Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Rapporti Internazionali
Titolo: REPUBBLICA POPOLARE CINESE- Visita alla Camera del Vice Ministro degli Esteri del Partito comunista cinese, Zhang Zhijun, Roma, 28 maggio 2008
Serie: Schede Paese    Numero: 5
Data: 27/05/2008
Descrittori:
CINA POPOLARE   POLITICA ESTERA

REPUBBLICA POPOLARE CINESE

DOSSIER SCHEDE - PAESE

 

XVI legislatura

n. 05

27 maggio 2008

CAMERA DEI DEPUTATI

Servizio Rapporti internazionali

 


maggio 2008

 

 

Repubblica Popolare Cinese

 

 

 

 

 

 

SITUAZIONE INTERNA

(a cura del MAE)

 

 

Con una popolazione di circa 1.3 miliardi di abitanti, la Cina è il paese più popoloso della terra ed il quarto per superficie. Ha sperimentato a partire dal 1978 una crescita rapidissima e su larga scala che ha fatto oltrepassare la linea della povertà a oltre 300 milioni di persone nel corso di una singola generazione. La crescita registrata ha finora privilegiato le regioni costiere, cresciute molto più rapidamente di quelle interne. L’attuale dirigenza cinese è chiamata alla gestione di un’ulteriore fase di rapido sviluppo economico e delle difficoltà strutturali ad esso connesse, che mettono in dubbio la sostenibilità nel medio-lungo termine della scommessa del “socialismo di libero mercato”.

Al potere è insediata la cosiddetta “quarta generazione”, che vede i suoi principali esponenti in Hu Jintao, Presidente della Repubblica, Segretario Generale del Partito nonché Capo della Commissione Militare Centrale, e in Wen Jiabao, Primo Ministro. L’attuale gruppo dirigente, di matrice tecnocratica, sostiene i valori dello sviluppo di un’economia di mercato e sta proseguendo la politica di riforme economiche avviata nel 1978 da Deng Xiaoping e sviluppata da Jiang Zemin. Il Presidente Hu sta consolidando una autonoma base di potere, cooptando una nuova generazione (la “quinta”) di tecnocrati quaranta -cinquantenni, più che sulla base di una loro particolare provenienza geografica, su quella della frequenza della Scuola Centrale di Partito (diretta dallo stesso Hu tra il 1993 ed il 2002) e della sua alma mater, l’Università Qinghua di Pechino. 

A seguito del 17mo Congresso di Partito, svoltosi nel novembre 2007, all’interno del Comitato Permanente del Partito sono stati scelti i nuovi futuri leaders, appartenenti alla cosiddetta “quinta generazione”: fra di essi spiccano le figure di Li Keqiang (Segretario del Partito nel Liaoning), che fa riferimento alla base di potere dell’attuale Presidente Hu, e di Xi Jinping (Segretario del Partito a Shanghai), rappresentante della corrente dei “Figli del Partito”, più attenta a modelli innovativi di politica industriale e finanza internazionale.

L’imponente sviluppo cinese può mettere a rischio i delicati equilibri politici, nonché il futuro del “socialismo di libero mercato”. I problemi sul tappeto sono la perequazione dello sviluppo tra le diverse aree del Paese; la lotta all’inquinamento; l’approvvigionamento energetico; la riforma delle aziende di Stato; la capacità di creare nuovi posti di lavoro; la riforma del sistema bancario e del welfare. Tutti temi affrontati in modo piuttosto aperto e sincero durante il XVII Congresso del PCC (fine ottobre 2007), prima di tutto dallo stesso Presidente Hu Jintao, fautore dello “sviluppo armonioso ed equilibrato” della società.

Al dinamismo sociale ed economico della Cina non è corrisposta fino ad oggi una liberalizzazione politica. Sebbene fasce sempre più larghe di cinesi godano di un benessere senza precedenti e le autorità si stiano adoperando concretamente per il rafforzamento dello stato di diritto, il Partito Comunista tende a reprimere il dissenso suscettibile di porre in discussione gli assetti costituiti. Al rapido cambiamento sociale ed economico non si è quindi accompagnato un processo di avanzate riforme politiche in senso democratico, nel timore che queste possano finire per travolgere l’ordine vigente. In seno alla dirigenza comunista prevale piuttosto la tendenza ad un processo graduale e controllato di progressivi aggiustamenti.

Per quanto riguarda le questioni taiwanese e tibetana, esse vengono viste dalla dirigenza cinese come questioni di politica interna. La Cina ha posto, come base della propria politica interna e internazionale, il principio della “One China Policy”, secondo il quale i governi amici devono riconoscere il Governo della Repubblica Popolare Cinese quale solo governo legittimo della Cina.

Su Taiwan, Pechino, in passato, ha chiesto prese di posizione chiare ed inequivocabili contro alcune provocazioni dell’ex leader taiwanese Chen Shui-Bian, e in particolare contro il referendum popolare da lui indetto per ottenere la membership di Taiwan alle Nazioni Unite. Pechino è diventata estremamente vigilante sulla questione, facendone una delle priorità dei propri contatti internazionali.

Dopo le elezioni politiche a Taiwan di metà gennaio, che hanno dato una schiacciante maggioranza (86 seggi su 113) al partito Kuomintang, più moderato e precedentemente all’opposizione, molti timori cinesi sono stati ridimensionati. Il leader del Kuomintang Ma Ying-jeou, eletto Presidente lo scorso marzo, è propenso ad intensificare i rapporti, specie economici, con la Cina ed evitare toni di sfida con Pechino.

 

 

DATI GENERALI (2008)

Superficie

9.596.960 Kmq

Capitale

PECHINO (14 milioni di abitanti)

Abitanti

1.330.044.605 (il 71,9% della popolazione ha tra i 15  e i 64 anni);

Tasso crescita popol.

0,629%

Aspettativa di vita

73,18 anni

Mortalità infantile

21,16 per mille

Tasso alfabetizzazione

90,9% (95,1% uomini; 86,5% donne)

Composizione etnica

oltre a quello Han (91,9%) vi sono altri 55 gruppi etnici nel paese.

Religioni praticate

Le principali religionipraticate, nonostante la Cina sia ufficialmente atea, sono quella buddista (circa 150 milioni di praticanti) e quella taoista (circa 30 milioni). Diffuse sono la religione musulmana (1%-2%) e la cristiana[1] (3%-4%).

Lingue ufficiali

cinese standard o mandarino

Fonte: The CIA WorldFactBook 2008.

 

 

 

 

CARICHE DELLO STATO

 

 

Segretario generale del Partito Comunista cinese, Presidente della Repubblica e Presidente della Commissione militare centrale

 

HU Jintao[2]  (dal marzo 2003)

Il 15 marzo 2008 l’Assemblea Nazionale del Popolo lo ha confermato alla Presidenza del paese e della potente Commissione  militare centrale (organismo di controllo politico dell’esercito) per un altro quinquennio con voto quasi unanime

Hu nell’ottobre 2007 era stato confermato alla guida del Partito.

 

 

 

Vice Presidente della Repubblica

 

 

 

 

 

XI Jinping (dal 15 marzo 2008)

L’Assemblea Nazionale del Popolo lo ha eletto alla Vicepresidenza, dopo che nell’ottobre 2007 era divenuto membro del Politburo del Partito.

Xi (54 anni) è il  nuovo astro nascente sulla scena politica nazionale e la sua nomina, secondo alcuni analisti,  lo qualificherebbe come delfino designato[3] di Hu alla guida del Pcc nel 2012 e alla presidenza nel 2013.

Già capo del partito a Shanghai, dallo scorso gennaio ha l'incarico di supervisione delle Olimpiadi di Pechino.

 

 

Primo Ministro

Presidente del Consiglio di Stato

 

 

WEN Jiabao (dal marzo 2003)

Il 16 marzo 2008 l’Assemblea Nazionale del Popolo ha conferito a  Wen Jiabao un secondo mandato di cinque anni.

 

 

Presidente dell’Assemblea Nazionale del Popolo

 

 

WU Bangguo (dal marzo 2003)

Il 15 marzo 2008 l’Assemblea Nazionale del Popolo lo ha confermato alla presidenza del Parlamento

 

Ministro degli esteri

YANG Jiechi (dall’aprile 2007 e confermato il 16 marzo 2008)

 

 

 

SCADENZE ELETTORALI

 

Elezioni politiche

 

2013

 

 

 

QUADRO POLITICO

 

 

 

 

Il nuovo esecutivo di Wen Jiabao

 

L’esecutivo in carica guidato dal Primo Ministro Wen Jiabao è stato votato nella prima sessione della XI legislatura dell’ANP, il 15 e 16 marzo 2008, dopo il 17° Congresso, tenutosi nell’ottobre 2007, che ha confermato la precedente composizione (salvo qualche modifica)  in carica dal marzo 2003.

 

 

QUADRO ISTITUZIONALE

 

 

 

            I processi politici del paese sono guidati dalla Carta costituzionale del Partito e da quella dello Stato, entrambe promulgate nel 1982 e più volte emendate.Basate sul centralismo democratico queste descrivono la Cina come una “dittatura socialista del popolo guidata dalla classe operaia, e basata sull’alleanza di operai e contadini”, in cui il Partito Comunista rappresenta l’avanguardia della classe operaia, del popolo e della nazione cinese.

Al di là qualche sporadica iniziativa di “riforma”, la struttura politica di base rimane quella di uno Stato autoritario governato da un solo partito.

 

 

Sistema politico

 

            In primo luogo, occorre sottolineare che le strutture del Partito Comunista Cinese si sovrappongono e controllano tutti i livelli istituzionali.  

Il principale organo decisionale del Partito è il Comitato Centrale (198 membri) che si riunisce due volte all’anno. Nei periodi in cui quest’ultimo non è riunito il potere è affidato al Politburo (24 membri) al di sopra del quale è posto il Comitato Permanente (9 membri) che è l’organo politico più potente.

 

            Ciò premesso, l’architettura istituzionale del paese è così articolata:

 

Presidente della Repubblica

 

Capo dello Stato è il Presidente della Repubblica (carica reintrodotta dalla Costituzione del 1982), che è eletto dall’Assemblea Nazionale del Popolo (Parlamento) insieme al Vice Presidente per cinque anni. Le nomine di fatto vengono decise dal Partito: il Presidente della Repubblica è prima di tutto Segretario generale del PCC. Il mandato può essere rinnovato solo una volta.

 

Governo

 

Costituzionalmente, il potere esecutivo è costituito dal Consiglio di Stato (Governo) cui compete l’attuazione dei principi e delle politiche decise dall’Assemblea Nazionale del Popolo. Il Consiglio di Stato si compone del Primo Ministro, Vice Primi Ministri, Consiglieri di Stato, Ministri, Ragioniere Generale e Segretario Generale (Cost. art. 86). Il Premier, i Vice Premier ed i Consiglieri di Stato non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi.

Il Primo Ministro, che ha il compito di dirigere la politica generale del governo di cui è responsabile, è eletto dall’Assemblea Nazionale del Popolo su proposta del Presidente della Repubblica. Il Primo Ministro indica gli altri componenti del Consiglio di Stato, i cui nominativi sono poi ratificati dall’Assemblea Nazionale. Il Consiglio di Stato è responsabile, e risponde del suo operato, all’Assemblea Nazionale.

I ministri sono responsabili dell’attività condotta dalle 3 Commissioni Statali (Sviluppo e riforme, Affari etnici, Popolazione e Pianificazione familiare) e dai 22 Ministeri. I Ministeri e le Commissioni emanano ordinanze, direttive e regolamenti nell’ambito delle competenze dei rispettivi dipartimenti e in accordo con il corpus regolamentare generale adottato dal Consiglio di Stato. Spetta al Consiglio di Stato, tra l’altro, adottare misure amministrative e esercitare la propria potestà regolamentare in conformità degli statuti e della Costituzione; presentare proposte di legge all’Assemblea Nazionale; redigere ed attuare il piano di sviluppo economico-sociale del paese nonché il bilancio dello Stato.

L’esecutivo in carica guidato dal Primo Ministro Wen Jiabao è stato rieletto dalla prima sessione plenaria della XI legislatura dell’ANP, nel marzo 2008.

 

 

Parlamento

 

L’Assemblea Nazionale del Popolo (ANP), qualificata dalla Costituzione come supremo organo statale, è composta da 2978 deputati. Si riunisce in seduta plenaria una volta l’anno (il suo organo permanente è il Comitato Permanente dell’ANP, vedi più avanti) e rimane in carica per 5 anni. L’elettorato attivo e passivo è 18 anni. I deputati sono eletti indirettamente dalle “Assemblee del Popolo” locali, elette a livello cittadino, di contea, distrettuale, provinciale e regionale e delle regioni amministrative speciali  nonché dalle forze armate, sulla base di collegi plurinominali a maggioranza assoluta dei voti. Il numero dei deputati dell’Assemblea Popolare Nazionale (non più di 3.000). E’ garantita altresì la rappresentanza delle nazionalità minoritarie.

Quella attuale è la XI  legislatura. Le ultime elezioni si sono tenute nel marzo 2008, le prossime si terranno nel 2013.

L’ANP ha il compito di emendare la Costituzione e controllarne l’applicazione; fare proposte di legge e approvare le leggi dello Stato; eleggere e dimettere dalle loro funzioni i principali dirigenti dello Stato (il Presidente e il Vice-Presidente della Repubblica, il Primo Ministro e i Ministri; il Presidente della Commissione Militare Centrale, il Presidente della Corte Suprema ed il Presidente della Procura Suprema); esaminare e approvare le principali decisioni del governo (in particolar modo il bilancio); dichiarare la guerra o concludere la pace; modificare o annullare le decisioni del Comitato Permanente; interpellare il governo.

L’ANP è articolata in nove Commissioni con il compito di studiare, esaminare ed elaborare le proposte di competenza. Sono composte da una ventina di funzionari e specialisti del settore ed esercitano una certa influenza sull’elaborazione delle leggi e degli emendamenti presentati dall’ANP.

 

Il 1° luglio 2000 è entrata in vigore, dopo sette anni di elaborazione, la "legge sulla legge" (li fa fa), che ha riformato il procedimento di formazione delle leggi e degli atti amministrativi, la ripartizione delle competenza tra Governo centrale e autorità locali, la gerarchia delle fonti ed ha introdotto un pur embrionale meccanismo di controllo della conformità alla Costituzione e alle leggi di qualunque atto subordinato.

La legge rappresenta, inoltre, un forte segnale della volontà del Paese di regolare in maniera più chiara e organica il rapporto tra i diversi centri di potere.

 

La necessità di dotare il Paese di un corpus di leggi che accompagnasse la politica delle riforme, ha incrementato l’attività dell’ANP, anche se il suo ruolo resta limitato e spesso definito “di velina” alle decisioni prese dal Comitato Centrale del Partito. Negli ultimi anni, comunque, l’Assemblea ha cercato di aumentare il suo ruolo per quanto riguarda il lavoro di supervisione sull’esecuzione delle normative e si assiste ad un maggior attivismo dell’istituzione dove si incrociano e confrontano – pur sempre mediate dal Partito -  le istanze e gli interessi delle diverse province ed entità amministrative periferiche.

 

Il Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo

Dato l’alto numero dei componenti dell’Assemblea Nazionale del Popolo ed i pochi giorni dell’anno in cui essa è chiamata ad esercitare le sue funzioni, i compiti che ad essa sono attribuiti vengono in realtà esercitati dal Comitato Permanente (198 membri) che si riunisce regolarmente ogni due mesi e garantisce la continuità dei lavori tra una sessione e l’altra dell’ANP.

Il Comitato permanente pertanto si presenta come un organo collegiale assai più ristretto a funzionamento continuo: è formato da un Presidente (che è il Presidente dell’ANP), da 15 vice presidenti (di cui 3 donne), da un segretario generale e da 150/155 membri circa (nella sua composizione anche le minoranze nazionali devono avere un’adeguata rappresentanza). I suoi componenti sono eletti dall’Assemblea Nazionale del Popolo tra i suoi membri e possono essere revocati dalle rispettive funzioni in ogni momento. Restano in carica per tutta la durata della legislatura. Il Presidente e i vice Presidenti non possono essere rieletti per più di due legislature.

Il Comitato, nell’intervallo tra le sessioni dell’Assemblea Nazionale, svolge gran parte delle funzioni di quest’ultima, da quella legislativa a quella relativa alle nomine ed alle elezioni delle più alte cariche dello Stato, a quella di controllo dell’operato dei titolari delle medesime.

Un limite rilevante - almeno sulla carta - ai poteri esercitati dal Comitato permanente è rappresentato tuttavia dalla competenza dell’Assemblea di poterne sempre modificare o annullare le decisioni che siano ritenute inopportune (art. 67 Cost.).

Il Comitato permanente è responsabile di fronte all’Assemblea e deve perciò rendere conto alla medesima della sua attività.

 

 

Magistratura

 

La Corte Suprema e la Procura Suprema regolano il sistema giudiziario, i cui Presidenti sono eletti dall’Assemblea Nazionale del Popolo.

 

Commissione Militare Centrale

 

La Commissione Militare Centrale è il più potente ed alto organo militare dello Stato epresiede a tutte le strutture militari. Il suo Presidente (che coincide con il Presidente della Repubblica) è eletto dall’ANP che è chiamata anche a ratificare le nomine degli altri componenti fatte dal Presidente della Commissione. La Commissione è responsabile nei confronti del Parlamento.

Accanto a questa vi è anche la Commissione Militare Centrale del Partito (stessa membership) che è chiamata a delineare le strategie dell’esercito.

 

L’Esercito di Liberazione del Popolo

 

Il ruolo dell’Esercito di Liberazione del Popolo è tuttora significativo. Il suo potere politico è garantito dal fatto di essere protettore e garante delle regole del Partito; tuttavia, negli ultimi anni, la leadership politica ha imposto la propria autorità sull’esercito riducendone l’influenza sulla politica. Unica eccezione riguarda la politica cinese rispetto a Taiwan, dove l’opinione dei militari è ancora importante. 

Il controllo politico dell’esercito è affidato alla Commissione Militare Centrale, organo di direzione degli affari militari dello Stato che esercita il comando supremo sull’insieme delle forze armate nazionali costituite dall’Esercito di Liberazione del Popolo, dalle unità di polizia armata popolare e dalla milizia. L’esercito di Liberazione del Popolo costituisce l’esercito regolare dello Stato; le unità di polizia armata popolare garantiscono, su incarico dello Stato, la sicurezza e il mantenimento dell’ordine sociale; la milizia è costituita, invece, da forze armate popolari vincolate al mondo della produzione.

Presidente della Commissione Militare Centrale dello Stato e del Partito, dal settembre 2004 e riconfermato nel marzo 2008, è il Presidente della Repubblica e Segretario generale del Partito comunista cinese, Hu Jintao, che ricopre così tutte le più alte cariche dello Stato.

 

 

Il Partito Comunista Cinese

 

Il Partito Comunista cinese (PCC) il 1° luglio 2001 ha compiuto 80 anni. L’adesione al partito in passato significava benefici materiali e professionali, ma ancora oggi rimane importante per i funzionari di governo che vogliono fare carriera.

L’ultimo Congresso si è tenuto il 15 ottobre 2007. Il Partito, infatti, si riunisce in Congresso ogni 5 anni.

Hu Jintao è  il Segretario Generale del Partito.

Il Partito Comunista cinese (PCC) conta oltre 66 milioni di iscritti (5,2% della popolazione)[4] e risulta pertanto il più grande partito del mondo. Il PCC è  il massimo centro di direzione politica, essendo sostanzialmente le istituzioni dello Stato, controllate, direttamente o indirettamente, dal partito.

 

Il Comitato Centrale, composto da 198 membri a pieno diritto, cui si affiancano i membri supplenti, è l’organo decisionale del PCC e si riunisce due volte all’anno. È eletto ogni cinque anni dal congresso del partito, l'ultimo dei quali, il XVII, ha avuto luogo dal 15 al 22 ottobre 2007.

Nei periodi di interim le funzioni del Comitato Centrale sono assunte dal Politburo (24 membri), al cui interno confluiscono influenti quadri di partito, anche a livello periferico, nonché Consiglieri di Stato e rappresentanti dei vertici militari.

Il Comitato permanente del Politburo è composto da 9 membri e costituisce il principale nucleo di potere in Cina. Di esso fanno parte, dopo il recente congresso del PCC:

 

Hu Jintao

Confermato, 64 anni

Wu Bangguo

Confermato, 66 anni

Wen Jiabao

Confermato, 65 anni

Jia Qinglin

Confermato, 67 anni

Li Changchun

Confermato, 63 anni

Xi Jinping

Nuovo, 54 anni

Li Keqiang

Nuovo, 52 anni

He Cuoqiang

Nuovo, 63 anni

Zhou Yongkang

Nuovo, 64 anni

 

 

La legittimazione del partito si basa essenzialmente sul fatto che, negli anni, si è fatto garante della crescita economica e della stabilità politica che ha portato ad evidenti miglioramenti della qualità della vita di larga parte della popolazione cinese. Tuttavia, la sua influenza e la sua credibilità presso la popolazione sono messe in dubbio da una serie di fattori come la corruzione endemica, il divario di ricchezza sempre più grande tra aree rurali e urbane ed il numero elevato di licenziamenti che ha accompagnato la riforma delle imprese di Stato. Ciò ha portato alla crescita delle proteste popolari rispetto al passato, che sono state tuttavia prontamente e duramene represse. La classe politica ha comunque preso atto della situazione ed ha iniziato ad affrontare le radici del problema  aumentando, ad esempio, le pensioni e rafforzando il sistema di sostegno alla disoccupazione e l’assistenza sanitaria. Il governo ha inoltre cercato di contrastare la corruzione ordinando ai funzionari di non intraprendere numerosi tipi di attività economica e nel 2005 è stata avviata una campagna  che prevede un’educazione ideologica e morale dei funzionari di partito. Tuttavia, una campagna condotta su larga scala rimane improbabile in quanto colpirebbe troppe persone e sarebbe politicamente destabilizzante.

 

 

 

 

QUADRO ECONOMICO

 (in collaborazione con il MAE)

 

 

 

PRINCIPALI INDICATORI ECONOMICI (2007)

 

PIL, a parità di potere di acquisto

7.043  miliardi di dollari USA[5]

Composizione per settore

agricoltura 11,7%;  industria 49,2%; servizi  39,1%

Crescita PIL

11,4%

PIL pro capite, a parità di potere di acquisto

5.300 dollari USA (Italia: 30.200)

Inflazione (%)

4,7%

Tasso di disoccupazione

4,2% (ufficiale)

Tasso di povertà

8% (2006)

Debito estero

363 miliardi di dollari USA

Fonti: The Cia Worldfactbook.

 

L’economia cinese rappresenta il 14% dell’economia mondiale (in seconda posizione dietro gli Stati Uniti), le sue esportazioni sono il 7% del totale mondiale rendendola il terzo paese esportatore dopo Germania e Stati Uniti (è importante notare che oltre la metà dei profitti originati da queste merci è contabilizzata nei bilanci di società non cinesi). I dati del 2007 confermano un’economia cinese in continua espansione: il PIL ha registrato il più alto incremento negli ultimi 14 anni (+11,9%), superando i 3500 miliardi di USD; alcuni singoli indicatori (v. tabella seguente) hanno avuto rendimenti ancora migliori.

 

- produzione industriale

+ 18,5%,

- profitti dichiarati dalle imprese

+42,1%,

- settore immobiliare

+28,5%.

 

Le riserve ufficiali in valuta detenute dalla Banca del Popolo hanno raggiunto l’ammontare di 1.530 miliardi di USD, confermando un aumento superiore al 43,3% rispetto allo stesso periodo del 2006 (fonti del Fondo Monetario Internazionale prevedono che raggiungeranno la cifra di 2.400 miliardi di USD alla fine del 2009).

L’interscambio commerciale complessivo ha raggiunto i 980 miliardi di USD (+23,3%), con un avanzo commerciale pari a 113 miliardi di USD, in vertiginoso aumento e quasi raddoppiato, rispetto all’anno precedente (61 miliardi di USD).

 

- esportazioni

+ 27,6% (547 miliardi di USD);

- importazioni

+ 18,2% (434 miliardi di USD);

 

Si registra tuttavia una flessione degli investimenti (25,9% anziché 29,8% del semestre precedente). Vi è stata una maggiore concentrazione di investimenti nelle zone centrali ed occidentali, notoriamente meno sviluppate del Paese (+35,6% e + 30,2%), rispetto alle più avanzate aree costiere.

Il reddito medio, secondo i calcoli della Banca Mondiale, è passato dai 293 USD nel 1985 a 2025 USD nel 2006. Tale crescita non è egualmente distribuita sul territorio: il PIL pro capite dell’area metropolitana di Pechino, in cui vivono ormai quasi 18 milioni di abitanti, ha già superato gli 8000 USD ed entro il 2012 dovrebbe raggiungere i 12.000 USD. Tuttavia oltre 2 milioni di Cinesi vivono sotto la soglia della povertà.

Per quanto riguarda i consumi, si nota un andamento molto vivace: il dato relativo alle vendite al dettaglio per il I semestre 2007 è il più alto dal 1997 (+15,4%).

Tale impetuosa crescita ha causato una ripresa dell’inflazione, che alla fine del 2007 si è attestata attorno al 5-6%. Particolarmente colpiti i generi alimentari.

 

 

I rapporti commerciali fra UE e Cina

 

Gli ultimi dati statistici disponibili hanno evidenziato che, nei primi 11 mesi del 2007, l’interscambio globale tra la Cina e l’Unione Europea ha raggiunto i 386,54 miliardi di USD, con un incremento del 29,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, confermando l’UE quale secondo partner commerciale della Cina dopo gli Stati Uniti. L’export cinese verso l’UE è stato di 260,98 miliardi di USD (+34,5%), mentre le importazioni cinesi dall’Europa hanno totalizzato 125,56 miliardi di USD (+20%). Permane quindi, e anzi si accentua, il problema dello squilibrio della bilancia commerciale con la Cina. Peraltro, va notato che la quota di importazioni che giungono nel territorio dell’Unione dall’Asia è cresciuta in maniera molto moderata (il 10% rispetto a dieci anni fa), se raffrontata con la crescita del 21% all’anno nell’ultimo quinquennio dell’export cinese verso l’UE.

 

 


Relazioni economiche fra Italia e Cina

 

Andamento dell’interscambio commerciale degli ultimi tre anni.

 

 

2007

2006

2005

Interscambio

28.075

 

23.597

 

18.738

 

Variazione percentuale

+19%

+ 26%

+ 15%

Esportazioni

italiane

6.311

 

5.686

 

4.603

 

Variazione percentuale

+ 21,5

+ 26,7 %

+ 3,5%

Importazioni

italiane

21.764

 

17.911

 

14.135

 

Variazione percentuale

+ 11%

+ 23,5%

+ 19%

Saldo

-15.453

 

-12.225

 

-9.532

 

Variazione percentuale

- 26,4%

- 28,2%

- 29%

Dati: ISTAT

 

Sul piano economico, nel  2007, l’interscambio commerciale tra Cina e Italia ha fatto registrare una crescita del 19% circa, rispetto allo stesso periodo del 2006, per un valore totale di circa 28 miliardi di Euro, di cui 21 di import cinese e meno di 7 di export italiano (l’anno scorso l’interscambio bilaterale complessivo aveva raggiunto i 23,5 miliardi di Euro). Le esportazioni italiane in Cina sono aumentate del 21% rispetto al del 2006 (pari a 6,3 miliardi di Euro), mentre le importazioni dalla Cina sono cresciute dell’11% (21,7 miliardi di Euro), con un disavanzo commerciale da parte nostra che ha toccato i 15 miliardi di Euro, in linea con la situazione nel resto dell’Unione Europea.

 

È per noi prioritario l’obiettivo del riequilibrio dell’interscambio tra Italia e Cina, e un raddoppio del suo livello complessivo entro il 2011. Per il raggiungimento di tale risultato occorre un maggior afflusso di investimenti cinesi in Italia nei nostri settori di punta, e soprattutto in quello della logistica portuale e delle infrastrutture. L’Italia auspica di poter essere “la porta di ingresso” delle merci cinesi verso l’ Europa ed il Mediterraneo.

 

 

Al momento già operano in Italia aziende cinesi importanti come la COSCO (trasporti e logistica portuale, soprattutto nel Porto di Napoli e Genova), la Huawei (informatica, banda larga e comunicazioni wireless, fatturato italiano di 140 milioni di dollari); la Nanjing Auto, partner della Fiat, soprattutto per i modelli bus IVECO; la JAC (design automobilistico); la Minmetals (metalli lavorati, siderurgia).

 

 

 

Da parte italiana esiste un forte interesse nel settore delle infrastrutture cinesi. Mermec Tecnogramma e Ansaldo sono in lizza per importanti commesse nel settore ferroviario (sistemi di diagnosi di tratte ad alta velocità e segnalamento). Fra le commesse più importanti ottenute da imprese italiane di recente, alcune sono legate al business olimpico: Technogym ha vinto la gara per la fornitura delle apparecchiature ginniche olimpiche; Merloni ha conquistato le forniture per il riscaldamento di acqua nella città olimpica. Si stanno finalizzando le intese per l’apertura di supermercati CRAI a Pechino e Shanghai. Inoltre, imprese come Italcementi, Montefibre, Pirelli, Intesa San Paolo, Carraro, hanno effettuato importanti investimenti diretti in Cina. Proprio all’inizio del nuovo anno è stato annunciato il varo della nuova collaborazione della FIAT con la Chery Automobiles, con cui si intende produrre per il mercato cinese i modelli Linea, Bravo e Grande Punto. L’obiettivo che il Gruppo Fiat entro il 2010 è di 300.000 auto vendute in Cina. Gli investimenti diretti italiani in Cina sono ammontati nel 2006 a 350 milioni di USD, con un incremento del 9,3% rispetto al 2005.

 

 

 

Nelle relazioni bilaterali economiche, riveste un’importanza strategica il Comitato Governativo Italia-Cina.

Nato nel maggio 2004, in occasione della visita del Primo Ministro cinese Wen Jiabao a Roma, il Comitato ha realizzato in questi anni un efficace coordinamento delle varie iniziative pubbliche, e talora anche private, di Enti, Istituzioni centrali e locali ed imprese, in Italia ed in Cina.

In tale Comitato, la Cina ha concentrato soprattutto l’attenzione sul settore logistico e portuale e sulla collaborazione nel cosiddetto “partenariato territoriale”. Anche il settore della collaborazione universitaria risulta uno dei più dinamici, nel contesto del Comitato Governativo. Sempre più importanti sono le collaborazioni a carattere regionale.

 

Infine, altri temi rilevanti del dialogo bilaterale sono il rispetto da parte cinese dei diritti di proprietà intellettuale, a tutela della nostra peculiare struttura produttiva nei settori maggiormente esposti alla concorrenza cinese (tessile, calzaturiero, moda);  è il caso dell’importazione in Cina del Prosciutto di Parma e San Daniele, che, dopo la felice conclusione di un lungo negoziato, e la definitiva accettazione cinese, è stato a lungo bloccato alle dogane di Shanghai per questioni burocratiche, apparse pretestuose, come la mancanza di un codice di importazione ad hoc per la carne cruda stagionata. Tuttavia, proprio in questi ultimi mesi la situazione sembra felicemente sbloccata e carichi di prosciutto di Parma sono entrati finalmente in Cina.

 

Altro importante risultato nella cooperazione economica fra Italia e Cina è stata la realizzazione del fondo di investimento denominato ‘Mandarin’, con il quale i due Paesi si sono dotati di uno strumento per promuovere flussi di investimento di imprese italiane in Cina e di imprese cinesi in Italia. Il Fondo ha iniziato nel 2007 la sua operatività.

 



 

FOCUS DI POLITICA INTERNA

(in collaborazione con il MAE)

 

 

 

Terremoto nella provincia del Sichuan

 

Il sisma del 12 maggio 2008 nel Sichuan rappresenta la catastrofe naturale più grave dalla nascita della Repubblica Popolare cinese.

La dirigenza cinese ha per la prima volta accettato gli aiuti internazionali di emergenza, e ciò rappresenta un segnale di novità e apertura che ha giovato all’immagine del Paese.

L’Italia ha offerto immediatamente la propria disponibilità a fornire gli aiuti necessari a fronteggiare i primi  effetti della catastrofe.

La nostra Cooperazione allo sviluppo (DGCS) ha comunicato la concessione di un contributo volontario di 1 milione di Euro a favore della FICROSS (Federazione internazionale delle Croci rosse e delle mezze lune rosse) per sostenere il programma che la Croce Rossa Cinese (RCSC) sta attuando in favore della popolazione colpita. E’ inoltre previsto l’invio di un gruppo di medici per il pronto intervento sanitario. 

Inoltre, la DGCS e la Protezione Civile hanno inviato due voli umanitari di emergenza a Chengdu (coperte, tende, materiale medico di primo soccorso e generi alimentari). La Protezione Civile ha inviato, prima fra i Paesi occidentali, un ospedale da campo.

Il Governo cinese ha già manifestato grande gratitudine per il nostro immediato intervento. 

Si ricorda che secondo le cifre diffuse il 26 maggio 2008  dal governo di Pechino 65.080 sarebbero le vittime e 23.150 i dispersi.

 

                                                                                                                                        

Il XVII Congresso Nazionale del Partito Comunista cinese (ottobre 2007)

 

Con la fine del XVII Congresso Nazionale del Partito Comunista (15-22 ottobre 2007), la Cina ha dato il via a un nuovo quinquennio di governo che terminerà ufficialmente nel 2012. Dal congresso sono emersi nuovi concetti, leader e nuove prospettive dell’amministrazione di Hu Jintao.

La scientificità dello sviluppo

Le dichiarazioni finali del XVII Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese rivelano un forte pragmatismo di fondo. Il documento firmato dagli oltre 2.000 delegati del Partito offre per l’appunto al mondo un aggiornamento del “Socialismo con caratteristiche cinesi”, figlio delle riforme e delle aperture denghiste degli anni Ottanta, che lascia spazio all’intervento delle forze di mercato, pilotate, entro i confini nazionali. La risoluzione del 22 ottobre parla infatti di “adattamento del marxismo alle condizioni attuali della Cina”, che per stessa ammissione della leadership di Pechino si trova in una complicata situazione. Questa è determinata da un forte sviluppo sbilanciato a favore delle province costiere e conseguentemente una notevole arretratezza di quelle interne. Per questo motivo Hu Jintao, deciso sostenitore dell’obiettivo politico noto con il nome di “società armoniosa”[6], è riuscito a far inserire nella Costituzione un emendamento che rappresenta la sua personale traccia nella storia della Cina contemporanea, come già accade in epoche passate per mano dei suoi predecessori. Al Marxismo-Leninismo, al Pensiero di Mao Zedong, alla Teoria di Deng Xiaoping e alle Tre Rappresentanze di Jiang Zemin si aggiunge così il Perseguimento Scientifico dello Sviluppo di Hu Jintao.

            In maniera stilizzata, si potrebbe dunque sintetizzare molto succintamente il percorso cinese dal 1949 ad oggi nei seguenti termini: nascita e costruzione (Mao), riforma (Deng), ripartenza e spinta in avanti (Jiang), assestamento (Hu).

Presa coscienza della difficile situazione del Paese, l’assestamento desiderato da Hu Jintao trova la sua via di realizzazione principalmente nel rafforzamento del Partito, eliminando il cancro della corruzione al suo interno attraverso un formazione più severa e perseguendo lo sviluppo di metodi più democratici e meritocratici di selezione. Questo non significa un via liberoalle elezioni interne, dal momento che la democrazia a cui si fa riferimento nel testo non corrisponde al concetto di democrazia occidentale e, proprio perché priva di radici in territorio cinese. Si pone quindi il problema di come tradurre il termine “minzhu” (democrazia), che Hu Jintao ha ripetuto “ben 60 volte” nel suo discorso d’apertura. Alla luce della teoria dello “sviluppo scientifico”, l’apertura “democratica” di Hu è vera solo se subordinata al controllo del partito sulla vita politica ed economica nazionale. Anche il pluripartitismo, di cui si è parlato, esiste se e solo se viene preventivamente riconosciuta la leadership del PCC. Le proposte riformiste sono quindi ammortizzate da una ventata di ortodossia. La “democraticità” di Hu è dunque il compromesso sorto dallo scontro tra un’ala più moderata ed una più conservatrice.

Il nuovo Comitato Permanente

Al di là delle dichiarazioni, delle risoluzioni e delle intenzioni, ciò che conta sono gli uomini destinati a metterle in pratica. Più che il documento conclusivo, quello che realmente interessa alla Cina, all’Asia e al Mondo è l’elenco dei nomi che troveranno un posto a sedere nel Comitato Permanente del Politburo, il vero centro di potere cinese. Dalla nascita del Partito Comunista, il Comitato Permanente rappresenta la cartina tornasole degli equilibri di potere all’interno della Repubblica Popolare ed anche in questa occasione è stata confermata questa legge non scritta Dei nove nomi che compongono la formazione di punta della piramide cinese, cinque sono le conferme, quattro gli esclusi e quattro le novità. Tra i confermati, naturalmente, Hu Jintao (64 anni), affiancato da Wen Jiabao (65, fedele alleato di Hu), Wu Bangguo (66), Jia Qinglin (67) e Li Changchun (63). Non fanno più parte del Comitato Permanente Huang Ju (deceduto in giugno), Luo Gan (73 anni), Wu Guanzheng (69) e Zeng Qinghong (68). Siedono per la prima volta sulle poltrone del potere Xi Jinping (54), Li Keqiang (52), He Guoqiang (63) e Zhou Yongkang (64). L’uscita di scena di uomini come Zeng Qinghong, Luo Gan e Wu Guanzheg (per raggiunti limiti di età) e del deceduto Huang Ju, potrebbe corrispondere ad una più ampia libertà d’azione per Hu Jintao. I quattro “anziani” del Comitato Permanente erano infatti uomini del Presidente Jiang Zemin, vertice della celebre fazione di Shanghai, orientata verso lo sviluppo economico ad ogni costo. Ciononostante, l’aria di compromesso ha soffiato anche nella scelta del Comitato Permanente e Hu Jintao dovrà convivere per altri cinque anni con uomini fedeli al suo predecessore. Hu Jintao si ritrova dunque con due soli alleati su otto membri, mentre la lunga mano di Jiang può contare ancora su almeno cinque fedeli dita: Wu Bangguo, Li Changchun, Jia Qingling, He Guoqiang e Zhou Yongkang (sebbene il legame delle alleanze non scritte sia sempre molto fragile).

Tirando le somme, molti analisti considerano questa Cina come frutto dei compromessi di Hu Jintao. La squadra scelta per gestire i prossimi cinque anni è infatti un misto di due correnti contrastanti e le stesse politiche sono una via di mezzo tra il riformismo e l’ortodossia: maggiore attenzione allo sviluppo economico interno e alla restrizione della forbice sociale, ma anche maggior controllo da parte del partito sulla vita politica ed economica del Paese. D’altro canto, difficilmente l’attuale Presidente avrebbe potuto eliminare del tutto la fazione di Jiang Zemin, costituitasi e rafforzatasi tra il 1992 e il 2002, e ampiamente presente anche nei cinque anni successivi.

 

 

La creazione di 5 super Ministeri

 

Il 15 marzo 2008 in occasione della prima sessione dell’XI legislatura il Parlamento cinese  ha anche deciso di creare cinque "Superministeri": i nuovi dicasteri riguarderanno i trasporti, l'edilizia e i lavori pubblici, il welfare, l'informazione e la protezione dell'ambiente, che da agenzia governativa è passata al rango di Ministero; inoltre, una Commissione Nazionale per l'Energia coordinerà le politiche energetiche mentre il Ministero della Sanità assorbirà l'authority che controlla la qualità del cibo e dei medicinali, i cui risultati sono stati ritenuti insufficienti.

Nel corso della sessione è stata inoltre presentata l’agenda di lavoro del Comitato Permanente per il 2008 il cui obiettivo sarà quello di “migliorare il sistema normativo socialista dalle caratteristiche cinesi”.

 

Aumento delle spese militari

 

            Il Governo cinese ha deciso nel marzo 2008 un aumento delle spese militari pari al 17,6 %; il budget totale destinato alla difesa sarebbe quindi equivalente a circa 58 miliardi di dollari. L’aumento è stato giustificato con la necessità di coprire i costi per l’addestramento, l’equipaggiamento e la crescita dei salari del personale militare, i rincari dei carburanti e l’acquisizione di tecnologie avanzate.

Da parte cinese si sottolinea la natura eminentemente difensiva delle capacità belliche che Pechino sta cercando di sviluppare e modernizzare il cui obiettivo sarebbe quindi di salvaguardare l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale cinese.

 

La legge sulla proprietà privata e sugli investimenti esteri (2007)

 

Nel marzo 2007 il Parlamento ha approvato una legge che riconosce il diritto alla proprietà privata, salvo che per la terra[7], che resta di proprietà statale. Le legge sulla proprietà mira a proteggere sia la proprietà collettiva, pubblica e la proprietà privata, anche se, secondo i media statali, la proprietà pubblica rimane al centro del sistema economico. Il voto è arrivato tre anni dopo che un primo storico voto del Parlamento cinese ha iscritto la protezione della proprietà privata nella Costituzione.

E’ stata inoltre approvata una legge che mette fine a tre decenni di vantaggi fiscali per gli investitori esteri, elevando il trattamento fiscale a livelli comparabili a quelli che si applicano alle aziende cinesi. La legge prevede che la maggior parte delle imprese siano tassate fino al 25% per cento dei loro profitti. Fino a ieri, le imprese cinesi erano tassate al 33%, mentre gli investitori esteri beneficiavano di vantaggi fiscali che riducevano la tassazione al 10%.

Gli sgravi fiscali hanno permesso di attirare in Cina circa 700 miliardi di dollari (530 miliardi di euro) d'investimenti che hanno alimentato il boom economico del paese. Ma le imprese cinesi lamentavano di subire un trattamento peggiore rispetto ai concorrenti stranieri.

L'intenzione è quella di favorire la nuova borghesia urbana e di cercare di accumulare capitale all'interno del paese.

Tuttavia, per il settore hi-tech e per le piccole medie imprese straniere, il tasso rimane al 15%.

 

 

Il dissenso in Cina

 

Secondo il rapporto 2007di Amnesty international un crescente numero di avvocati e giornalisti sono stati oggetto di vessazioni, detenzioni e carcerazioni. Migliaia di persone che praticano la propria fede religiosa fuori dal contesto delle chiese ufficialmente riconosciute sono state sottoposte a vessazioni e molte di loro sono state arrestate e imprigionate. Sono state migliaia le persone condannate a morte o che hanno avuto le loro sentenze eseguite. Migranti provenienti dalle zone rurali sono stati privati dei diritti fondamentali. È continuata la severa repressione degli uiguri nella Regione Autonoma dello Xinjiang e libertà di espressione e di religione continuano a subire forti restrizioni in Tibet.

            Dal rapporto emerge, infatti, che il giro di vite del governo contro avvocati e attivisti per i diritti abitativi si è intensificato. Molti difensori dei diritti umani sono stati soggetti a lunghi periodi di detenzione arbitraria senza accusa, nonché a vessazioni da parte della polizia o di bande locali manifestamente tollerate dalla polizia. Il governo sta conducendo anche una dura azione repressiva nei confronti dei giornalisti, scrittori, e utenti di Internet. Numerosi quotidiani e giornali popolari sono stati chiusi. Centinaia di siti web internazionali sono rimasti bloccati e migliaia di siti cinesi sono stati chiusi. Decine di giornalisti sono stati detenuti per aver trattato argomenti delicati. Il governo ha rafforzato i sistemi per bloccare, filtrare e controllare il flusso di informazioni.

            Si ricorda che la Cina è stata eletta  nel nuovo Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani per il triennio 2006-2009[8]. Prima di essere eletta la Cina ha assunto impegni in materia di diritti umani, incluse la ratifica del Patto internazionale sui diritti civili e politici e l’attiva cooperazione con le Nazioni Unite in tema di diritti umani. Tuttavia, le società cinesi hanno continuato a esportare armi in Paesi dove presumibilmente vengono utilizzate per compiere gravi violazioni dei diritti umani come Sudan e Myanmar.

 

 

Pena di morte

 

            Secondo il rapporto di Amnesty International la Cina capeggia la lista dei Paesi che nel 2006 hanno applicato la pena di morte. La pena di morte ha continuato ad essere applicata in modo esteso per punire circa 68 reati, anche di tipo economico e non violento.

            Basandosi su resoconti pubblici, Amnesty ha stimato che nel corso del 2006 sono state messe a morte almeno 1.010 persone mentre le condanne comminate risultano essere pari a 2.790, sebbene si ritenga che i dati reali siano di molto superiori. I dati ufficiosi fanno salire, infatti, il numero fino a 8.000 le esecuzioni ogni anno. Il numero delle condanne è infatti considerato in Cina un segreto di Stato e non viene divulgato.

            Nel 2006 l’Assemblea Nazionale del Popolo ha votato una legge che prevede di restituire alla Corte Suprema stessa il potere di confermare o di annullare tutte le condanne a morte emesse dai tribunali cinesi a partire dal 2007. Studiosi ritengono che ciò potrebbe portare a una riduzione di errori giudiziari e dell’uso della pena di morte.

            Nel marzo 2007 la Corte Suprema, la Procura Generale e il Ministero della Pubblica Sicurezza hanno quindi introdotto una nuova serie di regole restrittive per l' applicazione della pena di  morte.

 

La situazione in Tibet

 

Dopo i disordini nel marzo 2008 in Tibet e la repressione cinese, si è creato un collegamento di fatto fra la questione del Tibet ed i Giochi Olimpici, evidenziato dalle proteste che hanno accompagnato la fiaccola olimpica.

Fin dal sorgere della crisi tibetana, l’Italia e l’Unione Europea hanno chiesto al Governo cinese il riavvio del dialogo con i rappresentanti del Dalai Lama, e la fine degli atti repressivi (dichiarazione U.E. del 17 marzo 2008).

In coincidenza con la visita a  Pechino del Presidente della Commissione Europea Barroso, a fine aprile, Pechino ha quindi annunciato la disponibilità a riprendere il dialogo con i rappresentanti del Dalai Lama. L’incontro ha avuto luogo il 4 maggio 2008 a Shenzen ed è stato commentato in termini positivi dagli stessi rappresentanti tibetani, il che lascia ben sperare per gli ulteriori auspicati seguiti.

Appare sempre più opportuno che l’Unione Europea, e dal canto suo anche l’Italia, continuino a sottolineare presso le autorità di Pechino l’importanza che il dialogo venga proseguito.

In un paese dall’assetto autoritario e dalle dimensioni continentali, è fondamentale il controllo delle forze centrifughe che, traendo ispirazione da circostanze storiche e da motivazioni etniche e/o religiose, possono minare l’unitarietà della Cina. Ciò riguarda in particolare territori attualmente considerati “irredenti” (Taiwan) o quelli che, storicamente nell’orbita cinese, sono stati sottoposti ad un più diretto controllo politico-amministrativo di Pechino, pur con qualche discontinuità, solo a partire dal XVIII secolo (Tibet e Xinjiang).

La questione tibetana come quella  taiwanese è vista dalla dirigenza cinese come questione di politica interna. Per evitare qualsiasi interferenza straniera, la Cina ha conseguentemente posto come assunto della propria politica interna e della sua diplomazia, nonché come cartina di tornasole dell’amicizia nei suoi confronti da parte della comunità internazionale, il principio della One China Policy,in base al quale i governi amici devono riconoscere il Governo della Repubblica Popolare Cinese (e non quello di Taipei) come il solo governo legale della Cina, e rispettare l’integrità del territorio della Repubblica Popolare Cinese, in cui viene inclusa Taiwan.

Il Dalai Lama, da parte sua, ha sempre denunciato la violazione dei diritti umani in Tibet da parte delle autorità cinesi ma ha comunque ogni volta dichiarato di accettare la sovranità della Cina sul Tibet e di non volere la sua indipendenza, ma una "vera autonomia" per il Tibet e, pertanto, di essere sempre pronto a continuare  il dialogo con Pechino. La Cina, invece, continua ad accusare il  Dalai Lama di condurre una campagna clandestina per ottenere l'indipendenza formale, nonostante dichiari di volere un'autonomia maggiore nella speranza di preservare la cultura dei buddisti tibetani.

Il Dalai Lama è fuggito in India nel 1959, dopo una fallita rivolta contro il dominio cinese. Da allora non è mai più rientrato in Cina.

 

 

Libertà religiosa

 

Il governo ha continuato a colpire le confessioni religiose al di fuori dei canali ufficialmente riconosciuti. Migliaia di membri delle “chiese-casa” clandestine protestanti e di chiese cattoliche non ufficiali sono stati detenuti, e molti di loro sono stati maltrattati o torturati in detenzione. Membri del movimento spirituale Falun Gong sono stati detenuti e assegnati a detenzione amministrativa per il loro credo, oltre ad essere stati costantemente ad alto rischio di tortura o maltrattamenti.

            Si ricorda che la US Commission on International Religious Freedom ha inserito la Cina nella lista degli 11  Paesi c.d. “Countries of particolar concern” per la mancanza di libertà religiosa nel paese.

 

 

La politica del figlio unico

 

In Cina la politica del figlio unico non cambierà, almeno per i prossimi dieci anni. Così è stato confermato nel marzo 2008 da Zhang Weiqing, un alto dirigente della Commissione per la pianificazione familiare, mettendo fine alle voci che era circolate su una possibile revisione della norma. Zhang afferma che nella prossima decade la popolazione cinese toccherà un nuovo picco e solo quando la tendenza naturale alla natalità comincerà a scendere si potrà rivedere la politica in questo campo. La legge che impone un figlio unico è in vigore da vent'anni e, secondo la Commissione, ha evitato la nascita di circa 400 milioni di bambini. Ha però molte eccezioni e di fatto si applica al 40 per cento della popolazione. La tradizionale preferenza delle coppie cinesi per i figli maschi, unita alla legge, ha portato ad uno squilibrio tra i sessi, e oggi in Cina nasce una femmina ogni 1,8 maschi.

 

 

 

FOCUS DI POLITICA ESTERA

(in collaborazione con il MAE)

 

 

 

I Giochi Olimpici

 

Dopo i fatti in Tibet alcune personalità politiche internazionali hanno dichiarato di non ritenere opportuna la partecipazione delle più alte cariche statuali alle cerimonie inaugurali dei Giochi. In ambito UE si sono registrate prese di posizione distinte:

- il Governo britannico ha confermato - anche in considerazione del fatto che i Giochi Olimpici del 2012 si terranno a Londra - la presenza del Primo Ministro Gordon Brown alla Cerimonia di chiusura, mentre il Ministro dello Sport presenzierà a quella di apertura.

- la Germania ha annunciato che le alte cariche del governo non prenderanno parte alle manifestazioni inaugurali. Sulla linea tedesca si sono fin qui schierate anche Polonia, Repubblica Ceca ed Estonia.

- altri, come Svezia e Paesi Bassi, hanno manifestato dubbi sull’utilità per la causa tibetana di un boicottaggio della Cerimonia di apertura, in qualche modo riecheggiando la posizione dello stesso Dalai Lama, che si è ripetutamente espresso in tal senso.

- il Presidente Sarkozy ha ribadito che la Francia considera prioritario sostenere il dialogo fra Pechino ed il Dalai Lama; Parigi deciderà anche in ragione delle responsabilità che le incombono nel prossimo esercizio della Presidenza dell’Unione.                                                                            

E’ sinora di fatto mancato un incisivo coordinamento a livello comunitario.

Sul fronte statunitense il Presidente Bush pare aver optato per una linea pragmatica, volta a non provocare frizioni con la RPC (egli aveva annunciato la volontà di partecipare all’apertura dei Giochi, anche se di recente non si è più pronunciato chiaramente sull’argomento).

Il dialogo con i rappresentanti del Dalai Lama, avviato di recente dalle autorità di Pechino, sembrerebbe rendere possibili nuovi scenari per la situazione in Tibet e, di conseguenza, valutazioni diverse da parte dei leader occidentali. Sin dall’inizio della “crisi”, la posizione dell’Unione è stata quella di sollecitare la Cina al riavvio del dialogo diretto coi rappresentanti del leader religioso tibetano; almeno “prima facie” le recenti aperture sembrano andare proprio in questo senso e non a caso sono state collegate dalla dirigenza di Pechino alla visita condotta in Cina del Presidente Barroso a fine aprile 2008.

 

 

I rapporti tra Cina e  Santa Sede

 

Il 24 maggio 2008 si è celebra la giornata di preghiera per la Chiesa che è in Cina, fortemente voluta da Benedetto XVI come gesto d'amore verso i cattolici in Cina, dove la Chiesa è ancora formalmente divisa tra ufficiale, controllata dal governo e clandestina, fedele al Papa. Per quanto concerne il dialogo tra Santa Sede e Pechino, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato Vaticano ha recentemente affermato (25 maggio 2008) che "Nel dialogo con la Cina facciamo dei passi quotidiani, dei passi positivi, di comprensione reciproca e anche di riconoscimento non solo del ruolo delle religioni nella costruzione di una società armoniosa, ma anche del ruolo della chiesa cattolica che ha dato tanto alla Cina nella sua storia".

Si segnala inoltre che si è riunita nel marzo 2008 la Commissione di lavoro sulla Cina istituita dal Papa all’indomani della lettera alla Chiesa cinese. Anche in questo caso è stata ribadita la volontà di un dialogo rispettoso e costruttivo con le autorità cinesi. 

Si ricorda che il 30 giugno 2007 Benedetto XVI ha indirizzato alla Chiesa cinese una lettera aperta. Nella lettera dal titolo “Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai vescovi, ai presbiteri,alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese” si esorta l’apertura al dialogo (riaffermando la disponibilità della Santa Sede a proseguire il dialogo con il Governo  di Pechino) e si richiede la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Vaticano e Cina, oltre alla possibilità di vedere presto una Nunziatura a Pechino. Nel testo vi è anche la richiesta di nessuna distinzione tra Chiesa ufficiale e chiesa clandestina (perché “la Chiesa è una” ed è quella legata al Papa) oltre alla rivendicazione dell'autonomia della Chiesa (la nomina indipendente dei vescovi - il Papa infatti, non riconosce l'attuale Collegio dei vescovi cattolici di Cina), alla richiesta di proclamare una giornata di preghiera per la Chiesa cinese, il 24 maggio. Tornano ricorrenti, nel documento pontificio, i riferimenti alle “gravi sofferenze” e alle “persecuzioni” subite dalla Chiesa cinese. Il Papa ammonisce, infatti, più volte che la comunità cattolica cinese vive in circostanze veramente difficili.

            Il Pontefice sottolinea la volontà di non ingerenza della Chiesa nelle questioni politiche: “La Chiesa in Cina ha la missione non di cambiare la struttura o l'amministrazione dello Stato, bensì di annunciare agli uomini il Cristo”. Il Papa chiede di superare questo "permanente conflitto con le legittime autorità civili (ovvero tra chiesa clandestina e chiesa patriottica" e afferma che "non è accettabile un'arrendevolezza alle medesime quando esse interferiscano indebitamente in materie che riguardano la fede e la disciplina della Chiesa".

            In numerosi passaggi della lettera, il Papa chiede infatti di garantire "un'autentica libertà religiosa".

            Benedetto XVI revoca inoltre "tutte le facoltà che erano state concesse per far fronte a particolari esigenze pastorali, sorte in tempi veramente difficili".

Da parte cinese sono stati ribaditi i due punti "fissi" della politica della Repubblica Popolare: se il Vaticano vuole essere un interlocutore a tutti gli effetti a livello diplomatico, non deve praticare nessuna forma di ingerenza negli affari interni della Cina e, come condizione imprescindibile ad ogni forma di dialogo, deve interrompere le relazioni diplomatiche con Taiwan (la nunziatura della Santa Sede presso la Repubblica popolare cinese è a Taipei dal 1951). Quanto a quest'ultimo punto la Santa Sede è sempre stata disponibile ad un’apertura, considerando una priorità il dialogo con la Cina e anche per la certezza che Taiwan saprà comprendere, anche se ancora la strada in questo senso è lunga.

            Si ricorda che i cattolici nel 2007 in Cina sono tra gli 8 e i 12 milioni,145 le circoscrizioni ecclesiastiche e oltre 200 i vescovi, dei quali il 60% ha oltre 80 anni; 3.200 i sacerdoti e 156 le comunità religiose, 6.000 le religiose, 2.300 i seminaristi e 30 i seminari.

            Le relazioni diplomatiche tra la Cina ed il Vaticano sono state rotte nel 1951, quando il governo comunista espulse dal Paese tutti i religiosi stranieri. La nomina dei vescovi, i rapporti tra la chiesa nazionale e quella 'clandestina', la libertà di culto, il ristabilimento delle relazioni diplomatiche, che finora il Vaticano ha soltanto con Taiwan, sono alcuni tra i principali argomenti ancora aperti nel non facile rapporto tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese.

Negli ultimi vent'anni, dopo la fine del maoismo, erano ripresi contatti informali, grazie anche ad una serie di missioni diplomatiche vaticane, più o meno segrete e non ufficiali, guidate in particolare dal Card. Roger Etchegaray. Questi tentativi di arrivare ad una risoluzione positiva dei contrasti si erano bruscamente azzerati il primo ottobre 2000, anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese, quando il Papa aveva santificato 120 martiri (87 cinesi e 33 stranieri) uccisi “in odio alla fede” in Cina negli ultimi secoli. Nell'ottobre 2001 Giovanni Paolo II ha teso la mano alla Cina, chiedendo perdono per il passato coloniale del cristianesimo e proponendo una normalizzazione delle relazioni tra Pechino e la Chiesa di Roma. Un gesto apprezzato dalla Cina che subito dopo ha espresso la sua disponibilità a migliorare i rapporti con il Vaticano a condizione che venga risolto il problema di Taiwan e che non ci sia ingerenza negli affari religiosi.

Nel corso degli anni numerosi sacerdoti sono stati imprigionati per lunghi periodi. La Santa Sede, nell’ultimo periodo, diversamente dal passato, ha reagito duramente lamentando l’assenza delle garanzie di ogni stato di diritto.

La Costituzione cinese garantisce la libertà di religione ma in realtà la normale attività religiosa è consentita solo alla cosiddetta Chiesa “patriottica” riconosciuta da Pechino e la libertà di culto è ammessa solo in luoghi registrati all’ufficio statale per gli affari religiosi, mentre tutti coloro che si radunano in luoghi privati sono considerati fuorilegge.

 

 

La Cina e l’Africa

 

Pechino in questi ultimi anni si è chiaramente orientata a rafforzare i legami con diversi paesi africani, puntando ad assicurarsi nuovi canali di approvvigionamento per energia e materie prime con cui alimentare la sua forte crescita economica.

Esiste peraltro un Forum di Cooperazione tra Africa e Cina (FOCAC). L’organizzazione si basa su numerose collaborazioni: dalla riduzione del debito dei Paesi africani alla promozione del turismo in Africa, dalla stipula di accordi commerciali alla promozione del know-how in diversi settori. L’ultimo Summit si è svolto a Pechino nel novembre del 2006. Il Governo cinese però non si muove solo sulla base di incontri multilaterali, ma predilige anche un approccio bilaterale basato su visite di alto rango, in cui vengono sottoscritti numerosi accordi. È proprio quello che è successo nel febbraio 2007 quando il Presidente cinese Hu Jintao si è recato in visita in otto diversi Paesi Africani: Zambia, Liberia, Sudan, Mozambico, Sud Africa, Seychelles, Namibia, Camerun.

La Cina ricava dall’Africa circa il 30% del suo fabbisogno petrolifero (i principali collaboratori sono Sudan[9], Angola, Chad, Algeria e Nigeria), fornisce manodopera cinese nella costruzione delle infrastrutture in territorio africano e esporta grandi quantità di materiali, soprattutto tessile ed manifatturiero, in surplus nel mercato interno. Il rapporto è fruttifero anche per l’Africa, che sta ricostruendo le infrastrutture, in molti casi rovinate da anni di guerre civili. Inoltre, i prestiti cinesi non sono condizionali, ovvero non prevedono alcuna clausola riguardante il rispetto dei diritti umani o un miglioramento della governance; le compagnie cinesi intraprendono progetti che quelle occidentali considererebbero poco profittevoli e gli aiuti arrivano a destinazione in maniera molto rapida. La principale critica che proviene però dagli ambienti africani è che le imprese stanno rovinando il già fragile settore della manodopera locale. Nei contratti, difatti, è spesso previsto l’utilizzo di manodopera cinese con conseguenze, che i media africani descrivono come disastrose, non solo per ciò che concerne la disoccupazione, ma anche per l’impossibilità per i lavoratori africani di apprendere nuove conoscenze. La situazione è particolarmente grave per quei settori ove l’influenza cinese è più forte: energetico e tessile. Da non trascurare poi, il fatto, denunciato anche dal Parlamento europeo, che la Cina continua a esportare in tali paesi anche armi.

 

 

POLITICA ESTERA

(a cura del MAE)

 

 

Dopo il temporaneo raffreddamento fra Pechino e Berlino, seguito all’incontro del Cancelliere Merkel con il Dalai Lama nel 2007, la situazione fra Cina e Germania sembra essersi normalizzata con l’incontro dei due Ministri degli Esteri il 22 gennaio a Berlino (nella sua nuova visita di pochi giorni or sono il Dalai Lama non è stato ricevuto dalla Merkel).

Per quanto riguarda la Francia la visita in Cina del Presidente Sarkozy, in dicembre, ha consentito la firma di contratti per oltre 20 miliardi di Euro a beneficio delle grandi industrie francesi; più di recente l’ex primo ministro Raffarin, e il Presidente del Senato Poncelet, quali emissari del Presidente Sarkozy si sono nuovamente recati in Cina per cercare di placare i sentimenti anti francesi della popolazione cinese, dopo il difficoltoso passaggio della Torcia Olimpica a Parigi.

Va anche considerata la crescente partnership fra Cina e Gran Bretagna, dopo la visita a Pechino in gennaio del Premier Brown, in cui sono state sottoscritte numerose intese e ci si è proposti di triplicare l’interscambio. Il premier britannico, tuttavia, non ha rinunciato ad incontrare il Dalai Lama il 23 maggio presso “Lambeth Palace” la residenza londinese dell’Arcivescovo di Canterbury, provocando le vivaci reazioni cinesi.

Su un piano più ampio, nessuno arriva a mettere in discussione la partnership strategica che deve esistere fra Europa e Cina, ed il compito che spetta all’ U.E. e ai singoli Stati membri di cercare di agganciare sempre più Pechino nel novero degli “azionisti responsabili” del mondo, per affrontare insieme le grandi tematiche globali della lotta al terrorismo, dello sviluppo sostenibile, della tutela ambientale, della non proliferazione , nonché per la stabilità nelle aree di crisi.

Pechino sta inoltre svolgendo un ruolo chiave sulla questione del disarmo nucleare della Corea del Nord; ha mostrato un atteggiamento più costruttivo sulla Birmania; ed è sempre più presente in Africa (dove il Ministro Yang Jiechi ha compiuto varie tappe in gennaio), ed in America Latina.

I rapporti con gli Stati Uniti sono positivi (dopo il breve raffreddamento seguito all’incontro del Presidente Bush con il Dalai Lama, nel novembre 2007); Pechino nota però che l’atteggiamento di Washington oscilla fra tendenze alla cooperazione e propensioni al contenimento e accerchiamento della potenza cinese.

Con il Giappone, da oltre due anni si registra una progressiva distensione dei rapporti, anche per la precisa volontà in questo senso dei governanti dei due Paesi. Questo rinnovamento nei rapporti fra Pechino e Tokyo è stato testimoniato dalla recente visita del Presidente Hu Jintao nella capitale del Sol Levante, preceduta da una del Premier nipponico Fukuda a Pechino lo scorso dicembre. La visita di Hu è stata caratterizzata da un'atmosfera molto costruttiva, che ha portato le due parti a smussare le asperità reciproche tradizionali. La distensione sino-nipponica è uno dei fattori politici regionali più positivi in Asia, riscontrati negli ultimi tempi.

Le relazioni tra Cina e India, storicamente piuttosto fredde a causa della competizione sulle materie prime e del contrasto su questioni regionali, hanno fatto riscontrare un rilancio, con la visita ufficiale a Pechino, (13-15 gennaio) del Primo Ministro indiano Manmohan Singh: si tratta della prima di un capo di governo indiano in Cina negli ultimi cinque anni.

Il progressivo riavvicinamento tra Cina e India ha un importante risvolto in quel che riguarda la riforma dell’Onu e, in particolare, del Consiglio di Sicurezza: tema su cui Pechino sembra mostrare qualche lieve apertura, almeno terminologica, nei confronti delle aspettative indiane.

Con la Santa Sede Pechino ha un rapporto complesso, che sta conoscendo importanti aperture. I due Stati, che non intrattengono formalmente relazioni diplomatiche (la Santa Sede tuttora riconosce Taiwan), sono impegnati in un difficoltoso dialogo segnato, in passato, da diversi momenti di crisi. Recentemente, anche grazie al ruolo di facilitatore svolto dall’Italia, si è avuta un importante passo avanti nelle relazioni fra Repubblica Popolare e Vaticano, simboleggiato dal concerto presso l’Aula Paolo VI offerto al Santo Padre dall’Orchestra Filarmonica di Pechino il 7 maggio u.s., che è stato interpretato come un segnale della graduale prevalenza delle correnti favorevoli al dialogo con il Vaticano, nella nomenclatura cinese.

 

Rapporti Unione Europea – Cina

 

Sul piano dei rapporti con l’Unione Europea, il Summit E.U. – Cina a fine novembre 2007 e la più recente visita del Presidente della Commissione Barroso a Pechino (24-25 aprile u.s.) hanno fatto registrare luci ed ombre nel rapporto fra Pechino e Bruxelles (l’Herald Tribune l’ha definito “Una storia d’amore con segnali di crisi”). Da parte europea sono state sottolineate ai cinesi alcune insoddisfazioni fra cui: un forte squilibrio a favore della Cina della bilancia commerciale, il cui deficit per l’Europa ha totalizzato alla fine del 2007 circa 170 miliardi di Euro (Mandelson ha più volte ricordato ai cinesi che il disavanzo europeo cresce di 15 milioni di Euro ogni ora); l’inadeguato controllo cinese sulla questione della proprietà intellettuale; la carente qualità di certe produzioni, collegata con i problemi di sicurezza per i consumatori; un’eccessiva sottovalutazione del renmimbi; una insufficiente sensibilità cinese sulle tematiche dell’ambiente. Altri motivi di scontento europeo derivano dai lenti progressi in materia di diritti umani, soprattutto alla vigilia del grande appuntamento delle Olimpiadi a Pechino, nel prossimo agosto.

A partire dal 1995, è in corso un dialogo strutturato UE-Cina sui diritti umani, che, a cadenza semestrale, si svolge alternativamente a Pechino e nella capitale europea incaricata della Presidenza di turno dell’Unione. L’esercizio mira alla ricerca di un confronto franco e costruttivo ed al coinvolgimento della Cina sulla protezione e promozione dei diritti umani. L’ultima sessione del Dialogo si è svolta a Lubiana a partire dal 15 maggio, ha avuto come temi principali quello del Tibet e dei difensori dei diritti umani in Cina. Le sessioni precedenti, tenute a  Berlino, maggio 2007 e Pechino, novembre 2007, hanno evidenziato una serie di luci ed ombre nell’impegno di Pechino sul terreno dei diritti umani. Sono state valutate positivamente alcune riforme avviate dal Governo nel settore della giustizia penale, ed un minore ricorso alla pena di morte.

Non si registrano, invece, progressi significativi nel processo di ratifica del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici.

Inoltre, l’atteggiamento delle Autorità cinesi permane rigido sui temi dei difensori dei diritti umani (secondo Pechino, i casi individuali non dovrebbero essere oggetto del Dialogo e, ad ogni modo, essi sarebbero casi isolati di competenza del potere giudiziario); del rispetto della libertà di espressione; e della tutela delle minoranze Ughuri, nello Xinjiang, e tibetana.

Su un piano più ampio, nessuno arriva a mettere in discussione la partnership strategica che deve esistere fra Europa e Cina, ed il compito che spetta all’ U.E. e ai singoli Stati membri di cercare di agganciare sempre più Pechino nel novero degli “azionisti responsabili” del mondo, per affrontare insieme le grandi tematiche globali della lotta al terrorismo, dello sviluppo sostenibile, della tutela ambientale, della non proliferazione, nonché per la stabilità nelle aree di crisi.

 

 

 

RAPPORTI BILATERALI

(a cura del MAE)

 

 

 

Il rinnovato slancio della politica italiana nei riguardi della Cina ha preso origine dalla visita dell’ex Presidente Ciampi nel 2004 e da quelle dell’ex Presidente del Consiglio Prodi (13-18 settembre 2006) e dell’ex Ministro degli Esteri D’Alema (13-14 novembre 2006), nonché grazie allo svolgimento della manifestazione “Anno dell’Italia in Cina 2006”. Da allora, le relazioni tra i due Paesi hanno fatto registrare progressi in tutti i settori, verso una partnership ormai solida e articolata.

 

Nel 2007, si sono realizzate in Italia le visite dell’ex Ministro del Commercio Bo Xi Lai, in giugno, e dei Ministri dei Trasporti Li Zhijun e della scienza e della tecnologia Wang. Numerosi membri del passato Governo si sono recati in Cina nel 2007 (fra gli altri gli ex ministri Turco, Padoa Schioppa, De Castro). Tuttavia, nel 2007 non vi sono stati incontri bilaterali ai massimi livelli (anche a causa della nota questione della presenza in Italia in dicembre del Dalai Lama).

Dal 1° al 3 marzo 2008 ha avuto luogo la visita a Roma del Vice Ministro delle Costruzioni Qiu Baoxing, che è stata anche l’occasione per proseguire nei contatti in corso sul progetto della città eco-sostenibile a Tangshan (che ci potrebbe vedere fortemente coinvolti), coordinato da parte cinese proprio dal Vice Ministro Qiu.

Auspichiamo che nel 2008 vi sia la restituzione, da parte del Primo Ministro cinese Wen Jiabao, della visita dell’ex Presidente del Consiglio Prodi in Cina, nonché una missione del Ministro degli Esteri Yang Jiechi, che potrebbe già tenersi a giugno.

 

Sul piano politico, i rapporti bilaterali sono ispirati ad un partenariato che implica frequenti scambi di vedute sui principali scenari di crisi e su tutte le tematiche globali. Riscontriamo una convergenza sempre più stretta di posizioni su temi quali la riforma del Consiglio di Sicurezza, il Libano (dove la Cina è presente nell’UNIFIL), l’Afghanistan, una maggiore partecipazione cinese nei consessi G8.

 

Importantissimo il settore della cooperazione culturale. Come accennato, l’”Anno dell’Italia in Cina” (2006) è stato una grande vetrina di manifestazioni ed eventi italiani di altissimo profilo culturale ed artistico.

 

Un ulteriore settore di cooperazione è lo scambio giovanile. Al riguardo, un importante passo in avanti è stato compiuto nel 2006 con l’Accordo sui visti di studio agli studenti cinesi che prevede la possibilità di ottenere il visto di ingresso per studio in Italia anche senza una conoscenza basilare della nostra lingua, a condizione che gli studenti risultino pre-iscritti ad un corso universitario in Italia (progetto Marco Polo, lanciato all’indomani della visita dell’ex Presidente Ciampi). Oggi sono circa 4.000 gli studenti universitari cinesi in Italia. Di rilievo, sempre in questo ambito, l’apertura a Shanghai di un campus universitario congiunto italo-cinese. Nel 2008 sono attesi circa 1200 studenti cinesi presso le Università italiane.

 

Due importanti pilastri della cooperazione bilaterale italo-cinese sono l’ambiente e la sanità.

La collaborazione della Cina con il nostro Ministero dell’Ambiente è rodata (57 progetti in corso per un totale di 190 milioni di euro). Ad essa si affianca il programma della nostra Cooperazione allo sviluppo (complessivi 81 milioni di euro), che dovrà integrarsi con il lavoro già realizzato dal Ministero dell’Ambiente.

Il Ministero dell’Ambiente ha iniziato il suo Programma di Cooperazione con il Ministero per la Protezione dell’ Ambiente cinese nel 2000. Il Programma si è sviluppato in collaborazione con numerose istituzioni cinesi quali l’Accademia Cinese delle Scienze Sociali, il Ministero delle Ricerca e della Tecnologia, il Ministero delle Risorse Idriche, etc.

 





[1] Secondo la US Commission on International Religious Freedom,  almeno 40 sacerdoti membri della Chiesa cattolica non ufficiale e non riconosciuti dall’autorità di Pechino sono ancora in carcere, nonostante la libertà religiosa sia in teoria garantita dalla Costituzione cinese.

[2] I Cinesi utilizzano due nomi; prima viene indicato il cognome (generalmente monosillabico), poi il nome (spesso composto da due sillabe).

[3] Secondo altri il delfino sarebbe Li Keqiang, nominato il 17 marzo 2008 Vice Primo Ministro, assieme a Wang Qishan, Zhang Dejian, Hui Liagyu, quest’ultimo è stato riconfermato.

[4] Fra i tesserati, circa 13 milioni sono donne, e oltre 4 milioni appartengono ad etnie minoritarie. Trenta milioni hanno meno di 45 anni (sono nati cioè dopo la fondazione della Repubblica popolare nel 1949). Il 56,6% degli iscritti ha il diploma di scuola superiore. Circa la metà dei membri sono impiegati, operai, contadini e militari.

[5] Lo stesso parametro economico per l’economia USA è apri a 13.130 miliardi di dollari USA.

[6] Con il termine "società armoniosa" si pone enfasi sulle riforme economiche, dando priorità all'emergenza ambientale, all'istruzione, al welfare, alle campagne, agli interessi della gente, alla redistribuzione dei dividendi dello sviluppo in corso.

 

[7] Proteste per il riconoscimento della proprietà privata della terra si sono verificati nel 2007 e all’inizio del 2008 in molte province Cinesi. Circa 40mila contadini di Fujin hanno partecipato nel dicembre 2007 ad una rivolta, firmando una lettera nella quale si accusavano i dirigenti locali dell' amministrazione di “essere diventati dei proprietari terrieri mentre i contadini siamo stati costretti a diventare i loro servi”.

 

[8] L’Italia è stata eletta nel CdU per il triennio 2007-2010.

[9] La Cnpc (una società petrolifera cinese di proprietà dello Stato) controlla il 60-70 per cento della produzione petrolifera del Sudan.