingua italiana in Russia e della cultura e della lingua russa in Italia, significativamente inaugurato dallo stesso Medvedev, in visita a Roma lo scorso febbraio e presente alle celebrazioni del 2 giugno). Strumenti essenziali per la continuità e l’approfondimento del dialogo ad alto livello a cadenza annuale sono il Vertice inter-governativo (che si dovrebbe tenere in autunno in Italia) e il Consiglio di Cooperazione Economica, Industriale e Finanziaria (tenutosi a Roma lo scorso 24 giugno). E’ stata inoltre ricalendarizzata per l’autunno la Ministeriale Esteri-Difesa (“2+2”), prevista originariamente il 23 giugno a Mosca e rimandata su richiesta italiana (allo studio alcune possibili date a settembre).

 

Un ruolo di rilievo nel rafforzamento delle relazioni bilaterali è quello svolto della cooperazione parlamentare. In questo contesto, è importante ricordare, dopo l’incontro presso la Duma del  Senatore Nicola Latorre Presidente della sezione di amicizia Italia-Russia dell’Unione interparlamentare  con la Vice-Presidente Sliska ed il Presidente della Commissione Esteri Kosachev (7-8 giugno u.s.), la Grande Commissione Interparlamentare italo-russa che ha tenuto la sua XII riunione a Mosca il 4-5 luglio scorso, co-presieduta dal Vice-Presidente della Camera On. Maurizio Lupi e dalla Vice-Presidente della Duma Sig.ra Liubov Sliska. L’agenda dei lavori è stata dedicata ai seguenti temi: a) le prospettive di introduzione di un regime di abolizione dei visti per le visite brevi dei cittadini russi e dei cittadini dei Paesi dell’UE e di una intesa bilaterale relativamente ai titolari di passaporti di servizio; b) la realizzazione del Programma di Modernizzazione della Russia; c) la base legislativa e lo sviluppo dell’istituto del controllo parlamentare in materia di lotta alla corruzione; d) le possibilità di collaborazione nel settore dell’energia.

 

Sullo sfondo, rimangono le contraddizioni interne della Russia, la cui relativa prosperità resta affidata agli introiti degli idrocarburi – e all’altalena dei prezzi, in questo momento favorevoli – con una democrazia bloccata, con pulsioni nazionaliste (e talvolta xenofobe) che si intersecano con un forte desiderio d’identità europea, con una politica estera incerta fra nostalgie imperiali e capacità reali, con un’apertura al mondo esterno senza precedenti storici. La scena politica russa è oggi dominata dalla prospettiva delle elezioni: a dicembre quelle per il rinnovo della Duma, con la vittoria scontata del Partito “Russia Unita”; a marzo 2012 le presidenziali. Per queste ultime è troppo presto per prevedere scenari. A poco meno di un anno dalla scadenza del mandato di Medvedev, domina l’incertezza sul futuro Presidente. È in realtà un’incertezza sul corso della Russia, al bivio fra modernizzazione del sistema che coinvolge anche la società civile, avocata almeno verbalmente da Medvedev, ed un concetto di modernizzazione limitato e di impronta più tecnologico, identificato nella cerchia d’interessi, oligopolistici, militari, di sicurezza, costituitasi intorno al Primo Ministro. La “scelta” del Presidente sarà un’indicazione della direzione in cui si vuole muovere Mosca. Senza entrare nella ridda degli scenari possibili, un’ingloriosa uscita di scena di Medvedev sarebbe anche una sconfessione del suo appello alla modernizzazione, alla lotta alla corruzione e allo Stato di diritto. Nell’attuale tandem imperfetto, Medvedev ha infatti il ruolo d’interpretare la componente più aperta alle esigenze di riforma e d’innovazione. Da ultimo Putin ha avviato un’iniziativa che potrebbe essere volta a “sparigliare” le carte, annunciando la formazione di una piattaforma civica a suo sostegno, improntata ad un approccio consensuale attorno alla sua figura che travalica la sola base elettorale di “Russia Unita”. Il Presidente Medvedev, che ha accolto con freddezza l’iniziativa del Primo Ministro, potrebbe inoltre vedere adombrata la propria funzione modernizzatrice all’interno del tandem dall’istituzione (annunciata da Putin) di un’”Agenzia per le Iniziative Strategiche”, investita del compito di promuovere progetti innovativi nel settore economico, agendo in maniera trasversale rispetto alle Amministrazioni statali.

Sul piano internazionale, l’Italia favorisce un approccio inclusivo verso la Russia nei principali fora internazionali, coscienti del suo ruolo cruciale per la sicurezza continentale e globale. Ci sforziamo perciò di stimolare una maggiore collaborazione e una positiva interazione di Mosca con le istituzioni europee ed atlantiche. Sosteniamo inoltre l’importanza di una rapida adesione di Mosca al WTO. Sul piano della sicurezza, il Vertice NATO-Russia di Lisbona ha segnato una svolta storica, sancendo una nuova visione dei rapporti: come negli auspici italiani, dialogo politico e cooperazione pratica sono posti su un livello di complementarietà, volto a corrispondere ad “interessi comuni”.

 

RAPPORTI ECONOMICI BILATERALI

 

L’Italia intrattiene con la Russia un partenariato strategico basato su interdipendenza e interessi comuni. Siamo terzo partner commerciale di Mosca (se si escludono i Paesi Bassi, dove molte Società eleggono la sede per motivi fiscali), con quasi 21 miliardi di euro di interscambio nel 2010. In Russia sono attive 500 aziende italiane che operano investimenti strategici in numerosi settori: l’Italia ha bisogno crescente della Russia, soprattutto per le forniture energetiche (la Russia copre circa il 30% del fabbisogno italiano di gas e il 19% di petrolio). A maggior ragione in presenza di un accresciuto rischio politico del Nord Africa. L’Italia occupa la sesta posizione come Paese fornitore della Federazione (preceduta da Cina, Germania, Stati Uniti, Ucraina, Francia) e risulta il secondo cliente (dopo i Paesi Bassi). Nel primo trimestre dell’anno l’interscambio ha segnato una dinamica positiva sia per le importazioni (+18%), sia per le esportazioni (+32%). Tale dato è in linea con la ripresa dell’economia russa registrata nel 2010 (+4% del PIL, -7,8% nel 2009).

L’Italia auspica un progressivo abbattimento delle misure commerciali di carattere restrittivo, tariffarie e non tariffarie, adottate per far fronte alla crisi in quei specifici settori produttivi più sensibili alle esportazioni europee (agroalimentare, automobilistico, tessile, dell’acciaio, chimico, dei macchinari agricoli, e quelli di alcune categorie di elettrodomestici e degli autoarticolati). La crescita futura russa potrà essere assicurata solo con nuovi investimenti e con la diversificazione del tessuto produttivo, ambiti in cui anche il nostro Paese potrebbe fare la sua parte. Esistono importanti limiti strutturali dell’economia russa: imperfetto funzionamento dei mercati, ruolo ancora dominante dello Stato, obsolescenza delle infrastrutture, marginalità delle piccole e medie imprese, corruzione, inefficienza amministrativa.

 

Recenti Eventi Bilaterali Italo-Russi

 

(a livello di Capo di Stato, Capo del Governo o Ministro degli Esteri)

1. Visite di personalità russe in Italia

Aprile 2010

Visita a Milano del Premier Putin ed incontro con il Presidente del Consiglio Berlusconi.

Maggio 2010

Visita a Roma del Ministro degli Esteri Lavrov e del Ministro della Difesa Serdyukov. Incontri con l’On. Ministro e Ministro La Russa (I Ministeriale Esteri Difesa “1+1”).

Luglio 2010

Visita a Milano del Presidente Medvedev. Incontro con il Presidente  del Consiglio Berlsuconi.

Novembre 2010

Incontro PdC Berlusconi - Presidente Medvedev (Vertice Nato di Lisbona).

Febbraio 2011

Visita a Roma del Presidente Medvedev e del Ministro degli Esteri Lavoro. Incontri con il PdR Napolitano e PdC Berlusconi.

1 e 2 Giugno 2011

Visita a Roma del Presidente Medvedev, incontro con il PdR Napolitano; incontro trilaterale con il PdC Berlusconi e il Vicepresidente americano Biden.

2. Visite di personalità italiane in Russia

Luglio 2010

Visita a Mosca dell’On. Ministro in occasione della XI sessione del Consiglio di cooperazione economica, industriale e finanziaria. Incontri bilaterali con il Ministro delle Finanze Kudrin e con il Ministro degli Esteri Lavrov.

Settembre 2010

Partecipazione del Presidente del Consiglio Berlusconi a margine del “Global Policy Forum” di Yaroslavl.

Dicembre 2010

Visita di Stato del Presidente del Consiglio Berlusconi a Sochi, Vertice Bilaterale.

 

Altre visite

Febbraio 2010            Visita a Mosca del Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Zaia.

Febbraio 2010             Visita a Mosca del Presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea Parlamentare della NATO, Sen. De Gregorio.

Maggio 2010                Visita a Mosca del Sottosegretario e Capo del Dipartimento per la Protezione Civile, Guido Bertolaso.

Ottobre 2010               Visita a Mosca del Sottosegretario alla Difesa, Sen. Crosetto.

Marzo 2011                 Visita del Sottosegretario Mantica a Mosca: incontri con il VM degli Esteri Karasin, il VM degli esteri Grushko e il VM per l’Energia Yanovskiy.

Marzo 2011                 Visita a Mosca del Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Maria Stella Gelmini, incontro con l’omologo Andrey Fursenko.

Maggio 2011                Visita a Mosca del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali On. Galan: incontro con l’omologo russo Adveev.

Giugno 2011                Visita a Roma del VM degli Esteri russo, Grushko.

7-8 Giugno 2011         Incontro presso la Duma con la Vice-Presidente Sliska ed il Presidente della Commissione Esteri, Kosachev, con il Sentore Nicola Latorre presidente della sezione di amicizia Italia-Russia dell’Unione interparlamentare.

24 Giugno 2011           Consiglio Italo-Russo di Cooperazione Economica, Industriale e Finanziaria a Roma (Vice primo ministro e Ministro delle finanze Kudrin).

4 -5 luglio 2011           XII riunione della Grande Commissione Interparlamentare italo-russa a Mosca, co-presieduta dal Vice-Presidente della Camera On. Lupi e dalla Vice-Presidente della Duma Sig.ra Sliska (alla presenza degli Onorevoli Migliori, D’Amico, Lisi, Rigoni, Ruggieri e Sereni).

11-12 luglio 2011        Visita a Mosca del Ministro dello Sviluppo Economico On. Paolo Romani (previsti incontri con il Ministro dell’Energia Shmatko, il Ministro delle Comunicazioni e dei Mezzi di Comunicazioni di Massa Shegolev, il Ministro dell’Industria e Commercio Khristenko e il Primo Vice-Primo Ministro del Governo della Federazione Russa Shuvalov)

 

 


Repubblica popolare democratica di Corea: quadro politico interno ed indirizzi di politica estera
(a cura del Ministero degli Affari esteri)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

Politica Interna

 

 

 

Segretario Generale del Partito dei Lavoratori

KIM Jong Il

Presidente della Commissione Nazionale della Difesa

KIM Jong Il

Comandante Supremo dell’Esercito Popolare di Corea

KIM Jong Il

Ministro delle Forze Armate del Popolo

KIM Yong Chun

Presidente del Presidium della Suprema Assemblea del Popolo

KIM Yong Nam

Primo Ministro

CHOE Yong Rim

Ministro degli Affari Esteri

PAK Ui Chun

Ministro per il Commercio con l’Estero

RI Ryong Nam

Rappresentante Permanente presso le Nazioni Unite (NY)

SIN Son Ho

 

 

La Repubblica Popolare Democratica di Corea è una Repubblica Socialista edificata sull’ideologia del Juche (“autosufficienza”). Si tratta di uno Stato, di fatto, a Partito Unico, basato sull’egemonia del Partito dei Lavoratori, di cui Kim Jong-il (il “Caro Leader”) è il Segretario Generale. Questi, figlio di Kim Il-sung (deceduto nel 1994, ma nominato “Presidente Eterno” della Repubblica), guida altresì l’influente Commissione Nazionale di Difesa.

Il ruolo delle forze armate è preponderante: in ragione della politica del “Military First” (Songun Chongchi), varata da Kim Jong-il nel 1995, un’ampia proporzione di PIL è dedicata alle spese militari.

 

Svolge le funzioni di Capo di Stato il Presidente del Presidium della Suprema Assemblea del Popolo: Kim Yong-nam.

 

Le dinamiche di politica interna si sviluppano invero in modo poco trasparente e risultano di difficile comprensione per gli osservatori esterni. Gli eventi del 2010, tuttavia, sembrano confermare Kim Jong-eun, terzogenito di Kim Jong-il, quale erede designato per la successione al potere all’interno della “dinastia” dei Kim.

La transizione, nondimeno, non può dirsi conclusa.

 

Per il 2012, centesimo anniversario della nascita del “Grande Leader” (Kim Il-sung), le Autorità nordcoreane hanno enucleato un traguardo ambizioso: che la Corea del Nord divenga una “nazione grande e prospera” (“Kangsong Taeguk”).

Tuttavia – come attestano i rapporti delle Agenzie onusiane (WFP/Unicef/FAO) – il Paese è attraversato da una cronica crisi umanitaria, aggravata da cattivi raccolti e frequenti inondazioni (anche recentemente, luglio 2011, un tifone ha attraversato il Paese e forti piogge torrenziali hanno causato l’allagamento di migliaia di ettari coltivabili).

 


Relazioni intercoreane

 

Il Vertice tenutosi a Pyongyang nel 2007 tra il leader nordcoreano Kim Jong-il e l’allora Presidente della Repubblica di Corea, Roh Moo-hyun, ha segnato l’apice della politica di dialogo e cooperazione che i Governi sudcoreani, a guida del Partito Democratico, hanno attuato a partire dal 1997: la cosiddetta Sunshine Policy.

Tale politica si proponeva di favorire, da un lato, l’apertura della società nordcoreana attraverso forme di collaborazione economica, di cui l’area industriale di Gaeseong (ove sono tuttora operativi oltre 40mila cittadini nordcoreani) e il progetto turistico del massiccio del Geumgang sono esempi concreti; dall’altro tentava di arginare l’emergenza umanitaria mediante generose forniture alimentari.

 

La vittoria del principale partito conservatore sudcoreano (il Grande Partito Nazionale), dapprima alle presidenziali del 2007 e poi alle legislative del 2008, ha avuto come conseguenza un cambio di tendenza nell’approccio verso il Nord.

Il Presidente Lee Myung-bak ha sostituito alla Sunshine Policy una strategia di “dialogo condizionale”, meglio nota come politica del Mutual Benefit and Common Prosperity. Premessa della prosecuzione delle iniziative di cooperazione economica, cioè, avrebbe dovuto essere l’effettiva e verificabile rinuncia della Corea del Nord al nucleare quale strumento militare, nonché un reale progresso in tema di tutela e salvaguardia dei diritti umani. Solo ove tali premesse si fossero realizzate la Corea del Sud avrebbe contribuito allo sviluppo dell’economia del Nord, fino a portarla a un livello di reddito procapite di 3000 dollari statunitensi, pari a quello che aveva la Corea del Sud all’inizio degli Anni Ottanta del secolo scorso (c.d. Progetto “Vision 3000”). La Corea del Sud ha proposto ai partners nel negoziato a Sei (vedi infra) di rimpiazzare la strategia dell’“action for action” con un “grand bargain”, onde evitare di subire la tattica nordcoreana di altalenanti concessioni e ripensamenti.

 

La tensione è presto insorta con la ripresa nel 2009 delle attività missilistiche e nucleari da parte di Pyongyang. Ne è disceso un rinnovato isolamento della Corea del Nord, ora soggetta a stringenti sanzioni economiche adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Ris. 1718 del 2006 e 1874 del 2009).

Di questa situazione hanno sofferto anche i progetti di cooperazione di cui alla Sunshine Policy: tra di essi, quello che consentiva viaggi turistici sudcoreani al Monte Geumgang è stato chiuso a seguito dell’uccisione di una turista sudcoreana da parte di militari nordcoreani.

 

L’affondamento di una corvetta sudcoreana in data 26 marzo 2010 (con 46 marinai deceduti), per la quale un’indagine internazionale condotta da Seoul (con la partecipazione di esperti di Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia e Svezia) ha accertato la responsabilità della Corea del Nord, ha innescato una grave crisi che ha portato al congelamento di ogni tipo di relazione o contatto intercoreano.

Il 23 novembre 2010 ha fatto seguito l’attacco portato all’isolotto sudcoreano di Yeonpyeong. Cosicché, per la prima volta dalla firma dell’armistizio del 1953, il territorio sudcoreano è stato fatto oggetto di numerosi lanci di artiglieria pesante da parte del Nord. La morte di due civili e di due militari (solo per i primi Pyongyang ha offerto le proprie condoglianze) ha contribuito al sentimento di rabbia e di paura di gran parte della popolazione del Sud.

La tensione attorno al 38° parallelo ha continuato a salire a causa della tenuta, fra il 2010 e il 2011, delle imponenti esercitazioni militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud, volte a dissuadere Pyongyang dal compiere ulteriori atti ostili nei confronti del Sud.

 

Se nell’immediato il Presidente Lee non sembra voler rinunciare alla linea di durezza seguita nei confronti di Pyongyang fin dall’inizio del suo mandato, egli ha tuttavia avviato pubblicamente una riflessione sull’eventuale processo di riunificazione della Penisola, affrontando – non senza un certo coraggio politico – finanche la spinosa questione dei costi economici che questa comporterebbe.

Durante il discorso per il “Giorno della Liberazione” dal colonialismo giapponese, il 15 agosto 2010 (data che segna anche l’inizio della seconda parte del suo mandato), il Presidente Lee ha discusso il tema di come le relazioni intercoreane abbiano bisogno di un nuovo paradigma, e di come fosse “importante per le due Parti scegliere la coesistenza piuttosto che il confronto, il progresso invece della stagnazione”. Egli aveva altresì avanzato la proposta di un piano per la riunificazione in tre fasi in base al quale Seoul e Pyongyang dovrebbero prima stabilire una “comunità della pace” intercoreana, poi una “comunità economica” e infine una “comunità nazionale”. Alla luce di questo nuovo obiettivo, il Presidente Lee ha ridefinito i compiti del Ministero dell’Unificazione il quale è ora chiamato a concentrarsi maggiormente sulla pianificazione per la riunificazione e per l’accoglienza dei rifugiati nordcoreani.

 

Per quel che concerne il flusso di rifugiati che arrivano dal Nord in Corea del Sud, esso è costante. I rifugiati nordcoreani, accolti in conformità al dettato costituzionale, sono nella maggioranza difficilmente integrabili nel tessuto sociale della Repubblica di Corea. Il loro numero si è viepiù moltiplicato: dai 947 del 1998 sono arrivati a quota 16.513 nel 2009.

Nel 2010 sono approdati altri 3mila esuli e nel 2011 il numero totale supererà le 20mila unità. Questi sono i dati forniti da Hanawon (“Corea unita”), l’istituzione governativa sudcoreana che assiste e aiuta i rifugiati del Nord.

Secondo i dati dell’organizzazione, tuttavia, il 58,4% di coloro che chiede asilo politico si considera ancora cittadino del Nord e soltanto il 6,3% si ritiene integrato nel Paese di accoglienza.


Questione nucleare

 

La risoluzione della questione nucleare nordcoreana sperimenta una fase di stasi a far data dal 2009 e ha sofferto, nella seconda metà del 2010, del deterioramento delle relazioni intercoreane dovuto, segnatamente, all’affondamento della corvetta militare sudcoreana Cheonan (marzo) e all’attacco di artiglieria portato contro l’isola sudcoreana di Yeonpyeong (novembre).

L’avventurismo nordcoreano ha elevato sensibilmente la tensione tra le due Coree, allontanando le prospettive di ripresa del negoziato esapartito, c.d. Six Party Talks, ove affianco a Seoul e Pyongyang sono coinvolti Cina, Russia, Giappone e Stati Uniti.[32]

 

Già prima della crisi, invero, le prospettive di ripresa dei Six Party Talks apparivano incerte. Pyongyang, prima di tornare sul tavolo dei negoziati, chiedeva la fine del regime armistiziale e la sottoscrizione di un autentico Trattato di Pace, in luogo dell’Armistizio di Panmunjeom (luglio 1953). Si richiedeva parimenti l’abolizione delle sanzioni internazionali.

Quanto alla Corea del Sud, essa manteneva ferma l’impostazione data dal Presidente Lee Myung-bak: la denuclearizzazione è l’ineludibile premessa di un’eventuale messa in opera di nuove forme di collaborazione economica con la controparte.

 

Con l’inizio del 2011, la Corea del Nord, impegnata a gestire l’ascesa al potere di Kim Jong-eun (terzogenito di Kim Jong-il) e chiamata a far fronte a una nuova crisi alimentare, ha mostrato la propria disponibilità a tornare al negoziato a Sei (nonostante nel 2009 l’avesse dichiarato un “esercizio morto”).

La strada della ripresa del negoziato passa nondimeno anche da Seoul che vede, invece, le aperture di Pyongyang come un tentativo del regime di mettere in secondo piano le sue responsabilità per le provocazioni armate dell’anno scorso.

 

La Cina, che presiede e facilita i Six Party Talks dal 2003, ha recentemente avanzato una “proposta in tre fasi” che prevede un primo contatto bilaterale sulla questione nucleare fra le due Coree, seguito da un incontro fra Stati Uniti e Corea del Nord e da una riunione informale con gli altri Paesi coinvolti nell’esercizio negoziale a Sei. I capi negoziatori di Cina, Giappone, Corea del Nord e Corea del Sud avrebbero espresso il proprio parere favorevole a tale approccio.


Recenti Accadimenti

 

Nel febbraio 2011 vi sono stati colloqui militari a livello tecnico, pur senza risultati, tra le due Coree. Nel frattempo, Pyongyang ha continuato – anche se in maniera discontinua – a condurre una “charme offensive” nei confronti degli altri membri dei Six Party Talks, facendo sapere a Cinesi e Russi di non essere contraria alla ripresa, senza precondizioni, del negoziato nucleare.

Le due Coree, inoltre, su proposta di Pyongyang, si sono incontrate fra marzo e aprile 2011 per discutere dei pericoli posti da una possibile eruzione vulcanica del monte Paektu, situato in Corea del Nord.

 

Da parte sua, Seoul ha fornito un ulteriore segnale di disgelo autorizzando alcune organizzazioni non governative a riprendere l’invio (interrotto dopo le provocazioni militari nordcoreane del 2010) di aiuti umanitari. Il cambio di rotta è stato deciso con ogni probabilità in corrispondenza dei recenti Rapporti del WFP/Unicef/FAO sulla situazione alimentare e igienico-sanitaria in Corea del Nord. Tuttavia, Seoul non ha ancora fatto sapere se intende partecipare, con un proprio contributo, all’operazione di emergenza alimentare lanciata di recente dal WFP per assistere circa tre milioni di cittadini nordcoreani.

 

Da ultimo, durante la sua recente visita di Stato a Berlino, il Presidente Lee, parlando del Vertice sulla sicurezza nucleare che si terrà a Seoul nel 2012 (la seconda edizione dopo il Vertice di Washington del 2010) ha esteso l’invito a partecipare anche al leader nordcoreano Kim Jong-il.

 

Non solo: a margine del vertice dell’Asean Regional Forum (ARF) di Bali del luglio scorso (2011), si è tenuto un colloquio di due ore tra il capo negoziatore sudcoreano per le questioni nucleari, Wi Sung-lac, e il suo nuovo omologo nordcoreano, Ri Yong-ho. Si tratta del primo incontro tra plenipotenziari coreani dopo 31 mesi di silenzio. Dal colloquio tra i due negoziatori è scaturito peraltro un impegno importante, accolto con cauto ottimismo da parte della comunità internazionale: i due Paesi faranno quanto in loro potere per tornare a breve al tavolo dei Colloqui a Sei. Al contempo, i due diplomatici hanno espresso la volontà di applicare i termini della dichiarazione congiunta del settembre del 2005, i quali sancivano l'impegno nordcoreano ad abbandonare il programma nucleare militare.

I rispettivi Ministri degli Esteri dei due Paesi, Kim Sung-hwan e Pak Ui-chin, hanno potuto poi parlarsi durante i medesimi lavori del vertice ARF.

 

Va infine rilevata l’importanza della visita a Washington del Vice Ministro degli Esteri nordcoreano Kim Kye-gwan, il quale si è incontrato, fine luglio 2011, con l’Ambasciatore Bosworth.


Posizione Italiana

 

Sin dal 2000 – allorquando, prima tra i Paesi del G7, l’Italia instaurò relazioni diplomatiche con Pyongyang – il nostro Paese ha attuato con costanza una politica di engagement costruttivo nei confronti della Corea del Nord, fatta di gesti politici, iniziative culturali e umanitarie.

L’Italia, nondimeno, si è sempre opposta con fermezza alle iniziative nucleari e missilistiche nordcoreane, mantenendo una posizione di forte critica per le violazioni dei diritti umani in Corea del Nord.

 

L’Italia ha cercato di adoperarsi non solo per favorire un ruolo più attivo dell’UE a sostegno del Negoziato a Sei, ma anche per aiutare il proseguimento del dialogo intercoreano e per evitare che una definitiva fuoriuscita della Corea del Nord dalle regole delle salvaguardie (Pyongyang si è ritirata dal Trattato di Non Proliferazione nel 2003) contribuisca all’indebolimento del regime di non-proliferazione stesso.

 

La nostra azione ha incluso in particolare, a far data dal 2002, l’organizzazione di seminari annuali in Italia, in collaborazione con il “Centro Volta” di Como (Landau Network), sui vari aspetti della “questione coreana”. L’obiettivo è quello di offrire alle Parti un foro di dialogo, sempre aperto anche nei momenti più difficili.

Testimonianza del valore aggiunto dell’iniziativa dei seminari, riconosciuto dai nostri partners europei, fu offerta in particolare in occasione dell’ultima edizione dell’esercizio (dicembre 2008), quando, in un momento di tensione e di sospensione del dialogo tra le due Coree, l’Italia riuscì ad assicurare la partecipazione al workshop di Como, presieduto dal Sottosegretario agli Affari esteri, On. Stefania Craxi, dei due Vice Ministri degli Esteri coreani.

 

 

 

 

 


Repubblica araba d’Egitto: : quadro politico interno ed indirizzi di politica estera
(a cura del Ministero degli Affari esteri)

 

Politica interna

 

Nonostante l’apparente calma sperimentata nelle scorse settimane, la tensione nel Paese rimane elevata, come dimostrato dai violenti scontri che si sono verificati il 28-29 giugno fra manifestanti e forze dell’ordine, che hanno causato oltre un migliaio di feriti. La situazione interna è in continua evoluzione, ed il quadro di sicurezza resta precario. La giunta militare ha, tuttavia, recentemente deciso l’eliminazione del coprifuoco (in vigore dal 27 gennaio) e continua nell’attuazione della “roadmap” verso la transizione democratica, il cui primo passo verso la trasformazione democratica è stato il referendum del 19 marzo sugli emendamenti costituzionali. L’esito positivo del referendum ha permesso l’allargamento dei criteri per concorrere alla carica di presidente, senza intaccarne però gli ampi poteri (ma limitando a due i mandati consecutivi), e consentito di mettere a fuoco le tappe successive del processo di transizione, suggellando l’ipotesi dello svolgimento delle elezioni parlamentari (previste inizialmente per settembre, ma che potrebbero slittare ad ottobre) prima di quelle presidenziali (che dovrebbero svolgersi entro la fine dell’anno), con nuova Costituzione a seguire. Il referendum ha registrato una buona affluenza alle urne (hanno votato il 41,2% degli aventi diritto) ed è passato con il 77,6% dei voti favorevoli e il 22,8% dei contrari (al Cairo 59% ha votato si e 40% no). Apertamente a favore del referendum si sono pronunciati, oltre ai militari e agli egiziani che vedono in loro una garanzia contro l’instabilità degli ultimi mesi, anche le formazioni politiche maggiormente organizzate, in particolare i Fratelli Musulmani (che sarebbero avvantaggiati dalla possibilità di tenere a breve le elezioni parlamentari). Hanno votato no i movimenti dei giovani; la maggioranza dei copti; i potenziali candidati presidenziali, come Amr Moussa ed El Baradei.

Pur avendo ispirato la rivolta, i movimenti politici di Piazza Tahrir sono stati per ora incapaci di capitalizzarne il successo: la fascia liberale, moderata, laica del Paese non ha visto concretizzarsi le sue principali richieste, in particolare di invertire le tappe della “road map” posticipando le elezioni parlamentari per redigere subito la Costituzione ed eleggere un Presidente, il che consentirebbe loro, inoltre, tempo maggiore per organizzarsi. Le recenti dichiarazioni del PM Sharaf, che in una recente intervista ha affermato di essere favorevole ad un rinvio delle elezioni legislative e della redazione della Costituzione prima delle elezioni, indicano tuttavia uno scenario fluido, che potrebbe ancora mutare nei mesi a venire.

Sotto la pressione della piazza, il Governo transitorio ha colpito i simboli del passato, come dimostrato dalla persecuzione giudiziaria del Presidente Mubarak e dei figli (nonché della ex first-lady) e dallo scioglimento del Partito Nazionale Democratico cui appartenevano tutti gli esponenti del vecchio regime.

È uscita così di scena l’unica organizzazione politica in grado di controbilanciare la capillare struttura dei Fratelli Musulmani, che stanno consolidando la loro influenza a fronte della incapacità dei nuovi movimenti politici di organizzarsi. Favoriti dalla rapida successione prevista per le elezioni parlamentari e presidenziali, i Fratelli Musulmani sono stati i primi a formare un nuovo partito (Freedom and Justice) secondo la nuova legge in materia, integrando anche una minoranza di donne e di copti. L’obiettivo annunciato per le elezioni legislative è quello di presentare candidati per il 50% dei seggi, mirando ad ottenerne il 30%.

Preoccupa il crescente attivismo dei salafiti (che hanno anch’essi fondato un partito politico, registrato il 14 giugno), sebbene non sia chiaro né quale sia la loro forza reale, né il rapporto che essi hanno con i Fratelli Musulmani. Sintomatico delle mai sopite tensioni interreligiose, ma anche dei tentativi di loro strumentalizzazione, appare il tragico episodio del fine settimana del 7-8 maggio, in cui una manifestazione davanti ad una chiesa copta a Imbaba, quartiere popolare del Cairo, è degenerata in scontri sanguinosi.

L’Egitto continua a fronteggiare le criticità legate alla sua situazione economica e finanziaria, complicate da un’ondata di vertenze industriali che hanno assunto toni populisti e nazionalisti oltre a richiami a valori religiosi. Tutto ciò milita contro il rilancio degli investimenti stranieri, influendo negativamente sulle capacità di ripresa economica, frenata anche dalla crisi del turismo. Per far fronte a questa situazione, il governo ha avviato un’intensa attività diplomatica presso IFI e Paesi partner volta ad ottenere gli aiuti finanziari ritenuti necessari (la stima egiziana è di un fabbisogno di 12 miliardi di dollari). Una forte risposta in questo senso è stata data dal Vertice G8 di Deauville, dove è stato avviato il lancio del “Partenariato di Deauville”, indirizzato inizialmente a Egitto e Tunisia, che consentirà di rendere rapidamente disponibili fra i 20 e 40 miliardi di dollari tramite istituzioni finanziarie internazionali (FMI, BERS, BEI), per affrontare le necessità nel breve (alleggerimento del debito e di sostegno alla bilancia commerciale) e medio periodo (coordinamento interistituzionale ed allargamento dell’area di operazione della BERS). Il timore di una reazione popolare negativa avrebbe tuttavia spinto il governo a rifiutare i prestiti – già negoziati – del FMI e della Banca Mondiale per circa 4 miliardi di dollari, cui erano legate condizioni ritenute troppo pesanti.

Si segnala infine il recente annuncio di un pacchetto di ingenti aiuti sauditi (4 miliardi di dollari, ossia un terzo dei bisogni finanziari complessivi evidenziati dal Governo egiziano) a favore dell’Egitto, che rappresenta un importante successo per il Governo, e sembra indicare un recupero del clima di fiducia reciproca dopo le diffidenze e incomprensioni emerse tra i due Paesi a seguito della rivoluzione egiziana.

 

L’elemento religioso

Tensioni settarie si continuano a verificare nella società egiziana, con sviluppi talvolta violenti. L'attentato contro la Chiesa copta di Alessandria che il 31 dicembre 2010 ha causato la morte di 23 persone e un centinaio di feriti, costituisce un attacco terroristico contro l’Egitto nel suo insieme, ma non può non essere letto anche come un ulteriore segnale di una preoccupante tendenza, che mette in pericolo non solo i principi della libertà di religione ma la stessa esistenza delle comunità cristiane in alcuni Paesi mediorientali.

In Egitto si segnala la presenza di una chiesa nazionale compatta, in cui la quasi totalità dei cristiani appartiene alla chiesa copta. Mentre i musulmani sunniti rappresentano l’87% della popolazione egiziana, i cristiani copti rappresentano il 12,2% della popolazione e per questo sono considerati la comunità cristiana più grande del Medio Oriente. Essi continuano ad essere oggetto di forme di discriminazione che si riflettono in diversi aspetti della vita sociale: sono esclusi dai posti chiave dell’esercito, della polizia e delle università, eccetto le nomine dirette (che però sono percepite spesso come una forma di clientelismo che non necessariamente va a vantaggio della comunità). Ai copti non è riconosciuto uno “status” di minoranza, che ne sancirebbe un’identità formalmente riconosciuta.

In seguito all’attentato ad Alessandria, l’Italia ha avviato un’azione in ambito europeo per promuovere il dialogo interreligioso e la libertà di fede, soprattutto a tutela delle minoranze religiose e delle comunità di cristiani, promuovendo un dibattito al CAE del 31 gennaio, che ha portato poi all’adozione, al successivo Consiglio del 21 febbraio, di Conclusioni specifiche contro l’intolleranza, la discriminazione e la violenza fondate sul credo religioso. Anche in ambito Nazioni Unite alcuni degli sviluppi degli ultimi mesi appaiono degni di nota, oltre alle recenti risoluzioni in argomento di iniziativa UE, adottate dall'Assemblea Generale, nel dicembre 2010, e dal Consiglio Diritti Umani, nel marzo 2011, le quali contengono, grazie anche all’azione dell’Italia, elementi specifici che richiamano l’aumento degli episodi di violenza contro gli appartenenti a minoranze religiose e il dovere di ogni Stato di esercitare la massima vigilanza per prevenirli e punirne i responsabili.

Quanto al ruolo del fattore religioso nella rivolta cominciata lo scorso 25 gennaio, i Fratelli Musulmani non ne sono emersi né come ispiratori né come leader. Tuttavia, almeno un terzo dei manifestanti di Piazza Tahrir appartiene al movimento islamista, come attesta l’ampio sostegno popolare del più noto tra gli imam legati alla Fratellanza, lo sceicco Qaradawi.

Per quanto riguarda i copti, ancorché tradizionali sostenitori di Mubarak, essi pure hanno partecipato alle manifestazioni contro il regime. Preoccupati soprattutto della tutela della loro identità culturale e religiosa, sembrano voler favorire una transizione la più ordinata possibile e temono naturalmente ogni ipotesi di Stato confessionale. Essi chiedono anche maggiore partecipazione alla vita politica del Paese e leggi contro la discriminazione religiosa. Sono naturalmente contrari al mantenimento della Sharia come fonte di diritto. Il capo della Chiesa Copta, Papa Shenouda III ha salutato con favore la partenza di Mubarak ed ha espresso fiducia che i militari sapranno guidare il Paese nella fase di transizione fino ad elezioni realmente libere e democratiche.

Le violenze interreligiose sono riprese a seguito dell’episodio dell’incendio di una chiesa copta, nel contesto di una faida familiare a sfondo religioso, che ha provocato nella giornata del 9 marzo incidenti in diversi quartieri del Cairo, in particolare nel sobborgo a maggioranza copta di Moqattam, con un bilancio di 13 morti e 140 feriti, seguiti da nuovi incidenti davanti ad una chiesa copta a Imbaba, quartiere popolare del Cairo ad inizio maggio, che hanno causato 9 vittime e oltre cento feriti.

 

 


 

POLITICA ESTERA

 

La recente nomina di Mohamed El Oraby al MAE egiziano al posto di Nabil El Arabi, che assumerà il 1° luglio le funzioni di Segretario Generale della Lega Araba, indica un ritorno a posizioni più vicine al precedente regime sul versante della politica estera. Le aperture verso l’Iran e Hamas (che hanno portato alle intese sulla riconciliazione palestinese e alla fine della chiusura del valico di Rafah) sembrano essere rientrate, mentre il governo appare avviarsi verso sentieri più consolidati di collaborazione con l’occidente e gli USA (oltre che con l’Arabia Saudita, che ha destinato all’Egitto un pacchetto di 4 miliardi di dollari in aiuti finanziari). L’attenzione prioritaria rimane tuttavia rivolta, per il momento, ai dossier regionali meno controversi sotto il profilo interno, come quelli africani (Sudan, Nilo).

 

Relazioni con l’Unione Europea

Le relazioni tra l’UE e l’Egitto si inquadrano nel contesto del Partenariato Euro-Mediterraneo, avviato dalla Conferenza di Barcellona (novembre 1995): l’obiettivo previsto è l’instaurazione di una zona di libero scambio euro-mediterranea attraverso la sottoscrizione di Accordi Euro-Mediterranei di Associazione (AEMA) con i singoli Paesi dell’area. L’Accordo di associazione tra l’UE e l’Egitto è stato firmato il 25 giugno 2001 ed è entrato in vigore il 1° giugno 2004. Il VI Consiglio di Associazione UE-Egitto, svoltosi a Lussemburgo nell’aprile 2010, ha segnato una tappa importante sulla via del rafforzamento delle relazioni bilaterali con l’Egitto, con la conferma della prossima organizzazione del primo vertice bilaterale.

E’ attualmente in corso un processo di approfondimento delle relazioni UE-Egitto che, iniziato lo scorso anno con la decisione - fortemente sostenuta dall’Italia - di procedere all'istituzione di un gruppo ad hoc congiunto, prevede una serie di azioni comuni sia a livello di dialogo politico che di cooperazione tecnico-settoriale. L'Egitto è il solo paese della sponda Sud, dopo il Marocco, ad avere conseguito un concreto salto di qualità nei rapporti con l'Unione Europea.

La cooperazione finanziaria UE-Egitto era definita dal Programma comunitario ‘Mesures d’Accompagnement’ (MEDA), grazie al quale dal 1996 sono stati erogati oltre 1 miliardo di euro. L’assistenza della UE all’Egitto avviene anche per il tramite della Banca europea degli Investimenti (BEI), in particolare attraverso uno strumento finanziario ad hoc (FEMIP, Fondo Euro Mediterraneo di Investimento e Partenariato). A partire dal 1° gennaio 2007, l’Egitto beneficia del nuovo Strumento Europeo di Vicinato e Partenariato (‘European Neighbourhood and Partnership Instrument’, ENPI, subentrato al MEDA) e l’ammontare delle risorse, per il  periodo 2007-2010, è stato di circa 420 milioni di euro. E’ inoltre in corso di definizione il ‘National Indicative Programme (NIP)’ per il periodo 2011-2013 che, congiuntamente al ‘Country Strategy Paper” egiziano, identifica le aree prioritarie di intervento e le risorse specifiche da assegnare al raggiungimento degli obiettivi stabiliti e si colloca nel quadro generale dell’ENPI. In particolare, il Programma d’Azione Annuale per il 2011 prevede di destinare i fondi (circa 100 milioni di euro) principalmente alla realizzazione di tre programmi: sostegno settore energetico, potenziamento degli scambi e del mercato interno, risanamento delle aree di urbanizzazione abusiva nell’area metropolitana de Il Cairo.

Per l’Egitto, l’Unione Europea è il primo partner commerciale che assorbe oltre il 40% circa delle sue esportazioni (prodotti energetici). In base ai dati Eurostat, nel 2009, le esportazioni egiziane verso l’Unione Europea sono state di 6 miliardi di euro, mentre le importazioni egiziane dalla stessa hanno totalizzato 12,6 miliardi di euro.

Nonostante l’esistenza di misure restrittive a tutela dei prodotti “sensibili”, nel 2008, è stato concesso un aumento del 30% delle quote dell’export agricolo egiziano verso l’UE; contestualmente la parte egiziana ha autorizzato la liberalizzazione di circa il 90% dei prodotti agricoli e ittici provenienti dall’Unione. Un Accordo agricolo bilaterale è in vigore dal 1° dicembre 2009.

 

Francia

La Francia ha rilanciato i rapporti con l’Egitto, anche per far fronte alle polemiche originate dall’approccio alla crisi tunisina ed egiziana da parte di Alliot-Marie, confermando la sua presenza nella regione rendendo pubblica l’intenzione di destinare fra i 150 e 250 milioni di euro a favore delle PMI nel Paese. Sempre in ambito finanziario, la Francia appoggia le proposte di ampliamento geografico delle operazioni della BERS, nonché di revisione del plafond della BEI e di “riciclo” dei prestiti.

 

Gran Bretagna

La Gran Bretagna ritiene essenziale un netto impegno europeo per il sostegno alla fase di transizione in Egitto. Ha condiviso la azioni intraprese finora a livello europeo, rilevando tuttavia che l’eccezionale impegno nella contingenza non deve far perdere di vista gli obiettivi di riforma di lungo termine della Politica di vicinato; questa, nella prospettiva britannica, deve essere in grado sia di offrire prospettive ed incentivi ai Paesi coinvolti che di porre una più marcata condizionalità all’impegno europeo nei loro confronti (come fatto in passato con i Paesi dell’est europeo).

 

Relazioni con gli Stati Uniti

La promozione del processo democratico e il sostegno allo sviluppo economico, in un’ottica di stabilizzazione della transizione in corso, costituiscono gli obiettivi centrali della strategia degli Stati Uniti verso l’Egitto, la cui transizione, tra quelle in atto nella regione, rappresenta per Washington quella di maggior importanza da un punto di vista strategico di lungo termine. Obiettivo prioritario per Washington è quello di stabilizzare l’economia del Paese; in questo contesto, in aggiunta ai programmi già finanziati per la promozione delle riforme politiche ed economiche, sono stati allocati 165 milioni di dollari per il finanziamento immediato di progetti mirati alla creazione di posti di lavoro e alla promozione della democrazia. L’Amministrazione ha inoltre chiesto al Congresso di autorizzare, per l’anno fiscale 2012, 250 milioni di dollari per il sostegno economico e 1,3 miliardi di dollari per il rinnovo dell’assistenza militare. Gli Stati Uniti intendono procedere alla cancellazione di un miliardo di dollari di debito egiziano ed hanno annunciato l’intenzione di creare fondi d’investimento a favore di Egitto e Tunisia per un valore di due miliardi di dollari. Sul piano multilaterale, stanno inoltre promuovendo diverse iniziative volte ad assicurare stabilità finanziaria, chiedendo al FMI ed alla Banca Mondiale di presentare al Vertice G8 di Deauville un piano per la modernizzazione di Egitto e Tunisia, e sostenendo l’allargamento dell’area di responsabilità della BERS. In tale ottica, Washington ha espresso rincrescimento per la decisione del Governo egiziano di rinunciare ai prestiti negoziati con il FMI e la Banca Mondiale. Il Presidente Obama ha, infine, annunciato l’intenzione di avviare una “Trade and Investment Partnership Initiative” in Medio Oriente e Nord Africa, per favorire, in concerto con i partner europei, l’integrazione dei mercati sia a livello regionale che nell’economia globale.

Oltre al sostegno economico, la situazione interna e la preparazione delle elezioni parlamentari sono oggetto di attento monitoraggio da parte americana. Washington, nel timore che la situazione attuale possa favorire l’ascesa al potere dei Fratelli Musulmani (oltre che dalla crescente influenza del movimento salafita), ha incoraggiato le autorità egiziane a posticipare le elezioni parlamentari e sta cercando di aiutare i parti laici nati a seguito della rivoluzione ad organizzarsi. Sono stati concessi a tal fine 100 milioni di dollari di assistenza attraverso il Republican National Institute e il Democratic National Institute. Riguardo al ruolo dei Fratelli Musulmani, l’Amministrazione si è finora attenuta a una linea prudente e pragmatica, non ponendo preclusioni di principio ad alcuna parte politica egiziana che rispetti i diritti fondamentali e i principi democratici e riconosca gli obblighi internazionali derivanti dagli accordi di Camp David e dal Trattato di Pace con Israele. Gli Stati uniti hanno incoraggiato il governo transitorio ad invitare missioni di osservazione elettorale.

 

Rapporti con la Turchia

La Turchia ha, per il momento, assunto una posizione di attesa, limitandosi ad osservare il processo di transizione in corso in Egitto ed auspicando una rapida transizione verso un regime democratico. In contrasto ai diffusi timori occidentali di una possibile ascesa al potere dei Fratelli Musulmani, tale scenario potrebbe essere favorevole per la leadership turca favorendo una rapida uscita di scena dei militari ed uno svolgimento delle elezioni parlamentari già da settembre. Non è peraltro escluso che i Fratelli Musulmani possano diventare, per Ankara, interlocutori più amichevoli di quanto non lo fosse l’ex Presidente Mubarak.

 

Rapporti con organismi multilaterali

Per ciò che concerne i rapporti intercorrenti tra Egitto e Nazioni Unite, è da evidenziare come la posizione egiziana in materia di riforma del CdS sia stata finora improntata al rifiuto di soluzioni parziali per l’allargamento del Consiglio, all’importanza del consensus allargato e, soprattutto, al fermo rispetto degli impegni assunti in ambito africano (cd. “Consensus di Ezulwini”).

 

Nel corso del Summit del G8 nel 2007 è stato avviato il “processo di Heiligendamm”, un dialogo con le grandi economie emergenti, come Cina, India, Brasile, Messico e Sudafrica. Dovrà servire per mettere a punto un impegno comune contro il protezionismo e su questioni quali i cambiamenti climatici, l'energia, la proprietà intellettuale e la correttezza degli investimenti, che non possono essere affrontate dagli Otto Paesi da soli. La Presidenza italiana nel 2009 ha inoltre promosso la partecipazione dell’Egitto in outreach alle attività del G8, confermata anche per il Vertice di Deauville del 2011.

 

RAPPORTI BILATERALI

 

Relazioni politiche

 

La rivoluzione del 25 gennaio ha avuto un duro impatto sull’economia egiziana. Le IFI prevedono che il Pil del Paese diminuirà nel 2011 attorno al 3-4 per cento, a causa della paralisi delle attività produttive, della fuga di capitali, dei mancati introiti del turismo. La conseguente perdita di posti di lavoro è resa più acuta dal progressivo rientro del circa milione e mezzo di emigrati in Libia. La pressione sindacale si è tradotta in aumenti salariali che hanno aggravato la situazione delle finanze pubbliche con un netto peggioramento del deficit statale e del debito pubblico ed un concreto rischio di default.

In questa direzione, i contributi principali che l’Egitto si attende da noi sono a favore dell’aumento del flusso di capitali, del sostegno ai progetti infrastrutturali ed alle PMI, oltre che in direzione di una maggiore integrazione economica e commerciale con il mercato europeo. Occorre inoltre agire per consentire all’Egitto di riprendere in tempi ragionevoli la crescita, adoperandosi in particolare modo a favore della job creation.

L’On. Min. Frattini si è immediatamente adoperato in questo senso, compiendo una visita al Cairo il 22 febbraio, nonostante il rinvio del IV Vertice (in programma a Luxor per il 21 e 22 febbraio) a seguito della crisi politica. Oltre a consentire l’avvio di un primo contatto con le autorità rivoluzionarie (la missione è stata fra le primissime nel Paese dopo la caduta di Mubarak e l’On. Ministro ha incontrato il Maresciallo Tantawi, l’allora Primo Ministro Shafik e l’allora Ministro degli esteri Aboul Gheit), ciò ha rappresentato un messaggio di forte sostegno alla leadership egiziana, e permesso al Ministro Frattini di segnalare come l’Italia si sarebbe adoperata per sollecitare il sostegno dell’UE verso l’Egitto (nel quadro di un Nuovo Patto per il Mediterraneo) e – bilateralmente – a favore del turismo e del rilancio economico.

L’Italia ha deciso di venire incontro alle esigenze egiziane in primo luogo attraverso la firma di una Dichiarazione d’intenti sulla III tranche del debt swap, il 17 maggio u.s., in occasione della visita a Roma del MAE egiziano El Arabi. Abbiamo inoltre intrapreso iniziative di forte sostegno sia alla ripresa del turismo (attraverso l’adeguamento dei Travel Warning per le località turistiche del Mar Rosso), sia alla presenza economica italiana nel Paese. La firma di un accordo in materia di mercato del lavoro, insieme alla colazione organizzata con gli imprenditori in occasione della visita di El Arabi, rientra in questa strategia, così come la conclusione di un accordo sul turismo, avvenuta a giugno.

Consapevoli che uno snodo cruciale dell’assistenza alla transizione dei Paesi del Mediterraneo è rappresentato dalla creazione di meccanismi di coordinamento per la raccolta e la distribuzione di capitali, abbiamo inoltre inteso lanciare iniziative per la costituzione di un Mediterranean Partnership Fund (su cui abbiamo tenuto un Seminario a Palermo il 20 maggio) e di un Centro Euromediterraneo di assistenza tecnica alle PMI con sede a Milano, oltre che promuovere l’allargamento dell’area di competenza della BERS alla regione.

 

Fra i diversi ambiti di cooperazione bilaterale, il Ministro delle Attività Produttive Scajola ha concordato con la controparte egiziana, nel 2005, l’adozione di un Piano d’Azione Triennale che prevede collaborazioni in materia di centri tecnologici e di trasferimenti di tecnologia, incentivi finanziari (fondi SIMEST) per la creazione di joint-venture, collaborazioni fra i settori bancari, sviluppo congiunto di aree industriali e progetti di trasporto intermodale, collaborazione in campo euro-mediterraneo e assistenza agli investimenti italiani. Il Piano ha stabilito anche la creazione di un Consiglio Ministeriale (Ministerial Council) e l’impegno a tenere riunioni con cadenza regolare, sia a livello di ministri che di gruppo di lavoro misto, con la partecipazione dei rispettivi Ministeri degli Affari Esteri e delle Ambasciate. I Ministri hanno anche sottoscritto l’impegno per l’istituzione del Business Council Italo-egiziano (composto da esponenti di alto profilo dell’imprenditoria dei due paesi e che opera con il Consiglio Ministeriale).

Il Business Council è stato istituito formalmente a Milano nel gennaio 2006, nell’ambito di un incontro bilaterale tra il Ministro Scajola ed il Ministro dell’Industria e del Commercio egiziano,  Mohammed Rashid. Il progetto gode dell’adesione sia dei principali imprenditori italiani operanti nel paese, sia dei principali esponenti politico-imprenditoriali egiziani.

Vengono inoltre organizzate periodiche “Missioni di Sistema” in Egitto, alle quali partecipano il Ministro dello Sviluppo Economico e  rappresentanti  del  settore economico-finanziario italiani.  In occasione del secondo Vertice bilaterale del maggio 2009, è stato firmato il nuovo Piano d’Azione per il triennio 2009-2012 che prevede ulteriori possibilità di collaborazione bilaterale soprattutto nei settori delle energie alternative, tecnologie pulite e delle telecomunicazioni, nonché iniziative per il coinvolgimento delle piccole e medie imprese dei due Paesi.

Si segnala, inoltre, la visita in Egitto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteoli, che ha avuto luogo nel luglio 2010 e nel corso della quale è stato firmato un Memorandum di Cooperazione nel settore dei trasporti ferroviari e marittimi, con il quale si conferma l’interesse reciproco a sviluppare i progetti già in corso o ad avviarne di nuovi. Preme sottolineare che i trasporti e le infrastrutture sono comparti che offrono ottime opportunità di investimento per il nostro Paese, grazie anche ai rapporti privilegiati che si sono instaurati a livello bilaterale e alla fiducia accordata alle imprese italiane dalle Autorità egiziane.

 

 

Relazioni economiche, finanziarie e commerciali

 

L’Italia si colloca ai primi posti come partner commerciale dell’Egitto: per le esportazioni egiziane, con forte incidenza della componente petrolio, mentre per le esportazioni italiane con prevalenza della componente macchinari (in costante aumento dal 2004). Le importazioni italiane dall’Egitto hanno avuto un forte aumento della componente energetica e dei prodotti finiti. Da notare il raddoppio dell’interscambio, nel periodo 2005-2008, che è passato da 2.666 a 5.152 milioni di euro.

In base ai dati dell’ISTAT relativi al 2010, le esportazioni italiane verso l’Egitto si sono attestate a 2.935,5 milioni di euro (+12,8% rispetto al 2009), mentre le importazioni italiane dall’Egitto sono state di 1.888 milioni di euro (+30,9% rispetto al 2009). Il saldo positivo, per l’Italia, è stato pertanto di 1.047,5 milioni di euro. Tra le voci merceologiche delle esportazioni italiane verso l’Egitto che hanno registrato consistenti aumenti, si trovano i prodotti in metallo e i prodotti petroliferi raffinati. Hanno invece registrato una contrazione i prodotti della metallurgia. Per quanto riguarda i prodotti importati dall’Egitto, si segnala un aumento dei prodotti della metallurgia, delle apparecchiature elettriche e dei prodotti tessili. In base ai dati relativi al periodo gennaio-marzo 2011, le esportazioni italiane verso l’Egitto sono state di 545,8 milioni di euro (-17,9% rispetto allo stesso trimestre del 2010), e le importazioni italiane dall’Egitto hanno totalizzato 710,3 milioni di euro (+57,6 rispetto allo stesso trimestre del 2010).

 

INVESTIMENTI

 

Comparto d’eccellenza per gli italiani è da sempre quello dell’energia, in particolare petrolio e gas con ENI (presente nel Paese da oltre 50 anni) ed Edison. Nel giugno 2011, ENI ha annunciato un nuovo piano di investimenti per 3 miliardi di dollari per la perforazione di nuovi pozzi petroliferi e il rilancio delle attività di esplorazione, nel Deserto occidentale, nel Mediterraneo e nel Sinai.

ENEL ha concluso un’intesa con il Ministero del Petrolio egiziano che ha lo scopo di inserire l’azienda italiana (come partner) nei progetti di ampliamento degli attuali  impianti egiziani di liquefazione di gas naturale e di esplorazione. E’ anche interessata all’avvio di progetti nel settore dell’energia rinnovabile, sul quale si stanno concentrando le attività di diversificazione delle fonti energetiche egiziane.

Tra le evoluzioni più recenti, infine, si segnala il contratto ottenuto da Ansaldo Energia (Finmeccanica) per la realizzazione di una centrale elettrica vicino al Cairo (valore 245 milioni di euro).

Techint/Cimimontubi, Socotherm, Termokimik e la Walter Tosto operano anche’esse in Egitto nel settore della costruzione di stabilimenti e delle forniture per la produzione e distribuzione di energia.

Italgen (società del Gruppo Italcementi) è interessata alla creazione di un parco eolico sulla costa del Mar Rosso, mentre ENEA ha mostrato interesse ad avviare progetti di collaborazione bilaterale nel settore delle energie rinnovabili, in particolare, per lo sviluppo della tecnologia del solare termodinamico.

FIAT IVECO e INTRACO sono impegnate nel progetto di riduzione dell’inquinamento urbano mediante l’impiego di veicoli per il trasporto pubblico alimentati a gas naturale.

 

Nei settori industriale, agroalimentare, servizi, impiantistica, meccanica, edilizia, turismo, tessile, gli investimenti italiani sono prevalentemente concentrati nelle zone franche. Nel campo dei servizi, la società AMA e la Jacorossi si sono aggiudicate gli appalti per la gestione dei rifiuti solidi rispettivamente nelle aree di Cairo Nord e di Giza, mentre la COM.INT si è aggiudicata la fornitura di attrezzature e veicoli nel settore della gestione dei rifiuti solidi nella zona sud del Sinai.

La società System, leader mondiale nel settore dei macchinari per l’industria della ceramica ha aperto la filiale egiziana (System Egypt) e la Pirelli, con sede ad Alessandria, sta procedendo all’ampliamento dei suoi stabilimenti (già i più grandi del Medio Oriente) per la produzione di pneumatici per camion.

La Danieli ha acquisito dall’azienda egiziana Suez Steel una commessa per la realizzazione di un’acciaieria e partecipa anche ad un investimento dell’azienda egiziana El Ezz Steel, per la costruzione di un nuovo stabilimento. La Bticino (Gruppo Legrand) e la Imagro (subfornitrore della Bticino) hanno ultimato due stabilimenti, a Sadat City, per la produzione di apparecchiature elettriche.  Nel novembre 2010, la Rizzani de Eccher S.p.A. di Udine è stata ammessa alla fase finale della gara per la costruzione del nuovo Grande Museo Egizio del Cairo.

 

Il Gruppo Italcementi ha acquisito il controllo di maggioranza della società egiziana Suez Cement (investimento di circa 1.5 milardi di euro), che con cinque cementifici è market leader in Egitto. Il gruppo è tuttavia stato oggetto di forti ostilità dopo la rivoluzione, sfociata nell’intervento dell’esercito, e rimane oggetto di campagne stampa infamanti. (l’On. Ministro ha richiamato l’attenzione della leadership egiziana sul caso durante la sua visita del 22 febbraio). Problematica anche la situazione di Sinai White Cement (Cementir, gruppo Caltagirone), leader sul mercato del cemento bianco, che è al momento paralizzata dalla situazione di sicurezza e dall’interruzione del gasdotto verso Israele.

 

In alcuni settori quali l’informatica, la formazione tecnica e manageriale ed alcuni settori del “non-oil”, si presentano maggiori e concrete opportunità di cooperazione con il sistema industriale italiano, sotto forma di joint-venture, trasferimenti di tecnologia e di expertise, anche come consulenze nell’ambito del programma ENPI.

 

Nel settore della difesa e delle alte tecnologie, la Oerlikon Contraves fornisce materiali per l’ammodernamento degli “Skyguard” (prodotti in Italia) del sistema di difesa egiziano “Amoun”, mentre Alenia Aeronautica (Gruppo Finmeccanica) sta partecipando ad una gara per la fornitura di 6 velivoli “C27J” per il trasporto tattico. Agusta Westland (Gruppo Finmeccanica) si è aggiudicata la fornitura di 2 elicotteri ad uso civile alla società egiziana Petroleum Air Services. Il Paese risulta difficilmente penetrabile nel mercato della difesa in quanto l’approvvigionamento di equipaggiamenti si attua prevalentemente attraverso fondi FMS statunitensi (Foreign Military Sales). In ogni caso, le principali opportunità si presentano nel settore aeronautico, avionico, nonché della sistemistica e componentistica navale e subacquea.

 

Per gli investimenti nel settore turistico si segnalano la società Marsa Alam e il gruppo Domina.

 

Trasporti - La società Sea Train è impegnata nella realizzazione di collegamenti ferroviari con relativi servizi tecnici di bordo e di terra.

Nel gennaio 2008, è stato firmato il Memorandum d’Intesa relativo all’Accordo operativo tra Italia ed Egitto per la ristrutturazione delle ferrovie egiziane. Il programma, che dovrebbe durare cinque anni, prevede l’assistenza tecnica da parte italiana e la formazione della classe dirigenziale delle ferrovie egiziane. Sempre in ambito ferroviario, nel maggio 2009, è stato firmato un Memorandum d’Intesa per  lo studio di prefattibilità da parte di Italferr (Gruppo FS) relativo alla linea ad alta velocità tra Il Cairo ed Alessandria d’Egitto. Italferr ha anche stipulato un contratto con Egyptian Railways per la progettazione e la direzione dei lavori per la segnaletica del corridoio ferroviario n. 4 (Banha/Zagazig/Ismailia/El Qantara/Port Said). Sono inoltre in corso alcune gare per la fornitura di sistemi di segnalamento in altre tratte, di servizi informatici e per la manutenzione del materiale rotabile che potrebbero offrire ulteriori opportunità alle imprese italiane. Sono stati avviati studi di fattibilità da parte di Grandi Stazioni (Gruppo FS) per la valorizzazione commerciale delle principali stazioni e si attende una decisione, da parte egiziana, circa la prosecuzione del progetto. E’ inoltre in programma il rinnovamento della rete tramviaria urbana di Alessandria. La società Salcef si è aggiudicata una commessa (finanziata dalla Banca Mondiale nell’ambito del progetto di ristrutturazione delle ferrovie egiziane) per il rinnovamento dei binari della tratta Il Cairo-Alessandria.

La Elsag Datamat (Gruppo Finmeccanica) si è aggiudicata un contratto per la fornitura di servizi di biglietteria e una commessa per l’installazione di un sistema di controllo della segnaletica ferroviaria.

La società Gemmo fornisce servizi per un nuovo terminal dell’Aeroporto internazionale de Il Cairo.

Da segnalare anche la firma del Memorandum d’Intesa tra il Porto di Venezia e il Porto di Alessandria d’Egitto, nell’ottobre 2009, il cui scopo è quello di sviluppare la collaborazione in particolare per quanto concerne il traffico ortofrutticolo bilaterale, l’istituzione di una linea di navigazione veloce per merci e passeggeri (inaugurata dalla società Visemar il 20 maggio 2010, a latere del III Vertice bilaterale), nonché l’ammodernamento del nuovo terminal crocieristico di Alessandria.

 

Settore bancario-finanziario – Il Gruppo Intesa San Paolo detiene la maggioranza di controllo di Alexbank, una delle principali banche del Paese, essendosi aggiudicata la procedura di privatizzazione per circa 1.5 miliardi di euro. Sono stati successivamente effettuati ingenti investimenti, che hanno portato la banca a performare in maniera virtuosa. La rivoluzione ha tuttavia portato a violentissime contestazioni nei confronti del top management egiziano (oggi sostituito da management totalmente italiano), e permangono campagne stampa contro la privatizzazione (e cessione a stranieri) di un asset così strategico. E’ inoltre  presente un ufficio di rappresentanza del Monte dei Paschi di Siena.

 

La BIIS (Banca Infrastrutture, Innovazione e Sviluppo), ramo operativo del Gruppo Intesa San Paolo, è interessata al settore delle infrastrutture egiziano, in particolare al project financing per il Porto di Alessandria per il quale si prevede il coinvolgimento delle principali imprese di costruzione italiane.

 

E’ inoltre operativo un Memorandum di Intesa tra la Commissione Nazionale per le Società e per la Borsa (CONSOB) e la Capital Market Authority dell’Egitto, nel quale si prevedono obblighi di assistenza reciproca e scambio di informazioni per finalità di cooperazione internazionale.

La Società Italiana per l’Automazione (SIA) si è aggiudicata un progetto per la modernizzazione dei servizi bancari egiziani.

E’ stata avviata anche la collaborazione bilaterale nel settore postale con la firma di una Dichiarazione congiunta tra Poste Italiane e Egypt Post che prevede lo sviluppo e l’integrazione dei servizi telematici tra i due Paesi e, con una successiva intesa, per la definizione di un Master Plan per il settore della logistica. Nel settembre 2010, Poste Italiane ha inoltre concluso un Memorandum di collaborazione con il Ministero dei Trasporti egiziano, relativo a servizi di consulenza per la riforma della logistica dei trasporti intermodali che verranno forniti dalla società ‘Italia Logistica’ (partecipata da Poste e FS).

 

Abbigliamento/Tessile Paul & Shark e Benetton/Sisley sono presenti a Il Cairo con due importanti punti vendita. Il Gruppo Miro Radici, leader mondiale nel settore tessile e meccano tessile, che detiene la quota del 50% nella joint-venture con l’egiziana Oriental Weavers, ha costruito un impianto per la produzione di prodotti tessili per la casa, destinati all’esportazione. La società Cotonificio Albini, che già intrattiene rapporti commerciali consolidati con i maggiori produttori di filati egiziani, partecipa anche al progetto di sviluppo della nuova zona industriale specializzata nelle manifatture tessili di Bourg El Arab.

 

Arredamento/Design – Sono presenti nel Paese, con punti vendita e sale di esposizioni, importanti marchi italiani del settore quali, Natuzzi, Moroso, B&B, Poltrona Frau, Kartell.

 

 

 


DATI STATISTICI BILATERALI

 

 

PRINCIPALI ESPORTAZIONI E IMPORTAZIONI ITALIANE - Gen.- Dic. 2010

 (e % su totale)

ESPORTAZIONI

IMPORTAZIONI

1. Macchinari e apparecchiature meccaniche (37,2%)

1. Petrolio greggio (40,9%)

2. Prodotti chimici (11,7%)

2. Prodotti della metallurgia (15,1%)

3. Prodotti petroliferi raffinati (10,2%)

3. Prodotti petroliferi raffinati (13,9%)

4. Prodotti in metallo (5,9%)

4. Prodotti tessili (7%)

5. Apparecchiature elettriche (5,8%)

5. Prodotti chimici (6%)

Fonte: elaborazione ICE su dati ISTAT

 

INCIDENZA INTERSCAMBIO SUL COMMERCIO ESTERO ITALIANO 2010

Esportazioni verso l’Egitto sul totale delle esportazioni italiane

0,9%

Importazioni dall’Egitto sul totale delle importazioni italiane

0,5%

Fonte:ISTAT

 

 

 

QUOTE DI MERCATO 2009

PRINCIPALI FORNITORI

% su import

PRINCIPALI CLIENTI

% su export

1. USA

   9,9%

1. USA

     7,9%

2. Cina

   9,6%

2. Italia

      7,2%

3. Germania

   6,9%

3. Spagna/India

      6,7%

4. Italia

    6,8%

4. India

      6,6%

Fonte : Economist Intelligence Unit, giugno 2011

SACE

Categoria di rischio

4 su 7

Apertura senza restrizioni specifiche

Fonte: SACE

 

ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEBITORIA

Ultima intesa Club di Parigi

25 maggio 1991 ($USA 21,16 mld)

Ultimo Accordo bilaterale di conversione del debito

3 giugno 2007 ($USA 100 mln – Scadenze debitorie dal 2007 al 2012)

 

 

INVESTIMENTI ESTERI DIRETTI (2009)

(Euro)

 

in Egitto

in Italia

206.623.000

21.747.000

Fonte: Banca d’Italia, novembre 2010

 

 

 

FLUSSI TURISTICI BILATERALI

 

 

dall’Italia (presenze)

verso l’Italia (presenze)

2008

                   950.000.

                            n.d.

Fonte: Ambasciata d’Italia, 2009

 

 


 

Relazioni culturali, scientifiche e tecnologiche

Le relazioni culturali italo-egiziane sono regolate dall’Accordo di Cooperazione Culturale dell’8 gennaio 1959, e dall’Accordo di Cooperazione Scientifica e Tecnologica del 29 aprile 1975.

Le collaborazioni culturali sono numerosissime ed interessano molteplici settori. La presenza culturale italiana in Egitto è tra le principali, non solo nel settore dell’insegnamento della lingua, ma anche in tema di mostre, eventi culturali, concerti, nonché per le attività e le collaborazioni più o meno istituzionali che avvengono regolarmente tra enti e centri dei due Paesi. Particolare attenzione viene dedicata al settore della valorizzazione e conservazione del patrimonio culturale e archeologico. Nel corso del  2009, sono state realizzate numerose iniziative congiunte per celebrare l’Anno Italo-Egiziano della Scienza e della Tecnologia. Tra i numerosi eventi organizzati spiccano quelli dedicati alle tematiche delle tecnologie applicate alla tutela dei beni culturali, fisica applicata e nucleare, energia ed ambiente (in particolare, l’Acqua), medicina, Information & Communication Technology, agricoltura, trasporti, astronomia. Oltre ad essere stata un’importante iniziativa in ambito culturale, l’Anno Italo-Egiziano della Scienza e della Tecnologia ha rappresentato anche una grande iniziativa promozionale, che, attraverso un filo di lettura tecnico-scientifico, ha valorizzato il Made in Italy, contribuendo concretamente a sostenere il nostro Sistema Paese. Accordi di Collaborazione con vari Centri di Ricerca (CNR, Centro Italiano Ricerche Aerospaziali, Centro di Ricerche in Agricoltura) e Università italiane sono stati firmati come follow-up dell’evento. Nel febbraio 2010, è stata lanciata la Settimana della cultura italiana e, tra le varie iniziative, vi è stata anche la partecipazione italiana alla Fiera internazionale del libro a Il Cairo che ha riscosso notevole successo.

L’Istituto Italiano di Cultura ha la sede principale a Il Cairo e un ufficio ad Alessandria. Nel Paese è presente anche un comitato “Dante Alighieri”.

Una delle attività primarie dell’Istituto di Cultura, principale soggetto della programmazione culturale italiana in Egitto, è consistita nella valorizzazione degli interventi italiani sul patrimonio archeologico egiziano, che è ora di competenza del Centro Archeologico Italiano de Il Cairo. L’aggiornamento e il potenziamento informatico della biblioteca archeologica ad opera degli archeologi italiani ha inoltre comportato una visibilità ancora maggiore, come pure il contributo al progetto internazionale a favore della Biblioteca Alessandrina, gestito dalla Cooperazione allo Sviluppo italiana.

 

Cooperazione Italiana

 

QUADRO INFORMATIVO :

 

L’Italia è un importante Paese donatore per l’Egitto, con iniziative in corso del valore complessivo di 162 milioni di euro:

63 milioni di euro a dono per iniziative bilaterali di cooperazione allo sviluppo;

28 milioni di euro a credito d’aiuto;

100 milioni di dollari per il secondo Programma di Conversione del Debito (debt swap).

I recenti eventi che hanno interessato i paesi della sponda sud del Mediterraneo non hanno causato situazioni di grave crisi umanitaria in Egitto. La Cooperazione Italiana su specifica richiesta delle Autorità egiziane, ha potuto fornire il proprio supporto per favorire l’evacuazione dei cittadini egiziani fuggiti in Tunisia dalla Libia. In tale circostanza la DGCS, d’intesa con la Difesa, ha proceduto alla realizzazione di 3 voli da Djerba al Cairo che hanno consentito di rimpatriare 111 cittadini egiziani.

Gli sviluppi politici e sociali in Egitto hanno invece fatto emergere la forte insofferenza della fascia medio bassa della popolazione e della piccola borghesia per l'iniqua ripartizione interna di risorse e ricchezza. La società egiziana domanda con forza un concreto ruolo nella vita politica del Paese.

Di fronte a tali sviluppi, in linea con quanto emerso anche in ambito europeo, la Cooperazione italiana procederà lungo 2 direttrici principali: di breve/medio periodo per rispondere ai bisogni più urgenti della popolazione con gli strumenti attualmente già a disposizione (aiuti a dono in fase di erogazione e crediti d’aiuto attivi) ricalibrandoli coerentemente; di più lungo periodo, con una programmazione delle risorse che riesca a generare reddito diffuso a vantaggio della popolazione ed offrire realmente un contributo alle legittime aspirazioni della popolazione verso un maggior coinvolgimento nella vita politica del proprio Paese, attraverso il sostegno alla Governance democratica ed alla società civile.

 

 

DELIVERABLES:

Aiuti d’emergenza

L’Egitto, per il tramite del suo Ministero per la Cooperazione Internazionale, ha presentato una richiesta di aiuti alimentari segnatamente farina, tè, zucchero, olio e riso. Tale richiesta, giunta nel mese di marzo, non ha avuto seguito a causa del precipitare della crisi libica. Ove tale richiesta fosse sollevata nel corso dell’incontro questa potrebbe essere accolta solo parzialmente considerate le ingenti quantità di beni alimentari richieste rispetto ai limitati fondi disponibili.

 

 

Doni

8 milioni di euro disponibili per il triennio 2011-2013, di cui:

·     Circa 2 milioni di euro già allocati (a favore dei minori e della famiglia e per la Cooperazione interuniversitaria);

·     6 milioni di euro in settori da identificare;

·     18 milioni di euro ancora disponibili nelle casse egiziane, che finanzieranno acquisti della Pubblica Amministrazione egiziana attraverso il Programma di Commodity Aid. Il Programma tuttavia registra fortissimi ritardi a causa del mancato lancio di molte gare da parte egiziana.

 

 

 

 

Crediti d’aiuto:

·          13 milioni di euro immediatamente disponibili a favore delle microimprese egiziane (Social Fund). Al fine di rilanciare lo strumento a favore delle imprese più piccole, presenteremo mirati emendamenti al prossimo Comitato Direzionale del 24 maggio p.v.

·          5 milioni di euro disponibili nelle casse egiziane come tranche finale della  Linea di credito a sostegno delle PMI egiziane;

·          Ampia disponibilità a negoziare ulteriori crediti d’aiuto in settori da identificare e ad incrementare il suindicato Social Fund, strumento particolarmente indicato a favore delle microimprese.

 

Conversione del debito:

·         In corso il secondo Programma di Conversione del Debito da 100 milioni di dollari (ancora disponibili nelle casse egiziane circa 85 milioni di euro). Il Programma registra gravissimi ritardi e rappresenta una delle questioni più sentite nell’ambito della Cooperazione bilaterale perché l’assenza di reali progressi nell’attuazione dei progetti, e quindi di cantieri, commesse e progetti, a valere sul programma ha un impatto negativo sulle opportunità di internazionalizzazione del Sistema Paese italiano.

·         Disponibilità a negoziare un terzo Programma di conversione del debito, previo assenso del MEF (debito ancora dovuto all’Italia quantificabile in circa 115 milioni di euro). Si procederà nel frattempo, su indicazioni dell’On. Ministro, alla firma di una dichiarazione congiunta di natura politica circa la disponibilità delle Parti a negoziare una terza fase del Debt Swap.

 

Principali Programmi in corso

L’ultimo Rapporto sullo Sviluppo Umano elaborato delle Nazioni Unite colloca l’Egitto al 101° posto su un totale di 169 Paesi, con un PIL pro capite pari a circa $5.889 l’anno. Il 36,1% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, il tasso di occupazione si attesta al 43,2% ed il 33,6% della popolazione è analfabeta. Il tasso di mortalità materna è pari all’1,3% .

 

1.        PROTOCOLLO DI COOPERAZIONE BILATERALE 2011-2013 (firmato in occasione del Vertice di maggio 2010).

 

·         Sarà presentato al primo Comitato Direzionale utile il programma “Promoting Children’s Rights and Family Empowerment in Fayoum Governorate”, che sarà realizzato in collaborazione con il Ministero della Salute e Popolazione e che vedrà il coinvolgimento dell’ISTAT (1.5 milioni di euro).

·         Sarà anche presentato al primo Comitato Direzionale utile un“Programma di Cooperazione italo-egiziano per la Formazione e lo Sviluppo della Ricerca Scientifica”, cui Italia ed Egitto parteciperanno con un contributo complessivo di 1.350.000 euro, equamente ripartito.

 

Una volta che la situazione sarà stabilizzata, fatta salva verifica con il Governo egiziano circa le nuove priorità d’azione, potranno anche essere finalizzati i seguenti progetti:

 

·         “Programma di sviluppo socioeconomico della Costa Nord-Ovest”, da 1,5 ME a dono, in cui l’Italia potrebbe assumere un ruolo coordinatore di una più ampia in iniziativa dell’Unione Europea.

·         Terza fase del “Programma ambientale” (3 milioni di euro in 3 anni. L’iniziativa sarà svolta in collaborazione con il Global Environmental Facility (GEF) dell’UNDP.

·         Iniziativa di cooperazione trilaterale a beneficio del Sud Sudan che consentirà alle ostetriche sudanesi di recarsi ad Alessandria per un periodo di formazione di tre settimane.

·         L’Etiopia beneficerà invece di un’iniziativa trilaterale per il controllo della malaria È all’esame dei competenti uffici la proposta di progetto trasmessa a questa DGCS dal Ministero della Sanità etiopico, che prevede il coinvolgimento, in forma diretta e in qualità di unico esecutore, dell’Ente egiziano dell’Ente egiziano InRaD (Innovative Research and Development).

 

 

2.        COMMODITY AID. 31 milioni di euro più circa 5 milioni di interessi attivi, di cui residuo di cassa di 17,8 milioni.

Il programma, avviato nel 1994, dispone ancora di un residuo di cassa di 17,8 milioni di euro, che sarà esaurito qualora i bandi e le gare in preparazione e in corso di svolgimento andassero a buon fine.

 

 

3.        CREDITI D’AIUTO.

a.                     Linee di credito Piccole e Medie Imprese (PMI) – 15 milioni di euro, di cui 5 residui.

Da parte della DGCS, l’erogazione delle somme concordate è stata completata con l’accredito, nel 2009, della terza ed ultima rata di 5 milioni di euro. Si auspica il rapido esaurimento di tale tranche, che potrà costituire una concreta base di riferimento per fissare i termini per l’avvio della annunciata nuova linea di 45 milioni di euro.

 

b.                    Linea di credito Social Fund Development (SFD) – 12,9 milioni di euro. Raggiunta l’intesa di procedere ad un emendamento all’Accordo vigente con il quale si prevede una modalità di erogazione dei finanziamenti più agevole, tale variante sarà presentata al prossimo Comitato Direzionale utile per approvazione.

 

 

4.        CONVERSIONE DEL DEBITO. 100 milioni di dollari.

La prima tranche del Programma, da 149 milioni di dollari, è stata avviata nel 2001 e si è conclusa nel 2008. La seconda tranche, da 100 milioni di dollari, è stata avviata nel 2007 e si concluderà nel 2014 (conclusione della validità dell’Accordo).

A fronte dell’importo depositato sul Fondo di Contropartita (oltre l’88,6% dell’importo complessivo di 100 milioni di dollari), il 69,4% è stato impegnato e il 15,1% è stato erogato sui progetti (ai sensi dell’accordo vigente, quest’ultima percentuale corrisponde alla percentuale di debito cancellata).

Tenuto conto della rilevanza che la conversione del debito riveste per gli egiziani in questa delicata fase di transizione, si è convenuto di sottoporre alla firma dell’On. Ministro e del Ministro degli Esteri egiziano El-Araby una dichiarazione politica che rappresenti un segno di grande attenzione da parte nostra.

UNIVERSITÀ ITALO-EGIZIANA. La DGCS ha prontamente assicurato il proprio contributo (a dono) per l'Università italo-egiziana attraverso un'intesa con il Gruppo di lavoro congiunto per l'Universita' italo-egiziana, in modo da assicurare sin da subito la disponibilità finanziaria a sostenere i costi iniziali di quanto previsto per parte italiana con l'Accordo intergovernativo del 12 maggio 2009 (mobilità e stipendi personale docente italiano e contributo per la creazione di programmi).Inoltre, la DGCS ha già rappresentato alle controparti la disponibilità ad attingere sin d'ora alle risorse della seconda fase del Programma di Conversione del Debito, o ad imputare i costi del progetto alla eventuale futura terza fase. Manca, ad oggi, da parte egiziana un progetto da presentare al Comitato congiunto competente per l’approvazione dei finanziamenti a valere sulla Conversione del Debito.

 

5.        ALTRE INIZIATIVE.

·     Settore ambientale e risorse naturali. Si è appena concluso l’importante seconda fase del Programma ambientale nell’ambito del quale una componente è volta al sostegno e allo sviluppo delle Aree protette. La DGCS finanzia con circa 9 milioni di euro il progetto con l’assistenza all’Agenzia egiziana per l’Ambiente. La consegna ed apertura al pubblico del Visitor Center di Medinet Madi, componente culturale del Programma, si è svolta  lo scorso 8 maggio alla presenza del Ministro delle Antichità Zahi Hawass.

·     Trasporti. È in corso il programma triennale a sostegno della ristrutturazione del sistema ferroviario egiziano da 4,8 ME (dono), consistente nell’affiancamento di un team di esperti delle Ferrovie dello Stato italiane (FS) al management dell’Egyptian National Railways.  

·      Patrimonio culturale. Sosteniamo il sistema museale egiziano con un progetto da 1,3 milioni di euro per assistenza tecnica fornita dal MiBAC. Un ulteriore contributo di circa 600 mila euro è stato destinato alla  Biblioteca Alessandrina, per la creazione, tramite UNESCO, di laboratori di restauro di manoscritti antichi e di libri rari. La DGCS ha inoltre accolto la richiesta egiziana di assistenza tecnica per la formulazione dei termini di riferimento per il lancio di una gara finalizzata all’elaborazione di uno studio dell’area del vecchio Teatro dell’Opera del Cairo.

·         ONG. Finanziamo tre progetti delle ONG COSPE e VIS per un importo totale di 2,6 ME. I progetti delle due ONG riguardano la lotta alla povertà e all’esclusione sociale nel governatorato di Giza e nella capitale e la salvaguardia ambientale.

 

 

Visite istituzionali

 

Þ       Visita del Presidente della Repubblica Araba d’Egitto Hosni Mubarak (Roma, 9-11 febbraio 2009)

Þ       Visita del  Presidente del Consiglio On. Silvio Berlusconi (Egitto, 12 maggio 2009)

Þ       Visita del Ministro degli Affari Esteri On. Franco Frattini (Egitto, 12 maggio 2009)

Þ       Visita del Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali On. Luca Zaia (Egitto, 30 settembre 2009)

Þ       Visita del Presidente della Repubblica Araba d’Egitto, Hosni Mubarak (Roma, 17-18 ottobre 2009)

Þ       Visita del Ministro degli Affari Esteri On. Franco Frattini (Egitto,15-16 gennaio 2010)

Þ       Visita del Segretario Generale Giampiero Massolo (Egitto, 13-14 aprile 2010)

Þ       Visita del Ministro dell’Interno, Roberto Maroni (Egitto, 5 maggio 2010)

Þ       Vertice bilaterale Italia-Egitto (Roma, 19 maggio 2010) a cui hanno partecipato: il Presidente della Repubblica Araba d’Egitto Hosni Mubarak, il Ministro degli Esteri Ahmed Aboul Gheit, il Ministro per la Cooperazione Internazionale Fayza Aboulnaga, il Ministro dell’Agricoltura Amin Abaza, il Ministro del Commercio e dell’Industria Rachid Muhammad Rachid.

Þ       Visita del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli (Egitto, 20-21 luglio 2010)

Þ       Visita del Sottosegretario agli Esteri, On. Stefania Craxi (Egitto, 19-21 ottobre 2010)

Þ       Incontro del Ministro degli Affari Esteri On. Franco Frattini con il Ministro del Commercio e dell’Industria Rashid Mohamed Rashid (Roma, 26 gennaio 2011)

Þ       Visita del Ministro degli Affari Esteri On. Franco Frattini (Egitto, 22 febbraio 2011)

Þ       Visita del Ministro degli Affari Esteri Nabil El Araby (Roma, 17 maggio 2011)

Þ       Visita del Ministro dell’Ambiente egiziano George Maged (Roma, 2 giugno 2011)

 

 

 

 

 

 

 


 

Somalia: il quadro istituzionale e l’attuale situazione politica
(a cura del Servizio Studi)

Il quadro istituzionale

In un quadro in cui la violenza endemica e il conflitto armato interno rendono assai deboli i presupposti necessari all’esercizio della statualità, la Repubblica democratica di Somalia si configura, in base agli accordi siglati tra i leader dei vari clan somali nel 2004, come una repubblica federale.

La Somalia indipendente è nata nel 1960 dalla fusione della ex Somalia italiana (sulla quale l’Italia aveva esercitato il mandato fiduciario ONU dalla fine della seconda guerra mondiale fino a quell’anno) e dell’ex protettorato britannico del Somaliland. La Somalia ha subito la dittatura di Siad Barre dal 1969 al 1991. Dalla caduta di Siad Barre, il Paese non ha raggiunto mai una stabilità politica, ma fu caratterizzato da una continua lotta per il potere tra diverse milizie istituite sulla base dell’appartenenza a differenti clan (cfr. infra la situazione politica).

Sulla base degli accordi del 2004, è stato costituito un governo strutturato su linee di clan, il Governo Federale di Transizione, mentre sulla base di un accordo siglato in Kenia nel medesimo 2004 è stato istituito un Parlamento federale di transizione, in carica per cinque anni, composto da 275 membri, designati dai gruppi che avevano aderito all’intesa. Ad essi, cinque anni dopo, sono stati aggiunti ulteriori 275 membri in base all’accordo di pace firmato a Gibuti tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 (cfr. infra). Contestualmente, il mandato del Parlamento federale transitorio è stato prorogato di due anni e, quindi, nel giugno 2011, di un ulteriore anno (le elezioni si dovranno svolgere entro il 20 agosto 2012; sul punto cfr. infra paragrafo “La situazione politica”) In base agli accordi, il Presidente è nominato dal Parlamento per un mandato di 5 anni; egli stesso designa poi il primo ministro.

Secondo Freedom House, la Somalia è uno “Stato non libero”, non in possesso dello status di “democrazia elettorale”. In particolare, l’organizzazione rileva come, sotto molti aspetti, il governo centrale non risulti in possesso dell’autorità necessaria alla protezione dei diritti politici e delle libertà civili. Il paese non ha effettivi partiti politici e il processo politico è guidato in gran parte dalla lealtà al clan. La corruzione è molto diffusa, tanto che la Somalia è stata classificata come il paese con la peggior performance tra i 178 esaminati nell’indice di corruzione di Transparency International del 2010.

Le libertà d’espressione e di stampa, nonostante siano formalmente garantite dal Governo Federale di Transizione, non sono rispettate nella pratica. Il governo conserva un controllo significativo sui media, e diversi giornalisti sono stati arrestati o uccisi nel 2009.

La Costituzione riconosce l’Islam quale religione di stato, ma allo stesso tempo garantisce la libertà religiosa, nonostante questa non sia poi garantita nella pratica.I gruppi radicali islamici impongono versioni radicali della legge islamica nelle zone sotto il loro controllo, vietando la musica, i film, alcuni vestiti, e qualsiasi altro elemento che ritengano immorale e anti-islamico. Chiunque sia accusato di apostasia rischia l'esecuzione. Inoltre, nel 2009, il parlamento somalo ha approvato una legislazione per l’applicazione della sharia su tutto il territorio nazionale. Anche la libertà d’assemblea non è rispettata.

Nella fase politica apertasi con la caduta del regime di Siad Barre nel 1991, alcune regioni del paese hanno proclamato la propria indipendenza. In particolare:

-       nel maggio 1991 la regione nordoccidentale del Somaliland ha proclamato la propria indipendenza. Per Freedom House il territorio del Somaliland possiede i parametri dello “Stato semilibero”; il territorio si è dotato di una Costituzione che prevede un sistema presidenziale con un presidente eletto direttamente per un massimo di due mandati di cinque anni e un Parlamento bicamerale composto da una Camera dei rappresentanti composta da 82 deputati eletti per cinque anni a suffragio universale diretto e una Camera degli anziani composta da 82 membri eletti per sei anni dai consigli locali ed espressione delle diverse tribù. Nel giugno 2010 le elezioni per il presidente del Somaliland si sono svolte regolarmente;

-       nel luglio 1998 i leader locali hanno proclamato come Stato autonomo anche il Puntland regione nordorientale della Somalia;

-       nell’aprile 2002 anche la Somalia sud-occidentale si è proclamata “Stato autonomo”.

 

La situazione politica

Presidente del governo federale di transizione somale è dal 2009, Sheikh Sharif Sheikh Ahmed (n.1964).

Il 23 giugno il presidente Sheick Ahmed ha nominato primo ministro, in luogo di Mohamed Abdullahi Mohamed rientrato in Somalia dagli USA, dei quali era divenuto cittadino, per guidare il governo solo nel novembre 2010, Abdiweli Mohamed Alì, già vice-primo ministro ed anch’egli cittadino USA. Altro leader politico somalo è, che è andato sempre più contrapponendosi a Sheick Ahmed negli ultimi mesi, è il presidente del Parlamento federale transitorio Sharif Hassan.

Nella situazione di caos che ha caratterizzato la Somalia, dopo il crollo del regime di Siad Barre e il ritiro della missione internazionale UNOSOM tra il 1994 e il marzo 1995, trovò radicamento il movimento islamista dell’Unione delle corti islamiche.

Nel 2006 il movimento occupò la capitale Mogadiscio, provocando l’intervento armato a sostegno del governo federale transitorio dell’Etiopia. Le truppe etiopi, insieme a quelle del governo federale transitorio, sottrassero rapidamente la capitale Mogadiscio alle Corti islamiche ma nel 2008 i combattimenti con le Corti si intensificarono e queste si garantirono la conquista di gran parte della Somalia centro-meridionale.  Le truppe etiopi si sono ritirate nel 2009 ed un nuovo accordo di pace venne mediato dall’ONU a Gibuti tra il Gverno federale transitorio e l’Alleanza per la riconquista della Somalia, guidata dalle Corti islamiche: a seguito dell’accordo, esponenti delle Corti e dell’Alleanza hanno integrato la composizione del Parlamento federale transitorio e alla presidenza dello Stato è stato eletto un esponente delle medesime Corti, vale a dire l’attuale presidente Sheick Ahmed. L’instabilità è però tornata ad aumentare a causa principalmente dell’insorgenza contro il governo federale transitorio del movimento islamista radicale degli Al Shabaab. In Somalia è anche presente, dal 2007, su mandato ONU, la missione militare internazionale AMISOM dell’Unione africana.

Violenti combattimenti si sono succeduti anche negli ultimi mesi. In questo quadro, merita segnalare, da ultimo, il ritiro, il 6 agosto, delle milizie Al Shabaab dalla capitale Mogadiscio. Suscitano inoltre crescenti preoccupazioni i presunti legami tra le milizie Al Shabaab e Al Qa’ida: gli USA hanno ammesso di avere arrestato appartenenti alle milizie di Al Shabaab indicati come complici di Al Qa’ida mentre, secondo alcune fonti, il 6 luglio si sarebbe verificato un attacco con aerei-droni USA su campi di addestramento in territorio somalo.

Sul piano politico permane una condizione di contrapposizione tra il presidente Sheick Ahmed e il presidente del Parlamento Hassan Eden, anche se è stato raggiunto il 9 giugno 2011 a Kampala un accordo che ha consentito il differimento, per ragioni di sicurezza, dall’agosto 2011 all’agosto 2012 delle elezioni del Parlamento federale transitorio. Infine, lUfficio marittimo internazionale ha stimato che nei primi tre mesi del 2011 gli attacchi di pirateria sono aumentati del 25 per cento rispetto al medesimo periodo dello scorso anno.

Secondo le ultime stime, negli ultimi due anni, più di ventiduemila civili sarebbero state uccisi, circa 1.100.000 persone risulterebbero sfollate all’interno della Somalia e 476.000 somali sono rifugiati negli Stati confinanti. In questo drammatico contesto, nel luglio 2011 l’ONU ha ufficialmente riconosciuto l’esistenza di una situazione di carestia in alcune regioni della Somalia meridionale (Basso Shabelle e Medio Shabelle), dove oltre il 30 per cento della popolazione soffre di malnutrizione (con punte di oltre il 50 per cento in alcune zone).

Agli inizi di settembre la situazione di carestia è stata proclamata dall’ONU anche per un’altra regione della Somalia meridionale, la regione di Bay.  Tra le cause della carestia fin qui individuate, la scarsità delle pioggie, l’aumento dei prezzi alimentari e la situazione di conflitto (gli interventi del WFP risultano significativamente ostacolati dalle milizie Al Shabaab)


Indicatori internazionali sul paese[33]:

Libertà politiche e civili: “Stato non libero” (Freedom House);

Indice della libertà di stampa: 161 su 178

Libertà religiosa: Islam religione di stato, limitazione della libertà religiosa  nella pratica (ACS);

Libertà di Internet: N/A (OpenNet Initiative)

Corruzione percepita: 178 su 178  (Transparency International)

Variazione PIL 2009: N/A (FMI)

Libertà economica: N/A (Heritage Foundation)

Situazione di conflitto armato interno


 

Maggiori clan e sottoclan somali

(Fonte: Congressional Research Service)

Fonti: The Statesman’s Yearbook 2011, Unione interparlamentare, Freedom House, International Crisis Group; Congressional Research Service, Economist Intelligence Unit, Ansa, World Food Programme.

 

 

 

 


 

Profili biografici
(a cura del Servizio Rapporti internazionali)

 


Ban Ki-Moon
Segretario Generale delle Nazioni Unite

Official portrait of Secretary-General Ban Ki-moon. Click photo to enlarge.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ban Ki-moon è l’ottavo Segretario Generale delle Nazioni Unite: eletto il 14 dicembre 2006, ha assunto l’incarico il 1° gennaio 2007.

È nato il 13 giugno 1944 nella Repubblica di Corea. Si è laureato in Relazioni internazionali presso la National University di Seoul nel 1970. Nel 1985 ha conseguito un Master in Scienze politiche presso l’Università di Harvard. Parla coreano, inglese e francese.

Al momento della sua elezione a Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon era Ministro degli Affari esteri del suo paese, incarico che ricopriva dal gennaio 2004.

Diplomatico di carriera dal 1970, ha occupato diverse posizioni tra cui quella di Consigliere del Presidente della Repubblica per la politica estera e per la sicurezza nazionale, Vice Ministro per la pianificazione politica e Direttore generale per gli affari americani.

Ban Ki-moon ha avuto intense relazioni con le Nazioni Unite a partire dal 1975 quando lavorava nella Divisione Nazioni Unite del Ministero per gli Affari esteri. È stato Primo Segretario nella Missione Permanente della Repubblica di Corea presso le Nazioni Unite a New York, Direttore della Divisione per le Nazioni Unite nel Ministero degli Affari esteri a Seoul, e Ambasciatore in Austria, dove  è stato Rappresentante Permanente presso le Organizzazioni internazionali a Vienna. Mentre ricopriva quest’ultimo incarico ha presieduto, nel 1999, la Commissione preparatoria dell’Organizzazione del Trattato per la messa al bando totale degli esperimenti nucleari (CTBT).

Nel 2001–2002, quando la Corea ha assunto la presidenza della 56ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon ha ricoperto l’incarico di Capo di Gabinetto del Presidente dell’Assemblea, Han Seung-Soo, ed ha agevolato la rapida approvazione della risoluzione di condanna degli attacchi terroristici dell'11 settembre e intrapreso una serie di iniziative volte a rafforzare il funzionamento dell'Assemblea.

Ban Ki-moon è stato molto attivo anche nel campo delle relazioni inter-coreane. Nel 1992, in qualità di Consigliere Speciale del Ministro per gli Affari esteri, è stato Vice Presidente della Commissione congiunta per il Controllo nucleare Nord – Sud e si è adoperato per l’adozione della dichiarazione congiunta sulla denuclearizzazione della penisola coreana. Nel settembre 2005, in qualità di Ministro degli Affari esteri, ha svolto un ruolo di rilievo nella conclusione dell’accordo per la promozione della pace e della stabilità nella penisola coreana con l’adozione della Dichiarazione congiunta sulla questione nucleare nord coreana.

Il 18 aprile 2007, Ban Ki-moon ha effettuato una visita ufficiale in Italia dove ha incontrato il Presidente della Camera Fausto Bertinotti, nonché le Commissioni Affari esteri di Camera e Senato riunite.

Si segnala infine che Ban Ki-moon ha nominato nel gennaio 2010 gli italiani Carlo Trezza e Filippo Grandi ai posti, rispettivamente, di Presidente del Comitato Consultivo dell’ONU per gli Affari del Disarmo e di Commissario Generale della Agenzia dell’ONU per i Profughi Palestinesi (UNRWA) e che il 27 gennaio 2010 ha nominato il diplomatico italo-svedese Staffan de Mistura Rappresentante delle Nazioni Unite in Afghanistan[34] (si ricorda che l’Ambasciatore Staffan de Mistura è stato audito, nella qualità di Vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale, il 22 ottobre 2009 nell’ambito di un’audizione svolta dal Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio costituito nell’ambito della Commissione Affari esteri della Camera dei Deputati).


Nassir Abdulaziz Al-Nasser
Presidente della 66
maSessione
dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite

Nassir Abdulaziz Al-Nasser

 

Nassir Abdulaziz Al-Nasser è stato eletto Presidente della 66ma Sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 22 giugno 2011.

Per 13 anni, dal 1998 al 2011, Al-Nasser ha ricoperto la carica di ambasciatore e Rappresentante permanente del Qatar alle Nazioni Unite. In questo periodo è stato Presidente della Quarta Commissione dell’Assemblea Generale (2009-2010), nonché Presidente della Commissione di Alto livello per la cooperazione sud-sud (2007-2009). Ha inoltre presieduto il Gruppo dei 77 e Cina (2004).

Al-Nasser ha inoltre rappresentato il suo paese al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per i due anni in cui il Qatar ne è stato membro non-permanente (2006-2007). Ha presieduto  il Consiglio di sicurezza nel dicembre 2006.

È stato Vice Presidente della 55ma Sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (2002-2003) e ha rappresentato il Qatar in numerose conferenze internazionali e regionali. Ha inoltre ricoperto la carica di Ambasciatore non residente in numerosi paesi delle Americhe, incluso Argentina, Belize, Brasile, Canada, Colombia, Cuba, Nicaragua, Panama, Paraguay e Uruguay.

Al-Nasser è stato anche Ambasciatore del Qatar in Giordania (1993-1998). In precedenza, dal 1986 al 1993, ha lavorato alla Missione permanente del Qatar alle Nazioni Unite con la carica di Ministro plenipotenziario.

All’inizio della sua carriera, Al-Nasser ha lavorato all’Ambasciata del Qatar a Beirut, Libano, nel 1972; quindi ad Islamabad, nel 1975, e in seguito a Dubai, dove è stato Console generale del Qatar fino all’agosto 1981.

Al-Nasser è nato il 15 settembre 1953 a Doha. È sposato e ha un figlio. Ha studiato a Doha e a Beirut. Parla arabo e inglese.


Oscar Fernandez-Taranco
Assistant Secretary-General dell'ONU per
il Dipartimento degli Affari politici

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oscar Fernandez-Taranco è stato nominato Assistant Secretary-General dell’ONU per il Dipartimento degli Affari politici nel marzo 2009.

Di nazionalità argentina, Fernandez-Taranco ha studiato economia e pianificazione economica regionale-urbana alla Cornell University ed al Massachusetts Institute of Technology di Boston.

Prima della sua nomina, è stato Coordinatore residente nella Repubblica unita di Tanzania. Tra il 1998 e il 2011 è stato Rappresentante residente, Coordinatore Residente e Vice Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite ad Haiti.

Dal 1994 al 1998 ha ricoperto la carica di Vice Rappresentante speciale dell’Amministratore del programma per Gaza e Cisgiordania di assistenza alla popolazione palestinese. Per cinque anni ha anche ricoperto la carica di Vice Assistente Amministratore e Vice Direttore regionale del Bureau regionale degli Stati arabi nel programma di sviluppo delle Nazioni Unite.

Fernandez-Taranco ha iniziato a lavorare per le Nazioni Unite come volontario, nel Benin.

È nato nel 1957, è sposato e ha due figli.


Corinne Woods
Direttrice della Campagna per gli Obiettivi
di Sviluppo del Millennio

 

 

 

Corinne Woods è Direttore della Campagna per gli Obiettivi del Millennio dell'ONU dal 1 agosto 2010.

Negli anni precedenti ha prestato servizio, in diversi ruoli, presso l’UNICEF.

Dal 1999-2002, è stata consulente senior per la Sessione speciale sui Bambini delle Nazioni Unite, una riunione dell'Assemblea generale focalizzata sul raggiungimento di nuovi impegni dei governi per i bambini.

In questo ruolo ha progettato e costruito un movimento globale per i bambini attraverso i media e la società civile, sviluppando e realizzando il "Say Yes for Children", una campagna che ha ricevuto milioni di assensi e che è stata guidata da Nelson Mandela e dal Segretario generale dell'ONU.

Nel periodo 1994-1999 è stata responsabile della comunicazione di Save the Children UK.

In precedenza ha sostenuto una serie di politiche per cambiare il comportamento in materia di salute in ruoli nella UK Health Education Authority.

E’ laureata in Filosofia presso l'Università di Leicester nel Regno Unito.

 

 


Ali Akbar Salehi
Ministro degli Affari esteri iraniano

 

 

Ali Akbar Salehi è nato il 24 marzo 1949 a Karbala, Iraq, dove la sua famiglia viveva per motivi di lavoro. Dal 13 dicembre 2010 ricopre la carica di Ministro degli Affari esteri dell’Iran, succedendo a Manouchehr Mottaki.

Salehisi è laureato all’American University di Beirut e nel 1977 ha conseguito un PhD al Massachussets Institute of Technology (MIT) di Boston. È stato Professore associato e Rettore della Sharif University of Technology, una delle più prestigiose università iraniane che ha sede nei dintorni di Teheran. È membro dell’Accademia delle Scienze dell’Iran e del Centro internazionale di fisica teoretica in Italia.

Nel marzo 1987 è stato nominato, dal Presidente Khatami, Rappresentante permanente dell’Iran all’Agenzia internazionale dell’Energia nucleare (AIEA).

Dal 2007 al 2009 ha ricoperto la carica di Vice Segretario generale dell’Organizzazione della Conferenza islamica, da cui si è dimesso, quando nel luglio 2009, il Presidente Ahmadinejad lo ha nominato Capo dell’Organizzazione dell’Energia nucleare dell’Iran.

Nel 2011 Salehi si è dimesso dalla carica a seguito della sua nomina a Ministro degli Affari esteri.


Staffan De Mistura
Rappresentante speciale dell'ONU
per l'Afghanistan

 

Staffan de Mistura è stato nominato il 28 gennaio 2010 Rappresentante speciale dell'ONU per l'Afghanistan, succedendo a Kai Eide della Norvegia.

In precedenza aveva ricoperto l’incarico di Vicedirettore Esecutivo del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (WFP), con delega per le Relazioni Esterne.

De Mistura è stato, dal 2007 al 2009, Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite e Capo della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Iraq (UNAMI), guidando uno staff di 1.000 persone. Oltre alla supervisione del corretto svolgimento delle elezioni, de Mistura e il suo staff hanno monitorato i processi di ricostruzione, sviluppo e l’assistenza umanitaria in Iraq.

Staffan de Mistura ha iniziato la sua carriera nelle Nazioni Unite nel 1971 in qualità di Project Officer del WFP in Sudan. Nel corso degli anni ha organizzato operazioni di assistenza alimentare e di soccorso anche in Etiopia, nei Balcani e in Ruanda. Nel 1973, in Ciad, ha gestito la prima operazione in assoluto del WFP di aiuti alimentari paracadutati dagli aerei. Per circa 14 anni anni ha lavorato presso l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO). Nel 1987 ha assunto l’incarico di Direttore delle Operazioni del WFP in Sudan. De Mistura è stato inoltre Direttore per la Raccolta Fondi e le Relazioni Esterne dell’Ufficio del Coordinatore ONU per l’Afghanistan (1989-1991). Ha anche ricoperto diversi ruoli presso l’UNICEF, tra cui quello di Direttore delle Relazioni Pubbliche.

Nel corso dei suoi oltre 30 anni di carriera alle Nazioni Unite, Staffan de Mistura ha ricoperto anche gli incarichi di: Vice-Rappresentante Speciale per l’Iraq del Segretario Generale, Rappresentante Personale del Segretario Generale per il Libano meridionale, Direttore del Centro Informazioni dell’ONU a Roma. Ha lavorato inoltre in Bosnia, Croazia, Kosovo, Somalia e a Tirana.

Di doppia nazionalità italo-svedese, de Mistura è nato a Stoccolma nel 1947. Si è laureato all’università di Roma in Scienze Politiche ed Economie dello Sviluppo. É sposato e ha due figlie.

Parla svedese, italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo ed arabo.


Augustine p. Mahiga
Rappresentante speciale per la Somalia e Capo dell’Ufficio politico delle Nazioni Unite per la Somalia (UNPOS)

 

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Augustine P. Mahiga ricopre dal 9 giugno 2010 la carica di Rappresentante speciale per la Somalia e Capo dell’Ufficio politico delle Nazioni Unite per la Somalia (UNPOS).

Mahiga succede a Ahmedou Ould-Abdallah (Mauritania), che ricopriva la posizione dal settembre 2007.

Nel settembre 2003 Mahiga è stato nominato Rappresentante permanente della Repubblica unita di Tanzania alle Nazioni Unite. 

Prima di intraprendere la carriera diplomatica nel 1983, Mahiga ha lavorato nell’Ufficio del Presidente a Dar-er-Salam, in qualità prima di Direttore della ricerca e della formazione (1977-1980) e in seguito di Direttore generale facente funzioni (1980-1983).

Dal 1983 al 1989 ha lavorato all’Alta Commissione per la Tanzania ad Ottawa, Canada.

Dal 1989 al 1992 ha prestato servizio presso la Missione permanente della Tanzania alle Nazioni Unite a Ginevra.

Per molti anni ha lavorato per l’Alta Commissione delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), ricoprendo diversi incarichi tra cui capo Missione in Liberia (1992-1994), Coordinatore e Vice Direttore nell’ambito della crisi umanitaria  nella regione dei Grandi Laghi (1994-1998) e Rappresentante dell’UNHCR in India (1998-2002), Italia, Malta, presso la Santa Sede e la Repubblica di San Marino (2002-2003).

Mahiga ha conseguito un PhD in Filosofia e Relazioni internazionali all’Università di Toronto, Canada. È nato il 28 agosto 1945; è sposato e ha tre figli.


Pak Kil-yon
Vice Ministro degli Affari Esteri
della Repubblica
Democratica di Corea

 

Pak Kil-yon (nato nel 1943 a Chagang), è un diplomatico nordcoreano. Ha prestato servizio presso le Nazioni Unite come Rappresentante Permanente dal 2001, e come ambasciatore in Canada dal 2002.

Pak si è laureato presso la Pyongyang University of International Affairs. Ha svolto servizio nel corpo diplomatico della Corea del Nord dal 1969, quando era console all’ambasciata in Myanmar. Ha successivamente prestato servizio a Singapore, e poi in patria come Direttore Generale dell’American Bureau del Ministero degli Affari Esteri. In seguito è stato nominato capo rappresentante per la missione ONU Nordcoreana nel 1985. E' stato poi ambasciatore in diversi paesi, tra cui la Colombia e la Cambogia, prima di assumere la sua posizione attuale. Pak è stato delegato all’Ottava, alla Nona e all’Undicesima sessione dell’Assemblea del Popolo Supremo. E' stato insignito dell’Ordine di Kim Il-sung nel 1992.

Pak è stato, come ricordato, ambasciatore nordcoreano presso le Nazioni Unite a partire dal 2001.

Durante questo periodo si è appellato alle Nazioni Unite per impedire che il Giappone ottenesse un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza. Il 13 maggio 2005 ha avuto un incontro con Joseph De Trani, speciale inviato per le Nazioni Unite, per discutere del ritorno della Corea del Nord al “six-party talks” sulla proliferazione nucleare Nordcoreana.

In seguito ai test nucleari NordCoreani del 2006, Pak ha dichiarato che le Nazioni Unite avrebbero dovuto congratularsi con gli scienziati e i ricercatori del suo Paese per i risultati della loro ricerca, invece di proporre quelle che lui ha chiamato “risoluzioni inutili, dannose ed incoscienti”. In seguito all’imposizione di sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite alla Corea del Nord, Pak ha definito le azioni del Consiglio “criminali”, abbandonando polemicamente l’aula.


Rapporti parlamentari
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

 


Relazioni parlamentari italo-iraniane

 

Presidente del Parlamento iraniano

 

ALI ARDESHIR LARIJANI (dal 1° giugno 2008)

 

 

 

Ambasciatore dell’Iran in Italia

 

SEYED MOHAMMAD ALI HOSSAINI

Ha ottenuto il gradimento del Presidente della Repubblica il 7 dicembre 2009 ed è entrato in carica il 15 febbraio 2010. Hossaini ha ricoperto in precedenza diversi incarichi, fra cui quello di portavoce dell’ex Ministro degli Esteri, Manouchehr Mottaki.

 

 

Ambasciatore italiano in Iran

 

ALBERTO BRADANINI

Con nota del 1° giugno 2010, l’Ambasciatore italiano ha reso noto di essere stato ricevuto dal Presidente del Parlamento iraniano (Majlis), Ali Larijani, che ha chiesto una maggiore collaborazione con l’Italia in campo economico e su alcuni dossier politici, tra cui il nucleare. Larijani ha espresso perplessità per le aperture italiane all’MKO (su cui cfr. nota 2) e per l’arresto di due cittadini iraniani[35], auspicando maggiore comprensione per le differenze culturali. Il Presidente del Parlamento iraniano ha auspicato altresì un rafforzamento delle relazioni parlamentari, ivi compreso uno scambio di visite; in particolare, ha chiesto che il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, valuti la possibilità di svolgere una visita in Iran.

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Si segnala infine che il 20 e 21 settembre 2010 si è svolta a Teheran una visita del Professor Romano Prodi, il quale ha incontrato il Presidente del Parlamento, Larijani, il Consigliere della Guida suprema, Velayati, e il Ministro dell’economia Hosseini. E’ stato invece annullato un incontro con l’ex Presidente Khatami, impedito dalle Autorità di Teheran.

 

****************

Si segnala che gli incontri della Commissioni Affari Esteri e della Commissione Agricoltura della Camera con delegazioni delle omologhe Commissioni del Parlamento iraniano, fissate rispettivamente per il 19 maggio e per il 16 giugno 2009, sono state annullate da parte iraniana.

Una delegazione della Commissione Agricoltura del Parlamento iraniano, composta dal Presidente della Commissione, Abbas Rajai e dal Vice Presidente, Ahmad Alì Keikha, in visita a Roma, in occasione del Vertice FAO (novembre 2009), ha chiesto un incontro con l’omologa Commissione della Camera, che non ha avuto peraltro luogo a causa degli intensi lavori parlamentari.

 

 

Corrispondenza

 

È pervenuta – in data 7 febbraio 2011 – al Presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, una lettera di auguri del Presidente del Parlamento iraniano, Ali Larijani, scritta in occasione della festività natalizie.

È pervenuta – in data 4 maggio 2010 – al Presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, una lettera di auguri del Presidente del Parlamento iraniano, Ali Larijani, in occasione della festività del Capodanno persiano.

Si segnala inoltre che è stata fatta pervenire a suo tempo agli Uffici della Camera da parte dell’Ambasciata della Repubblica Islamica dell'Iran a Roma, l’informazione che il Presidente Larijani avrebbe partecipato al III Forum mondiale dei Presidenti dei Parlamenti (che si è tenuto a Ginevra, dal 19 al 21 luglio 2010), in occasione del quale il Presidente Larijani avrebbe manifestato l’interesse ad un incontro con il Presidente della Camera, Gianfranco Fini[36]. Alla Conferenza ha poi partecipato, in rappresentanza della Camera, il Vice Presidente Rocco Buttiglione.

È pervenuta – in data 27 gennaio 2010 – al Presidente della Camera dei deputati una lettera di auguri del Presidente Larijani, in occasione delle festività di fine anno, alla quale il Presidente Fini ha risposto il 5 febbraio 2010.

Il Presidente del Parlamento iraniano Larijani ha inoltrato, altresì, attraverso l’Ambasciata iraniana a Roma, un messaggio di condoglianze, datato 14 aprile 2009, per il terremoto che ha colpito l’Abruzzo.

Il 29 gennaio 2009, l’allora Ambasciatore iraniano Fereidun Haghbin ha indirizzato una lettera al Presidente della Camera affinché, nell’intento di dare continuità e ampliare le collaborazione parlamentare tra i due Paesi, sia considerata la ricostituzione del gruppo di collaborazione parlamentare Italia-Iran (cfr. infra) all’interno dell’attuale Parlamento. A tale lettera, il Presidente Fini non ha risposto.

 

Si ricorda, infine, che il 21 aprile 2009 è pervenuta una lettera del Presidente della Knesset, Reuven Rivlin, cui il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha risposto. Nella lettera del Presidente Rivlin si richiama l’intervento del Presidente dell’Iran, Ahmadinejad, alla Conferenza sul razzismo “Durban 2”, tenutasi a Ginevra dal 20 al 24 aprile 2009, esprimendo una ferma condanna per le accuse di razzismo espresse nei confronti di Israele e dei suoi alleati. Alla lettera il Presidente Fini ha risposto il 13 maggio 2009.

 

 

Incontri bilaterali

 

Il Vice Presidente della Camera, Rocco Buttiglione, ha incontrato il Presidente del Parlamento iraniano (Majlis), Ali Larijani, il 20 luglio 2010, a margine della Terza Conferenza Mondiale dei Presidenti di Parlamento (Ginevra, 19-21 luglio 2010).

Nel corso dell’incontro, il Presidente del Majlis ha confermato l’invito a visitare l’Iran al Presidente Fini. Larijani ha altresì affermato che tutti i Paesi devono avere il diritto di sfruttare l’energia atomica e non devono essere giudicati con doppi standards. La questione nucleare può avere sviluppi positivi attraverso il dialogo, secondo Buttiglione, mentre la pace in Medio Oriente è raggiungibile solo attraverso uno sforzo congiunto. L’Occidente non permetterà mai la distruzione di Israele, mentre si batte per la nascita di due Stati, uno palestinese ed uno ebraico. Larijani ha affermato di condividere l’approccio europeo nei confronti della questione palestinese, pur ribadendo le responsabilità israeliane e della lobby ebraica internazionale nella crisi in atto. L’instabilità dell’Afghanistan è un problema difficile per Teheran, che deve contrastare sia il traffico di droga che infiltrazioni di terroristi.

 

Il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha incontrato a Roma il 28 ottobre 2008 l’allora ambasciatore Fereidun Haghbin.

Nel corso dell’incontro sono stati trattati i principali temi internazionali e la situazione relativa ai rapporti bilaterali. Fini ha affermato l’importanza del confronto per superare tutti i punti più critici nei rapporti tra Iran ed Occidente (diritti umani, parità uomo-donna, questione nucleare, atteggiamento nei confronti di Israele). L’Ambasciatore ha invitato Fini a compiere una visita in Iran.

Il Presidente della Camera Fini, ha incontrato la sig.ra Maryam Rajavi, Presidente del Consiglio Nazionale di Resistenza dell’Iran (NCRI), il 23 luglio 2008 a Roma[37].

A seguito di tale iniziativa sono pervenute al Presidente Fini, il 1° agosto 2008, una lettera di apprezzamento da parte del Vice Presidente del Parlamento europeo e Presidente onorario dell’associazione “Friends of a free Iran”, Alejo Vidal-Quadras Roca, e il 29 luglio e 1° agosto 2008,due lettere dell’Ambasciata iraniana a Roma, nellequali si ricordava come l’organizzazione sia a livello internazionale tuttora considerata di matrice terroristica.

Successivamente, il Direttore per l’Europa occidentale del Ministero degli esteri iraniano, S.E. Ambasciatore Mustafa Dowlatyar, ha convocato rappresentanti dell’Ambasciata italiana a Teheran, per ottenere chiarimenti in ordine all’incontro del Presidente della Camera dei deputati, on. Gianfranco Fini, con la signora Rajavi.

Infine, la sig.ra Rajavi ha inviato anch’essa una lettera al Presidente della Camera in data 11 agosto 2008, invitandolo, al pari delle altre autorità italiane, a far sì che sia riconosciuta legittimità ad un gruppo di opposizione al regime iraniano che attualmente figura ancora nelle liste delle organizzazioni terroriste a livello internazionale.


 

Incontri delle commissioni

 

Il 16 febbraio 2011 il Presidente della Commissione Affari esteri, on. Stefano Stefani, ha incontrato il Presidente della Commissione per la sicurezza nazionale e gli affari esteri dell'Assemblea consultiva islamica della Repubblica islamica dell'Iran, Eloeddin Boroujerdi. L’On. Eloeddin Boroujerdi ha poi incontrato il 17 febbraio 2011 la Commissione affari esteri della Camera.

Nel corso del colloquio, il Presidente Stefani ha sottolineato in particolare l’importanza del dialogo tra i due paesi. Rispetto alla questione del nucleare  si è detto convinto  che l'Iran abbia il diritto di utilizzare l'energia nucleare per scopi pacifici, ma che le dichiarazioni sull'intenzione di cancellare Israele sono allarmanti. Ha richiamato quindi l'assenza di democrazia e il mancato rispetto dei diritti civili in Iran e, da ultimo, la decisione di bloccare l'accesso alla città di Teheran. Ritiene che si debba fare una road map con la collaborazione dei vari Parlamenti perché solo attraverso la diplomazia e il dialogo parlamentare si potrà uscire dall'attuale situazione di impasse.

Eloeddin Boroujerdi dopo aver espresso apprezzamento per l'atteggiamento  dell'Italia nei confronti della politica iraniana, ha ricordato che ben 118 paesi hanno dato sostegno ufficiale al programma nucleare iraniano. “I paesi dell'Unione Europea ritengono che il mondo sia circoscritto all'Europa, mentre si tratta di soli 27 paesi che subiscono il diktat degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti usano il linguaggio della forza e l'Iran, a differenza del Pakistan, ha negato loro il permesso di sorvolo che essi avevano chiesto ufficialmente attraverso l'ambasciata svizzera”.

Concorda sulla necessità di trovare una formula per una valida collaborazione parlamentare che consenta di confrontarsi su vari temi, nonostante le indubbie differenze culturali (per esempio, in materia di matrimoni tra omosessuali). Per quanto riguarda il nucleare, ha sottolineato che l'Iran è fermamente contrario ad utilizzarlo come strategia difensiva, né intende minimamente attaccare Israele, che a sua volta è provvisto di armi nucleari, al pari degli Stati Uniti, che continuano a costruire, incontrollati, nuovi armamenti. In Iran le telecamere sigillate installate dall’AIEA continuano il loro monitoraggio, ma manca la fiducia reciproca che ha portato l'Occidente a non voler vendere combustibile nucleare all'Iran neanche per usi medici. Peraltro l'articolo 4 del Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari concerne gli usi civili del nucleare. Ha quindi osservato che l'Iran è disponibile al dialogo sul proprio programma nucleare, e che si rende conto di come alcune affermazioni del presidente Ahmadinejad possano creare preoccupazioni nel mondo occidentale, ma assicura che non sono collegate alle armi nucleari. Boroujerdi ha poi ricordato che Israele non consente di ispezionare i siti di produzione dell'energia nucleare, e che, al pari dell'India e degli Stati Uniti, non ha vincoli internazionali in materia. L'Iran è pronta a negoziare, ma non intende abbandonare la scelta del nucleare. Ha auspicato un ruolo più attivo dell'Italia (magari entrando a far parte del gruppo dei 5+1), Quanto alle manifestazioni a Teheran, successive a quelle avvenute in Egitto e in Tunisia, decine di milioni di persone sono scese in piazza per l'anniversario della rivoluzione, di cui però non si è parlato affatto; in quell'occasione la polizia iraniana non ha concesso ai manifestanti di portare armi e, se uno di questi è rimasto ucciso, la responsabilità è stata dell'organizzazione terroristica MKO che, pur essendo stata tolta dalle liste dei terroristi, in realtà continua l'addestramento militare nel campo di Ashraf. Sulla questione dell’arresto di Karoubi, Boroujerdi ha negatoche Karoubi si trovi agli arresti domiciliari, potendo uscire tranquillamente di casa anche se scortato dagli agenti, al pari del leader riformista Mousavi. Smentisce anche che le vie d'accesso a Teheran siano bloccate e dichiara che anche la metropolitana funziona regolarmente.

Il Presidente Stefani, rispetto all’invito rivoltogli, si è detto disponibile ad andare in Iran a condizione di poter parlare con i rappresentanti dell'opposizione e verificare il rispetto delle libertà civili. A conclusione del colloquio il Presidente Stefani promette di recarsi in visita in Iran, dopo che sarà stata stilata una road map delle possibili iniziative parlamentari rispetto alla quale l’On. Boroujerdi si impegna a formulare una proposta concreta che preveda l’organizzazione di un forum parlamentare a Teheran con i rappresentanti delle commissioni esteri di alcuni parlamenti per discutere i temi del nucleare, del contrasto al terrorismo e del rispetto dei diritti civili. Il Presidente Stefani accoglie con favore tale iniziativa, sulla quale naturalmente dovrà prima acquisire il parere del governo.

Eloeddin Boroujerdi ha quindi annunciato che a breve il Parlamento italiano riceverà una proposta ufficiale da parte del Presidente Larijani, diretta naturalmente anche al presidente Dini.

 

Il 5 ottobre 2010, il Presidente della Commissione Affari Esteri, on. Stefano Stefani, ha incontrato il Vice Presidente della Repubblica dell’Iran con delega per i rapporti con il Majlis, Mir Tajeddini.

 

Il Presidente Stefani ha sottolineato l’importa del dialogo parlamentare per superare le divergenze di opinioni esistenti tra i due Paesi, soprattutto per quanto attiene alla questione del nucleare. Tajeddini ha affermato che le opinioni occidentali sono condizionate dallo strapotere mediatico USA, e che nessuna motivazione – neppure la lotta al terrorismo – può consentire ad un Paese di occupare il territorio di un altro. Stefani ha concordato con il Vice Presidente sull’importanza geopolitica di una nazione come l’Iran, ma ha al tempo stesso criticato le reiterate dichiarazioni contro Israele del Presidente Ahmadinejad. Non si può d’altra parte affrontare il tema di Israele senza dimenticare le pene che sta soffrendo da decenni il popolo palestinese. Tajeddini ha risposto ricordando come nei confronti di Israele e dell’Iran è adottata da parte occidentale la politica “due pesi, due misure”, che l’Iran nei confronti dello Stato di Israele adotterà una politica aggressiva solo se sarà attaccato. Il problema palestinese – secondo Teheran – non può essere risolto se non attraverso un referendum. Il Presidente Stefani viene inviato a compiere una visita a Teheran. Il Presidente Stefani, consegnando al Vice Presidente il dibattito del Comitato Umano sul caso Sakineh, ha auspicato la sospensione dell’esecuzione, gesto che avrebbe grandi riflessi positivi nel dialogo in atto tra i due Paesi. Tajeddini ha affermato che il verdetto di condanna capitale non è stato ancora emesso nei confronti della donna ed ha ricordato come negli USA per i casi di omicidio viene applicata la pena capitale e che anche il Corano dice che i diritti vanno puniti secondo il principio “occhio per occhio”. Il Presidente Stefani, ricordando la netta divergenza italiana su tale tema, ha espresso l’auspicio che i due Paesi non si dividano. Toccando da ultimo il tema relativo all’Afghanistan, Stefani ha ricordato come per il Paese siano stati spesi fino ad ora 450 miliardi di dollari senza alcun risultato, dando credito ad un governo corrotto come quello di Karzai. Il Vice Presidente iraniano, condividendo l’analisi del Presidente della Commissione, ha affermato che sarebbe bastato molto per ricostruire il Paese, obiettivo che può essere raggiunto solo dagli afghani, aiutati dai Paesi limitrofi e dall’Europa.

 

Il 9 giugno 2010, il Presidente della Commissione Cultura, Valentina Aprea, ha incontrato il nuovo ambasciatore dell'Iran a Roma, Mohammad Alì Hosseini.

Al centro dei colloqui la collaborazione nel campo archeologico e la volontà di rafforzare i rapporti parlamentari. L’Ambasciatore ha espresso l’auspicio che in futuro possa realizzarsi una missione della Presidente Aprea e della Commissione da Lei presieduta in Iran.

 

Il 4 febbraio 2010, il Presidente della Commissione Affari esteri, Stefano Stefani, ha incontrato il nuovo ambasciatore dell'Iran a Roma, Mohammad Alì Hosseini.

 

Il Presidente della Commissione Affari Esteri, Stefano Stefani ha incontrato il 27 luglio 2009  l’Incaricato di Affari dell'Iran a Roma, Amb. Fereidoun Hagbin.

L’Ambasciatore Haghbin ha rappresentato il disagio avvertito dal suo paese di fronte alla censura operata dagli organi di informazione, che ha impedito di fare chiarezza su cosa sia realmente accaduto in Iran. In qualità di rappresentante diplomatico, ha il dovere di spiegare cosa sia accaduto nel suo paese: in Iran esiste una democrazia viva e dinamica, con molte sfaccettature, che alcuni cercano di rovesciare; l'85 per cento della popolazione è andata a votare, il che dimostra come la democrazia sia forte. Ammette che si sono verificati degli arresti, ma il fatto che vi siano state delle contestazioni rafforza la sua affermazione che il sistema democratico iraniano è valido; ciò tuttavia non toglie che le contestazioni debbano seguire le vie legali. Anche i capi dell'opposizione politica in questi giorni si stanno rendendo conto che, in realtà, non vi sono state tutte le irregolarità che erano state contestate. Per quanto riguarda i rapporti con l’Italia, l’Ambasciatore evidenzia che il Governo ha avuto un atteggiamento diverso rispetto agli altri e può quindi aiutare a ricostituire la fiducia persa nei confronti dell'Iran anche grazie all'atteggiamento di disponibilità del Ministro degli Esteri Frattini. Pertanto sarebbe altresì auspicabile che la Commissione Esteri accettasse che egli possa riferire, in qualità di rappresentante diplomatico dell’Iran, in ordine alla situazione politica del suo paese e che a ciò potesse seguire un libero dibattito ed uno scambio di opinioni. I rapporti commerciali con l'Italia sono incrementati del 35 per cento ed in questo momento il petrolio ha un prezzo molto basso. Inoltre il Presidente Ahmadinejad, dopo aver letto le note diplomatiche sull'Italia che egli ha consegnato, ha manifestato propensione ad incrementare le relazioni dell’Iran con tale paese.

ll Presidente Stefani ha ribadito la centralità del ruolo dell'Iran nel panorama mondiale e la disponibilità a mantenere aperto il dialogo, pur ritenendo che si sia verificata un’azione di repressione nel paese. Ritiene comunque che il Governo italiano sia interessato a mantenere l'apertura con l'Iran. Da parte sua verificherà la possibilità che l'ambasciatore venga a riferire in Commissione Esteri.

 

Il Presidente Stefani aveva in precedenza incontrato l’Amb. Fereidoun Hagbin:

-        il 7 maggio 2009 in preparazione dell’incontro con la Commissione Esteri del Parlamento iraniano (incontro poi annullato dalla parte iraniana).

Nel corso dell’incontro le parti si sono dichiarate d’accordo sulla necessità di proseguire il dialogo interparlamentare, nel cui ambito la visita della Commissione Esteri iraniana alla Camera riveste un’importanza particolare. E’ stato affrontato inoltre anche il tema relativo ai diritti umani, con particolare riguardo alla pena di morte (l’Iran, si ricorda, è il secondo Paese al mondo per numero di esecuzioni). L’Ambasciatore, nel ribadire la sovranità dell’Iran e il diritto all’indipendenza culturale, ha affermato che sul tema delle esecuzioni sono in corso dibattiti nel Paese. L’Ambasciatore ha inoltre auspicato un effettivo cambio di direzione nei rapporti tra Iran e Occidente, con particolare riguardo agli Stati Uniti.

-        il 17 febbraio 2009; all’incontro hanno partecipato anche il Ministro senza portafoglio per le riforme per il federalismo, on. Umberto Bossi (LNP), e l’on. Giancarlo Giorgetti (LNP), Presidente della V Commissione Bilancio.

Nel corso dell’incontro è stata sottolineata la portata e la qualità dei rapporti bilaterali con l’Italia, che figura tra i maggiori partners commerciali dell’Iran. La situazione politica interna, ha evidenziato l’Ambasciatore, è totalmente polarizzata dalle elezioni presidenziali previste in giugno. Nell’esaminare la questione nucleare, ha inoltre sottolineato sempre l’Ambasciatore, è necessario tenere conto di come l’Iran resti un Paese in via di sviluppo, con una popolazione prevalentemente giovane, e per questo è stato deciso di dare il via ad un programma nucleare con scopi civili. Da ultimo, l’Ambasciatore ha invitato Giorgietti e Bossi ad approfondire il dialogo e la conoscenza reciproca, anche in considerazione della possibilità di effettuare investimenti in Iran da parte degli imprenditori italiani

-        il 9 ottobre 2008, in occasione dell'inizio del suo mandato diplomatico in Italia.

Al centro dei colloqui c'è stata la difficile situazione internazionale ma anche i principali temi che riguardano le relazioni bilaterali tra l'Italia e l'Iran, da sempre molto intense, considerando che l'Italia è il primo partner commerciale europeo di Teheran. Al termine dell'incontro, l'Ambasciatore Haghbin ha rivolto al Presidente Stefani un invito a recarsi in visita a Teheran, a nome della Commissione Esteri dell'Assemblea consultiva islamica.

 

Il Presidente della Commissione Affari Esteri, Stefano Stefani, haincontrato a Roma, il 28 ottobre 2008, l’Ambasciatore italiano a Teheran, Alberto Bradanini.

Nel corso dell’incontro, Bradanini ha tracciato un approfondito quadro della situazione interna iraniana, dove il regime teocratico mantiene ancora solide basi. Bradanini ha affermato inoltre che alla base della questione nucleare iraniana sta il timore di subire attacchi esterni. Bradanini ha infine affermato che le possibilità di incrementare i rapporti economici bilaterali sono buone.

Il Presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea, Mario Pescante, e il Presidente del Comitato diritti umani, costituito presso la III Commissione, Furio Colombo, hanno incontrato separatamente e in forma privata, il 2 ottobre 2008,la sig.ra Rajavi.

 

 

Protocollo di cooperazione parlamentare

 

La Camera dei deputati e l’Assemblea Consultiva Islamica hanno firmato un Protocollo di cooperazione il 6 ottobre 1998, cui ha fatto seguito un Memorandum integrativo il 25 novembre 2000. Il Protocollo prevede la formazione di un Gruppo interparlamentare, che si riunisca con cadenza annuale, per discutere temi di comune interesse. Il Protocollo prevede anche forme di cooperazione a livello di Commissioni parlamentari e fra le amministrazioni delle due Assemblee.

La ricostituzione del gruppo nel corso della XVI legislatura - sebbene sollecitata dalla parte iraniana (con lettera del 29 gennaio 2009 dell’allora Ambasciatore Fereidun Haghbin al Presidente della Camera) - non è ancora avvenuta.

 

Nella XV Legislatura, i componenti del Gruppo di lavoro parlamentare sono stati nominati dal Presidente della Camera nel mese di giugno 2007. La parte italiana del Gruppo è stata presieduta dall’On. Luciano Violante, Presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera, e composta dai deputati Emerenzio Barbieri, Nicola Bono, Enrico Buemi, Fabio Evangelisti, Antonello Falomi, Osvaldo Napoli, Gianluca Pini e Jacopo Venier.

Presidente della parte iraniana del Gruppo era Shahryar Moshiri, membro della Commissione per la ricerca e la formazione dell’Assemblea consultiva islamica.

 

Si è svolta a Roma, dal 15 al 17 ottobre 2007, la prima riunione del Gruppo interparlamentare Italia-Iran.

Al centrodel dibattito vi sono stati  argomenti di comune interesse, articolati in tre sessioni di lavoro vertenti sui seguenti temi:

-                        il traffico di droga nelle aree di confine con l’Afghanistan;

-                        la situazione nell’area medio-orientale ed il ruolo dell’Unione europea;

-                        la tutela dei diritti umani ed il rispetto delle diversità culturali.

 

Si ricorda infine che nella XIV legislatura era Presidente della parte italiana del Gruppo interparlamentare l’on. Ferdinando Adornato (FI); la parte iraniana era invece presieduta dall'on. Ahmad Bourqani Farahani.

 

 

Unione interparlamentare

 

 

Nell'ambito dell'Unione interparlamentare, nella XVI Legislatura la sezione di amicizia Italia-Iran è presieduta dal Sen. Enzo Bianco. Ne fanno parte inoltre il sen. Franco Marini e gli onn. Emerenzio Barbieri e Antonio Razzi.

 

Disegni di legge di ratifica di trattati internazionali all’esame del Parlamento

 

Non vi sono disegni di legge di ratifica di trattati internazionali riguardanti l’Iran attualmente all’esame del Parlamento.

 

 

Atti di indirizzo e di controllo

 

Il 25 maggio 2011 è stata presentata dalla sen. Bonino l’interrogazione a risposta orale 3-02196 sull’arresto dell’attivista iraniana per i diritti umani Maryam Bahrman (l’iter è in corso). Sullo stesso tema l’interrogazione a risposta orale 3-02191 della sen. Marinaro (l’iter è in corso).

Si segnala inoltre:

·       l’interrogazione a risposta orale 3-01915 presentata dal sen. Marcenaro il 15 febbraio 2011, sul rispetto dei diritti umani in Iran richiamando il colloquio dell'11 febbraio 2011, tra il Ministro Angelino Alfano e l'ambasciatore iraniano a Roma, Mohammad Ali Hosseini, in materia di cooperazione giudiziaria tra l'Italia e l'Iran (l’iter è in corso),

·       l’interrogazione a risposta scritta 4-13007 presentata dall’On. Coscioni e relativa alla detenzione del medico iraniano Arash Alaei  (l’iter è in corso);

·       l’interrogazione a risposta scritta 4-11013 presentata dall’On. Fucci il 24 febbraio 2011, quali urgenti iniziative intenda assumere il Governo, sia nell'ambito dei suoi rapporti bilaterali con l'Iran che nell'ambito della politica estera dell'Unione europea, per fare concrete pressioni sul regime di Teheran in tema di libertà politiche e religiose e in tema di tutela dei più elementari diritti umani. Ad essa il governo ha risposto il 24 maggio 2011 (vedi allegato);

·       l’interrogazione a risposta scritta 4-10993 presentata dall’On. Di Stanislao il 23 febbraio 2011, sul rispetto dei diritti umani in Iran e sui rapporti tra il Governo italiano e l’Iran, a cui il governo ha risposto il 23 maggio 2011 (vedi allegato).

 

Per quanto riguarda il caso della sig.ra Sakineh, condannata a morte dalle autorità iraniane e la cui esecuzione è stata momentaneamente sospesa, si ricorda che alla Camera è stata presentata il 5 ottobre 2010 la mozione 1-00450 (primo firmatario Zamparutti Elisabettta). In questa si impegna il Governo a:

-       ad intervenire presso le autorità iraniane perché sia scongiurata l'esecuzione di Sakineh Mohammadi Ashtiani e perché siano annullate le sentenze capitali nei confronti di persone minori di 18 anni al momento del reato e sia favorito un progressivo adeguamento a standard più avanzati a tutela dell'individuo;

-       ad avviare, in vista del voto all'Assemblea generale dell'ONU sulla risoluzione pro-moratoria, un'azione volta ad aumentare il numero di cosponsor e di voti a favore e a rafforzare il nuovo testo sui seguenti punti: abolizione dei «segreti di Stato» sulla pena di morte; limitazione della pena di morte ai reati più gravi; abolizione della condanna a morte obbligatoria per certi tipi di reato;

-       a incoraggiare ulteriormente le attività promosse dalle organizzazioni non governative per l'abolizione della pena di morte.

La mozione è stata approvata all’unanimità (tre sole astensioni) il 6 ottobre 2010.

 

Atti di indirizzo e di controllo sulla questione dei Mujahiddin del Popolo

E’ stata presentata presso la Commissione Affari esteri, il 1° ottobre 2008, la risoluzione in Commissione 7-00047 (firmatario Paolo Guzzanti) in cui viene trattato il tema dell’inserimento dell’Organizzazione dei Mujahidin del Popolo Iraniano (OMPI) -considerata a livello internazionale di matrice terroristica e legata al Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (NCRI) - nella lista delle persone e delle entità i cui fondi devono essere congelati nell'ambito della lotta al terrorismo. In essa si impegna il Governo a:

§           a partecipare attivamente alla revisione semestrale di tale lista da parte del Consiglio dell'Unione europea al fine di accertare che la presenza di organizzazioni e individui nell'elenco delle organizzazioni terroristiche sia realmente giustificata, tenendo conto dei rilievi mossi dalla sentenza del 12 dicembre 2006 del Tribunale di Prima Istanza della Corte di Giustizia delle Comunità europee alle precedenti decisioni del Consiglio, in particolare, per quanto riguarda la condizione preliminare di una decisione della autorità nazionale competente, l'obbligo di comunicazione e motivazione, il diritto di difesa;

§           a chiedere in sede di Consiglio dell'Unione europea la cancellazione dell'OMPI dalla lista delle persone e delle entità i cui fondi devono essere congelati nell'ambito della lotta al terrorismo, e in particolare a votare contro il mantenimento dei Mojaheddin del popolo nella lista, durante la prossima revisione del Consiglio, atteso che alla luce della analoga cancellazione effettuata dal governo britannico dalla propria lista nazionale, si assicura così il pieno rispetto della sentenza del Tribunale di Prima Istanza della Corte di Giustizia;

§           a chiedere alle autorità irachene e statunitensi di tenere conto della esigenza di rigoroso accertamento di eventuali responsabilità di singoli appartenenti alla predetta OMPI e al contempo di garanzia dei diritti di difesa, e in particolare di non rimpatriare in modo forzato verso l'Iran qualsiasi membro dell'opposizione, profugo o richiedente asilo iraniano, il quale correrebbe il grave rischio di subire persecuzioni, e di lavorare, in particolare, con l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e altri soggetti al fine di trovare una soluzione duratura soddisfacente alla situazione delle persone attualmente ospitate presso il Camp Ashraf.

L’atto è stato approvato, con alcune modifiche, come risoluzione conclusiva di dibattito (8-00019) il 3 dicembre 2008. In particolare, la risoluzione approvata mantiene sostanzialmente inalterato il primo impegno al Governo, elimina il secondo e, in relazione al terzo, inserisce il riferimento alla Convenzione delle Nazioni Unite del '51 sul Diritto dei Rifugiati e del suo Protocollo aggiuntivo del '67.

Ad essa hanno fatto seguito, sullo stesso tema, le interrogazioni in Commissione 5-00764 Mecacci ed altri e 5-00790 Evangelisti ed altri, cui il Governo ha dato risposta il 21 gennaio 2009.

Gli interroganti chiedevano al Governo se: fosse a conoscenza degli ultimi sviluppi giuridici in merito alla cancellazione dell'Organizzazione dei Mujaidin del popolo dell'Iran dalla lista nera dell'Unione europea; in previsione della riunione del 26 e 27 gennaio 2009 del Consiglio affari generali e relazioni esterne dell'Unione europea, l'Italia non ritenesse di creare un fronte favorevole al rispetto del principio della legalità e delle varie delibere delle Corti europee che si sono susseguite negli anni e di chiedere la cancellazione dell'Organizzazione dei Mujaidin del popolo dell'Iran dalla lista delle organizzazioni terroristiche dell'Unione europea.

Il Sottosegretario per gli affari esteri,Enzo Scotti, ha evidenziato che il Governo ritiene essenziale favorire in seno all'Unione Europea la formazione di regole e procedure in materia di lotta al terrorismo che garantiscano il rispetto dei diritti fondamentali, specialmente del diritto alla difesa, consentendo al tempo stesso di poter efficacemente contrastare le organizzazioni terroristiche.Le indicazioni provenienti dai giudici di Lussemburgo sono preziose al fine di tracciare un equo bilanciamento fra tutela dei diritti umani e tutela della sicurezza. Le future decisioni consiliari in materia continueranno a richiedere l'unanimità e la delicatezza di queste tematiche deve far prediligere una politica favorevole al consolidamento di un ampio consenso tra i partner, sulla base degli elementi di cui gli Stati membri di volta in volta disporranno, e secondo procedure via via affinate alla luce dei dettami della giurisprudenza.

 

Premio Alexander Langer

 

Durante la consegna del premio Alexander Langer 2010 è stato proiettato un video sulla giornalista, Narges Mohammadi, che continua ancor oggi a subire restrizioni nella libertà personale da parte delle autorità di Teheran.

Il Premio Alexander Langer 2009 è stato assegnato all’iraniana Narges Mohammadi, giornalista, Vicepresidente e Portavocedel Centro dei difensori dei diritti umanie Presidente delComitato esecutivo delConsiglio Nazionale della pace.

Le autorità iraniane hanno, senza motivazione ufficiale, ritirato il passaporto a Narges Mohammadi vietandole così l’espatrio.

In sua vece, il premio è stato quindi ritirato da Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace 2003, della quale la signora Mohammadi è stretta collaboratrice.

 

 

 


Relazioni parlamentari Italia-Federazione russa

 

Presidente della Duma

Boris V. Gryzlov

Presidente del Consiglio della Federazione

Sergey M. MironoV

 

 

RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE

Ambasciatore in Russia:

S.E. Antonio Zanardi Landi

Ambasciatore in Italia:

S.E. Alexei  Meshkov 

 

 

Incontri del Presidente

 

Il 27 ottobre 2010, Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha rivolto un indirizzo di saluto all’apertura dell’XI riunione della Grande Commissione Italia-Russia che si è tenuta a Roma e Bari dal 26 al 29 ottobre 2010.

 

Il 15 aprile 2010, il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha ricevuto la visita del Presidente del Consiglio della Federazione russa, Sergej Mironov, in visita a Roma per partecipare alla partecipare ai lavori della XII riunione dell’Associazione dei Senati d’Europa, ospitata dal Senato della Repubblica il giorno successivo. Il Presidente russo ha sottolineato l’eccellente andamento dei rapporti bilaterali, sia a livello governativo, sia a livello bilaterale, indicando a tale proposito che la Grande Commissione Italia-Russia costituisce un importante strumento di collaborazione e di dialogo. Il colloquio si è poi focalizzato sulla questione della crisi economica e finanziaria globale. Il Presidente Mironov ha descritto con preoccupazione la situazione in Russia, dove la crisi economica ha inciso negativamente sulla fiducia dei cittadini nei confronti della politica che non ha potuto dare risposte adeguate ai problemi della disoccupazione, aumentata sensibilmente, e della diminuzione dei redditi pro capite. La situazione attuale ha dimostrato, a giudizio di Mironov, che lo Stato non può uscire completamente dall’economia e che la teoria liberale classica in questo caso non è sufficiente a dare risposte adeguate ai problemi sociali.

 

Il 12 e 13 settembre 2009, il Presidente della Duma Russa, Boris Gryzlov, ha partecipato alla riunione dei Presidenti delle Camere basse dei Paesi del G8 e all’incontro allargato ai Presidenti di Brasile, Cina, Egitto, India, Messico e Sud Africa. Nel corso della riunione il Presidente Gryzlov è intervenuto nella II Sessione dei lavori dedicati al Ruolo dei Parlamenti nella promozione del dialogo interculturale e dell’integrazione sociale.

 

In occasione della IX riunione della Grande Commissione Italia-Russia, il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha incontrato il 24 novembre 2008, la Vice Presidente della Duma e Presidente della parte russa della Grande Commissione, on. Liubov Sliska. L’incontro, cui ha partecipato il Vice Presidente della Camera e Presidente della parte italiana della Grande Commisisione, on. Lupi, insieme ad altri membri della Grande Commissione, si è svolto in un clima di grande cordialità. Il Presidente Fini, dopo aver ricordato che le riunioni della Grande Commissione costituiscono per la Camera una prassi straordinaria che testimonia l’importanza annessa ai rapporti con la Russia, ha sottolineato l’importanza della diplomazia parlamentare come strumento di approfondimento del dialogo e della collaborazione reciproca. La Vice Presidente Slinska ha salutato con favore l’approfondimento e l’intensificazione delle relazioni bilaterali, sia sotto il profilo politico che sotto il profilo economico e commerciale ed ha espresso soddisfazione per il trasferimento alla Russia dell’area limitrofa alla Chiesa di San Nicola a Bari. Il colloquio si è poi incentrato sul tema della sicurezza: il Presidente Fini ha sottolineato che l’Italia attribuisce un grande peso al ruolo dell’OSCE perché la sicurezza internazionale non può essere garantita da un solo organismo come la NATO, pena un approccio troppo unilaterale. L’on. Sliska da parte sua ha espresso preoccupazione per un atteggiamento di chiusura nei confronti della Russia che si sarebbe accentuato dopo l’ingresso nell’Unione europea di nuovi membri. Il Presidente Fini, a tale proposito, ha indicato che a suo avviso non si può parlare di “umori negativi” ma che il peso della storia incide ed occorre esercitare un’azione equilibrata, cercando di capire le ragioni degli uni e degli altri e promuovendo un’iniziativa forte a favore dei diritti delle minoranze, sia relativamente alle minoranze russe nei Paesi baltici che alle altre minoranze. In relazione alla crisi caucasica della scorsa estate, il Presidente Fini ha affermato che c’è stato il rischio di creare una frattura grave nella comprensione delle ragioni reciproche, perché l’inviolabilità dei confini di uno Stato sovrano è un principio molto importante del diritto internazionale. Su questo tema la Vice Presidente Sliska ha ribadito che si è trattato di una provocazione operata dalla Georgia, come è stato anche confermato dalla missione di esperti.

 

Il Presidente Fini ha avuto un colloquio con il Presidente della Duma, Boris Gryzlov, il 1° settembre 2008, a margine della riunione del G8 a Hiroshima. Durante il colloquio è stato sottolineato il buon andamento delle relazioni bilaterali sia a livello governativo, sia a livello parlamentare. In particolare, è stata sottolineata l’importanza della cooperazione politica parlamentare come elemento di equilibrio ed è stato sottolineato il ruolo che in tal senso può svolgere la Grande Commissione italo-russa. Il Presidente Fini ha sottolineato che l’Italia annette grande rilevanza alle relazioni tra Russia ed Unione europea, la cui cooperazione è essenziale in molti settori tra cui la lotta contro il terrorismo. Nell’ambito del colloquio ampio spazio è stato dedicato alla crisi tra la Georgia e la Russia; il Presidente Fini ha sostenuto che in questo momento occorre lavorare con molta buona volontà perché esiste un rischio di arretramento nelle buone relazioni a cui bisogna opporre un atteggiamento costruttivo ed equilibrato, nel rispetto delle diverse sensibilità. Il Presidente Fini ha poi rivolto l’invito al Presidente Gryslov di recarsi a Roma in occasione della riunione della Grande Commissione.

 

Il 16 giugno 2008, il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha incontrato l'Ambasciatore della Federazione Russa, Alexey Meshkov.

 

 

Incontri delle Commissioni

 

Una delegazione della Commissione affari esteri, guidata dal Presidente Stefani, si è recata in visita ufficiale a Mosca il 23 aprile 2009. Nel corso della visita si sono svolti colloqui con parlamentari ed incontri con rappresentanti del mondo imprenditoriale.

 

Il Presidente della Commissione Affari esteri, on. Stefano Stefani, il 23 settembre 2008, ha incontrato – durante una colazione di lavoro – l’Ambasciatore russo a Roma, Alexey Meshkov con il quale ha avuto uno scambio di vedute sulla crisi russo-georgiana.

 

 

Grande Commissione

 

Il 15 giugno 1999 è stato firmato a Mosca dal Presidente della Camera dei deputati, Luciano Violante, e dal Presidente della Duma di Stato dell’Assemblea Federale della Federazione russa, Gennadij N. Seleznev, un Protocollo di collaborazione che prevede la creazione di una Commissione parlamentare di collaborazione tra le due Assemblee, denominata Grande Commissione, presieduta dai Presidenti delle Camere o da loro delegati, che si riunisce annualmente per discutere temi preventivamente concordati.

Nella XVI legislatura, il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha chiamato a far parte della Grande Commissione i seguenti deputati: Maurizio Lupi (PDL, Vice Presidente della Camera e Presidente della parte italiana della Grande Commissione), Lorenzo Cesa (UDC), Claudio D’Amico (LNP), Ugo Lisi (PDL), Riccardo Migliori (PDL), Andrea Rigoni (PD) e Marina Sereni (PD). Su richiesta dell’’on. Cesa, che non aveva potuto partecipare alle riunioni del Gruppo per concomitanti impegni, il Presidente Fini ha chiamato a far parte del Gruppo l’on. Salvatore Ruggeri (che aveva sostituito l’on. Cesa nella X e nell’XI riunione).

La XII riunione della Grande Commissione si è svolta a Mosca il 4 e il 5 luglio 2011 ed è stata dedicata ai seguenti temi:

·       Le prospettive dell'introduzione del regime di abolizione dei visti per le visite brevi dei cittadini russi e dei cittadini dei Paesi dell'UE e intesa bilaterale su tale regime relativamente ai titolari di passaporti di servizio.

·       La realizzazione del Programma di modernizzazione della Russia: il potenziale della cooperazione russo-italiana economica, scientifica e tecnica.

·       La base legislativa e lo sviluppo dell'istituto di controllo parlamentare nel campo della lotta alla corruzione: esperienze russe ed italiane,

·       Le questioni attuali dello sviluppo dell'energia atomica: le possibilità della collaborazione russo-italiana nel settore.

Al termine della riunione, le Parti hanno approvato una Dichiarazione finale che indica, tra l’altro, che la prossima riunione sarà ospitata in Italia e, su invito dell’on. Migliori, sarà organizzata una parte dei lavori a Firenze.

Il 5 luglio 2011, il Presidente della Duma russa, Boris Gryzlov, ha avuto un colloquio con il Presidente Lupi e gli altri componenti della Grande Commissione.

 

L’XI riunione della Grande Commissione Italia-Russia si è tenuta a Roma, il 27 ottobre 2010 ed è stata articolata sui seguenti temi:

·       Decennale della Convenzione ONU di Palermo contro la criminalità organizzata: bilancio e prospettive:

·       Cooperazione culturale italo-russa in vista del 2011, anno della cultura e della lingua russa nella Repubblica italiana e della cultura e della lingua italiana in Russia;

·       Misure economiche e sociali dinanzi alla crisi economica globale;

·       Il fenomeno migratorio in Russia e in Italia: esperienze a confronto.

Al termine della riunione, il 28 ottobre 2010, la parte russa della Grande Commissione, accompagnata dai deputati Ugo Lisi e Andrea, si è recata in visita a Bari dove ha visitato la Basilica di San Nicola, assistendo alla funzione religiosa  nella cripta ortodossa. In tale occasione hanno incontrato le autorità locali della regione Puglia e del Comune di Bari.

 

La X riunione della Grande Commissione si è tenuta a Mosca il 9 novembre 2009 ed è stata incentrata sui seguenti temi:

·       Creazione di un sistema di sicurezza stabile ed efficace in Europa. Iniziativa russa di elaborazione di un Accordo di sicurezza europea;

·       Sviluppo del dialogo Russia-NATO. Ruolo del parlamento russo ed italiano nella realizzazione della cooperazione della Russia

·       con l’alleanza Nord-Atlantica in base ai principi della Dichiarazione di Rom;

·       Le riforme statali in Russia e in Italia: analisi comparativa e scambio di esperienze;Interazione nel settore culturale e umanitario quale effettivo strumento della diplomazia. Partecipazione del Parlamento nella realizzazione dell’organizzazione congiunta nel 2011 dell’anno della cultura e della lingua russa in Italia e dell’anno della cultura e della lingua italiana in Russia.

Il giorno successivo una delegazione della Parte italiana della Commissione, guidata dal Presidente, on. Maurizio Lupi, è stata ricevuta dal Presidente della Duma, Boris Grizlov. Nell’ambito del colloquio è stata sottolineata l’importanza del dialogo parlamentare in vista di un ulteriore rafforzamento della già eccellente qualità delle relazioni bilaterali in campo politico, economico (nonostante il calo congiunturale determinato dalla crisi finanziaria internazionale) e culturale, a corollario della straordinaria frequenza ed intensità del rapporto fra i Governi.

 

La IX riunione della Commissione si è tenuta a Roma e Milano dal 24 al 27 novembre 2008 si è articolata sui seguenti temi:

·       Dialogo interculturale e interreligioso: principi etici e valori comuni nelle legislazioni;

·       Il rapporto tra la Russia e l’Unione europea: prospettive di partenariato strategico e cooperazione nell’ambito degli organismi internazionali, sullo sfondo dei problemi congiunturali attuali;

·       Lotta al terrorismo internazionale, creazione di uno spazio unico europeo, politiche di contrasto all’immigrazione illecita;

·       Nuove sfide per uno sviluppo sostenibile: politica energetica, qualità e sicurezza alimentare.

 

La Grande Commissione, a Milano, è stata ricevuta dal Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, dal Presidente del Consiglio regionale De Capitani e dal Sindaco di Milano, sig.ra Moratti.

 

 

 

 

 

Cooperazione multilaterale

 

Il Parlamento russo invia proprie delegazioni alle Assemblee del Consiglio d’Europa e dell’OSCE nonché della NATO (in quanto membro associato).

 

Il 12 novembre 2008, il Presidente della Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'OSCE, on. Riccardo Migliori (An), ha incontrato l'Ambasciatore della Federazione russa a Roma, Aleksey Turevich Meshkov. Nel corso dell'incontro si e' discusso, in particolare, dell'esigenza di una nuova valorizzazione del ruolo dell'Osce, per migliorare i livelli di sicurezza e cooperazione in Europa. A tal fine le due Parti hanno convenuto sulla necessità di assicurare un migliore coordinamento in ambito OSCE tra la delegazione italiana e quella russa.

 

Il 20 giugno 2002 si sono incontrate a Palazzo Madama le delegazioni parlamentari russa ed italiana presso l’Assemblea Parlamentare della NATO e fra le parti è stato siglato un Memorandum comune. Da allora si è sviluppato un dialogo che ha riguardato i principali temi della politica internazionale, con particolare riguardo alle prospettive di cooperazione tra NATO e Russia ed alla lotta al terrorismo. Al termine dell’ultimo incontro,che si è tenuto a Roma il 2 aprile 2007, è stata sottoscritta una versione aggiornata ed emendata del Memorandum di cooperazione.

 

 

Unione Interparlamentare (UIP)

 

Nell'ambito dell'Unione interparlamentare, opera la sezione di amicizia bilaterale Italia-Federazione russa, presieduta dal senatore Nicola Latorre (PD).

 

Attività legislativa

 

A.C. 4135: Ratifica ed esecuzione del Protocollo di modifica della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Federazione russa per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo Aggiuntivo, del 9 aprile 1996, fatto a Lecce il 13 giugno 2009. Approvato definitivamente dalla Camera il 14 aprile 2011, Legge n. 80/11 del 13 maggio 2011, GU n. 130 del 7 giugno 2011.

 

A.C. 2264: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Federazione russa sulla cooperazione nella lotta alla criminalità, fatto a Roma il 5 novembre 2003. Approvato definitivamente dalla Camera, il 14 maggio 2009. Legge n. 73 del 29 maggio 2009, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 143 del 23 giugno 2009.

 

La Camera dei deputati, il 18 novembre 2008, ha approvato il disegno di legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 147 del 2008: recante disposizioni urgenti per assicurare la partecipazione italiana alla missione di vigilanza dell'Unione europea in Georgia, A.C. 1802, già approvato dal Senato il 15 ottobre 2008.

 

 


Rapporti parlamentari con la Repubblica popolare democratica di Corea
(Corea del Nord)

 

Presidente dell’Assemblea Suprema del Popolo

Choe Thae Bok

Ambasciatore d’Italia a Seoul, accreditato anche per la Repubblica popolare democratica di Corea, 

Sergio Mercuri (dal dicembre 2010)

Ambasciatore della Repubblica popolare democratica di Corea in Italia

Tae Song Han (dal maggio 2007)

 

XVI LEGISLATURA

 

Si segnala che l’Ambasciatore Han Tae Song ha inviato al Presidente Fini una lettera di congratulazioni all’indomani della sua elezione alla Presidenza della Camera oltre ad auspicare l’ulteriore rafforzamento dei rapporti di collaborazione tra i due Parlamenti. A questa lettera il Presidente Fini ha risposto il 15 maggio 2008.

Successivamente l’Ambasciata della Repubblica Popolare Democratica di Corea con nota verbale del 28 luglio 2008 ha invitato il Presidente della Camera Fini a compiere una visita ufficiale in questo paese in risposta alla visita in Italia del Presidente dell’Assemblea Suprema Popolare Choe Tae Bok, avvenuta nell’ottobre 2007.

Si segnala, inoltre, che con lettera dell’11 novembre 2008 indirizzata al Presidente della Camera Fini, l’on. Napoli ha comunicato di aver costituito il gruppo parlamentare di amicizia Italia-Nord Corea al quale hanno aderito 29 parlamentari. Si tratta di un gruppo informale che non si inquadra in ambito UIP.

 

INCONTRI BILATERALI

Il 20 luglio 2010, a Ginevra, in occasione della Terza Conferenza mondiale dei Presidenti dei Parlamenti promossa dall’Unione interparlamentare (UIP), il Vicepresidente Rocco Buttiglione ha incontrato il Presidente dell’Assemblea Suprema del Popolo (Parlamento) della Corea del Nord, Choe Thae Bok.

Nel corso dell’incontro, Thae ha ricordato l’impegno diplomatico italiano per rompere l’isolamento del Paese. Ha quindi rilevato che la situazione fra le due Coree si è molto aggravata nei tempi recenti (nel 2008 il Governo di Seul ha definito “tempo perso” lo sforzo decennale di riavvicinamento alla Corea del Nord). Attualmente il dialogo è “congelato” mentre sono in corso indagini sull’affondamento della nave sudcoreana, indagini che Pyongyang non vorrebbe affidate alla sola Corea del Sud. Per il regime nordcoreano inoltre l’area è troppo condizionata dagli interessi degli USA. L’On. Buttiglione ha da parte sua sottolineato l’importanza dell’impegno diplomatico, anche a livello parlamentare, ed ha assicurato l’impegno italiano nei programmi di assistenza delle Nazioni Unite rivolti al Paese asiatico  (la Corea del Nord deve compiere maggiori sforzi per tutelare i diritti umani, cui si dovrebbe fare riferimento anche nella Costituzione). Ha quindi osservato che la tensione tra le due Coree può essere risolta solo attraverso i “Six Parts Talks”. Da ultimo, il Presidente coreano ha ricordato i successi della cooperazione bilaterale nella coltivazione della frutta.

 

INCONTRI DELLE COMMISSIONI E DELLE DELEGAZIONI

Il 22 luglio 2009 il Presidente della Commissione Affari Esteri, onorevole Stefano Stefani, ha incontrato l’Ambasciatore della Repubblica Popolare Democratica di Corea, Han Tae Song.

Quest’ultimo, in particolare, ha sollevato la questione dei lanci missilistici realizzati dal suo Paese, sottolineando che si tratta di informazioni non del tutto rispondenti a verità, dal momento che il lancio del satellite nell’aprile 2009 è stato effettuato nel pieno rispetto delle norme internazionali. Inoltre, l’Ambasciatore ha nuovamente osservato come sul piano internazionale si applichino due pesi e due misure: quando altri Stati occidentali compiono esperimenti nucleari non succede nulla e quando li compie il Suo Paese si porta il caso al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, in particolare, su iniziativa degli Stati Uniti e del Giappone. Le iniziative assunte dalla Corea del Nord hanno, secondo l’Ambasciatore, carattere difensivo, in quanto si sente minacciata dalle armi nucleari degli USA. In merito ai  Six Party Talks, ha precisato che il suo paese ha compiuto tutti i passi richiesti, mentre non altrettanto si può dire degli altri Paesi che vi partecipano (l’obiettivo dei Six Party Talks è la denuclearizzazione dell’intera penisola coreana, ha affermato, ma l’impressione è che si vuole veramente denuclearizzare solo la Corea del Nord).

Il Presidente Stefani dal canto suo ha, tra l’altro, osservato che l’Italia fa parte dell’ONU e ne rispetta le decisioni. Si è detto inoltre convinto che gli USA non intendano attaccare la Corea del Nord e, comunque, non sarebbe il deterrente atomico coreano a fermarli qualora ne avessero intenzione. Ha quindi evidenziato che  i rapporti bilaterali tra Italia e Corea del Nord sono improntati all’amicizia (pur rilevando che sulla questione del nucleare l’Italia non è l’interlocutore adatto). Ha poi precisato che si augura che vengano cancellate presto le sanzioni contro la Corea del Nord, che per l’Italia rappresenta un mercato di sbocco di rilievo.

A conclusione dell’incontro l’Ambasciatore ha sollecitato la ricostituzione della sezione bilaterale di amicizia in ambito UIP e lo sviluppo delle relazioni parlamentari; ha quindi  invitato il Presidente Stefani a compier una visita nel suo paese anche al fine di poter acquisire una valutazione diretta (la stampa internazionale è prevalentemente occidentale e le ragioni nord coreane non vengono riportate).

Il 20 maggio 2009 il Presidente della Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della UEO, On. Gianpaolo Dozzo, ha incontrato l'Ambasciatore della Repubblica Popolare Democratica di Corea, S.E. Han Tae Song ed il Consigliere Ri Kwang Hyok.

Nel corso dell’incontro l’Ambasciatore ha ricordato le tappe più importanti  dei rapporti bilaterali tra Corea del Nord e Italia (dalla visita dell’on. Piccoli nel 1991, alla visita dell’allora Ministro degli estri Dini nel 2000). Ha quindi evidenziato che nel 2010 ricorre il 10° anno della ripresa dei rapporti bilaterali ed ha auspicato l’ulteriore rafforzamento dei rapporti parlamentari. Dopo aver fatto menzione dei tre accordi bilaterali siglati con l’Italia (i tre accordi con la Corea del Nord sono stati firmati nel 2000; si tratta dell’Accordo di Cooperazione Economica, Accordo di Promozione e Protezione degli Investimenti, Accordo di Cooperazione Culturale e Scientifica e sono in attesa di ratifica da parte italiana[38]), l’Ambasciatore ha sollecitato la ricostituzione del gruppo UIP. L’Ambasciatore si è poi soffermato sulla situazione della penisola coreana sottolineando che la Corea del nord ha sempre agito legittimamente in risposta a paesi ostili. Ha poi ribadito che il lancio del missile vettore[39] utilizzato per mettere in orbita un satellite del 5 aprile 2009 era a scopo pacifico e ha sottolineato che l’utilizzo pacifico dell’universo è un diritto di tutti i membri della comunità internazionale. E’ stata quindi evidenziata la posizione nordcoreana di protesta nei confronti del CdS ONU[40] per aver discusso del lancio di un satellite da parte nord coreana mentre per altri paesi non è mai stato fatto un passo in tal senso. L’Ambasciatore ha quindi sottolineato che il suo paese ha così deciso di non partecipare più ai Six Party Talks, le cui decisioni, peraltro, avrebbero ad oggi unicamente danneggiato la Corea del nord (che ha sempre rispettato gli impegni) a vantaggio dei paesi ostili mentre nulla è stato fatto per la denuclearizzazione della penisola coreana. Il Presidente Dozzo ha espresso le preoccupazioni italiane rispetto alla situazione creatasi ed ha ribadito la necessità di tenere aperti i canali diplomatici e di favorire comunque il dialogo tra le parti coinvolte per il bene della popolazione. L’Ambasciatore ha insistito nel ritenere le decisioni ONU una lesione alla sovranità del suo paese. Ha poi sottolineato che con l’ascesa al governo dei conservatori in Corea del Sud il dialogo si è interrotto; Han ha anche condannato il ruolo degli USA nella questione che secondo loro non aiuta la pace. L’Ambasciatore ha inoltre negato che la forza militare del suo paese sia composta da oltre un milione di individui (700mila secondo Han) e affermato che il servizio militare è volontario. Ha conclusione ha ricordato che il 9 aprile 2009  vi è stata la seduta inaugurale del nuovo parlamento ed ha invitato il Presidente Dozzo a recarsi in Corea del Nord.

Il 31 marzo 2009 il Presidente della Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, on. Riccardo Migliori, ha incontrato l’Ambasciatore della Repubblica Popolare Democratica di Corea (R.P.D. – Corea del Nord), S.E. Han Tae Song.

Nel corso dell’incontro l’Ambasciatore Song ha ricordato lo spirito di amicizia che tradizionalmente lega l’Italia e la Corea del Nord, anche a livello parlamentare, ed ha auspicato un rafforzamento delle relazioni parlamentari tra i due Paesi. Ha rammentato inoltre che l’onorevole Osvaldo Napoli ha costituito un gruppo di amicizia spontaneo. Ha ricordato che è in programma una missione del Sottosegretario Craxi entro il 2009 in Corea del Nord e che è previsto, per il dicembre 2009, un seminario per scambi e collaborazioni in campo scientifico. Chiede quindi che venga ricostituita la sezione di amicizia in seno alla UIP e comunica che l’on. Osvaldo Napoli prevede di effettuare una missione in Corea del Nord nel giugno 2009 e che vengano ratificati tre accordi bilaterali, non ancora ratificati dall’Italia.  Il Presidente Migliori osserva che il Parlamento italiano ha sempre avuto ottimi rapporti con il Parlamento della Corea del Nord, ma che al momento nessun gruppo di amicizia in ambito UIP è stato ancora ricostituito. Sarà tuttavia sua cura informare della richiesta il Presidente Martino. 

L’Ambasciatore Song ribadisce la priorità dei rapporti con Italia, che è stato il primo paese del G7 a riallacciare rapporti diplomatici con la Corea del Nord e ad effettuare scambi di visite a livello di Presidenti delle Camere. Auspica pertanto la visita di una missione parlamentare in Corea del Nord. Afferma inoltre che i politici europei non conoscono bene la situazione della Corea del Nord. Occorre, a suo dire, il massimo impegno per la denuclearizzazione della penisola coreana, in quanto anche in Corea del Sud ci sono armi nucleari. Afferma quindi che la situazione interna della Corea del Nord è stabile: vi è un miglioramento della vita del popolo attraverso lo sviluppo dell’economia e dell’industria. Lo scorso 8 marzo si sono svolte le elezioni. L’Ambasciatore Song auspica infine una collaborazione per la formazione di studenti nord-coreani in Italia.

L’11 dicembre 2008, l'On. Osvaldo Napoli, componente della Commissione esteri, ha incontrato l'Ambasciatore della Repubblica democratica di Corea Han Tae Song.

Nel corso del colloquio l’Ambasciatore ha espresso il proprio compiacimento per l’iniziativa assunta dall’onorevole Napoli relativa alla costituzione dell'Associazione parlamentare di amicizia Italia-Corea del Nord, cui aderiscono 30 parlamentari di entrambi i rami del Parlamento[41].

L’Ambasciatore ha quindi richiamato gli eventi più recenti che hanno riguardato il suo Paese, facendo in particolare riferimento al nuovo round di colloqui dei “Six Party Talks” (Pechino, 8 dicembre 2008); in merito, ha evidenziato come la mancata accettazione della proposta di documento finale da parte nord coreana sia dovuta alla necessità di un ulteriore approfondimento di alcune questioni rilevanti rimaste irrisolte; ha quindi sottolineato l’opportunità, da parte degli altri partners, di affiancare le azioni della Corea del Nord che, secondo l’Ambasciatore sono sempre un passo più avanti degli altri, ad altrettante azioni, in virtù di una “contemporaneità” che mancherebbe.

L’Ambasciatore dopo aver fatto riferimento agli intensi contatti bilaterali con l’Italia (segnalando la presenza in Italia, in quei giorni di delegazioni di  imprenditori nord coreani), ha espresso critiche nei confronti dell’attuale governo sud coreano che non avrebbe interesse a promuovere l’attività di Gaesong e che vorrebbe bloccare il dialogo intercoreano. L’on. Napoli ha quindi ricordato come l’Italia appoggi e sostenga qualsiasi iniziativa sulla strada della denuclearizzazione, della pace, del dialogo intercoreano, e che vi sia in futuro, la possibilità dell’apertura di una nostra Ambasciata.

L’Ambasciatore ha in proposito ricordato che l’Italia è stato il primo paese del G7 ad aprire relazioni diplomatiche con la Corea del Nord e che quindi è inusuale che non abbia ancora un’Ambasciata (così come da loro più volte auspicato). Han ha espresso apprezzamenti per l’Ambasciatore d’Italia in Corea del Sud, Leggeri, (competente anche per la Corea del Nord) evidenziandone l’attivismo e le sue missioni a Pyongyang ogni tre mesi. A conclusione dell’incontro l’Ambasciatore ha invitato l’onorevole Napoli a visitare con una delegazione la Corea del Nord.

 

Il 2 dicembre 2008 il Presidente della Commissione affari esteri, Stefano Stefani, ha ricevuto il Vice Ministro degli esteri nord coreano con delega per l’Europa, Kung Sok Ung. Il Vice Ministro era accompagnato dall’ Ambasciatore della Corea del Nord in Italia, Han Tae Song, dal Vice Direttore Generale della Direzione Generale per l’Europa presso il Ministero degli esteri nordcoreano, Kim Son Gyong, e dall’ Ambasciatore d’Italia nella Repubblica di Corea, Massimo Andrea Leggeri.

Il Vice Ministro KUNG si trovava in Italia per partecipare alla VI edizione del seminario sulla denuclearizzazione della Corea del Nord, che si è svolto a Como il 1° dicembre 2008, organizzato dal MAE e dall’istituto Landau Volta.

Nel corso dell’incontro, il Vice Ministro ha ricordato gli ottimi rapporti bilaterali tra i due paesi che nel 2010 festeggeranno i 10 anni dalla ripresa delle relazioni diplomatiche (in merito ha incontrato il Sottosegretario Stefania Craxi). Dopo aver ricordato di aver incontrato il Presidente della Commissione esteri del Senato Dini, il Vice Ministro ha sottolineato l’importanza che il suo paese annette alla finalizzazione di 3 accordi bilaterali che riguardano: 1) la protezione degli investimenti, 2) lo sviluppo economico, 3) la cooperazione culturale. Il Presidente Stefani, da parte sua, ha sottolineato la necessità di chiudere il contenzioso con la SACE e ha quindi riferito di una disponibilità SACE di arrivare ad una conclusione. Kung ha poi affrontato il tema della riunificazione delle due Coree, che rimane un’aspirazione di tutto il popolo nord coreano e rispetto alla quale, il governo di Pyongyang ha lavorato in modo pacifico, lamentando, invece, la mancata volontà della Corea del Sud. Il Presidente Stefani ha quindi osservato la piena disponibilità italiana a sostenere la riunificazione e a promuovere il dialogo con la Corea del Sud anche nell’ambito dei Six Party Talks. A conclusione dell’incontro da parte nord coreana è stata rinnovata la richiesta di ricostituire il gruppo bilaterale di amicizia in ambito UIP.

Il 14 ottobre 2008, l'On. Osvaldo Napoli, componente della Commissione esteri, ha incontrato l'Ambasciatore della Repubblica democratica di Corea Han Tae Song.

L’Ambasciatore, dopo aver sottolineato come i rapporti tra l’Italia e la Corea del Nord si siano intensificati durante il precedente Governo Berlusconi, ha ricordato l’interesse del suo Paese a sviluppare ulteriormente i rapporti bilaterali, sia politici che parlamentari, con l’Italia e ha rinnovato la richiesta di ricostituire a breve il  gruppo di amicizia con la Corea del Nord in ambito UIP. L’Ambasciatore ha quindi ricordato la visita del Presidente del Parlamento nord-coreano in Italia nel 2007 e la precedente visita dell’allora Presidente della Camera, Luciano Violante, nel 2000.

L’On.le Napoli, da parte sua, ha espresso la soddisfazione dell’Italia per l’eliminazione della Corea del Nord dalla “black list” (“lista nera” dei paesi sponsor del terrorismo). Ha quindi evidenziato la disponibilità del nostro paese a aiutare la Corea del Nord e auspicato l’ulteriore sviluppo delle relazioni intercoreane. Ha quindi  ricordato di aver compiuto una missione in Corea del Nord con altri deputati del gruppo UIP nella XIV legislatura.

Han Tae Song ha, poi, ricordato che nel 2000 si è svolto il primo Vertice intercoreano, che ha costituito un punto di svolta nei rapporti tra i due Paesi (allo stato attuale, in molti settori, da quello politico a quello culturale, esiste molta collaborazione). L’Ambasciatore ha quindi fatto presente  che nel 2008 nel suo Paese si è festeggiato il 60° anniversario della Repubblica – come in Italia si è celebrato il 60° anniversario della Costituzione italiana. Rispetto alla decisione statunitense di cancellare dalla lista nera la Corea del Nord, l’Ambasciatore ha posto l’accento sul fatto che tale decisione presa nell’ottobre 2008, si sarebbe potuta anticipare; a suo avviso, infatti,  gli impegni presi dai due Paesi prevedevano una sorta di “contemporaneità” delle decisioni che non sempre si verifica: la Corea del Nord già a giugno 2008 aveva provveduto ad onorare i propri impegni. L’Ambasciatore ha quindi ribadito che la scelta del nucleare per la difesa è stata in parte causata dalle caratteristiche geografiche del Paese (che è molto piccolo e minacciato dai Paesi vicini) e in un certo qual modo anche dall’esperienza del dominio coloniale giapponese, che ha coinvolto la Corea del Nord dal 1910 al 1945. La sovranità territoriale per loro è sacra e va tutelata. Dei Paesi che fanno parte dei Six Party Talks, la Corea del Nord è il Paese più piccolo ed economicamente debole, per cui l’esigenza di difendersi è sempre stata molto forte, anche se la scelta della denuclearizzazione è ormai una scelta irreversibile.

A conclusione dell’incontro l’On.le Napoli si è impegnato a comunicare i contenuti del colloquio alle sedi istituzionali più opportune e affermato che lo stesso Ministro degli Esteri Franco Frattini ha dato disponibilità per un incontro a livello politico, anche alla luce dei recenti cambiamenti che hanno riguardato la Corea del Nord.

 

Il 1° luglio 2008 il Presidente della Commissione esteri, on. Stefano Stefani, ha incontrato l’Ambasciatore della Corea del Nord Han Tae Song.

Si è trattato di un colloquio informativo durante il quale l’Ambasciatore ha evidenziato le difficoltà nei rapporti economici bilaterali dovuti all’esistenza del contenzioso del debito SACE relativo ad un debito mai pagato dalle autorità nord-coreane e all’adozione di misure restrittive da parte dell’UE sulle esportazione e importazioni con la Corea del Nord (vi era infatti da parte coreana l’intenzione ad importare macchinari per la produzione di pane e per la sterilizzazione ma ciò è stato impedito dalla presenza di tali misure comunitarie). Ha quindi ulteriormente rilevato che nel suo paese è stato avviato un vasto progetto di costruzione di strade e di autostrade e ha sottolineato che anche in questo caso vi sarebbe l’intenzione da parte della Corea di acquistare macchinari e mezzi di carico per la realizzazione delle strutture viarie dall’Italia per un ammontare di 10 milioni di euro: su questo ha chiesto all’on. Stefani un interessamento. Da parte sua il Presidente Stefani ha ricordato come il 26 giugno 2008 con la presentazione del dossier nucleare da parte della Corea del Nord si avvia la procedura per la cancellazione del suo paese dalla lista di stati canaglia. Stefani ha quindi assicurato all’Ambasciatore di impegnarsi per dare seguito alla richiesta di importazioni dall’Italia, dichiarando l’importanza di riattivare l’accordo di collaborazione culturale e scientifica e tecnologica bloccato dal 2000 anche in occasione della futura presidenza italiana del G8. Si è dunque impegnato a fare una nota all’IVECO e ad altre aziende del settore al fine di avviare dei contatti con l’Ambasciatore della Corea del Nord. Ha quindi auspicato una soluzione del contenzioso con la SACE e osservato che sarebbe opportuno prendere contatti con la SACE. L’Ambasciatore ha informato il Presidente Stefani che sono in corso contatti tra le autorità competenti e la SACE. Ha quindi espresso gratitudine per il credito erogato dall’Italia in un momento di difficoltà per il paese e ha dichiarato il suo impegno per una soluzione della questione. L’Ambasciatore ha ricordato che sono stati firmati già nel 2000 tre accordi tra i due paesi ma non sono stati ancora ratificati. Han Tae Song ha poi osservato che la Corea del Nord è un paese piccolo e che ha sempre subito aggressioni da parte di paesi stranieri; il ricorso al nucleare è dovuto al fatto che gli USA hanno introdotto il nucleare in Corea del Sud, ed è stato pertanto un passo necessario per difendere la propria sovranità (ha poi osservato che negli anni ’80 il governo nord coreano avanzò la proposta di denuclearizzare la penisola coreana). L’Ambasciatore ha inoltre fatto presente che nel 2000 Bush, appena insediatosi, ha indicato la Corea del Nord come primo obiettivo di attacco nucleare da parte degli USA e ciò ha indotto il suo paese a mantenere il nucleare pur sostenendo il “Colloquio a Sei”. In merito l’Ambasciatore ha sottolineato la necessità di passi importanti anche da parte degli altri paesi del processo  ribadendo che il loro obiettivo è la denuclearizzazione della penisola coreana. Han Tae Song ha altresì chiesto una nostra azione affinché l’UE tolga le sanzioni alla Corea del Nord (il Presidente Stefani si è impegnato a mandare un messaggio al Ministro Frattini in merito. L’Ambasciatore, dopo avere una breve riflessione con il Presidente Stefani sul processo di integrazione europea, ha infine auspicato l’ulteriore rafforzamento delle relazioni parlamentari anche con la ricostituzione del gruppo UIP e ha invitato il Presidente Stefani a compiere una visita ufficiale nel suo paese con una delegazione[42].

 

Il 10 giugno 2008 il Presidente della Commissione Affari esteri, on. Stefano Stefani, ha incontrato il Direttore per l’Europa del Ministero degli esteri della Corea del Nord Kim Chun Guk, accompagnato, tra gli altri, dall’Ambasciatore Han Tae Song.

Nel corso del colloquio, Guk ha segnalato al Presidente Stefani di aver incontrato il Presidente della Commissione esteri del Senato, on. Dini, e il Direttore Generale del MAE per l’Asia con i quali ha convenuto sulla opportunità di sviluppare i rapporti bilaterali in relazione al miglioramento della posizione internazionale della Corea del Nord. Ha quindi rilevato che dal 2002 i rapporti bilaterali, sia a livello politico che culturale (il 1° aprile è stata aperta la cattedra di lingua italiana all’Università con un lettore italiano), nonché sotto il profilo della cooperazione, si stanno sviluppando: Guk ha così ricordato che vi sono stati scambi di delegazioni ad alto livello politico (l’allora Presidente della Camera Violante ha compiuto una visita ufficiale in Corea del Nord nel 2000, il Presidente dell’Assemblea Nazionale della Corea del Nord ha visitato l’Italia nel 2002 e ricorda anche una precedente visita, nel 1991, in Corea del Nord dell’on. Flaminio Piccoli come Presidente della Commissione esteri). Il Presidente Stefani, da parte sua, ha rilevato che l’interscambio tra i due paesi può essere considerato positivo anche se nel 2006 si è registrato un calo delle importazioni coreane dall’Italia da ricondurre, secondo Guk al mancato rimborso dal parte del suo paese del credito ricevuto dall’Italia negli anni ’90 e ciò ostacolerebbe i rapporti commerciali bilaterali. In proposito il Presidente Stefani ha proposto di farsi mediatore di un incontro con la SACE per risolvere il problema. Il Presidente della Commissione esteri ha inoltre affrontato con il suo interlocutore la questione dell’armamento nucleare; nella fattispecie, il dirigente coreano ha osservato che è in corso il “Dialogo a 6” per la denuclearizzazione della penisola coreana e che vi sono impegni per attuare gli accordi raggiunti tra le parti: il problema principale però è creare un rapporto di fiducia tra gli  USA e Pyongyang. Guk ha poi sottolineato che l’obiettivo dei coreani è di chiudere le installazioni nucleari militari (ne sono state smantellate già otto su undici) e fermare la produzione. Ha quindi dichiarato che il suo paese è pronto a presentare una dichiarazione sull’attività nucleare in Corea del Nord e però, ha rimarcato Guk, gli USA devono cancellare la Corea del Nord dalla lista dei paesi che sostengono il terrorismo[43]. Gli altri 5 paesi del Colloquio a 6 si sono impegnati a fornire 1 milione di tonnellate di gasolio (finora solo 300mila sono arrivate). I due interlocutori si sono poi soffermati sui rapporti con la Corea del Sud e sul ricongiungimento delle due Coree. Guk ha così ricordato l’incontro storico nel 2000  tra i due Presidenti che ha portato alla sigla di una dichiarazione congiunta che ad una svolta nei rapporti intercoreani ed ha espresso, infine, il suo auspicio affinché questo processo prosegua per la pace e il benessere di tutti i coreani. Il Presidente Stefani si è quindi augurato che gli sforzi per giungere alla riconciliazione tra le due Coree siano coronati dal successo, nel presupposto del rispetto reciproco.

 

DISEGNI DI LEGGE DI RATIFICA DI TRATTATI INTERNAZIONALI ALL’ESAME DEL PARLAMENTO

AC 3366 Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica popolare democratica di Corea sulla promozione e protezione degli investimenti reciproci, fatto a Roma il 27 settembre 2000;

il ddl è stato presentato in data 1 aprile 2010; assegnato alla 3ª Commissione permanente (Affari esteri e comunitari) in sede referente il 27 aprile 2010. In corso di esame in Commissione.

 

ATTI DI INDIRIZZO E CONTROLLO

Si segnala l’interrogazione a risposta scritta 4-11635 presentata dall’On. Matteo Mecacci il  18 aprile 2011 sulla violazione dei diritti umani in Corea del Nord; nel testo, ricordando, che il 18 dicembre 2008 e il 21 dicembre 2010 la Corea del Nord ha votato contro la risoluzione per una moratoria delle esecuzioni capitali all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si chiede al governo:

Ad essa il Governo ha risposto il 28 giugno 2011 (vedi allegato).

 

Il 10 novembre 2008 sono state discusse le mozioni Bertolini ed altri n. 1-00052 ed Evangelisti ed altri n. 1-00058 sulle iniziative in relazione a ripetuti episodi di violenza e di persecuzione nei confronti dei cristiani in India e in altre parti del mondo (tra cui la Corea del Nord). Le mozioni sono state approvate (nella nuova formulazione la mozione 1-00052); in esse si impegna, tra l’altro, il governo ad attivarsi, di concerto con i partners europei, presso le sedi istituzionali europee ed internazionali, affinché si faccia luce su tali vicende e affinché la comunità internazionale intervenga per evitare che proseguano impunemente le violazioni della libertà religiosa e dei diritti umani; si impegna, inoltre, il Governo a promuovere, sostenere ed agevolare, di concerto con i Paesi dell'Unione europea, l'approvazione di un documento ufficiale dell'Assemblea generale dell'ONU, nel quale si chieda il rispetto dei diritti individuali e la garanzia della dignità umana per i fedeli di tutte le religioni in tutti i Paesi del mondo e si pongano in essere azioni adeguate nei confronti dei Paesi nei quali la libertà religiosa non è rispettata.

Si segnala altresì, che nella seduta del 12 gennaio 2011[44] è stata approvata a larghissima maggioranza dalla Camera la risoluzione n. 6-00052 presentata dall'on. Mazzocchi ed altri, sulla libertà religiosa e sulle iniziative volte a far cessare le persecuzioni nei confronti dei cristiani in alcuni paesi del mondo tra cui la Corea del Nord che ha assorbito le mozioni n. 1-00521, n. 1-00515, n. 1-00486.

Interrogazione a risposta scritta n. 4-09670 presentata dall’On. Zacchera il  24 novembre 2010, nella quale si fa riferimento ad un attacco della Corea del Nord verso un'area al di là del confine con la Corea del Sud e si chiede quali iniziative abbia avviato il Governo italiano, sia in sede bilaterale con le due Coree sia in sede comunitaria, per evitare una generalizzazione del conflitto in quell'area cruciale dell'estremo oriente. Ad essa il governo ha risposto il 23 giugno 2011 (vedi allegato).

 

UIP

La Sezione di amicizia Italia-Repubblica Democratica di Corea in ambito UIP, la cui Presidenza è stata affidata all’on. Osvaldo NAPOLI (PdL) è composta dagli onorevoli Giuseppe Fioroni (PD), Antonio Razzi (IdV) e dai senatori Mauro del Vecchio (PD) e Francesco Casoli (PdL) (resta da nominare il componente della Lega nord Padania).

Una delegazione della sezione UIP guidata dal Presidente Osvaldo Napoli e composta dal senatore Del vecchio (PD) e dall’onorevole Razzi (IdV) ha effettuato dal 19 al 22 gennaio 2010 una missione a Pyongyang in occasione della celebrazione del decennale dello stabilimento delle relazioni diplomatiche Italia-Corea del Nord. La delegazione é stata ricevuta da Kim Yong Il, direttore del dipartimento internazionale del Comitato centrale del Partito dei lavoratori nordcoreano; dai membri dell’associazione parlamentare Italia-DPRK, dal Vice ministro degli esteri Kung Sok-ung, dal Vice Ministro del commercio estero Ri Myong San e dal Presidente del Praesidium della Suprema Assemblea del Popolo Kim Yong Nam. Nel corso degli incontri da parte coreana è stata ribadita l’importanza del ruolo svolto dall’Italia quando nel 200 decise prima fra i G7 di stabilire le relazioni diplomatiche con la Corea del Nord, è stata espressa altresì gratitudine per gli aiuti umanitari inviati al paese e l’auspicio per la apertura di una sede diplomatica. E’ stata altresì sollecitata la ratifica dell’accordo di protezione reciproca degli investimenti fatto nel 2000.  Rispetto alla questione nucleare, la parte coreana ha attribuito lo stallo dei negoziati dei Six Party Talks all’atteggiamento ostile USA che applicherebbero nei confronti della Corea del Nord, due pesi e due misure come nel caso dell’applicazione delle sanzioni dopo il lancio missilistico dell’aprile 2009. In proposito, è stato fatto appellai parlamentari italiani di fare pressioni sugli USA affinché ritirino le sanzioni. Nel corso degli incontri, è stata altresì sollevata da parte italiana la questione dei diritti umani e la situazione economica e alimentare nel paese.

Si segnala che, nella XV legislatura, dal 14 al 18 ottobre 2007 la delegazione italiana aveva ricevuto una delegazione del Gruppo di amicizia UIP della Corea del Nord.

Si segnala inoltre che, vi era stata una precedente missione in Corea del Nord della sezione UIP italiana nel corso della XIV legislatura, nel 2004.

 

 


Relazioni parlamentari Italia-Egitto

 

Rappresentanze diplomatiche

 

Ambasciatore dell’Egitto a Roma: Mohamed Farid Mohamed Monib (dal 25/5/2011)

Ambasciatore d’Italia al Cairo: CLAUDIO PACIFICO (dal 1° settembre 2007)

 

Si segnala che l’on. Gennaro Malgieri, Presidente della Parte italiana del Gruppo di collaborazione parlamentare Italia-Egitto (su cui si veda infra), è stato incaricato dal Presidente della Camera di coordinare i rapporti tra la Camera ed i Parlamenti dei Paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo.

 

Incontri del Presidente

 

Il 13 aprile 2010, Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha ricevuto la visita dell’allora Presidente dell’Assemblea del Popolo d’Egitto, Ahmed Fathi Sorour. All’incontro, erano presenti anche l’on. Mohamed Aboul Enein, allora Presidente della parte egiziana, e l’on. Gennaro Malgieri, Presidente della parte italiana del Gruppo di cooperazione parlamentare tra la Camera dei deputati e l’Assemblea del Popolo (cfr. infra).

Il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini,si è recato in visita ufficiale in Egitto il 22 e 23 febbraio 2009.

Il Presidente Fini ha avuto colloqui con i massimi livelli istituzionali egiziani (con l’allora Presidente dell’Assemblea del Popolo egiziano, Ahmed Fathi Sorour, l’allora Presidente della Commissione esteri, Moustafa Al Faki, l’allora Ministro degli Affari esteri, Ahmed Aboul Gheit, l’allora Primo ministro Ahmed Mohamed Nazif, il grande Iman di Al Azhar, Mohammed Sayyed Tantawi).

Il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha incontrato a Roma, il 16 dicembre 2008, l’Ambasciatore italiano al Cairo, Claudio Pacifico.

Il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha incontrato a Roma, il 26 novembre 2008, l’allora Presidente dell’Assemblea del Popolo della Repubblica Araba d’Egitto, Ahmed Fathy Sorour, accompagnato dall’allora Presidente della Commissione per l’Industria e l’Energia dell’Assemblea del Popolo, Mohamed Aboul Enein, che era altresì Presidente della parte egiziana del Gruppo di cooperazione Italo-egiziano (cfr. infra). All’incontro ha anche partecipato l’on. Gennaro Malgieri.

Il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha incontrato a Roma, il 5 giugno  2008, l’allora Presidente dell’Egitto, Hosni Mubarak

 

 

Incontri delle Commissioni

 

L’on. Gennaro Malgieri, che ha l’incarico di coordinare in via generale i rapporti tra la Camera e i Paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo, il 23 gennaio 2009, ha invitato gli ambasciatori dei Paesi arabi presso lo Stato italiano ad una colazione di lavoro. All’evento ha partecipato l’allora ambasciatore d’Egitto, Ashraf Rashed, che precedentemente, il 23 dicembre 2008, era stato ricevuto dall’on. Malgieri. In tale occasione si era proceduto ad uno scambio di idee sui temi oggetto della prossima riunione del Gruppo di collaborazione parlamentare Italia-Egitto.

Il 19 ottobre 2010 il Presidente della Commissione Esteri, on. Stefano Stefani ha incontrato l’Ambasciatore Wafaa Bassim, Capo di Gabinetto del Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Araba d’Egitto.

Il Presidente della Commissione Esteri, on. Stefano Stefani, ha incontrato a Roma, il 25 settembre 2008, l’allora Ambasciatore egiziano Ashraf Rashed.

 

 

Il Protocollo di cooperazione parlamentare e il Memorandum d’intesa

 

La Camera dei deputati e l’Assemblea del Popolo egiziano hanno firmato un Protocollo di collaborazione il 10 marzo 1999. Tale protocollo, che ricalca nello schema in parte quelli firmati con l’Assemblea del popolo algerina ed il Parlamento tunisino e che costituisce lo strumento più importante cui la Camera dei deputati italiana ricorre per sancire una cooperazione bilaterale rafforzata, prevede un dialogo politico più intenso a livello di Commissioni, lo scambio periodico di visite di studio da parte di funzionari parlamentari, dedicate a temi specifici di comune interesse e correlate ad iniziative culturali.

Il Protocollo prevede altresì la costituzione di un Gruppo di cooperazione parlamentare tra le due Assemblee. Nella XVI legislatura, il Gruppo è presieduto dall’on. Gennaro Malgieri (che ricopre anche l’incarico di Coordinatoredelle attività di cooperazione parlamentare con i Paesi arabi del Mediterraneo), e composto dagli onorevoli Nicolò Cristaldi, Sergio D’Antoni, Eugenio Mazzarella, Giuseppe Naro, Souad Sbai, Guido Dussin.

La parte egiziana era presieduta dall’on. Mohamed Aboul Enein, Presidente del Comitato industria ed energia dell’Assemblea del Popolo egiziana. Gli altri componenti della parte egiziana del Gruppo di collaborazione erano i deputati: Mohamed Aboul Abaza, Mostafa Ahmed Korashy, Hani Mamdouh Sorour, Amin Abdel Hamid Radi, Hisham Mostafa Khalil, Ahmed Abdel Aziz Shoubeir, Iskandar Gulrguis Ghattas, Khaled Ahmed Khairy e Siada Elham Greis.

La V riunione del Gruppo di cooperazione parlamentare si sarebbe dovuta tenere a Roma, l’11 maggio 2010 ma è stata annullata il giorno prima dalla delegazione egiziana per sopravvenuti impegni istituzionali.

Si ricorda che la riunione era stata posticipata in due occasioni, nel maggio e nel novembre 2009, su richiesta della parte egiziana per sopraggiunti impegni istituzionali.

L’ultima riunione del Gruppo di cooperazione si è svolta, durante la XV legislatura, al Cairo dal 3 al 5 giugno 2007 (cfr. infra).

In occasione della visita ufficiale in Egitto del Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, il 23 febbraio 2009, è stato firmato dai Presidenti Fini e Sorour, un nuovo Memorandum d’intesa che rilancia gli strumenti di dialogo e di coordinamento e stabilisce che il Gruppo di cooperazione parlamentare, istituito ai sensi del Protocollo del 1999, si costituisce in Alto Comitato Congiunto di Coordinamento per lo svolgimento periodico della Giornata parlamentare prevista dal medesimo Protocollo.

L'Alto Comitato si adopererà per aumentare il livello delle attività interparlamentari e consultarsi in merito alle questioni regionali ed internazionali di comune interesse. Sarà compito dell’Alto Comitato monitorare i progressi realizzati nel contesto della cooperazione bilaterale, soprattutto nel settore economico e culturale, ed esaminare le possibilità di consolidare il quadro generale di cooperazione esistente. Il documento prevede, inoltre, che le Parti si consultino in merito alle questioni in agenda dell’APEM e prevedano di incrementare le occasioni di incontro, in particolare, a livello di commissioni omologhe.

 

Nella XV legislatura, il Gruppo di cooperazione parlamentare è stato presieduto, per la parte italiana, dal Presidente della Commissione Affari esteri, on. Umberto Ranieri.

Gli altri componenti della parte italiana del Gruppo di collaborazione, per la XV legislatura, erano i deputati Tana de Zulueta, Presidente di turno della Commissione Cultura dell’APEM, Khalil detto Alì Rashid, Alessandro Forlani, Leoluca Orlando, Patrizia Paoletti Tangheroni, Giacomo Stucchi, Nicola Tranfaglia e Adolfo Urso.

La IV riunione del Gruppo si è tenuta al Cairo dal 3 al 5 giugno 2007 ed ha riguardato i seguenti temi:

·           iniziative per il rafforzamento dell’interscambio e della cooperazione in campo economico tra Italia ed Egitto, con particolare riferimento ai settori delle infrastrutture, dei trasporti, degli investimenti commerciali, del turismo e dell’energia;

·           cooperazione nel settore dell’istruzione scolastica ed universitaria: esperienze a confronto e prospettive di interscambio. La proposta di istituire una Università italo-egiziana;

·           le sfide del Mediterraneo ed il ruolo della diplomazia parlamentare, con particolare riguardo alla situazione dell’area medio-orientale, al Libano ed al Darfur, alle iniziative per la lotta al terrorismo internazionale e per il contrasto alla proliferazione di armi nucleari;

·            la cooperazione parlamentare tra Italia ed Egitto, anche alla luce della comune partecipazione in fori internazionali quale l’Assemblea parlamentare euro-mediterranea, ed il ruolo delle donne nei processi decisionali.

 

Nella XIV legislatura, il Presidente della Camera aveva designato quale Presidente del Gruppo il Presidente della Commissione Difesa, on. Luigi Ramponi (AN), dato il particolare rilievo che le tematiche della sicurezza nel Mediterraneo rivestono in tale Gruppo di collaborazione. Erano stati inoltre chiamati a farne parte gli Onorevoli Giovanna Bianchi Clerici, Laura Cima, Alessandro De Franciscis, Rodolfo De Laurentiis, Giovanna Grignaffini, Angela Napoli, Manlio Collavini, Giuseppe Cossiga, Patrizia Paoletti Tangheroni, Adriano Paroli  e Umberto Ranieri.

La parte egiziana era presieduta dall’on. Amal Osman, allora vice Presidente dell’Assemblea del Popolo egiziana.

 

La prima riunione del Gruppo si è tenuta a Roma, il 24 e 25 giugno 2002, ed è stata dedicata a due tematiche:

·                     dialogo tra le culture;

·                     sicurezza nel bacino mediterraneo.

Il Gruppo è tornato a riunirsi al Cairo, il 10 e 11 giugno 2003 ed ha dedicato i lavori alle seguenti tematiche:

·                     la sicurezza e la pace nel Mediterraneo;

·                     il ruolo europeo nello sviluppo delle economie dei Paesi a Sud del Mediterraneo;

·                     il rispetto reciproco tra le culture europee e mediterranee.

Il 26 e 27 maggio 2004, si è tenuta a Roma la III riunione del Gruppo che si è articolata in due sessioni dedicate rispettivamente a:

·                     Strategie di contrasto del terrorismo internazionale;

·                     Iniziative di tutela dell’ambiente mondiale.

 

 

 

Cooperazione multilaterale

 

Dall’11 al 13 settembre 2009 si è tenuta presso la Camera l’ottava riunione dei Presidenti delle Camere G8.

Alla riunione hanno preso parte i Presidenti delle Camere basse di Canada, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti d'America, nonché il Presidente del Parlamento europeo.

Nell’ambito dei lavori, una sessione si è svolta, per la prima volta, allargando la partecipazione ai Presidenti delle omologhe Assemblee di alcuni Paesi emergenti (Brasile, Cina, Egitto, India e Sud Africa[45]). Per l’Egitto ha partecipato l’allora Presidente dell’Assemblea del Popolo, Ahmed Fathi Sorour. L'incontro, svoltosi nel pomeriggio del 13 settembre, ha avuto per oggetto il contributo dei Parlamenti nella lotta al traffico della droga e al crimine organizzato. Sull'argomento ha riferito il Sottosegretario generale delle Nazioni Unite, nonché Direttore esecutivo dell'Ufficio ONU contro la droga e il crimine, Antonio Costa.

L’Egitto prende parte alla cooperazione parlamentare nell’ambito del Partenariato euro mediterraneo e quindi all’Assemblea parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo (AP-UpM), la cui presidenza di turno è stata esercitata, per il periodo marzo 2010-marzo 2011, dal Parlamento italiano. L’on. Abdul Enein era Presidente della Commissione economica e finanziaria dell’Assemblea Parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo. In tale ambito, l’allora Presidente Enein ha ospitato una riunione della Commissione il 19 novembre 2009, cui ha partecipato l’on. Sergio D’Antoni. Il giorno successivo, il 20 novembre 2009, l’Assemblea del popolo d’Egitto ha ospitato la riunione dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea.

Si ricorda altresì che l’allora Presidente del Parlamento egiziano Sorour aveva esercitato la Presidenza di turno dell’Assemblea Parlamentare Euro-Mediterranea (che ha modificato il nome in AP-UpM a marzo 2010, in occasione della Plenaria di Amman) per il periodo marzo 2004-marzo 2005 ed ha ospitato al Cairo le prime due riunioni dell’Ufficio di Presidenza dell’APEM, rispettivamente il 30 giugno 2004 e il 24 novembre 2004, e la Sessione plenaria dal 12 al 15 marzo 2005.

Il Presidente della Commissione Economica e finanziaria dell’AP-UpM, Mohammad Abul Enein, ha partecipato al Bureau allargato dell’AP-UpM, organizzato dalla Presidenza italiana il 12 novembre 2010 e il 21 gennaio 2011 a Roma.

 

L’Egitto partecipa altresì all’Assemblea Parlamentare Mediterranea (PAM)[46], la cui Sessione inaugurale si è svolta ad Amman il 10 e 11 settembre 2006 sotto l’egida dell’Unione interparlamentare. Nell’ambito della sessione Plenaria del 28-20 ottobre 2010 svoltasi in Maroccoera stato eletto a Presiedere l’Assemblea l’on.Mohammad Abul Enein, successivamente sostituito da Abdelwahed Radi (Presidente della Camera dei Rappresentanti marocchina e Presidente dell’AP-UpM).

L'Italia ospiterà, nell’ottobre 2011, a Palermo, la sessione plenaria dell'Assemblea.

 

L'Assemblea del Popolo della Repubblica Araba d'Egitto ha ospitato inoltre ad Alessandria, del maggio 2000, la Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euromediterranei. Insieme ai Presidenti delle Camere basse di Spagna, Tunisia e Italia, l’Assemblea d’Egitto fa parte del Gruppo di collegamento, ovvero, un nucleo di coordinamento interno alla Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti, la cui ultima riunione è stata ospitata dal Congresso spagnolo a Madrid il 27 giugno 2005 in vista della V Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euromediterranei che si è tenuta a Barcellona il 25 e 26 novembre 2005.

L’Assemblea egiziana faceva altresì parte del Comitato di coordinamento del Forum euromediterraneo delle donne parlamentari, insieme a Tunisia, Italia, Marocco, Spagna, Regno Unito, Parlamento europeo. La quarta riunione del Forum si è tenuta in Giordania nell’ottobre 2003. Successivamente, a seguito della creazione della Commissione per i diritti della donna nel Mediterraneo, nell’ambito dell’APEM, il Forum non è tornato a riunirsi (si ricorda, a tale riguardo che la Presidente di turno del Forum, la senatrice francese Gauthier, ha partecipato alla riunione inaugurale dell’allora Commissione ad hoc per i diritti della donna ed è stata invitata a quelle successive).

Il 14 e 15 dicembre 2009, si è tenuta al Cairo la Conferenza mediterranea organizzata dall’OSCE, cui ha partecipato l'on. Riccardo Migliori, Presidente della Delegazione, e l'on. Matteo Mecacci.


 

Cooperazione amministrativa

 

L’allora Presidente dell’Assemblea del Popolo dell’Egitto, Fathy Sorour, il Presidente dell'Assemblea Nazionale del Libano, Nabih Berry, ed il Presidente del Consiglio dei rappresentanti del Parlamento iracheno, Ayad Al Samara’i, hanno inviato – rispettivamente in data 9 febbraio, 10 febbraio e 19 febbraio 2010 - una lettera con la quale manifestano al Presidente Fini l’interesse delle rispettive Assemblee parlamentari ad intensificare ulteriormente i rapporti in materia di strumenti tecnici ed amministrativi a sostegno dell’attività parlamentare. Nella lettera si fa riferimento alla promozione di iniziative di formazione  e di scambio di esperienze tra funzionari ed anche tra parlamentari dei rispettivi Paesi, nell’ambito del progetto predisposto dall' IPALMO (Istituto per le relazioni tra l'Italia ed i paesi dell'Africa, dell'America Latina e del Medioriente) e dall’IDLO (International Development Law Organization) a favore dei Parlamenti di Egitto, Iraq e Libano, in materia di “Rafforzamento del ruolo del Parlamento nella gestione dei costi sociali delle riforme economiche e per la promozione dell’e-Parliament”. Il Presidente Sorour, a seguito della risposta favorevole del Presidente Fini ad un’iniziativa di questo tipo,  ha tuttavia specificato di ritenere opportuno che la collaborazione avvenga nel contesto della collaborazione tra i Parlamenti italiano ed egiziano e non sia rivolto alla “formazione dei parlamentari”, che non appare necessaria ai parlamentari egiziani, in quanto già esperti nel settore.

Nell’ambito di tale progetto, il 7 e 8 giugno 2011, si è tenuto presso la Camera dei deputati un Workshop, organizzato da IPALMO-IDLO, sul tema: "Rafforzare il ruolo del parlamento nell'indirizzare il costo sociale delle riforme economiche e promuovere l'e-parliament in Egitto, Iraq e Libano".

 

Unione Interparlamentare

 

All’interno dell’Unione interparlamentare opera una sezione bilaterale di amicizia Italia-Egitto, presieduta dall’on. Marilena Samperi e composta dagli onn. Emerenzio BARBIERI, Claudio D’AMICO, Donatella FERRANTI,  Angela NAPOLI,  Osvaldo NAPOLI, Antonio RAZZI e dal senatore Gianpiero D’ALIA.

 

 


Rapporti parlamentari Italia-Libia

 

 

Rappresentanze diplomatiche

 

Ambasciatore d’Italia a Tripoli, Giuseppe BUCCINO GRIMALDI (dal 15 settembre 2011)

 

Ambasciatore della Libia a Roma, Abdulhafed GADDUR

 

 

*******************

 

Si ricorda che l’on. Gennaio Malgieri (PDL) è stato designato del Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, a coordinare i rapporti parlamentari con i Paesi arabi del Mediterraneo.

 

 

Incontri del Presidente

 

Il 20 maggio 2009, il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha ricevuto la visita del Presidente della Commissione Infrastrutture del Congresso generale del Popolo di Libia, Tayeb Safi Tayeb.

 

Incontri delle Commissioni

 

Il 26 e 27 maggio 2010 il Comitato Schengen ha effettuato una visita in Libia.

 

Cooperazione multilaterale

 

Partenariato euromediterraneo

 

Il Congresso Generale del Popolo libico, pur regolarmente invitato in qualità di osservatore nelle sedi della cooperazione parlamentare inerente il Processo di Barcellona, non vi ha mai partecipato.

 

       La Libia infatti non ha aderito al Processo di Barcellona.

 

Pur avendo presentato la richiesta di adesione al Partenariato nel gennaio 2000, la Libia l’aveva ritirata dopo che l’Unione europea aveva chiesto a Tripoli una conferma dell’accettazione piena e incondizionata dell’acquis di Barcellona. Da parte sua, la Libia sosteneva ufficialmente che la presenza di Israele e dell’Autorità Nazionale Palestinese, prima che fosse risolto il problema palestinese, avrebbe influito negativamente nei meccanismi del Partenariato.

 

Il Dialogo 5 + 5

 

 La Libia partecipa alle riunioni Presidenti dei Parlamenti dei Paesi del Mediterraneo Occidentale (Dialogo 5 + 5), che unisce in un foro informale di dialogo 5 Paesi dell’Unione europea e 5 Paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo occidentale (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Malta e Algeria, Tunisia, Marocco, Libia e Mauritania)[47].

La III riunione dei Presidenti dei Parlamenti del Mediterraneo Occidentale (Dilaogo 5+5) si è svolta a Rabat (Marocco), il 23 e 24 novembre 2006, ed è stata dedicata al tema “Le sfide del Mediterraneo”. Alla riunione, a cui per l’Italia ha partecipato il Vice Presidente della Camera, Pierluigi Castagnetti, sono stati esaminati i problemi principali che investono  l’area e in particolare le questioni legate alla sicurezza, all’emigrazione, al rafforzamento dei processi di democratizzazione e di crescita economica, e al dialogo tra le civiltà. La riunione si è conclusa con un sostanziale accordo nell’identificare le sfide del Mediterraneo e le possibili proposte di soluzione.

Si ricorda infine che la I Riunione dei Presidenti dei Parlamenti del Paesi del Dialogo 5 + 5, si è tenuta a Tripoli dal 24 al 25 febbraio 2003. La Camera è stata allora rappresentata dal Vice Presidente, Clemente Mastella.

 

OSCE

 

Nell’ambito dell’OSCE, l’8 giugno 2010, il Presidente della Delegazione parlamentare, on. Riccardo Migliori, ha incontrato l'Ambasciatore della Libia in Italia, Abdulhafed Gaddur.

 

 

Unione interparlamentare

 

Nell’Unione interparlamentare opera la sezione di amicizia Italia-Libia ed Algeria; la parte italiana del Gruppo è presieduta dall’on. Enzo Carra (PD). Ne fanno inoltre parte gli onn. Emerenzio Barbieri (PdL), Renco Carella (PD), Angelo Capodicasa (PD), Marco Causi (PD), Antonio Razzi (Iniziativa Responsabile) e la sen. Barbara Contini (PdL).

La sezione di amicizia Italia-Libia ed Algeria ha effettuato una visita in Libia dal 23 al 25 maggio 2010.

 

 

 

 


Documentazione

 


 

Testi approvati

Mercoledì 8 giugno 2011 - Strasburgo

66 a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite

Edizione provvisoria

P7_TA-PROV(2011)0255

 

Raccomandazione del Parlamento europeo dell'8 giugno 2011 destinata al Consiglio sulla 66a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite (2011/2030(INI))a

Il Parlamento europeo ,

–  visto il trattato sull'Unione europea (TUE), in particolare l'articolo 34,

–  vista la proposta di raccomandazione destinata al Consiglio, presentata da Alexander Graf Lambsdorff a nome del gruppo ALDE, sulle priorità dell'Unione europea per la 66a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite (B7-0072/2010),

–  vista la sua raccomandazione del 25 marzo 2010 al Consiglio sulla 65a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite(1) ,

–  viste le priorità dell'Unione europea per la 65a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, adottate dal Consiglio il 25 maggio 2010(2) ,

–  vista la 65a Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA), in particolare le sue seguenti risoluzioni: «Cooperazione internazionale in materia di assistenza umanitaria nel settore delle catastrofi naturali, dal soccorso allo sviluppo»(3) , «Situazione dei diritti umani nella Repubblica islamica dell'Iran»(4) , «Situazione dei diritti umani nella Repubblica democratica popolare di Corea(5) «, »Promozione di un ordine internazionale democratico ed equo«(6) , «Promozione della pace come requisito fondamentale perché tutti possano godere pienamente di tutti i diritti umani»(7) , «Promozione della cooperazione internazionale nel settore dei diritti umani»(8) , «Attività operative per lo sviluppo del sistema delle Nazioni Unite»(9) , «Ruolo delle Nazioni Unite nel promuovere lo sviluppo nel contesto della globalizzazione e dell'interdipendenza»(10) , «Verso un nuovo ordine economico internazionale»(11) , «Cooperazione tra le Nazioni Unite, i parlamenti nazionale e l'Unione interparlamentare»(12) , «Le Nazioni Unite nell'ambito della governance globale»(13) , «Verso un mondo senza armi nucleari: accelerare l'attuazione degli impegni in materia di disarmo nucleare»(14) , «Revisione dell'architettura di pace delle Nazioni Unite»(15) e «Mantenere la promessa: uniti per realizzare gli Obiettivi di sviluppo del millennio»(16) ,

–  visti il progetto di risoluzione del 14 settembre 2010(17) e la risoluzione del 3 maggio 2011(18) dell'UNGA sulla partecipazione dell'Unione europea alle attività delle Nazioni Unite,

–  viste la Conferenza di revisione 2010 delle parti del trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari (TNP) e le revisioni degli Obiettivi di sviluppo del millennio, della Commissione per la costruzione della pace (CCP) e Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite (CDU),

–  vista la relazione presentata dai cofacilitatori sulla revisione della Commissione per la costruzione della pace intitolata «Revisione dell'architettura di pace delle Nazioni Unite»(19) ,

–  visto il nuovo ente delle Nazioni Unite per l'uguaglianza di genere e l'emancipazione femminile (UN Women),

–  viste la risoluzione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite sulla promozione del diritti umani e delle libertà fondamentali mediante una migliore comprensione dei valori tradizionali dell'umanità, adottata il 24 marzo 2011, e la posizione negativa dell'UE nei confronti di tale risoluzione,

–  visto l'elenco preliminare dei punti da iscrivere all'ordine del giorno provvisorio della 66a sessione ordinaria dell'UNGA(20) ,

–  vista la sua risoluzione del 10 marzo 2011 sulle priorità della sedicesima sessione del CDU e il riesame nel 2011(21) ,

–  vista la sua risoluzione del 15 dicembre 2010 sul futuro del partenariato strategico UE-Africa a seguito del terzo vertice UE-Africa(22) ,

–  vista la sua risoluzione del 25 novembre 2010 sulla conferenza sul cambiamento climatico di Cancún (COP16)(23) ,

–  vista la sua risoluzione del 25 novembre 2010 sul decimo anniversario della risoluzione 1325(2000) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite riguardante le donne, la pace e la sicurezza(24) ,

–  vista la sua risoluzione del 23 novembre 2010 sulla cooperazione civile-militare e lo sviluppo di capacità civili-militari(25) ,

–  vista la sua risoluzione del 9 giugno 2005 sulla riforma delle Nazioni Unite(26) ,

–  visti l'articolo 121, paragrafo 3, e l'articolo 97 del suo regolamento,

–  visti la relazione della commissione per gli affari esteri e il parere della commissione per lo sviluppo (A7-0189/2011),

A.  considerando che è in corso un cambiamento radicale dell'ordine internazionale, che stimola l'UE a impegnarsi più attivamente nei confronti delle potenze mondiali attuali ed emergenti e di altri partner bilaterali e multilaterali al fine di promuovere soluzioni efficaci per risolvere problemi comuni a tutti i cittadini dell'UE e al mondo intero,

B.  considerando che l'UE dovrebbe svolgere un ruolo proattivo nel costruire un'Organizzazione delle Nazioni Unite che possa effettivamente contribuire a soluzioni globali, alla pace, alla sicurezza, alla democrazia nonché a un ordine internazionale basato sullo Stato di diritto; considerando che, conformemente all'articolo 21 del TUE, l'UE si impegna formalmente a realizzare un multilateralismo efficace imperniato su un'ONU forte, il che è essenziale per affrontare le sfide globali come il cambiamento climatico e il degrado ambientale, l'universalità e l'indivisibilità dei diritti umani, la riduzione della povertà e lo sviluppo per tutti, le conseguenze del cambiamento demografico e della migrazione e la criminalità organizzata internazionale,

C.  considerando che l'UE sta affrontando molteplici sfide in un mondo in rapida trasformazione, sfide che richiedono una risposta concertata a livello internazionale; considerando che, in tale sforzo, l'UE può ricorrere a un multilateralismo effettivo, ai valori universali dei diritti umani, a un'economia mondiale aperta fondata su norme eque e trasparenti riconosciute a livello internazionale e alla sua gamma unica di strumenti,

D.  considerando che in virtù del trattato di Lisbona sono state istituite nuove strutture permanenti per la rappresentanza esterna dell'UE e che, di conseguenza, i nuovi rappresentanti dell'UE devono assumere funzioni in precedenza svolte dalla Presidenza a rotazione dell'UE,

E.  considerando che l'articolo 34 TUE impone agli Stati membri dell'UE di coordinare la propria azione nelle organizzazioni internazionali e in occasione di conferenze internazionali, e agli Stati membri che sono anche membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di concertarsi e tenere pienamente informati gli altri Stati membri e l'alto rappresentante nonché di difendere le posizioni e l'interesse dell'Unione; considerando che gli Stati membri facenti parte del Consiglio di sicurezza (Francia, Regno Unito, Portogallo e Germania) non sono riusciti ad agire di concerto e a raggiungere una posizione unitaria riguardo all'intervento militare in Libia, in particolare relativamente al voto sulla risoluzione n. 1973 del Consiglio di sicurezza ONU,

F.  considerando che l'articolo 47 del TUE conferisce all'Unione personalità giuridica, implicando dunque diritti e responsabilità secondo il diritto internazionale; considerando che l'UE condivide i fini e rispetta i principi della Carta delle Nazioni Unite; considerando che il trattato di Lisbona nel suo insieme abilita l'Unione ad assumere un ruolo internazionale commisurato al suo preminente status economico e alle sue ambizioni nonché a rivestire il ruolo di attore globale, come delineato nella Strategia europea in materia di sicurezza del 2003, capace di condividere la responsabilità della sicurezza mondiale e di assumere la guida nella definizione di risposte comuni alle sfide comuni concordate a livello multilaterale in modo più univoco; considerando che l'Unione deve identificare chiaramente i propri interessi e obiettivi strategici per potere agire efficacemente,

G.  considerando che i partenariati globali sono funzionali al perseguimento di obiettivi globali individuati congiuntamente; considerando che l'UE è il più grande fornitore al mondo di aiuto allo sviluppo e un importante partner dell'ONU nei tre pilastri di attività di quest'ultima, anche in situazioni di crisi e post-crisi, e che il contributo degli Stati membri è pari al 38% del bilancio regolare dell'ONU; considerando che un partenariato solido e stabile UE-ONU è fondamentale per l'attività delle Nazioni Unite e per il ruolo dell'UE come attore a livello globale,

H.  considerando che l'istituzione del Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) dovrebbe contribuire in modo significativo all'ulteriore applicazione delle risoluzioni n.1325 e n.1820 del Consiglio di sicurezza ONU e di risoluzioni successive, sia attraverso la sua struttura interna che le sue azioni e politiche esterne,

I.  considerando che, in seguito alla raccomandazione del CDU, il 1° marzo 2011 l'UNGA ha votato in favore della sospensione della Libia dal CDU,

J.  considerando che una maggiore determinazione negli sforzi per combattere il terrorismo nel mondo ha aumentato l'esigenza di trattare la sicurezza nel pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali,

1.  rivolge al Consiglio le seguenti raccomandazioni:

  

 

L'Unione europea nel sistema delle Nazioni Unite

  

a)

portare avanti un multilateralismo efficace quale principale interesse strategico dell'Unione e rafforzare la coerenza e la visibilità dell'UE in qualità di attore globale a livello di Nazioni Unite, tra l'altro migliorando il coordinamento delle consultazioni interne dell'UE in materia di questioni ONU e promuovendo una maggiore sensibilizzazione su un'ampia serie di questioni; autorizzare il Vicepresidente/Alto rappresentante (VP/AR) a stilare linee guida che disciplinino le consultazioni regolari tra gli ambasciatori degli Stati membri e gli ambasciatori dell'UE, specialmente tra quelli che operano a livello multilaterale in luoghi quali Ginevra e New York, in modo che l'UE possa realizzare con successo la sua agenda ONU e rispondere alle aspettative dei membri di detta organizzazione per quanto concerne la sua capacità di azione; promuovere una maggiore coesione sia nell'ambito del sistema delle Nazioni Unite che tra le posizioni degli Stati membri dell'UE e dei paesi candidati e potenziali candidati, in modo da massimizzare il potenziale offerto dal trattato di Lisbona per rafforzare l'impatto dell'UE attraverso l'uso coordinato e strategico dei suoi vari e distinti punti d'ingresso (UE e Stati membri); rafforzare la sua capacità di negoziazione con altri gruppi regionali in maniera tempestiva; fornire ai rappresentanti dell'UE un mandato adeguato che consenta loro di negoziare efficacemente a nome degli Stati membri;

  

b)

avvalersi pienamente delle disposizioni contenute nella risoluzione A/RES/65/276 dell'UNGA sulla partecipazione dell'UE ai lavori delle Nazioni Unite, che contempla le misure atte a far sì che l'UE possa partecipare in modo efficace ai lavori dell'UNGA; riconfermare il suo impegno a che l'ONU sia al centro della politica estera dell'UE e ribadire la visione secondo cui la sua partecipazione effettiva all'attività delle Nazioni Unite non è solo una priorità strategica dell'UE ma è anche coerente con la realizzazione degli obiettivi delle Nazioni Unite e, in quanto tale, nell'interesse di tutti i membri delle Nazioni Unite; migliorare il coordinamento tra gli Stati membri dell'UE in seno al Consiglio di sicurezza ONU e incoraggiare gli Stati membri che sono anche membri del Consiglio di sicurezza nonché, conformemente all'articolo 34, paragrafo 2, del TUE, invitare il VP/AR a rappresentare l'UE presso il Consiglio di sicurezza ogniqualvolta sia stata definita una posizione comune;

  

c)

cercare migliori canali di definizione delle priorità e di trasmissione tra Bruxelles e la delegazione dell'UE a New York, tra cui una cooperazione rafforzata con il Comitato politico e di sicurezza, nonché un sistema di sostegno più chiaro e più strutturato per fornire sostegno alle istituzioni dell'UE a Bruxelles;

  

d)

impegnarsi con i partner strategici dell'UE all'interno del sistema delle Nazioni Unite; inoltre, dare al partenariato strategico una dimensione multilaterale, inserendo questioni di interesse globale nell'ordine del giorno dei vertici bilaterali e multilaterali dell'UE;

  

 

L'UE e la governance globale

  

e)

promuovere la governance globale e perseguire soluzioni sostenibili alla questione dei rapporti tra le formazioni G e il sistema delle Nazioni Unite, sulla cui base tali gruppi potrebbero affrontare efficacemente dibattiti tematici e la dimensione economica, fermo restando che l'ONU mantenga il suo ruolo centrale e resti l'organo legittimo per la governance globale; considerare al contempo il G8 e il G20 come importanti sedi per la definizione di risposte globali cui l'UE deve contribuire attivamente attraverso posizioni coordinate; sostenere l'iniziativa del Presidente dell'UNGA di organizzare dibattiti dell'Assemblea generale con la presidenza del G20 prima e dopo i vertici del G20;

  

f)

contribuire a realizzare la messa in funzione di una nuova e unica struttura composita che sostituisca gli attuali quattro organismi ONU per l'uguaglianza di genere nel quadro del processo in corso per la coerenza dell'intero sistema; sostenere pienamente e richiedere una dotazione di bilancio adeguata per l'agenzia UN Women affinché possa svolgere il suo mandato, che consiste nel promuovere l'uguaglianza di genere e tutelare ed emancipare le donne, anche nell'ambito di situazioni di conflitto e post-crisi, operando in stretto coordinamento con altre parti del sistema delle Nazioni Unite, e mantenere stretti contatti con tale organizzazione; integrare la questione di genere in tutte le azioni di preparazione alle crisi dello strumento per la stabilità;

  

g)

contribuire a migliorare l'efficienza e la trasparenza dell'ONU, nonché a potenziare la gestione delle sue risorse finanziarie;

  

h)

utilizzare il primo testo negoziale sulla riforma del Consiglio di sicurezza ONU come opportunità per concentrarsi globalmente sui punti di convergenza e realizzare progressi tangibili per quanto concerne il chiarimento delle competenze del Consiglio di sicurezza in relazione agli altri organi delle Nazioni Unite, l'aggiunta di membri in modo da migliorare la rappresentanza e la legittimità del Consiglio di sicurezza e la revisione dei metodi di lavoro del Consiglio di sicurezza stesso; porre l'accento sulla necessità di una riforma completa del Consiglio di sicurezza al fine di rafforzarne la legittimità, la rappresentanza regionale e l'efficacia; promuovere un processo di riforma che possa essere irreversibilmente avviato dagli Stati membri dell'UE se, in linea con l'obiettivo del trattato di Lisbona di rafforzare la politica estera dell'UE e il ruolo dell'UE nella pace mondiale, nella sicurezza e nella regolamentazione, essi chiedono un seggio permanente per l'UE in un Consiglio di sicurezza ampliato e riformato; prendere urgentemente l'iniziativa di portare gli Stati membri a sviluppare una posizione comune con tale finalità; fino a che tale posizione comune non sarà adottata, concordare e presentare, al più presto, un sistema di rotazione in seno al Consiglio di sicurezza, tale da garantire in tale sede un seggio permanente dell'UE;

  

i)

rafforzare il ruolo della Corte penale internazionale (CPI) e del sistema di giustizia penale internazionale, promuovere la responsabilità, porre fine all'impunità e promuovere ulteriormente l'importante lavoro della CPI quale unica istituzione giudiziaria permanente e indipendente con giurisdizione sui più gravi crimini di rilevanza internazionale, tra cui il genocidio, i crimini contro l'umanità e i crimini di guerra; incoraggiare un forte e stretto rapporto tra la CPI e l'ONU, in linea con l'articolo 2 dello statuto di Roma, e incoraggiare la ratifica dello statuto di Roma da parte di tutti gli Stati membri dell'ONU;

  

 

Pace, sicurezza e giustizia

  

 

Prevenzione e gestione delle crisi, mediazione, mantenimento della pace e consolidamento della pace

  

j)

rafforzare le strutture di prevenzione delle crisi e la loro efficacia nell'ambito del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (PSNU), mirando a trasformare detta organizzazione in un leader mondiale nella prevenzione delle crisi e nella ripresa post crisi; rafforzare le strutture dell'UE per la prevenzione dei conflitti e migliorare la cooperazione in tale ambito con l'ONU, l'OSCE, l'Unione africana (UA) e altre organizzazioni internazionali e regionali, nonché con la società civile, gli attori economici, le aziende private, i singoli individui e le organizzazioni di esperti;

  

k)

lavorare per realizzare il consenso e sviluppare un approccio più operativo quanto alla dottrina della responsabilità di proteggere; sottolineando la sua importanza nella prevenzione dei conflitti e della mediazione pacifica dei conflitti, incoraggiare l'applicazione della responsabilità di proteggere, tra l'altro perfezionandone ulteriormente i meccanismi di applicazione e rafforzando il ruolo delle organizzazioni regionali come l'Unione africana (UA) e la Lega araba, potenziando i meccanismi di allerta precoce nell'ambito delle Nazioni Unite e definendo meglio i ruoli degli organi ONU interessati; prendere atto della risoluzione 1970(2011) del Consiglio di sicurezza ONU, del 26 febbraio 2011, in cui per la prima volta in assoluto tutti i membri permanenti del Consiglio di sicurezza hanno concordato di invitare la Corte penale internazionale ad avviare un'inchiesta contro un governo in carica sulla base di presunti crimini contro l'umanità e conformemente alla dottrina della responsabilità di proteggere con riferimento a una crisi in atto; prendere atto anche della risoluzione 1973(2011) del Consiglio di sicurezza ONU, del 17 marzo 2011, che sottolinea la determinazione della comunità internazionale a garantire la protezione dei civili e delle aree abitate da civili, come prima attuazione pratica della dottrina della responsabilità di proteggere sotto chiaro mandato ONU e con riferimento a una crisi in atto;

  

l)

riconoscere il lavoro svolto dagli organismi di mediazione dell'ONU, come l'Unità di supporto alla mediazione del Dipartimento degli affari politici, e sostenere un aumento dei loro livelli di organico; sostenere pienamente il partenariato dell'UE con l'Unità di supporto alla mediazione e garantire che il SEAE svolga un ruolo chiave a tale proposito;

  

m)

promuovere la sicurezza e la stabilizzazione in aree di crisi attraverso la prevenzione dei conflitti, la mediazione, il dialogo, lo sviluppo delle capacità locali e la ripresa post-conflitto, la ricostruzione e le strategie di consolidamento della pace, che promuovano soluzioni sostenibili passando gradualmente da sforzi di breve e medio termine a strategie di sviluppo più a lungo termine; assicurare che le politiche di costruzione della pace e di sviluppo siano pianificate e attuate nel quadro di una strategia globale unica delle Nazioni Unite, la quale tenga conto sin dall'inizio delle esigenze di costruzione della pace e della futura transizione a una strategia a più lungo termine sia nella fase di pianificazione che in quella di attuazione, e sulla quale l'UE basi le proprie misure; visto che la stabilizzazione di un paese dilaniato dai conflitti richiede un'azione più complessa e un approccio integrato, e non solo l'intervento militare, orchestrare le capacità necessarie attraverso una tale strategia, al fine di affrontare adeguatamente alla radice le cause del conflitto, tanto più che metà dei paesi in cui vengono dispiegate operazioni di pace ricadono in situazioni di conflitto entro 10 anni dalla partenza delle forze di pace;

  

n)

insistere sulla necessità di trarre insegnamento dai recenti avvenimenti in Giappone e presentare proposte; elevare gli standard di sicurezza negli impianti nucleari esistenti, in particolare nelle zone sismiche; invitare a migliorare la cooperazione in caso di analoghi disastri naturali o causati dall'uomo al fine di ridurre al minimo le ripercussioni del rilascio di radioattività sugli esseri umani e l'ambiente;

  

o)

sviluppare una visione strategica chiaramente definita degli strumenti UE di prevenzione e gestione delle crisi ed esplorare le possibilità di gestione concreta dei progetti attraverso il SEAE recentemente istituito, riconoscendo l'importanza della prevenzione e della gestione delle crisi nell'ambito dell'azione esterna dell'UE;

  

p)

mirare a garantire l'appropriazione nazionale delle strategie di consolidamento della pace, dalla progettazione iniziale all'attuazione sul terreno, attingendo alle migliori pratiche ed esperienze di successo; promuovere un'agenda per lo sviluppo trasversale in base alla quale la costruzione dello Stato sia sostenuta attraverso sforzi di sviluppo e di consolidamento della pace ben articolati incentrati su aspetti economici forti;

  

q)

attribuire maggiore rilievo al compito di consolidamento della pace in situazioni post-conflitto fornendo consulenza strategica nonché sfruttando le competenze e i finanziamenti a livello mondiale per sostenere progetti di ripresa; mobilitare le risorse e nuove fonti di finanziamento e finanziare la ripresa precoce in vista della ricostruzione post-conflitto;

  

r)

contribuire ad aumentare il dispiegamento di esperti civili di sesso femminile e sostenere i piani di azione nazionale nello spirito della risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e del piano d'azione del Segretario generale delle Nazioni Unite per garantire la partecipazione delle donne al consolidamento della pace;

  

 

Cooperazione a livello di partenariati nella gestione globale delle crisi

  

s)

considerare una priorità strategica dell'UE il rafforzamento dei partenariati internazionali per la gestione delle crisi e la promozione del dialogo con altri importanti attori del settore come l'ONU, la NATO e l'UA nonché con paesi terzi come gli USA, la Turchia, la Norvegia e il Canada; sincronizzare le azioni in loco, condividere le informazioni e le risorse nei settori del mantenimento e del consolidamento della pace, compresa la cooperazione in materia di gestione delle crisi e, in particolare, di sicurezza marittima e lotta contro il terrorismo ai sensi del diritto internazionale; migliorare il coordinamento al riguardo con le istituzioni finanziarie internazionali (IFI) e i donatori bilaterali;

  

t)

ricordando che il Consiglio di sicurezza ONU ha la responsabilità primaria per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, sottolineare la necessità di una stretta cooperazione tra l'UE e l'ONU nel settore della gestione delle crisi civili e militari, e in particolare nelle operazioni di soccorso umanitario; intensificare gli sforzi degli Stati membri dell'UE affinché garantiscano il loro adeguato contributo alle missioni ONU in modo coordinato; esplorare ulteriori modalità in cui l'UE nel suo complesso possa contribuire più efficacemente agli sforzi condotti dall'ONU, ad esempio avviando operazioni di risposta rapida di tipo «ponte» o «oltre orizzonte» o fornendo un apporto UE a una più ampia missione ONU;

  

u)

creare un più ampio quadro strategico per il partenariato relativo alla gestione delle crisi tra l'UE e le organizzazioni regionali e sub regionali, quali l'UA, la Lega araba o la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS) e rafforzare in particolare una relazione triangolare tra il Consiglio per la pace e la sicurezza dell'UA, il Consiglio di sicurezza ONU e il Comitato politico e di sicurezza dell'UE, al fine di contribuire a garantire la coerenza e il rafforzamento reciproco degli sforzi a sostegno dell'UA; promuovere la prevedibilità, la sostenibilità e la flessibilità del finanziamento delle operazioni di pace portate avanti dall'UA sotto il mandato delle Nazioni Unite; esperire soluzioni per una più stretta collaborazione tra UE e UA nei loro specifici settori operativi, migliorando così le capacità di allerta precoce e di prevenzione dei conflitti e promuovendo gli scambi di migliori prassi e competenze nel settore della gestione delle crisi;

  

v)

contribuire a consolidare i progressi conseguiti nell'attuazione di un'architettura africana di pace e sicurezza, mirata ad affrontare le sfide di pace e sicurezza nel continente africano; sottolineare l'importanza di fornire finanziamenti prevedibili e sostenibili per le operazioni di sostegno alla pace in Africa, la necessità di costruire capacità di resilienza a livello locale, e la determinazione di proteggere i civili durante i conflitti armati;

  

w)

considerata la dimensione regionale dei conflitti nel continente africano, adoperarsi per rafforzare i rapporti con le organizzazioni sub-regionali tra cui ECOWAS, la Comunità per lo sviluppo dell'Africa australe (SADC) e l'Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD), e per coinvolgerle insieme ai paesi della regione nella gestione delle crisi,

  

 

L'architettura del consolidamento della pace, revisione della commissione per la costruzione della pace (PBC)

  

x)

contribuire al compito di consentire all'architettura di costruzione della pace delle Nazioni Unite di essere all'altezza delle aspettative che hanno accompagnato la sua istituzione, portando avanti le raccomandazioni del processo di revisione della PBC, anche al fine di migliorarne ulteriormente l'efficacia; sostenere l'emergere di una nuova architettura globale di costruzione della pace sulla base di partenariati tra paesi in via di sviluppo e sviluppati, accordando particolare attenzione al miglioramento della fornitura in loco e intensificando le relazioni con le IFI – al fine di creare posti di lavoro e di affrontare questioni di ordine economico – e promuovere un rapporto più organico tra il mantenimento e la costruzione della pace; promuovere un rapporto più strutturato tra la PBC, la Direzione gestionale per gli affari globali e multilaterali del SEAE, in particolare la sua direzione per la prevenzione dei conflitti e la politica di sicurezza, e l'UNGA, il Consiglio di sicurezza ONU e il Consiglio economico e sociale al fine di creare una maggiore sinergia tra mantenimento e costruzione della pace e azioni di sviluppo in loco; esperire modalità per rafforzare il ruolo consultivo della PBC rispetto al Consiglio di sicurezza, cui deve rendere conto, promuovere la cooperazione della PBC con l'Ufficio di supporto per il consolidamento della pace (PBSO) e rafforzare i collegamenti con le organizzazioni regionali e le IFI; inoltre, sottolineare la necessità di migliorare il partenariato esistente tra la PBC e il partenariato per il consolidamento della pace dell'UE, attraverso un approccio dal basso alla risoluzione dei conflitti che tenga conto delle attività degli attori non statali nella costruzione della pace;

  

y)

adoperarsi per liberare le potenzialità della PBC attraverso un legame rafforzato sul campo, in modo da massimizzare il valore dei punti d'ingresso distintivi della PBC e delle squadre ONU sul terreno che potrebbero trarre benefici dalla sua guida strategica e del suo peso politico, in particolare quando si tratti di sviluppo istituzionale,

  

 

Disarmo e non proliferazione nucleare, riforma dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA), revisione del trattato di non proliferazione (TNP), lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata

  

z)

a seguito del disastro nucleare in Giappone, riformare completamente l'AIEA, ponendo fine alla sua doppia funzione di controllo e al tempo stesso di promozione dell'utilizzo dell'energia nucleare e limitare le responsabilità dell'AIEA alla supervisione dell'industria dell'energia nucleare e alla verifica della conformità con il TNP; inoltre, adoperarsi per garantire che d'ora in poi le norme di sicurezza siano definite e monitorate dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), e in questo contesto gli Stati membri saranno giuridicamente tenuti a conformarsi a tali norme e l'OMS sarà dotata del personale necessario per i compiti aggiuntivi;

  

aa)

promuovere l'applicazione delle raccomandazioni della conferenza di revisione 2010 del TNP, in particolare al fine di realizzare un mondo più sicuro per tutti nonché, come obiettivo a lungo termine, pace e sicurezza in un mondo senza armi nucleari, incrementare ulteriormente la trasparenza così da aumentare la fiducia reciproca, realizzare un più rapido progresso effettivo verso il disarmo nucleare, adottare efficaci misure di disarmo nucleare coerenti con i principi fondamentali di trasparenza, verifica e irreversibilità, incoraggiare gli Stati che ricorrono alle armi nucleari a riferire su base regolare in merito all'attuazione dei loro impegni e a rivedere tale attuazione;

  

ab)

sviluppare ulteriormente i canali e i meccanismi di cooperazione con i partner esterni dell'UE, in particolare gli Stati Uniti, nel settore della lotta contro il terrorismo, segnatamente al fine di attuare la strategia globale delle Nazioni Unite contro il terrorismo, partecipando al gruppo Roma/Lione del G8 e al Gruppo di azione contro il terrorismo, rafforzando i relativi accordi globali e incrementando gli sforzi al fine di concludere una convenzione esaustiva sul terrorismo internazionale; impegnarsi con tali partner in modo più efficace e strutturato sia a livello strategico che pratico; assumere un ruolo di guida e dare l'esempio consolidando il rispetto dei diritti fondamentali e dello Stato di diritto quale nucleo dell'approccio dell'UE alla lotta contro il terrorismo,

  

 

Sviluppo

  

ac)

insistere sulla necessità di armonizzare gli sforzi dei diversi organi delle Nazioni Unite per promuovere meglio l'efficienza e l'efficacia dell'azione per quanto riguarda lo sviluppo e le questioni sociali a livello mondiale; essere all'altezza degli impegni assunti al vertice sugli Obiettivi di sviluppo del millennio (OSM) per quanto concerne la raccolta delle risorse necessarie a perseguire gli obiettivi entro il 2015, in particolare onorando gli impegni dell'UE in materia di aiuto ufficiale allo sviluppo; appoggiare con fermezza un aumento del livello di investimenti finanziari al fine di realizzare gli OSM e di potenziare e applicare nuovamente a breve termine i programmi e le strategie innovativi di efficacia comprovata volti allo sviluppo e alla trasformazione economica e sociale a livello globale,

  

ad)

concentrare gli sforzi per realizzare gli OSM in particolare sulle regioni e i paesi più arretrati, soprattutto i paesi dell'Africa sub-sahariana e i paesi meno sviluppati (PMS), nonché su paesi fragili o dilaniati da conflitti;

  

 

Paesi meno sviluppati (PMS)

  

ae)

garantire l'efficacia dei meccanismi di monitoraggio e di audit relativi all'attuazione del programma d'azione delle Nazioni Unite a favore dei PMS;

  

af)

garantire che lo sviluppo a lungo termine e sostenibile rimanga un obiettivo perseguito con impegno globale e coerente nei piani d'azione dei PMS e dei loro partner;

  

 

Lotta contro le disuguaglianze

  

ag)

garantire che i paesi a reddito medio in cui vi sono forti disuguaglianze continuino a ricevere sostegno e finanziamenti per ridurre la povertà e migliorare la coesione sociale, poiché la maggior parte dei poveri vive in paesi a medio reddito;

  

ah)

sostenere la riduzione delle disuguaglianze di genere e l'emancipazione femminile nello sviluppo, tenendo conto che tra i poveri le donne sono rappresentate in misura sproporzionatamente elevata;

  

 

Efficacia degli aiuti

  

ai)

esaminare come il programma per l'efficacia degli aiuti possa essere trasformato in un programma per l'efficacia dello sviluppo, concependo in tale contesto strategie concrete per quanto riguarda gli Stati fragili e le situazioni post-conflitto;

  

aj)

conseguire tutti gli obiettivi del programma d'azione di Accra, sulla base dell'effettivo coinvolgimento dei parlamenti, delle organizzazioni della società civile e delle autorità locali;

  

ak)

assicurare che le sfide sociali, politiche, economiche e ambientali siano affrontate in modo coerente;

  

 

Diritto allo sviluppo

  

al)

appoggiare la dichiarazione delle Nazioni Unite del 1986 sul diritto allo sviluppo, che afferma: «Gli Stati hanno il dovere di cooperare tra loro nell'assicurare lo sviluppo e nell'eliminare gli ostacoli allo sviluppo. Gli Stati devono adempiere ai loro diritti e doveri in modo da promuovere un nuovo ordine economico internazionale basato sulla sovrana eguaglianza, sull'interdipendenza, sul reciproco interesse»;

  

am)

far sì che il diritto allo sviluppo mantenga un posto di primo piano nel programma, considerando che quest'anno verrà celebrato il 25° anniversario dell'adozione della dichiarazione ONU sul diritto allo sviluppo;

  

an)

raccomandare il consolidamento dei risultati della task force ad alto livello, al fine di garantire l'efficace attuazione del diritto allo sviluppo;

  

ao)

intraprendere misure adeguate per rendere il diritto allo sviluppo parte integrante della politica per lo sviluppo, del riesame periodico universale (UPR) nonché degli organismi e dei meccanismi dei trattati ONU sui diritti umani;

  

 

Aiuto umanitario internazionale

  

ap)

istituire un'agenda internazionale dell'aiuto umanitario per far fronte a tutte le sfide umanitarie, all'aumento delle esigenze di natura umanitaria e alla complessità delle situazioni in campo umanitario;

  

aq)

rafforzare i finanziamenti mondiali a fini umanitari e migliorare il funzionamento e l'efficacia del sistema di aiuti umanitari;

  

ar)

adottare iniziative internazionali comuni per rafforzare l'interazione tra aiuto umanitario e sviluppo e il collegamento tra soccorso, risanamento e sviluppo,

  

 

Diritti umani

  

 

Questioni istituzionali

  

as)

garantire che il SEAE sia adeguatamente dotato di personale e risorse e che sia ben integrato e coordinato con altri organi internazionali e organizzazioni regionali nell'attività di promozione dei diritti umani; garantire che le raccomandazioni e le risoluzioni adottate e le priorità espresse nell'ambito del sistema delle Nazioni Unite e di altre istituzioni internazionali siano prese in considerazione nello sviluppo di politiche e strumenti UE, specialmente nel campo dei diritti umani;

  

at)

continuare attivamente a partecipare alla revisione del CDU a New York e alle azioni di seguito e rafforzare la conformità al suo mandato; esaminare la capacità del CDU di continuare ad affrontare situazioni urgenti di gravi violazioni dei diritti umani, come nei recenti casi della Libia e della Costa d'Avorio, e migliorare la sua capacità di applicare le norme e gli standard internazionali esistenti; elogiare la decisione dell'UNGA del 1° marzo 2011 di sospendere la partecipazione della Libia al CDU; continuare con determinazione a compiere sforzi e ad applicare procedure speciali al fine di rendere il CDU un meccanismo di prevenzione e allerta precoce, piuttosto che un organo meramente reattivo, che sia in grado di accordare priorità alle cause alla radice delle violazioni dei diritti umani al fine di evitare una nuova o ulteriore recrudescenza di tali violazioni, anche attraverso il sostegno alla costruzione di capacità per le istituzioni nazionali competenti in materia di diritti umani;

  

au)

esperire modalità per migliorare le procedure di elezione del CDU al fine di affrontare la questione della qualità della sua composizione; esaminare la creazione di criteri chiari per l'adesione al CDU al fine di impedire che paesi in cui le violazioni dei diritti umani sono frequenti e diffuse possano diventare membri del CDU; mantenere, nel contesto della revisione, l'indipendenza dell'Ufficio dell'Alto commissario per i diritti umani (OHCHR) e opporsi a qualsiasi tentativo di modificare lo status di detto ufficio che possa avere effetti negativi sui finanziamenti e di conseguenza sulla sua indipendenza;

  

av)

sviluppare un rapporto di lavoro valido tra il CDU e il terzo comitato e tra il CDU e l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, e affrontare i crescenti segnali di divisione tra gli Stati membri concernenti i rispettivi voti nel CDU;

  

aw)

concordare una posizione comune in vista della Conferenza di revisione di Durban («Durban 3»), prevista per settembre 2011, al fine di dimostrare la volontà e capacità degli Stati membri di «parlare con un'unica voce» nei forum globali, di asserire l'influenza dell'UE nell'ambito delle Nazioni Unite, e di riaffermare il proprio impegno a combattere il razzismo, la xenofobia e il fanatismo in maniera equilibrata e non discriminatoria;

  

 

Questioni relative ai diritti umani

  

ax)

continuare i propri sforzi nell'ambito del terzo comitato dell'UNGA per quanto concerne un ampio numero di risoluzioni, vertenti in particolare sulla richiesta di una moratoria sulla pena di morte, che ha ricevuto il sostegno di più paesi, sui diritti dell'infanzia, sulle minoranze nazionali e linguistiche, sulla libertà di espressione e dei mezzi di comunicazione, sull'intolleranza religiosa, sull'abolizione della tortura e sulle risoluzioni specifiche per paese riguardanti Birmania/Myanmar, Corea del Nord e Iran; sostenere tutti gli sforzi volti a eliminare la tortura; in particolare incoraggiare l'adozione del protocollo facoltativo alla convenzione ONU contro la tortura;

  

ay)

proseguire gli sforzi internazionali volti a garantire che tutti i diritti umani siano considerati universali, indivisibili, interdipendenti e intercorrelati; in tale contesto adoperarsi per bloccare l'utilizzo del concetto indefinito di «valori tradizionali dell'umanità», che è di natura tale da compromettere le norme stabilite dal diritto internazionale in materia di diritti umani e potrebbe condurre a giustificazioni inaccettabili di violazioni di diritti umani basate sul fatto che risultano da valori, norme o pratiche tradizionali;

  

az)

sostenere il finanziamento, tramite specifici impegni di bilancio, e la capacità, la responsabilità e l'efficacia di UN Women affinché possa coordinare le relative attività in modo più efficace; inglobare una prospettiva di genere in tutte le politiche delle Nazioni Unite e creare sinergia/coerenza istituzionale; concentrare gli sforzi contribuendo anche a migliorare la pianificazione strategica sull'applicazione della risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza ONU, soprattutto per quanto riguarda la presenza delle donne nei negoziati di pace, consentendo così loro di diventare mediatrici, innalzandone le capacità e facendo loro assumere responsabilità decisionali nonché, in generale, collegando donne e sviluppo;

  

ba)

definire una strategia nei confronti dei paesi che si rifiutano di cooperare pienamente con i meccanismi delle Nazioni Unite e di consentire l'accesso agli esperti indipendenti e ai relatori speciali delle Nazioni Unite, onde persuadere tali paesi ad accordare pieno accesso al proprio territorio a detti esperti e relatori e ad astenersi dall'ostacolarne il lavoro; adoperarsi per il mantenimento dell'indipendenza delle procedure speciali;

  

bb)

dare la più alta priorità politica e diplomatica e di conseguenza garantire il massimo sostegno, attraverso le varie sedi bilaterali e multilaterali in cui l'UE è partner attivo, a tutte le iniziative volte a:

  

stabilire una moratoria mondiale sulle mutilazioni genitali femminili,

  

depenalizzare l'omosessualità a livello mondiale;

  

 

Cambiamento climatico

  

bc)

esercitare un ruolo guida nel settore della governance climatica globale e della cooperazione internazionale sul cambiamento climatico; concentrarsi su un forte impegno politico con i paesi terzi e su un ulteriore sviluppo del dialogo con altri partner fondamentali come gli Stati Uniti, la Russia e le potenze emergenti (Cina, Brasile, India) nonché i paesi in via di sviluppo, visto che il cambiamento climatico è diventato un elemento chiave delle relazioni internazionali e rappresenta una grave minaccia per la realizzazione degli Obiettivi di sviluppo del millennio; contribuire a un'architettura istituzionale che sia omnicomprensiva, trasparente ed equa e fornisca una rappresentanza equilibrata sia dei paesi sviluppati che di quelli in via di sviluppo nell'ambito degli organi governativi competenti; gettare solide fondamenta per i negoziati che si terranno nella prossima riunione prevista per la fine del 2011 in Sudafrica (COP17), basandosi sui buoni progressi compiuti durante la COP16 a Cancún e ricordando gli insegnamenti tratti dagli esiti insoddisfacenti della COP15 di Copenaghen;

  

bd)

cooperare in modo più strategico e rispondere maggiormente alle esigenze dei paesi terzi sviluppando ulteriormente le capacità del SEAE di costruire una politica diplomatica in ambito climatico; sostenere la partecipazione attiva della Commissione al dibattito in corso sulle lacune nella protezione e le risposte, lanciato dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nell'ambito del dialogo 2010 dell'Alto commissariato sulle sfide relative alla protezione, che mira a migliorare il quadro esistente di protezione internazionale per profughi e apolidi; partecipare attivamente al dibattito sulla definizione giuridica del termine «rifugiato climatico», riferendosi alle persone costrette a lasciare le proprie case e a rifugiarsi all'estero per effetto dei mutamenti climatici, prevedendo una possibile definizione giuridica del termine, che non è ancora riconosciuto nel diritto internazionale né in alcun accordo internazionale giuridicamente vincolante;

  

 

Raccomandazioni finali

  

be)

incrementare il dibattito sulla questione del ruolo dei parlamenti e delle assemblee regionali nel sistema delle Nazioni Unite, che dovrebbe figurare all'ordine del giorno della 66a sessione dell'UNGA, nonché sul tema dell'istituzione di un'Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite; inoltre promuovere l'interazione su questioni globali tra governi e parlamenti;

  

bf)

appoggiare la creazione di un'Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite all'interno del sistema ONU al fine di aumentare il carattere democratico, la responsabilità democratica e la trasparenza della governance mondiale e di consentire una migliore partecipazione dei cittadini alle attività delle Nazioni Unite, riconoscendo che un'Assemblea parlamentare ONU sarebbe complementare agli organismi esistenti, tra cui l'Unione interparlamentare;

o
o   o

2.  incarica il suo Presidente di trasmettere la presente raccomandazione al Vicepresidente della Commissione/Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al Consiglio e, per conoscenza, alla Commissione.


COMMISSIONI RIUNITE

I  (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

e II (Giustizia)

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COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
E 3a (AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 7 settembre 2011

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI STEFANO STEFANI

La seduta comincia alle 14,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sugli sviluppi della situazione in Libia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, sugli sviluppi della situazione in Libia.
Saluto il collega presidente della Commissione esteri del Senato, senatore Dini, tutti i colleghi presenti, tutti i senatori. Ringrazio il Ministro Frattini per la consueta disponibilità a tenere aggiornato il Parlamento, in generale, sulle materie di sua competenza e in particolare sull'evolvere della crisi libica.
Gli eventi di agosto che hanno portato alla caduta del regime di Gheddafi, ma soprattutto gli importanti appuntamenti multilaterali di questi ultimi giorni rendono urgenti l'audizione odierna e un dibattito politico qualificato e chiarificatore.
L'opinione pubblica internazionale assiste in questi giorni sgomenta al susseguirsi di notizie sulla violazione dei diritti umani di cittadini libici. Inoltre, nella presente situazione di

crisi economica internazionale, non hanno certamente giovato al clima generale e ai mercati le polemiche sul tema dell'approvvigionamento energetico e la sensazione di un'affannosa competizione tra Paesi europei per il primato sul gas libico, e direi non solo sul gas.
Le nostre Commissioni sono molto attente, consci come siamo che l'approvvigionamento libico è di primaria importanza per il nostro Paese. Non vorrei che dopo quanto è successo, per come ci siamo esposti e per come abbiamo reagito, il nostro Paese dovesse averne più nocumento degli altri per l'evolversi della situazione. Sappiamo che il Ministro Frattini è attentissimo a questo e sappiamo anche di essere in buone mani.
Per quanto concerne gli aspetti di sicurezza e di controllo dei confini occorre fare chiarezza sul ruolo avuto dal colonnello Gheddafi sul flusso straordinario di clandestini verso le coste italiane, con le conseguenze drammatiche note a tutti. Si è mormorato, infatti, che una ritorsione verso l'Italia del colonnello Gheddafi, precedente a questi ultimi giorni, sia stata proprio di implementare il flusso in Italia dei clandestini. Per questo dobbiamo avere la massima attenzione su questo punto.
Esprimo nuovamente un riconoscimento al Ministro Frattini per avere validamente contribuito, con le sue dichiarazioni, a difendere il prestigio del nostro Paese alla luce dello straordinario impegno profuso dall'Italia durante la crisi.
Ringrazio il Ministro per aver consentito in tempi assai rapidi la riapertura della nostra ambasciata a Tripoli. Credo che sia un segnale di massima importanza per i nostri operatori, per coloro che stanno ancora proseguendo il loro lavoro e anche per coloro che, purtroppo, la situazione ha fatto sì che ci stessero rimettendo non poco a livello economico per la loro presenza in Libia. Pertanto credo che questo sia un passaggio che dobbiamo tenere nella massima considerazione.
Prego, quindi, il Ministro Frattini di svolgere la sua relazione.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Ringrazio i presidenti e tutti i colleghi per questa ulteriore occasione di incontro con il Parlamento, dopo le molte che abbiamo già avuto negli scorsi mesi.
Tutti conoscete gli aspetti generali degli sviluppi della crisi libica, con la caduta del regime e di Tripoli, con gli arresti e le defezioni. Ci sono stati arresti di militari e importanti defezioni da parte dei lealisti, in particolare, da ultimo, del Primo ministro Al-Mahmoudi e del Ministro degli esteri, Al-Obeidi. Stamani il vice ministro degli esteri è stato arrestato anche lui a Tripoli. Soprattutto importanti esponenti militari e dell'intelligence si sono in gran parte arresi e altri sono stati catturati.
Contiamo di avere entro la metà di questo mese, entro due settimane, il Governo provvisorio del CNT. Vi è stato già il trasferimento del CNT da Bengasi a Tripoli, il che conferma, quindi, la determinazione di considerare Tripoli come città capitale, come sempre era stato affermato. Una parte dei componenti del Governo libico di transizione si è già stabilita a Tripoli e nell'arco di un paio di settimane l'intero CNT dovrebbe formalmente insediare un governo di unità nazionale presieduto naturalmente dall'attuale Primo ministro Mahmoud Jibril.
Sul terreno si riscontrano elementi di forte criticità per quanto riguarda la popolazione civile. Abbiamo fatto fronte, a Tripoli e in altre città, alla mancanza di acqua. Ci è stato rappresentato già a Milano, nell'incontro degli scorsi giorni tra

il Primo ministro Jibril e il Presidente Berlusconi, come le forze del regime avessero chiuso e sigillato i rubinetti dei pozzi estrattivi di acqua potabile nel sud della Libia. Noi siamo intervenuti rapidamente anche con nostri tecnici per contribuire alla loro immediata riattivazione. Fortunatamente le condutture di acqua potabile non sono danneggiate, ma i carburanti e l'acqua hanno scarseggiato per molte settimane e continuano a scarseggiare anche dopo la caduta di Tripoli e di altre città.
Ci sono poi problemi con i medicinali negli ospedali. In merito è stato chiesto all'Italia di assumere un ruolo importante, rafforzando il centro operativo delle Nazioni Unite presso la base aerea di Brindisi. Oggi, quindi, Brindisi funge da centro di raccolta, di smistamento e di invio degli aiuti verso le città della Libia, approfittando anche della riapertura parziale, ma sufficiente dell'aeroporto militare di Tripoli, che permette ai nostri aerei e agli aiuti forniti anche direttamente dalle Nazioni Unite di raggiungere, attraverso Brindisi, la destinazione.
L'obiettivo di queste settimane - degli ultimi come dei prossimi giorni - è evitare ulteriori spargimenti di sangue. In questo senso, ho parlato più volte con il Primo ministro Jibril. Abbiamo, inoltre, interloquito con il Presidente Abdel Jalil. Il messaggio, in entrambi i casi, è stato di evitare vendette, rappresaglie e bagni di sangue nei confronti di coloro che hanno lavorato per il regime. Pertanto, in occasione degli arresti non vogliamo vedere giustizia sommaria e vendette personali.
Abbiamo anche detto che sosteniamo gli sforzi affinché non si ripeta l'errore della «debaathizzazione» forzosa e immediata dell'Iraq, dove in pochi giorni fu smantellata l'intera struttura dello Stato, con le conseguenze della ricostruzione da zero che tutti conosciamo. Pensiamo, invece, che negli apparati libici ci siano persone - dai dipendenti dei ministeri, agli appartenenti alla polizia - che non hanno le mani sporche di sangue e che non sono colpevoli di gravi delitti e che, quindi, debbano e possano essere reintegrati dal CNT nella prospettiva di un forte rinnovamento e di un'evoluzione democratica di questi stessi apparati.
I segnali che ci arrivano sono piuttosto positivi. Vorrei richiamare, in particolare, il fatto che si sta cercando di ottenere la resa di Bani Walid, che è sostanzialmente assediata, con trattative in corso da giorni proprio per evitare un'irruzione con la forza. Sapete, peraltro, che le trattative sono state sospese ieri e che stanno riprendendo in queste ore, dopo che alcuni miliziani del regime avevano aperto il fuoco contro i negoziatori e pertanto, boicottando il negoziato, avevano costretto alla sua sospensione. A ogni modo, il negoziato sta procedendo.
L'Italia sostiene, con tutti gli strumenti possibili, i tentativi in corso al fine di ottenere una resa pacifica, negoziando con le tribù locali. Questo vale per Bani Walid, ma anche e soprattutto per Sirte, che è divenuta una città simbolo, in relazione alla quale è stato rivolto l'appello della comunità internazionale, anche al recente vertice di Parigi, di evitare un bagno di sangue e di avviare, invece, un negoziato per la resa pacifica.
Non sappiamo ancora dove sia il colonnello Gheddafi. A questo proposito, molte voci si sono rincorse. Abbiamo la notizia, diffusa dal portavoce delle forze armate del CNT, secondo la quale avrebbero circondato un'area di 60 chilometri all'interno della quale il colonnello Gheddafi si sarebbe rifugiato. Si tratterebbe di una zona desertica, che non hanno voluto rivelare, affermando di averla localizzata con sistemi di tracciatura elettronica e con l'intelligence. Vediamo che cosa succederà. D'altra parte, siamo abituati ad annunci a cui rapidamente segue un nulla di fatto.
A proposito dell'Italia, sapete già che abbiamo riaperto l'ambasciata. Si tratta di una riapertura effettiva; non c'è - come potrebbe essere qualche volta sembrato - solo la bandiera, ma c'è anche il personale e una sede, quella dell'Istituto italiano di cultura che era utilizzabile. Come sapete, l'ambasciatore è già stato nominato. Pertanto, il 15 mattina l'ambasciatore Buccino sarà a Tripoli, dove il contingente di sicurezza e protezione dell'ambasciata è stato già spiegato e il personale, inclusi i contrattisti, è già operativo.
Com'è evidente, tutto ciò è necessario per prendere rapidamente contatto con le amministrazioni del Governo transitorio libico, una volta che questo si stabilirà definitivamente a Tripoli e i ministeri, come sta accadendo, riapriranno.
Il CNT ci ha già assicurato comunque la disponibilità a soddisfare ulteriori esigenze logistiche, perché la nostra intenzione è ovviamente quella di ripristinare i locali dell'ambasciata esistente, che è proprietà dello Stato italiano, e della residenza dell'ambasciatore, che, come sapete, sono state devastate dai miliziani del regime.
La missione NATO sta continuando la sua attività di monitoraggio e protezione dei civili in difficoltà. L'idea che l'ultima riunione del Consiglio Atlantico ha ventilato e su cui l'Italia si trova evidentemente d'accordo è che il futuro della NATO in Libia sarà quello di sostegno allo sforzo delle Nazioni Unite, che avranno, come da decisione unanimemente adottata a Parigi, il ruolo guida nel coordinamento del rilancio politico e della ricostruzione della Libia.
Sarà evidentemente escluso soltanto - ma lo era già in passato - un dispiegamento di forze combattenti, quindi un'azione sul terreno di forze con compiti militari. Esclusa quindi la possibilità di questo impegno, si parlerà semmai di addestramento, ma in ogni caso di un sostegno alle Nazioni Unite, che avranno compiti non militari, ma di sostegno all'attuazione della road map politica e alla ricostruzione civile ed economica della Libia.
Anche nel futuro noi ci aspettiamo che il coordinamento stretto con la Lega Araba e con i Paesi dell'Unione africana venga confermato e mantenuto. Certamente lo sarà, e non a caso il Gruppo internazionale di contatto si è trasformato, nel vertice del 1o settembre, in un gruppo di «Amici della Libia», per marcare la differenza e la discontinuità tra una fase di intervento militare, che era caratterizzata dal Gruppo di contatto con il suo indirizzo politico, e una fase di sostegno al progresso politico e alla ricostruzione, che è marcata dal gruppo che si chiama «Amici della Libia», che comprende esattamente coloro che facevano parte del Gruppo di contatto con l'auspicata adesione di altri partner internazionali. Pensiamo innanzitutto alla Russia, che era presente a Parigi, alla Cina e ad altri.
Noi sosteniamo quella road map che è stata presentata i primi di agosto dal CNT all'Italia e agli altri partner più stretti di questa coalizione internazionale. È per la prima volta una road map con delle date stringenti: entro trenta giorni dalla caduta del regime trasferimento a Tripoli del CNT e nomina di un governo transitorio (questa è la prima tappa che è già in corso di attuazione e che ci aspettiamo sia mantenuta); entro otto mesi elezione di un'assemblea nazionale libica, che dovrà nominare l'organo costituente, che sarà probabilmente una commissione nazionale costituente, che predisporrà un progetto di costituzione da sottoporre poi al referendum popolare diretto, come fatto in Egitto; a quattro mesi dal referendum le prime elezioni legislative, a cui seguiranno in tempi successivi le elezioni presidenziali.
Questo è un punto piuttosto importante, perché dal momento della caduta del regime noi immaginiamo che nove mesi di tempo potranno essere adeguati per arrivare all'elezione di un'assemblea nazionale, che sarà il momento, che noi avevamo auspicato, della riconciliazione e della conferma dell'unità nazionale libica. Assemblea nazionale costituente vuol dire unità del territorio, unità del Paese, partecipazione di tutte le componenti della società e della realtà libica.
Nella stessa road map sono state indicate le priorità sotto il profilo dell'avvio di una risposta alle esigenze più urgenti della popolazione: scongelamento dei fondi libici all'estero, ricostruzione delle forze di polizia, disarmo della popolazione. Ci sono numerose armi leggere che circolano senza alcun controllo. Disarmo controllato vuol dire ricondurre l'uso delle armi sotto l'esclusiva egida delle forze di polizia e delle forze armate.
In questa road map si fa riferimento - ed è tema che a me interessa molto - al controllo delle frontiere, alla lotta contro i traffici illegali, dal traffico di armi al traffico di esseri umani, e poi vi è un programma di urgente ricostruzione. Vi è un grande piano strategico di ricostruzione, ma vi è un piano di ricostruzione urgente: le scuole, gli alloggi, i centri di riabilitazione, gli ospedali, specialmente nella zona di Misurata, per garantire (particolare non secondario) ad esempio che i ragazzi possano tornare a scuola a metà ottobre. A questo fine servono delle scuole subito, magari anche prefabbricate.
La Conferenza di Parigi ha condiviso unanimemente la road map libica. È positivo che il programma sia venuto dai libici e che gli «Amici della Libia» - chiamiamoli così - lo abbiano condiviso, impegnandosi a contribuire a realizzarlo. Questo è molto positivo. La prima riunione di sviluppo di questo piano l'avremo a New York il 20 settembre e sarà presieduta dal Segretario generale delle Nazioni Unite, il quale ha comunicato di aderire all'invito degli «Amici della Libia» affinché l'ONU assuma il controllo e il coordinamento delle fasi di sviluppo politico e di ricostruzione infrastrutturale e civile del Paese. Questo è l'obiettivo che noi avevamo sempre indicato e che è stato formalmente, per iscritto, confermato dal Segretario generale dell'ONU Ban Ki-Moon al Presidente Berlusconi lo scorso 30 agosto, con una lettera piuttosto articolata.
Il Segretario generale vorrà raccomandare, nelle prossime settimane, al Consiglio di Sicurezza una risoluzione per il dispiegamento di quella che lui definisce una missione politica integrata delle Nazioni Unite in Libia. Vi sarebbe il coordinamento di un rappresentante speciale - io credo che potrà essere lo stesso Alto Rappresentante attuale, l'ex ministro giordano che sta assistendo in modo brillante il Segretario generale. Questa missione politica integrata avrebbe il compito di assistere le autorità transitorie nello sviluppare quei due punti della road map, ossia elezione dell'assemblea nazionale per la nomina dell'organo costituente e organizzazione delle elezioni legislative.
Le Nazioni Unite pensano a una seconda tappa, ossia, appena le condizioni sul terreno lo consentiranno, una missione di osservatori militari non armati. È un modello che è stato seguito in altre circostanze. Si tratterebbe di osservatori che avrebbero il compito di sostenere una missione formativa, di monitoraggio e di addestramento delle forze di polizia locali. Chiaramente il fatto che il coordinamento delle iniziative post-regime sia affidato alle Nazioni Unite implica l'assunzione da parte dell'Italia, con la base di Brindisi, di un ruolo chiave, essendo quella la base logistica operativa sia per le operazioni attuali, sia per le operazioni di ricostruzione successive, anche di medio e lungo termine, per la raccolta e l'invio degli aiuti e per l'indicazione da parte delle Nazioni Unite di compiti di tipo logistico.
Anche l'Unione europea sta partecipando a questo sforzo. Si è deciso dieci giorni fa l'invio a Tripoli, ancora una volta con il sostegno logistico italiano, di una delegazione dell'Unione europea guidata dal Direttore generale europeo per la risposta alle crisi, Agostino Miozzo, che è in teatro per la valutazione delle necessità più urgenti.
Il passo successivo, che auspico da parte dell'Europa, è la nomina di un capo delegazione europeo, di un rappresentante-ambasciatore dell'Unione europea, che possa coordinare sul campo gli sforzi di pertinenza europea. Auspicherei anche che a ciò fosse affiancata la ripresa del negoziato, interrotto ovviamente a gennaio, dell'accordo di associazione tra l'Unione europea e la Libia. Sarebbe un segnale politico molto forte, ma con due evidenti condizioni: l'esistenza di una domanda libica e la disponibilità libica a proseguire secondo le linee guida degli accordi di associazione che l'Unione europea ha negoziato, con modelli e contenuti già sperimentati.
La parte di assistenza vede l'Italia certamente in testa o in un ruolo quanto meno di grande rilevanza rispetto a molti altri Paesi. Noi siamo stabilmente presenti in Libia da alcuni mesi, dall'inizio del mese di maggio, e abbiamo agito su più fronti.
Sapete perfettamente quante missioni siano state compiute sin dalle primissime settimane con le navi italiane arrivate a Bengasi in un momento difficilissimo, con decine e decine di feriti portati in Italia e riaccompagnati dopo le cure in Libia. Stiamo lavorando ora per pianificare nuovi trasporti umanitari, sia a Bengasi, ma anche, finalmente, a Tripoli, con medicinali e con la disponibilità di équipe mediche volontarie. Si è verificata una vera e propria gara di generosità da parte dei medici italiani in questo senso.
Gli altri due temi su cui ci concentreremo sono il ripristino dei sistemi idrici - vi ho già parlato della riattivazione dei pompaggi per l'acqua potabile - e un'attività estremamente importante, lo sminamento, ossia la rimozione di ordigni dal territorio, in cui l'Italia ha sempre dato un grande contributo.
È evidente che il futuro dei rapporti bilaterali con la Libia parte dalla riattivazione del Trattato italo-libico di amicizia. Si tratta di un trattato per cui il CNT ha chiesto all'Italia la riattivazione appena le condizioni sussisteranno. Evidentemente gli organismi misti dovranno subito tenere alcune riunioni tecniche per vedere se tale Trattato contiene tutto ciò che è necessario o se occorrano aggiornamenti.
Ovviamente, provvederemo a ciò con i libici, quando vi sarà una richiesta in questo senso. Tuttavia, in preparazione di questo, abbiamo costituito - come sapete - un Comitato congiunto italo-libico che coordinerò per la parte italiana, mentre, per la parte libica, il Primo ministro indicherà il suo rappresentante per il coordinamento. Abbiamo riunito questo Comitato per la prima volta il 31 agosto per mettere a punto, a livello tecnico, i diversi terreni sui quali la collaborazione tra l'Italia e la nuova Libia deve e può ripartire. I punti prioritari già emersi comprendono la formazione in molti settori, come l'ordine pubblico, la guardia costiera, gli esperti nel controllo delle frontiere doganali, lo sminamento, gli esperti del settore della giustizia e le attività in favore dei minori vittime del conflitto. Quest'ultimo è un tema su cui l'Italia è particolarmente sensibile, ivi incluso il tragico problema dei bambini soldato reclutati dal regime di Gheddafi come mercenari e arrestati. Si tratta di bambini di quattordici, quindici o sedici anni terrorizzati, che certamente avranno bisogno di un'azione di recupero anche psicologico rispetto alla quale il nostro Paese non si sottrarrà dallo svolgere un ruolo.
Inoltre, a noi interessa molto l'azione in vista del rilancio della collaborazione economica. In questa direzione, abbiamo già offerto degli stage di formazione presso le aziende italiane a giovani laureati libici per permettere una nuova partenza dei rapporti diretti tra popoli e classi dirigenti, che include anche corsi di formazione per giovani diplomatici libici, che siamo disponibili a realizzare.
Voglio dire al Parlamento che, per attuare queste priorità, intendiamo destinare quei fondi che, con un impegno del Parlamento stesso e del Ministero dell'economia e delle finanze, dovranno essere ripristinati. Si tratta di 8 milioni in assestamento e di ulteriori 8 milioni con la legge di stabilità che, come ricorderete, furono decurtati dal decreto missioni e che il Parlamento e il Ministero dell'economia ripristineranno. Con questi fondi, già entro l'anno, avvieremo queste iniziative di collaborazione.
In merito ai settori dell'economia e dell'energia, vorrei dire con grande chiarezza che - ha detto bene il Presidente Stefani - non siamo in competizione con nessuno: eravamo e resteremo il primo partner economico bilaterale della Libia. Nel settore dell'energia abbiamo affermato questo principio con un fatto molto concreto e molto impegnativo, ovvero la firma - il 29 agosto - dell'accordo tra il direttore generale dell'ENI, Paolo Scaroni, e il CNT per riattivare già entro metà ottobre il gasdotto Greenstream e per riprendere, quindi, la produzione energetica e confermare tutti i contratti pregressi che avevamo con il regime.


Non stiamo facendo, quindi, nessuna corsa; non stiamo compiendo nessuna azione surrettizia. Per contro, siamo stati molto fermi; abbiamo lavorato per la Libia perché il popolo libico lo chiedeva, ma evidentemente gli interessi strategici ed energetici in Libia non potevano assolutamente essere compromessi. Al contrario, li abbiamo pienamente garantiti.
Lo stesso vale per i contratti con aziende italiane. Difatti, stiamo già approntando la lista delle imprese italiane che hanno contratti in essere con la Libia; metteremo insieme queste aziende e rapidamente vi sarà una missione a Tripoli con il nostro ambasciatore Buccino.
Alcune aziende italiane sono già state messe nelle condizioni di ripensare e di riaprire addirittura i cantieri. Il dottor Ponzellini mi ha detto, ad esempio, che Impregilo sta già riaprendo fisicamente dei cantieri che aveva, e lo stesso accadrà in altri casi perché anche in questo settore i contratti italiani non solo non saranno toccati e saranno tutti confermati, ma abbiamo l'aspettativa di partecipare alla importante ricostruzione del Paese, che passerà anche che per infrastrutture, per forniture tecniche, per ogni tipo di supporto allo sviluppo portuale della Libia e quant'altro.
La ripresa della Libia evidentemente avrà delle grandi ripercussioni anche per tornare indietro rispetto alla drammatica fuga dalla Libia, perché l'avvio della ricostruzione libica potrà offrire almeno 200-300.000 posti di lavoro a cittadini di Paesi vicini, con particolare riferimento ai tunisini. Avrà quindi un grande impatto positivo anche sulla Tunisia, perché circa 200.000 persone che hanno perso il lavoro lo riacquisteranno con la ripresa delle attività economiche.
Sappiamo e sapete quasi tutto dei fondi congelati. Abbiamo chiesto lo scongelamento di 2,5 miliardi di fondi che stanno in Italia, ma nel frattempo abbiamo anticipato, usando i fondi come garanzie, 500 milioni e una fornitura di carburante, gasolio e benzina, che l'ENI ha già messo a disposizione con l'accordo del 29 agosto.
Ultimo tema: i flussi migratori. Il presidente Stefani ha toccato il tema, noi abbiamo le prove, ormai, che nei mesi tra febbraio e maggio le ondate di disperati che non a caso arrivavano ogni quindici giorni, puntualmente a gruppi di 20-25 barche, erano organizzate dal regime. Abbiamo le dichiarazioni di esponenti del regime che hanno defezionato, abbiamo la conferma dell'ambasciatore Gaddur, abbiamo soprattutto elementi di prova raccolti dal CNT, di cui mi ha parlato il Primo ministro Jibril, che nelle contestazioni di crimini a Gheddafi evidentemente saranno offerte come prove ancora più concrete, ma uno degli elementi di prova è che con la caduta del regime i flussi di profughi sono terminati.
Qui ovviamente non ci fermiamo: l'Italia ha già detto con grande chiarezza che la tutela dei profughi è garantita. Abbiamo contribuito al lavoro dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni e continueremo a farlo, ma abbiamo firmato anche con il Primo ministro Jibril un Memorandum - l'ho firmato io - sul contrasto all'immigrazione clandestina. Il Ministro Maroni mi ha dato la disponibilità non solo per la formazione della guardia costiera, ma anche per contribuire con la messa a disposizione di pattugliatori, così come abbiamo fatto con la Tunisia, in modo che al momento opportuno si ripristini un normale meccanismo di controllo e di contrasto al traffico degli esseri umani.
In conclusione, facendo un primo bilancio di questi mesi devo esprimere la profonda gratitudine, mia personale ma certamente - non ho tema di sbagliare - dell'intero Governo. Per il comportamento con cui il Parlamento ha sostenuto l'impegno del Governo italiano, in momenti in cui non era facile assumere quell'impegno, nelle varie fasi del dibattito parlamentare, e un mio personale, assolutamente pieno sentimento di gratitudine al Capo dello Stato, che non ha mai fatto mancare il sostegno e l'incoraggiamento in questa direzione.
Voi immaginate perfettamente cosa sarebbe accaduto, se non avessimo assunto la decisione di onorare gli impegni con le Nazioni Unite e con la NATO. L'Italia oggi sarebbe un Paese «paria» nel Mediterraneo, non saremmo neanche ammessi ai tavoli di consultazione. Sarebbe stato molto facile, per la nuova Libia, cancellare con un tratto di penna i contratti petroliferi e colpire gli interessi di migliaia di aziende italiane.
Noi abbiamo fatto bene a non farlo, abbiamo garantito lealtà atlantica, lealtà alle Nazioni Unite, e credo che gli eventi ci abbiano dato ragione.
Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, pregandoli di contenere i propri interventi in tre minuti di tempo.

PIETRO MARCENARO. Chiedo che vi sia una sproporzione tra l'intervento del relatore e gli interventi dei parlamentari. Non può stabilirsi che lo spazio per gli interventi sia di pochi minuti, dopo una relazione di quaranta minuti.

PRESIDENTE. Collega, il problema è legato ai tempi. Per quanto mi riguarda, potrei anche concedervi venti minuti a testa. Abbiamo sempre deciso di contingentare i tempi in base al numero degli iscritti a parlare. Sono le 14,55 e dobbiamo considerare mezz'ora per la replica del Ministro.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Mi dispiace, ma io parlo quaranta minuti perché è spiacevole sentirsi dire che il Governo non ha parlato di un determinato tema.

PRESIDENTE. Colleghi, io e il presidente Dini, con il vostro consenso e la vostra approvazione, avevamo deciso di contingentare i tempi. Se non volete più farlo, ditemi come vogliamo procedere.

GIORGIO TONINI. Vorrei avanzare una proposta sull'ordine dei lavori. Si consenta a ogni gruppo almeno un intervento un po' più disteso e poi interventi di durata minore. Per noi parlerà l'onorevole Pistelli qualche minuto in più e ci impegniamo che gli altri contengano i propri interventi in un tempo di tre minuti. È bene che si consenta almeno un intervento per gruppo che possa sviluppare un ragionamento, altrimenti è una conferenza stampa.

PRESIDENTE. Lei ha ragione. Non era mai emersa questa esigenza e ci eravamo contenuti nei tempi. Per carità, gestirò i lavori come meglio crediamo, ma vi prego - nessuno intende obbligarvi - di contenere i tempi.

LAPO PISTELLI. Grazie, signor presidente. Faremo tutti del nostro meglio, ma è ovvio che serve anche il buonsenso in una riflessione che avviene dopo gli eventi che sono accaduti e che ci permette di fare il punto su una vicenda non ordinaria. Per questo penso che il Parlamento possa permettersi il tempo di una discussione più distesa.
Inizio aderendo alle parole con cui il Ministro degli esteri ha chiuso il suo intervento: credo che l'Italia abbia fatto la sua parte e abbia fatto bene a farla. Noi non avevamo dubbi, fin dall'inizio, che si trattasse di stare con la comunità internazionale, e che la geopolitica prima ancora che la politica ci imponesse questo atteggiamento in Libia.


Siamo convinti di quello che abbiamo fatto, il che non ci porta a dire «mission accomplished», nel senso che la qualità del lavoro che in questi mesi la comunità internazionale svolgerà in Libia dirà molto, per un verso, del futuro di questo Paese, rispetto al quale conviene non dimenticare mai che più di un analista aveva temuto fino ad agosto un futuro somalo - sappiamo quanto è delicato l'equilibrio in quella terra - e, per l'altro verso, questo lavoro dirà molto, nel metodo che noi seguiremo, del messaggio che la comunità internazionale intende mandare agli altri Paesi arabi.
È di tutta evidenza che alcune primavere stanno diventando estati e altre stanno invece precocemente virando verso l'autunno, senza passare nemmeno dall'estate, quindi il modo con cui lavoreremo in Libia come comunità internazionale può influenzare gli eventi nel resto della regione.
Mentre lei parlava mi sono venuti in mente due punti di un intervento che Martti Ahtisaari faceva qualche tempo fa rispetto ad alcune regole auree che aveva imparato nel suo lavoro internazionale su come stare nei conflitti e nelle missioni internazionali: il primo, che serve un insieme e un ammontare di risorse, di intelligenza, di denaro e di politica nel post-conflitto pari almeno a quello che si pone nel conflitto - mi verrebbe da dire in questo caso che forse ne occorre di più - e il secondo, che non si deve pensare mai che la democrazia si concluda nel giorno delle elezioni.
Questi due princìpi aurei mi paiono ancora più forti nel caso della Libia, perché non vi è consuetudine letterale da più di quarant'anni. Soprattutto noi abbiamo parlato in altri anni dell'originalità del modello della Giamahiria, ma, se usciamo dalla categoria dell'originalità, ci rendiamo conto che la Libia non va ricostruita, ma costruita, nel senso che non esiste nulla di ciò che in altri contesti nazionali costituisce l'ossatura di un Paese: ceto medio, ordini, pluralismo dell'informazione, sistema delle garanzie, tutela dei diritti umani e via elencando.
Pongo alcune rapidissime domande, direi solo alcuni flash. Signor Ministro, lei ha fatto riferimento a missioni di polizia internazionale, o comunque variamente denominate, sia in sede di Nazioni Unite, sia forse in sede di Unione europea. Che rilievo, che seguito, che fondamento ha l'idea che tali missioni possano essere composte non prevalentemente ma sostanzialmente in modo esclusivo dai Paesi arabi africani, il che sarebbe un modo per segnare anche il messaggio negli altri Paesi?
La seconda domanda è quali garanzie o indicazioni avete avuto nei vostri colloqui a Parigi e dintorni rispetto alle intenzioni del CNT di consegnare, quando e come verrà preso, il colonnello Gheddafi alla giustizia della Corte penale internazionale e non alla giustizia libica, considerando che questo è stato uno dei punti che sono alla base dell'intervento, questione che è alla base delle risoluzioni n. 1970 e n. 1973?
In terzo luogo, Lei ha fatto riferimento alla questione dell'energia e anche all'operatività imminente di alcuni contratti già in essere, come, per esempio, quello di Impregilo. Non le sfuggirà che operavano in Libia numerosissime aziende molto più piccole, le quali non hanno i polmoni finanziari né di ENI, né di Impregilo e per le quali la garanzia dei pagamenti per le opere già compiute e sospese dall'intervento militare è condizione di sopravvivenza e non di sviluppo di nuovi portafogli. Chiedo se può esprimersi maggiormente in merito.
Da ultimo chiedo una sua valutazione politica sul ruolo giocato fino a oggi dal movimento islamista armato. Il fatto che anche un importante quotidiano nazionale abbia dato spazio a un'intervista ad Abdel Hakim Belhaj detto «l'afgano» e che si discuta del ruolo che nel post-conflitto costui possa giocare, è un tema di grande interesse per capire chi rappresenta il popolo libico e vedere come si vada a organizzare.
Concludo, presidente, pensando di non aver sforato di molto il tempo a mia disposizione, asserendo che condivido interamente il ragionamento che il Ministro ha svolto sull'utilizzo strumentale dei flussi migratori, ma mi dispiace dover sottolineare che diverse volte in questa sede si era ascoltato da parte dei colleghi del Governo l'esatto contrario, cioè che proprio l'intervento della comunità internazionale in Libia avrebbe scatenato esodi biblici. La realtà era disponibile già in quei mesi, la si è voluta cavalcare in modo strumentale e la replica dei fatti è molto più dura delle parole della propaganda.
Infine, rivolgo un saluto anche da questi banchi all'ambasciatore Buccino Grimaldi, che lascia il Quirinale e si reca a Tripoli, segno che la garanzia offerta dal Colle non vale soltanto per le tempeste finanziarie che attraversano l'Europa, ma anche per questa presenza sugli scenari internazionali.

LUIGI COMPAGNA. Nella ricognizione del Ministro Frattini è stato anche ripercorso il sentiero costituzionale che ha davanti la nuova Libia. Mi pare che il Ministro abbia affermato che il Governo la considera una sorta di road map che gli è stata illustrata ai primi di agosto e che essa prevede alcuni passaggi per commissioni. A un dato punto, non so se a proposito dei tempi, il Ministro si è lasciato sfuggire l'espressione «come in Egitto».
Da questo punto di vista, riprendendo sotto il profilo del sentiero costituzionale le preoccupazioni dell'onorevole Pistelli sul tasso di islamismo della nuova Libia, mi veniva da pensare che in fondo - come ha accennato in parte l'onorevole Pistelli - la Libia, nella storia del costituzionalismo «islamico», ha una posizione singolare perché il testo della Giamahiria - peraltro molto apprezzato per il suo «verdismo» (non leghista né ecologista) anche in Italia - conteneva un tasso di islamismo già esasperato. Nella vicenda, poi, l'alqaedismo ci ha dato tassi di islamismo ancora più esasperato.
Il riferimento all'Egitto mi pare, quindi, scivoloso perché un nuovo costituente, che potremmo definire della «fratellanza musulmana», con orientamenti islamistici antioccidentali, nel senso inteso dal collega Pistelli, è il vero nemico che incombe su questa road map costituzionale.
Facendo un passo indietro, vengo a un'altra considerazione del Ministro Frattini, che ha detto che l'Italia - non da sola - ha suggerito, per quanto possibile, la più ferma e rigorosa astensione da vendette e rappresaglie, riprendendo l'esempio della cattiva «debaathizzazione» irachena. A questo proposito, il Ministro ha anche detto di aver riscontrato, in questo senso, segnali moderatamente positivi. Ecco, vorrei che nella replica approfondisse questo aspetto. Difatti, anche senza la coloritura enfatica degli articoli di Bernard Henry Lévy, si attribuisce molto rilievo agli aspetti più segnant di queste giornate di dopoguerra.
Prevalgono per lo più gli entusiasmi dei ribelli arrivati a Tripoli, che registrano il disperdersi dei cosiddetti legittimisti, mentre proprio in Italia ci aveva molto colpito - mi pare tra il 24 e il 25 agosto - la vicenda, di tutt'altro segno, dei giornalisti italiani, peraltro conclusasi molto positivamente. Tuttavia, la narrazione dell'uccisione e della morte di quell'autista è stata di una ferocia degna delle peggiori cronache di islamismo armato. Grazie.

 

FRANCESCO TEMPESTINI. Vorrei porre una domanda molto asciutta e semplice al Ministro, senza neanche commentare la questione, visto che ne abbiamo parlato tante volte anche in sedi assembleari.
Lei ha accennato a una possibile revisione del Trattato italo-libico; potrebbe darci qualche informazione più di dettaglio, senza entrare ovviamente nel particolare?

FURIO COLOMBO. Il Ministro ha detto «riattivazione», non «revisione».

FRANCESCO TEMPESTINI. Cerchi di non interrompermi, per cortesia.
Signor Ministro, lei ha parlato di una rimessa in campo del Trattato e di una possibile revisione di alcuni punti. Potrebbe fornirci, senza scendere nel dettaglio, il senso di questa affermazione? Penso, per esempio, a tutto l'impianto finanziario del Trattato, alla questione con cui era regolato il rapporto tra immigrazione clandestina, stabilimento sul territorio libico, ai termini e alle forme delle garanzie internazionali a tutela dei migranti. Vorrei chiederle se su tali punti essenziali ci possa dire qualcosa di più.

MARGHERITA BONIVER. Signor presidente, ascoltando con molta attenzione la relazione del Ministro Frattini si capisce molto chiaramente anche dalle sue caute considerazioni che siamo all'anticamera - speriamo - della conclusione della prima fase della cosiddetta «guerra di Libia», una guerra umanitaria come voluta dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, alla quale credo l'Italia abbia partecipato giustamente, magari non convintamente nella primissima fase, ma in modo determinante offrendo la base NATO.
Siamo anche convinti che la vera guerra di Libia inizia adesso: siamo ai primi passi di una complessa operazione di nation building, in cui evidentemente i libici dovranno giocare un ruolo assolutamente preponderante e determinante. Qui cominciano però anche interrogativi, perché abbiamo visto e anche conosciuto un rappresentante del Consiglio nazionale transitorio e ovviamente, così come spesso succede alla caduta dei regimi totalitari, la stragrande maggioranza di coloro che si affacciano adesso e parlano di democrazia e libertà per la Libia in realtà erano sodali di Gheddafi fino a cinque minuti prima.
A questo punto interrogativo naturalmente non possiamo dare risposte, ma ci induce alla necessaria, molto attenta cautela proprio perché la road map di cui abbiamo appreso in questi mesi e che è stata confermata adesso dal Ministro degli esteri è particolarmente complessa in un Paese che in quarantadue anni di regime di Gheddafi non si era mai dotato di vero e proprie istituzioni.
L'esercizio primario della comunità internazionale, quel nation building che ci ha visti impegnati negli anni passati sia in Iraq - ed è sacrosanto l'appello a non commettere i gravissimi errori commessi in Iraq - e ci vede quotidianamente impegnati con un pesantissimo tributo di sangue in Afghanistan, in Libia avrà un tracciato similare dal punto di vista della presenza e dell'attenta mappatura delle istituzioni internazionali dell'Unione europea, di quella «Commissione di Venezia» indispensabile non soltanto per redigere costituzioni degne di questo nome, come è stata offerta sia in Tunisia che in altri Paesi del Medio Oriente, ma in Libia avrà presumibilmente una vita più complessa.
Anche l'interventismo anglo-francese ha lasciato inevitabilmente delle tracce, che dovranno essere cancellate al più presto, perché non si può giocare un ruolo delle parti così ingiusto, come è stato iniziato, dopo l'approvazione della risoluzione n. 1973, il 17 marzo di quest'anno. Rimane impresso non tanto l'immediato interventismo militare dei bombardieri francesi e inglesi quanto il fatto che vi sia stato poi un allineamento più lento e tardivo da parte della comunità internazionale, in cui l'Italia ha giocato un ruolo di piena dignità e di pieno significato.
Considero un dovere la riattivazione del Trattato di amicizia e cooperazione italo-libica, perché questo Trattato, come tutti i colleghi sanno fino alla nausea, era stato considerato come minimo vent'anni prima, ha coinvolto governi di ogni colore politico nel nostro Paese e aveva cominciato a dare frutti anche molto positivi, che dovranno essere al più presto riattivati, in un'ottica non soltanto di interesse nazionale, ma anche geopolitica. In tal ottica l'Italia è e rimane non soltanto il primo partner commerciale con la Libia, ma certamente il Paese che più ha a cuore la sua rinascita su basi democratiche e, quindi, tutto l'aiuto, sia umanitario, sia tecnico, che l'Italia dovrà e potrà fornire sarà assolutamente doveroso e necessario.

GIANNI VERNETTI. Anch'io ringrazio il Ministro per la relazione. Svolgo due brevi considerazioni e pongo una domanda.
Io penso che l'Italia abbia fatto ciò che era giusto. Credo che questo sia anche il motivo per il quale c'è stata un'ampia convergenza in Parlamento a fronte di una gravissima emergenza umanitaria, di rischi enormi per la popolazione civile e di una risoluzione storica, come è stata la n. 1973, che forse per la prima volta in modo così esplicito ha messo in cantiere l'applicazione della dottrina della «responsabilità di proteggere» e ha dato il via a quella che potremmo definire un'azione bellica umanitaria preventiva, che ha evitato certamente disastri e conseguenze ben peggiori.


Io sono stato molto positivamente impressionato dal documento del CNT libico, che è il prodromo della road map presentata al gruppo degli Amici. È un documento che, date le condizioni, come altri colleghi hanno rilevato, in un Paese nel quale di certo non c'è una vibrante società civile con la quale interloquire, a me pare essere politicamente rilevante: traccia un percorso complesso, ma articolato verso la costruzione e la stabilizzazione di una società democratica, aperta, libera e multipartitica. Io credo che questa sia la vera grande sfida che oggi noi abbiamo di fronte. Oggi per l'Italia comincia una fase di responsabilità importante, un enorme lavoro di nation building, come si è rilevato.
In questo contesto il lavoro da svolgere da parte nostra è certamente quello di riattivare il riposizionarsi dal punto di vista economico-commerciale. Su questo non c'è dubbio. Io sono convinto che l'Italia continuerà a essere il primo partner commerciale della Libia, ma forse oggi c'è bisogno, accanto al protagonismo economico-commerciale, di un ulteriore salto di qualità dal punto di vista della presenza politica. Penso che, oltre al ruolo che abbiamo avuto in questi mesi, a noi sia richiesto un impegno fortissimo di consolidamento delle nuove istituzioni libiche e di costruzione della nazione libica, con una presenza e un lavoro che credo andranno rafforzati e finanziati in modo significativo nei prossimi mesi.
Concludo con le considerazioni e passo a una domanda specifica. Vorrei sapere, signor Ministro, se lei ritiene possibile una missione NATO e un'eventuale partecipazione italiana a una possibile missione NATO per la formazione dell'esercito, della polizia e del sistema di sicurezza del futuro governo libico. La riterrei una possibilità peraltro pienamente compatibile anche con quanto fin ora disposto dalle risoluzioni, le quali escludevano l'utilizzo di truppe di forze di terra nel contesto bellico. Il contesto post-bellico di stabilizzazione, però, è profondamente differente.

PIETRO MARCENARO. Grazie, signor Ministro. Ci sono molte questioni da affrontare. A una accennava l'onorevole Boniver, parlando di Francia e Inghilterra. Naturalmente Francia e Inghilterra hanno occupato questo spazio nel vuoto totale, nella scomparsa in questa vicenda dell'Europa, del suo Alto Rappresentante e del suo servizio diplomatico. Sarebbe una questione che richiederebbe una discussione a sé, perché è un problema molto serio e l'unica via per pensare a ridiscutere quel ruolo sarebbe a livello europeo.
Come altri hanno osservato, anch'io concordo sul fatto che siamo a un primo approdo positivo, un risultato forse al di sopra di molte aspettative per alcuni aspetti. Lei, però, signor Ministro, sa che alla fine la comunità internazionale sarà giudicata sulla base della qualità del risultato, anche se naturalmente l'aver impedito una degenerazione della situazione è di per sé già un fatto molto importante.
Voglio solo svolgere due osservazioni. Anch'io ho visto il documento cui faceva riferimento l'onorevole Vernetti, però so anche che coloro che hanno scritto quel documento non sono ragazzi appena arrivati. Sono professionisti che sanno che cosa gli europei vogliono sentirsi dire e sono in grado di scriverlo. La prova va compiuta in un altro modo, naturalmente sul campo, verificando che cosa accadrà.
Io sollevo tre questioni. Della prima ha parlato anche il collega Lapo Pistelli e riguarda la questione di Gheddafi. Il fatto che ci sia da parte della comunità internazionale e del nostro Governo un pronunciamento perché non si ripeta l'atroce spettacolo che abbiamo visto con Saddam Hussein, ossia che si escluda qualsiasi forma di condanna a morte nel caso in cui il colonnello sia catturato e che o il Tribunale internazionale o nel caso di un giudizio in Libia, ciò avvenga con garanzia internazionale a me pare una questione che non costituisce un fatto isolato. È una questione politica di oggi che segnerà il futuro.
Il secondo punto, che a me pare determinante, è ripetere con forza che adesso è l'ora di una politica di riconciliazione, perché solo nel quadro di una politica di riconciliazione è possibile ridurre al minimo gli elementi di violenza che comunque per una lunga fase resteranno in una società tanto profondamente segnata. A me pare una questione sulla quale noi dobbiamo esprimerci e, dopo quanto è capitato e dopo ciò che la comunità internazionale ha fatto, spero che nessuno invochi un principio di non interferenza.
Passo all'ultima considerazione. Signor Ministro, c'è la questione dell'immigrazione, ma c'è anche il problema che in Libia si trovavano, a seconda delle stime, 1,5 ovvero 2,5 milioni di immigrati, fra regolari e irregolari, su 6 milioni di abitanti. Si valuta - ho visto i dati forniti dalle agenzie che si occupano del tema - che circa 800-900 mila di essi siano uscite per la maggioranza verso la Tunisia, ma anche che ce ne siano ancora circa un milione, esprimendosi naturalmente in cifre orientative, e Amnesty International ha cominciato a denunciare persecuzioni che sarebbero avvenute. Queste persone sarebbero identificate come eventuali mercenari e sarebbero sottoposte ad altre accuse. La questione di come sarà gestito questo aspetto tanto rilevante non è l'ultimo dei problemi e io penso che sarebbe bene se il Governo italiano mettesse tale punto nell'agenda dei problemi che considera e sui quali può impegnarsi e spendere un po' del suo ruolo.

FURIO COLOMBO. Io vorrei svolgere un'osservazione. Il Ministro Frattini, appartenendo anche psicologicamente, nello slancio psicologico che ha spesso caratterizzato il suo intervento, a un Governo fortemente ornamentale, che mette i festoni ai balconi, ma non permette di vedere l'interno delle stanze, ci ha descritto una Libia molto simile alla rappresentazione delle condizioni economiche dell'Italia quando ci raccontavano che eravamo fuori dal tunnel, che tutto il peggio era alle nostre spalle ed era passato, ma purtroppo è risultato che non era vero.
Basta la consuetudine con le immagini serali che le diverse televisioni ci mostrano sulla Libia e sullo stato della città di Tripoli e del cosiddetto assedio nel luogo in cui si troverebbe o non si troverebbe Gheddafi per mostrarci la rozzezza, l'incompletezza, il pericolo, l'instabilità, la non definizione, la mancanza di autorità e di coerenza in una situazione decisamente meno positiva rispetto alle condizioni che ci sono state descritte dal Ministro. Inoltre, va osservato che dalla stampa internazionale non risulta metà della metà del ruolo dell'Italia che il Ministro con tanta contentezza ci ha fatto notare; in più, dobbiamo renderci conto che un gruppo come quello degli Amici della Libia è un gruppo piuttosto affollato, nel quale ovviamente dobbiamo immaginare una proporzionale - basterebbe una proiezione su computer - diminuzione e riduzione di un ruolo dell'Italia che, quando lo abbiamo lasciato nelle mani di Gheddafi, fino a quando Gheddafi era ancora il grande amico dell'Italia e la controparte del Trattato, era un ruolo esclusivo. La parola che lei ha usato, Ministro, è «riattivazione»: l'idea che il Trattato Italo-libico possa riattivarsi in un'orchestra al completo di tutti i suoi elementi, ossia il gruppo degli Amici della Libia, è di per sé un pensiero non realistico.
Inoltre, permetta almeno a coloro che si sono opposti a quel Trattato in questo Parlamento di osservare che se entrano le Nazioni Unite come garante e supervisore non c'è un solo articolo di quel Trattato che potrebbe ottenere l'approvazione e l'omologazione dal punto di vista del Segretario generale e di qualunque organo delle Nazioni Unite, prima di tutto l'Agenzia per i rifugiati. Basterebbe un'audizione con il rappresentante italiano dell'Agenzia dei rifugiati per sentirci dire che cosa le Nazioni Unite pensano di quel Trattato.
Mi permetta, Ministro, ma ricordare il fatto che Gheddafi ci avrebbe coperto di un'ondata di immigrazione fa pensare a uno dei più brutti errori della sua, per fortuna migliore, carriera durante il periodo del conflitto, quando lei ci ha annunciato che si sarebbe potuti arrivare a un milione di profughi. Lei chiama «traffico di esseri umani» l'esodo di popoli da fame, guerre, rivoluzioni, torture, distruzioni, purtroppo cedendo al linguaggio di un suo partner di governo. Credo che non sarebbe il suo linguaggio, ma lo ha adottato per quieto vivere e probabilmente per ottenere un «sì» sulle pensioni. Resta il fatto che non ricordare in questa sede i tanti morti che ci sono stati durante questi mesi nel Mediterraneo, intendo dire coloro che sono morti affogati, o coloro che non hanno avuto soccorso neanche da navi della NATO, il non ricordarli almeno come si fa in Aula quando si ricorda un collega defunto, mi sembra grave e moralmente da ripensare.
Infine, vorrei confermare, ma anche sostenere e approfondire, ciò che il collega Tempestini ha detto in quest'Aula: bisogna ritornare sul Trattato, dal punto di vista del dedicare più tempo. Ecco, lei sa che io sto parlando dal punto di vista di chi ha un'opinione personale negativa; lei sa che avevo firmato e sostenuto il 9 novembre la mozione del collega Mecacci nell'Aula della Camera, che contiene ventuno domande senza risposta, motivate, precise, tutte conosciute dall'opinione pubblica internazionale su quel Trattato e sull'uso di quel Trattato nei confronti dei migranti.
Credo di interpretare in questo senso cioè che l'onorevole Tempestini ha detto come capogruppo del PD nella Commissione esteri, chiedendole, signor Ministro, di darci l'occasione di esaminare con lei, con la Camera ed il Senato riuniti in una situazione come questa, il Trattato prima di usare la parola «riattivazione». Dico questo dal punto di vista non di chi ha votato contro e lo ha rifiutato, ma da quello più oggettivo - non dirò più sereno perché non è tipico del mio modo di intervenire e delle cose che ho detto finora - di chi intende valutare come il Trattato così com'era si potrebbe ambientare in una situazione che è definita dal gruppo degli Amici della Libia in proporzioni, misure ed equilibri radicalmente diversi da quelli in cui il Trattato è stato votato da questo Parlamento. Grazie.

ENRICO PIANETTA. Signor presidente, esprimo una considerazione generale perché mi sembra che la questione libica dal punto di vista della gestione da parte della comunità internazionale possa essere riconsiderata con moderata soddisfazione. In fin dei conti, non sono stati commessi errori come in altre circostanze, e credo che questo sia un fatto positivo da rimarcare sia a livello di comunità internazionale sia per quanto riguarda il comportamento dell'Italia.
Sottolineo e condivido anch'io le conclusioni del Ministro a questo riguardo: l'Italia si è comportata lealmente a livello atlantico e anche per quanto attiene la questione della risoluzione delle Nazioni Unite, tutto questo con il grande supporto e la condivisione del Parlamento. Credo che grazie a questo comportamento sia possibile condividere le considerazioni del Ministro in relazione al fatto che l'Italia potrà continuare ad essere in pole position nei confronti della Libia. Prima l'Italia ha messo a disposizione le basi NATO, oggi mette a disposizione, per tutta l a futura attività logistica e per quanto riguarda tutta la prospettiva, le basi logistiche di Brindisi.
Credo che questi siano i fondamentali punti politici che hanno caratterizzato l'aspetto della gestione da parte della comunità internazionale e la gestione da parte dell'Italia. Credo inoltre che la presa di posizione e la proposta da parte libica della Road map debba essere considerata con particolare favore, perché rappresenta un'assunzione di responsabilità per quanto attiene lo sviluppo futuro nel proprio Paese da parte degli attuali responsabili.
In questo contesto credo che debba essere valutata in maniera molto positiva l'assunzione di responsabilità, nel quadro generale, da parte delle Nazioni Unite attraverso la missione politica integrata, ma al tempo stesso, signor Ministro, ritengo che l'accordo con l'Unione europea, anche se deve essere oggetto di richiesta esplicita da parte libica, debba essere auspicato con molta determinazione. Pur lasciando all'autonomia della Libia questa decisione, credo che dovremmo mettere in atto tutti gli sforzi necessari perché questa azione possa essere avanzata da parte libica.
Sono anche convinto che per continuare ad essere in pole position dobbiamo riattivare - uso questo verbo perché mi sembra molto adeguato - il nostro Trattato di amicizia con la Libia, con quegli eventuali aggiornamenti che possono essere discussi e concordati con le nuove autorità libiche.
Concludo con una preoccupazione. Indubbiamente si è trattato di una guerra civile, che ha già determinato molto sangue in terra libica, e io credo che l'Italia e la comunità internazionale debbano mettere in atto, in questo momento, la

cautela e l'attenzione necessarie per evitare che ci possano essere vendette e ulteriori bagni di sangue. I possibili colpi di coda da parte di un regime che dobbiamo auspicare possa essere negli ultimi giorni della sua esistenza possono avvenire: ritengo quindi che la comunità internazionale debba in questo momento con particolare attenzione mettere in atto tutta l'assistenza possibile e proporre, come elemento prioritario, la cura dei feriti, la distribuzione di medicinali e tutto ciò che riguarda il ripristino delle infrastrutture, della distribuzione dell' acqua potabile e lo sminamento del territorio. Soprattutto, ripeto, ci deve essere molta attenzione, perché non dobbiamo assistere, sull'altra sponda del Mediterraneo ad un ulteriore bagno di sangue che metterebbe a rischio tutto il buon esito dell'azione internazionale in corso nei confronti della Libia.

FRANCO NARDUCCI. A me pare che a gennaio le rivolte arabe suscitassero veramente simpatia in tutto l'Occidente, mentre oggi ci sono molte preoccupazioni soprattutto in Europa, perché si cominciano a evidenziare le conseguenze negative principali.
Per esempio, durante i mesi della guerra dall'Europa sono state vendute grandi quantità di armi che ora stanno finendo in Medio Oriente. Anche nella recente Conferenza delle Commissioni affari esteri dell'Unione europea a Varsavia si è registrato uno smarrimento dei partner europei, un'inquietudine dei Parlamenti nazionali di fronte a un vuoto che definirei quasi pneumatico dell'iniziativa diplomatica europea e alla preoccupante afasia dell'Alto Rappresentante - come il presidente Dini ha sottolineato nel suo intervento in quella sede - con una serie di cacofonie anche a livello di piccoli Paesi europei.


Credo che bisogna veramente smorzare sul nascere il rischio di ulteriori frammentazioni tra gli alleati, che si rifletterebbero inevitabilmente sul terreno della transizione post-bellica, rendendola ancora più difficile. Si fa in fretta a sostenere che dobbiamo costruire la democrazia in Paesi che sono molto lontani dalla democrazia stessa. Se si comincia a ragionare in termini di Realpolitik, credo che sia assolutamente necessario che l'Italia, e in questo il Ministro mi pare sia stato chiaro, sappia fornire un suo contributo forte alla politica estera europea, un contributo che vada oltre la sola questione libica. L'Unione europea si deve riappropriare o appropriare dell'intero dossier che riguarda l'Africa del Nord e di quanto sta accadendo in quei Paesi con un disegno di prospettiva, di lungo termine.
Ultimamente l'Europa ha formulato diverse proposte, come quella dell'appoggio di un partenariato per la democrazia e per la prosperità condivisa. Più recentemente si è espressa anche attraverso proposte di revisione della Politica europea di vicinato e la creazione di una nuova task force per il Mediterraneo del Sud.
In questa prospettiva, signor Ministro, lei ha citato molti punti in cui bisognerebbe intervenire con la formazione. Le chiedo anche qual è la posizione del Governo in ordine al progettato Fondo europeo per la democrazia, che è stato proposto nell'ambito della Politica europea di vicinato.
Per quanto riguarda lo sfruttamento delle ingenti risorse energetiche della Libia, mi pare che la Conferenza di Parigi sia arrivata a un punto di svolta. Le chiedo se risponda a verità che, come riportato dalla stampa francese, ci sia già un impegno del CNT affinché un terzo delle risorse energetiche libiche venga sfruttato dalla Francia. E da ultimo vorrei conoscere la sua opinione rispetto alla notizia di agenzia di

oggi secondo cui, nel piano della road map, l'amministrazione della giustizia secondo il CNT in attesa di riforma sarà ispirata alla sharia.
Credo che questo sia un pericolo e un rischio anche per i futuri rapporti internazionali di lungo termine.

MASSIMO LIVI BACCI. Desidero esprimere due considerazioni. La prima riguarda il Trattato di amicizia con la Libia e l'eventuale revisione di alcune sue parti o clausole. Ritengo che il quadro finanziario probabilmente dovrà rimanere quello che è, ma inviterei a riflettere sulla possibilità di rivedere i tipi di intervento.
Il Trattato di amicizia prevede interventi molto pesanti in grandi infrastrutture, ma forse non sempre l'investimento in grandi infrastrutture è la via migliore per sostenere lo sviluppo di un Paese come la Libia, che manca di piccola e media impresa, di artigianato, di un'agricoltura moderna. Forse occorrerebbe non sottostare alla pressione dei grandi potentati economici, che giustamente dal loro punto di vista tendono a convogliare le risorse e gli interventi in grandi progetti, ed essere ricettivi nei riguardi di eventuali richieste da parte del Governo libico di interventi più o diversamente orientati allo sviluppo.
La seconda considerazione è già stata sollevata. Come tutti i Paesi produttori di petrolio, la Libia dipende dal lavoro straniero. I Paesi arabi che producono petrolio hanno dal 30 per cento dell'Arabia Saudita al 90 per cento dell'Oman della loro popolazione costituito da immigrati. La Libia un po' meno, ma, come prima evidenziato dal senatore Marcenaro, ha 1,5-2 milioni di immigrati. Di questi l'UNHCR ha enumerato, a tutta la prima settimana di agosto, quasi 1,5 milioni di transiti dai confini libici in uscita, di cui una buona fetta costituita da libici, ma una buona quantità da tunisini, egiziani, ma anche nigeriani, abitanti dell'Africa sahariana e subsahariana.
Questi rientreranno sicuramente se ci sarà ricostruzione, e quanto più veloce sarà la ricostruzione tanto maggiore sarà il bisogno di rientro degli immigrati. Credo che questa sia un'occasione per l'Italia, anche di fronte all'Europa, di rimettere su un piano umano e legale tutta la questione dei flussi migratori e del loro controllo. In maniera più specifica mi domando se non sia il momento di realizzare in Libia, con l'aiuto degli altri Paesi europei ed eventualmente di altri, per i profughi che volessero fare domanda di asilo presidi che siano abilitati a ricevere ed esaminarne le domande con tutte le garanzie disponibili.
Credo che questo sarebbe un progresso di grandissima importanza e che questo sia il momento di fare pressione perché questo avvenga. Invito quindi a riflettere su questo punto e credo che le organizzazioni internazionali come l'UNHCR debbano rimettere piede con piena forza in territorio libico e si debba sostenere questo tipo di azione.

MATTEO MECACCI. Ringrazio anch'io il Ministro per averci dato molte informazioni in questa relazione e credo sia stato politicamente abile nel cogliere alcuni elementi di fatto che ci sono stati in queste ultime settimane, a partire dalla presa di Tripoli e dall'avanzata dei ribelli per delineare un quadro della situazione in Libia che però a me appare eccessivamente ottimistico come - per usare un eufemismo - eccessivamente ottimistiche erano state alcune valutazioni del Ministro relative al regime di Gheddafi.
Dico questo non per amore di polemica, ma per cercare di evitare che il nostro Paese compia alcuni gravi errori politici commessi in passato, che rischia di commettere anche in questo nuovo scenario libico. Non sono state citate, però nei giorni precedenti alla Conferenza di Parigi ci sono state dichiarazioni di esponenti del Consiglio nazionale transitorio, che credo avrebbero dovuto avere risposta sia dalla Conferenza di Parigi che dai Paesi che sono stati più impegnati in questo intervento della NATO, che a mio avviso sono molto preoccupanti.
La prima riguarda il diritto/dovere delle autorità libiche di processare Gheddafi. Queste sono state le dichiarazioni degli esponenti del Governo libico non contestate da nessuno, mentre anzi il Presidente Sarkozy in sede di convocazione della Conferenza di Parigi ha ribadito il diritto dei libici di processare Gheddafi.
Se noi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite diamo mandato alla Corte penale internazionale di avviare le indagini, con tutto quello che poi è accaduto, le richieste di arresto e quant'altro, e di fronte alla situazione ricordata da tanti colleghi in cui da 40 anni in Libia non esiste alcun sistema giudiziario che possa essere ritenuto minimamente credibile per il rispetto degli standard internazionali, ancora a conflitto in corso si dice che spetta ai libici processare Gheddafi, ci si mette nella situazione che lei stesso, signor Ministro, e la Conferenza di Parigi ha detto di voler evitare, una situazione di stampo iracheno in cui, se il dittatore non viene ucciso prima, come è probabile che accada, verrà processato nelle piazze, stabilendo un record per nulla positivo per un intervento a protezione umanitaria da parte delle Nazioni Unite e della NATO.
Altra dichiarazione: no assoluto a presenza di peacekeeper delle Nazione Unite sul territorio libico. Questi esponenti del Consiglio nazionale transitorio di libico forse sono arrivati a Tripoli anche grazie a un qualche contributo della comunità internazionale e di truppe internazionali. Immaginare - conosco le obiezioni: forze di occupazione straniera sul territorio, giammai - però una presenza di peacekeeper delle Nazioni Unite che possano garantire, ad esempio, le centinaia di migliaia di migranti che, come si è letto due giorni fa sul New York Times e ieri sul Corriere della Sera, sono oggetto di caccia all'uomo in alcune zone del Paese perché ritenuti mercenari al servizio di Gheddafi.
È infatti necessaria una forza di monitoraggio e di presenza internazionale anche in grado di difendersi sul territorio libico, visto che le Nazioni Unite sono presenti in 20-25 scenari internazionali con presenze di peacekeeper civili e militari che però garantiscono anche che questi processi di transizione non sfocino in guerre civili. Non farlo in Libia dove c'è una missione NATO con autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell'ONU sarebbe un grande errore.
Ci chiediamo allora cosa si possa fare anche a livello bilaterale. Lei, signor Ministro, ci ha detto che entro due settimane ci si aspetta di avere un nuovo Governo a Tripoli, con un processo inclusivo anche di alcuni settori non compromessi con il vecchio regime, che possano garantire anche alla parte di Tripoli una qualche forma di rappresentanza.
Credo che immediatamente vada chiesto al nuovo Governo libico di ratificare, come ha fatto il Governo transitorio tunisino, tutti gli strumenti internazionali in materia di diritti umani: convenzione sui diritti civili e politici, convenzione ONU sui rifugiati e tutte le altre norme che ben conosciamo, che sono il quadro di riferimento da cui si può partire per fare la ricostruzione. Se non ci sono queste norme di riferimento, dare mandato a una nuova Costituente di immaginare una nuova interpretazione dei diritti umani in base alle identità culturali di Paesi di nuova democrazia credo che sarebbe un errore.
È inoltre giusto sostenere questa road map, però credo che vada chiesto - anche in un ambito di necessità che queste autorità hanno, da un lato di scongelamento dei beni libici all'estero, parliamo di molte decine di miliardi di euro, dall'altro per i fondi che a livello bilaterale il nostro Paese, come altri, si è impegnato a versare - di garantire che ci siano forme di monitoraggio, non di colonizzazione, dei processi politici.
Che cosa significa ciò? In Egitto il referendum che si è tenuto e le prossime elezioni si svolgeranno senza la presenza di osservatori internazionali per il rifiuto delle autorità egiziane di avere questo tipo di presenza. Credo che sia un elemento di preoccupazione molto forte che si aggiunge a quelli che si sono già evidenziati. Giustamente il senatore Compagna osserva che invece in Tunisia saremo presenti come Assemblea parlamentare dell'OSCE il 23 ottobre. Questa presenza ci sarà perché vi è stata anche un'insistenza dal livello europeo a quello politico internazionale; bisogna far sì che nel sostegno a questi processi di transizione non si diano nuovi assegni in bianco. Come abbiamo imparato dal passato e anche dalla vicenda del Trattato di amicizia con la Libia, quando si danno assegni in bianco a regimi che non hanno garanzie di tipo burocratico, si rischia molto.
Chiudo brevemente sul trattato. Io credo che nei mesi scorsi sia stato commesso un errore dal Governo, quando il Parlamento l'aveva chiesto e ci si è rifiutati di denunciare formalmente l'applicazione del trattato. La riattivazione di un trattato - non sto a insegnare nulla a nessuno - non esiste come termine giuridico. Un trattato o esiste o non esiste. Noi non lo stiamo applicando, perché abbiamo scelto di non applicarlo a livello politico, pur essendo vincolati a farlo.


In quel trattato non vi sono le stesse garanzie che la comunità internazionale normalmente chiede per i Paesi che si avviano a un processo di transizione democratica e in termini di rispetto di tali trattati internazionali. Accolgo positivamente la disponibilità del Ministro e l'annuncio di riunioni di queste commissioni miste e auspico che si inseriscano all'interno del trattato condizioni vincolanti anche per l'esborso dei tanti soldi che il nostro Paese si è impegnato a erogare, perché si parla di 200 milioni di euro l'anno per venti anni in opere pubbliche sul territorio libico, e che ci sia una garanzia che ciò possa avvenire in un contesto in cui i diritti e lo Stato di diritto di quel Paese possano essere rispettati.

MARCO PERDUCA. Si è parlato di riconciliazione. Se esistono processi di riconciliazione che hanno potuto portare a un contesto socio-politico e istituzionale migliore, questi si sono sempre basati sulla ricerca della verità per arrivare alla riconciliazione. Non vorrei che, laddove si parlasse di riconciliazione, si facesse l'economia della ricerca della verità, sia per quanto riguarda tutti i nuovi amici del popolo libico (Italia, Francia e Inghilterra in prima posizione, e si potrebbero scoprire alcune verità un po' scomode), sia per quanto riguarda chi oggi si ritiene essere il «legittimo» e «legale» rappresentante del popolo libico, cioè questo fantomatico CNT, che solo dieci giorni fa ha reso nota la lista di tutti i propri componenti.
Speriamo tutti che, visto e considerato che per quanto riguarda la Libia c'è un atteggiamento di assestamento per fasi successive relativamente a ciò che si riteneva giusto e a ciò che il giorno dopo si ritiene ancora più giusto, da parte dell'Italia in modo particolare, quando si passerà al Consiglio di sicurezza, la verità venga prima della necessità di riconciliazione, perché si possano stipulare patti chiari, non come quelli del Trattato che si è ratificato tre anni fa, e un'amicizia veramente lunga e sicuramente una volta per tutte con il popolo e non con le nuove oligarchie.
Ricordo soltanto, come primo esempio in cui la comunità internazionale si è fatta carico della ricostruzione di una nazione, cioè la Cambogia, che molto probabilmente anche in quel caso la verità non è stata tutta scavata, tant'è vero che ci siamo trovati a trent'anni di distanza dai fatti a dover costituire un tribunale speciale per trovare le responsabilità dei Khmer rossi. Oggi ci troviamo con lo stesso signore, allora salutato come liberatore della Cambogia da Pol Pot, cioè Hun Sen, che continua a trattare i propri cittadini magari come li trattiamo anche noi in Italia, ma sicuramente non rispettando i loro diritti civili, politici, economici, sociali e culturali.
Tutta questa ricerca di verità, che poi si potrà ampliare anche sul ruolo di Gheddafi in altri conflitti della regione, a partire da quello dell'Iraq, secondo me va nella direzione auspicata dall'onorevole Mecacci e dall'onorevole Colombo: si deve rivedere il trattato e anche imporre la ratifica degli strumenti internazionali dei diritti umani. Altrimenti, come non abbiamo fatto - ahimè - in Afghanistan, ci troviamo il giorno dopo una bellissima Assemblea costituente che crea la Repubblica islamica di Libia e siamo punto a capo a tentare di trovare un'exit strategy che duri altri dieci anni, ma che non porta a casa nulla per il popolo libico, di cui siamo sempre stati tutti tanto amici.

ARTURO MARIO LUIGI PARISI. Col suo tradizionale approccio analitico, signor Ministro, lei ha messo a disposizione nostra per oggi e per domani un numero consistente di elementi che ci chiamano ad approfondire la riflessione. Sono molti, direi forse troppi. Tuttavia, di uno sento ancora la mancanza ed è un tema che ho avuto occasione di sottoporre nel corso dei nostri incontri: mi riferisco a un giudizio o comunque a informazioni più articolate e nitide per quanto riguarda il Consiglio nazionale di transizione.
Come mi è capitato di osservare, di Gheddafi sappiamo molto, ma del Consiglio nazionale di transizione sappiamo troppo poco. Poiché immaginiamo che esso sarà il nostro interlocutore per quanto riguarda il futuro, mi avrebbe fatto piacere sapere qualcosa di più di alcuni eventi, di alcune figure, di alcuni nomi nei quali ci siamo imbattuti nella stampa nel corso degli ultimi mesi. Mi riferisco all'episodio dell'uccisione del responsabile delle forze armate del Consiglio nazionale di transizione, all'assunzione della responsabilità da parte di un esponente che ha una nitida, ancorché esposta a ripensamenti, estrazione islamista e alla dichiarata presenza di componenti islamiche all'interno di questo interlocutore collettivo.
Sono costretto naturalmente a chiederle, per una prossima riunione nel corso del nostro ulteriore percorso, di disporre di più elementi, perché come minimo ritengo che in questa interlocuzione noi dobbiamo mettere in campo un atteggiamento più rigoroso ed esigente di quello che ha connotato i rapporti tra noi e l'autorità libica del passato ai tempi del Governo, per così dire, di Gheddafi. Non possiamo in alcun modo permetterci di ripetere gli stessi errori.
Anche dagli elementi che lei ci ha offerto purtroppo noi non siamo in condizione di tirare le somme e purtroppo gli elementi mettono capo ad alcune combinazioni. L'assenza di un giudizio sintetico mi impedisce sostanzialmente di alleggerirmi di un termine che nel fascicolo delle relazioni italo-libiche e tra Europa e Libia vede una parola superare le altre, ossia «imbarazzo» e persino «vergogna», imbarazzo e vergogna per le modalità con cui si è sviluppato il nostro rapporto passato con la Libia e per alcuni passaggi di questa vicenda recente e, non vorrei, anche per quello che ci attende in futuro.
Partendo da questa ignoranza e da questa sensazione, mi permetto di rivolgerle una domanda semplicissima. Lei ha affermato, con una punta di orgoglio, pensando al futuro, che noi siamo stati e siamo i primi partner della Libia sul piano commerciale. Prendo atto di ciò, anche se è assolutamente compatibile con una ridefinizione dei rapporti che vede altri soggetti, che sarebbero in seconda posizione, crescere enormemente nel loro peso. Ad ogni modo, la domanda è se si sentirebbe di dire la stessa cosa per quanto riguarda il versante politico. Potremmo dire che l'Italia, ancorché in un'interlocuzione dialettica e critica nei riguardi della Libia, occupa la stessa posizione nella graduatoria che lei ha rivendicato dal punto di vista economico?
Se per caso fossero sfasate queste due graduatorie - quella economica e quella politica - mi potrebbe aiutare a capire a che cosa attribuisce questa sfasatura per il passato e in che modo questo divario può essere recuperato per il futuro?

GIANNI FARINA. Vorrei formulare alcune considerazioni, anche per capire chiaramente il ruolo che può avere l'Italia in un contesto tanto difficile e persino drammatico.
Leggo oggi su Le Monde che, attualmente, il problema della Libia sono i ragazzi del Paese che hanno lavorato per il regime e che non vogliono lasciare il potere. Dico questo perché non ci sono dubbi che Gheddafi fosse un dittatore sanguinario. Mi sembra evidente e concreto. Tuttavia, anche che la Libia non abbia mai conosciuto la democrazia in tutta la sua storia, prima e con Gheddafi, mi sembra una realtà di cui dobbiamo tener conto. Si parla tanto di processo di riappacificazione. Vorrei, però, capire come deve avvenire questo processo e

quale sarà lo strumento con il quale si opererà nel Paese per consultare le tribù, che sono una realtà fondamentale del Paese da cui non possiamo prescindere se vogliamo costruire una Libia moderna.
Vengo a un'altra considerazione. Quanto successo in Libia è totalmente diverso da quanto è accaduto nel resto del Maghreb, ovvero dalle rivoluzioni egiziana, tunisina e, in parte, anche se guidata dalla monarchia e con un processo democratico in atto, marocchina. Queste sono state vere e proprie rivoluzioni democratiche popolari, di cui, oltretutto, non abbiamo tenuto sufficientemente conto. Invece in Libia è stato diverso. Allora chiedo chi sono gli esponenti del CNT, che è passato hanno e che ruolo possono avere nella costruzione di una Libia moderna.
L'ultima considerazione è che dobbiamo pensare a un ruolo dell'Europa, che non c'è stato. La divisione dell'Europa, in questa circostanza, è stata drammatica, evidenziando ancora una volta una crisi che perdura e che va superata. A parte questo, mi chiedo quale possa essere il ruolo dell'Unione africana. Questo è un aspetto interessante.
Per parte mia, sono convinto che l'Africa del Nord seguirà l'Egitto, per cui dovremmo fare tutto il possibile per aiutare questo Paese, che ha una tradizione millenaria, a recuperare un ruolo importante nel contesto del Maghreb. Tuttavia, è evidente che il ruolo dell'Unione africana può e deve essere fondamentale per la costruzione di una nuova democrazia per quanto riguarda la Libia e tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
Del resto, qui risiede anche il ruolo specifico dell'Italia. Difatti, abbiamo una grande e forte tradizione di politica mediterranea e dobbiamo fare in modo che in Europa si persegua questo obiettivo, che non è di recuperare solo la Libia a una storia moderna e democratica, ma di avviare tutto il Maghreb a un modo nuovo di concepire i rapporti tra l'Europa e l'altra sponda del Mediterraneo.
Su questa questione vorrei avere alcuni chiarimenti dal Ministro.

LAMBERTO DINI, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica. Molto brevemente, a me pare che dalla relazione svolta dall'onorevole Ministro e in particolare dalle osservazioni fatte dai colleghi emerga la vastità dei problemi e le difficoltà che i nuovi dirigenti libici dovranno affrontare per la costruzione o la ricostruzione del Paese.
A questo riguardo non dobbiamo farci illusioni: questa transizione sarà lunga e i problemi che dovranno essere affrontati richiederanno tempo. Si parla di una nuova Costituzione fra nove mesi e poi prima dell'applicazione passerà ancora tempo, ma intanto sarebbe opportuno fare qualcosa di forte per la riattivazione dell'economia. A questo riguardo, signor Ministro, lei ha detto che sono stati scongelati 2,5 miliardi che saranno messi a disposizione del Consiglio nazionale transitorio e possono servire per le opere più urgenti (la riattivazione dei trasporti, lo sminamento). C'è poi da sperare che l'Unione europea come l'Italia possa prestare aiuti umanitari e assistenza, ma la Libia avrà bisogno di soldi per le sue importazioni.
A questo riguardo, per riattivare l'economia non sono sufficienti il Greenstream o la riattivazione del flusso di petrolio: è necessaria la costruzione di un Governo. Chi ricostruisce le istituzioni, chi avrà l'autorità di fare i pagamenti, onorevole Pistelli? Oggi non ci sono i ministeri, non ci sono le autorità per garantire i pagamenti né per le grandi né per le piccole imprese: ci vorrà molto tempo e di questo dobbiamo essere tutti coscienti.


Più colleghi hanno sottolineato i problemi umanitari, i flussi migratori, gli stranieri in Libia, ma sono sorpreso che nessuno abbia fatto cenno con riprovazione a quanto per lungo tempo abbiano fatto la CIA e l'M16 inglese nel riconsegnare a Gheddafi cittadini libici che erano oppositori del regime e che sono stati torturati. Due giorni fa, il Primo ministro inglese ha ordinato un'inchiesta per valutare dal punto di vista morale ma anche politico quanto hanno fatto gli inglesi a questo riguardo, mentre ora si presentano come grandi paladini...

MATTEO MECACCI. Vogliamo fare anche noi un'inchiesta sui rapporti in Italia? Sarebbe una buona proposta...

LAMBERTO DINI, Presidente della 3a Commissione del Senato della Repubblica. A mia conoscenza noi non siamo stati coinvolti in operazioni del genere: sarebbero venute fuori come oggi è emerso che il capo militare dei ribelli è stato torturato da Gheddafi dopo essere stato consegnato dagli inglesi. Mi sorprende quindi che tra tutte le questioni militari nessuno abbia fatto riferimento a questo aspetto che io ritengo riprovevole e sul quale dovrà essere fatta luce.
Ci dobbiamo preparare dunque a una lunga transizione, in cui certamente l'Italia e l'Europa dovranno avere un ruolo importante. In Libia elementi islamisti ci sono e probabilmente avranno un ruolo e un peso anche nella scrittura della nuova Costituzione, di cui abbiamo visto le prime bozze.
C'è da aspettarsi che in questi Paesi dopo oltre quaranta anni di regime emerga un sistema democratico probabilmente più radicale dei predecessori.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Frattini per la replica.

 

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Grazie. Inizierei dalle parole del presidente Dini. Certamente avremo una fase di transizione lunga, complessa, certamente non facile, in cui evidentemente l'obiettivo, come comunità internazionale, quindi innanzitutto come Unione europea e Nazioni Unite, è di aiutare la nuova Libia a costruire un sistema di potere, un sistema di governo che possa coniugare il riconoscimento delle libertà civili, dei diritti delle persone, che è stato alla base di questa rivoluzione libica, con il contrasto di quelle infiltrazioni estremiste che preoccupano voi tanto quanto preoccupano me.
È chiaro che la comunità internazionale dovrà svolgere un esercizio molto difficile, quello di interrogarsi oggi sul come riuscire a conciliare due interessi altrettanto importanti: il ripudio di ogni forma di estremismo, che sarebbe in fondo un'altra forma di violazione dei diritti umani, e al tempo stesso il rispetto per la ownership libica.
È un po' curioso che i popoli occidentali, dopo avere, per ragioni di convenienza, tenuto per decenni grandi alleanze con dittatori che garantivano la sicurezza, oggi di colpo si sveglino proponendo soluzioni e ricette.
È ovvio che oggi abbiamo una grande sfida: da un lato, siamo convinti che l'estremismo islamista sarebbe ancora una volta la negazione dei diritti delle persone, dall'altro però dobbiamo accompagnare senza rimpiazzare, suggerire senza imporre. Questa sarà la sfida politica. Come ha detto il presidente Dini, sarà una sfida lunga e complessa, che non si esaurirà in poche settimane.
Anche io guardo con attenzione e con qualche preoccupazione a cosa sta accadendo in Egitto, ma se il Governo egiziano ha rifiutato non solo gli osservatori alle future elezioni, ma anche il prestito del Fondo monetario internazionale, quindi

denaro di assoluta necessità per il popolo egiziano, lo ha fatto perché ha trovato nelle condizioni e nelle clausole proposte un qualcosa che offendeva il sentimento di ownership del popolo egiziano. A queste nuove sensibilità dobbiamo abituarci con la politica.
A livello di Unione europea, quando abbiamo deciso quel piano per l'aiuto e sostegno alla democrazia, che è stato ricordato da un collega, un programma della Commissione europea, lo abbiamo intitolato «Una condizionalità intelligente»: non possiamo passare dal tollerare ogni forma di non democrazia a una forma di condizionalità piena, nel senso che se quei modelli non saranno esattamente come piacciono a noi neanche un euro dei fondi europei sarà attribuito. Occorre gradualità e tempo. È più difficile, molto più difficile, ma credo che la Commissione europea abbia fatto bene a dire, ad esempio, «noi non poniamo precondizioni, né dovete assolutamente seguire modelli costituzionali come vi suggeriamo, ma siamo disposti ad aiutarvi se lo volete». La Tunisia ha detto di sì e la Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa, come sapete, sta aiutando la Tunisia a costruire un sistema elettorale e costituzionale che probabilmente sarà un buon esempio anche per altri Paesi. Lo dico perché è molto facile passare da un estremo all'altro e quindi la difficoltà e la lunghezza del processo politico sono davanti a noi.
Risponderò ad alcune domande puntuali. Onorevole Pistelli, effettivamente si parla di una missione sul terreno di peacekeeping formata essenzialmente di Paesi arabi africani. Non abbiamo ancora il draft, il testo, però si parte dall'idea che una presenza sul territorio è più utile e più condivisa se proviene dallo stesso mondo e dallo stesso sistema in cui cresce la società libica.


Parlando di Paesi africani, anche in questo caso occorre un distinguo. Non parlerei di Paesi africani subsahariani, con cui c'è una tradizione di inimicizie, di mercenari, una tradizione per cui il popolo libico oggi, sbagliando, tende a vedere molti neri come mercenari, mentre non lo sono, ma sono semplicemente profughi o immigrati da altri Paesi. L'equilibrio che dovrà trovare l'ONU in questo senso sarà molto difficile.
Per quanto riguarda la consegna di Gheddafi alla Corte penale internazionale, credo che molti colleghi non abbiano, per ragioni che non conosco, letto le mie numerosissime dichiarazioni in questo senso. Non ci può essere dubbio su quale sia l'opinione del Governo italiano: la giustizia della Corte penale deve avere la priorità. È evidente che ciò significa non solo che si terrà un processo dinanzi alla Corte, ma anche che non si esclude poi un processo libico, perché i crimini contro l'umanità contestati da un lato non escludono la processabilità per altri crimini con giudizio e con tribunali libici. Gheddafi non si sottrarrà alla giustizia della Libia per determinate categorie di crimini.
Ho anche aggiunto che il processo a Gheddafi, quando sarà preso, a suo figlio e al capo dei servizi, dovrà rispettare la dignità dell'accusato. Non ho affermato solo che auspico che non accada come a Saddam Hussein, ma mi sono permesso di auspicare che non accada nemmeno come a Mubarak, il quale viene portato in una barella dentro una gabbia nell'aula del tribunale. Auspico un processo dignitoso e non soltanto secondo le regole, perché si tratta di persone umane, che vanno processate, anche se per crimini straordinariamente gravi.
In merito alle aziende italiane, abbiamo pensato al tema della garanzia economica per le aziende. È uno dei primi temi che affrontiamo nel Comitato bilaterale misto Italia-Libia, perché lo svincolo delle somme fa affluire un flusso di denaro e noi ci auguriamo che con esso si tenga conto di una sorta di indennizzo economico alle piccole imprese per questo periodo di sospensione completa per impossibilità. Ci sono poi le fatture arretrate da pagare e questo è un altro aspetto estremamente importante, che ha ovviamente priorità anche rispetto all'indennizzo e al cosiddetto lucro cessante.
Molti hanno parlato di quale sia il ruolo di un eventuale movimento islamista in Libia. Il capo della sicurezza di Tripoli, come sapete, ha svolto alcune dichiarazioni. A tutti è noto il suo passato, ma probabilmente ai colleghi è sfuggito - spero di no - che, proprio per ovviare alle preoccupazioni che anche l'Italia aveva sollevato, è stata decisa la costituzione di un Consiglio nazionale di sicurezza libico. Questo Consiglio nazionale di sicurezza sarà coordinato dal ministro Tarhuni, che, come sapete, ha un profilo certamente non legato al regime di Gheddafi. È ministro dell'energia del CNT, persona certamente rassicurante sotto questo aspetto.
La preoccupazione esiste anche presso i libici. Occorrerà del tempo anche per spiegare un po' più in dettaglio chi sono i membri del CNT. L'hanno chiesto l'onorevole Parisi e anche altri. Ci sono figure nel CNT - ho citato il ministro Tarhuni e aggiungo anzitutto il Primo ministro Jibril - che non hanno collusioni con il sistema del regime, se non perché hanno vissuto in Libia. Molti di loro, in particolare, vivevano fuori dalla Libia e hanno una formazione certamente più incline alla visione occidentale che a quella di tipo tribale libico. Chi ha conosciuto Jibril sa che è persona che si inserisce perfettamente nel tessuto delle relazioni internazionali per come parla le lingue, per come ha vissuto fuori dalla Libia, per come non ha avuto legami, tantomeno illeciti, con il Governo libico. Si tratta certamente di persona su cui l'intera comunità internazionale può realmente fare affidamento, anche se effettivamente molti componenti del CNT sono stati finora tenuti uniti assai riservati nella loro identità, anche per ragioni di sicurezza, ossia per le semplici ragioni che alcuni di loro vengono da Misurata, altri da Tripoli e da Sirte e, quindi, prima della caduta del regime, la loro incolumità fisica era assolutamente a rischio.
Io credo che comunque dovremo lavorare affinché quello che è stato chiamato «un tasso di islamismo» sia il più lontano possibile dall'islamismo estremista. Non possiamo immaginare che un Paese come la Libia, così come tutti gli altri Paesi del Nord Africa, non abbia un riferimento alla tradizione islamica. Dobbiamo pensare, invece, a quale sia l'attuazione concreta di tale riferimento, se, per esempio, come ha recentemente sostenuto l'università di Al-Azhar al Cairo, la Costituzione egiziana dovrà riconoscere i diritti delle donne nella società e la piena libertà di tutte le religioni o se, invece, si tendesse a scivolare verso una dimensione di tipo proibizionista. In questo caso ovviamente la nostra attenzione e la nostra reazione non dovrebbero mancare.
Vi è un discrimine tra ciò che noi occidentali possiamo consigliare o desiderare e ciò che risponde agli interessi del popolo libico; occorre rispetto senza pensare che noi esportiamo il nostro modello e che questo modello si possa calare nella società libica. Non è possibile.
Io ho parlato dell'Egitto, senatore Compagna, non per svolgere alcun riferimento scivoloso, né di alcun altro genere, ma perché in Egitto è stato deciso il referendum popolare sulla Costituzione e anche in Libia si terrà un medesimo referendum.
Ho parlato di segnali moderatamente positivi sulla non esistenza di una vendetta su larga scala perché effettivamente non ci sono rappresaglie sanguinose su larga scala, ma, poiché, purtroppo, alcuni episodi si sono verificati, è chiaro che la mia valutazione non può essere entusiastica e che dobbiamo lavorare perché nessun tipo di vendetta sanguinosa si compia, a cominciare da Bani Walid e da Sirte, dove davvero, se ci fosse una presa con le armi, si potrebbe scatenare una sanguinosa carneficina tra le fazioni dei lealisti e le forze dell'opposizione.
Per quanto riguarda l'uccisione dell'autista dei giornalisti italiani, lei sa bene, senatore Compagna, che questo atto orribile non è stato compiuto dall'opposizione del CNT, ma dalle forze di Gheddafi. È l'ennesimo omicidio compiuto dal regime. Non ce ne meravigliamo: è un orrore in più che si somma agli altri.
Sul Trattato di amicizia io ho affermato con grande chiarezza che riattivare significa far riprendere il funzionamento di quel Trattato, ma anche che chiederemo ai libici se loro ritengano - e poi valuteremo se lo riterremo noi - che vi sia, essendo stato quel Trattato negoziato da molti anni, la necessità di un'integrazione, di una revisione.
Ho detto esattamente «revisione», onorevole Tempestini. L'onorevole Colombo forse non aveva ascoltato queste mie parole. Ho parlato di revisione intendendo alcune modifiche. Io credo che sul terreno della ratifica da parte del nuovo Governo libico, quando si costituirà, di tutti gli strumenti internazionali, così come ha fatto il Governo transitorio tunisino, ci sarà da parte dell'Italia, ma non solo, un'azione molto precisa. Questo potrebbe portare ovviamente a una corrispondente revisione di alcune parti del Trattato per tenere conto della nuova realtà, se, come auspichiamo, il CNT facesse esattamente quello che ha fatto il Governo tunisino dopo alcune settimane dal suo insediamento.


È un lavoro su cui ci concentreremo come su quello di aiutare nella formazione, nella ricostruzione, o meglio, costruzione istituzionale della Libia, compresa, onorevole Vernetti, una missione NATO di formazione. Ci sta tutta: il sistema di formazione per la sicurezza è stato lodevolmente realizzato dalla NATO in altri Paesi e potrà esserlo anche in Libia, ovviamente se ci sarà una domanda libica.
Il tema dell'Unione europea è un tema delicato, serio. Credo che l'Unione europea avrebbe dovuto essere e dovrebbe essere ancora il primo partner politico della nuova Libia. Io non faccio, onorevole Parisi, graduatorie tra gli Stati nazionali. La mia risposta su chi stia in testa è che dovrebbe stare in testa l'Europa. Fermi i partenariati economici che sono bilaterali - e l'Italia sarà il primo partner - il partenariato politico dovrebbe vedere in testa l'Europa.
Così non è stato e, se noi riuscissimo a riprendere il negoziato per l'accordo di associazione Europa-Libia, credo che l'Europa potrebbe diventare il primo partner politico della Libia. Personalmente, lavorerò in questa direzione: non mi entusiasmano le gare a chi arriva primo. Ritengo che debba arrivare prima l'Europa, che purtroppo in questa fase è rimasta un po' indietro.
La situazione degli immigrati è stato un tema sollevato da alcuni di voi. Noi sosteniamo già ora l'OIM e anche l'UNHCR. Credo che la situazione degli immigrati africani, come anche dei profughi debba non solo essere affrontata al livello di organizzazioni internazionali, ma che certamente la nuova Libia - ne ho parlato con il Primo ministro Jibril - sia matura per fare quello che Gheddafi non aveva fatto, quello che il senatore Livi Bacci ha definito presidi sul territorio, in cui valutare e anche processare le domande degli eventuali richiedenti asilo, farlo lì ovviamente sotto la garanzia dell'UNHCR che ha sempre chiesto di poterlo fare con la Libia del regime di Gheddafi, ma non è riuscito a farlo e potremmo farlo ora.
Sulla questione umanitaria e sulla sorte degli immigrati debbo ricordare a chi non lo ricorda o non lo sa che sono stato molte volte anche di fronte a questo Parlamento in rappresentanza del Governo italiano a sollevare il tema della morte in mare di profughi o di immigrati messi sui barconi dal regime di Gheddafi e ho adombrato, con il sostegno di alcune forze politiche (ricordo la mozione Rutelli), il fatto che questi atti potessero configurare un crimine contro l'umanità con una nuova imputazione internazionale a carico di Gheddafi, che aveva ordinato questi traffici e queste orribili.
Per quanto riguarda le persone morte in mare, quindi, ho formulato non solo una condanna ma anche una proposta politica di trattare questi atti come crimini contro l'umanità, ed è sfuggito nell'impeto della polemica politica che sul mancato soccorso delle navi della NATO io ho sollevato alla NATO formalmente la necessità di un'inchiesta esplicita, che ha avuto una reazione non certo di entusiasmo da parte della NATO, ma ritenevo e ritengo che un'inchiesta su quel fatto, se mancato soccorso vi fu, dovesse essere fatta. L'ho fatto io, l'ha fatto l'Italia.
Da ultimo, onorevole Narducci, il partenariato per la democrazia è uno strumento importante. L'Unione europea ha lanciato il tema, ma io credo che non sia sufficiente. Credo che occorra, invece, un grande piano, non solo un Fondo per la democrazia, ma un Fondo per il rilancio economico. Parlai di Piano Marshall nel lontano mese di febbraio. Oggi il Piano Marshall serve a far capire che i giovani che chiedevano il cambiamento chiedevano dignità, pane e lavoro. Se noi non diamo accanto ai diritti anche pane e lavoro, prima o poi

questi giovani si rivolteranno contro i capi della rivoluzione, perché non hanno avuto ciò che chiedevano. Il Piano Marshall europeo, quindi, è un provvedimento che va assolutamente varato, insieme al programma per la democrazia, perché accanto alla dimensione politica c'è la dimensione del rilancio dello sviluppo economico.
Questi sono i punti su cui noi lavoreremo nelle prossime settimane. Il versante politico è quello più importante, ma non dimentichiamo, come ha osservato l'onorevole Farina, che accanto alle Nazioni Unite e all'Unione europea ci deve essere anche un'Unione africana. Io ne sono convinto dal primo momento. Certamente in questa lunga e difficile transizione soltanto se Africa, Europa e Nazioni Unite lavoreranno insieme, noi potremo guidare e accompagnare questo Paese, rispettandone la storia, la tradizione e anche la cultura che legano il popolo italiano a quello libico.

PRESIDENTE. Ringraziando l'onorevole Ministro Frattini e tutti i colleghi, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,30.

 

 



[1]    Carnegie Endowment for International Peace, News from North Africa and Middle East

[2]   Appare allo stato assai probabile che gli USA si orientino in tal senso. In base a fonti di stampa, peraltro, gli USA si starebbero impegnando per evitare che l’argomento giunga all’esame del Consiglio di sicurezza.

[3]   UN General Assembly Resolution 377, 3 novembre 1950

[4]    E. Milano, Palestina, la vera posta in gioco per l’Osservatore permanente, in www.ispionline.it (13 settembre 2011). Cfr. anche il dibattito nel corso dell’audizione del ministro Frattini presso le Commissioni Affari esteri di Camera e Senato del 14 settembre scorso

[5]    I delegati europei all'ONU avevano tentato di rafforzare lo status di osservatore dell'Unione, chiedendo ad esempio che l'Ue potesse intervenire nel corso dei dibattiti, e non alla loro conclusione come previsto per tutti gli osservatori, ma l’AG aveva, almeno fino a quel momento, bocciato la richiesta. La risoluzione che innalza lo status dell’UE è stata poi, come già rilevato, adottata dall’A.G. il 3 maggio 2011.

[6]    Si segnala tuttavia che il 31 maggio 2011, durante la visita a New Delhi di una delegazione tedesca ad alto livello, il Cancelliere Angela Merkel e il premier indiano Singh hanno ribadito di voler proseguire congiuntamente e in piena identità di vedute negli sforzi per la riforma dell’ONU.

[7]    Svizzera, Costa Rica, Giordania, Liechtenstein, Singapore.

[8]    (170 paesi a favore; 3 astenuti: Venezuela, Iran e Bielorussia; 4 contrari: USA, Israele, Isole Marshall e Palau)

[9]    L’Italia è stata membro della Commissione per il peace-building in quanto eletta dagli organi delle Nazioni Unite per il biennio 2006-2008.

[10]   I dati disponibili riguardano il 2005 e non tengono conto pertanto della grave situazione di siccità che attualmente colpisce la regione del Corno d’Africa.

[11]   Eliminating Female Genital Mutilation - An Interagency Statement.

[12]   Si ricorda, tra l’altro, l’assunzione dell’obiettivo globale per mettere fine alle pratiche di MGF fatto proprio dalla Sessione Speciale sull’Infanzia dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (2002).

[13]   Egitto, Sudan, Etiopia, Somalia, Uganda, Kenya, Gibuti, Senegal, Gambia, Guinea-Bissau, Guinea, Burkina Faso.

[14]   Protocol to the African Charter on Human and Peoples’ Rights on the Rights of Women in Africa, adottato l’11 luglio 2003 dall’Assemblea dell’Unione Africana ed entrato in vigore il 25 novembre 2005.

[15]   Con D.M. 17 dicembre 2007 sono state adottate le Linee guida destinate alle figure professionali che operano con le comunità di immigrati provenienti da Paesi dove sono effettuate le pratiche di mutilazione genitale femminile per realizzare una attività di prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle bambine già sottoposte a tali pratiche.

[16]   Si tratta di  “tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI”.

[17]   Il regolamento non risulta ancora adottato.

[18]   107ma Conferenza Interparlamentare (Marrakesh, 17-23 marzo 2002)

[19]    109ma Assemblea(Ginevra, 1° - 3 ottobre 2003),

[20]  111ma Assemblea (Ginevra, 28 settembre – 1° ottobre 2004).

[21]    Il Rapporto Cardoso è stato esaminato dalla 59ma Assemblea generale delle Nazioni il 4 e 5 ottobre 2004. Per maggiori informazioni si veda la scheda di merito.

[22]   Nairobi, 7 – 12 maggio 2006.

[23]   Già nell’agosto 2010 Ahamdinejad aveva nominato quattro consiglieri presidenziali' sui dossier chiave per la politica estera iraniana (Afghanistan, Caspio, Asia e Medio Oriente) e istituito un Consiglio presidenziale di Politica Estera, con l’evidente intento di voler ridimensionare il ruolo di Mottaki, vicino alle posizioni del Presidente del Parlamento Larjani, di cui ha appoggiato la campagna presidenziale del 2005 contro Ahmadinejad.

[24]   Tra cui i Patti Internazionali ONU del 1966 sui Diritti Civili e Politici e sui Diritti Economici, Sociali e Culturali e la Convenzione sui Diritti del Fanciullo. L’Iran non ha invece ratificato alcuni tra i più importanti strumenti internazionali sui diritti umani, tra cui: la Convenzione contro la Tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti; la Convenzione contro ogni forma di discriminazione contro le donne; il primo ed il secondo Protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici.

[25]   Secondo “Reporters Without Borders”, nel corso del 2009 sono stati arrestati 170 giornalisti e bloggers, 22 sono stati condannati a un totale di 135 anni di reclusione, 85 sono in attesa di processo, più di 100 hanno lasciato il Paese e 37 sarebbero detenuti.

[26]   Dall’inizio del 2011 le esecuzioni capitali hanno registrato un aumento repentino ("una ogni otto ore" secondo alcune fonti), la maggior parte delle quali tramite modalità inumane quali l'impiccagione in pubblico. Alle 222 esecuzioni stimate nel 2010 (erano state 270 nel 2009 e 346 nel 2008[26]) potrebbero essersene aggiunte fino ad altre 400 che avrebbero riguardato in primo luogo persone condannate per traffico di stupefacenti (tra i quali molti afghani, appartenenti a una comunità di immigrati che è arrivata a contare tre milioni di persone, due terzi dei quali irregolari).

[27]   Particolare attenzione ha riscosso il caso dell’esecuzione (avvenuta il 1° maggio 2009) della pittrice iraniana Delara Darabi, accusata di un omicidio commesso all’età di 17 anni.

[28]   Si ricorda che il dialogo strutturato sui diritti umani UE-Iran, avviato nel 2002, è congelato dal 2004 a causa del persistente rifiuto da parte del Governo di Teheran di riattivarlo.

[29]   L’Olanda ha ritirato il proprio Ambasciatore dall’Iran.

[30]   Ne fanno parte i paesi del Corno d’Africa (Somalia, Eritrea, Etiopia, Kenia, Sudan, Uganda, Gibuti); fondata nel 1986

[31]   Visita organizzata da Ambasciata Iran, Camera Commercio italo-iraniana, Promos e Assafrica&Mediterraneo nei settorienergia,agroalimentare,energia,turismo,trasporti e industria ceramica.

[32]   Questi i round negoziali dei Six Party Talks, sempre ospitati a Pechino: I tornata ( 27-29 agosto 2003); II tornata (25-28 febbraio 2004);  III tornata (23-25 giugno 2004); IV tornata, fase 1 (26 luglio–7 agosto 2005); IV tornata, fase 2 (13-19 settembre 2005); V tornata, fase 1  (9-11 novembre 2006); V tornata, fase 2 (18-22 dicembre 2006); VI tornata, fase 1 (19-22 marzo 2007); VI tornata, fase 2 (18-20 luglio e 27-30 settembre 2007); VII tornata (10-13 luglio 2008); VIII tornata (8-11 dicembre 2008).

[33]   Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); la condizione della libertà di Internet come riportata da Open Net Initiative; il tasso di crescita del PIL come riportato dall’Economist Intelligence Unit; la condizione della libertà economica come riportata dall’Index of Economic Freedom dell’Heritage Foundation;la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alla nota esplicativa presente in Le elezioni programmate nel periodo febbraio-aprile 2011 (documentazione e ricerche n. 85, 9 febbraio 2011).

[34]   Staffan de Mistura, che dal 2001 al 2004 è stato rappresentante speciale dell’ONU nel Libano meridionale e per 15 mesi rappresentante speciale per l’Iraq, quindi Vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale, ha preso il posto del norvegese Kai Eide il 1° marzo 2010.

[35]   Nel corso di un blitz contro il traffico d'armi della Guardia di Finanza di Milano, ai primi di marzo 2010, sono stati arrestati anche due presunti appartenenti ai servizi di sicurezza iraniani. Il primo è Nejad Hamid Masoumi, 51 anni, che era accreditato come giornalista presso la sala stampa estera a Roma dove è stato arrestato dalla Guardia di Finanza. L'altro presunto 007 iraniano è stato arrestato a Torino. Si chiama Ali Damirchiloo, di 55 anni. I due cittadini iraniani hanno ottenuto, a fine aprile, gli arresti domiciliari. Dure le proteste da parte iraniana: il ministro degli Esteri iraniano, Manuchehr Mottaki, ha chiesto che vengano rilasciati ''il piu' presto possibile'', mentre il presidente del parlamento iraniano, Ali Larijani, ha detto che l'Italia dovrà accettare le conseguenze del suo comportamento «indecente».  L'ambasciatore italiano in Iran, Alberto Bradanini, e' stato convocato al ministero degli Esteri di Teheran, che gli ha trasmesso una protesta ufficiale e gli ha chiesto spiegazioni sugli arresti.

[36]   Si è poi tenuto un incontro con il Vice Presidente Buttiglione, si veda infra.

[37]   Si ricorda che con la decisione del 21 gennaio 2009, il Consiglio dell'Unione Europea ha aggiornato la lista delle persone e delle entità i cui fondi devono essere congelati nell'ambito della lotta al terrorismo, eliminando da tale lista l'Organizzazione dei Mujahidin del Popolo Iraniano (OMPI o MKO), di cui l’NCRI è espressione, a seguito della sentenza del 4 dicembre 2008 del Tribunale di primo grado (presso la Corte di giustizia), pronunciata su ricorso dell’OMPI del 21 luglio 2008. Tale sentenzaha, infatti, annullato le disposizioni della decisione del Consiglio 2008/583/CE, che aveva incluso l'Organizzazione dei Mujahidin del Popolo Iraniano nella lista delle persone e delle entità i cui fondi devono essere congelati nell'ambito della lotta al terrorismo, ritenendo che tale decisione sia stata adottata in violazione dei diritti di difesa dell’OMPI (causa T-284/08).

[38]   In merito, il MAE il 10 giugno 2009 segnalava che: per quanto riguarda l’Accordo per la promozione e la protezione degli investimenti, il MAE ha concluso la fase di concertazione interministeriale, quindi, si potrebbe prevedere, anche se con cautela, una prossima iscrizione all’odg del Consiglio dei Ministri, per gli altri due accordi è ancora in corso il processo di acquisizione dei pareri delle altre amministrazioni competenti.

[39]   Secondo Pyongyang, il satellite di telecomunicazioni Kwangmyongsong-2 e' in orbita e sta diffondendo canti patriottici. Ma i dati trionfalistici diffusi da Pyongyang sono stati negati sia dalla Difesa americana che da quella sudcoreana, secondo le quali nessun oggetto sarebbe rimasto  in orbita dopo il lancio: il primo stadio del missile, è stato precisato, è finito nel mar del Giappone, mentre ''gli altri stadi e il  satellite'' sono finiti ''nell'Oceano Pacifico''.

[40]   Il 13 aprile 2009 il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha condannato, per violazione della risoluzione 1718, la Corea del Nord per il lancio dello scorso 5 aprile di quello che per Stati Uniti e Giappone è stato un missile balistico. Si è trattato di una dichiarazione presidenziale varata all'unanimità dai 15 (che ha peso morale, ma valore meno vincolante di una risoluzione) nella quale si chiede che le sanzioni esistenti contro la Corea del Nord siano applicate. Nel testo non si precisa se il lancio sia stato di un missile, come sostenuto da Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud o di un satellite per telecomunicazione come affermato da Pyongyang.

[41]   Si tratta di un’associazione spontanea che non si inquadra in ambito UIP.

[42]   Si segnala che, successivamente all’incontro, l’Ambasciata della Corea del Nord, con lettera del 7 luglio 2008 indirizzata al Presidente Stefani, chiedeva notizie sulla richiesta nordcoreana di acquisto di macchinari per la pavimentazione delle strade fatta a 2 ditte italiane; nella fattispecie veniva chiesto se vi era disponibilità a tale operazione.

[43]   Il Dipartimento di Stato USA ha inserito nel 1988 la Corea del Nord nella lista dei paesi State Sponsor of Terrorism” insieme a Cuba, Iran, Sudan e Siria “. In base alle prove rilevate, gli stessi USA hanno poi cancellato l Corea del Nord dalla lista l’11 ottobre 2008.

[44]   Il 12 gennaio 2011 il Senato ha approvato l’Ordine del Giorno 9/1-00359/1 nella quale si impegna il Governo, tra l’altro, a far valere con ogni forma di legittima pressione diplomatica ed economica il diritto alla libertà religiosa, in particolare dei cristiani e di altre minoranze perseguitate, laddove risulti minacciata o compressa per legge o per prassi sia direttamente dalle autorità di governo sia attraverso un tacito assenso e l'impunità dei violenti; a far valere nelle relazioni diplomatiche ed economiche, bilaterali o multilaterali, la necessità di un effettivo impegno degli Stati per tolleranza e libertà religiosa, fino al diritto sancito alla "libertà di cambiare religione o credo"; a continuare nell'impegno perché la risoluzione sulla libertà religiosa sia effettivamente implementata negli Stati dell'Onu promuovendo il rafforzamento degli organismi dedicati; a promuovere nelle competenti sedi internazionali, di concerto con i partner dell'Unione europea, iniziative atte a rafforzare il rispetto del principio di libertà religiosa, la tutela delle minoranze religiose e il monitoraggio delle violazioni, dando concreta attuazione agli strumenti internazionali esistenti, quali la "dichiarazione delle Nazioni Unite per l'eliminazione di ogni forma di intolleranza e discriminazione basate sulla religione o sul credo" del 1981 e, da ultimo, la risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite contro l'intolleranza religiosa; ad istituire un "Osservatorio sulla condizione dei cristiani nel mondo" per monitorare e valutare l'applicazione degli impegni sopra esposti; ad attivarsi con più forza in sede europea, a partire già dal prossimo 31 gennaio, data di convocazione del Consiglio dei Ministri dell'Unione europea, nel corso del quale si dibatterà sul tema delle persecuzioni di cristiani;

[45]   Il Presidente della Camera del Messico non ha potuto partecipare a causa degli impegni connessi con l'avvio della nuova legislatura.

[46]   Sono attualmente membri della PAM i seguenti Paesi: Albania, Algeria, Bosnia Erzegovina, Croazia, Cipro, Egitto, Francia, Grecia, Israele, Italia, Giordania, Libano, Libia, Malta, Monaco, Montenegro, Marocco, Palestina, Portogallo, Serbia, Slovenia, Siria, Ex repubblica iugoslava di Macedonia, Tunisia e Turchia. Membri associati e Organizzazioni con status di osservatori sono: Romania, San Marino, l’Unione del Maghreb arabo e l’Assemblea della UEO.

[47]   La cooperazione tra i Paesi delle due sponde del Mediterraneo occidentale nasce a livello governativo a Roma nell’ottobre 1990 e si è inizialmente definita ad Algeri nella forma del Dialogo 5+5 (ottobre 1991), con la partecipazione da un lato di Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Malta e dall’altro di Algeria, Tunisia, Marocco, Libia e Mauritania (i cinque Paesi appartenenti all’Unione del Maghreb Arabo – UMA). Dopo il congelamento quasi decennale dovuto alle sanzioni imposte dall’ONU alla Libia, l’esercizio si è riattivato nel gennaio 2001 con la Conferenza Ministeriale di Lisbona, cui ha fatto seguito quella di Tripoli del maggio 2002. La Tunisia ha quindi ospitato il primo Vertice dei Capi di Stato e di Governo il 5 dicembre 2003. La dimensione parlamentare si è attivata su iniziativa della Libia dal 24 al 25 febbraio 2003.