Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Visita del Governatore della Provincia afghana di Herat (25-27 maggio 2009)
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 71
Data: 25/05/2009
Descrittori:
AFGHANISTAN   POLITICA ESTERA
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Visita del Governatore della

Provincia afghana di Herat

(25-27 maggio 2009)

 

 

 

 

 

 

n. 71

 

 

 

25 maggio 2009

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi

Dipartimento Affari esteri

( 066760-4939 / 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

Dipartimento Difesa

( 066760-4172/ 066760-4404 – *st_difesa@camera.it

 

 

 

 

Hanno collaborato alla redazione del presente dossier:

Servizio Rapporti internazionali

( 066760-3948 / 066760-9515 – * cdrin1i@camera.it

 

 

 

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File: es0221.doc

 


INDICE

 

Composizione della Delegazione (a cura del Servizio Rapporti internazionali)3

Scheda Paese (a cura del Servizio Rapporti internazionali)5

Recenti sviluppi della situazione in Afghanistan  45

Le missioni militari in Afghanistan  55

La Provincia di Herat (a cura del Servizio Rapporti internazionali)61

Rapporti parlamentari Italia-Afghanistan (a cura del Servizio Rapporti internazionali)63

Profilo biografico di Ahmad Yusuf Nuristani,73

Governatore della Provincia di Herat (a cura del Servizio Rapporti internazionali)73

Documentazione

Rapporti bilaterali tra Italia e Afghanistan (a cura del Ministero degli Affari esteri)77

§      Audizione davanti alle Commissioni riunite Difesa (IV) della Camera dei Deputati-Difesa (4ª) del Senato della Repubblica: Comunicazioni del Ministro della difesa sulla situazione militare in Afghanistan, con particolare riferimento al contingente italiano (resoconto stenografico)91

§        Seduta del 22 aprile 2009  91

§      Camera dei deputati - Informativa urgente del Governo sul tragico episodio occorso il 3 maggio 2009 presso la città di Herat, in Afghanistan, che ha visto coinvolti militari del contingente italiano  107

§        Seduta del 7 maggio 2009  107

Pubblicistica

§      M. Nones, Come vincere in Afghanistan, dal sito Internet:www.affarinternazionali.it, 21 novembre 2008  119

§      F. Marino, Il Pakistan è pronto a implodere, in: Limes, 1/2009  119

§      G. Dottori, Afghanistan: dai sogni di gloria al trionfo del caos, in: Limes, 1/2009  119

§      S.J. Branner, L’Afghanistan appeso a un filo, in: Limes, 1/2009  119

§      H. Synnott, What is Happening in Pakistan?, in: Survival, n. 1/2009  119

§      B.R. Rubin, The Way Forward in Afghanistan: Three Views, in: Survival, n. 1/2009  119

§      S. Silvestri, Nella tormenta afgana, dal sito Internet:www.affarinternazionali.it, 6 marzo 2009  119

§      International Crisi Group, Afghanistan: New U.S. Administration, New Directions, in Asia Briefing n. 89, 13 marzo 2009  119

§      J. Dempsey, J.A. Thier, Resolving the Crisis over Constitutional Interpretation in Afghanistan, in: Usipeace Briefing, marzo 2009  119

§      Osservatorio strategico, Monitoraggio strategico – Iniziative Europee di Difesa, 4 aprile 2009  119

§      Osservatorio strategico, Monitoraggio strategico – Teatro Afghano, 4 aprile 2009  119

§      L. Di Placido, Le minacce poste dall’Afghanistan, dal sito Internet:www.argoriente.it, aprile 2009  119

§      A.H. Cordesman, Is the Afghanistan-Pakistan Conflict winnable?, Center for Strategic and International Studies, 29 aprile 2009  119

§      Afghanistan – verso le elezioni presidenziali, dal sito Internet: www.argoriente.it, Rapporto n. 9, maggio2009  119

§      Pakistan: Update on the Swat Offensive, dal sito Internet:www.stratfor.com, 15 maggio 2009  120

§      Afghanistan: What Is at Stake?, in: Brookings, 20 maggio 2009  120

 

 


Composizione della Delegazione
(a cura del Servizio Rapporti internazionali)

 

 

Delegazione afghana

 

§                     Dr. Ahmad Yusuf NURISTANI, Governatore della provincia di Herat

§                     Mr. Asiluddin JAMI, Direttore esecutivo dell’Ufficio del Governatore di Herat

§                     Mohamad Nasir "ASWADI" (figlio di Abdul Buqi), capo del dipartimento economico

§                     Hazrat Nabi NURISTANI, segretario del Governatore di Herat

 

Ambasciata dell’Afaghanistan

§                     S.E. Musa M. Maroofi, Ambasciatore

§                     Fatima ZAHER, Primo Segretario

 

Ministero degli Affari esteri

§                     Ministro Elisabetta Belloni, Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo

§                     Dott. Sergio Maffettone


Visita presso la Camera dei Deputati

del Governatore della Provincia di Herat (Afghanistan),

Ahmad Yusuf NURISTANI

Roma, 25-27 maggio 2009

 

 

Lunedì 25 maggio 2009

 

 

 

Ore 17

 

Arrivo della delegazione all’ingresso principale di Palazzo Montecitorio

(Piazza Montecitorio)

 

Ore 17,15

 

Incontro della delegazione con la Presidente Margherita Boniver

(Sala Busti)

 

Mercoledì 27 maggio 2009

 

 

 

Ore 8,30

 

Arrivo della delegazione all’ingresso principale di Palazzo Montecitorio

(Piazza Montecitorio)

 

Ore 8,45

 

Incontro della delegazione con le Commissioni riunite Affari esteri e Difesa

(Aula della Commissione Affari esteri)


Scheda Paese
(a cura del Servizio Rapporti internazionali)

repubblica islamica dell’Afghanistan[1] 

 

 

political map of Afghanistan region

 

 

20 maggio 2009

 

 

Cenni storici

Paese dalla storia tormentata, lacerato da scontri etnici interni e oggetto, a causa della sua posizione strategica, delle mire delle principali potenze, l’Afghanistan ha trascorso gli ultimi decenni in uno stato di guerra continua.

Nel 1979, le truppe sovietiche invasero il Paese per dare aiuto al regime comunista da poco instauratosi. I sovietici abbandonarono il Paese nel 1989, dopo 10 anni di strenua resistenza da parte degli afghani, ma la pace era ancora lontana. I comandanti della resistenza antisovietica (mujaheddin), riuniti sotto la bandiera della guerra santa contro l’invasore ateo, e appoggiati da contingenti di volontari provenienti da numerosi Paesi musulmani, riuscirono a rovesciare il governo filosovietico di Najibullah nel 1992. Tuttavia, la fragile alleanza tra etnie e interessi diversi, riuscita solo in funzione antisovietica, si spezzò subito dopo la vittoria. I mujaheddin diedero inizio a una sanguinosa guerra civile tra le varie fazioni, nel corso della quale le infrastrutture e le unità produttive lasciate praticamente intatte dai sovietici, e la stessa città di Kabul, furono ridotte a un cumulo di macerie.

       La popolazione provata dai continui conflitti salutò inizialmente con favore il prevalere di una nuova forza sulla scena politica e militare, nell’attesa di un ritorno a pace e stabilità. I talebani (studenti coranici), espressione dell’etnia pashtun, entrarono a Kabul nel 1996 grazie all’appoggio pakistano. I movimenti islamisti militanti come quello talebano sono stati fomentati nelle scuole religiose pakistane all’epoca della “guerra santa” contro i sovietici, quando i combattenti afghani e i volontari internazionali venivano addestrati con finanziamenti sauditi e la benedizione statunitense. Il movimento talebano in particolare è stato strumentalizzato dai servizi segreti pakistani (ISI), nell’ambito della strategia di “strategic depth” di Islamabad, volta ad assicurare una profondità territoriale in caso di conflitto con l’India.

Il regime dei talebani, lungi dal permettere una rinascita del Paese dopo lunghi anni di guerra, ha scardinato quel che restava delle strutture della società civile, e in primo luogo il settore dell’istruzione, isolando inoltre il Paese dalla comunità internazionale. Nonostante le pesanti sanzioni imposte dall’esterno e la tenace resistenza dell’Alleanza del Nord, espressione soprattutto dell’etnia tagika e di altre etnie minoritarie, assistita dall’India e dall’Iran, nell’agosto del 2001 il regime talebano, sostenuto dal Pakistan, deteneva ancora saldamente le redini del potere, controllando il 90% circa del territorio.

Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno radicalmente mutato la situazione. Le operazioni militari nell’ambito dell’operazione “Enduring Freedom hanno portato il regime talebano alla sconfitta nel novembre 2001. Successivamente, i rappresentanti dei principali gruppi etnici del Paese si sono riuniti a Bonn, sotto l’egida delle Nazioni Unite, per concordare un processo istituzionale in grado di restituire all’Afghanistan un Governo rappresentativo. L’accordo sulla “amministrazione provvisoria in pendenza del ristabilimento delle istituzioni governative” (Accordi di Bonn), firmato il 5 dicembre 2001 a Petersberg, Germania, ha istituito un’Amministrazione Transitoria, dotata di sovranità interna ed esterna e presieduta dal Presidente ad Interim Hamid Karzai.

Il processo avviato a Bonn si è compiuto con l’approvazione di una nuova Costituzione da parte di una Loya Jirga Costituzionale il 5 gennaio 2004, lo svolgimento delle elezioni presidenziali del 9 ottobre 2004, che hanno visto l’affermazione di Karzai, e la celebrazione delle elezioni parlamentari il 18 settembre 2005. Il nuovo Parlamento democraticamente eletto si è insediato il 19 dicembre 2005. La nuova fase si è quindi aperta con la Conferenza di Londra del gennaio 2006 che ha sancito definitivamente il trasferimento della guida del processo di ricostruzione alle Autorità afgane (Afghan Ownership).

L’ottimismo iniziale ha però lasciato spazio a crescenti preoccupazioni dovute alla ripresa dell’insorgenza da parte di talebani, elementi legati ad Al Qaeda, terroristi stranieri e anche tribù soprattutto meridionali deluse dalla situazione politica o dal mancato decollo della ricostruzione. Il deteriorarsi della sicurezza, il progresso troppo lento dello sviluppo economico, il permanere in posizioni di potere di signori della guerra e personaggi dal dubbio passato, la corruzione, tutto contribuisce ad alimentare la delusione di sempre più ampie fasce della popolazione, indebolendo l’esecutivo guidato da Karzai.

Nella consapevolezza della complessità delle sfide e a metà del percorso del Compact adottato a Londra, la Conferenza di sostegno all’Afghanistan, svoltasi a Parigi il 12 giugno 2008, ha rilanciato l’impegno della comunità internazionale e del Governo di Kabul per la stabilizzazione e la ricostruzione del Paese. Nel solco dei precedenti incontri di Bonn (2001), Tokyo (2002), Berlino (2004) e Londra (2006), l’appuntamento ha segnato un’ulteriore importante tappa lungo il percorso per un graduale affermarsi autonomo delle istituzioni e dello Stato afghano ancorché sostenuti costantemente dalla comunità internazionale. Anche l’iniziativa italiana di una Conferenza sul Rule of Law del luglio 2007 ha conferito a tale aspetto dell’Institution Building il rilievo atteso completando i tre pilastri della ricostruzione adottati con il Compact uscito dalla Conferenza di Londra. Da ultimo, la Conferenza di Parigi del 2008 ha tentato di ridare slancio al processo con un’ulteriore raccolta di pledges dei Paesi e delle Organizzazioni presenti in Afghanistan.  

 

 

 

 

DATI GENERALI

 

Superficie

647.500 Kmq (più di due volte L’Italia)

Capitale

KABUL  (3.000.000 abitanti)

 

Abitanti

33.600.000

Tasso di crescita della popolazione

2,62

Tasso di alfabetizzazione

28,1% (maschi: 43,1%; femmine: 12,6%)

Aspettativa di vita

44,6 anni

Gruppi etnici

PASHTUN 42% (Lingua: Pashto; religione: Musulmana sunnita)

TAJIKI 27% (Lingua: Dari; religione: Musulmana sunnita)

HAZARI 9%, (Lingua: Dari; religione: Musulmana sciita)

UZBEKI 9% (Lingua: Uzbeko; religione: Musulmana sciita)

ALTRI 13% (AIMAK, TURCHI , BALOCH, NURISTAN, KIZILIBASH)

 

Religioni

Musulmani sunniti (80%), Musulmani sciiti, (19%)

Lingue

Pashtu (ufficiale) 35%, Afghano Persiano Dari (ufficiale)  50%, Lingue turche (Uzbeko e turkmeno) 11%

 

 

CRONOLOGIA RECENTE

 

 

MARZO 2008

Il Segretario Generale ONU, Ban Ki-Moon nomina il norvegese Kai Eide suo rappresentante speciale e capo della Missione ONU di Assistenza in Afghanistan (UNAMA)[2].

APRILE 2008

Nel corso della riunione annuale a Bucarest viene affermato che il mantenimento delle forze di peacekeeping rappresenta lo scopo prioritario dell’organizzazione.

 

GIUGNO 2008

Attacco dei talebani alla prigione di Kandahar. Almeno 350 ribelli vengono liberati. Il Presidente Karzai dichiara l’intenzione dell’Afghanistan di inviare truppe in Pakistan per combattere i militanti talebani, in mancanza di un’efficace risposta da parte di Islamabad.

 

LUGLIO 2008

Un attacco suicida contro l’Ambasciata indiana a Kabul provoca 50 morti. Il Governo afghano accusa i servizi di intelligence pakistani di essere dietro all’attentato, ma Islamabad nega ogni responsabilità.

 

AGOSTO 2008

Dieci soldati francesi muoiono vittime di un’imboscata. 89 civili afghani restano uccisi nel corso di un attacco aereo nella provincia di Herat. Il Presidente Karzai accusa le forze afghane e le forze Nato di esserne responsabili

 

SETTEMBRE

2008

Il Presidente USA Bush decide di inviare altri 4.500 soldati in Afghanistan. Il mese seguente anche la Germania rinforzerà la propria presenza con altri mille uomini.

 

NOVEMBRE

 2008

I militanti talebani rifiutano l’offerta di intavolare colloqui di pace avanzata dal Presidente Karzai, affermando che non ci saranno negoziati finché le truppe straniere non lasceranno il Paese.

DICEMBRE

2008

 

Il Kyrgyzistan decide di chiudere la base Usa di Manas che fornisce rinforzi e materiali all’ISAF.

FEBBRAIO

2009

PIù di 20 Paesi NATO promettono di incrementare il loro impegno in Afghanistan dopo l’annuncio USA di inviare altri 17.000 uomini in Afghanistan.

MARZO 2009

La Commissione Elettorale Centrale si oppone alla richiesta del Presidente Karzai di tenere le elezioni presidenziali in aprile, affermando che queste si terranno il 20 agosto. Il Presidente USA, Obama, rivela l’impegno USA per contrastare quella che definisce “una situazione sempre più pericolosa”. Altre 4.000 americani saranno inviati in Afghanistan per addestrare l’esercito e la polizia e dare sostegno alla popolazione. Il deputato della provincia di  Helmand, Dad Mohammad Kan resta ucciso in un attentato insieme ad altri quattro uomini delle forze di sicurezza.

APRILE 2009

Viene presentata una legge che legalizza lo stupro del marito all’interno del matrimonio, vieta alle donne di lasciare la casa, lavorare o istruirsi senza l’esplicito consenso del marito. La legge, destinata alla comunità sciita, e non ancora pubblicata, suscita proteste a livello internazionale. Il Presidente Karzai, dopo aver annunciato la propria candidatura per elezioni del 20 agosto, dichiara che il Ministero della Giustizia è al lavoro per riformare la nuova legge sul diritto di famiglia sciita.

MAGGIO 2009

Almeno cento persone, tra cui molti civili, restano uccise a seguito di raid aerei americani nella provincia di Farah. Secondo le fonti USA, la maggior parte dei morti sono dei talebani.  Una bambina afghana resta uccisa per errore nel corso di operazioni di controllo effettuate dai militari italiani. Dopo la candidatura di Karzai, si registra anche quella di Abdullah Abdullah, ex Ministro degli Esteri. I paracadutisti italiani vengono sottoposti a nuovi attacchi nella provincia di Herat.

 

 

PRINCIPALI CARICHE POLITICHE

 

Presidente della Repubblica e Capo del Governo

Hamid KARZAI (Di etnia Pashtun, dal 7 dicembre 2004)

Vice Presidente

Ahmad Zia MASUD

Vice Presidente

abdul Karim KHALILI

Ministro degli Esteri

Rangin Dadfar SPANTA

 

Ministro delle Finanze

Omar ZAKHILWAL

Ministro della Difesa

Abdul RAhim WARDAK

Ministro degli Interni

Mohammed Hanif ATMAR

Presidente della Wolesi Jirga (Camera del Popolo)

Muhammad Yunos QANUNI (di etnia tajika) dal  19 dicembre  2005

Presidente della Meshrano Jirga (Senato, Camera degli Anziani)

Segbatollah  MOJADEDDI

Presidente della Commissione afghana indipendente per i diritti umani

Sima Samar

Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani

Louise Arbour (CANADA)

Rappresentante speciale dell’Unione europea per l’Afghanistan

Ettore Francesco Sequi (Italia)

Capo della Missione di Assistenza delle Nazioni Unite all’Afghanistan (UNAMA)

Kai Eide (Norvegia)

Comandante della Missione ISAF

Gen. David McKiernan (USA), dal 2 giugno 2008

 

Rappresentante civile della NATO in Afghanistan

Amb. Fernando Gentilini (Italia)

Comandante del Comando Regionale Ovest

Gen. Rosario Castellano

 

 

SCADENZE ELETTORALI

 

Presidenziali

20 agosto 2009

 

Politiche

2010 (Le ultime elezioni si sono tenute il 18 settembre 2005)

 

 

 

QUADRO POLITICO

 

 

Governo in carica

 

Hamid Karzai, che ha guidato l’amministrazione provvisoria creata dopo il rovesciamento del regime talebano (2001), è stato eletto Presidente della Repubblica nel  2004. Karzai ha ottenuto il 55,4% dei voti. Sebbene si siano riscontrate delle irregolarità, queste – secondo gli osservatori internazionali – non sono state di livello tale da mettere in discussione la vittoria di Karzai. Il Presidente ha di fronte difficili sfide: disarmo delle milizie, lotta alla produzione di oppio. Le prime elezioni parlamentari dalla fine del regime talebano si sono svolte il 18 settembre 2005. Le prossime elezioni presidenziali si terranno il 20 agosto 2009 e Karzai si è candidato ufficialmente.

       L’esigenza di gestire efficacemente il processo elettorale e di recuperare il consenso, soprattutto presso l’etnia pashtun, è all’origine del rimpasto di Governo attuato da Karzai nell’autunno 2008, che ha inserito in posizioni chiave suoi uomini di fiducia, come il nuovo Ministro dell’Interno Atmar, già Ministro dell’Istruzione, propugnatore di maggiore impegno nella lotta alla corruzione e all’impunità. Atmar ha proposto l’istituzione di un’unità investigativa anticorruzione, chiedendo la collaborazione dell’UE e della NATO per la sua realizzazione in occasione della sua recente visita a Bruxelles (5 dicembre 2008). Più in generale il rimpasto è stato accolto dalla comunità internazionale come un positivo segnale che suscita aspettative di un miglioramento della governance.

            Cresce l’insofferenza verso la Presidenza di Karzai, mentre il panorama politico complessivo si presenta ancora molto fluido. Né il National United Front né alcuna delle oltre cento formazioni politiche sorte negli ultimi anni appaiono finora in grado di esprimere figure su cui agglomerare il consenso. I tradizionali legami di appartenenza al gruppo etnico, al clan e alla tribù, restano ancora una volta gli elementi su cui costruire una candidatura alternativa. In uno scenario politicamente frammentato, faticano ad emergere nuovi personaggi che abbiano allo stesso tempo capacità e notorietà adeguati.

            Il 27 aprile il Presidente Hamid Karzai ha annunciato la sua candidatura alle elezioni in programma per il 20 agosto.

 

 

QUADRO ISTITUZIONALE

 

 

Sistema politico

 

La Loya Girga (Assemblea nazionale) Costituente (502 membri) – prevista dalla Conferenza di Bonn il 5 dicembre 2001, e che ha fatto seguito alla Loya Girga cosiddetta “di emergenza” –  ha terminato di svolgere le sue funzioni il 4 gennaio 2004 adottando una Carta Costituzionale che ha previsto un assetto presidenziale per la Repubblica afghana. La nuova Costituzione è stata firmata dall’allora Presidente ad interim, Hamid Karzai, il 26 gennaio 2004. Secondo la nuova Costituzione, nessuna legge potrà essere contraria ai principi della religione musulmana. Di fatto, l’Afghanistan è una Repubblica Islamica, anche se la Sharia, o legge islamica, non viene menzionata nella Costituzione. Lo Stato deve favorire la nascita di una società democratica, in cui a tutti i cittadini siano assicurati pari diritti e deve aderire a tutte le principali Dichiarazioni delle Nazioni Unite. Il controllo di legittimità costituzionale è affidato alla Suprema Corte di Giustizia[3].

La ricostruzione politica del Paese procede secondo le linee fissate nella Conferenza di Bonn del dicembre 2001. Gli Accordi di Bonn hanno anche previsto il dispiegamento di una forza multinazionale di pace. La forza, denominata ISAF, opera sotto mandato ONU ed è costituita da contingenti NATO tra cui anche un contingente italiano.

 

      

Il Presidente della Repubblica

 

L’Afghanistan è una Repubblica in cui i poteri presidenziali sono molto accentuati. Il Presidente è eletto ogni cinque anni a suffragio universale. Se nessun candidato ottiene la maggioranza assoluta dei voti al primo turno, si effettua un ballottaggio tra i due candidati meglio classificati. E’ a capo dell’esecutivo e nomina i Ministri. La fiducia ai Ministri viene votata singolarmente dalla Wolesi Jirga con voto segreto. Il Presidenteè affiancato da due Vicepresidenti che hanno solo compiti di vigilanza. Il Presidente non può essere sottoposto ad un voto di sfiducia dal Parlamento ma può essere sottoposto a procedimento di impeachment.

 

 

Potere legislativo

 

L’Assemblea Nazionale (Loya Jirga)  è composta da:

 

·        La Camera del Popolo (Wolesi Jirga, 249 membri) eletta a suffragio universale e dalla durata di 5 anni (almeno 68 membri della Wolesi Jirga, pari a circa il 27% dei componenti, in base alla Costituzione, devono essere donne). Le elezioni si sono tenute il 18 settembre 2005. Dieci seggi sono riservati ai nomadi Kuchi (tre di questi devono essere occupati da donne);

 

·         La Camera degli Anziani (Meshrano Jirga, 102 membri) dei quali un terzo (34) eletto dai Consigli provinciali per 4 anni, un terzo eletto dai Consigli distrettuali per tre anni, un terzo, infine, nominato dal Presidente della Repubblica per 5 anni (fra i nominati dal Presidente devono essere inclusi due rappresentati dell’etnia kuchi e due per i disabili, inoltre, metà devono essere donne).

 

A causa dei problemi legati alla delimitazione dei confini e della relativa popolazione, le elezioni per i Consigli distrettuali non si sono tenute nel settembre 2005. Tali controversie devono ancora essere risolte dall’Assemblea Nazionale. Nel frattempo, la Camera degli Anziani è stata costituita nel seguente modo: 68 membri eletti dai Consigli provinciali; 34 membri nominati. Le donne sono 23.

 

La Costituzione prevede la convocazione della Loya Jirga per deliberare su materie di particolare delicatezza, quali quelle legate all’indipendenza, alla sovranità ed all’integrità territoriale del Paese; la Loya Jirgapuò inoltre emendare la Costituzione e sottoporre il Presidente della Repubblica a procedimento di impeachment.

 

 

Le elezioni del 18 settembre 2005

 

Alle elezioni hanno partecipato 2.753 candidati (il 12% era costituito da donne) che si sono presentati come indipendenti. Quarantacinque di questi sono stati esclusi prima della consultazione a causa dei loro legami con i gruppi armati (il loro nome è comunque apparso sulle schede elettorali, dal momento che le schede erano state già stampate). Il JEMB (UN-Afghan Joint Electoral Management Body Electoral), un organo indipendente, ha ammesso difficoltà per quanto riguarda l’informazione agli elettori e le esclusioni. Alcuni candidati, accusati di crimini di guerra, sono stati ritenuti idonei a concorrere.

Una violenza diffusa ha contraddistinto la campagna elettorale. Sette candidati e sei addetti alle votazioni sono stati uccisi nei due mesi che hanno preceduto le elezioni. 286 candidati, fra i quali 56 donne, hanno volontariamente ritirato la propria candidatura, per asseriti motivi di sicurezza.

L’alto analfabetismo è stato un altro grave problema da risolvere. Secondo alcune stime, circa l’85% degli aventi diritto al voto è analfabeta. Per facilitare le operazioni di voto, sulle schede elettorali i nomi dei candidati erano accompagnati dalla loro foto ed i loro simboli.

Le elezioni sono state monitorate da più di 4.700 osservatori nazionali e da 500 osservatori internazionali. La sicurezza è stata garantita dal contingente NATO (circa 12.000 uomini) e dalle forze USA (20.000 uomini). Ha partecipato il 53% degli aventi diritto al voto, una percentuale più bassa rispetto alle presidenziali del 2004, dovuta alle minacce dei guerriglieri talebani (complessivamente hanno partecipato 6,8 milioni di votanti,  mentre alle presidenziali avevano partecipato 8 milioni di votanti). I risultati definitivi sono stati resi noti il 13 novembre 2005, dopo un conteggio dei voti condotto con esasperante lentezza fra ritardi ed accuse di brogli. Mancando partiti politici, la composizione del nuovo Parlamento risulta estremamente frammentaria, e giocano un ruolo chiave le affiliazioni etniche e tribali.

La maggioranza dei deputati è di etnia pashtun e favorevole al Presidente Karzai. Il vero elemento di rottura è dato dalla presenza massiccia delle donne (68 su 249, circa il 27% del totale, una delle più alte percentuali al mondo).Molti elettori interpellati hanno dichiarato di aver preferito votare una donna, in quanto non sono compromesse con il passato. Vi sono invece timori, soprattutto tra gli intellettuali ed i liberali afghani, che il nuovo Parlamento abbia una tendenza islamica conservatrice congenita, e che questo porterà a gravi restrizioni nel campo dei media e della libertà di espressione.

I parlamentari della Wolesi Jirga ed alla Meshrano Jirga hanno in media tra i 35 ei 40 anni, un’età elevata rispetto alla speranza di vita nazionale, circa 45 anni. Hanno un livello di educazione molto elevato per un Paese che conta il 70% di analfabeti: il 38% dei deputati della Wolesi Jirga ha un livello di studi superiori, il 50% sono diplomati.

La seduta inaugurale (19 dicembre 2005) si è aperta con una preghiera e l’inno nazionale, poi ha preso la parola l’ex re Zaher Shah e i nuovi deputati hanno prestato giuramento davanti al Presidente Hamid Karzai. Il Vice Presidente americano Dick Cheney era presente in aula.

Nel suo discorso inaugurale, il Presidente Karzai ha ricordato come l’Afghanistan sia risorto dalle ceneri dell’invasione e del conflitto attraverso l’apertura del suo primo Parlamento dopo trenta anni. Il nuovo Parlamento è stato definito “una tappa cruciale”per la nascita di uno Stato sicuro. L’ultimo Parlamento si era riunito nel 1973, prima di un colpo di Stato che aveva rovesciato la monarchia.

 

 

La magistratura

 

La Costituzione del 2004 dedica alla magistratura il Titolo VII. Essa prevede, all’articolo 116, che il potere giudiziario è un organo indipendente dello Stato e che l’ordinamento giurisdizionale si compone di una Corte Suprema, di corti d’appello e di corti di prima istanza, le cui strutture e funzioni sono stabilite dalla legge. Inoltre, la Corte Suprema, in quanto supremo organo giudiziario, sovrintende a tutti gli altri organi giudiziari della Repubblica.

 

 

La Corte Suprema

 

È organo di legittimità ed amministrativo al tempo stesso.

 

Composizione

 

E’ composta da nove membri, nominati dal Presidente della Repubblica, che durano in carica 10 anni, previa approvazione della Wolesi Jirga; non è ammesso un secondo mandato. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente della Corte tra i suoi membri, che non possono essere in nessun caso rimossi prima del termine del mandato, salvo il caso in cui un terzo dei componenti della Wolesi Jirga ne chiedano la messa in stato d’accusa per un reato commesso nell’esercizio delle sue funzioni, richiesta che deve essere approvata dalla Wolesi Jirga a maggioranza dei due terzi; in tal caso l’accusato è destituito dall’incarico e deferito ad un tribunale speciale.

I membri della Corte Suprema devono possedere i seguenti requisisti:

 

-               non devono avere meno di 40 anni al momento della nomina;

-               devono essere cittadini afghani;

-               devono essere esperti di diritto o di giurisprudenza islamica e devono possedere una sufficiente competenza ed esperienza nel sistema giudiziario dell’Afghanistan;

-               devono avere alti valori etici ed una buona reputazione;

-               non devono essere stati condannati per crimini contro l’umanità od altri reati;

-               non devono fare parte di alcun partito per l’intera durata del mandato.

 

Funzioni

 

La Corte Suprema, su richiesta del governo o dei tribunali, esamina la legittimità costituzionale di leggi, decreti legislativi, trattati internazionali e convenzioni internazionali (art. 121). Inoltre, la Corte Suprema stabilisce le regole sulla nomina, rimozione, promozione, pensionamento, remunerazione nonché sui provvedimenti disciplinari dei funzionari e del personale amministrativo degli organi giudiziari.

 

I tribunali

 

Nei tribunali afghani i processi sono pubblici; si svolgono a porte chiuse sono nei casi in cui la segretezza appare necessarie.

Le sentenze devono essere motivate e sono immediatamente esecutive, salvo la sentenza di condanna alla pena capitale che è condizionata dall’approvazione del Presidente della Repubblica.

Durante i processi si applicano le disposizioni della Costituzione o delle altre leggi; nei processi riguardanti lo statuto personale degli sciiti, si applica la giurisprudenza della scuola di diritto sciita, conformemente con la legge (art. 131).

I giudici sono nominati su indicazione della Corte Suprema e con l’approvazione del Presidente della Repubblica. La nomina, il trasferimento, la promozione, il provvedimento disciplinare e le proposte di pensionamento dei giudici sono di competenza della Corte Suprema, in conformità con la legge. La Corte Suprema è competente a giudicare i giudici accusati di aver commesso un reato.

 

 

Il Pubblico ministero

 

Le indagini spettano alla polizia e le attività investigative e d’accusa sono condotte dal pubblico ministero in conformità con le disposizioni di legge. 

Il pubblico ministero è un organo del potere esecutivo (art. 134) ed è indipendente nell’esercizio delle sue funzioni.

 

Al momento i magistrati operanti in Afghanistan sono circa 1.500.

 

Si ricorda che in Afghanistan è presente la condanna a morte.

 

 

POLITICA ESTERA

 

 

L’Afghanistan appartiene ai seguenti blocchi economici regionali ed organizzazioni internazionali: ONU; Asian Development Bank; World Bank; Economic Cooperation Organization; Islamic Development Bank Group (IsDB); International Monetary Fund (IMF); Organizzazione della Conferenza Islamica.

 

Il Governo afghano punta a mantenere ottimi rapporti con i principali donatori, e in primo luogo con i Paesi occidentali, anche al fine di ottenere un continuo supporto nella ricostruzione dell’Afghanistan e nel rafforzamento delle istituzioni statali. La comunità internazionale mantiene una massiccia presenza nel Paese, contribuendo alla sicurezza, alla lotta al terrorismo e alla ricostruzione materiale, con l’obiettivo di favorire la crescita di istituzioni democratiche e promuovere progetti di cooperazione allo sviluppo. In tale contesto, particolare rilievo rivestono per la leadership di Kabul i rapporti con gli USA.

L’Afghanistan tenta inoltre di stabilire buone relazioni, politiche e commerciali, con i Paesi vicini. Una “Dichiarazione di Buon Vicinato” è stata firmata a Kabul già nel dicembre 2002 da Cina, Iran, Pakistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Ulteriori accordi bilaterali sono stati firmati con i Paesi confinanti. Per il Governo di Kabul non è tuttavia facile mantenere un equilibrio tra vicini potenti ed egualmente interessati ad esercitare la loro influenza. Il Pakistan, sostenitore dell’etnia pashtun e in passato dei talebani, ha fornito un essenziale contributo in occasione delle ultime elezioni parlamentari, dispiegando oltre 80.000 uomini lungo la frontiera; tuttavia, permangono fondati sospetti di collusione tra elementi pakistani e sovversione afghana. L’Iran, da parte sua, esercita la propria influenza politica ed economica soprattutto nell’area di Herat (dove l’Italia guida il Provincial Reconstruction Team) tramite l’appoggio alle minoranze sciite, ma non sono mancate accuse di fornire armamenti a gruppi di insorti, al fine di mettere in difficoltà le truppe statunitensi. L’India, infine, è un tradizionale alleato dell’Afghanistan, e in particolare della componente tagika e dell’Alleanza del Nord nemica dei talebani, ed è tra i principali donatori del processo di ricostruzione

La stabilizzazione afghana costituisce un problema regionale che richiede una strategia complessiva estesa ai Paesi della Regione, a cominciare dal Pakistan. Il deterioramento del quadro di sicurezza in Afghanistan è legato alla crescente instabilità nelle aree di confine con la NWFP, dove sono riprese le attività antiterrorismo sotto il cappello di Enduring Freedom e sono continuate le operazioni dell’esercito pakistano.

 

 

Rapporti con i principali paesi partner

 

Relazioni con il Pakistan

Le relazioni tra i due vicini hanno conosciuto un momento di tensione all’epoca dell’indipendenza del Pakistan dall’Impero britannico, allorché si sviluppò un aspro contenzioso per la delimitazione delle frontiere già tracciate dagli inglesi (linea Durand).  In seguito, il Pakistan, alleato degli americani, ha fornito sostegno ai principali gruppi afghani di resistenza antisovietica, ma anche al regime dei talebani. Nonostante Islamabad abbia interrotto l’assistenza al regime talebano in seguito all’11 settembre, schierandosi a fianco degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo, Kabul accusa il Pakistan di continuare a ospitare ex talebani e terroristi, permettendo il passaggio delle frontiere per operazioni ostili al Governo afghano.

In particolare, il Pakistan teme il consolidarsi dell’intesa fra Kabul, Teheran e Delhi, vista in funzione antipakistana. L’uscita di scena di Musharraf e l’elezione di Zardari hanno posto le premesse per la riapertura di un dialogo tra i due Paesi. Gli incontri bilaterali sin qui tenuti, la ripresa delle riunioni della Commissione Tripartita composta dai due Stati Maggiori della Difesa e dalla NATO, lo svolgimento a Islamabad della mini-jirga dalla quale sono emersi il reciproco impegno a promuovere la cooperazione bilaterale e la volontà di eliminare i santuari e di tentare l’apertura di un dialogo con gli elementi moderati del fronte talebano, costituiscono sviluppi di una ritrovata volontà di cooperazione.

È prevista per metà maggio la terza sessione della Conferenza di Cooperazione Economica Regionale.

La dimensione regionale ed in particolare i rapporti con il Pakistan e la cooperazione nell’area transfrontaliera sono oggetto di attenzione nel quadro del G8 che ha lanciato sotto la Presidenza tedesca l’“Iniziativa Afghanistan-Pakistan”, relativa all’istituzione di un meccanismo di coordinamento e monitoraggio delle attività di cooperazione in corso nelle aree di confine e all’organizzazione di una sessione di outreach con i Presidenti afghano e pakistano.

Anche la nuova strategia delineata dall’amministrazione Obama pone l’accento sull’inscindibilità del problema afghano e pakistano ed individua nel Pakistan il primo obiettivo dell’azione di stabilizzazione e di contrasto all’estremismo.  In tale ottica riveste pertanto carattere prioritario il supporto alla democrazia pakistana e alla situazione economica del Paese, che saranno oggetto della Conferenza Donatori e della riunione del Group of Friends of Democratic Pakistan ospitate a Tokyo il 17 aprile 2009.

 

Relazioni con l’Iran

L’Iran gioca un ruolo importante in Afghanistan, dove gode dell’appoggio delle minoranze sciite (20%), segue attentamente le vicende politiche del Paese con una capillare rete di intelligence, specie nella regione orientale, sede del nostro contingente. Gli Iraniani hanno intensificato i controlli al confine, la cui porosità impedisce di monitorare efficacemente i traffici che vi hanno luogo. L’Iran continua ad espellere rifugiati afghani (10.000 a maggio) massicciamente accolti nel Paese fin dall’invasione sovietica (circa un milione rimasti). Teheran collabora con l’UNHCR per agevolare il progressivo rientro degli afghani illegalmente presenti in Iran, anche in ragione dei timori che la massiccia presenza di profughi sul suo territorio possa indirettamente favorire le infiltrazioni terroristiche e i traffici di droga, attraverso la permeabile frontiera con l’Afghanistan. Rilevanti sono gli interessi commerciali (3 miliardi di dollari di esportazioni) di Teheran verso Kabul, mentre gli sforzi per la ricostruzione (250 milioni di dollari negli ultimi quattro anni) sono concentrati ad Herat ove l’Italia detiene dal 2005 il Comando regionale dell’area orientale, da tempo immemore considerata di influenza iraniana (quasi una “frontiera” comune tra Italia e Iran).

L’Iran ritiene di essere il Paese più direttamente danneggiato dalla recrudescenza del fenomeno del narcotraffico in Afghanistan, con più di 3000 caduti tra le forze dell’ordine ed un sensibile aumento del consumo interno di droghe, soprattutto tra la popolazione più giovane. Gli elevati profitti dei traffici illeciti alimentano inoltre le organizzazioni terroristiche che minacciano la sicurezza della regione. Per questo l’Iran ritiene che la Comunità Internazionale dovrebbe dare segnali più concreti al fine di ristabilire condizioni di sicurezza accettabili.

 Teheran critica il processo di "riforma dell'estremismo" che sarebbe in atto nel Paese, alludendo con questo all'ipotesi di un dialogo con i talebani, dialogo al quale esprime la sua assoluta contrarietà. Al tempo stesso, Teheran prova a rafforzare la collaborazione economica con Kabul servendosi dell’ECO (istituita nel 1985 da Iran, Pakistan e Turchia ed allargatasi nel 1992 ad Afghanistan, Azerbaijan ed alle cinque Repubbliche ex-sovietiche dell'Asia centrale: organizzazione di cooperazione economica regionale con l'ambizione di integrare i Paesi un tempo attraversati dalla "via della seta"), e grazie anche alla sua influenza sugli Hazara sciiti e sui Pashtun persofoni.

Controllo delle frontiere e del narcotraffico, collaborazione nella riscossione dei dazi doganali (unico cespite di entrate per il Governo di Kabul), gestione dei rifugiati, mediazione tribale sono concreti temi su cui l’Iran è ingaggiabile per la stabilizzazione dell’Afghanistan e su cui l’Italia può offrire un contributo anche sulla base dell’esperienza maturata  nella regione ovest al confine con l’Iran e con il PRT di Herat.

 

Relazioni con l’India

Tra i partner più attivi nella ricostruzione dell’Afghanistan, Nuova Delhi contribuisce in misura rilevante alla componente civile del processo afghano (Kabul è, infatti, il primo destinatario di aiuti della cooperazione indiana), anche se non partecipa all’impegno militare internazionale. Il complessivo sostegno indiano ammonta a 750 milioni di dollari, destinati prioritariamente ad interventi nei settori dell’educazione, delle infrastrutture, della sanità e dell’assistenza alimentare. In una più ampia ottica lo sviluppo di rotte aree e linee di trasporto per petrolio e gas naturale è di prioritario interesse per Nuova Delhi.

La sua generosità verso l’Afghanistan è collegata ad un duplice interesse strategico: energetico (gasdotto TAPI - Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India) e, in misura ancora maggiore, politico e di sicurezza, nel quadro della lotta al terrorismo e al fondamentalismo islamico, fenomeni che nell’ottica di Delhi coinvolgono direttamente il Pakistan. L’India dispone di un’ampia rete diplomatica in territorio afghano, composta dall’Ambasciata a Kabul (bersaglio del grave attentato del 7 luglio 2008) e da quattro consolati a Jalalabad, Kandahar, Herat e Mazar-El-Sharif, le cui attività preoccupano Islamabad.

Il ruolo che l’India ha scelto di occupare è quello di partner per la ricostruzione del Paese, decidendo di non interferire nella politica interna, ma utilizzando il suo ruolo di donatore per acquisire una capacità di influenza e guadagnare un posto di rilievo in questo ambito prioritario della politica internazionale.

L’attentato all’Ambasciata indiana del luglio 2008 è la prova di un’escalation della strategia terroristica in Afghanistan e non ha mancato di destare reazioni di forte condanna da parte di New Delhi. In generale, da parte indiana ci si propone di propiziare per quanto possibile l’adozione di seguiti concreti alle aperture del Presidente Zardari, proseguendo con il processo di stabilizzazione già avviato. Vi è, tuttavia, una forte percezione del rischio di un eventuale collasso del Pakistan, soprattutto alla luce degli sviluppi del conflitto in Afghanistan e del suo crescente impatto sui territori tribali di frontiera. Attraverso la promozione della stabilità afghana, l’India cerca di raggiungere il duplice scopo di rafforzare la sicurezza in Kashmir. La speranza è quindi che un forte governo afghano possa indebolire il radicalismo di matrice islamica e fare in modo che gruppi ostili possano basarsi proprio in Afghanistan.

 

Relazioni con gli Stati Uniti

Gli USA sono in prima linea in Afghanistan con un impegno politico, militare e civile di lungo periodo. Tale impegno si inserisce nel quadro della lotta globale al terrorismo e della più ampia strategia americana verso l’Asia (contenimento dell’influenza cinese e russa, corridoio Kazakhstan-Afghanistan-Pakistan-India).

Le forze americane dispiegate nel teatro afghano contano oltre 20 mila uomini suddivisi tra missione ISAF (15 mila) e Operazione Enduring Freedom (8 mila). Gli USA sono presenti come lead nation nei PRT di Farah, Bagram, Ghazni, Sharan, Khowst, Gardez, Jalalabad, Asadabad, Mihtarlarm, Kamdesh, Chairikar e Qalat. Hanno la responsabilità del Comando Regionale di Bagram e dispiegano proprie truppe presso il CR di Kandahar. Rilevante è l’impegno americano per l’addestramento dell’ANA (Afghanistan National Army).

Gli USA sostengono l’ampliamento degli effettivi dagli attuali 70 mila a 120 mila in un’ottica di graduale afghanizzazione della sicurezza interna. Dal 2001 al 2008 Washington ha sostenuto generosamente il processo di ricostruzione in Afghanistan articolando la sua assistenza sui pilastri del Compact: sicurezza (17 miliardi di USD); governance (Program Democracy & Governance - Strengthening institutions for good governance, nelle principali città), stato di diritto e diritti umani (oltre 1 miliardo di USD); sviluppo economico e sociale (oltre 26 miliardi di USD). In vista delle due cruciali tappe elettorali del 2009 (presidenziali) e 2010 (parlamentari), gli USA hanno preannunciato un intervento che dovrebbe coprire il 35% dell’impegno finanziario complessivo connesso all’organizzazione del voto.

       L’Amministrazione americana ha riconfermato l’assoluta centralità del dossier afgano-pakistano, con enfasi sull’approccio regionale e sulla ricostruzione civile e istituzionale rispetto alla mera dimensione di sicurezza. Lo strumento militare non esaurisce - secondo la nuova impostazione USA - la risposta della comunità internazionale. Quali passi preliminari, a sostegno della strategia americana, Obama ha annunciato un primo surge militare di 17.000 unità, di cui 12.000 combat-ready (cui potrebbero seguire altri annunci) e la nomina di Richard Holbrooke a Inviato Speciale con mandato regionale.

La nuova strategia americana è sinteticamente basata su: de-ideologizzazione dell’approccio al conflitto afghano a favore di un maggiore pragmatismo nell’azione; riaffermazione della dimensione civile nel quadro dell’approccio comprehensive; rafforzamento dell’autorità centrale afghana ma consapevolezza dell’autonomia delle varie componenti territoriali; trasferimento a livello provinciale  della responsabilità della ricostruzione in accordo con l’autorità centrale ed in linea con l’obiettivo del rafforzamento della governance provinciale; disarticolazione di Al Quaeda attraverso il recupero di frange non ideologizzate dell’insorgenza e la sottrazione delle fasce povere della popolazione al reclutamento talebano; afghanizzazione della sicurezza attraverso il raddoppio dell’esercito e della polizia e il conseguente accresciuto sforzo internazionale nell’addestramento delle forze afghane; attenzione all’approccio regionale e inscindibilità del problema afghano da quello pakistano. Obiettivo finale di Washington resta l’eliminazione di Al Quaeda e dei santuari in Pakistan, Paese sul quale accentuare l’attenzione internazionale attraverso il sostegno alla crescita economica e alla stabilità politica.

 

Relazioni con la Russia

La Russia mantiene nei confronti dell’Afghanistan un approccio cauto, non solo in quanto ex invasore, ma anche a causa delle tensioni etniche nelle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. Preoccupata dalla possibile espansione del fondamentalismo islamico in tali aree ed entro i propri confini, Mosca continua a tentare di esercitare qualche forma di influenza politica sul Paese. La Russia sostiene il processo di stabilizzazione e di ricostruzione in Afghanistan, ma non partecipa alla forza internazionale di pace. L’impegno russo ammonta a 139 milioni di dollari stanziati tra il 2002 e il 2008 ed è orientato prevalentemente ai settori dell’energia, dell’istruzione, della sanità e della formazione dell’ANA (Afghanistan National Army). 

Secondo la Russia il nodo centrale della fragile situazione afghana rimane l’incapacità del Governo di Karzai di far fronte alla lotta all’estremismo e al traffico di narcotici. Mosca è, infatti, allarmata dall’aumento dei flussi di droga provenienti dall’Afghanistan che invadono i Paesi limitrofi dell’Asia Centrale, e attraverso di essi si riversano sul mercato russo. La Russia sostiene quindi la necessità di creare attorno all’Afghanistan un “cordone sanitario” rafforzando la collaborazione tra i Paesi vicini per un più efficace controllo delle frontiere.

Sul fronte della lotta all’insorgenza, Mosca si oppone a qualsiasi forma di dialogo con i leader Talebani e vede nella progressiva crescente responsabilizzazione delle autorità afgane la premessa necessaria al ripristino di condizioni accettabili di sicurezza. L’Afghanistan rappresenta per la Russia uno strumento di ampliamento della collaborazione con la NATO. I vertici russi hanno ripetutamente manifestato disponibilità ad offrire supporto logistico alla missione ISAF attraverso la firma di un accordo di transito volto a tacitare l’afflusso in territorio afghano di materiale non militare dell’Alleanza Atlantica. Anche a nome della CSTO (Collective Security Treaty Organization), che riunisce i Paesi del CSI, Mosca ha lanciato la proposta di stabilire con la NATO un rapporto strutturato di collaborazione nella lotta al narcotraffico e al terrorismo.

In quadro SCO (Shanghai Cooperation Organization) ha ospitato il 27 marzo una Conferenza Speciale sull’Afghanistan, dedicata ai temi del traffico di droga, del terrorismo e della criminalità organizzata. L’incontro si è svolto in formato SCO, Paesi osservatori (inclusi Iran e India), Paesi G8, Turchia e organizzazioni regionali e internazionali (NATO, ONU, EU, OIC, CICA, CSI, CSTO, OSCE) ed ha confermato l’esigenza di un approccio regionale alla stabilizzazione dell’Afghanistan e del quadro regionale.

 

 

Relazioni con la Cina

       La Cina, fortemente preoccupata per la stabilità della provincia dello Xinjiang a maggioranza etnica turca e di religione mussulmana (uiguri), dove a detta di Pechino sarebbero presenti tensioni separatiste suscettibili di alimentare attività terroristiche di alcuni gruppi e dove l’influenza talebana potrebbe rischiare di infiltrarsi attraverso il breve tratto di frontiera di 29 Km che la regione condivide con l’estrema punta orientale dell’Afghanistan, e’ stata fin dall’inizio una convinta sostenitrice dell’azione condotta dagli Stati Uniti contro il regime dei talebani. 

       La Cina si è quindi attivata per sostenere la ricostruzione e la stabilizzazione dell’Afghanistan, partecipando con un proprio elemento alla missione UNAMA a Kabul.  Già nel 2002, in occasione  della visita di Karzai a Pechino, la Cina ha offerto di 150 milioni di USD, di cui la metà a dono e la metà a credito d’aiuto. I fondi a dono sono stati utilizzati per la realizzazione di 21 progetti, tra cui la ristrutturazione del Republican Hospital di Kabul e la riabilitazione del sistema di irrigazione della regione di Parwan.  In occasione della Conferenza di Londra del 2006 Pechino ha annunciato un ulteriore dono per 10 milioni di USD, seguito da un impegno a formare 200 esperti nei settori tecnico, sanitario e della diplomazia e dall’offerta di borse di studio universitarie annuali per studenti afgani. Il consorzio cinese guidato dal Gruppo China Metallurgic (MCC) si è aggiudicato per 3 miliardi di USD la gara per l’esplorazione e i diritti di sfruttamento della miniera di Aynak, nei pressi di Kabul, probabilmente uno dei maggiori depositi di rame del mondo. L’operazione rappresenta un autorevolissimo indicatore dell’interesse cinese al rafforzamento dei rapporti bilaterali ad ampio spettro con l’Afghanistan, con particolare riferimento alla cooperazione economica. In occasione della visita a Kabul del Ministro degli Esteri cinese Yang Jechi,  è stato sottoscritto un Accordo bilaterale di amicizia e cooperazione. L’accordo prevede l’approfondimento delle relazioni commerciali, favorendo tra l’altro le esportazioni afgane in Cina, e l’afflusso di investimenti cinesi in Afghanistan, nel quadro di una politica di cooperazione regionale mirante allo sviluppo e alla stabilizzazione dell’area.

 

 

Relazioni con Repubbliche centro-asiatiche

       L’Asia Centrale va assumendo un’importanza crescente in ragione delle sue risorse energetiche (in Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan), del suo potenziale economico-commerciale e della sua collocazione geografica (tra Afghanistan, Iran, Cina, Russia, Caucaso) che la rende terreno cruciale per il grande gioco di influenze globali. Fra i 5 Paesi ex-sovietici dell’Asia centrale, Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan condividono un lungo tratto di frontiere con l’Afghanistan e sono rappresentati nel Paese da consistenti gruppi etnici. I centro-asiatici non vedono con particolare favore un’estensione delle strategie di cooperazione regionale all’Afghanistan, se non per il settore del contrasto alla droga ed al terrorismo in un’ottica di contenimento dei flussi e delle spinte destabilizzanti provenienti da sud. I Paesi dell’Asia Centrale rivestono interesse sotto il profilo della dimensione regionale della questione afghana, con riferimento sia agli aspetti logistici e di sicurezza sia per lo sviluppo di meccanismi di cooperazione nei settori delle infrastrutture, dell’energia e degli scambi economico-commerciali. Tali Paesi assumono una crescente rilevanza per i rifornimenti della NATO e per il ricorso alle rotte centroasiatiche quali vie di transito alternative a quelle del Pakistan, sottoposte a possibili attacchi dell’insorgenza.

Il Kazakhstan è da diversi anni interessato al processo di pacificazione e ricostruzione dell’Afghanistan. Il Governo kazako ha assicurato il passaggio sopra il proprio territorio agli aerei della coalizione ISAF e ha provveduto a render disponibile l’aeroporto di Almaty per gli atterraggi di emergenza e per i rifornimenti dell’Air Force statunitense. In modo particolare si è dimostrato interessato all’inclusione dell’Afghanistan nella rete regionale di trasporti e di comunicazione.

Dei tre Paesi centro-asiatici confinanti, il Tagikistan è sicuramente il più cooperativo sulla questione afghana ed ha favorito recentemente la creazione di nuove vie di comunicazione ed opere infrastrutturali, assicurando una maggiore integrazione con la popolazione di etnia tagika in Afghanistan. La posizione ai confini di Cina e Afghanistan ha fatto del Paese un partner importante sia per la Russia sia per gli USA a dispetto dell’isolamento geografico e della scarsità di risorse naturali (fatta eccezione per quelle idriche). Il Tagikistan tradizionalmente costituiva per Mosca un tassello per continuare a presidiare i confini instabili e strategicamente importanti con l’Afghanistan. Il traffico di droga e la crescente minaccia del radicalismo islamico rendevano il  Tagikistan un alleato centrale per Mosca. Seppure in misura minore rispetto agli altri centro-asiatici, anche Dushanbe ha beneficiato della necessità statunitense di avere accesso a strutture logistiche in Asia Centrale in appoggio al conflitto in Afghanistan.

       Il Turkmenistan resta legato alla scelta di neutralità adottata dopo il crollo dell’URSS e non partecipa quindi alle organizzazioni regionali, con ripercussioni anche nei rapporti con i suoi vicini, in particolare Iran e Afghanistan. Quando quest’ultimo era sotto il controllo talebano il Turkmenistan era l’unico Stato post-sovietico che manteneva relazioni ufficiali con Kabul. Il cambio di leadership non ha portato ad un riorientamento radicale della politica di neutralità, nonostante un maggiore dinamismo internazionale e una maggiore attenzione non solo verso la Russia, ma anche verso la Cina e l’UE. 

       Anche il Turkmenistan ha migliorato i valichi di transito ed i posti di frontiera con l’Afghanistan concentrandosi su una attività più intensiva di contrasto al traffico di droga e prevenzione al terrorismo di provenienza afghana. Il Turkmenistan gioca un ruolo importante nella fornitura di energia elettrica a costi contenuti all’area settentrionale dell’Afghanistan. Il Paese e’ impegnato nella ricostruzione di infrastrutture per la rete stradale e ferroviaria ed e’ una fonte cruciale di rifornimenti di gas naturale. Di particolare interesse è il progetto di gasdotto trans afghano (TAP, Trans-Afghan Pipeline) destinato a portare il gas turkmeno fino all’Oceano indiano. L’idea di costruire un gasdotto che attraverso Turkmenistan, Afghanistan e Pakistan risale già agli anni novanta ed era stato accantonato fino alla caduta del regime talebano. Nel dicembre 2002 i Presidenti dei tre Paesi hanno firmato l’accordo che prevede la costruzione del TAP per un costo complessivo di 3 milioni  e mezzo di dollari, sottolineando l’importanza vitale di tale opera per ridare slancio alle economie della regione. L’iniziativa è vista con interesse dalle istituzioni finanziarie multilaterali in particolare ADB e Islamic Development Bank. Nel 2005 è stato completato lo studio di fattibilità commissionato dall’ADB, che ha proposto la costruzione di un gasdotto di 1700 Km.

La proiezione regionale del Turkmenistan è confermata dalla sua partecipazione ai diversi fori internazionali e regionali come ONU, IMF, WB, ECO, OSCE ed Islamic Development Bank. In relazione all’Afghanistan è da sottolineare la cooperazione del Turkmenistan con l’EUSR for Central Asia, il quale, in collaborazione con l’EUSR for Afghanistan, è attivo nelle politiche per il controllo delle frontiere finalizzato alla lotta al narco-traffico e al traffico di esseri umani.

 

 

Relazioni con l’Arabia Saudita

Il Regno Saudita è da molti anni coinvolto nelle vicende afgane (si ricordi la forte presenza finanziaria a sostegno della resistenza all’occupazione sovietica). Riad mantiene, inoltre, una posizione di riservata ma ripetuta preoccupazione per l’effettiva capacità del nuovo governo di Islamabad, sottoposto ad un’accentuata pressione terroristica, di condurre un’azione ferma nei confronti dei talebani attivi sulla frontiera nord-occidentale del Paese. In quest’ottica, un’eventuale crescita dell’interesse saudita ad esercitare un ruolo di maggiore visibilità in Afghanistan potrebbe essere spiegata anche alla luce dell’attuale debolezza pakistana, la potenza regionale tradizionalmente più coinvolta nella regione. La posizione saudita non è priva di ambivalenze, soprattutto in relazione ai flussi finanziari giustificati dalla nota attività “missionaria” islamica e al controllo di Riad sulle loro destinazioni reali.

L’Arabia Saudita è stata negli ultimi mesi al centro del “processo saudita”, ovvero di discussioni informali svoltesi sul suo territorio durante lo scorso Ramadan, a cui hanno preso parte rappresentanti dei governi di Kabul e Islamabad ed esponenti talebani. Il processo – cui è stata data una pubblicizzazione non desiderata – risulterebbe sospeso, sebbene sia stata manifestata disponibilità a riprendere il dialogo qualora le parti in causa esprimessero un interesse in tal senso. Il contributo dell’Arabia Saudita si estrinsecherebbe in un ruolo di facilitatore giustificato dalla preminenza derivante dalla custodia dei luoghi sacri dell’Islam. 

       Il Governo afghano ha usato il collegamento saudita per avviare alcuni contatti con la leadership talebana. Dopo poco tempo, tuttavia, i talebani hanno mostrato scarsa flessibilità e l’iniziativa non ha trovato buon esito, dal momento che una precondizione insindacabile per l’inizio di qualsiasi colloquio (da parte talebana) risulta essere il ritiro delle forze militari internazionali.

 

 

Relazioni con gli Emirati Arabi Uniti

Gli Emirati Arabi Uniti sono l’unico paese arabo che contribuisce alla missione in Afghanistan con un contingente di truppe a fianco dell’esercito canadese. In occasione della Conferenza di Parigi del 2008, il Ministro degli Esteri Bin Zayed ha annunciato che gli EAU stanzieranno aiuti per un totale di 250 milioni USD a favore di progetti di sviluppo in Afghanistan. Una parte consistente di questa somma sarà destinata a un programma speciale in ambito agricolo, da gestire in collaborazione con Spagna e Polonia. H.H. Mohammad N. Al Dhaheri, ministro della giustizia federale, durante il discorso tenuto alla conferenza di Roma sul Rule of Law, ha dichiarato di voler elaborare un programma di supporto alle stesse istituzioni afgane per la lotta al riciclaggio di denaro sporco ed al finanziamento del terrorismo. Il programma includerà gli sforzi già compiuti dalla Banca Centrale EAU, che dal maggio del 2006 compie un’attività di training destinata alla formazione di specialisti afghani in campo legale, giudiziario e della sicurezza in genere. Gli EAU hanno inoltre dichiarato, in sede di conferenza RoL, di voler stanziare 1 milione di dollari per il Fondo Speciale di supporto al Settore Giustizia, considerando la possibilità di finanziare ulteriori nuovi programmi di formazione per il personale afghano impegnato nel settore giustizia, con l’eventuale coinvolgimento dell’Abu Dhabi Judicial Training & Studies Institute. Quest’ultimo ha già fornito un fondamentale supporto alla ricostruzione del paese, partecipando al processo elettorale afghano del 2005 con la concessione di assistenza tecno-informatica. Gli Emirati Arabi sono stati tra i promotori del Gruppo Amici del Pakistan riunitosi per la prima volta New York a margine dell’UNGA il 26 settembre, il cui secondo incontro si terrà ad Abu Dhabi in novembre.

 

 

Relazioni con la Gran Bretagna

Con i suoi 8000 soldati (i caduti britannici ammontano a circa 120 dall’inizio delle operazioni nell’ottobre 2001), un’Ambasciata in loco (seconda per grandezza dell’intera rete) e con $ 450 milioni di stanziamenti del DFID per i prossimi 4 anni, confermati alla Conferenza di Parigi del giugno 2008 (nel quadro di un piano congiunto Afghanistan, Regno Unito e Aga Khan Development Network), l’Afghanistan resta al vertice delle priorità internazionali del Regno Unito. Il sostegno britannico alla ricostruzione dell’Afghanistan si focalizza sui settori della lotta al narcotraffico, della governance, della rule of law, delle infrastrutture, dell’agricoltura, della condizione femminile.

Nella sua ultima visita in Afghanistan, il 21 agosto, il Primo Ministro Brown ha inoltre annunciato un contributo aggiuntivo di $120 milioni per progetti di sviluppo nonché ulteriore sostegno all’addestramento dell’esercito e della polizia nazionale. L’obiettivo primario per Londra resta la lotta all’insorgenza e lo sradicamento di Al-Qaeda. In quest’ottica il Regno Unito appoggia l’azione di Karzai, volta, favorendo il recupero di elementi disposti a dissociarsi, a prestare fedeltà alla costituzione afghana. Secondo Brown, questa strategia avrebbe sinora portato ad oltre 5000 defezioni. Quale diretto contributo nel settore della sicurezza, da parte britannica si prevede di addestrare entro il 2008 70mila soldati afghani. La corruzione è il tema sul quale si fa stato di una crescente insofferenza nei confronti di Kabul: è reale il rischio, secondo il Foreign Office, che la percezione diffusa di una sostanziale inerzia di Karzai sull’argomento vada a indebolire la base di consenso interno su cui poggia l’impegno del Regno Unito in Afghanistan.

 

 

Relazioni con la Germania

       Nonostante un crescente scetticismo dell’opinione pubblica, il 16 ottobre scorso il Bundestag ha approvato a larga maggioranza il rinnovo della partecipazione tedesca ad ISAF, aumentando a 4.500 (da 3.300) il limite massimo delle truppe impiegabili in Afghanistan. Nel nuovo mandato è previsto anche l’impiego di sei Tornado e il rafforzamento della componente aerea destinata a compiti logistici. L’incremento dell’impegno militare tedesco è riconducibile agli obiettivi di rafforzamento della sicurezza nella regione nord; di intensificazione delle attività di addestramento dell’esercito afgano; di necessità di far fronte agli accresciuti compiti di ISAF in vista delle elezioni del 2009. Tra le possibili ulteriori novità è al momento in discussione l’ipotesi di un utilizzo flessibile delle eccezioni per l’impiego delle truppe tedesche fuori dall’area di responsabilità, ipotesi legata all’intensificazione dell’attività di training dell’esercito afgano, in un’ottica di progressiva afghanizzazione della sicurezza. Essa, assieme alla ricostruzione civile, rappresenta per Berlino il cardine  di una strategia di graduale disimpegno. Da parte tedesca si intende inoltre diminuire il tetto dei militari impiegabili nell’operazione Enduring Freedom da 1400 a 800 uomini e ritirare 100 uomini delle truppe speciali. Berlino non si nasconde alcune persistenti criticità nel coordinamento tra ISAF ed Enduring Freedom.

       Molto rilevante è il contributo tedesco alla ricostruzione civile, tradottosi tra il 2002 e il 2008 in aiuti per oltre 1,2 miliardi di dollari (fonte Governo afgano). La Germania, già key partner per la ricostruzione della polizia fino al lancio di EUPOL, ha sostenuto in sede europea il raddoppio del contingente della missione, di cui è già primo contributore (33 funzionari di polizia e 11 civili). Berlino attribuisce assoluta priorità all’attività di formazione delle forze di sicurezza afgane e condivide l’esigenza di rafforzare l’efficacia e la visibilità di EUPOL puntando ad un miglior coordinamento con il dicastero afgano dell’Interno – ora guidato da Atmar la cui nomina è stata positivamente accolta da parte tedesca – e con i programmi di training in corso promossi anche dagli USA. Pur mantenendo il forte impegno nella missione EUPOL la Germania sta aumentando contestualmente il peso dei progetti bilaterali per la ricostruzione della polizia afgana, attuati dal GTZ in conformità con le priorità definite da EUPOL. Berlino pensa di replicare la formula basata sulla temporanea estrazione ai fini addestrativi di contingenti di polizia afgani dalle regioni di rispettivo impiego per esservi reimmessi dopo un’azione di mentoring da parte degli esperti tedeschi. Il progetto bilaterale prevede l’impiego di un centinaio di short term experts tedeschi con l’obiettivo di formare nella regione nord a livello distrettuale circa 3000 poliziotti afgani.

       Italia e Germania registrano una costante sintonia sul dossier afgano e condividono la priorità di un approccio bilanciato tra strumento militare e ricostruzione civile. All’interno di quest’ultima si colloca il forte accento tedesco sulla formazione della polizia, che vede Berlino impegnata sia con EUPOL, sia con una significativa componente bilaterale. Ad accomunarci è anche la priorità attribuita alla ricostruzione istituzionale e allo stato di diritto, rispetto al mero obiettivo della stabilizzazione di sicurezza. Sulla formazione dell’esercito, con riferimento alla richiesta americana di un nuovo contributo al fondo fiduciario istituito in ambito NATO a sostegno dell’ANA (Afghan National Army), da parte tedesca ed italiana si condivide la preferenza per la sollecitazione di un maggiore impegno in prima battuta di quei partner che non forniscono contributi militari alla stabilizzazione afgana. Anche sul delicato tema del ruolo di ISAF nella lotta al narcotraffico, Italia e Germania hanno assunto posizione analoghe. Entrambi i Paesi hanno deciso di non mettere a disposizione truppe per svolgere attività di interdizione, riaffermando la fondamentale necessità di assicurare la titolarità afgana di tali operazioni. E’ stata in via teorica discussa la fattibilità di interventi OMLT internazionali a sostegno della locale polizia anti-droga, su cui Berlino ha comunque espresso delle riserve.

       Sul piano politico, la convergenza italo-tedesca si estende alla comune insoddisfazione per l’esperienza di questi primi anni della struttura costituzionale e all’importanza del rispetto dell’appuntamento delle elezioni, alle quali entrambi i Paesi hanno già contribuito per la stagione 2009-2010 e per la precedente fase elettorale 2004-2005.

Durante la Presidenza tedesca del G8 (2007) Berlino ha dato forte impulso alla dimensione regionale del dossier afgano lanciando l’Afghanistan – Pakistan Initiative e organizzando la sessione di outreach con i Ministri degli Esteri dei due Paesi. L’Italia intende riprendere tali iniziative nel quadro della Presidenza italiana del G8.

 

Relazioni con la Francia

       Presente in teatro afghano con oltre 2400 uomini, la Francia è il quinto maggiore contributore della missione ISAF, a seguito dell’incremento del proprio dispositivo militare nell’area della capitale. Lo scorso agosto la Francia e’ subentrata all’Italia nel comando della Regione di Kabul. Dopo il ritiro del grosso delle truppe da Enduring Freedom, decisa nell’ultima fase del mandato di Chirac, la Francia continua ad avere 30 unita’ delle forze speciali che collaborano con gli USA. Sul fronte militare Parigi resta disponibile ad un  alleggerimento dei caveat, ma non all’invio di nuove truppe. Tale orientamento viene confermato anche a fronte della richiesta di rafforzamento avanzata in vista delle prossime elezioni. Resta molto limitato il contributo francese ad EUPOL (un poliziotto e due civili).

       Dopo gli attacchi di Surobi, costati la vita a 10 militari francesi, sul tema della presenza in Afghanistan si sta registrando una crescente sensibilità da parte dell’opinione pubblica. Nel confermare gli impegni assunti al Vertice NATO di Bucarest, la Francia ritiene prioritario avviare un dialogo con la nuova Amministrazione USA sulla strategia di stabilizzazione afghana. Parigi intende ora focalizzare la propria attenzione su tre aspetti: l’afghanizzazione della sicurezza; il dialogo tra le autorità afgane e l’insorgenza per portare avanti il processo di riconciliazione; il ruolo del Pakistan nell’azione di stabilizzazione.

       La Francia resta impegnata anche nel quadro della ricostruzione. La Presidenza Sarkozy ha raddoppiato gli aiuti civili al Paese e ha promosso nel giugno 2008 la Conferenza internazionale di sostegno all’Afghanistan, che ha rilanciato l’impegno del Governo afghano e della comunità internazionale, con la conferma delle priorità stabilite dal Compact di Londra (2006), la presentazione della nuova Strategia Nazionale Afgana per lo Sviluppo (Afghanistan National Development Strategy) e la raccolta di nuovi pledge finanziari per oltre 20 miliardi di dollari. A conferma del rinnovato dinamismo impresso da Parigi al dossier afgano, il Quay d’Orsay ha ospitato il 14 dicembre 2008 una riunione informale sull’Afghanistan, alla quale hanno preso parte cinque dei sei Paesi confinanti (l’Iran non è intervenuto) e l’India, per rilanciare il tema della cooperazione regionale sulla base della Dichiarazione di Buon Vicinato del 2002. Tra le conclusioni più rilevanti dell’incontro di dicembre, la decisione - anche da parte UE - di fornire assistenza alla Regional Economic Cooperation Conference, di cui Islamabad si è impegnata a sostenere la terza sessione (dopo quelle del 2006 e 2007) e di riconvocare una riunione regionale in area nel 2009.

       Il rafforzamento del dispositivo militare francese in teatro afgano e i due eventi ospitati a Parigi nel 2008 sono indice di un visibile rilancio dell’azione francese in Afghanistan, con l’obiettivo di recuperare spazio e riguadagnare, anche nel più ampio scenario internazionale, un ruolo consono al proprio peso e alle proprie ambizioni, con un occhio piu’ sensibile verso Washington. Questa politica costituisce un’evoluzione dell’approccio, seguito prima della Presidenza Sarkozy, di presa di distanza dallo scenario afghano e rappresenta una forma di coinvolgimento politico, diplomatico, di cooperazione allo sviluppo in alternativa ad un impegno militare che, anche dopo l’ultimo incremento, resta di livello inferiore a quello di altri partner NATO.

 

 

RELAZIONI CON LE PRINCIPALI ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

 

UNAMA

La missione UNAMA (United Nations Assistance Mission in Afghanistan), fa capo al Dipartimento Affari Politici delle Nazioni Unite, ed è stata istituita con la Risoluzione 1401/2002 per l’attuazione degli Accordi di Bonn del 2001. UNAMA gestisce le attività umanitarie e di ricostruzione e si compone prevalentemente di personale civile (in totale 1300 persone, per l’80% locale), mentre 18 Paesi forniscono ciascuno un osservatore militare. Sono attivi 17 Uffici provinciali ed è prevista l’apertura di ulteriori 6 nel 2008-2009.

Il 10 marzo 2008, il Segretario Generale dell’ONU ha conferito al norvegese Kai Eide l’incarico di proprio Rappresentante Speciale per l’Afghanistan (RSSG) e Capo della missione UNAMA. Il mandato viene rinnovato annualmente. Il Consiglio di Sicurezza ha effettuato una missione in Afghanistan dei Rappresentanti Permanenti, guidata dall’Italia che ha avuto incontri a Kabul e Herat, descrivendo una situazione che seppure molto critica lascia spazio ad un cauto ottimismo. L’impegno di UNAMA nel Paese mira a sostenere più coerentemente il Governo afghano; a rafforzare la cooperazione con ISAF; a fornire una politica a vasto raggio attraverso una rafforzata e ampliata presenza nel Paese; a fornire buoni servizi per i programmi di riconciliazione guidati da afghani; a sostenere gli sforzi volti a migliorare la governance, la RoL e la lotta alla corruzione; a dotarsi di un ruolo centrale di coordinamento per facilitare la consegna degli aiuti umanitari; a monitorare la situazione dei diritti umani e coordinare gli sforzi per proteggerli; ad assistere al processo elettorale attraverso l’Afghan Indipendent Electoral Commission (AIEC); a sostenere la cooperazione regionale. Il Consiglio di Sicurezza ha approvato il 23 marzo 2009 la risoluzione n. 1868 che rinnova il mandato di UNAMA fino al 23 marzo 2010.

 

            NATO

            L'Afghanistan è l’operazione più impegnativa e rilevante della NATO. La consistenza delle forze ISAF è progressivamente cresciuta ed ammonta oggi a circa 62.000 unità appartenenti alle 26 Nazioni Alleate e a 14 Paesi non NATO. Gli Stati Uniti sono il principale fornitore di truppe (circa 30.000). I principali Paesi contributori sono, dopo gli Stati Uniti, il Regno Unito (8.600), la Germania (3650), il Canada (2780), la Francia (2770) e l’Italia (2600).

            Sul piano dell’attuazione del comprehensive approach, strategia pienamente sposata dalla nuova Amministrazione USA, si registra un crescente impegno anche nell’ottica di una ragionata e graduale exit strategy dal Paese, ormai apertamente annunciata dal Presidente Obama. A partire dal Vertice NATO di Bucarest dell’aprile 2008, nel quale i Capi di Stato e di Governo hanno approvato i nuovi pilastri della strategia politico-militare dell’Alleanza in Afghanistan, l’enfasi è stata posta in via crescente sull’esigenza di incrementare l’attività di formazione delle forze di sicurezza afgane (esercito e polizia) per rafforzare la loro capacità di gestione della sicurezza (capacity building) in maniera sempre più autonoma. A tale proposito il progressivo trasferimento delle responsabilità di sicurezza alle autorità afgane, avviato lo scorso anno nell’area di Kabul, costituisce una prima fondamentale tappa, cui dovranno seguirne altre. Sebbene non sia ancora completamente ultimato il processo di revisione strategica sull’Afghanistan, traspare l’orientamento americano, pur non esplicitato, di proporre ulteriori significativi aumenti degli obiettivi di accrescimento delle forze di polizia e delle forze armate (questi ultimi già innalzati lo scorso settembre fino a 134.000 unità).

 

       L’Ambasciatore Fernando Gentilini ha assunto nel luglio 2008 l’incarico di Rappresentante Civile della NATO (Senior Civilian Representative). 

 

       Il 22 settembre 2008 il Consiglio di sicurezza ha adottato la Risoluzione 1833 che rinnova la missione ISAF, sottolineando quanto sia importante il suo sostegno al Governo afghano per migliorare la situazione di sicurezza del Paese. L'Afghanistan quindi continua ad essere per l'Alleanza l’operazione più impegnativa e rilevante. La consistenza delle forze ISAF è progressivamente cresciuta ed ammonta oggi ad oltre 54.000 unità appartenenti alle 26 Nazioni Alleate e a 14 Paesi non NATO.

 

       G8

       La questione afghana è oggetto di attenzione anche da parte del G8, che dal 2007 su impulso dell’allora Presidenza tedesca ha avviato l’iniziativa “Afghanistan-Pakistan”, attenta alla dimensione regionale del problema afghano e allo sviluppo di interventi di cooperazione nelle aree transfrontaliere. In tale ambito prosegue l’originaria iniziativa “Afghanistan-Pakistan” lanciata a Potsdam nel 2007 per la stabilizzazione e lo sviluppo socio-economico delle aree di frontiera FATA (Federally Administered Tribal Areas). In quell’occasione, i Ministri degli Esteri del G8 dedicarono una sessione di outreach allargata ai loro omologhi di Afghanistan e Pakistan. Attualmente, l’iniziativa per le FATA include circa 175 progetti di sviluppo e stabilizzazione, proposti dai partner G8 in diversi settori (sicurezza, rifugiati, economia, infrastrutture, educazione, sanità, contatti con la società civile, gestione delle frontiere e delle dogane, capacity building, ed altre aree ritenute prioritarie sia dai partner G8 che dai Governi afghano e pakistano). I Ministri degli Esteri del G8, riunitisi a Kyoto il 26-27 giugno 2008, hanno adottato una dichiarazione ad hoc sull’Afghanistan, oltre a sancire l’istituzione di un “Coordination Arrangement for the G8 Afghanistan-Pakistan Initiative”. Posto sotto la guida della Presidenza G8 di turno, prevede anche il coinvolgimento di UNAMA e dei Governi afghano e pakistano. Gli incontri si tengono ad Islamabad e Kabul. L’idea di creare un meccanismo di coordinamento è stata fortemente supportata, in particolare, dalla Germania.

       Durante la Presidenza italiana del G8 l’Italia intende rafforzare il meccanismo di coordinamento deciso a Kyoto. Sul piano politico-diplomatico in occasione della Riunione dei Ministri degli Esteri del G8 di Trieste, è prevista la convocazione di una sessione di outreach con i Ministri degli Esteri di Afghanistan, Pakistan, gli altri Paesi della regione e partner importanti che possono dare un contributo al dialogo regionale. L’evento non si qualifica come pledging conference ma come occasione per rilanciare meccanismi di cooperazione nella regione.

 

 

 

 

 

 


 

 

quadro economico

 

 

 

PRINCIPALI INDICATORI MACROECONOMICI

 

PIL a parità di potere d’acquisto (stime 2008)

23,03 miliardi di dollari

PIL al cambio ufficiale

12,85 miliardi di dollari

Crescita PIL

7,5%

PIL pro capite a parità di potere di acquisto (stime 2008)

800 dollari (Italia: 31.000 dollari)

Inflazione (stime 2007)

13%

Disoccupazione (stime 2008)

40%

 

 

 

Il settore fiscale è stato sottoposto negli anni passati ad importanti riforme che hanno contribuito a rendere più stabile la difficile situazione delle finanze pubbliche. L'80% del sistema economico afghano è informale e le entrate fiscali governative sono passate dal 4,7% nel 2003/2004 ad un indice dell'8,2% nel marzo 2007, una percentuale ancora molto bassa anche se in sensibile crescita. Questo aumento, unito ad una prudente politica verso le spese di gestione del core budget, ha portato ad una graduale riduzione nel deficit delbudget operativo (escluse le donazioni) sin dal 2004/2005. Il sistema di riscossione fiscale è comunque ancora altamente inefficiente e affetto da alti livelli di corruzione, soprattutto nelle province dove minore è il controllo dell’amministrazione Karzai. Le entrate previste sono pari a meno della metà delle previsioni di spesa; l’autosufficienza non potrà essere raggiunta prima del 2012. L’Afghanistan continua, intanto, a dipendere pesantemente dall’afflusso di aiuti esterni.

Il settore finanziario è ancora in una fase “embrionale”, in quanto, pur essendo un Paese nel quale le transazioni avvengono ancora in larga misura in contanti, il sistema bancario in Afghanistan si è sviluppato notevolmente solo negli ultimi anni. L’approvazione delle leggi di riforma della Banca Centrale Afghana (DAB) e del sistema bancario ha costituito la prima tappa per il rilancio del settore finanziario nel Paese ed ha introdotto il fondamentale principio della sua autonomia. Essa dovrà continuare a svolgere un essenziale ruolo di supervisione sulle singole banche commerciali, settore che ha subito notevoli progressi rispetto al recente passato.

 

 

1. Andamento congiunturale

Il quadro economico afghano risente inevitabilmente degli effetti di lungo periodo di guerre e conflitti intercorsi nel Paese. Gran parte delle infrastrutture sono andate distrutte, il commercio estero è praticamente inesistente e il bilancio statale dipende per il 60% dagli aiuti internazionali. La Pubblica Amministrazione è in via di ricostruzione e soffre di una diffusa corruzione (il Transparency International Corruption Perceptions Index è pari a 2,5 e pone il Paese al 117° posto su 158). Dopo quasi un trentennio di conflitti che hanno devastato le infrastrutture del Paese, il Governo Karzai è impegnato in una serie di importanti riforme con il fondamentale supporto tecnico e finanziario della Comunità internazionale. Su questo sfondo, i progressi in ambito economico compiuti negli ultimi 5 anni non sono trascurabili. Tre decadi di conflitto non hanno piegato il tradizionale spirito imprenditoriale degli afghani, alimentato anche dal ritorno della diaspora. L'imponente sforzo volto a favorire la ricostruzione e lo sviluppo economico del Paese si scontra però con fortissime criticità, prima tra tutte il precario quadro di sicurezza. A questo si accompagnano una carente dotazione infrastrutturale (particolarmente nel settore energetico) e un sistema giuridico-legale in materia di regolamentazione discutibile. Dal 2002 ad oggi il Prodotto Interno Lordo del Paese è cresciuto di oltre il 73%, con tassi medi superiori all'8% annuo, fino al 15%.

L’agricoltura assicura circa il 38% del PIL e impiega l’80% della popolazione attiva. Sebbene, infatti, solo il 12% del territorio afghano sia considerato coltivabile, il settore agricolo rappresenta il 40% dell’economia. Il settore agricolo venne gravemente danneggiato durante lo svolgimento della guerra civile e sotto il regime talebano, le problematiche sono state ulteriormente esacerbate da una serie di periodi di siccità tra il 1998-2000. L’agricoltura ha compiuto una straordinaria ripresa nel 2003, dovuta ad una abbondanza delle precipitazioni. In ogni caso l’ambito della produzione rurale continua a rappresentare la metà della produzione globale a partire dal 1978. Meritevole di nota è il fatto che nel frattempo la popolazione è quasi raddoppiata. Il grano e la farina sono i prodotti alimentari più importanti in Afghanistan. Il consumo annuale pro-capite di frumento eccede i 150 kg. Il paese, comunque, dipende dal vicino Pakistan per le importazioni di farina già macinata. Le fonti dell’importazione di grano mostrano alcune caratteristiche importanti sulla distribuzione geografica, linguistica e storica della popolazione. Le etnie del Nord (prevalentemente i Tagiki e gli Uzbeki) tendono a importare farina dal Kazakhstan o dall’Iran, anche se il Pakistan può essere una fonte più logica di importazioni in molti casi. La popolazione Pashtun del paese, d’altro canto, si attiene agli aiuti pakistani. Circa il 70% del grano viene prodotto nei campi irrigati in Afghanistan. Per l’orticoltura, che affianca il settore cerealicolo, si può registrare la coltivazione di canna da zucchero, ortaggi e frutta. L’Afghanistan è infatti stato uno dei principali esportatori mondiali di uva secca. Negli anni settanta i prodotti agricoli hanno costituito il 40-60% di tutti i guadagni da esportazioni. Infine un altro prodotto significativo dell’economia afghana è rappresentato dal papavero da oppio, di cui il Paese è il principale produttore mondiale.

       Nel 2007 il PIL nominale stimato dal FMI (esclusa la produzione di oppio) si attesta sugli 8,8 miliardi di dollari (7,3 miliardi nel 2005/2006), mentre il valore della produzione di oppio é stimato in 4 miliardi.

       L’allevamento e l’esportazione di lana e pelli contribuiscono anche esse, in maniera significativa, alla formazione del reddito del paese. Circa 26 milioni di capi tra ovini e caprini costituiscono un patrimonio zootecnicoeccezionale, arricchito per giunta dalla qualità karakul, ottima per pellicce. Il sottosuolo afghano racchiude giacimenti di petrolio e gas ritenuti consistenti che non sono però al momento sfruttati a causa della situazione di insicurezza generale. I progetti di oleodotti studiati dall’americana UNOCAL e dall’Argentina Bridas negli anni ’90 sembrano rimettersi in moto dopo l’Inter-Governmental Framework Agreement firmato dai Governi interessati al TAPI nell’aprile del 2008 a Islamabad. Si può aggiungere che le risorse minerarie e energetiche del Paese, ritenute consistenti, non sono sfruttate. Ci sono dei progetti in questo senso ma, data la scarsa sicurezza del territorio, non si è andati oltre la semplice teorizzazione. I trasporti e le infrastrutture sono una necessità per lo sviluppo del Paese, e numerosi sono i programmi per la creazione di autostrade sviluppate su alcune direttrici principali (Kabul-Herat, Kabul-Kandahar- Kabul-Jalalabad).

       Le previsioni a medio termine del FMI disegnano uno scenario nel quale i principali ostacoli alla crescita (tra cui la penuria di energia a Kabul e l’aleatoria situazione della sicurezza) dovrebbero essere gradualmente ridotti. La crescita nel medio termine potrà altresì essere influenzata da tre elementi;

       1) i programmi di sviluppo rurale e gli aiuti della comunità internazionale, volti a sradicare la coltivazione dell’oppio in favore di colture alternative - se mantenuti - potranno creare rilevanti benefici al sistema agricolo lecito, da cui dipende il reddito di oltre 2/3 della popolazione, e contribuire ad una crescita dell’economia;

       2) il FMI e il Governo afghano si aspettano massicci investimenti stranieri per lo sviluppo dell’industria mineraria, un settore che potrebbe rappresentare la chiave di volta per una crescita economica duratura[4];

       3) una concomitante e sostenuta crescita del commercio e dei servizi.

       Parallelamente a questi settori si è registrata una notevole espansione dell’economia informale, ma non contabilizzata nelle statistiche ufficiali. È il caso degli oppiacei.

 

2. La produzione di oppiacei

L’Afghanistan produce e commercia una quota stimabile del 93% dell’oppio mondiale. Questa coltivazione si adatta alle caratteristiche morfologiche del territorio ed assicura ottimi ricavi, tanto da giocare un ruolo chiave nell’economia rurale, nell’occupazione e nella riduzione della povertà.Nel 2007 le coltivazioni di papavero si sono estese fino ad arrivare a 193 mila ettari di terreno, producendo un raccolto pari a 9 mila tonnellate di oppio.Secondo una ricerca condotta nell’agosto del 2008 dall’UNODC (United Nation Office on Drugs And Crime) sulla produzione di oppio, gli ettari di terreno destinati alla coltivazione dell’oppio sono diminuiti del 19% rispetto al 2007; la produzione, però, è calata di un solo 6%, dovuto ad un aumento della densità di rendita per ettaro. Le tecniche di sradicamento adottate si sono dimostrate inefficaci e dispendiose in termini di vite umane. Dal 2007 il numero di province che hanno efficacemente debellato il problema droga è aumentato di circa il 50%. In realtà, il 98% dell’intera produzione cresce in sole 7 province del sud-ovest (Helmand, Kandahar, Uruzgan, Farah, Nimroz e in misura inferiore Daykundi e Zabul) dove vi sono anche gli insediamenti permanenti talebani e gruppi criminali organizzati. Questo a confermare la connessione esistente tra droga ed insorgenza. La provincia di Helmand nello specifico, produce i 2/3 del totale.

       Il calo della produzione nel 2008 può essere attribuito a due fattori:

       - buona leadership locale: alcune province come Badakshan, Balkh, Nangarhar hanno scoraggiato la coltivazione di oppiacei tramite campagne di sensibilizzazione e la promozione dello sviluppo rurale;

       - cattive condizioni climatiche: nelle regioni settentrionali e occidentali le coltivazioni sono state danneggiate dalla scarsità delle precipitazioni.

       La strategia sulla droga dell’Unione Europea per il periodo 2005-2012 e il relativo piano d’azione sulla droga 2005-2008, raccomandano una maggiore cooperazione con i Paesi lungo le frontiere orientali dell’UE, dei Paesi balcanici e della regione intorno all’Afghanistan oltre, ovviamente, ad interventi che mirino alla riconquista del territorio occidentale dell’Afghanistan (l’obiettivo del 2008 è stato quello di fare in modo che sempre più province abbandonassero definitivamente la produzione, come nel caso di Nangarhar e Badakshan; per il 2009 bisognerebbe raggiungere lo stesso obiettivo a Farah, Nimroz, Zabul e Day Kundi); ad azioni di prevenzione, e di sostegno alle fasce più vulnerabili della popolazione; ad operazioni nel settore della giustizia e della sicurezza.

 

 

3. Situazione fiscale 2007/2008 e programma di stabilizzazione economica

 

Nonostante un calo del PIL dello 0,5%, la posizione fiscale è tuttavia relativamente incoraggiante, grazie ad un minore dispendio del budget operativo rispetto al previsto. Si stima che nel 2007/2008 le entrate abbiano raggiunto i 33.4 miliardi di dollari. Il deficit  pubblico potrebbe essere attribuito a costi di amministrazione più alti del previsto rispetto alle entrate derivanti dalle imposte dirette e indirette. I dati mostrano che le spese di gestione hanno assorbito il 10.6% del PIL (valore superiore a quello stimato) contro il 9.4% riservato ai progetti di sviluppo. Nel 2007/2008 il Governo ha varato un programma pilota in vista di un consolidamento del processo di preparazione del bilancio e dell’allineamento dei consumi, sotto la guida dell’ANDS (Afghanistan National Development Strategy). Anche il Ministero delle Finanze ha cominciato ad articolare gli obiettivi e le sfide delle politiche fiscali afgane nel medio termine, tramite il Medium-Term Fisical Framework (MTFF). Ciò nonostante, le esigenze legate all’opera di ricostruzione e l’aumento delle spese per la sicurezza incidono considerevolmente sulle finanze pubbliche, mantenendole dipendenti dagli aiuti della Comunità internazionale. La Conferenza di Parigi del 12 giugno 2008 è stata l’occasione per raccogliere promesse di finanziamenti dalla Comunità internazionale, che ha annunciato nell’insieme un impegno di 20 miliardi USD.

Alcune iniziative in campo fiscale sono state prese dal FMI. Un team di specialisti si è recato a Kabul nel maggio 2008 per discutere con il Ministro delle finanze afghano e con il Direttore della Banca afghana su alcuni temi fondamentali, quali l’obiettivo di mantenere una forma di stabilità economica e altri propositi prioritari di riforma, inclusi il declino delle entrate nella seconda metà del biennio 2007/2008. La missione ha raggiunto un’intesa con le autorità su alcune principali tematiche che necessitano di essere approfondite e implementate prima del compimento della quarta revisione sotto il programma PRGF. Guardando più in là, la continua disciplina macro-economica, l’effettiva rendita della mobilitazione, il progresso in riforme chiave a livello strutturale, le politiche per aumentare lo sviluppo del settore privato e il supporto per la riforma dell’agenda politica sono punti critici da rispettare per il Paese nell’ottica del programma del FMI, così come complesso appare anche il raggiungimento della crescita potenziale e della riduzione della povertà, obiettivi spiegati chiaramente nell’Afghanistan National Development Strategy. (ANDS)

 

 

4. Biennio 2008/2009

 

Nonostante il deterioramento delle condizioni di sicurezza del Paese durante l’anno passato, il Governo afghano ha continuato ad implementare i programmi di ricostruzione esistenti e ha compiuto nuovi maggiori sforzi per lo sviluppo. Le autorità governative hanno sottoposto il “Poverty Reduction Strategy Paper”, inglobato nell’ANDS (Afghanistan National Development Strategy) alla valutazione della Banca Mondiale e del FMI presentato alla Conferenza di Parigi del giugno 2008.

       L’Afghanistan ha dato avvio dal 2005 al programma Poverty Reduction and Growth Facility (PRGF) con il FMI e le previsioni sono quelle di completare il terzo anno di questo piano nell’estate del 2009, obiettivo che risulta essere fondamentale per il raggiungimento degli indicatori economici previsti dall’” Heavily Indebted Poor Countries Program” (HIPC). Il governo, inoltre, ha precisato di aver implementato con successo molte delle raccomandazioni per le riforme strutturali. Come nell’anno precedente, lo scorso anno si è assistito ad una crescita del reddito del 27%; durante il 2008 la crescita stimata di questo dato è stata del 32%.

       Tuttavia, come il resto del mondo, l’Afghanistan ha sofferto per la drastica impennata dei prezzi dei beni alimentari e del petrolio. Tra il 2002 e il 2007 l’inflazione è rimasta sotto il 10% mentre nel 2007 è cresciuta di oltre il 20%. La crescita nei prezzi del cibo e del carburante giustificano più dell’80% dell’inflazione dello scorso anno. Per di più nel 2008 la siccità ha causato un declino di circa il 30% nella produzione di grano, il cereale che costituisce la base dell’agricoltura nazionale.

       La situazione fa presagire una scarsità di cibo e un problema di mancanza di questa materia prima, difficoltà verso la quale il Governo sta agendo allocando 100 milioni di US $ per acquistare del grano dai mercati internazionali. Without major imports of grain, we anticipate major food shortages.

Nel corso del 2007 l’economia è cresciuta di un tasso del 7.5%, mentre nel 2008 la crescita ha subito una battuta d’arresto facendo attestare il livello ad una soglia dell’11.5%. Sebbene il Governo abbia anticipato le riforme strutturali per consentire al settore privato di giocare un ruolo più importante nella crescita dell’economia nel giro di poco tempo, per ora, l’assistenza dei Paesi donatori continua ad essere la maggiore fonte di contribuzione per l’intera economia. I Paesi donatori hanno concordato nel convogliare almeno il 50% dei loro aiuti attraverso il budget nazionale entro il 2010.[5]

 

 

5. Rapporti con le Istituzioni Finanziarie Internazionali e situazione debitoria

Il 7 luglio 2008 il Consiglio Esecutivo del Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha concluso la 4° revisione dell'accordo di 'Poverty Reduction and Growth Facility' (PGRF) dell'Afghanistan. L'accordo di PRGF è stato avviato il 26 giugno 2006 (sarà in vigore fino al 25 giugno 2009) ed è dotato di un pacchetto finanziario complessivo di SDR 81 milioni (ca. USD 129 milioni). Il completamento della 4a revisione ha messo immediatamente a disposizione delle Autorità afgane una 'tranche di finanziamento pari a SDR 11,3 milioni (ca. USD 18,5 milioni), portando a SDR 58,4 milioni (ca. USD 95,6 milioni) l'ammontare finora erogato nell'ambito del Programma. Il Consiglio Esecutivo ha valutato positivamente l'andamento dell'economia afghana, nonostante la difficile congiuntura internazionale (caratterizzata dall'aumento dei prezzi dei beni alimentari e dei prodotti petroliferi) e la precarietà delle condizioni di sicurezza. I Direttori Esecutivi (DE) hanno, comunque, raccomandato alle Autorità afgane di procedere, urgentemente, alla riforma dell'amministrazione fiscale e doganale nell'obiettivo di consolidare le entrate, ridurre la dipendenza dall'assistenza esterna e garantire la sostenibilità finanziaria di lungo periodo. Al fine di alleggerire la pressione sul bilancio statale, i DE hanno sollecitato la ristrutturazione della 'governance delle imprese statali, con particolare riferimento alla compagnia aerea ed alla compagnia elettrica nazionali. I DE hanno, inoltre, raccomandato l'adozione di misure mirate alla trasparenza del settore petrolifero ed hanno invitato le Autorità di Kabul ad avviare la privatizzazione della 'Fuel and Liquid Gas Enterprisè. Progressi rilevanti nel campo delle riforme strutturali sono, d'altronde, considerati necessari anche ai fini del raggiungimento, per tempo, dell'HIPC completion point', alla cui data (presumibilmente verso la metà del 2009) sarà erogata all'Afghanistan la cancellazione finale del debito eleggibile nell'ambito delle Iniziative di alleggerimento debitorio HIPC e MDRI. Di fronte alla crescita dell'inflazione generata dall'aumento dei prezzi dei beni alimentari, i DE hanno incoraggiato la Banca centrale afghana ad adottare un approccio cauto in materia di politica monetaria. I DE hanno, inoltre, invitato il Governo afghano a sviluppare, in collaborazione con il WFP e le altre Agenzie di sviluppo presenti nel Paese, meccanismi mirati a mitigare l'impatto della crescita dei prezzi dei beni alimentari sulle fasce più vulnerabili della popolazione. In ragione della limitata capacità di assorbimento dell'economia afghana, i DE hanno, infine, raccomandato un'attenta prioritarizzazione dei progetti e degli investimenti individuati nell'Afghanistan National Development Strategy' (ANDS).

L’Afghanistan è classificato dalla Banca Mondiale come Paese “IDA-only” (International Donor Assistance) non HIPC (Heavily Indebted Poor Countries) ed è in linea di principio eleggibile a misure di riscadenzamento o di cancellazione parziale del debito al Club di Parigi, in dipendenza delle previe indispensabili analisi finanziarie del Fondo Monetario Internazionale e del conseguente contenuto del Programma con il Fondo Monetario Internazionale stesso. Il 19 luglio 2006 i creditori del Club di Parigi hanno concluso l’Intesa Multilaterale di ristrutturazione del debito con l’Afghanistan. Il trattamento del debito estero, complessivamente pari ad 11,3 miliardi di dollari USA (di cui 11,1 miliardi nei confronti della sola Federazione Russa) riguarda un ammontare pari a 2,4 miliardi di dollari di debito contratto sia da crediti di aiuto sia da crediti commerciali. L’Intesa inoltre cancella 1,6 miliardi di dollari e riscadenza 0,8 miliardi. All’Afghanistan viene applicato il “trattamento Napoli” che prevede il rimborso del debito da crediti d’aiuto in 40 anni di cui 16 di grazia, il 67% del debito commerciale viene annullato ed il rimanente 33% riscadenzato su 23 anni di cui 6 di grazia.

Le operazioni della Banca Mondiale (BM) sono state riavviate nel 2002 (dopo esser state sospese nel 1979 a seguito dell’invasione sovietica). Dal 2002, la BM ha finanziato 37 progetti, per un ammontare di ca. USD 1,65 miliardi (dato ad aprile 2008), la maggior parte dei quali erogati a dono. Con riferimento all’anno fiscale 2008-2009 sono stati impegnati ca. USD 270 milioni, da erogarsi interamente a dono.

       Dal 2003, la BM amministra anche l’ ”Afghanistan Reconstruction Trust Fund“(ARTF), fondo multi-donors che ha rappresentato negli ultimi anni il principale strumento a  supporto del bilancio statale (dal 2003 sono state erogate attraverso il “trust fund” ca. USD 2,3 milioni di risorse addizionali). Nel giugno 2008, il Consiglio Esecutivo della Banca ha approvato l’Afghanistan National Development Strategy' (ANDS), ovvero la strategia nazionale di riduzione della povertà preparata dalle Autorità afgane. Si compone di tre pilastri strategici: sicurezza;'governance, stato di diritto e diritti umani; sviluppo economico e sociale. La strategia indica, inoltre, sei questioni trasversali: contrasto al traffico di droga, lotta alla corruzione, 'capacity development', uguaglianza di genere, ambiente, cooperazione regionale.

 

 


Recenti sviluppi della situazione in Afghanistan

L’attuale fase politica afghana è caratterizzata, sul fronte interno, dalle elezioni presidenziali e dei Consigli provinciali previste per il prossimo 20 agosto e, sul fronte internazionale, dalla nuova strategia Usa e Nato dell’approccio globale (comprehensive approach) ai problemi di sicurezza e sviluppo dell’area.

La data delle elezioni presidenziali, fissata dall’Independent Election Commission afghana con il consenso della comunità internazionaleal 20 agosto, anche per motivi di sicurezza, è stata, nei primi mesi del 2009, al centro della contesa politica in Afghanistan. Il presidente Hamid Karzai, in lizza per la riconferma del mandato, ha tentato di anticipare la consultazione elettorale alla fine di aprile, invocando una norma costituzionale, per sgombrare il campo – come sostenuto da taluni osservatori - dagli avversari che non avrebbero avuto modo di organizzare la campagna elettorale in così poco tempo. Superato il problema della data, con l’accettazione del 20 agosto da parte del presidente, la disputa tra Karzai e il principale dei suoi avversari, il presidente della Camera bassa afghana (Woolesi Jirga), Yunus Qanooni, si è incentrata sul prolungamento del mandato del presidente (che scade il 21 maggio) sino alla proclamazione del vincitore delle elezioni (1° ottobre). Il 19 maggio il New York Times ha riportato indiscrezioni secondo le quali Zalmay Khalilzad, diplomatico americano di lungo corso originario della provincia afghana di Mazar-e-Sharif, ex ambasciatore Usa in Afghanistan, in Iraq e all'Onu e grande elettore di Karzai nel 2004, considerato un pragmatico che ha saputo trattare con tutti - dai mujaheddin ai talebani - sarebbe destinato ad affiancare Karzai in caso di (probabile) riconferma, in posizione di “proconsole” americano nel paese.

Un comprehensive approach alla questione afghano-pakistana è la nuova risposta della comunità internazionale alla crisi del’area dell’Asia del sud. La nuova strategia del presidente Barak Obama per la stabilizzazione dell’area postula la distruzione di al Qaeda in Afghanistan e in Pakistan; a tale fine prevede l’incremento della presenza militare in Afghanistan anche allo scopo di garantire lo svolgimento regolare delle elezioni di agosto, un maggiore sostegno alla crescita civile del paese nonché il coinvolgimento dei paesi dell’area. Il concetto di comprehensive approach, già promosso dalla Nato nel 2008, è stato ribadito nel Vertice di Strasburgo-Kehl (3-4 aprile 2009), dove i paesi dell’Alleanza atlantica hanno deciso, tra l’altro, di sostenere il rafforzamento delle istituzioni afghane inviando ulteriore personale militare e civile all’interno di nuove missioni istituite nell’ambito della missione ISAF.

La nuova strategia USA e NATO in Afghanistan e in Pakistan

A fronte del deterioramento delle condizioni di sicurezza in Afghanistan sia gli Stati Uniti sia l’Alleanza atlantica hanno operato un ripensamento globale della strategia nel paese asiatico, evidenziando orientamenti volti allo sviluppo di una comprehensive policy per l’intera regione, adatta a riallineare gli obiettivi militari, diplomatici e di sviluppo dell’area.

Il concetto di comprehensive approach alla situazione afghana, già affermatosi dall’inizio del 2008, è stato recepito al vertice NATO di Bucarest del 2-4 aprile di quell’anno; esso si fonda sulla convinzione che solo attraverso un più stretto coordinamento tra le diverse organizzazioni internazionali operanti sul territorio, una maggiore responsabilizzazione del governo afghano e notevoli investimenti in risorse civili sia possibile rispondere alla questione, non solo militare ma anche politica, della stabilità del paese. LISAF’s Strategic Vision, documento firmato da tutti i Paesi membri della NATO, nel porre le basi per una nuova strategia per l’Afghanistan, sottolinea la necessità di un più efficace coordinamento delle attività, sia militari sia civili, di tutti gli attori nazionali e internazionali (comprehensive approach) e ribadisce l’opportunità di coinvolgere maggiormente i Paesi confinanti.

Quanto agli USA, muovendo dalla convinzione che un eventuale nuovo attacco, analogo a quello dell’11 settembre 2001, potrebbe essere organizzato dalle basi terroristiche poste lungo il confine afghano-pakistano, hanno dato corpo all’annunciata nuova strategia per l’area nominando l’ex diplomatico Richard Holbrooke Rappresentante Speciale per l’Afghanistan e il  Pakistan (Afpak), e predisponendo un apposito gruppo di studio incaricato della revisione della strategia per l’area, guidato da Bruce Riedel (già alto funzionario CIA).

La nuova strategia americana per l’Afghanistan, finalizzata alla distruzione di al Qaeda in Afghanistan e in Pakistan, è stata annunciata a Washington il 27 marzo 2008 dal presidente Barak Obama. La comprehensive strategy prevede la costante cooperazione trilaterale tra gli Stati Uniti, Pakistan e Afghanistan, attraverso un dialogo continuo tra i rispettivi rappresentanti, al fine di rafforzare la cooperazione militare e di intelligence lungo i confini.

A sostegno della lotta contro i taleban in Afghanistan, è stato disposto l’invio di altri 17.000 militari, la cui presenza è destinata anche ad assicurare lo svolgimento delle elezioni presidenziali e provinciali in Afghanistan del 20 agosto 2009. Alla costruzione di infrastrutture civili e a interventi di rafforzamento della democrazia pakistana è destinato lo stanziamento annuo di 1,5 miliardi di dollari.

La nuova strategia prevede l’incremento del numero e delle capacità operative delle forze di sicurezza locali, e a tale fine è stato previsto l’invio di circa 4.000 soldati americani con precisi incarichi di addestramento; l’obiettivo è la formazione, entro il 2011, di un esercito afghano di 134.000 soldati e di una forza di polizia di 82.000 unità.

Altro punto fermo della comprehensive strategy statunitense è la ricerca di un dialogo con quella parte non radicale degli Afghani che si è avvicinata ai talebani sotto la minaccia delle armi o semplicemente attratta da ricompense economiche, e che può essere ricondotta sulla strada della riconciliazione nazionale, lavorando insieme ai leader locali, al governo afghano e alle organizzazioni internazionali.

Un fattore altrettanto essenziale della strategia esposta dal Presidente Obama è la stretta collaborazione con gli Alleati in tre direzioni: sostegno alle elezioni afgane; contributo civile (addestratori, insegnanti, ingegneri, etc.); formazione delle Forze di sicurezza afgane. All’ONU viene riservato un rafforzamento del mandato a coordinare l’intervento e l’assistenza internazionale a rafforzare le istituzioni del Paese.

La validità dell’approccio regionale alla questione afghana, capace di coinvolgere tutti i Paesi dell’area, compreso l’Iran, nel quadro di uno sforzo congiunto a livello internazionale si è affermata anche nel corso della Conferenza internazionale sull’Afghanistan, organizzata sotto l’egida del Gruppo di Shanghai a Mosca il 27 marzo 2009 cui hanno partecipato quasi tutti i paesi dell’area.

Pochi giorni dopo, il 31 marzo 2009, la Conferenza internazionale ONU sull’Afghanistan svoltasi all’Aja con la partecipazione dei paesi contributori della forza di pace NATO (ISAF), di membri del G8, e paesi della regione quali Iran, Pakistan, Cina e Turchia e organismi internazionali, ha visto l’Iran assumere, per voce del vice ministro degli esteri di Teheran, Mohammed Mehdi Akhoundzadeh, l’impegno a cooperare con la comunità internazionale per aiutare progetti di ricostruzione e di sviluppo dell’Afghanistan e per stroncare il traffico di oppio che finanzia i talebani. Fonti di stampa, tuttavia, hanno riferito che il vice ministro iraniano ha comunque ribadito le critiche alla presenza su territorio afghano delle truppe internazionali che – ha detto – hanno dimostrato tutta la loro ‘’inefficacia’’ .

Quanto alla NATO, la strategia dell’Alleanza Atlantica sull’Afghanistan è riportata nel documento Summit Declaration on Afghanistan, approvato dai 28 Capi di Stato e di Governo nel corso del Vertice NATO straordinario di Strasburgo-Kehl (3-4 aprile 2009) per il sessantennale dell’Alleanza Atlantica.

Nel documento si ribadisce che l’Afghanistan continua a essere la priorità essenziale dell’Alleanza e si afferma che i principi posti a fondamento della visione strategica delineata al precedente vertice di Bucarest (comprehensive approach) restano alla base del suo piano politico militare. Viene posto l’accento sulla centralità del rafforzamento delle istituzioni afgane, obiettivo da conseguire attraverso un più intenso coinvolgimento dei Paesi confinanti con l’Afghanistan e anche, poiché non si tratta di una questione puramente militare, di più importanti risorse civili. Vengono richiamati e condivisi gli esiti della Conferenza internazionale sull’Afghanistan tenutasi all’Aja il 31 marzo 2009, con particolare riguardo alla necessità di bilanciare, nei futuri contributi alla sicurezza e alla stabilità del Paese, gli sforzi civili e quelli militari. Il documento riporta, infine, le decisioni assunte dai Capi di Stato e di Governo che consistono, innanzitutto, nell’istituzione, in ambito ISAF, della NATO Training Mission in Afghanistan (NTM-A) destinata alla supervisione della formazione dei livelli superiori dell’esercito afghano (Afghan National Army-ANA) e a un ruolo più ampio nella  formazione delle forze di polizia (Afghan National Police–ANP), obiettivi da perseguire capitalizzando strutture e sinergie esistenti: la nuova missione, infatti, opererà sotto comando unico con il CSTC-A (Combined Security Transition Command-Afghanistan) statunitense.

Il documento riporta, inoltre, la decisione di fornire più trainers ed esperti a supporto della polizia afghana (al riguardo viene sottolineata l’importante azione di training condotta da EUPOL-European Union police mission in Afghanistan), nonché quella di assistere e supportare le forze di sicurezza afgane (Afghan National Security Forces-ANSF) nelle attività destinate a garantire la sicurezza delle elezioni di agosto, attraverso il dispiegamento temporaneo delle forze necessarie.

Secondo quanto dichiarato dal portavoce della Casa Bianca, i Paesi Nato si sono impegnati a inviare circa 3.000 militari per il periodo delle elezioni, e circa 2.000 addestratori; tra i Paesi che invieranno truppe per le elezioni è stata citata la Gran Bretagna (circa 900 militari), la Germania (600) e la Spagna (450).

In ordine alla consistenza dei rinforzi italiani per l’appuntamento elettorale afghano il Ministro della difesa, Ignazio La Russa, nel corso di un’audizione svolta il 22 aprile 2009 presso le Commissioni riunite difesa di Camera e Senato, ha affermato che è previsto un incremento di circa 400 militari dell'esercito e di circa 40 militari dell'aeronautica militare, dispiegati da luglio a, presumibilmente, novembre. Il Ministro ha sottolineato che l’Italia ha dato anche disponibilità all’invio, a partire da novembre, di ulteriori 50 carabinieri (sei dei quali, però, partiranno subito), con funzioni di addestramento dell'Afghan National Civil Order Police. Altri 114 militari italiani (dei 151 complessivi) schierati con il comando di reazione rapida della Nato di Solbiate Olona quale nucleo centrale del comando ISAF, contribuiscono all’incremento del personale nazionale presente in Afghanistan.

Le elezioni presidenziali e dei Consigli provinciali del 20 agosto 2009

L’Independent Election Commission (IEC), il 29 gennaio, ha fissato al 20 agosto 2009 la data delle elezioni presidenziali e dei Consigli provinciali in Afghanistan. La consultazione, ai sensi della Costituzione afghana del 2004, avrebbe dovuto svolgersi a maggio e la posposizione del termine è stata decisa per motivi di sicurezza, climatici e logistici. La data del 20 agosto ha incontrato il favore degli Stati Uniti e della comunità internazionale, che nel frattempo andava definendo un più intenso impegno in Afghanistan proprio in vista dell’appuntamento elettorale.

Il 28 febbraio il presidente Karzai ha tentato di anticipare la consultazione elettorale al 21 aprile, facendo riferimento all'articolo 61 della Costituzione, a norma del quale le elezioni presidenziali si tengono almeno un mese prima della fine dei cinque anni del mandato del presidente, che per Karzai scade il 21 maggio 2009. Alcuni osservatori hanno sottolineato che l’anticipo dell’appuntamento elettorale, giustificato dall’entourage del presidente con l’intento di evitare un vuoto di potere nel periodo tra la scadenza del mandato presidenziale e la chiamata alle urne, rappresentava in realtà un tentativo di limitare i danni derivanti a Karzai dal calo di popolarità e di sostegno internazionale subìto proprio all’approssimarsi della scadenza del mandato presidenziale. A seguito anche delle critiche della comunità internazionale, per la quale l’anticipo delle elezioni non era altro che il tentativo di impedire agli avversari di essere pronti a un appuntamento elettorale tanto vicino, Karzai ha accettato, all’inizio marzo, la data del 20 agosto stabilita dalla Commissione elettorale[6]

La disputa si è quindi trasferita sul periodo interinale intercorrente tra la fine del mandato di Karzai (21 maggio) e la data della proclamazione del vincitore delle elezioni del 20 agosto (1° ottobre); la Costituzione, infatti, non fa menzione di soluzioni interinali. I problemi di natura giuridica sono complicati, sul piano politico interno, dal fatto che gli avversari di Karzai – primo tra tutti il Presidente della Camera bassa (Woolesi Jirga), Qanooni – si sono opposti all’ipotesi di prolungamento del mandato, nel timore che il Presidente uscente potesse forzare i risultati elettorali. In tale divisione politica sono entrati in gioco anche fattori etnici: Karzai è pashtun, mentre Qanooni è tagiko, e nessuno dei due può pertanto ergersi a rappresentante degli altri gruppi etnici minoritari. Inoltre la non trascurabile componente talebana dell’etnia pashtun è apparsa in rotta con Karzai. Sulla delicata questione del periodo interinale il Presidente della Corte Suprema, in riscontro a una lettera inviata dal Consiglio dei Ministri, ha espresso il proprio favore alla permanenza in carica del Presidente Karzai; il Parlamento si è opposto a tale presa di posizione, dichiarandola illegittima e frutto di pressioni governative. Il portavoce dell’United National Front, coalizione di varie formazioni politiche che aspira a rappresentare l’opposizione – attualmente frammentata e tenuta insieme solo dalla comune avversione a Karzai – aveva indicato nella convocazione di un Consiglio Temporaneo, la soluzione più adatta al governo dell’interim. Il 6 maggio ha presentato la propria candidatura ufficiale l’ex ministro degli esteri afghano Abdullah Abdullah, oppositore del Capo dello Stato uscente e dirigente del Fronte Nazionale, braccio politico dell’Alleanza del nord che lottò contro l’occupazione sovietica prima e il regime dei talebani poi.

L’evoluzione più recente

L’estrema criticità del quadro di sicurezza in Afghanistan è stata sottolineata di recente dal comandante della forza Isaf, il generale statunitense David McKiernan, che nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Kabul il 19 aprile ha affermato che il 2009 continuerà a essere un anno critico per la sicurezza nel paese sia per l’esposizione ad azioni terroristiche, sia sotto il profilo del narcotraffico; McKiernan ha anche affermato che il Pakistan deve fare di più per sradicare le basi dei talebani sul suo territorio, distruggendo quelli che ha definito come i “santuari” dei nemici dell’Afghanistan, ossia le basi dei gruppi ribelli dislocate nelle zone tribali lungo confine tra i due paesi.

Il deterioramento delle condizioni di sicurezza è confermato anche dalle vittime, militari (internazionali e afghani) e civili cadute negli ultimi mesi a seguito di attacchi terroristici o di operazioni militari. La già lunga serie di episodi ha avuto culmine nei primi giorni di maggio, quando la conquista da parte dei taliban di due villaggi, Geraani e Ganj,  del distretto di Bala Boluk, nella provincia di Farah, Afghanistan occidentale, e l’uccisione di poliziotti e civili incolpati di “collaborazionismo” ha provocato l’intervento delle forze afghane e un raid aereo americano che ha causato oltre 100 morti secondo la Croce Rossa (ma fonti di agenzia hanno indicato il numero in 130 e secondo i dati dell’inchiesta ufficiale condotta dalle autorità afghane le vittime sarebbero 147), quasi tutti civili - usati anche come scudi umani dai taleban - moltissimi donne e bambini. Si tratta della più grave strage di non combattenti dall’inizio della campagna anti talebani lanciata nel 2001 da George W. Bush; gli Stati Uniti, per voce del Segretario di Stato Hillary Clinton si sono dichiarati dispiaciuti e si sono impegnati a svolgere un’inchiesta.

L’eco della strage si è riverberato sul summit triangolare tra i presidenti di Usa, Afghanistan e Pakistan promosso da Barak Obama (Washington, 6 e 7 maggio), dove il Presidente Usa ha offerto pieno supporto ai leader dei due paesi asiatici, aumentando per converso la pressione su Kabul e Islamabad per un impegno concreto a fare sul serio nella lotta ai talebani e ad al Qaeda, attraverso l’intensificazione degli sforzi da coordinare con i comandi americani. Gli osservatori hanno sottolineato l’instaurarsi tra il presidente pakistano Asif Ali Zardari e il suo omologo afghano Hamid Karzai di un clima di collaborazione che rappresenta una novità rispetto alla freddezza manifestata dall’allora presidente pakistano Pervez Musharraf e dallo stesso Karzai in occasione dell’ultimo vertice del genere a Washington, durante l’amministrazione Bush. Gli analisti hanno evidenziato che l’amministrazione Obama, apparsa in passato perplessa sulla reale capacità di Karzai e Zardari di far fronte alle minacce nei loro paesi, ha preso atto che il leader afghano è avviato alla conferma alla presidenza nelle prossime elezioni e che il presidente pachistano è giunto a Washington forte dell’aver promosso negli ultimi giorni un'offensiva contro i talebani nella valle dello Swat per la quale ha avuto il plauso del Segretario di Stato Hillary Clinton. Nel corso dell’incontro con il presidente Karzai Obama ha chiesto il massimo impegno nella lotta alla corruzione dei dirigenti afghani, ritenuta da Washington una delle cause della perdita di consenso e di fiducia nel Governo di Kabul da parte della popolazione.

Tuttavia la diffusione, il 9 maggio, di un comunicato congiunto delle forze militari americane e afghane dove, pur senza fornire cifre, si riconosce ufficialmente che “un certo numero di civili” sono morti a seguito dei bombardamenti aerei nella notte tra lunedì 4 e martedì 5 maggio ha nuovamente fatto salire la tensione nei rapporti tra Usa e Afghanistan. Il presidente Karzai ha espresso il suo disappunto affermando, in un'intervista alla Cnn, che “gli attacchi aerei sono inaccettabili” e che il terrorismo non è nei villaggi e nelle case afghane; secondo il presidente afghano, che pure è favorevole all’invio di rinforzi internazionali, gli attacchi aerei, colpendo soprattutto le popolazioni civili, spingono numerosi afghani, la maggior parte dei quali favorevoli agli Stati Uniti, nelle braccia del nemico islamico. Washington, per parte sua, è apparsa in imbarazzo per un episodio che, indipendentemente dalle cifre ufficiali, complica i rapporti diplomatici con il governo afghano e getta un'ombra pesante sulla nuova strategia “civile” che l'amministrazione Obama ha annunciato di voler avviare contestualmente alla nuova fase della guerra in Afghanistan e Pakistan. Quanto alla dinamica dell’episodio, l'intervento Usa - sostiene la nota congiunta - sarebbe stato deciso su richiesta delle forze afghane, che nei villaggi di Gerani e Ganj Abad erano finite sotto attacco e stavano subendo forti perdite.

L’11 maggio il Pentagono ha annunciato la sostituzione del generale David McKiernan, da 11 mesi responsabile delle operazioni in Afghanistan, con il generale Stanley McChrystal, uno specialista in Operazioni speciali, spiegando che “la nuova strategia richiede anche una nuova leadership”.McChrystal sarà affiancato dal generale David Rodriguez. Entrambe le nomine devono ricevere la conferma del Senato e il Ministro della difesa Robert Gates ha sollecitato il Congresso ad agire in modo rapido.

Il New York Times il 15 maggio ha pubblicato una ricostruzione basata sulla testimonianza delle fonti ufficiali afghane e americane, delle associazioni di diritti umani intervenute sul posto e della popolazione locale; secondo tale ricostruzione, alle porte del villaggio di Granai il mattino del 4 maggio era cominciata una battaglia tra le locali forze di polizia e circa 400 talebani, molti dei quali utilizzavano civili come scudi umani. Gli scontri sarebbero proseguiti fino a metà pomeriggio. La polizia afghana, che aveva subito molte perdite, ha chiesto prima l'intervento dell'esercito afghano, poi quello degli americani. Quando gli aerei Usa sono arrivati sul villaggio, alle 8 della sera, la battaglia era già finita da almeno un paio d'ore, e i talebani avevano lasciato il villaggio ma il bombardamento è avvenuto ugualmente.

Fonti di agenzia hanno riferito, il 16 maggio, che l’Afghanistan, per iniziativa del Parlamento, vorrebbe rivedere gli accordi che definiscono la presenza dei militari inviati nel paese dalla Nato e dagli Usa. Il Ministro degli esteri, Rangin Dadfar Spanta ha ricordato che gli attuali accordi furono firmati da una amministrazione afghana provvisoria.

  

La criticità dei rapporti della comunità internazionale con il Presidente afghano è esemplificata anche dalla vicenda della legge che, stabilendo la subordinazione della moglie al marito, autorizza gli stupri coniugali nelle famiglie sciite. Approvata in Parlamento, promulgata dallo stesso presidente ma non ancora entrata in vigore, la legge, fortemente voluta dagli ambienti religiosi e applicabile solo alla minoranza sciita del paese, ha scatenato polemiche e critiche da parte della comunità internazionale e manifestazioni nella capitale. In un’intervista pubblicata dall’Ansa il 31 maggio il direttore della Legal Aid Organization of Afghanistan (LAOA) ha affermato che la legge, pur rispondendo alle forti pressioni dei leader sciiti sul governo, “dà comunque attuazione all'art.131 della Costituzione afgana, secondo il quale i tribunali devono applicare i principi della scuola giuridica sciita nelle questioni di natura personale che riguardano gli esponenti di quella comunità. Ma è anche una legge che entra in conflitto con il codice civile in vigore in Afghanistan, con i diritti umani ed i principi del diritto internazionale”. Nonostante si sia dichiarato disponibile, lo scorso 8 aprile, ad emendare il testo qualora fosse risultato incostituzionale, la legge non è stata ancora modificata. Secondo i suoi avversari il Presidente avrebbe firmato il provvedimento per conquistare consensi nella comunità sciita in vista delle elezioni del 20 agosto. I musulmani sciiti rappresentano circa il 15 per cento della popolazione afghana, a prevalenza sunnita. Sulla vicenda è intervenuto anche il Parlamento europeo approvando a larga maggioranza, il 24 aprile, una risoluzione (P6_TA-PROV(2009)0309) che chiede all’Afghanistan di rivedere la legge sullo status delle donne sciite evidentemente non in linea con il principio di uguaglianza fra uomini e donne così come sancito dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali.

 

Come è noto, non ha avuto luogo la missione esplorativa a Teheran del ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, prevista per il 20 maggio. La missione, programmata nel solco della nuova strategia “dialogante” impressa dall'amministrazione Usa nei confronti dell'Iran, era destinata a promuovere il coinvolgimento di quel paese nel processo di stabilizzazione di Afghanistan e Pakistan attraverso una partecipazione di esponenti iraniani ''di alto livello'' alla conferenza sull'area organizzata dalla presidenza italiana del G8 per fine giugno a Trieste. La visita è stata annullata lo stesso 20 maggio dal ministro Frattini che non ha accolto la richiesta condizionante di Teheran di prevedere l'incontro protocollare con il Presidente iraniano a Semnan (da dove, secondo fonti di agenzia, nella mattina del 20 maggio sarebbe stato sperimentato un nuovo missile a lunga gittata) e non più nella capitale. In un comunicato rilasciato dal Ministero degli affari esteri si legge che il ministro ha espresso “forte rammarico per un'occasione perduta di approfondimento della possibilità delle modalità di coinvolgimento dell'Iran per la stabilizzazione di Afghanistan e Pakistan”.


Le missioni militari in Afghanistan

Dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 che hanno colpito gli Stati Uniti d’America, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il giorno successivo agli eventi, ha adottato la risoluzione n. 1368, nel cui preambolo si riconosceva il diritto di legittima difesa individuale e collettiva degli Stati Uniti. Va aggiunto che il paragrafo 1 definiva gli attacchi terroristici “una minaccia alla pace” e nel paragrafo 5 si affermava che il Consiglio era “pronto ad adottare tutte le misure necessarie per rispondere agli attacchi terroristici”.

Lo stesso 12 settembre 2001, il Consiglio atlantico ha adottato una determinazione in cui si affermava che, qualora fosse stato accertata l’origine esterna degli attacchi terroristici, avrebbe trovato applicazione l’articolo 5 del Trattato NATO, ai sensi del quale un attacco armato contro un membro dell’Alleanza deve essere considerato come un attacco contro tutti i membri dell’Alleanza stessa.

A breve, è risultato chiaro che la grande maggioranza della comunità internazionale concordava, o non nutriva in ogni caso obiezioni, all’equiparazione dell’azione terroristica dell’11 settembre con un attacco armato idoneo a giustificare una conseguente reazione ai sensi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Una coalizione di Stati a guida statunitense ha quindi autonomamente avviato il 7 ottobre l’operazione Enduring Freedom con l’obiettivo di colpire le cellule dell’organizzazione terroristica Al Qaeda presenti in Afghanistan, nonché il regime talebano.

Le operazioni militari, iniziate il 7 ottobre con una serie di attacchi aerei contro obiettivi militari e basi terroristiche in territorio afgano, sono proseguite nei due mesi successivi provocando la caduta del regime talebano e la costituzione, a seguito della Conferenza di Bonn del 5 dicembre, svoltasi sotto il patrocinio dell'ONU, di un governo ad interim, con il compito di governare il paese per i primi sei mesi del 2002.

L’operazione ha progressivamente sviluppato una diversa configurazione e si è proposta di realizzare la definitiva pacificazione e stabilizzazione del Paese, oltre che con lo svolgimento di attività militari di contrasto degli insorti e delle formazioni terroriste, anche attraverso un supporto alle operazioni umanitarie.

L’Italia ha partecipato all’operazione dal 18 novembre 2001 con compiti di sorveglianza, interdizione marittima, nonché di monitoraggio di eventuali traffici illeciti. Tali attività sono state svolte inizialmente da un Gruppo navale d'altura guidato dalla portaeromobili Garibaldi. Successivamente la partecipazione è stata limitata all’impiego di una fregata. Dal 15 marzo al 15 settembre 2003 è stata operativa in Afghanistan la Task Force "Nibbio", costituita dal circa 1.000 unità dell'Esercito, con il compito di effettuare attività di interdizione d'area nella zona di Khowst, al confine tra Afghanistan e Pakistan, impedendo infiltrazioni di talebani e di terroristi.

La partecipazione italiana alla missione si è conclusa il 3 dicembre 2006.

ISAF

L'ISAF (International Security Assistance Force) è stata costituita a seguito della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 1386 del 20 dicembre 2001 che, come previsto dall'Accordo di Bonn, ha autorizzato la predisposizione di una forza di intervento internazionale con il compito di garantire, nell'area di Kabul, un ambiente sicuro a tutela dell'Autorità provvisoria afghana, guidata da Hamid Karzai, che si è insediata il 22 dicembre 2001 e del personale delle Nazioni Unite presente nel Paese.

La missione è iniziata nel gennaio 2002 ed è stata inizialmente svolta dai contingenti di 19 Paesi sotto la guida inglese.

Il 13 giugno 2002 la Loya Jirga (l'Assemblea tradizionale) ha eletto il premier Hamid Karzai alla guida del governo per un periodo di due anni, fino allo svolgimento delle elezioni generali, che si sono tenute il 9 ottobre 2004 e che hanno confermato presidente Karzai.

Successivamente il vertice NATO di Praga del novembre 2002, ha approvato un nuovo concetto militare che stabilisce un approccio globale per la difesa contro il terrorismo e consente alle forze dell’Alleanza di intervenire ovunque i suoi interessi lo richiedano (quindi anche fuori dall’area dei Paesi membri). Anche a seguito di tali determinazioni, il 16 aprile 2003 il Consiglio Nord Atlantico (NAC) ha deciso l'assunzione, da parte della NATO, del comando, del coordinamento e della pianificazione dell’operazione ISAF, senza modificarne nome, bandiera e compiti. La decisione è stata resa operativa l'11 agosto 2003, con l'assunzione della guida della prima missione militare extraeuropea dell'Alleanza Atlantica.

La risoluzione ONU n. 1510 del 13 ottobre 2003, oltre a prevedere l’ulteriore proroga del mandato di ISAF, ha, altresì, autorizzato l'espansione delle attività della missione anche al di fuori dell'area di Kabul.

La guida politica dell’operazione è esercitata dal NAC, in stretto coordinamento con i Paesi non NATO che contribuiscono all’operazione. Secondo il memorandum sottoscritto fra i Paesi partecipanti e l'Autorità provvisoria afghana il 4 gennaio 2002, mentre le “Coalition Forces, sono quegli elementi militari nazionali della Coalizione guidati dagli Stati Uniti che conducono la guerra al terrorismo in Afghanistan […] ISAF non è parte delle Forze della Coalizione" e rimane pertanto distinta da Enduring Freedom, mantenendo le due missioni differenti mandati e rispondendo a catene di Comando differenti, l'una facente capo al Comando Supremo Alleato della NATO ed al Consiglio Atlantico, l'altra al Central Command statunitense di Tampa (Florida). Le due missioni rimangono però in costante coordinamento operativo, attraverso il Deputy Chief of Staff Operations di ISAF, statunitense, responsabile del raccordo con le Forze di Enduring Freedom.

Lo svolgimento della missione ISAF è articolato in cinque fasi:

Ø                  la prima fase ha riguardato l’attività di analisi e preparazione;

Ø                  la seconda fase ha avuto l’obiettivo di realizzare l’espansione sull’intero territorio afgano, in 4 distinti stages che hanno riguardato in senso antiorario le aree Nord, Ovest, Sud ed  Est;

Ø                  la terza fase è volta a realizzare la stabilizzazione del Paese;

Ø                  la quarta fase riguarda il periodo di transizione;

Ø                  la quinta fase prevede il rischieramento dei contingenti.

I quattro stages della seconda fase sono stati realizzati progressivamente con la sostituzione degli Stati Uniti, da parte della NATO, nella guida delle operazioni di stabilizzazione nelle diverse aree del Paese. La fase di espansione è stata completata nell’ottobre 2006 con l’assunzione del controllo ISAF anche sulla regione orientale del paese.

La fase dell’espansione è stata realizzata attraverso la costituzione in ogni area di una FSB (Forward Support Base), ovvero una installazione militare aeroportuale avanzata necessaria innanzitutto per fornire supporto operativo e logistico ai PRT (Provincial Reconstruction Team) presenti nella stessa regione. In alcune regioni (tra le quali Herat) i PRT erano già stati istituiti nell’ambito dell’operazione Enduring Freedom.

Il PRT è una struttura mista composta da unità militari e civili con il compito di assicurare il supporto alle attività di ricostruzione condotte dalle organizzazioni nazionali ed internazionali operanti nella regione. Ogni PRT é strutturato in base al rischio, alla posizione geografica ed alle condizioni socio economiche della regione in cui opera.

L’attività di stabilizzazione sta incontrando crescenti difficoltà, in particolare nell’area meridionale del Paese, per la resistenza talebana che sembra essersi rafforzata, anche in ragione di una preoccupante alleanza tra i Talebani e alcuni dei cosiddetti “signori della guerra” che detengono il controllo politico ed economico – in particolare sulla coltivazione di oppio – di numerose aree del paese. Accanto alle attività militari, ISAF continua a svolgere il compito di assicurare la fornitura di beni di necessità alla popolazione e promuovere la ricostruzione delle principali infrastrutture economiche; a tal fine, la missione intrattiene relazioni con numerose organizzazioni internazionali e non-governative e collabora in modo stretto con l’Assistance Mission delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA). ISAF comprende attualmente circa 62.000 militari appartenenti a contingenti di 42 Paesi. Il contributo maggiore è fornito dagli Stati Uniti (29.820 unità), seguiti dal Regno Unito (8.300), dalla Germania (3.460), dal Canada (2.830), dalla Francia (2.780 unità), dall’Italia (2.800), e dall’Olanda (con 1.770).

La partecipazione italiana, iniziata il 10 gennaio 2002, è inizialmente consistita in un contingente di 450 unità, di cui 400 militari dell’Esercito a Kabul e 50 unità dell’Aeronautica, con compiti di supporto, di stanza ad Abu Dhabi (negli Emirati Arabi).

L’Italia ha assunto, dal giugno 2005, il compito di coordinare la FSB di Herat ed i PRT della regione ovest del Paese (che comprende le province di Farah, Badghis e Ghor, oltre a quella omonima di Herat). L’impegno italiano, accresciuto in questa fase da 600 a 2.000 unità, è stato ulteriormente rafforzato anche a seguito dell'assunzione del comando ISAF, che è stato ricoperto dall’Italia dal 4 agosto 2005 al 4 maggio 2006.

Il contingente italiano ammonta attualmente, secondo dati forniti dal Ministero della difesa, a circa 2.800 unità [7] delle Forze armate, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di finanza.

Il 3 aprile 2009 si è svolta la cerimonia per il passaggio di consegne ad Herat tra la brigata alpina 'Julia' e i paracadutisti della Folgore. Col passaggio delle consegne, lascia il comando della regione ovest del Paese, assegnato agli italiani, il generale Paolo Serra, a cui succede il generale Rosario Castellano. Sotto la guida italiana a Herat ci sono contingenti spagnoli, albanesi, lituani e sloveni.

Tra i mezzi aerei utilizzati dal contingente, si segnalano: i velivoli Tornado (da dicembre 2008), per assicurare al contingente nazionale un maggior livello di sicurezza e protezione, i velivoli senza pilota Predator (da giugno 2007), da ricognizione e sorveglianza, i C27J e i C130J per il trasporto tattico, gli elicotteri AB212, per il supporto alle operazioni terrestri, gli elicotteri A129 Mangusta (da giugno 2007), per il supporto aereo, e i CH47 per il trasporto.

Attualmente la presenza italiana è articolata nelle seguenti località:

Ø                  a Kabul, dove è di stanza un contingente, la cui componente principale è costituita da un’unità di manovra basate sul 3° Reggimento Alpini della Brigata “Taurinense”, volta a mantenere la sicurezza nell'area della Capitale nell'ambito del Comando regionale della capitale;

Ø                  nella regione di Herat (posta sotto il comando italiano dal giugno 2005), dove opera un contingente che coordina le attività del FSB e dei PRT della regione;

Ø                  A Mazar el Sharif, dove operano i velivoli Tornado.

Durante la missione ISAF hanno perso la vita tredici militari italiani, di cui 6 in seguito ad attentati.

EUPOL Afghanistan

Nel quadro del processo di riforma della polizia afgana, il Consiglio dell’Unione Europea ha predisposto, con l’azione comune 2007/369/PESC del 30 maggio 2007, un’attività di pianificazione connessa alla iniziativa PESD denominata European Police Afghanistan (EUPOL AFGHANISTAN).

La missione ha il compito di favorire lo sviluppo di una struttura di sicurezza afgana sostenibile ed efficace, in conformità agli standard internazionali. Tale iniziativa è finalizzata allo svolgimento delle attività di monitoring, training, advising e mentoring a favore del personale afgano destinato alle unità dell’Afghan National Police (ANP), e dell’Afghan Border Police (ABP).

Attualmente sono presenti 12 unità dell’Arma dei Carabinieri e 4 unità della Guardia di finanza.

La missione ha sede a Kabul (organismo di direzione) ed opera sia a livello regionale (presso i 5 Comandi regionali della Polizia nazionale afgana) che provinciale (presso i PRT).

La missione si avvale di circa 350 unità provenienti da 19 Stati dell’Unione europea, cui si aggiungono il Canada, la Croazia, la Nuova Zelanda e la Norvegia.

Recenti sviluppi

Il 31 marzo 2009, si è svolta all’Aja la Conferenza internazionale ONU sull’Afghanistan, cuihanno preso parte i contributori della forza di pace NATO (ISAF), i membri del G8, i Paesi della regione (Iran, Pakistan, Cina e Turchia) e organismi internazionali. L’Italia ha confermato sia gli impegni, in termini di invio di ulteriori uomini e mezzi, sia la visione nazionale sull'Afghanistan, del tutto favorevole ad un approccio regionale connotato dal forte coinvolgimento dei Paesi vicini. Come riportato da notizie stampa, uno dei risultati più concreti della Conferenza è stato individuato nell’impegno dell’Iran, assunto per voce del vice ministro degli esteri di Teheran, a cooperare con la comunità internazionale per aiutare progetti di ricostruzione e di sviluppo dell'Afghanistan e per stroncare il traffico di oppio che finanzia i talebani.

Fonti di stampa riferiscono però che il vice ministro iraniano ha comunque ribadito le critiche alla presenza su territorio afghano delle truppe internazionali che - ha detto - hanno dimostrato tutta la loro ''inefficacia'' .

Al Vertice NATO straordinario di Strasburgo-Kehl (3-4 aprile 2009) per il sessantennale dell’Alleanza Atlantica i 28 Capi di Stato e di Governo hanno approvato il documento Summit declaration on Afghanistan nel quale si ribadisce che l’Afghanistan continua ad essere la priorità essenziale dell’Alleanza e si afferma che i principi posti a fondamento della visione strategica delineata al precedente vertice di Bucarest restano alla base del piano politico militare dell’Alleanza. Nel documento si pone l’accento sulla centralità del rafforzamento delle istituzioni afgane, obiettivo al cui conseguimento è necessario sia un più intenso coinvolgimento dei Paesi confinanti con l’Afghanistan sia anche, poiché non si tratta di una questione puramente militare, di più importanti risorse civili. Vengono richiamati e condivisi gli esiti della Conferenza internazionale sull’Afghanistan tenutasi all’Aja il 31 marzo 2009, con particolare riguardo alla necessità di bilanciare, nei futuri contributi alla sicurezza e alla stabilità del Paese, gli sforzi civili e quelli militari. Il documento riporta le decisioni assunte dai Capi di Stato e di Governo che consistono, innanzitutto, nell’istituzione, in ambito ISAF, della NATO Training Mission in Afghanistan (NTM-A) destinata alla supervisione della formazione dei livelli superiori dell’esercito afgano (Afghan National Army-ANA) e a un ruolo più ampio nella  formazione delle forze di polizia (Afghan National Police–ANP), obiettivi da perseguire capitalizzando strutture e sinergie esistenti. La missione, infatti, opererà sotto comando unico con il CSTC-A (Combined Security Transition Command-Afghanistan) statunitense.

Il documento riporta, altresì, la decisione di fornire più trainers ed esperti a supporto della polizia afgana, sottolineando, al riguardo, l’importanza dell’azione di training condotta da EUPOL (European Union police mission in Afghanistan), nonché quella di assistere e supportare le forze di sicurezza afgane (Afghan National Security Forces-ANSF) nelle attività correlate alla sicurezza delle imminenti elezioni, attraverso il dispiegamento temporaneo delle forze necessarie.

Secondo notizie riferite dalle agenzie di stampa – che riportano dichiarazioni rilasciate dal portavoce della Casa Bianca – i Paesi Nato si sono impegnati ad inviare circa 3.000 militari per il periodo delle elezioni, e circa 2.000 addestratori; tra i Paesi che invieranno truppe per le elezioni è stata citata la Gran Bretagna (circa 900 militari), la Germania (600) e la Spagna (450).

In ordine al contributo italiano, fonti di agenzia, riportando dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro della Difesa, hanno indicato in 524 il numero di militari italiani che entro il prossimo mese di luglio saranno inviati di rinforzo in Afghanistan per contribuire alla sicurezza delle elezioni presidenziali del prossimo 20 agosto.


 

La Provincia di Herat
(a cura del Servizio Rapporti internazionali)

 

 

 

 

Capitale

Herat

Area

54.778 km2

Popolazione

1.182.000

Lingue principali

Persiano

Pasthu

 

 

       La provincia di Herat, una delle 34 del Paese, insieme a quelle di Ghor, Farah e Badghis costituisce la parte occidentale del Paese. Il territorio di Herat è stato uno dei principali campi di battaglia durante l’occupazione sovietica. Terminata questa, il comandante militare Ismail Khan è diventato governatore della provincia, carica che ha mantenuto anche con quando i talebani hanno assunto il controllo del territorio (1995) e quando questi sono stati a loro volta rovesciati dall’intervento dell’Alleanza Afghana del Nord sostenuta dagli USA.

     Ismail Khan, ora Ministro dell’Energia, ha lasciato la carica nel 2007. a lui è succeduto Sayed Hussain Anwari e quindi, nel 2008,  Ahmad Yusuf Nuristani.

 

     Le maggiori prospettive di sviluppo economico sono date da:

 

§         Miniere (sono presenti giacimenti di petrolio, oro, sale, calce, zolfo e marmo);

§         Produzione cementifera (è presente già uno stabilimento ad Herat);

§         Energia eolica (la regione è particolarmente ventosa, e in estate i venti sono molto forti);

§         Sfruttamento delle foreste di pistacchio, liquirizia e cumino (Foreste naturali di pistacchio sono presenti nella regione di Koshk-ekohna e sono state indiscriminatamente tagliate per ottenere combustibile negli anni passati);

§         Costruzione di dighe I fiumi Harirud e Kabgan hanno un’ampia portata, e potrebbero essere sfruttati sia per l’irrigazione che per la produzione di energia.

 

       I principali prodotti della regione sono: grano, orzo, riso, piselli, fagioli, sesamo. Sono inoltre allevati cammelli, capre e pecore. Herat è inoltre un centro commerciale rilevante a causa della sua accessibilità dall’Iran e dal Turkmenistan. In particolare vengono commerciate automobili, tappeti, oggetti di artigianato.

 


Rapporti parlamentari
Italia-Afghanistan
(a cura del Servizio Rapporti internazionali)

 

Presidente della Wolesi Jirga (Assemblea Nazionale /Camera del Popolo)

MOHAMMAD YUNOS QANUNI 

 

Presidente della Meshrano Jirga (Assemblea Nazionale / Camera degli Anziani)

SEBGHATOLLAH MOJADDEDI 

 

Ambasciatore d’Italia a Kabul

 

Claudio GLAENTZER

 

Ambasciatore afghano in Italia

 

Musa M. MAROOFI

 

Si ricorda che l’on. Margherita Boniver (PDL), Presidente del Comitato Parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Shengen, di vigilanza sull’attività dell’Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, è incaricata di coordinare i rapporti parlamentari con l’Afghanistan ed il Pakistan.

 

 

INCONTRI del presidente

 

       Una delegazione di parlamentari italiani, guidata dal Vice Presidente, Maurizio Lupi, e composta da otto deputati, Aldo Di Biagio (PDL), Gregorio Fontana (PDL), Gianfranco Paglia (PDL), Luciana Pedoto (PD), Caterina Pes (PD), Manuela Repetti (PDL), Ettore Rosato (PD), Francesco Tempestini (PD) si è recata in visita in Afghanistan dal 2 al 5 maggio 2009. La delegazione ha visitato le province di Herat e Farah. In particolare, la delegazione ha visitato l’Ospedale pediatrico di Herat e la sede del Regional Command – West, accolta dai gen. Castellano e Bartolini. La delegazione ha partecipato anche alla cerimonia di posa della prima pietra della “guest house” che verrà costruita a beneficio dei genitori dei bambini in cura presso l’ospedale. Nel corso della visita, Lupi e gli altri deputati sono stati informati dell’incidente che ha causato la morte accidentale di una bambina afghana nei pressi di Camp Arena[8]. L’on. Lupi ha espresso alle autorità afghane presenti il profondo cordoglio della delegazione. Successivamente la delegazione si è recata a Farah, nell’ovest dell’Afghanistan, per visitare  una base militare che ospita attualmente 150 paracadutisti.

 

 

Il 22 dicembre 2008, il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, si è recato ad Herat, in Afghanistan, per rendere visita al contingente militare italiano. Il Presidente della Camera è stato accompagnato dall’on. Gianfranco Paglia (PdL) e dall’on. Rosa Maria Villecco Calipari (PD).

 

 

INCONTRI DELLE COMMISSIONI

 

 

Il 22 aprile 2009il Ministro della difesa, onorevole Ignazio La Russa, ha reso comunicazioni, sulla situazione militare in Afghanistan, con particolare riferimento al contingente italiano, davanti alle Commissioni Difesa riunite di Camera e Senato (vedi allegato).

Sono intervenuti il deputato Edmondo CIRIELLI, presidente della IV Commissione della Camera dei deputati, il senatore Gianpiero Carlo CANTONI, presidente della 4a Commissione del Senato della Repubblica, il deputato Rosa Maria VILLECCO CALIPARI (PD), il senatore Luigi RAMPONI (PdL), il deputato Augusto DI STANISLAO (IdV), i senatori Giovanni TORRI (LNP) e Roberta PINOTTI (PD), i deputati Salvatore CICU (PdL) e Federica MOGHERINI REBESANI (PD), i senatori Gian Piero SCANU (PD) e Mauro DEL VECCHIO (PD) e il deputato Ettore ROSATO (PD).

 

       Dal 19 al 21  aprile 2009 è si è tenuta la visita a Roma di una delegazione di Governatori afgani, composta da Habiba Sarabi, Governatore del Bamiyan, e da Rohul Amin, Governatore del Farah (il nuovo Governatore della Provincia di Khost, Hamidullah Qalandarzai, che avrebbe dovuto far parte della delegazione, non ha potuto  partecipare all’incontro). Il 20 aprile la delegazione è stata ricevuta dall’on. Margherita Boniver (PDL), Presidente del Comitato Parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Shengen, di vigilanza sull’attività dell’Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, nonché incaricato di coordinare i rapporti parlamentari con l’Afghanistan, e dal sen. Mauro Del Vecchio (PD). Il 21 aprile 2009 la delegazione è stata ricevuta dalle Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera.

 

Nel corso della visita, sono stati trattati i temi della sicurezza e della ricostruzione del Paese. In particolare è stato evidenziato il ruolo dell’Italia, che è stato uno dei primi Paesi occidentali a riaprire la propria ambasciata e sta svolgendo un lavoro proficuo nel campo della sicurezza e  della formazione delle istituzioni giudiziarie. Da entrambe le parti è stata evidenziata la necessità di non abbassare la guardia nei confronti dei produttori e dei trafficanti di oppio, anche in considerazione dei vantaggi che traggono i talebani dal commercio di stupefacenti. Dal punto di vista della sicurezza, è stato trattato in particolare l’suo degli elicotteri nella lotta al terrorismo e l’eventualità di un potenziamento dell’impegno militare italiano nell’Afghanistan, sollecitato, insieme ad un maggiore impegno finanziario, dai Governatori afghani. I due Governatori si sono inoltre dimostrati favorevoli nei confronti del tentativo promosso dal Presidente Karzai di avviare un dialogo con le frange moderate dei talebani, purché questi accettino la Costituzione in vigore nel Paese. La delegazione ha accolto con favore la decisione del Governo italiano di inviare rinforzi per garantire il corretto svolgimento delle elezioni presidenziali previste per il 20 agosto 2009. ed ha infine ricordato come la popolazione afghana non ami i talebani e sia portata a schierarsi con loro solo in mancanza di alternative. Per scongiurare quindi tale eventualità, è necessario che la comunità internazionale continui nel suo sforzo di ricostruzione del Paese, nella consapevolezza che gli afghani non possono farcela da soli. 

 

 

SI è tenuta, il 22 gennaio 2009, presso la Commissione Affari Esteri, l’audizione informale del Rappresentante Civile della Nato in Afghanistan, Ambasciatore Ferdinando Gentilini.

 

       Il Presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, On. Margherita Boniver, ha incontrato il 24 novembre 2008 la Responsabile del programma dei diritti delle donne per Action Aid in Afghanistan, sig.ra Nasima Rahmani.

 

Nel corso dell’incontro sono stati trattati i temi della stabilizzazione nel Paese, della presenza di truppe straniere e della condizione femminile. L’on. Boniver ha giudicato ancora prematura l’ipotesi di ritiro delle truppe straniere ed ha ricordato la riapertura dell’Ambasciata italiana a Kabul quale segnale positivo verso una normalizzazione della situazione. La crisi economica che sta attanagliando tutto il mondo, ha ricordato Boniver, avrà sicuramente ripercussioni negative anche sull’Afghanistan.

 

       Il 6 novembre 2008 ha avuto luogo presso la III Commissione Affari esteri della Camera l’audizione informale del Rappresentante speciale dell’Unione europea in Afghanistan, Ettore Francesco Sequi. Lo stesso giorno, l’ambasciatore Sequi è stato audito dalla III Commissione Affari esteri ed emigrazione del Senato (cfr. la documentazione allegata).

 

 

Informativa urgente del Governo sul tragico episodio occorso il 3 maggio 2009 presso la città di Herat, in Afghanistan, che ha visto coinvolti militari del contingente italiano (7 maggio 2009).

 

 

Il 7 maggio 2009 il Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, è intervenuto davanti alla Assemblea della Camera rendendo un’informativa urgente circa l’episodio dell’uccisione di una bambina da parte di una pattuglia italiana, avvenuto ad Herat domenica 3 maggio 2009 (vedi allegato).

Il Ministro ha dato la seguente descrizione dell’accaduto:

 

''Il giorno 3 maggio, alle 10.52 locali  un convoglio nazionale composto da due veicoli blindati 'Lince' ed un autocarro 'Aps' appartenenti al contingente dell'Operational mentoring and laison team nazionale (It-Omlt), mentre rientrava da Camp Arena (Herat) alla propria sede di Camp Stone (20 chilometri a Sud) percorrendo la strada principale highway 1, incrociava una serie di veicoli civili che, come previsto dalle procedure, davano la precedenza al convoglio militare, fermandosi sulla destra della sede stradale. La visibilità era scarsa a causa delle avverse condizioni meteo. Improvvisamente, in coda alla colonna di veicoli civili, sopraggiungeva un'autovettura 'Toyota Corolla Saracha', che iniziava a superare i mezzi citati, fermi alla destra della strada, procedendo ad alta velocità in direzione opposta al senso di marcia del convoglio militare stesso. In particolare, il suddetto veicolo civile era di una marca e di un modello identico a quelli segnalati dalle informative intelligence relative alle auto esplosive ed identico ad un altro veicolo che il primo maggio era esploso presso un posto di controllo della polizia afgana a 8 chilometri da Herat. L'equipaggio a bordo del primo mezzo blindato, allarmato dal comportamento della Toyota, poneva in essere le previste procedure intimando al veicolo civile di fermarsi, e in particolare effettuava: segnalazione con le braccia da parte del militare posto all'arma di bordo, dirette a far accostare al lato della strada il suddetto veicolo; segnalazioni acustiche e visive da parte del conduttore. Nonostante tali tentativi, il veicolo proseguiva la propria marcia avvicinandosi pericolosamente al convoglio militare. L'equipaggio pertanto proseguiva con l'applicazione delle regole di ingaggio ed esplodeva una raffica di mitragliatrice cal.7,62 in aria per intimare il fermo dell'auto che, nonostante tale ulteriore avvertimento, proseguiva il movimento a velocità sostenuta. Quando questa giungeva a meno di 50 metri senza aver dato segni di voler interrompere la propria marcia, il mitragliere esplodeva una raffica a terra sul tratto di strada antecedente la Toyota, ma anche tale azione non dava esito. Quando l'autovettura giungeva a circa 10 metri senza alcuna variazione di velocità e di direzione, il mitragliere, visto il pericolo incombente, mirava al cofano motore e alle ruote esplodendo una raffica. Il veicolo incrociava quindi il convoglio militare in direzione opposta e, dopo aver sbandato leggermente, proseguiva la marcia allontanandosi A sua volta, il convoglio militare, come previsto proseguiva nella marcia, e giunto a destinazione riferiva l'accaduto. Circa 4 ore piu tardi - il Comando Rc West veniva informato dalla polizia locale di Herat che a bordo del suddetto veicolo si trovavano una ragazza di 13 anni deceduta e tre adulti feriti”.

 

In conclusione il MinistroLa Russa ha ribadito che i militari impegnati in Afghanistan eseguono con scrupoli le regole di ingaggio della missione, che sono molto precise. Malgrado questo, gli errori sono sempre possibili. Il Ministro ha anche ricordato i successi della partecipazione italiana alla ricostruzione del Paese e la fiducia che la popolazione civile nutre nei nostri operatori. Per quanto riguarda l’accaduto, ha raccomandato la massima prudenza ed ha ricordato che su quanto accaduto ad Herat è in corso un’indagine della magistratura di Roma.

 

 

Attività legislativa

       Legge n. 183/08 del 20 novembre 2008, GU n. 274 del 22 novembre 2008: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 settembre 2008, n. 147, recante disposizioni urgenti per assicurare la partecipazione italiana alla missione di vigilanza dell'Unione europea in Georgia.

 

       La legge proroga, dal 1° ottobre al 31 dicembre 2008, la partecipazione del personale delle Forze armate e di polizia alle missioni internazionali UNIFIL, Althea, EUFOR TCHAD/RCA, MINUSTAH e alla missione in Libia per le quali il precedente decreto legge n. 8 del 2008 aveva previsto la scadenza al 30 settembre 2008. Autorizza, inoltre, la partecipazione alla missione dell’OSCE in Georgia e le ulteriori spese sopravvenute nell’ambito delle missioni in Afghanistan, Mediterraneo e Kosovo e delle attività in Iraq già finanziate per il 2008 dal medesimo decreto legge.

 

 

ATTI DI SINDACATO ISPETTIVO

 

Tra i molti atti di sindacato ispettivo e di indirizzo presentati alla Camera e riguardanti l’Afghanistan si segnalano l’interrogazione a risposta immediata del 24 febbraio 2009 3-00407 (Rosa Maria VIllecco Calipari) nella quale viene chiesto al Governo quale sia la sua valutazione sull’attuale livello di sicurezza nel complesso teatro afghano ed il ruolo delle organizzazioni non governative in tale contesto e quale contesto e quale strategia intenda adottare, politica e militare, per contribuire ad una più efficace stabilizzazione del Paese.

       All’interrogazione è stata data risposta il 25 febbraio 2009 dal Ministro della Difesa, Ignazio La Russa.

       Signor Presidente, ringrazio gli onorevoli interroganti, anche se le domande che mi pongono abbisognerebbero, per la risposta, di un tempo molto più lungo. Quindi, se non fossi esaustivo, sono a disposizione per un'eventuale presenza in Commissione per offrirvi tutte le opportune notizie. Cercherò, comunque, di procedere in sintesi. Per quanto riguarda le ONG, è attualmente all'esame un'attenta verifica delle effettive condizioni di sicurezza in cui si pone il personale civile. L'avviso che è stato dato è di massima prudenza: in altri termini, si conferma che le condizioni di sicurezza non sono tali da far stare tranquilli. Naturalmente, questo non significa, come è stato un po' esageratamente affermato, che non vi è la possibilità del permanere di tali presenze, anche se stiamo monitorando, con molta attenzione, l'effettiva situazione. La condizione degli uomini, cioè dei nostri giovani soldati, invece, è sicuramente diversa dal passato per quanto riguarda il numero di attacchi che hanno subito anche le forze italiane, numero che è aumentato di molto rispetto al periodo precedente dell'anno scorso, anche se sono tutti attacchi isolati. Si tratta, cioè, di esplosioni o di quelli che comunemente vengono denominati «kamikaze» e che io preferisco chiamare «attentati suicidi». Non si tratta di attacchi organici e ciò dimostra che da parte dell'insorgenza vi è più una disperazione, che una maggiore capacità aggressiva. Questo non significa che non sia aumentata la pericolosità. A mio avviso, lo è e ho voluto già affermarlo molto chiaramente, ricordando, però, che da sempre vi è stata una forte pericolosità nell'operare in Afghanistan, come dimostrano gli attentati che, via via, negli anni, si sono susseguiti a danno degli italiani e che prima, forse, venivano - mai nascosti - ma un po' sottaciuti. Come loro sanno, fin dal primo contatto con la Commissione, ho tenuto a renderli assolutamente trasparenti, dicendo che già da tempo, più di una volta, è stato necessario usare la forza giusta per combattere l'insorgenza e le azioni terroristiche. La strategia che preferiamo e che sta prendendo piede è quella di dare sempre più corpo ai tre momenti: quello della sicurezza, della ricostruzione e dell'uso della forza. La strategia è sempre stata questa: noi sosteniamo - e sembra che stia prendendo piede questa impostazione - che non debbano essere tre momenti distinti, ma che debbano sommarsi; dove possibile, devono contemporaneamente svolgersi attività indirizzate a tutti e tre i segmenti di quella che deve e può essere una strategia. Il contributo italiano consiste nella capacità dimostrata dagli italiani di saper unire, accanto alla forza giusta, quando è da usare, una forte capacità di contatto con la società civile e una grande volontà di ricostruzione. Per questo motivo, mi permetto di concludere con un rinnovato grazie - detto tre volte: grazie, grazie, grazie - ai nostri ragazzi e ragazze con le stellette che, ogni giorno, fanno davvero qualcosa per la pace.

 

 

       Relativamente alla questione della legge varata dall’Afghansitan che dovrebbe eliminare il reato di stupro, se commesso fra le mura domestiche, si segnala l’interrogazione a risposta scritta, 4-02757, presentata dall’on. Souad Sbai (iter in corso) nella quale viene chiesto se il Governo sia a conoscenza di tale situazione e quali iniziative intenda porre in essere, nei confronti del Governo afgano e nell'ambito del ruolo di cooperazione svolto dall'Italia, a favore della ricostruzione di un nuovo Afghanistan anche nell'amministrazione della giustizia, per eliminare dall'ordinamento giuridico afgano, il provvedimento lesivo per le donne e mogli di cui alle premesse e, in generale, ogni normativa lesiva della libertà e personalità individuale della donna, della sua libertà personale e dei diritti successori, al fine di tutelare la famiglia e la moglie, dalla applicazione di misure inumane e contrarie ai più elementari principi del diritto anche internazionale.

 

Si segnala che dal 29 giugno al 3 luglio 2008 si è svolta ad Astana (Kazakistan) la XVII Sessione annuale dell’Assemblea parlamentare dell’OSCE, il cui tema è stato “La trasparenza nell’area OSCE”. I lavori dell’Assemblea si sono conclusi con l’approvazione della Dichiarazione di Astana. Tra le risoluzioni supplementari approvate dall’Assemblea si segnala quella sull’Afghanistan (vedi allegato).

 

 

 

Il Gruppo di contatto delle deputate italiane con le donne afgane

 

 

Va inoltre segnalata, per il suo particolare rilievo, l’attività del gruppo di contatto con le donne afgane, costituito nella XIV legislatura.

 

Il Gruppo si è distinto per aver promosso due eventi di grande rilievo:

 

1) La Conferenza internazionale a favore delle donne afgane, Roma, 28 novembre 2002 

 

Il Gruppo di contatto delle deputate italiane con le donne afgane, coordinato dall’onorevole Paola MANZINI, Questore della Camera dei Deputati nella XIV legislatura, ha promosso, sotto l’alto patrocinio della Presidenza della Camera, una  Conferenza internazionale, che si è svolta a Roma, presso la Camera dei Deputati , il 28 novembre 2002.

L’iniziativa ha costituito un’occasione per incontrare le donne afgane, tra cui Habiba SARABI e Sima SAMAR.

La Conferenza si è aperta con un indirizzo di saluto del Presidente della Camera, on. Casini, cui hanno fatto seguito gli interventi della coordinatrice del Gruppo di contatto con le donne afgane, on. Paola Manzini, dell’allora Ministro degli Affari Esteri, on. Franco Frattini[9], del Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri, on. Margherita Boniver, del dottor Mario Serio, Capo Gabinetto del Ministro per le pari opportunità, che ha portato un saluto del ministro, on. Stefania Prestigiacomo, e dell’on. Luana Zanella, componente del Gruppo di contatto con le donne afgane.

I lavori della Conferenza si sono articolati in due sessioni.

Nella prima sessione, dedicata al tema:”La ricostruzione dell’Afghanistan”, sono intervenute le on. Monica Baldi e Laura Cima, le giornaliste Nicoletta Tamberlich, Tiziana Ferrario, Giuliana Sgrena e Mimosa Martini, nonché, per la parte afgana, Orzala Ashraf, Presidente della ONG HAWCA (Humanitarian Assistance for Women and Children in Afghanistan), Hakemah Mashal, operatrice sociale. La sessione è stata conclusa dall’intervento dell’allora Ministro per gli affari femminili afghano, Habiba Sarabi.

Vi è stato quindi un incontro della delegazione delle donne afgane con il giudice della Corte Costituzionale italiana, Fernanda Contri, in cui sono intervenute l’on. Paola Manzini, il Ministro Habiba Sarabi, la direttrice del Dipartimento legale per gli affari femminili, Parwin Rahemi, la Presidente del Tribunale dei minori afgano, Anisa Rassoli, la Presidente della ONG HAWCA, Orzala Ashraf, e Hakemah Mashal.

Nella seconda sessione, dedicata al tema: “La democratizzazione dell’Afghanistan”, sono intervenute le on. Marina Sereni, Franca Bimbi ed Alberta De Simone, nonché la deputata al Parlamento europeo Fiorella Ghilardotti. Sono quindi intervenute le delegate afghane Tahmeena Faryal, rappresentante dell’ONG RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan), Shafeeqa Habibi, giornalista e membro dell’Association New Afghan Women e della Commissione di stato per la Televisione e la Radio, Hangamah Angari, avvocato e funzionario di UN-Habitat, e il Ministro Habiba Sarabi .

L’allora Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, on. Mario Baccini, ha svolto un intervento conclusivo.

 

A seguito della Conferenza, la Camera dei deputati ha stanziato la somma di 20.000 euro per approvvigionamento idrico a favore di due scuole per bambine in Afghanistan.  I fondi sono stati destinati alle scuole di Ghazi Adeh e Deh Dana a Kabul /distretto n. 7.

 

2) La missione in Afghanistan di una delegazione del Gruppo di contatto, 1° al 5 maggio 2005

Una rappresentanza del Gruppo di Contatto, coordinata dall’On. Paola Manzini, si è recata in Afghanistan dal 1° al 5 maggio 2005 per rinsaldare i vincoli di amicizia tra deputate italiane e donne afgane e per sostenere le donne afgane in vista del successivo svolgimento delle elezioni parlamentari, le prime dalla fine della guerra.

Della delegazione facevano parte, oltre all’onorevole Paola Manzini (DS),  Questore della Camera e Coordinatore del Gruppo di contatto con le donne afgane, le onorevoli Monica Baldi (FI), Giovanna Bianchi Clerici (Lega nord), Dorina Bianchi (Margherita), Carla Castellani (AN), Elettra Deiana (Rifondazione comunista), Anna Maria Leone (UDC), Elena Montecchi (DS) e Luana Zanella (Misto-Verdi).

Durante la visita, la delegazione ha incontrato il Presidente della Repubblica, Hamid Karzai, il Ministro per gli Affari Femminili, Massouda Jalal, il Ministro dell’Istruzione, Noor Mohammad Qarqeen, e la Presidente della Commissione per i Diritti Umani, Sima Samar. Il gruppo è stato anche ricevuto in visita di cortesia dall’ex re Mohammad Zahir. La delegazione ha inoltre visitato la radio femminile “Voice of Afghan Women” e ha incontrato donne afgane candidate alle elezioni parlamentari svoltesi il 18 settembre 2005. Il Gruppo di contatto aveva inoltre espresso l’intenzione di incontrare una delegazione di donne parlamentari, dopo lo svolgimento delle elezioni parlamentari in Afghanistan.

 

 

Successivamente alla missione in Afghanistan del Gruppo di contatto, il Collegio dei deputati Questori della Camera dei Deputati ha deliberato, in data 15 dicembre 2005, di stanziare ulteriori 15.000 euro da destinare al sostegno del diritto all’istruzione delle alunne di due scuole femminili di Ghazi Adeh e Deh Dana a Kabul /distretto n. 7.

 

Si segnala che, nella XV legislatura, il Presidente della Camera Bertinotti, con lettera del giugno 2007, conferì alla Vice Presidente Georgia Meloni l’incarico di coordinare l’attività del Gruppo di Contatto delle deputate italiane con le donne afghane.

 

 

UNIONE INTERPARLAMENTARE

 

       Nella XV legislatura era in corso di ricostituzione la sezione di amicizia Italia-Asia Meridionale, la cui presidenza era stata affidata all’on. Margherita BONIVER (FI). La sezione era inoltre composta dai seguenti onn. Osvaldo NAPOLI (FI), Giuseppe FIORONI, (Ulivo), Titti DE SIMONE (Rif. Com.)  Roberto VILLETTI (La Rosa nel Pugno) ed il sen. Roberto SALERNO (AN).

 


Profilo biografico di Ahmad Yusuf Nuristani,

Governatore della Provincia di Herat
(a cura del Servizio Rapporti internazionali)

 

 

Il dott. Ahmad Yusuf Nuristani nasce nell’aprile 1947 nel villaggio di Wanat del distretto di Dara-e-Waigal, in Nuristan. In quanto nuristano è considerato un pashtun ma, come noto, i nuristani mantengono un’identità culturale propria difficilmente assimilabile in toto a quella dei pashtun.

       Arriva a Kabul all’età di 5 anni per frequentare la scuola. Dopo aver completato anche gli studi superiori si iscrive alla facoltà di Studi Umanistici dell’Università di Kabul. Consegue la laurea in Storia e Geografia nel 1970. Il suo primo incarico accademico è quello di direttore del dipartimento di relazioni culturali dell’Università di Kabul, dove svolge anche attività come docente. Nel 1974 vince una borsa di studio per un master in Cultural Humanism presso l’Università dell’Arizona.

       Quando in Afghanistan si instaura un regime comunista, Nuristani fa ritorno nel Paese per unirsi alla organizzazione del Jihad. Nel 1984, su richiesta dei leader della lotta anticomunista, emigra in Pakistan, dove partecipa ad attività contro il governo afghano del tempo. E’ membro del partito Mahaz-e-Mili in veste di consigliere e rappresentante delle tribu della Provincia del Nuristan, ma mantiene un ruolo attivo anche presso l’intelighentzia afghana emigrata in Pakistan, dove partecipa alla fondazione della “Associazione degli scrittori afghani” e dell’”Associazione Universitaria afgana in Pakistan”. A Peshawar assume la carica di direttore dell’USIS, il centro culturale creato dagli USA per gli afghani.

       Nel 1992 torna in America per discutere la tesi di dottorato. Dal 1993 al 1997 è vicedirettore del programma di formazione di base per rifugiati afghani in Pakistan, finanziato dell’agenzia tedesca di Cooperazione GTZ. Dal 1997 al 2000 è direttore del programma del corso di formazione afghano-tedesco. Diviene in seguito vicedirettore e poi direttore del dipartimento per l’istruzione della  “Agency Coordinating Body for Afghan Relief” (ACBAR).

       Nel 2002 è a Roma come vice Capo di Gabinetto dell’ex Re. Durante il governo di transizione (primo periodo con Karzai come Capo dello Stato) è portavoce e direttore del Dipartimento delle Comunicazioni dell’Ufficio del Presidente. 

       Dopo  aver preso parte alla Loya Girga, nel giugno 2002 viene nominato Ministro dell’Irrigazione, delle Risorse Idriche e dell’Ambiente nel Governo di transizione. In seguito, assume l’incarico di primo Vice Ministro della Difesa, prima di essere nominato dal Presidente Karzai nel gennaio 2009 Governatore di Herat, in sostituzione di Anwari (hazara sciita). La nomina alla guida di quella che molti considerano la provincia più importante del Paese è stata interpretata come un segno di fiducia, da parte del Presidente Karzai, nei confronti di un politico capace e non legato da interessi familiari o economici agli ambienti heratini.

       Oltre all’attività politica, sociale e culturale, scrive articoli per la stampa afghana ed internazionale. Ha compiuto numerosi viaggi in Asia, Europa e America. Parla perfettamente nuristano, dari, pashtu, urdu e inglese. Parte della sua famiglia risiede in California. Egli stesso è anche cittadino statunitense.

 


Documentazione

 


Rapporti bilaterali tra Italia e Afghanistan
(a cura del Ministero degli Affari esteri)

1. Principali obiettivi/interessi italiani

Le relazioni fra Italia e Afghanistan sono tradizionalmente caratterizzate da amicizia e buona consuetudine di rapporti, fin dai tempi dell’ospitalità offerta all’ex re Zaher Shah, vissuto a lungo in esilio a Roma, e ancor prima al Re Amanullah. Tra i più recenti significativi momenti nei rapporti bilaterali la missione del Ministro degli Esteri Frattini a Kabul ed Herat nel febbraio 2009 e la visita in Italia del Presidente Karzai nel luglio 2007 in occasione della Conferenza sulla Rule of Law, co-promossa dall’Italia, dal Governo afghano e dalle Nazioni Unite.

L’Italia, costantemente fra i principali donatori dell’Afghanistan, alla Conferenza di Parigi del 12 giugno 2008 ha annunciato un considerevole impegno pluriennale per il triennio 2009-2011 (fino a 50 milioni di euro l’anno), da canalizzare in prevalenza attraverso i fondi fiduciari. Essa, altresì, conta di erogare un contributo dell’ordine di 10 milioni di euro per l’assistenza alla preparazione delle elezioni presidenziali del 2009. Il nostro Paese, già lead nation, e poi key partner per il settore giustizia si è adoperato per la riforma delle istituzioni giuridiche e della legislazione, la formazione di operatori, la divulgazione nelle province e distretti dei principi della giustizia formale e dei diritti dell’uomo, oltre all’assistenza al Parlamento nella sua prima legislatura. La Conferenza di Roma del luglio 2007 ha indubbiamente rappresentato un punto di svolta per la riforma del settore, con la decisione di finalizzare un Programma Nazionale a guida afghana, presentato all’inizio del 2008, e inglobato nell’ANDS, finanziabile tramite l’Afghanistan Reconstruction Trust Fund.

L’Afghanistan è il Paese nel quale l’intervento dell’Italia è cresciuto e si è articolato maggiormente nel più breve arco di tempo (2002-2008). Oggi la nostra azione politico-diplomatica, l’impiego di forze militari e di polizia, l’attività di cooperazione per la ricostruzione materiale e istituzionale vedono una pluralità di attori nazionali (MAE, Forze Armate, Carabinieri, Guardia di Finanza, Cooperazione etc) presenti direttamente o indirettamente in Afghanistan, tanto sul piano bilaterale, quanto attraverso una serie di quadri multilaterali (ONU, NATO, Ue, G8). Il livello di risorse impiegate dall’Italia e la natura pluriennale dello sforzo prodotto – verosimilmente destinati a proseguire – impongono pertanto di impegnare gli esponenti del Governo afghano in un dialogo serrato recando un messaggio conforme a quello dei maggiori partner italiani. È quindi necessario sollecitare i nostri interlocutori afghani a lavorare per il conseguimento, graduale ma tangibile, di progressi politici e di governance, indicati nel Compact del 2006. Ciò costituisce un indispensabile requisito per un’adeguata prosecuzione del sostegno italiano e per la conservazione del consenso dell’opinione pubblica ad assistere l’Afghanistan.

 

2. Impegno militare

 

L’Italia ha sin dal 2002 fornito un contributo di assoluto rilievo alla missione ISAF, detenendone anche il Comando tra il 2005 e il 2006. Italiani in due occasioni (2006 e 2008) sono stati i comandanti della regione di Kabul, attualmente sotto comando francese.

Contribuiamo attualmente ad ISAF con quasi 2600 unità (sesto fornitore di truppe). Il nostro contributo è suddiviso tra Kabul (circa 600 unità), la regione occidentale soprattutto nelle province di Herat e Farah (1900) e Mazar e Sharif con un distaccamento di 2 aerei Tornado (che opereranno ad Herat con altri 2 Tornado quando saranno terminati i lavori di adeguamento della pista dell’aeroporto). È previsto un rafforzamento delle forze a Farah. Italiano è il comandante della Regione Ovest. L’Italia gestisce il PRT di Herat e fornisce un contributo sostanziale ad altri distaccamenti operativi quali la Forward Support Base FSB di Herat e la Forward Operating Base FOB nel distretto di Mala Murghab (provincia di Badghis sotto controllo spagnolo).

Nel corso del secondo semestre dell’anno e in ogni caso al termine del periodo elettorale, verrà completata la riconfigurazione verso ovest della nostra presenza militare, con l’eliminazione della residua unità di manovra italiana a Kabul e il contestuale dispiegamento di un’unità di manovra aggiuntiva in una delle province occidentali (probabilmente Herat) che si affiancherà a quelle attuali di Herat e Farah.

A regime saranno dunque complessivamente tre le unità di manovre italiane operanti nel RC West.

In previsione del periodo elettorale verrà dispiegato nella regione ovest un battaglione di manovra aggiuntivo di circa 200 unità. Due aerei da trasporto e tre elicotteri, sempre da trasporto, completano il pacchetto aggiuntivo italiano messo a disposizione per le elezioni.

Sostegno all’Esercito afgano – OMLT e Trust Fund NATO

Quanto all'addestramento dell'esercito nazionale afgano (ANA), l’impegno italiano è estremamente rilevante, articolato su sei OMLT (Operational Mentor and Liaison Team) attivi tra Herat e Farah e un settimo da dispiegare a Farah entro il corrente semestre, dopo che sarà istituito il corrispondente reparto afgano.

L’Italia difficilmente potrà disporre di risorse umane aggiuntive per aumentare il numero degli OMLT, ma sollecita contributi da parte degli altri paesi impegnati nell’area ovest.

Il contributo finanziario italiano al NATO trust fund a sostegno dell’ANA, ipotizzabile per il secondo semestre (ove disponibili i fondi del decreto missioni), sarà di 2 milioni di euro.

Sostegno all’addestramento della polizia

Il contributo complessivo italiano alla ricostruzione della Polizia nazionale afgana è costituito attualmente da 62 unità di formatori messi a disposizione dall’Arma dei Carabinieri e dalla Guardia di Finanza. Esso è così ripartito:

Nel quadro della EU Police Mission in Afghanistan (EUPOL) operano attualmente 15 unità di polizia italiane così ripartite: 11 unità dell’Arma CC di cui 5 a Kabul e 6 a Herat; 4 unità della Guardia di Finanza di cui 1 a Kabul e 3 a Herat. Nel corso della recente EUPOL call for contribution l’Italia ha presentato complessivamente 12 candidature (tra CC, GdF e 1 esperto civile) per posizioni EUPOL.

In chiave nazionale la “Task Force “Grifo, composta di 13 unità della Guardia di Finanza, svolge ad Herat attività di addestramento a favore della Polizia di frontiera (Afghan Border Police/ABP) nonché di funzionari delle dogane afgani.

In chiave nazionale la Carabinieri Training Unit Afghanistan (CTU-A) operante nella base USA di Adraskan (provincia di Herat) ha avviato dal novembre scorso attività formative a beneficio di reparti della neo-costituita Afghan National Civil Order Police (ANCOP). La CTU-A è formalmente inquadrata nel contingente italiano di ISAF ed è composta di 34 unità tratte dalla 2a brigata mobile. Essa è responsabile di metà dell’intero ciclo addestrativo (2 fasi su 3 complessive per un totale di 16 settimane), mentre la restante metà è svolta da formatori civili finanziati dal governo USA (c.d. private contractors). L’impegno italiano si protrarrà sino al gennaio del 2010, ossia al positivo completamento del training di 10 battaglioni dell’ANCOP (350 unità cadauno). Ad oggi è stata completata la formazione del primo battaglione ANCOP.

Quanto al nostro impegno futuro in partenariato con gli USA, la Difesa è orientata a prefigurare uno sforzo aggiuntivo di circa 50 unità di Carabinieri. Di essi, 6 dovrebbero costituire una squadra di rafforzamento della CTU-A operante ad Adraskan, per consentire a quest’ultima di ampliare le proprie attività addestrative a beneficio di ANCOP, subentrando in tutto o in parte ai private contractors. Il resto del rafforzamento, nella secondo semestre, dovrebbe essere dispiegato a Kabul (nel campo italiano Invicta, reso libero dal rischieramento del battaglione di manovra) per replicare anche nella Capitale l'attività già condotta ad Adraskan a favore di ANCOP, che in questo caso sarebbe destinata a formare le restanti 2.500 unità dell’ANCOP. Per essere concretamente praticabili, tali opzioni di rafforzamento presuppongono la disponibilità di adeguati mezzi finanziari e materiali che non possono essere forniti da parte italiana e che andrebbero assicurati vuoi da parte USA (il comando americano CSCT-A, sotto la cui egida si svolgono le attività addestrative ad Adraskan, dovrebbe continuare a provvedere al sostegno logistico ed organizzativo) vuoi tramite un apposito trust fund.

L’Italia guida dal 2005 il PRT (Provincial Reconstruction Team) di Herat, capoluogo dell’omonima regione. Il PRT, al cui interno è inserito anche un Funzionario diplomatico (che esprime la componente civile), opera attraverso un’estesa attività CIMIC (Civil Military Cooperation) ma costituisce altresì un essenziale punto di riferimento per ogni forma di intervento che la comunità internazionale e le maggiori Agenzie intendono condurre nell’area, nel rispetto di una pianificazione a livello territoriale (Provincial Development Plan). Alle risorse finanziarie impiegate tanto da parte del nostro COI quanto dalla DGCS si iniziano ad accompagnare anche gli interventi condotti per progetti con fondi della Commissione Europea (Provincial Reconstruction Fund) e del Governo giapponese (Grant Assistance for Grassroot Projects). In prospettiva dette attività potrebbero ulteriormente accrescersi richiedendo un incremento della componente civile mentre le attività CIMIC al pari di quelle di cooperazione dovranno sempre più orientarsi verso la creazione di capacità sul campo, riducendo la componente dell’intervento infrastrutturale. Dal 2009 sono presenti all’interno del PRT unità di specialisti sloveni.

 

3. Settore Giustizia

Sin dall'inizio del 2003 l’Italia ha attivato in Afghanistan un Ufficio Giustizia allo scopo di gestire e coordinare le iniziative relative al contributo italiano alla ricostruzione del sistema giudiziario e penitenziario. La prima fase di attività, promanante dalla strategia delineata dall'Accordo di Bonn del dicembre 2001 e costruita sul concetto di lead nation e sull’assunzione da parte italiana della responsabilità della giustizia, si è sviluppata dal marzo al giugno 2003. È stata caratterizzata da un approfondito studio dei criteri fondanti il sistema giudiziario afghano, con riferimento alla legislazione allora vigente, nonché una valutazione dei caratteri qualitativi e quantitativi delle risorse umane e strutturali a disposizione. I diversi progetti che si sono susseguiti negli anni si sono, purtroppo, sostanziati secondo metodologie molto eterogenee, nonostante siano stati connotati dalla finalità ultima di ricostituire il sistema giudiziario in coerenza con i criteri della nuova Costituzione approvata nel 2004. Con il consolidarsi del ruolo delle Autorità permanenti afgane, ovvero il Governo e il Parlamento liberamente eletti nel 2005, la comunità internazionale ha riconosciuto la necessità di trasferire a loro il compito di condurre la riforma. In occasione della Conferenza di Londra del 2006 la responsabilità della ricostruzione del paese viene assunta così dal Governo afghano: esso assume progressivamente la direzione dell'intero programma quinquennale di riforma (il Compact). Le preesistenti lead nations diventano focal points, assumendo il ruolo di punti di riferimento nel sostegno (in termini economici e tecnici) alle Autorità nazionali.

L'Ufficio Giustizia a Kabul attualmente segue attività di formazione del personale che opera nel campo giudiziario, cura l'assistenza legale per minori e indigenti e si occupa della costruzione e/o riabilitazione di edifici quali il nuovo Ministero della Giustizia, la Corte nazionale, la Facoltà di Shari’ah. Dei programmi finanziati dal governo italiano nel tempo hanno beneficiato donne e minori detenuti, operatori giudiziari e istituzioni governative.

Al margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, che ha ospitato la riunione del Gruppo Friends of Afghanistan del 24 ottobre 2008, è stato pubblicato il rapporto semestrale del Segretario Generale sulla situazione nel Paese. I progressi rilevati nel settore Giustizia con la collaborazione fra Ministero della Giustizia, Supreme Court e Attorney General Office è ora istituzionalizzata attraverso un organismo afghano ad hoc (il Programme Oversight Committe). L’architettura descritta, delineatasi grazie al National Justice Program promosso da parte italiana, vede inoltre il rafforzarsi della funzione legale (Bar Association) e la disseminazione su base provinciale della Rule of Law grazie ad UNAMA.Progressi vengono altresì registrati sul piano normativo fra cui la revisione del codice di procedura penale. Permangono in questo settore della ricostruzione istituzionale numerose carenze di capacità, ma è possibile riconoscere un framework complessivo dotato di coerenza strategica e basato su un buon livello di sostenibilità finanziaria, oltre ad essere conferito direttamente alla responsabilità delle autorità afgane.

 

4. Relazioni culturali

Le attività archeologiche e le iniziative di collaborazione interuniversitaria sono i due principali canali attraverso i quali si realizza la cooperazione bilaterale in campo culturale.  Sono in corso due missioni archeologiche, rispettivamente condotte dall’ISIAO per un’attività di scavo e restauro nel sito di Tapa Sadar e dall’Associazione “Giovanni Secco Suardo”, impegnata in opere di consolidamento strutturale del complesso monumentale di Hadji Piada.  È stata firmata il 21 luglio 2008 la Convenzione tra il Ministero degli Esteri e l’Istituto Centrale per il Restauro per la realizzazione di un “Corso di formazione nel campo del restauro per operatori mussali provenienti dall’Afghanistan”. Per il quinto anno consecutivo la Farnesina ha promosso e sosterrà finanziariamente il progetto di formazione, proseguendo nell’attività già svolta negli anni precedenti.  L’ultima edizione del corso era diretta ad operatori, designati dal Museo Nazionale dell’Afghanistan di Kabul. L’iniziativa è stata realizzata dall’Istituto Centrale per il Restauro del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, centro considerato all’avanguardia a livello mondiale nel campo delle tecnologie e delle tecniche di restauro. Il Corso, a cui hanno partecipato sette operatori di museo afghani, ha avuto una durata di sei settimane e si è svolto nei mesi di settembre e ottobre presso le sedi dell’Istituto Centrale per il Restauro a Roma e presso il Laboratorio di Restauro del Museo Archeologico delle Paludi di Celano (AQ).

Attualmente, si prevede di approfondire con i competenti uffici ministeriali e con altri enti potenzialmente interessati la percorribilità di ulteriori iniziative in tale ambito, per un più incisivo ruolo italiano nel settore del patrimonio culturale di Herat, in linea con la nostra riconosciuta expertise in materia e con la tradizionale presenza di nostre missioni archeologiche in Afghanistan. Una più immediata operatività si intravede per il prospettato progetto di “vocational training” che potrebbe essere realizzato nel quadro del programma giapponese GAGP. Alcune iniziative di cooperazione interuniversitaria coinvolgono da tempo atenei italiani e afghani. Si segnalano: l’accordo quadro tra l’Università di Trieste e l’Università di Kabul; l’accordo tra le Università di Padova e Siena e l’Università di Herat finalizzato alla formazione in loco di personale medico; la collaborazione tra l’Università di Bologna e l’Università di Kabul per l’avvio di scambi ed altre attività congiunte, focalizzate in particolare sulla riforma del sistema giuridico in Afghanistan. Un progetto nel campo dell’antropologia culturale è stato avviato dall’Università La Sapienza di Roma con l’obiettivo di stabilire un rapporto di partenariato tra una scuola italiana e una scuola afghana e a favorire il diritto all’istruzione per le donne afgane. Le più recenti iniziative riguardano un corso di alta formazione in materie giuridiche presso l’Università per Stranieri di Perugia a favore di laureati delle Facoltà di Legge e shar’ia dell’Università di Kabul e un accordo quadro di collaborazione culturale e scientifica in via di definizione tra l’Università di Kabul e La Sapienza.

Significativo è il nostro impegno diretto per la formazione di studenti e cittadini afghani, che sia nel 2007/2008 che per il 2008/2009 si è tradotto nella concessione di 230 mensilità di borse di studio del valore di 700 euro ciascuna. L’Afghanistan è il quinto Paese beneficiario di borse di studio offerte dal Governo italiano, dopo Cina, Argentina, Germania e Messico. È attiva una cattedra di italiano con un lettorato presso l’Università di Kabul.

Nel gennaio 2009 si sono svolti ad Herat, su iniziativa del PRT italiano, un corso e un laboratorio di formazione artistica tenuti dal Maestro Ernesto Lamagna.  A seguito di questa iniziativa sarà donata da parte italiana una biblioteca di oltre 2000 volumi di arte. Per valorizzare l’iniziativa, che ha segnato dopo molti anni, la ripresa di contatti culturali i lavori realizzati in occasione del laboratorio saranno esposti in una mostra da allestire al MAE.

L’Italia ospiterà a Trieste in occasione della Riunione dei Ministri degli Esteri del G8 e della sessione di outreach con Afghanistan, Pakistan, Paesi vicini e attori di rilievo regionale, una importante mostra sulla presenza scientifica e culturale italiana in Asia Centrale e un convegno internazionale con esperti provenienti anche dai Paesi dell’area.

 

5. Relazioni economico-commerciali

Fino al 2001 l’interscambio tra Italia e Afghanistan non è stato di particolare rilevanza per l’economia italiana. Dopo la guerra del 2001 il livello delle esportazioni italiane in Afghanistan è, invece, cresciuto sensibilmente. Nel 2007, secondo i dati Istat, l’interscambio italo-afghano ha raggiunto i 23,06 milioni di euro rispetto ai 13,9 milioni del 2006. Il valore percentuale della crescita è stato pari ad oltre il 60%, trainato principalmente dalle esportazioni italiane, passate da 12,9 milioni di euro nel 2006 a 22,5 milioni di euro a dicembre 2007. Se il volume complessivo appare ancora modesto, la costante crescita delle nostre esportazioni risulta un segnale positivo anche per rafforzare la posizione italiana nei confronti dei diversi partner occidentali dell’Afghanistan. I principali beni esportati riguardano le attrezzature per le telecomunicazioni, macchinari industriali, prefabbricati e materiali da costruzione, apparecchiature elettriche e prodotti farmaceutici. Dal lato delle esportazioni afgane in Italia, il volume complessivo è progressivamente diminuito negli ultimi tre anni, passando da 1,5 milioni di euro nel 2005 a 496 mila euro a dicembre 2007. È stato recentemente avviato il negoziato su due accordi bilaterali destinati in prospettiva a favorire lo sviluppo delle relazioni economico-commerciali tra i due Paesi: un accordo sulla promozione e protezione degli investimenti ed un accordo contro le doppie imposizioni.

Dopo la partecipazione al Forum della società civile e del settore privato, svoltosi a Parigi il 24 maggio 2008, nel quadro della Conferenza internazionale di sostegno all’Afghanistan, la Regione Lombardia aveva manifestato disponibilità ad individuare possibili forme di intervento in Afghanistan per promuovere il modello italiano delle piccole e medie imprese e svolgere attività di assistenza tecnica e formazione agli imprenditori locali. E’ stata avviata una collaborazione tra la Banca d’Italia e la Banca Centrale Afghana (DAB) per l’invio di nostri esperti e lo scambio di esperienze e best practices. Tali attività di formazione ed assistenza tecnica riguarderebbero alcune aree di specifico interesse della DAB (ruolo dei tassi di cambio nelle decisioni di politica monetaria, creazione di modelli di analisi e previsione macroeconomica etc).

 

6. Prospettive per l’imprenditoria italiana

Tra l’economia afghana, ricca di materie prime di ottima qualità ma priva di capacità umane e tecniche, e l’economia italiana, leader in molti settori tecnologici, esistono evidenti complementarietà. In generale, le due priorità su cui il Governo afghano intende operare nell’immediato futuro sono di favorire l’afflusso di investimenti stranieri suscettibili di dare impulso alle esportazioni e sviluppare la capacità di penetrazione di prodotti afghani nel mercato regionale. A tal fine il Governo intende promuovere la conclusione di accordi per la riduzione delle barriere doganali con i Paesi dell’area, in analogia a quanto già realizzato con l’India.

L’Afghanistan è attualmente in una fase di lenta ma crescente integrazione in un’area geo-economica di cerniera tra l’Asia centrale e meridionale, il mondo islamico e l’Estremo Oriente. L’Italia potrebbe avere un ruolo credibile ed efficace quale partner ascoltato del nuovo Afghanistan, anche in un’area finora inesplorata quale il settore commerciale e degli investimenti, vitale per assicurare la ricostruzione del Paese in un quadro di sviluppo del settore privato. Da parte afghana, fino ai più alti livelli (Presidente, ex-Sovrano, Vice Presidente, Ministri, operatori economici locali), esiste la massima disponibilità a favorire una maggior presenza di imprenditori italiani nel Paese. Tra le varie opportunità vi sono quelle legate allo Sviluppo Urbano di Kabul, nonché la partecipazione alla costruzione di 200-250.000 unità abitative nell’area della capitale. Il Governo afghano è interessato a sviluppare una collaborazione con l’Italia proprio nel campo dell’edilizia e ritiene che le società italiane possano assicurare, più di altri, i requisiti indispensabili di qualità e risultato finale. L’Italia, a sua volta, può offrire tecnologie altamente innovative che consentono di coniugare qualità degli edifici, gusto, design elegante e, soprattutto, rapidità di esecuzione. Va anche considerato come, nonostante l’imponente sviluppo del settore edilizio, l’Afghanistan importi tutto il cemento necessario dall’estero, in particolare dal Pakistan, a costi assai elevati. Il Ministero dello Sviluppo Rurale, forte di un portafoglio di aiuti internazionali di circa 70 milioni di dollari, è interessato a una tecnologia italiana basata su materiali chimici (rispettosi dell’ambiente) che migliorano la compattazione delle strade non asfaltate. A parità di fondi, tale tecnologia permetterebbe di costruire un numero maggiore di strade rurali, a parità di standard. Merita inoltre segnalare l’interesse afghano alla tecnologia di punta dell’Italia in materia di installazioni aeroportuali, sistemi di comunicazione satellitare, nonché sistemi informatici per agenzie governative.

 

Il 25 marzo si è svolta a Kabul la Conferenza Internazionale sul Marmo, organizzata su iniziativa di USAID e co-presieduta dall’Italia, che ha effettuato una presentazione del settore, predisposta in collaborazione con l’Associazione dei Produttori delle Macchine per il Marmo.

 

Dal 25 al 30 maggio si è svolta la visita di una delegazione di imprenditori della Provincia di Herat, guidata dal Governatore Nuristani.

 

 

7. Situazione SACE

Il Consiglio di Amministrazione di SACE ha confermato la classificazione OCSE nella categoria di rischio 7 classe D[10]. L’atteggiamento assicurativo della SACE come delle altre ECA (Agenzie di Credito all'Esportazione) è di sospensiva, a causa dell’instabilità interna del Paese.

 

8. Cooperazione allo sviluppo

 

Dati FINANZIARI complessivi.

L’impegno della DGCS in Afghanistan deriva dalla partecipazione del nostro Paese allo sforzo della comunità internazionale in favore dell’Afghanistan, formalizzato in occasione delle conferenze succedutesi a Tokyo (2002), Berlino (2004), Londra (2006) e Parigi (2008).  Dal 2001 al 2008, la DGCS ha approvato iniziative per un totale di circa 441 milioni di Euro (di cui circa 60 milioni in emergenza). 355 milioni di Euro risultano erogati al 17.03.2009.

 

La DGCS mantiene a Kabul un’Unità Tecnica Locale, che, d’intesa con la DGAO si intende rafforzare, per conferire maggiore capacità di coordinamento complessivo. Ad Herat è presente un funzionario a capo della componente civile del PRT con il compito di favorire piani di intervento delle due componenti, civile e militare, sinergici e coerenti rispetto alle priorità locali e alle strategie governative e provinciali. Tale posizione, d’intesa con la DGAO, sarà rafforzata da un esperto DGCS con funzioni di raccordo con il capo della componente civile del PRT. L’esercizio di coordinamento viene guidato da Roma da un tavolo Esteri (nelle sue diverse componenti) - Difesa.

 

LA strategia di intervento DGCS NEL PASSATO.

Inizialmente (da fine 2001), in assenza di una strategia nazionale afgana di sviluppo consolidata e in considerazione della necessità di intervenire in uno scenario caratterizzato da una situazione socio-economica e istituzionale devastata da oltre 30 anni di guerre, l’azione italiana si è estrinsecata attraverso il supporto agli Organismi e Istituzioni internazionali principalmente per interventi umanitari e di ricostruzione istituzionale e la realizzazione di interventi puntuali eseguiti in Gestione Diretta DGCS nel settore sanitario, dell’approvvigionamento idrico e igiene ambientale ed educativo di base e a sostegno alle fasce vulnerabili della popolazione (donne e minori, rifugiati). Un ruolo particolare ha avuto il sostegno alla riforma della giustizia, per cui l’Italia aveva assunto il “Lead” sino al 2006 (Conferenza di Londra), nonché il consistente impegno per la ricostruzione della strada Kabul-Bamyan (136 km – 104 milioni di Euro).


L’ATTUALE strategia di intervento

L’adozione della strategia nazionale di sviluppo afgana (ANDS)  dal giugno 2008 nella sua versione definitiva, ha determinato un cambiamento di approccio da parte della Comunità internazionale. L’Italia ha aderito a tale processo evolutivo, puntando al rafforzamento della ownership afgana dei processi di sviluppo, favorendo i meccanismi in grado di ottimizzare l’efficacia dell’APS, canalizzando una parte significativa delle risorse attraverso l’Afghanistan Reconstruction Trust Fund e altri programmi ad esecuzione governativa. In particolare è stato incrementato il sostegno multilaterale ai Trust Funds governativi (nel biennio 2007-2008 sono stati erogati circa 35 milioni di Euro), mentre è in corso il maggiore programma bilaterale ad esecuzione governativa in linea con la ANDS (strada Kabul-Bamyan per 104 milioni di euro complessivi). A fine 2008 è stato approvato ed impegnato il contributo bilaterale al Programma Nazionale di Sviluppo Rurale Comunitario (il National Solidarity Programme) per 20 milioni di Euro, da erogare nel 2009. Tra fine 2008 ed inizio 2009 sono stati inoltre approvati contributi a sostegno delle elezioni parlamentari e presidenziali 2009-2010, per 10 milioni di Euro di cui 5 milioni già erogati

La Cooperazione italiana ha inteso anche fronteggiare le crisi umanitarie, ricorrenti in Afghanistan. In particolare l’Italia ha fornito un sostegno consistente agli sforzi internazionali erogando contributi al PAM ed all’UNHCR per 3,6 milioni di Euro, oltre ad un contributo di 900.000 Euro al CICR per interventi nella regione occidentale concentrati nella fornitura di generi alimentari e di prima necessità ed al rafforzamento dei centri di riabilitazione fisica delle vittime di mine, con particolare riferimento al centro operante ad Herat.

 

Da fine 2007 è stato istituito presso l‘Ambasciata di Kabul, l’Ufficio di Cooperazione (UTL) attraverso il quale sono costantemente monitorati gli interventi italiani in Afghanistan ed avviato il processo di allineamento della strategia DGCS alle priorità afgane ed il coordinamento con la Comunità internazionale, garantendo allo stesso tempo la necessaria visibilità. Nel 2008 la DGCS ha stanziato fondi per nuovi progetti per un importo totale di 117 milioni di Euro ed erogazioni pari a 71 milioni di Euro, risultato più importante conseguito dal 2001, a fronte di un impegno complessivo assunto in sede internazionale che il Governo italiano ha indicato in 150 milioni di Euro nel triennio 2008-2010, in termini di erogazioni.

 

le prospettive future

In relazione alle priorità e criteri definiti nella Programmazione triennale DGCS, e alle risorse finanziarie destinate all’Afghanistan attraverso il decreto missioni, si intende insistere nel rafforzamento del sostegno italiano alle politiche di sviluppo nazionale afgane (ANDS), privilegiando, in tale contesto, l’orientamento dei fondi alle aree del Paese caratterizzate dalla presenza italiana civile-militare, nei seguenti settori: strada Kabul-Bamyan, giustizia, settore sanitario, sostegno alle fasce vulnerabili, sviluppo e governance locale. Saranno privilegiati i programmi destinati a garantire il soddisfacimento delle necessità di sviluppo delle comunità rurali, in particolare nella Provincia di Herat, come il National Solidarity Programme e sarà sostenuto il Social Outreach Programme-ASOP (programma orientato alla creazione delle istituzioni e capacità istituzionali a livello locale atte a garantire l’effettiva governabilità delle zone periferiche). A livello centrale verrà assicurato il sostegno alla riforma del sistema giudiziario. Da menzionare il sostegno italiano al processo elettorale alle elezioni presidenziali nel 2009 e parlamentari nel 2010. La DGCS ha già concesso in tale ambito nel 2008, un contributo di 5 milioni di Euro all’UNDP per il programma di registrazione del corpo elettorale, mentre un ulteriore contributo di 5 milioni di Euro è stato approvato dal Comitato Direzionale del 10 marzo 2009 per sostenere la realizzazione delle operazioni di voto.

 

Herat

Particolare attenzione è stata dedicata alle attività da realizzarsi ad Herat da quando, nell’aprile 2005 l’Italia ha assunto la responsabilità del locale PRT. In tale contesto, gli interventi hanno riguardato, sul canale bilaterale, l’istruzione, l’approvvigionamento idrico, il settore sanitario e il sostegno alle fasce vulnerabili. Particolare successo e impatto hanno avuto le attività relative al miglioramento dell’accesso all’acqua in 5 Distretti della Provincia di Herat.

 

In ambito multilaterale sono stati sostenuti i programmi  di reintegro nella società civile di ex-combattenti, il rimpatrio e la reintegrazione dei rifugiati afgani nella regione occidentale, il disarmo dei gruppi armati illegali, il controllo della tubercolosi, il sostegno alimentare delle popolazioni di Herat e il programma di sminamento in Afghanistan.

 

Nel quadro dell’orientamento degli interventi in coerenza con l’ANDS e in considerazione degli impegni relativi ad Herat, la Cooperazione italiana si prefigge di orientare i finanziamenti bilaterali ai programmi nazionali afgani (per es. i sopra menzionati National Solidarity Programme ed ASOP) prevalentemente sulle Province per noi prioritarie, quindi su Herat in particolare.

 

ATTIVITA’ DI EMERGENZA

L’Ufficio Emergenza ha sviluppato interventi per circa 60 milioni dal 2001 al 2008 ed ha in corso di realizzazione due iniziative per un valore di 7 milioni di Euro.

Tali interventi prevedono attività nel settore sanitario, idrico e del sostegno alle fasce vulnerabili. Fra gli obiettivi il completamento dell’Ospedale Regionale di Herat (apparecchiature elettromedicali per i reparti di chirurgia, radiologia, pronto soccorso e laboratori e relativi lavori di riabilitazione), l’avvio concreto della funzionalità dell’Ospedale Pediatrico di Herat in sintonia ed in armonia con gli interventi del CIMIC, ed il sostegno all’Ospedale Estqlal di Kabul (forniture di attrezzature del reparto ustionati, costruzione e allestimento di un asilo nido). Sono previsti inoltre, d’intesa con le autorità sanitarie locali, interventi volti al sostegno delle strutture sanitarie realizzate con il contributo italiano.

 

Per quanto riguarda il sostegno alle Fasce vulnerabili è in corso un intervento nel distretto del Badakshan volto al ripristino di unità abitative, piccole infrastrutture e centri di pronto soccorso. Sono programmati interventi nei settori della formazione professionale e dello sviluppo di piccole attività generatrici di reddito.

 

Si intende inoltre operare nei settori della distribuzione di generi di prima necessità, anche in coordinamento con la locale Protezione civile e nell’approvvigionamento idrico (acqua potabile, irrigazione).

 

Un ulteriore contributo per 1,5 milioni reso disponibile dal Decreto missioni internazionali (Legge 12/2009), verrà erogato nei prossimi mesi agli Organismi internazionali per interventi umanitari in favore delle fasce vulnerabili con particolare riferimento alle popolazioni della Provincia di Herat.

 


 

 

DATI STATISTICI BILATERALI

 

INTERSCAMBIO COMMERCIALE ITALIA/AFGHANISTAN (in milioni di Euro)

 

2003

2004

2005

2006

2007

Esportazioni italiane

17,5

19,87

21,44

16,09

22,5

Variazione esportazioni %

-

13,72%

7,93%

-24,95%

39,8%

Importazioni italiane

0,59

3,03

1,58

0,97

0,496

Variazione importazioni %

-

413,56%

-47,85%

-38,60%

-48,8%

Saldo

16,9

16,84

19,86

15,12

22,004

Interscambio

18,1

22,9

23,02

17,06

23,06

Variazione interscambio %

-

26,80

0,52

-25,89

35,1%

Fonte: ISTAT –Ultimo periodo disponibile 12/2006. I dati 2006 sono provvisori

 

PRINCIPALI ESPORTAZIONI E IMPORTAZIONI ITALIANE (anno 2006)

ESPORTAZIONI

% sul totale

IMPORTAZIONI

% sul totale

Apparecchi ed attrezzature per le telecomunicazioni

23,8

Fibre tessili ed altre lane pettinate e loro cascami (non trasformati in fili o in tessuti)

74,9

Macchine ed apparecchi elettrici e loro parti e pezzi staccati

9,5

Filati, tessuti, articoli tessili confezionati e prodotti connessi

19,7

Bevande

8,1

Apparecchi ed attrezzature per le telecomunicazioni

2,7

Prodotti e preparazioni alimentari

5,4

Macchine ed apparecchi elettrici

1,8

Strumenti ed apparecchi professionali, scientifici e di controllo

4,9

Strumenti ed apparecchi professionali, scientifici e di controllo

0,3

Macchine e apparecchi specializzati per particolari industrie

4,9

Macchine e apparecchi specializzati per particolari industrie

0,2

Macchine ed apparecchi industriali per uso generale

4,8

Articoli da viaggio, borse e contenitori simili

0,2

Costruzioni prefabbricate; apparecchiature idrosanitarie, di riscaldamento e di illuminazione

3,4

Materie e prodotti chimici

74,9

Fonte: Dati ISTAT. Ultimo periodo disponibile 12/2006.

 

 

INCIDENZA INTERSCAMBIO SUL COMMERCIO ESTERO ITALIANO

2004

2005

2006

Esportazioni verso l’Afghanistan sul totale delle esportazioni italiane

0,006%

0,007%

0,004%

Importazioni dall’Afghanistan sul totale delle importazioni italiane

0,0010%

0,0005%

0,0003%

 

QUOTE DI MERCATO (anno 2005-2006)

PRINCIPALI FORNITORI

PRINCIPALI ACQUIRENTI

Pakistan

USA

USA

Pakistan

India

India

Germania

Finlandia

Turkmenistan

Turchia

Russia

Belgio

Kenya

Danimarca

Repubblica di Corea

Germania

Giappone

Russia

Fonte: Asian Development Bank 2006



COMMISSIONI RIUNITE

IV (Difesa) della Camera dei Deputati

e 4ª (Difesa) del Senato della Repubblica

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA IV COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI EDMONDO CIRIELLI

La seduta comincia alle 14,30.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Comunicazioni del Ministro della difesa sulla situazione militare in Afghanistan, con particolare riferimento al contingente italiano.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le comunicazioni del Ministro della difesa sulla situazione militare in Afghanistan, con particolare riferimento al contingente italiano.

Ai fini di un ordinato svolgimento dei lavori invito i gruppi di Camera e Senato a far pervenire agli uffici l'elenco dei propri componenti che intendessero intervenire nel corso della seduta, entro i primi 20 minuti della seduta stessa.

Do la parola al Ministro della difesa Ignazio La Russa, che ringrazio per la partecipazione alla seduta odierna.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Ringrazio e saluto i presidenti delle Commissioni di Camera e Senato e tutti i commissari.

Chiedo scusa se abbiamo dovuto rinviare questo incontro - tenevo ad essere presente - ma la calamità naturale che ha  colpito l'Abruzzo, e quindi tutti noi, ha reso impossibile lo svolgimento di questa audizione nella precedente occasione. Quel giorno, infatti, ho accompagnato il Presidente del Consiglio nel luogo del sisma, per portare non tanto una presenza simbolica, ma un momento di condivisione ai militari impegnati in quel difficile compito.

Oggi, prima data utile che mi avete indicato, partecipo molto volentieri a questo incontro, anche per il sentimento di lealtà che nutro nei confronti del Parlamento. Sono qui per indicarvi le linee di tendenza degli impegni delle nostre Forze armate in Afghanistan, in particolare nel periodo delle elezioni presidenziali. Tali impegni sono stati oggetto di una discussione nel vertice dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi della Nato tenutosi a Strasburgo il 3 e 4 aprile, a cui ho avuto l'onore di prendere parte.

Devo dire subito che, al momento attuale, non vi sono mutamenti significativi nello scenario afghano e, in particolare, lì dove operano le nostre forze. Già dall'ottobre scorso, infatti, più volte abbiamo sottolineato, anche nelle sedi parlamentari, la difficile situazione nel Paese. Non vi sono ulteriori crescenti difficoltà, ma che i problemi fossero in aumento - non rispetto a ottobre, ma al periodo precedente - lo abbiamo già segnalato.

La guerriglia si è resa più aggressiva e l'azione degli insurgent, gli insorgenti, si è intensificata ed è diventata anche qualitativamente più complessa. Non possiamo parlare, però, di una strategia mirata contro le forze italiane; infatti, l'obiettivo prioritario dei terroristi è quello di rendere più difficile il processo di riconciliazione nazionale, quindi l'avvio dello sviluppo e della normalizzazione del Paese.

Contestualmente, come confermato nella relazione dei servizi di sicurezza al Parlamento, l'accresciuta pressione da  parte della coalizione internazionale nell'area meridionale dell'Afghanistan (che lambisce la zona ovest in cui noi operiamo) in qualche modo potrebbe spingere le forze ostili verso l'area dove sono presenti i nostri militari, accrescendo le probabilità di contatti e scontri.

Del resto, questo è ovvio: è la teoria del deflusso di un liquido laddove il territorio lo consente. Se premiamo queste forze dal sud è possibile, se non probabile, che l'insorgenza si sposti in zone ritenute meno pericolose. Siamo perfettamente consapevoli di questa minaccia e, quindi, la nostra attenzione rimane su livelli molto alti.

In tale quadro, i nostri militari continuano ad operare con grande impegno, professionalità ed efficacia. Il nostro contingente è impegnato, nello stesso tempo, a consolidare la sicurezza del Paese, ad addestrare le forze afghane dell'esercito e della polizia e anche - questo per noi è un dato molto importante - a ricostruire, assistendo la popolazione e generando fiducia.

Dobbiamo dire che la cosiddetta «nuova dottrina» di Barack Obama è, in realtà, l'evoluzione dell'ultima della strategia che gli Stati Uniti hanno messo a punto prima della sua elezione. Come sapete, il Ministro della difesa è rimasto lo stesso, a testimoniare una sorta di continuità. Tuttavia, vi è un approccio diverso che tenta di coinvolgere maggiormente i Paesi che partecipano al contingente internazionale e, nello stesso tempo, vi è una maggiore attenzione a ciò che noi abbiamo sempre predicato, ossia che la ricostruzione debba avvenire contestualmente alla contrapposizione. A volte si aspetta che un'area sia completamente bonificata prima di cominciare la ricostruzione. Noi riteniamo che le due azioni possano procedere, sebbene parzialmente, in sovrapposizione. In altre parole, dove le condizioni lo consentono - anche solo  in una frazione di territorio - è necessario cominciare a ricostruire. In questo modo non solo si accelerano i tempi, ma si rende il rapporto con le popolazioni immediatamente migliore e, anche se ciò comporta un maggiore pericolo per chi opera, il beneficio che ne deriva, a nostro avviso, è importante. Insomma, ne vale la pena.

La consistenza numerica media del contingente italiano - nei miei appunti è scritto «media», ma in realtà il numero che riferisco è quello attuale - è di 2795 militari. Ricordo che 2800 è il numero stabilito dal decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 209 di proroga semestrale della partecipazione italiana alle missioni internazionali.

Nell'ambito dell'ISAF siamo oggi presenti in due regioni: nell'Afghanistan occidentale - con circa 2000 militari, nell'ambito del comando di Herat (comando a guida italiana), e nella regione di Kabul, con circa 700 militari inseriti nel Regional Command Capital e in altre strutture operative della Nato.

Fra gli assetti disponibili abbiamo tre velivoli senza pilota, un velivolo da trasporto e due aerei tornado. Ricorderete che erano stati autorizzati quattro tornado, ma due non sono mai partiti non per problemi nostri, bensì dovuti alla ricettività degli aerei (prima non c'era la pista, poi il luogo dove ripararli). A maggio, comunque, andranno ad aggiungersi gli altri due tornado contemplati nel pacchetto autorizzato.

Come ho avuto modo di indicare in un mio precedente intervento in Senato, gli impegni già assunti in ambito Nato porteranno, nel corso dell'anno e sino ad agosto 2009, ad un incremento del personale nazionale presente in Afghanistan, con lo schieramento del comando di reazione rapida della Nato di Solbiate Olona quale nucleo centrale del comando ISAF (incremento di 151 militari, di cui 114 italiani).

Per quanto attiene lo sviluppo dell'ANA (Afghan National Army), cioè dell'esercito afghano, in ambito Nato è stata condivisa la necessità di incrementare l'impegno da parte di tutti i Paesi membri e partner dell'Alleanza. Il nostro Paese ha risposto portando a sette il numero degli OMLT, che sono le strutture in cui i nostri partecipano attivamente da istruttori e da guida nelle operazioni insieme ai militari afghani.

Vengo, ora, al tema cruciale delle elezioni presidenziali nel Paese, che come sapete avranno luogo il 20 agosto. Certamente esse costituiscono una verifica significativa dei progressi del processo di democratizzazione dell'Afghanistan e dell'effettiva capacità dell'apparato di sicurezza afghana. Queste elezioni dovranno essere, ovviamente, legittime e imparziali; dunque è necessario un clima di ragionevole sicurezza che consenta il regolare svolgimento sia della campagna elettorale sia dell'esercizio del voto.

Fra l'altro, nessuno può escludere che, in concomitanza con le elezioni, vi sia un aumento dell'attività dell'insorgenza. In vista di tale evento, nel corso della riunione informale dei Ministri della difesa della Nato che si è tenuta il 20 febbraio scorso a Cracovia e, poi, anche nel vertice di Strasburgo, di cui ho già parlato, si è discusso della possibilità di aumentare temporaneamente il contributo militare e civile di tutti i Paesi dell'Alleanza, proprio allo scopo di incrementare il livello di sicurezza nel Paese in questa occasione elettorale.

Come sapete, l'Italia è oggi uno dei maggiori contributori della missione della Nato ed è, quindi, già impegnata in maniera che io reputo consistente. Riteniamo, tuttavia, di dover fare la nostra parte, così come in passato, per la specifica finalità di garantire il corretto e pacifico svolgimento delle elezioni.

Anticipo che gli Stati Uniti - nei miei appunti è riportato in fondo - hanno annunciato un rinforzo importante da parte loro: non solo 4.500 uomini in più per azioni di polizia, ma anche 17 mila o 17 mila e 500 uomini delle Forze armate. Alla fine, con gli incrementi che sto per annunciarvi, il rapporto di forze, attualmente di un americano ogni tre uomini, diventa di un americano ogni due (ovviamente non rispetto all'Italia, ma alla somma di tutti gli uomini che partecipano all'ISAF). Devo riconoscere, dunque, che nel chiederci una maggiore presenza e uno sforzo ulteriore, gli Stati Uniti hanno dato l'esempio, assicurando un apporto di uomini più consistente di quello inviato dall'insieme di tutti gli altri Paesi.

Noi abbiamo previsto un incremento di circa 400 militari dell'esercito e di circa 40 militari dell'aeronautica militare, più due aerei da trasporto C-27J, nonché tre elicotteri Medevac, che servono per l'eventuale sgombero sanitario e trasporto del personale.

In particolare, i 400 militari daranno vita a un nucleo di comando e a un complesso di forze di manovra alle dipendenze del comandante della regione ovest, cioè il nostro, con il compito di intervenire in caso di necessità. I due aerei C-27J garantiranno il supporto tattico logistico e il trasporto all'interno del teatro operativo necessario per le election support forces e i tre elicotteri AB 212 assicureranno, come avevo detto, la possibilità di effettuare tempestivamente lo sgombero e il trasporto di feriti (speriamo non ce ne sia bisogno).

Il periodo di schieramento è previsto a partire dall'inizio di luglio, per le unità terrestri, e da agosto per i velivoli, fino, presumibilmente, al prossimo novembre.

Per quanto riguarda l'attività addestrativa dei nostri carabinieri a favore dell'Afghan National Civil Order Police, la polizia afghana, in risposta al requisito formulato nell'ambito  dell'Alleanza - ci hanno chiesto di aumentare il numero dei nostri carabinieri che svolgono azione di istruttori - abbiamo dato disponibilità all'invio di 50 carabinieri, oltre a quelli già presenti in Afghanistan (altri 50 circa), a partire dal prossimo novembre. Di questi, sei saranno, invece, inviati immediatamente.

Permettetemi, a questo punto, di fornire un chiarimento rispetto ad alcune notizie apparse sulla stampa circa i cosiddetti caveat che adesso, in realtà, possiamo definire remark: non si tratta più di caveat vero e proprio, ma di una nota che riguarda solo un limite di tempo che continuiamo a ritenere utile, se non strettamente necessario, per la possibilità di intervento degli uomini del contingente italiano fuori della nostra zona.

Come ricorderete, avevamo portato questo limite da 72 a 6 ore. Devo dire che, da allora, questa possibilità è stata usata con il contagocce. Non riteniamo che il limite delle 6 ore vada a detrimento dell'efficacia delle operazioni. Peraltro, le autorità ISAF si sono sempre espresse in termini di piena soddisfazione per la disponibilità e capacità del nostro contingente, quindi ho ritenuto di mantenere, al momento, queste remark che, fra l'altro, corrispondono al tempo di approntamento. Mentre noi decidiamo le forze cominciano a prepararsi; ma anche se questo limite di 6 ore non ci fosse, esse comunque non sarebbero pronte a partire «un minuto dopo».

Fin qui ho descritto la situazione attuale e il quadro del futuro rafforzamento in vista delle elezioni. Ciò non toglie che l'annunciato dispiegamento di 17 mila soldati da parte degli Stati Uniti potrà comportare, nel breve e medio periodo, un riassetto delle truppe della Nato sul terreno, con lo scopo di ottenere risultati ancora più concreti e visibili.

Nei miei appunti ciò che dirò non è riportato, tuttavia voglio essere esaustivo anche negli aspetti ancora non definiti. Ebbene, una ipotesi percorribile e probabile è che nella parte sud della zona ovest, ossia la parte di confine tra la nostra zona e la zona degli inglesi, degli australiani eccetera, vi sia una forte immissione di truppe da parte delle forze attualmente presenti nella zona sud (inglesi, australiani e via dicendo). Se, da un lato, questa circostanza è confortante, in quanto quella potrà diventare una zona caldissima, dall'altro lato mi ha portato a dire apertis verbis ai rappresentanti americani che il nostro desiderio, remark a parte, è quello di operare nella zona ovest alle dipendenze del nostro comando, finché è possibile. Quindi in quella zona, poiché da sempre intervengono i soldati americani che vengono da altra zona, ci troveremmo in una situazione in cui il comando non sarebbe nostro se intervenissimo in misura minoritaria rispetto alla presenza dei soldati americani.

Non dico, perciò, che noi arretreremo. Credo, invece, che una suddivisione di aree molto precisa sia allo studio dei nostri comandi ed è quella che io ho auspicato. Si tratta, lo ripeto, di un work in progress, una sorta di ipotesi che, tuttavia, ho voluto riferirvi. Dal momento che non ci vediamo tutti i giorni, infatti, è meglio riportare tutto quello che può avvenire.

In ogni caso, dal punto di vista della pericolosità dell'azione dei nostri militari, questa ipotesi potrebbe anche rappresentare un vantaggio. Tuttavia, lo ripeto, il nostro contingente non opera con la logica di un'azione rivolta a zone meno pericolose. Innanzitutto, non ci sono zone meno pericolose, ma zone dove è più frequente il conflitto e dove l'azione può essere ripetuta; tuttavia questo non ha nulla a che vedere con il grado di effettiva pericolosità che, come abbiamo visto, può determinarsi in ogni parte. Comunque, i nostri soldati sono pronti  ad assolvere a qualunque compito. Oggettivamente, lo ripeto, questo cambiamento potrebbe portare a un impegno in una zona quantitativamente meno interessata dalla insorgenza; il problema semmai, come ho detto, potrebbe essere di comando, ma stiamo cercando di risolverlo nel migliore dei modi.

Permettetemi di concludere, signori deputati e senatori, rivolgendo un pensiero a tutti gli uomini e le donne che in Afghanistan, ma anche negli altri Paesi oggetto di azioni difficili, giorno dopo giorno, dimostrano la loro professionalità e la loro altissima specializzazione. Essi, proprio in vista di un evento fondamentale per la democrazia in Afghanistan, quali le elezioni presidenziali, sono consapevoli di svolgere un ruolo assai delicato ed importante. Mai da nessuno di loro ho sentito recriminazioni o polemiche; mai ho sentito da parte dei nostri soldati parole di sfiducia verso di voi, di noi o verso chi ha assegnato loro questo compito.

Credo che questo sia il frutto della solidarietà concreta che, al di là dei colori politici, tutta l'Italia e tutto il Parlamento hanno saputo dimostrare e continuano a dimostrare. Come Ministro della difesa, sono grato di ciò a ciascuno di voi, uno per uno.

Ho avvertito, però, il loro forte desiderio di avere il sostegno continuo, non solo del Paese in quanto tale, ma anche, con segni tangibili e concretamente, del nostro Parlamento e delle nostre istituzioni. Per questo motivo chiedo la vostra adesione al progetto che vi ho illustrato e farò tesoro delle vostre osservazioni e delle vostre indicazioni. Vi ringrazio.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro della difesa Ignazio La Russa.

Abbiamo dieci iscritti a parlare; poiché ci sono meno di 50 minuti a disposizione, come contingentamento, quindi, abbiamo quattro minuti a testa.

Vorrei innanzitutto, ringraziarla per la sua presenza e cogliere l'occasione per comunicare che ieri, insieme ad altri colleghi della Commissione difesa, abbiamo partecipato ad un importante incontro con due governatori afghani: uno era proprio il governatore di Farah.

Credo che sia importante riferire alla Commissione e a lei, anche se, sicuramente, avrà già avuto modo di apprenderle in altre circostanze e in incontri istituzionali, alcune cose che ci ha detto. I governatori, in sostanza, chiedono alla coalizione più uomini per poter garantire il processo di democratizzazione dell'Afghanistan, per mantenere i diritti civili che faticosamente stanno cercando di portare nelle regioni e per garantire la sicurezza anche di quelle infrastrutture che con fatica l'occidente sta realizzando sul territorio.

Più specificamente essi chiedono, almeno lo chiede il governatore di Farah, che è la zona nostra, un maggiore impegno dei nostri militari per la realizzazione delle infrastrutture. Hanno riferito che l'Italia le sta effettivamente realizzando e, secondo la loro valutazione, non sarebbe opportuno che i militari della coalizione abbandonino l'Afghanistan prima di 15 anni. Hanno espresso la preoccupazione e, in generale, hanno rappresentato l'inutilità complessiva degli interventi dei caccia bombardieri, pensando che sia molto più efficace l'impiego di elicotteri da combattimento. In maniera particolare, hanno apprezzato moltissimo l'impegno dei militari italiani che vengono giudicati i migliori sia per la capacità di mantenere un ruolo di azione di sicurezza sia per la capacità di penetrazione nel rapporto con la popolazione.

Come ultimo dato, signor Ministro, vorrei sottolineare che noi abbiamo approvato un decreto semestrale che, per quanto riguarda il finanziamento alle missioni estere, era stato giudicato da tutti ampiamente idoneo; è chiaro, però, che ci sarà un impegno progressivo di un maggior numero di militari e, quindi, di risorse, di mezzi, e ciò, oltretutto, in un clima complessivo che lei stesso ha detto essere di maggiore rischio per via delle elezioni.

Chiediamo, quindi, che lei faccia sentire la sua voce nel Governo perché le risorse non siano assolutamente inferiori alle necessità che dovremo affrontare nel prossimo semestre.

Do la parola al presidente della Commissione difesa del Senato, senatore Cantoni, e poi ai colleghi senatori e deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIANPIERO CARLO CANTONI, Presidente della 4a Commissione del Senato della Repubblica. Grazie, signor Ministro. Mi complimento per la sua relazione. Vorrei solo dire che, insieme al Presidente del Senato Schifani, tre settimane fa siamo stati in visita al nostro contingente in Afghanistan in occasione del cambio di guardia della brigata Julia con la brigata Folgore. Devo dire che ho avuto un'impressione di estrema professionalità e specificità delle nostre truppe. È stato un viaggio estremamente interessante che mi ha molto confortato: ho visto, infatti, grande spirito di corpo ed efficienza, seppure per le poche ore che siamo rimasti in presenza di questi militari. Dobbiamo, quindi, essere onorati di avere una partecipazione così efficiente e di grande umanità.

Anche alcuni governatori che erano presenti hanno voluto esprimere al Presidente del Senato e al presidente della  Commissione difesa del Senato il loro apprezzamento per l'assoluta forza di operatività che i nostri militari, costantemente, dimostrano in questa zona.

Concludo, quindi, ringraziando, penso a nome di tutti, i nostri militari, ufficiali e comandanti presenti in Afghanistan.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Grazie, signor Ministro, per aver accolto il nostro invito; durante il question time in Aula, infatti, lei aveva promesso di approfondire alcuni aspetti che erano rimasti, per mancanza di tempo, non completamente chiariti.

Vorrei partire esattamente da quanto sottolineato dal presidente della Commissione difesa della Camera in relazione all'incontro che ieri abbiamo avuto con i due governatori afghani.

In particolare, è emerso un punto piuttosto importante che anche nella sua relazione, soprattutto nell'ultima parte, lei ha posto nuovamente all'attenzione di queste due Commissioni. Si tratta del punto relativo alla percezione delle due missioni presenti in Afghanistan, cioè la missione «Enduring Freedom» e la missione ISAF. Esse hanno due obiettivi diversi, ma ieri i due governatori hanno espressamente dichiarato che questi sono invece percepiti in maniera analoga. Anzi, hanno detto di più e cioè che le loro funzioni spesso vengono fornite in maniera non solo analoga ma addirittura inversa: a volte, ISAF fa quello che dovrebbe fare «Enduring Freedom» e viceversa.

Viste anche le dichiarazioni che oggi lei ha rilasciato sulla questione del coordinamento nell'area che probabilmente, come lei stesso ha detto, sarà un'area a rischio e sarà sotto il controllo italiano, vorrei chiederle qual è la sua posizione, in maniera molto chiara, su questo coordinamento fra le due missioni, soprattutto in relazione al fatto che le due missioni hanno, appunto, funzioni e obiettivi diversi. Questo non è  assolutamente indifferente rispetto ai rischi cui si espongono i nostri militari e le nostre truppe nella zona a sud, quella di Farah e quella della nuova postazione italiana di controllo perché influisce sulla percezione della popolazione e degli insorgenti.

I due governatori hanno aggiunto anche che gli insorgenti non sono sempre talebani né sono sempre sotto il controllo dei talebani. Quella degli insorgenti è una categoria un po' più ampia di quella che noi possiamo definire come strettamente collegata agli integralisti e, quindi, a coloro che sono sotto il controllo talebano.

Inoltre, lei ha sottolineato - mi perdoni se lo dico, non mi sembra in continuità - che effettivamente quello militare non può essere l'unico strumento di controllo, di garanzia e di sicurezza in Afghanistan. Devo dire che, in tal senso, ieri abbiamo avuto conforto anche dal governatore di Farah. Egli, infatti, ha detto che se, come coalizione, vogliamo porre un termine alla missione - che, comunque, egli stesso ha stimato in una presenza ridotta di almeno 15 anni - le due azioni devono essere assolutamente contemporanee e non l'una prima e l'altra dopo. Questo è un elemento essenziale, considerando anche il fatto che nell'ultimo decreto di finanziamento delle missioni abbiamo dovuto combattere per far stanziare nuovamente i fondi per la cooperazione. È stata una battaglia che, per fortuna, poi è stata condivisa dalla maggioranza ma che ha, comunque, trovato un grosso limite.

I governatori lo hanno spiegato in maniera molto chiara: quando si parla di contemporaneità, si allude anche al fatto che se non c'è sviluppo, se non c'è un'alternativa al traffico e alla coltivazione dell'oppio - e l'alternativa, come ci hanno  indicato, potrebbe essere il bestiame - tutto questo non potrà finire e la soluzione della questione dell'Afghanistan sarà, quindi, sine die.

LUIGI RAMPONI. Ringrazio il signor Ministro per la relazione puntuale e, come sempre, chiara. L'Afghanistan rappresenta, oggi, il punto nevralgico più delicato della politica estera nazionale delle Nazioni unite e dell'Europa. Certamente, esso deve essere affrontato con questa visione. Se riteniamo che l'Afghanistan sia il punto nevralgico più delicato della sicurezza internazionale, allora, onestamente, dobbiamo fare ogni sforzo per rispondere coerentemente a questa minaccia.

Di sicuro noi italiani, come lei ha ricordato, abbiamo svolto un'azione incisiva molto importante negli anni della nostra partecipazione. Confortano i discorsi fatti dal presidente della Commissione della Camera dopo la recente visita e riecheggiano ancora i discorsi ascoltati sin da dieci giorni prima della costituzione della struttura ISAF, da parte delle Nazioni unite.

Debbo fare una considerazione: per quanto mi è dato conoscere, mi compiaccio del fatto che la struttura delle nostre forze presenti nell'area è finalmente ben bilanciata rispetto ad un tempo, in funzione dei compiti che l'attendono. È giusto, come lei ha detto, come ha ripetuto l'onorevole Villecco e come gli stessi interlocutori afghani hanno chiesto, spingere di più sulla ricostruzione senza operare quella separazione che abbiamo sempre predicato: prima, cioè, provvedere alla sicurezza e dopo partire con la ricostruzione, anche se, in realtà, dobbiamo garantire una sicurezza a chi deve avviare la ricostruzione. È altrettanto importante, però, che la struttura abbia un bilanciamento di forze tale da garantire questa sicurezza. Io sono convinto che con gli ultimi rinforzi e con  gli ultimi invii, questo traguardo sia stato raggiunto e ciò rappresenta anche una forma di garanzia per i nostri uomini mandati ad operare in loco.

È vero che vi è un nuovo approccio da parte del Presidente Obama ed è vero che anch'egli pone l'accento su una maggiore partecipazione europea - o comunque delle forze che sono presenti - e su un incremento nella ricostruzione. Tuttavia, come lei ha ricordato, è altrettanto vero che gli Stati Uniti hanno deciso di mandare 17 mila uomini più altri 4.500.

Dunque, se riteniamo coerentemente che quello sia un punto nevralgico, che il nostro Paese debba avere una dignità internazionale e che debba difendere i propri interessi, allora è giusto partecipare rispondendo positivamente alla richiesta che ci viene, sì, dagli Stati Uniti, ma in sostanza anche dalle Nazioni Unite, perché la nostra è una partecipazione - almeno nelle due volte in cui abbiamo partecipato alla missione «Enduring Freedom» - nell'ambito dell'ISAF, che è una struttura nata proprio dalle Nazioni Unite.

Quindi, nulla da dire sugli incrementi, che evidentemente sono opportuni e necessari.

Inoltre, è anche molto interessante quello che lei ha detto in relazione al bilanciamento della situazione al confine tra l'occidente e il sud, nonché la sua sollecitazione affinché venga presidiato fortemente il sud per evitare che vi siano influenze nefaste e compromissioni di situazioni nell'area di nostra responsabilità.

Ciò mi sembra molto giusto; si tratta di un discorso operativo, ma soprattutto politico, che merita il mio apprezzamento.

In conclusione, voglio avanzare una considerazione di carattere più generale, sempre in funzione della tutela dei nostri uomini e del raggiungimento dell'obiettivo. È giusto  questo rinforzo sul terreno, ma sarebbe altrettanto giusto riflettere - e a questo invito soprattutto il Governo, più che il Ministro della difesa - sulla considerazione che la soluzione del problema afghano passa per il Pakistan. Infatti, fino a quando nella fascia di confine fra Pakistan e Afghanistan, Al-Qaeda e gli insorgenti avranno la possibilità di un asilo tranquillo, essi continueranno a rappresentare una minaccia che, di questo passo, durerà oltre i quindici anni.

In questo contesto, mentre gli americani hanno ben capito ciò e dunque aiutano i pakistani, sono presenti e costringono anche i russi a partecipare - concedendo, per esempio, una seconda via di rifornimento ai Paesi arabi, come l'Arabia saudita ed altri - l'Europa paradossalmente manda i propri uomini a combattere e a morire, non garantendo loro una cornice di sicurezza attraverso una più attiva partecipazione nel sostegno del Pakistan, che rappresenta la chiave di volta della sicurezza afghana. Grazie.

PRESIDENTE. Vorrei sottolineare ai colleghi che i primi due interventi hanno richiesto dodici minuti.

AUGUSTO DI STANISLAO. Sarò breve anche perché condivido quanto ha detto la collega Calipari e alcune considerazioni del senatore Ramponi. Io sono convinto che da questo punto di vista l'impegno italiano sia assolutamente significativo per uomini, mezzi e strutture. Tuttavia, mi chiedo in che modo e in che misura questi ultimi stiano dentro ad una strategia e se questa strategia abbia, nelle sue linee direttrici, degli elementi che informano anche tempi, modi e opportunità che si intersecano ed eventualmente si armonizzano con le iniziative degli altri Paesi.

Io credo che questo sia importante soprattutto alla luce di ciò che ha detto il Ministro, dal momento che siamo di fronte  ad alcuni elementi che appartengono a micro-conflitti di carattere etnico ed interno, i quali possono rappresentare dei cedimenti in quelle aree di cui parlava adesso il generale Ramponi.

Quello che mi convince un po' meno - e chiedo al Ministro di fare chiarezza su ciò - è l'aspetto legato alla contestualità della ricostruzione e all'andare avanti giorno per giorno. Vorrei sapere come lei pensi che si possa contestualizzare questo elemento, che io ritengo assolutamente importante per la ricostruzione, come dimostra il ruolo molto più significativo che hanno assunto le nostre forze in quell'area, considerato che proprio su tale elemento la nostra azione si è fondata in questi anni.

Dunque, le chiedo di chiarirmi questo aspetto, che ritengo assolutamente importante. Infatti, tali elementi vanno ad aggiungersi a quelli di carattere territoriale che riguardano gli insorgenti e che comportano, magari, il rischio di un'aggregazione più ampia che può devastare ulteriormente quel territorio. Le chiedo se questi elementi rispondono a una strategia che ha delle linee direttrici che si armonizzano con la strategia di carattere più generale.

Dunque, vorrei capire meglio questo aspetto, perché corriamo il rischio di essere una monade all'interno dell'Afghanistan che, magari, mal si concilia con altri elementi. Se fosse così, rischieremmo di impegnarci ulteriormente con uomini, mezzi e strutture senza riuscire ad ottenere quel risultato e quella caratterizzazione che in questi anni hanno collocato l'Italia in modo significativo in Europa e nel mondo.

GIOVANNI TORRI. Molto brevemente mi ricollego a quanto detto dal presidente della Commissione Difesa della Camera a proposito del discorso fatto dal governatore afghano della provincia di Farah. Quest'ultimo ha fatto un'affermazione  che può essere scomoda, ovvero ha detto chiaramente che gli italiani in quella regione combattono e lo fanno anche bene.

Lei, Ministro, ha sostenuto - lo ha fatto con franchezza e puntualità, e io lo apprezzo - che non vi sono delle zone di minore pericolosità.

Ritengo che quando si deve giocare una partita bisogna avere la possibilità di farlo fino alla fine con la dovuta dignità. Chiaramente, il Governo prenderà delle decisioni consone a quelle degli altri Stati. Dunque, volevo capire cosa pensa il Ministro su questo punto, anche in considerazione del fatto che gli americani, da un lato, combattono e, dall'altro, hanno creato i PRT che sono, appunto, le strutture per la ricostruzione.

Ebbene, a mio parere, anche l'Italia dovrebbe lavorare in questa direzione in maniera consistente e non già in misura minore.

ROBERTA PINOTTI. Saluto e ringrazio il Ministro La Russa che ha risposto alla richiesta del Parlamento di venire a fare il punto sulla situazione afghana. Mi associo alle sue ultime parole, con le quali ha ricordato quanto tutti gli uomini che mandiamo nelle missioni siano attenti, soprattutto laddove si vivono missioni pericolose, al fatto di essere inviati in quei territori da un Paese che presenta un quadro politico che, da questo punto di vista, è unito; questa è, infatti, la situazione rispetto alle missioni internazionali. Dunque, chiedo al Ministro, in tutte le occasioni che ha di incontrare i nostri contingenti, di ricordare loro che ci dividiamo su tante cose, ma che su questo punto, e cioè nell'averli inviati in queste missioni, non ci sono divisioni.

Alcune questioni sono state toccate in parte già dagli interventi precedenti. Una di esse è stata affrontata molto bene  dalla capogruppo Calipari, ovvero la questione del tenere insieme l'aspetto della ricostruzione con quello militare. Questo è un tema che abbiamo discusso a lungo e che, in qualche modo, considero come riconosciuto e scontato. Tuttavia, voglio ricordare che esso significa anche investimenti da parte della comunità internazionale e dei Paesi donatori.

Invece, vorrei soffermarmi maggiormente su altri due punti, che ricorrevano nella relazione del Ministro oltre che negli interventi. La prima questione riguarda il riferimento che lei, Ministro, ha fatto rispetto a come dovrebbero essere dislocate le nuove forze. In qualche modo, si è percepita fra le righe una certa preoccupazione da parte del nostro contingente di poter mantenere un proprio profilo di comando per avere una propria linea di comportamento. Infatti, chiunque abbia visitato l'Afghanistan e i contingenti e parlato con i militari e con i rappresentanti politici afghani sa che non tutti i contingenti combattono allo stesso modo e che non tutti hanno le stesse modalità di approccio con la popolazione civile. In questo gli italiani vogliono mantenere un proprio profilo, grazie al quale vengono accolti positivamente dalle popolazioni.

Tuttavia, su questo punto, rispetto alla questione specifica, si pone un problema più generale che credo l'Italia debba «mettere sul piatto». Intendo dire se sia ancora sensato mantenere due missioni («Enduring Freedom» e ISAF) o se, al contrario, non si possa immaginare a questo punto - con una strategia che diventa sempre più condivisa, come la formazione dell'esercito o della polizia - che ci debba essere una sola missione, suddivisa poi fra i vari Paesi. Io ritengo che si debba mantenere la missione ISAF.

La seconda questione è la seguente. Quando siamo stati in Afghanistan con il Presidente del Senato Schifani e il presidente  Cantoni, l'ambasciatore mi ha riferito che il motivo per cui immediatamente l'occidente si è accorto della legge - quella che imponeva di fatto per la minoranza sciita, per le donne sciite, una legge fondamentalista e talebana di totale dominio dei mariti o degli uomini di casa per quanto riguarda lo studio, il lavoro e la vita coniugale - che stava per essere approvata, è stato l'intervento delle parlamentari donne, le quali hanno immediatamente chiamato tutti i diplomatici, denunciando quanto accadeva.

Ricordo ciò perché credo che nel momento in cui la comunità internazionale decide per un impegno ulteriore - che io ritengo giusto e corretto - debba nello stesso tempo far sentire con forza che insieme a questa ricostruzione non si possa pensare di tornare indietro. So che l'obiettivo primario era quello della lotta al terrorismo; tuttavia tra gli obiettivi c'era anche quello di dare una mano a ricostruire uno Stato che, pur nel rispetto di tradizioni diverse, non potesse deflettere rispetto a certi diritti. Ritengo che su questo, non solo nel momento dell'emotività, ma complessivamente, ci debba essere un'attenzione particolare.

SALVATORE CICU. Grazie, presidente. Credo che il quadro della situazione che ci è stato presentato dal Ministro sia non solo condivisibile, ma anche da sostenere. Per primo, durante l'esame dell'ultimo provvedimento che autorizzava le missioni internazionali, ho fatto una riflessione che scaturiva dall'esigenza che i nostri militari abbiano strumenti e, soprattutto, siano di un numero adeguato rispetto alle problematiche che quel territorio vive. Quindi, non posso che essere soddisfatto in ordine all'aumento della nostra presenza militare.

Tuttavia, per quanto riguarda gli obiettivi, i due governatori che abbiamo incontrato ieri ponevano, secondo me, una riflessione che va oltre gli aspetti che conosciamo maggiormente,  ovvero quelli della coltivazione dell'oppio, della povertà, di una cultura diversa, di etnie che si scontrano e si confrontano.

Signor Ministro, ieri i due governatori ci ponevano il problema della necessità di uno Stato di diritto, di legalità, di certezza, di una cultura che guardi al riconoscimento dei diritti umani, soprattutto per quanto riguarda il problema delle donne e dei bambini. Tutto questo i nostri militari, ma anche il nostro Governo, lo stanno sostenendo e credo che ciò troverà un primo spunto di riflessione, di analisi, di verifica e di valutazione con le elezioni di agosto. Queste ultime rappresenteranno sicuramente un momento straordinario per capire quale affluenza ci sarà, con quale livello di libertà, con quale possibilità di valutazione e di riflessione libera e, soprattutto, quale sarà il quadro d'insieme in ordine alla partecipazione delle diverse etnie, tribù e fazioni.

Io, colleghi, credo che sia banale sottolineare ancora oggi la distinzione tra «Enduring Freedom» e ISAF, peraltro richiamando anche la percezione avuta al riguardo dai governatori. Infatti, non può esistere una percezione che collochi in maniera diversa le due missioni: da una parte c'è il combattere contro il terrorismo e contro coloro che vogliono inevitabilmente soffocare le radici di libertà e di democrazia che noi stiamo realizzando; dall'altra il percorso e il progetto di ricostruzione. Ebbene, mi chiedo come chi governa quel tipo di comunità, con tutti i problemi che si debbono affrontare, possa distinguere e fare valutazioni in ordine al coordinamento di questi due modi di agire o di intendere o di creare obiettivi.

Credo che sia nella natura delle cose che il governatore, alla fine, si renda conto, dal momento che c'è una lotta contro il terrorismo, della preminenza di questo obiettivo. Con le situazioni che abbiamo vissuto e che vivremo a causa dei  talebani, ne siamo consapevoli - penso, infatti, che essi purtroppo non siano stati né indeboliti né sconfitti ma, anzi, penso che si stiano rafforzando - bisogna anche capire che possiamo e dobbiamo rafforzare la nostra azione di cooperazione e di sostegno rispetto al progetto di ricostruzione civile e di ricostruzione dell'economia.

Il problema dell'oppio lo abbiamo affrontato costantemente. Ieri abbiamo avuto la valutazione, elementare e semplice, dei governatori, i quali dicono che se l'oppio rende, le braccia destinate all'agricoltura vengono indirizzate in quel settore. Se noi riuscissimo a far capire che l'oppio rende solo a pochi e che viene strumentalizzato e prodotto per le grandi e potenti «multinazionali» dei diversi Paesi, forse quelle braccia potrebbero essere ricollocate nell'agricoltura.

Ben venga, quindi, signor Ministro, un'azione forte, importante e mirata come quella da lei descritta: noi non le faremo mancare il nostro sostegno.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Ringrazio il Ministro per essere presente. In fase di conversione del decreto di rifinanziamento delle missioni, avevamo sollecitato, infatti, un momento specifico di approfondimento sull'Afghanistan: sono felice che questo possa avvenire oggi.

Mi desta un po' di perplessità l'impostazione iniziale della sua relazione, laddove si dice che la situazione è sostanzialmente immutata e che c'è continuità dal punto di vista della politica della comunità internazionale.

Per quello che ne so, da quanto leggo e da quanto mi viene riferito, vedo che la situazione politica in Afghanistan è in costante evoluzione. Mi piacerebbe condividere l'ottimismo del collega Cicu sulle elezioni presidenziali e mi auguro che saranno un grande appuntamento, ma la difficoltà di questo passaggio non sfugge a nessuno di noi.

Allo stesso modo, credo che la linea di politica internazionale dell'amministrazione americana, e del Presidente Obama in particolare, indipendentemente dalla continuità di gestione della macchina militare americana - che è chiaramente indicata dalla riconferma di Gates -, segni un cambiamento di direzione molto evidente dell'impostazione che gli Stati Uniti stanno dando da un punto di vista politico, prima ancora che militare, nell'area. Questo, militarmente, si traduce in un surge e politicamente altrettanto. È chiaro, infatti, che c'è un investimento politico e diplomatico. C'è un approccio diverso di relazione con i Paesi dell'area e, dunque, c'è un chiaro cambio di strategia americana, innanzitutto, ma, in parte, anche della coalizione, rispetto al modo in cui si stanno affrontando le questioni nell'area dell'Afghanistan e dintorni.

Mi lascia sorpresa, quindi, la lettura di continuità che invece il Governo pare stia dando.

Mi chiedo, dunque, quale sia, all'interno di questo cambiamento di strategia internazionale, il contributo e l'approccio del Governo italiano; come il Governo italiano si inserisca, se lo fa, in una riflessione sul cambio di strategia internazionale nell'area.

Capisco che questo argomento non attiene soltanto al suo ministero - chiaramente, tocca anche altre competenze - tuttavia nella definizione della strategia internazionale dell'area, c'è sicuramente anche una parte militare

Le chiedo, pertanto, maggiori dettagli al riguardo. Non stiamo parlando, infatti, soltanto di ordinaria amministrazione, di quanti militari inviare e dove, ma anche di cosa e come fare, il che rappresenta una parte abbastanza rilevante del senso della nostra missione.

Il secondo punto che volevo toccare riguarda la «cooperazione/confusione» delle due missioni internazionali presenti  sul campo. Mi risulta che anche in sede statunitense sia in atto una riflessione sul senso del mantenerle separate; effettivamente, esse lo sono da un punto di vista formale, ma dal punto di vista sostanziale operano di fatto sotto lo stesso comando. Da questo punto di vista, le chiedo, quindi, un aggiornamento: vorrei sapere se il livello formale e il livello sostanziale stanno per coincidere o sono destinati a farlo oppure no e qual è la posizione italiana in merito.

Le chiedo, infine, un ulteriore chiarimento su quanto lei ha da ultimo accennato, al di fuori della sua relazione, circa quello che sta succedendo nella zona sud e nella zona ovest. Le chiedo di essere un po' più preciso, in particolare, rispetto al comando e, quindi, alla nostra posizione. Se non ho capito male, abbiamo richiesto di continuare ad operare sotto il comando italiano, il che probabilmente significa che continueremo ad operare.

Le chiedo, pertanto, se può chiarire questo passaggio, perché l'ho trovato un po' confuso.

GIAN PIERO SCANU. Signor Ministro, le porrò delle domande in maniera estremamente sintetica.

Questa sera lei ha esordito sostenendo - leggo testualmente - «non c'è una strategia mirata contro gli italiani». Naturalmente questo ci tranquillizza. Molto opportunamente, però, dal punto di vista del metodo utilizzato, lei ha reso questa affermazione dopo aver richiamato una serie di circostanze, di fatti e di accadimenti che hanno interessato, com'era giusto che fosse, gli organi di informazione e che hanno preoccupato tutti quanti noi.

Le chiedo, dunque: se non c'è una strategia mirata contro gli italiani, ma permane una situazione di grande tensione, quale tipo di pericolosità lei ritiene possa essere individuata nel contesto che ha descritto? Quanto stiamo rischiando  (Commenti)? ... C'è un altro che ha la bacchetta magica, non la chiedo al Ministro. Basta il Presidente.

Passo alla seconda domanda. Lei probabilmente ricorderà - benché io non abbia la pretesa che le considerazioni dei senatori del PD possano restarle impresse nella memoria - che in occasione dell'ultima audizione, mutuando da affermazioni rese dal Capo di Stato maggiore della difesa, abbiamo manifestato la nostra preoccupazione riguardo la possibilità che, in ragione dell'anemizzazione dei fondi dei finanziamenti, potesse esserci una riduzione del grado di addestramento, con conseguente danno operativo per l'invio delle forze nei teatri di guerra. È un pericolo tuttora esistente?

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. L'anticipo: non è mai esistito e mai esisterà!

GIAN PIERO SCANU. Lo ha affermato il Capo di stato maggiore della difesa (Commenti del Ministro della difesa).

PRESIDENTE. Lasciamo finire e poi si daranno le risposte.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. A me piace a volte interloquire. Non è offensivo.

PRESIDENTE. È la procedura.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Signor presidente, ogni tanto ci lasci «violare» la procedura!

GIAN PIERO SCANU. Signor Ministro, probabilmente ricordo male, mi capita spesso anche nel corso dei lavori della Commissione. Ricordo, però, una sua affermazione anche molto allarmata e molto preoccupata a commento dell'impatto determinato dalla decreto-legge n. 112 del 2008, prima ancora  che entrasse in vigore la legge di conversione n. 133, in cui si parlava di rischio concreto per la realizzazione delle missioni internazionali.

Introduco ora la mia terza domanda. Lei, più di tutti noi, sa che per finanziare il semestre che si sta per concludere sono stati utilizzati più di 600 milioni di euro. In occasione del dibattito che ha accompagnato l'approvazione di quel provvedimento, era stata ipotizzata l'eventualità che la stessa cifra potesse essere utilizzata per il successivo semestre, superando, quindi, abbondantemente il miliardo che è notoriamente a disposizione.

Gentilmente, vorrei chiederle se lei ritenga che possa essere realizzato questo auspicio, che naturalmente comporterebbe una significativa immissione di risorse a beneficio dello standard, e quindi delle condizioni non solo di esercizio, ma anche di sicurezza del personale.

MAURO DEL VECCHIO. Ringrazio il signor Ministro per la sua relazione franca e schietta. Infatti ci ha ricordato che siamo in Afghanistan da otto anni e che le difficoltà purtroppo sono crescenti rispetto al passato. Questo, naturalmente, ci pone degli interrogativi che stiamo cercando di affrontare.

Il Ministro ci ha ricordato che il contributo nazionale verrà incrementato fino a raggiungere, probabilmente, le 3.100-3.200 unità, riportandoci a quel livello che l'Italia aveva già raggiunto in occasione delle elezioni del 2004 e del 2005 e ci ha anche ricordato una serie di assetti molto importanti (gli aerei, i velivoli ad ala fissa e quelli ad ala ruotante). Il tutto riporta ancora una volta il contributo nazionale, che non va, naturalmente, sottostimato, al quinto o sesto posto tra le forze che contribuiscono all'operazione in Afghanistan.

Questo intervento nazionale - vorrei ricordarlo a qualcuno che evidentemente pretende dai soldati la dignità del loro  lavoro - è sempre stato improntato alla massima dignità. Dal primo momento, i nostri uomini e le nostre donne hanno rappresentato dei punti di riferimento in tutto il contesto internazionale e le stesse dichiarazioni di grande apprezzamento per l'impegno dei nostri soldati, ricordate dal presidente della Commissione difesa della Camera, stanno a testimoniare che noi abbiamo fatto, sin dal primo momento, tutto quello che dovevamo fare e lo abbiamo fatto al meglio.

Noi abbiamo svolto, sin dal primo momento, anche tutte le attività connesse alla nostra presenza in Afghanistan.

Infatti, la fase di ricostruzione, di cui stiamo sottolineando l'importanza, è sempre stata una delle prime incombenze del nostro contingente nazionale. La fase di sostegno del processo di democratizzazione del Paese e di sostegno dell'economia l'abbiamo sempre supportata.

In questo momento si tratta, così come è stato deciso, di incrementare la componente militare; probabilmente, però - e mi riallaccio a quanto è stato detto -, si tratta anche di fare in modo che non solo l'Italia, ma tutta la comunità internazionale, faccia qualcosa per incrementare anche gli altri settori, ossia quelli strategici e quelli della ricostruzione e del sostegno alla popolazione.

Senza il consenso della popolazione, infatti, non si riesce certamente a vincere questa guerra in Afghanistan.

A tale riguardo, condivido, signor Ministro, le preoccupazioni da lei espresse in merito alla possibilità che forze non appartenenti all'area di nostra competenza operino all'interno del nostro settore. Ci dobbiamo porre dei dubbi e delle domande: siamo in grado di ottenere il coordinamento dell'azione di queste forze? Se la risposta è affermativa, allora va bene. Se non siamo in grado, invece, dobbiamo fare molta attenzione, perché - come ho cercato di dire in questo mio  breve intervento - la dignità e la professionalità degli italiani si evidenzia nell'attività di sicurezza, ma anche nell'approccio a tutti gli altri aspetti.

Nutro, quindi, veramente delle preoccupazioni in merito al fatto che un eventuale intervento nella nostra area di competenza, non coordinato da noi, possa portare nocumento all'immagine del nostro contingente.

ETTORE ROSATO. Grazie, signor Ministro, per la sua relazione. Avrei tre quesiti da porre, sui quali la pregherei di svolgere qualche approfondimento.

Il primo riprende una riflessione fatta dal senatore Scanu e riguarda una lettura che noi abbiamo dato delle parole dette in questa sede sia dal Capo di Stato maggiore sia, in numerose occasioni, anche da lei rispetto alle risorse assegnate al suo dicastero. La riassumo con questa domanda. Le nostre truppe in Afghanistan potrebbero essere meglio equipaggiate o supportate di quanto lo sono adesso, secondo le indicazioni che arrivano dagli stessi responsabili sul posto?

La seconda questione è stata affrontata in maniera approfondita sia dalla deputata Mogherini sia dal senatore Ramponi e riguarda lo scenario internazionale in cui si colloca la crisi afghana. È evidente che lì non siamo di fronte solo a un problema regionale, ma a un problema di più ampia portata in cui ci sono i rapporti con l'Iran, una delle vie tradizionali per l'esportazione o per il traffico dell'oppio, e i rapporti con il Pakistan, che rappresenta un confine decisivo per sconfiggere le truppe insorte talebane e il terrorismo talebano. Su questo lei, probabilmente per ragioni di competenza, ma anche per il tempo a disposizione, non ha fornito un approfondimento che io, invece, ritengo importante rispetto a una soluzione sì militare ma anche politica, soprattutto in questo scenario che riguarda anche l'Unione europea.

Seguendo la logica e la richiesta che più colleghi hanno avanzato di capire qual è il percorso di unificazione delle due missioni, chiedo se su questo c'è stata un'espressione dei ministri europei, anche alla luce della richiesta legittima e assolutamente utile degli Stati Uniti di incrementare le truppe. C'è stata, dunque, una finalizzazione per affermare che l'aumento delle truppe dei nostri contingenti, quali partner europei, è indirizzato anche all'unificazione delle due missioni?

La terza ed ultima questione riguarda il Presidente Obama, che lei amabilmente chiama Barack. Egli ha apprezzato e ha espresso in più occasioni una nuova politica nei confronti della lotta alle coltivazioni di oppio, alla quale lei ha fatto un accenno. Io vorrei sapere quali sono le intenzioni del nostro Paese. C'è una disponibilità a sostenere una politica di acquisizione della produzione di oppio? Su questo a che punto si è arrivati? C'è stato un approfondimento in sede europea?

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro La Russa per la replica.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Spero di essere sintetico, ma nella stessa misura esauriente. Procederò raggruppando le domande. Ringrazio alcuni esponenti della maggioranza che hanno espresso attenzione e considerazioni ed hanno sostanzialmente dato conforto alle tesi e alla linea politica che il Governo, senza contrasti, sta seguendo. Tuttavia, la stessa maggioranza ha posto alcuni temi, uno dei quali è quello della maggiore o minore pericolosità, sul quale mi pareva di essere stato abbastanza esaustivo. Non si può dire che vi sia una maggiore pericolosità dovuta ad un grado accresciuto di qualità dell'aggressione. Sicuramente, vi è nell'ultimo periodo - lo abbiamo notato - una quantità di  aggressioni, soprattutto di esplosioni, numericamente di molto superiore al passato.

Quindi, statisticamente, vi è un maggior numero di occasioni di pericolo dalle quali, peraltro, fino ad ora siamo usciti bene, perché i mezzi a disposizione dei nostri militari hanno retto sempre adeguatamente all'aggressione. In prospettiva, ho precisato che la spinta forte che sta avvenendo, ovvero la pressione che vi è nel sud nei confronti dell'insorgenza, che lì è più virulenta, potrebbe in ipotesi spostare come via di fuga l'insorgenza stessa verso la nostra zona e conseguentemente vi è l'intenzione del contingente - specificatamente di quello non italiano che opera al sud - di presenziare in maniera massiccia la zona limitrofa.

Ebbene, in questa zona, al momento, ci potrebbe essere la presenza contestuale - nostra e loro - come, peraltro, avviene normalmente in altre zone. Con ciò intendo dire che nella nostra zona lavoriamo insieme agli spagnoli, mentre nella zona di Kabul lavoriamo insieme ad altri; quindi è normale che si lavori in questo modo. Il problema è quello del comando: comando americano, mi pare, o inglese, del sud, e comando italiano, della zona ovest. Su questo stiamo ragionando per evitare che vi siano scompensi ma, complessivamente, sul grado di pericolosità l'intervento massiccio nella nostra zona, che diventa più pericolosa, teoricamente porta ad un minore e non ad un maggiore rischio. Ciò specie se le mie direttive trovassero accoglienza, ovvero se si procedesse ad una sistemazione con un concentramento delle nostre truppe un po' più a nord, perché ce n'è molto bisogno in tutta la zona ovest.

Al di là del problema del comando, quindi, se potessimo scalare un po' al nord le nostre truppe ne ricaveremmo un forte vantaggio. Alla fine, non credo che questo costituisca una maggiore pericolosità. Peraltro, è vero che ci sono approcci  leggermente diversi a seconda dei contingenti e questa è una cosa di cui va tenuto conto e che mi sembrava di avere riferito assolutamente in maniera leale. Dunque, complessivamente rimango del parere che vi sia una forte pericolosità, ma non accresciuta rispetto agli ultimissimi periodi, né rispetto a periodi più antichi nei quali, ovviamente, sappiamo qual è stata l'escalation.

Con mia sorpresa, ho sentito molte domande sulle due missioni. Per la verità, questo tema a livello internazionale non ha alcun rilievo e perciò non ce ne siamo occupati. Può darsi che si stia muovendo qualcosa per formalizzare quello che allo stato dei fatto già è, ossia un'unica missione. Il generale McKenzie comanda l'una e l'altra; non ci sono differenze operative, se non marginali. Tuttavia, ripeto, quello dell'unificazione non è un tema centrale. A questo punto, credo che sarebbe opportuno verificarlo nell'ISAF, ma in verità si tratta di un tema che è rimasto del tutto estraneo sia a Cracovia sia a Strasburgo, dove ci siamo incontrati poco tempo fa.

Al momento, la nuova strategia americana è ancora più teorica che pratica. Quando parlo di assoluta continuità mi riferisco all'operatività miliare. Anzi, nell'ambito dell'operatività militare, con la presenza di nuovi militari, 17.000 o 17.500 più gli altri 4.500, vi è un rafforzamento della strategia di contrasto a cui ci si augura possa fare da pendant una nuova strategia politico-diplomatica. Dal punto di vista militare, non vi è alcun significativo mutamento, quantomeno rispetto all'ultima fase della precedente amministrazione, se non - come ho segnalato - un'aumentata attenzione verso la nostra richiesta di accelerare i tempi di ricostruzione, sempre in condizioni di sicurezza: quindi mai in assenza di tali condizioni, ma con una diversa valutazione delle stesse. Dunque, non necessariamente in tutta l'area: se in un'area anche  ristretta c'è sicurezza, ebbene lì possiamo cominciare, non c'è bisogno di iniziare contemporaneamente in tutta l'area. Questo è il nuovo atteggiamento che può venire.

Diverso è se vogliamo esaminare - ma non compete specificatamente a noi - gli approcci diversi della politica americana con l'Iran e con il Pakistan. Concordo con chi ha detto che per trovare una via di soluzione alla questione afghana si dovrà tener conto anche del problema del Pakistan. Questo è di tutta evidenza, ma non da oggi.

Certamente si tratta di un approccio diverso, persino con la stessa insorgenza - ma ancora non c'è nulla di concreto - che potrà essere materia di valutazione e di discussione. Al momento, al di là di qualche proposito, io non vedo mutamenti sul piano che più interessa questa Commissione, ovvero sul piano operativo militare; anzi, noto che giustamente, a fronte di un'apertura dal punto di vista politico diplomatico ad immaginare la ricostruzione, si prefigura un intervento militare sempre più adeguato a fronteggiare l'insorgenza.

A tal proposito, posso rassicurare ancora una volta che mai è stato messo in discussione il grado di addestramento dei nostri soldati che vanno in missione all'estero. Io mi dimetterei un minuto prima di inviare un solo soldato che non avesse ricevuto l'adeguato addestramento e mi dimetterei un minuto prima se per motivi di danaro, che pure esistono, noi non mandassimo il massimo di equipaggiamento che un soldato possa avere. Certamente, ci possono sempre essere attrezzature avveniristiche. Cosa mi hanno chiesto in più i soldati? Mi hanno chiesto più elicotteri. Sappiamo, tuttavia, che questo è un problema generale e che anche in quel campo si sta facendo il massimo sforzo, ma occorre tener conto che ad ogni elicottero in più corrisponde un tratto di strada con i mezzi terrestri in meno, e ciò comporterebbe un maggiore pericolo.

Forse questo è l'unico miglioramento attuale possibile sul piano dell'equipaggiamento anche se l'elicottero non lo possiamo considerare equipaggiamento.

Mi sembra che non ci siano domande alle quali io non abbia dato risposta.

Ringrazio il generale Del Vecchio che insieme al generale Ramponi ha uno specifico passato extra politica e il generale Speciale, anche lui proveniente dalle Forze armate, e successivamente comandante della guardia di finanza. Mi complimento con il senatore Ramponi - questa è un'affermazione apparentemente fuori luogo, ma voglio farla lo stesso - per l'incarico di responsabile della consulta difesa in seno al PdL.

Credo che anche i vostri interventi di oggi abbiano, in qualche modo, dato contezza che su questo terreno non ci sono differenze sostanziali. Io ho ravvisato in tutti i vostri interventi il sincero desiderio che la nostra azione non sia fine a se stessa, ma sia tesa al raggiungimento - in là nel tempo, però verso quella direzione - di una fase di libertà e di democrazia in Afghanistan, con il massimo possibile di sicurezza per i nostri soldati.

In tutti i vostri interventi ho ascoltato considerazioni positive per quanto fanno i nostri militari e di ciò, in questa occasione, voglio ancora ringraziarvi.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro La Russa e dichiaro conclusa l'audizione.

L'audizione termina alle 15,50.

 


 


 

 

 

RESOCONTO

STENOGRAFICO

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173.

 

Seduta di giovedì 7 maggio 2009

 

presidenza del vicepresidente Rocco buttiglione

 

 


(omissis)

Informativa urgente del Governo sul tragico episodio occorso il 3 maggio 2009 presso la città di Herat, in Afghanistan, che ha visto coinvolti militari del contingente italiano.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sul tragico episodio occorso il 3 maggio 2009 presso la città di Herat, in Afghanistan, che ha visto coinvolti militari del contingente italiano.

Dopo l'intervento del Ministro della difesa interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per cinque minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.

(Intervento del Ministro della difesa)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro della difesa, Ignazio La Russa.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Signor Presidente, onorevoli colleghi vengo a riferire, a nome del Governo, sull'episodio, sul drammatico episodio, avvenuto nella mattina del 3 maggio in Afghanistan in cui ha tragicamente perso la vita una bambina di 13 anni e sono rimasti feriti i genitori e lo zio.

In questa dolorosa e triste circostanza il Governo esprime la sincera partecipazione ed il profondo cordoglio alla famiglia colpita dal lutto e la piena solidarietà e vicinanza alle tre persone ferite. Prima di fornire una ricostruzione delle circostanze nelle quali si è verificato il fatto oggetto dell'informativa mi sia consentito di fare alcune brevissime e sintetiche osservazioni.

In questi momenti e rispetto a vicende di tale delicatezza appare opportuno, almeno a me appare opportuno, adottare un atteggiamento di prudenza rimandando necessariamente ogni giudizio all'esito dell'inchiesta avviata dall'autorità giudiziaria ordinaria di Roma per accertare come si sono esattamente svolti i fatti in questione e conseguentemente stabilire eventuali responsabilità.

Sull'onda emotiva del momento, infatti, il rischio può essere quello di sbilanciarsi in giudizi senza il supporto della conoscenza effettiva dei fatti reali.

C'è grande dolore e grande rammarico per quanto è avvenuto, ma purtroppo quando si opera in zone così complesse e pericolose come l'Afghanistan simili episodi non possono mai essere esclusi. Allo stesso modo, le cronache degli anni passati hanno dimostrato che episodi in qualche modo simili sono avvenuti persino drammaticamente nel territorio nazionale per errori ai posti di blocco abituali e normali anche se qui si tratta di qualcosa di diverso.

I nostri militari, voglio ricordarlo, si trovano senza dubbio ad operare in un contesto difficile, complesso, ma lo stanno facendo con grande equilibrio, competenza e professionalità e lo stanno facendo animati dalla convinzione dell'utilità del loro lavoro con grande dedizione e l'entusiasmo e con il contributo reale che sanno dare per la stabilizzazione dell'Afghanistan.

Credo che sia abbastanza chiaro che lo spirito, il merito ed il metodo con cui l'Italia sta operando in Afghanistan nell'ambito della missione ISAF è tutt'altro che uno spirito accomunabile ad uno stato di partecipazione ad una guerra, ma al contrario è in osservanza dei vincoli apposti dall'autorità nazionale afghana e dalle regole di ingaggio indicate dai comandi dell'alleanza.

Vale la pena rammentare, in proposito, che le regole di ingaggio sono norme comportamentali definite a seconda del Pag. 19contesto politico internazionale in cui si svolge la missione - che può essere dell'ONU, della NATO, dell'Unione europea - e sono vincolati ai principi del diritto internazionale, pattizio e convenzionale con particolare riguardo al diritto umanitario. Sono assunte altresì in conformità alle vigenti leggi penali ordinarie e militari ed in particolare ai criteri di necessità e proporzionalità della azione.

Le regole di ingaggio sono, pertanto, uno strumento procedurale ad uso delle forze operanti sul campo per uniformarne il comportamento qualora si presenti la necessità di reagire a situazioni operative improvvise ed urgenti che non consentono una consultazione con i livelli superiori.

Da una parte esse devono codificare l'autodifesa, dall'altra devono precisare il livello di uso della forza per raggiungere lo scopo della missione in presenza di atteggiamenti ostili, di opposizioni o ritenute tali. In particolare, l'uso della forza viene applicato di fronte ad una minaccia identificata come ostile, ovvero tesa ad impedire ai militari di espletare i propri compiti e di limitarne la libertà di movimento, con una reazione proporzionale all'offesa. Ciò posto, non si può sottacere - ed entro per la prima volta nello specifico dell'episodio drammatico - che una macchina che si avvicina velocemente ad un convoglio militare, nonostante le intimazioni a fermarsi, costituisca, in quel contesto, certamente una minaccia. Ma prima di ricorrere all'uso della forza e alle regole di ingaggio, alle quali i militari italiani si attengono scrupolosamente, si prevede una procedura ben precisa, codificata in ogni dettaglio a seconda delle situazioni. Le regole di ingaggio sono non solo precise ma anche puntuali e dettagliate. Pur tuttavia - lo ripeto - rimangono sempre margini di possibile errore, come non posso del tutto escludere possa essere accaduto in questo caso che, purtroppo, è costato la vita ad una ragazza.

Questa è la premessa. Passiamo ora a descrivere i fatti, secondo la ricostruzione effettuata dai competenti organi tecnico-operativi che non può - lo ripeto - ritenersi definitiva, in quanto solo la predetta inchiesta potrà darne un quadro completo. Io posso solo riferivi tutte le informazioni in nostro possesso, nessuna esclusa.

Il giorno 3 maggio 2009, alle ore 10,52 locali, un convoglio nazionale composto da due veicoli blindati Lince e da un autocarro APS - autocarro a pianale scarrabile - appartenenti al contingente dell'Operational mentoring and liaison team nazionale - i famosi OMLT - mentre rientrava da Camp Arena, Herat, alla propria sede di Camp Stone, a 20 chilometri a sud di Herat, percorrendo la strada principale denominata High Way number one incrociava una serie di veicoli civili che, come previsto dalle procedure, davano la precedenza al convoglio militare, fermandosi sulla destra della sede stradale. Va ricordato - e questo è rilevantissimo - che la visibilità era scarsa a causa delle molto avverse condizioni meteo. Improvvisamente, in coda alla colonna dei veicoli civili sopraggiungeva un'autovettura Toyota Corolla che iniziava il superamento dei citati mezzi, tutti fermi sulla destra della sede stradale, procedendo ad alta velocità in direzione opposta al senso di marcia del convoglio militare stesso. In particolare, il suddetto veicolo civile era di una marca e di un modello identico a quelli segnalati dalle informative di intelligence relative alle auto esplosive ed identico a un altro veicolo che il 1o maggio era esploso presso un posto di controllo della polizia afghana a 8 chilometri da Herat. L'equipaggio, a bordo del primo mezzo blindato, allarmato dal comportamento della Toyota, poneva in essere le previste procedure, intimando al veicolo civile di fermarsi e, in particolare, effettuava: segnalazione con le braccia, da parte del militare posto all'arma di bordo, diretta a far accostare al lato della strada il suddetto veicolo; segnalazioni acustiche e visive da parte del conduttore. Nonostante tali tentativi, il veicolo proseguiva la propria marcia, avvicinandosi pericolosamente al convoglio militare. L'equipaggio, pertanto, proseguiva con l'applicazione delle regole di ingaggio ed esplodeva una raffica di mitragliatrice calibro 7,62 in aria, Pag. 20per intimare il fermo dell'auto che, nonostante tale ulteriore avvertimento, proseguiva il movimento a velocità sostenuta. Quando questa giungeva a meno di 50 metri, senza aver dato segni di voler interrompere la propria marcia, il mitragliere esplodeva una raffica a terra, sul tratto di strada antecedente alla Toyota, ma anche tale azione non dava esito. Quando l'autovettura giungeva a circa dieci metri, senza alcuna variazione di velocità e di direzione, il mitragliere, visto il pericolo incombente, mirava al cofano motore delle ruote, esplodendo una raffica.

Il veicolo incrociava quindi il convoglio militare in direzione opposta e dopo avere sbandato - neanche in maniera vistosissima, bensì leggera, ma comunque dopo avere visibilmente sbandato - proseguiva la marcia allontanandosi. A sua volta il convoglio militare, come previsto, proseguiva nella marcia e, giunto a destinazione, riferiva l'accaduto. Circa quattro ore più tardi il comando RC-West (Regional Command West) veniva informato dalla polizia locale di Herat che a bordo del suddetto veicolo si trovava una ragazza di 13 anni deceduta e tre adulti feriti.

A margine di tale episodio preme sottolineare che ciò a cui teniamo e che ci interessa mantenere è il rapporto che i nostri militari hanno saputo instaurare e consolidare nel tempo con la popolazione afghana grazie all'impegno, alla disponibilità e alla dedizione dimostrati nell'assolvimento dei compiti derivanti dalla missione. È proprio in ragione di questi comportamenti che l'Italia si è guadagnata il convinto e unanime apprezzamento della comunità internazionale e, quel che è ancor più importante, della popolazione e delle autorità locali.

Nel contempo, il nostro intendimento è quello di confermare l'impegno italiano per la stabilizzazione dell'Afghanistan. D'altro canto, è generale il consenso della comunità internazionale sulla necessità di indirizzare gli sforzi comuni verso una sempre maggiore «afghanizzazione», un processo che dovrà essere accompagnato da un rafforzamento della legittimità costituzionale del Governo afghano, da raggiungersi attraverso una seria lotta alla corruzione e il miglioramento della governance.

Anche le prossime elezioni presidenziali giocheranno un ruolo chiave nel definire la legittimità del Governo afghano costituendo una significativa verifica dei progressi del processo di democratizzazione del Paese e dell'effettiva capacità dell'apparato di sicurezza afghano. Da ultimo, vorrei confermare loro che i comandanti hanno posto in atto - e io ho dato disposizioni ferme in tal senso - tutti i contatti ritenuti utili e non solo con le autorità locali, ma anche con i parenti della bambina e che hanno trovato comprensione e non astio per quanto accaduto.

Questa mattina sono stato a celebrare il centoquarantottesimo anniversario della costituzione dell'esercito italiano, una delle nostre quattro Forze armate. In quell'occasione, prima che prendesse la parola il Presidente della Repubblica e prima del mio intervento ha preso la parola il generale Castagnetti, il Capo di Stato maggiore della difesa.

Mi è molto piaciuto che abbia ritenuto di esordire nel suo intervento celebrativo, in cui sottolineava l'orgoglio di appartenere ad una gloriosa Forza armata, l'esercito (la più numerosa e la più antica), ricordando insieme ai nostri caduti di tutte le guerre e di tutte le missioni la bambina di 13 anni che, innocente, ha perso la vita e per la quale proviamo un immenso dolore (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

(Interventi)

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi dei rappresentanti dei gruppi. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gregorio Fontana. Ne ha facoltà.

GREGORIO FONTANA. Signor Presidente, voglio innanzitutto ringraziare il Governo per l'informativa che ha evidenziato con grande equilibrio la realtà dei fatti Pag. 21e il contesto in cui si sono svolti. In quei giorni a Herat era tra l'altro presente una delegazione di parlamentari di maggioranza e di opposizione che è stata testimone di quella difficile giornata.

A Herat si è verificato un tragico episodio, ma nessuna strumentalizzazione su questo è accettabile. Ci sarà, come ha detto il Ministro, un'inchiesta, ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che i nostri soldati sono lì per portare un aiuto concreto alla popolazione, oltre che per lavorare alla stabilizzazione di quell'area. Questo compito è da loro svolto con grande professionalità ed umanità. Proprio il giorno in cui si è verificata questa tragedia abbiamo posto la prima pietra di una nuova struttura dell'ospedale pediatrico, una realizzazione del tutto italiana.

Si tratta di un'opera di grande importanza pratica e di grande significato sociale, in un Paese dove - pensate - la mortalità dei neonati si aggira intorno al 17 per cento. Abbiamo dato e stiamo dando un contributo decisivo per rendere meno gravose - per quel che è umanamente possibile - le condizioni della popolazione. Gli afghani nella loro stragrande maggioranza vedono nell'Italia un Paese amico, impegnato nella ricostruzione e nella pacificazione.

Dopo l'incidente, infatti, non ci sono stati episodi di protesta registrati in altre situazioni contro gli italiani. Abbiamo incontrato il sindaco di Herat e il vice governatore della stessa regione ai quali il Presidente Lupi, che guidava la delegazione di parlamentari, ha espresso il nostro cordoglio. Anche in loro in quelle ore e in quei momenti c'era la consapevolezza che si è trattato di un incidente, di una fatalità, che non getta nessuna ombra sul ruolo positivo che gli italiani stanno svolgendo in questa regione.

I nostri militari, infatti, cercano tutti giorni in ogni modo di limitare le sofferenze di una popolazione civile martoriata dai conflitti e dalle difficoltà di ogni genere. Essi interagiscono con la popolazione locale in una società nella quale non sono i rapporti formali quelli che contano, ma i rapporti personali e la capacità di ispirare fiducia. In questo modo i nostri militari contribuiscono in maniera esemplare al controllo del territorio.

Dobbiamo tenere presente che la situazione - lo ha detto il Ministro poco fa - si fa sempre più critica. Si moltiplicano gli attacchi alle forze della NATO e i casi di intolleranza integralista. La vita quotidiana si svolge in una cornice di costante insicurezza, con frequenti episodi di sangue. Lo stesso giorno in cui si è verificato il tragico incidente ad Herat un ragazzo di 14 anni si è fatto saltare uccidendo il sindaco di Mehrterlam ed altre sei persone. Non dobbiamo dimenticare che quell'area rappresenta un nodo cruciale negli attuali equilibri geopolitici. La prospettiva di un controllo politico da parte del fondamentalismo islamico è certamente lontana, ma non del tutto irrealistica nel medio e lungo termine.

Se tale prospettiva dovesse malauguratamente concretizzarsi, tutta la regione ne risulterebbe drammaticamente destabilizzata. Non possiamo abbandonare quel Paese, come irresponsabilmente qualcuno chiede. Ce lo impedisce non solo il senso di umanità, ma anche la consapevolezza dei nostri doveri verso la comunità internazionale e non lasceremo, dunque, che la classe dirigente afghana si trovi da sola a combattere contro il pericolo di un ritorno all'integralismo. Occorre ricostruire il Paese, occorre farlo nella cornice di sicurezza garantita dalle forze dell'alleanza con il contributo fondamentale dei nostri soldati.

Signor Presidente, nelle crisi internazionali il Governo Berlusconi ha da sempre deciso di giocare un ruolo attivo e responsabile nell'ambito di quanto è consentito dalla nostra Costituzione, dal diritto internazionale, dalle nostre alleanze e dalle nostre possibilità e capacità operative. Per questo, l'Italia ha scelto di offrire il proprio contributo umanitario per la pacificazione di un'area la cui popolazione è stremata da anni.

PRESIDENTE. Onorevole Gregorio Fontana, la prego di concludere.

GREGORIO FONTANA. Oggi - ho concluso - nella regione di Herat (dove siamo Pag. 22andati non per distruggere, ma per costruire), grazie al quotidiano impegno al sacrificio dei nostri soldati, il nostro lavoro sta cominciano a dare i primi frutti. Aspettiamo che questi frutti siano maturi e torneremo un giorno a casa, nella consapevolezza di aver davvero contribuito alla realizzazione di qualcosa di grande per il popolo afghano e per la comunità internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Villecco Calipari. Ne ha facoltà.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Signor Presidente, ringrazio il signor Ministro per essere venuto ad informare il Parlamento in un giorno però purtroppo in cui, non essendoci provvedimenti all'esame dell'Assemblea, siamo in ben pochi ad ascoltarla, nonostante la gravità dei fatti che riguardano la tragica morte di - perdonatemi tutti, ma nessuno la chiama con il suo nome - Behooshahr, si chiamava così questa ragazzina di 13 anni. Aveva un nome ed era una persona. La rilevanza è data anche - secondo me - per la sicurezza dei nostri militari rispetto a come si sta evolvendo la situazione in Afghanistan.

È giusto quindi tornare sui fatti e parlarne oggettivamente, come diceva anche lei, signor Ministro, senza però cortine fumogene intrise di retorica e di ipocrisia. In Afghanistan i nostri militari sono impegnati nella missione ISAF con l'obiettivo di stabilizzare e ricostruire il Paese.

Stanno operando molto bene già da sette anni, cercando di costruire nell'area di loro competenza un buon rapporto con la popolazione locale; prova ne è che questo è in effetti il primo episodio che vede coinvolti i soldati italiani.

Questa è la prima valutazione che bisogna dare, ma parallelamente è giusto pretendere che, come lei ci ha riferito, siano messe in moto tutte le procedure necessarie a chiarire la dinamica effettiva degli avvenimenti. Purtroppo quello che lei ci ha detto già modifica molto ed altera quella scena e quindi anche la possibilità di capire, ad esempio, a che velocità andava effettivamente la macchina e se tutte le procedure sono state realmente rispettate, perché come lei ha sottolineato ci sono degli step che vanno rispettati per quelle regole di ingaggio che uniformano l'uso della forza e che prevedono quei due principi che lei ci ha ricordato.

Sono state avviate due inchieste, anche noi aspetteremo che i risultati delle inchieste ci dicano effettivamente quello che è realmente accaduto. Questi sono fatti, senza interpretazioni, senza congetture e senza strumentalizzazioni, fatti che però rappresentano anche la capacità del nostro Paese di sapersi assumere responsabilità e nello stesso tempo mantenere impegni verso la popolazione afghana e verso la comunità internazionale.

Non possiamo però far finta di non sapere che tutto il positivo che è stato finora compiuto dalla cooperazione militare e civile corre il rischio in ogni istante di essere annullato da eventi drammatici, come quello che oggi lei ha riferito in quest'Aula del Parlamento. Non possiamo ignorare che stiamo assistendo di settimana in settimana, direi di giorno in giorno, ad un aumento del numero delle vittime civili: 2.118 civili, ci dice la commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani nell'ultimo anno, cioè il 40 per cento in più rispetto al 2007.

Ancora ieri la portavoce della Croce rossa internazionale, Jessica Barry, ha denunciato la morte di almeno 100 civili, in gran parte donne e bambini, avvenuta in un villaggio nell'area di Farah, a causa di un raid aereo statunitense. Lo stesso segretario di Stato americano Hillary Clinton oggi dice di essere profondamente addolorata. Però questi eventi non si possono leggere né solo come numeri, né tanto meno come danni collaterali. Non possono non provocare un sussulto nelle nostre coscienze e una reazione, razionale e positiva, che ci chiami alla nostra responsabilità politica.

Signor Ministro, lo scorso 22 aprile in audizione in Commissione, ad una domanda specifica sui rischi che correvano le nostre truppe in quell'area ci ha risposto: l'unico problema che abbiamo è quello del comando, un punto ancora da chiarire, Pag. 23ma sul grado di pericolosità l'intervento massiccio anglo-americano nella zona di competenza italiana porta ad un minore e non ad un maggiore rischio. Noi riteniamo, invece, che la situazione in quell'area sia fortemente cambiata e che l'aumento delle vittime civili non può non provocare un cambiamento della percezione positiva che si aveva finora dei nostri soldati.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Esiste il rischio che le file degli insorgenti possano essere alimentate da un crescente sentimento di diffidenza e di rancore.

D'altronde la popolazione afghana, come ci ha confermato il governatore di Farah in audizione, non distingue fra le due missioni operanti nel Paese, Enduring freedom e ISAF. La cito ancora una volta quando in Commissione ci ha detto, posta la domanda: non è un problema che è stato sollevato a livello internazionale, può darsi che si stia muovendo qualcosa per formalizzare quello che, allo stato dei fatti, già è una missione, ma non ci sono differenze operative se non marginali. Questo per noi, invece, è un punto centrale sul quale dovremo fare chiarezza prima di scadere in inutili polemiche e tristi congetture.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Mi perdoni, Presidente, concludo subito. L'Afghanistan continua ad avere bisogno di impegno internazionale, militare e contemporaneamente economico, per sconfiggere il terrorismo e rilanciare lo sviluppo e la ricostruzione del Paese. Di fronte però all'assenza di una strategia del Governo - anzi ricordiamo che questa maggioranza la scorsa legislatura, quando l'onorevole Fassino disse che bisognava affiancare una strategia politico-diplomatica e aprire un dialogo con i talebani moderati, ci attaccò terribilmente - vorrei ricordare a questa maggioranza che oggi pesano i suoi silenzi.

Esiste un pericolo reale, quello di rendere debole e sempre più inefficace la presenza della coalizione, senza un futuro per gli afghani e senza una futura exit strategy per il nostro Paese.

Chiediamo al Governo di avere un ruolo attivo, di sentire la responsabilità di concorrere alla definizione di una nuova strategia internazionale; finora si è limitato ad assecondare la volontà altrui (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, signor Ministro, il gruppo dell'Unione di Centro la ringrazia per le sue parole prudenti e responsabili. Avremmo preferito, forse, tutti quanti essere rassicurati ulteriormente in quest'Aula sul rispetto delle regole di ingaggio dei nostri militari anche in questa fatale e tragica circostanza che ha visto la morte di una bambina di 13 anni. Ci associamo ovviamente alla solidarietà del Governo verso la famiglia della vittima.

La negativa concomitanza di eventi, la pioggia, come lei ha ricordato, e la scarsa visibilità sono state fatali, ma i nostri militari avevano rigide disposizioni, ossia prima i segnali di stop e poi gli spari, quelli di avvertimento, e solo quando si sono sentiti in pericolo avrebbero dovuto esplodere i colpi all'indirizzo della Toyota bianca.

Lei ha ricordato che questo è un mezzo del tutto simile a quello usato in altre drammatiche circostanze dai terroristi. Sono certo che i vertici militari assieme a lei, signor Ministro, saranno impegnati a contribuire a fare piena luce su questa vicenda affiancando la magistratura in tutti i momenti delle sue indagini.

La provincia di Farah dove operano i militari italiani è una delle aree più pericolose, lo sappiamo, in cui l'attività dei talebani è più intensa e gli attacchi sono più frequenti.

Signor Ministro, in Afghanistan non c'è ancora una situazione di distensione tale da poter valutare i fatti e le azioni con lo stesso parametro di giudizio che normalmente Pag. 24saremmo portati a usare in situazioni di pace e assenza di conflitto. Anzi, nelle ultime settimane - l'ha ricordato prima di me la collega Villecco Calipari - siamo di fronte ad una situazione di maggiore criticità, ma non siamo qui per giustificare i nostri militari se essi, come crediamo, hanno operato correttamente. Sarà la magistratura ordinaria ad occuparsi di questa vicenda e speriamo che abbia la sensibilità e le conoscenze specifiche del teatro, delle circostanze e delle condizioni in cui si è consumata questa tragedia, circostanze che sono del tutto particolari e non assimilabili certamente ad altre realtà.

Sarebbe, d'altronde, sbagliato non inserire questo incidente nel contesto degli avvenimenti avvenuti in queste ore nel villaggio della stessa provincia di Farah, che è stato praticamente raso al suolo in un raid aereo americano con oltre cento vittime fra i civili. Speriamo che non sia l'inizio di una strategia, purtroppo tristemente nota anche in altri teatri di guerra e di guerriglia, che porti i terroristi a farsi scudo della popolazione civile, degli ospedali, perfino delle scuole, per evitare rappresaglie, o peggio per poter sfruttare mediaticamente gli errori dei loro nemici.

Signor Presidente, siamo consapevoli che non c'è libertà senza giustizia, non c'è pace possibile finché il terrorismo può reclutare e addestrare i suoi uomini in diversi Paesi cavalcando la paura, la povertà e la miseria di tanti, troppi, uomini nel mondo.

È utile ribadire, però, a maggior ragione in queste ore, che le nostre Forze armate si trovano in missione di pace in quei territori, che il nostro partito le ha sempre sostenute quando era al Governo, quando è stato all'opposizione durante il Governo Prodi e oggi che è all'opposizione di questo Governo.

I nostri militari aiutano il Paese, l'Afghanistan in questo caso, in ogni sua emergenza, ma aiutano anche l'Italia; rispondono «signor sì» ogni volta che c'è bisogno di loro con encomiabile spirito di servizio nella lotta alla criminalità, nel terremoto in Abruzzo, perfino nell'emergenza rifiuti in Campania e a livello internazionale sono fra i più apprezzati e preparati perché hanno quella sensibilità tipica italiana, da tutti riconosciuta, di determinare e stabilire con facilità relazioni, amicizia e solidarietà.

Usare, quindi, l'incidente del 3 maggio scorso o quello accaduto ieri pomeriggio come pretesti per riconsiderare la nostra presenza in quella zona, o peggio ancora per chiedere il ritiro di ogni contingente internazionale sarebbe da irresponsabili e da persone che non comprendono le pericolose conseguenze che ne potrebbero derivare, non solo per i civili afghani, ma anche per la sicurezza internazionale.

L'Italia tutta non si è tirata indietro neanche quando ha pagato a caro prezzo, in diverse occasioni, con uomini caduti il rispetto degli impegni internazionali e certamente non lo farà oggi, ma continuerà a svolgere i suoi compiti delicati nel rispetto della popolazione, prima di tutto di quella civile, sapendo che l'errore, l'incidente, le fatalità sono sempre possibili.

Oggi siamo tutti chiamati a fare piena luce su questa vicenda non solo, signor Ministro, per amore della verità, ma per rendere giustizia a questa giovane vita afghana che ci ha lasciato.

In Italia i magistrati sono chiamati a collaborare a tutti i livelli affinché non resti alcuna macchia su questa vicenda e sono chiamati a farlo presto, ne va della credibilità e dell'onore del nostro Paese.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, voglio ringraziare il Ministro perché con una certa tempestività ha inteso relazionare direttamente all'Aula di Montecitorio. Lo voglio anche rassicurare: non siamo in un tribunale per giudicare i nostri militari. Ci mancherebbe altro che qualcuno mettesse in dubbio che si sia trattato di un incidente. Noi qui siamo chiamati a delle responsabilità, istituzionali e politiche, e in quest'Aula dovremmo prima di tutto parlare di politica, in particolare di politica di sicurezza e internazionale.

Per questo motivo, signor Ministro, avrei apprezzato davvero di più il suo Pag. 25intervento, che è stato molto corretto e sul punto, ma che non ha fatto riferimento alla situazione dell'Afghanistan se non nella sua prospettiva. Non ha citato, ad esempio, i dodici morti di oggi in un attentato, i morti di ieri (100, 120, 150, chi lo sa) in seguito ad un bombardamento.

Se però sto alla sua relazione, voglio anch'io tributare un doveroso omaggio a questa bambina chiamandola per nome: Behooshahr. Per quello che lei ci ha riferito, io continuo ad avere dei dubbi sull'incidente o almeno sulla sua ricostruzione. Leggerò lo stenografico, tuttavia credo di aver sentito dire che la macchina procedeva in coda. Poi, ad un certo punto si dice che ha proseguito in direzione contraria e la macchina è rimasta sul posto. Io francamente non ho capito la ricostruzione, però rispetto a ciò che lunedì abbiamo letto sui giornali (poi abbiamo visto le immagine televisive), anziché essere colpito il vano motore era spezzato il lunotto.

Non ho competenze balistiche per dire cosa possa essere successo, però sarà necessario capire, ma non per fare processi, bensì per capire. Voglio immaginare il dolore di questa famiglia e voglio capire anche il dolore e la responsabilità di chi è stato comunque autore di un incidente. Sicuramente non vi sarà dolo, ma vi può esser una colpa, che spetta a noi rilevare e denunciare per prendere gli adeguati provvedimenti.

Come dicevo, l'aspetto che più ci deve premere è quello politico. Non ci sto a definire questo incidente come uno dei tanti effetti collaterali. Noi siamo lì per un'azione di peace keeping, invece ci stiamo impantanando in una situazione diversa. Nei giorni scorsi il leader dell'Italia dei Valori ha voluto dire e precisare che è facile pontificare da una sedia o da uno scranno di Montecitorio su un incidente del genere. Siamo in una zona di guerra e in una frazione è difficile distinguere le persone inermi dai kamikaze. Tuttavia, dobbiamo comunque interrogarci e lo ha fatto anche il Ministro Frattini nei giorni scorsi in un'intervista al Il Messaggero dicendo: ciò che è successo dimostra non solo l'inevitabilità, ma anche che è l'intera strategia che richiede un ripensamento ed un allargamento. La strategia che va ripensata non spetta ai deputati che sono qui ad interloquire con lei, ma spetta in primo luogo al Ministro e al Governo.

Allora, proprio perché spetta al Governo, vorrei che il Governo avesse presente che, nel 2008, secondo i dati delle Nazioni Unite, i civili uccisi in azioni belliche sono stati 2.118, mentre, secondo i dati del comando NATO e degli Stati Uniti, sarebbero stati soltanto mille.

In più, vi è una denuncia, perché non c'è soltanto l'operazione Enduring freedom a comando statunitense, non vi è soltanto la missione ISAF a comando NATO, ma vi sono anche truppe speciali ed altre componenti militari e di intelligence, che non sono inquadrate nella struttura di comando ISAF, che non si coordinano con le forze governative, perché ritengono prioritaria la sorpresa. Queste unità non sempre sono a conoscenza delle dinamiche locali e del tenue confine che spesso distingue il nemico dall'amico. Lo dico e lo denuncio perché l'emozione provocata dalla notizia delle morti civili acuisce l'ostilità delle popolazioni verso le forze occidentali ed alimenta la sfiducia dei cittadini nei confronti del Governo.

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, la prego di concludere.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Dunque, per quanto riguarda la nostra responsabilità, dobbiamo partire ovviamente dall'ammissione degli errori, dal riconoscimento delle vittime e dal pagamento dei risarcimenti. Ho una preoccupazione (l'ho detto nel dibattito in cui abbiamo rinnovato la missione): che senso ha avuto, in un'operazione di peace keeping inviare quattro Tornado in Afghanistan? Signor Ministro, è una domanda che le ho posto più volte e che rinnovo. Chiedo e sarò curioso di sapere quanto verrà valutata la vita di una bambina di tredici anni e sulla Pag. 26base di quali parametri sarà calcolato il risarcimento dei danni a quella famiglia (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente.

 

 


 

 

 

 




[1]Fonti: The CIA Worldfactbook 2009, Unione Interparlamentare, Ministero degli Affari esteri, fonti di stampa.

 

[2] La missione UNAMA è stata istituita nel marzo 2002 ed ha due obiettivi principali: sviluppo e tematiche politiche. Il Consiglio di Sicurezza è stato invitato a ridefinire il mandato della UNAMA, aumentando la sua capacità di coordinamento degli sforzi di assistenza internazionali. I poteri di Eide dovrebbero essere rafforzati rispetto a quelli del suo predecessore, Koenigs, e dovrebbe coordinare l’azione dell’Onu e degli altri alleati in particolare nella lotta al traffico di droga, nella ricostruzione e nello sviluppo del Paese.

[3] Fra le decisioni prese dalla Corte, si segnala quella che ha cercato di impedire l’apparizione in televisione di cantanti donne. Secondo la tradizione islamica, il canto della donna è considerato una forma di “provocazione” nei confronti dell’uomo.

[4] Basti ricordare l’investimento da 3 miliardi di dollari che il gruppo cinese MCC realizzerà nei prossimi anni per lo sfruttamento della miniera di rame di Aynak, stimata come una delle maggiori al mondo - e i ricchi giacimenti di gas naturale e petrolio nel nord del Paese, oggetto di recenti prospezioni geologiche da parte statunitense.

[5]  Statement by the Hon. ANWAR UL-HAQ AHADY, Governor of the Bank for the ISLAMIC REPUBLIC OF AFGHANISTAN,at the Joint Annual Discussion.

[6]Il Presidente e i due vice-presidenti della repubblica islamica dell’Afghanistan sono eletti a suffragio universale con mandato quinquennale, rinnovabile. Per l’elezione al primo turno è necessario il 50% dei voti. Hamid Karzai, primo presidente democraticamente eletto in Afghanistan, ha vinto le elezioni del 9 ottobre 2004 con il 55,4% dei voti ed è in carica dal 7 dicembre di quell’anno. Primo vicepresidente è Ahmad Zia Masood e secondo vicepresidente Abdul Karim Khalili.

 

[7] Cfr. Comunicazioni del Ministro della difesa Ignazio La Russa, in data 22-4-2009, presso le Commissioni riunite IV (Difesa) della Camera e IV (Difesa) del Senato, sulla situazione militare in Afghanistan, con particolare riferimento al contingente italiano.

[8] Una pattuglia italiana dell’Operational Mentoring Leason Team (OMLT, addestratori) ha esploso dei colpi di arma da fuoco contro un’auto che non aveva rispettato le segnalazioni di avvertimento e sicurezza. L’episodio non ha causato reazioni ostili o manifestazioni popolari di protesta contro i militari italiani.

 

[9] L’intervento del Ministro degli Affari Esteri è stato pronunciato da Guido Martini, Direttore generale per i Paesi dell’Asia del Ministero degli Affari Esteri.

[10] Lo studio del rischio-Paese secondo la stima di SACE parte da un presupposto fondamentale legato all’attività della società stessa, che è quella di fornire copertura assicurativa agli esportatori e agli investitori italiani in linea con i mutamenti del mercato. La valutazione del rischio-Paese si distingue in tre fasi principali: a) la determinazione della categoria di rischio sulla base di un modello sviluppato in sede OCSE; b) l’integrazione del rating OCSE con analisi qualitative sui rischi economici, politici, finanziari e operativi di ciascun Paese; c) l’articolazione delle condizioni di assicurabilità. I paesi sono suddivisi in 8 categorie (0-7): la categoria 0 rappresenta un rischio trascurabile; all’aumentare delle categorie il rischio diviene più significativo fino ad arrivare alla categoria 7 (rischio massimo).