Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Altri Autori: Servizio Rapporti Internazionali
Titolo: Partecipazione alla 64° sessione dell'Assemblea Generale dell'ONU - (New York, 21-26 settembre 2009)
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 86
Data: 18/09/2009
Descrittori:
ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE ( ONU )   ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

 

 

 

Camera dei deputati

 

 

Senato della Repubblica

 

 

 

XVI LEGISLATURA

 

 

 

 

 

 

 

Partecipazione alla 64ma Sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU

La presidenza italiana del G8 e le prospettive

(New York, 21-26 settembre 2009)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Camera dei deputati

Documentazione e ricerche n. 86

Senato della Repubblica

Dossier n. 150

 

 

 

 

 

 

18 settembre 2009

 


 

Camera dei deputati:

Servizio StudiDipartimento Affari esteri

( 066760-4939 / 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

Senato della Repubblica:

Servizio Studi - Ufficio per la politica estera e di difesa

( 066706-2629 /066706-2180 – * studi1@senato.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: es0277.doc

 


INDICE

Programma  3

Schede di lettura

Il Processo di riforma delle Nazioni Unite (a cura del Servizio Studi della Camera)9

Recenti sviluppi politici in Afghanistan e Pakistan (a cura del Servizio Studi della Camera)15

Gli obiettivi di Sviluppo del Millennio (a cura del Servizio Studi della Camera)23

L’United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA) -  Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degliAffari Umanitari (a cura del Servizio Studi del Senato)35

L’UNHCR, United Nations High Commissioner for Refugees (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati) (a cura del Servizio Studi del Senato)43

Il Department of Peacekeeping Operations (DPKO) (a cura del Servizio Studi del Senato)55

Il disarmo (a cura del Servizio Studi del Senato)59

L’Alto Rappresentante per il disarmo (a cura del Servizio Studi del Senato)67

Politiche climatiche, anche in previsione del prossimo G8 e della Conferenza di Copenaghen 2009 (a cura del Servizio Studi del Senato)69

UNDP (United Nations Development Programme) (a cura del Servizio Studi della Camera)71

La Cooperazione parlamentare in ambito ONU (a cura del Servizio Rapporti internazionali della Camera)75

La Partecipazione parlamentare alle Conferenze in ambito ONU (a cura del Servizio Rapporti internazionali della Camera)77

Relazioni tra l’Unione Interparlamentare e le Nazioni Unite (a cura del Servizio Rapporti internazionali della Camera)81

Biografia (a cura del Servizio Rapporti internazionali della Camera)

ALI ABDESSALAM TRIKI Presidente della 64ma Sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite  89

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

64ma Assemblea Generale delle
Nazioni Unite

 

 

 

 

 

Visita della Delegazione degli

Osservatori Parlamentari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

New York, 21-26 Settembre 2009

 


 

Visita della delegazione di osservatori parlamentari alla 64esima Assemblea Generale dell’O.N.U.

New York, 21 –26 settembre 2009

 

Programma

 

 

LUNEDI’ 21 SETTEMBRE

 

14.10                                Arrivo all’Aeroporto di Newark dell’On.

                                          Pianeta e della dott.ssa Piazza con volo AZ 642

 

                                          Ad accogliere il Primo Cons. Amedeo Trambajolo.

 

15.40                                 Arrivo all’Aeroporto di Newark dell’On.

                                          Vernetti con volo LH 402

                                            

                                          Trasferimento all’Hotel Tudor.

 

19.00                                 Pranzo

                                         

 

                                               

MARTEDI’ 22 SETTEMBRE

 

 

9-10                                         Sessione di apertura dell’evento di alto livello sui Cambiamenti Climatici.

 

 

10.30-11.00                             Incontro con il Ministro degli Esteri egiziano

(luogo da definire)

 

12.00                                       Incontro con l’ASG per il Peace keeping Mulet (Stanza S-3720H)

 

13,15                                       Colazione di lavoro offerta dal Primo Cons. Stefano Stefanile e dal Primo Cons  Stefania Rosini (ristorante Pampano – 209 East, 49th Street, tra la 2nd e la 3rd Avenue)

 

15.30-16.00                             Incontro con la delegazione governativa del Pakistan

(orario da confermare)

 

17.00-18.00                             Sessione di chiusura dell’evento di alto livello sui Cambiamenti Climatici

 

20.30                                       Pranzo offerto dal Primo Cons. Amedeo Trambajolo

 

 

MERCOLEDI’ 23 SETTEMBRE

 

 

9.00-13.00                               Sessione di apertura del dibattito in Assemblea Generale

                                                In tarda mattinata intervento nazionale dell’On. Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

 

13.30                                       Colazione di lavoro offerta dal Cons. Mogini e dal Prof. Nesi su Giustizia Penale Internazionale e terrorismo

 

15.00                                       Incontro con il Direttore per la Campagna MDG (UNDP) Mr. Salil Shetty

(luogo da definire)

 

16.00                                       Incontro con il Rappresentante Speciale del SG per i Cambiamenti Climatici Srgian Kerim

(luogo da definire)

 

17.00                                       Incontro con la delegazione governativa della Corea del Nord

(luogo da definire)

 

17.30-18.00                             Incontro con il Ministro degli Esteri della Siria  (luogo da definire)

 

                                                Serata libera

 

 

GIOVEDI’ 24 SETTEMBRE

 

 

11.00                                       Incontro con l’HR per i Rifugiati Antonio Guterres (220 East, 42nd Sreet, tra 2nd e 3rd Avenue – 30th floor)

 

13.15-14.45                             Briefing dell’Unione Interparlamentare

 

13.30                                       Colazione di lavoro offerta dal Cons. Luigi De Chiara su temi economici e di sviluppo

 

15.00-15.30                             Incontro con la delegazione parlamentare iraniana (luogo da definire)

 

15.45                                       Incontro con l’USG per gli Affari Politici Lynn Pascoe

(Stanza S-3770)

 

18.30-19.00                             Incontro con la delegazione governativa dell’Iran (luogo da definire)

 

20.30                                       Pranzo offerto da S.E. l’Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata in residenza

 

 

VENERDI’ 25 SETTEMBRE

 

 

11.00                                       Incontro con l’Alto Rappresentante per Disarmo Sergio de Queiroz Duarte

                                                (Stanza S-3170A)

 

13.30                                       Colazione offerta dal Primo Cons. Riccardo e dal Primo Cons. Quaroni su temi politici, peace keeping e diritti umani

 

15.30                                       Incontro con l’USG per gli Affari Umanitari John Holmes

                                                (luogo da definire)

 

16.30                                       Incontro con il Vice Segretario Generale

                                                Dr. Asha-Rose Migiro

                                                (Sala A.G. – stanzetta dietro il podio)

 

20.10                                       Partenza dall’Aeroporto di Newark dell’On. Vernetti con volo LH 413

 

20.30                                       Pranzo offerto dal Vice Rappresentante Permanente Amb. Cornado (ristorante Le Cirque, 151 East 58th Sreet, tra la 3rd Avenue e la Lexington Avenue)

 

SABATO 26 SETTEMBRE

 

 

17.35                                       Partenza dall’Aeroporto di Newark della dott.ssa Piazza con volo AZ 643

 

18.20                                       Partenza dall’Aeroporto di Newark dell’On. Pianetta con volo AZ 605

 

                                                Ad accompagnare la Delegazione il Primo Cons. Amedeo Trambajolo

 

 

 


Schede di lettura

 


Il Processo di riforma delle Nazioni Unite
(a cura del Servizio Studi della Camera)

Negli ultimi anni le Nazioni Unite, considerate come sistema che comprende programmi, agenzie specializzate e fondi, hanno avviato un processo di riforma, finalizzato a rafforzare l'efficacia dell'organizzazione e renderla più vicina alle sfide del presente ed alle richieste dei suoi membri.

Tale processo di riforma è stato intrapreso a più livelli ed in diverse sedi. Tra di esse il World Summit, che si è svolto nel settembre 2005 a margine della 60a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel cui documento finale (Outcome Document) viene dichiarato l’obiettivo di rafforzare l’autorità e l’efficienza dell’Onu, ossia di riformare l’Organizzazione affinché possa effettivamente affrontare le sfide attuali (capitolo quinto).

 

In relazione ai due principali organi delle Nazioni Unite, l’Assemblea generale ed il Consiglio di sicurezza, tuttavia, l’Outcome Document si limita a fornire alcune indicazioni di carattere generale.

Dell’Assemblea generale si afferma la posizione centrale quale principale organo deliberativo, politico e rappresentativo dell’Organizzazione. Si esprime consenso con le misure adottate, volte a rafforzare il ruolo e l’autorità del Presidente dell’Assemblea e si auspica un’intensificazione delle relazioni dell’Assemblea con gli altri organi delle Nazioni Unite al fine di garantire un coordinamento sulle questioni che richiedono un intervento concertato (par. 149-151).

A seguito delle indicazioni emerse nel World Summit, è stato istituito, nella 61a Sessione, un Gruppo di lavoro ad hocper la rivitalizzazione dell’Assemblea generale, ricostituito poi in tutte le Sessioni successive. Il Gruppo di lavoro che ha operato nel corso della 63a Sessione (copresieduto da Ecuador e Norvegia) ha proceduto, tra l’altro, ad approfondire diversi temi, tra i quali quelli riguardanti il ruolo dell’Assemblea generale, le sue relazioni con gli altri organismi delle Nazioni unite; la sua visibililtà e la capacità di raggiungere l’opinione pubblica; l’attuazione delle risoluzioni dell’A.G., la sua agenda, il ruolo dell’A.G. nella nomina del Segretario generale; il ruolo del Presidente dell’A.G. e i rapporti con il Segretariato.

Come di consueto, il lavoro del Gruppo ad hoc terminerà con la sottoposizione all’Assemblea generale di un Rapporto e di una bozza di risoluzione.

 

Più controverso il tema della riforma del Consiglio di sicurezza. Nel  lOutcome Document del World Summit 2005 si riconosce al CdS la primaria responsabilità nel mantenimento della pace e della sicurezza, e si sostiene l’opportunità di una riforma complessiva che lo renda maggiormente rappresentativo, più efficiente e più trasparente. Si raccomanda inoltre l’adozione di metodi di lavoro che consentano di coinvolgere gli Stati non membri del Consiglio (par. 152-154).

Il dibattito sulla riforma del Consiglio di sicurezza impegna le Nazioni Unite da molti anni, fin da quando, nel dicembre 1993, l’Assemblea generale ha deciso la costituzione di un Open-ended Working Group sulla equa rappresentazione, sull’aumento della membership e su altre questioni relative al CdS.

A seguito delle deliberazioni del Working Group, l’Assemblea generale ha stabilito (decisione 62/557) che nel corso della 63a Sessione avrebbero preso il via negoziati intergovernativi sulla riforma del Consiglio di Sicurezza, che avrebbero dato luogo ad un rapporto da sottoporre al plenum dell’Assemblea entro la fine di tale Sessione. Il 2009 è stato quindi un anno cruciale riguardo l’impegno a portare a termine una riforma che ancora non si appalesa e che, nelle parole  dell’Ambasciatore Palihakkara, rappresentante all’Onu dello Sri Lanka, si potrebbe descrivere come "uno dei fallimenti meglio riusciti nella storia delle Nazioni Unite”.

Nei negoziati sono state affrontate alcune questioni fondamentali, quali la natura della membership (membri permanenti e membri a rotazione), il diritto di veto, i rapporti tra il Consiglio di sicurezza e l’Assemblea generale, le dimensioni del CdS, i suoi metodi di lavoro.

Si fronteggiano a tutt’oggi diverse proposte, due delle quali, le più “forti”, sono sostenute, rispettivamente, dal Gruppo dei G4 (Giappone, Germania, Brasile e India) e dal Gruppo Uniting for Consensus (Italia, Pakistan, Colombia, Argentina ed altri).

La proposta del G4, come è noto, insiste sull’ampliamento del numero dei seggi (6 permanenti e 4 non permanenti, che porterebbe il totale dei componenti a 25) che verrebbero assegnati in base ad elezioni nel rispetto di una precisa rappresentanza regionale. Secondo questa proposta, il diritto di veto non verrebbe esteso ai nuovi membri permanenti.

La proposta di Uniting for Consensus, invece, mira ad innalzare il numero dei membri non permanenti a venti stabilendo la durata del mandato in due anni; i membri non permanenti verrebbero eletti, a ciascun gruppo regionale verrebbe assegnato un numero predefinito di seggi; ai Paesi dell’Europa occidentale verrebbero attribuiti tre seggi.

Lo scorso aprile,  l’Italia si è fatta portavoce, insieme alla Colombia, di una nuova proposta globale che affronta tutti gli aspetti della riforma, dal numero dei membri ai metodi di lavoro (Uniting for Consensus Platform on Security Council reform) e che, rispetto alla proposta presentata da UfC nel 2005 presenta alcune novità.

Riguardo la composizione del CdS, la nuova piattaforma ribadisce l’assoluta contrarietà ad un aumento del numero dei seggi permanenti, prendendo unicamente in considerazione la questione dei seggi addizionali. La novità più rilevante riguarda la rappresentanza regionale, in considerazione del fatto che,  per assicurare la stabilità politica internazionale i soli attori nazionali non sono più sufficienti [1]. La piattaforma propone che i seggi destinati alle organizzazioni regionali abbiano una durata più lunga rispetto agli attuali due anni: dai tre ai cinque anni o, in alternativa, di 2 anni secondo un meccanismo di rieleggibilità che non potrebbe comunque superare un limite massimo di sei anni consecutivi.

La posizione sostenuta dall’Italia sembra aver segnato un punto a suo favore nell’ultima seduta della 63ma Sessione dell’Assemblea Generale (14 settembre 2009) che, oltre ad aver deciso che i negoziati intergovernativi proseguiranno anche nel corso della 64ma Sessione, non ha sostenuto il tentativo del gruppo dei G4  di ottenere un riconoscimento della necessità di un ampliamento del numero dei seggi permanenti del Consiglio di sicurezza. L’istanza dei G4 è stata accolta con talmente poco favore da avere sconsigliato ai suoi sostenitori il ricorso al voto.

Secondo il rappresentante permanente italiano, ambasciatore Terzi, si tratta di un “evidente successo della linea negoziale italiana”  che il ministro Frattini aveva  posto al centro del Vertice informale sulla riforma dell’ONU svoltosi alla Farnesina il 4 e 5 febbraio 2009, con la partecipazione di 77 Paesi.

 

Per il Consiglio economico e sociale, l’Outcome Document auspica un maggior ruolo in qualità di principale organo per il coordinamento, la valutazione delle politiche e la formulazione di raccomandazioni sui temi dello sviluppo economico e sociale. In particolare, si chiede che il Consiglio promuova un dialogo globale sulle tematiche di competenza, tenga un forum biennale sulla cooperazione allo sviluppo, divenga un luogo di verifica puntuale del conseguimento degli obiettivi di sviluppo, sostenga ed integri gli sforzi internazionali volti ad affrontare le emergenze, incluse quelle umanitarie, svolga un maggior ruolo nel coordinare fondi, programmi ed agenzie (par. 155-156).

Il 30 giugno 2006 l’Assemblea generale ha adottato una risoluzione per dare corso agli impegni assunti nel World Summit (A/60/265), compresi gli Obiettivi del Millennio e gli altri impegni assunti a livello internazionale in materia di sviluppo. L’Assemblea generale sta conducendo consultazioni per affrontare la questione del rafforzamento dell’ECOSOC.

 

Per dare priorità alla tutela dei diritti umani è stata decisa l’istituzione di un Consiglio per i diritti umani con il compito di promuovere la protezione dei diritti umani a livello internazionale e di curare il coordinamento con gli altri organi delle Nazioni Unite.

Dopo mesi di intensi negoziati, il 15 marzo 2006 l’Assemblea Generale dell’ONU ha votato a larghissima maggioranza[2] l’istituzione del nuovo Consiglio per i diritti umani, in sostituzione della vecchia, e molto criticata, Commissione di Ginevra.

Rispetto alla precedente Commissione, il nuovo Consiglio, che ha lo status di organismo sussidiario dell’Assemblea Generale, si riunirà con maggiore frequenza e la sua composizione terrà conto della rappresentanza geografica.

Il Consiglio è composto di 47 membri, eletti, con voto segreto, dalla maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea Generale (96 voti). La partecipazione è aperta a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite ma, come si è detto, la distribuzione dei seggi rispetta la rappresentanza geografica (13 ai Paesi africani; 13 ai Paesi asiatici; 6 dai Paesi dell’Europa orientale; 8 all’America Latina e Caraibi; 7 all’Europa occidentale e altri Stati).

L’Assemblea generale, con la maggioranza dei due terzi presenti e votanti, potrà sospendere il diritto di appartenenza ad un membro del Consiglio che commetta gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani.

La novità più rilevante del nuovo meccanismo è la Revisione Universale Periodica, un rapporto che ogni quattro anni farà il punto sulla situazione dei diritti umani in tutti i 192 stati membri delle Nazioni Unite.

 

L’Outcome documentsostiene inoltre la riforma interna già avviata dal Segretario generale per ottenere un Segretariato efficiente, efficace e responsabile (par. 161 e segg.). La riforma mira in particolare a rafforzare la responsabilità e il controllo, migliorare la qualità e la trasparenza della gestione e rafforzare l’eticità della condotta dei  funzionari.

Quanto alla riforma dell’amministrazione delle Nazioni Unite, l’Outcome Document riconosce la debolezza amministrativa dell’Organizzazione e la necessità di accrescere l’indipendenza delle strutture di controllo. Il Documento riconosce inoltre la necessità di introdurre nuovi criteri e modalità per la gestione delle risorse umane e finanziarie dell’Organizzazione, considerazioni sulla base delle quali il 7 marzo 2006 il Segretario generale dell’ONU ha presentato il documento Investing in the United Nations: For a Stronger Organization Worldwide, sulla riforma dell’organizzazione che conteneva 23 proposte sulla gestione del Segretariato.

Il 23 dicembre 2008 l’Assemblea generale ha adottato una serie di risoluzioni in materia amministrativa e di bilancio – nelle quali è sempre rinnovato l’impegno a portare avanti la riforma dell’amministrazione - e fra di esse un documento, diviso in 13 parti, riguardante la riforma dell’organizzazione delle risorse umane. Quest’ultimo ha rappresentato uno dei più difficili aspetti delle negoziazioni sul bilancio 2008-2009 dell’ONU, che è stato approvato il 24 dicembre 2008 dopo averne concordato un aumento di 700 milioni dollari.

Oltre alla creazione del nuovo Consiglio per i diritti umani, il vertice mondiale del 2005 ha deciso l’istituzione di altro organismo: la Commissione per il peacebuilding (terzo capitolo dell’Outcome Document, dedicato ai temi ai temi della pace e della sicurezza collettiva).

Il documento sottolinea l’importanza del peace-building per i Paesi che emergono da situazioni di conflitto e necessitano di complessi interventi di ricostruzione di carattere istituzionale ed economico, e propone quindi l’istituzione di un’apposita Commissione avente la natura di organo intergovernativo consultivo. La Commissione ha il compito di riunire tutti gli attori rilevanti per la mobilitazione delle risorse e per la definizione di strategie complessive per il peace-building e il ripristino delle condizioni di normalità dopo un conflitto, con particolare attenzione alla ricostruzione, al rafforzamento delle istituzioni ed all’elaborazione di strategie per uno sviluppo sostenibile.

La Commissione si può riunire in varie forme ed è costituita da un Comitato organizzativo e da Comitati che rappresentano specifici paesi. Dei 31 membri [3] che formano il Comitato organizzativo, 7 provengono dal Consiglio di Sicurezza; 7 dall’ECOSOC, 5 dai primi dieci contributori al bilancio ONU; 5 dai dieci paesi che maggiormente contribuiscono alle missioni ONU dal punto di vista militare. Vi sono, infine, 7 membri aggiunti la cui provenienza dovrà servire a bilanciare gli eventuali squilibri geografici. Fanno parte dell’architettura del peacebuilding anche il Fondo per il peace-building(PBF) - un fondo fiduciario che ha il compito di assistere il passaggio da una situazione di conflitto ad una di ripresa economica, se altri fondi non sono presenti e disponibili – e l’Ufficio per il supporto delle operazioni di peacebuilding (PBSO) che sostiene il lavoro della Commissione.

La Commissione per il peace-building, che funziona dal giugno 2006, si è occupata in questi tre anni di quattro paesi: Sierra Leone, Burundi, Guinea-Bissau e Repubblica centrafricana.

 

 

 


Recenti sviluppi politici in Afghanistan e Pakistan
(a cura del Servizio Studi della Camera)

 

La situazione in Afghanistan è connotata dal 2008 da un ininterrotto peggioramento del quadro della sicurezza, che ha visto una sempre più aggressiva azione della guerriglia talebana, la moltiplicazione di attentati e scontri e l’aumento del numero delle vittime. La situazione si è ulteriormente deteriorata, nonostante la crescente presenza militare internazionale, tra gennaio e maggio del 2009, quando è stato rilevato un incremento del 60% rispetto all’anno precedente degli attacchi alle truppe straniere e governative, soprattutto nello Helmand, il cuore della produzione di oppio, ma anche a Kandahar, Kunar e Khost, confinanti con il Pakistan[4]. Il complesso delle forze antigovernative - un coacervo ben più ampio della sola rete dei talebani – non solo ha consolidato il proprio controllo nelle aree pashtun al sud e al sud-est ma ha anchedestabilizzato aree un tempo tranquille, a nord e a ovest del paese.

 

Nella comunità internazionale si è andata sempre più consolidando la convinzione che la soluzione esclusivamente militare al problema afghano non è sufficiente ma che è necessaria una soluzione politica globale; un comprehensive approach alla questione afghano-pakistana è la nuova risposta alla crisi dell’area dell’Asia del sud. Il nuovo approccio punta alla stabilizzazione dell’Afghanistan attraverso il rafforzamento delle sue istituzioni - da qui la decisione di inviare ulteriori forze per garantire il credibile esito delle elezioni presidenziali del 20 agosto 2009 - e il sostegno alla crescita del settore civile, in un processo teso a coinvolgere il Pakistan e gli altri paesi dell’area.

 

Il concetto di comprehensive approach, già promosso dalla Nato nel 2008, è stato ribadito dall’Alleanza atlantica nel Vertice di Strasburgo-Kehl (3-4 aprile 2009),dove i paesi membri hanno deciso, tra l’altro, di sostenere il rafforzamento delle istituzioni afghane inviando ulteriore personale militare e civile all’interno di nuove missioni istituite nell’ambito della missione ISAF.

 

Sul versante statunitense, la nuova strategia del presidente Barak Obama per la stabilizzazione dell’area postula la distruzione di al Qaeda in Afghanistan e in Pakistan.  A tale fine, da un lato è stata incrementata la presenza militare in Afghanistan (anche tutela dello svolgimento regolare delle elezioni presidenziali e provinciali del 20 agosto scorso) e sono state intensificate le azioni militari contro gli insorgenti; dall’altro viene sostenuta con maggiori risorse la crescita civile dei due paesi.  In particolare quanto al Pakistan, dall’ascesa alla presidenza di Asif Ali Zardari (9 settembre 2008) gli Usa - come affermato dall’ambasciatrice statunitense a Islamabad il 17 settembre e riportato dalla stampa internazionale - hanno destinato in aiuti alla sicurezza, al sostegno economico e allo sviluppo oltre tre miliardi di dollari.  Secondo quanto riferito da fonti di stampa[5], il 17 settembre 2009 l’amministrazione Obama, in un briefing a porte chiuse ha illustrato ad alcuni senatori un documento, qualificato come “bozza” ma non secretato, contenente la strategia per l'Afghanistan ed il Pakistan. Il documento indica gli obiettivi e le priorità della missione e i parametri che l’amministrazione statunitense intende adottare per valutare i progressi nella regione, elementi che da tempo il Congresso aveva chiesto di conoscere per assumere decisioni sull’eventuale impiego di ulteriori mezzi e truppe. Nei prossimi giorni il Congresso acquisirà anche le valutazioni del generale Stanley McChrystal, Comandante delle Forze americane in Afghanistan.

 

Quanto all’Unione europea, al Consiglio europeo di Bruxelles del 18-19 giugno 2009 i Capi di Stato e di Governo hanno ribadito la fondamentale importanza della stabilità e della sicurezza in Afghanistan, in Pakistan nel complesso della regione, evidenziando che l’interconnessione e l’urgenza delle sfide in corso prospettano come possibile soltanto una soluzione che veda la collaborazione di tutti i soggetti interessati a stabilità, sicurezza e sviluppo dell’area.

In riferimento al Pakistan - si legge nelle Conclusioni della Presidenza - l’Ue ha avuto un vertice con quel paese (17 giugno 2009), definito una tappa verso lo sviluppo di un dialogo strategico, fondato sulla condivisione dell’obiettivo essenziale della lotta al terrorismo e del contrasto della radicalizzazione. Riconosciuti i progressi compiuti dal Pakistan nella transizione verso il governo civile democratico, l’Ue si è impegnata a proseguire nel sostegno dei processi di consolidamento delle sue strutture democratiche; a tale fine “la Commissione europea si è impegnata a fornire aiuti umanitari per un ammontare di 72 milioni di EUR e a utilizzare altri 50 milioni di EUR per sostenere la riabilitazione e la ricostruzione, portando così il totale degli aiuti agli sfollati nel Pakistan a oltre 120 milioni di EUR”.

Quanto all’Afghanistan il Consiglio – come si legge nelle Conclusioni – ha ribaditol’impegno per un sostegno di lungo termine nel percorso verso la sicurezza, la stabilità e la prosperità, sottolineando peraltro che la responsabilità primaria dello sviluppo del paese incombe alle autorità afghane; l'impegno dell’UE in Afghanistan resta infatti incentrato sulla costruzione della capacità e titolarità afghane, sia nella polizia sia nei settori civili.

Riconosciuta la difficoltà del contesto di svolgimento del primo processo elettorale a guida afghana, il Consiglio dell’UE ha sottolineato l’estrema importanza di elezioni presidenziali e provinciali credibili, inclusive e in condizioni di sicurezza, indicando nella legittimità politica il perno di ogni ulteriore progresso nel paese.

Sulla soluzione politica della crisi Af-Pak, nel quadro dell’“approccio regionale” promosso dalla presidenza italiana si è incentrato il lavoro dei capi delle diplomazie del G8 riuniti a Trieste il 26 e 27 giugno 2009. In tale sede, oltre alla riunione dei Ministri degli esteri degli otto paesi, hanno avuto luogo riunioni allargate ai ministri degli Esteri di Afghanistan e Pakistan (G8+2) e al Gruppo internazionale di supporto ad Afghanistan e Pakistan; dalla riunione del Gruppo è emersa, in particolare, la necessità che le elezioni del 20 agosto in Afghanistan fossero connotate da credibilità, inclusività e sicurezza.

Il Gruppo internazionale di supporto ad Afghanistan e Pakistan si è riunito per la prima volta a Monaco (GER) il 1° aprile 2009; i lavori hanno preso l’avvio dagli esiti della Conferenza internazionale sull’Afghanistan dell’Aja (31 marzo 2009) che aveva evidenziato la necessità di bilanciare, nei futuri contributi alla sicurezza e alla stabilità del paese, gli sforzi civili e quelli militari. A Monaco i rappresentanti di 18 stati e organizzazioni internazionali hanno convenuto sulla necessità di un più stretto coordinamento degli sforzi profusi in Afghanistan dalla comunità internazionale. Il successivo incontro si è tenuto a Tokyo il 17 aprile 2009, a margine della Conferenza dei paesi donatori del Pakistan, dove si è stabilito lo stanziamento di oltre 5 miliardi di dollari di nuovi fondi nel biennio 2009-2010 a sostegno della lotta contro la povertà, gli estremismi e il terrorismo.  

 

Nella riunione G8+2 un intenso e non semplice negoziato tra Kabul e Islamabad - secondo quanto affermato da fonti diplomatiche - ha avuto esito nel raggiungimento di un consenso per agire con maggiore concretezza e immediatezza. In particolare sono stati affrontati i problemi legati alla gestione delle frontiere tra i due paesi e alla lotta ai traffici illeciti di droga, armi ed esseri umani, che continuano a costituire le fonti di finanziamento dell’insorgenza talebana. Si è fatto il punto sull’offensiva militare del Pakistan contro l’estremismo violento, soprattutto nella valle dello Swat, che provoca enormi sofferenze alla popolazione (oltre due milioni di sfollati) che è necessario soccorrere anche per sottrarla - è stato notato a margine della riunione - alla propaganda degli estremisti. L’aspetto dell’aiuto internazionale al paese, che costituisce, a sua avviso, un cambiamento nell’approccio internazionale verso Islamabad, è stato sottolineato dal Ministro degli esteri pakistano, Makhdoom Mahmood Qureshi, nel giudicare positivo l’incontro.  Alla riunione non ha partecipato Teheran che pure era stato invitata a Trieste dalla presidenza italiana; secondo quanto riportato da fonti di agenzia il Ministro degli esteri italiano ha definito l’assenza dell’Iran “un’occasione persa” e ha sottolineato che in futuro il paese non potrà comunque sottrarsi ai propri obblighi di potenza regionale nei confronti dell’Afghanistan (con il quale confina per circa 600 km lungo la provincia afghana di Herat).

 

L’avvenire dell'Afghanistan e la stabilizzazione del Pakistan ha costituito uno dei temi centrali della riunione dei Ministri degli esteri dei paesi del G8 (Trieste, 27 giugno). Come si legge nelle dichiarazioni finali[6], è stata riaffermata l’estrema rilevanza strategica della stabilità dell’area per la pace e la sicurezza internazionale ed è stato sottolineato l’ancora inadeguato utilizzo del potenziale regionale a tale scopo. Sono state altresì trattate le questioni del controllo delle frontiere e del contrasto dei traffici illeciti, dello sviluppo economico e sociale ed è stata sottolineata la necessità di implementare i contatti tra le popolazioni dell’area e di individuare misure finalizzate allo sviluppo agricolo (prioritario per migliorare le condizioni di vita della popolazione), alla promozione dell’educazione della popolazione giovanile e femminile, al miglioramento della visibilità dei progressi nella ricostruzione civile in Afghanistan per consolidare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e all’incremento dell’aiuto internazionale al Pakistan incentrato sia sul soccorso umanitario agli sfollati.

 Nella conferenza stampa conclusiva del G8 di Trieste il Ministro degli esteri italiano ha sottolineato che la strategia del presidente afgano Hamid Karzai, tendente ad affermare una qualche forma di riconciliazione nazionale, è “da incoraggiare fortemente” ed ha sottolineato che nel G8 c’e’ “accordo pieno’’ per sostenere il processo elettorale, che sarà osservato da due missioni internazionali, una dell’Unione europea ed una dell’Osce.

 

Il 20 agosto 2009 in Afghanistan, in un contesto di netto deterioramento delle condizioni di sicurezza, contrassegnatoda un’escalation di azioni violente nelle settimane precedenti il voto, si sono svolte le elezioni presidenziali e quelle per  il rinnovo dei 34 consigli provinciali[7]. I sondaggi pre-elettorali indicavano come favorito il presidente in carica Hamid Karzai, il leader pashtun già a capo del governo interinale e poi di quello provvisorio e confermato alla presidenza dal voto del 2004[8].

La riconferma al primo turno di Karzai si è andata profilando con un margine di vantaggio sempre più robusto durante la lunga attesa dei risultati definitivi, per la proclamazione dei quali si dovrà attendere la fine del riconteggio dei voti in molti seggi, tuttora in corso[9]. L’esito dello scrutinio della totalità dei seggi, che non rappresenta, come accennato, la proclamazione ufficiale del vincitore, è stato reso pubblico dalla Commissione elettorale indipendente (IEC) il 17 settembre:

 

·         il presidente Hamid Karzai ha vinto al primo turno con il 54,6% dei voti (3.093.256 in cifra assoluta);

·         Abdullah Abdullah ha ottenuto il 27,8% dei suffragi (1.571.581);

·         Ramazan Bashardost con 520.627 voti ha ottenuto il 9,19%.

 

L’affluenza alle urne è stata del 38,7%; il totale dei voti validi è di 5.662.758.

 

La sussistenza di brogli, episodi di intimidazione e irregolarità da parte dei principali contendenti in tutto il paese ha trovato conferma anche nelle dichiarazioni degli osservatori dell’Unione europea che, per voce della vice responsabile della missione, Dimitra Ioannou, hanno indicato in circa 1,5 milioni i voti potenzialmente fraudolenti – e dunque da ricontare - tre quarti dei quali sarebbero a favore di Karzai. In una nota diramata nella stessa giornata lo staff del presidente ha rilevato che “l’annuncio fatto dalla missione di osservazione elettorale dell'Unione Europea sul numero di voti sospetti è un annuncio parziale, irresponsabile e fatto in contraddizione con la costituzione afghana”; lo stesso Karzai, il 18 settembre nel corso di una conferenza stampa ripresa dalle agenzie ha smentito che ci siano state ''frodi massicce''  e ha affermato che ''i brogli, se ci sono stati, devono essere accertati e accertati equamente, senza prevenzioni''.

 

 

La mattina del 17 settembre sei militari italiani, appartenenti al 186° Reggimento “Folgore” sono rimasti uccisi ed altri quattro feriti in un attentato avvenuto nel pieno centro di Kabul, sulla strada che conduce all'aeroporto della capitale afghana. L’attacco è stato rivendicato dai talebani ed è stato effettuato - hanno riferito ad  Al Jazira fonti dei ribelli - “con lo scopo di dimostrare che nessuno può considerarsi al sicuro in Afghanistan”. Il Ministro della difesa, già intervenuto in Senato nelle mattinata, è intervenuto alla Camera nel pomeriggio del 17 settembre, dove si è svolta l’informativa urgente del Governo sull’attentato al contingente militare italiano a Kabul. Nel fornire una dettagliata ricostruzione della dinamica del gravissimo evento, il Ministro ha precisato l’intento del Governo di continuare ad essere solidale con gli organismi internazionali impegnati in quel teatro, senza cedere a intimidazioni o ripensamenti, nonostante il contesto di crescente pericolosità.

Il Ministro ha inoltre osservato che l’attacco contro i nostri militarinon corrisponde ad una specifica strategiacontro le Forze armate italiane, ma è damettere in relazione alle recenti elezionipresidenziali e al conseguente tentativo dicreare uno stato di ulteriore destabilizzazione,nonché all’intento di contrastarel’accresciuto controllo del territorio daparte dell’esercito nazionale afghano sostenutodalla Forza internazionale ISAF.

La recrudescenza degli attacchi degli insorgenti aveva già ripetutamente colpito il personale del contingente italiano. Negli ultimi mesi, dopo l’attacco dell’11 giugno ad una pattuglia composta da personale militare afghano e italiano, nei pressi di Farah, che ha comportato il ferimento di tre paracadutisti italiani (episodio sul quale si è svolta un’informativa urgente presso l’Assemblea della Camera il 16 giugno), l’attacco più grave è rappresentato dall’attentato contro un convoglio avvenuto il 14 luglio nei pressi del villaggio di Ganjabad, a circa di 40 km a nordest di Farah, che ha causato il decesso del caporal maggiore Alessandro di Lisio e il ferimento di tre paracadutisti italiani.

Nel corso dell’informativa urgente del Governo resa all’Assemblea della Camera dei deputati (seduta del 15 luglio), il Ministro della difesa ha ribadito il permanere in tutto l’Afghanistan di una situazione di evidente pericolosità derivanti da un lato dalla volontà, da parte degli insorgenti, di destabilizzare il paese nell’imminenza delle elezioni del 20 agosto, per depotenziare il successo dell’evento e, dall’altro, dall’accresciuta azione di controllo del territorio da parte dell'esercito nazionale afghano, sostenuto dalla missione internazionale ISAF; l’azione sinergica afghana e internazionale – ha affermato il ministro – ha portato sotto il controllo delle autorità afghane aree del paese prima completamente controllate dal terrorismo, dall’insorgenza o dalla criminalità. Contestualmente, l’aumento della pressione sull’area meridionale afghana (che confina con il Pakistan) da parte della coalizione internazionale sta respingendo le forze ostili verso la zona di Farah, dove è stanziato il contingente italiano, accrescendo le probabilità di contatti e di scontri con i nostri militari. Il ministro ha quindi giudicato errato parlare di una strategia mirata contro le forze italiane.

Due settimane dopo, il 28 luglio, nel corso di un’altra informativa urgente del Governo presso l’Assemblea della Camera, sugli intendimenti in materia di partecipazione delle Forze armate italiane alle missioni internazionali, il Ministro della difesa, ribadito il carattere irrinunciabile e imprescindibile della partecipazione italiana in Afghanistan, in ossequio agli impegni internazionali assunti dall’Italia e sostenuti dal Parlamento, ha richiamato recenti affermazioni del Presidente della Repubblica che avevano messo in evidenza la necessità di proseguire l’impegno internazionale in Afghanistan fino alla stabilizzazione di quel paese.

Sui vari aspetti della situazione in Afghanistan si sono in ampia parte incentrate le comunicazioni dei Ministri degli affari esteri e della difesa (seduta delle Commissioni riunite esteri e difesa della Camera e del Senato dell’8 luglio 2009) sulla strategia e gli sviluppi della partecipazione italiana alle missioni internazionali. Il Ministro della difesa ha ribadito il proprio avviso in ordine alla possibilità di pervenire ad una soluzione del problema Afghanistan solo attraverso un’azione multidisciplinare che veda la componente militare impegnata a garantire sicurezza e controllo del territorio - indispensabili per la stabilizzazione e la ricostruzione - sia direttamente, sia attraverso la formazione e l’addestramento delle forze di sicurezza locali.

Il Sottosegretario agli affari esteri ha sottolineato il successo del G8 a livello dei Ministri degli esteri di Trieste (25-27 giugno), dove la sessione outreach dedicata ad Afghanistan e Pakistan (che come già ricordato ha dato esito a un documento  congiunto) ha visto il coinvolgimento dei due paesi e degli attori regionali, soprattutto i paesi frontalieri e vicini, fondamentali per la stabilizzazione e lo sviluppo dell’area.

E’ stato inoltre evidenziato il riconoscimento, da parte della comunità internazionale, del valore del contributo qualitativo e quantitativo italiano in Afghanistan connotato, oltre che dall’impegno militare, anche dal sostegno alla ricostruzione civile e istituzionale (giustizia, servizi essenziali, sviluppo rurale, infrastrutture, ai diritti delle fasce più vulnerabili, come donne e minori).In particolare, il supporto alla formazione delle varie forze di polizia è destinato ad essere incrementato nel quadro della partecipazione italiana all’istituenda NATO Training Mission Afghanistan, decisa al Vertice di Strasburgo-Kehl.

 

In occasione del Vertice NATO straordinario di Strasburgo-Kehl (3-4 aprile 2009) per il sessantennale dell’Alleanza Atlantica i Capi di Stato e di Governo hanno deciso di istituire la NATO Training Mission in Afghanistan (NTM-A) destinata alla supervisione della formazione dei livelli superiori dell’esercito afghano (Afghan National Army-ANA) e a un ruolo più ampio nella  formazione delle forze di polizia (Afghan National Police–ANP), obiettivi da perseguire capitalizzando strutture e sinergie esistenti: la nuova missione, infatti, opererà sotto comando unico con il CSTC-A (Combined Security Transition Command-Afghanistan) statunitense.

La decisione si inquadra nella strategia dell’Alleanza Atlantica sull’Afghanistan riportata nel documento Summit Declaration on Afghanistan approvato a Strasburgo; nel documentosi ribadisce che l’Afghanistan continua a essere la priorità essenziale dell’Alleanza e si afferma che i principi posti a fondamento della visione strategica delineata al precedente vertice di Bucarest (comprehensive approach) restano alla base del suo piano politico militare. Viene posto l’accento sulla centralità del rafforzamento delle istituzioni afgane, obiettivo da conseguire attraverso un più intenso coinvolgimento dei Paesi confinanti con l’Afghanistan e anche, poiché non si tratta di una questione puramente militare, di più importanti risorse civili. Si fa, infine, riferimento alla necessità di bilanciare, nei futuri contributi alla sicurezza e alla stabilità del Paese, gli sforzi civili e quelli militari, come emerso dallaConferenza internazionale sull’Afghanistan (l’Aja, 31 marzo 2009).

 

 

 


Gli obiettivi di Sviluppo del Millennio
(a cura del Servizio Studi della Camera)

Come è noto, gli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio  sono stati definiti nella Dichiarazione del Millennio del 2000, che ne fissava la realizzazione nel 2015.

Gli Obiettivi, ciascuno dei quali è articolato in target e in indicatori, allo scopo di meglio valutarne i progressi, sono i seguenti:

 

1. Eliminare la povertà estrema e la fame

2. Istruzione primaria per tutti

3. Promuovere la parità fra i sessi e l'autonomia delle donne

4. Ridurre la mortalità infantile

5. Migliorare la salute materna

6. Combattere HIV/AIDS, malaria e altre malattie

7. Assicurare un ambiente sostenibile

8. Allargare il partenariato mondiale per lo sviluppo.

 

Il Millennium Development Goals Report (MDGs Report) 2009 pubblicato a cura delle Nazioni Unite nel mese di luglio, è il documento che contiene i dati più aggiornati circa la realizzazione degli Obiettivi. Il Rapporto, alla sua quinta edizione, si basa su dati raccolti ed elaborati da Agenzie specializzate e da un Gruppo di esperti, sotto la direzione del Dipartimento degli Affari economici e sociali del Segretariato delle Nazioni Unite.

Il Rapporto sottolinea l’impatto negativo che la crisi economica globale sta producendo sulla possibilità di realizzare gli Obiettivi nei tempi prefissati[10]: la possibilità di progredire è infatti ora minacciata da una crescita economica troppo lenta quando non negativa, dalla diminuzione delle risorse, dalle diminuite opportunità negli scambi commerciali per i paesi in via di sviluppo e da una possibile riduzione degli aiuti da parte dei donatori. In questo quadro, secondo il Rapporto, non va sottovalutato nemmeno il fenomeno dei cambiamenti climatici, i cui effetti stanno diventando sempre più evidenti e minacciosi sia per i paesi poveri che per quelli ricchi.

L’MDGs Report 2009 evidenzia però anche i notevoli avanzamenti su alcuni Obiettivi, in alcune regioni, prima dell’insorgere della crisi ed individua le aree nelle quali è necessario compiere uno sforzo supplementare.

 Si riportano di seguito alcune delle osservazioni contenute nel Rapporto 2009 in merito all’attuazione dei singoli obiettivi:

1.      Eliminare la povertà estrema e la fame

Il mondo ha fatto grandi progressi nella riduzione della povertà, e prima della crisi economica il tasso di povertà era stato ridotto in quasi tutte le regioni del mondo. Le proiezioni attuali mostrano che, nel complesso, la povertà nei paesi in via di sviluppo ha continuato a diminuire, anche nel 2009, ma con una maggiore lentezza; per alcuni Paesi - molti di quelli dell’Africa Sub sahariana, ad esempio - questo rallentamento può fare la differenza tra il raggiungere o il non raggiungere l’Obiettivo 1.

Seriamente minacciato il target che prevede il pieno impiego per tutti, donne e giovani compresi. L’aumento dei prezzi dei beni e dell’energia verificatosi all’inizio del 2008, unitamente alla crisi economica intervenuta subito dopo, avranno un impatto forte e negativo sul numero di persone molto povere che hanno un lavoro, su quelle persone cioè che pur lavorando non guadagnano a sufficienza per uscire dalla linea di povertà, che coincide con un reddito di 1,25 dollari al giorno. La tendenza, incoraggiante fino al 2007, sembra essersi invertita o, al più, fermata, nel corso del 2008. Parallelamente aumenta in tutto il mondo il numero di persone con occupazioni precarie (77 milioni in più rispetto al 2007).

La produttività lavorativa, un importante indicatore dello stato dell’economia, rimane piuttosto bassa nelle regioni in via di sviluppo (Africa Sub sahariana, Oceania e Asia meridionale le regioni dove il fenomeno è più rilevante); questo dato è anche un segnale negativo circa la possibilità di creare nuovi posti di lavoro.

La tendenza verso la diminuzione del numero delle persone sottonutrite nei paesi in via di sviluppo, costante a partire dal 1990-92, si è invertita nel 2008, a causa soprattutto dell’aumento del prezzo del cibo. Le persone che soffrono la fame sono quindi di nuovo in aumento in Africa Sub sahariana, Oceania e Asia orientale (esclusa la Cina). Inoltre, la diminuzione del prezzo del cibo che ha cominciato ad avverarsi nella seconda metà del 2008 non si è tradotta, nel breve periodo, in una diminuzione dei prezzi sui mercati locali: il Rapporto auspica che nei paesi più colpiti da questo fenomeno i governi attuino misure per aumentare la disponibilità di cibo.

 

 

2. Istruzione primaria per tutti

In quasi tutti i paesi del mondo ci si sta avvicinando ad ottenere che tutti i bambini siano messi nelle condizioni di completare il ciclo di istruzione primaria; i progressi in questo campo sono stati rilevanti ma troppo lenti per ritenere possibile il raggiungimento del target entro il 2015. Attualmente rimane esclusa dalla scolarizzazione ancora il 10 per cento circa della popolazione infantile.  I migliori risultati sono stati ottenuti nell’Africa Sub sahariana e nell’Asia meridionale, nonostante un rilevante incremento demografico, fattore questo che richiede un aumento delle risorse destinate all’istruzione.

Nonostante la forte diminuzione del numero di bambini che non frequenta la scuola, la metà circa dei 72 milioni di esclusi (nel 2007) non aveva mai messo piede in un’aula scolastica, non aveva quindi avuto nemmeno un contatto con il mondo dell’istruzione.

Per raggiungere l’Obiettivo della educazione universale primaria, il Rapporto sottolinea che bisognerebbe che tutti i bambini in età scolastica avessero accesso alle scuole a partire dal 2009. Ma il mero accesso è solo una parte del problema, essendo forse più difficile da ottenere il completamento del ciclo scolastico, che richiede un sistema scolastico adeguatamente finanziato e in grado di fornire un’educazione di buon livello. Nella sola Africa Sub sahariana, secondo le stime fornite dall’UNESCO (in base ai dati del 2004) sarebbero necessari altri 3,8 milioni insegnanti entro il 2015.

 

3. Promuovere la parità fra i sessi e l'autonomia delle donne

All’interno della scuola primaria, la percentuale di accesso all’istruzione primaria delle bambine si sta lentamente avvicinando a quella dei maschi coetanei: 95 bambine ogni 100 bambini in 6 regioni su 10.

Il gap tra iscrizioni femminili e quelle maschili è un po’ più accentuato nella scuola secondaria anche se in tre aree (Asia orientale e sudorientale e America latina) il tasso di iscrizione delle ragazze è superiore a quello dei ragazzi.

La situazione cambia radicalmente se si guardano i gradi di istruzione superiore, dove è presente un numero maggiore di studentesse rispetto ai colleghi maschi. Il rapporto femmine/maschi a livello mondiale è passata da 96 (su 100) nel 1999 a 108 nel 2007. Si trovano tuttavia gradi disparità tra le varie aree: la presenza femminile è più alta nei paesi sviluppati, nei paesi della CSI (Comunità Stati Indipendenti), in America Latina e nell’Asia sudorientale. Nell’Africa Sub sahariana, nell’Asia meridionale e nell’Oceania, invece, gli studenti di sesso maschile superano di gran lunga quelli di sesso femminile.

La situazione occupazionale femminile  nei settori diversi dall’agricoltura sta lentamente migliorando, anche se i due terzi circa dei posti di lavoro destinati alle donne è di estrema precarietà.

La crisi finanziaria del 2008 e l’aumento dei prezzi delle materie prime hanno inciso negativamente sul mercato del lavoro in tutto il mondo. L’ILO (International Labour Organization) prevede che la percentuale di disoccupazione a livello globale nel 2009 sarà tra il 6,3 e il 7,1 per cento, ma la stessa percentuale riferita al lavoro femminile va dal 6,5 al 7,4 (mentre riferita al lavoro maschile va dal 6,1 al 7). Questo significa che nel 2009 si produrranno dai 24 ai 52 milioni di disoccupati in più, dei quali da 10 a 22 milioni saranno donne.

 

4. Ridurre la mortalità infantile

Il tasso di mortalità infantile (bambini al di sotto dei 5 anni) è gradualmente diminuito a partire dai primi anni Novanta. Nel 2007 la media era di 67 decessi ogni 1000 nascite, contro i 93 del 1990. Tradotto in cifre, si è passati da 12,6 milioni di morti nel ’90 ai 9 milioni di oggi. Un numero tuttora molto alto ma nettamente inferiore a quello degli anni precedenti, che va letto anche in considerazione dell’aumento della popolazione.

I dati riguardanti il complesso dei paesi in via di sviluppo segnalano che il tasso di mortalità è sceso da 103 nel 10990 a 74 nel 2007. Tuttavia in molte regioni i progressi sono ancora insignificanti. Anche in questo caso il record negativo è detenuto dall’Africa sub-sahariana dove nel 2007 si registrava ancora la morte di 145 bambini con meno di cinque anni ogni 1.000 nati vivi (1 bambino su 7 è morto prima dei cinque anni) e dove si verificano la metà di tutte le morti infantili del pianeta. Le cause principali della mortalità infantile sono da attribuire a polmonite, diarrea, malaria e morbillo, tutte malattie facilmente prevenibili con il semplice accesso a servizi igienici e sanitari adeguati. La diffusione della vaccinazione contro il morbillo (che nel mondo in via di sviluppo ha raggiunto l’80 per cento) ha ridotto di due terzi le morti causate da tale malattia tra il 2000 e il 2007.

 

5. Migliorare la salute materna

La mortalità materna è ancora molto alta e più di mezzo milione di madri nei paesi in via di sviluppo muoiono ogni anno a causa di complicanze durante la gravidanza, durante il parto o nelle 6 settimane successive. Il fenomeno è molto rilevante nell’Africa sub-sahariana (900 madri morte ogni 100.000 nati vivi nel 2005) e nell’Asia meridionale (490 madri morte ogni 100.000 nati vivi). Queste due regioni, insieme, totalizzano l’85% di tutte le morti materne. A livello globale la mortalità materna è diminuita di meno dell’1 per cento ogni anno tra il 1990 e il 2005, molto al di sotto dell’obiettivo della riduzione del 5,5 per cento necessario per realizzare la riduzione dei tre quarti entro il 2015 stabilito da uno dei target dell’Obiettivo 5.

Partorire in condizioni di sicurezza è un privilegio dei ricchi, intesi sia come fasce sociali che come paesi. La possibilità di avere accesso a strutture sanitarie che prevedano la presenza di medici, infermiere e ostetriche è cruciale, particolarmente in situazioni di emergenza. Il Rapporto informa che non sono disponibili i dati completi sulla disponibilità di tali strutture, ma che, se si considera la percentuale di parti cesarei (che può essere utilizzata come indicatore della presenza di operatori qualificati), si vede che nell’Africa sub sahariana il parto cesareo è praticato solo nel tre per cento dei casi.

Uno dei target dell’Obiettivo 5 prevede inoltre – entro il 2015 – l’accesso universale ai servizi sanitari riguardanti la riproduzione che potrebbero, tra l’altro, svolgere un’azione di prevenzione e di contenimento riguardo le gravidanze in età troppo precoce: la gravidanza in età adolescenziale non solo aumenta il rischio di mortalità sia materna che infantile (il rischio di mortalità nel primo anno di vita è del 60% superiore quando la madre ha meno di 18 anni) , ma può anche compromettere il benessere della madre e dei figli che sopravvivono a causa dell’inesperienza e della più ridotta possibilità di usufruire di opportunità socio-economiche.

La percentuale di donne che, in gravidanza, è stata visitata da personale qualificato almeno quattro volte (come raccomandato da UNICEF e WHO) è del 47 per cento nel complesso delle regioni in via di sviluppo; lo stesso dato riferito all’Asia meridionale scende al 36 e nell’Africa sub sahariana al 42.

Il Rapporto segnala che i finanziamenti per i programmi necessari al conseguimento dell’Obiettivo 5 sono insufficienti ed esso rimane  a tuttora quello per il quale si sono registrati i minori avanzamenti. Il rafforzamento dei programmi di pianificazione famigliare, ad esempio, potrebbe contribuire significativamente al miglioramento della salute materna e infantile: per fare questo, tuttavia, sono necessari fondi adeguati e invece, a partire dalla metà degli anni ’90, la maggior parte dei paesi in via di sviluppo ha conosciuto una riduzione importante dei finanziamenti da parte dei donatori a tali programmi.

 

6. Combattere HIV/AIDS, malaria e altre malattie

L’AIDS continua a mietere un alto numero di vittime nonostante dal 2005 si stia assistendo ad una lieve flessione delle morti tra individui tra i 15 e i 49 anni di età (da 2,2 milioni nel 2005 a 2 milioni nel 2007). Questa diminuzione è dovuta al miglioramento della situazione in alcuni paesi dell’Asia e dell’Africa sub sahariana - che peraltro rimane la regione più colpita -  dove sono aumentate le possibilità di accedere alle cure antiretrovirali.

Ciononostante il numero delle persone che vive con l’HIV è in aumento (33 milioni nel 2007): sia perché è in aumento il numero dei nuovi infettati in Europa centrale e nell’Asia centrale, sia perché si è allungato il tempo di sopravvivenza grazie alle maggiori cure.

I 2/3 degli infettati dal virus HIV vivono nell’Africa Sub sahariana, la maggior parte dei quali sono donne. La situazione peggiore si registra in Botswana, Lesotho. Swaziland, e nel resto dell’Africa meridionale in generale. Nelle stesse aree è presente la necessità di assistere la grande quantità di orfani di uno o di entrambi i genitori morti a causa dell’AIDS. Il Rapporto evidenzia come, nelle comunità dove la presenza dell’AIDS è elevata, i programmi di trasferimento di denaro funzionano, in quanto permettono ai bambini di avere una casa, di essere nutriti e di andare a scuola, riducendo il peso finanziario delle persone che li accudiscono. Il Rapporto avverte che la crisi finanziaria in atto potrebbe minacciare questo semplice ed efficace sistema di protezione, per sostenere il quale serve la cooperazione delle strutture di assistenza sociale a livello locale, nazionale e mondiale.

La conoscenza dell’AIDS e dei metodi di prevenzione è ancora troppo bassa ed è ben al di sotto dell’obiettivo fissato dalla sessione speciale delle Nazioni unite sull’AIDS (tasso di consapevolezza del 95% entro il 2010). Attualmente si ritiene che, nei paesi in via di sviluppo, solo il 31 per cento dei giovani uomini e il 19 per cento delle giovani donne siano abbiano una completa conoscenza dei rischi della malattia, della prevenzione e della cura.

La malaria causa ancora circa un milione di morti l’anno, la maggior parte dei quali tra i bambini dell’Africa Sub sahariana.

L’uso di zanzariere impregnate di insetticida è di molto aumentato negli ultimi anni anche in molti paesi dell’Africa sub sahariana: i bambini che dormivano sotto  una rete protettiva erano 2 su 100 nel 2000, mentre nel 2006 la percentuale era salita al 20 per cento. Tra i paesi dove maggiormente si è diffuso l’uso della zanzariera si trovano Rwanda, Gambia e Sao Tomè, mentre agli ultimi posti si collocano Swaziland, Costa d’Avorio e Repubblica democratica del Congo.  

Nonostante l’enorme aumento di disponibilità di dosi di terapie combinate a base di artemisina, avvenuto a partire dal 2004, molti bambini africani vengono ancora curati con medicinali meno efficaci.

L’insorgenza di nuovi casi di tubercolosi si sta stabilizzando e la tendenza si sta invertendo dopo il picco raggiunto nel 2004. Ciononostante la diminuzione non è sufficiente per compensare l’aumento di popolazione, con il risultato che il numero totale dei nuovi casi è in aumento.

La diffusione (cioè il numero di casi ogni 100 mila abitanti) e il tasso di mortalità stanno diminuendo, ma non abbastanza rapidamente da consentire il raggiungimento del traguardo (arrestare la diffusione e invertire la tendenza della malattia) nei tempi prefissati.

Nel 2007 si sono registrati 13,7 milioni di casi di tubercolosi in tutto il mondo, mentre nel 2006 ve n’erano stati 13,6 milioni e 1,3 milioni di morti. Una diminuzione, come è evidente, quasi irrilevante.

 

 7. Assicurare un ambiente sostenibile

Il Rapporto dell’ONU evidenzia che le emissioni di biossido di carbonio sono aumentate in tutto il mondo e in particolar modo nell’Asia orientale, dove sono passate da 2,9 miliardi di tonnellate nel 1990 a 6,7 nel 2006. Globalmente le emissioni sono aumentate – nello stesso periodo – del 31 per cento, con un incremento del 2,5 per cento rispetto all’anno precedente. Il continuo aumento delle emissioni di gas serra devono costringere la comunità internazionale a considerare la lotta ai cambiamenti climatici una priorità, anche nel mezzo di una severa crisi economica come quella attuale.

Quanto all’uso di sostanze che assottigliano lo strato di ozono, il Rapporto evidenzia come dal 1986 al 2007, i 195 Paesi che sono parte del Protocollo di Montreal hanno ridotto del 97 per cento il consumo di tali sostanze. Questo successo viene citato dal Rapporto come buon esempio sia di integrazione dei principi di sviluppo sostenibile nelle politiche nazionali (oggetto dell’Obiettivo 7), sia di attuazione del partenariato globale dello sviluppo (oggetto dell’Obiettivo 8).

Le sfide però continuano, innanzitutto quella verso l’eliminazione degli idroclorofluorocarburi e della progressiva sostituzione con sostanze che non provochino il riscaldamento del pianeta. Restano ancora da affrontare la gestione e l’eliminazione delle scorte di sostanze che assottigliano lo strato di ozono e la prevenzione di traffici illegali delle sostanze che dovranno uscire dal commercio, oltre alla ricerca di soluzioni alternative per quegli usi essenziali che per il momento sono esclusi dall’applicazione del Protocollo.

Sempre in tema ambientale, il Rapporto sostiene che sono necessari ancora molti sforzi per proteggere le specie animali e gli ecosistemi in pericolo, in quanto troppo poche ancora sono le aree protette, una potente arma di difesa nella lotta ai cambiamenti climatici. Il Rapporto segnala inoltre che, nonostante grandi difficoltà, molti paesi in via di sviluppo (fra i quali la Repubblica Democratica del Congo) hanno provveduto a mettere sotto protezione vaste aree di territorio.

Il Rapporto sottolinea con preoccupazione la continuazione delle attività di deforestazione (13 milioni di ettari l’anno, che corrispondono all’incirca alla superficie del Bangladesh) particolarmente gravi nell’Africa Sub sahariana e nell’America Latina. La deforestazione è parzialmente compensata dalla naturale espansione delle foreste e, soprattutto, dalle attività di riforestazione anche se, tuttora, la perdita di superfici ricoperte da foreste è calcolata, nel periodo 2000-2005 intorno ai 7,3 milioni di ettari l’anno (in confronto agli 8,9 milioni di ettari del periodo 1990-2000).

Uno dei target fondamentali di questo Obiettivo è quello che prevede il dimezzamento, entro il 2015, del numero di persone che non hanno accesso all’acqua potabile e a servizi igienici adeguati: il Rapporto evidenzia come più di 1,1 miliardi di persone abbiano ottenuto l’accesso ad impianti igienici tra il 1990 e il 2005 ma che 2,5 miliardi non dispongono di tali servizi. Per raggiungere il target di dimezzare la quantità di persone senza accesso all’acqua potabile e a impianti igienici bisognerebbe fornire di questi servizi almeno altre 1,4 miliardi di persone. Il Rapporto afferma inoltre che il 18 per cento della popolazione mondiale (1,2 miliardi di persone), non avendo a disposizione alcuna forma di servizi igienici, ricorre alla defecazione all’aperto, con gravi rischi per la salute per se stessi e per le persone vicine. Tale pratica è più comune nelle campagne che nelle città, ed è particolarmente diffusa nell’Asia meridionale. Ciò detto, va segnalato che nell’Asia meridionale, la regione con la minore diffusione di impianti igienici adeguati, le cose vanno lentamente migliorando e la popolazione che fa uso di tali impianti è raddoppiata dal 1990.

Sembra poter essere raggiunto il target che prevede il dimezzamento delle persone che non hanno accesso all’acqua potabile. Tuttavia, ancora 884 milioni di persone in tutto il mondo, per lo più nelle zone rurali, utilizzano acqua non pulita per bere, cucinare e lavarsi.

 

8. Allargare il partenariato mondiale per lo sviluppo

L’Obiettivo n. 8 prevede il partenariato mondiale per raggiungere i goals da1 a 7 e stabilisce numerosi impegni da parte sia dei paesi in via di sviluppo che di quelli sviluppati, relativi alla diminuzione della povertà, la good governance, l’aiuto allo sviluppo (Official development assistance – ODA), il commercio, la rimessione del debito, l’accesso alle nuove tecnologie e ai farmaci essenziali.

Nel 2007 il Segretario generale dell’ONU aveva istituito una Millennium Development Goals Gap Task Force per monitorare gli impegni assunti a livello internazionale nel quadro dell’Obiettivo 8 che, per la loro complessità, richiedevano analisi ancora più specifiche.

Il primo MDGs Gap Task Force Report, predisposto dalla Task Force, lanciato nel settembre 2008, evidenzia un pesante ritardo nel mantenimento degli impegni riguardanti il commercio e lo sviluppo e sottolinea che i Paesi donatori avrebbero dovuto aumentare i propri contributi allo sviluppo di circa 18 milioni di dollari l’anno tra il 2008 e il 2010 per raggiungere l’ammontare delle cifre concordate (di 50 miliardi all'anno fissato dal Vertice G8 del 2005 a Gleneagles, in Scozia). E’ attesa a giorni la pubblicazione dell’edizione 2009 dell’MDGs Gap Task Force Report.

Il MDGs Report 2009 segnala un aumento del 10,2 per cento del volume degli aiuti allo sviluppo (ODA) che ha raggiunto un totale di 119,8 miliardi di dollari, la cifra più alta mai registrata. Un tale impegno, tuttavia, corrisponde però ancora solo allo 0,3 per cento del PIL dei paesi donatori (considerato nel loro insieme), ben lontano dall’obiettivo dello 0,7 per cento fissato dalle Nazioni Unite, raggiunto, per ora, solo da Danimarca, Lussemburgo, Olanda, Norvegia e Svezia. Il Rapporto evidenzia il rischio di una contrazione degli aiuti (calcolati sulla base del PIL)  in conseguenza della crisi economica: gli impegni assunti, espressi in percentuale al PIL, si tradurrebbero in 121 miliardi di dollari nel 2010 (avendo come riferimento i prezzi del 2004) invece che nei 130 pattuiti.

In particolare, per quanto riguarda i 49 paesi meno sviluppati (Least Developed CountriesLDCs) bisogna notare che all'incirca un terzo di tutti gli aiuti è ad esso destinato. Al Vertice di Gleneagles del 2005, i membri del G8 avevano calcolato che gli impegni da essi assunti aggiunti a quelli degli altri donatori avrebbero raddoppiato la quantità di denaro destinata all'Africa da allora al 2010.I dati finora disponibili per il 2008, però, mostrano che, se si esclude la parte rappresentata dalla riduzione del debito, l'aiuto bilaterale all'Africa è aumentato del 10,6 % in termini reali in rapporto all'anno precedente; l'aumento relativo alla sola Africa sub sahariana è del 10%. Nonostante questo aumento, tuttavia, i donatori dovranno accrescere rapidamente la quota dei loro aiuti all'Africa se vorranno mantenere fede ai loro impegno del 2005.

Riguardo l'Obiettivo di sviluppare un sistema  finanziario e commerciale aperto, regolamentato e non discriminatorio, il Rapporto evidenzia, tra l'altro, che, in relazione agli altri paesi in via di sviluppo, i paesi meno sviluppati beneficiano di un accesso commerciale preferenziale per la maggior parte delle loro esportazioni che richiedono un forte impiego di mano d'opera (prodotti agricoli e tessili). Grazie ad una riduzione delle tariffe doganali sui prodotti agricoli dei LDCs tra il 2000 e il 2007, il margine di preferenza è particolarmente significativo in questo settore.

Riguardo la diffusione delle nuove tecnologie, il Rapporto segnala la loro costante crescita: alla fine del 2007, erano più di 2 miliardi i contratti per la telefonia mobile nei paesi in via di sviluppo, con un tasso di penetrazione del 39 per cento, mentre il tasso di penetrazione relativo alle linee telefoniche fisse  era pari al 13 per cento (700 milioni di linee fisse).

Quanto all'uso di internet, alla fine del 2007 circa un quinto della popolazione mondiale  aveva accesso a questo strumento, ma per la maggior parte nel mondo sviluppato (64% nei paesi sviluppati, 13% nei PVS, 1,5% nei LDCs). L'uso di internet è ritenuto fondamentale per il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio, soprattutto nelle aree dell'istruzione, della salute e della riduzione della povertà.

E’ opportuno ricordare che presso in seno alla III Commissione è stato istituito il 2 luglio 2008 un apposito Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, presieduto dall’on. Enrico Pianetta. La III Commissione, nella seduta del 30 settembre 2008, con determinazione unanime dell'Ufficio di presidenza, ha deliberato lo svolgimento di un’apposita indagine conoscitiva sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. In quell'occasione, fermo restando alla Commissione plenaria il compito di esaminare le risultanze dell'indagine conoscitiva, si è convenuto di affidarne lo svolgimento al Comitato permanente richiamato,.

Nel corso dell’indagine sono state svolte numerose audizioni, finalizzate all’esigenza di fare il punto sull’attività posta in essere dall’Italia e dalla comunità internazionale per la realizzazione degli Obiettivi.

In particolare, l'indagine conoscitiva, ha avuto inizio con le hearings di due esponenti di vertice della Campagna delle Nazioni Unite per gli Obiettivi del Millennio e, segnatamente, il 16 ottobre della Coordinatrice Esecutiva della Campagna, Evelyn Herfkens, e il 27 novembre del Direttore Salil Shetty.  In successive audizioni il Comitato ha raccolto i seguenti contributi:

§           rappresentante d'Italia presso l'OCSE, ambasciatore Antonio Armellini (29 gennaio 2009);

§           rappresentanti di Social Watch (Jana Silverman, segretario internazionale di Social Watch, Jason Nardi, coordinatore della coalizione italiana di Social Watch, Sabina Siniscalchi, rappresentante della Fondazione culturale responsabilità etica, Farida Bena, responsabile dell'ufficio campagne UCODEP e OXFAM international, e Tommaso Rondinella, rappresentante dell'associazione Lunaria) (26 febbraio 2009);

§           il sindaco di Milano, Letizia Moratti, nella qualità di Commissario straordinario del Governo per la realizzazione dell'Expo Milano 2015 (26 febbraio 2009);
rappresentanti di ActionAid e di parlamentari della Tanzania e dell'Uganda (Laurent Wambura, HIV/AIDS officer, della Tanzania; Omari Shaban Kwaangw', parlamentare della Tanzania; Elizabeth Nakiboneka, HIV/AIDS officer, dell'Uganda; Nalwanga Sekalo Lukwago Rebecca, parlamentare dell'Uganda e Iacopo Viciani di ActionAid) (12 marzo 2009);

§           il direttore generale per la cooperazione allo sviluppo della Commissione europea, dott. Stefano Manservisi (24 marzo 2009);

§           componenti della Commissione per l'aiuto allo sviluppo dell'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) (Laurence Dubois-Destrizais, Ministro plenipotenziario e consigliere per gli affari economici alla rappresentanza francese presso l'OCSE; Laurent Amar, Capodipartimento per le strategie di sviluppo del Ministero degli affari esteri francese; Helen Zorbala, Ministro plenipotenziario e Vicedirettore generale del Ministero degli affari esteri ellenico per la cooperazione allo sviluppo; Genny Bonomi, economista e policy analist presso il Dipartimento Peer Review and Evaluation dell'OCSE/DAC; Steve Darvill, Humanitarian Aid advisor dello stesso Dipartimento Peer Review and Evaluation dell'OCSE/DAC) (14 maggio 2009);

§           rappresentanti del Centro Studi di Politica Internazionale (CESPI) (José Luis Rhi-Sausi, Direttore, e Marco Zupi, Direttore scientifico) (20 maggio e 16 giugno 2009);

§           rappresentante speciale per l'Europa della Banca Mondiale, Cyril Muller (27 maggio 2009);

§           lo sherpa del Governo italiano per il G8, Ambasciatore Giampiero Massolo (17 giugno 2009).

Il Comitato permanente ha via via intensificato il proprio lavoro in ragione della fitta agenda governativa. In particolare, nel corso dei mesi di maggio e di giugno 2009, parallelamente allo svolgimento dei più rilevanti vertici ministeriali dei Paesi membri del G8 in relazione alle tematiche degli Obiettivi del Millennio, il Comitato ha acquisito stimoli ed elementi sempre più significativi, maturando il convincimento sull'opportunità di elaborare un documento intermedio sui lavori dell'indagine conoscitiva, anche in vista del Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi del G8, che si terrà a L'Aquila dall'8 al 10 luglio 2009.

Tale documento è stato adottato il 24 giugno scorso dalla Commissione Affari esteri. In esso sono tracciate alcune linee di intervento che si sintetizzano di seguito:

In connessione con queste attività, il 2 luglio scorso si è svolto presso la Camera dei deputati un seminario interparlamentare organizzato dal Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. L’iniziativa è stata promossa insieme con la Campagna del Millennio delle Nazioni Unite e si è incentrata sul tema “Il ruolo dei Parlamenti nazionali per gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio”.

Il seminario è stato organizzato in vista del Summit G8 dell’Aquila e in occasione della presentazione del documento intermedio dell’indagine conoscitiva svolta dal Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.

All’iniziativa, aperta dal presidente della Commissione esteri, on. Stefano Stefani, hanno preso parte parlamentari italiani e stranieri, provenienti da Europa, Asia e Africa, che hanno discusso le best practices nell’azione di indirizzo e controllo dei Parlamenti nei confronti dei Governi per la realizzazione degli Obiettivi.

Il seminario ha costituito altresì l’opportunità di un bilancio dello stato di conseguimento degli Otto Obiettivi del Millennio anche alla luce degli effetti della crisi mondiale. I lavori si sono conclusi con l’adozione di una Dichiarazione Finale e con gli interventi del Ministro degli affari esteri, on. Franco Frattini, e del Vicepresidente della Camera, on. Antonio Leone.

 


L’United Nations Office for the Coordination of
Humanitarian Affairs
(OCHA) -
Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento
degliAffari Umanitari
(a cura del Servizio Studi del Senato)

 

Nel dicembre del 1991, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha adottato la Risoluzione 46/182 col proposito di rafforzare la capacità delle Nazioni Unite di fronteggiare emergenze e disastri naturali, nonché di offrire un aiuto al miglioramento dell'efficacia globale delle operazioni umanitarie avviate sotto l'egida della massima assise internazionale.

Con quel documento venne istituito l'incarico di Coordinatore dell'assistenza post emergenziale (ERC) preposto al coordinamento degli sforzi dei rappresentanti speciali del Segretario Generale per fronteggiare situazioni di emergenza e disastri naturali. In breve tempo il Coordinatore assunse a tutti gli effetti il profilo di un nuovo Sotto-segretario Generale, destinato ad assumere la denominazione ufficiale di Under-Secretary-General for Humanitarian Affairs (USG) e coadiuvato, nell'esercizio delle sue funzioni, da uffici appositi istituiti presso le sedi principali dell'Organizzazione, a New York ed a Ginevra.

In seguito il Segretario Generale provvide ad istituire il Dipartimento degli Affari Umanitari (DHA) al fine di dotare il settore dell'assistenza umanitaria di una più adeguata struttura di coordinamento. La già richiamata Risoluzione 46/182 aveva peraltro istituito l'Inter-Agency Standing Committee (IASC), il Consolidated Appeals Process (CAP) ed il Central Emergency Revolving Fund (CERF) come organismi e strumenti chiave per l'azione del coordinatore dell'assistenza in emergenza.

Nel 1998, nel quadro di un programma complessivo di riforma e ristrutturazione predisposto dal Segretario Generale, il Dipartimento degli Affari Umanitari (DHA) venne riorganizzato nell'Office for the Coordination of Humanitarian Affairs, OCHA, il cui mandato venne ampliato sino ad includere il coordinamento della risposta umanitaria, la politica di sviluppo ed il sostegno umanitario.

L'OCHA svolge la sua primaria funzione attraverso un Inter-Agency Standing Committee (IASC), chiamato ad assicurare una risposta coordinata all'evento emergenziale. Lo IASC, al quale partecipano anche altre agenzie delle Nazioni Unite, nonché ONG e organizzazioni internazionale, svolge il compito primario di facilitare il processo di decisione in merito alle risposte da porre in essere di fronte ad emergenze umanitarie e disastri naturali particolarmente drammatici.

A presiedere l'ufficio dell'OCHA è il Sotto-Segretario Generale per gli Affari Umanitari e coordinatore per l'assistenza in emergenza.

L'obiettivo dell'Ufficio è quello di mobilitare e coordinare l'effettiva azione umanitaria delle Nazioni Unite, in partnership con attori nazionali ed internazionali, al fine di alleviare le sofferenze umane provocate da disastri naturali o da situazioni emergenziali, di patrocinare i diritti delle persone in stato di bisogno, di promuovere iniziative di prevenzione e di preparazione a fronteggiare disastri ed emergenze, di facilitare l'adozione di soluzioni sostenibili.

In particolare l'OCHA interviene per garantire ad ogni persona vittima di un disastro o di un conflitto il diritto a ricevere assistenza. Quando un Governo nazionale sia impossibilitato o incapace di fornire un aiuto sufficiente, può richiedere il sostegno internazionale sotto forma di cibo o di aiuto materiale, di protezione dei diritti, di accesso all'acqua, ai servizi sanitari, all'informazione o ad altre forme di assistenza. L'OCHA cerca di assicurare che questo genere di assistenza venga fornito in modo effettivo ed efficiente, riducendo il rischio della duplicazione degli sforzi o delle lacune organizzative del complesso apparato internazionale.

Organizzazione e funzionamento dell' Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA)

 

L'organismo, che ha le sue sedi principali a New York e a Ginevra, si articola in 30 uffici regionali suddivisi nelle diverse aree del pianeta, per un totale di 613 membri internazionali e 1.182 dipendenti locali.

 

Finanziato in parte dai Fondi ordinari delle Nazioni Unite - pur essendo inserito all'interno del Segretariato Generale delle Nazioni Unite, l'OCHA dispone di una voce autonoma nel quadro del bilancio ordinario dell'Organizzazione - l'Ufficio di Coordinamento degli Affari Umanitari si basa principalmente sui contributi versati dai singoli Stati. Il budget gestito dall'Ufficio, nel 2009, è stimato in 239,617 milioni di dollari, di cui solo 12,292 milioni derivanti dal contributo ordinario dell'organizzazione internazionale. Tali contributi sono destinati alla copertura delle spese generali per le operazioni, per il finanziamento dei vari progetti, dell'Integrated Regional Information Networks (IRIN), e degli Uffici regionali.

A livello operativo, l'OCHA è chiamato a supportare e facilitare il lavoro delle Agenzie specializzate delle Nazioni Unite, delle organizzazioni non-governative e della Croce e Mezzaluna Rosse nell'offrire servizi di assistenza umanitaria e sostegno alle persone che versino in stato di bisogno. Lavora inoltre a stretto contatto con i Governi dei diversi Paesi, sostenendone l'azione di risposta alle situazioni emergenziali.

 

In particolare l'Ufficio si attiva per offrire strumenti di risposta nella fase iniziale di crisi.

Questi strumenti di intervento includono:

-         The UN Disaster Assessment and Coordination Team (UNDAC);

-         la ricerca, il soccorso ed il coordinamento di soccorso, in conformità alle linee guida dell'International Search and Rescue Advisory Group (INSARAG);

-         Il supporto civile e militare, personale di coordinamento, il supporto logistico;

-         l'accesso alle dotazioni militari come ultima risorsa per rispondere a situazioni di disastro;

-         strumenti di gestione dell'informazione per l'uso delle agenzie umanitarie al fine di sostenerne l'azione di programmazione, risposta e coordinamento.

Per ciò che attiene il meccanismo di funzionamento dell'OCHA, il supporto e l'assistenza umanitaria sono erogati attraverso cinque canali istituzionali.

In primo luogo, attraverso il c.d. Emergency Response Fund, chiamato anche Humanitarian Response Fund, il cui compito primario è quello di fornire fondi rapidi e flessibili per cercare di sopperire ai bisogni umanitari. Nel tempo si è dimostrato particolarmente efficace nel supporto all'attività di attori locali, nei contesti nei quali le organizzazioni non governative affrontano difficoltà insormontabili per soddisfare le richieste umanitarie in ragione di ostacoli di tipo politico e di sicurezza.

Un secondo strumento è il c.d. Consolidate Appeals Process (CAP), ovvero un complesso meccanismo di raccolta di fondi da destinare alle azioni umanitarie, nonché per l'assistenza ai vari partners per gli aiuti umanitari, in materia di pianificazione, implementazione e monitoraggio dell'intervento umanitario medesimo.

Il c.d. Flash Appeal, invece, è uno strumento funzionale alla creazione di una risposta unitaria di fronte a crisi umanitarie. Esso è dispiegabile, generalmente, in una settimana per un periodo di tempo che va dai tre ai sei mesi. Esso fornisce un quegli strumenti essenziali per fronteggiare la crisi umanitaria.

Il Central Emergency Response Fund, invece, principalmente finanziato da donazioni da parte degli Stati membri dell'ONU, nonché da donors privati e da singoli individui, è il sistema di raccolta fondi per gli aiuti umanitari, nonché per l'assistenza ai partners locali per la pianificazione, implementazione e monitoraggio degli aiuti umanitari in loco.

Infine il c.d. Financial Tracking System è un database in cui vengono registrate tutte le richieste di aiuti umanitari nonché gli aiuti effettivamente posti in essere, da parte sia di attori governativi sia non governativi.

 

Per la concreta attivazione del sostegno umanitario, l'OCHA si avvale di un meccanismo di coordinamento finalizzato alla massimizzazione degli aiuti erogati e dei benefici per i fruitori, ed alla minimizzazione dei rischi di un possibile fallimento. La strategia d'azione dell'OCHA, così come si evince dalle politiche stabilite dall'Inter-Agency Standing Committee e dalle strutture di cui è dotata l'OCHA, si fonda su sei pilastri d'azione, quali:

 

·         sviluppo di strategie comuni;

·         valutazione delle fattispecie e dell'esigenze strategiche;

·         convocazione di appositi fora di coordinamento e di pianificazione;

·         utilizzo di risorse funzionali all'azione che deve essere posta in essere;

·         capacità di affrontare problemi comuni, e di offrire soluzioni comuni;

·         gestione condivisa dei meccanismi di coordinamento e degli strumenti a disposizione per fronteggiare l'emergenza umanitaria.

 

Infine, l'OCHA si avvale anche del Regional Disaster Response Advisers (RDRAs) in quelle regioni del mondo particolarmente esposte al rischio di disastri naturali o emergenze umanitarie. Oltre ad aiutare gli attori locali, i RDRAs forniscono assistenza alla formazione, tecnica e strategica ai governi locali, alle agenzie delle Nazioni Unite nonché alle organizzazioni regionali per migliorare la pianificazione delle risposte alle catastrofi naturali, nonché assicurare una transizione quanto meno invasiva verso la normalità.

 

L'Ufficio per il coordinamento degli Affari Umanitari svolge altresì una puntuale attività di advocacy finalizzata al sostegno delle popolazioni sconvolte  da crisi umanitarie, che include la protezione dei civili, la prevenzione dello sfollamento, la preparazione al disastro e l'efficacia della risposta umanitaria. Fra le prioritarie azioni di advocacy poste in essere dall'Ufficio nel corso del 2009 a livello globale si ricordano quelle relative alle questioni dello sfollamento interno delle persone, il cambiamento climatico, la violenza di genere. 

In materia di informazione e comunicazione, l'OCHA può contare su di una ramificata struttura di supporto:

-         The Integrated Regional Information Network (IRIN) ha il compito di fornire notizie ed informazioni attraverso i servizi radio, aggiornando di continuo sulle crisi correnti;

-         ReliefWeb è uno strumento globale di informazione umanitaria sulle situazioni emergenziali, i disastri;

-         OCHA Online – OCHA’s Website offre una panoramica sulle principali tematiche e sulle sfide che gli organismi attivi sul versante umanitario sono chiamate ad affrontare;

-         OCHA’s Public Information Unit organizza conferenze stampa e dissemina briefing, note, messaggi chiave sui maggiori temi di interesse per l'Ufficio e la sua struttura.

 

L'Ufficio è altresì impegnato nello sforzo di raccogliere fondi a sostegno dell'azione umanitaria ed in particolare per promuove un apposito strumento internazionale di finanziamente dell'azione umanitaria. Attraverso la sua partecipazione al Good Humanitarian Donorship Iniziative (GHD) - un forum dei donatori del settore umanitario impegnati nella discussione sulle buone pratiche in materia di finanziamento dell'azione umanitaria - l'OCHA contribuisce a migliorare la qualità e la quantità dei fondi disponibili.

L'Ufficio gestisce altresì il The Central Emergency Response Fund (CERF), un fondo umanitario istituto appositamente dalle Nazioni Unite allo scopo di raccogliere fondi disponibili per offrire risposte immediate a situazioni di emergenza e conflitti armati.   

 

 L'OCHA partecipa anche, con un ruolo di facilitatore, al The Consolidated Appeals Process (CAP), uno strumento di pianificazione degli aiuti utilizzato dalle organizzazioni per coordinare, raccogliere fondi e monitorare le rispettive attività. Il CAP, istituito nel 1992, ha fin qui messo a disposizione delle Agenzia specializzate e dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e per Organizzazioni non governative più di 30 milioni di dollari. 

L'OCHA infine gestisce il Financial Tracking Service (FTS), un database globale cui si è già accennato, presente su web all'indirizzo www.reliefweb.int/fts, che riporta ogni genere di informazioni sugli aiuti umanitari a livello planetario e sul bisogno di fondi e di contributi che essi richiedono. Il database, attraverso una serie di tabelle analitiche che mostrano i flussi di aiuti umanitari per le diverse crisi, è finalizzato ad offrire una panoramica complessiva sul mondo degli aiuti umanitari funzionale ad una migliore capacità decisionale in ordine alle modalità di allocazione delle risorse disponibili.

Il ruolo di direzione del Sotto-Segretario Generale per gli Affari Umanitari

L'OCHA è sottoposta alla direzione del Sotto Segretario Generale per gli Affari Umanitari, che riveste a sua volta il ruolo di coordinatore dei soccorsi in casi di emergenze naturali o umanitarie (USG/ERC, secondo l'acronimo inglese).

L' USG/ERC è il principale consigliere del Segretario Generale per ciò che attiene gli affari umanitari; proprio per tale circostanza, egli riveste il ruolo di coordinatore e catalizzatore per l'azione umanitaria tra la Comunità Internazionale e gli organi intergovernativi delle Nazioni Unite, così come sviluppa quei concetti relativi ai diritti umani, sviluppo, sicurezza e politica, funzionali ai lavori degli organi delle Nazioni Unite. In caso di disastro o emergenza umanitaria, l'USG/ERC funge da primo interlocutore tra la comunità internazionale degli aiuti umanitari e i principali organi delle Nazioni Unite, quali il Consiglio di Sicurezza, l'Assemblea Generale, il Consiglio Economico e Sociale, al fine di sviluppare una strategia funzionale per fornire quell'aiuto umanitario alle vittime di disastri o emergenza. Inoltre, l' USG/ERC gioca inoltre  un ruolo di primo piano nel mantenere un dialogo costante con gli altri dipartimenti del Segretariato, nonché le agenzie specializzate delle Nazioni Unite.

All'interno del sistema dell'ONU, l'USG/ERC presiede la Executive Committee on Humanitarian Affairs (ECHA), ovvero quel forum interno all'organizzazione in cui viene costantemente condotta un'azione di condivisione di esperienze, nonché di idee, politiche e strategie per affrontare le emergenze naturali ed umanitarie.

In caso di disastro naturale o emergenza umanitaria, la figura cardine è rappresentata dal Coordinatore locale, il quale è responsabile di fronte all'USG/ERC per facilitare la realizzazione di una risposta internazionale alla catastrofe o emergenza umanitaria. Inoltre, il Coordinatore locale riveste il ruolo della la figura di contatto tra il quartiere generale delle Nazioni Unite e le autorità locali. In caso di disastro o emergenza umanitaria, l'USG/ERC può decidere di nominare un proprio Coordinatore per l'emergenza umanitaria, a seconda anche del grado di intensità e gravità della medesima. Egli sarà la più alta figura di riferimento e responsabilità sul campo e sarà, inoltre, direttamente responsabile di fronte al USG/ERC.

Il Coordinatore per l'emergenza umanitaria, oltre a fornire costanti aggiornamenti circa lo status quo delle operazioni di aiuto, avrà anche il compito di facilitare il coordinamento attraverso la valutazioni, sviluppo di piani di l'azione e di monitoraggio e nonché rilevare i risultati ottenuti.

L'Ufficio avrà inoltre il ruolo di fornire supporto anche diplomatico per l'implementazione degli aiuti, coordinare e rendere unitaria l'azione di aiuto sul campo, fornire i supporti logistici per la realizzazione degli aiuti, nonché creare una rete di collegamento tra tutti gli attori coinvolti nell'attuazione della strategia di aiuti.

La comunicazione a più livelli, soprattutto per un maggiore coinvolgimento e aiuto verso lo Stato/regione colpita dal disastro, risulta essere di rilevanza strategica per l'USG/ERC, il quale, grazie al patrocinio dell'OCHA e dell'Information Management Branch, pone in essere una costante campagna informativa e di sensibilizzazione a più livelli.

Il Sotto-Segretario Generale per gli Affari Umanitari - Profilo biografico di Sir John Holmes

Il 3 gennaio 2007, il segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon ha nominato il britannico Sir John Holmes, già ambasciatore inglese a Parigi, in qualità di Sotto-Segretario Generale per gli Affari Umanitari e coordinatore per l'assistenza in emergenza.

 

Diplomatico di lungo corso, entrato a far parte del Foreign and Commonwealth Office nel 1973, ha già avuto modo di ricoprire incarichi presso la Missione Britannica alle Nazioni Unite nella metà degli Settanta. Secondo Segretario presso l'ambasciata britannica di Mosca nel 1976, ha ricoperto incarichi di primaria importanza presso il Ministero degli esteri londinese occupandosi principalmente di Libano, processo di pace in Medio Oriente, e poi ancora di Africa, Asia ed America Latina. Nominato nel 1984 Primo Segretario presso l'Ambasciata Britannica di Parigi nel settore economico e per gli aspetti comunitari, è in seguito tornato a Londra ricoprendo altri incarichi presso il dicastero degli esteri, occupandosi prevalentemente di Unione Sovietica. Nel 1991 venne inviato in India in qualità di consigliere Politico e poi Economico e Commerciale della British High Commission di Nuova Delhi New Delhi, garantendo la supervisione sul programma di aiuto britannico al Paese asiatico, nonché sugli altri aspetti commerciali ed economici della politica di Londra nell'area. A capo del European Union Department (External) del Foreign and Commonwealth Office, divenne successivamente segretario particolare per gli Affari d'oltremare del Primo Ministro John Major e come consigliere diplomatico, incarichi che mantenne anche con il nuovo esecutivo a guida laburista di Tony Blair dal 1997 al 1999, in qualità di Principale segretario particolare. Fu inoltre fra i funzionari britannici più in vista nel periodo della presidenza britannica del G8 (1998). Venne insignito di onorificenze e riconoscimenti nel 1999 principalmente per il ruolo da lui svolto nel processo di pace nell'Irlanda del Nord e per il Good Friday Agreement. Dal 1999 al 2001 ha ricoperto l'incarico di Ambasciatore a Lisbona, prima del suo trasferimento nella sede diplomatica britannica a Parigi.

 

Nato a Preston, nel nord dell'Inghilterra nel 1951, ha studiato presso la Preston Grammar School and Balliol College e poi all'Università di Oxford. E' sposato con Penelope Morris dal 1976 ed ha tre figlie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Predecessori di Holmes sono stati:

 

 

 


L’UNHCR, United Nations High Commissioner for Refugees
(Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati)
(a cura del Servizio Studi del Senato)

LoUnited Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, è l’Agenzia delle Nazioni Unite preposta alla protezione ed all'assistenza dei rifugiati nel mondo ai sensi di quanto stabilito dalla normativa internazionale in materia (a partire dalla Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e dal relativo protocollo addizionale). Istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre 1950 con la Risoluzione 428 (V), ha il compito primario di fornire e coordinare la protezione internazionale e l'assistenza materiale ai rifugiati ed alle altre categorie di persone incluse nella sua area di competenza (rimpatriati, richiedenti asilo, sfollati interni ed apolidi).

Nell'esercizio del suo mandato e nel quadro delle attività di protezione internazionale e di assistenza, l'Agenzia assicura i seguenti compiti: la registrazione dei rifugiati; la consulenza per la documentazione; la raccolta dei dati anagrafici e biografici dei richiedenti asilo; la localizzazione sul territorio per fornire protezione e altre soluzioni durevoli alle esigenze derivanti dalla loro condizione, ovvero strumenti di assistenza ai rifugiati in fuga nel corso di crisi umanitarie; la promozione di programmi di istruzione, sanità ed alloggio ed operazioni di rimpatrio volontario, qualora possibili, nonché forme di sostegno per favorire l'autosufficienza dei rifugiati nei Paesi di asilo o per garantire loro condizioni per il reinsediamento in Paesi terzi, laddove essi non possano essere rimpatriati e non godano di sufficienti garanzie nel primo Paese di accoglienza.

A norma dell'articolo 35 della Convenzione di Ginevra del 1951, agli Stati parte del Trattato è chiesto esplicitamente di cooperare all'esercizio delle funzioni svolte dall'Agenzia al fine di agevolarne il compito di sorveglianza sull'applicazione delle disposizioni della Convenzione stessa, fornendo in particolare  informazioni ed indicazioni statistiche sullo statuto dei rifugiati, sui meccanismi applicativi della normativa internazionale e sulla legislazione domestica in itinere in materia.

L'Agenzia, strutturata nei suoi uffici di Ginevra e di New York, è direttamente al servizio dell'Assemblea Generale e del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, cui è chiamata a riferire sugli aspetti di coordinamento delle sue attività in forma verbale attraverso i contatti diretti fra l'Alto Commissario ed il Consiglio e, in forma scritta, con una relazione annuale presentata all'Assemblea di riepilogo complessivo.

A livello organizzativo, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per I Rifugiati ha nella figura dell'Alto Commissario il suo responsabile di vertice e di controllo. Ad un Comitato Esecutivo composto da 78 membri, spetta il compito di approvare i programmi biennali dell'Agenzia e le relative previsioni di spesa, nonché di autorizzare l'Alto Commissario a fare richiesta per fondi aggiuntivi. Di norma tiene una sessione annuale dei suoi lavori, a Ginevra nel corso del mese di ottobre.

Nell'esercizio delle sue funzioni, l'Alto Commissario, posto a capo dell'Ufficio Esecutivo, coadiuvato da un Deputy High Commissioner e da due Assistant High Commissioners for Protection and Operations - nonché dalle rispettive strutture amministrative -è supportato da una articolata rete di divisioni (molte delle quali riorganizzate nel corso del 2009) e uffici.

Fra gli uffici che rientrano nella gestione diretta dell'Alto Commissario si annoverano, l'Ufficio esecutivo, l'Inspector General's Office (IGO), l'Ethics Office, il The Policy Development and Evaluation Service (PDES) e l'Ufficio di New York dell'Agenzia.

Tra questi, l' Ethics Office è stato istituito nel corso del 2008 al fine di assicurare che tutto il personale dipendente dell'Agenzia osservi ed assicuri, nello svolgimento delle rispettive attività, il rispetto dei più alti standard di integrità, promuovendo al comtempo una cultura dei valori etici, del rispetto, della trasprenza e della responsabilità.

Da ultimo, l'ufficio dell'UNHCR di New York assicura che i temi di interesse dell'Agenzia vengano debitamente presi in considerazione nei vari consessi decisionali presso la sede principale delle Nazioni Unite, a partire dalla discussione in seno al Consiglio di Sicurezza, delle questioni relativi ai Paesi in cui siano presenti iniziative di peacekeeping o peacebuildingsotto l'egida dell'ONU.

Il budget complessivo dell'Agenzia per il 2006 ammontava a circa 1,4 miliardi di dollari.

L’UNHCR è finanziato quasi interamente mediante contributi volontari provenienti principalmente dai governi, ma anche da organizzazioni intergovernative, da aziende e da singoli individui. Riceve una sovvenzione limitata dal bilancio ordinario delle Nazioni Unite per coprire i costi amministrativi ed accetta contributi “in natura”, compresi elementi necessari nelle crisi umanitarie quali tende, medicine, autocarri e trasporti aerei.

Poiché il numero di persone di interesse dell’UNHCR è aumentato, il bilancio annuale è salito a più di un miliardo di dollari nei primi anni ’90 e da allora è rimasto su livelli simili. Il Bilancio Annuale di Programma dell’UNHCR comprende linee generali, a sostegno di operazioni regolari e già in corso, e linee speciali, impiegate per far fronte ad emergenze o ad operazioni di rimpatrio su larga scala (ad esempio l’esodo degli iracheni ed il ritorno e il reinserimento dei rifugiati e degli sfollati interni congolesi e sudanesi). 

Fra i Paesi che maggiormente finanziano la struttura dell'Agenzia, si annoverano gli Stati Uniti (con oltre 510 milioni di dollari di contributi nel 2008), la Commissione Europea (con oltre 130 milioni), il Giappone (con 110 milioni), la Svezia (con 105 milioni). L'Italia è il decimo Paese finanziatore con 44.117.001 dollari stanziati nel corso del 2008, cui devono aggiungersi quasi 5.000.000 di dollari provenienti da donatori privati.

Gli uffici dell'UNHCR attualmente sono 267, presenti in 116 Paesi, per un totale di 6.500 operatori di ruolo. Nel corso dei cinque decenni di attività, l'Agenzia ha offerto un sostegno a milioni di persone. Attualmente le persone assistite delle diverse categorie che rientrano nella competenza dell'UNHCR (rifugiati, richiedenti asilo, rifugiati rimpatriati, sfollati, apolidi) sono oltre 34.400.000, la maggior parte dei quali presesenti in Asia ed Africa.

In Italia l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) è presente fin dal 1953[11].

L'ufficio di Roma dell'UNHCR, partecipa alla procedura di determinazione dello status di rifugiato in Italia e svolge attività relative alla protezione internazionale, alla formazione ed al training, alla diffusione delle informazioni sui rifugiati e richiedenti asilo in Italia e nelle varie aree di crisi in tutto il mondo, alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica ed alla raccolta fondi presso governi, aziende e privati cittadini.

Dal 2006, l’ufficio italiano dell’UNHCR ha ampliato le proprie competenze diventando Rappresentanza Regionale responsabile, oltre che per l’Italia, anche per Cipro, Grecia, Malta, Portogallo, San Marino e Santa Sede, con il ruolo di coordinare le attività regionali in favore di richiedenti asilo e rifugiati presenti in questi paesi. Dal 2009 la Rappresentanza Regionale è responsabile anche per l'Albania.

Lo statuto dell’UNHCR[12] definisce la competenza dell’Alto Commissario in termini universali. Le organizzazioni precedenti, con la parziale eccezione dell’IRO (International Refugees Organization), avevano concepito i rifugiati soprattutto in termini di gruppi nazionali ben definiti, e con un forte accento sulla loro condizione di persone prive di protezione diplomatica e assistenza consolare (in effetti quindi spesso più vicini agli apolidi che ai rifugiati come li intendiamo noi oggi). Lo statuto dell’UNHCR, benché dichiarasse che l’organizzazione si sarebbe dovuta occupare, di regola, di categorie e gruppi di rifugiati piuttosto che di individui, conteneva una definizione di generale ma individuale applicazione.Il fulcro della definizione universale, contenuta nell’art. 6 (B) dello Statuto, è il fondato timore di persecuzione a causa di razza, religione, nazionalità, o opinione politica, associato alla impossibilità o al rifiuto di avvalersi della protezione diplomatica del proprio Paese.

L’universalità sta nel fatto che chiunque, indipendentemente dalla propria nazionalità, si trovi nelle condizioni descritte è sotto la competenza dell’Alto Commissario, che decide autonomamente in materia - un elemento importante perché evita il rischio che la decisione sulla eleggibilità o meno di un certo gruppo di rifugiati a godere della protezione dell’Alto Commissario, diventi oggetto di negoziati e compromessi tra stati, come era accaduto ai tempi di Nansen[13]. In quest’ottica va anche vista la descrizione del mandato come non politico e umanitario, a significare che la competenza dell’Alto Commissario deve essere esercitata indipendentemente dagli interessi politici di parte.

Le condizioni descritte nella definizione di rifugiato, però sono di fatto condizioni personali che generalmente richiedono una valutazione individuale - a meno che le circostanze obbiettive di una certa categoria di persone siano tali da portare ad una presunzione che tutti i membri del gruppo abbiano con ogni probabilità le caratteristiche descritte, e che la consistenza dell’influsso sia tale da rendere impraticabile una determinazione individuale - come ad esempio accadde nel 1956, quando decine di migliaia di ungheresi si riversarono in Austria.

Lo statuto assegna all’Alto Commissario la responsabilità di assicurare protezione internazionale e di cercare soluzioni permanenti per le persone di sua competenza.

L’espressione protezione internazionale è intesa in riferimento alla mancanza di protezione diplomatica di cui soffrono i rifugiati i quali, trovandosi all’estero senza le garanzie normalmente legate alla presenza, alle loro spalle, di uno stato competente a difenderne gli interessi, possono trovarsi soggetti ad abusi da parte dello stato straniero in cui si trovano. La ricerca di soluzioni permanenti è invece prevista come il necessario complemento alla protezione internazionale, nel senso che lo status di rifugiato dovrebbe essere soltanto una parentesi nella vita di una persona. La protezione internazionale è intesa come rete di salvataggio, che si sostituisce temporaneamente a quella normale dello stato fintantoché il rifugiato può reintegrarsi pienamente in una comunità statale, e cessare per l’appunto di essere tale.

Lo statuto elenca, o implica, una serie di attività e misure di cui l’Alto Commissario può servirsi per ottemperare a queste sue funzioni. Queste consistono essenzialmente di:

-                            Promozione della ratifica e supervisione dell’applicazione di convenzioni internazionali e altre misure per la protezione dei rifugiati (quali, ad esempio, la Convenzione di Ginevra, il cui articolo 35 impone agli stati l’obbligo di collaborare con l’Alto Commissario); questo include il monitoraggio e, in alcuni paesi, la partecipazione diretta, alle procedure per la determinazione dello status di rifugiato, nonché la promozione di legislazione nazionale in linea con gli standard internazionali in materia;

-                            Promozione dell’ammissione dei rifugiati nel territorio di Paesi d’asilo - inclusi quelli non firmatari della Convenzione di Ginevra. Il monitoraggio e l'intervento avvengono secondo le modalità ritenute più opportune in difesa dei diritti fondamentali dei rifugiati quali, in primo luogo, il diritto a non essere respinto alla frontiera se proveniente dal paese di persecuzione, o ad esservi comunque rinviato. A questo fondamentale diritto, chiamato generalmente con termine francese non-refoulement, si aggiungono naturalmente i diritti previsti dalla convenzione di Ginevra e dalle varie Convenzioni sui diritti umani in generale;

-                            In alcuni paesi, ove il godimento di certi diritti è soggetto al possesso di certificazioni che il paese d’asilo non rilascia, l’UNHCR, in accordo con il paese in questione, svolge una funzione quasi-consolare a favore dei rifugiati. In Italia, per esempio, l’UNHCR rilascia il nulla osta ai rifugiati che intendono sposarsi;

-                            Il processo di determinazione dello status di rifugiato: benché in linea di principio i rifugiati siano tali non appena ne abbiano i requisiti e indipendentemente dal riconoscimento, di fatto il pieno godimento dei diritti loro assegnati dipende dal riconoscimento formale della loro condizione. Nei Paesi che non hanno ratificato la Convenzione di Ginevra, o che non hanno ancora messo in atto una procedura per la determinazione dello status di rifugiato, i funzionari UNHCR determinano lo status ai sensi del mandato. È importante notare che, benché la definizione di rifugiato contenuta nella Convenzione e nello statuto sia pressoché la stessa, essere riconosciuto solo dall’UNHCR spesso significa non avere altri diritti oltre quello al non-refoulement. L’UNHCR non può infatti imporre agli Stati di consentire ad un rifugiato di risiedere in maniera duratura sul loro territorio, o di permettere l’accesso al mercato del lavoro;

-                            Assistenza a governi e organizzazioni per favorire il rimpatrio volontario o l’assimilazione all’interno di nuove comunità nazionali. Il rimpatrio volontario è normalmente considerato la soluzione migliore, quando possibile. Quando questo non appaia invece fattibile in un ragionevole lasso di tempo, o in certe condizioni, l’UNHCR cerca di negoziare la possibilità dell’ integrazione locale nel paese d’asilo - integrazione che di fatto è facilitata nei paesi parte della Convenzione di Ginevra. Il reinsediamento in un paese terzo può essere estremamente utile per favorire il ricongiungimento familiare o nel caso in cui il paese d’asilo non offra sufficienti garanzie di sicurezza (o, come nel caso del programma di reinsediamento dall’Indocina negli anni ‘80, per facilitare la gestione del problema nei paesi di prima linea). È però un’opzione estremamente costosa, offerta solo da pochi Paesi, che hanno la possibilità di selezionare i rifugiati che desiderano ospitare secondo i loro interessi. Benché l’Alto Commissariato abbia facilitato, nei suoi cinquant’anni di attività, il rimpatrio di diversi milioni di persone, e abbia negoziato il reinsediamento di alcuni milioni d’altri, di fatto per la maggior parte dei rifugiati oggigiorno le soluzioni vere sono elusive, e non mancano drammatici esempi di rifugiati che hanno trascorso anni in campi profughi - talvolta in condizioni miserabili. I rifugiati cambogiani, per esempio, fuggiti alla fine degli anni ‘70 inizi ‘80 sono potuti finalmente rimpatriare soltanto nel 1992, i rifugiati bhutanesi, arrivati in Nepal agli inizi degli anni ‘90 sono ancora nei campi profughi, mentre tra i rifugiati afghani, fuggiti all’inizio degli anni ‘80, molti sono ancora in Pakistan o in Iran a distanza di vent’anni.

-                            Raccolta d’informazioni rispetto al numero, alle condizioni dei rifugiati, e alla legislazione che li concerne nei vari paesi d’asilo. L’UNHCR ha anche una funzione di raccordo e di stimolo per la ricerca e lo studio dei problemi che riguardano i rifugiati, che utilizza nella sua funzione consultiva presso i governi e le organizzazioni interessate;

-                            Facilitazione del coordinamento degli sforzi delle organizzazioni private che si occupano del benessere dei rifugiati. Il ruolo di coordinamento è divenuto, con il crescere dei programmi di assistenza ai rifugiati, e con il moltiplicarsi delle agenzie e organizzazioni coinvolte, uno dei capisaldi dell’operato UNHCR.

Categorie di persone rientranti nel mandato dell'UNHCR

 

Sono oltre 34 milioni le persone di cui, al momento, si occupa l’UNHCR. Si tratta in primo luogo di rifugiati in paesi stranieri e di persone che rientrano nella propria terra dopo un soggiorno forzato all’estero. A questi si aggiungono gli sfollati all’interno del proprio stesso paese.

Rifugiati

Il diritto internazionale definisce rifugiato chiunque si trovi al di fuori del proprio paese e non possa ritornarvi a causa del fondato timore di subire violenze o persecuzioni. I rifugiati sono riconosciuti tali dai governi che hanno firmato accordi sul loro status giuridico con le Nazioni Unite, o dall’UNHCR stesso secondo la definizione contenuta nello statuto dell’Alto Commissariato. Attualmente, lo status di rifugiato è riconosciuto a quasi 11,4 milioni di persone nel mondo.

La protezione internazionale dei rifugiati costituisce il nucleo principale del mandato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Tale mandato, come espresso negli statuti e nella Convenzione del 1951 sullo Status dei Rifugiati, si è costantemente evoluto nel corso degli ultimi cinquanta anni.

Inizialmente, la protezione internazionale consisteva in una sorta di surrogato della protezione consolare e diplomatica, mentre oggi si è estesa notevolmente fino ad assicurare ai rifugiati il godimento dei loro diritti umani fondamentali e la sicurezza. Oltre alla Convenzione del 1951, la comunità internazionale si è dotata di altri strumenti, sia a carattere universale che regionale, volti a proteggere i rifugiati.

L'Agenzia collabora con i governi ospitanti per tutelare i diritti umani fondamentali dei rifugiati ed adotta tutte le misure necessarie al fine di fornire assistenza durante l'intero processo della protezione internazionale: dall'impedire che le persone siano rimpatriate in un paese dove abbiano motivo di temere persecuzioni (refoulement), alla richiesta d'asilo, dall'ottenimento dello status di rifugiato fino al raggiungimento di soluzioni durevoli (rimpatrio volontario, integrazione all'interno dei paesi ospitanti o reinsediamento in un paese terzo).

L'UNHCR è impegnato in molteplici attività, sia sul campo che in sede centrale, nel tentativo di:

- Assicurare l'ottenimento dell'asilo e l'ammissione ai Paesi d'asilo, intervenire, se necessario, per evitare il refoulement ed agevolare le procedure per determinare lo status di rifugiato;

- Verificare le necessità e monitorare il trattamento dei rifugiati e dei richiedenti asilo;

- Garantire, in collaborazione con i governi, l'incolumità fisica dei rifugiati e delle altre persone di sua competenze;

- Individuare i gruppi vulnerabili assicurandone e privilegiandone l'assistenza;

- Collaborare con alcuni governi per definire la registrazione e la documentazione, partecipando alle procedure nazionali per la determinazione dello status di rifugiato;

- Favorire la diminuzione degli apolidi;

- Perseguire attivamente la rivitalizzazione dei regimi di protezione e collaborare con le organizzazioni non governative (ONG) e con altre organizzazioni internazionali a tale scopo;

- Promuovere la legislazione in favore dei rifugiati, incoraggiare l'accesso alla Convenzione e ai Protocolli, e favorire lo sviluppo delle istituzioni e della legislazione nazionale in materia;

- Proteggere gli sfollati ogniqualvolta siano soddisfatte le condizioni richieste dalle linee guida dell'organizzazione;

- Sviluppare costantemente la propria capacità di fornire protezione ai rifugiati;

- Promuovere e realizzare soluzioni durevoli agevolando il rimpatrio volontario, l'integrazione nel Paese ospitante o il reinsediamento in un Paese terzo;

- Occuparsi personalmente delle procedure relative al reinsediamento nei Paesi terzi.  

 

Si ricorda che, a seguito del conflitto arabo-israeliano del 1948, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite - con la risoluzione 302 (IV) dell'8 dicembre 1949 - istituì l'UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East), l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi del Vicino Oriente, con il compito di fornire assistenza e realizzare progetti a favore dei rifugiati palestinesi.

Le operazioni dell'Agenzia hanno avuto inizio il 1° maggio 1950 e, in assenza di una soluzione alla questione dei rifugiati palestinesi, l'Assemblea Generale ha ripetutamente rinnovato il mandato dell'UNRWA, di recente fino al 30 giugno 2008.

L’area geografica di attività dell’UNRWA è limitata a Libano, Siria, Giordania, Cisgiordania e striscia di Gaza. Solo quando si trovano fuori da tale zona, i rifugiati palestinesi rientrano nel mandato dell’UNHCR e nella Convenzione del 1951.

Fin dalla sua istituzione l'Agenzia ha svolto la sua attività sia in periodi di relativa calma, sia di ostilità. Ha fornito cibo, alloggio e abiti a decine di migliaia di rifugiati in fuga e allo stesso tempo ha realizzato programmi di istruzione e di assistenza medica per centinaia di migliaia di giovani rifugiati.

Nata come organizzazione temporanea, l'UNRWA ha gradualmente adattato la propria attività alle mutate necessità dei rifugiati e attualmente costituisce l'agenzia maggiormente impegnata nella fornitura di assistenza di base - beni di prima necessità, istruzione, servizi medici, servizi sociali – ai circa 4 milioni di rifugiati palestinesi che attualmente si trovano nella propria area di competenza.

Attualmente l'UNHCR si occupa di circa 350.000 rifugiati palestinesi, soprattutto in Arabia Saudita, Iraq ed Egitto. 

 

Rimpatriati

I rifugiati sono costretti ad abbandonare le proprie abitazioni sotto una minaccia estrema e, quasi sempre, il desiderio è quello di rientrare al più presto, appena le circostanze lo permettono. L’UNHCR assiste i rifugiati nella fase di ritorno volontario a casa. Una volta che questo avviene, l’organizzazione li aiuta a reintegrarsi nei paesi di origine e vigila sulla loro sicurezza. La durata di questa attività varia da caso a caso, ma raramente supera i due anni.

Richiedenti asilo

Di questa categoria fanno parte coloro che, lasciato il proprio paese d’origine e avendo inoltrato una richiesta di asilo, sono ancora in attesa di una decisione da parte delle autorità del paese ospitante riguardo al riconoscimento dello status di rifugiato. Si tratta di quasi 800mila persone, in larga parte residenti nei paesi di Nordamerica ed Europa. L’UNHCR li assiste nelle pratiche necessarie per ottenere lo status richiesto.


Apolidi

L'apolide è una persona che nessuno Stato riconosce come proprio cittadino. La prevenzione di nuovi casi di apolidia e la soluzione degli attuali sono attività che fanno parte integrante del mandato dell'UNHCR. A tale proposito l'Alto Commissariato promuove l'adesione degli Stati alla Convenzione del 1954 relativa allo status degli apolidi e alla Convenzione del 1961 sulla riduzione dell'apolidia. L'UNHCR fornisce inoltre agli Stati sostegno tecnico e consulenza su questioni relative all'apolidia. Si stima che attualmente nel mondo gli apolidi siano circa 9 milioni.
Un apolide è una persona che nessuno Stato riconosce come proprio cittadino. Diversi milioni di persone in tutto il mondo si trovano oggi in questo limbo legale, potendo godere solo di un limitato accesso alla protezione legale nazionale o internazionale, o a diritti fondamentali quali quelli alla salute e all’istruzione.

Nel tentativo di far fronte alla difficile situazione degli apolidi, nel 1954 e nel 1961 furono siglate due convenzioni, rispettivamente sullo status degli apolidi e sulla riduzione dell’apolidia.

Se è vero che alcuni rifugiati possono essere anche apolidi, non necessariamente tutti gli apolidi sono anche dei rifugiati. Quella dell’apolidia è comunque una questione che rientra nella competenza dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Nel 1974 infatti l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha richiesto all’UNHCR di fornire assistenza legale a questa categoria di persone e nel 1996 ha incaricato l’Agenzia di ampliare il suo ruolo anche alla prevenzione e alla riduzione del fenomeno dell’apolidia.


Sfollati

A seguito di una richiesta del Segretario Generale delle Nazioni Unite, da qualche anno l’Alto Commissariato ha progressivamente esteso protezione e assistenza anche ad alcune categorie di persone che non sono incluse nel mandato originario dell’organismo, contemplato nella Convenzione di Ginevra del 1951 e nel Protocollo del 1967 sul diritto dei rifugiati. Tra questi, il gruppo principale è costituito dagli sfollati.

Come i rifugiati, gli sfollati (in inglese, Internally Displaced Persons, o IDPs) sono civili costretti a fuggire da guerre o persecuzioni, ma, a differenza dei rifugiati, essi non hanno attraversato un confine internazionale.

A causa dell'assenza di un mandato generale finalizzato alla loro assistenza, la maggior parte degli sfollati non riceve protezione o assistenza internazionale. Negli ultimi anni, il mutamento della natura dei conflitti ha condotto ad un progressivo aumento delle persone sfollate all'interno del proprio paese e su specifica richiesta del Segretario Generale o dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dopo il consenso dello stato interessato o quanto meno il suo impegno a non ostacolare le operazioni di assistenza, l'UNHCR ha progressivamente assunto l'incarico di assistere le popolazioni sfollate di alcuni Paesi. Non esistono statistiche certe sul numero di sfollati nel mondo. Il Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite per gli sfollati stima che il numero di sfollati fuggiti a causa di conflitti o persecuzioni si attesti intorno ai 24 milioni.


 

L'Alto Commissario António Manuel de Oliveira Guterres - Nota biografica

 

António Manuel de Oliveira Guterres ha assunto il suo incarico come Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati il 15 giugno 2005, succedendo all'olandese Ruud Lubbers. Ex primo ministro nel suo paese, il Portogallo, Guterres è stato nominato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite decimo Alto Commissario con un mandato di cinque anni.

Nel suo primo incontro con il personale dell'UNHCR, Guterres ha dichiarato di assumere il suo incarico con convinzione, umiltà ed entusiasmo. “Convinzione perché credo fermamente nei valori fondanti di quest'agenzia e intendo battermi perché prevalgano in tutto il mondo. Umiltà, perché ho molto da imparare e, per questo, faccio affidamento su tutti voi. Entusiasmo, perché non riuscirei a scegliere una causa più nobile per la quale combattere”.

Prima di essere nominato Alto Commissario, António Guterres ha trascorso oltre vent'anni nel governo e nell'amministrazione del suo paese. È stato Primo Ministro del Portogallo dal 1996 al 2002, periodo durante il quale ha guidato l'impegno internazionale per porre fine alle atrocità a Timor Est. Come presidente del Consiglio Europeo, all'inizio del 2000, ha co-presieduto il primo summit UE–Africa ed ha contribuito all'adozione della cosiddetta Agenda di Lisbona. Ha inoltre fondato il Consiglio Portoghese per i Rifugiati nel 1991 ed è stato membro del Consiglio di Stato del Portogallo dal 1991 al 2002.

Dal 1981 al 1983, Guterres è stato membro dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa e presidente del Comitato su demografia, migrazioni e rifugiati. Inoltre è stato presidente dell'Internazionale Socialista dal 1999 al giugno 2005, dopo aver ricoperto l'incarico di vice presidente dal 1992 al 1999.

Nato il 30 aprile 1949 a Lisbona, città in cui ha studiato presso l'Instituto Superior Técnico, António Guterres è professore associato. È sposato ed ha due figli.

Come Alto Commissario, Guterres è alla guida dell'UNHCR, una delle principali agenzie umanitarie al mondo, per la quale lavorano più di seimila operatori in 117 paesi per fornire protezione e assistenza a oltre 20 milioni di rifugiati ed altre categorie di migranti forzati. Il budget complessivo dell'Agenzia per il 2006 ammonta a circa 1,4 miliardi di dollari.

 

 


Il Department of Peacekeeping Operations (DPKO)
(a cura del Servizio Studi del Senato)

Il DPKO (Department of Peacekeeping Operations) è l'ufficio delle Nazioni Unite, collocato all'interno del Segretariato Generale, con il compito di assistere gli Stati Membri dell'ONU e il Segretario Generale per il mantenimento della pace e sicurezza internazionale. Il DPKO vede al proprio vertice un Sotto Segretario Generale, sotto le dipendenze dirette del Segretario Generale dell'ONU. Da tale Sotto Segretario dipendono quattro uffici: per le operazioni; per gli affari militari; per gli affari giuridici e la sicurezza; infine la divisione per l’addestramento, la valutazione e la politica. Inoltre, il Budget annuale delle Nazioni Unite prevede una specifica voce di finanziamento dedicata al DPKO, cui tutti gli Stati membri devono contribuire, o in termini monetari o di uomini e mezzi.

Attualmente, il Sotto Segretario Generale per il DPKO è Alain le Roy, che ha assunto formalmente l’incarico nell’estate 2008. Il suo predecessore era Jean-Marie Guéhenno.

 

La missione principale del DPKO consiste nel pianificare, preparare, gestire e dirigere le operazioni di mantenimento della pace patrocinate dalle Nazioni Unite, al fine di assicurare l'esercizio del mandato sotto l'autorità del Consiglio di Sicurezza e dell'Assemblea Generale, nonché sotto la direzione generale attribuita al Segretario Generale, come espressamente previsto dalla risoluzione di autorizzazione delle stesse missioni. Il DPKO provvede a fornire le indicazioni di tipo politico e tecnico per la realizzazione delle missioni di pace delle Nazioni Unite nonché a mantenere un canale costante di dialogo con il Consiglio di Sicurezza, con i Paesi membri che forniscono le truppe e gli equipaggiamenti per le missioni, nonché con le parti del conflitto, perché questi possano realizzare gli obiettivi per il mantenimento della pace stabiliti dalla risoluzione di autorizzazione della missione del Consiglio di Sicurezza.

Il DPKO, quindi, funge non solo da centro di comando e controllo delle missioni di pace, ma anche di coordinamento tra i diversi attori che in esse sono interessati, come Organizzazioni Non Governative (ONG), autorità governative e non a livello locale, nonché forze di polizia e militari impegnati sul campo. Al DPKO, inoltre, è attribuita la responsabilità del coordinamento di tutti gli aspetti concernenti le missioni di pace ONU, dalle problematiche militari, di polizia, politiche ed economiche.

 

Le operazioni di peacekeeping istituite dalle Nazioni Unite sono comunemente oggetto di sistemazione dottrinaria atta a distiguerle in operazioni di prima, seconda e terza generazione. Tale distinzione concerne non soltanto il periodo storico in cui queste sono state istituite, ma anche i compiti cui esse sono state votate e la natura stessa della missione cui erano chiamate a rispondere.

Appartengono alle c.d. operazioni di prima generazione (o di peacekeeping puro) quelle operazioni istituite tra il 1948 sino al 1987. Caratteristiche di tali tipo di operazioni erano la necessità di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU autorizzante la missione, il consenso dello Stato in cui veniva effettuata l'operazione, il ricorso all'uso della forza armata per parte del personale militare impiegato nella missione al solo caso di legittima difesa, nonché nei soli casi di conflitti internazionali.

Con la fine della Guerra Fredda, si assiste al sorgere delle operazioni di pace c.d. di seconda generazione, che si ispirano al documento An Agenda for Peace[14] dell'allora Segretario Generale dell'ONU Boutros Boutros-Ghali. In tale documento strategico, Boutros-Ghali sottolineava come il numero di missioni istituite tra il 1948 e il 1987 (13 missioni di peacekeeping) uguagliava quello delle missioni comprese tra il 1987 e il 1992, evidenziando la necessità di un ripensamento globale del ruolo delle Nazioni Unite e delle missioni da esse istituite alla luce del cambiamento dello scenario globale. Le operazioni di seconda generazione sono state definite di peacemaking e/o peacebuilding, che implicano un ruolo di maggiore rilievo per la c.d. componente civile nelle operazioni, la collaborazione con le forze appartenenti ad organizzazioni regionali, l'amministrazione del territorio, il monitoraggio elettorale, l'assistenza umanitaria, la ricostruzione economica e finanziaria, nonché la protezione dei diritti umani. A tal fine è stato istituito nell’aprile 1993 il Situation Centre of the Department of Peacekeeping Operations, allo scopo di supportare il processo di decisione e il coordinamento tra civili, militari e forze di polizia attraverso uno scambio di informazioni a livello strategico[15].

Eventi quali il genocidio in Rwanda nel 1994, il massacro di Srebrenica nel 1995 spinsero molti tra i paesi membri delle Nazioni Unite a chiedere all’Organizzazione di rivedere la propria politica di peacekeeping e contribuirono al superamento delle operazioni di cosiddetta seconda generazione.

Il terzo punto di svolta è rappresentato dal c.d. Brahimi Report pubblicato nel 2001, ovvero il documento finale del Panel on United Nations Peace Operations[16]istituito per volontà dell'allora Segretario Generale Kofi Annan, allo scopo di rivedere il sistema di funzionamento e il quadro giuridico delle missioni di pace ONU. Il documento analizza le diverse operazioni per la pace poste in essere dalle Nazioni Unite, evidenziando allo stesso tempo le difficoltà in teatro che il personale, civile e militare, ha incontrato e che hanno determinato l’insuccesso delle medesime. I suggerimenti che il Report fornisce sono in particolare due: dare al mandato delle Nazioni Unite maggiore chiarezza, credibilità e realizzabilità, nonché l’importanza di migliorare la cooperazione ed il dialogo con i paesi che contribuiscono alle peacekeeping operations attraverso l’invio di truppe. Altro nodo cruciale è rappresentato dalla c.d. Responsability to Protect, principio derivante dalle lesson learned rappresentate dalle missioni in Rwanda e in Bosnia negli anni '90. Le operazioni di cosiddetta terza generazione, quindi, si collocano nella categoria del c.d. peace enforcing e peace support operations, categorie ibride rispetto al passato la cui base giuridica non trova riferimento nella Carta dell’ONU. Inoltre, perché le Nazioni Unite possano fronteggiare al meglio le crisi umanitarie, è stata auspicata la creazione di un corpo di dispiego rapido ONU, ancora non presente.

 

Le missioni che vengono istituite in seno alle Nazioni Unite, e di cui risponde il DPKO, devono conformarsi ad un ventaglio di principi, espressamente richiamati in specifici documenti strategici delle Nazioni Unite, quali, come detto prima, An Agenda for Peace del 1992, il Final Report del Panel on United Nations Peace Operations del 2000, infine il documento Peace Operations 2010 presentato all'interno del Report[17] dell'Assemblea Generale del 24 febbraio 2006. In generale, si può affermare che le missioni di pace dell'ONU debbano tendere ad alleviare le sofferenze umane e soprattutto creare un ambiente favorevole per istituzioni responsabili, affinché le condizioni di pace e sicurezza siano durature nel tempo. Le Nazioni Unite, quindi, agiscono come attore super partes, allo scopo di mantenere la neutralità ed imparzialità cui l'Organizzazione è votata. È soprattutto con la Risoluzione A/RES/60/1, ovvero con il documento conclusivo del World Summit 2005, che le Nazioni Unite si dotano di un documento strategico fondato su un approccio multidimensionale alla pace e sicurezza mondiale, in cui due paragrafi sono dedicati rispettivamente al peacekeeping e al peacebuilding. In esso viene sottolineata l'importanza della cooperazione civile e militare nei teatri operativi, così come l'apporto fornito, in accordo al Capitolo VIII della Carta, da parte delle organizzazioni regionali per la sicurezza (soprattutto con riferimento all'Unione Europea e l'Unione Africana). Per ciò che concerne il peacebuilding, è di rilievo l'auspicio della creazione di un Fondo dedicato integralmente al peacebuilding, con pianificazione pluriennale, nonché l'auspicio della creazione di una commissione a composizione mista dedicata integralmente a tali tipi di operazioni.

 

Secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite aggiornati fino al luglio 2009, le operazioni attualmente in corso e sotto la responsabilità del DPKO sono 15 e coinvolgono 93.216 unità di personale, di cui 79.746 militari, 2302 osservatori delle Nazioni Unite e 11.482 poliziotti[18]. Anche a seguito di scandali riguardanti il comportamento di peacekeepers, tanto civili come militari, il DPKO si è dotato di un Codice di Condotta[19] e delle c.d. 10 regole del Peacekeeper[20], cui ciascun individuo impiegato in missioni di pace sotto l’egida ONU deve attenersi.

 

Se il DPKO è responsabile della gestione delle operazioni per la pace promosse dalle Nazioni Unite, è altrettanto vero che l'Organizzazione ha deciso di dotarsi di una apposita Commissione per le missioni di peacebuilding[21]. Scopo di tale Commissione è quello di proporre strategie integrate post-conflict, sostenere i finanziamenti per la realizzazione delle missioni, fornire alle missioni stesse una prospettiva di medio e lungo periodo, nonché sviluppare le c.d. best practices. La commissione ha una composizione mista, presentando al proprio interno 7 membri del Consiglio di Sicurezza, 7 dell'ECOSOC (Comitato Economico e Sociale), rappresentanti di 5 paesi tra i 10 che più contribuiscono al budget dell'ONU, dei 5 tra i 10 che forniscono più truppe, ed infine 7 membri a rotazione. L'importanza della commissione risiede nella redazione di un Annual Report indirizzato all'Assemblea Generale, nel quale viene fotografato lo status quo delle missioni di peacebuilding in corso, nonché indirizzi strategici per il futuro. Alla Commissione, pertanto, viene attribuito un ruolo di indirizzo strategico, e non operativo, come invece attribuito al DPKO.

 


Il disarmo
(a cura del Servizio Studi del Senato)

Il ruolo delle Nazioni Unite nel campo del disarmo è previsto dallo stesso Statuto dell'Organizzazione che - nell'ambito dei principi generali in esso contenuti - conferisce all'Assemblea Generale la competenza in materia di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, inclusi il disarmo e la disciplina degli armamenti. In tali settori infatti l'Assemblea Generale può fare raccomandazioni sia agli Stati membri sia al Consiglio di Sicurezza. Il principio della promozione e del mantenimento della pace e sicurezza internazionale è inoltre stabilito nell'articolo 26 dello Statuto che attribuisce al Consiglio di Sicurezza la competenza a formulare piani per un sistema di regolamento degli armamenti.

 

All’interno dell’Assemblea Generale i temi del disarmo sono affrontati dalla prima Commissione ‘Disarmo e sicurezza internazionale [First committeeDisarmament and international security] che si riunisce durante le sessioni annuali dell’Assemblea generale. Esiste poi un organo sussidiario dell’AG, la Commissione per il disarmo [Disarmament commission] istituita con la risoluzione n. 502 del 1952, che ha subito nel tempo successive modificazioni nella composizione. La Commissione si riunisce una volta l’anno nei periodi intermedi tra le sessioni dell’AG. Mentre la Prima commissione tratta tutti i temi connessi con il disarmo e la sicurezza, la Commissione per il Disarmo tratta questioni particolari in cicli triennali.

 

Nell’ambito del Segretariato generale opera il Dipartimento per il Disarmo (DDA- Department of Disarmament Affairs) originariamente istituito nel 1982, a seguito delle conclusioni della seconda sessione speciale dell’AG sul disarmo (SSOD II) e successivamente incorporato nel dipartimento degli Affari politici. Attualmente si configura come Ufficio per gli affari del disarmo (UNODA – United Nations Office for disarmament affairs).

L’UNODA sostiene gli obiettivi del disarmo e della non proliferazione delle armi nucleari, e il rispetto delle norme internazionali relative al controllo delle altre armi di distruzione di massa, chimiche e biologiche. Sostiene anche gli sforzi volti alla riduzione delle armi convenzionali, in particolare delle mine terrestri e delle armi di piccolo calibro e leggere, che sono le preferite nei conflitti contemporanei e sono anche oggetto di traffici illeciti.

L’UNODA fornisce un supporto organizzativo e sostanziale per sostenere l’attività normativa degli altri organi delle Nazioni Unite. Incoraggia l’adozione di misure preventive e l’attività diplomatica volta a creare trasparenza, dialogo e reciproca fiducia nel settore del disarmo, particolarmente negli ambiti regionali. Gestisce il registro delle armi convenzionali e fornisce informazioni sull’attività dell’intera organizzazione delle Nazioni unite in materia.  L’attività dell’UNODA riguarda anche le  misure pratiche di smilitarizzazione applicabili al termine dei conflitti, quali il disarmo e la smobilitazione dei combattenti e il loro reintegro nella società civile.

 

Nel 1978, durante la prima sessione speciale dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite dedicata al disarmo (SSOD I), fu deciso, tra l'altro, che gli organismi di disarmo aventi natura deliberativa avrebbero avuto una composizione universale, mentre quelli a natura negoziale avrebbero avuto una composizione più ristretta, allo scopo di agevolarne il lavoro.  Fu allora creato un Comitato del disarmo, con sede a Ginevra, che sarebbe diventato l'unico organismo negoziale multilaterale per le questioni di disarmo. Nel 1984 il Comitato ha assunto la denominazione di ‘Conferenza sul disarmo’ .

 

La Conferenza del Disarmo ha un rapporto specifico con le Nazioni Unite. Adotta il proprio regolamento di procedura, è completamente autonoma nello stabilire il proprio ordine del giorno che decide all'inizio di ciascuna sessione annuale, prendendo in considerazione le raccomandazioni dell'Assemblea Generale, alla quale riferisce ogni anno sull'andamento dei propri lavori. Sebbene la Conferenza Disarmo non sia legalmente vincolata dalle raccomandazioni dell'Assemblea Generale, essa ha sempre iscritto nel proprio ordine del giorno le tematiche sulle quali l'Assemblea Generale ha attirato la sua attenzione.

Al momento della sua costituzione nel 1979, il Comitato del Disarmo a Ginevra decise di occuparsi della cessazione della corsa agli armamenti e del Disarmo nei seguenti settori: - armi nucleari in tutti gli aspetti; - armi chimiche; - altre armi di distruzione di massa; - armi convenzionali; - riduzione dei bilanci militari; - riduzione delle forze armate; - disarmo e sviluppo; - disarmo e sicurezza internazionale; - misure collaterali; misure per l'accrescimento della fiducia; metodi di verifica; - programma globale di disarmo. Ispirandosi a questo cosiddetto "decalogo", la Conferenza, all'inizio di ciascun anno, decide l'ordine del giorno e fissa il proprio programma dei lavori.

 

Come la struttura dei rapporti tra gli organi chiamati ad occuparsene a vari livelli anche i temi relativi al disarmo sono complessi.

Giova ricordare come gli armamenti vengono solitamente distinti in armi convenzionali ed armi di distruzione di massa. Le prime, generalmente ritenute legittime, vengono definite “convenzionali” in base a due osservazioni: possiedono una capacità distruttiva relativamente contenuta ed hanno effetti discriminanti per cui consentono una maggiore tutela della popolazione civile. Le seconde, invece, comprendenti armi nucleari, biologiche, chimiche sono accomunate dalla caratteristica di possedere un potenziale distruttivo enorme e, soprattutto, indiscriminato.

 

Tra i temi del dibattito sul disarmo uno dei più rilevanti è quello concernente le armi di distruzione di massa. Relativamente a tali armi (nucleari, chimiche e biologiche, oltre ai missili) in ambito ONU sono stati sviluppati strumenti multilaterali di cui si dà conto di seguito.

 

Il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons (NPT) che rappresenta il solo strumento convenzionale a livello multilaterale vincolante nei confronti degli Stati che possiedono armi nucleari. Aperto alla firma il 1° luglio 1968, il Trattato è entrato in vigore il 5 marzo 1970; oggi ne sono Parti 190 Stati, rappresentando così uno degli strumenti giuridici internazionali a più vasta partecipazione: soltanto pochi paesi non ne sono oggi parte (India, Pakistan, Israele e Corea del Nord).

L’art. VIII del Trattato prevede la convocazione ogni 5 anni di una conferenza di riesame che accerti l’attuazione del Trattato. L’ultima, del 2005, si era conclusa senza un documento finale consensuale date le divergenze sulle priorità tra gli Stati partecipanti.

Giova ricordare al riguardo come l’Unione Europea avesse già adottato nel 2003 una posizione comune circa la strategia da attuare nella lotta alle armi di distruzione di massa (Consiglio Europeo, 12 dicembre 2003), una successiva posizione comune datata 25 aprile 2005, in vista della Conferenza, nonché due risoluzioni del 2006[22] e 2007[23] concernenti rispettivamente misure restrittive contro la Corea e l'Iran. La posizione comune del 2005 conserva tuttora la sua validità ed è tesa a favorire l’universalizzazione del Trattato, richiamdosi ai principi della Strategia europea contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa adottata dal Consiglio europeo nel dicembre 2003.

La prossima conferenza di riesame si terrà a NewYork, nella sede delle Nazioni Unite, nel maggio 2010, ma i lavori del Comitato preparatorio si sono già tenuti nei giorni 4 - 15 maggio 2009. Nel documento finale stilato dal Comitato preparatorio, adottato il 15 maggio 2009 viene formulata in maniera unanime la candidatura di Libran N. Cabactulan, ambasciatore delle Filippine, come presidente della Conferenza di revisione 2010, nonché vengono espressi orientamenti circa le candidature per ciascuna commissione di riesame[24].

 

Il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty (CTBT) in ambito civile e militare è stato adottato dall’Assemblea generale il 10 settembre 1996, ma non è entrato in vigore perché non è stato raggiunto il numero di 140 ratifiche. Si ricorda, tuttavia, che diverse potenze atomiche – con l’eccezione di Cina, Corea del Nord e Francia (che ha ratificato il Ctbt) – sono comunque vincolate dalle disposizioni del Trattato di bando parziale (Partial Test-Ban Treaty, Ptbt) che limita al sottosuolo l’ambiente in cui condurre gli esperimenti. Le potenze atomiche che hanno firmato il Ctbt, compresi gli Stati Uniti, Israele e la Cina che pure non l’hanno ratificato, mantengono una moratoria volontaria sui test. India e Pakistan, che non hanno firmato il Ctbt, dichiarano di non avere in programma nuovi test dopo quelli del 1998.

La posizione della Corea del Nord appare di rilievo in relazione al tema degli esperimenti nucleari, nonché alla proliferazione delle armi di distruzione di massa. La Corea del Nord, infatti, ha deciso di uscire fuori dal quadro normativo fornito dal NPT il 10 aprile 2003, rivendicando da allora un proprio diritto naturale alla detenzione di armi nucleari e di distruzione di massa. Nell'agosto 2003, è stato istituito un Six-Party Talks, allo scopo di porre fine al programma nucleare della Corea del Nord, attraverso un processo di negoziazione che coinvolge Cina, Stati Uniti, Nord e Sud Corea, Giappone e Russia. Sebbene in principio il Six-Party Talks ha consentito di instaurare un clima di dialogo, nel 2009 la Corea del Nord ha deciso di interrompere i lavori del Six-Party Talks rivendicando il proprio programma nucleare, ritenuto legittimo e naturale, secondo l'amministrazione centrale coreana.

Gli ultimi esperimenti nucleari sono stati condotti dalla Corea del Nord nell' aprile e maggio 2009, ai quali sono seguiti un condanna estesa da parte della Comunità Internazionale, nonché una risoluzione del Consiglio di Sicurezza (1874/2009) e un rapporto del Presidente del Consiglio di Sicurezza dedicati alla soluzione di tale questione.

La risoluzione 1874/2009 rinnova l'impegno per riportare la Corea del Nord nel quadro giuridico del NPT e della IAEA, grazie al Comitato ad hoc istituito con la precedente risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 1718/2006, Inoltre, viene auspicata la creazione di un Panel di esperti nazionali cha aiuti il dialogo e la mediazione per facilitare i lavori della commissione medesima, come disposto dal par. 26 della risoluzione 1874/2009.

 

La Convenzione sulle armi chimiche (CWC) adottata dopo dieci anni di negoziati dalla Conferenza sul disarmo a Ginevra il 3 settembre 1992 è entrata in vigore il 29 aprile 1997. Rappresenta il primo accordo negoziato in ambito multilaterale che mira all’eliminazione di un’intera categoria di armi di distruzione di massa sotto il controllo internazionale. A partire dall’entrata in vigore della Convenzione, hanno dichiarato di essere in possesso di armi chimiche solo sei Paesi (Russia, Stati Uniti, India, Corea del Sud, Albania e Libia). Tutti gli Stati hanno incontrato difficoltà a rispettare i termini previsti per la distruzione delle armi in questione di 10 anni dall’entrata in vigore e tutti gli Stati possessori hanno richiesto una proroga. L’Italia, all’entrata in vigore della CWC nel 1997 ha dichiarato di possedere un certo numero di vecchie armi chimiche risalenti alla Prima guerra mondiale avviate alla distruzione nell’impianto militare di Civitavecchia. Ritrovamenti più recenti di quantità importanti hanno reso necessaria la richiesta dell’Italia di una proroga, poi concessa, fino ad aprile 2012.

Altra Convenzione di ampia rilevanza internazionale è quella sulla proibizione dello studio, della fabbricazione e dello stoccaggio di armi batteriologiche, biologiche e di sostanze tossiche (Convenzione sulle armi biologiche – BWC). La Convenzione ha sostituito il Protocollo di Ginevra del 1925 sulle armi chimiche. Anche in questo caso la proibizione della fabbricazione e dell’uso di un’intera categoria di armi viene posta sotto il controllo internazionale. Aperta alla firma il 10 aprile 1972, la BWC è entrata in vigore il 26 marzo 1975. La mancanza di strumenti di controllo formali ha tuttavia limitato l’efficacia della Convenzione; l’Italia ne sostiene il rafforzamento e l’universalizzazione, sostenendo in particolare la ricerca di efficaci meccanismi di verifica.

Una delle preoccupazioni della Comunità internazionale è l’aumento degli Stati che possiedono missili balistici o di altro tipo, comunque tecnicamente sofisticati ed in grandi quantità. Questa minaccia viene fronteggiata con diverse misure a livello unilaterale o multilaterale. Non esistono comunque norme o strumenti universalmente accettati per controllare lo sviluppo, la sperimentazione e la produzione di tali armi, nonché il loro mercato o le condizioni del loro utilizzo.

Il 28 aprile 2004 il Consiglio di Sicurezza ha approvato la Risoluzione n. 1540Non-proliferation of weapons of mass destruction, che, esprimendo preoccupazione per la minaccia posta dagli attori non statuali e dai gruppi terroristici, riafferma l’importanza dell’azione relativa alla prevenzione della proliferazione delle armi di distruzione di massa. Al fine di rendere effettiva l’applicazione della risoluzione, il CdS aveva previsto la formazione di un Comitato ad hoc a cui gli Stati erano invitati a presentare rapporti nazionali relativi alle azioni intraprese per l’attuazione della risoluzione.

Nel 2006, tuttavia, è stato constatato che non tutti gli Stati avevano assolto ai loro obblighi di invio dei rapporti. Per tale motivo, con la Risoluzione 1673 del 27 aprile 2006, il Consiglio di Sicurezza ha prorogato il mandato del Comitato 1540 sino al 27 aprile 2008. Infine con la risoluzione 1810 del 2008 si è deciso di prolungare ulteriormente il mandato del Comitato 1540 fino al 25 aprile 2011, ponendo come data ultima per l'invio dei report annuali ad opera di ciascuno Stato il 31 luglio 2008.

 

Anche in materia di “divieto della produzione di materiale fissile per armi nucleari e altri ordigni esplosivi” l’Assemblea generale ha approvato per consenso una Risoluzione nel 1993. Ne è seguito nel 1994 un mandato negoziale da parte della Conferenza disarmo per accertare la possibilità di giungere al negoziato di un Trattato FMCT (Fissile Material Cut-off Treaty). Tale proposta gode del sostegno della Delegazione italiana alla Conferenza Disarmo.

 

In materia di armi convenzionali, una delle maggiori  preoccupazioni della Comunità internazionale è rivolta alle armi piccole e leggere (Small arms and light weapons – SALW) che per la loro facilità di uso e per la disinvoltura con cui vengono commerciate anche illegalmente rappresentano una seria minaccia. Fin dalla 50a sessione dell’Assemblea generale tale problema è stato posto nell’agenda degli organi che si occupano di disarmo, al fine di porre sotto controllo internazionale anche questi strumenti che più frequentemente sono utilizzati per perpetrare le violazioni del diritto internazionale. Il controllo delle armi piccole e leggere è un problema che riguarda i termini di definizione dei conflitti locali e regionali, le condizioni di ristabilimento della pace, lo smantellamento degli arsenali e la smilitarizzazione di intere zone. Esso richiede lo sforzo di cooperazione e di armonizzazione delle iniziative e delle normative da parte degli Stati coinvolti, e una maggiore capacità di controllo da parte degli organi internazionali. A tal fine è stato creato in ambito ONU un Gruppo apposito (The group of interested States in practical disarmament measures)[25].

 

Sul tema del controllo degli armamenti e disarmo convenzionale vanno menzionati, a titolo di completezza, due ulteriori processi. In primo luogo, il processo di Ginevra, in seno alla Conferenza Disarmo, che ha portato all’adozione il 10 ottobre 1980 della Convenzione su “certe armi convenzionali considerate pericolose” (CCW), aperta alla firma nel 1981 ed entrata in vigore nel 1983, in cui la tendenza prevalente sul problema delle bombe a grappolo era ad orientare i lavori verso l’adozione di best practices. In secondo luogo, quello di Oslo che ha portato nel maggio 2008 alla adozione da parte delle delegazioni di 111 Paesi che ne sono Parti di un Trattato multilaterale sulla messa al bando di munizioni a grappolo, che l’Italia si è impegnata a firmare entro la fine del 2008 e a sottoporre in breve termine a ratifica. La successiva Conferenza diplomatica di Dublino tenutasi il 30 maggio 2008 ha portato alla stipula della Convenzione sulle munizioni a grappolo. La Convezione, sebbene sia il risultato di un processo diplomatico tra Stati, ha visto la partecipazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa nonché delle Nazioni Unite, tanto ai lavori preparatori così come a quelli per la stipula della Convenzione medesima. Come sottolineato dal Segretario Generale dell'ONU nel proprio messaggio inviato in seno alla Conferenza di Dublino, la Conferenza segna un ulteriore passo in avanti per la protezione dei civili nei conflitti armati, nonché nell'implementazione del diritto internazionale umanitario e nello sforzo globale nell'eliminare cause di sofferenza o morte atroce ed inutile. Attualmente hanno firmato la Convenzione 98 paesi, molti dei quali appartenenti al gruppo dei Paesi in via di sviluppo[26].

L'Italia ha firmato la Convenzione sulle munizioni a grappolo il 3 dicembre 2008, sebbene ancora non l'abbia ratificata.

 

Si ricorda altresì la Convenzione di Ottawa sulla messa la bando delle mine anti-persona (Anti-personnel mines convention, APL) aperta alla firma nel dicembre 1997  ratificata dall’Italia nel 1999, attualmente in vigore per 156 Stati tra cui 149 hanno effettuato la distruzione delle scorte.

 

Si menziona infine la proposta britannica di un Trattato internazionale che disciplini il commercio di armamenti convenzionali, che, avanzata nel 2005 da Jack Straw allora Segretario del Foreign Office, ha raccolto la totalità dei consensi dei Paesi dell’UE e di numerosi Paesi di altre aree geografiche, portando all’adozione da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU, nel dicembre 2007, della Risoluzione 61/89, su cui si sono pronunciati: a favore 153 Stati, contro gli Stati Uniti e 24 Paesi si sono astenuti. Grazie all'approvazione della Risoluzione 61/89 l'Assemblea Generale ha chiesto e ottenuto da parte del Segretariato Generale l'istituzione di un Gruppo di esperti nazionali per stilare una prima bozza del trattato sul commercio degli armamenti convenzionali. Il Gruppo di esperti ha consegnato il suo primo report il 26 agosto 2008, nel quale vengono illustrati la fattibilità, portata e parametri del futuro trattato internazionale. Al fine di dare maggiore impulso al dialogo per la stipula del trattato, il Gruppo di esperti ha suggerito all'Assemblea Generale di stabilire incontri settimanali dedicati all'argomento[27], nel periodo 2009-2011. La prossima riunione si terrà nei giorni 22-26 febbraio 2010.

 

 

 


L’Alto Rappresentante per il disarmo
(a cura del Servizio Studi del Senato)

L’UNODA (United Nations Office for Disarmament Affairs) è l’ufficio ONU per il disarmo che si rapporta direttamente al Segretario Generale. Dalla sua istituzione, avvenuta nel 1982 su raccomandazione della seconda sessione speciale sul disarmo dell’Assemblea Generale (SSOD II), e fino al 1992 l’organismo delle Nazioni Unite dedicato ai temi del disarmo era configurato come un Dipartimento; nei successivi cinque anni (fino al 1997) esso è stato un Centro sottoposto al Dipartimento degli Affari politici.

 

L’UNODA promuove gli obiettivi del disarmo e della non proliferazione nucleare nonché il disarmo con riguardo alle altre armi di distruzione di massa e a quelle chimiche e biologiche. Anche il disarmo in riferimento alle armi convenzionali, in particolare mine e piccole armi, strumenti offensivi d’elezione nei conflitti contemporanei, è oggetto della sua attività.

 L’UNODA fornisce supporto sostanziale e organizzativo nell’area di propria competenza ai lavori della prima commissione dell’Assemblea Generale, la DISAC (Disarmament and International Security Committee), della Commissione Onu per il disarmo UNDC[28] (United Nations Disarmament Commission) e della Conferenza sul disarmo, CD[29].

L’UNODA, infine, favorisce misure concrete di sostegno al disarmo dopo i conflitti, sostenendo il disarmo e la smobilitazione dei combattenti e supportandone il reintegro nella società civile.

 

Per lo svolgimento di tali attività la struttura dell’Unoda è organizzata in 5 articolazioni. In particolare il Segretariato (CD Secretariat and Conference Support Branch), che ha sede a Ginevra, supporta le attività della Conferenza sul Disarmo e dei suoi organi sussidiari predisponendo documenti di analisi ed effettuando ricerche e assiste il Segretario Generale della Conferenza nello svolgimento delle sue funzioni.

Il Segretariato mantiene i collegamenti con le missioni permanenti presenti a Ginevra, con le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite e con le organizzazioni non governative di area europea e, se richiesto, fornisce supporto alle conferenze e ai meetings sui temi del disarmo multilaterale che si svolgono in Europa.

Infine,  il Segretariato sovrintende allo sviluppo del Programme of Fellowships on Disarmament[30].

 

Il 2 luglio 2007 il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon ha nominato il diplomatico brasiliano Sergio de Queiroz Duarte Alto Rappresentante per il disarmo, a livello di sotto segretario generale.


Politiche climatiche, anche in previsione del prossimo G8 e della Conferenza di Copenaghen 2009
(a cura del Servizio Studi del Senato)

Il cambiamento climatico è un problema sulla cui soluzione si dibatte da oltre un trentennio. Nel 1997 la Convenzione ONU sul Clima ha approvato il Protocollo di Kyoto, prevedendo un impegno alla riduzione delle emissioni da parte dei Paesi industrializzati. Negli ultimi anni, tuttavia, il negoziato ha visto l’emergere di diverse posizioni contrapposte, anche a seguito della mancata ratifica del Protocollo da parte degli Stati Uniti. Il 2009 rappresenta un anno di svolta, grazie alla posizione assunta dal Presidente Obama, ma anche a seguito delle interessanti aperture da parte dalle grandi economie emergenti, a cominciare dalla Cina.

  

La Presidenza Italiana del G8 intende favorire il raggiungimento di posizioni consensuali in materia di cambiamenti climatici, puntando ad imprimere un decisivo impulso politico verso un accordo globale sul cambiamento climatico, in vista della Conferenza ONU sul clima, che si svolgerà a Copenaghen il prossimo dicembre, ove auspicabilmente si deciderà il regime globale di riduzione delle emissioni post-2012. A tal fine, l’Italia sta lavorando attivamente con tutti i nostri partners per promuovere un accordo che includa sia i paesi industrializzati che quelli in via di sviluppo, sulla base del principio delle responsabilità comuni ma differenziate e delle rispettive capacità.

 

La posizione in materia di cambiamenti climatici assunta dall’Amministrazione Obama, insieme al disegno di legge sul ruolo dell’energia pulita nella lotta al cambiamento climatico (American Clean Energy Security Act),  presentato di recente dal Congresso americano, indicano che vi è una nuova, promettente dinamica nei negoziati che dovrebbero portare ad un accordo globale. Gli USA hanno deciso, con il sostegno pieno dell’Italia, di rilanciare il processo MEF (Major Economies Forum).

 

Nato come un foro di dialogo tra i principali emettitori di CO2 nell’atmosfera, il MEF   raggruppa 17 Paesi (i G8 + Cina, India, Brasile, Messico, Sudafrica, Australia, Indonesia, Corea del Sud e Danimarca, in qualità di paese ospitante dell’importante conferenza di fine anno), responsabili per l’80% del totale delle emissioni.  Il MEF offre una cornice ampiamente rappresentativa che può contribuire in maniera utile all’identificazione di un terreno comune per un accordo globale. Allo stesso tempo, tale formato, essendo di dimensioni contenute, favorisce un dialogo efficace e positivo.             

 

La recente approvazione del pacchetto UE clima energia, inoltre, è la migliore garanzia che l’Europa sarà capace di confermare la propria leadership nei negoziati globali sul cambiamento climatico. L’Italia sta facendo la sua parte. Insieme a Francia, Germania e Gran Bretagna, esercita nel G8 e nel Major Economies Forum un ruolo guida, forte dell’impegno europeo che si è dimostrato fino ad oggi il più ambizioso ed avanzato, prevedendo un impegno di riduzione unilaterale delle emissioni di gas serra del 20% entro il 2020, che salirebbe al 30% se vi fosse un accordo internazionale. Come sottolineano i più autorevoli e recenti studi scientifici, a partire dal Quarto Rapporto dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) del 2007, solo un reale impegno collettivo permetterebbe di limitare il riscaldamento globale, riducendo così le probabilità che il cambiamento climatico causi impatti ancora maggiori sul nostro pianeta.

 

La legislazione europea contempla obiettivi precisi e vincolanti per la riduzione delle emissioni inquinanti e per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Grazie anche all'azione del nostro Paese, a Bruxelles si è stabilito che le politiche di lotta al cambiamento climatico ed in favore della sicurezza energetica siano affrontate con piani e modalità che non penalizzino la capacità di competere dell’industria europea, a vantaggio di attori economici internazionali non assoggettati a vincoli equiparabili. Questo è un tema cruciale, per il quale è indispensabile un coinvolgimento attivo di tutte le principali economie mondiali.

 

La lotta ai cambiamenti climatici presenta anche importanti risvolti sul piano economico. Gli investimenti necessari per il clima potranno infatti tradursi in nuove occasioni d’impiego, generando occupazione e contribuendo a combattere gli effetti della crisi economica. I “green jobs” potranno fornire un contributo determinante al rilancio dei consumi e alla ripresa. La Presidenza italiana del G8 intende dare risalto all’importanza degli investimenti nelle energie rinnovabili e nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio, essenziali per il progresso verso la sostenibilità e per fermare il cambiamento climatico. Lo sviluppo e la diffusione di tecnologie pulite hanno costituito oggetto di approfondimento nel corso delle riunioni ministeriali G8 Energia e Ambiente, i cui risultati confluiranno nel Vertice dell’Aquila.

 

 


UNDP (United Nations Development Programme)
(a cura del Servizio Studi della Camera)

 

 

L’UNDP, che ha sedi in 166 paesi è il Programma delle Nazioni Unite specificamente dedicato ai temi dello sviluppo sociale e umano, tra i quali la diffusione della ‘governance’ democratica, la eradicazione della povertà, la prevenzione delle crisi, la migliore gestione delle risorse e il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni anche dal punto di vista abitativo e sanitario, lo sviluppo delle opportunità per le donne.

La sua natura di ente preposto ai temi globali dello sviluppo ne fanno il principale partner all’interno del sistema delle Nazioni Unite nel perseguimento degli Obiettivi del Millennio  (MDG – Millennium development goals).  L’UNDP infatti lavora per garantire la coerenza e l’efficacia dei programmi messi in atto a livello nazionale per il perseguimento di questi obiettivi, ed assicurare strumenti tecnici e politici volti a favorire le iniziative dei singoli paesi.

 

Nel 2007 l’Assemblea Generale ha adottato la risoluzione 62/208 con la quale approvava un documento di controllo e di valutazione dell’intera politica delle Nazioni unite in materia di sviluppo (Triennial comprehensive policy review for the operational activities for development of the UN System – TCPR). In questo quadro l’UNDP ha una rilevante importanza esercitata non solo a livello degli organi centrali di coordinamento, ma anche tramite i rappresentanti locali che risiedono nei paesi interessati e svolgono un ruolo importante di coordinamento delle attività operative e un efficiente coordinamento delle attività promosse dalle Nazioni unite a livello locale.

L’UNDP assicura altresì che le attività delle Nazioni unite siano integrate con gli obiettivi di sviluppo nazionali.

 

Nell’ambito degli sforzi crescenti verso una migliore coerenza ed efficienza delle attività intraprese a livello nazionale e verso una maggiore integrazione tra le varie iniziative delle Nazioni unite, l’UNDP viene spesso chiamato a svolgere un ruolo di amministratore dei fondi messi a disposizione da più  paesi donatori (multi donor trust funds). Questi fondi sono strumenti finanziari attraverso i quali i paesi donatori raccolgono risorse per sostenere le iniziative dei singoli paesi e per facilitare il coordinamento del lavoro delle agenzie delle Nazioni unite.  Dal 2004 ad oggi l’importo di tali fondi è cresciuto fino a raggiungere i 3 miliardi di dollari. Tra questi il maggiore è l’ “Iraq Trust Fund”, che ammonta a un miliardo di dollari.

 

La prospettiva del raggiungimento degli obiettivi del Millennio, rappresenta attualmente il quadro di riferimento di tutte le attività degli organi delle Nazioni unite preposti allo sviluppo. Tuttavia il rallentamento della crescita economica mondiale e l’aumento dei prezzi delle materie prime alimentari e del petrolio mettono in pericolo i risultati già conseguiti verso la riduzione della povertà.

Dati diffusi recentemente dalla Banca mondiale e riportati in un comunicato stampa dell’UNDP confermano che nel periodo dal 1990 al 2005 il numero dei poveri nei paesi in via di sviluppo è diminuito di quattrocento milioni di persone (da 1,8 miliardi a 1,4 miliardi). Tale dato non è però così incoraggiante, perché le stime si attendevano cifre ancora inferiori. Inoltre sussistono ampie disparità di crescita tra le regioni del mondo. L’estrema povertà risulta molto ridotta in alcune aree dell’Estremo Oriente quali la Cina, mentre negli stati della regione sub sahariana e in alcune regioni della Comunità degli stati indipendenti (CSI) il numero di persone che vivono sotto la soglia della povertà è addirittura aumentato.

In questo quadro si prevede che i crescenti prezzi delle materie prime alimentari spingeranno molte più persone sul limite della povertà proprio nelle regioni che sono già colpite da questo flagello.

Il clima favorevole alla crescita che si era registrato all’inizio degli anni 2000 è ora svanito e il rallentamento dell’economia in tutto il mondo minaccia di ridurre ancora di più i redditi dei più poveri. La crisi alimentare diffonderà la fame tra le popolazioni meno favorite, che saranno colpite ancora più duramente dai cambiamenti climatici. Queste nuove sfide richiedono interventi immediati che non devono però distrarre gli sforzi della Comunità internazionale dagli obiettivi di più lungo periodo, con i quali sono strettamente connessi, perché esiste un nesso tra diffusione della povertà, cambiamenti climatici, e aumento dei prezzi dei prodotti essenziali.  Uno sforzo globale, sostenuto dalla consapevolezza del problema viene richiesto a tutti i governi al massimo livello.  Il tema della crisi alimentare e agricola e il problema della riduzione della povertà sono al primo posto nell’agenda della nuova sessione di lavori dell’Assemblea generale.

Infatti, nonostante alcuni dati incoraggianti relativi soprattutto alla scolarizzazione, alla diffusione di determinate tecnologie e a migliorate condizioni igieniche, molti degli obiettivi sono a rischio senza uno sforzo rinnovato e coerente da parte di tutti i paesi. Tuttora diverse centinaia di migliaia di donne muoiono di parto nei paesi sottosviluppati; il 25% dei bambini, in questi paesi, sono denutriti e vanno incontro a malattie della crescita; metà della popolazione dei PVS vive in condizioni igieniche e sanitarie insufficienti, e più di un terzo di loro abita inslums’,  due terzi della popolazione femminile attiva lavora senza tutela e spesso senza stipendio.

In questo quadro il ruolo dell’UNDP è favorire le condizioni per avviare all’interno di ciascun paese uno sviluppo sostenibile. Infatti le strategie nazionali e locali non possono funzionare in assenza di un ambiente favorevole, un’organizzazione efficiente e adeguate risorse umane. A tal fine è anche essenziale un clima politico democratico, in cui le istituzioni funzionino in modo trasparente e tutte le componenti sociali siano adeguatamente rappresentate.

L’UNDP sostiene con risorse economiche consistenti i processi di democratizzazione delle istituzioni e rappresenta uno dei maggiori partner di cooperazione tecnica a livello globale.  Circa il 40% delle sue risorse (1,5 miliardi di dollari) sono spesi per questo scopo. Inoltre l’UNDP gestisce un Fondo ad hoc  costituito da una serie di paesi donatori: il Democratic governance thematic trust fund che nel 2007 ha sostenuto 130 progetti finalizzati a favorire la partecipazione politica, a promuovere pratiche democratiche presso i governi.

 

Un’altra importante area di intervento dell’UNDP è la prevenzione delle crisi e il sostegno alla ripresa dopo le crisi, siano esse rappresentate da conflitti o da disastri naturali. Nel 2001 è stato creato il Bureau for Crisis Prevention and Recovery (BCPR), un organo operativo con uffici in oltre 100 paesi che coordina tra loro le attività delle varie agenzie umanitarie in momenti di crisi e provvede sia alle esigenze immediate sia alla gestione dei lunghi periodi di ripresa che seguono le emergenze. Il Bureau fornisce informazioni e servizi in tempi rapidi per le esigenze dei paesi in stato di necessità, con i quali instaura rapporti di partnership. L’obiettivo dell’intervento resta comunque il sostegno ai bisogni individuali delle popolazioni alle quali vengono forniti beni e servizi di immediata necessità nei momenti più difficili.

Il Bureau fornisce consulenza tecnica e risorse finanziarie, sostiene le fasce meno protette della popolazione, favorisce l’intervento di associazioni o soggetti disposti a cooperare e coordina le loro attività, si prefigge di sviluppare nelle società che vivono situazioni critiche, la capacità di prendere le decisioni politiche necessarie per risolvere o prevenire le criticità,  funziona da centro di iniziativa e di decisione politica per le agenzie e i governi partner, svolge infine la funzione di sensibilizzare la collettività internazionale nei casi di crisi.

 

Un ulteriore importante settore di intervento dell’UNDP è quello ambientale.

In tutto il mondo i poveri sono i più colpiti dal degrado ambientale e dalla impossibilità di disporre di energia pulita e a costo sostenibile. I cambiamenti climatici, la perdita della biodiversità e l’impoverimento delle risorse naturali sono problemi globali. Uno dei compiti dell’UNDP è rafforzare la capacità di ogni nazione di gestire i problemi ambientali in modo sostenibile assicurando allo stesso tempo una protezione adeguata per le fasce di popolazione più deboli.  Ad esempio il problema dei cambiamenti climatici è oggetto del più recente rapporto dell’UNDP sullo sviluppo umano (Human development report). L’UNDP lavora per coordinare tra loro le azioni di adattamento degli stati ai cambiamenti climatici e le loro risposte di assorbimento e minimizzazione degli effetti negativi di tali cambiamenti, sviluppando la capacità nazionale di opporre strategie di sviluppo alle mutate condizioni climatiche. L’UNDP sostiene il Clean development mechanism che fornisce strumenti finanziari derivati da investimenti sia pubblici che privati dei paesi ‘ricchi’ per sviluppare nuove fonti energetiche nei PVS.  I governi o le maggiori imprese dei paesi industrializzati finanziano tramite questo strumento progetti di riduzione delle emissioni e  ricerche volte a favorire l’efficienza energetica. Un altro strumento finanziario di cui UNDP è partner e promotore è il MDG Carbon Facility. Questo strumento è stato sviluppato in collaborazione con la società assicurativa e bancaria Fortis, e mira a investire le vaste risorse del mercato del carbone in progetti a lungo termine di sviluppo sostenibile nei paesi meno avanzati. Il ruolo dell’UNDP è quello di aiutare i governi dei paesi interessati a formulare progetti di riduzione delle emissioni che corrispondano agli standard fissati nel Protocollo di Kyoto e – contemporaneamente - assicurino la crescita dello sviluppo umano.  Il partner privato Fortis trae beneficio dall’acquisto e successiva cessione dei crediti derivanti dalla riduzione delle emissioni, e quindi  mette a disposizione dei governi  nuove risorse per finanziare investimenti a lungo termine.

Insieme all’UNEP (United Nations environment programme) e alla Banca mondiale, l’UNDP contribuisce al programma Global Environment Facilities (GEF) che fornisce ai paesi in via di sviluppo le risorse finanziarie per adottare programmi di tutela dell’ambiente relativi ad ogni aspetto: biodiversità, cambiamenti climatici, tutela delle acque, degrado del territorio, strato di ozono, ecc. Si ricorda, infine, che a febbraio del 2008 i progetti finanziati dal GEF tramite l’UNDP ammontavano a 7,5 miliardi di dollari, per un totale di 560 progetti sul territorio.


La Cooperazione parlamentare in ambito ONU
(a cura del Servizio Rapporti internazionali della Camera)

La cooperazione parlamentare in ambito ONU si è avvalsa in ripetute occasioni degli incontri tra gli Organi della Camera e i massimi rappresentanti dell’Organizzazione.

Il 24 aprile 2009 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha ricevuto il Sotto Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Maria Costa, che ricopre altresì le cariche di Direttore esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) e di Direttore generale dell’Ufficio delle Nazioni Unite di Vienna. In tale occasione il Presidente Fini ha inviato il Direttore Costa a presentare una relazione su “Il contributo dei Parlamenti nella lotta al traffico della droga e al crimine organizzato” alla Sessione allargata[31] del G8 dei Presidenti delle Camere basse dei Parlamenti che si è tenuta a Roma, presso la Camera dei Deputati, il 13 settembre 2009.

Il 2 luglio 2008 il Presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, Srgjan Kerim, in visita ufficiale in Italia, ha incontrato il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, e il giorno successivo, 3 luglio 2008, ha tenuto un'audizione informale dinanzi alle Commissioni riunite Affari Esteri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Il 22 ottobre 2007, Asha-Rose Migiro, Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite ha effettuato una visita ufficiale in Italia ed ha incontrato alla Camera, il Presidente Fausto Bertinotti, nonché il Presidente della Commissione Affari esteri, Umberto Ranieri e il Presidente dell’Unione interparlamentare, Pier Ferdinando Casini. Nel corso dei colloqui, il Vice Segretario generale ha ringraziato l’Italia per il suo contributo nel campo delle operazioni di peacekeeping e dei diritti umani. Ha quindi ribadito  che il multilateralismo è la strada per risolvere  le grandi sfide di fronte all’ONU, ossia la lotta alla povertà, alle disuguaglianze, alla discriminazione. Ha inoltre assicurato il sostegno delle Nazioni Unite per l’abolizione della pena di morte. La signora Migiro ha quindi ringraziato l’Italia per il suo impegno finanziario nelle Nazioni Unite ricordando anche il contributo del nostro paese alla formazione di personale specializzato di alto livello. A proposito della ristrutturazione del Segretariato, e in particolare del Dipartimento per gli Affari politici, ha chiesto il sostegno dell’Italia per l’Unità di mediazione e per il potenziamento della diplomazia di prevenzione che prevede nelle possibili aree di crisi la creazione di uffici in loco.

Il 18 aprile 2007 il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha effettuato una visita ufficiale in Italia. In tale occasione ha incontrato il Presidente della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti, nonché le Commissioni Affari esteri della Camera e del Senato riunite. Nel corso degli incontri ci si è soffermati sulla necessità di rafforzare le Nazioni Unite e di realizzare tale risultato mediante il consenso. Il Segretario Generale dell’ONU si è dichiarato favorevole alla proposta italiana per una moratoria della pena di morte ed ha anche osservato come vada crescendo nella comunità mondiale la tendenza a procedere all’abolizione delle pene capitali.

Il 27 febbraio 2007 il Presidente della 61ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, Haya Al Khalifa, ha effettuato una visita ufficiale in Italia. In tale occasione ha incontrato il Presidente della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti, nonché  l’Ufficio di Presidenza della Commissione Affari esteri della Camera, integrato dai rappresentanti dei Gruppi. Quindi, la Presidente Al Khalifa ha incontrato il Presidente dell’Unione interparlamentare, Pier Ferdinando Casini. Nella stessa occasione il Presidente Al Khalifa ha partecipato, presso la Fondazione della Camera dei deputati, ad una conferenza sul tema “Verso una cultura dell’eguaglianza di genere nel XXI secolo”.

L’11 ottobre 2006 gli Uffici di Presidenza, integrati dai rappresentanti dei Gruppi, delle Commissioni Affari costituzionali (I) e Affari esteri (III) della Camera dei deputati, hanno incontrato Doudou Diène, Relatore speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di razzismo, di discriminazione razziale, di xenofobia e relative intolleranze.

Lo scorso 12 luglio 2006 il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha incontrato il Presidente della Camera, Fausto Bertinotti, il Presidente dell’Unione interparlamentare Pier Ferdinando Casini e le Commissioni Esteri della Camera e del Senato.

Sempre il 12 luglio 2006 il Presidente della Commissione Affari esteri, Umberto Ranieri, ha incontrato Tom Koenings, Capo della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan.

 

 

 

 


La Partecipazione parlamentare alle
Conferenze in ambito ONU
(a cura del Servizio Rapporti internazionali della Camera)

La delegazione parlamentare italiana alle sessioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite

L'Assemblea generale delle Nazioni Unite è la principale sede di decisione e l'organo più rappresentativo, composto da rappresentanti di tutti gli Stati membri, che dispongono di un voto ciascuno. La sessione annuale ordinaria dell’Assemblea inizia il terzo martedì di settembre e prosegue di regola fino alla terza settimana di dicembre e vi partecipano, invitate, in qualità di osservatori, delegazioni parlamentari degli Stati membri.

Nel corso della XIV e della XV legislatura, una delegazione parlamentare di componenti della Commissione Affari esteri si è recata a New York per ciascuna delle sessioni annuali, in concomitanza con la settimana ministeriale:

-          56 ma sessione, dal 9 al 16 novembre 2001

-          57 ma sessione, dal 10 al 16 settembre 2002

-          58 ma sessione, dal 23 al 26 settembre 2003

-          59 ma sessione, dal 20 al 24 settembre 2004

-          60 ma sessione, dal 14 al 20 settembre 2005

-          61 ma sessione, dal 18 al 22 settembre 2006

-          62 ma sessione, dal 24 al 28 settembre 2007,

-          63ma sessione, dal 22 al 26 settembre 2008 cui ha partecipato, per la Camera dei deputati, l’on. Alessandro Maran (PD).

 

La partecipazione parlamentare alle principali Conferenze ONU

L'agenda delle Nazioni Unite non si esaurisce con l'attività istituzionale dei suoi organi e con le attività poste in essere dalle Agenzie e dagli altri organismi che vi fanno capo, ma, sotto l’egida dell'ONU, vengono organizzati Summit, Conferenze e altre iniziative volte a migliorare le legislazioni mondiali, tramite l'adozione di Convenzioni, e a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle questioni più delicate che l'ONU ha in agenda.

Il Parlamento italiano ha attribuito particolare rilevanza alle tematiche a carattere ambientale cui fanno riferimento diverse conferenze relative alla applicazione delle Convenzioni Quadro delle Nazioni Unite. Nel corso della XIV e della XV legislatura delegazioni della Camera dei Deputati hanno regolarmente partecipato alle Sessioni annuali della Conferenza delle Parti (COP) relativa alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici (UNFCCC), che ha il compito di promuovere e controllare periodicamente l'applicazione della relativa Convenzione:

 

-          VI COP  Bonn, 18-21 luglio 2001

-          VII COP, Marrakech, 7-9 novembre 2001

-          VIII COP, Nuova Delhi, 30 ottobre-1° novembre 2002

-          IX COP, Milano, 10 -12 dicembre 2003

-          X COP, Buenos Aires, 13-18 dicembre 2004

-          XI COP, Montreal, 7-9 dicembre 2005

-          XII COP, Nairobi, 14 – 17 novembre 2006

-          XIII COP, Bali, 11-14 dicembre 2007

-          XIV COP, Poznan (Polonia), 11-12 dicembre 2008, cui hanno partecipato, per la Camera dei deputati, gli onorevoli Alessandro Bratti (PD) e Vincenzo Gibiino (PdL).

 

Si segnala che la prossima Conferenza delle Parti (la COP XV) avrà luogo a Copenhagen dal 7 al 17 dicembre 2009 e il Parlamento italiano, come di consueto, invierà una propria delegazione.

Tradizionalmente la Camera dei deputati partecipa alle riunioni della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (CSW) ed all’evento parlamentare che viene organizzato dalla Divisione delle Nazioni Unite per l’avanzamento delle donne e dall’Unione interparlamentare nel corso della riunione della Commissione. Il tema della 51ma Sessione della CSW, tenutasi a New York dal 29 febbraio al 9 marzo 2007, è stato “L’eliminazione di tutte le forme di violenza e discriminazione nei confronti delle bambine”. Il Presidente Bertinotti aveva investito della questione il Presidente del Comitato pari opportunità, Titti De Simone, ma per concomitanti impegni parlamentari non è stato possibile designare alcun parlamentare.

L’evento parlamentare, che si è svolto il 1° marzo, è stato dedicato al ruolo dei Parlamenti nella lotta alla discriminazione e alla violenza nei confronti delle bambine. Ai lavori ha partecipato l’on. Angela Napoli (AN).

La 52ma sessione si è svolta a New York dal 25 febbraio al 7 marzo 2008. L’evento parlamentare, organizzato dall’Unione interparlamentare e dalle Nazioni Unite, si è tenuto il 27 febbraio e ha avuto come tema “Il ruolo dei Parlamenti nel finanziamento a favore della parità di genere”. Pur avendo il Presidente della Camera dato indicazione che vi partecipasse una componente del Comitato Pari opportunità, nessun parlamentare ha potuto prendere parte all’evento. 

La 53ma sessione della Commissione sullo status delle donne si è svolta a New York dal 2 al 13 marzo 2009. La tavola rotonda si è tenuta il 2 marzo ed ha avuto come tema "Un'equa condivisione delle responsabilità tra donne e uomini compresa l'assistenza ai malati di HIV/AIDS". I lavori dell'Unione interparlamentare si sono tenuti il 4 marzo 2009. Hanno partecipato ai lavori della Sessione le onorevoli Paola Pelino (PDL) e Emilia Grazia De Biasi (PD) e le senatrici Ida Maria Germontani (PdL) e Vittoria Franco (PD).

La prossima sessione della Commissione sullo status delle donne, la 54ma, avrà luogo a New York dal 1° al 12 marzo 2010.

In tema di tutela delle donne e dell’infanzia, si ritiene utile ricordare che la Camera dei deputati ha ospitato, il 17 e 18 aprile 2004, la 1a Conferenza mondiale delle donne parlamentari per la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza cui hanno partecipato oltre 200 donne parlamentari provenienti da ogni parte del mondo.

Una seconda Conferenza si è tenuta a Sofia (Bulgaria) dal 19 al 20 giugno 2006. Ai lavori hanno partecipato l’on. Luana Zanella (Verdi) e la sen. Maria Burani Procaccini (FI).

 

 

 

 

 


Relazioni tra l’Unione Interparlamentare e le Nazioni Unite
(a cura del Servizio Rapporti internazionali della Camera)

A partire dagli anni novanta l’Unione interparlamentare ha dedicato crescenti sforzi per migliorare i propri rapporti con le Nazioni Unite convinta della necessità di realizzare un filo diretto tra l’ONU e i Parlamenti nazionali che la UIP rappresenta. Le Nazioni Unite hanno, a loro volta, riconosciuto l’importante contributo dei Parlamenti nazionali sia nel promuovere iniziative che nel tradurre gli impegni globali in specifiche normative e politiche nazionali.

Le relazioni tra le due Organizzazioni sono state formalizzate nel luglio 1996 con un Accordo di cooperazione e successivamente l’ONU ha riconosciuto alla UIP lo status di osservatore (ris. A 57/32 del 19 novembre 2002). Con una successiva risoluzione (A 57/47 del 21 novembre 2002) l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha autorizzato la circolazione dei documenti ufficiali della UIP in occasione delle sessioni dell'Assemblea Generale. Ciò ha consentito all’Unione interparlamentare di farsi conoscere in quel consesso grazie alla diffusione delle risoluzioni adottate nelle Assemblee UIP e nelle riunioni specializzate e di contribuire in maniera più incisiva ai lavori delle Nazioni Unite.

Nel 2002 la UIP, nell’ambito di una più stretta collaborazione con l’ONU, ha aperto a New York un proprio Ufficio: l’Ufficio dell’Osservatore permanente (OPO), il cui Direttore è l’Ambasciatore rumeno, Signora Anda Filip. Il mandato dell’Ufficio riguarda tre aspetti: rappresentanza, informazione e comunicazione, sostegno a progetti. In particolare, l’Ufficio rappresenta la UIP nelle riunioni degli organi ONU di cui segue i dibattiti e le iniziative; sostiene la posizione dell’Unione interparlamentare nell’Assemblea generale e nei suoi organi sussidiari; coordina le giornate parlamentari e gli altri eventi UIP che si svolgano al Quartier generale dell’ONU; assicura la circolazione di informazioni sull’Unione e sulle sue principali attività; facilita lo scambio di informazioni identificando possibili nuovi campi di collaborazione, sviluppa le relazioni con il Congresso degli Stati Uniti a Washington.

Da parte sua il Consiglio[32] dell’Unione interparlamentare, nel definire i rapporti tra le due Organizzazioni, ha cercato di disciplinare le modalità di partecipazione della UIP ai dibattiti dell’ONU stabilendo, come principio di base, che solo un membro del parlamento può esprimere le posizioni dell’UIP, una volta ricevuto mandato dall’Organizzazione a tale proposito. Richiamandosi ad esperienze passate, il Consiglio ha inoltre suggerito che il Rappresentante UIP in seno all’ONU possa essere di volta in volta il Presidente del Consiglio, un suo Vice od altro membro del Comitato Esecutivo, oppure anche il Presidente di Parlamento del Paese che ospiti la Conferenza.

Il Consiglio interparlamentare è tornato nuovamente sul tema dei rapporti ONU/UIP in occasione dell’esame del Rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, sullo status dell’attività dell’UIP[33]. Nel documento, il Segretario Generale sottolineava come la partecipazione dell’Unione interparlamentare ai meeting delle Nazioni Unite avesse un duplice, benefico effetto: di intervenire nella fase di decisione in ambito ONU e di favorire l’accoglimento delle decisioni ONU presso le Assemblee parlamentari. Tuttavia, le differenti dimensioni delle due Organizzazioni imponevano, inevitabilmente, delle scelte, dal momento che l’Unione interparlamentare, con la sua organizzazione ed il suo budget, non può occuparsi di tutte le questioni all’ordine del giorno delle Nazioni Unite. Annan suggeriva, quindi, che l’Unione interparlamentare si concentrasse, in via prioritaria, su alcune tematiche specifiche: democrazia, pace e sicurezza, sviluppo sostenibile, commercio e finanza.

Dal canto suo, l’Unione interparlamentare ha deciso di potenziare la cooperazione con le agenzie ONU deputate alla protezione dell’infanzia e alla diffusione dell’AIDS, ovvero con l’UNICEF e l’UNAIDS come peraltro dimostrato dalla sempre più attiva partecipazione alle Conferenze internazionali degli ultimi anni.

A testimonianza della volontà di realizzare una più stretta concertazione tra la UIP e l’ONU, il Consiglio direttivo[34] ha stabilito che l’agenda di lavoro delle tre Commissioni permanenti dell’Unione interparlamentare sia definita sulla falsariga delle priorità individuate a livello di Nazioni Unite, consentendo così un’azione integrata tra le due Organizzazioni. Il Segretariato dell’UIP è quindi chiamato a raccordarsi con il Segretariato delle Nazioni Unite per identificare le priorità delle Nazioni Unite che possano rappresentare la base di lavoro delle Commissioni permanenti dell’Unione interparlamentare.

Di relazioni ONU/UIP si è occupato il cd. Rapporto Cardoso[35] (United Nations High Level Panel on relations between the United Nations and civil society). Il documento è stato esaminato sia nell’ambito dell’Unione interparlamentare che nell’ambito dellaII Conferenza mondiale dei Presidenti dei Parlamenti ed ha suscitato perplessità e preoccupazione. Nelle conclusioni, il Gruppo di esperti che ha elaborato il documento proponeva di istituire dei comitati parlamentari che dovevano agire sotto la direzione di organizzazioni inter-governative, quali appunto le Nazioni Unite. Tale proposta non rispettava, secondo l’Unione interparlamentare, i più elementari principi di separazione ed indipendenza dei poteri, come pure i principi di trasparenza e legittimità democratica. Criticata è stata inoltre la proposta di istituire dei meccanismi parlamentari all’interno delle Nazioni Unite pressoché identici a quelli già esistenti all’interno dell’UIP.

Tuttavia, prendendo spunto dalle raccomandazioni del Panel Cardoso sul coinvolgimento dei parlamentari nell’attività delle Nazioni Unite, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una Risoluzione sulla Cooperazione tra le Nazioni Unite e l’Unione interparlamentare (ris.A59/19 dell’8 novembre 2004) in cui si incoraggiano le due Organizzazioni a continuare a cooperare, soprattutto nei settori della pace e della sicurezza, dello sviluppo economico e sociale, dei diritti umani, della parità dei sessi, in considerazione dei significativi benefici che derivano dalla reciproca collaborazione.

Come suggerito dalla risoluzione del 2004, il tema della cooperazione UIP/ONU è stato inserito nell’ordine del giorno della 61ma Sessione dell’Assemblea generale che, lo scorso 20 ottobre 2006, ha approvato la risoluzione A/RES/61/6  sulla cooperazione tra le Nazioni Unite e l’Unione interparlamentare. Il tema centrale della risoluzione è costituito dal riconoscimento che la giornata parlamentare UIP/ONU è un evento congiunto delle due Organizzazioni, formalmente inserito nell’ordine del giorno dell’Assemblea. La decisione conferisce un ulteriore riconoscimento allo status dalla UIP e permette anche di risolvere alcune difficoltà relative all’accesso alle riunioni di tutte le delegazioni. La risoluzione chiede inoltre che siano presi accordi formali per la consultazione e la cooperazione tra le due Organizzazioni. Si auspica anche una più stretta collaborazione tra le due Organizzazioni in seno ai nuovi organi delle Nazioni Unite: il Consiglio dei diritti umani, la Commissione per la costruzione della pace e il Fondo delle Nazioni Unite per la Democrazia, organi tutti creati sulla base del principio che pace e sviluppo sostenibile non possono essere conseguiti senza l’apporto delle istituzioni rappresentative. In tal senso il Consiglio dell’UIP ha adottato una decisione in occasione della 115ma Assemblea[36].

 

La più recente novità nell’ambito delle relazioni UIP-ONU è rappresentata dalla creazione della Commissione sugli Affari delle Nazioni Unite  (IPU Committee on UN Affairs),una Commissione plenaria di cui fanno parte due parlamentari per delegazione uno in rappresentanza della maggioranza e d uno dell’opposizione. La Commissione, è stata costituita su base sperimentale ed è in attesa di una decisione finale del Consiglio. In linea di principio si riunirà una volta l’anno, in occasione delle sessioni plenarie. Dovrà adottare un proprio regolamento alla stregua di quello delle altre Commissioni dell’Assemblea. Nel suo interno è stato identificato un Comitato ristretto di parlamentari esperti in tema di Nazioni Unite che eserciterà un ruolo di sindacato e controllo sulle attività delle Nazioni Unite. La Commissione si occuperà in particolare di finanziamento allo sviluppo, diritti dell’uomo e funzionamento del nuovo Consiglio dei diritti dell’uomo, fonti di finanziamento delle Nazioni Unite e utilizzo dei fondi, organizzazione delle operazioni di consolidamento della pace. La Commissione  si è riunita per la prima volta a Ginevra nel corso della 117ma Assemblea (8-10 ottobre 2007). In tale occasione l’on. Versnick (Belgio) ha presentato un documento strategico sulla natura delle relazioni tra le Nazioni Unite e i Parlamenti nazionali, approvata dalla Commissione e, in seguito, dall’Assemblea.

La cooperazione tra la UIP e l’ONU include una giornata parlamentare che si svolge ogni anno alle Nazioni Unite nel corso della Sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Nella XIV Legislatura tali riunioni, cui la Camera ha sempre partecipato con una propria rappresentanza, hanno avuto luogo il 4 dicembre 2001, il 19 novembre 2002, il 27 ottobre 2003, 19-20 ottobre 2004, il 31 ottobre e 1° novembre 2005. La prima giornata parlamentare UIP/ONU della XV Legislatura si è svolta il 13 e 14 novembre 2006e vi hanno partecipato il Presidente dell’Unione interparlamentare, on. Pier Ferdinando Casini, e il Presidente del Gruppo italiano, on. Antonio Martino (Forza Italia). Il tema dell’incontro è stato ” La prevenzione dei conflitti e la costruzione della pace: rafforzare il ruolo chiave delle Nazioni Unite”.Il dibattito ha preso spunto dai documenti elaborati dai competenti dipartimenti delle Nazioni Unite sui seguenti temi: Principali conclusioni del rapporto 2006 del Segretario generale sulla prevenzione dei conflitti; La Commissione per la costruzione della pace; Lotta alla corruzione e implementazione delle Convenzioni ONU in merito; I preparativi per la creazione di un Fondo per la costruzione della pace. Un altro tema oggetto di dibattito sono stati i seguiti della Conferenza mondiale dei Presidenti dei Parlamenti del 2005, con particolare riguardo alle modalità di rafforzamento dei Parlamenti nella loro interazione con le Nazioni Unite.

L’ultima giornata parlamentare si è svolta il 20 e 21 novembre 2007. Si deve sottolineare che dal 2007 la giornata parlamentare viene organizzata congiuntamente dall’ONU e della UIP, in attuazione del nuovo corso di relazioni tra le due Organizzazioni, sancito dalla Risoluzione A/RES/61/6, e si struttura come audizione parlamentare. La riunione ha avuto come tema: “Il ruolo dei Parlamenti nel rafforzare lo stato di diritto nelle relazioni internazionali”. La discussione si è focalizzata su: le priorità, sfide ed obiettivi della nuova amministrazione delle Nazioni Unite; l’attuazione degli impegni internazionali nel campo del disarmo e della non proliferazione; i seguiti della Strategia globale delle Nazioni Unite per il contrasto al terrorismo e le sfide poste dalla formulazione di una Convenzione internazionale sul Terrorismo; un bilancio dell’attività dei tribunali internazionali e la creazione di capacità nazionali per un sistema di giustizia penale internazionale efficace. Ai lavori hanno partecipato gli onn. Gino CAPOTOSTI (Popolari-UDEUR), Osvaldo NAPOLI (FI), Antonio RAZZI (Italia dei valori) e il sen. Mauro LIBÈ (UDC).

L’ultima giornata parlamentare ha avuto luogo dal 20 al 22 novembre 2008 a New York. La Delegazione del Gruppo Italiano dell’UIP era rappresentata dall'On. Antonio MARTINO (PdL), Presidente del Gruppo Italiano dell’UIP, dal Sen. Francesco AMORUSO (PdL) e dagli Onn. Antonio RAZZI (IdV) e Luca VOLONTE’ (UDC).

Nelle due giornate di lavoro, si è approfonditamente dibattuto del tema all’ordine del giorno: “Rispetto degli impegni per un reale mantenimento della pace e la prevenzione dei conflitti”.

Al termine dei lavori, il Vice Presidente del Parlamento del Sud Africa, Nosizwe Madlala-Routledge ha presentato una sintesi dei due giorni di lavori. Sulla sessione dedicata alla “responsabilità di protezione degli Stati”, è stato evidenziato il suo significato politico che comporta che gli Stati siano tenuti a proteggere la propria popolazione dal genocidio, dai crimini di guerra, dalla pulizia etnica e dai crimini contro l’umanità. Tale diritto va inserito nella normativa nazionale e la sua violazione punita nei codici penali. Sul tema della violenza sessuale contro le donne ed i bambini nel corso dei conflitti armati, è stata richiamata la risoluzione del Consiglio di sicurezza 1820(2008) che include lo stupro tra i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità; un addestramento specifico deve essere effettuato per i contingenti militari e le forze di polizia; è stato inoltre rilevato che una maggiore presenza delle donne nelle operazioni di peace-keeping potrebbe costituire un deterrente. È stata peraltro avanzata la proposta di creare in ambito UIP una Commissione ad hoc per esaminare l’impatto del diritto alla protezione sulla violenza sessuale nelle situazioni di conflitto..

 

 


Biografia
(a cura del Servizio Rapporti internazionali della Camera)

 


ALI ABDESSALAM TRIKI
Presidente della 64ma Sessione
dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite

 

 

 

 

 

 

 

Ali Abdessalam Triki è nato nel 1938 a Misrata, Libia.

H.E. Dr. Ali Abdussalam TrekiEletto Presidente della 64ma Sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 giugno 2009, ha assunto l’incarico il 15 settembre 2009.

È stato Ministro degli Affari esteri della Libia dal 1977 al 1980 e nuovamente dal 1984 al 1986.

È stato Rappresentante Permanente della Libia alle Nazioni Unite tre volte: dal 1982 al 1984; dal 1986 al 1990 e più di recente nel 2003.

È stato inoltre Rappresentante permanente della Libia alla Lega araba a Il Cairo dal 1991 al 1994.

Nel 1995 è stato nominato Ambasciatore della Libia in Francia, incarico che ha ricoperto fino al 1999.

Dal 1999 al 2003 è stato il Ministro per gli Affari africani per la Libia.

Treki ha svolto un ruolo significativo nella creazione dell’Unione africana ed è stato direttamente coinvolto nei tentativi di mediazione di numerosi conflitti in Africa, in particolare in Sudan, Ciad, Etiopia-Eritrea, Gibuti-Eritrea nonché in altre parti del mondo tra cui si ricordano la Bosnia Erzegovina, Cipro e le Filippine.

Nel 2004 Gheddafi lo ha nominato suo Consigliere speciale e nel 2005 ha compiuto un missione nei diversi paesi africani come Inviato speciale di Gheddafi allo scopo di trovare soluzione ai diversi conflitti e dispute del continente africano.

Nel 2005 è stato nominato dal Congresso generale del popolo libico Ministro per gli Affari dell’Unione africana.

Treki è si laureato in Storia alla Garyounes University di Bengasi e ha conseguito un dottorato in Storia politica all’Università di Tolosa, Francia.

Parla arabo, inglese e francese.

È sposato e ha quattro figli.

 

 

 

 

 

 



[1]    Al proposito, si veda l’intervista all’ambasciatore Terzi del 23 aprile 2009, riportata sul sito del Ministero degli esteri (www.esteri.it)

[2]    (170 paesi a favore; 3 astenuti: Venezuela, Iran e Bielorussia; 4 contrari: USA, Israele, Isole Marshall e Palau)

[3]    L’Italia è stata membro della Commissione per il peace-building in quanto eletta dagli organi delle Nazioni Unite per il biennio 2006-2008.

[4]EIU, Pakistan Country Report, July 2009, p. 14.

[5] www.ilvelino.it

 

[6] Chair Statement on Afghanistan and Regional Dimension – Trieste, 27 giugno(http://www.esteri.it/MAE/IT/Sala_Stampa/ArchivioNotizie/Interventi/2009/06/20090627_ChairStatement.htm?LANG=IT)

[7] Le elezioni per la Camera bassa (Wolesi Jirga) ed i consigli distrettuali sono previste per l’estate del 2010.

[8] Il Presidente ed i due vice-presidenti della Repubblica islamica dell’Afghanistan sono eletti a suffragio universale con mandato quinquennale, rinnovabile. Per l’elezione al primo turno è necessario il 50% dei voti. Hamid Karzai, primo presidente democraticamente eletto in Afghanistan, ha vinto le elezioni del 9 ottobre 2004 con il 55,4% dei voti ed è in carica dal 7 dicembre di quell’anno. Primo vicepresidente è Ahmad Zia Masood e secondo vicepresidente Abdul Karim Khalili.

[9]    La ECC (Electoral Complaints Commission), organismo afghano preposto all’esame dei ricorsi connessi al procedimento elettorale, riformata in vista delle presidenziali del 2009 e presieduta dal canadese Grant Kippen, l’8 settembre ha ordinato un nuovo conteggio dei voti in tutti i seggi dove hanno votato 600 o più elettori (livello massimo di potenziali votanti secondo le stime pre-elettorali della Commissione elettorale indipendente, IEC) e in quelli in cui un singolo candidato ha ottenuto il 95% o più dei consensi. Il 16 settembre la ECC, pertanto, ha ordinato il riconteggio del 10% dei voti. Secondo una ricostruzione del Times pubblicata 16 settembre (www.timesonline.co.uk) sulla risposta delle Nazioni Unite (presente in Afghanistan con la missione UNAMA preposta anche al sostegno dell’azione della Commissione per i reclami afghana, ECC) alle contestazioni elettorali, si è aperta una crisi;  mentre il numero due di UNAMA, lo statunitense Peter W. Galbraith avrebbe voluto tenere una linea dura nei confronti della Commissione elettorale afghana IEC, preposta al conteggio dei voti, ordinando si procedesse all’annullamento dei risultati di circa 1.000 seggi e al riconteggio di altri 5.000, con un impatto teoricamente suscettibile di modificare i risultati del voto fino a rendere necessario il ballottaggio, il direttore di UNAMA, il norvegese Kai Eide, ha fatto passare una linea moderata consistente, appunto, in un nuovo computo del 10% dei voti, che riguarderà circa 2.500 seggi elettorali (su un totale di 25.450). 

 

[10]   Il Rapporto avverte tuttavia che non sono ancora disponibili tutti i dati necessari per poter misurare con certezza gli effetti della crisi sugli Obiettivi.

[11]Informazioni tratte dal sito web www.unhcr.it

[12] Informazioni tratte dal sito web www.unhcr.it )

[13]   Fridtjof Nansen (18611930), esploratore, scienziato e politico norvegese, venne nominato nel 1921 Alto Commissario della Società delle Nazioni per i Rifugiati e si prodigò brillantemente per l'organizzazione degli scambi di prigionieri di guerra e per l'aiuto ai rifugiati sovietici ed armeni. Nel corso del suo mandato, ideò un apposito passaporto (denominato "passaporto Nansen"), internazionalmente riconosciuto e rilasciato dalla Società delle Nazioni, che permise nel corso degli anni ad oltre 450.000 profughi e rifugiati apolidi di raggiungere un Paese diverso da quello di origine. Il principio del passaporto Nansen è stato ripreso dal documento di viaggio descritto dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati. Per le sue attività a sostegno dei profughi, dei rifugiati e degli apolidi, Nansen nel 1922 venne insignito del Premio Nobel per la pace.

[14]    Boutros Boutros Ghali, An Agenda for Peace - Preventive Diplomacy, peacemaking and peace-keeping, in http://www.un.org/docs/SG/agpeace.html

[15]   Si veda http://www.un.org/Depts/dpko/dpko/info/sitcentre.shtml

[16]   Brahimi Lakhdar, Report of the Panel on United Nations Peace Operations, in http://www.un.org/peace/reports/peace_operations/

[17]   Assemblea Generale delle Nazioni Unite, A/60/696, Overview of the financing of the United Nations peacekeeping operations: budget performance for the period from 1 July 2004 to 30 June 2005 and budget for the period from 1 July 2006 to 30 June 2007. Si veda, http://www.un.org/Depts/dpko/dpko/reports.htm

[18] Per maggiori informazioni si veda, http://www.un.org/Depts/dpko/dpko/contributors/Yearly06.pdf

[19] http://www.un.org/Depts/dpko/dpko/Conduct/un_in.pdf

[20] http://www.un.org/Depts/dpko/dpko/Conduct/ten_in.pdf

[21] La Peacebuilding Commission è stata creata con la Risoluzione dell'Assemblea Generale del 30 Dicembre 2005, A/RES/60/180.

[22]   Posizione Comune del Coniglio Europeo 2006/795/CFSP del 20 Novembre 2006 relativamente alle misure restrittive contro la Repubblica Popolare Democratica della Korea.

[23]   Posizione Comune del Coniglio Europeo 2007/246/CFSP del 23 aprile 2007 in combinato disposto con la Posizione Comune 2007/140/CFSP riguardante le misure restrittive contro l'Iran.

[24]  Per la prima commissione si è auspicato la presidenza di un paese del Gruppo dei Non allineati (in particolare, Zimbabwe); per la seconda commissione di un paese del gruppo degli Stati dell'Europa Orientale (in particolare, Ucraina); per la terza commissione, la presidenza di un paese del Gruppo dei Paesi dell'Ovest, (in particolare, Giappone). Per maggiori dettagli, si veda Final report of the Preparatory Committee for the 2010 Review Conference of the Parties to the Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons, NPT/CONF.2010/1.

[25]   Per maggiori informazioni, si veda http://disarmament.un.org/CAB/pdm-gis.html

[26]   Mancano attualmente la firma e la ratifica di molti paesi, tra cui Stati Uniti, Federazione Russa, Repubblica Popolare Cinese, India, Iran ed altri. Per maggiori dettagli, si veda http://www.unog.ch/80256EE600585943/(httpPages)/67DC5063EB530E02C12574F8002E9E49?OpenDocument

[27]   Per maggiori riferimenti circa gli incontri che si sono tenuti e che sono pianificati fino al luglio 2011, si veda http://www.un.org/disarmament/convarms/ArmsTradeTreaty/html/ATTMeetings2009-11.shtml

[28]   La Commissione sul disarmo, istituita nel 1952 con un mandato generale sulle questioni relative al disarmo. Nel 1978 la prima Sessione Speciale sul Disarmo (SSOD I) dell’Assemblea Generale Onu ha trasformato l’organismo in un organo sussidiario dell’Assemblea generale composto da rappresentanti di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite. L’UNDC, che formula raccomandazioni e linee guida sulle problematiche connesse al disarmo e che ogni anno presenta un proprio rapporto all’Assemblea Generale, dal 1989 limita la propria agenda ad alcuni temi di volta in volta precisamente individuati, al fine di poterli sottoporre ad un esame approfondito.

[29]   La Conferenza sul disarmo venne istituita nel 1979, dopo la prima Sessione speciale sul disarmo (SSOD I) dell’Assemblea Generale Onu (1978) come unico forum di negoziazione unilaterale sul disarmo della comunità internazionale. La carica di Segretario della Conferenza, nonché di rappresentante personale del Segretario Generale dell’Onu, viene conferita al direttore generale dell’UNOG. 

[30]   Lanciato nel corso della prima Sessione speciale sul disarmo (SSOD I) dell’Assemblea Generale Onu (1978) il Programma di cooperazione sul disarmo è destinato alla specializzazione di operatori nazionali, con particolare riguardo a quelli provenienti dai Paesi in via di sviluppo, al fine di favorire una loro partecipazione più qualificata ai forum internazionali di negoziazione e deliberazione sul disarmo.

[31]   Nell’ambito dei lavori del G8 parlamentare, per la prima volta, una sessione si è svolta allargando la partecipazione ai Presidenti delle omologhe Assemblee di alcuni Paesi emergenti (Brasile, Cina, Egitto, India e Sud Africa; il Presidente della Camera messicana non ha potuto partecipare a causa degli impegni connessi con l'avvio della nuova legislatura).

[32]    107ma Conferenza Interparlamentare (Marrakesh, 17-23 marzo 2002)

[33]   109ma Assemblea(Ginevra, 1° - 3 ottobre 2003),

[34]   111ma Assemblea (Ginevra, 28 settembre – 1° ottobre 2004).

[35]    Il Rapporto Cardoso è stato esaminato dalla 59ma Assemblea generale delle Nazioni il 4 e 5 ottobre 2004. Per maggiori informazioni si veda la scheda di merito.

[36]   Nairobi, 7 – 12 maggio 2006.