Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri | ||||
Titolo: | L'Afghanistan all'indomani delle elezioni presidenziali | ||||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 88 | ||||
Data: | 28/09/2009 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari | ||||
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione e ricerche |
L’Afghanistan all’indomani
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n. 88 |
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28 settembre 2009 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri ( 066760-4939 / 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it |
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File: es0284.doc |
INDICE
Il quadro politico post-elettorale in Afghanistan ed i suoi riflessi sul Pakistan
§ L’azione della guerriglia anti-governativa
§ Un nuovo approccio per la stabilizzazione dell’area?
§ L’attentato al contingente militare italiano a Kabul
§ L’evoluzione del quadro politico in Pakistan
Pubblicistica
§ Afghanistan: un momento difficile per la democrazia, Rapporto ARGO n. 10, settembre 2009
§ E. Giunchi, Le elezioni presidenziali in Afghanistan: un test di credibilità per una democrazia imperfetta, ISPI, Policy Brief n. 153, settembre 2009
§ B. Riedel, M. E.O’Hanlon, Why We Can’t Go Small In Afghanistan, dal sito Internet: www.brookings.edu/opinions/, 24 settembre 2009
§ M.F. Harsch, R.D. Mullen, Afghanistan’s Legitimacy Crisis, dal sito Internet: www.isn.ethz.ch/isn/, 24 settembre 2009
§ R. Matarazzo, L’impegno in Afghanistan e la conventio ad excludendum contro l’Italia, dal sito Internet: www.affarinternazionali.it/, 21 settembre 2009
§ B. Woodward, McChrystak: More Forces or ‘Mission Failure’, dal sito Internet: www.washingtonpost.com/, 21 settembre 2009
§ A. Chopra, Afghanistan: Fighting Fire with Fire, dal sito Internet: www.isn.ethz.ch/isn/, 21 settembre 2009
§ F. Prizzi, Afghanistan, il tempo sta scadendo, dal sito Internet: www.affarinternazionali.it/, 18 settembre 2009
§ A.H. Cordesman, The Levin ‘Plan’, dal sito Internet: http://cris.org/print/21674, 14 settembre 2009
§ Afghanistan: What Now for Refugees?, dal sito Internet: www.crisisgroup.org/, 31 agosto 2009
§ D. Giammaria, Afghanistan, linea di frontiera della democrazia, dal sito Internet: www.affarinternazionali.it/, 22 agosto 2009
§ O. Ray, J.M. White, Strengthening Transatlantic Policy Coherence in Fragile States: Afghanistan as a Laboratory for Solutions, in: Policy Brief, 19 agosto 2009
§ M. Arpino, Afghanistan tra guerra e politica, dal sito Internet: www.affarinternazionali.it/, 10 agosto 2009
§ G. Dottori, L’Italia in Afghanistan tra nuovi impegni e minacce crescenti, dal sito internet: www.affarinternazionali.it/, 10 luglio 2009
§ F. Biloslavo, Teatro Afghano, in: Osservatorio strategico, 7 luglio 2009
§ O. Thränert, C. Wagner, Pakistan as a Nuclear Power, SWR Research Paper, giugno 2009
§ F. Carbonari, Afghanistan-Pakistan e la dimensione regionale della sicurezza, dal sito internet: www.argoriente.it, giugno 2009
§ M. Rossoni, Un ‘conflitto’ nel conflitto: ricostruzione civile ed attività militari in Afghanistan, dal sito Internet: www.affarinternazionali.it/, 21 maggio 2009
§ D.J. Kilcullen, Terrain, Tribes, and Terrorists: Pakistan, 2006-2008, in: Brookings
Il 20 agosto 2009 in Afghanistan, in un contesto di netto deterioramento delle condizioni di sicurezza, contrassegnatoda un’escalation di azioni violente nelle settimane precedenti il voto, si sono svolte le elezioni presidenziali e quelle per il rinnovo dei 34 consigli provinciali[1]. I sondaggi pre-elettorali indicavano come favorito il presidente in carica Hamid Karzai, il leader pashtun già a capo del governo interinale e poi di quello provvisorio e confermato alla presidenza dal voto del 2004[2].
Lo scrutinio della totalità dei seggi si è concluso il 17 settembre quando la Commissione elettorale indipendente (IEC, viene considerata sotto l’egida del presidente uscente Hamid Karzai) ha reso noti i risultati che, come è noto, non hanno ancora il carattere dell’ufficialità dal momento che è tuttora in corso il riconteggio di una parte dei voti.
I risultati, ancora non ufficializzati, diffusi il 17 settembre sono i seguenti:
· il presidente uscente, Hamid Karzai avrebbe vinto al primo turno con il 54,6% dei voti (3.093.256 in cifra assoluta);
· Abdullah Abdullah, l’ex Ministro degli esteri e principale antagonista, ha ottenuto il 27,8% dei suffragi (1.571.581);
· Ramazan Bashardost con 520.627 voti ha ottenuto il 9,19%.
L’affluenza alle urne è stata del 38,7%; il totale dei voti validi è di 5.662.758.
La sussistenza di brogli, episodi di intimidazione e irregolarità da parte dei principali contendenti in tutto il paese ha trovato conferma anche nelle dichiarazioni rese dagli osservatori dell’Unione europea che, per voce della vice responsabile della missione, Dimitra Ioannou, hanno indicato in circa 1,5 milioni (circa il 25%) i voti potenzialmente segnati da irregolarità – e dunque da ricontare - tre quarti dei quali sarebbero a favore di Karzai. A tale presa di posizione ha fatto eco una nota diramata nella giornata del 17 settembre dallo staff del presidente uscente, nella quale si rileva che “l’annuncio fatto dalla missione di osservazione elettorale dell'Unione Europea sul numero di voti sospetti è un annuncio parziale, irresponsabile e fatto in contraddizione con la costituzione afghana”; lo stesso Karzai, il giorno successivo, nel corso di una conferenza stampa ripresa dalle agenzie ha smentito che ci siano state ''frodi massicce'' e ha affermato che ''i brogli, se ci sono stati, devono essere accertati e accertati equamente, senza prevenzioni''.
Si rammenta che la ECC (Electoral Complaints Commission), organismo afghano preposto all’esame dei ricorsi connessi al procedimento elettorale, riformata proprio in vista delle presidenziali del 2009 (è presieduta dal canadese Grant Kippen e tre dei suoi cinque membri sono stati nominati dalle Nazioni Unite)[3], l’8 settembre aveva reso noto di aver trovato prove convincenti di brogli nelle elezioni presidenziali; la ECC aveva pertanto ordinato un nuovo conteggio dei voti in tutti i seggi dove hanno votato oltre 600 elettori (ritenuto il livello massimo di potenziali votanti secondo le stime pre-elettorali della Commissione elettorale indipendente, IEC) e in quelli in cui un singolo candidato ha ottenuto il 95% o più dei consensi. Sulla base di tali dati, il 16 settembre la ECC, ha disposto il riconteggio del 10% dei voti (circa 2.500 seggi).
La recente schermaglia sulle delicatissime conseguenze dell’esito del riconteggio dei voti, da cui potrebbe derivare la necessità di procedere a un secondo turno elettorale, ha visto coinvolti attori interni ed internazionali.
Il 19 settembre, come riportato da fonti di agenzia, il capo della Commissione elettorale IEC, che deve effettuare un nuovo computo, ha valutato in “almeno sei settimane” il tempo necessario per ricontare i voti dei 2.500 seggi stabiliti affermando che l’eventuale turno di ballottaggio tra il presidente uscente Karzai e lo sfidante Abdullah Abdullah, rischia di slittare al 2010; le condizioni meteo in Aghanistan non consentono, a suo avviso, uno svolgimento della tornata elettorale oltre la terza settimana di ottobre. Il capo della IEC ha pertanto richiesto alla commissione reclami (ECC) di accelerare l’esame delle denunce di brogli per poter dare avvio al riconteggio.
A tali dichiarazioni ha fatto seguito la presa di posizione del portavoce delle Nazioni Unite a Kabul, che il 20 settembre ha sottolineato la fiducia dell’Onu nella conclusione del processo elettorale afghano entro l’inverno, anche in caso di ballottaggio.
Il 21 settembre, infine, i due organismi preposti al controllo del processo elettorale in Afghanistan, ECC e IEC, hanno trovato un accordo sul metodo da seguire per il riconteggio dei voti ordinato dalle Nazioni Unite l’8 settembre, annunciando l’intenzione di lavorare insieme per definire le procedure. In un comunicato congiunto ripreso dalle agenzie di stampa si legge che in base all’accordo “i due organismi lavoreranno d’ora in poi sui dettagli operativi specifici e incontreranno nei prossimi giorni i gruppi di osservatori e i rappresentanti dei candidati per ottenere più informazioni”; secondo la nota “questo approccio sarà fondato su criteri internazionali al fine di assicurare la credibilità dei risultati delle elezioni del 20 agosto e concludere questo processo senza ritardi”. L’accordo che ha rimesso in moto il processo elettorale afghano prevede un controllo a campione delle schede sospette.
La complessità della situazione non consente di prevedere l’esito del procedimento. Grant Kippen, presidente della Commissione per i reclami elettorali (ECC) in una dichiarazione riportata dall’Ansa il 21 settembre ha indicato i tre ambiti nei quali si articoleranno le nuove operazioni di conteggio:
- la quota del 2,1% dei seggi (circa 500) per la quale la stessa IEC, ritenuta vicina a Karzai, ha parlato di quarantena per sospette irregolarità che dovranno essere valutate dalla ECC;
- 3.000 seggi in cui, in base a rilevamenti statistici e sociologici, ci potrebbero essere stati brogli;
- 726 denunce di “categoria A ricevute direttamente dalla ECC e che potrebbero alterare il risultato finale”.
Come è noto, la situazione in Afghanistan è connotata dal 2008 da un ininterrotto peggioramento del quadro della sicurezza, che ha visto una sempre più aggressiva azione della guerriglia talebana, la moltiplicazione di attentati e scontri e l’aumento del numero delle vittime. La situazione si è ulteriormente deteriorata, nonostante la crescente presenza militare internazionale, tra gennaio e maggio del 2009, quando è stato rilevato un incremento del 60% rispetto all’anno precedente degli attacchi alle truppe straniere e governative, soprattutto nello Helmand, il cuore della produzione di oppio, ma anche a Kandahar, Kunar e Khost, confinanti con il Pakistan[4].
Il complesso delle forze antigovernative - un coacervo ben più ampio della sola rete dei talebani – non solo ha consolidato il proprio controllo nelle aree pashtun a sud e a sud-est ma ha anchedestabilizzato aree un tempo tranquille, a nord e a ovest del paese.
Nella comunità internazionale sembra rafforzarsi la convinzione che la soluzione esclusivamente militare al problema afghano non è sufficiente ma che è necessaria una soluzione politica globale, così detto comprehensive approach. Il nuovo approccio punta alla stabilizzazione dell’Afghanistan attraverso il rafforzamento delle sue istituzioni - da qui la decisione di inviare ulteriori forze per garantire il credibile esito delle elezioni presidenziali del 20 agosto 2009 - e il sostegno alla crescita del settore civile, in un processo teso a coinvolgere il Pakistan e gli altri paesi dell’area.
Il concetto di comprehensive approach, già promosso dalla Nato nel 2008, è stato ribadito dall’Alleanza atlantica nel Vertice di Strasburgo-Kehl (3-4 aprile 2009),dove i paesi membri hanno deciso, tra l’altro, di sostenere il rafforzamento delle istituzioni afghane inviando ulteriore personale militare e civile all’interno di nuove missioni istituite nell’ambito della missione ISAF.
In occasione del Vertice NATO straordinario di Strasburgo-Kehl (3-4 aprile 2009) per il sessantennale dell’Alleanza Atlantica i Capi di Stato e di Governo hanno deciso di istituire la NATO Training Mission in Afghanistan (NTM-A) destinata alla supervisione della formazione dei livelli superiori dell’esercito afghano (Afghan National Army-ANA) e a un ruolo più ampio nella formazione delle forze di polizia (Afghan National Police–ANP), obiettivi da perseguire capitalizzando strutture e sinergie esistenti: la nuova missione, infatti, opererà sotto comando unico con il CSTC-A (Combined Security Transition Command-Afghanistan) statunitense.
La decisione si inquadra nella strategia dell’Alleanza Atlantica sull’Afghanistan riportata nel documento Summit Declaration on Afghanistan approvato a Strasburgo; nel documentosi ribadisce che l’Afghanistan continua a essere la priorità essenziale dell’Alleanza e si afferma che i principi posti a fondamento della visione strategica delineata al precedente vertice di Bucarest (comprehensive approach) restano alla base del suo piano politico militare. Viene posto l’accento sulla centralità del rafforzamento delle istituzioni afgane, obiettivo da conseguire attraverso un più intenso coinvolgimento dei Paesi confinanti con l’Afghanistan e anche, poiché non si tratta di una questione puramente militare, di più importanti risorse civili. Si fa, infine, riferimento alla necessità di bilanciare, nei futuri contributi alla sicurezza e alla stabilità del Paese, gli sforzi civili e quelli militari, come emerso dallaConferenza internazionale sull’Afghanistan (l’Aja, 31 marzo 2009).
Sul versante statunitense, la nuova strategia del presidente Barak Obama per la stabilizzazione dell’area postula la distruzione di al Qaeda in Afghanistan e in Pakistan. A tale fine, da un lato è stata incrementata la presenza militare in Afghanistan (anche tutela dello svolgimento regolare delle elezioni presidenziali e provinciali del 20 agosto scorso) e sono state intensificate le azioni militari contro gli insorgenti; dall’altro viene sostenuta con maggiori risorse la crescita civile dei due paesi. In particolare quanto al Pakistan, dall’ascesa alla presidenza di Asif Ali Zardari (9 settembre 2008) gli Usa - come affermato dall’ambasciatrice statunitense a Islamabad il 17 settembre e riportato dalla stampa internazionale - hanno destinato in aiuti alla sicurezza, al sostegno economico e allo sviluppo oltre tre miliardi di dollari.
Secondo quanto riferito da fonti di stampa, il 17 settembre 2009 l’amministrazione Obama, in un briefing a porte chiuse ha illustrato ad alcuni senatori un documento, qualificato come “bozza” ma non secretato, contenente la strategia per l'Afghanistan ed il Pakistan. Il documento indica gli obiettivi e le priorità della missione e i parametri che l’amministrazione statunitense intende adottare per valutare i progressi nella regione, elementi che da tempo il Congresso aveva chiesto di conoscere per assumere decisioni sull’eventuale impiego di ulteriori mezzi e truppe. Nei prossimi giorni il Congresso acquisirà anche le valutazioni del generale Stanley McChrystal, Comandante delle Forze americane in Afghanistan.
Come è noto, il 21 settembre il Washington Post, in un articolo a firma di Bob Woodward, ha rivelato i contenuti del rapportodel generale Usa Stanley McChrystal, comandante della forza Usa in Afghanistan e dell’Isaf, nel quale si chiede un cambio di rotta e di strategia per la missione Isaf e si afferma che senza nuovi rinforzi entro i prossimi 12 mesi, la guerra in Afghanistan verosimilmente finirà con un “fallimento”.
Questi i punti chiave del documento anticipati dal Washington Post e ripresi da agenzie di stampa internazionali:
- la stabilizzazione dell'Afghanistan è l’obiettivo imperativo ma se il governo afghano cedesse ai talebani o non avesse la capacità di far fronte ai terroristi internazionali, il paese potrebbe tornare a essere una base per il terrorismo, con conseguenze evidenti sulla stabilità regionale;
- nonostante i progressi compiuti, molti indicatori mostrano il deterioramento della situazione generale e Isaf fa fronte a un'insurrezione che resiste e cresce. La crisi di fiducia degli afghani nei confronti sia del loro governo, sia della comunità internazionale “'mina la nostra credibilità e rafforza i ribelli”;
- fallire la ripresa dell'iniziativa e non riuscire a porre fine a breve termine (entro i prossimi dodici mesi) all’attuale offensiva dei ribelli, in attesa dello sviluppo di adeguate capacità di sicurezza afghane, rischia di portare ad una situazione per cui non sarà più possibile vincere sui ribelli;
- viene consigliata l’adozione di una nuova strategia, volta a riguadagnare la fiducia degli afghani, che deve fare perno sulla capacità di conquistare il sostegno di una popolazione che si sente protetta dalle forze internazionali. Non viene precisata l’entità dei rinforzi (oggetto di corrispondenza separata) ma si afferma che ''le risorse non vinceranno questa guerra, ma con risorse inadeguate la si perderà”;
- uno dei punti chiave della nuova strategia fa perno sul rafforzamento delle forze di sicurezza afghane, che vanno raddoppiate: l'esercito, che oggi conta 92 mila soldati, deve passare dai 134 mila previsti a 240 mila effettivi entro 12-18 mesi; i poliziotti formati da 84 mila a 160 mila;
- la maggior parte dei talebani sono afghani, comandati da un ristretto numero di capi nascosti in Pakistan e aiutati da elementi dei servizi segreti a livello internazionale sia per i finanziamenti, sia per l’addestramento;
- si ribadisce che la stabilità del Pakistan è essenziale di per se', ma anche per ottenere risultati in Afghanistan.
L’Amministrazione americana, tuttavia, attraverso il capo del Pentagono Robert Gates ha chiesto al generale McChrystal di congelare la richiesta di rinforzi, cui si oppone l’opinione pubblica nonché una parte del Congresso, stimati in alcune decine di migliaia, che potrebbero non essere necessari alla luce di una completa revisione della strategia in Afghanistan.
Le opzioni meno costose in termini umani e finanziari attualmente al vaglio dell’amministrazione implicano un nuovo orientamento degli sforzi Usa a un impegno più mirato di forze speciali e di droni nella caccia ad al Qaida. Come annunciato in un intervento televisivo dal segretario di stato Hillary Clinton, nessuna decisione verrà presa sino a che non si sarà noto l’esito del voto in Afghanistan.
In un intervista rilasciata al Washington Post il 28 settembre, il generale Jim L. Jones, consiglieri per la sicurezza nazionale del presidente Obama, conferma la centralità della questione afghana per il presidente Obama che, proprio per questo, potrebbe propende per una decisione cauta e ponderata, che richiede tempo. Tempo che, nelle valutazioni del generale McChrystal, comandante delle forze Usa e Nato in Afghanistan, comincia a scarseggiare, a causa di una situazione sul terreno peggiore di quanto fosse stata da lui stesso valutata in un primo momento. A differenza che in passato, però, l’intervistato afferma che oggi il Pentagono non è più compatto dietro le posizioni di McChrystal, anche se quest’ultimo può contare su alleati del calibro dell’ammiraglio Mike Mullen, capo degli Stati Maggiori e il generale David Petraeus.
Il processo di revisione della strategia americana in Afghanistan dovrebbe avere inizio alla Casa Bianca, con una serie di riunioni al massimo livello, il 29 settembre prossimo.
Il 17 settembre un tragico attentato al contingente militare italiano a Kabul ha causato la morte di sei militari, tutti appartenenti alla Brigata paracadutisti “Folgore” - il tenente Antonio Fortunato, il primo caporalmaggiore Matteo Mureddu, il primo caporalmaggiore Davide Ricchiuto, il primo caporalmaggiore Massimiliano Randino, il sergente maggiore Roberto Valente e il primo caporalmaggiore Giandomenico Pistonami - e il ferimento di altri quattro militari.
Oltre alla morte dei militari italiani, tutti paracadutisti della Folgore, hanno perso la vita nell’attentato anche venti civili e circa sessanta sono rimasti feriti.
Non è ancora stata chiarita la dinamica dell’attentato: si ipotizza che l'autobomba fosse ferma e che sia stata azionata con un telecomando, oppure che un kamikaze si sia scagliato contro il convoglio dei due Lince che si stava recando dall'aeroporto Kaia al comando di ISAF.
Il Ministro della difesa, on. Ignazio La Russa, ha immediatamente informato il Parlamento dell’accaduto. In particolare, nella seduta della Camera dei deputati, svoltasi nel giorno dell’attentato, egli ha sottolineato che il tragico episodio conferma il permanere di una situazione di evidente pericolosità estesa a tutto il territorio dell’Afghanistan e che la recrudescenza degli attacchi va posta in relazione con la volontà di destabilizzare ulteriormente la situazione interna nel momento in cui erano in corso le operazioni di conteggio dei voti relativi alle controverse elezioni presidenziali del 20 agosto. Il Ministro, richiamandosi a quanto aveva affermato in un’analoga occasione precedente, ha ribadito che non si può parlare di una strategia contro le forze italiane, ma di tentativi tesi a impedire alle forze afghane e a quelle internazionali di ISAF di estendere il controllo del territorio da parte del legittimo Governo afghano.
La strage di Kabul era stata preceduta da un warning, un’”allerta seria” come dichiarato anche dal Ministro Frattini in un’intervista rilasciata al Tg2 il giorno dopo l’attentato anche se era non si era mai verificato prima un attentato di quella portata all’interno della zona più protetta della città. Secondo altre informazioni di intelligence, pervenute nei giorni successivi, la minaccia maggiore proverrebbe dalla parte occidentale dell’Afghanistan, dove è schierato il grosso del contingente italiano: nella provincia di Farah due diverse formazioni starebbero preparando attentati conto i militari della NATO, mentre nella provincia di Badghis, un gruppo di circa dieci insorti armati di lanciarazzi avrebbe come bersaglio gli elicotteri dell’ISAF. In allarme anche i contingenti di altre province, come quella di Herat, dove ha sede il quartier generale italiano.
Come precisato dal Presidente del COPASIR (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) sen. Francesco Rutelli, i warning sono numerosissimi, tutti vengono vagliati, ma non sempre si tratta di “notizie che possono permettere di prevenire, perché la minaccia è molto vasta”.
La posizione italiana in relazione ai recentissimi - e tragici anche per il nostro contingente - sviluppi della situazione in Afghanistan è stata rappresentata dal Ministro degli esteri, on. Franco Frattini, durante incontri con i Ministri degli esteri del G8 e con i capi delle diplomazie europee e il Segretario di Stato americano Hillary Clinton, a New York il 23 settembre, a margine della sessione annuale dell’Assemblea generale dell’Onu. Il Ministro è tornato a proporre ai colleghi una “strategia di transizione”, con date precise e obiettivi concreti da mettere “nero su bianco” in quello che ha chiamato un “nuovo, solenne contratto” con il presidente che uscirà vincitore dalla tornata elettorale afgana. La sede per stipulare questa nuova “assunzione di responsabilità” potrebbe essere, ha proseguito il Ministro, il vertice dei Ministri degli Esteri dell'Alleanza atlantica e dei Paesi impegnati in Afghanistan, che si sta cercando di organizzare entro la fine dell'anno a Kabul.
Nella stessa giornata del 23 settembre il Ministro ha incontrato il Ministro degli esteri pakistano, Moeenuddin Ahmad Qureshi con il quale, tra il resto, ha discusso il dossier Afghanistan, manifestando l'apprezzamento italiano per l'impegno del governo pakistano nella lotta al terrorismo ed estremismo che ha fatto registrare importanti progressi negli ultimi mesi, e riconoscendo il ruolo cruciale del Pakistan nella stabilizzazione dell'Afghanistan e di tutta la regione. Qureshi, per parte sua, ha sottolineato l'esigenza di un rinnovato supporto politico ed economico al Pakistan per la sua stabilizzazione interna, supporto che l'Italia continuerà ad assicurare anche nel quadro del Gruppo Friends of Pakistan.
Il collegamento tra il ruolo del Pakistan e gli eventi afghani è una costante geopolitica della regione: tuttavia, la concentrazione prevalente dell’attenzione sull’Afghanistan ha fatto sì che per lunghi periodi, negli ultimi anni, il nesso inscindibile con le politiche di Islamabad venisse parzialmente oscurato.
Nell’estate 2009, tuttavia, il nesso tra Afghanistan e Pakistan è riemerso con forza, e le due situazioni sono state più volte trattate a livello internazionale come aspetti di un’unica questione. Tale nuova consapevolezza è stata indubbiamente provocata dall’accendersi di un’offensiva dei talebani pakistani della valle dello Swat, che li ha condotti a un centinaio di chilometri dalla capitale, destando moltissima preoccupazione nella comunità internazionale, che non dimentica essere il Pakistan oltretutto una potenza nucleare.
La reazione delle forze armate pakistane è sembrata stavolta assai decisa, assestando duri colpi ai fondamentalisti e spingendosi molto avanti nei territori tradizionalmente da essi controllati della Provincia di frontiera nord-occidentale (NWFP) e delle Aree tribali amministrate a livello federale (FATA). Va tuttavia notato che la forte controffensiva dell’esercito pakistano non ha certamente sradicato la presenza dei Talibani pakistani, ma solo attenuato temporaneamente l’impatto di essa.
Le pressioni occidentali, e segnatamente statunitensi, sul governo di Islamabad sono state nell’occasione irresistibili e hanno costretto le forze armate nazionali a uscire dall’atteggiamento di ambiguità nei confronti del fondamentalismo pashtun presente anche in Pakistan. Bisogna tuttavia ricordare con chiarezza che per l’esercito pakistano - che in questa fase sembra essersi pressoché ritirato dal controllo della vita politica e civile del paese, dopo la chiusura della presidenza Musharraf - il legame con le milizie fondamentaliste e la loro strumentalizzazione costituiscono una direttrice strategica di lungo periodo, e pertanto difficilmente accantonabile. Infatti il controllo dell’organizzazione della guerriglia talibana è funzionale per il Pakistan al mantenimento di un forte ruolo nel vicino Afghanistan, suscettibile di aumentare la resistenza pakistana in un eventuale conflitto con l’India, che per Islamabad rimane sempre sullo sfondo.
L’intervento massiccio dei servizi di intelligence pakistani negli affari dell’Afghanistan risale agli Anni Ottanta, quando Islamabad fu decisiva per l’addestramento e il sostegno militare e logistico alle milizie dei mujaheddin che sconfissero gli invasori sovietici. Gli eventi dell’11 settembre 2001 misero naturalmente il Pakistan in una scomoda posizione, e nella necessità di attenuare il sostegno al fondamentalismo islamico, che aveva colpito così duramente l’importante alleato statunitense. Cionondimeno, anche il presidente-dittatore Musharraf, pur ricevendo cospicui aiuti dagli Stati Uniti, non riusciva nel decennio della sua permanenza al vertice del potere pakistano a combattere in modo serio le milizie fondamentaliste, proprio per la resistenza di importanti strati delle forze armate di Islamabad.
Il ritorno del potere ad elementi civili, con l’elezione a presidente, un anno fa, di Zardari, vedovo di Benazir Bhutto, avrebbe dovuto in teoria poter favorire una lotta più decisa contro i Talibani pakistani, ma non va dimenticata la presenza sulla scena politica pakistana di partiti a loro volta fortemente connotati sul piano religioso, come la Lega musulmana che fa capo a Nawaz Sharif, e con la quale Zardari si è trovato a dover scendere a patti - si pensi solo al reintegro, avvenuto nel marzo 2009, di tutti i giudici della Corte suprema che erano stati a suo tempo allontanati da Musharraf.
Più in generale, non va dimenticato che in Pakistan, sin dall’inizio degli Anni Settanta, l’elemento religioso è stato fortemente accentuato dalle élites dirigenti, in un processo di marcata reislamizzazione di tutti gli aspetti della società, quale antidoto all’eccessiva eterogeneità etnica e culturale del paese, con gravi pericoli di dissoluzione, e che già aveva condotto alla secessione del Pakistan orientale, divenuto il nuovo Stato del Bangladesh.
Proprio sul piano etnico la questione del collegamento tra Afghanistan e Pakistan conosce un’ulteriore complicazione, in quanto l’etnia maggioritaria afghana pashtun è presente e prevalente anche nelle regioni di confine pakistane - tanto da far vagheggiare ad alcuni gruppi armati la possibilità della nascita di un Pashtunistan a cavallo dei due Stati. Ciò che di fatto si verifica, stante la pressoché totale assenza di validi controlli, è il passaggio indisturbato di gruppi dall’uno all’altro paese, ignorando la frontiera, a suo tempo stabilita dal colonialismo britannico, e che l’Afghanistan del resto esplicitamente non riconosce. È evidente come l’inasprimento delle misure di controllo, impedendo l’attuale completa osmosi tra le due comunità, sarebbe suscettibile proprio di radicalizzare e rendere più popolari le tendenze volta all’affermazione di un nazionalismo pashtun.
Di qui l’estrema prudenza delle autorità di Islamabad nell’affrontare le relazioni con i pashtun, dei quali fanno parte anche i talebani afghani e in genere i fondamentalisti islamici, per evitare di innescare spinte centrifughe delle quali un come il Pakistan sembra proprio non avere bisogno: ciò è tanto più vero se si tiene conto anche della lunga lotta in corso nella regione del Belucistan, confinante con l’Iran, ove esiste una diffusa protesta e un movimento di guerriglia – sebbene a carattere laico -, in ragione della lamentata mancanza di autonomia, che impedisce ai locali anche di partecipare adeguatamente allo sfruttamento delle risorse regionali. La delicatezza della questione del Belucistan è anch’essa acuita dalla presenza oltre frontiera di omologhi gruppi etnici, anch’essi impegnati in rivendicazioni nei confronti di Teheran. Un eventuale collegamento tra il Belucistan e la Provincia di frontiera nord-occidentale pakistana costituirebbe un gravissimo problema per la “tenuta” unitaria del paese.
La perdurante instabilità del Pakistan è poi accentuata anche dalle difficoltà economiche, che la crisi internazionale non aiuta certo a superare. Dopo ulteriori prestiti in luglio da parte del Fondo monetario internazionale, appare essenziale per il paese ottenere ulteriori finanziamenti americani per poter validamente sostenere le operazioni dell’esercito nella zona di confine con l’Afghanistan. Tuttavia gli Stati Uniti sono comprensibilmente esitanti nel concedere nuovi fondi, visto che gran parte degli 11 miliardi di dollari erogati nel periodo di Musharraf sembra ormai chiaro siano andati prevalentemente a sostenere lo schieramento militare pakistano in prospettiva di un conflitto con l’India. La perdurante ambiguità della posizione dei vertici militari nei confronti del fondamentalismo islamico non aiuta certo a sciogliere questo nodo, tant’è vero che la nuova amministrazione americana sembra orientarsi alla finalizzazione di parte dei fondi verso programmi civili concentrati nelle province nordoccidentali del Pakistan.
Nonostante tutti questi gravi problemi, e nonostante l’ostilità di ampie fasce delle élite pakistane, non solo militari, il presidente Zardari sembra per ora in grado di mantenere gli equilibri con una certa abilità. Proprio nei confronti delle aree nordoccidentali sono stati infatti annunciati provvedimenti giuridici per una riforma amministrativa, ed è stata concessa una certa autonomia ad alcune regioni del Kashmir pakistano, coinvolte nelle pluridecennali frizioni con l’India. Anche nei riguardi del Belucistan Zardari ha fatto balenare la possibilità di una riforma costituzionale che conceda a quella provincia l’autonomia desiderata.
Rimane tuttavia il nodo centrale dei rapporti del nuovo potere civile con l’elemento militare, che per quanto detto difficilmente uscirà dall’ambiguità nei rapporti con il fondamentalismo islamico e le milizie pashtun. Permane, sullo sfondo, il nodo dei rapporti tra Pakistan e India: sussiste infatti da un lato il rischio di una pericolosa escalation tra due potenze nucleari, e emerge l’esigenza di eliminare la ragione principale dell’ambiguo atteggiamento dei militari pakistani verso il fondamentalismo, da cui viene tuttora la diffidenza di Islamabad per gli sviluppi democratici dell’Afghanistan, dai quali si teme che gli elementi non appartenenti all’etnia pashtun maggioritaria possano acquistare eccessiva influenza, diminuendo la possibilità per il Pakistan di strumentalizzare le dinamiche interne afghane - e i buoni rapporti finora registratisi tra Kabul e l’India sembrano destinati a confermare i timori pakistani.
[1] Le elezioni per la Camera bassa (Wolesi Jirga) ed i consigli distrettuali sono previste per l’estate del 2010.
[2] Il Presidente ed i due vice-presidenti della Repubblica islamica dell’Afghanistan sono eletti a suffragio universale con mandato quinquennale, rinnovabile. Per l’elezione al primo turno è necessario il 50% dei voti. Hamid Karzai, primo presidente democraticamente eletto in Afghanistan, ha vinto le elezioni del 9 ottobre 2004 con il 55,4% dei voti ed è in carica dal 7 dicembre di quell’anno. Primo vicepresidente è Ahmad Zia Masood e secondo vicepresidente Abdul Karim Khalili.
[3] L’ ECC è composta da due membri afghani - nominati uno dall’Afghanistan Independent Human Rights Commission e uno dalla Corte Suprema - e tre internazionali, di nomina Onu. Nella sua attuale composizione (2009) i membri afghani sono Ahmad Fahim Hakim e Mawlawi Mohammad Mustafa Barakzai e gli internazionali Grant Kippen, Maarten Halff e Scott Worden. Il presidente Grant Kippen è un esperto canadese che da quasi 30 anni si occupa di supervisione dei risultati elettorali nei cinque continenti.
[4] EIU, Pakistan Country Report, July 2009, p. 14.