Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Rapporti Internazionali | ||
Titolo: | TURCHIA - Missione di studio di una delegazione parlamentare turca nel quadro del gemellaggio amministrativo con la Grande Assemblea Nazinale Turca - Roma, 23-25 luglio 2008 | ||
Serie: | Schede Paese Numero: 38 | ||
Data: | 21/07/2008 | ||
Descrittori: |
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TURCHIA
DOSSIER SCHEDE - PAESE
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XVI legislatura |
T U R C H I A
(in collaborazione con il Ministero degli Affari esteri)
LUGLIO 2008
DATI GENERALI |
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Superficie |
780.580 kmq (più di due volte e mezzo l’Italia) |
Capitale |
ANKARA (1.900.000 abitanti) |
Abitanti |
71.158.000 |
Tasso di crescita della popolazione |
1,04%[1] |
Aspettativa di vita |
73 anni |
Lingue |
Turco (ufficiale) curdo, arabo, armeno, greco |
Composizione etnica |
Turchi (80%),Curdi (20%) |
Religioni praticate |
Musulmana (99,8%) |
CARICHE DELLO STATO
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Presidente della Repubblica |
Abdullah GUL (dal 28 agosto 2007) |
Presidente della Grande Assemblea Nazionale (Parlamento) |
Köksal TOPTAN (AKP) |
Primo Ministro |
Recep Tayyp ERDOGAN(AKP) |
Vice Primo Ministro |
Cemil CICEK |
Vice Primo Ministro |
nazim EKREN |
Vice Primo Ministro |
Hayati YAZICI |
Ministro degli Esteri e Capo negoziatore con l’Unione europea |
Ali BABACAN |
Giustizia |
Mehmet Ali SAHIN |
Finanze |
Kemal UNAKITAN |
Capo di Stato Maggio dell’Esercito |
Gen. YAsar BUYUKANIT |
SCADENZE ELETTORALI
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Presidenziali |
2014 |
Politiche |
2012 |
QUADRO POLITICO
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Governo in carica
Il risultato delle elezioni del 22 luglio 2007 ha dato ragione al Premier uscente Recep Tayyip Erdogan, che aveva deciso di anticipare la scadenza naturale del mandato, inizialmente fissato per novembre 2007, in seguito all’inasprimento delle polemiche interne sulla delicata questione della laicità dello Stato e del Governo. Il suo partito, l’AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo), ha infatti conquistato il 46,4% dei voti, segnando un aumento in termini assoluti pari al 13% rispetto alle elezioni del 2002.
La crescita in voti assoluti tuttavia, corrisponde ad una perdita di circa 20 seggi in Parlamento, dovuta soprattutto alla capacità di entrambe le opposizioni, quella nazionalista e quella di centrosinistra, di superare l’alta soglia di sbarramento del 10%, prevista dal sistema elettorale turco per ottenere una rappresentanza parlamentare.
QUADRO ISTITUZIONALE
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Sistema politico
La Turchia è una repubblica parlamentare. L’attuale Costituzione è entrata in vigore nel 1982. La Turchia è il solo stato del mondo islamico a dichiararsi laico nella propria Costituzione. E’ uno Stato fortemente centralizzato.
La Costituzione del 1982 può essere revisionata con due distinte procedure: maggioranza dei due terzi dei parlamentari e successivo referendum se il Presidente della Repubblica lo richiede, oppure maggioranza dei tre quinti e referendum obbligatorio. Le riforme al sistema elettorale non richiedono emendamenti alla Costituzione e possono essere approvate dal Parlamento con maggioranza semplice.
La più recente riforma costituzionale risale all’ottobre 2007.
Presidente della Repubblica
Il Presidente della Repubblica, secondo le recenti riforme costituzionali (cfr. infra) sarà eletto, a partire dal 2014, direttamente dal popolo per un mandato di cinque anni, rinnovabile. Può esercitare il diritto di veto sulla legislazione. La sua figura è considerata al di sopra delle parti, pertanto, prima di assumere la carica, il candidato neo eletto, se iscritto ad un partito, deve dare le dimissioni. E’ il Capo delle Forze Armate. L’attuale Presidente della Repubblica, Gul, eletto dal Parlamento, durerà in carica sette anni, secondo la normativa ora abolita.
Parlamento
La Grande Assemblea Nazionale di Turchia (Turkiye Buruk Millet Meclisi) è composta da 550 membri che dureranno in carica (dal 2012) 4 anni.
Si vota con sistema proporzionale con voto di lista. E’ previsto uno sbarramento al 10%, che non si applica tuttavia per i candidati indipendenti. In base alle recenti riforme costituzionali, il quorum necessario per la validità delle votazioni in Parlamento è passato da 367 a 164 deputati.
Le prossime elezioni per la Grande Assemblea Nazionale si terranno nel 2012.
Composizione della Grande Assemblea Nazionale:
PARTITO |
SEGGI |
Giustizia e Sviluppo (AKP) |
341 |
Partito
repubblicano del popolo (CHP) |
112 |
Partito di Azione Nazionalista (MHP) |
71 |
Indipendenti (di cui 22 legati al partito filo-curdo DTP) |
26 |
Totale |
550 |
Secondo alcune stime, i deputati di origine curda sarebbero più di 100. Nel solo AKP, secondo quanto affermato dal Premier Erdogan, ammonterebbero a più di 50.
Governo
Il Primo Ministro viene nominato dal Presidente della Repubblica nelle fila del partito di maggioranza relativa. Deve fare parte della Grande Assemblea Nazionale.
Il Governo deve godere della fiducia della Grande Assemblea Nazionale. Su proposta del Primo Ministro, il Presidente della Repubblica può revocare un Ministro.
Magistratura
Il sistema giudiziario è indipendente. Le leggi sono sottoposte al controllo della Corte Costituzionale, eccetto quelle relative all’ultimo periodo di dittatura militare (1980-1983). La Corte Costituzionale ha inoltre il potere di giudicare sulle accuse mosse contro il Presidente della Repubblica, il Governo ed i massimi vertici dello Stato, e di pronunciarsi sulla richiesta di scioglimento di un partito politico, avanzata dalla magistratura. Può inoltre effettuare controlli sulla gestione finanziaria dei partiti politici ed annullare le decisione prese dalla Grande Assemblea Nazionale in materia di immunità parlamentare.
Nel giugno 1999, a seguito di richieste da parte della Corte Europea per i Diritti Umani, sono state riformate le Corti di Sicurezza in cui sono processati i dissidenti kurdi ed islamici, ponendo limitazioni alla presenza dei militari.
La pena di morte è stata abolita nel 1999.
Forze Armate
Nella vita politica turca sono tuttora influenti le Forze Armate, tradizionali custodi del carattere laico della Repubblica. Esse esercitano la loro influenza soprattutto attraverso il Consiglio Nazionale di Sicurezza[2], organo consultivo del Governo che ha tuttavia visto accrescere, sull’onda delle riforme costituzionali, la sua componente civile.
Nell’ambito della NATO, quello turco è il secondo esercito per grandezza, dopo quello degli Stati Uniti. La carica di Capo delle Forze Armate è considerata la quarta in ordine di importanza
ATTUALITÀ POLITICA
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La minaccia terroristica si è nuovamente concretizzata in Turchia a seguito dello scontro a fuoco avvenuto davanti al consolato statunitense e costato la vita a sei persone, tre attentatori e tre agenti di sicurezza. Quasi contemporaneamente, nella parte orientale del Paese, tre turisti tedeschi sono stati rapiti da guerriglieri curdi.
I tedeschi sono stati liberati il 20 luglio. Il PKK aveva chiesto per il loro rilascio che Berlino ponesse fine alla ''repressione'' contro suoi militanti e simpatizzanti in Germania, dove vivono circa 2 milioni e mezzo di turchi, di cui circa 600.000 curdi. Un portavoce del PKK aveva chiesto anche la fine delle operazioni militari turche nella regione.
Alcuni osservatori hanno sottolineato come la ripresa del terrorismo abbia coinciso con un periodo di tensione politiche nel Paese, con il partito di maggioranza, l’AKP, impegnato a difendersi dalle accuse di attività contro la laicità dello Stato.
Attualità dei rapporti turco-europei, con particolare riguardo all’Italia
Prossima al Caucaso e all’Asia centrale e mediorientale, Ankara gioca un ruolo essenziale negli interessi e nella sicurezza europei anche da un punto di vista energetico. Da quando Bruxelles ha cominciato a puntare sulle riserve delle prime due regioni, la Turchia è assurta a terra di transito, snodo cruciale nel futuro sistema di distribuzione degli idrocarburi. Pur non disponendo di risorse proprie, il Paese si avvia ad essere con i Balcani la 4a arteria dei rifornimenti energetici europei: drenerà idrocarburi dalla regione Volga-Urali, dal Kazakistan e dal Caspio-Iran, offrendosi come corridoio alternativo ai tanti della Russia.
Al di là della dimensione strettamente energetica, negli ultimi anni, vi è stata una graduale convergenza della politica estera e di sicurezza turca verso quella europea, con riforme politiche ed economiche interne che hanno avvicinato maggiormente il Paese agli standard comunitari. Ankara ha sottoscritto le dichiarazioni europee in materia di terrorismo e non proliferazione. Pur non avendo aderito né al Tribunale penale internazionale, né alla Comunità energetica dell’Europa sud-orientale, su diverse questioni ha assunto posizioni molto più vicine a Bruxelles che non a Washington, da ultimo sul conflitto iracheno, mostrando capacità negoziali invidiabili, secondo la tradizione del suo eccelso corpo diplomatico.
Se si eccettua il caso di Cipro e Malta, già membri dell’Ue, i soli progressi significativi nell’area sud-mediterranea riguardano proprio la Turchia. L’unione doganale fra Ankara e Bruxelles (1996) ha favorito enormemente le relazioni commerciali bilaterali ed influenzato altri aspetti della politica turca. La disciplina del commercio, della concorrenza e della proprietà intellettuale si ispira oggi fortemente all’acquis comunitario. Il Paese pullula di energie ed è corteggiato dalle aziende di tutto il mondo. Ha superato con slancio la tempesta del 2001. Quell’anno il Pil crollò del 10%; l’inflazione (70%) e il debito pubblico (90%) salirono alle stelle; la moneta perse metà del valore ed i tassi d’interesse nominali duplicarono; il sistema bancario parve implodere e numerose imprese dichiararono bancarotta. Il vento cambiò già nel 2002 e restituì l’impressione di un Paese vitale ed in piena transizione, anche se non ancora dinamico come l’Est-europeo.
Dopo Washington e Pechino, è Ankara il 1° partner commerciale di Bruxelles: 60% del suo interscambio avviene con i paesi comunitari. Di più: nella sponda sud del Mediterraneo, nessuno acquista tanto made in Italy quanto lei: 6,1 miliardi di € nel 2006, sui 18,3 complessivi. Tunisi, quell’anno 2a, non regge il confronto con appena 2,1 miliardi di €. Bastino pochi dati a confermare l’idillio economico Roma-Ankara: nel 1988 le aziende nostrane in Turchia erano appena 18, oggi se ne contano ben 513: tra esse Eni e Finmeccanica, che hanno saputo ritagliarsi partecipazioni importanti nell’energia e nella difesa. Ma il futuro non è assicurato: per conservare le quote di mercato (6%), occorrerebbero maggiori investimenti diretti e nuovi partenariati produttivi. La concorrenza straniera, tedesca, russa, cinese ed estremo-orientale, è sempre più agguerrita. Inutile ricordare che Roma caldeggia da tempo l’ingresso di Ankara nel club europeo, per riequilibrare verso sud il baricentro delle istituzioni euro-atlantiche. Al vertice di Helsinki (dicembre 1999), Bruxelles ha finalmente accettato la candidatura turca ed avviato i negoziati di adesione (2005): un tempo infinito se si pensa che dell’accessione turca parlavano già il preambolo e l’articolo 28 dell’accordo di associazione, firmato ad Ankara nel lontano 1963.
Negli ultimi anni, il Paese ha fatto passi da gigante verso i criteri di Copenaghen, sebbene molti gliene siano ancora richiesti. Ha avviato l’apertura del sistema economico e rimosso i rappresentanti dell’esercito sia dal Consiglio superiore dell’istruzione che da quello radio-televisivo, sorta di censore dei media. Ha concesso ai curdi trasmissioni radiofoniche e televisive ed accettato programmi d’istruzione in lingue diverse dal turco. Ha aumentato il numero di civili in seno al Consiglio nazionale di sicurezza e concesso loro di dirigerne il Segretariato. Ha perfino introdotto un monitoraggio civile delle spese militari e rivisto il ruolo dei graduati nel protocollo di Stato. Con la pena di morte, ha abrogato i Tribunali di sicurezza dello Stato, macchiatisi in passato di gravi violazioni dei diritti umani. Ha limitato il ricorso alla tortura ed ai maltrattamenti, riformando il sistema detentivo. In materia di diritti dell’uomo, ha riconosciuto preminenza alla legislazione internazionale: i pareri della Corte europea fanno ora giurisprudenza ed è addirittura possibile ricorrere avverso le decisioni dei tribunali militari.
Sebbene
siano scemate molte discriminazioni nei confronti delle donne, pratiche come le
violenze domestiche, gli ‘omicidi d’onore’, i matrimoni combinati e le
disparità nel livello d’istruzione continuano a macchiare soprattutto le
regioni orientali e sud-orientali del Paese. Ma è giocoforza ricordare che dei
molti abusi contestati alla Turchia non è scevro neanche il più ‘avanzato’
Occidente. Più di un interrogativo pone il differente metro di giudizio che
Bruxelles applica alla questione dei diritti umani, se solo si pensi al
trattamento riservato ai 40mila turchi della Tracia greca.
Oggi Atene ha rimosso il veto alla candidatura europea di Ankara, ma la
questione di Cipro è ancora irrisolta, così come il contenzioso per il
controllo dell’Egeo e dei suoi idrocarburi, di cui sia l’una che l’altra sono
quasi del tutto prive.
La Grecia possiede in quel mare circa 3mila isole e mira ad estenderne le acque territoriali da 6 a12 miglia marittime, conformemente alla convenzione di Montego Bay. La Turchia si oppone, non senza ragioni, considerando l’Egeo un mare interno e, in quanto tale, soggetto ad altre regole.
La riforma dell’art. 301 del Codice penale
Lo scorso 30 aprile 2008 il Parlamento turco ha approvato, con 250 voti a favore e 65 contro, una leggera modifica del controverso articolo del Codice penale che puniva con il carcere “le offese all’identità turca”. Il cambiamento del cosiddetto “articolo sulla turchicità” consiste nel lasciare alla discrezione del Ministro di Grazia e Giustizia la decisione di richiedere o meno l’apertura del procedimento. Inoltre, la pena massima diminuisce da tre a due anni. Negli anni passati l’art 301 è stato applicato in molti casi, soprattutto contro scrittori e giornalisti, come per esempio il premio nobel Pamuk o il giornalista turco armeno Harant Dink (cfr. infra). Da anni l’Unione Europea chiedeva una riforma di tale articolo a causa delle gravi limitazioni alla libertà d’espressione che poneva e, nonostante il partito di governo AKP abbia diverse volte promesso di apportare riforme al suddetto articolo, prima di adesso non aveva mai conseguito una vera azione. Una riforma dell’art. 301 è dunque vista come uno dei più importanti interventi in previsione dell’accesso alla UE.
L’articolo 301 del Codice penale è uno dei temi prioritari che occorre portare avanti ma non è l’unico, basti pensare ad altri sei articoli che limitano la libertà di parola e che devono essere modificati. Il partito di opposizione assicura che si opporrà ad ogni tentativo di modifica dell’articolo, ma l’AKP, che ha la maggioranza in parlamento, garantisce una piena e netta maggioranza in parlamento.
Le accuse all’AKP
Il 14 marzo scorso, un Procuratore di stato si è rivolto alla Corte costituzionale turca per richiedere la chiusura del partito al potere AKP (Partito per la giustizia e lo sviluppo) con l’accusa di portare avanti una politica antireligiosa e di non rispettare le radici islamiche della costituzione turca. L'appello prevedeva anche l'interdizione da ogni attività politica di 69 membri anziani del partito fra i quali il Primo Ministro Tayip Erdogan e il Presidente Abdullah Gul per cinque anni. Il partito di governo è così stato messo sotto accusa come incostituzionale, accentuando in tal modo le tensioni fra l'establishment secolarista rappresentata dalla magistratura, dall’esercito, da parte dell'apparato burocratico, dai rettori delle università nonché dal principale partito all'opposizione (CHP). Tali tensioni ultimamente si sono ulteriormente inasprite a causa di emendamenti costituzionali per allentare il divieto che impediva alle studentesse che indossavano il velo di accedere ai campus universitari. Quella di mettere sotto accusa un partito non è una novità in Turchia: negli ultimi dieci anni, infatti, la Corte Costituzionale turca ha chiuso il Partito della felicità ed il Partito della virtù, due antecedenti dell'AKP, in base alla valutazione di analoghe attività anti-secolariste.
Tuttavia le preoccupazioni e i dubbi del Commissario per l’allargamento dei Paesi dell’Europa Olli Rehn, secondo cui un’accusa di antireligione non giustificherebbe il tentativo di mettere fuori legge un partito - normalmente, infatti, si ricorre ad una imputazione solo in situazioni di emergenza nella quale i partiti ammettono il ricorso alla violenza o impiegano metodi violenti come mezzo per sovvertire l’ordine democratico costituzionale- sono stati confermati quando, alle fine di aprile 2008, la Corte Suprema ha accolto tale ricorso di incostituzionalità.
La decisione della Corte di accogliere tali accuse è l’ultima di una serie di screzi tra l’establishment ed il partito dell’AKP, il partito di governo moderato del Primo ministro Erdogan e del presidente Abdullah Gul, che è stato rieletto nel 2007. Rehn, contrario alla messa al bando di un partito eletto in libere elezioni, in un attacco diretto alla Corte ha sottolineato come in un paese che aspira a una vera democrazia di stampo europeo, le decisioni non dovrebbe essere prese in un’aula della magistratura ma nel parlamento deciso e scelto in libere elezioni.
L’imputazione di incostituzionalità arriva dopo che il partito Akp è stato rieletto nelle elezioni della scorsa estate 2007, elezioni segnate da una profonda crisi all’interno del partito religioso in un paese a maggioranza musulmana. Durante le campagne elettorali, l’opposizione e milioni di protestanti hanno riempito le piazze per difendere le radici laiche della costituzione turca. Lo scioglimento del partito dunque produrrebbe degli effetti negativi sulla politica e sull’economia in quanto rallenterebbe le riforme democratiche necessarie per entrare in Europa e vanificherebbe gli sforzi fatti finora.
Il procuratore generale turco ha ribadito il 1° luglio 2008 la richiesta di sciogliere l’AKP in quanto l’attuale partito di maggioranza starebbe tentando di introdurre nel Paese la legge islamica. La decisione della Corte dovrebbe essere adottata nel prossimo mese di agosto.
Il 5 giugno, la Corte costituzionale ha deciso che l’abrogazione del divieto di indossare il velo islamico nelle Università turche, promulgata a febbraio dall’AKP, è incostituzionale. Pertanto, il divieto di indossare il velo negli atenei resta in vigore.
La visita di Barroso in Turchia
Nelle scorse settimane ha avuto luogo una visita alla Turchia da parte del Presidente della Commissione europea, Manuel Barroso. Il suo viaggio ha avuto un duplice obiettivo. Il primo è stato quello di sollecitare le riforme che la Turchia ha arrestato qualche mese fa, dopo essersi impegnata a portare avanti modifiche legislative, l’altro è stato quello di criticare la decisione della Corte Suprema.
Barroso si è soffermato più volte sulla recente decisione della magistratura di accogliere l’istanza di scioglimento del partito di governo e dei suoi leader tra i quali il primo ministro Erdogan ed il Presidente Abdullah Gul. Il Presidente della Commissione ha dichiarato che in un Paese con una solida democrazia non può facilmente essere messo sotto inchiesta per incostituzionalità il partito che è al governo e che è al stato scelto dai cittadini in libere elezioni. L’Europa, ha ricordato Barroso, guarda ad una Turchia libera e laica e si è augurato che la decisione della Corte sia compatibile con gli standards legislativi europei e i diritti umani.
Nella sua visita, il Presidente della Commissione europea ha evidenziato il significato politico e civile dell’Unione, ha inoltre sollecitato la ripresa delle riforme ed espresso preoccupazione per la procedura della magistratura che mira a bandire il partito di governo.
Lo stesso Barroso ha ribadito che il secolarismo non può essere una nuova religione, che la procedura che potrebbe portare alla chiusura dell’AKP non trova alcun riscontro nella UE e che la Commissione seguirà da vicino con estrema attenzione gli sviluppi sulla politica interna turca.
Rammentando al parlamento l’essenza e gli obiettivi dell’UE, ha sottolineato la fondatezza e le finalità di questa, evidenziando la priorità dei valori comuni rispetto a quelli nazionali, dunque la creazione di una comunità di Stati che hanno deciso di sacrificare la loro sovranità per potere agire insieme su numerosi settori di politica. La credibilità, l’efficienza e la consapevolezza delle azioni portate avanti si fondano sul rispetto delle comuni regole, che si basano sui valori della democrazia e dei diritti dell’uomo. Pertanto, ha continuato, i Paesi che desiderano far parte dell’UE devono soddisfare tutti i criteri stabiliti, senza deroghe né scorciatoie.
Ha poi preso atto del fatto che la Turchia sicuramente ha compiuto notevoli progressi sul suo cammino verso la sua integrazione europea, come per esempio la questione sul velo e l’articolo 301 del c. p. sottolineando, però, la necessità di una maggiore libertà di espressione e di diritti civili e politici. Sul dibattito sorto sul secolarismo, ha fatto ricordato come pure in Europa, nei vari periodi storici ma anche recentemente, è stato affrontata questa tematica, ma che viene risolta in modo diverso dai vari Paesi tenendo sempre presente il principio fondamentale della tolleranza.
La questione del velo, che in Turchia è tuttora un argomento di forte discussione, e che ultimamente è stato oggetto di proposte di legge e decreti, dovrebbe essere una scelta personale di ogni donna. Passando poi alla politica internazionale, non sono mancati riferimenti agli ultimi sviluppi a Cipro ed al terrorismo, sottolineando il comune interesse a vedere la riunificazione dell’isola, ponendo fine ad un conflitto che dura da ormai quaranta anni sul suolo europeo.
Per quanto riguarda il PKK/ Kongra Gel, il nuovo nome del PKK dato al partito per conferire a questo un aspetto legale, Barroso ha espresso estrema diffidenza. Ha d’altra parte assicurato l’impegno da parte dell’Europa a mettere in atto una strategia di sviluppo socioeconomico nel sudest del Paese, garantendo così i diritti culturali e politici dei cittadini turchi di origine curda.
Per incoraggiare quella parte del Paese realmente intenzionata ad avvicinarsi all’Europa, ha concluso ricordando il difficile accesso all’Unione della Gran Bretagna, che fu negato per ben due volte. Le reazioni in Turchia sono state duplici: di disapprovazione e di stampo nazionalista quella dei due partiti di opposizione, CHP e MHP, mentre Erdogan ha promesso di riprendere il cammino delle riforme verso l’integrazione.
La visita di Barroso in Turchia si è conclusa nel Patriarcato ecumenico, un osservatorio privilegiato di monitoraggio della UE sui diritti delle minoranze in Turchia. L’incontro con il patriarca Bartolomeo ha confermato che persiste un certo ritardo nei vari processi e ha garantito una presa d’atto da parte della comunità cristiana della necessità di impegnarsi nel portare avanti le riforme per avvicinarsi all’Europa.
Il referendum costituzionale del 21 ottobre 2007
Il referendum, voluto dal Premier Erdogan, si è tenuto in una delle giornate più difficili della storia recente della Turchia, nuovamente segnata dalla violenza nel Kurdistan turco: gli atti di terrorismo e gli scontri tra forme armate e membri del PKK sono costati la vita a 16 militari e 32 separatisti.
I referendum sono stati approvati con una maggioranza superiore al 69%, mentre i no hanno superato di poco la soglia del 30%. L’affluenza è stata del 66% - irrilevante per assicurare la validità della consultazione, dal momento che la Costituzione non impone un limite minino alla partecipazione – ma lontana dalle percentuali relative ultime elezioni legislative (oltre 80%).
Queste le riforme approvate:
§ Elezione diretta del Capo dello Stato;
§ Riduzione del mandato del Capo dello Stato a cinque anni (rinnovabili);
§ Diminuzione del mandato parlamentare da cinque a quattro anni;
§ Abbassamento del quorum necessario per la validità delle votazioni in Parlamento (da 367 a 164 deputati).
FOCUS DI APPROFONDIMENTO |
Le politiche di riforme dal 2002
1. L’ampio programma di riforme sociali e politiche si era sviluppato nella precedente legislatura attraverso l’emendamento di dieci articoli della Costituzione e 9 pacchetti di riforme legislative. Tra le misure più significative si segnalano:
- introduzione del principio di supremazia delle convenzioni internazionali sul diritto interno (ciò che ha consentito di risolvere il decennale contenzioso con la Corte Europea dei diritti umani su ricorsi individuali);
- abolizione totale della pena di morte;
- introduzione del principio di parità uomo-donna;
- politica di “tolleranza zero” nei confronti della tortura;
- abolizione della giurisdizione straordinaria delle corti di sicurezza nazionale;
- riforma dei codici penale (specie a tutela della donna, con l’abolizione dell’omicidio “d’onore”, e dei minori) e di procedura penale (tra l’altro, riduzione della detenzione preventiva a 24 ore);
- rafforzamento del controllo civile sui militari, anche in materia di finanziamenti;
- misure per la repressione della corruzione;
- riforma della legislazione penitenziaria;
- misure per il riconoscimento delle specificità culturali della minoranza curda.
2. L’ampiezza e profondità di tali riforme avevano avviato un forte cambiamento del Paese, anche se si erano ravvisate forti difficoltà in sede di applicazione, considerate le resistenze all’interno della burocrazia turca e di un’amministrazione della giustizia fortemente influenzata dai conservatori.
Tra i vari dossiers aperti, la questione curda è sicuramente una delle più complesse e va affrontata con maggiore cautela. Alcuni positivi, seppur limitati movimenti, si erano registrati nell’annosa questione armena (la Turchia ha sempre negato che i tragici eventi del 1915 potessero essere considerati quali un “genocidio”, riconosciuto viceversa da vari Parlamenti nazionali anche sotto la pressione della diaspora armena): in particolare, si era tenuto ad Istanbul il 24 settembre 2005 il primo seminario mai organizzato nel paese sulla questione, un evento minore sul piano scientifico ma di forte valenza simbolica. Di grande risonanza internazionale era stata nell’autunno 2005 la vicenda del rinvio a giudizio del noto scrittore Orhan Pamuk con l’accusa di “attentato alla turchicità” (art.301 del codice penale) per dichiarazioni sulle questioni curda e armena (processo archiviato nel febbraio 2006). Era stata invece confermata in Cassazione la condanna contro il giornalista di origine armena Hrant Dink, ma archiviato il successivo procedimento aperto contro la scrittrice Safak, che in un libro aveva fatto riferimento ai “massacri” di Armeni.
Grande risonanza interna ed internazionale ha poi avuto l’assassinio dello stesso Dink nel gennaio 2007; ai funerali partecipava una folla di 100 mila persone ed una delegazione ufficiale della Repubblica Armena, ciò che – in maniera forse troppo ottimistica – aveva fatto pensare a possibili svolte nell’annosa questione armena.
Grande rilievo sul piano internazionale hanno avuto i ripetuti gravi episodi di estremismo religioso, dall’uccisione di padre Santoro a Trabzon nel 2006 all’eccidio, avvenuto il 18 aprile 2007 nella città di Malatya, di due cittadini turchi ed uno tedesco, appartenenti alla minuscola comunità cristiana locale.
Tali vicende inducevano la Commissione europea e vari Stati membri nella richiesta alle Autorità turche di una riforma del citato art. 301 del codice penale, considerato come la vaghezza della prescrizione normativa si prestasse ad interpretazioni arbitrarie (sono tuttora centinaia i casi aperti sulla base di tale norma). Non senza qualche difficoltà, il Governo si risolveva infine a presentare alcuni emendamenti al testo, approvati dal Parlamento a fine aprile: le pene vengono ridotte, si prevede la previa autorizzazione all’inchiesta da parte del Ministro della Giustizia, oggetto del vilipendio non è più la “turchicità” ma “la Nazione turca, lo Stato della Repubblica di Turchia”.
Un altro ambito di particolare rilievo è quello della tutela delle minoranze religiose, il cui statuto è ancora in larga misura quello previsto dal Trattato di Losanna del 1923 (che prevede misure specifiche per le minoranze ebrea, ortodossa ed armena). La questione era dibattuta da anni, specie con riferimento al Patriarcato ortodosso di Istanbul. Ma anche la piccola Chiesa cattolica locale affronta continui ostacoli, non essendo riconosciuta in quanto tale e priva di titolarietà su chiese e immobili.
Alcuni dei principali aspetti problematici sono stati finalemente disciplinati dalla Legge sulle fondazioni, adottata dal Parlamento il 20 febbraio 2008 (già approvato nel 2006 il testo era stato poi “vetato” dall’allora Presidente Sezer): introduce la possibilità di costituire fondazioni anche di ispirazione religiosa e garantisce loro il diritto a possedere ed amministrare beni; prevede al contempo la possibilità per le fondazioni di ottenere la restituzione di beni confiscati in passato dallo Stato, con l’esclusione tuttavia di quelli nel frattempo ceduti in buona fede a terzi. Il provvedimento attribuisce il compito di approvare la creazione di nuove fondazioni ad un’”Assemblea delle fondazioni” e assimila il regime legale della proprietà delle fondazioni estere a quello vigente per i privati stranieri in Turchia. Un aspetto particolarmente sensibile della nuova normativa riguarda il fatto che, sulla base del principio dell’equiparazione giuridica delle fondazioni, viene concessa anche alle fondazioni musulmane la possibilità di ricevere finanziamenti dai Paesi esteri.
Nell’ambito di tale azione di Erdogan tesa ad includere nello spazio pubblico tutte le fedi e le confessioni religiose, va considerata la sua partecipazione alla cena organizzata da una delle Associazioni alevite l’11 gennaio scorso: per la prima volta un leader politico turco, per di più proveniente dagli ambienti dell’ortodossia islamica, ha compiuto un gesto di tale portata, che ha provocato polemiche e divisioni nello stesso mondo alevita, date le accuse di strumentalizzazione elettorale (la minoranza alevita, vicino agli sciiti, conta 15 milioni di persone, un quarto delle quali curde, e tradizionalmente si è identificata con i sostenitori del secolarismo kemalista).
La questione curda
1. Sin dalla sua nascita nel 1923 la Repubblica turca si è dovuta confrontare con la questione curda, di forte impatto sul piano interno – data la consistenza numerica della comunità – e su quello delle relazioni internazionali – considerata la presenza di curdi anche nei paesi vicini (Iran, Iraq e Siria). In questi anni, in particolare, è divenuto centrale il tema del Nord Iraq largamente autonomo, nel qale sono installati i santuari del PKK. La politica ufficiale è stata per decenni quella di negare il problema, arrivando a qualificare i Curdi come “turchi di montagna”, o leggendolo solo in chiave repressiva quale contrasto delle attività terroristiche intraprese da alcuni gruppi, in particolare il PKK.
L’intreccio tra dmensione politica e dimensione militare hanno sempre caratterizzato la gestione dlla questione curda, sensa peraltro mai individuare una soluzione stabile.
La teoria politica turca rifletta quella francese nel rifiutare il riconoscimento di “minoranze” (salvo quelle previste dal Trattato di Losanna del 1923) portatrici di diritti, riconoscendone solo ai cittadini in quanto individui. In linea di principio non vi sono quindi discriminazioni positive ma nemmeno negative, tanto che l’etnia curda è fortemente presente nelle istituzioni turche, sia sul piano parlamentare (75 deputati) che dell’Esecutivo (5 Ministri).
2. La risonanza internazionale del caso Ocalan nel 1998/99, da un lato, e le aspirazioni turche di integrazione all’Europa, dall’altro, hanno innestato negli ultimi anni una dinamica che ha portato lo Stato turco ad avviare una riconsiderazione delle proprie posizioni: abolito nel 2002 lo stato di emergenza in dieci province del sud-est, è stata poi autorizzata la celebrazione del Newroz (il “capodanno” curdo, a forte contenuto identitario), avviati programmi in curdo sulle emittenti pubbliche ed alcune private, autorizzati corsi privati di curdo. Certo, persistono resistenze e difficoltà: ad esempio la legge sugli indennizzi delle vittime del terrorismo stenta a funzionare così come resta carente quella sul rientro della popolazione curda nei villaggi abbandonati ed i corsi privati di lingua curda sono stati sospesi per mancanza di iscrizioni.
Tale processo di graduale apertura ha ricevuto impulso con la leadership dell’AKP, portatore di un approccio alla questione sicuramente meno rigido. Grandi aspettative aveva suscitato in particolare la visita di Erdogan nell’agosto 2005 a Dyarbakir, città simbolo della regione curda, in occasione della quale aveva sottolineato la scelta strategica per le riforme, e non la repressione, quale soluzione per i problemi dell’area.
Non si registravano allora seguiti concreti, anche perché nel frattempo tornava l’emergenza terroristica, riproponendo quell’intreccio tra dimensioni militare e sociale che costituisce una costante per le r4ehiobi curde.. Nella stessa estate del 2005 si assisteva infatti ad una significativa ripresa di attacchi da parte del PKK e si registravano pesanti azioni repressive delle polizia. La forte pressione degli apparati di sicurezza portava all’approvazione di una legge anti-terrorismo, nel giugno 2006, considerata con perplessità per alcuni aspetti, quali l’estensione della definizione di terrorismo, la vaghezza del reato di “propaganda”, l’inasprimento delle pene e la restrizione del diritto alla difesa per le persone implicate in attività terroristiche.
Sembrava tornare a prevalere un approccio “securitario”: nel settembre 2006 si apriva ad esempio a Dyarbakir un processo contro 56 sindaci di origine curda, incluso quello del capoluogo, Baydemir, esponente di spicco del DTP, in connessione con una lettera inviata al Primo Ministro danese contro la possibile chiusura dell’emittente Roj tv, che i Turchi considerano legata al PKK. La magistratura di Dyarbakir chiedeva inoltre un nuovo rinvio a giudizio per i leaders di DTP, Ahmet Turk e Leyla Zana, con il reato di “elogio a criminali” per alcune dichiarazioni su Talabani, Barzani e Ocalan.
Con il passare dei mesi, le incursioni del PKK si intensificavano, e nel mese di ottobre 2007 si registravano i più gravi attacchi dell’ultimo decennio, con la morte di oltre 30 soldati turchi. Di qui una forte reazione popolare e le pressioni delle Forze armate per l’avvio di operazioni contro i santuari del PKK in Nord Iraq. In un clima di forte mobilitazione, il 17 ottobre 2007 il Parlamento autorizzava il Governo ad interventi militari ancheoltre confine (507 voti su 550), ciò che causava allarme nella comunità internazionale, a partire dagli Stati Uniti, preoccupati per le possibili ricadute sulla fragile situazione irachena. Il Governo turco gestiva peraltro la crisi con cautela, da un lato ottenendo la solidarietà internazionale, dall’altro evitando il ricorso ad operazioni militari di vasta portata.
Solo a fine febbraio si è deciso l’impiego anche di truppe di terra in Nord Iraq, seppur limitato a due settimane. E’ interessante notare che le modalità del ritiro causarono un’inedita polemica tra le Forze Armate ed il partito repubblicano/CHP, che sosteneva occorresse prolungare l’operazione militare e denunciava una presunta arrendevolezza nei confronti delle pressioni americane.
3. Sul piano politico, a lungo il Governo turco non ha avuto davanti a sè una leadership curda unitaria e rappresentativa, capace di prendere le distanze in maniera netta dal terrorismo. Nell’ultimo biennio vi sono stati tuttavia sviluppi positivi, specie all’interno del nuovo partito filo-curdo DTP (“movimento per la società democratica”), che, già nel suo primo congresso a fine giugno 2006, aveva puntato a promuovere un dialogo politico con il Governo turco. Nel terzo Congresso, a novembre 2007, il DTP ha riproposto una piattaforma politica basata su un regime di ampia autonomia per il Sud Est.
Di forte significato è stato poi l’ingresso in Parlamento di 22 deputati legati allo stesso DTP (entrati come indipendenti per aggirare la soglia di sbarramento), dei quali ben otto sono donne. Da sottolineare peraltro come nelle ultime elezioni i voti che in precedenza nel Sud Est erano andati a formazioni filo-curde solo parzialmente si sono trasferiti ai candidati indipendenti, dato che in molti hanno scelto il partito di Erdogan, che ha ottenuto percentuali tra il 40 e il 60%. Nel Sud-Est, si è quindi venuta a creare una situazione di bipolarismo politico, con due forze (AKP e DTP) che si spartiscono più o meno equamente oltre il 90% dei voti.
In un contesto quindi sicuramente difficile, ma che presenta positive evoluzioni, di sicuro rilievo era stato il fatto che la prima visita del nuovo Presidente della Repubblica, Gul, si fosse svolta ad inizio settembre proprio nelle città del Sud Est anatolico. Vi sono stati alcuni cauti segnali di apertura anche dal maggior partito di opposizione, il CHP, superando l’approccio puramente di sicurezza sin qui seguito.
Suscitava peraltro preoccupazione l’iniziativa del Procuratore Capo della Corte di Cassazione di richiedere la chiusura del partito DTP, su cui dovrà pronunciarsi ora la Corte Costituzionale: le accuse sono molto pesanti, perché dimostrerebbero lo stretto legame tra il partito e l’organizzazione terroristica PKK. Ootre al bando del partito, viene richiesta anche l’interdizione per cinque anni allo svolgimento dell’attività politica a carico di 221 membri del DTP, tra cui ben 8 parlamentari. La percezione a livello generale riflette la natura scissa di questa formazione politica, in cui convivono un’ala moderata convinta della necessità di lavorare nelle istituzioni per l’avanzamento della causa curda e una componente radicale, connessa al PKK.
In definitiva, l’esigenza di un approccio politico, fondato sulla promozione economica e socio-culturale dell’area, sembra ormai un dato acquisito, anzitutto per il partito al Governo (Erdogan da ultimo ha annunciato nuovi stanziamenti per il progetto GAP ed un canale televisivo in curdo), ma in parte anche per l’opposizione repubblicana; la sua realizzazione concreta è legata tuttavia alla situazione sul “terreno” nel confronto con il PKK.
Le fonti energetiche alternative
Anche a fronte di un rischio concreto di shock energetico nei prossimi anni, la Turchia sta ponendo le basi per una nuova politica energetica. Gli obiettivi sono molteplici: non solo un utilizzo più massiccio delle risorse carbonifere del Paese, ma anche il rafforzamento delle relazioni con i principali produttori dei Paesi limitrofi, lo sviluppo del nucleare e l’intensificazione dell’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili (geotermico/fotovoltaico, eolico, biomasse).
Nel mese di novembre il Parlamento turco ha approvato la nuova legge-quadro per la costruzione e la regolamentazione di centrali nucleari, da tempo bloccata a causa del veto posto dall’ex Presidente Sezer. Con lo sviluppo del nucleare, la Turchia mira a ridurre la propria dipendenza dalle importazioni (la Russia fornisce al Paese il 65% del fabbisogno di gas, mentre l’Iran il 18%). Inizialmente, si prevede l’apertura di tre centrali, per una potenza totale di 5000 Megawatt. A breve sarà indetta la gara per la costruzione della prima unità.
In questo scenario si prospettano delle opportunità di investimento per gli istituti di ricerca e imprese italiane che si occupano della progettazione e messa a punto di sistemi di sicurezza per le centrali nucleari e smaltimento delle scorie radioattive. Inoltre, ampio spazio può trovare la formazione e il training del personale impiegato nelle centrali.
Nel corso della conferenza ARENA sull’energia nucleare, tenutasi ad Istanbul il 18 gennaio 2008, il Ministro Guler ha invitato l’imprenditoria privata, sia turca che straniera, a considerare la possibilità di partecipare al progetto, precisando tuttavia che, anche in assenza di capitali privati, il Governo proseguirà il cammino verso l’utilizzo del nucleare con capitale pubblico. L’atteggiamento dell’imprenditoria privata turca è improntato ad una certa cautela, a causa dei molteplici aspetti di natura interna ed internazionale da prendere in considerazione, a partire dalle garanzie sulla sicurezza e delle ispezioni degli impianti da costruire.
Per ciò che concerne il geotermico ed il fotovoltaico, la Turchia occupa l’ottavo posto nel mondo come quantità di energia utilizzabile e sta attualmente disponendo solo del 2,7% di quella sfruttabile. Il Paese possiede inoltre un enorme potenziale solare; tra il 2001 ed il 2004 la vendita mondiale di pannelli solari è aumentata di una percentuale tra il 10% ed il 15%, e la Turchia ha assorbito il 5,5% della produzione mondiale. Le industrie italiane potrebbero inserirsi sul mercato turco diffondendo la tecnologia fotovoltaica integrata agli edifici e connessa alla rete elettrica nazionale al fine di cedere l’energia prodotta alla rete elettrica nazionale e ottenere in cambio una tariffa per compensare il costo della bolletta elettrica.
La Turchia ha iniziato anche a ricorrere all’energia eolica. La legge sulle Energie Rinnovabili emanata in Turchia nel maggio del 2005 ha introdotto una feed-in-tariff che riconosce un prezzo medio per l’energia all’ingrosso pari a quello dell’anno precedente e valido per i primi sette anni di vita dell’impianto. Attualmente sono in atto due progetti riguardanti la produzione di energia eolica nel Paese: quello di Sabenova nascerà nella regione di Antakya, una delle aree più ricche di vento del Paese; sarà in grado di produrre 112 GWh all’anno. Il secondo parco eolico di Karakurt, invece, avrà una produttività di 41 GWh all’anno. Questo settore rappresenta delle ottime opportunità di inserimento per i produttori di impianti eolici, di componentistica, di parti di ricambio, di semilavorati e di olii lubrificanti.
Infine, dal 1995 è in attività a Istanbul un impianto per la creazione di elettricità dal gas prodotto dai rifiuti solidi. Da questo impianto si producono annualmente 8.000.000 kWh di energia elettrica che riforniscono in media 1.500 case. Interessante sarebbe fornire il know-how per la produzione di energia da bio-massa e biocarburanti liquidi in alternativa ai derivati del petrolio.
POLITICA ESTERA
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Il precedente esecutivo Erdogan, nonostante fosse sostenuto da un partito di ispirazione religiosa, aveva nella sostanza aderito alle posizioni tradizionali di Ankara sui grandi temi di politica estera (adesione all’Unione Europea, appartenenza alla NATO e solido legame transatlantico, funzione di stabilità nelle crisi regionali); nel discorso programmatico del suo attuale Governo, Erdogan ha ribadito tale continuità.
E’ indubbio peraltro che Ankara tende oggi a muoversi su piu’ scacchieri, specie nelle relazioni con il mondo arabo-mussulmano e la Russia, non necessariamente in alternativa rispetto alle alleanze classiche con Stati Uniti ed Europa che, nonostante i momenti di difficoltà, restano centrali.
Prosegue un costante dialogo bilaterale con la Grecia, avviato nel 1999 dopo decenni di duro confronto legato ai numerosi motivi di contenzioso bilaterale (delimitazione della piattaforma continentale e dei confini aerei e marittimi sull’Egeo) ed alla questione cipriota. In tale contesto, ad aprile 2005 si era arrivati all’adozione di nuove confidence-building measures per evitare attriti nell’Egeo. Peraltro continuano le denunce greche di violazioni della propria sovranità da parte di aerei turchi (Atene rivendica nell’Egeo sei miglia di acque territoriali ma dieci di spazio aereo).
In generale, nonostante gli ottimi rapporti anche personali tra i due Primi Ministri, nell’ultimo triennio si era registrato un certo raffreddamento nelle relazioni bilaterali, legata sia alla questione di Cipro ma soprattutto alla questione dello statuto delle minoranze religiose specificamente il Patriarcato ortodosso) in Turchia. Ne era conseguito il continuo rinvio della visita ad Ankara del Primo Ministro Karamanlis, prevista sin dal luglio 2005 ma che si è svolta solo a fine gennaio 2008. Pur rappresentando un forte segnale politico, tale visita non ha fornito indicazioni sull’avvio a soluzione delle numerose questioni che continuano a dividere i due Paesi.
La Germania rappresenta tradizionalmente un partner di riferimento, data anche la consistenza della comunità turca emigrata; dopo gli stretti rapporti intrattenuti con il Governo Schroeder, si era verificato un prevedibile raffreddamento nei confronti del Cancelliere Merkel, nota sostenitrice di una “partnership privilegiata” UE/Turchia come alternativa all’adesione. Peraltro il Governo di coalizione tedesco mantiene la linea del “pacta sunt servanda” e quindi la Germania sostiene il processo di adesione della Turchia, sempre che Ankara adempia pienamente agli obblighi assunti.
Alcune polemiche ha suscitato la visita di Erdogan in Germania lo scorso febbraio: oltre a confermarsi le divergenze di opinioni sul piano politico, specie in tema di rapporti NATO-UE, la stampa tedesca ha criticato alcuni passaggi del discorso tenuto dal Primo Ministro allo stadio di Colonia davanti a miglia di turco-tedeschi nel quale ha evidenziato il rischio di “assimilazione”, pur invitando i connazionali a perseguire l’integrazione.
Da oltre un anno si assiste ad un forte raffreddamento nei rapporti con la Francia, a partire dall’approvazione nell’ottobre 2006 in Assemblea Nazionale a Parigi di un progetto di legge – poi sospeso – che introduceva il reato di negazionismo del genocidio armeno. Ulteriori, gravi difficoltà sono insorte dopo l’insediamento all’Eliseo di Sarkozy, nel maggio 2007, deciso oppositore della prospettiva europea della Turchia. Si sono avute alcune ripercussioni sul piano economico: l’ente nazionale turco per l’energia-BOTAS ha deciso ad esempio di sospendere le trattative con Gaz de France, potenziale sub contractor del progetto “Nabucco” e il Governo non ha rinnovato l’autorizzazione permanente al sorvolo del proprio territorio da parte di velivoli militari francesi; sono state inoltre escluse le imprese francesi dalle commesse nel settore della difesa.
Dopo i risultati sostanzialmente interlocutori della visita del Ministro Kouchner ad Ankara lo scorso ottobre, un timido rilancio si è avuto invece lo scorso febbraio con la visita del Ministro dell’Industria Hervé Novelli: l’attenzione è stata rivolta al comparto energetico, dove l’interesse della Francia si estende dal progetto “Nabucco” alla rete di distribuzione di elettricità, alla costruzione della prima centrale nucleare del Paese (per la quale il gigante francese Areva avrebbe manifestato particolare interesse). Va ricordato che, a dispetto degli attriti politici, nel corso del 2007 Parigi ha visto crescere le proprie esportazioni dell’8,2% e le importazioni del 30%.
La questione cipriota, una volta tramontate le aspettative suscitate all’inizio del 2004 dal negoziato sul Piano Annan, ha finito con l’intrecciarsi con le aspirazioni europee di Ankara. Il Governo turco da tempo ha puntato sulla ripresa del negoziato sotto egida ONU, ed a tal fine aveva presentato a gennaio 2006 un “Action Plan” – respinto da Nicosia - che prevedeva la rimozione di tutti gli ostacoli al commercio esterno per entrambe le Comunità, senza pregiudizio per la soluzione politica.
La posizione di fondo di Ankara rileva come l’aver ammesso una Cipro divisa nell’Unione Europea abbia aggravato i termini della questione. Ankara non può accettare alcuna forma di “riconoscimento” di Nicosia (inclusa l’apertura di porti ed aeroporti in ottemperanza del Protocollo di Ankara) se non vengano prima adottate le misure già decise dall’Unione Europea in favore dei turco-ciprioti – in particolare il commercio diretto – e considera comunque il riconoscimento quale tema da affrontare nel contesto dei negoziati sotto egida ONU.
Ulteriore motivo di contrasto tra Ankara e Nicosia era venuto dalla decisione cipriota di procedere, dopo la sottoscrizione a gennaio 2007 di un’intesa con il Libano sulla delimitazione delle Zona Economica Esclusiva, al rilascio di autorizzazioni a prospezioni petrolifere. Ankara ritiene in particolare che nell’area vi siano propri diritti.
Dopo il fallimento del Piano Annan si era registrato un certo indurimento della posizione turca, anche favorendo un profilo “autonomo” di Cipro Nord sul piano esterno. Ankara ha peraltro espresso un pieno favore per la ripresa dei negoziati tra le due parti con l’incontro del 19 marzo, resa possibile dall’elezione di Christofias alla Presidenza della Repubblica.
La Turchia si e’ mostrata sempre più coinvolta nella ricerca di soluzioni ai problemi regionali, in un difficile equilibrio tra il mantenimento delle tradizionali alleanze (Israele) e lo sviluppo di relazioni migliori con Iran, Siria e il mondo islamico in generale. Non estranee a questo parziale riorientamento sono le motivazioni economiche, che si tratti di approvvigionamenti energetici, opportunità’ di investimento, attrazione di capitali o afflusso di turisti da Paesi quali Iran e Russia. Il fatto che il rafforzamento delle relazioni politiche nella regione medio-orientale, ma anche nell’area del Mar Nero e centro asiatica, abbia un importante versante economico costituisce di per sé una novità per la politica estera turca, tradizionalmente imperniata sulla sicurezza.
L’assunzione di un più attivo ruolo regionale si e’ tradotta anche in un impegno consistente nel settore del peace-keeping, anche questa una novità per un apparato militare concepito per la difesa territoriale. Truppe turche sono oggi dislocate in Afghanistan, dove la Turchia ha anche detenuto il comando della missione della NATO ISAF, e sono attive nel quadro di UNIFIL in Libano.
Nel contesto mediorientale la politica estera turca nell’era bipolare era stata dettata da considerazioni di sicurezza – il deterioramento delle relazioni con la Siria; il vuoto di potere nelle regioni curde irachene dopo la guerra del 1991 – che l’avevano portata all’alleanza con Israele, il solo Paese dell’area in grado di garantirle assistenza economica e militare: dal 1996 i due Paesi sono legati da un accordo di cooperazione militare che prevede addestramento, trasferimento di tecnologia, condivisione di intelligence e operazioni navali congiunte, oltre che da un accordo di libero scambio.
Dopo l’insediamento del Governo dell’Akp, la Turchia ha riequilibrato la propria posizione, cercando anche di giocare un ruolo di “mediatore” nel conflitto israelo-palestinese.
La relazione privilegiata con Israele aveva del resto sofferto del deterioramento del quadro regionale: il governo Erdogan aveva criticato la decisione di sospendere i fondi all’Autorità palestinese dopo la vittoria di Hamas alle elezioni del gennaio 2006; dal canto suo Israele non aveva certo gradito la visita ad Ankara di una delegazione di Hamas nel febbraio 2006.
Peraltro gli incontri ad alto livello nel corso dell’ultimo biennio hanno ricondotto le relazioni bilaterali sui binari consolidati. I due Paesi hanno anzi concordato di procedere con il progetto di costruzione di una infrastruttura che collegherà il Mar Nero al Mar Rosso per il trasporto di gas, petrolio, acqua, cavi a fibre ottiche ed energia elettrica. Un grande successo diplomatico, anche sul piano della visibilità, è stata la visita del Presidente israeliano Peres ad Ankara nel novembre 2007: primo Capo di Stato israeliano ad intervenire al Parlamento di un Paese mussulmano, egli ha menzionato nel suo discorso il ruolo di mediatore svolto dalla Turchia in favore del processo di pace, e ricordato l’accoglienza che l’Impero Ottomano offrì agli ebrei cacciati dalla penisola iberica nel Cinquecento.
Di grande rilievo la presenza in aula anche del Presidente dell’ANP, Abu Mazen, che ha egualmente rivolto un discorso ai parlamentari, ritornando sulla necessità di porre fine all’occupazione dei territori come condizione per raggiungere la pace. I due Presidenti hanno partecipato, insieme al Capo di Stato turco Gul, alla VII Riunione del “Forum di Ankara”, iniziativa delle Camere di Commercio turche per creare una zona industriale nei territori palestinesi, individuata nella West Bank, precisamente a Tarkumya.
Fortemente positivo è l’andamento dei rapporti tra Turchia e Siria – con la quale si era quasi giunti nell’ottobre 1998 allo scontro armato per il sostegno offerto da Damasco al PKK – e lo stesso può dirsi di quelli con il mondo arabo nel suo complesso. La Turchia aveva riposto molte speranze in un’evoluzione democratica del Paese e tuttora sottolinea l’importanza per la comunità internazionale di “non perdere Damasco”. Grande risalto hanno ottenuto le visite in Siria del Primo Ministro Erdogan nell’aprile del 2007 e lo scorso aprile: nell’agenda, anche i temi delle risorse idriche (e, in particolare, la costruzione di una “diga dell’amicizia” turco-siriana lungo il fiume Oronte), e di quelle energetiche (Ankara è fortemente interessata al completamento del “gasdotto arabo” dall’Egitto in Giordania e che necessita del completamento sul territorio siriano).
Ad inizio maggio è stato ufficialmente confermato un ruolo svolto dalla Turchia da circa un anno per favorire un avvicinamento tra Siria ed Israele; Ankara assicura i propri buoni uffici facendosi intermediaria dei contatti indiretti tra le due parti.
Va nel contesto segnalata anche l’iniziativa turca di promuovere un riavvicinamento tra Afghanistan e Pakistan, avviata con l’incontro al vertice trilaterale di Ankara del 30 aprile 2007. Il Gruppo di lavoro congiunto istituito nell’occasione si e’ riunito ad inizio luglio, raggiungendo intese su aspetti specifici in materia di lotta al terrorismo e al traffico di droga. Un nuovo incontro al vertice è previsto entro l’estate.
Le relazioni con l’Iran – già molto difficili – hanno conosciuto nell’ultimo triennio un certo miglioramento, in un quadro strutturato di consultazioni bilaterali ad alto livello.
Ampio risalto aveva avuto nell’agosto 2007 l’incontro tra i rispettivi Ministri dell’Energia a Teheran: era stato siglato un Memorandum sulla produzione e distribuzione dell’energia elettrica, con costruzione di tre centrali elettriche (due in Turchia, una in Iran) a gas naturale. L’intesa includerebbe inoltre un progetto di costruzione di centrali idroelettriche sul territorio iraniano e di un gasdotto dalla città iraniana di Asaluye per allacciarsi a pipeline operanti sul territorio turco.
Tali iniziative non risultano certo gradite agli Stati Uniti; Ankara, per motivi di equilibri strategici, non può certo accettare l’ipotesi di un Iran dotato di armi nucleare, ma d’altro lato vede i rischi di un’eventuale escalation militare e dell’indurimento delle sanzioni: se quindi si è allineata alla posizione della comunità internazionale, d’altra parte ha evitato di utilizzare toni troppo duri, non mancando mai di sottolineare il proprio sostegno ad una soluzione diplomatica della crisi.
Quanto all’Iraq, vanno tenuti presenti sia la sensibilità di Ankara per la salvaguardia della minoranza turcomanna installata nel Paese vicino, sia – soprattutto – i tradizionali timori di una divisione del Paese che consenta la nascita di uno Stato a base curda ai confini sud-orientali.
La posizione della Turchia sull’assetto dell’Iraq si riassume quindi:
- difesa dell’integrità territoriale, con un rafforzamento del potere centralee riduzione delle spinte centrifughe;
- equità di trattamento delle diverse componenti etnico-religiose, con particolare riferimento alla distribuzione dei proventi del petrolio;
- attenzione allo status di Kirkuk, città del Kurdistan iracheno in cui vive una consistente popolazione turkmena;
- sicurezza della frontiera settentrionale, con riguardo alle attivita’ del PKK.
A margine del vertice della Lega Araba di Riad (marzo ’07) il Primo Ministro Erdogan aveva per la prima volta incontrato il Presidente iracheno Talabani; vari incontri a livello ministeriale si erano succeduti nel 2007, fino alla “storica” visita di Talabani ad Ankara lo scorso marzo. Centrale nell’agenda bilaterale è la questione della lotta ai santuari del PKK insediati in Nord Iraq ed anche la cooperazione economica.
Oltre a seguire con attenzione la situazione nell’area balcanica –con riferimento al Kossovo (Ankara è stata tra le prime a riconoscere il nuovo Stato), Albania e Macedonia – la politica estera turca si concentra anche sul Caucaso.
In crescita i rapporti la Georgia, dove nel novembre si è recato il Presidente Gul per la cerimonia di avvio dei lavori della ferrovia Baku-Tblisi-Kars (BTK), che collegherà le reti dei tre Paesi e in prospettiva anche la Cina e Londra, una volta completato il progetto “Marmaray”, il tunnel ferroviario sottomarino nel Bosforo. In occasione della visita sono stati inoltre siglati tra Georgia e Turchia un Accordo di Libero Scambio ed un Accordo sulle Doppie Imposizioni.
Quanto all’Armenia, la questione del riconoscimento del “genocidio” ha continuato a bloccare possibili avanzamenti; in connessione con la questione del Nagorno-Karaback, Ankara aveva deciso nel 1994 la chiusura delle frontiere terrestri. Del resto la Turchia vede con forte preoccupazione il tentativo armeno di sfruttare a proprio vantaggio il negoziato di adesione della Turchia all’Unione Europea, e le sensibilità di alcuni Paesi, in primis la Francia, sul tema.
Per cercare di disinnescare detto pericolo, nel 2005 si era registrata una certa evoluzione rispetto alla tradizionale posizione di puro e semplice diniego delle vicende armene: alla vigilia del 24 aprile (90.mo anniversario dei massacri), il Parlamento turco aveva per la prima volta discusso la questione armena approvando all’unanimità una dichiarazione di sostegno alla proposta - contenuta in una lettera di Erdogan al Presidente armeno - di istituire una commissione mista di storici per esaminare nel dettaglio la questione, per rimuoverla dalla scena politica. Una proposta non accolta da Yerevan, che sostiene viceversa che la questione vada esaminata sul piano politico generale.
La questione armena rappresenta del resto un elemento fortemente condizionate per la politica estera turca, come dimostrano le difficoltà nei rapporti con la Francia e, in precedenza, con gli Stati Uniti, nonche’ con gli altri Paesi che decidano di “riconoscere” il genocidio.
Richiamandosi a legami di carattere culturale e linguistico, Ankara si era impegnata nella ricerca di un ruolo di riferimento nei confronti delle Repubbliche turcofone dell’Asia centrale, dopo la loro indipendenza dall’URSS, impegno rivelatosi peraltro molto ambizioso rispetto alle possibilità politiche ed economiche del Paese.
Il Vertice di Antalya, svoltosi nel novembre 2006 con la partecipazione dei Capi di Stato di Azerbaigian, Kazakistan e Kirghizia, aveva segnato un rinnovato impegno nella regione. Punto focale è costituito dalla cooperazione economica, soprattutto nel settore dell’energia, per sviluppare la direttrice tran-caucasica, attraverso i progetti infrastrutturali come l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, il gasdotto Baku-Tbilisi e la linea ferroviaria Baku-Tbilisi-Kars.
Non mancano alcuni problemi, dovuti al timore per le ambizioni turche di diventare il più importante “hub” energetico della regione, a possibile detrimento del ruolo azero.
La crisi irachena aveva comportato una lunga fase di forte difficoltà nei rapporti con gli Stati Uniti - tradizionale partner strategico – iniziata a partire dal marzo 2003, allorché il Parlamento di Ankara negò l’autorizzazione al transito delle truppe americane impegnate contro l’Iraq di Saddam Hussein e proseguita con le accuse di Ankara di scarso sostegno nella lotta contro il PKK. Il timore di una frantumazione dell’Iraq e la conseguente creazione di un “Kurdistan” indipendente così come il processo di “curdizzazione” nel Nord Iraq ai danni dell’etnia turkmena hanno costituito degli irritanti nei confronti di Washington.
Difficoltà erano insorte anche per la questione armena: lo scorso ottobre la Commissione Affari esteri del Congresso aveva infatti approvato una risoluzione che qualificava gli eventi del 1915 come “genocidio”, nonostante la ferma contrarietà del Presidente Bush; il documento non è stata tuttavia sottoposto all’approvazione del Congresso.
Gli incontri ad alto livello svoltisi a fine 2007/inizi 2008 hanno consentito di rinsaldare il rapporto turco-americano, grazie anche alla collaborazione offerta da Washington a livello di intelligence nella lotta al PKK.
Una certa divergenza permane rispetto alle ambizioni nucleari dell’Iran: la Turchia ha ribadito la propria opposizione all’acquisizione di armamenti nucleari da parte di Teheran, ma anche il diritto di qualunque Paese ad acquisire tecnologia nucleare a scopi civili, auspicando che si pervenga, nel caso iraniano, ad una soluzione diplomatica della questione.
Le questioni energetiche costituiscono un altro dossier fondamentale nei rapporti tra Ankara e Washington: per gli USA la Turchia riveste un ruolo essenziale di “hub” energetico e dovrebbe assumere un ruolo più attivo nel sostenere i tentativi americani di diversificazione delle fonti energetiche.
D’altro lato, si segnala il costante sostegno degli USA al processo di adesione all’Unione Europea; Washington appare inoltre particolarmente sensibile alle istanze dei turco-ciprioti a costo di frequenti attriti con il Governo di Nicosia.
Costante cura continua ad essere posta nelle relazioni con la Russia, partner importante sotto il profilo economico e con cui si constata anche una convergenza crescente sul piano politico, specie in riferimento allo scenario mediorientale e allo scacchiere strategico del Mar Nero.
Un settore in cui le relazioni turco-russe sono particolarmente intense è quello della cooperazione energetica ed i due Paesi hanno deciso di puntare soprattutto sulla complementarietà data dal fatto che l’uno è paese produttore, l’altro consumatore e Paese di transito. Non mancano tuttavia elementi di oggettiva concorrenzialità con la Russia, resa evidente dal progetto “South Stream”, che, collegando le sponde del Mar Nero con un percorso sottomarino da Est ad Ovest, eviterebbe il territorio turco.
Persistono inoltre divergenze sulla questione armena e su Cipro: Mosca chiede l’apertura della frontiera con Yerevan, mentre Ankara è rimasta delusa dal mancato sostegno russo all’Action Plan su Cipro del gennaio 2006.
Una menzione merita infine il tema della sicurezza energetica quale fattore della politica estera: la Turchia è un protagonista di crescente importanza del “grande gioco” degli oledotti e dei gasdotti riguardanti le risorse di idrocarburi del Medio Oriente e del Caspio. Oltre ad assicurarsi le risorse necessarie ad alimentare la sua crescita economica (il Paese non dispone di materie prima energetiche), punta infatti a rafforzare il suo ruolo di Paese di transito, posizionandosi come hub sia per le materie prime provenienti dalla Russia e dal Caspio, sia di quelle mediorientali.
Nella politica di diversificazione delle fonti di approvvigionamento rientrano la costruzione del gasdotto Blue Stream (gas russo), e degli oledotti Baku-Tbilisi-Ceyhan (che collega il Caspio al Mediterraneo) e Samsun-Ceyhan, come anche i progetti per l’estensione della rete degli oleodotti e dei gasdotti dal Medio Oriente e dalla regione del Caspio. Partners importanti di questa politica sono la Russia, da un lato; la Georgia, l’Azerbaigian, il Kazakhstan e, in prospettiva, il Turkmenistan, dall’altro lato.
Relazioni con le principali Organizzazioni Internazionali
Sulla riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la Turchia da tempo condivide ed appoggia le posizioni italiane e ha pienamente aderito al movimento “Uniting for Consensus”. Tale sviluppo è particolarmente significativo, considerata l’influenza della Turchia su vari Paesi ed il suo crescente ruolo sul piano internazionale.
La Turchia ha presentato la propria candidatura ad un seggio non permanente per il biennio 2009/10, e ha chiesto anche il nostro sostegno (siamo peraltro vincolati per il primo turno di votazioni all’impegno già assunto con Austria e Islanda).
Ankara punta inoltre a porsi quale protagonista nell’ambito delle iniziative tese a promuovere il dialogo di culture, facendo valere la propria vocazione multiforme di paese islamico laico e orientato verso l’Europa: la Turchia aveva ad esempio ospitato, nel febbraio 2002, una conferenza dei Ministri degli Esteri dell’Organizzazione della Conferenza Islamica e dei Paesi dell’Unione Europea, la cui seconda edizione era prevista nell’ottobre 2004 (poi annullata a causa del problema della denominazione con la quale avrebbe dovuto partecipare Cipro Nord).
Erdogan co-sponsorizza l’iniziativa di “Alleanza di Civiltà”, proposta dal Primo Ministro spagnolo Zapatero nel suo intervento all’ONU nel settembre 2004. Obiettivo prioritario è quello di individuare e combattere pregiudizi e percezioni ostili, valorizzando d’altro lato gli elementi di interdipendenza, dall’ambiente all’economia, dalla sanità alla finanza. In occasione dell’inaugurazione del I Foro dell’Alleanza delle Civiltà, svoltasi a Madrid il 15 e 16 gennaio u.s., e contestualmente alla sua visita di Stato in Spagna, il premier Erdogan ha ribadito l’interesse turco per l’iniziativa, ma non ha nascosto la sua visione strumentale, che considera questo esercizio come propedeutico all’ingresso della Turchia nell’UE.
Forte è l’impegno di Ankara nei fori regionali cui partecipa: “Iniziativa di Difesa del Sud-Est Europeo”, SECI, “Processo di cooperazione per l’Europa del sud-est”.
In particolare, rilevante è il suo ruolo nell’Organizzazione per la Cooperazione nel Mar Nero/BSEC, che ha il proprio Segretariato ad Istanbul. In tale città ha avuto luogo il 25 giugno 2007 il 15.mo Vertice, cui hanno partecipato 11 Capi di Stato e di Governo su 12 Paesi membri (mancava il Presidente armeno Kocharian, rappresentato dal Ministro degli Esteri Oskanyan); per l’Italia, dal 1995 Paese osservatore, era presente a livello di Sottosegretario.
QUADRO ECONOMICO
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PRINCIPALI INDICATORI ECONOMICI 2007
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PIL (a parità di potere d’acquisto) |
667,7 miliardi dollari USA |
PIL al cambio ufficiale |
388,6 miliardi di dollari USA |
Composizione per settore |
agricoltura 9,3%; industria 31%; servizi 59,7% |
Crescita PIL |
6% |
PIL pro capite
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9.400 dollari USA (Italia: 31.000) |
Inflazione |
8,5% |
Popolazione al di sotto
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20% (2002) |
Tasso di disoccupazione |
9,7% (a questa percentuale va aggiunta quella dei sottoccupati, pari al 4,0%) |
Rapporto debito pubblico / PIL |
58,2% |
Debito estero |
226,4 miliardi di dollari |
Fonti: The Cia Worldfactbook, 2008 |
Il Governo turco ha attuato con determinazione il programma di risanamento economico concordato con il FMI a partire dal 1999, conseguendo importanti risultati che hanno reso l’economia turca più robusta ed in grado di resistere a possibili nuove crisi, dopo quella gravissima del 2001.
Il PNL è cresciuto del 5,9% nel 2003, del 9,9% nel 2004, del 7,7% nel 2005 e del 6% nel 2006. Tale fase di espansione era stata stimolata dalla domanda interna, da ottime prestazioni delle esportazioni nonché da un forte impulso del turismo. Vanno inoltre evidenziati il forte calo dell’inflazione negli ultimi anni e l’afflusso di consistenti investimenti esteri.
A partire dal 2007 si è registrato peraltro un tasso di crescita meno elevato del previsto (4,5%), per quanto resti ben sopra la media UE; le previsioni per il 2008 sono inferiori al 4%.
La composizione del PIL conferma come la Turchia sia ormai allineata ai Paesi più avanzati:
ORIGINE DEL PIL (%) |
2003 |
2004 |
2005 |
2006 |
2007 gen-set |
SERVIZI |
57,5 |
60,3 |
59,1 |
58,4 |
65,3 |
INDUSTRIA |
29,9 |
28,7 |
29,4 |
30,6 |
25,2 |
AGRICOLTURA |
12,6 |
11,0 |
11,5 |
11,0 |
9,5 |
Fonte: ICE
2. Negli ultimi anni sono state approvate importanti riforme strutturali, quali la legge quadro sugli investimenti esteri, la normativa sulla creazione di imprese, la riforma del mercato del lavoro, la legge sul controllo della finanza pubblica, oltre a un fitto programma di privatizzazioni, anche in ottemperanza alle indicazioni del Fondo Monetario Internazionale (FMI), con particolare riguardo ai settori delle infrastrutture e dei trasporti, della produzione e distribuzione dell’energia elettrica, della petrolchimica e delle “public utilities”.
Da ultimo il Parlamento ha approvato la riforma della previdenza sociale, fortemente richiesta dal FMI per ridurre la spesa pensionistica (pari al 20% del bilancio): si prevede l’innalzamento a 65 anni dell’età pensionabile e l’unificazione degli istituti di previdenza sociale
Sul tavolo rimangono invece alcuni importanti progetti di riforma, specie in materia di ristrutturazione del sistema di prelievo fiscale e di liberalizzazione dei mercati elettrico, del gas, degli alcolici e della telefonia fissa.
3. A fronte dei notevoli progressi sin qui compiuti, sul sistema economico turco gravano ancora alcuni fattori di disequilibrio.
Il debito pubblico e’ ancora molto alto: nel 2007 e’ risultato pari a 286 miliardi US$, con una composizione tale da esporre pericolosamente il Paese in caso di indebolimento del cambio e rialzo dei tassi di interesse. Va peraltro sottolineato che il debito pubblico in percentuale è sceso dal 90% del PNL (2002) al 46%. L’avanzo primario dovrebbe essersi attestato al 4,1%, meno rispetto al parametro fissato dal FMI (6,5%).
La bilancia dei pagamenti riporta livelli sempre maggiori di deficit nelle partite correnti, con una differenza negativa nel 2007 pari a US$ 38 miliardi, un incremento del 20% rispetto al 2006; nel primo bimestre del 2008 e’ stato registrato un ulteriore aumento del deficit del 23,7%. Quanto al saldo della bilancia commerciale, nel 2007 e’ stato negativo per 62,8 miliardi di dollari (+16%), soprattutto a seguito della forte dipendenza energetica dall’estero. Nel primo trimestre del 2008 il saldo e’ risultato passivo per 16 miliardi di dollari (+33% rispetto allo stesso periodo del 2007).
Risulta infine relativamente alto il tasso di disoccupazione, che nel 2007 e’ stato pari al 10,6% ed a marzo di quest’anno ha raggiunto l’11,3%.
In aumento anche l’inflazione, al 9,7% ad aprile; per fine 2008 si stima un tasso pari all’8.4%. La Banca Centrale prevede che un tasso inflazionistico del 4% non sara’ realisticamente raggiungibile in meno di due anni.
Infine, non sono segnalati progressi sul problema dell’economia sommersa e delle carenze del sistema fiscale: secondo il Ministero delle Finanze, l’economia sommersa ammonta al 25.5% e per contrastarla è stato predisposto un piano quinquennale “Lotta all’Economia Sommersa” (KADEM), basato su una serie di quindici punti miranti sostanzialmente all’efficienza fiscale.
4. Nel programma triennale 2008-2010 è prevista una crescita economica media del 5,6%. Per ciò che riguarda la bilancia dei pagamenti, alla fine del triennio, le esportazioni dovrebbero raggiungere un valore di $137,5 miliardi con una crescita media dell’11,1%, mentre le importazioni si assesterebbero sui $200 miliardi con una crescita media del 9,5%. Le entrate derivanti dal settore del turismo, stimate a $19 miliardi nel 2008, dovrebbero raggiungere invece i 20,5 miliardi di dollari nel 2010.
Imperativo per il Governo e la Banca Centrale è continuare a condurre una rigida disciplina di bilancio e di controllo della massa monetaria. Ankara dovrà proseguire con determinazione sulla strada della stabilizzazione macroeconomica, consolidando i virtuosi risultati raggiunti sul piano fiscale e monetario, impegnandosi altresì a risolvere i problemi che ancora minano la sostenibilità della crescita attraverso opportuni interventi, soprattutto la riduzione del deficit commerciale e del debito pubblico.
Relazioni economiche con i principali Paesi partners
Il grado di apertura della Turchia al commercio internazionale e’ elevato.
Nel 2007 l’interscambio è stato pari a 277 miliardi $ (+23%), con esportazioni per 107 milardi (+25,28%) e importazioni a 170 miliardi (+21,8%). Il Paese ha un sistema produttivo trainato dalle esportazioni che, a sua volta, si alimenta grazie alle forniture di beni intermedi e di investimento. Ne deriva una situazione di deficit della bilancia commerciale, che nel 2007 è arrivato a 62,8 miliardi US$, con un aumento del 16,3% rispetto all’anno precedente.
La Germania nel 2007 aveva confermato la prima posizione tra i partner commerciali della Turchia, seguita dalla Russia (primo Paese esportatore, in considerazione delle consistenti forniture energetiche). L'Italia manteneva saldamente in terza posizione, con un interscambio pari a 17,4 miliardi di dollari.
I dati relativi ai Paesi fornitori nel 2007 confermano il primo posto della Russia (US$ 25,5 miliardi), seguita dalla Germania (17,5), dalla Cina (13,2) e dall’Italia (10). Notevoli le performances dell’export della Cina (+37%), terzo Paese fornitore con esportazioni sempre piu’ “invasive”, soprattutto nel campo del tessile, calzature, macchinari e prodotti industriali, e segnano un notevole aumento anche quelle statunitensi (+30%), svizzere (+31,2%), coreane (+22,8%) ed iraniane (+17,4%). Anche la Francia, per cui molti temevano un “crollo” delle esportazioni a seguito del “boicottaggio” sulla questione armena, ha visto crescere le proprie esportazioni dell’8,2%.
Quanto ai mercati di sbocco, il 2007 ha visto il primo posto della Germania (11,9 miliardi, +23,8%), seguita dal Regno Unito (8,8 miliardi, +26,6%) e dall’Italia (7,5 miliardi, +10,8%). Da segnalare il consistente aumento delle esportazioni turche verso la Russia (+ 48,4%) ed in Cina (+ 52,4%).
L’Unione Europea figura saldamente al primo posto quale area di destinazione (56,5%) e di origine (40,3%) dei flussi commerciali. Secondo i dati Eurostat del 2007, la Turchia rappresenta il quinto mercato dell’export industriale dell’UE, con una quota del 4.3%.
Principali partners commerciali
· Germania: 29,5 miliardi di dollari |
· Russia: 28,2 miliardi di dollari |
· Italia: 17,4 miliardi di dollari |
· Cina (R.P.): 14,2 miliardi di dollari |
· Regno Unito: 14 miliardi di dollari |
· Francia: 13,8 miliardi di dollari |
· USA: 12,2 miliardi di dollari |
· Spagna: 8,9 miliardi di dollari |
· Iran: 8 miliardi di dollari |
· Svizzera: 6,2 miliardi di dollari |
L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE DELLA TURCHIA
(valori in migliaia di dollari e variazioni sul periodo corrispondente)
PAESE |
IMPORTAZIONI 2007 |
Var%
|
ESPORTAZIONI 2007 |
Var%
|
RUSSIA
|
23,506,019 |
32.01% |
4,727,197 |
46.01% |
GERMANIA
|
17,547,457 |
18.82% |
11,993,600 |
23.82% |
CINA (R.P.)
|
13,224,129 |
36.77% |
1,038,960 |
49.91% |
ITALIA
|
9,967,056 |
15.05% |
7,478,717 |
10.76% |
STATI UNITI
|
8,144,451 |
30.08% |
4,144,906 |
-18.10% |
FRANCIA
|
7,831,774 |
8.17% |
5,974,415 |
29.76% |
IRAN
|
6,613,791 |
17.54% |
1,386,935 |
30.00% |
REGNO UNITO
|
5,471,206 |
6.49% |
8,626,339 |
26.59% |
SVIZZERA
|
5,268,743 |
31.23% |
935,055 |
3.78% |
COREA DEL SUD |
4,368,697 |
22.84% |
----- |
----- |
SPAGNA
|
4,342,173 |
13.30% |
4,579,902 |
23.10% |
Fonte: Elaborazioni ICE Istanbul su dati Istituto turco di statistica
I dati relativi al I trimestre del 2008 confermano l'andamento effervescente della bilancia commerciale turca, con un interscambio totale pari a di $82.2 miliardi (+40%). Aumenti significativi sono stati registrati per le esportazioni, con un +42,8% e un valore di $33.1 miliardi, e per le importazioni, che hanno segnato un incremento del 40% e un valore di $49 miliardi.
Da sottolineare il sorpasso della Russia, divenuta primo partner commerciale: ha registrato un interscambio di 9,1 miliardi di dollari, soprattutto grazie all’esportazione di gas naturale (oltre 20 miliardi di m3 l’anno, corrispondenti a circa il 70% del fabbisogno energetico della Turchia). Seguono la Germania, con 8,1 miliardi di dollari e l’Italia, con 4,8 miliardi di dollari (+26%) ed un saldo attivo pari a 623 milioni di dollari.
Tra i fornitori, la Russia ha confermato il primo posto (US$ 7,6 miliardi; +51,7% ), seguita dalla Germania, con US$ 4,7 miliardi (+35,8%), dalla Cina (US$ 3,9 miliardi; +51,3%) e dall’Italia (US$ 2,7 miliardi; +33,3%). Interessanti le performances di USA (+37,9%), Giappone (+45,5%), Olanda (+41,6%) e Arabia Saudita (+92%). Sempre nel primo trimestre del 2008, le quote di mercato sul totale delle importazioni turche dei primi cinque paesi fornitori sono state le seguenti: Russia (15,5%), Germania (9,6%), Cina (8,1%), Italia (5,5%) ed USA (4,9%).
Tra i clienti, la Germania risulta sempre prima (US$ 3,4 miliardi; +25%), seguita dal Regno Unito (US$ 2,2 miliardi; +18%) e dall’Italia (US$ 2,1 miliardi; + 19,4%). Rilevante l’incremento delle esportazioni turche verso la Svizzera (+493,5%), la Russia (+ 60,7%), l’Iran (+61,8%) e la Francia (+40%).
Quanto alla struttura degli scambi, i principali prodotti esportati sono stati autoveicoli e parti di ricambio, macchinari, apparecchiature meccaniche, impianti di riscaldamento, ferro e acciaio e accessori ed articoli di abbigliamento; per quanto riguarda le importazioni al primo posto i combustibili ed olii minerali, seguiti da macchinari, apparecchiature meccaniche, impianti di riscaldamento, ferro e acciaio.
Il flusso di investimenti diretti esteri può beneficiare delle novità introdotte dalle riforme in materia, che pure in un primo tempo avevano avuto effetti limitati. Un notevole incremento si è registrato a partire dal 2005, con oltre 9 miliardi di dollari, gran parte dei quali destinati al settore dei servizi ed ai numerosi progetti di privatizzazione. Nel 2006 lo stock degli investimenti esteri era risultato pari a 83,5 miliardi di dollari, rafforzato da un flusso in entrata di 20,2 miliardi di dollari (+101,7%), che posizionava la Turchia al quinto posto fra i principali recettori di investimenti esteri a livello mondiale (53ma posizione nel 2002). Nel 2007 gli investimenti sono stati pari a 21,9 miliardi $, con ulteriore aumento del 9,8%. In controtendenza si è aperto il 2008: nel primo bimestre l’afflusso totale ha toccato quota $ 1,6 miliardi, in forte calo rispetto agli 8 miliardi del I bimestre 2007.
Nel periodo 2002/07 i Paesi Bassi sono risultati il primo Paese investitore (21,4% del totale), seguiti dal Belgio (16%), dalla Grecia (9,9%) e dalla Francia (9,4%).
I settori di maggiore interesse da parte degli investitori esteri sono risultati banche, telecomunicazioni, petrolchimica, immobiliare e cemento.
Le imprese investitrici estere in Turchia sono 18.407. L’Italia conta 600 imprese, ed uno stock di 4,5 miliardi di dollari. Di queste 18 mila imprese estere, oltre 11.000 sono state costituite nel periodo 1999-2007. La composizione merceologica delle imprese estere presenti in Turchia vede la netta prevalenza del settore commerciale; seguono a ruota le imprese industriali con in testa i settori tessile e chimico. Un alto numero di investimenti esteri si registra anche nei settori immobiliare, trasporti e comunicazioni, alberghiero e ristorazione.
Secondo i dati della Banca Centrale turca, lo stock degli investimenti turchi all’estero ha raggiunto a fine 2007 quota 11,8 miliardi di dollari, dei quali 2,5 per l’anno 2007.
I settori di maggiore interesse per gli investitori turchi sono risultati i seguenti: finanza/banche e tessile/abbigliamento. La Banca Centrale segnala inoltre un crescente interesse per investimenti diretti turchi verso l’Egitto ed il Medioriente in genere, oltre alla Cina ed all'Asia Centrale.
Rapporti con le Istituzioni finanziarie internazionali
Il Fondo monetario internazionale nel maggio 2005 aveva approvato un Accordo triennale di Stand-By a sostegno del programma economico e finanziario del Governo turco per il periodo 2005-2008, per un ammontare complessivo di 10 miliardi di USD, scaduto in questi giorni. La Turchia è stato sinora il maggior debitore nei confronti del FMI, con una somma in 8 anni di 37,3 miliardi $ (35 già ripagati).
Il programma era stato elaborato per prolungare i benefici effetti economici ottenuti con il precedente e ridurre le residue vulnerabilità dell’economia. In particolare, l’impegno del Governo a mantenere il surplus di bilancio al 6,5% del PIL intendeva ridurre in maniera sostanziosa il debito pubblico.
L’attuazione delle riforme fiscali era la chiave di volta del programma, concentrandosi sull’aumento degli introiti attraverso al semplificazione e la riduzione delle esenzioni, mentre la riforma della spesa doveva ridurre il deficit della sicurezza sociale e la riforma dell’amministrazione fiscale doveva a sua volta ridurre l’ampiezza dell’economia sommersa. Il programma prevedeva il raggiungimento di un obiettivo di crescita del 5% annuo, un deficit corrente del 4,4% del PIL che dovrebbe gradualmente ridurre il rapporto debito/PIL di un ulteriore 10%.
Una serie di impegni non sempre centrati, specie nel 2007, quanto a tasso di crescita e inflazione.
Occorre ora vedere quali saranno i rapporti tra Turchia e FMI dopo la conclusione del Programma; sembrerebbe si vada verso uno “stand-by” precauzionale, che darebbe ad Ankara il diritto di ricevere credito solo in caso di necessità..
Anche la Banca Mondiale ha sostenuto il programma di riforme economiche della Turchia, con finanziamenti per US$ 4,5 miliardi nel triennio 2004-06 (prolungato fino al 2007 e portato a $6.6 miliardi). Le attivita’ della Banca in questi ultimi quattro anni si sono concentrate sul miglioramento degli indicatori macroeconomici, riduzione della poverta’, sviluppo sociale e gestione delle risorse naturali ed ambientali.
La BM ha da ultimo approvato la concessione di un credito pari a 6,5 miliardi di US$ nell’ambito del Country Partnership Strategy che sarà utilizzato nel periodo 2008-2011 per sostenere l’occupazione e la competitività.
Nel giugno 2007 il Consiglio esecutivo della Banca ha approvato la concessione alla Turchia di un Competitiveness and Employment Policy Loan (CEDPL) per un ammontare di 500 milioni di dollari, un prestito ordinario IBRD, con l’obiettivo di sostenere l’adozione di riforme mirate a favorire il consolidamento istituzionale e la crescita economica. Come altri Paesi che hanno registrato rapidi processi di trasformazione economica, la Turchia necessita infatti di consolidare le politiche sociali ed educative. Secondo la Banca Mondiale, interventi mirati in tali settori dovrebbero determinare ricadute positive anche sui tassi di occupazione e sulla competitività complessiva del Paese.
Da segnalare che ad inizio maggio la Turchia ha presentato la propria candidatura ad essere beneficiaria degli investimenti della BERS; una decisione sarà adottata il prossimo ottobre.
[1] Il 26% della popolazione ha meno di 14 anni, il 67,3% ha un’età compresa tra 14 e 65 anni e il restante 6,7% ha più di 64 anni.
[2] E’ presieduto dal Presidente della Repubblica e ne fanno parte il Primo Ministro, il Capo di Stato Maggiore, i Ministri della Difesa, degli Interni e degli Esteri, ed i comandanti delle forze aeree, navali e terrestri.