Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
| |||
---|---|---|---|
Autore: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||
Titolo: | Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen. Missione a L'Aja, 5-6 dicembre 2012 | ||
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari Numero: 111 | ||
Data: | 29/11/2012 | ||
Descrittori: |
|
Camera dei deputati
XVI LEGISLATURA
Documentazione per le Commissioni
riunioni interparlamentari
Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione
dell'accordo di Schengen
Missione a L’Aja, 5-6 dicembre 2012
n. 111
29 novembre 2012
Il dossier è stato curato dall’Ufficio rapporti con l’Unione europea
(' 066760.2145 - * cdrue@camera.it)
La ‘Scheda paese’ e il capitolo ‘La Corte penale internazionale” sono stati curati dal Servizio Studi, Dipartimento affari esteri (' 066760.4939)
Il capitolo ‘Relazioni parlamentari Italia-Paesi Bassi’ è stato curato dal Servizio Rapporti internazionali (' 066760.9515)
________________________________________________________________
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
I N D I C E
Scheda Paese (a cura del Servizio Studi)
· La situazione politica interna
· Indicatori internazionali sul paese:
La politica di immigrazione e asilo dell’Unione europea
· La gestione delle frontiere esterne dell’UE
· Asilo
I Paesi Bassi e il sistema schengen
· I Paesi bassi e l’applicazione dell’acquis di Schengen
· L’adesione di Bulgaria e Romania all’area Schengen
· Il rafforzamento della governance di Schengen
La Corte penale internazionale ( a cura del Servizio Studi)
· L’assetto attuale di Europol
· La comunicazione della Commissione europea sul controllo parlamentare delle attività di Europol
Relazioni parlamentari Italia-Paesi Bassi (a cura del servizio rapporti internazionali)
I Paesi Bassi sono una monarchia parlamentare dal 1848. Il monarca ha il ruolo di Capo dello Stato ed esercita funzioni essenzialmente di tipo cerimoniale, rappresentando, allo stesso tempo, una figura di arbitro super partes tra le fazioni politiche. Oggi, sul trono del Regno dei Paesi Bassi (che include anche le isole delle Antille Olandesi Curaçao, Sint Marteen e Aruba), siede la Regina Beatrice del casato degli Orange – Nassau (una dinastia reale che governa il regno dalla seconda metà del Cinquecento). Beatrice d’Olanda è in carica dall’aprile del 1980.
Il potere esecutivo è detenuto dal governo, rappresentato dal Consiglio dei Ministri. Solitamente il Consiglio è formato da un numero di ministri che varia fra tredici e sedici e un numero minore di State Secretaries, figura corrispondente grossomodo al Sottosegretario nel nostro ordinamento istituzionale. Il governo attuale è composto da tredici ministri e sette State Secretaries. Il Capo del governo è il Primo Ministro (attualmente a ricoprire tale carica è il liberale Mark Rutte).
Il governo è politicamente responsabile nei confronti del Parlamento, organo legislativo di tipo bicamerale, formato da una camera bassa ed una alta. La prima, House of Representatives, è composta da 150 membri, eletti per suffragio universale diretto (in base ad una legge elettorale di tipo proporzionale), che restano in carica per quattro anni. La seconda, Senate, è invece più ristretta e con meno poteri legislativi. È infatti composta da 75 membri e una delle poche facoltà di cui dispone è quella di respingere i progetti di legge provenienti dalla Camera bassa, senza diritto di emendamento o di proposta.
La Camera alta non rappresenta i cittadini, bensì gli enti territoriali che compongono i Paesi Bassi. Ad eleggere i 75 membri sono infatti i rappresentanti gli States Provincial, ovvero le assemblee legislative provinciali. Ad ogni provincia corrisponde uno di questi organi legislativi (i Paesi Bassi sono suddivisi in dodici province: Drenthe, Flevoland, Brabante Settentrionale, Frisia, Gheldria, Groninga, Limburgo, Olandra meridionale, Olanda settentrionale, Utrecht, Overijssel, Zelanda), che vengono anch’essi rinnovati ogni quattro anni, in contemporanea per tutte le province. Il numero di membri varia in base alla grandezza della popolazione di riferimento. Circa tre mesi dopo le elezioni delle assemblee provinciali, i rappresentanti di queste si riuniscono per eleggere i 75 membri della Camera alta, il cui mandato dura quattro anni.
Data la natura estremamente frammentata della società olandese, sia in senso confessionale (calvinisti e cattolici) che in senso politico (socialisti e liberali), il sistema politico – istituzionale è stato necessariamente strutturato per garantire la maggior rappresentatività possibile anche a livello centrale. Il sistema elettorale di tipo proporzionale (basato sul metodo D’Hont, con uno sbarramento dello 0,67% che opera a livello di circoscrizione) genera dunque dei governi di coalizione, che si basano sul principio della democrazia consociativa.
Come detto, la politica olandese si basa sulla coalizione di più parti politiche e sul raggiungimento di un largo consenso nei confronti delle misure da adottare di volta in volta. Il fatto di dover garantire un’adeguata rappresentatività politica rende tuttavia spesso difficile la governabilità. Una “stabile instabilità” è infatti ciò che, ormai da qualche tempo, caratterizza i governi olandesi. Nell’aprile 2012 si è consumata la quinta crisi di governo da dieci anni a questa parte, quando l’esecutivo (di coalizione) guidato dal premier liberale Mark Rutte ha perso l’appoggio esterno del partito di estrema destra PVV di Geert Wilders. Il PVV, che alle elezioni del 2010 aveva ottenuto il 15,5% delle preferenze, attestandosi come terza forza politica del paese, ha dato la spallata fatale al governo con la netta opposizione al piano di tagli della spesa pubblica (quantificato in 15 miliardi di euro), volto a riportare l’indebitamento del paese sotto la soglia del 3%, come imposto da Bruxelles. Nei piani di Wilders, questo avrebbe dovuto rilanciare il suo partito agli occhi dell’elettorato olandese in vista di una futura tornata elettorale. Una campagna elettorale caratterizzata da toni populisti e da critiche alle misure di austerità imposte dall’Unione europea (oltre ai tradizionali capisaldi del partito, come l’opposizione all’immigrazione, soprattutto di matrice islamica), avrebbe dovuto giovare molto di più (in prospettiva elettorale) in confronto all’appoggio delle impopolari misure economiche proposte dal governo.
Si è così approdati alle elezioni del settembre 2012 (le quarte elezioni anticipate consecutive). I risultati delle consultazioni hanno delineato una scenario politico molto interessante. La principale linea di frattura non è stata quella destra/sinistra o quella di tipo confessionale, bensì ha visto il confronto tra elettori filo europeisti e “eurofobi”. Ed hanno vinto i primi. Il Partito Popolare per la democrazia e la libertà (VVD) del Premier uscente Mark Rutte ha ottenuto il 26,6% dei voti e 41 seggi (su 150) nella Camera bassa; al secondo posto si è attestato il Partito Laburista guidato da Diederik Samsom, con il 24,8% e 38 seggi. I partiti collocati ai due estremi dello spettro politico olandese hanno invece subito un duro colpo. A sinistra, il Partito Socialista (SP) è arrivato al 9,6% ottenendo 15 seggi (i sondaggi pre elettorali parlavano di un consenso molto più ampio), mentre a destra il Partito per la Liberta (PVV) di Wilders è stato notevolmente ridimensionato, perdendo un terzo dell’elettorato rispetto a due anni fa: è passato dal 15,5% e 24 seggi, al 10,1% e 15 seggi.
Dunque la tattica di dissociazione dalle misure di austerità proposte dal governo e di critica agli effetti dell’integrazione europea è stata fatale per il partito nazionalista di estrema destra. La diga europeista olandese si è rivelata molto più solida del previsto. C’era anche da aspettarselo, da un paese che, storicamente, è stato sempre legato a doppio filo al processo europeo di integrazione (vedi il Trattato di Maastricht o di Amsterdam) e la cui economia esporta, per il 70%, proprio verso paesi membri dell’UE.
In seguito a quest’ultima tornata elettorale, anche i democristiani di Appello Cristiano Democratico (CDA), saliti al governo in coalizione con i liberali dopo le elezioni del 2010, hanno perso molto terreno, riducendo i seggi da 21 a 13. L’elettorato cattolico deluso (anche da una significativa deriva a sinistra da parte dell’élite democristiana negli ultimi anni) ha preferito scegliere il partito di Mark Rutte e (in misura minore) quello di Geert Wilders.
Dopo 47 giorni di negoziati tra i due partiti usciti vincitori (si tratta di una sorta di record, considerando i tempi di formazione dei governi olandesi) è stato raggiunto l’accordo che ha permesso la nascita del nuovo esecutivo. Il neo Consiglio dei Ministri, guidato da Mark Rutte, ha prestato giuramento davanti alla Regina Beatrice d’Olanda il 5 novembre scorso.
Diversamente dalle precedenti coalizioni olandesi, questa ha la caratteristica di basarsi sull’alleanza di due soli partiti, cosa che, almeno in teoria, dovrebbe renderla più solida. Ma già si parla di disaccordi striscianti tra le due parti che reggono l’esecutivo, in particolare sulla ricetta economica da somministrare al paese. Nonostante la sostanziale identità di vedute tra i due partiti in ambito economico (confermata anche dai tempi abbastanza ristretti entro cui si è formato il nuovo governo), la campagna elettorale laburista si era incentrata su un allentamento dell’austerity ed un aumento della spesa pubblica quale stimoli per l’economia, mentre i liberali avevano lasciato intendere di essere più orientati verso i tagli alle spese dello Stato.
Libertà politiche e civili: “Stato libero” (Freedom House); “democrazia piena” (2011: 10 su 167 - Economist)
Indice della libertà di stampa: 4 su 179 (Reporters sans Frontières)
Libertà religiosa: assenza di eventi significativi (ACS); situazione di rispetto in concreto (USA)
Corruzione percepita: 7 su 183 (Transparency International)
Variazione PIL: +0,39% (2013)
Libertà economica: “Stato prevalentemente libero” (15 su 179)
Gap nelle differenze di genere: 11 su 135 (World Economic Forum)
DATI GENERALI |
|
Forma di Stato: |
Monarchia parlamentare |
Superficie: |
41.526 kmq |
Lingua: |
Olandese |
Religione: |
Atei 44% Cattolici 28% Protestanti 18% Altri 10% |
Moneta: |
Euro |
Rischio Paese SACE: |
L 1 |
PRINCIPALI INDICATORI MACROECONOMICI |
||||
INDICATORE |
2010 |
2011 |
2012 |
2013 |
PIL Nominale (USD bn) |
781,10 |
838,80 |
803,70 |
820,00 |
Variazione del PIL reale (%) |
1,60 |
1,30 |
-0,80 |
1,30 |
Popolazione (milioni) |
16,60 |
16,70 |
16,70 |
16,80 |
PIL pro-capite a parità di prezzi di m.(USD) |
42.327,00 |
43.564,00 |
44.064,00 |
45.492,00 |
Disoccupazione (%) |
4,50 |
4,40 |
5,20 |
5,40 |
Debito pubblico (% del PIL) |
62,90 |
65,20 |
68,70 |
70,70 |
Tasso di cambio moneta locale/USD |
1,33 |
1,39 |
1,31 |
1,29 |
CONTO CORRENTE (USD mil) |
||||
Export di merci |
480,70 |
551,80 |
541,50 |
567,10 |
Import di merci |
-429,10 |
-493,10 |
-473,60 |
-501,30 |
Bilancia dei Servizi |
10,60 |
13,30 |
12,40 |
12,80 |
Bilancia dei Redditi |
3,50 |
18,30 |
11,20 |
7,50 |
Bilancia dei Trasferimenti correnti |
-14,40 |
- 13,70 |
- 13,10 |
-13,30 |
TOT |
n.d |
n.d |
n.d |
n.d |
Riserve internazionali |
n.d |
n.d |
n.d |
n.d |
COMMERCIO ESTERO ED INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI |
||||
IMPORT |
ultimo anno (mil USD) |
2010 I sem |
2011 I sem |
|
I merce/settore |
Macchinari e mezzi di trasporto |
160,00 |
n.d |
|
II merce/settore |
Materiali combustibili, lubrificanti e derivati |
96,00 |
n.d |
|
III merce/settore |
Prodotti chimici e prodotti connessi |
60,00 |
n.d |
|
EXPORT |
ultimo anno (mil USD) |
|
|
|
I merce/settore |
Macchinari e mezzi di trasporto |
173,00 |
n.d |
|
II merce/settore |
Prodotti chimici e prodotti connessi |
84,00 |
n.d |
|
III merce/settore |
Materiali combustibili, lubrificanti e derivati |
83,00 |
n.d |
|
|
ultimo anno (mil EURO) |
|
|
|
I Paese fornitore |
Germania |
58.913,00 |
45.734,00 |
|
II Paese fornitore |
Cina |
31.000,00 |
22.640,00 |
|
Posiz. Italia |
|
n.d |
n.d |
|
|
ultimo anno (mil EURO) |
|
|
|
I Paese cliente |
Germania |
90.268,00 |
72.288,99 |
|
II Paese cliente |
Francia |
32.488,00 |
26.835,00 |
|
Posiz. Italia |
|
n.d |
n.d |
|
|
||||
Investimenti esteri in entrata, STOCK (migliaia EURO) |
587.285,00 |
590.200,00 |
||
Investimenti esteri in uscita, STOCK (migliaia EURO) |
954.570,00 |
990.400,00 |
||
IDE italiani nel Paese, STOCK (migliaia EURO) |
-21.703,00 |
-21.543,00 |
||
IDE del Paese in Italia, STOCK (migliaia USD) |
5.585,00 |
5.586,00 |
||
Fonte: Rapporto congiunto ICE/MAE (secondo semestre 2011)
Gli obiettivi della politica europea in materia di immigrazione e asilo, elaborati sulla base delle disposizioni contenute negli articoli da 77 a 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sono contenuti nel programma di Stoccolma per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia per il periodo 2010-2014, adottato dal Consiglio europeo nel dicembre 2009[2].
Nel quinquennio di riferimento l’Unione europea si è impegnata a:
· sviluppare una politica migratoria europea articolata, fondata sulla solidarietà e la responsabilità e basata sul Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo con l’obiettivo principale di: istituire un sistema comune d'asilo nel 2012 che garantisca alle persone bisognose di protezione un accesso garantito a procedure di asilo giuridicamente sicure ed efficaci; controllare e contrastare l’immigrazione clandestina, anche in considerazione della crescente pressione esercitata sugli Stati membri alle frontiere esterne, tra cui quelle meridionali;
· garantire un accesso all’Europa più efficiente attraverso le politiche di gestione integrata delle frontiere e le politiche in materia di visti.
Nell’ambito di questo quadro generale, i recenti avvenimenti nel Nord Africa e il conseguente aumento della pressione migratoria alle frontiere meridionali dell’UE, hanno indotto le istituzioni europee a concentrarsi particolarmente sulle questioni relative al miglioramento della gestione delle frontiere esterne dell’UE, al rafforzamento della governance di Schengen, al potenziamento del quadro giuridico e della cooperazione pratica in materia di asilo, all’approfondimento delle relazioni con i paesi di origine e di transito (si vedano i paragrafi dedicati).
Prosegue, al contempo, da parte delle istituzioni UE l’esame delle proposte legislative in materia di immigrazione legale.
Si tratta, in particolare delle proposte di direttiva relative a: condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per motivi di lavoro stagionale (COM(2010)379); condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi nell’ambito di trasferimenti intrasocietari (COM(2010)378). Si segnala inoltre che il 13 dicembre 2011 è stata definitivamente approvata la direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura unica per il rilascio di un permesso unico di soggiorno e lavoro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro.
E’ stato inoltre avviato l’esame delle proposte legislative che istituiscono i nuovi strumenti finanziari di settore per il periodo 2014-2020, con un notevole incremento rispetto ai programmi vigenti (7.489 milioni di euro rispetto ai circa 4.000 milioni di euro complessivamente previsti dai programmi 2007-2013)
Si tratta, in particolare, della proposta di regolamentoCOM(2011)750, che stabilisce lo strumento per il sostegno finanziario alle frontiere esterne e ai visti (dotazione complessiva proposta pari a 3.620 milioni di euro) e della proposta di regolamento COM(2011)751 che istituisce il Fondo “Asilo e immigrazione (dotazione complessiva proposta pari a 3.869 milioni di euro).
In questo settore è in corso di esame da parte delle istituzioni UE la proposta di regolamento del 12 dicembre 2011 che stabilisce un sistema di controllo alle frontiere, denominato EUROSUR (COM(2011)873). Il sistema è volto ad aumentare il coordinamento all'interno degli Stati membri e tra uno Stato membro e l'altro, per prevenire e affrontare forme gravi di criminalità quali il traffico di immigrati clandestini, la tratta degli esseri umani, e il traffico di droga, e per diminuire il tasso di decesso dei migranti in mare. Il meccanismo EUROSUR dovrebbe permettere alle autorità degli Stati membri responsabili della sorveglianza di frontiera (guardie di frontiera, guardie costiere, polizia, dogane e marina militare) di scambiare informazioni operative e cooperare tra loro, con l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea (FRONTEX) e con i paesi vicini.
Sempre nell’ottica di un miglioramento della gestione delle frontiere esterne, si segnala che il 25 ottobre 2011 è stato definitivamente adottato il Regolamento (UE) n. 1168/2011, volto al rafforzamento di FRONTEX[3], attraverso, in particolare la possibilità conferita all’Agenzia di coordinare operazioni congiunte e l’obbligo posto in capo agli Stati membri di fornire personale per la costituzione di squadre europee di frontiera e mettere a disposizione attrezzature tramite il Registro centralizzato delle attrezzature tecniche disponibili (CRATE).
Si ricorda che la necessità di un rafforzamento di FRONTEX era stata sostenuta nel documento congiunto sul tema dell’immigrazione clandestina nel Mediterraneo, sottoscritto il 13 gennaio 2009 dai Ministri dell’Interno di Cipro, Grecia, Italia e Malta esuccessivamentepresentato al Consiglio UE.
Come già ricordato, il programma di Stoccolma ha fissato come obiettivo la creazione entro il 2012 di una procedura comune di asilo e di uno status uniforme per coloro che hanno ottenuto l'asilo o la protezione sussidiaria, basato sulla modifica degli strumenti legislativi attualmente vigenti.
In tale quadro il 13 dicembre 2011 è stata approvata la Direttiva 2011/95/UE recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta.
Permangono tuttora all’esame delle istituzioni UE le seguenti proposte legislative:
· proposta di regolamento che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo (COM(2008)820) (rifusione del regolamento CE n. 343/2003, cd. regolamento Dublino II), L’esame della proposta in seconda lettura da parte del Parlamento europeo è previsto per il 14 gennaio 2013;
· proposta modificata di direttiva relativa a procedure per la concessione e la revoca dello status conferito dalla protezione internazionale (COM(2011)319) (rifusione della direttiva 2005/85/CE);
· proposta modificata di direttiva recante norme per l’accoglienza dei richiedenti asilo (COM(2011)320) ( rifusione della direttiva 2003/9/CE); Il 25 ottobre 2012 il Consiglio ha approvato il testo concordato con il Parlamento europeo in sede negoziale. Si attende a breve l’adozione formale della direttiva.
· proposta modificata di regolamento che istituisce l'"EURODAC" per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (CE) n. [.../...] (Dublino II) e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto (COM(2012)254).
Si ricorda infine che l’11 maggio 2011 è stata approvata la direttiva 2011/51/UE del Parlamento europeo e del Consiglio che estende ai beneficiari di protezione internazionale l’ambito applicazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo
Tra le misure di cooperazione pratica si segnala che dal giugno 2011 è operativo l’Ufficio europeo di sostegno all’asilo con sede a La Valletta. (direttore esecutivo: Robert Visser).
Istituito con il Regolamento (UE) n.439/2010 l’Ufficio ha le seguenti finalità:
- facilitare, coordinare e rafforzare la cooperazione pratica in materia di asilo fra gli Stati membri e contribuire a una migliore attuazione del Sistema europeo comune di asilo;
- fornire un sostegno operativo efficace agli Stati membri i cui sistemi di asilo e accoglienza sono sottoposti ad una pressione particolare, facendo appello a tutte le risorse utili a sua disposizione, che possono includere il coordinamento delle risorse fornite dagli Stati membri alle condizioni previste dal regolamento stesso;
- prestare assistenza scientifica e tecnica in relazione alle politiche e alla legislazione dell'Unione in tutti i settori che hanno ripercussioni dirette o indirette sull’asilo, in quanto fonte indipendente di informazioni su tutte le questioni rientranti in tali ambiti.
Per quanto riguarda la dimensione esterna, in accordo con la Commissione, l'Ufficio di sostegno coordina gli scambi di informazioni e altre azioni relativamente al reinsediamento intraprese dagli Stati membri con l'obiettivo di far fronte alle esigenze di protezione internazionale dei rifugiati nei paesi terzi e di dar prova di solidarietà ai paesi di accoglienza. Nell'ambito del suo mandato, l'Ufficio di sostegno può inoltre cooperare con le autorità competenti dei paesi terzi su aspetti tecnici, in particolare nell'intento di promuovere ed assistere il rafforzamento delle capacità nell'ambito dei sistemi di asilo ed accoglienza di tali paesi terzi, nonché di attuare programmi di protezione regionale e altre azioni pertinenti in grado di fornire soluzioni durature.
L’Unione europea si è inoltre dotata di un programma comune per favorire il reinsediamento dei rifugiati (Comunicazione della Commissione COM(2009)447). Il programma si riferisce esclusivamente ai reinsediamenti negli Stati membri UE, su base volontaria, di persone che già beneficiano di protezione internazionale in un Paese terzo e non riguarda pertanto la redistribuzione interna dei rifugiati tra Stati membri UE.
In questo quadro il 31 marzo 2012 è stata adottata la decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che che introduce le priorità in materia di reinsediamento dei rifugiati per il 2013, come pure nuove norme sul sostegno finanziario agli Stati membri coinvolti.
In base alla nuova decisione, gli Stati membri che parteciperanno al programma di reinsediamento avranno il diritto di ricevere dal Fondo europeo per i rifugiati un importo fisso pari a:
- 6.000 euro per ciascun rifugiato reinsediato, se lo Stato richiede siffatta compensazione per la prima volta;
- 5.000 euro per rifugiato, se anteriormente lo Stato ha già richiesto una volta tale compensazione;
- -4.000 euro per tutti gli altri Stati.
La decisione introduce inoltre sei priorità dell'UE in materia di reinsediamento per il 2013, che comprendono i rifugiati e gli sfollati nelle seguenti regioni:
- rifugiati congolesi della regione dei Grandi Laghi (Burundi, Malawi, Rwanda, Zambia);
- - rifugiati provenienti dall'Iraq in Turchia, Siria, Libano e Giordania;
- -rifugiati afghani in Turchia, Pakistan e Iran;
- -rifugiati somali in Etiopia;
- - rifugiati birmani in Bangladesh, Malaysia e Thailandia;
- - rifugiati eritrei nel Sudan orientale.
Si segnala infine che nel giugno 2009 la Commissione ha adottato il progetto pilota EUREMA (EU Relocation Malta Project – Progetto UE di ricollocazione da Malta), cofinanziato dal Fondo europeo per i rifugiati per un importo di circa 2 milioni di euro, per la ricollocazione di 260 beneficiari di protezione internazionali dall’isola di Malta in altri Stati membri, su base volontaria. Al progetto, la cui prima fase di è conclusa nell’estate 2011, hanno partecipato dieci Stati membri (Francia, Germania, Regno Unito, Portogallo, Lussemburgo, Ungheria, Polonia, Slovenia, Slovacchia e Romania). Per il periodo 2011-2012 otto Stati membri (Belgio, Ungheria, Lituania, Polonia, Portogallo, Romania e Slovacchia), attraverso la seconda fase del progetto EUREMA, e cinque Stati membri, attraverso accordi bilaterali (Germania, Spagna. Olanda, Irlanda e Danimarca)[4] si sono impegnati ad accogliere complessivamente 392 rifugiati.
Oltre che ad alleggerire la pressione sull’isola, il progetto pilota ha costituito l’occasione per verificare la possibilità di istituire un vero e proprio meccanismo permanente UE di ricollocazione interna, che, su base volontaria, permetta di ridistribuire in termini di maggiore equità tra i diversi Stati membri i beneficiari di protezione internazionale presenti in Stati membri particolarmente esposti al fenomeno, al fine ultimo di garantire standard di accoglienza costantemente adeguati in tutto il territorio dell’Unione europea. Una proposta relativa all’istituzione di tale meccanismo dovrebbe essere presentata dalla Commissione europea nel corso del 2012[5].
A tale proposito si segnala che sia il Parlamento europeo, nella risoluzione sul programma di Stoccolma adottata il 25 novembre 2009, che il Governo italiano, in particolare nel corso del Consiglio giustizia e affari interni del giugno 2009, hanno segnalato l’opportunità che i meccanismi di ricollocazione interna abbiano carattere obbligatorio.
Un’accurata valutazione di EUREMA da parte della Commissione, in collaborazione con Malta e gli altri Stati membri coinvolti, è stata espressamente richiesta dal Consiglio giustizia e affari interni dell’8 marzo 2012,nelle sue conclusioni relative ad un “Quadro comune per una per una reale e concreta solidarietà nei confronti degli Stati membri i cui sistemi di asilo subiscono particolari pressioni”.
Gli eventi verificatisi in Nord Africa nel corso del 2011 hanno indotto le istituzioni UE ad affrontare il tema del rafforzamento della cooperazione con i paesi della sponda sud del Mediterraneo in materia di immigrazione e sicurezza. Nella Comunicazione del 24 maggio 2011 “Dialogo con i paesi del Sud del Mediterraneo per la migrazione, la mobilità e la sicurezza” (COM(2011)292),la Commissione europea ha presentato proposte politiche e misure operative di lungo termine che investono gli ambiti della migrazione, della mobilità, dell’integrazione e della protezione internazionale. In seguito alla piena approvazione di tali proposte da parte del Consiglio europeo del 23-24 giugno, l'Unione ha avviato all'inizio di ottobre, dialoghi in materia di migrazione, mobilità e sicurezza con la Tunisia e il Marocco e iniziato i preparativi necessari per un dialogo con l'Egitto. Seguiranno dialoghi dello stesso tipo con altri paesi del Mediterraneo meridionale, in particolare con la Libia, non appena la situazione politica lo permetterà.
I dialoghi consentiranno all'UE e ai paesi partner di discutere tutti gli aspetti della loro possibile cooperazione per la gestione dei flussi migratori e della circolazione delle persone, al fine di concludere partenariati per la mobilità.
Il “Dialogo con i paesi del Sud del Mediterraneo per la migrazione, la mobilità e la sicurezza” rientra a pieno titolo tra gli strumenti dell’Approccio globale in materia di migrazione, che costituisce l’orientamento politico generale in materia, elaborato dall’Unione europea a partire dal 2005.
A tale proposito si ricorda che il documento “Approccio globale in materia di migrazione: azioni prioritarie incentrate sull'Africa e il Mediterraneo”, fu adottato nel 2005, in attuazione del programma dell’Aia per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia 2005-2009. E’ del 18 novembre 2011 la comunicazione “L’approccio globale in materia di migrazione e mobilità” (COM(2011)743), nella quale i principi già delineati nel 2005 vengono aggiornati alla luce dell’evoluzione normativa dell’Unione europea e dei recenti cambiamenti nel Mediterraneo del Sud. L’approccio globale mira a formulare politiche coerenti ed integrate che abbraccino tutte le fasi del fenomeno (cause di fondo, politiche in materia di ingresso e ammissione, politiche in materia di integrazione e rimpatrio) facendo convergere le attività di differenti settori (sviluppo, affari sociali e impiego, relazioni esterne, giustizia e affari interni) e promuovendo una stretta collaborazione con i paesi d’origine e di transito, ispirata ai principi di solidarietà e condivisione delle responsabilità.
Il 23 novembre 2012 la Commissione europea ha presentato una relazione sul funzionamento del sistema Schengen nel periodo 1° maggio - 31 ottobre 2012 (COM2012)686). La relazione fornisce informazioni circa alcuni aspetti dell’applicazione dell’acquis da parte dei Paesi Bassi, relativi in particolare al mantenimento dell’assenza dei controlli alle frontiere interne.
La Commissione rileva che la maggioranza delle presunte violazioni dell'acquis di Schengen riguarda la questione se i controlli di polizia effettuati nelle vicinanze della frontiera interna possano avere un effetto equivalente alle verifiche alle frontiere (articolo 21 del codice frontiere Schengen[6]) e l'obbligo di eliminare gli ostacoli allo scorrimento fluido del traffico, come i limiti di velocità, presso i valichi di frontiera stradali alle frontiere interne (articolo 22 del codice frontiere Schengen).
L’articolo 20 del codice frontiere Schengen dispone che le frontiere interne possano essere attraversate in qualunque punto senza che sia effettuata una verifica di frontiera sulle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità.
In base all’articolo 21 (Verifiche all’interno del territorio) la soppressione del controllo di frontiera alle frontiere interne non pregiudica:
a) l’esercizio delle competenze di polizia da parte delle autorità competenti degli Stati membri in forza della legislazione nazionale, nella misura in cui l’esercizio di queste competenze non abbia effetto equivalente alle verifiche di frontiera; ciò vale anche nelle zone di frontiera. l’esercizio delle competenze di polizia non può]essere considerato equivalente, in particolare, all’esercizio delle verifiche di frontiera quando le misure di polizia:
i) non hanno come obiettivo il controllo di frontiera;
ii) si basano su informazioni e l’esperienza generali di polizia quanto a possibili minacce per la sicurezza pubblica e sono volte, in particolare, alla lotta contro la criminalità transfrontaliera;
iii) sono ideate ed eseguite in maniera chiaramente distinta dalle verifiche sistematiche sulle persone alle frontiere esterne;
iv) sono effettuate sulla base di verifiche a campione;
b) il controllo di sicurezza sulle persone effettuato nei porti o aeroporti dalle autorità competenti in forza della legislazione di ciascuno Stato membro, dai responsabili portuali o aeroportuali o dai vettori, sempreché tale controllo venga effettuato anche sulle persone che viaggiano all’interno di uno Stato membro;
c) la possibilità per uno Stato membro di prevedere nella legislazione nazionale l’obbligo di possedere o di portare con sé documenti d’identità;
d) l’obbligo per i cittadini di paesi terzi di dichiarare la loro presenza nel territorio di uno Stato membro
Nel periodo dal 1° maggio al 31 ottobre 2012, la Commissione ha chiesto informazioni su eventuali violazioni degli articoli 21 e/o 22 del codice frontiere Schengen in due nuovi casi (relativi alla Germania e alla Lituania), ne ha chiusi tre (riguardanti il Belgio, l’Estonia e i Paesi Bassi) e ha continuato a indagare su sette casi esistenti (concernenti l’Austria, la Repubblica ceca, la Germania, la Lettonia, i Paesi Bassi, la Slovacchia e la Svezia).
La Commissione ricorda che recentemente sono stati portati all'attenzione di vari tribunali olandesi diversi casi riguardanti la compatibilità o meno della sorveglianza mobile (Mobiel Toezicht Veiligheid), effettuata dal Koninklijke Marechaussee (gendarmeria reale) presso le frontiere interne dei Paesi Bassi con il Belgio e la Germania ai sensi dell’ articolo 4.17a del decreto sugli stranieri (Vreemdelingenbesluit 2000)[7], con gli articoli 20 e 21 del codice frontiere Schengen. A questo proposito sono state presentate alla Corte di giustizia dell’Unione europea, domande di pronuncia pregiudiziale il 7 febbraio 2012 (causa C‑88/12 (Jaoo)) e il 4 giugno 2012 (causa C-278/12 (Adil)).
Il 19 luglio 2012, la Corte di giustizia ha emesso la sua sentenza nella causa C-278/12 (Adil): la Corte ha concluso che gli articoli 20 e 21 del codice frontiere Schengen non ostano a controlli effettuati da funzionari incaricati della sorveglianza di frontiera e del controllo degli stranieri in una zona geografica vicina a una frontiera interna, diretti a verificare i requisiti di soggiorno regolare, qualora tali controlli si basino su informazioni generali e dati dell'esperienza in materia di soggiorno irregolare nei luoghi dei controlli, o, in misura limitata, qualora possano essere effettuati in misura limitata per ottenere informazioni generali siffatte e dati dell'esperienza in tale materia e qualora il loro esercizio sia sottoposto a talune limitazioni relative, segnatamente, alla loro intensità e alla loro frequenza. Dal momento che la sorveglianza mobile olandese è finalizzata a contrastare il soggiorno irregolare e quindi ha una finalità diversa dalle verifiche di frontiera, si basa su informazioni generali di polizia e su dati dell'esperienza, si svolge in modo diverso rispetto alle verifiche di frontiera ed è sottoposta alle limitazioni necessarie, la Corte ha concluso che essa non ha un effetto equivalente alle verifiche di frontiera.
Attualmente l’area Schengen garantisce la libera circolazione senza controlli alle frontiere tra 26 Stati, 22 Stati membri UE (sono ancora esclusi Cipro, Romania e Bulgaria, la cui adesione non è ancora completa; Regno Unito e Irlanda non partecipano all’area Schengen e pertanto non aderiscono alla cooperazione in materia di visti e non hanno abolito i controlli alle loro frontiere interne) e 4 paesi associati (Norvegia, Islanda, Svizzera e, a partire dal 19 dicembre 2011, Liechtenstein), interessando più di 400 milioni di cittadini.
Originariamente prevista per il Consiglio giustizia e affari interni di fine febbraio 2011, l’adozione della decisione del Consiglio relativa alla completa adesione a Schengen di Bulgaria e Romania, implicante l’abolizione di controlli alle frontiere interne, è stata ripetutamente rinviata in considerazione delle riserve avanzate da alcuni Stati membri[8]. All’iniziale opposizione, poi superata, di Francia e Germania, che avrebbero giudicato prematura l’adesione, ritenendo opportuno attendere progressi definitivi nel settore della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, avrebbero fatto seguito le riserve avanzate, in particolare, dai Paesi Bassi, che nel corso riunione del Consiglio europeo del 9 dicembre 2011 avrebbero espresso la loro ferma opposizione all’adozione della decisione prima della presentazione, da parte della Commissione europea, delle nuove relazioni sui progressi compiuti dai due paesi nel settore della lotta alla corruzione e della riforma del sistema giudiziario
Si ricorda che il processo di valutazione della Romania e della Bulgaria da parte del gruppo ”Valutazioni di Schengen” ai fini dell’abolizione dei controlli alle frontiere interne, si è concluso rispettivamente nel gennaio e nel marzo 2011. Le valutazioni, iniziate nel 2009, hanno avuto lo scopo di verificare il soddisfacimento dei requisiti necessari per l’applicazione di tutte le parti dell’acquis e la conseguente abolizione dei controlli alle frontiere interne (in particolare i requisiti tecnici sul controllo delle frontiere in materia di: protezione dei dati, adesione al Sistema informativo Schengen, frontiere aeree, frontiere terrestri, frontiere marittime, cooperazione di polizia e visti).
Il Consiglio europeo del 1°-2 marzo 2012, ribadendo che tutte le condizioni giuridiche per l'adozione di una decisione sull'adesione della Bulgaria e della Romania allo spazio Schengen sono state soddisfatte e esprimendo riconoscimento per l’impegno dimostrato dei due paesi, ha chiesto al Consiglio di tornare sulla questione al fine di adottare la decisione relativa all’adesione nella sessione del Consiglio Giustizia e affari interni nel settembre 2012. Tale riunione del Consiglio è stata tuttavia rinviata per iniziativa della Presidenza Cipriota dell’UE, al fine di un ulteriore approfondimento dei temi previsti in agenda e relativi non solo all’adesione di Bulgaria e Romania, ma anche alla complessa questione del rafforzamento della governance del sistema Schengen
Il Consiglio europeo ha in particolare invitato il Consiglio ad individuare e attuare misure che contribuiscano all'adesione di questi due paesi. Le misure individuate dal Consiglio riguardano il rafforzamento delle attività di Frontex in corso e in programma, le azioni in materia di lotta contro i documenti falsi e i furti di identità, e le iniziative riguardanti la lotta al contrabbando e alla tratta di esseri umani. L'attuazione di tali misure è oggetto di controlli continui.
L’adesione di Bulgaria e Romania è stata da ultimo discussa nella riunione del Consiglio giustizia e affari interni del 25-26 ottobre 2012. Il Consiglio ha preso nuovamente atto della mancanza dell’unanimità necessaria all’adozione della decisione e dichiarato la sua volontà di continuare ad operare per la realizzazione delle condizioni necessarie ad un accordo. La questione dovrebbe essere posta all’ordine del giorno del Consiglio giustizia e affari interni di marzo 2013.
Per quanto riguarda il Parlamento europeo, in una risoluzione adottata l’8 giugno 2011, l’Assemblea plenaria ha ritenuto che, sebbene alcune questioni siano ancora aperte e richiedano di essere seguite da vicino con regolarità, esse non costituiscono un ostacolo alla piena adesione a Schengen di Bulgaria e Romania. Il Parlamento europeo ha inoltre chiesto di essere informato sulle misure che verranno adottate dagli Stati membri interessati, relativamente all'area Bulgaria-Turchia-Grecia, per poter rispondere al possibile forte incremento della pressione migratoria.
In attesa del pieno ingresso nell’area Schengen, la Romaniae la Bulgaria, ai sensi dell’articolo 4 dell’Atto di adesione, allegato al Trattato di adesione, risultano comunque vincolati all’acquis di Schengen e sono tenuti ad applicarne tutte le disposizioni in materia di cooperazione giudiziaria e di polizia che non siano intrinsecamente collegate all’abolizione dei controlli alle frontiere interne.
A questo proposito, contestualmente all'adesione di Romania e Bulgaria all'UE il 1° gennaio 2007, l’Unione europea ha istituito un Meccanismo di cooperazione e verifica(MCV)per aiutare i due paesi a ovviare a determinate carenze a livello di riforma giudiziaria e di lotta contro la corruzione e monitorare i progressi in questi settori mediante relazioni periodiche.
Al fine di rendere più efficace la gestione delle frontiere esterne mantenendo al contempo inalterato il principio della libera circolazione all’interno dell’Unione europea, è attualmente all’esame delle istituzioni UE un pacchetto di proposte comprendente:
· la proposta di regolamento COM(2011)559 che modifica l’attuale meccanismo di valutazione e monitoraggio per verificare l’applicazione dell’acquis di Schengen;
La proposta prefigura il passaggio dall'attuale sistema di valutazione sull'attuazione dell’acquis di Schengen, prettamente intergovernativo, a un sistema che affida la responsabilità primaria in materia alla Commissione europea, sia pure con il coinvolgimento di esperti degli Stati membri e di Frontex. La Commissione dovrà definire un programma di valutazione pluriennale, per un periodo di cinque anni, nell'ambito del quale ogni Stato membro dovrebbe essere oggetto di valutazione almeno una volta. Si stabilisce, inoltre, lo svolgimento di visite sul posto senza preavviso. Gli Stati membri saranno tenuti a presentare alla Commissione un piano d'azione volto a correggere i punti deboli che siano stati eventualmente riscontrati.
· la proposta di regolamento COM(2011)560 che modifica il Codice frontiere Schengen al fine di introdurre norme comuni sul ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne in circostanze eccezionali;
La proposta si propone di ribaltare l'attuale impostazione relativamente al ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne, di cui agli articoli dal 23 al 31 del codice Schengen. Tale disciplina consente attualmente agli Stati membri di ripristinare, per un periodo massimo di 30 giorni prorogabili per ulteriori 30 giorni, i controlli in caso di minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna. In base alle modifiche prospettate, il soggetto titolare del potere di ripristinare i controlli non sarebbe più lo Stato membro ma le istituzioni europee. La competenza resterebbe in capo agli Stati membri solo in via eccezionale qualora si richieda un'azione immediata e, in tal caso, la durata del ripristino dei controlli alle frontiere interne non potrebbe superare i 5 giorni. La proposta prevede inoltre una procedura specifica di ripristino di controlli alle frontiere interne per decisione della Commissione europea qualora le valutazioni Schengen evidenzino carenze gravi e persistenti nei controlli alle frontiere esterne da parte di uno Stato membro, nella misura in cui esse costituiscono una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna a livello dell’Unione o nazionale.
Presso il Parlamento italiano, il pacchetto è stato esaminato, ex articolo 127 del Regolamento della Camera dei deputati, dalla I Commissioni affari costituzionali, che ha adottato un documento finale il 21 dicembre 2011. In particolare, il documento finale esprime una valutazione positiva, con le seguenti osservazioni:
- per quanto riguarda specificamente la proposta di regolamento COM(2011)559, sembra auspicabile che le visite di verifica rispondano all'obiettivo di superare le eventuali criticità in uno spirito di collaborazione, piuttosto che a finalità sanzionatorie;
- per le stesse ragioni, si segnala l'esigenza di chiarire quante volte ciascuno Stato membro possa formare oggetto di visita valutativa nel corso del quinquennio programmatico;
- per quanto riguarda la proposta di regolamento COM(2011)560, si evidenzia la necessità di specificare meglio l'ambito di riferimento per le fattispecie relative alla salvaguardia dell'ordine pubblico e della sicurezza interna, presupposti per l'attivazione del meccanismo di ripristino dei controlli. In particolare, allo scopo di evitare incertezze suscettibili di alimentare conflittualità e contenziosi, si dovrebbe fare riferimento a situazioni quali, ad esempio, quelle connotate dalla stretta inerenza a casi di criminalità organizzata o terrorismo;
- si segnala altresì l'opportunità di prevedere, per il ripristino unilaterale dei controlli, un limite temporale più ampio rispetto ai 5 giorni previsti dalla proposta, considerato in particolare lo sforzo che uno Stato membro deve porre in essere per assicurare il ripristino temporaneo dei controlli in termini organizzativi, amministrativi e di risorse umane;
- si evidenzia la necessità, al fine di garantire un adeguato controllo democratico in materia di diritti fondamentali dei cittadini, come nel caso del principio della libera circolazione delle persone, di mantenere le basi giuridiche utilizzate dalla Commissione per l'adozione delle due proposte in esame.
Parere favorevole con osservazioni era stato altresì espresso nella risoluzione approvata dal Commissione affari costituzionali del Senato della repubblica il 30 novembre 2012
Accanto agli aspetti più propriamente giuridici, il Consiglio giustizia e affari interni dell’8 marzo 2012 ha adottato conclusioni relative agli orientamenti per il rafforzamento della governance politica nell'ambito della cooperazione Schengen.
Il Consiglio ha, in particolare, stabilito che il Comitato misto, composto dagli Stati membri UE e dagli Stati associati Schengen, fornirà, a livello ministeriale, gli orientamenti politici necessari per lo spazio Schengen. L'ordine del giorno e l'organizzazione delle riunioni dovrebbero consentire discussioni di natura politica incentrate su argomenti chiave connessi al corretto funzionamento dello spazio Schengen, inclusi orientamenti in merito al sostegno che dovrebbe essere fornito dalle agenzie dell'UE. Le discussioni politiche in sede di comitato misto dovrebbero inoltre concentrarsi su situazioni nelle quali le relazioni di valutazione hanno indicato gravi carenze, comprese le misure speciali da attuare, senza pregiudizio delle procedure applicabili per le agenzie dell'UE e delle competenze di ciascuno Stato membro.
La Corte penale internazionale (CPI) è un’“istituzione permanente che può esercitare la giurisdizione sulle persone fisiche per i più gravi crimini di portata internazionale”, come recita l’articolo 1 dello Statuto istitutivo della Corte (Statuto di Roma).
Lo Statuto è stato adottato a Roma il 17 luglio 1998 dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite ed è entrato in vigore il 1° luglio 2002, in conformità a quanto disposto dall’articolo 126 dello Statuto stesso, che ha fissato la condizione del deposito di almeno 60 strumenti di ratifica, adesione o accettazione dello Statuto di Roma. L’Italia ha ratificato lo Statuto mediante la legge 12 luglio 1999, n. 232.
Gli Stati che attualmente hanno ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale sono 121: tra questi non figurano gli Stati Uniti, Israele, il Sudan, la Cina, la Russia e quasi tutti i Paesi arabi – anche se alcuni degli Stati menzionati hanno a suo tempo firmato lo Statuto, senza però dar seguito a quell’atto, e anzi sconfessando in un secondo momento la stessa firma.
Successivamente alla legge di ratifica, con la legge 6 ottobre 2005, n. 213, il nostro Paese ha innalzato il contributo obbligatorio alla CPI, in relazione all’incremento delle spese amministrative e per le attività operative della Corte medesima, nella misura di 3.241.000 euro annui (la Corte ha presentato un bilancio preventivo per il 2013 pari a 118,4 milioni di euro).
La Corte – che non è organo dell’ONU[9] ma un’istanza giurisdizionale istituita per via pattizia – può:
· giudicare singoli individui accusati di genocidio, di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra; solo successivamente all’adozione della disposizione che, in accordo con le relative norme della Carta dell’ONU, definirà il crimine stesso, stabilendone le condizioni di perseguibilità, sarà competente anche per i crimini di aggressione[10];
· emettere sentenze di condanna alla reclusione fino a trenta anni o anche di ergastolo (in questo caso sulla base dell’estrema gravità del crimine e della situazione personale del condannato);
· esercitare la sua giurisdizione in modo complementare rispetto a quella degli Stati.
La Conferenza diplomatica di Roma ha poi istituito, con propria risoluzione, una Commissione preparatoria per l’elaborazione dei progetti degli strumenti internazionali necessari al funzionamento della Corte (regole di procedura e prova; elementi dei reati; accordo relativo ai rapporti tra la Corte e le Nazioni Unite; accordo di sede con il Paese ospitante; accordo sui privilegi e le immunità della Corte; regole finanziarie e di bilancio della Corte; regole di procedura per l’Assemblea degli Stati Parti). Inoltre, è stato assegnato alla Commissione il compito di formulare proposte per definire gli elementi del crimine di aggressione e le condizioni per l’esercizio della giurisdizione della Corte in questi casi.
Tra gli strumenti che sono stati poi formalmente adottati dall’Assemblea degli Stati Parti figurano le Regole procedurali e quelle finanziarie, il documento relativo alle fattispecie di reato, l’Accordo sulle relazioni tra la Corte e le Nazioni Unite, i Principi di base che regolano un accordo di sede, e la Procedura per la nomina e l’elezione dei giudici e del Procuratore. Infine, alcune modifiche sono state apportate al testo dell’Accordo sui privilegi e le immunità, che è stato ufficialmente adottato il 9 settembre 2002[11].
L'idea di istituire una corte penale internazionale per giudicare i crimini di guerra e contro l'umanità può essere fatta risalire alla fine della prima guerra mondiale. Il Trattato di Versailles (1920) dichiarò infatti responsabile il Reich germanico ed i suoi alleati per tutti i danni causati dal conflitto, e accusò l'imperatore Guglielmo II di offesa alla morale internazionale e all'autorità dei trattati.
Tuttavia, fu solo in seguito agli inauditi crimini ed alle atrocità perpetrati durante la Seconda Guerra Mondiale che si pervenne all'istituzione, nel 1945 e 1946, dei Tribunali internazionali di Norimberga e di Tokyo.
La celebrazione dei due processi consentì, tra l’altro, l’enucleazione delle fattispecie dei crimini contro la pace, di guerra, e contro l'umanità (art. 6 della Carta del Tribunale di Norimberga) e l’affermazione del principio secondo il quale tali reati sono perseguibili in base al diritto internazionale (nella sentenza di Norimberga si legge che la Carta istitutiva del Tribunale “è l’espressione del diritto internazionale esistente al tempo della sua creazione”) e che la sovranità dello Stato non può eliminare la responsabilità personale degli agenti (la citata sentenza afferma che “i crimini contro il diritto internazionale sono commessi da uomini, e non da entità astratte, e le norme di diritto internazionale possono venire applicate soltanto punendo gli individui che commettono tali crimini”).
I Tribunali di Norimberga e Tokyo, tuttavia, non rappresentavano istanze giurisdizionali dotate di competenza generale in materia, ma esclusivamente chiamati a giudicare delle violazioni del diritto internazionale compiute da determinate categorie di soggetti in un certo periodo.
Il 9 dicembre 1948, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò la risoluzione n. 260, con la quale adottò la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio. L’articolo VI della Convenzione dispone che le persone imputate di genocidio "saranno tradotte innanzi ai competenti Tribunali dello Stato nel territorio del quale è stato commesso il fatto o a un Tribunale penale internazionale che avrà competenza nei confronti di quelle Parti (della Convenzione in oggetto) che ne avranno riconosciuto la giurisdizione”.
Sempre con la citata Risoluzione n. 260/1948, l’Assemblea invitava la Commissione giuridica internazionale a “studiare l’opportunità e la possibilità di istituire un organo giudiziario internazionale per il processo di persone accusate di genocidio”. Negli Anni Cinquanta, tuttavia, il progetto di istituire un tribunale internazionale si scontrò con la divisione in blocchi della guerra fredda che impediva ogni possibile convergenza su una visione comune di giustizia penale internazionale.
L'idea della giustizia penale internazionale, infine, ha trovato concreta attuazione con l'istituzione, ad opera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, del Tribunale internazionale per i crimini commessi nei territori della ex Jugoslavia (risoluzione 808 del 22 febbraio 1993) e, successivamente, dell’omologo Tribunale per i crimini commessi in Ruanda (risoluzione 955 dell'8 novembre 1994).
Anche in questo caso si tratta di Tribunali costituiti ad hoc, per giudicare e reprimere gravissime violazioni del diritto umanitario internazionale, circoscritte nello spazio e nel tempo.
La creazione dei due citati tribunali internazionali[12], oltre alla polemiche circa il loro funzionamento e la loro utilità concreta, ha suscitato forti critiche sotto il profilo giuridico. Si è cioè contestato che il Consiglio di sicurezza, esercitando i poteri attribuitigli dall'articolo 41 della Carta delle Nazioni Unite, che è inserito nel capitolo VII relativo alle minacce alla pace e alla sicurezza internazionali e alle misure che il Consiglio può adottare in tali casi, potesse istituire dei tribunali internazionali.
Al di là delle controversie giuridiche e di merito, l'istituzione dei tribunali ha tuttavia dato un ulteriore e forte impulso verso la creazione di una Corte penale internazionale permanente, dotata di competenza generale in materia di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità.
Il cammino di graduale preparazione della Conferenza di Roma è stato avviato con la risoluzione dell'Assemblea Generale dell'ONU 49/53 del 9 dicembre 1994. Tale atto ha infatti istituito un Comitato ad hoc, aperto a tutti gli Stati membri, per riesaminare le maggiori questioni emerse dalla stesura del progetto di Statuto della Corte permanente, elaborato dalla Commissione giuridica internazionale, e per studiare i preparativi per la convocazione di una Conferenza internazionale plenipotenziaria in materia.
Con la risoluzione 50/46 dell'11 dicembre 1995, vista la relazione presentata dal Comitato citato, è stato istituito un Comitato Preparatorio ad hoc per continuare ad esaminare le questioni emerse nella stesura dello Statuto della Corte e redigere un testo unificato; mentre con la risoluzione 51/207 del 17 dicembre 1997, l'Assemblea Generale ha riconfermato il mandato al Comitato Preparatorio, stabilendo il calendario delle sue successive riunioni e decidendo che la Conferenza diplomatica avesse luogo nel 1998.
Nella riunione tenutasi a New York dall'11 al 21 febbraio 1997, il Comitato Preparatorio ha raccomandato all'Assemblea Generale dell'ONU di adottare una decisione favorevole affinché detta Conferenza si tenesse a Roma, come proposto dal Governo italiano. Infine, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 15 dicembre 1997, ha adottato la risoluzione 52/160, con la quale ha deciso di tenere la Conferenza diplomatica per l'istituzione della Corte penale internazionale nella sede della FAO, a Roma, dal 15 giugno al 17 luglio 1998.
L'Italia, come accennato, è tra i paesi che hanno sostenuto l'iniziativa di convocare una Conferenza per la costituzione della Corte penale permanente, offrendosi fin dal 1994 come sede dei lavori[13].
Il 17 luglio 1998, a Roma, presso la sede della FAO, è stato adottato dalla Conferenza Diplomatica delle Nazioni Unite lo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale: l’Italia è stata la prima firmataria, e l’autorizzazione alla ratifica è giunta, come già accennato, con legge 12 Luglio 1999, n. 232.
L’approvazione dello Statuto da parte della Conferenza diplomatica, cui hanno preso parte delegazioni in rappresentanza di 160 paesi, è stato oggetto di lavori preparatori estremamente complessi e laboriosi, sia per la molteplicità e delicatezza dei vari interessi politici nazionali coinvolti, sia per gli orientamenti non favorevoli di alcuni paesi, che hanno giudicato non sempre positivamente la cessione di una quota della propria giurisdizione penale a favore della nuova istituzione internazionale. Basti rammentare, al riguardo, che l’adozione dello Statuto, pur avvenuta a grande maggioranza, ha registrato il voto negativo di Stati Uniti d’America, Cina, India e Israele.
Il 31 dicembre 2002 sia gli Stati Uniti d’America che Israele hanno firmato il Trattato. Il 6 maggio 2002, tuttavia, il governo degli Stati Uniti d’America ha comunicato al Segretario Generale delle Nazioni Unite che “gli Stati Uniti non intendono diventare parte del Trattato. Conseguentemente – prosegue la comunicazione statunitense - gli Stati Uniti non hanno obblighi legali derivanti dalla firma del 31 dicembre 2000. Gli Stati Uniti chiedono che la loro intenzione di non diventare parte del Trattato …sia riportata negli elenchi depositati relativi al Trattato”. Del pari, il 12 giugno 2002, il Ministero della giustizia israeliano ha reso nota la decisione di Israele di non ratificare il Trattato.
a) I princìpi
Lo Statuto - ossia lo strumento normativo primario per disciplinare le finalità, la struttura ed il funzionamento della Corte penale internazionale - individua i principi posti a base dell’attività giurisdizionale in materia, ravvisati essenzialmente nell’indipendenza dei giudici, nella cooperazione della Corte con gli Stati, nei presupposti normativi della nuova funzione giudiziaria internazionale, nonché nell’automaticità dell’attivazione della giurisdizione stessa.
Lo Statuto si compone di 128 articoli, preceduti da un preambolo, ed è diviso nei seguenti 13 capitoli:
1) istituzione della Corte; 2) giurisdizione, ricevibilità, legge applicabile; 3) principi generali di diritto penale; 4) composizione ed amministrazione della Corte; 5) indagini e incriminazione; 6) processo; 7) pene; 8) appello e revisione; 9) cooperazione ed assistenza giudiziaria internazionali; 10) esecuzione; 11) Assemblea degli Stati parti, 12) finanziamento; 13) clausole finali.
La Corte penale internazionale, come accennato, nasce in quanto “istituzione permanente che può esercitare la giurisdizione sulle persone fisiche per i più gravi crimini di portata internazionale” ai sensi dello Statuto e ha sede a L’Aja, in Olanda. Suoi organi sono la Presidenza, le sezioni preliminari, dibattimentale e d’appello, l’ufficio del Prosecutor (ovvero il Procuratore) e la Cancelleria.
La Corte è composta da 18 giudici, scelti tra persone che, nei diversi Paesi, risultino in possesso dei relativi requisiti di nomina ai più alti uffici giudiziari. I giudici della Corte, eletti per nove anni dall’Assemblea degli Stati parti - con equa rappresentanza dei vari sistemi giuridici, distribuzione delle provenienze geografiche e proporzione tra i sessi - debbono avere esperienza in diritto e procedura penale o in diritto internazionale umanitario e tutela dei diritti umani. Requisiti analoghi sono richiesti, con specifica competenza nel campo dell’investigazione ed istruzione penale, per il Procuratore ed il Viceprocuratore.
Di particolare rilievo appare anzitutto l’acquisizione nello Statuto della Corte dei più significativi – e condivisi – principi in materia di diritto e procedura penale. Si tratta, in particolare, dei principi della responsabilità penale personale, del “nullum crimen, nulla poena sine lege”, della irretroattività della legge penale, del ne bis in idem, del giudice naturale, del contraddittorio e dell’equo processo.
b) I reati rientranti nella giurisdizione della Corte
La Corte può giudicare solo i crimini commessi dopo l’entrata in vigore dello Statuto (1° luglio 2002). Le è stata assegnata, in fase iniziale, competenza sui cosiddetti core-crimes ossia sul genocidio, sui crimini contro l’umanità e di guerra.
La Corte ha potuto, in seguito, esercitare il proprio potere giurisdizionale anche sul crimine di aggressione. In base all’art. 5, comma 2 dello Statuto, la competenza su tale crimine era infatti subordinata alla previa definizione della fattispecie de qua da parte di una Conferenza per la revisione dello Statuto. In base all’articolo 123 del Trattato, una prima Conferenza avrebbe dovuto essere convocata sette anni dopo l’entrata in vigore dello Statuto, per esaminare ogni emendamento allo stesso (fermo restando il fatto che, in qualsiasi momento successivo e per i medesimi fini, una Conferenza di revisione può essere convocata, su richiesta di uno Stato parte e con l’approvazione della maggioranza delle Parti).
In ottemperanza al sopra citato articolo 123, la Conferenza di revisione si è riunita dal 30 maggio all’11 giugno 2010 a Kampala in Uganda. In tal sede è stata adottata la risoluzione (RC/Res.6) contenente gli emendamenti relativi al “crimine di aggressione”, che è previsto entrino in vigore nei confronti degli Stati parte che lo hanno accettato un anno dopo il deposito dei loro strumenti di ratifica o di accettazione. La risoluzione fornisce poi la definizione del “crimine di aggressione” stabilendo che con tale espressione si intende la pianificazione, la preparazione, l’avvio o l’esecuzione, da parte di persone nella posizione di dirigere o di esercitare il controllo sull’azione politica o militare di uno Stato, di un atto di aggressione che, per le sue caratteristiche, la gravità e la portata, costituisce una violazione manifesta della Carta delle Nazioni Unite.
Il crimine di genocidio viene definito dallo Statuto secondo quanto già previsto dalla convenzione ONU del 1948; nei crimini contro l’umanità rientrano diverse fattispecie criminose commesse contro le popolazioni civili, nonché numerosi reati a sfondo sessuale come lo stupro, la schiavitù sessuale, la costrizione alla prostituzione e alla sterilizzazione, la gravidanza forzata. Per la configurazione dei crimini di guerra rientranti nella giurisdizione della Corte è necessario l’inserimento di tali atti in un piano o disegno politico, mentre per l’individuazione dei relativi comportamenti illeciti si fa riferimento alle violazioni della Convenzione di Ginevra del 1949 ed alle regole ed usi applicabili nei conflitti armati. Ricadono nell’ambito dei crimini di guerra anche gli atti commessi in conflitti armati interni (“conflitti armati non di carattere internazionale”), escluse le rivolte e i disordini isolati.
La Corte è poi competente per la perseguibilità di una serie di reati contro l’amministrazione della giustizia come la falsa testimonianza resa innanzi alla stessa Corte, la subornazione di testimoni, la presentazione volontaria di prove false, l’intimidazione o la ritorsione, la corruzione attiva o passiva nei confronti di un funzionario della Corte.
c) I limiti della giurisdizione della Corte
Uno dei principi fondamentali previsti dallo Statuto è la complementarietà della giurisdizione della Corte penale internazionale rispetto a quelle degli Stati parte. In ragione di tale principio, gli Stati parte si impegnano ad inserire nei rispettivi ordinamenti nazionali le norme incriminatrici di cui all’art. 5 dello Statuto precisando la giurisdizione anche della Corte per la cognizione delle stesse.
La Corte, pertanto, può procedere per uno dei crimini indicati nello Statuto soltanto se per tale fatto gli Stati che avrebbero giurisdizione primaria non procedano, ovvero abbiano proceduto in maniera negligente.
L’articolo 20 sancisce il basilare principio del ne bis in idem in ordine ai reati perseguiti dalla Corte, prevedendo altresì l’eccezione di una giurisdizione concorrente in caso di inefficienza dei sistemi giudiziari nazionali.
Una delle questioni sulle quali nel corso della Conferenza di Roma si è maggiormente discusso è stata quella relativa all’estensione della giurisdizione della Corte stessa, ossia la precisazione di criteri di collegamento tra i fatti qualificati come reati dallo Statuto e la relativa attribuzione della cognizione sugli stessi. La Corte, infatti, al contrario del Tribunale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia, nato in virtù di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è stata istituita in seguito a trattato internazionale, che dunque obbliga soltanto gli Stati che ne sono parte (ovvero che lo hanno ratificato). Nello stesso tempo, lo Statuto affida un preciso ruolo al Consiglio di Sicurezza in materia di procedibilità per i reati di competenza della Corte che abbiano comportato, in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.
La soluzione adottata in relazione ai meccanismi di attribuzione della competenza della Corte ha da più parti suscitato critiche e riserve.
E’ infatti previsto che la Corte abbia giurisdizione circa i reati di sua competenza quando siano avvenuti nel territorio di uno Stato aderente allo Statuto o che, in base ad un apposito accordo, abbia accettato la giurisdizione della Corte, oppure quando l’autore del crimine sia cittadino di uno di tali Stati. La Corte deve quindi ottenere, nella grande maggioranza dei casi, il consenso dello Stato di nazionalità dell’imputato o dello Stato sul cui territorio è stato perpetrato il crimine prima di poter esercitare la propria giurisdizione.
Come è stato osservato, tale criterio è ancor più penalizzante se si pensa che molto spesso i crimini vengono commessi nel contesto di conflitti interni dove la nazionalità dell’autore del crimine e quella della vittima coincidono.
Tali criteri non sono invece vincolanti - e la giurisdizione della Corte non è quindi soggetta a limiti - nel caso in cui sia lo stesso Consiglio di sicurezza dell’ONU a sottoporre al Procuratore presso la Corte uno o più dei fatti criminosi previsti dall’art. 5 dello Statuto, che abbiano comportato una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali.
Un ulteriore limite alla giurisdizione della Corte è poi quello relativo al contenuto della disposizione transitoria introdotta dall’articolo 124dello Statuto (che recepisce la cosiddetta clausola opt-out), che consente ad uno Stato, al momento della ratifica del Trattato, di non accettare, per un periodo di sette anni successivo all’entrata in vigore dello Statuto, la giurisdizione della Corte sui crimini di guerra se commessi da un suo cittadino o sul suo territorio.
Altra norma che limita in qualche modo l’indipendenza della Corte penale internazionale è quella prevista dall’art. 16 dello Statuto, per effetto della quale al Consiglio di sicurezza dell’ONU è consentito, con risoluzione, di chiedere la sospensione delle indagini o del proseguimento dell’azione penale per un anno, con facoltà di rinnovare la richiesta.
d) La cooperazione internazionale tra la Corte e gli Stati
Apposite procedure di cooperazione tra la Corte e gli Stati disciplinano lo svolgimento di atti di indagine sul territorio di uno Stato. La richiesta di assistenza giudiziaria costituisce modalità necessaria di acquisizione delle prove nel corso delle indagini e l’esclusione della celebrazione del processo in contumacia rende necessaria la consegna dell’imputato da parte dello Stato ove venga localizzato e arrestato.
Uno degli aspetti più discussi durante la Conferenza è stato quello della possibilità o meno dello svolgimento di indagini in loco da parte del Procuratore presso la Corte sul territorio di uno Stato: sul punto, lo Statuto si limita a prevedere l’ipotesi in cui lo Stato parte, per manifesta incapacità del proprio sistema giudiziario nazionale, non sia in grado di cooperare con la Corte ai sensi delle norme dello Statuto: in tal caso, la Camera preliminare potrà autorizzare il Procuratore a svolgere indagini direttamente in loco sul territorio dello Stato parte.
La Corte è stata inaugurata l’11 marzo 2003, mentre nella sessione del 21-23 aprile 2003 dell’Assemblea degli Stati parte l’argentino Luis Moreno-Ocampo è stato eletto primo Procuratore.
L’avvio dell’attività della Corte è stato lento, ma in seguito il profilo dell’Istituzione è venuto più chiaramente in primo piano.
Nel periodo 2003-2005 tre Stati Parte (Uganda, Repubblica democratica del Congo e Repubblica Centrafricana) hanno deciso di rivolgersi al Procuratore generale della Corte in ordine a gravi crimini commessi sul proprio territorio. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, inoltre, ha deferito alla Corte la grave situazione del Darfur e, di recente, quella della Libia.
Nel caso del Kenya, invece, il Procuratore ha sottoposto alla Corte la richiesta di iniziare le indagini di propria iniziativa, sulla base dell’articolo 15 dello Statuto.
Il primo processo davanti alla CPI si è aperto il 26 gennaio 2009 contro Thomas Lubanga Dyilo presunto leader dell’Unione dei patrioti congolesi, accusato di crimini di guerra in relazione all’arruolamento di bambini-soldato nel conflitto che aveva interessato nel 2002-2003 la Repubblica democratica del Congo.
Tale processo ha raggiunto, nel luglio 2012, il suo epilogo con la condanna, da parte della Camera penale di Primo grado, a 14 anni di detenzione per Lubanga in relazione ai reati sopra citati. La Corte gli ha riconosciuto le attenuanti per l’atteggiamento collaborativo tenuto durante lo svolgimento del processo.
Si tratta di un fatto storico, perché rappresenta la prima sentenza (seppur di primo grado) in assoluto delle Corte penale internazionale da quando ha iniziato ad operare.
L’Ufficio del Procuratore sta attualmente conducendo sette inchieste: Uganda (un caso), Repubblica democratica del Congo (quattro casi), Sudan (cinque casi), Repubblica centro africana (un caso), Kenya (due casi), Libia (un caso), Costa d’Avorio (un caso). Sta inoltre svolgendo diverse analisi preliminari riguardanti: Afghanistan, Colombia, Georgia, Honduras, Nigeria, Corea del Sud, Guinea. Si dà conto di seguito, paese per paese, dei casi sottoposti alla Corte:
Uganda.
Nell’ottobre 2005 la Corte ha emesso cinque mandati di arresto contro altrettanti capi del Lord Resistance Army, da un ventennio impegnato nella guerriglia contro il governo ugandese nel nord del Paese, utilizzando metodi sanguinosi e ripugnanti: i mandati di arresto sono infatti stati basati su accuse di omicidio, mutilazioni, torture, stupri e rapimento di bambini per ridurli in schiavitù o indurli a combattere. I destinatari dei mandati di arresto sono anzitutto Joseph Kony, il leader del movimento di guerriglia, unitamente ad altri quattro dirigenti, tra i quali il vice di Kony, Vincent Otti. L’emissione dei mandati, tuttavia, non ha incontrato l’atteso unanime favore – ed è questo un profilo dell’attività della Corte che tornerà anche nelle vicende successive -, in quanto suscettibile di inasprire il conflitto proprio in un momento in cui sembrava imminente la resa di una parte dei guerriglieri, mentre esponenti religiosi nord-ugandesi, sia cristiani che musulmani, avevano in corso trattative per porre fine al sanguinoso contrasto politico.
I quattro ugandesi destinatari dei mandati d’arresto (di uno dei cinque – Raska Lukwiya - è stata accertata la morte) sono tuttora latitanti.
Sudan.
Il 2 maggio 2007 la Corte ha emesso un mandato di comparizione per l’ex ministro dell’interno sudanese Harun [14] e per il presunto leader della milizia Janjaweed, Ali Kushayb, in relazione al conflitto nel Darfur, che da quattro anni provocava eccidi tra i civili e una catastrofe umanitaria di enormi proporzioni. I due esponenti sudanesi sono stati accusati di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità. La reazione del governo di Khartoum ha evidenziato come la CPI non abbia giurisdizione su cittadini sudanesi, non avendo il Paese ratificato lo Statuto di Roma, ed ha altresì minimizzato il bilancio delle vittime nel Darfur, che secondo Khartoum non avrebbe superato a quel momento la cifra di novemila persone – le principali fonti internazionali parlavano invece di circa duecentomila morti e di due milioni di profughi.
Con un’iniziativa clamorosa, alla metà di luglio del 2008,il procuratore Ocampo ha richiesto il mandato di arresto per il presidente sudanese Bashir con le accuse di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Secondoil procuratore della CPI, infatti, con il pretesto di combattere i movimenti di guerriglia nati nel Darfur dal malcontento per la posizione sempre più marginale del territorio e dei suoi abitanti, Bashir avrebbe pianificato, e in buona parte realizzato, un piano per l’annientamento quasi totale dei tre gruppi etnici darfuriani (Fur, Masalit e Zaghawa). In una prima fase le azioni degli emissari di Bashir, tanto regolari quanto miliziani, contro i civili del Darfur avrebbero condotto alla morte di decine di migliaia di persone, causando altresì la fuga di un gran numero di quelle risparmiate dalle scorrerie dei filogovernativi.
La prova più consistente per l’accusa di genocidio è stata tuttavia fornita da quanto verificatosi nella seconda fase del conflitto, quando gli sfollati sono stati sistematicamente attaccati persino nei campi profughi, ove del resto le condizioni miserrime di vita già si incaricavano di compiere una parte del massacro. La Procura della CPI ha messo al centro Bashir proprio in considerazione del carattere pervasivo e indiscusso del suo potere a tutti i livelli, che riconduce a lui ogni responsabilità, non ultima quella di aver garantito l’impunità dei suoi agenti per assicurarsi della loro efficacia e fedeltà.
La reazione di Khartoum è stata ancora una volta assai dura, misconoscendo qualsiasi atto della CPI: inoltre il Sudan ha espresso velate minacce sulla prosecuzione dei processi di pacificazione in corso nel Paese e sulle connesse presenze internazionali. A queste affermazioni ha replicato il Segretario generale dell’ONU Ban-Ki Moon, chiedendo al Sudan di continuare a garantire la sicurezza del personale delle Nazioni Unite presente nel Paese. Il presidente Bashir ha inoltre compiuto con grande spiegamento di mezzi un viaggio proprio nel Darfur, come a smentire il quadro tracciato dai media internazionali e confermato dalle accuse della CPI. Bashir riceveva inoltre l’appoggio della Lega araba, insieme all’ipotesi – peraltro non accettata da Khartoum con entusiasmo - di istituire autonomamente, da parte del Sudan, speciali giurisdizioni per indagare su eventuali crimini nel Darfur, la cui attività potrebbe di per sé escludere la successiva competenza della CPI.
Il 4 marzo 2009 la CPI ha spiccato il mandato di cattura per Bashir con cinque capi di accusa per crimini contro l’umanità, ma non per genocidio. Conformemente allo Statuto di Roma, la Corte ha fatto appello alla Comunità internazionale – incluse le autorità sudanesi – per una pronta esecuzione del mandato.
La reazione di Bashir si è concretizzata in accuse, rivolte da suoi stretti collaboratori, di neocolonialismo da parte degli Stati occidentali, contrari a loro dire alla stabilità del Sudan: la Lega araba ha del pari espresso preoccupazione per la portata dell’iniziativa, preannunciando passi presso le Nazioni Unite per un posponimento di essa. Il 5 marzo dieci organizzazioni internazionali non governative presenti in Sudan, e accusate di cooperare con il progetto occidentale neocolonialista, sono state espulse, mentre Bashir ha rigettato le accuse di crimini contro l’umanità nel campo occidentale e sionista (con riferimento all’operazione israeliana nella striscia di Gaza dell’inizio del 2009), durante una manifestazione di solidarietà nei suoi confronti. Nei giorni successivi il presidente sudanese si è impegnato in una serie di visite ufficiali in paesi amici, per rinsaldare la propria immagine internazionale.
In questa circostanza, l’iniziativa della CPI è apparsa ad alcuni analisti fortemente condizionata dal potenziale di ricatto di cui si avvale il governo del Sudan, un paese nel quale agiscono numerose organizzazioni internazionali impegnate nel consolidamento dei processi di pace e, soprattutto, nella attività vitali di assistenza a milioni di profughi. Tale analisi è inoltre rafforzata dall’atteggiamento, ad esempio, della Lega araba che nel corso del suo XXI vertice svoltosi a Doha il 30 e 31 marzo 2009 ha reiterato in pieno l’appoggio a Bashir.
In relazione al caso del presidente sudanese Bashir, il 3 febbraio 2010 la Camera d'appello della CPI accoglieva il ricorso del procuratore Luis Moreno-Ocampo, annullando la sentenza di assoluzione per il genocidio nel Darfur, e ordinando ai giudici di riesaminare le prove portate dalla Procura contro Bashir. Il 12 luglio la Corte penale internazionale estendeva il mandato di cattura contro Bashir fino a ricomprendere anche il crimine di genocidio, precedentemente accantonato. La Corte ha ritenuto che esistano “ragionevoli prove” per ritenere il presidente sudanese responsabile di tre capi d'accusa di genocidio nei confronti dei gruppi etnici Fur, i Masalit e Zaghawa: genocidio attraverso l’uccisione; genocidio attraverso gravi lesioni all’integrità fisica e mentale; genocidio attraverso l’inflizione intenzionale di condizioni di vita che avrebbero causato la distruzione fisica di un gruppo.
Sprezzanti anche in questo caso le reazioni del governo di Khartoum, che ha definito la Corte penale internazionale un "tribunale politico", mentre Al Bashir ha continuato a ricevere il forte sostegno di due paesi confinanti, il Ciad e il Kenya.
Repubblica Centrafricana.
Il 24 maggio 2008 è stato imprigionato l’ex vicepresidente della Repubblica democratica del Congo Jean Pierre Bemba Gombo: questi tra il 2002 e il 2003 aveva fatto intervenire il proprio gruppo armato, Il Movimento di liberazione del Congo, nel conflitto allora in corso nella repubblica centrafricana. Nel corso dell’intervento, appartenenti al MLC avevano commesso crimini contro l’umanità, consistenti soprattutto nell’organizzazione e nell’esecuzione di stupri di massa: dopo che la Repubblica centrafricana aveva riconosciuto l’impossibilità di perseguire gli autori degli stupri, era stata investita del caso la CPI, e di qui l’accusa contro Bemba e il suo arresto, avvenuto quando già si trovava in esilio dopo lo scontro politico e militare del 2007 con le fazioni congolesi legate al presidente Joseph Kabila.
Il 22 novembre 2010 si è aperto all'Aja il processo contro Jean Pierre Bemba per crimini di guerra e crimini contro l'umanità: la difesa di Bemba ha cercato di rigettare le gravissime accuse del procuratore Moreno-Ocampo asserendo che il comando effettivo dei 1.500 miliziani congolesi autori di ogni tipo di atrocità nella Repubblica centrafricana era in capo al presidente di quel paese, Ange-Felix Patassé, in aiuto del quale Bemba era accorso con le proprie milizie.
Repubblica Democratica del Congo.
Dei due processi per la situazione nella RDC dove, a partire dagli anni ’90 (ma la giurisdizione della Corte si applica ai soli crimini commessi dopo il 1° luglio 2002), sono morti milioni di civili a causa del conflitto interno, uno ha da poco raggiunto il primo grado di giudizio (condanna a 14 di detenzione per l’imputato): quello che riguarda Thomas Lubanga Dylo, comandante dell’Union des patriots congolais e delle Forces patriotiques pour la libération du Congo - FPLC, accusato di crimini di guerra riguardanti l’utilizzo di bambini al di sotto dei 15 anni nelle FPLC e di averli fatti partecipare attivamente alle ostilità tra il settembre 2002 e l’agosto 2003.
Il secondo processo, iniziato il 24 novembre 2009, vede imputati Germain Katanga e Mathieu Ngudjolo Chui, a capo di fazioni armate ribelli, incolpati di analoghi crimini.
Il 22 agosto 2006 è stato emesso un mandato di cattura anche contro Bosco Ntaganda, presunto ex vice comandante dello staff generale delle Forces Patriotiques pour la Libération du Congo – FPLC accusato di crimini di guerra, perpetrati tra il 2002 e il 2003 nella provincia nord-orientale dell’Ituri, anche in questo caso riguardanti l’arruolamento di bambini e il loro utilizzo in azioni di guerra[15].
Rimane presso il centro di detenzione della Corte, in attesa di processo, il ruandese Callixte Mbarushimana, segretario esecutivo delle Forces Démocratiques pour la Libération du Rwanda – Forces Combattantes Abacunguzi (FDLR-FCA) accusato di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra commessi nel Kivu nel 2009.
Kenya.
La CPI ha emesso l’8 marzo 2011 un mandato di comparizione per il 7 e 8 aprile 2011 nei confronti di sei cittadini keniani, quasi tutti ricoprenti alte cariche politiche, tra cui il vicepresidente e ministro delle finanze Uhuru Kenyatta.
I fatti che hanno determinato l’avvio delle indagini da parte della Corte si riferiscono alle violenze che fecero seguito alle elezioni presidenziali del dicembre 2007 - vinte dal presidente uscente, Mwai Kibaki - a causa delle quali morirono quasi 1.300 persone e 300 mila rimasero senza casa, violenze che gli imputati sono accusati di avere organizzato.
Libia.
Il ruolo della Corte penale internazionale è venuto nuovamente in primo piano nel 2011 in relazione alla repressione messa in atto in Libia dal regime di Gheddafi contro la rivolta iniziata alla metà di febbraio del 2011. Il 26 febbraio 2011, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso all’unanimità di deferire alla Corte la situazione venutasi a creare in Libia a partire dal 15 febbraio 2011; il 3 marzo il Procuratore ha annunciato la decisione di dare luogo ad un’inchiesta, assegnata alla prima Sezione preliminare.
Il successivo 16 maggio il procuratore Moreno-Ocampo chiedeva ai giudici della Corte di spiccare un ordine di arresto per Gheddafi, per il figlio Saif al-Islam e per il capo dei servizi segreti libici al-Senussi, per crimini contro l'umanità perpetrati nelle prime fasi della ribellione libica con l'ordine di colpire civili disarmati nelle loro case, in luoghi pubblici e perfino in uscita dalle moschee. Nei confronti di Gheddafi, in particolare, le accuse comprendevano anche la redazione di liste di presunti colpevoli arrestati, imprigionati, torturati e poi scomparsi. La reazione del regime libico nell'immediato è stata quella di ignorare l'iniziativa del procuratore Moreno-Ocampo, anche perché la Libia non risultava tra gli Stati Parte dello Statuto della Corte penale internazionale.
Il 27 giugno 2011 la Corte penale internazionale ha accolto la richiesta del Procuratore Moreno-Ocampo, spiccando mandati di cattura per Gheddafi, per Saif al-Islam e per al-Senussi, accolti da manifestazioni di giubilo a Bengasi, mentre a Tripoli si commentava attaccando la Corte quale strumento dell'Occidente per una persecuzione contro i leader del Terzo Mondo e a copertura delle iniziative della NATO per colpire Gheddafi.
In ogni modo, dopo l'uccisione di Gheddafi a Sirte il 20 ottobre 2011, la fuga di Saif al-Islam e di al-Senussi, che secondo alcune voci avrebbero voluto consegnarsi alla Corte penale internazionale, finiva tra il 19 e il 20 novembre, con la cattura di entrambi da parte delle autorità libiche, intenzionate in modo assoluto a sottoporli a processo nel paese.
Attualmente è in corso un’indagine della Corte sulle responsabilità di Saif Al-Islam, che tuttavia continua ad essere detenuto in Libia, dalla tribù Zentan, che lo ha catturato nel novembre 2011. Questo rende, per il momento, impossibile lo svolgimento di un processo nei suoi confronti.
Costa d’Avorio.
L'attività della Corte ha continuato ancora a dispiegarsi alla fine di novembre del 2011, quando è stato trasportato all'Aja il deposto presidente della Costa d'Avorio Laurent Gbagbo, protagonista sin dal 2002 dell'instabilità politica del suo paese, dopo che aveva vinto delle elezioni presidenziali molto contestate. La non accettazione da parte di Gbagbo del verdetto delle presidenziali del novembre 2010, che avevano visto la vittoria del suo storico rivale Ouattara, riaccendeva mesi di scontri nel paese, e proprio su questi episodi la Procura della Corte penale internazionale aveva emesso un mandato d'arresto nei confronti di Gbagbo, imputandogli la responsabilità dell'uccisione di oltre 3.000 persone.
E’ in corso di esame presso la Camera dei deputati un provvedimento (A.C. 1439 B), approvato dal Senato il 19 settembre 2012, con modifiche rispetto al testo unificato delle proposte di legge C. 1439 Melchiorre, C. 1782 Di Pietro, C. 2445 Bernardini e C. 1695 Gozi, già licenziato dalla Camera nel giugno 2011.
Il provvedimento - che reca disposizioni volte all’adeguamento dell’ordinamento interno allo Statuto della Corte penale internazionale, ratificato dall’Italia con legge 12 luglio 1999, n. 232, ed entrato in vigore il 1° luglio 2002 - consta di 24 articoli.
Il Capo I del provvedimento (articoli da 1 a 10) contiene le disposizioni generali, individuando le autorità competenti e le modalità di cooperazione con la Corte penale internazionale.
In particolare, l'art. 1 afferma che la cooperazione dello Stato italiano con la Corte penale internazionale avviene sulla base delle disposizioni contenute nello Statuto della Corte stessa, nel limite del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano.
L'art. 2 attribuisce al Ministro della giustizia il ruolo di autorità centrale per la cooperazione con la Corte penale internazionale.
L'art. 3 stabilisce che in materia di consegna, cooperazione ed esecuzione di pene si osservano le norme contenute nel codice di procedura penale (rapporti giurisdizionali con autorità straniere).
L'art. 4 disciplina le modalità di esecuzione della cooperazione giudiziaria con la Corte penale internazionale individuando nella corte d’appello di Roma l’autorità giudiziaria competente.
L'art. 5 disciplina la trasmissione di atti e documenti, consentendo al Ministro della giustizia di non procedervi quando ritenga che tali attività possano compromettere la sicurezza nazionale. Non si applica invece il l’obbligo del segreto sugli atti d’indagine previsto dall’art. 329 c.p.p.
L'art. 6 disciplina il caso in cui, in esecuzione di una richiesta di assistenza della Corte penale internazionale, sia necessario citare in Italia una persona che si trova all’estero. La disposizione stabilisce che colui che entra nel nostro territorio non potrà essere sottoposto a qualsivoglia restrizione della libertà personale per fatti antecedenti la notifica della citazione.
L'art. 7 stabilisce l’applicabilità delle disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato anche alle procedure di esecuzione di richieste della Corte penale internazionale.
L’art. 8 disciplina l’ipotesi di richieste da parte dell’autorità giudiziaria italiana alla Corte internazionale: la richiesta è formulata per il tramite del procuratore generale presso la corte d’appello di Roma, che si rivolgerà a sua volta al Ministro della giustizia; se il ministro non ottempera entro 30 giorni, il PG presso la corte d’appello può trasmettere direttamente la richiesta alla Corte internazionale.
L'art. 9 prevede che il procuratore generale presso la corte d’appello di Roma, e il procuratore generale militare presso la corte militare d'appello, assistano - se richiesti - alle consultazioni con la Corte penale internazionale previste dallo Statuto.
L’art. 10,pur senza risolvere il problema della c.d. doppia incriminazione, ovvero l’esigenza di introdurre nel nostro ordinamento un catalogo di delitti speculare a quello per il quale ha giurisdizione le Corte penale internazionale, novella il codice penale.
La disposizione:
§ novella l’art. 322-bis del codice penale, in tema di peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi e funzionari dell’Unione europea e di Stati esteri, inserendo tra coloro che possono compiere i delitti anche i membri della Corte internazionale di giustizia, i suoi funzionari e i soggetti equiparati. Conseguentemente, si allargano anche i possibili destinatari dell’esborso corruttivo previsto dal secondo comma dell’art. 322-bis;
§ introduce nel codice penale l’articolo 343-bis, che estende ai membri della Corte penale internazionale (nonché ai suoi funzionari e soggetti equiparati) l’applicabilità delle disposizioni di cui agli articoli 336 (Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale), 337 (Resistenza a un pubblico ufficiale) e 338 (Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario), con le relative circostanze aggravanti (art. 339), nonché dei delitti di interdizione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità (art. 340), oltraggio a un corpo politico, amministrativo e giudiziario (art. 342) e oltraggio a un magistrato in udienza (art. 343);
§ novella varie disposizioni del codice penale (art. 368, Calunnia; art. 371-bis, False informazioni al pubblico ministero; art. 372, Falsa testimonianza; art. 374, Frode processuale; art. 374-bis, False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria; art. 377, Intralcio alla giustizia; art. 378, favoreggiamento personale;art. 380, Patrocinio o consulenza infedele), con l’obiettivo di equiparare al nostro procedimento penale il procedimento che si svolge presso la Corte penale internazionale, così da consentire l’applicazione di alcuni delitti.
Il Capo II (articoli da 11 a 14) disciplina la consegna alla Corte penale internazionale di persone che si trovino sul territorio italiano.
In base all’art. 11 se la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto ovvero una sentenza di condanna a pena detentiva a carico di una persona che si trovi sul territorio italiano, il procuratore generale presso la Corte di appello di Roma chiede alla stessa Corte d’appello l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere. L’interessato dalla misura potrà richiedere, in base allo statuto della Corte, la libertà provvisoria.
L’art. 12 disciplina la possibile revoca della misura.
La custodia cautelare è revocata se:
- dall’inizio dell’esecuzione è trascorso un anno senza che la Corte di appello si sia pronunciata sulla richiesta di consegna;
- la Corte d’appello si è pronunciata negando la consegna;
- sono trascorsi 20 giorni dal consenso dell’interessato alla consegna e il Ministro della giustizia non ha ancora emesso il decreto per realizzare la consegna;
- sono trascorsi 15 giorni dalla data fissata per la presa in consegna da parte della Corte penale internazionale ed essa non è avvenuta.
L’art. 13 riguarda la procedura per la consegna prevedendo una decisione emessa in camera di consiglio dalla corte d’appello di Roma. Il giudice italiano può negare la consegna solo nelle seguenti ipotesi:
§ la Corte penale internazionale non ha emesso una sentenza irrevocabile di condanna o un provvedimento restrittivo della libertà personale;
§ non vi è corrispondenza tra l’identità della persona richiesta e di quella oggetto della procedura di consegna;
§ la richiesta della Corte penale internazionale contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico;
§ per lo stesso fatto e la stessa persona è stata pronunciata in Italia una sentenza irrevocabile.
Nel caso in cui venga eccepito il difetto di giurisdizione della Corte penale internazionale, la Corte d’appello di Roma dovrà sospendere – salva la manifesta infondatezza – “con ordinanza” il procedimento, in attesa di una pronuncia della medesima Corte penale.
Sia nell’ipotesi di consenso dell’interessato, sia in quella di favorevole pronuncia della Corte d’appello di Roma, spetta al Ministro della giustizia – con proprio decreto - provvedere entro 20 giorni alla consegna, prendendo accordi con la Corte penale internazionale sul tempo, il luogo e le concrete modalità.
L’art. 14 stabilisce che la misura della custodia cautelare in carcere può essere disposta provvisoriamente, anche prima che pervenga dalla Corte internazionale la richiesta di consegna. In tal caso, la custodia sarà revocata se entro 30 giorni la Corte internazionale non richiede la consegna.
Il Capo III (articoli da 15 a 24) del provvedimento disciplina l’esecuzione dei provvedimenti della Corte penale internazionale.
La competenza a conoscere dell’esecuzione del provvedimento ai sensi dell’art. 665, comma 1, c.p.p. è attribuita alla Corte d’appello di Roma (art. 15).
Nel caso in cui l’Italia - a seguito di sentenza definitiva - sia individuata dalla Corte internazionale come Stato di espiazione di una pena detentiva, in base all’art. 16 il Ministro della Giustizia deve chiedere alla Corte d’appello il riconoscimento della sentenza della Corte penale internazionale.
L’art. 17 dispone che l’esecuzione della pena avverrà in base all’ordinamento penitenziario italiano (L. n. 354 del 1975) e in conformità allo statuto e al regolamento di procedura e prova della Corte penale internazionale. Il Ministro della giustizia potrà disporre che il trattamento penitenziario del detenuto avvenga secondo il regime carcerario speciale di cui all’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario.
Spetta alla Corte penale internazionale il controllo sull’esecuzione carceraria (art. 18) e il Ministro della giustizia dovrà trasmettere immediatamente alla Corte ogni richiesta del detenuto di accesso a qualsivoglia beneficio penitenziario o misura alternativa alla detenzione; se la Corte internazionale ritiene di non consentire l’accesso ad una misura prevista dal nostro ordinamento, il Ministro può chiedere alla Corte di disporre il trasferimento del condannato in altro Stato.
L’art. 19 disciplina gli ulteriori obblighi di tempestiva informazione alla Corte penale internazionale a carico del Ministro della Giustizia.
L’art. 20 disciplina il luogo di espiazione della pena, prevedendo che questo possa consistere in una sezione speciale di un istituto penitenziario ovvero in un carcere militare.
L’art. 21 del provvedimento dispone in ordine all’esecuzione delle pene pecuniarie: su richiesta del procuratore generale, la Corte d’appello di Roma può provvedere all’esecuzione della confisca dei profitti e dei beni disposta dalla Corte internazionale; i beni confiscati vengono messi a disposizione della Corte internazionale per il tramite del Ministero della giustizia, che agirà in base a modalità da individuare con decreto. La disposizione disciplina altresì l’esecuzione degli ordini di riparazione a favore delle vittime.
Nel caso di difficoltà nell’esecuzione di provvedimenti sopra indicati, l’art. 22 disciplina la procedura di consultazione con la Corte penale internazionale, la cui finalità è anche la conservazione dei mezzi di prova.
L'art. 23 reca una serie di disposizioni in materia di giurisdizione, prevedendo l’applicazione delle disposizioni vigenti in materia di riparto tra la giurisdizione ordinaria e quella penale militare. Per i fatti rientranti nella giurisdizione penale militare, le funzioni attribuite al Ministro della giustizia devono essere esercitate d’intesa con il Ministro della difesa, restando salva la competenza esclusiva del Ministero della difesa per quanto attiene all’ordinamento penitenziario militare.
L'art. 24 reca la clausola di invarianza finanziaria.
Precedenti iniziative governative e parlamentari per l’adeguamento dell’ordinamento interno allo Statuto
Sin dalla XIV legislatura sono stati presentate, ma mai esaminate, proposte di legge di iniziativa parlamentare per adeguare l’ordinamento allo Statuto della Corte penale internazionale[16].
Sul versante governativo, già in XIII legislatura il Ministero della giustizia aveva insediato una «Commissione di studio per la redazione di schemi di testi normativi per l'adeguamento della vigente normativa in materia processuale penale agli atti internazionali stipulati dall'Italia, nonché per gli aggiornamenti del Libro XI del codice di procedura penale» (Pres. La Greca), incaricata anche dell'attuazione delle norme di cooperazione dello Statuto di Roma. Con l’avvento della XIV legislatura tale commissione mutò presidenza (Pres. F. Lattanzi) e condusse ad una elaborata bozza di disegno di legge-delega, anche avvalendosi dei lavori di una parallela commissione istituita dal ministero degli Esteri[17].
Nel giugno 2002 il Ministero della Giustizia istituì la «Commissione per l'attuazione dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale», presieduta dal Prof. Conforti (d.m. 27 giugno 2002) che ha concluso il suo mandato nel dicembre 2003 orientandosi verso la formulazione di articolati normativi esaustivi (anziché verso un nuovo testo di legge delega), l'uno per gli obblighi di cooperazione e, l'altro, per le norme di diritto penale sostanziale.
Il progetto di legge AC. 1439 (Melchiorre) afferma di far proprio il progetto della commissione Conforti relativo alla cooperazione giudiziaria.
Per quanto riguarda l’attuale legislatura, si segnala che la III Commissionedella Camera, nella seduta del 29 aprile 2009, ha approvato una risoluzione, a firma Pianetta, che, nel più generale quadro dell’azione internazionale dell’Italia per la tutela e la promozione dei diritti umani, impegna il Governo a promuovere la presentazione di specifiche iniziative legislative riguardanti, tra l’altro, l'introduzione di una disciplina che perfezioni l'adeguamento del nostro ordinamento allo Statuto della Corte penale internazionale.
Un’altra risoluzione in materia (a prima firma Bernardini) era stata approvata dalla II Commissione il 4 febbraio 2009; con tale atto di indirizzo si impegnava il Governo “a predisporre con la massima urgenza un disegno di legge di adeguamento interno delle norme dello Statuto di Roma, al fine di giungere al più presto all'adattamento dell'ordinamento giuridico italiano e sanare così un'inadempienza politicamente e giuridicamente molto rilevante che mette a rischio la credibilità del nostro paese e le aspirazioni dei candidati italiani a far parte della Corte”. Con riferimento a tale atto di indirizzo, in una lettera trasmessa alla Camera il 22 aprile 2009 da parte del Ministero della giustizia, il Governo condivide l’esigenza di un sollecito adeguamento dell’ordinamento italiano allo Statuto della Corte penale internazionale e informa che il disegno di legge auspicato, i cui tempi di predisposizione si sono rivelati più lunghi di quanto previsto, è stato ultimato e trasmesso per la calendarizzazione al Consiglio dei ministri.
Nel maggio 2009 la Commissione giustizia della Camera avviava l’iter delle proposte di legge poi confluite nel testo unificato approvato l’8 giugno 2011. A partire da quella data, in risposta a successivi atti di sindacato ispettivo, il Governo non ha più dichiarato di voler presentare un proprio disegno di legge ma ha auspicato il buon esito dell’iniziativa parlamentare in corso (cfr. la risposta scritta del 17 novembre 2011 del Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti all'interrogazione 4-10520 presentata alla Camera dall’On. Jannone).
Istituito con la Convenzione del 26 luglio 1995, dal 1° gennaio 2010 l’Ufficio europeo di polizia (Europol), con sede all’Aja, è stato trasformato in un’Agenzia dell’Unione europea, finanziata da un contributo iscritto nel bilancio generale UE (decisione del Consiglio 2009/371/GAI).
L’Agenzia ha il compito, attraverso lo scambio e l’analisi d'informazioni e il coordinamento delle operazioni, di migliorare l’efficacia e la cooperazione delle autorità competenti degli Stati membri nella prevenzione e nella lotta alla criminalità organizzata internazionale e al terrorismo nonché ad altre gravi forme di criminalità transnazionale.
Più in particolare, Europol è competente per la criminalità organizzata, il terrorismo e le seguenti altre forme gravi di criminalità: traffico illecito di stupefacenti; attività illecite di riciclaggio di denaro; criminalità nel settore delle materie nucleari e radioattive; organizzazione clandestina di immigrazione, tratta di esseri umani, criminalità connessa al traffico di veicoli rubati, omicidio volontario, lesioni personali gravi, traffico illecito di organi e tessuti umani, rapimento, sequestro e presa d’ostaggi, razzismo e xenofobia, furti organizzati, traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti d’antiquariato e le opere d’arte, truffe e frodi, racket ed estorsioni, contraffazione e pirateria in materia di prodotti, falsificazione di atti amministrativi e traffico di documenti falsi, falsificazione di monete e di altri mezzi di pagamento, criminalità informatica, corruzione, traffico illecito di armi, munizioni ed esplosivi, traffico illecito di specie animali protette, traffico illecito di specie e di essenze vegetali protette, criminalità ambientale, traffico illecito di sostanze ormonali ed altri fattori di crescita. Europol interviene quando è coinvolta una struttura criminale organizzata e sono interessati due o più Stati membri.
Il consiglio di amministrazione di Europol è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro e da un rappresentante della Commissione.
Come risulta dalla relazione annuale per il 2011, il personale di Europol ammonta a 777 unità, compresi 145 ufficiali di collegamento nominati dalle Unità Nazionali Europol degli Stati membri UE, di altri Stati e di organizzazioni legate ad Europol da accordi di cooperazione. Il budget per il 2009 (ancora costituito da contributi degli Stati membri ai sensi della convenzione del 26 luglio 1995) è stato di 68,05 milioni di euro, per il 2010 (a carico del bilancio UE), di 92,8 milioni di euro, per il 2011 di 84,8 milioni di euro e per il 2012 di 84,2 milioni di euro.
Il personale Europol può partecipare, con funzioni di supporto, alle squadre investigative comuni.
Se utile allo svolgimento dei suoi compiti, Europol può instaurare e mantenere relazioni di cooperazione, tramite accordi o accordi di lavoro, con le istituzioni, gli organi, gli uffici e le agenzie istituite dal trattato sull’Unione europea e dal trattato che istituisce la Comunità europea, o sulla base dei medesimi, in particolare con: Eurojust (un nuovo accordo di cooperazione è stato siglato il 1° ottobre 2009); l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF); Frontex; l’Accademia europea di polizia (AEP); la Banca centrale europea; l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (OEDT).
Nella sua attività Europol si avvale di strumenti quali:
· il centro operativo, attivo 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana per lo scambio di dati fra Europol, gli Stati membri e parti terze;
· la Rete degli ufficiali di collegamento Europol;
· il Sistema di informazione Europol (EIS);
· la Rete protetta per lo scambio di informazioni ( sistema SIENA -Secure Information Exchange Network Application).
Nella sua attività di analisi Europol elabora annualmente documenti di riferimento quali:
· la valutazione della minaccia della criminalità organizzata (OCTA);
· la relazione sulla quarta relazione annuale sulla situazione e sulle tendenze del terrorismo nell’UE (TE-SAT, Terrorism Situation and Trend Report);
· la valutazione della minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata russa nell’Unione europea(ROCTA);
· la valutazione della minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata proveniente dall’Africa occidentale (ROCTA –WA).
A partire dal 2013, la relazione OCTA sarà sostituita dalla valutazione della minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata e dalle forme gravi di criminalità (SOCTA), in attuazione del ciclo programmatico per la cooperazione operativa nella lotta al crimine organizzato definito dal Consiglio giustizia e.affari interni del novembre 2010.
Raprese
Nel Programma di Stoccolma per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia 2010-2014, il Consiglio europeo ha auspicato che Europol diventi il punto nodale dello scambio di informazioni tra le autorità di contrasto degli Stati membri, un fornitore di servizi e una piattaforma per i servizi di applicazione della legge.
In questo quadro, il Consiglio europeo ha invitato la Commissione a:
· vagliare come si possa assicurare che le autorità di contrasto degli Stati membri trasmettano le informazioni a Europol affinché gli Stati membri possano sfruttare appieno le capacità dell'ufficio;
· vagliare come si possa intensificare la cooperazione di polizia a livello operativo, ad esempio per quanto riguarda l'incompatibilità dei sistemi di comunicazione e di altre attrezzature e l'impiego di agenti infiltrati, e trarre conclusioni operative a tal fine.
Il Consiglio europeo ha inoltre sottolineato che Europol dovrebbe lavorare a più stretto contatto con le missioni di polizia in ambito di politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) e contribuire a promuovere norme e buone prassi per la cooperazione europea in materia di applicazione della legge nei paesi non appartenenti all'Unione.
Il 28 settembre 2012 Europol ha presentato la relazione generale sull’attività svolta nel 2011. Il numero totale dei casi transfrontalieri per cui Europol ha fornito assistenza sarebbe pari a 13.697. Di seguito, le principali operazioni sostenute da Europol nei diversi settori di intervento:
· Terrorismo: nel corso del 2011 Europol ha continuato a fornire assistenza agli Stati membri attraverso analisi, valutazioni del rischio, scambio di informazioni. Particolare rilevanza hanno avuto: la Relazione sulla situazione e le tendenze del terrorismo nell’Unione europea (EU terrorism situation and trend report - TE-SAT), la Rete Europol di prima risposta, lo European Explosive Ordnance Disposal Network (EEODN) and lo EU Bomb Data System (EBDS). Ulteriori aree specialistiche includono il programma per la tracciabilità del finanziamento di attività terroristiche (TFTP) e il progetto Check the Web (.
· Traffico di droga: il sostegno operativo svolto da Europol include il coordinamento e l’avvio di indagini nonché l’assistenza in loco in caso di smantellamento delle strutture di produzione di sostanze stupefacenti illegali e nella raccolta delle prove. Lo Europol Illicit Laboratory Comparison System (EILCS) e lo Europol Synthetic Drug System (ESDS) sono i due principali strumenti utilizzati in tali operazioni. Nel 2011 sono state condotte con successo le seguenti operazioni: operazione De-Bads (Belgio e Paesi Bassi, produzione e traffico di anfetamine, cannabis e ecstasy), operazione Aigle 35/Vortice Due (Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Italia relativa al traffico di cocaina), operazione Salonica (Albania, Austria, Belgio, Germania, Italia, Fyrom, Serbia, Spagna; su produzione di cocaina e cannabis), Sub-project Watani (Austria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Germania, Ungheria, Romania, Slovacchia, Slovenia, sul traffico di eroina).
· Tratta degli esseri umani: nel 2011 Europol ha attivamente sostenuto 22 indagini di ampia scala, tra cui, in particolare, l’Operazione Veerde che ha coinvolto la Repubblica Ceca e il Regno Unito e che a portato a 11 arresti.
· Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: Europol ha fornito sostegno a 9 operazioni europee contro reti criminali, tra cui l’operazione Cestia (relativa a immigrati clandestini afghani), l’operazione Schwarz/White (a cui ha partecipato anche l’Italia, relativa a immigrati vietnamiti) e l’operazione Truck (immigrati cinesi). Inoltre Europol ha partecipato a due Squadre investigative comuni.
· Centro Europol contro la criminalità informatica (Europol Cybercrime Centre): il Centro è nato nel 2011, dallo sviluppo del precedente Europol’s High Tech Crime Centre istituito nel 2002 e assiste gli specialisti della lotta al crimine on-line nell’attuazione di contromisure nell’area dello sfruttamento sessuale dei minori, della frode ai mezzi di pagamento e del crimine informatico. Nel corso del 2011 Europol ha fornito assistenza nelle operazioni Crossbill (malware) and Mariposa II (Butterfly bots). Per quanto riguarda la lotta allo sfruttamento dei minori on-line sono tuttora in corso l’operazione Rescue e l’operazione Icarus, che coinvolgono rispettivamente 14 e 23 paesi, tra cui Italia e Paesi Bassi.
· Lotta alla contraffazione: particolare rilievo hanno avuto, nel corso del 2011, le operazioni Opson (10 paesi, tra cui Italia e Paesi bassi) relativa alla contraffazione di cibo e bevande e Leatherface (Spagna) relativo a materiale elettrico.
· Contrabbando di sigarette: in questo settore, che nell’Unione provoca perdite pari a circa 10 miliardi di euro l’anno, Europol ha partecipato all’operazione Tsar (sei paesi, tra cui l’Italia) che ha permesso lo smantellamento di un’ampia organizzazione criminale specializzata nel contrabbando di sigarette dall’Ucraina al Regno Unito.
· Falsificazione dell’euro: l’operazione Gazeta (Polonia) ha condotto allo smantellamento della più grande rete di falsificazione europea. Europol ha inoltre partecipato all’operazione Chipmunk condotta dalle autorità del Belgio e alla Squadra investigative comune Limón, relativa a falsificazione dell’euro e clonazione di carte di credito
· Frodi all’IVA: le frodi all’Iva costerebbero annualmente all’UE circa 60 miliardi di euro. Europol dispone dell’unica banca dati a livello europeo per le informazioni relative a tale reato. Durante il 2011, Europol ha fornito sostegno all’operazione Jacquo New a cui hanno partecipato Francia, Spagna, Belgio e Regno Unito.
· Riciclaggio di denaro: in tale ambito si segnala, in particolre la partecipazione di Europol all’operazione Spectre II condotta dalle autorità di contrasto del Regno Unito.
· Gruppi criminali itineranti: tale forma di criminalità, particolarmente dedita al furto e alla frode, ha conosciuto un incremento nel corso del 2011 . Europol ha partecipato a quattro operazioni transfrontaliere, tra cui l’operazione Vigilant, sul furto di veicoli, a fianco di Belgio Francia e Paesi bassi e l’operazione Oakleaf, contro gruppi di origine irlandese specializzati in furto e frode, e che ha impegnato le autorità di contrasto di 17 Stati tra cui Italia, Paesi Bassi e USA, nonchè Interpol.
Il 17 dicembre 2010 la Commissione europea ha presentato una comunicazione sulle modalità di controllo delle attività di Europol da parte del Parlamento europeo in associazione con i Parlamenti nazionali (COM(2010)776). Il documento ha inteso avviare formalmente il dibattito su alcuni aspetti dell’attuazione dell’articolo 88 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in base al quale il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando tramite regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, determinano la struttura, il funzionamento la sfera di azione e i compiti di Europol e fissano le modalità di controllo delle attività di Europol da parte del Parlamento europeo, “controllo a cui sono associati i Parlamenti nazionali”.
La comunicazione ricorda che attualmente i Parlamenti nazionali esercitano una vigilanza sulle attività di Europol tramite il controllo sui rispettivi governi. In particolare, i membri del Consiglio che si occupano delle questioni inerenti a Europol, cioè i ministri degli affari interni o della giustizia, sono soggetti al controllo dei Parlamenti nazionali. In genere tali ministri trasmettono informazioni sul funzionamento di Europol al rispettivo Parlamento nazionale, presso il quale possono essere chiamati a rendere conto della politica ministeriale relativa a Europol.
Per quanto riguarda le prospettive future, in attuazione dell’articolo 88 TFUE, la Commissione europea propone:
· l’istituzione di un forum misto o interparlamentare permanente
Secondo la Commissione, che si richiama agli articoli 9 e 10 del Protocollo n. 1 ai Trattati, il forum interparlamentare potrebbe essere composto dai membri delle Commissioni dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo competenti in materia di polizia. La Commissione ritiene che tale organo misto potrebbe riunirsi a intervalli regolari e invitare il direttore di Europol a discutere su questioni attinenti all'operato dell'agenzia, nonché istituire un sottogruppo speciale incaricato, ad esempio, di garantire un contatto diretto con Europol. La Commissione raccomanda che anche il presidente del consiglio di amministrazione sia invitato a presentarsi di fronte a questa commissione. Secondo la Commissione, un forum di questo tipo costituirebbe un dispositivo formale per lo scambio di informazioni e il coordinamento tra i parlamenti nazionali e il PE, diretto a unificare il controllo parlamentare a livello dell'Unione europea (fatte salve le procedure proprie dei parlamenti nazionali). La Commissione accoglierebbe con favore l'opportunità di essere attivamente coinvolta nei lavori di questo organismo. La comunicazione ribadisce infine che rientra tra le competenze del PE e dei parlamenti nazionali coordinare i rispettivi lavori e aumentare la cooperazione, e che essi dovrebbero essere incoraggiati a prendere l'iniziativa in tal senso e ad assumere la responsabilità delle proprie procedure.
Nella comunicazione viene inoltre ricordata la richiesta da tempo avanzata dal Parlamento europeo di essere coinvolto nelle procedure di nomina e revoca del direttore e del vicedirettore di Europol e di prevedere che il Consiglio di amministrazione sia ampliato includendovi anche rappresentanti della Commissione e del Parlamento europeo.
· una nuova strategia di comunicazione con il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali
La Commissione europea ritiene che, per consentire al PE di contribuire alla definizione delle linee strategiche e delle priorità di azione dell'agenzia, sarebbe utile avviare un dibattito in seno alla commissione LIBE sulla strategia pluriennale di Europol e sul suo programma di lavoro annuale. L'agenzia dovrebbe inoltre trasmettere sistematicamente al PE e, tramite punti di contatto designati, anche ai parlamenti nazionali:
a. informazioni periodicamente aggiornate sui risultati delle sue operazioni;
b. i risultati del sondaggio degli utenti che misuri il livello di soddisfazione per le prestazioni gene-rali di Europol e per prodotti e servizi specifici, inviato ogni due anni per via elettronica a determi-nati utenti negli Stati membri e ad altri partner.
La Commissione ritiene che, al fine di consolidare la comunicazione tra il futuro forum interparlamentare e gli organi direttivi di Europol, si potrebbe prevedere anche uno scambio periodico di opinioni in occasione della presentazione dei documenti strategici di Europol o delle suddette relazioni da parte del direttore e/o del presidente del consiglio di amministrazione. Secondo la Commissione, la rete del forum interparlamentare potrebbe inoltre servire come canale di informazione, trasmettendo documenti inerenti a Europol direttamente ai parlamenti nazionali. Infine, la Commissione si impegna a tenere i Parlamenti nazionali informati sugli sviluppi della valutazione della decisione del Consiglio 2009/371/GAI su Europol.
La comunicazione esprime la posizione della Commissione europea anche in relazione a due ulteriori questioni che, nell’ultimo decennio, hanno interessato il dibattito sull’evoluzione dell’Agenzia: la possibilità di attribuzione ad Europol di poteri coercitivi e la separazione dei ruoli.
Per quanto riguarda il primo punto, ricordando come nelle discussioni in passato svolte dalle istituzioni UE sull'argomento, l'ipotetica introduzione di poteri coercitivi fosse subordinata alla condizione di un maggior controllo parlamentare su Europol, la Commissione rileva che l’articolo 88, paragrafo 3, del TFUE, esclude ogni futura attribuzione di tale tipo: "Qualsiasi azione operativa di Europol deve essere condotta in collegamento e d'intesa con le autorità dello Stato membro o degli Stati membri di cui interessa il territorio. L'applicazione di misure coercitive è di competenza esclusiva delle pertinenti autorità nazionali". La Commissione osserva inoltre che Europol non dispone di alcuno dei poteri tipici delle forze di polizia nazionali, come il diritto di eseguire arresti, perquisizioni domiciliari o intercettazioni telefoniche; la disposizione che conferisce a Europol il diritto di chiedere agli Stati membri di avviare indagini penali (art. 7 della decisione 2009/371/GAI) lo autorizza soltanto a promuovere iniziative in casi specifici e non a costringere gli Stati membri a procedere a tali azioni; la partecipazione di agenti di Europol alle squadre investigative comuni, ha funzione di mero supporto, mentre l'eventuale applicazione di misure coercitive rimane di competenza esclusiva delle pertinenti autorità degli Stati membri.
Per quanto riguarda il secondo punto, ossia la separazione dei ruoli, in previsione del futuro regolamento, la Commissione ritiene importante garantire una separazione adeguata tra il potere legislativo e quello esecutivo e tra autorità che rivestono ruoli diversi. La Commissione raccomanda quindi che il PE non designi membri in seno al consiglio di amministrazione. Analogamente, per evitare di trasformare la nomina del direttore esecutivo in una questione politica, la Commissione ritiene che essa debba spettare al consiglio di amministrazione e non al Consiglio o al PE.
La comunicazione è stata esaminata dalla Camera dei deputati ai sensi dell’articolo 127 del suo Regolamento. Nel documento finale adottato il 23 marzo 2011, la Commissione affari costituzionali ha valutato favorevolmente la comunicazione in esame, esprimendo le seguenti osservazioni:
- allo scopo di evitare l'istituzione di nuovi organismi ad hoc per lo scambio di informazioni, appare opportuno avvalersi, secondo una prassi consolidata, dello strumento costituito da periodiche (eventualmente con cadenza semestrale) riunioni interparlamentari delle Commissioni competenti per la materia, in modo da valorizzarne le conoscenze e le competenze acquisite, in ogni caso garantendo una equilibrata rappresentanza dei parlamenti nazionali rispetto al Parlamento europeo;
- occorre approfondire le questioni, su cui la comunicazione della Commissione europea non sembra fornire puntuali elementi, relative alle modalità e alle procedure attraverso le quali esercitare il controllo di Europol, con particolare riferimento alla individuazione dei documenti che Europol sarebbe tenuta a trasmettere ai Parlamenti dell'Unione Europea ai fini di un proficuo controllo, e con quale periodicità. A riguardo, appare opportuno stabilire che il controllo da parte del Parlamento europeo in associazione con i Parlamenti nazionali non si attui solo ex post ma debba esercitarsi anche preliminarmente, sul programma annuale dell'Agenzia, al fine di verificarne la rispondenza agli obiettivi strategici elaborati dall'Unione europea in sede politica;
- si valuti inoltre l'opportunità di sostenere la richiesta avanzata dal Parlamento europeo di partecipare, con modalità da definire, alla procedura per la valutazione dell'idoneità dei candidati agli incarichi di vertice dell'Agenzia;
- occorre infine approfondire ulteriormente gli aspetti, che la comunicazione della Commissione europea non sembra definire con precisione, relativi alle modalità e alle procedure attraverso le quali esercitare il controllo di Europol, al fine di garantire, in particolare, un accurato monitoraggio in materia di protezione dei dati personali.
PRESIDENTI DELLE CAMERE |
|
Camera bassa - Tweede Kamer |
Anouchka VAN MILTENBURG (People's Party for Freedom and Democracy, VVD)[18], eletta il 25 settembre 2012 |
Camera alta - Eerste Kamer |
Fred DE GRAAF (People's Party for Freedom and Democracy, VVD), eletto il 28 giugno 2011 |
RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE |
|
Ambasciatore d’Italia a L’Aja |
Ambasciatore dei Paesi Bassi a Roma |
S.E. Francesco AZZARELLO da febbraio 2012 |
S.E. Michiel DEN HOND da ottobre 2012 |
XVI legislatura
Corrispondenza
Il 5 ottobre 2012 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha inviato alla sig.ra Anouchka Van Miltenburg le sue più vive felicitazioni per l’elezione alla Presidenza della Tweede Kamer olandese, auspicando un rafforzamento delle relazioni tra le due Assemblee parlamentari, sia sul piano bilaterale che su quello europeo e multilaterale.
Nel luglio 2012 Pieter Omtzigt, membro della Camera bassa de L'Aja e relatore del Libro bianco sulle pensioni della Commissione europea, ha scritto al Presidente della XI Commissione (Lavoro pubblico e privato), Silvano Moffa, per proporre uno scambio di vedute con la Commissione da lui presieduta.
Incontri bilaterali
Il 9 marzo 2010 il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha incontrato l'Ambasciatore dei Paesi Bassi, S. E. Alphonsus Stoelinga.
Incontri delle Commissioni
Dal 3 al 7 aprile 2011 una delegazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha svolto una missione di studio in Danimarca e Olanda. Alla missione hanno partecipato il Presidente della Commissione, Gaetano Pecorella (Misto[19]), e i membri on. Alessandro Bratti (PD) e sen. Gennaro Coronella (PdL).
In particolare, la Commissione ha incontrato: i rappresentanti dell’EEA (European Enviromental Agency – Agenzia Europea dell’Ambiente) e dell’EIONET (Rete Europea di Informazione e osservazione ambientale); i rappresentanti del comune di Copenaghen, appartenenti all’Ufficio tecnico ed ambientale, presso la struttura per lo smaltimento dei rifiuti di Amagerforbraeding; i rappresentanti di Europol e di Eurojust, in merito ai reati ambientali ed al traffico transfrontaliero di rifiuti. E’ stata poi effettuata una visita presso un impianto di termovalorizzazione dei rifiuti.
Infine, la Commissione ha incontrato una delegazione della Commissione parlamentare infrastrutture e ambiente olandese, istituita nel 2010 con competenze relative a: infrastrutture, mobilità, trasporti, pianificazione urbanistica, clima, ambiente e prevenzione dell’inquinamento. L’incontro si è articolato attraverso una prima presentazione da parte della rappresentanza olandese in merito alla gestione del ciclo dei rifiuti in Olanda, cui è poi seguita una corrispondente presentazione da parte del senatore Gennaro Coronella (in rappresentanza della Commissione italiana) in merito alla gestione del ciclo dei rifiuti in Italia.
Cooperazione multilaterale
I Paesi Bassi prendono parte alla cooperazione parlamentare nell'ambito dell'Unione Europea e del Partenariato euromediterraneo.
L'8^ Sessione plenaria dell'Assemblea Parlamentare dell'Unione per il Mediterraneo (AP-UpM) si è svolta a Rabat, in Marocco, il 24 e 25 marzo 2012. In rappresentanza del Senato dei Paesi Bassi ha partecipato ai lavori l'on. Arib Kadija. Anche alla 7^ Sessione, svoltasi a Roma il 3 e 4 marzo 2011, presso la Camera dei deputati - che insieme al Senato della Repubblica ha esercitato la Presidenza di turno dell'Assemblea da marzo 2010 a marzo 2011 -, aveva preso parte ai lavori l'on. Kadija.
I Paesi Bassi inviano inoltre proprie delegazioni alle Assemblee parlamentari del Consiglio d'Europa, della NATO e dell'OSCE.
Unione Interparlamentare
Nell’ambito dell’Unione Interparlamentare per la XVI legislatura è stata istituita la Sezione di Amicizia Italia – Benelux (Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi), presieduta dal sen. Claudio Micheloni (PD).
Attività legislativa
Legge n. 114 del 23 luglio 2012
Ratifica ed esecuzione del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria (c.d. fiscal compact) tra il Regno del Belgio, la Repubblica di Bulgaria, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica di Estonia, l'Irlanda, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, la Repubblica di Cipro, la repubblica di Lettonia, la Repubblica di Lituania, il Granducato di Lussemburgo, l'Ungheria, Malta, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica d'Austria, la Repubblica di Polonia, la Repubblica portoghese, la Romania, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica slovacca, la Repubblica di Finlandia e il Regno di Svezia, con Allegati, fatto a Bruxelles il 2 marzo 2012.
Legge n. 115 del 23 luglio 2012
Ratifica ed esecuzione della Decisione del Consiglio europeo 2011/199/UE che modifica l'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea relativamente a un meccanismo di stabilità per gli Stati membri la cui moneta è l'euro, fatta a Bruxelles il 25 marzo 2011.
Legge n. 116 del 23 luglio 2012
Ratifica ed esecuzione del Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (MES), con Allegati, fatto a Bruxelles il 2 febbraio 2012.
Legge n. 17 del 29 febbraio 2012
Ratifica ed esecuzione del Trattato tra il Regno del Belgio, la Repubblica di Bulgaria, la Repubblica ceca, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica di Estonia, l'Irlanda, la Repubblica ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Lettonia, la Repubblica di Lituania, il Granducato di Lussemburgo, la Repubblica di Ungheria, la Repubblica di Malta, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica d'Austria, la Repubblica di Polonia, la Repubblica portoghese, la Romania, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica slovacca, la Repubblica di Finlandia, il Regno di Svezia, il Regno unito di Gran Bretagna e Irlanda del nord (Stati membri dell'Unione europea) e la Repubblica di Croazia, relativo all'adesione della Repubblica di Croazia all'Unione europea, e dell'Atto relativo alle condizioni di adesione, con allegati, protocollo, Atto finale, dichiarazioni e scambio di lettere, fatto a Bruxelles il 9 dicembre 2011.
Legge n. 85 del 30 giugno 2009
Adesione della Repubblica italiana al Trattato concluso il 27 maggio 2005 tra il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, il Granducato di Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica d'Austria, relativo all'approfondimento della cooperazione transfrontaliera, in particolare allo scopo di contrastare il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e la migrazione illegale (Trattato di Prum). Istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA. Delega al Governo per l'istituzione dei ruoli tecnici del Corpo di polizia penitenziaria. Modifiche al codice di procedura penale in materia di accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale
Allo stato attuale non vi sono all’esame delle Camere disegni di legge di ratifica di trattati internazionali riguardanti il Regno dei Paesi Bassi.
[1] Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); la condizione della libertà economica come riportata dalla fondazione Heritage; la condizione della libertà di Internet come riportata da OpenNet Initiative; il tasso di crescita del PIL come riportato dal Fondo monetario internazionale; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS); la misura delle differenze di genere second il “Global Gender Gap Index” pubblicato dal World Economic Forum (la posizione più alta nell’indice indica una situazione di maggiore uguaglianza tra i sessi).
Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alle note esplicative presenti nel dossier dossier Analisi dei rischi globali. Indicatori internazionali e quadri previsionali (documentazione e ricerche 29 luglio 2011) e nella nota Le elezioni programmate nel periodo settembre-dicembre 2011 (9 settembre 2011).
[2] Si segnala, in particolare, l'articolo 80 TFUE che afferma il principio di solidarietà e equa ripartizione delle responsabilità tra Stati membri per le politiche di immigrazione e asilo, anche sul piano finanziario.
[3] Attiva dal 2005 (Regolamento (CE) n. 2007/2004) con sede a Varsavia, FRONTEX ha il compito di: coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri nella gestione delle frontiere esterne; assistere gli Stati membri in materia di formazione del corpo nazionale delle guardie di confine; effettuare analisi dei rischi; aiutare gli Stati membri in circostanze che richiedono una maggiore assistenza tecnica e operativa alle frontiere esterne; offrire agli Stati membri il supporto necessario per operazioni di rimpatrio congiunte. Per quanto riguarda gli strumenti impiegabili, FRONTEX gestisce il registro centralizzato delle attrezzature tecniche disponibili (CRATE) che censisce le attrezzature tecniche che gli Stati membri forniscono ad uno Stato membro che ne faccia richiesta per operazioni di controllo e sorveglianza delle frontiere. Nel 2007 è stato inoltre introdotto nel regolamento istitutivo di FRONTEX un meccanismo per la creazione di squadre di intervento rapido (RABIT).
[4]Accordi per la ricollocazione sono stati conclusi anche con Norvegia e Svizzera
[5] Si veda, in particolare, la Comunicazione sul rafforzamento della solidarietà all’interno dell’UE in materia di asilo COM(2011)835 del 2 dicembre 2011.
[6] Regolamento (CE) n. 526/2006
[7] Ai sensi dell’articolo 4.17 a del Vb 2000:
«1. Il potere, previsto all’articolo 50, paragrafo 1, della Legge sullo straniero, di fermare una persona per determinarne l’identità, la cittadinanza e lo status con riferimento al diritto di soggiorno al fine di contrastare il soggiorno irregolare dopo un attraversamento di frontiera è esercitato esclusivamente nell’ambito del controllo degli stranieri:
a. negli aeroporti all’arrivo dei voli dalla zona Schengen;
b. sui treni, per al massimo trenta minuti dopo l’attraversamento della frontiera comune con il Belgio o la Germania o, se entro questo periodo non è ancora stata raggiunta la seconda stazione dopo il superamento della frontiera, al massimo sino alla seconda stazione dopo il superamento della frontiera;
c. su strade e corsi d’acqua in una zona di venti chilometri dalla frontiera comune con Belgio o Germania.
Il controllo è esercitato sulla base di informazioni o di dati dell’esperienza sul soggiorno irregolare dopo l’attraversamento della frontiera. Il controllo può inoltre essere effettuato, in misura limitata, al fine di ottenere informazioni su siffatto soggiorno irregolare.
[8] L’eliminazione definitiva dei controlli alle frontiere interne avviene a seguito di una decisione del Consiglio, (all’unanimità dei componenti del Consiglio che rappresentino i Governi degli Stati membri che già applicano le disposizioni relative a Schengen e del Governo dello Stato membro interessato), sentito il Parlamento europeo, al termine delle procedure di verifica.
[9] Per i rapporti con le Nazioni Unite e, in particolare, con il Consiglio di sicurezza, v. oltre.
[10] V. oltre, alla lettera b) del paragrafo dedicato allo “Statuto della Corte”.
[11] L’Accordo, del quale sono Parti 62 Paesi, è in vigore dal 22 luglio 2004; l’Italia lo ha ratificato con legge 6 marzo 2006, n. 130.
[12] Si rammenta che il 16 gennaio 2002 il governo della Sierra Leone e l’ONU hanno raggiunto un accordo per l’istituzione di un Tribunale ad hoc per giudicare le gravi violazioni del diritto umanitario internazionale e delle leggi nazionali durante la guerra civile.
[13] Con la legge 8 maggio 1998, n. 136, si è provveduto al finanziamento della Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite.
[14] Il 2 maggio 2011 Harun è stato riconfermato governatore della regione del Sud Kordofan, nelle elezioni vinte dal National Congress Party (NCP) e contestate dal Sudan People’s Liberation Movement (SPLM), che ha denunciato brogli.
[15] Dopo aver lasciato la milizia FPLC Ntaganda si era unito all’esercito regolare congolese. Il FPLC sotto la guida di Laurent Nkunda, tutsi congolese, di cui Ntaganda era il vice, era arrivato a controllare buona parte del Kivu.
[16] In XIV legislatura si segnalano, tra le prime, gli A.C. 2724, Kessler ed altri; A.S. 1638, Iovene ed altri, che non hanno mai avviato l’esame. In XV legislatura sono stati presentati gli A.S. 893 (Pianetta) e A.S.1089 (Martone e altri) che, al pari dei precedenti, non sono stati esaminati.
[17] Si tratta della «Commissione di studio per l'adeguamento dell'ordinamento giuridico agli accordi e alle regole del diritto internazionale umanitario» (Pres. A. Pranzetti).
[18] Il People's Party for Freedom and Democracy-VVD (Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia) è un partito politico olandese di stampo liberale-conservatore. Alle ultime elezioni (settembre 2012), il VVD si è riconfermato primo partito, ottenendo il 26,4% dei voti e 41 seggi alla Camera. Fa parte dell'Alleanza dei Democratici e Liberali per l'Europa – fino al 10 novembre 2012 conosciuto come Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori - e dell'Internazionale liberale. Il leader del VVD dal 2006 è il Primo ministro Mark Rutte.
[19] L’on. Pecorella è iscritto al Gruppo Misto dal 22 novembre 2012.