Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Bilancio dello Stato
Titolo: (D10) Doc. LVII, n. 3 - Schema di Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013
Riferimenti:
DOC LVII, N. 3     
Serie: Documenti e ricerche    Numero: 10
Data: 12/10/2010
Descrittori:
FINANZA PUBBLICA     

DECISIONE DI FINANZA PUBBLICA

per gli anni 2011 – 2013

 

 

XVI LEGISLATURA

ottobre 2010

 

 

N. 10


DOCUMENTAZIONE DI FINANZA PUBBLICA

 

 

 

CAMERA DEI DEPUTATI:

 

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INDICE

 

Premessa. 1

1. Il quadro macroeconomico. 13

1.1 La congiuntura internazionale. 13

1.2 Lo scenario macroeconomico nazionale. 17

2. Il quadro di finanza pubblica. 29

2.1 I saldi di finanza pubblica. 29

2.2 Le previsioni di entrata. 38

2.3 Le previsioni di spesa. 41

3. I saldi strutturali. 44

3.1 Confronto con le precedenti previsioni47

3.2 L’evoluzione nel periodo 2010-2013. 48

3.3 La composizione del deficit strutturale. 50

3.4 Le misure una tantum.. 51

4. La spesa per interessi, il fabbisogno del settore pubblico ed il debito pubblico  57

 

Approfondimenti:

 


1. La nuova governance economica dell’UE...................................................... 5

2. Squilibri macroeconomici e nuova sorveglianza europea........................... 23


 

 


 

 

 

 


Premessa

Nell’ambito del nuovo ciclo della programmazione economica e finanziaria su base triennale delineato dalla legge di riforma della contabilità – legge n. 196 del 31 dicembre 2009 - la Decisione di finanza pubblica (DFP) ne costituisce il documento di avvio.

Ai sensi dell’articolo 10 della legge n. 196/2009, la DFP indica gli obiettivi di politica economica e il quadro delle previsioni economiche e di finanza pubblica – articolati per i tre sottosettori del conto delle amministrazioni pubbliche - almeno per il triennio successivo.

La Decisione di finanza pubblica sostituisce dunque il Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) previsto dalla abrogata disciplina contabile, presentando, rispetto ad esso, una serie di differenze, quali un arricchito corredo conoscitivo, e una differente tempistica di trasmissione alle Camere.

 

Dal punto di vista procedurale, la nuova legge di contabilità prevede il 15 settembre quale data di presentazione dello schema di Decisione alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari (art. 7, co. 2, lett. b), un mese prima della presentazione al Parlamento dei disegni di legge di bilancio e di stabilità, prevista entro il 15 ottobre

La procedura di formazione della DFP inizia già il 15 luglio con l’invio alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica e alle Camere delle linee guida per la ripartizione degli obiettivi di finanza pubblica per il periodo considerato, che troveranno esposizione nella Decisione.

Il termine per l’espressione del parere da parte della Conferenza è fissato al 10 settembre.

La Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica non è stata ancora istituita. Secondo la nuova disciplina contabile, fino alla sua istituzione, i compiti ad essa attribuiti sono svolti dalla Conferenza Unificata Stato regioni-città ed autonomie locali, di cui all’articolo 8, D.Lgs. n. 281/1997, la quale quindi è, allo stato, l’organo competente ad esprimere il parere sulla ripartizione degli obiettivi di finanza pubblica.

 

In proposito va rammentato che, com’è noto, lo schema di DFP 2011-2013 è stato presentato al Parlamento il 30 settembre, anziché il 15, e l’anzidetta fase procedurale - relativa alle linee guida di riparto degli obiettivi - non risulta essere stata attivata. A tale riguardo va considerato che il decreto-legge n.78/2010 di manovra ha disposto, tra l’altro, la riduzione dei trasferimenti a favore del comparto degli enti territoriali.

 

Per quanto concerne i contenuti specifici dello Schema in esame, il Governo, nella premessa al documento, precisa che, essendo stata anticipata all’inizio dell’estate la manovra triennale di finanza pubblica 2011-2013 (D.L. n. 78/2010), la DFP per gli anni 2011-2013 si limita a recepire gli effetti del citato decreto-legge di manovra, confermando nella sostanza - salvo alcune modifiche derivanti dal quadro macroeconomico e dagli esiti del monitoraggio - gli obiettivi programmatici già esposti nella RUEF per il 2010, presentata a maggio scorso.

Tali obiettivi di finanza pubblica sono esposti nella DPF – conformemente a quanto previsto dalla nuova disciplina contabile - articolati per i tre sottosettori del conto delle amministrazioni pubbliche: amministrazione centrale, amministrazioni locali ed enti di previdenza.

Essi scontano integralmente il contributo alla manovra di consolidamento dei conti pubblici richiesto ai diversi comparti.

 

Per quanto attiene, invece, al contenuto proprio della DFP, quale previsto dall’articolo 10, commi 2 e ss. della legge n. 196/2009, lo schema in esame presenta diversi nuovi elementi conoscitivi quali, ad esempio, il conto consolidato di cassa del settore pubblico articolato per i tre sottosettori della PA e l’indicazione delle risorse destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate, con evidenziazione della quota nazionale addizionale.

Un’ulteriore novità è costituita dalla Nota metodologica, presentata in allegato alla DFP, conformemente a quanto previsto dalla legge di riforma della contabilità (art. 9, comma 4, legge 196/09), che illustra i criteri di formulazione delle previsioni tendenziali relativi al quadro macroeconomico e al conto della PA e agli altri aggregati di finanza pubblica.

Il documento non risulta, tuttavia, corredato dalle seguenti informazioni previste dalla nuova legge di contabilità n. 196/09:

§      l’indicazione di massima delle risorse finanziarie necessarie a confermare normativamente, per il periodo di riferimento, gli impegni e gli interventi di politica economica e di bilancio adottati negli anni precedenti per i principali settori di spesa, ossia lo scenario macroeconomico a “politiche invariate”(art. 10, co. 2, lett. d));

§      l’obiettivo di massima della pressione fiscale complessiva; la pressione fiscale è riportata nella DFP come dato previsionale (art. 10, co. 2, lett. e));

 

Si segnala altresì che, presumibilmente anche in relazione alla avvenuta anticipazione della manovra a prima dell’estate, lo schema di DFP non reca indicazioni in ordine al contenuto del Patto di stabilità interno e alle sanzioni per gli enti territoriali nel caso di mancato rispetto del patto medesimo – la cui disciplina per l’anno 2011, si ricorda, è recata dal D.L. n. 112/2008 (legge n. 133/2008) - né in ordine al contenuto del Patto di convergenza di cui all’art. 18 della legge n. 42/09, in relazione al quale debbono essere attivate le procedure e le sedi proprie nell’ambito del processo di attuazione del federalismo fiscale (art. 10, co. 2, lett. f)).

 

Alla DFP non risultano, infine, allegati i seguenti documenti:

§      le relazioni programmatiche per ciascuna missione di spesa del bilancio dello Stato e le relazioni sullo stato di attuazione delle leggi pluriennali di spesa (art. 10, co. 6);

§      il quadro riassuntivo delle leggi di spesa a carattere pluriennale (art. 10, co. 7), con la ricognizione dei contributi pluriennali iscritti a bilancio (art. 10, co. 8).

 

Da ultimo, va considerato che il Governo, nella premessa alla DFP 2011-2013, sottolinea come la ormai prossima riforma della politica economica europea - che si sta discutendo in questi giorni, in vista dell’approvazione, probabilmente già da questo autunno, di una nuova versione del “Patto di stabilità e crescita” – comporterà la necessità di coordinamento dello schema di DFP con il nuovo quadro europeo.

 

In prospettiva, l’avvio, a partire da gennaio 2011, del cosiddetto "Semestre europeo" , ed i nuovi documenti politico-contabili previsti in tale ambito – ossia i Piani nazionali di riforma (PNR), elaborati nell’ambito della nuova Strategia UE 2020 ed i Piani di stabilità e convergenza (PSC), elaborati nell’ambito del Patto di stabilità e crescita - assumeranno, secondo quanto riportato nella premessa allo schema di DFP, una “centralità politica assoluta ed assorbente”.

 

Il mutare del quadro di riferimento europeo dovrà, inoltre, comportare una riforma della pur recente nuova legge di contabilità n.196/2009, al fine di allinearla, per tempi e metodi, alla novità assoluta costituita dalla “Sessione di bilancio europea”.

 

Alla luce di tali circostanze, il Governo sottolinea, dunque, come il documento di finanza pubblica in esame sia già “sostanzialmente e politicamente superato", non solo perchè quanto doveva essere deciso è stato già deciso in luglio, con la manovra operata dal decreto legge n. 78/2010, ma soprattutto perché sarà all’interno del nuovo schema europeo che si concentrerà la discussione sulla politica economica.

 

In quest’ottica, sembrerebbe pertanto dover assumere un ruolo rilevante anche la versione preliminare del PNR - che nella fase transitoria, in vista dell’avvio del semestre europeo nel gennaio 2011, dovrà essere presentata alle istituzioni comunitarie già in autunno (entro il 12 novembre p.v.) – la quale dovrebbe focalizzarsi  sullo scenario macro-economico a medio-termine, sugli obiettivi nazionali da perseguire nell’ambito degli scopi della Strategia UE 2020 per la crescita e l’occupazione e le misure conseguenti da adottare, nonché identificare gli ostacoli principali alla crescita e all’aumento dell’occupazione.

 


 

Approfondimento

 

1. La nuova governance economica dell’UE

 

In occasione dell’approvazione della nuova Strategia dell’Unione per la crescita e l’occupazione (Strategia 2020) il Consiglio europeo del 17-18 giugno, tenendo anche conto delle conseguenze della crisi economica e finanziaria, ha convenuto di rafforzare il coordinamento delle politiche economiche e di bilancio a livello europea, mediante l’introduzione di nuove procedure e strumenti.

Il 30 giugno scorso la Commissione, facendo seguito alle conclusioni del Consiglio europeo, ha presentato le linee di intervento per la creazione di una governance economica incentrata su tre pilastri:

1)             un meccanismo per il coordinamento delle politiche economiche nazionali nell’ambito del c.d. “semestre europeo”;

2)             una più forte sorveglianza macroeconomica, che includa meccanismi di allerta e di sanzione, per affrontare gli squilibri di competitività e crescita (per un'analisi sulla relazione tra la stabilità delle finanze pubbliche e gli squilibri macroeconomici si veda l'approfondimento n. 2);

3)             l’applicazione più rigorosa del Patto di stabilità e crescita;

 

Il Consiglio ECOFIN del 7 settembre 2010 ha già deciso l’avvio dal 2011 del “semestre europeo” apportando alcune modifiche al Codice di condotta sull’attuazione del Patto di stabilità e crescita (vedi infra, paragrafo “Avvio del semestre europeo”) .

Con riferimento invece alla modifica del Patto di stabilità e alla creazione di una sorveglianza macroeconomica, la Commissione europea ha presentato il 29 settembre 6 proposte legislative, che sono illustrate in dettaglio nell’apposito paragrafo.

Inoltre, al Consiglio europeo del 28-29 ottobre saranno presentate le conclusioni della Task force sulla governance economica, presieduta dal Presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, che dovrebbe contenere raccomandazioni per il rafforzamento complessivo del nuovo sistema di governance economica.

 

Avvio del semestre europeo

 

Il semestre europeo consiste in un ciclo di procedure volto ad assicurare un coordinamento ex-ante delle politiche economiche nell’Eurozona e nell’UE a 27. L’obiettivo non è quello di sottoporre i bilanci nazionali ad una sorta di valutazione preventiva, prima che vengano presentati ai Parlamenti nazionali, bensì di fornire elementi per una discussione ex-ante sulle politiche di bilancio.

Il ciclo sarà avviato ad inizio 2011, con le seguenti fasi:

·       gennaio: presentazione da parte della Commissione dell’indagine annuale sulla crescita;

·       febbraio/marzo: il Consiglio europeo elabora le linee guida di politica economica e di bilancio a livello UE e a livello di Stati membri;

·       metà aprile: gli Stati membri sottopongono contestualmente i Piani nazionali di riforma (PNR, elaborati nell’ambito della nuova Strategia UE 2020) ed i Piani di stabilità e convergenza (PSC, elaborati nell’ambito del Patto di stabilità e crescita), tenendo conto delle linee guida dettate dal Consiglio europeo;

·       inizio giugno: sula base dei PNR e dei PSC, la Commissione europea elabora le raccomandazioni di politica economica e di bilancio rivolte ai singoli Stati membri;

·       giugno: il Consiglio ECOFIN e, per la parte che gli compete, il Consiglio Occupazione e Affari Sociali, approvano le raccomandazioni della Commissione europea, anche sulla base degli orientamenti espressi dal Consiglio europeo di giugno;

·       seconda metà dell’anno: gli Stati membri approvano le rispettive leggi di bilancio, tenendo conto delle raccomandazioni ricevute. Nell’indagine annuale sulla crescita dell’anno successivo, la Commissione dà conto dei progressi conseguiti dai Paesi membri nell’attuazione delle raccomandazioni stesse.

 


 


In vista dell’avvio delle nuove procedure, la Commissione europea ha previsto una fase transitoria articolata in due passaggi fondamentali:

·       entro il 12 novembre 2010 gli Stati membri dovrebbero presentare alla Commissione la bozza dei Programmi nazionali di riforma (PNR) per il perseguimento degli obiettivi della Strategia 2020 per la crescita e l’occupazione, approvata dal Consiglio europeo di giugno 2010. I PNR dovrebbero essere focalizzati sui seguenti aspetti:

-  scenario macro-economico a medio-termine;

-  obiettivi nazionali da perseguire nell’ambito degli scopi della Strategia UE 2020 per la crescita e l’occupazione e le misure conseguenti da adottare;

-  identificazione degli ostacoli principali alla crescita e all’aumento dell’occupazione;

·       entro aprile 2011 ciascuno Stato membro presenterebbe la versione completa dei PNR, in linea con le procedure prospettate dal semestre europeo.

Sono in corso incontri bilaterali della Commissione europea con gli Stati membri (a livello di rappresentanze permanenti) per approfondire questi aspetti procedurali, nonché i contenuti dei PNR.

Non sono stati invece modificati espressamente, nella fase transitoria, i termini per la presentazione dell’aggiornamento annuale dei programmi di stabilità e di convergenza, che dovrebbero quindi essere sottoposti alla Commissione europea tra la metà di ottobre e il 1° dicembre 2010.

 

Le proposte della Commissione europea

 

Il 29 settembre 2010 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di 6 proposte legislative (5 di regolamento ed 1 di direttiva), che concernono due dei tre ambiti di intervento indicati dal Consiglio europeo:

·      la creazione di una più forte sorveglianza macroeconomica (a questo profilo si riferiscono due delle cinque proposte di regolamento):

·      l’applicazione più rigorosa del Patto di stabilità e crescita (di seguito PSC, cui si riferiscono le altre tre delle proposte di regolamento e la proposta di direttiva).

 

Modifiche ed integrazioni del Patto di stabilità e crescita

 

Le proposte presentate dalla Commissione il 29 settembre prospettano, per un verso, modificazioni ai due regolamenti vigenti relativi all’attuazione del PSC, con riferimento sia al braccio preventivo sia a quello correttivo; per altro verso introducono parametri di valutazione e meccanismi sanzionatori completamente nuovi.

·      Per quanto riguarda il braccio preventivo del PSC, la proposta di modifica del regolamento (CE) n.1466/97 (COM(2010)526), che segue la procedura legislativa ordinaria, mira a fondare il controllo delle finanze pubbliche sul nuovo concetto di una politica di bilancio prudente, incentrata sulla convergenza verso l'obiettivo a medio termine del pareggio di bilancio. A questo scopo gli Stati membri dovrebbero assicurare un miglioramento annuale della propria posizione di bilancio pari ad almeno lo 0,5 per cento; per i Paesi con alto livello di debito e/o squilibri macroeconomici eccessivi il Consiglio potrebbe richiedere un aggiustamento superiore allo 0,5 per cento.

La Commissione europea e il Consiglio dell’UE dovrebbero valutare (e decidere di sanzionare) non solo le situazioni di disavanzo eccessivo, ma anche le deviazioni significative da una politica di bilancio prudente, identificate in uno scostamento dello 0,5 per cento rispetto al percorso di raggiungimento dell’obiettivo di medio termine.

·      Sul braccio correttivo del PSC interviene, invece, la proposta di modifica del regolamento (CE) n.1467/97 (COM(2010)522), che segue una procedura legislativa speciale (equivalente alla vecchia procedura di consultazione).

La proposta prevede – tra le altre cose - che l'andamento del debito sia monitorato con più rigore e trattato alla stessa stregua dell'andamento del disavanzo ai fini dell’adozione delle decisioni nel quadro della procedura per i disavanzi eccessivi. Secondo la proposta, gli Stati membri il cui debito supera il 60 per cento del PIL dovrebbero dunque adottare misure per ridurlo ad un ritmo soddisfacente, definito come una riduzione di 1/20, nel corso degli ultimi tre anni, della differenza rispetto alla soglia del 60 per cento. La valutazione dovrebbe tuttavia tener conto di alcuni fattori di rischio, quali: tassi di crescita della ricchezza nazionale particolarmente bassi; la struttura del debito; il livello di indebitamento del settore privato; le passività implicite connesse all’invecchiamento (ovvero, la sostenibilità a lungo termine dei sistemi previdenziali).

·      Al fine di sanzionare più efficacemente gli Stati membri dell’eurozona che violino le nuove regole della parte sia preventiva sia correttiva del Patto di stabilità e crescita, con la proposta di regolamento sull'effettiva applicazione della sorveglianza di bilancio nell'area dell'euro (COM(2010)524), che segue la procedura legislativa ordinaria,si stabiliscono sanzioni finanziarie progressive.

Per quanto riguarda la parte preventiva, deviazioni significative da una “politica di bilancio prudente” comporterebbero per lo Stato membro interessato l'obbligo di costituire un deposito fruttifero pari allo 0,2 per cento del PIL. Il deposito, con gli interessi maturati, verrebbe restituito una volta che il Consiglio abbia verificato che la situazione di bilancio sia stata risanata.

Per quanto riguarda la parte correttiva, ai Paesi che registrano un disavanzo eccessivo si applicherebbe un deposito non fruttifero pari allo 0,2 per cento del PIL. Esso verrebbe convertito in ammenda in caso di non osservanza della raccomandazione di correggere il disavanzo eccessivo. La decisione di comminare le sanzioni è proposta dalla Commissione e si considera approvata dal Consiglio a meno che esso non la respinga con voto a maggioranza qualificata ("maggioranza inversa") degli Stati dell'area euro (non si tiene conto del voto dello Stato interessato). Il Consiglio potrebbe ridurre l’ammontare del deposito solo all’unanimità o su sulla base di una proposta della Commissione e di una richiesta motivata dello Stato membro interessato.

In caso di mancata restituzione le entrate  derivanti da queste ammende (o dagli interessi maturati sul deposito fruttifero) verrebbero distribuite, sulla base dei rispettivi PIL, tra i Paesi membri dell’area euro non sottoposti ad alcuna procedura.

·      A completamento del PSC in senso stretto, una disciplina fortemente innovativa è introdotta dalla proposta di direttiva concernente i requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri (COM(2010)523), che segue una procedura legislativa speciale.

La propostafissa, anzitutto, le regole minime che dovrebbero essere rispettate dagli Stati membri nella raccolta, redazione e trasmissione dei dati di bilancio. In particolare, la Commissione propone di introdurre la corrispondenza tra i sistemi contabili nazionali ed il sistema ESA95 (sistema europeo dei conti nazionali e regionali), attraverso la fornitura di dati di cassa su base mensile, che verrebbero riportati nel sistema ESA su base trimestrale.

In secondo luogo, la proposta impone agli Stati membri di inserire nei propri ordinamenti regole di bilancio e parametri numerici che recepiscano i valori di riferimento previsti a livello europeo e fissino procedure di controllo, precisando gli effetti del mancato rispetto delle medesime regole da parte dei soggetti interessati.

In terzo luogo, si propone l’introduzione di una pianificazione pluriennale (almeno triennale) del bilancio nazionale, con una indicazione di entrate e spese programmate e degli aggiustamenti richiesti per realizzare l’obiettivo di finanze pubbliche solide. Infine, si prevede l’obbligo, per il quadro di bilancio nazionale, di comprendere l’intero sistema di finanza pubblica, in particolare nei Paesi con assetti decentrati: l’assegnazione delle responsabilità di bilancio tra i diversi livelli di governo dovrebbe essere chiaramente definita e soggetta ad adeguate procedure di controllo.

 

Sorveglianza sugli squilibri macroeconomici

 

La sorveglianza sugli squilibri macroeconomici – che costituisce una delle innovazioni più rilevanti e allo stato controverse del nuovo sistema di governance economica – si articola in meccanismi sia presentivi sia correttivi, sul modello del PSC.

·      Con riferimento alla parte preventiva, la proposta di regolamento sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici (COM(2010)527), che segue la procedura legislativa ordinaria,demanda alla Commissione una valutazione periodica dei rischi derivanti dagli squilibri macroeconomici in ciascuno Stato membro. La valutazione sarebbe basata su un quadro di riferimento composto da indicatori economici (scoreboard, la cui individuazione è rinviata ad una fase successiva, ma che potrebbero comprendere: il bilancio delle partite correnti; il tasso di cambio effettivo basato sui costi unitari del lavoro; il debito del settore pubblico e privato - famiglie e imprese). Sulla base della valutazione, la Commissione avvierebbe un riesame approfondito riguardante gli Stati membri a rischio per individuare i problemi sottostanti. Per gli Stati membri che presentano gravi squilibri, tali da mettere a rischio il funzionamento dell'Unione economica e monetaria, il Consiglio adotterebbe raccomandazioni e avvierebbe una procedura per gli squilibri eccessivi.

Lo Stato che sia oggetto di tale procedura dovrebbe sottoporre un piano di azione correttivo al Consiglio, il quale fisserebbe un termine per l'adozione di misure correttive.

·      Con riguardo alla parte correttiva, in base alla proposta di regolamento sulle misure per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nell'area dell'euro (COM(2010)525), che segue la procedura legislativa ordinaria, lo Stato dell'eurozona che ometta ripetutamente di dare seguito alle raccomandazioni del Consiglio formulate nel quadro della procedura per gli squilibri eccessivi al fine di porre fine ad una situazione di squilibrio, pagherebbe un'ammenda annua pari allo 0,1 per cento del suo PIL. La decisione di comminare un’ammenda è proposta dalla Commissione e si considera approvata dal Consiglio a meno che esso non la respinga con voto a maggioranza qualificata ("maggioranza inversa") degli Stati membri dell’eurozona (non si tiene conto del voto dello Stato interessato). L’ammenda sarebbe restituita al Paese interessato qualora desse seguito alle raccomandazioni del Consiglio.

In caso di mancata restituzione le entrate  derivanti dalle ammende verrebbero distribuite, sulla base dei rispettivi PIL, tra i Paesi membri dell’area euro non sottoposti ad alcuna procedura.

 

La seguente figura illustra il sistema di governance prospettato dalle proposte della Commissione.

 

Posizione della Banca centrale europea

 

Nel corso di audizione presso la Commissione affari economici e monetari del Parlamento europeo svoltasi il 27 settembre (due giorni prima della presentazione delle proposte da parte della Commissione europea), il Presidente della BCE, Jean-Claude Trichet, ha sottolineato l’opportunità di prevedere meccanismi di sanzione “quasi automatici” per i Paesi dell’Eurozona che violano il Patto di stabilità. Tali automatismi, a suo avviso, potrebbero essere utilmente conseguiti attraverso il meccanismo di “maggioranza inversa” proposto dalla Commissione. Nel corso del dibattito con gli eurodeputati, Trichet ha altresì rilevato che altre modalità sanzionatorie, quali la sospensione del diritto di voto in seno al Consiglio, allo stato attuale non appaiono realistiche, dato che presupporrebbero una modifica dei Trattati vigenti.

Trichet ha infine sottolineato che, nella nuova cornice di sorveglianza multilaterale, particolare attenzione dovrebbe essere rivolta agli Stati membri dell’eurozona che registrano livelli elevati di debito pubblico e significative carenze sul piano della competitività.

Al fine di assicurare efficacia al nuovo sistema di sorveglianza multilaterale, la BCE considera essenziale il rafforzamento dei poteri di Eurostat in materia di raccolta e trattamento dei dati relativi ai bilanci nazionali, integrando le norme del regolamento (UE) n. 679/2010, di recentissima approvazione, che modifica il regolamento (CE) n. 479/2009 per quanto riguarda la qualità dei dati statistici nel contesto della procedura per i disavanzi eccessivi.

Per garantire imparzialità ed efficacia al meccanismo di vigilanza, Trichet ha prospettato la possibilità di affiancare alla Commissione europea, che conserverebbe il ruolo principale nel monitoraggio delle politiche economiche e di bilancio, un “comitato di saggi”, che fornirebbe un parere aggiuntivo sulla situazione dei singoli Stai membri.


 

1. Il quadro macroeconomico

1.1 La congiuntura internazionale

Lo schema di DFP si sofferma sulla ripresa economica che ha caratterizzato i primi due trimestri del 2010, in cui sia la produzione che il commercio mondiale hanno continuato a crescere a ritmi sostenuti.

I tassi di inflazione sono rimasti contenuti anche per gli effetti legati alla crisi economica, mentre le politiche monetarie sono state accomodanti nelle diverse aree.

Nel corso dell’anno, l’economia mondiale ha fatto registrare stime congiunturali e tendenziali della crescita in progressivo aumento, grazie soprattutto alla consistente ripresa del commercio mondiale che è stimato crescere del 10 per cento nel 2010 - dopo la sensibile riduzione registrata nel 2009 (-11 per cento) - per poi ridimensionarsi a tassi più bassi ma stabili nel triennio successivo, intorno al 7 per cento.

 

Lo scenario di previsione per il 2010 – riportato nella DFP – prospetta, dopo la contrazione registrata nel 2009, una crescita dell'economia globale del 4,4 per cento.

 

In particolare, per l’economia statunitense - che ha registrato un incremento del PIL nei primi due trimestri dell’anno in corso pari, rispettivamente, allo 0,9 e 0,4 per cento sul periodo precedente - la previsione di crescita nel 2010 si attesta intorno al 2,9 per cento, rispetto ad un consuntivo 2009 pari a -2,4 per cento che aveva dovuto scontare la forte caduta degli indici azionari.

La Federal reserve ha continuato a sostenere il mercato finanziario e immobiliare lasciando immutati i tassi di interesse al livello dello 0,0-0,25 per cento e con misure non convenzionali di sostengo al mercato del credito. La disoccupazione, seppure in ripresa rispetto ai livelli del 2009, resta comunque elevata. Il mercato immobiliare si trova ai minimi di attività, mentre i tassi di risparmio delle famiglie ritornano ad attestarsi a livelli elevati.

 

Anche nell’area dell’euro il PIL è tornato su valori positivi, con un incremento dello 0,3 per cento nel primo trimestre del 2010 e dell’1 per cento nel secondo trimestre (Comunicato EUROSTAT 2 settembre 2010).

Il recupero del livello positivo della crescita, stimata all’1,7 per cento nel 2010, è trainato dall’eccezionale risultato dell’economia tedesca (+2,2 per cento nel secondo trimestre rispetto al trimestre precedente), che per il 2010 è prevista crescere del 3,4 per cento, grazie alla netta ripresa del commercio mondiale.

Il mercato del lavoro nell’area dell’euro rimane debole e il tasso di inflazione al consumo rimane al di sotto del trend di medio-lungo periodo. La BCE ha continuato ad attuare una politica accomodante, lasciando invariato, nella riunione del 2 settembre, il tasso di interesse di riferimento al minimo storico dell’1 per cento e assicurando liquidità al mercato attraverso operazioni non convenzionali.

 

In relazione ai risultati registrati nel corso del 2010, che indicano una evoluzione positiva della crisi dell’economia mondiale, lo scenario internazionale descritto nello schema di DFP è più favorevole di quello previsto a maggio nella RUEF (che, si ricorda, ipotizzava una crescita mondiale nel 2010 del 3,6 per cento e una ripresa del commercio mondiale del 5,8 per cento).

 

Nella tabella che segue sono esposti i dati di consuntivo 2009 e le prospettive di crescita dell’economia mondiale per gli anni 2010-2013, come riportati nello schema di DFP.

 

Tabella 1.1

Previsioni della crescita economica mondiale                    (variazioni percentuali)

 

2009

2010

2011

2012

2013

PIL mondiale

-0,8

4,4

4,0

4,2

4,3

USA

-2,4

2,9

2,5

2,5

2,5

Giappone

-5,2

2,7

2,0

1,8

1,7

UEM

-4,1

1,7

1,6

2,0

2,1

Francia

-2,6

1,6

1,8

1,9

2,1

Germania

-4,9

3,4

2,0

1,9

1,8

Regno Unito

-4,9

1,7

2,0

2,3

2,3

Spagna

-3,6

-0,3

0,9

1,7

1,7

 

Italia

-5,0

1,2

1,3

2,0

2,0

 

Commercio mondiale

-11,0

10,0

6,5

7,0

7,0

Dati di previsione DFP: elaborazioni su dati FMI, OCSE e Commissione europea.

Per l’Italia, ISTAT: dati di consuntivo, DFP: dati di previsione.

 

La ripresa economica emersa nella prima parte dell’anno 2010 manifesta tuttavia un generale rallentamento nel 2011, riconducibile ad alcuni segnali di decelerazione degli scambi internazionali emersi nel corso dell’estate, in particolar modo negli Stati Uniti.

 

Per quanto concerne il biennio successivo, le previsioni sembrano evidenziare un generale consolidamento del quadro economico.

In particolare, in relazione agli Stati Uniti,nel 2011 si prevede una crescita ad un livello leggermente inferiore rispetto a quella del 2010 (2,5 per cento), ed una stabilizzazione su tale livello nel successivo biennio.

Anche la previsione di crescita dell’area dell’euro è stimata in lieve diminuzione nel 2011 all’1,6 per cento, ma è prevista poi risalire a livelli non inferiori al 2 per cento nel biennio successivo.

 

I possibili rischi per i prossimi anni, sottolineati nella DFP, consistono soprattutto in quelli derivanti da un’uscita troppo rapida dalle eccezionali misure di politica fiscale e monetaria adottate in ambito internazionale negli ultimi due anni, considerata altresì la difficoltà di coniugare nel medio periodo le politiche di stabilizzazione delle finanze pubbliche, dei mercati e dei prezzi con la ripresa economica.

 

Il grafico che segue mostra l’andamento del PIL dei maggiori Stati dell’Unione europea e degli Stati Uniti per gli anni 2007-2009 (a consuntivo) e 2010-2012 (dati previsionali DFP).

 

Grafico 1.1

Prodotto interno lordo - Confronti internazionali                                                (variazioni percentuali)

Fonte: DFP.

 

Le prospettive di crescita dell’economa dei principali paesi per il biennio 2010-2011, esposte nello schema di DFP e riportate nella tabella 1.1, risultano sostanzialmente in linea con le previsioni aggiornate presentate nei recenti rapporti della Commissione europea (Interim forecast - settembre 2010) e del Fondo Monetario Internazionale (Word economic outlook – ottobre 2010), che riflettono, da un lato, i segnali positivi di recupero emersi nel corso del 2010, e dall’altro, la debolezza della ripresa stessa.

 

Tabella 1.2

Prodotto interno lordo – Confronti internazionali                                            (variazioni %)

 

2010

2011

Governo
DFP

UE
settembre

FMI ottobre

Governo
DFP

FMI ottobre

Italia

1,2

1,1

1,0

1,3

1,0

Francia

1,6

1,6

1,6

1,8

1,6

Germania

3,4

3,4

3,3

2,0

2,0

Spagna

-0,3

-0,3

-0,3

0,9

0,7

Area euro

1,7

1,7

1,7

1,6

1,5

Regno Unito

1,7

1,7

1,7

2,0

2,0

USA

2,9

n.d.

2,6

2,5

2,3

PIL mondiale

4,4

n.d.

4,8

4,0

4,2

Fonte:  Governo: Decisione di finanza pubblica 2011-2013 (settembre 2010); Commissione UE: Interim Forecast (settembre 2010); FMI: World Economic Outlook (ottobre 2010).

 

Nell’Interim forecast di settembre, la Commissione ha aggiornato le previsioni di crescita dei paesi europei per l’anno in corso in relazione ai segnali - emersi nei primi due trimestri del 2010 - di ripresa dell’economia europea, che sebbene ancora fragile, sembra recuperare ad un ritmo più veloce di quanto previsto.

Per tutti i paesi europei la previsione di crescita per il 2010 è stata, dunque, rivista al rialzo rispetto alle stimedi maggio; in particolare, per la Francia, dall’1,3 all’1,6 per cento, per la Germania, dall’1,2 al 3,4 per cento e , per l’Italia, dallo 0,8 all’1,1 per cento, leggermente inferiore alla stima del Governo contenuta nella DFP (1,2 per cento).

Per l’area dell’euro, la crescita del PIL è ora prevista all’1,7 per cento (rispetto allo 0,9 indicato a maggio).

 

Anche il Fondo Monetario Internazionale, nel nuovo rapporto di ottobre, presenta stime di crescita per l’anno in corso migliori di quanto previsto nell’aggiornamento presentato con l’Update di luglio.

Per l’anno 2011 si evidenzia, invece, un generale ridimensionamento delle prospettive di crescita dell’economia mondiale, in considerazione della fragilità e della irregolarità della ripresa, lenta nelle economie più avanzate e molto più accentuata nei paesi emergenti e in via di sviluppo.

Per l’area dell’euro, la crescita economica, stimata all’1,7 per cento nel 2010, scende all’1,5 per cento nelle previsioni per il 2011, anche per effetto del rallentamento dell’economia tedesca (dal 3,3 per cento del 2010 al 2,0 per cento nel 2011).

Per quanto riguarda, in particolare, l’Italia, l’FMI stima che la crescita del PIL nel 2010 e nel 2011 sia stabile intorno all’1,0 per cento – vale a dire un livello inferiore, rispettivamente, di 0,2 e 0,3 punti percentuali rispetto alle prospettive indicate dal Governo nello schema di DFP in esame -  mantenendosi dunque al di sotto della crescita media prevista per l’area dell’euro.

1.2 Lo scenario macroeconomico nazionale

Il quadro macroeconomico italiano per il triennio 2011-2013 esposto nello schema di DFP in esame[1] riflette le prospettive di recupero dell’economia internazionale.

Il documento presenta, infatti, una revisione al rialzo delle stime di crescita dell’economia italiana per l’anno in corso, nell’ordine di 0,2 punti percentuali.

In particolare, per il 2010 il PIL è stimato crescere dell’1,2 per centorispetto all’1 per cento indicato nella RUEF di maggio.

La nuova previsione conferma i segnali di consolidamento della ripresa economica dell’Italia, trainata soprattutto dalla domanda estera e dall’accumulo di capitale fisso.

 

In base ai comunicati dell’ISTAT, nei primi due trimestri del 2010 il PIL è tornato a crescere: nel primo trimestre esso è aumentato dello 0,4 per cento rispetto al trimestre precedente (ISTAT, 10 giugno 2010) e nel secondo trimestre è aumentato dello 0,5 per cento (ISTAT, 10 settembre 2010). Come si evince dal Comunicato, nel secondo trimestre la domanda estera netta ha fornito un contributo alla crescita del PIL di 0,6 punti percentuali; in particolare, le esportazioni si sono accresciute (+3,3 per cento) grazie alla ripresa del commercio mondiale e al deprezzamento dell’euro.

Il risultato conseguito nel secondo trimestre indica, tuttavia, una crescita dell’economia italiana inferiore alla media europea che, in base al comunicato EUROSTAT di settembre, è risultata pari, nel secondo trimestre, all’1 per cento (in particolare, nei principali paesi europei, nel secondo trimestre il PIL è aumentato, in termini congiunturali, del 2,2 per cento in Germania, dell’1,2 per cento nel Regno Unito, dello 0,6 per cento in Francia)[2].

 

Una revisione al ribassoè invece indicata nel 2011, annoin cui il PIL è previsto crescere ad un tasso dell’1,3 per cento rispetto all’1,5 per cento stimato a maggio, in relazione ai segnali di rallentamento degli scambi internazionali e della crescita, in particolare degli Stati Uniti, emersi dopo l’estate, che potrebbero determinare un rallentamento della ripresa economica anche in Italia.

Nel biennio successivo la crescita annua è prevista attestarsi al 2 per cento, con un parziale recupero, secondo la DFP, dell’ancora ampio gap di capacità produttiva inutilizzata.

 

Tabella 1.3

Il quadro macroeconomico                                                                (variazioni percentuali)

 

2009

2010

2011

2012

2013

PIL

-5,0

1,2

1,3

2,0

2,0

Importazioni

-14,5

5,9

3,4

3,7

3,7

Consumi finali nazionali

-1,2

0,4

0,6

1,4

1,6

- spesa delle famiglie

-1,8

0,5

0,8

1,7

1,8

Investimenti fissi lordi

-12,1

2,2

2,5

2,6

2,3

- macchinari e attrezzature

-18,9

7,5

4,1

3,9

3,0

- costruzioni

-7,9

-2,5

0,8

1,2

1,5

Esportazioni

-19,1

7,1

4,8

4,8

4,6

 

Occupazione (ULA)

-2,6

-1,5

0,7

0,8

1,0

Tasso di disoccupazione

7,8

8,7

8,7

8,6

8,4

 

Deflatore PIL

2,1

1,0

1,8

1,9

1,9

Inflazione programmata

0,7

1,5

1,5

1,5

1,5

 

Come si evince dalla tabella, il recupero dell’attività economica nel 2010 risulta essenzialmente sostenuto dagli scambi internazionali e dalla domanda per investimenti, mentre permangono ancora deboli i consumi.

I consumi finali sono complessivamente previsti aumentare dello 0,4 per cento nel 2010, con un rafforzamento nel 2011 (+0,6 per cento), che dovrebbe continuare anche negli anni seguenti.

Nel corso dell’audizione tenuta dall’ISTAT presso le Commissioni bilancio riunite di Camera e Senato il 6 ottobre 2010, è stato rilevato come, nonostante la ripresa economica, i consumi permangono deboli in quasi tutte le maggiori economie, soprattutto per la perdurante contrazione degli acquisti di beni durevoli. Nel primo semestre del 2010, i consumi delle famiglie hanno offerto un contributo di crescita molto modesto in tutti i principali paesi (con l’unica eccezione della Spagna); in Italia sono rimasti stagnanti sul livello del terzo trimestre 2009.

 

Anche gli investimenti fissi lordi, dopo la forte contrazione degli anni scorsi, sono previsti in crescita del 2,2 per cento nel 2010; il dato è essenzialmente attribuibile alla dinamica degli investimenti in macchinari (+7,5 per cento), sostenuta dalle agevolazioni fiscali e dalle esportazioni. Gli investimenti in costruzioni, invece, continuano ancora nel 2010 a risentire del ciclo negativo che ha interessato il settore nel 2009 (-2,5 per cento).

Gli scambi con l’estero mostrano segnali di ripresa.

In particolare, le esportazioni aumenterebbero del 7,1 per cento nel 2010, trainate dal rinnovato vigore del commercio mondiale e dal deprezzamento dell’euro.

Anche le importazioni, dopo il risultato ampiamente negativo del 2009, aumenterebbero del 5,9 per cento nel 2010.

Nel quadro del commercio con l’estero, i principali partner europei dell’Italia si confermano Germania e Francia, verso i quali le esportazioni hanno registrato, secondo i dati esposti nella DFP, incrementi del 14,1 e 12,4 per cento. Nella prima parte dell’anno, tuttavia, le esportazioni sono risultate più sostenute verso i paesi extra-europei, in particolare, verso l’America del Sud (Mercosur), Turchia e Cina.

 

Gli indicatori più recenti confermano inoltre, secondo la DFP, il miglioramento delle condizioni delle imprese italiane, specie quelle manifatturiere, sostenute proprio dal recupero delle esportazioni nonché della produzione industriale.

I dati congiunturali relativi alla produzione industriale, evidenziano, tuttavia, dopo la crescita registrata nel secondo trimestre del 2010 (+2,0 per cento sul periodo precedente, circa il 7,7 per cento di recupero rispetto all’anno precedente) una nuova fase di rallentamento (aumento a luglio dello 0,1 per cento rispetto a giugno 2010)[3].

Dati ancora più recenti indicano un incremento della produzione industriale nel mese di agosto pari all'1,6 per cento rispetto a luglio 2010 e un aumento tendenziale del 9,5 per cento, corretto per gli effetti del calendario[4].

 

Andrebbe valutato se questo andamento non lineare della produzione industriale, che interessa anche gli altri paesi europei, Germania compresa, possa in qualche modo influenzare i risultati della seconda parte dell’anno, ed indebolire le prospettive per il 2011.

A tale riguardo la Banca d’Italia, nel corso dell’audizione tenuta presso le Commissioni bilancio riunite di Camera e Senato il 6 ottobre 2010, ha osservato come in luglio la produzione industriale abbia ristagnato in concomitanza con un calo degli ordinativi, particolarmente accentuato per la componente estera. Gli scambi commerciali, dopo l’espansione della prima parte dell’anno sono infatti risultati in calo da giugno.

Analoga considerazione è stata espressa dalla Corte dei conti nel corso dell’audizione tenutesi nella medesima sede; la Corte, che alla luce del predetto dato rileva un indebolimento del profilo congiunturale rispetto alla prima metà dell’anno, osserva che nel ribassare le valutazioni di crescita  del 2011, la DFP appare aver tenuto conto di tale andamento.

 

Per gli anni 2011 e successivi lo schema di DFP prevede, in un quadro di ripresa dell’economia mondiale, un recupero particolarmente positivo per l’Italia, con un aumento del tasso di crescita del PIL dell’1,3 per cento nel 2011 e del 2 per cento a partire dal 2012.

 

Con riferimento alle prospettive di crescita contenute nella DFP a partire dal 2011, la Banca d’Italia, nel corso dell’audizione predetta, ha rilevato come, sebbene nel prossimo biennio gli investimenti e le esportazioni dovrebbero continuare a trarre beneficio dal rafforzamento della ripresa internazionale, sull’attività economica continuerebbe a gravare una dinamica debole dei consumi, ancora frenati dall’andamento poco vivace del reddito disponibile, che risentirebbe sia della lentezza con cui migliorerebbero le condizioni del mercato del lavoro, sia delle misure di riequilibrio dei conti pubblici disposte nella manovra varata a maggio.

Con riferimento al dato relativo alla crescita del 2 per cento a partire dal 2012, l’Istituto ha rilevato l’opportunità di una “nota di cautela”, tenuto conto che tale valore è “pressoché il doppio di quello stimabile per il PIL potenziale dell’Italia alla vigilia della crisi”.

 

Il grafico 1.2 mostra l’andamento delle componenti del PIL nel periodo 2007-2009 (a consuntivo) e 2010-2012 (dati previsionali DFP).

 

Grafico 1.2

Conto economico delle risorse e degli impieghi                                (variazioni % a prezzi costanti)

Fonte: dati ISTAT per i consuntivi e dati DFP per le previsioni 2010-2013.

 

 

Il mercato del lavoro, secondo le stime del Governo, continua a mostrare segni di debolezza.

Dopo la contrazione registrata nel 2009, nel 2010 l’occupazione, in termini di unità di lavoro standard (ULA), è prevista ancora ridursi dell’1,5 per cento, per poi riprendere il suo trend di crescita e stabilizzarsi su livelli positivi già a partire dal 2011.

Il tasso di disoccupazione si collocherebbe all’8,7 per cento nel 2010 e nel 2011, per poi ridursi gradualmente ed attestarsi all’8,4 per cento nel 2013.

Le motivazioni delle stime governative risiedono nel fatto che, anche nell’anno in corso, il ricorso alla Cassa integrazione guadagni da parte delle imprese ha continuato ad essere ampio, sebbene inferiore rispetto al biennio precedente. I comunicati ISTAT sull’andamento dell’occupazione ULA certificano che l’occupazione ha continuato a ridursi nel corso del 2010, soprattutto per effetto della diminuzione degli occupati dipendenti. Il settore più colpito continua ad essere quello dell’industria in senso stretto.

 

Il grafico che segue mostra l’andamento del tasso di disoccupazione nell’ultimo decennio e le previsioni per gli anni 2010-2012 per i principali paesi della UE e per gli Stati Uniti, tratte dal recente rapporto del Fondo monetario internazionale (Word Economic Outlook, 6 ottobre 2010).

 

 

Grafico 1.3

Andamento del tasso di disoccupazione                                                       (variazione percentuale)

Fonte:  Per i consuntivi 2000-2009, per i paesi della UE, dati della Commissione Europea, per USA, dati FMI. Per le previsioni 2010-2011, FMI, Word Economic Outlook (6 ottobre 2010)

 

Quanto all’inflazione, tenendo conto dell’apprezzamento del dollaro rispetto all’euro e del fatto che i rischi di un rallentamento della crescita globale influenzano al ribasso i prezzi delle materie prime, la DFP stima un tasso medio per l’indice dei prezzi al consumo (NIC) per il 2010 dell’1,6 per cento e del 2,1 per cento per il deflatore del PIL.


 

Approfondimento

2. Squilibri macroeconomici e nuova sorveglianza europea

Global imbalances

Negli ultimi dieci anni l'economia mondiale è stata dominata da forti global imbalances, ossia squilibri internazionali caratterizzati da ampi e prolungati deficit commerciali in Paesi avanzati, principalmente gli USA, e altrettanto ampi e persistenti surplus commerciali in economie in via di sviluppo. La teoria economica segnala simili squilibri con preoccupazione, perché un'economia in costante deficit commerciale è un'economia che vive al di sopra delle proprie possibilità.

Dal 1996 ad oggi il deficit delle partite correnti americano con il resto del mondo è aumentato passando da 125 miliardi di dollari (1,6 per cento del PIL degli Usa) a quasi 812 miliardi del 2006[5] (6,2 per cento del PIL). Le economie emergenti, invece, sono passate da essere debitori netti internazionali a creditori netti, registrando una forte espansione dei loro surplus commerciali. In aggregato, questi Paesi sono passati da un deficit delle partite correnti con il resto del mondo di circa 80 miliardi di dollari del 1996 ad un surplus di 643 miliardi nel 2006. Infine, negli ultimi dieci anni i tassi d'interesse reali di lungo periodo, a livello mondiale, si sono attestati su livelli estremamente bassi, inferiori al 2 per cento.

 Alcuni economisti hanno sostenuto che il deficit Usa delle partite correnti sia da attribuire alla forte riduzione del tasso di risparmio privato e pubblico nazionale. Ma altri commentatori ritengono che una simile spiegazione non sia in grado di fare luce sulla riduzione dei tassi d'interesse reali, in quanto un minore risparmio, a parità d'investimento, avrebbe dovuto portare ad aumentare la pressione sulle risorse economiche, generando un incremento e non una riduzione del prezzo del capitale.

Ben Bernanke[6], presidente della FED, ha sostenuto invece che un simile scenario sia riconducibile al cosiddetto fenomeno del saving glut, ossia un eccesso di risparmio a livello internazionale che ha depresso i tassi d'interesse reali, muovendo capitali da Paesi in via di sviluppo verso economie avanzate come gli USA. Il forte aumento del risparmio in Asia è ascrivibile alla crisi di fine anni '90, che ha colpito le economie del Sud-Est asiatico per via di improvvise e repentine fughe di capitali stranieri. Per evitare il ripetersi di una situazione simile, molti governi asiatici hanno preferito optare per politiche che facessero meno affidamento sui flussi di capitali stranieri che possono diventare fonte di instabilità per l'economia nazionale.

Nella ricostruzione del presidente della FED, per evitare un'eccessiva dipendenza da capitali stranieri altamente volatili si è preferito puntare su export-led policies, con conseguente accumulazione di riserve straniere, dollari in particolare. Inoltre gli alti prezzi del greggio hanno portato ad un aumento del reddito nei paesi esportatori di petrolio superiore a quello che potesse essere speso per consumi domestici, generando grandi avanzi commerciali. Tali cambiamenti degli assetti dell'economia globale hanno portato ad un risparmio nei Paesi emergenti superiore al livello desiderato degli investimenti. L'offerta di fondi mutuabili a livello globale è aumentata più che proporzionalmente rispetto alla forte domanda americana, spiegando così il puzzle dei bassi tassi d'interesse reali. Dal momento che a livello mondiale il risparmio aggregato deve uguagliare gli investimenti aggregati, e deficit e surplus delle partite correnti di tutti i Paesi del mondo devono sommare a zero, allora la contropartita per un elevato risparmio e ampi surplus di parte corrente in Paesi emergenti è un basso risparmio e ampi disavanzi di partite correnti nei Paesi avanzati, i cosiddetti global imbalances.

Secondo molti economisti tali global imbalances sono alla base della crisi finanziaria internazionale in quanto hanno portato ad un eccesso di risparmio a livello internazionale che ha favorito il boom creditizio e ha spinto molti operatori finanziari a concedere prestiti a soggetti a rischio insolvenza per aumentare i rendimenti dei prestiti stessi attraverso considerevoli premi per il rischio.

 

External imbalances in Europa

Gli squilibri esterni che caratterizzano i paesi dell'Unione europea sono stati oggetto di analisi da parte delle istituzioni europee, che da qualche tempo seguono con attenzione particolare l'evoluzione delle caratteristiche macroeconomiche in relazione allo stato dei conti pubblici. Il contenuto di questo paragrafo si basa principalmente sul documento Public Finances in EMU, 2010, pubblicato dagli uffici della Commissione europea [7].

A livello Europeo, negli ultimi dieci anni, si sono sviluppati external imbalances all'interno dell'area Euro, ossia squilibri commerciali tra Paesi membri dovuti ad un deterioramento della competitività di alcuni Stati rispetto ad altri. Alcuni membri dell'Unione Europea e dell'area Euro hanno assistito ad un boom della domanda interna e ad una rapida espansione del credito, che sono sfociati in un significativo aumento dei prezzi interni e del costo unitario del lavoro, con conseguente apprezzamento del tasso di cambio reale. Allo stesso tempo, altri Paesi assistevano ad un rallentamento della crescita della domanda interna e ad una riduzione dei prezzi interni rispetto ai rispettivi concorrenti europei. Il risultato è stato quindi quello di generare external imbalances.

Nei primi anni dell'unione monetaria, in Paesi come l'Irlanda, il Portogallo o la Spagna, la forte espansione della produzione a livello nazionale, rivolta soprattutto a voci altamente tassate come il consumo interno, ha portato ad un forte aumento delle entrate fiscali. La rapida crescita delle entrate fiscali è stata solitamente accompagnata ad un deterioramento del saldo delle partite correnti e della competitività, in quanto l'aumento della base imponibile era dovuto a fattori temporanei. In particolare, a  livello nominale la produzione aggregata tendeva ad aumentare a causa di un eccesso della domanda rispetto all'offerta. Il risultato era quello di generare pressioni sui salari, sui prezzi e sulla competitività verso l'estero.

La rapida crescita dei prezzi di alcuni asset, come quelli immobiliari, talvolta favorita da trattamenti fiscali particolari, ha ulteriormente contribuito all'incremento di entrate fiscali non previste ed altamente volatili. Alle maggiori entrate fiscali si accompagnava un aumento della spesa pubblica. Dal momento che la copertura della spesa si affidava ad entrate temporanee, i rischi per le finanze pubbliche aumentavano. Con l'aumento dei prezzi e dei salari, si riduceva la competitività verso l'estero per via di un apprezzamento reale del tasso di cambio, portando ad un deterioramento del saldo delle partite correnti e colpendo negativamente attraverso questo canale anche il PIL.

Lo scoppio della crisi e la contrazione del credito hanno portato ad un indebolimento della domanda privata, che è stato controbilanciato da un aumento dell'indebitamento pubblico. Il deterioramento delle finanze pubbliche a livello europeo, assieme alla perdita di competitività di molte sue economie, hanno portato alla luce lo stretto legame che intercorre tra deficit delle partite correnti e debito pubblico. A fronte di entrate fiscali che diminuivano, la spesa pubblica rimaneva stabile o addirittura aumentava per stimolare una domanda interna ormai molto debole, portando ad ampi deficit pubblici, favoriti da un crollo delle entrate fiscali. Il debito pubblico, in forte crescita per l'effetto combinato di un minore PIL e per un forte aumento della spesa pubblica, sostituiva quello privato.

Il legame tra fiscal ed external imbalances è duplice. Da un lato, ex ante, il deterioramento del saldo delle partite correnti può segnalare una fragilità dello stato delle finanze pubbliche che si manifesta solo a distanza di tempo e che non viene catturata dagli indicatori standard, come il rapporto deficit/PIL o debito/PIL. Infatti, fino a quando i prezzi degli asset continuano a crescere, gli indicatori della politica fiscale tendono a non mostrare segni di debolezza in quanto le maggiori spese statali vengono coperte da maggiori entrate fiscali, ma altamente volatili. Tuttavia, lo stesso eccesso di domanda rispetto all'offerta di beni (che porta a queste maggiori e inaspettate entrate fiscali) produce un deterioramento del saldo delle partite correnti. Per questo motivo una maggiore attenzione a tale indicatore potrebbe segnalare future debolezze strutturali delle finanze pubbliche.

 Dall'altro lato, ex post, un riequilibrio del saldo delle partite correnti può portare ad un miglioramento anche sul fronte della finanza pubblica. Un aumento della competitività implica un aumento delle esportazioni e così anche del PIL, a cui segue un aumento del gettito fiscale e quindi, a parità di spesa, ad un miglioramento dei saldi di bilancio e del rapporto debito/PIL.

 

Teorie relative agli external imbalances

In letteratura non vi è un generale consenso sul legame tra external e fiscal imbalances ma le teorie più autorevoli - come riepilogate nel citato documento Public Finances in EMU, 2010 - sono essenzialmente tre:

·       La prima, quella di impostazione keynesiana, è la cosiddetta teoria dei deficit gemelli e deriva dall'identità di contabilità nazionale, secondo la quale il risparmio aggregato è uguale all'investimento nazionale e al saldo delle partite correnti (in formule R=I+PC). A parità di investimento, se il risparmio aggregato diminuisce perché aumenta il disavanzo pubblico, allora il saldo delle partite correnti si deteriora. Gli effetti economici possono essere riassunti nel seguente modo. Una politica fiscale espansiva genera un aumento della domanda aggregata e quindi della produzione. A sua volta il maggior reddito porterà ad un aumento del consumo e degli investimenti, ma anche ad un deterioramento del saldo delle partite correnti. Il canale è duplice. Da un lato, la maggiore domanda pubblica si rivolge in parte a beni prodotti all'interno della nazione e in parte a beni prodotti all'estero, incrementando le importazioni. Dall'altro lato, la maggiore domanda aggregata crea pressioni sui prezzi e i salari interni, generando pressioni verso l'alto sul tasso di cambio reale e sulla competitività, portando ad un peggioramento del saldo delle partite correnti. Il risultato finale è un deficit pubblico accompagnato da un disavanzo commerciale, da cui l'idea dei deficit gemelli.

 

·       La seconda teoria studia i canali macroeconomici di trasmissione della politica fiscale diversi dal disavanzo e dal debito pubblico. Quando maggiori entrate fiscali non previste, come quelle derivanti da un boom creditizio, vengono spese, il saldo di bilancio rimane inalterato, ma la domanda aggregata e la produzione aumentano, in quanto l'effetto moltiplicatore di breve periodo della spesa pubblica viene considerato superiore rispetto a quello della tassazione[8]. L'aumento della domanda aggregata porta ad un aumento dei salari e dell'inflazione, facendo diminuire il tasso d'interesse reale. La maggiore inflazione influenza il PIL direttamente, facendone aumentare il valore nominale e riducendo il rapporto debito/PIL e deficit/PIL, mentre, in realtà, la situazione fiscale si sta deteriorando per via della perdita di competitività. Un tasso d'interesse reale basso alimenta ulteriormente il boom creditizio, stimolando la spirale di maggiori entrate inattese e di maggiore inflazione. Quando la bolla creditizia scoppia, le entrate diminuiscono a fronte di spese che rimangono rigide e il minor credito deprime gli investimenti, i consumi e il PIL. Entrambi gli effetti portano ad un inatteso ed improvviso deterioramento delle finanze pubbliche.

 

·       Dal lato microeconomico si considerano gli effetti di politiche fiscali sulle entrate e sulle uscite, che possono influenzare gli incentivi degli agenti economici o alimentare la formazione di bolle in settori come quello immobiliare. Un aumento dei salari pubblici e dell'occupazione nel settore pubblico, ad esempio, possono indurre un aumento dei salari anche nel settore privato, alimentando il boom creditizio e i prezzi dei beni immobiliari. Allo stesso tempo, trattamenti fiscali di favore per l'acquisto di una casa o per l'accensione del mutuo possono incentivare le transazioni che sono alla base della rapida crescita dei prezzi, in tal modo creando un canale di trasmissione dalla politica fiscale, al settore immobiliare e creditizio, ma anche al risparmio e all'investimento. Inoltre, questi effetti contribuiscono all'aumento dell'inflazione e delle entrate fiscali (canale macroeconomico).

 

External imbalances e consolidamento fiscale

I documenti degli uffici della Commissione richiamano alcuni studi che mostrano come gli aggiustamenti delle partite correnti e delle finanze pubbliche possono essere particolarmente costosi in termini di crescita del PIL. Tuttavia, ristabilire la competitività rispetto all'estero viene considerato un passo essenziale per eliminare questi squilibri e per riportare le finanze pubbliche su un sentiero di maggiore sostenibilità. Un deprezzamento reale del tasso di cambio porterebbe ad un aumento delle esportazioni, del PIL e anche della base imponibile, migliorando i saldi di bilancio e le prospettive di crescita del PIL.

Inoltre, il consolidamento fiscale può essere reso problematico da una crescita dell'economia stagnante. La sostenibilità del debito dipende dalla differenza tra crescita e tasso d'interesse. Tanto più alta la differenza tra i due tanto più sostenibile è il livello del debito nel lungo periodo, in quanto un maggiore PIL implica una maggiore base imponibile mentre tassi d'interesse bassi implicano un servizio del debito contenuto. Tuttavia, in molti Paesi dell'Europa dell'Est, vincoli di liquidità stringenti, ossia la presenza di imperfezioni nel mercato del credito, portano a tassi d'interesse elevati, mentre tassi di cambio reali sopravvalutati deprimono la crescita del PIL (in quanto un tasso reale di cambio elevato favorisce le importazioni alle esportazioni, riducendo la quota di beni destinati al consumo interno). Pertanto, alti tassi d'interesse combinati ad una bassa crescita, produrranno un effetto snow-ball elevato, soprattutto in presenza di un debito pubblico già elevato.

 

Come sottolinea il documento Public Finances in EMU, 2010, le alternative per rafforzare la competitività di un Paese sono essenzialmente tre: una svalutazione, una riduzione del costo dei fattori produttivi o un aumento della produttività. La prima possibilità non è disponibile per i Paesi dell'area Euro, in quanto la valuta è controllata a livello europeo e non dai singoli Stati. Le altre due opzioni implicherebbero riforme del mercato dei fattori produttivi, tali da allineare remunerazioni e produttività. Pertanto, la velocità ed il costo economico dell'aggiustamento degli external imbalances dipende dal grado di flessibilità dei prezzi e dei salari e dalla facilità con la quale le risorse verranno ridistribuite tra i settori nei diversi paesi. La presenza di rigidità nominali dei prezzi e dei salari rallenterebbe il processo di aggiustamento, portando ad un livello permanentemente basso di prodotto e ad un aumento della disoccupazione strutturale.

Ma gli aggiustamenti degli squilibri esterni non coinvolgono solo una riduzione dei costi di produzione e dei prezzi. E' inoltre necessario una riallocazione della domanda e delle risorse tra il settore tradable e non tradable. In particolare solo efficaci liberalizzazioni del settore dei beni non tradables (costituiti principalmente da servizi che contribuiscono a formare il prezzo finale dei prodotti destinati all'esportazione) porteranno ad un ritorno della competitività con l'estero.

 

Le problematiche connesse con il potenziale di crescita del paese sono state oggetto di osservazione da parte di alcuni soggetti auditi.

Nell'audizione del direttore generale della Banca d'Italia viene sottolineato come l'uscita dalla crisi possa essere una opportunità per porre le basi per attuare le riforme strutturali che accrescono la produttività e la competitività del paese. In particolare, si cita l'importanza di azioni a favore delle liberalizzazioni, soprattutto nel comparto dei servizi, e il rilancio nella realizzazione di opere infrastrutturali.  

Anche il presidente dell'ISTAT ha sottolineato l'influenza di un incremento della cosiddetta Produttività Totale dei Fattori, ossia il livello di efficienza con il quale i fattori produttivi vengono combinati. 

Secondo alcune stime preliminari presentate dal Governo a sostegno dell'azione di riforma della pubblica amministrazione[9], si calcola che un aumento dell'efficienza della pubblica amministrazione avrebbe un effetto moltiplicatore dell'1,7 per cento, ossia un incremento del 10 per cento dell'efficienza della pubblica amministrazione potrebbe produrre nell'arco di 20 anni un aumento cumulato del 17 per cento del prodotto.

 

External imbalances e nuova governance europea

La Commissione europea ritiene che una maggiore sorveglianza macroeconomica che consideri con attenzione il ruolo giocato dal saldo di parte corrente a livello internazionale ed europeo per garantire una maggiore stabilità all'economia globale nel suo complesso e alle finanze pubbliche.

I global imbalances sono una delle cause principali della crisi internazionale, in quanto hanno portato ad un eccesso di risparmio che ha depresso i tassi d'interesse, favorendo il boom creditizio ed immobiliare. Gli external imbalances in Europa avrebbero dovuto suonare un campanello d'allarme e segnalare che si era prossimi ad un deterioramento delle finanze pubbliche.

 Non stupisce che la Commissione Europea abbia proposto di ampliare l'insieme di indicatori da prendere in considerazione per valutare la stabilità dell'economia e delle finanze pubbliche dei diversi Paesi[10]. In particolare si utilizzeranno indicatori per valutare il rischio delle finanze pubbliche, della situazione macroeconomica e finanziaria e le rigidità di breve periodo per l'aggiustamento dei bilanci pubblici.


 

2. Il quadro di finanza pubblica

2.1 I saldi di finanza pubblica

La DFP aggiorna il quadro di finanza pubblica per il 2010 e per il triennio successivo rispetto alle previsioni presentate a maggio con la Relazione unificata per l'economia e la finanza (RUEF).

Il conto economico della Pubblica Amministrazione (PA) riflette, per il 2010, il nuovo quadro macroeconomico che vede una ripresa del commercio mondiale e tiene in considerazione gli effetti della manovra di aggiustamento dei conti pubblici approvata prima dell'estate.

La DFP conferma gli obiettivi di finanza pubblica indicati nella RUEF e concordati in sede europea e le nuove previsioni indicano un indebitamento netto tendenziale in linea con quello programmatico. In particolare, nel 2010, l'indebitamento netto rispetto al PIL è previsto attestarsi al -5 per cento; per il triennio successivo l'indebitamento netto programmatico è pari al -3,9 per cento nel 2011, al -2,7 per cento nel 2012 e al -2,2 per cento nel 2013 (cfr. tabella 2.1).

 

Le ultime previsioni rilasciate dal Fondo Monetario Internazionale per l’indebitamento netto dell'Italia si discostano leggermente da quelle della DFP[11], risultando pari al -5,1 per cento nel 2010, al -4,3 per cento nel 2011 e al -3 per cento nel 2012. Tale diverso quadro di finanza pubblica sembrerebbe principalmente connesso con le diverse ipotesi macroeconomiche adottate rispetto a quelle presentate nella DFP.

 

I nuovi obiettivi confermano un livello di indebitamento netto in linea con il valore programmatico riportato dalla RUEF di maggio. Il confronto con tali valori evidenzia invece alcuni scostamenti in relazione al saldo primario. In particolare, per gli anni 2011 e 2012 l'avanzo primario della DFP risulta essere inferiore rispetto a quello programmatico della RUEF dello 0,2 e dello 0,4 per cento, rispettivamente. La DFP spiega che il deterioramento dell'avanzo primario per il biennio 2011-2012 è dovuto al diverso quadro macroeconomico (nel 2011 il PIL crescerà di 0,2 punti percentuali in meno rispetto a quanto previsto dalla RUEF) e alla revisione della composizione delle entrate fiscali 2010 emersa dal monitoraggio.

Tuttavia, tale scostamento non incide sul raggiungimento dell'obiettivo di saldo grazie alla previsione di riduzione della spesa per interessi pari allo 0,2 per cento per il 2011 e 0,4 per cento per il 2012 (cfr. par. 4). Secondo la DFP, la spesa per interessi viene prevista inferiore rispetto a quanto indicato nello scorso maggio, poiché la curva dei rendimenti dei titoli di Stato stimata a settembre 2010, è più bassa rispetto a quella di febbraio 2010, utilizzata per le precedenti previsioni.

 

Tabella 2.1 Saldo Primario, spesa per interessi e indebitamento netto (programmatico) in percentuale del PIL

 

 

In coerenza con le innovazioni introdotte dalla legge n. 196/2009, la DFP presenta una serie molto articolata di tabelle, relative al conto economico e al conto di cassa delle amministrazioni pubbliche, nonché ai relativi conti (economici e di cassa) per sottosettori, recanti inoltre l’indebitamento netto per sottosettori al netto e al lordo delle una tantum e le variabili strutturali. Dalle intestazioni delle tabelle non emerge la differenziazione tra parte programmatica e previsioni tendenziali (a legislazione vigente).

La legge di contabilità prescrive infatti che la DFP presenti "le previsioni tendenziali a legislazione vigente ...dei flussi di entrata e di uscita del conto economico ..." (art.10, comma 2, lett. b), nonché "gli obiettivi programmatici... in rapporto al prodotto interno lordo... per l'indebitamento netto, per il saldo di cassa e per il debito...." (art.10, comma 2, lett. e).

La mancata diversificazione ha poco rilievo in termini di indebitamento netto, poiché la manovra correttiva approvata prima dell’estate realizza contenimenti di spesa e aumenti di entrate tali da conseguire – nelle previsioni a legislazione vigente – gli obiettivi pluriennali di saldo. I risultati differenziali riportati nelle tabelle (nella tabella 2.1 relativa al conto economico della PA, nelle tabelle 2.2a, 2.2b, 2.2c relative ai sottosettori, nonché nella tabella 2.3, relativa ai saldi, al netto e al lordo delle una tantum) corrispondono agli obiettivi di saldo per il prossimo triennio e sembrerebbero rappresentare valori programmatici.

La stessa DFP conferma tale elemento, sostenendo che la linea di rientro per deficit e debito realizzata con la manovra di luglio e incorporata nei conti è stata accettata in sede europea. Gli importi relativi al deficit e al debito sembrerebbero rappresentare quindi l'impegno programmatico che l'esecutivo si assume nei prossimi esercizi.

L’articolazione delle previsioni (economiche e di cassa) in termini di voci di entrata e di spesa sembrerebbe, d’altro canto, avere natura tendenziale a legislazione vigente. I criteri di costruzione delle previsioni a legislazione vigente implicano che i tendenziali non incorporano – per definizione - una serie di voci connesse ad autorizzazioni legislative in scadenza, ma che verosimilmente dovranno essere rinnovate nel periodo di riferimento. Gli esempi principali sono dati dalla spesa in conto capitale, di solito autorizzata con legislazione annuale o pluriannuale (triennale o quinquennale) e da voci connesse con i contratti di servizio pubblico (ANAS, FS, Poste)[12]. La dinamica decrescente della spesa in conto capitale, evidente nelle tavole della DFP, in parte riflette anche tale specificità.

Nei conti a legislazione vigente “… dovrebbe essere segnalata una significativa sottostima della spesa futura che richiederebbe un apposito finanziamento” (Corte dei Conti, audizione presso le Commissioni bilancio, ottobre 2010, pag. 13). In altre parole, l’esigenza di far fronte a tali spese - non incluse nei conti, ma verosimilmente da sostenere per la continuità nella prestazione dei servizi - implica la necessità di definire misure dirette ad attivare ulteriori risorse, in modo tale da consentire la continuità amministrativa nell’ambito dei saldi di riferimento.

In tal senso, la stessa legge 196/2009 richiede "l’indicazione di massima ...delle risorse finanziarie necessarie a confermare normativamente ... gli impegni e gli interventi adottati negli anni precedenti..." (art.10, comma 2, lett. d), indicazioni che peraltro non risultano presenti nella DFP in esame.

 

Una delle innovazioni della DFP è la presentazione della ripartizione degli obiettivi programmatici tra i sottosettori della Pubblica Amministrazione. Tali informazioni aggiuntive consentono di analizzare in modo più approfondito l'andamento dell'indebitamento nel periodo 2010-2013. La tabella 2.2  e la tabella 2.3 riportano l'indebitamento netto, l'avanzo primario e la spesa per interessi in percentuale del PIL, articolati per sottosettore.

Come già visto, l'indebitamento netto della PA tende a ridursi nel corso del quadriennio 2010-2013, passando dal -5 per cento del 2010 al -2,2 per cento del 2013. Considerando l'articolazione per sottosettori si nota come l'indebitamento netto delle Amministrazioni Centrali (AC) segua lo stesso andamento decrescente di quello della PA, passando dal -5 per cento nel 2010 al -1,7 per cento nel 2013. L'indebitamento netto delle Amministrazioni Locali (AL) e degli Enti di Previdenza (EP) si attesta su un livello stabile, intorno al -0,5 per cento e allo 0,3 per cento rispettivamente. I due saldi tendono a compensarsi a vicenda, per segni ed entità. Se si guarda al saldo di cassa si nota, inoltre, che quello della PA corrisponde per intero a quello delle Amministrazioni Centrali, mentre le Amministrazioni Locali e gli Enti di Previdenza registrano un saldo di cassa pari a zero.

 

Gli andamenti del saldo per sottosettore possono essere analizzati sulla base dalle voci che lo compongono, ossia il saldo primario e la spesa per interessi in percentuale del PIL. Come si può notare dalla tabella 2.3, che riporta i valori del conto economico non consolidato, nel 2010 le Amministrazioni Centrali registrano un disavanzo primario pari al -0,6 per cento, mentre per il triennio 2011-2013 esse registreranno un saldo primario positivo e in crescita, pari allo 0,7 per cento, al 2,2 per cento e al 2,9 per cento rispettivamente. A fronte di entrate finali quasi costanti rispetto al PIL, l'aumento dell'avanzo primario è principalmente dovuto ad una riduzione della spesa al netto degli interessi e a legislazione vigente, che passa dal 26 per cento PIL nel 2010 al 22,5 per cento nel 2013 (cfr. tabella 2.5).

Le Amministrazioni Locali registrano un saldo primario negativo per l'intero periodo 2010-2012, ma costante intorno al -0,2 per cento. E' da notare che il saldo primario non varia perché le entrate finali e le spese finali al netto degli interessi diminuiscono nel corso del quadriennio allo stesso tasso. Per gli Enti di Previdenza il saldo rimane positivo per l'intero periodo, ma tende a diminuire per via di un deterioramento delle entrate a fronte di spese che rimangono costanti.

 

La tabella 2.5 - elaborando le informazioni contenute nella DFP - riporta le principali voci del conto economico della PA, articolato per sottosettori, dalle quali sono state escluse le poste di consolidamento (i trasferimenti da e per amministrazioni pubbliche e una piccola quota di interessi). Esaminando i dati in percentuale del PIL si nota che per il quadriennio 2010-2013 le Amministrazioni Centrali registrano un avanzo, in crescita dall'8 per cento del 2010 al 10 per cento del 2013. Le Amministrazioni locali, al contrario, registrano un indebitamento netto pari al -8,21 per cento nel 2010 ed in diminuzione per gli anni successivi; anche gli Enti di Previdenza registrano un indebitamento netto costante intorno al -5 per cento del PIL.

 

Il quadro diverso che sembrerebbe derivare da tali raffigurazioni, in realtà, riflette le specificità dei criteri di finanziamento dei sottosettori all’interno della PA e in particolare le caratteristiche di finanza derivata sia delle amministrazioni territoriali che degli enti di previdenza, i quali basano sui trasferimenti dal bilancio dello Stato una quota rilevante del proprio finanziamento. Poiché, infatti, essi ricevono trasferimenti dalle Amministrazioni Centrali, l’esclusione di tali voci ai fini del consolidamento implica l’evidenziazione di divari tra entrate e spese di entità significativamente diversa dai saldi che le includono. Tale aspetto non riflette comportamenti di maggiore o minore disciplina fiscale, quanto piuttosto le caratteristiche istituzionali di finanziamento delle attività pubbliche.

L'analisi rende evidente peraltro come la misura dei valori di saldo programmatico delle Amministrazioni Locali e degli Enti di Previdenza dipenda dalla entità dei trasferimenti che i settori ricevono dal livello centrale, soprattutto in presenza di una regola sul saldo (come quella relativa al patto di stabilità interno) che influisce sulla dinamica di spesa degli enti.

Tale considerazione dovrebbe essere tenuta presente nell'ambito del quadro di attuazione dell'articolo 119 Cost., in base al quale - al termine del processo – i trasferimenti dal livello centrale dovrebbero essere sostituiti da entrate proprie, con l’eccezione delle risorse destinate a funzioni perequative e a interventi speciali (ai sensi del comma quinto dell'articolo costituzionale). Si tratta di un processo che, correttamente, non si coglie nei quadri di previsione dei sottosettori (i quali sono costruiti a legislazione vigente e che recano per l’intero periodo di previsione la voce "trasferimenti da amministrazioni pubbliche"), ma che è in corso e che dovrebbe completarsi nel corso del periodo di riferimento del documento in esame.

In altre parole, l'attività di coordinamento della finanza pubblica tra livelli di governo - fino alla attuazione dell'articolo 119 Cost - sembrerebbe fondarsi principalmente sulla regolazione del volume dei trasferimenti, che per il triennio 2011-2013 risulta operata dalla manovra correttiva di luglio. Con l'attuazione del federalismo fiscale, peraltro, tale regolazione non potrebbe più fondarsi sui trasferimenti (che non esisterebbero più) e i margini per il coordinamento risulterebbero più limitati, essendo condizionati da un lato dalle entrate proprie assegnate e dall'altro dalla possibilità per le autonomie territoriali di indebitarsi solo per finanziare la spesa in conto capitale .

 

La DFP presenta le previsioni per il triennio 2011-2013 dei saldi di cassa per il Settore Pubblico ed i sottosettori. Rispetto a quanto previsto dalla l. 196/2010, che richiede il saldo di cassa riferito all'aggregato delle Amministrazioni Pubbliche, la DFP prende a riferimento il Settore Pubblico. La scelta del diverso perimetro di riferimento (seppur quasi coincidente) è motivata dalla necessità di un progressivo adeguamento al dettato normativo, che deve andare parallelamente al processo di miglioramento delle basi informative e della qualità dei dati raccolti.

 

Le stime di saldo presentate, desumibili sulla base dei quadri articolati per voce  economica, dovrebbero coincidere con gli importi programmatici, anche se nel documento non si hanno indicazioni al riguardo.

 

La DFP stima un fabbisogno del Settore Pubblico pari al -5,4 per cento nel 2010. Nel triennio successivo si prevede una diminuzione del saldo che dal -4 per cento del 2011 passa al -2,6 per cento del 2012 e al -1,9 per cento nel 2013.

A livello di sottosettori, le Amministrazioni Centrali seguono lo stesso trend previsto per il settore pubblico, mentre per le Amministrazioni Locali e gli Enti di Previdenza si prevede un saldo pari a zero nel triennio 2011-2013.

 

Al fine di valutare più compiutamente il rapporto tra PA e sottosettori in relazione ai saldi di cassa, sarebbe utile acquisire una diversa articolazione dei dati di consuntivo riferiti agli ultimi 5 anni, tenuto conto che quelli disponibili presentano una aggregazione diversa rispetto ai sottosettori di contabilità nazionale (cfr. par. 4 del presente lavoro).    

 

Per meglio valutare il quadro di finanza pubblica e il contributo dei sottosettori che emerge dai quadri di previsione della DFP, si possono analizzare le voci consolidate di entrata e di spesa dei sottosettori della PA sia in termini di evoluzione nominale che di rapporti sul PIL (cfr. tabella 2.5).  

Per quanto riguarda la PA nel suo complesso, l'andamento delle spese finali mostra in termini nominali una crescita media di circa l'1 per cento, in termini di PIL, in diminuzione nel corso del quadriennio 2010-2013, dal 47,3 per cento nel 2010 al 43,9 per cento nel 2013.

Le spese finali delle Amministrazioni Centrali evidenziano, in termini nominali, una diminuzione media sul triennio 2011-2013 del -1,45 per cento. Tale dinamica implica una flessione del rapporto spesa su PIL tra il 2011 e il 2013, al 10,4 per cento.

La quota delle spese finali sul PIL delle Amministrazioni Locali tende a diminuire nel quadriennio 2010-2013 passando dal 16 per cento del 2010 al 14,5 per cento nel 2013. I dati nominali mostrano come, a fronte di una limitata dinamica media nel periodo (+0,34), le spese delle Amministrazioni Locali siano previste in diminuzione nel 2011 (-2,29 per cento), per poi aumentare sia nel 2012 che nel 2013 (rispettivamente dello 0,78 per cento e del 2,53 per cento).

Per quanto riguarda gli enti di previdenza, la quota di spese finali in termini di PIL mostra un andamento decrescente, passando dal 19,2 per cento del 2010 al 18,9 per cento del 2013, con una variazione media nel periodo dello 0,8 per cento. L'andamento della spesa in termini nominali evidenzia il valore più elevato rispetto agli altri settori di spesa, in media pari al 3 per cento.

La tabella 2.4 riporta la composizione della spese e delle entrate finali del conto economico della PA. Per quanto riguarda la spesa della PA, la quota degli Enti di Previdenza è la più elevata e in crescita dal 40,6 per cento nel 2010 al 43,1 per cento nel 2013. La quota delle Amministrazioni Locali rimane costante per il quadriennio considerato, attestandosi intorno al 33 per cento, mentre quella delle Amministrazioni Centrali mostra una maggiore variabilità passando dal 25 per cento nel 2010 al 23 per cento nel 2013. Pertanto, dal momento che la spesa della PA in percentuale del PIL tende a diminuire nel corso del quadriennio, le spese finali delle Amministrazioni Centrali diminuiscono più che proporzionalmente, mentre quelle degli Enti di Previdenza diminuiscono meno che proporzionalmente. Per quanto riguarda le entrate, la quota più elevata, intorno al 53 per cento, spetta alle Amministrazioni Centrali e tende a rimanere costante nel tempo. Quella delle Amministrazioni Locali e degli Enti di Previdenza è pari, rispettivamente, al 17 e al 29 per cento e non mostra variazioni di rilievo nel periodo considerato.

 


 

Tabella 2.2

Indebitamento netto e fabbisogno articolati  per sottosettori (dati conto economico non consolidato)

 

Tabella 2.3

Avanzo primario e spesa per interessi articolati  per sottosettori (dati conto economico non consolidato)

 

Tabella 2.4

Composizione delle spese e delle entrate della PA per sottosettore, Conto Economico consolidato (valori percentuali).


Tabella 2.5Conto Economico consolidato della PA

Nota: il conto consolidato della PA viene ottenuto escludendo dalle voci di entrata e di spesa i trasferimenti tra sottosettori e riducendo la spesa per interessi delle AL, per la quota corrispondente agli interessi pagati alle AC (gli importi di tale componente sono stati forniti per le vie brevi dalla Ragioneria Generale dello Stato).

2.2 Le previsioni di entrata

Le previsioni per il 2010

Le entrate finali previste dal conto economico delle AP si attestano nel 2010 a 730.529 milioni di euro, in aumento di 12.474 milioni (+1,7 per cento) rispetto al 2009. Nel dettaglio, aumentano le entrate tributarie (+1,3 per cento) e i contributi sociali (+1,0 per cento). All'interno delle entrate tributarie totali si nota un incremento sia delle imposte dirette (+1,7 per cento) che di quelle indirette(+5,9 per cento), così come delle entrate in conto capitale non tributarie (+58,3 per cento). La pressione fiscale si attesta al 42,8 per cento sul PIL, diminuendo di -0,4 per cento rispetto all'anno precedente.

Rispetto alle previsioni della RUEF, le entrate finali aumentano di 2.916 milioni (+0,4 per cento). All'interno delle entrate tributarie si nota peraltro come vi sia una revisione significativa nella composizione delle imposte dirette, che si attestano a 226.355 milioni, in riduzione di circa -7.156 milioni (-3,1 per cento), e indirette, che si attestano a 219.181 milioni, in aumento di 7.354 milioni (+3,5 per cento). Secondo quanto indicato dalla DFP, tale adattamento è dipeso dall'attività di monitoraggio sull'andamento mensile dei gettiti tributari compiuto da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze, il quale "... determina, a parità di ipotesi di crescita, una riduzione del gettito atteso per effetto della diversa elasticità delle sue componenti". Anche l'ultima voce relativa alle entrate tributarie, legata alle imposte in conto capitale, è in aumento (+36,9 per cento).

 

Va osservato che il livello atteso delle entrate finali per il 2010 sembra non essere stato influenzato significativamente  dalla revisione al rialzo della crescita attesa per il 2010  rispetto a quanto ipotizzato dalla RUEF (+0,2 punti percentuali). Non completamente chiare sono altresì le ragioni della significativa ricomposizione tra entrate dirette e indirette. Il richiamo ai risultati del monitoraggio sembrerebbe ricondurre tale dinamica alle caratteristiche della evoluzione congiunturale del sistema economico, mentre il rinvio alle elasticità (non è chiaro se si faccia riferimento alle elasticità teoriche, ovvero a quelle effettive, calcolate ex post) sembrerebbe supporre modifiche di natura più strutturale del rapporto tra sistema economico e amministrazione finanziaria.

La dinamica delle imposte dirette è riconducibile a un rallentamento nell’evoluzione della componente reddituale, che sembrerebbe scontare una variazione al ribasso della stima rispetto alla RUEF sull'andamento del tasso di crescita dell'occupazione (unità di lavoro), che passa da -0,4 per cento della RUEF a -1,5 per cento e che si riflette sul restringimento della base imponibile IRPEF. Nell'analisi dell'andamento macroeconomico la DFP ricorda come l'incremento del ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni e la riduzione degli occupati dipendenti registrati durante la prima parte del 2010 segnalano il perdurare della debolezza del mercato del lavoro. Sempre secondo la DFP, al peggioramento del dato previsivo sulle imposte dirette contribuisce l'andamento negativo, superiore alle attese, delle ritenute su interessi e premi corrisposti da aziende ed istituti di credito.

Sull’evoluzione delle imposte dirette nell’esercizio in corso potrebbero, inoltre, pesare ulteriori elementi. Come rilevato dalla Corte dei conti nel corso dell’audizione, non può escludersi che il calo di gettito sia riferibile “ad una non permanente acquisizione di basi imponibili emerse a seguito dei diversi interventi di contrasto dell’evasione adottati negli ultimi anni”. Ove confermati, tali fattori si rifletterebbero sugli andamenti relativi al prossimo triennio.

L'andamento più favorevole del previsto delle imposte indirette viene ascritto dalla DFP all'evoluzione dell'IVA relativa sia alla componente di transazioni interne, sia a quella delle importazioni. In particolare, la componente interna beneficia favorevolmente delle minori compensazioni d'imposta[13], che si traducono in un incremento delle entrate nette. Come ricordato dalla Banca d'Italia[14], il cambiamento della legislazione in materia ha comportato, nei primi sette mesi del 2010, una riduzione delle compensazioni Iva per complessivi 4,8 miliardi rispetto all'anno precedente. Dall'applicazione delle norme deriverebbe uno slittamento temporale delle compensazioni stesse ma anche, probabilmente, una riduzione strutturale degli importi compensati.

L'entità della riduzione delle compensazioni potrebbe far supporre un risultato in termini di maggior gettito strutturale significativamente superiore alla quantificazione iniziale della disposizione. A questo proposito, sarebbe utile che il Governo fornisse informazioni aggiuntive sull'attuazione della norma, evidenziando in particolare quanta parte delle mancate compensazioni possa corrispondere a comportamenti in prevalenza evasivi e quanta si tradurrebbe in meri slittamenti temporali.

 

Il Conto economico trimestrale delle amministrazioni pubbliche, rilasciato ai primi di ottobre dall'ISTAT, relativo al primo semestre 2010, riporta i dati di gettito delle entrate totali per il periodo considerato, che attestano una diminuzione, rispetto all'analogo periodo del 2009, del -0,8 per cento. In particolare, le imposte indirette sono in aumento (+1,1 per cento), così come i contributi sociali (+1,0 per cento), mentre le dirette in diminuzione (-1,3 per cento).

Le indicazioni che derivano dall'analisi dei dati sembrano confermare la direzione delle previsioni della DFP, anche se informazioni più precise possono aversi solo nella seconda metà dell'anno a causa della ciclicità dei versamenti di imposta, concentrati principalmente in chiusura di esercizio.

 

Ulteriori informazioni, più disaggregate per tipologia di tributo, sono contenute nel Bollettino delle entrate tributarie di luglio 2010. Secondo il documento, nei primi sette mesi del 2010 le entrate tributarie sono state pari a 218.311 milioni, in flessione rispetto  allo stesso periodo del 2009 (–3,1 per cento). Le cause di tale risultato – secondo quanto indicato nel documento - sono da imputarsi alla riduzione del gettito derivante dall’imposta sostitutiva su interessi e altri redditi da capitale (–52,5 per cento), attribuibile sia al previsto minor versamento a saldo (febbraio 2010) conseguente alla riduzione dei tassi d’interesse avvenuta nel 2009, sia alle minori ritenute rispetto agli interessi corrisposti sui buoni postali fruttiferi rimborsati nel 2009. Le altre cause di flessione sono identificate nella contrazione del gettito IRES (–9,0 per cento), di quello del lotto (–15,0 per cento) e di quello degli oli minerali (–7,2 per cento). Vengono meno anche le entrate una tantum dovute al riallineamento dei valori contabili per l’adozione degli IAS (-69,7 per cento). Al contrario, un incremento di gettito viene segnalato per l'IRE (+2,3 per cento) e per l'IVA (+4,0 per cento).

Le previsioni d'entrata per il triennio 2011 - 2013

Per il triennio 2011-2013, le previsioni relative alle entrate tributarie sono state effettuate tenendo in considerazione il nuovo quadro macroeconomico, gli effetti di trascinamento della revisione dell'anno base derivanti dall'attività di monitoraggio dei gettiti relativi alle entrate prodotti mensilmente e, infine, gli effetti del d.l. n. 78/2010. 

Nel triennio considerato le entrate totali finali crescono ad un tasso medio del +3,2 per cento, mostrando una accelerazione nel periodo finale di previsione. Le entrate tributarie aumentano in media del +3,6 per cento (+2 per cento, +5,2 per cento, +3,7 per cento in ciascun anno di previsione), mentre si riduce la componente delle entrate in conto capitale non tributarie, con una diminuzione media pari a -0,1 per cento. Sia le entrate dirette che quelle indirette crescono ad un tasso medio superiore al 3 per cento (3,8 per cento e 3,7 per cento rispettivamente). In aumento anche i contributi totali, con crescita costante nell'arco della previsione (+2,7 per cento).

La pressione fiscale oscilla intorno al 42,5 per cento sul PIL nel periodo di riferimento, in discesa nel 2011 al 42,4 per cento, per poi risalire leggermente al 42,6 per cento nel 2012 e ritornare nuovamente a 42,4 nel 2013.

Rispetto alle previsioni della RUEF le entrate finali, in precedenza quantificate a 744.655 milioni, aumentano di 1.417 milioni (+0,2 per cento). Rispetto a quanto stimato in maggio, anche negli esercizi 2011-2013 si nota inoltre una diversa composizione tra imposte dirette ed indirette, riconducibile all''effetto di trascinamento della ricomposizione stimata per il 2010.

 

Per una migliore valutazione dell'attendibilità  delle previsioni  sarebbe utile acquisire dal Governo indicazioni sulle previsioni disaggregate per tipologia d'imposta.

2.3 Le previsioni di spesa

Nel corso del 2010 la spesa finale al netto degli interessi della PA in termini nominali è prevista pari a 735,6 miliardi di euro circa, con un incremento rispetto al 2009 di circa 1,1 punti percentuali. La spesa corrente primaria cresce del 2,2 per cento, mentre la spesa in conto capitale si riduce del 9,6 per cento.

Per il triennio 2011-2013 la spesa finale primaria viene prevista in riduzione nel 2011 (-0,3 per cento rispetto al 2010) e poi in moderata ripresa negli esercizi successivi (1,0 e 2,2 per cento rispettivamente per il 2012 e 2013). Il rapporto sul PIL evidenzia una costante riduzione nel triennio passando dal 45,8 nel 2011 al 44,5 nel 2012, al 43,8 nel 2013. La spesa corrente primaria presenta una evoluzione media dell’1,4 per cento annuo,  più contenuta nel primo esercizio e poi in moderata ripresa in quelli successivi. La spesa in conto capitale è stimata in diminuzione per tutto il periodo di previsione.

 

Nel dettaglio, le previsioni di spesa per redditi da lavoro dipendente, pari a 175 miliardi circa nel 2010, mostrano - nel triennio 2011-2013 - una evoluzione estremamente contenuta (-0,6 nel 2011, 0,1 nel 2012 e 0,3 nel 2013), decisamente inferiore rispetto alla dinamica presentata negli esercizi precedenti (2,3 per cento medio nel periodo 2005-2009). Le stime scontano le misure di contenimento della spesa adottate con il decreto-legge n. 78/2010.

 

Il confronto con le previsioni presentate lo scorso maggio nella RUEF evidenzia che la revisione della spesa per redditi da lavoro dipendente riportata nella DFP risulta superiore rispetto alla quantificazione delle misure relative al pubblico impiego adottate con la manovra estiva.

Su tale voce potrebbe essere scontata una parte dei risparmi connessi con il patto di stabilità interno.

 

La spesa in consumi intermedi nel 2010 risulta stimata in 139,5 miliardi di euro, in crescita del 2,8 rispetto all’esercizio precedente. Nel triennio 2011-2013 le stime della DFP riflettono gli effetti della manovra correttiva di luglio, evidenziando una contrazione nel 2011 (-0,4) e una moderata dinamica negli anni successivi (1,9 e 3,1 rispettivamente). In termini di PIL, la voce si riduce di 0,1 punti percentuali in ciascun esercizio.

 

La spesa per prestazioni sociali, che rappresenta una quota significativa della spese correnti primarie, presenta - a partire dal 2010 - tassi di crescita inferiori rispetto agli anni precedenti, scontando l'effetto dei risparmi previsti dalla manovra correttiva di luglio. L'analisi delle tendenze di medio-lungo periodo contenuta nella DFP evidenzia che tali misure – che sono stimate avere effetti crescenti nel corso degli anni - permettono la riduzione della quota sul PIL della spesa pensionistica, che passerebbe dal 15,3 per cento nel 2011 al 14,8 nel periodo 2021-2026.  

 

La spesa sanitaria viene prevista pari a 115 miliardi circa nel 2010. La crescita prevista per il triennio successivo è prevista tale da mantenere costante al 7,2 per cento il rapporto sul PIL. La previsione di spesa riportata nella DFP tiene conto delle manovre di contenimento operate nel 2008 - come rideterminate a seguito della sottoscrizione del Patto sulla salute 2010-2012 – e nel corrente anno. Come specificato nella Nota metodologica, la stima sconta i risparmi derivanti dalla prosecuzione dei piani di rientro.

 

Ai fini della valutazione della previsione di spesa sanitaria sarebbe utile acquisire indicazioni aggiuntive sulla attuazione dei Piani di rientro già sottoscritti e sull’entità, e sul relativo profilo temporale, dei risparmi attesi, posto che per le prime regioni che hanno firmato gli accordi nel 2007 si riscontra tuttora (ad eccezione della Liguria) una situazione di squilibrio.

Informazioni supplementari sarebbero utili altresì sul quadro finanziario aggiornato per le restanti regioni, al fine di valutare le nuove criticità emerse in sede di monitoraggio annuale o anche successivamente.

 

Le spese in conto capitale viene stimata pari a 59,4 miliardi nel 2010, in riduzione rispetto al consuntivo 2009. Nel triennio successivo le previsioni evidenziano una diminuzione costante pari a -8,5 nel 2011, -3,8 nel 2012 e –0,8 nel 2013, tale da implicare una costante riduzione della quota sul PIL che dal 2,3 del 2010 passa al 2,0 nel 2013.

Rispetto a quanto previsto nella RUEF, la DFP riporta una sostanziale riduzione della stima, che ricade quasi interamente sugli investimenti fissi lordi, connessa verosimilmente con la manovra correttiva di luglio.

Al netto dei trasferimenti tra settori, la spesa in conto capitale per le Amministrazioni Centrali mostra una diminuzione sostenuta nel 2010 (-15 per cento circa) e pari a circa il 3,8 medio nel triennio successivo. Per le Amministrazioni Locali si evidenzia una diminuzione media del 4 per cento, con una contrazione marcata nel 2011, quando la diminuzione risulterebbe pari al 10 per cento circa; su tale componente opera il contenimento della spesa connesso con i più stringenti obiettivi di Patto di stabilità interno.

 

La dinamica della voce sconta sia gli effetti delle misure correttive di luglio sia l’adozione del criterio delle previsioni a legislazione vigente, che – a causa della scadenza dei rifinanziamenti delle leggi in conto capitale – implica volumi decrescenti di spesa in conto capitale. Qualora la legge di stabilità o futuri provvedimenti intendessero proporre rifinanziamenti di tale componente, il rispetto degli obiettivi di saldo implicherebbe l'esigenza di individuare corrispondenti compensazioni sulla spesa corrente o sulle entrate.

La citata audizione del direttore generale della Banca d'Italia sottolinea il ruolo delle infrastrutture per la capacità di crescita del paese, citando l’evidenza dell’impatto positivo del capitale pubblico sulla performance del sistema economico: alcune stime indicano che ad ogni punto percentuale di aumento dello stock di capitale pubblico possa corrispondere un aumento del prodotto di circa lo 0,6 per cento.

La Banca d'Italia sottolinea altresì alcune criticità sulle modalità di gestione della spesa, tra le quali la insufficienza del quadro finanziario di riferimento in termini di adeguatezza e continuità dei fondi per le opere già approvate, la mancanza di coordinamento tra i diversi livelli di governo (tema particolarmente importante in vista dell'attuazione del federalismo fiscale), nonché la necessità di una valutazione sistematica dell'azione pubblica vista come elemento fondamentale nell'adozione di eventuali correttivi.

Anche la Corte dei Conti esprime preoccupazioni per l’evoluzione stimata della spesa in conto capitale, soprattutto delle Amministrazioni Locali, che risente della inadeguatezza di un meccanismo, come quello del Patto di Stabilità Interno, che opera in modo indifferenziato e non selettivo nell’azione di contenimento della spesa.


 

3. I saldi strutturali

La Decisione presenta gli indicatori delle variabili macroeconomiche e di finanza pubblica rilevanti per la stima del saldo di bilancio strutturale, al netto cioè delle misure una tantum e degli effetti del ciclo economico[15].

Tali indicatori consentono di confrontare le indicazioni programmatiche del Governo con quanto prescritto dal Patto di stabilità e crescita.

Le variabili rilevanti ai fini della costruzione degli indicatori strutturali

Il PIL potenziale rappresenta il livello teorico massimo di produzione che un paese può raggiungere senza causare tensioni inflazionistiche. Esso esprime, pertanto, i fondamentali dell’economia e la componente strutturale della crescita, cui si confronta l’andamento registrato in un determinato momento del ciclo economico.

Il PIL potenziale non è direttamente osservabile, ma risulta, secondo la metodologia approvata dall’Ecofin e utilizzata dagli Stati membri per il calcolo degli indicatori strutturali richiesti dal Programmi di stabilità, dalla stima statistica prodotta utilizzando sia i valori effettivamente registrati a consuntivo negli anni precedenti, sia il valore del PIL atteso nel periodo di previsione. Da ciò derivano due conseguenze: i) difficilmente il calcolo del PIL potenziale è in grado di cogliere appieno i punti di inversione del ciclo e gli effetti di cambiamenti strutturali; ii) la variazione del valore atteso del PIL per il periodo di previsione o le modifiche riguardanti i dati di consuntivo (conseguenti anche a revisioni contabili) determinano una revisione dell’output gap anche negli anni in cui non si è verificata alcuna variazione nella crescita effettiva (o attesa). A parità di parametro relativo alla sensibilità del bilancio al ciclo e di valore nominale dell’indebitamento netto effettivo (o atteso), si può verificare pertanto una variazione del saldo strutturale[16].

L’output gap costituisce una misura degli effetti del ciclo economico sull’andamento del PIL. Tale parametro è calcolato come differenza (in valore assoluto) tra PIL effettivo e PIL potenziale, rapportata al PIL potenziale: un valore negativo (positivo) segnala quindi un prodotto inferiore (superiore) al suo livello potenziale. In presenza di un output gap negativo, una revisione del PIL potenziale verso un profilo di crescita più basso comporta una “minore distanza” tra l’andamento effettivo (o stimato) del PIL e il potenziale di crescita dell’economia. Di conseguenza l’output gap si riduce, pur restando negativo, rispetto alle precedenti stime.

La componente ciclica del saldo di bilancio é definita come il prodotto tra la stima della sensibilità al ciclo delle entrate e delle spese correnti e l’output gap. La sensibilità del saldo di bilancio all’andamento del PIL è un parametro, il cui valore, individuato sulla base degli andamenti registrati nell’arco di un decennio, viene periodicamente aggiornato in sede europea. Per l’Italia esso è attualmente pari a 0,5, quale somma delle elasticità delle entrate e delle spese.

L’indebitamento netto corretto per il ciclo e al netto delle una tantum costituisce il saldo strutturale del bilancio pubblico. Per ottenere tale indicatore, occorre in primo luogo depurare l’indebitamento netto dalla sua componente ciclica: se negativa, tale componente si sottrae all’indebitamento netto nominale, migliorando il saldo in termini strutturali; viceversa in caso di componente ciclica positiva.

L’indebitamento netto corretto per il ciclo va poi depurato delle misure una tantum (cfr. infra), sottraendo sia le entrate che le spese identificate come straordinarie: in caso di prevalenza delle prime sulle seconde il saldo strutturale risulterà peggiore del saldo corretto per il solo ciclo, viceversa in caso di prevalenza delle spese sulle entrate.

 

La Tabella 3.1 riporta le variabili macroeconomiche e i saldi strutturali indicati nella DFP, confrontandoli con quelli contenuti nei precedenti documenti.

Si ricorda che nei documenti di finanza pubblica i saldi strutturali, relativamente al periodo di previsione, sono calcolati sulla base dell’indebitamento netto programmatico. Per quanto concerne l’esercizio in corso, si fa riferimento al valore tendenziale del saldo, mentre per gli esercizi passati si considera il valore effettivamente registrato a consuntivo.

 

Tabella 3.1

Indicatori strutturali - Confronto documenti programmatici


3.1 Confronto con le precedenti previsioni

Come evidenziato dalla Tabella 3.1 e dal Grafico 3.1, nell’arco degli ultimi mesi sono stati progressivamente rivisti in peggioramento i valori dell’indebitamento netto strutturale relativamente all’esercizio di consuntivo e a quello in corso al momento della redazione dei documenti.

Si confermano, invece, le stime relative al periodo di previsione, che sottendono un miglioramento del saldo in linea con quanto richiesto in sede comunitaria (una riduzione pari o superiore a 0,5 punti percentuali all’anno), seppure su serie di dati di livello “più basso”.

Per il prossimo triennio, le previsioni contenute nella Decisione, che incorporano gli effetti della manovra approvata nello scorso mese di luglio, confermano per il 2011 gli obiettivi di saldo strutturale indicati a partire dal giugno 2009 con il precedente DPEF (-2,5 per cento del PIL), mentre per il 2012 emerge un andamento lievemente migliore rispetto alle precedenti stime. Nel 2013, anno finale del periodo preso in considerazione, l’indebitamento strutturale in luogo di una ulteriore correzione in riduzione prevede un nuovo seppur limitato (+0,1 per cento) aumento.

 

Grafico 3.1

Indebitamento netto strutturale - Confronto previsioni

 

In particolare, rispetto alle stime contenute nell’aggiornamento 2008 del Programma di stabilità, presentato a distanza già di alcuni mesi dall’inizio della crisi economico-finanziaria internazionale, la Decisione evidenzia un peggioramento del saldo strutturale pari all’1,4 per cento del PIL nel 2010 e dello 0,8 per cento nel 2011[17]  Tale variazione è ascrivibile alla revisione in aumento dell’obiettivo di deficit in termini nominali (+1,7 per cento e +1 per cento, rispettivamente, nei due anni), che si accompagna ad una componente ciclica che accentua il suo carattere negativo.

Limitate, invece, le variazioni nelle stime che emergono dal confronto con la RUEF presentata nello scorso mese di maggio. A parità di saldo nominale e di una tantum, nel 2010 la variazione (0,1 punti) della componente ciclica che si sposta in territorio meno negativo determina un corrispondente aumento del saldo strutturale. L’opposto avviene nel 2012, mentre per il 2011 la variazione della componente ciclica compensa quella delle una tantum.

Per il 2013, il raffronto con il DPEF 2010-2013 (unico tra i precedenti documenti programmatici che estende le previsioni a tale esercizio) evidenzia come il miglioramento del saldo strutturale (-0,2 punti) sia ascrivibile, oltre che ad una revisione delle una tantum la cui incidenza sul PIL si annulla, alla riduzione del saldo in termini nominali: il valore-obiettivo dell’indebitamento netto passa infatti dal -2,4 per cento del PIL del DPEF al -2,2 per cento nella relativa Nota di aggiornamento e nella Decisione.

3.2 L’evoluzione nel periodo 2010-2013

Per quanto riguarda, in particolare il 2010, a fronte di una graduale ripresa dell’economia (+1,2 per cento) dopo la contrazione del biennio precedente, la crescita del PIL potenziale si mantiene su valori contenuti (+0,3 per cento). Parallelamente l’output gap, che misura la deviazione dell’economia dal suo livello potenziale, pur rimanendo negativo (-3,3 per cento), si riduce rispetto all’anno precedente. Ciò si riflette sulla componente ciclica di bilancio, che approssima la variazione automatica delle entrate fiscali e delle spese per ammortizzatori sociali dovute alle fluttuazioni cicliche dell’economia: essa si riduce (in valore assoluto), passando da -2,1 a -1,7 per cento . A fronte di misure una tantum pari a +0,1 per cento, l’indebitamento netto strutturale si colloca al 3,4 per cento del PIL, con una riduzione dello 0,5 per cento rispetto all’anno precedente.

 

Nel biennio successivo, a fronte di una crescita attesa più sostenuta (+ 1,3 per cento nel 2011 e +2 per cento nel 2012), l’output gap si riduce pur rimanendo negativo, (-2,7 e -1,6 per cento nei due anni). Analogamente si riduce (in valore assoluto) la componente ciclica (-1,4 e -0,8 per cento). In presenza di misure una tantum con incidenza nulla, l’indebitamento netto strutturale risulta pari al 2,5 per cento del PIL nel 2011, confermando le precedenti stime) e all’1,9 per cento nel 2012. Tali valori si accompagnano ad una correzione, in termini strutturali, pari nei due anni allo 0,8 e allo 0,7 per cento, in linea con quanto richiesto dalle Autorità europee[18].

Nel 2013, esercizio finale del periodo di previsione, si registra, invece l’aumento di 1 decimo di punto del saldo strutturale, che si colloca al 2 per cento del PIL. Tale variazione si verifica a seguito di un’ulteriore miglioramento dell’output gap, che tende a chiudersi (-0,6 per cento), e della componente ciclica, che passa da -0,8 a-0,3 per cento, annullando gli effetti della riduzione dello 0,5 per cento del saldo nominale.

Si ricorda che l’obiettivo di azzeramento del deficit strutturale - previsto per il 2011 nella Nota di aggiornamento al DPEF 2009 - era stato rinviato in occasione della presentazione, nel febbraio 2009, della Nota informativa e dell’aggiornamento 2008 del Programma di stabilità. In tali documenti, il Governo precisava che l’aggravarsi della crisi economico-finanziaria e la conseguente maggiore criticità delle condizioni di finanza pubblica portavano ad un rinvio nel processo di aggiustamento, pur restando confermato l’impegno al conseguimento del pareggio di bilancio nel medio termine (MTO).

Nell’aggiornamento 2009 del Programma di stabilità presentato nel febbraio 2010, il Governo confermava gli obiettivi di consolidamento della finanza pubblica e gli impegni assunti in sede europea, indicando un valore obiettivo dell’indebitamento netto in termini nominali al di sotto della soglia di riferimento del 3 per cento nel 2012. Veniva confermato altresì l’impegno al raggiungimento dell’obiettivo di medio termine (MTO).

L’obiettivo di medio termine (MTO)

Secondo quanto previsto dal Reg (CE) n. 1466/97, come modificato dal Reg (CE) n. 1055/2005, l'obiettivo di medio termine (MTO) consiste nel livello di indebitamento netto strutturale (quindi corretto per il ciclo e depurato delle misure temporanee) tale da garantire un margine di sicurezza rispetto al rischio di incorrere in un disavanzo eccessivo (superare il limite del 3 per cento imposto dai Trattati) ed assicurare un ritmo certo di avvicinamento ad una situazione di sostenibilità. Inoltre, il raggiungimento dell'MTO viene considerato necessario per lasciare spazio, nelle situazioni normali, ad interventi specifici di politica di bilancio, in particolare alla spesa per investimenti.

In linea generale, l'obiettivo di medio termine dovrebbe essere compreso tra un disavanzo dell'1 per cento e un equilibrio o surplus di bilancio.

Secondo quanto previsto dal Patto di stabilità e crescita, i paesi membri devono presentare, con l'aggiornamento dei rispettivi Programmi di stabilità, l’obiettivo di medio termine relativo alla propria posizione di bilancio, fissato in termini strutturali, nonché indicare il percorso di avvicinamento all'obiettivo indicato. L’MTO viene definito sulla base del potenziale di crescita dell’economia e del rapporto debito/PIL. Il percorso di avvicinamento si fonda su una regola comune di correzione  annuale strutturale di 0,5 punti percentuali; la regola, tuttavia, può variare in base alla condizioni del ciclo economico (bad times, good times).

3.3 La composizione del deficit strutturale

Dall’evoluzione degli indicatori strutturali prima descritta emerge, relativamente al periodo di previsione che va dal 2011 al 2013 una sostanziale tenuta degli obiettivi di deficit nelle successive stime.

Su di essa influisce positivamente l’andamento atteso della spesa per interessi. Come già è avvenuto per gli anni precedenti e per l’esercizio in corso, l’incidenza sul PIL di tale componente di spesa si riduce nel passaggio tra i vari documenti programmatici, compensando la parallela contrazione dell’avanzo primario strutturale.

Nel triennio in esame, a fronte di un indebitamento complessivo che, in media, passa dal 2,3 per cento del PIL nel DPEF 2010 al 2,1 per cento della Decisione, la previsione di spesa per interessi evidenzia una riduzione di circa 1 punto (dal 5,7 per cento al 4,8 per cento), in larga misura assorbita dal minor avanzo primario (dal 3,5 per cento al 2,7 per cento).

Tali andamenti si confermano anche nel confronto dei dati contenuti nella DFP rispetto alla RUEF. Nel 2012 (ultimo anno nella previsione della Relazione unificata) l’indebitamento netto risulta pari all’1,9 per cento del PIL, con una contrazione di 1 decimo di punto rispetto alla precedente previsione. Il miglioramento nel valore del saldo complessivo è reso possibile da una riduzione del peso degli interessi che passano dal 5,2 al 4,8 per cento del PIL, a fronte di un avanzo primario strutturale che si riduce dal 3,2 al 2,9 per cento.

 

Al riguardo, nel corso delle citate audizioni sulla DFP svolte dalle Commissioni Bilancio della Camera e del Senato, è stato sottolineata dalla Banca d’Italia[19] l’opportunità di raggiungere il livello di avanzo primario ritenuto adeguato per garantire un percorso di rientro dal debito pubblico prima che i tassi di interesse si riportino su livelli più alti.

La Banca d'Italia ha inoltre rilevato che “il raggiungimento degli obiettivi potrebbe essere a rischio”, soprattutto a partire dal 2012, nel caso che il tasso di crescita dell’economia risultasse inferiore a quello indicato nella Decisione. Per tali motivi, il rafforzamento del saldo primario ed il riequilibrio dei conti pubblici dovrebbe avvenire in un contesto di riforme strutturali che favoriscano un aumento del potenziale di crescita dell’economia italiana[20].

3.4 Le misure una tantum

La Decisione presenta il quadro delle misure una tantum che hanno inciso sul saldo dell’indebitamento netto nel periodo 2008-2009 e le corrispondenti previsioni per il periodo 2010-2013. Mentre, per i due esercizi di consuntivo considerati, vengono confermati i medesimi importi già indicati nella RUEF, sono apportate alcune rettifiche alle previsioni precedentemente formulate per il periodo 2010-2012.

Rileva inoltre sottolineare che la Decisione adotta un diverso criterio di aggregazione dei dati per livelli di governo: mentre la RUEF presentava unicamente la disaggregazione della sola voce relativa alle dismissioni immobiliari (ripartita fra amministrazioni centrali, locali e previdenziali), la Decisione omette tale ripartizione delle dismissioni immobiliari e presenta, in sua vece, la disaggregazione per livelli di governo del dato complessivo delle misure una tantum considerate.

In termini di incidenza sul PIL, l’unica variazione apportata alle precedenti previsioni[21] riguarda l’esercizio 2011: le attuali previsioni stimano infatti un’incidenza nulla delle misure per tale esercizio, mentre precedentemente era previsto un effetto peggiorativo del saldo dell’indebitamento netto dello 0,1 per cento.

 

 

Le misure una tantum

La normativa comunitaria non individua precisi criteri di definizione in base ai quali catalogare con certezza le diverse misure di spesa o di entrata. Il Codice di condotta[22], si limita a definire come una tantum e temporanee quelle misure che hanno un impatto transitorio sui saldi di bilancio e che non apportano variazioni significative all’evoluzione di lungo periodo della finanza pubblica.

A fini esemplificativi il Codice di condotta include tra le una tantum la vendita di beni patrimoniali non finanziari, gli incassi derivanti da aste di vendita di licenze di proprietà pubblica, i condoni fiscali, gli incassi derivanti dal trasferimento di obblighi pensionistici e le spese di emergenza di breve periodo connesse a disastri naturali.

Un’analisi di maggior dettaglio è fornita da altre pubblicazioni della Commissione europea[23] che, oltre a sottolineare l’esigenza che le misure in questione abbiano carattere non ricorrente, integrano la lista aperta del Codice di condotta con altre voci, aventi parimenti carattere meramente indicativo.

Tali voci includono, tra l’altro, le modifiche legislative di carattere temporaneo aventi effetti sulla tempistica degli incassi e dei pagamenti con effetti positivi sul bilancio, le modifiche di aliquote fiscali chiaramente annunciate come temporanee, gli effetti conseguenti a sentenze della Corte di giustizia europea, o a decisioni di altre istituzioni, sia nel caso che queste comportino incassi (come i rimborsi al governo di sussidi, a seguito di decisioni della Commissione), sia nel caso che ne derivino pagamenti (come i rimborsi di imposte dichiarate illegittime); le operazioni di cartolarizzazione con effetti positivi sul bilancio, le spese di breve periodo a carattere emergenziale connesse con grandi eventi eccezionali (come le azioni militari). Viene in particolare sottolineata la necessità di una particolare cautela nell’includere tra le misure una tantum quelle aventi effetti peggiorativi sul deficit, al fine di evitare qualsiasi incentivo per gli Stati membri ad adottare, nell’ambito della legislazione di spesa, misure di carattere temporanee escluse nel calcolo dei saldi strutturali.

 

 

Tabella 3.2

Misure una tantum

(milioni di euro)

 

Consuntivo

Previsioni

 

2008

2009

2010

2011

2012

2013

 

 

 

 

 

 

 

Totale One-Offs

3.169

9.873

1.413

-589

177

769

 In % del Pil

0,2

0,6

0,1

0,0

0,0

0,0

 

 

 

 

 

 

 

-  a ) Entrate

2.083

12.855

2.290

624

483

78

 In % del Pil

0,1

0,8

0,1

0,0

0,0

0,0

 

 

 

 

 

 

 

Imposte sostitutive varie

1.991

7.283

1.616

614

483

78

Rientro dei capitali / Scudo  fiscale ter

0

5.013

639

0

0

0

Condono edilizio

92

65

35

10

0

0

Contributo U.E. per sisma Abruzzo

0

494

0

0

0

0

 

 

 

 

 

 

 

- b)  Spese

-281

-4.059

-2.427

-2.563

-1.506

-309

 In % del Pil

0,0

-0,3

-0,2

-0,2

-0,1

0,0

 

 

 

 

 

 

 

-   IVA auto aziendali

-201

-243

-300

0

0

0

-   Bonus incapienti DL 185/'08

0

-1.522

-400

0

0

0

-   Terremoto dell'Abruzzo : DL     /'09

0

-951

-585

-483

-350

0

-   Terremoto dell'Abruzzo : a carico del FAS

0

0

-637

-2.080

-1.156

-309

-   Dividendi in uscita

0

-405

-505

0

0

0

-   Riacquisto immobili  + danno SCIP2

-80

-938

0

0

0

0

 

 

 

 

 

 

 

-  c ) Dismissioni immobiliari

1.367

1.077

1.550

1.350

1.200

1.000

 In % del Pil

0,1

0,1

0,1

0,1

0,1

0,1

 

 

 

 

 

 

 

Ripartizione per Sottosettori

 

 

 

 

 

 

  - Amministrazioni Centrali

1.973

11.388

813

-1.789

-873

-131

  - Amministrazione Locali

1.124

937

800

700

650

500

  - Enti di previdenza

72

-2.452

-200

500

400

400

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: DFP 2011-2013

 

 

 

 

 

 

 

Rinviando al dossier sulla RUEF 2010 per un’analisi di dettaglio delle misure aventi effetti sull’esercizio di conclusione, rimaste invariate, Si esaminano in questa sede, in particolare, le voci in relazione alle quali la Decisione apporta variazioni con riferimento agli esercizi di previsione[24].

Le misure analizzate sono raggruppate, sia sul lato dell’entrata che su quello della spesa, in categorie omogenee di interventi.

 

Le voci sul lato dell’entrata, in merito alle quali la Decisione aggiorna le previsioni, riguardano:

A.     le entrate derivanti dallo “scudo fiscale”, affluite nella contabilità speciale di cui all’articolo 13-bis, comma 8, del DL 78/2009. In merito a tale voce la Decisione conferma il gettito conseguito nel 2009, pari a 5.013 milioni e prevede per il 2010 un gettito di 639 milioni. Tale ultimo importo[25] non era stato considerato, a fini cautelativi, nelle previsioni della RUEF. Non risultando, conseguentemente, incluso negli andamenti tendenziali, esso è stato ritenuto utilizzabile per finalità di copertura.

Le entrate derivanti dallo “scudo fiscale” sono stati parzialmente utilizzate:

-             per un ammontare pari a 3.816 milioni di euro nel 2009, a copertura del differimento al 2010 di parte dell’acconto IRPEF 2009 e della proroga della sospensione dei versamenti fiscali in Abruzzo;

-             per un ammontare pari a 617 milioni nel 2010, a copertura dell’ulteriore proroga della sospensione dei versamenti fiscali e contributivi in Abruzzo[26].

I predetti utilizzi, per finalità di copertura di misure non classificate tra quelle “una tantum”[27], determinano un peggioramento dell’indebitamento netto strutturale per gli esercizi 2009 e 2010. Viceversa, la quota di gettito non utilizzata per le predette finalità di copertura, pur concorrendo a migliorare il deficit degli esercizi 2009 e 2010, non producono effetti migliorativi sulla componente strutturale del deficit;

B.            le imposte sostitutive: sono classificabili tra tali misure le imposte connesse all’esercizio di opzioni da parte dei contribuenti, quali la rivalutazione volontaria dei cespiti dell’attivo patrimoniale (immobili, terreni e beni d’impresa), e il riallineamento dei valori di bilancio ai principi IAS[28]. Le previsioni, indicate nella RUEF per il triennio 2010-2012 con riferimento a tali imposte, sono incrementate dalla Decisione di un ammontare rispettivamente pari a 451 milioni, 366 milioni e 308 milioni. Per l’esercizio 2013, non compreso nell’arco di previsione considerato dalla RUEF, la Decisione stima un ammontare di gettito pari a 78 milioni.

 

Al riguardo si rileva che la Decisione non fornisce indicazioni in merito alle determinati della rettifica operata nelle previsioni. Andrebbe pertanto chiarito se tale aggiornamento dipenda eventualmente dalle risultanze del monitoraggio in corso per il 2010 e se esso sia riferibile, essenzialmente, alla principale imposta sostitutiva inclusa nella categoria in esame, ovvero il riallineamento dei valori di bilancio ai principi IAS[29]. In tal caso, andrebbe altresì acquisita conferma che le previsioni di gettito delle imposte dirette, indicate nella Decisione, siano state corrispondentemente rettificate al ribasso, al fine di tenere conto del minor gettito IRES e IRAP, per maggiori ammortamenti e minori plusvalenze, conseguente ai maggiori valori oggetto di riallineamento rispetto a quanto precedentemente previsto.

 

Sul lato della spesa la Decisione apporta modifiche alle previsioni precedentemente formulate con riferimento ai rimborsi di imposte pregresse riscosse sulla base di norme tributarie in seguito giudicate illegittime da sentenze della Corte di giustizia europea[30]. Sono inclusi in questa categoria:

a)      gli effetti dovuti dalla deducibilità dell’IVA sulle auto aziendali[31]: la Decisione rivede al rialzo di 200 milioni la previsione di spesa per il 2010 a tale titolo formulata dalla RUEF;

b)      gli effetti derivanti dal rimborso dell’imposta assolta sui dividendi distribuiti da società estere[32]: mentre la RUEF prevedeva che l’effetto di tali rimborsi si esaurisse nel 2009 (con una spesa di 405 milioni), la Decisione prevede un’ulteriore spesa nel 2010, pari a 505 milioni.

La Decisione non fornisce informazioni in merito alle motivazioni alla base di tali revisioni delle previsioni. Non è pertanto chiaro se tali rettifiche abbiano una motivazione meramente cautelativa o se siano subentrati elementi informativi non precedentemente disponibili, riguardanti le domande di rimborso oggetto di validazione da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Sempre sul lato della spesa, ma a riduzione di quest’ultima, incidono gli incassi per dismissioni immobiliari. La decisione rettifica al ribasso di 200 milioni le previsioni di incasso per il 2010, mentre conferma per gli esercizi 2011 e 2012 gli importi precedentemente previsti. Per l’esercizio 2013, non compreso nell’arco di previsione considerato dalla RUEF, la Decisione stima incassi per 1 miliardo.

La relazione non specifica a quali fattori sia attribuibile la rettifica operata alla previsione per il 2010, né indica esplicitamente a quale livello di governo tale rettifica risulti imputabile. Alcuni elementi informativi possono comunque trarsi dal confronto tra la RUEF e la Decisione, per quanto tali documenti riportino dati disomogenei e solo parzialmente confrontabili[33]. Dal confronto emergerebbe una sensibile riduzione delle dismissioni delle Amministrazioni locali, e un contemporaneo incremento di quelli degli Enti previdenziali per tutto il periodo di previsione precedentemente considerato dalla RUEF. Tale variazione risulterebbe perfettamente compensativa per gli esercizi 2011 e 2012, mentre, per il solo 2010, si determinerebbe un effetto netto di minori incassi pari a 200 milioni. Al riguardo risulterebbe opportuno, in primo luogo, acquisire i dati disaggregati delle dismissioni immobiliari per livelli di governo, al fine di verificare la correttezza della ricostruzione operata nelle variazioni apportate alle precedenti stime.

In secondo luogo andrebbero forniti chiarimenti in merito alle determinanti alla base delle variazioni apportate alle previsioni.

Non è chiaro inoltre se a tale riduzione, come a quella, meno marcata, operata per gli altri esercizi di previsione, concorra, eventualmente, anche una revisione al ribasso degli effetti conseguenti all’attuazione del cd. federalismo demaniale (cfr. il D.Lgs n. 85/2010)[34].

Con riferimento all’incremento della previsione di incassi da dismissioni per il comparto degli enti previdenziali, andrebbe chiarito se siano pervenute richieste di autorizzazione alla vendita da parte tali enti, ai sensi dell’art. 8, comma 15 del DL n. 78/2010[35], e se tali richieste siano eventualmente da porsi, almeno in parte, in relazione con il riacquisto, intervenuto nel 2009, degli immobili invenduti dell’operazione di cartolarizzazione SCIP2, per un importo pari a 1.732 milioni di euro.

 

Con riferimento alle voci per le quali le previsioni già formulate dalla RUEF, non hanno subito modifiche da parte della Decisione, si richiama l’osservazione, già formulata nel citato Dossier n. 9 del maggio 2010, in merito al carattere largamente prudenziale della previsione di spesa per il bonus straordinario per famiglie, lavoratori, pensionati e non autosufficienti per il 2010 [36]. In proposito si è osservato che, essendo il bonus riferito ai redditi conseguiti nel 2008, è presumibile che i relativi effetti abbiano inciso per lo più nell’esercizio 2009[37]. L’effetto sul 2010 dovrebbe risultare limitato ai soli importi che non abbiano trovato capienza nell’imposta dovuta nel corso dell’esercizio 2009.

 


4. La spesa per interessi, il fabbisogno del settore pubblico ed il debito pubblico

La spesa per interessi

Nelle nuove stime dello schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011 - 2013, la spesa per interessi nel 2010 si cifrerebbe in 72.069 milioni, con un aumento rispetto al dato del 2009 di 781 milioni di euro.

Nel confronto con la stima di maggio 2010, risulta un incremento di circa 706 milioni, mentre per gli anni 2011 e 2012 si rileva un ridimensionamento rispetto alle precedenti stime pari, rispettivamente, a 3.164 ed a 6.902 milioni.

La minore dinamica della spesa per interessi negli anni 2011 e 2012 è ascrivibile all’adozione di uno scenario dell’andamento dei rendimenti attesi sui titoli di Stato italiani più favorevole di quello assunto in sede RUEF. Tale proiezione tiene conto dei diversi profili assunti dalla curva dei rendimenti ad inizio settembre, sia in termini di livello assoluto dei tassi che di pendenza e curvatura della struttura a termine.

In particolare, lo scenario attuale prevede tassi inizialmente significativamente più bassi ed un’evoluzione in ascesa dei tassi a breve meno accentuata rispetto a quelli a lungo termine.

 

Come rilevato dallo Schema della Decisione di finanza pubblica, fin dai primi mesi dell’anno in corso si sono manifestate tensioni sui mercati dei titoli di Stato dei paesi dell’area dell’euro. Tali tensioni hanno assunto rilevanza crescente fino al maggio 2010, a seguito dell’acuirsi della crisi della Grecia che ha determinato l’estensione del fenomeno dell’ampliamento del differenziale di rendimento rispetto ai titoli di Stato tedeschi anche ad altri paesi dell’area. Nel corso dell’estate tali tensioni si sono momentaneamente attenuate per effetto delle azioni coordinate del FMI e delle Autorità europee, degli interventi operati dalla BCE in base al programma di acquisto dei titoli di Stato sul mercato secondario ed a seguito della pubblicazione, in luglio, dei positivi risultati degli stress test effettuati dal Comitato Europeo di Vigilanza del settore bancario in collaborazione con la Commissione Europea, la BCE e gli organismi di vigilanza bancari dei singoli Stati.

Nuove tensioni si sono riproposte nel mese di settembre 2010, durante il quale sono tornati ad aumentare gli spread  sui titoli di Stato irlandesi e portoghesi e, in misura meno accentuata, spagnoli ed italiani.

La Banca d’Italia[38] ha, in proposito, ricordato come l’ampliamento dei differenziali di rendimento tra titoli di Stato italiani e tedeschi che si è registrato nel 2010 sia quasi interamente ascrivibile ad una riduzione dei tassi dei titoli tedeschi, a fronte di una sostanziale stabilità dei tassi di rendimento dei titoli nazionali.    

 

 

 

Tabella 4.1

Spesa per interessi: confronto tra schema della DFP 2011 – 2013 e RUEF 2010

(milioni di euro - % PIL)

 

2009

2010

2011

2012

2013

 

 

 

 

 

 

Schema DFP 2011 - 2013

 

 

 

 

 

Spesa per interessi

71.288*

72.069

75.670

80.151

83.780

Variazione assoluta

-9.873

781

3.601

4.481

3.629

Variazione percentuale

-12,2

1,1

5,0

5,9

4,5

in % del PIL

4,7

4,6

4,7

4,8

4,8

Costo medio del debito

4,0

3,9

4,0

4,1

4,2

PIL

1.520.870

1.554.718

1.602.836

1.664.899

1.730.115

 

 

 

 

 

 

RUEF 2010

 

 

 

 

 

Spesa per interessi

71.288*

71.363

78.834

87.053

 

Variazione assoluta

-9.873

75

7.471

8.219

 

Variazione percentuale

-12,2

0,1

10,5

10,4

 

in % del PIL

4,7

4,6

4,9

5,2

 

Costo medio del debito

4,0

3,9

4,1

4,4

 

PIL

1.520.870.

1.554.347

1.606.014

1.669.371

 

 

 

 

 

 

 

*Consuntivo

 

 

 

 

 

Fonte: Elaborazioni su dati MEF

 

 

 

 

 

 

 

Il minore peso degli interessi, la cui incidenza sul PIL è stimata al 4,7 nel 2011 ed al 4,8 nel 2012, a fronte rispettivamente del 4,9 e del 5,2 previsti nella RUEF, determinerebbe in tali anni, unitamente al miglioramento del saldo primario indotto dalla manovra, la convergenza dell’indebitamento netto sul PIL verso gli obiettivi indicati dai precedenti documenti programmatici.

Nel 2013, esercizio esterno al periodo di riferimento oggetto della RUEF, la spesa per interessi, continuerebbe ad aumentare, pur se a ritmo decrescente, stabilizzandosi in termini di PIL al 4,8 per cento. 

Il fabbisogno del settore pubblico

Lo schema della Decisione di finanza pubblica presenta, per gli anni dal 2009 al 2013, il conto consolidato di cassa del settore pubblico. Tale comparto rappresenta in termini soggettivi un universo quasi coincidente con quello delle amministrazioni pubbliche contenute nell’elenco (lista S13) elaborato dall’ISTAT per la costruzione del conto economico della pubblica amministrazione secondo le regole contabili europee.

I dati, nello schema in esame, ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 10 della legge n. 196 del 2009, sono aggregati secondo i sottosettori dell’amministrazione centrale, locale e degli enti di previdenza[39].

Per l’esercizio 2009 il documento conferma, a livello aggregato, il dato pubblicato nella RUEF 2010, pari a 87.910 milioni, corrispondenti a 5,8 punti di PIL.

Per gli anni successivi, riguardo ai quali la RUEF presentava le stime di cassa per il solo esercizio 2010, la nuova stima del conto consolidato di cassa del settore pubblico include: gli effetti delle misure correttive approvate in luglio, i risultati del monitoraggio dei flussi di cassa per l’anno 2010, una dinamica più favorevole dei tassi di interesse nonché l’erogazione dei prestiti relativi al programma triennale di sostegno finanziario alla Grecia, a seguito delle decisioni dell’Eurogruppo adottate l’11 aprile 2010.

 

Il programma prevede, per l’Italia, un impegno finanziario complessivo nel triennio 2010 – 2013 di 14,7 miliardi. Tale ammontare corrisponde al 18,42 per cento (quota di partecipazione dell’Italia al capitale della BCE) del totale del prestito complessivo erogabile dai Paesi membri, pari ad 80 miliardi di euro, di cui 30 erogabili nel primo anno di effettiva attivazione del programma.

A tutto settembre 2010 sono state erogate dall’Italia due tranche, la prima nel mese di maggio 2010 per un ammontare di 2.900 milioni di euro e la seconda, nel mese di settembre 2010, per un ammontare di 982 milioni di euro. Complessivamente i prestiti già erogati ammontano a circa lo 0,3 per cento del PIL.

Il documento in esame non indica i criteri di distribuzione temporale utilizzati per ripartire, nel restante periodo di durata del programma, le eventuali tranche della quota residua dell’ammontare massimo erogabile. In proposito, si segnala che, entro il primo anno di avvio del programma (seconda decade del maggio 2011), potrebbe essere versata la restante quota di pertinenza dell’Italia, dei 30 miliardi erogabili nel primo anno di avvio del programma, pari a circa 1.640 milioni.

 

Si segnala, inoltre, che le stime di fabbisogno in esame non scontano alcun effetto derivante dalla proroga, dal 31 dicembre 2009 al 31 dicembre 2010, dell’autorizzazione alla sottoscrizione, da parte del Tesoro, delle obbligazioni speciali emesse dal sistema bancario. La proroga, disposta dal decreto legge n. 125 del 2010 unitamente alla delegificazione in materia di fissazione di eventuali ulteriori termini di proroga, si conforma alla decisione adottata in sede comunitaria, in seguito alla pubblicazione dei risultati degli stress test sulle banche, di predisporre o mantenere comunque meccanismi nazionali idonei a consentire un eventuale intervento pubblico a sostegno del sistema bancario.

       

Tabella 4.2

Fabbisogno del settore pubblico per sottosettori

(milioni di euro)

 

2009

2010

2011

2012

2013

 

 

 

 

 

 

Amministrazioni centrali

 

 

 

 

 

Fabbisogno

-87.523

-83.407

-63.765

-42.075

-32.807

in % del PIL

-5,8

-5,4

-4,0

-2,5

-1,9

Amministrazioni locali

 

 

 

 

 

Fabbisogno

-387

-1.102

-736

-610

-534

in % del PIL

0,0

-0,1

0,0

0,0

0,0

Enti di previdenza

 

 

 

 

 

Fabbisogno

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

in % del PIL

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

Fabbisogno settore pubblico

 

 

 

 

 

Fabbisogno

-87.910

-84.509

-64.501

-42.685

-33.341

in % del PIL

-5,8

-5,4

-4,0

-2,6

-1,9

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: MEF

 

Nell’anno in corso, il fabbisogno del settore pubblico è stimato in 84.509 milioni di euro, pari al 5,4 per cento del PIL, con una riduzione di 3.400 milioni rispetto al 2009. Il disavanzo primario si riduce da 15.031 a 11.703 milioni.

Rispetto alle previsioni della RUEF, la stima di fabbisogno peggiora di circa 890 milioni. L’incremento è imputabile esclusivamente all’aumento del disavanzo delle partite finanziarie, che scontano gli effetti dei prestiti alla Grecia.

 

Infatti, a fronte di un miglioramento della stima del saldo al netto delle partite finanziarie di 5.335 milioni di euro, si prevede un peggioramento del disavanzo delle partite finanziarie di circa 6.626 milioni di euro.      

 

Negli anni successivi al 2010, per i quali non è possibile effettuare un confronto con le precedenti previsioni, il fabbisogno del settore pubblico si riduce costantemente. A partire dal 2011 si determina un avanzo primario che raggiunge 2,8 punti di PIL nel 2013. Dal 2011 si riduce progressivamente anche il disavanzo delle partite finanziarie.

 

Se si confrontano, nel periodo di riferimento, le stime del fabbisogno del settore pubblico con quelle dell’indebitamento netto si constata che nel periodo dal 2009 al 2011 il fabbisogno presenta valori superiori all’indebitamento, per effetto in parte imputabile al disavanzo delle partite finanziarie, non contabilizzate ai fini dell’indebitamento. Dal 2012 tale tendenza si inverte, risultando l’indebitamento superiore alle stime di fabbisogno. Tale andamento è presumibilmente ascrivibile ad elementi di raccordo diversi dal saldo delle partite finanziarie, che solo nel 2013 concorre, con un avanzo di 322 milioni, alla riduzione del fabbisogno.

 

Tabella 4.3

Fabbisogno del settore pubblico ed indebitamento netto

(milioni di euro)

 

2009

2010

2011

2012

2013

 

 

 

 

 

 

A.Fabbisogno s. pubblico

-87.910

-84.509

-64.501

-42.685

-33.341

in % del PIL

-5,8

-5,4

-4,0

-2,6

-1,9

di cui

 

 

 

 

 

Saldo partite finanziarie

-6.267

-8.926

-5.411

-3.427

322

B.Indebitamento netto

-80.800

-77.125

-63.137

-44.319

-38.846

in % del PIL

-5,3

-5,0

-3,9

-2,7

-2,2

C.Differenza (A-B)

-7.110

-7.384

-1.364

1.634

5.505

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: Elaborazioni su dati  MEF

 

 

L’analisi della dinamica del fabbisogno per sottosettori evidenzia nel 2010, rispetto al 2009, una crescita del fabbisogno delle Amministrazioni locali, a fronte di una contrazione del fabbisogno del comparto delle Amministrazioni centrali.  Dal 2011 entrambi i saldi si riducono, ma la dinamica riduttiva del fabbisogno delle Amministrazioni centrali appare più marcata negli ultimi due anni del periodo di riferimento.

 

Nella Nota metodologica allegata al documento in esame si precisa che le previsioni dei conti di cassa 2011-2013 degli enti territoriali sono state elaborate in base alla normativa vigente e tengono conto degli effetti del decreto - legge n. 78 del 2010 e delle modifiche approvate in sede di conversione.

In particolare, il provvedimento ha definito il concorso degli enti territoriali al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, in termini di saldo netto da finanziare, attraverso la riduzione dei trasferimenti statali spettanti a tali enti, in misura pari a 5.800 milioni nel 2011 ed a 7.500 milioni annui dal 2012. In termini di fabbisogno ed indebitamento, tale concorso è stato fissato in misura pari a 6.300 milioni di euro nel 2011 ed a 8.500 milioni di euro annui dal 2012, attraverso le regole del Patto di stabilità interno. Le modalità di attuazione delle riduzioni delle risorse statali saranno aggetto di definizione da parte della Conferenza Stato-Regioni e  della Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, sulla base di principi correlati al rispetto del Patto di stabilità interno, all’incidenza della spesa per il personale sulla spesa corrente, alle misure di contenimento della spesa sanitaria e di contrasto al fenomeno dei falsi invalidi, nonché al conseguimento di adeguati indici di autonomia finanziaria. In caso di mancato accordo, la ripartizione della riduzione delle risorse statali è comunque effettuata secondo un criterio di proporzionalità.

Con riguardo al Patto di stabilità interno, tuttavia, il decreto-legge n. 78 non ha provveduto a definire le nuove regole che gli enti devono seguire al fine di concorrere agli obiettivi di finanza pubblica. Tali regole sono, infatti, fissate solo fino al 2011 in base alla normativa vigente. In proposito la Nota metodologica afferma che “deve ritenersi probabile che la definizione delle modalità di attuazione della riduzione delle risorse statali spettanti agli enti territoriali condizionerà in maniera significativa anche la definizione delle regole del Patto”.

 

Al riguardo andrebbero fornite più precise indicazioni in merito alle modalità di formulazione delle stime di cassa degli enti territoriali per il periodo 2011- 2013. In particolare, andrebbe chiarito se per gli anni per i quali non sono fissate le regole del Patto, si siano proiettate le previsioni tendenziali di cassa definite sulla base delle precedenti regole, in modo da garantire la realizzazione degli effetti di riduzione sui saldi introdotti dalla manovra. 

Il debito pubblico

In base ai dati dello Schema della Decisione di finanza pubblica il debito delle Amministrazioni pubbliche nel 2009 è ammontato a 1.763,418 miliardi, corrispondenti al 115,9 per cento del PIL.

Rispetto alla stima della RUEF, fornita esclusivamente in termini di PIL e pari al 115,8 per cento, il dato del rapporto per il 2009 presenta un incremento di 0,1 punti percentuali, ascrivibile a revisioni statistiche.

 

Il documento in esame non indica quali delle componenti che determinano la variazione annua dello stock di debito siano state oggetto di revisioni statistiche. In proposito, appaiono pertanto necessarie maggiori indicazioni.

 

I dati diffusi nel corso dell’audizione dei rappresentanti della Banca d’Italia del 6 ottobre scorso indicano il rapporto debito/PIL per il 2009 al 116 per cento. Si tratta del dato trasmesso il 1° ottobre dalla Banca d’Italia alla Commissione europea in occasione della Notifica prevista nell’ambito della Procedura per i disavanzi eccessivi. Esso differisce, a sua volta, dal dato riportato nel documento in esame (115,9) per un importo modesto che, per questioni di arrotondamento, avrebbe determinato il cambiamento della cifra decimale del rapporto al PIL.

 

Negli anni successivi al 2009, l’evoluzione del rapporto debito/PIL, rispetto alle precedenti previsioni, risente dell’effetto di trascinamento delle revisioni statistiche e dell’effetto dei prestiti alla Grecia (cfr. paragrafo precedente), che in parte neutralizzano il miglioramento del saldo primario e delle previsioni di spesa per interessi. Nel 2011, in particolare, tali fattori negativi si sommano ad una minore crescita del PIL nominale di circa 0,2 punti percentuali, determinando un incremento del rapporto debito/PIL, rispetto alle stime RUEF, di circa mezzo punto percentuale.

Resta comunque confermato l’effetto di riduzione del rapporto previsto per il 2012.  

 

 

 

Tabella 4.4

Debito delle Amministrazioni pubbliche: confronto tra schema della DFP 2011 – 2013 e RUEF 2010                                                                                                                       (milioni di euro - % PIL)

 

2009

2010

2011

2012

2013

 

 

 

 

 

 

Schema DFP 2011 - 2013

 

 

 

 

 

Debito consolidato PA

1.763.418

1.842.269

1.909.970

1.956.434

1.993.799

in % del PIL

115,9

118,5

119,2

117,5

115,2

Variazione

9,8

2,6

0,7

-1,7

-2,3

 

 

 

 

 

 

RUEF 2010*

 

 

 

 

 

Debito consolidato PA

 

 

 

 

 

in % del PIL

115,8

118,4

118,7

117,2

 

Variazione

9,7

2,6

0,3

-1,5

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

* Le stime non includono gli interventi finanziari di sostegno alla Grecia

Fonte: MEF

 

In merito agli effetti sul debito del programma di prestiti alla Grecia, si segnala che, nel corso di un’informativa urgente del Governo sulla crisi economico-finanziaria in atto in Grecia e sulle possibili ripercussioni sulla stabilità dell’euro, tenutasi alla Camera dei Deputati il 6 maggio scorso, il Ministro dell’economia e delle finanze ha affermato che tali effetti sarebbero stati sterilizzati nel quadro del Patto di Stabilità e crescita.

Il realizzarsi o meno di tale circostanza assume particolare rilievo alla luce delle attuali prospettive di rafforzamento del Patto stesso, che intenderebbero restituire enfasi, ai fini della Procedura dei disavanzi eccessivi, alla regola fondata sull’incidenza del debito sul prodotto e sulla realizzazione, in un adeguato intervallo temporale, di un percorso di convergenza di tale rapporto verso il parametro obiettivo (60 per cento del PIL).

Ciò anche in considerazione del fatto che la tempistica dei rimborsi di ciascuno dei prestiti che saranno attivati, l’ammontare dei quali è destinato alla riduzione del debito, è concordata di volta in volta dal Paese creditore con i Paesi che erogano il prestito, attraverso la Commissione europea.

 

Nell’ottica dell’attuale contesto di revisione delle regole della governance europea, che pone in rilievo anche la valutazione degli squilibri macroeconomici dei singoli Paesi membri, il documento in esame aggiorna al 2009 l’analisi del debito aggregato dei principali Paesi europei (EU-15 con esclusione del Lussemburgo) in rapporto al PIL. Tale aggregato include il debito delle Amministrazioni pubbliche e quello del settore privato. Sono, inoltre, forniti i dati di un aggregato ancora più ampio, il debito nazionale lordo, comprensivo del debito delle imprese finanziarie.

Sulla base di entrambi i parametri, l’Italia, nonostante l’elevato livello di debito pubblico, presenta valori vicini a quelli dei Paesi meno indebitati, e notevolmente inferiori alla media riferita alla totalità dei Paesi considerati.

 

Con riferimento al debito aggregato, l’Italia presenta un rapporto pari a 240,8 punti di PIL, a fronte di una media di 269,8 punti percentuali, grazie soprattutto al limitato livello del debito delle famiglie, che in percentuale del prodotto si colloca al 42,2 per cento a fronte di un valore medio pari all’80,5 per cento.

Il debito nazionale lordo in percentuale del PIL si colloca per l’Italia al 336,9 per cento a fronte di una media del 442,9 per cento. Le imprese finanziarie nazionali espongono, infatti, un debito in termini di PIL del 96,1 per cento, a fronte di una media del 173,1 per cento.    

 

Tabella 4.5

Debito pubblico: articolazione per sottosettori

(in % del PIL)

 

2009

2010

2011

2013

2013

Amm. centrali

1.659.122

1.736.871

1.803.837

1.849.691

1886.522

in % del PIL

109,1

111,7

112,5

111,1

109,0

 

 

 

 

 

 

Amm. Locali

129.968

131.070

131.806

132.416

132.949

in % del PIL

8,5

8,4

8,2

8,0

7,7

 

 

 

 

 

 

Enti di prev. e ass.

13

13

13

13

13

in % del PIL

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: MEF

 

 

 

 

 

 

Il documento in esame fornisce, inoltre, un’analisi del debito pubblico per sottosettori. Si tratta di dati non consolidati ed al lordo degli interessi.

Tale analisi consente di evidenziare nel periodo di riferimento come larga parte della dinamica del debito delle Amministrazioni pubbliche sia imputabile alle amministrazioni centrali, a fronte di una sostanziale stabilità del debito imputabile ai restanti sottosettori.

 



[1]    In merito alla elaborazione delle previsioni macroeconomiche contenute nella DFP 2011-2013, si rileva che ai sensi dalla legge di riforma della contabilità (articolo 10, comma 4, legge 196/09), per la prima volta è stata presentata, in allegato alla stessa DFP, una apposita Nota metodologica sui criteri di formulazione delle previsioni tendenziali, in cui sono illustrati i criteri di formulazione delle previsioni. In particolare, il processo di previsione, elaborato dal Dipartimento del Tesoro (Judgement Based Model), si fonda su tre fasi:

-         elaborazione delle variabili esogene internazionali e di finanza pubblica;

-         elaborazione del quadro macroeconomico nazionale;

-         definizione del quadro macroeconomico.

[2]    A metà dell’anno, il tasso di crescita già acquisito in Italia per il 2010 è pari allo 0,9 per cento, rispetto all’aumento del 3,7 per cento in Germania, dell’1,7 per cento in Francia e nel Regno Unito e del 3,0 per cento negli Stati Uniti. Nel complesso, il PIL dei paesi dell’area Euro è cresciuto, in termini tendenziali, dell’1,9 per cento.

[3]    Comunicato ISTAT, Indice della produzione industriale – luglio 2010 (10 settembre 2010).

[4] Comunicato ISTAT, Indice della produzione industriale – agosto 2010 (11 ottobre 2010).

[5]    Nel seguito della nota si farà spesso riferimento al 2006, in quanto si tratta dell’anno in cui i global imbalances hanno raggiunto il loro picco. Gli anni successivi sono stati segnati dalla crisi finanziaria internazionale. Nel 2009 il deficit di partite correnti americane ammontava a poco più di 400 bilioni di dollari.

[6]     B. Bernake (2007), "Global Imbalances: Recent Developments and Prospects", Bundesbank Lecture.

[7]   European Commission (2010), "Public Finances in EMU 2010", European Economy No 4/2010, (Brussels: European Commission).

[8]    Per maggiori dettagli cfr. "Public Finances in EMU, 2010", pag. 218.

[9]    Schema della Decisione di Finanza Pubblica per gli anni 2011-2013, DOC LVII, n.3, Allegato III.

[10]    "Regulation of  the European Parliament and of the Council: amending Regulation (EC) No 1466/97 on the strengthening of the surveillance of budgetary positions and the surveillance and coordination of economic  policies", European Commision, 29/09/2010

[11]   IMF (2010), "World Economic Outlook: recovery, Risk and Rebalancing".

[12]   Anche la voce Redditi da lavoro dipendente è tradizionalmente segnalata come problematica nella costruzione di previsioni a legislazione vigente, in quanto nell'evoluzione del tendenziale non incorporerebbe i rinnovi contrattuali che verosimilmente verrebbero siglati nel periodo di riferimento. Tale voce non viene citata in questo documento, in quanto gli interventi operati con il DL78/2010 (una serie di misure tra cui il blocco degli incrementi retributivi e il rinvio della contrattazione per il triennio 2010-2012) rendono ininfluente il criterio adottato per le previsioni ai fini della stima della dinamica della categoria.

[13]   Introdotte dalla cosiddetta “manovra estiva” (d.l. 01.07.’09 n°78 convertito con modifiche dalla legge n°102 del 03.08.2009) al fine di contrastare gli abusi in materia di utilizzo di crediti di imposta inesistenti.

[14]   Si veda la testimonianza del Direttore Generale della Banca d'Italia presso la Camera dei Deputati, 6 ottobre 2010.

[15]    Per un approfondimento, si rinvia al dossier “Analisi degli effetti finanziari delle norme e dei principali andamenti di finanza pubblica”, Camera dei Deputati, Servizio Bilancio dello Stato, maggio 2008, Parte II e al dossier “Conti pubblici, contesto di riferimento e andamenti. Una sintesi”, Senato della Repubblica, Servizio Bilancio, maggio 2008, n. 3, Parte I.

[16]    Per ovviare a tali inconvenienti che rendono necessarie frequenti revisioni, specie per quanto riguarda il periodo finale della previsione, nel luglio 2010 la Commissione europea, sulla base delle indicazioni dell’OGWG (Output gap Working Group), ha introdotto delle modifiche alla metodologia per il calcolo del PIL potenziale e dell’output gap, che entreranno pienamente a regime alla fine del 2010.

[17]   Il periodo di previsione contenuto nell’aggiornamento 2008 del PdS arriva al 2011.

[18]   V. Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea all’Italia intesa a porre fine alla situazione di disavanzo eccessivo, del 30 novembre 2009.

[19]   Seduta del 6 ottobre 2010.

[20]   V. anche audizioni dei rappresentanti della Corte dei conti e del Presidente del CNEL, seduta del 7 ottobre 2010.

[21]   Tali previsioni stimavano un effetto complessivo delle misure una tantum pari a +0,1, per cento nel 2010 e -0,1 per cento nel 2011 (il segno meno indica una prevalenza delle misure sul lato della spesa) a fronte di un’incidenza nulla nel 2012.

[22]   Adottato dal Consiglio dell’Unione Europea, nella versione aggiornata, l’11 ottobre del 2005.

[23]   Cfr. in particolare Public finance in EMU 2006, n. 3/2006, capitolo 4.

[24]   Si rinvia al dossier sulla RUEF 2010 (n. 9, Servizi Studi e Bilancio della Camera e del Servizio Bilancio del Senato, maggio 2010) per un’analisi di dettaglio delle misure aventi effetti sull’esercizio di conclusione, rimaste invariate.

[25]   Conseguente alla riapertura dei termini disposta dall’articolo 1, commi 1 e 2, del decreto legge n. 194/2009.

[26]   Disposta dall’art. 39, commi da 1 a 3 quater, del DL n. 78/2009.

[27]   Le citate misure, afferenti le modalità di versamento delle imposte, non sono state incluse tra le misure una tantum in quanto non comportano una variazione dell’imposta complessivamente dovuta dai contribuenti, ma una diversa modulazione temporale degli incassi.

[28]   Cfr. l’art. 15, commi 1-12 del DL n. 185/2008. Tale voce, inizialmente registrata tra le imposte dirette, è stata successivamente considerata una tantum e come tale contabilizzata a consuntivo tra le entrate in conto capitale.

[29]   I criteri di versamento dell’imposta sostitutiva, previsti dall’art. 15, comma 4, del DL n. 185/2008 prevedono che l'imposta sia versata in unica soluzione entro il termine di versamento a saldo delle imposte relative all'esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007. Se il saldo è negativo, la relativa deduzione concorre, per quote costanti, alla formazione dell'imponibile del secondo esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 e dei 4 successivi.

[30]   Ai fini dell’indebitamento netto, di norma, una partita debitoria sviluppa i suoi effetti nel momento in cui nasce l’obbligazione, a condizione tuttavia che siano chiaramente identificabili sia i soggetti creditori che l’ammontare del debito. Tale criterio si applica anche se l’iscrizione nel bilancio dello Stato e il  flusso dei pagamenti (e quindi l’effetto sul fabbisogno) avviene ratealmente. In mancanza di tali condizioni, la contabilizzazione dell’operazione nel conto della PA segue i flussi di cassa e corrisponde a quanto annualmente viene pagato a titolo di restituzione del debito, oppure è allineata all’ammontare dei rimborsi validato nell’anno dall’Amministrazione finanziaria a prescindere dall’effettivo pagamento: questa seconda procedura è stata seguita, come si è detto, per i rimborsi connessi alla sentenza della Corte di giustizia europea sulla deducibilità IVA sulle auto aziendali.

[31]   In conseguenza della sentenza della Corte di Giustizia europea del 14 settembre 2006, che ha sancito l’illegittimità di una disposizione del DPR n. 633/1972 che escludeva la detraibilità dell’imposta assolta sulle operazioni di acquisto e manutenzione di veicoli aziendali che non formano oggetto dell’attività propria dell’impresa.

[32]   In conseguenza della sentenza della Corte di Giustizia europea del 19 novembre 2009, (C-540/07).

[33]   La RUEF riporta infatti la ripartizione delle dismissioni immobiliari per livelli di Governo , mentre la Decisione riporta tale ripartizione relativamente al complesso delle misure una tantum.

[34]   In merito ai possibili utilizzi delle entrate in questione, si ricorda che il citato D.Lgs n. 85/2010 prevede che le risorse nette derivanti alle autonomie territoriali dalla eventuale alienazione dei beni immobili ricevuti dallo Stato siano acquisite dall’ente interessato per una quota pari al 75 per cento, da destinare alla riduzione del debito dell’ente e solo per la parte eccedente a spese di investimento. La residua quota del 25 per cento è destinata al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.

[35]   Tale disposizione prevede che le operazioni di acquisto e vendita di immobili da parte degli enti previdenziali, nonché le operazioni di utilizzo dei relativi ricavi, siano subordinate alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica, da attuarsi con DPCM.

[36]   Previsto dall’art. 1 del DL n. 185/2008. La previsione di spesa originariamente formulata (pari a 2,4 miliardi per il solo 2009) si è successivamente rivelata sovrastimata, rendendo possibile il parziale utilizzo degli stanziamenti per altra finalità (300 milioni destinati al sostegno dell’Abruzzo). La RUEF ha operato una ulteriore riduzione della stima complessiva di spesa, passata da 2,1 miliardi a 1,922 miliardi, e una sua distribuzione su due annualità: 1.522 milioni nel 2009 e 400 milioni nel 2010.

[37]   Il comma 17 del citato art. 1 prevedeva, infatti, che tali soggetti presentassero la richiesta del bonus entro i termini previsti per la presentazione della dichiarazione dei redditi 2008.

[38]   Cfr. Commissioni riunite V della Camera dei Deputati e V del Senato, Audizione del Direttore Generale della Banca d’Italia, Camera dei Deputati, 6 ottobre 2010.

[39]   Nei precedenti documenti di finanza pubblica i dati di cassa erano presentati per alcuni esercizi precedenti (dati di consuntivo) e per l’esercizio in corso (dati di previsione) ed articolati secondo i seguenti comparti: settore statale, enti di previdenza, regioni, sanità, comuni e province, altri enti pubblici consolidati, altri enti pubblici non consolidati.