Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Le nuove tensioni tra le due Coree
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 180
Data: 14/12/2010
Descrittori:
ARMI ATOMICHE   COREA DEL NORD
COREA DEL SUD   DIFESA E SICUREZZA INTERNAZIONALE
RELAZIONI INTERNAZIONALI     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Le nuove tensioni tra le due Coree

 

 

 

 

 

 

 

n. 180

 

 

 

14 dicembre 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4939 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

.

 

 

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File: es0604.doc

 


INDICE

Scheda di lettura

§      Premessa  3

§      L’escalation nucleare della Corea del Nord   3

§      Gli sviluppi più recenti7

Pubblicistica

§      E. Schibotto, Corea del Nord: il rebus nordcoreano e la strategia della minaccia, in: www.equilibri.net, 6 gennaio 2010  3

§      A. Berkofsky, Japan-North Korea Relations. Bad and Not Getting Better, in: ISPI Policy Brief, luglio 2010  3

§      D. Albright, P. Brannan, Taking Stock: NorthnKorea’s Uranium Enrichment Program, in: The Institute for Science and International Security, 8 ottobre 2010  3

§      D. Albright, P. Brannan, Satellite Image Shows Building Containing Centrifuges in North Korea in: ISIS Reports, 21 novembre 2010  3

§      Deciphering North Korea’s Provocations, in: www.stratfor.com, 24 novembre 2010  3

§      V. Cha, K. Harrington, Uranium and Artillery: North Korean Revelations and Provocations, in: http://csis.org, 24 novembre 2010  3

§      G. Gentile, Do We Have Any Idea How to Deal with North Korea, in: Council on Foreign Relations, 24 novembre 2010  3

§      M. Fackler, M. McDonald, South Korea Reassesses Its Defenses After Attack, in: The New York Times, 25 novembre 2010  3

§      D. Trenin, A New Korean Crisis, in: Carnagie web commentary, 26 novembre 2010  3

§      M. Forsythe, P. S. Green, China’s Defense of North Korean Ally Risks Alienating Top Trading Partners, tratto da: www.bloomberg.com, 29 novembre 2010  3

§      F. Godement, It isn’t only about North Korea, in: ecfr.eu (European Council on Foreign Relations), 29 novembre 2010  3

§      D. Martin, N. Korea crisis reveals impatience with Chinese caution, in: Center for Strategic & International Studies, 2 dicembre 2010  3

§      J. Kurlantzick, Kimpossible, in: Council on Foreign Relations, 2 dicembre 2010  3

§      M. Mazza, Send the North a message – The best way to avoid a new Korean War is to deter North Korean provocations. Reducing U.S. forces in the region doesn’t do that, in: www.latimes.com, 3 dicembre 2010  4

§      BBC News Asia-Pacific, South Korea begins live-fire military drills, in: www.bbc.co, 6 dicembre 2010  4

§      M. McDonald, South Korea Begins Naval Firing Drills, in: The New York Times, 6 dicembre 2010  4

§      M. Wines, D. E. Sanger, Delay in Korea Talks Is Sign of U.S. – China Tension, in: The New York Times, 6 dicembre 2010  4

§      E. Alden, S.A. Snyder, Why U.S. – Korea Trade Deal Matters, in: Council on Foreign Relations, 6 dicembre 2010  4

§      S. A. Smith, Trilateral Call: China Restrain Pyongyang, in: Council on Foreign Relations, 7 dicembre 2010  4

§      Y. Ji, Yeongpyeong: Tough Test for China’s North Korea Policy, in: RSIS Commentaries, 1 dicembre 2010  4

§      G. Andornino, I colpi di coda della Corea del Nord, in: www.affarinternazionali.it, 6 dicembre 2010  4

 


Scheda di lettura

 


Premessa

La geopolitica della Penisola coreana ha visto in tempi recenti riattivate tutte le questioni “calde” che caratterizzano quest'area dell'Estremo Oriente: va infatti ricordato che oltre all’annosa provvisorietà della situazione di non belligeranza tra le due Coree, derivante dall'armistizio del 1953, al quale non è mai seguito un trattato ufficiale di pace; le preoccupazioni della Comunità internazionale si sono negli ultimi anni prevalentemente spostate sulle minacce nucleari della Corea del Nord, le quali certamente interagiscono anche con il sistema dittatoriale in vigore a Pyongyang - particolarmente soggetta a brusche accelerazioni in occasione delle successioni dinastiche -, che coniuga elementi di dispotismo tradizionale, confucianesimo e comunismo asiatico.

L’escalation nucleare della Corea del Nord

La questione della proliferazione nucleare nella Corea del Nord ha visto il proprio inizio nell’ottobre 2002, quando gli USA resero noto che la Corea del Nord aveva ammesso di essere impegnata nella realizzazione di un programma di produzione di uranio arricchito. Nel dicembre 2002 il Governo nordcoreano decise lo smantellamento dei sistemi di sorveglianza installati dall’AIEA (Agenzia delle Nazioni Unite per l’energia atomica) nella centrale nucleare civile di Yongbyon e la successiva espulsione degli ispettori dell’Agenzia dal territorio nordcoreano. Il 6 gennaio 2003 l’AIEA chiese al governo nordcoreano l’immediata cessazione dei programmi nucleari militari: in risposta, il 10 gennaio la Corea del Nord annunciò il ritiro dal Trattato di non proliferazione nucleare (cui aveva aderito nel 1985).

L’allarme destato nella Comunità internazionale dalle mosse nordcoreane provocò una forte iniziativa diplomatica, a seguito della quale nel mese di aprile del 2003 ebbero inizio i negoziati fra Corea del Nord, Cina e USA sulla proliferazione nucleare nordcoreana, che vennero in seguito allargati alla partecipazione di Giappone, Russia e Corea del Sud (i cosiddetti Six Parties talks). I negoziati a sei portarono, il 19 settembre, alla firma di una Dichiarazione comune, nella quale il governo della Corea del Nord si impegnava “ad abbandonare tutte le armi nucleari” e “tutti i programmi nucleari in corso”, nonché ad accettare nuovamente il Trattato di non proliferazione nucleare - con il conseguente consenso alle ispezioni dell’AIEA -, a fronte della dichiarazione degli Stati Uniti di non avere proprie  armi atomiche nella penisola coreana e dell’impegno a non attaccare il paese asiatico “né con armi convenzionali né con armi nucleari”. 

Nel luglio 2006, dopo il diffondersi di notizie circa l’avvenuta effettuazione di un esperimento missilistico da parte nordcoreana, il Dipartimento di Stato USA confermava il lancio missili a corto raggio, tipo Scud, caduti nell’Oceano, e quello di un missile a lungo raggio, che sarebbe però fallito. Le reazioni internazionali agli esperimenti missilistici della Corea del Nord furono di condanna pressoché unanime. Va peraltro ricordato che già nel 1998 il territorio giapponese era stato sorvolato da un missile a lunga gittata lanciato dalla Corea del Nord, e poi precipitato nell’Oceano Pacifico.

Il 15 luglio il Consiglio di sicurezza dell’ONU, dopo alcune tergiversazioni – dettate soprattutto dall’atteggiamento estremamente cauto di Pechino – trovava infine un accordo, adottando all’unanimità una risoluzione (n. 1695/2006)  che condannava gli esperimenti nucleari della Corea del Nord ed esigeva la sospensione di tutti i test missilistici, chiedendo nel contempo alla Comunità internazionale di bloccare l’importazione ed esportazione di tecnologia dal potenziale uso missilistico o nucleare. Veniva inoltre fortemente raccomandato al governo nordcoreano di riprendere con urgenza i negoziati sulla non proliferazione delle armi nucleari.

La risoluzione era il frutto di un compromesso tra le posizioni più intransigenti di Stati Uniti e Giappone, e quella di Russia e Cina, inizialmente orientati ad evitare la risoluzione, limitandosi ad una generica dichiarazione di condanna. Difatti, la risoluzione non fa riferimento al capitolo VII della carta dell’ONU – che prevede la possibilità di sanzionare le nazioni inadempienti con misure economiche o, nei casi più gravi, anche con l’uso della forza  -  ma si colloca nell’ambito delle “speciali responsabilità” del Consiglio per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. 

Il 9 ottobre 2006 la Corea del Nord effettuava un esperimento di esplosione nucleare sotterranea, che peraltro, secondo la maggior parte degli osservatori, era di limitata potenza – tanto da far ipotizzare in qualche caso essersi trattato solo di una enorme esplosione convenzionale. Il Ministro degli esteri nordcoreano, due giorni dopo, giustificava il test nucleare con la minaccia statunitense, nonché con le sanzioni e le pressioni nei confronti del suo Paese. D'altra parte, il Ministro aggiungeva che la Corea del Nord si considerava tuttora impegnata all'attuazione dell'accordo congiunto del settembre 2005, e più in generale a perseguire l'obiettivo della denuclearizzazione della penisola coreana.

La reazione della Comunità internazionale, pur dopo qualche ulteriore titubanza, conduceva il 14 ottobre 2006 all'adozione, da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, della risoluzione 1718, nella quale la Corea del Nord veniva esportata a sospendere i test nucleari e qualsiasi programma di proliferazione nucleare, tornando piuttosto ai negoziati a sei. Senza troppo calcare la mano, sempre in considerazione di notevoli divisioni anche all'interno dei cinque Stati partecipanti con la Corea del Nord ai negoziati a sei, la risoluzione imponeva comunque sanzioni addizionali sul commercio nei confronti di Pyongyang, con un allargamento delle fattispecie di transazioni proibite rispetto a quelle già previste nella precedente risoluzione 1695.

In questo contesto la conclusione del quinto round dei negoziati a sei registrava, alla metà di febbraio 2007, un accordo su un piano d’azione per la progressiva e graduale attuazione dell'accordo congiunto del settembre 2005. Conseguentemente, non senza ulteriori difficoltà che punteggiavano la prima metà dell’anno, il governo nordcoreano annunciava alla fine di giugno  l'inizio delle procedure per la chiusura dell'impianto nucleare di Yongbyon, confermata dall’AIEA alla metà di luglio.

Tuttavia il 6 settembre 2007 un attacco aereo israeliano distruggeva un'installazione siriana nel Nord del paese. Nei giorni successivi al raid cominciarono a circolare voci attribuibili a funzionari statunitensi, secondo le quali l'attacco avrebbe avuto per obiettivo un impianto nucleare in costruzione con l'assistenza nordcoreana, e l'impianto medesimo, già quasi completato, sarebbe stato pressoché identico a quello di Yongbyon. Il progressivo emergere della questione rimetteva in discussione almeno in parte i progressi negoziali in direzione dello smantellamento delle attività nucleari nordcoreane, uno dei cui punti fermi, si ricorda, consisteva nell'impegno nordcoreano a non esportare tecnologie e materiali nucleari.

Pertanto, la prima metà del 2008 registrava un impasse nell'attuazione degli accordi dell'anno precedente, soprattutto in merito alle modalità con cui la Corea del Nord avrebbe dovuto rendere pubbliche le proprie attività di proliferazione nucleare. Ciò di fatto rendeva impossibile il rispetto della scadenza della fine del 2007, che era stata fissata come termine ultimo per la presentazione delle dichiarazioni nordcoreane e per lo smantellamento dei reattori e delle armi atomiche. Comunque alla fine di giugno 2008 veniva consegnata alle autorità cinesi la prevista dichiarazione sui programmi nucleari di Pyongyang: si dava corso inoltre alla demolizione della torre di raffreddamento dell'impianto nucleare di Yongbyon, un gesto che, pur di valore perlopiù simbolico, sembrava tuttavia segnare una volontà positiva di proseguire sulla falsariga degli accordi del 2007.

L’ottimismo durava però ben poco in quanto, pur presentato con ritardo, il rapporto nordcoreano presentava ampie lacune, ad esempio nel non indicare il numero di ordigni nucleari prodotti con il plutonio ottenuto dall’impianto di Yongbyon, o anche nella mancanza di qualunque accenno ad attività nucleari connesse invece ad uranio arricchito. In questo problematico quadro si è inserito il révirement nordcoreano della fine di agosto 2008, quando Pyongyang ha annunciato il congelamento dei piani di abbandono dei propri programmi nucleari, con effetto dal 14 agosto 2008.

In ogni modo, dopo l’espulsione (24 settembre) degli ispettori dell’AIEA, vi è stato un nuovo apparente sviluppo positivo, quando gli Stati Uniti annunciavano (11 ottobre) il raggiungimento di un accordo - sia sul numero degli impianti da ispezionare, sia sulle metodologie da impiegare - con la Corea del nord su tutte le richieste avanzate da Washington. Nonostante le perplessità nipponiche, nella stessa giornata gli USA rendevano nota la cancellazione della Corea del nord dalla Black list. Questi concitati sviluppi vanno spiegati nel quadro della fase calante della Presidenza di George Bush, desideroso di ottenere qualche risultato di prestigio.

Non a caso, dopo il cambio di Amministrazione alla Casa Bianca non si sono registrati progressi nei rapporti con la Corea del nord, e il nuovo Segretario di Stato USA Hillary Clinton non ha mancato di rilevare indirettamente l’altalenante approccio della precedente Amministrazione americana, che da un lato non avrebbe saputo sviluppare il dialogo multilaterale che la soluzione della questione richiede, e dall’altro avrebbe peccato di ottimismo procedendo alla cancellazione di Pyongyang dalla Black list prima del raggiungimento di veri risultati.

Nel giugno 2009 la Corea del Nord ha abbandonato i negoziati a sei, in risposta all’adozione da parte del Consiglio di Sicurezza della risoluzione 1874, che ha previsto nuove sanzioni a carico di Pyongyang. La risoluzione aveva fatto seguito al test nucleare  e missilistico nordcoreano del 25 maggio, quando Pyongyang faceva esplodere nel sottosuolo un ordigno di potenza indiscutibilmente di origine nucleare, congiuntamente al lancio di tre missili a corto raggio.

Il 27 giugno l’Unione europea ha adottato le nuove sanzioni dell’ONU, decidendo al contempo altre misure sanzionatorie riguardanti personalità ed entità ed introducendo una vigilanza finanziaria più dettagliata in materia ed un rafforzamento dal regime ispettivo delle navi.

Un momento di tensione si è verificato intorno alla metà di agosto 2009, quando la Corea del Nord ha posto l’esercito in stato di allerta in vista di manovre congiunte USA-Corea del Sud, e ha anche minacciato un attacco nucleare se provocata militarmente. Ciononostante, a distanza di poco tempo, il 25 agosto, la Corea del Nord ha invitato il negoziatore americano, Bosworth, per discutere del proprio programma nucleare. Intanto, il 4 settembre 2009 l’AIEA rendeva noto che i suoi ispettori non avevano avuto il permesso di accedere ai siti di arricchimento dell’uranio in Corea del Nord. Contestualmente quest’ultima annunciava, in una missiva indirizzata all’ONU, che ''i test sull'arricchimento dell'uranio sono stati portati a termine con successo e questo processo è nella sua fase conclusiva''. L’agenzia di stato Kcna riferiva inoltre che ''il plutonio estratto sta per essere trasformato in armi'', ma anche che Pyongyang era pronta ''sia per il dialogo che per le sanzioni''. Una tale dichiarazione, in aperta contraddizione con le aperture delle settimane precedenti, ha allarmato la Comunità internazionale. In particolare, la  Russia si è detta preoccupata in quanto la sfrontata violazione di una risoluzione dell’ONU creava un precedente estremamente allarmante. Preoccupati anche Corea del Sud e Giappone: il ministro degli esteri giapponese ha affermato che si trattava di ''un comportamento che alza la tensione nella regione''' e che “Pyongyang è chiamata a rispettare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e a concretizzare gli accordi per il processo di denuclearizzazione''.

Nel complesso non è possibile sfuggire all’impressione di un’accorta tattica di Pyongyang, nella quale vi è una continua alternanza di aperture e irrigidimenti, di minacce e di concessioni, nel contesto dei quali la Corea del Nord ha potuto proseguire, seppure con limitazioni, nei propri progetti nucleari, utilizzandone il peso politico sul piano internazionale per far fronte alle proprie manchevolezze in campo economico e alimentare.

Gli sviluppi più recenti

Tutto ciò è stato pienamente confermato nelle vicende più recenti della Corea del Nord – per di più intrecciandosi con un revival del confronto militare con Seul e con i prodromi di un passaggio generazionale al vertice del potere -, a partire dalla visita a Pyongyang del premier cinese Wen Jiabao (6-8 ottobre 2009), dopo la qualei toni del regime nordcoreano sono tornati concilianti, con aperture rinnovate al dialogo con gli USA e nell’ambito dei Colloqui a Sei. Tuttavia, probabilmente per accrescere il proprio potere contrattuale, Pyongyang ha reso noto ai primi di novembre 2009 di aver completato il riprocessamento di 8.000 barre di combustibile nucleare per ottenere plutonio arricchito a fini militari, attività per di più collegata alla minacciata piena riattivazione dell’impianto di Yongbyon.

 Nello stesso mese di novembre il regime nordcoreano - che in aprile aveva dato intanto corso ad alcune modifiche costituzionali, sganciando il Paese dagli schemi comunisti più rigidi e accentuando il potere dei militari e del leader supremo, loro capo in quanto presidente della Commissione di Difesa nazionale - ha dato corso a una riforma monetaria, con la rivalutazione 1:100 della valuta nazionale, il won, determinando il drenaggio ulteriore di risorse a danno della popolazione – cui non si è consentito il cambio se non entro certi limiti – e innescando una nuova spirale di fame  e tentativi di fuga in Cina, duramente repressi.

Dal 7 al 9 dicembre 2009 l’inviato speciale USA Bosworth ha svolto una missione a Pyongyang, per colloqui di carattere esplorativo, cui non hanno fatto seguito tuttavia sviluppi positivi. Al contrario, il 26 marzo è stata affondata nel Mar Giallo, in prossimità di acque territoriali la cui delimitazione Pyongyang contesta da sempre, la corvetta sudcoreana Cheonan, con la morte di 46 marinai. Un successivo rapporto del servizio segreto militare di Seul, di cui si è avuta  notizia quasi un mese dopo l’affondamento, ha attribuito l’evento al lancio di un siluro da parte di un sottomarino nordcoreano.

Per quanto la Corea del Nord abbia negato ogni coinvolgimento nella vicenda, nei mesi successivi la questione è rimasta costantemente sullo sfondo, pregiudicando pesantemente ogni prospettiva seria di riapertura del dialogo internazionale con Pyongyang. Il presidente sudcoreano Lee Myung-Bak ha annunciato una riduzione al minimo degli scambi commerciali e degli aiuti diretti al Nord.

Sul versante interno, dopo le modifiche costituzionali dell’aprile 2009, è emersa da una serie di mosse la preparazione della successione a Kim Jong-il, che nel 2008 aveva avuto gravi problemi di salute, poi parzialmente superati. In tal senso pare doversi interpretare la nomina a vice presidente della Commissione nazionale di Difesa del cognato di Kim, Jang Song-thaek, un funzionario di partito di 63 anni che con la sua esperienza dovrebbe traghettare il giovane terzogenito del leader supremo, Kim Jong-un, di circa 27 anni, verso l’assunzione delle più alte responsabilità di governo. La successione al vertice nord-coreano sarebbe stata uno dei punti principali delle inattese due visite di Kim Jong-il in Cina (maggio e agosto 2010), nelle quali certamente i rapporti di Pyongyang con la Comunità internazionale e la necessità di aiuti economici – anche per le disastrose inondazioni di agosto – hanno giocato un ruolo importante.

Il 28 settembre, dopo 44 anni, si è svolto il congresso del Partito dei lavoratori nordcoreano, in un  primo tempo previsto per l’inizio del mese, con il compito di eleggere le supreme cariche del Paese: in realtà anche questo appuntamento è stato essenzialmente dedicato alla preparazione della futura successione al leader supremo. Contestualmente al congresso, infatti, il giovane Kim Jong-un è stato nominato generale a quattro stelle, così come la zia, Kim Kyoung-hui, moglie di Jang Song-thaek.

La coppia dovrebbe probabilmente, così rafforzata, reggere lo Stato fino alla completa maturazione politica di Kim Jong-un, nel caso di scomparsa di Kim Jong-il, o del venir meno della sua leadership per i noti problemi di salute. Nel contempo il leader supremo ha proceduto a promuovere alcuni ufficiali di vertice delle forze armate nordcoreane, come bilanciamento parziale delle rafforzate posizioni del proprio clan familiare. L’operazione sembra essere riuscita, giacché i militari – vero baricentro della politica di Pyongyang – avrebbero designato proprio il giovane delfino come loro rappresentante al congresso di fine settembre. La prima uscita pubblica di Kim Jong-un accanto al padre si è avuta il 10 ottobre, nella cornice di un’imponente parata militare.

La futura leadership di Kim Jong-un è stata tuttavia ben presto contestata dal fratello maggiore Kim Jong-nam, che da anni vive una sorta di esilio dorato in vari paesi asiatici: il primogenito di Kim Jong-il si è detto contrario alla trasmissione ereditaria del potere di terza generazione, nel corso dell’intervista a una televisione giapponese, accettando peraltro la decisione del padre e dicendosi disposto a offrire dall’estero il proprio appoggio al nuovo corso nordcoreano.

Ben diversa l’ipotesi avanzata solo qualche giorno dopo dalla televisione sudcoreana KBS, secondo la quale è in atto invece un duro scontro tra i due fratelli, che avrebbe causato il rinvio del congresso del partito alla fine di settembre: Kim Jong-nam, che avrebbe anche subito un attentato ordito dalla cerchia dei collaboratori del fratello, e dal quale sarebbe scampato grazie alle autorità cinesi,  avrebbe accusato Kim Jong-un di aver architettato l’affondamento in marzo della corvetta sudcoreana, che provocò la morte di 46 marinai di Seul. Secondo una fonte diplomatica citata da un quotidiano sudcoreano, lo stesso linguaggio usato da Kim Jong-nam, di inusitata franchezza, rivelerebbe una forte protezione cinese: in tal modo, Pechino utilizzerebbe il primogenito di Kim Jong-il per prefigurare una possibile alternativa di potere nella Corea del Nord, facendo pesare tale prospettiva nei complessi rapporti bilaterali con Pyongyang.

Per quanto concerne i rapporti tra le due Coree, dopo un breve periodo di ritorno al dialogo, con la richiesta a Seul di aiuti per fronteggiare gli effetti delle recenti alluvioni nel Nord, in cambio di facilitazioni nei ricongiungimenti familiari tra i due Paesi; già il 29 ottobre si verificava un incidente tra due posti di guardia di confine nord- e sudcoreano, con l’esplosione di alcuni colpi d’arma da fuoco. E’ stato tuttavia il 23 novembre che si è verificato un pesante bombardamento di artiglieria nordcoreano contro l’isola sudcoreana Yeonpyeong, nel Mar Giallo occidentale, provocando la morte di due marines sudcoreani e di due civili, oltre alla fuga di gran parte degli abitanti dell’isola in preda al terrore. La reazione di Seul, non particolarmente forte sul piano militare, ha tuttavia preannunciato una risposta decisa, accusando Pyongyang di violazione dell’armistizio del 1953. Anche gli Stati Uniti hanno condannato con forza l’attacco, ribadendo il loro forte impegno alla difesa della Corea del Sud.

Nell’immediato è emerso tuttavia che, a fronte di una generalizzata preoccupazione della Comunità internazionale, declinata in alcuni casi (Regno Unito, Unione Europea) come condanna dell'azione militare nordcoreana, in altri casi (Nazioni Unite, Russia) come forte preoccupazione, la Cina ha tenuto un atteggiamento assai cauto nei confronti del proprio alleato nordcoreano. Nei giorni successivi, mentre gli Stati Uniti tendevano a considerare l'attacco nordcoreano alla stregua di un’azione isolata da cui non devono derivare conseguenze gravissime come quelle che farebbero seguito a un’esplicita dichiarazione di violazione dell'armistizio del 1953, Pechino accentuava indirettamente il proprio sostegno a Pyongyang, cercando anche di dissuadere gli Stati Uniti e la Corea del sud dalle manovre militari aeronavali congiunte previste a partire dal 28 novembre, con la motivazione che il braccio di mare in cui si sarebbero effettuate incrocia la zona economica esclusiva dichiarata unilateralmente dalla Cina nel 1998. Più in generale, Pechino ha teso a pronunciarsi più che contro l’attacco nordcoreano, contro le provocazioni militari in qualsiasi forma - si tenga presente che Pyongyang ha giustificato l'attacco del 23 novembre come risposta, appunto, a presunte manovre sudcoreane provocatorie.

Pechino ha tentato di intervenire a suo modo come fattore moderatore della crisi nella penisola coreana, inviando due propri emissari a Seul, ma le proposte cinesi di compiere ogni sforzo per convocare una riunione straordinaria dei Six Parties Talks hanno ricevuto risposte piuttosto scettiche tanto dalla Corea del sud, quanto dal Giappone e dagli Stati Uniti: inoltre, la copertura di Pechino sulla Corea del Nord è rimasta forte anche dopo che il 30 novembre Pyongyang è tornata a rivendicare con forza i progressi raggiunti nella produzione di uranio arricchito attraverso l'operatività di migliaia di centrifughe nei pressi dell'impianto di Yongbyon.

Le affermazioni nordcoreane sembrano possedere una almeno parziale fondatezza sulla base di quanto riportato da alcuni scienziati statunitensi che hanno visitato la Corea del Nord in novembre. In particolare Charles Pritchard, già inviato speciale USA per la Corea del Nord, dopo una visita al sito di Yongbyon, ha asserito che il programma nordcoreano di realizzazione del nuovo reattore ad acqua leggera – da completare nel 2012 - è avviato, ma appare essere solo all’inizio.

Siegfried Hecker, ex direttore del Laboratorio nucleare USA di Los Alamos e attualmente professore a Stanford, ha riferito alla fine di novembre di aver visitato con alcuni colleghi il 12 dello stesso mese il complesso nucleare di Yongbyon. Hecker ha confermato lo stato iniziale della costruzione del reattore ad acqua leggera, aggiungendo di aver rilevato una struttura con circa 2.000 centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, comandata da una centrale tecnologicamente molto avanzata. A giudizio di Hecker le centrifughe dovrebbero effettivamente servire – come sostenuto dai nordcoreani - solo per la produzione di uranio a basso arricchimento (LEU), ma l’impianto potrebbe anche agevolmente essere riconvertito per produrre uranio altamente arricchito a scopi militari – o, in alternativa, vi potrebbero essere altrove strutture analoghe non denunciate.

Un recente rapporto dell’ISIS (Institute for Science and International Security) dell’8 ottobre 2010 aveva evidenziato come un dato di fatto lo sviluppo di centrifughe in Corea del Nord, senza peraltro poterne determinare l’effettiva possibilità di produrre uranio altamente arricchito a scopi militari. Il rapporto asseriva comunque che la Corea del Nord era oltre lo stadio di laboratorio, e appariva capace di allestire almeno un impianto pilota. Il rapporto concludeva che comunque vi era da attendersi un uso politico-diplomatico del programma di arricchimento dell’uranio nordcoreano, e contro ciò appare necessario ostacolare gli appalti illegali di Pyongyang con Stati esteri per ottenere materiali necessari al programma, anche attraverso una migliore attuazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite.

Lo stesso ISIS aveva constatato mediante immagini satellitari già alla fine di settembre un’intensa attività di scavo nella zona della torre di raffreddamento (demolita) di Yongbyon, e alla metà di novembre rilevava già la presenza di un edificio di grandi dimensioni, quasi sicuramente la struttura visitata da Hecker – le cui notizie l’ISIS, in un rapporto del 21 novembre,  ha riscontrato come attendibili, e coerenti con il rapporto dell’8 ottobre. Tuttavia l’ISIS rileva come la rapidità di realizzazione della nuova struttura di Yongbyon sia tale da destare preoccupazione in merito alla possibilità che la Corea del Nord abbia allestito – o stia allestendo – parecchie altre simili strutture, che cumulativamente potrebbero allora produrre veramente quantità rilevanti di uranio altamente arricchito per scopi militari.

Conclusivamente, si può notare come diversi osservatori convergano sul sostanziale successo delle ultime mosse di Pyongyang, che utilizzerebbe tanto i propri programmi nucleari quanto le pressioni militari nei confronti di Seul per i propri scopi diplomatici, ovvero una ripresa del negoziato a sei al fine di ottenere consistenti aiuti economici, nonché il rafforzamento della delicata transizione di potere in corso in Corea del Nord.

La strategia nordcoreana appare di successo nella misura in cui non teme di forzare limiti apparentemente invalicabili - come quelli posti dall'armistizio del 1953 o dall'apparato sanzionatorio delle Nazioni Unite -, ottenendo al massimo vibrate proteste, senza sostanziali minacce. Al contrario, si osserva che l'aggressività nordcoreana è suscettibile di porre in grave crisi l'alleanza di Seul con gli Stati Uniti, come ha mostrato in particolare la vicenda dell'affondamento della corvetta sudcoreana nel marzo 2010, dopo il quale gli Stati Uniti hanno evitato di partecipare a previste manovre militari congiunte con le truppe sudcoreane, soprattutto per la preoccupazione rispetto alle reazioni cinesi.

Particolarmente interessante appare il commento di François Godement (dell’ECFR) riportato nel fascicolo, nel quale si rileva un'inversione di ruoli nella vicenda della penisola coreana, che vede stavolta Seul capeggiare lo scetticismo verso una ripresa dei negoziati. Propedeutica a questa inversione di ruoli è stata la chiara ripresa delle azioni violente da parte della Corea del Nord, l'ultima delle quali, il grave bombardamento dell'isola di Yeonpyeong, potrebbe essere stato addirittura solo un modo per accrescere l’attenzione della Comunità internazionale in ordine alle rivelazioni sul nuovo impianto di arricchimento nucleare di Yongbyon.

Secondo Godement, la vicenda nordcoreana, anche sul piano interno, va vista in modo meno caricaturale che in passato: la successione futura a Kim Jong-il sembra ad esempio configurarsi in realtà come il passaggio a una leadership più collettiva. Sul piano regionale, nel quale i comportamenti nordcoreani vanno necessariamente inquadrati, Pyongyang ha mostrato una grande intelligenza nell'utilizzare i potenziali conflitti marittimi che la Cina ha attivato nel corso del 2010 come copertura per propri comportamenti apparentemente irresponsabili, sapendo che Pechino non può facilmente convergere con paesi con i quali ha in atto diversi contenziosi.

Inoltre, nella prospettiva di possibili compromessi americani sulla questione del nucleare iraniano, la Corea del Nord si candida, battendo i pugni sul tavolo, a godere delle stesse concessioni che eventualmente verranno accordate a Teheran. Pyongyang sa inoltre di poter contare sull'ambiguità di fondo che muove tutti i paesi dell'area, che se richiedono agli Stati Uniti una forte copertura di sicurezza, non rinunciano alle prospettive economiche assicurate dalle buone relazioni con Pechino, che della Corea del Nord è il maggiore alleato. Il risultato di tutti i comportamenti nordcoreani – che potrebbero apparire, se non inquadrati in un contesto coerente, addirittura come sintomi di una crisi irreversibile - sarebbe allora un completo successo, che si rivelerebbe nell'accettazione dello status di Pyongyang come potenza nucleare e nel riconoscimento dell’evoluzione del regime interno.