Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Dibattito sulla NATO e sull'Afghanistan organizzato dalla Commissione esteri del Parlamento europeo - Bruxelles, 23 aprile 2012
Serie: Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari    Numero: 102
Data: 19/04/2012
Descrittori:
AFGHANISTAN   ORGANIZZAZIONE DEL TRATTATO DELL' ATLANTICO DEL NORD ( NATO )
PARLAMENTO EUROPEO     


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

 

 

 

 

Documentazione per le Commissioni

riunioni interparlamentari

 

 

 

 

 

 

Dibattito sulla NATO e sull’Afghanistan

organizzato dalla Commissione esteri del Parlamento europeo

 

Bruxelles, 23 aprile 2012

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 102

 

19 aprile 2012

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il dossier è stato curato dall’Ufficio rapporti con l’Unione europea
(' 066760.2145 - * cdrue@camera.it)

Il capitolo “La cooperazione tra l’Unione europea e la NATO” è stato realizzato in collaborazione con il Servizi Studi, Dipartimento affari esteri (' 0667604939)

Il capitolo “I rapporti tra la NATO e l’Unione europea” è stato curato dal Servizio Rapporti Internazionali (' 0667603948)

Il capitolo “Recenti sviluppi del quadro afghano” è stato curato dal Servizio Studi, Dipartimento affari esteri (' 0667604939)

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I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 


I N D I C E

 

Scheda di lettura   1

La cooperazione tra l’Unione europea e la NATO (in collaborazione con il Servizio Studi)3

·         Gli sviluppi della cooperazione NATO-UE. La Strategia di sicurezza europea  4

·         Le innovazioni del Trattato di Lisbona  8

·         La posizione delle istituzioni dell'UE   9

I rapporti tra la NATO e l’Unione europea (a cura del Servizio Rapporti internazionali)13

·         Cooperazione sul campo  15

·         Cooperazione in altre regioni16

·         Altre forme di cooperazione  16

Smart defence (a cura del Ministero degli Affari esteri)19

·         Generalità  19

·         Situazione attuale  20

Rapporti tra l’Unione europea e l’Afghanistan   23

·         Piano d’azione per Afghanistan e Pakistan  23

·         L’impegno dell’Unione europea in Afghanistan  24

·         Il Consiglio del 14 novembre 2011  25

·         La Conferenza internazionale di Bonn del 5 dicembre 2011  26

·         Presenza dell’UE in Afghanistan  28

·         Assistenza finanziaria  28

·         Diritti umani29

Recenti sviluppi del quadro afghano (a cura del Servizio Studi)31

Condivisione e messa in comune delle capacità nel settore della difesa dell’UE   37

·         Pooling & sharing  38

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Schede di lettura



La cooperazione tra l’Unione europea e la NATO

 

 

Attualmente sono 21 i Paesi che fanno parte sia dell’Unione europea sia della NATO.

Sono membri NATO i seguenti Paesi: Albania, Belgio, Bulgaria, Canada, Croazia, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Slovacchia, Spagna, Stati Uniti, Turchia, Ungheria. Degli Stati membri dell’UE non aderiscono alla NATO la Svezia, la Finlandia, Malta, la Repubblica di Cipro, l’Austria e l’Irlanda.

Nel corso degli ultimi quindici anni l’Unione europea e la Nato hanno intrapreso un cammino che le ha portate verso una progressiva convergenza a livello di membership, di funzioni e di potenziale raggio d’azione.

Al riguardo, è possibile osservare che fino al 2000 nessun tipo di relazione formale esisteva tra l'Unione Europea e la NATO che aveva come interfaccia a livello europeo l'Unione dell’Europa occidentale (UEO). È stata la crisi nei Balcani del 1999 che ha spinto l'Unione a porsi la questione dello sviluppo di capacità di gestione autonoma di crisi, che tocchino direttamente e indirettamente i suoi interessi di sicurezza e ad impostare le linee di una politica europea di sicurezza e difesa (la PESD).

Nell’aprile 1999, i leader della NATO nella loro riunione di Washington si sono dichiarati pronti ad adottare le disposizioni necessarie riguardanti le risorse e le capacità militari della NATO da rendere disponibili per operazioni a guida UE in risposta a situazioni di crisi in cui la NATO in quanto tale non sarebbe stata coinvolta militarmente. Di qui i primi contatti, nel settembre 2000, per individuare le direttrici di un'auspicabile cooperazione.

In particolare, la NATO e l'Unione Europea hanno pubblicato una dichiarazione congiunta nel dicembre 2002 sull’evolversi del loro partenariato strategico e nel marzo 2003 le due organizzazioni hanno formalizzato i c.d. accordi Berlin Plus, che consentono all’Unione europea di accedere ai mezzi e alle capacità di pianificazione e di comando della Nato per realizzare missioni di gestione delle crisi. Gli accordi Berlin Plus sono stati attuati in Macedonia e in Bosnia, dove l’Ue ha assunto la guida di missioni prima dirette dalla Nato, ma continuando a utilizzare la struttura di comando dell’Alleanza.

Sotto il profilo istituzionale, la partnership trova espressione in una “intelaiatura organizzativa leggera”, centrata su due incontri l'anno a livello dei Ministri degli Esteri e tre riunioni congiunte per ogni turno semestrale di Presidenza dell'Unione Europea degli Ambasciatori accreditati rispettivamente presso il Consiglio Atlantico e il Comitato Politico e di Sicurezza dell'Unione Europea (i cosiddetti incontri NAC–COPS). Sono, inoltre, contemplati incontri bisemestrali dei Comitati militari delle due organizzazioni e riunioni periodiche di alcuni organi sussidiari.

Sotto il profilo delle competenze, gli accordi finalizzati nel marzo 2003 delineano il quadro di una collaborazione operativa, ispirata a criteri di flessibilità: all'Unione Europea viene assicurato l'accesso alle capacità di pianificazione della NATO per le operazioni a guida Unione, in cui la NATO non sia direttamente impegnata. È data per acquisita la disponibilità (presurnption of availability) a favore dell'Unione Europea di capacità e di assetti comuni preidentificati della NATO ai fini dell'impiego nelle stesse operazioni. Sono conferite al Deputy Supreme Allied Commander Europe (DSACEUR) le responsabilità primarie inerenti al comando delle operazioni condotte dall'Unione Europea, così da assicurare l'indispensabile coordinamento. Sono altresì stabilite cellule di collegamento tra le due strutture militari.

Gli sviluppi della cooperazione NATO-UE. La Strategia di sicurezza europea

Con i Consigli europei di Colonia e di Helsinki del 1999 venne deciso l’avvio, nell’ambito della già istituita Politica estera e di sicurezza comune (PESC) della Politica europea di sicurezza e di difesa (PESD) al fine di dotare l’Unione europea di una capacità autonoma di azione basata su forze militari credibili. In particolare nel Consiglio europeo di Helsinki vennero definiti i cosiddetti Helsinki headline goal per dotare l’Unione europea delle capacità militari necessarie ad attuare le missioni di Petersberg[1].

In base a tali obiettivi gli Stati dell’Unione dovevano essere in grado entro il 2003 di mettere a disposizione una capacità comune composta di 60.000 soldati, militarmente autosufficiente, dotata del necessario supporto aereo e navale e schierabile entro 60 giorni.

Tali obiettivi sono stati aggiornati nel 2004, con gli headline goal 2010 che hanno previsto, tra le altre cose, la creazione di un’Agenzia europea della difesa (effettivamente istituita nel 2004) per conseguire una maggiore integrazione nel mercato europeo della difesa; l’implementazione di un coordinamento congiunto per il trasporto strategico in vista del raggiungimento di una piena capacità ed efficienza di trasporto per il 2010 e la creazione di gruppi di combattimento rapidamente dispiegabili (battlegroups). Nel medesimo consiglio di Helsinki si era giunti anche ad un’intesa sulle modalità di cooperazione completa tra l’Unione europea e la NATO.

Il successivo Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000 istituiva gli organismi di gestione della PESD, rendendo permanente il Comitato politico e di sicurezza (COPS, già previsto in via transitoria dal Trattato di Maastricht, è composto da Ambasciatori o alti funzionari degli Stati membri, dal rappresentantedella Commissione europea, dai Capi missioni PESD, dai rappresentanti speciali e dal Presidente del Comitato militare dell’Unione) e creando altresì il Comitato militare dell’Unione europea (CMUE), composto dai Capi di Stato maggiore degli Stati membri, e lo Stato maggiore dell’Unione europea, composto da 200 esperti militari degli Stati membri distaccati presso il Segretariato del Consiglio. Infine, nel 2002 venne deciso l’avvio della prima missione PESD, la missione Althea in Bosnia-Erzegovina.

Nel 2003 è stata adottata dall’Alto rappresentante della PESC la Strategia di sicurezza europea, con cui viene data all’Unione la possibilità di usare lo strumento militare per far fronte alle principali nuove minacce alla sua sicurezza.

Con la fine della guerra fredda e l’avvento della globalizzazione, il concetto di autodifesa non si riferisce più solamente alla possibilità di subire una invasione nemica, ma anche a minacce non più puramente militari. Proprio per riuscire ad affrontare al meglio queste minacce, il documento riconosce la necessità di utilizzare una combinazione di strumenti militari, civili e politici.

Gli obiettivi centrali sono stati individuati nella costruzione della sicurezza nei territori vicini e nel rispetto di un multilateralismo efficace in linea con la Carta delle Nazioni Unite.

Nel dicembre 2008 è stato approvato un documento di revisione della Strategia, in cui viene approfondita la categoria di nuove sfide che l’Europa deve affrontare, come la criminalità, la pirateria, l’immigrazione illegale, la degradazione ambientale, i disordini finanziari, il terrorismo, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, i mutamenti climatici.

Componente civile e componente militare nelle missioni in ambito PCSD

Le missioni in ambito PCSD (Politica comune di sicurezza e difesa, nuova denominazione della PESD dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona) sono caratterizzate fin dalle loro origini da un coordinamento funzionale tra la componente civile e militare e dall’assenza di vincoli geografici.

La componente militare ha il compito di proteggere i civili, di mantenere la sicurezza, di pianificare le operazioni, di predisporre la logistica e il trasporto strategico.

Le aree di intervento della dimensione civile della PESD, delineate già dal Consiglio Europeo di Santa Maria da Feira del 2000, sono la cooperazione di polizia, l’assistenza giudiziaria, l’assistenza all’amministrazione civile e la protezione civile.

Le principali attività in ambito militare sono inquadrabili in tre categorie principali:

·      assistenza nel settore della sicurezza, attraverso missioni di addestramento , consulenza e supporto tecnico-logistico.

·      assistenza nel settore dell’amministrazione giudiziaria e civile, attraverso l’addestramento, la consulenza e l’assistenza del personale dell’apparato giudiziario e amministrativo;

·      monitoraggio delle frontiere in zone di potenziale conflitto e verifica del rispetto degli accordi per la sospensione delle ostilità.

Anche Stati non aderenti all’UE possono partecipare alle missioni PESD tramite la conclusione di accordi ad hoc in cui solitamente è previsto che il personale dello Stato terzo rimanga sotto il comando delle autorità nazionali lasciando però il comando operativo al comandante delle operazioni UE.

Per le operazioni militari è prevista una diversa catena di comando a seconda del caso in cui siano condotte dall’UE in totale indipendenza oppure siano sviluppate in collaborazione con la NATO.

Nel primo caso viene adottato un sistema di attribuzione di compiti e funzioni denominato nazione-quadro in base a cui uno Stato membro si prende l’impegno di ospitare nelle sue strutture nazionali il quartier generale delle operazioni, che viene poi affiancato da una cellula di pianificazione civile-militare presso lo Stato maggiore dell’UE.

Esistono anche missioni autonome dell’UE condotte dall’Operations Centre attivabile all’interno della Cellula civile-militare quando si è in presenza di operazioni di piccole dimensioni e nel caso in cui sia difficile individuare il quartier generale presso gli Stati.

Nel secondo caso, il Consiglio Affari generali, deliberando all’unanimità, può anche richiedere la cooperazione con la NATO in base agli accordi Berlin Plus.

Il pacchetto di accordifortifica la cooperazione tra le due organizzazioni e permette all’Unione Europea nell’ambito della conduzione delle proprie missioni di accedere alle capacità di pianificazione della NATO e di utilizzarne mezzi e capacità collettive. L’origine di tali accordi risale alla riunione dei Ministri degli Esteri Nato a Berlino del 1996 in cui si cercò di creare un pilastro europeo in materia di sicurezza con la decisione di dar vita ad una Identità europea di sicurezza e di difesa (Iesd) e di dare la possibilità all’UEO di usufruire delle risorse dell’Alleanza durante le proprie operazioni.

A seguito del Trattato di Amsterdam, con cui l’UEO venne integrata nell’UE e le cosiddette missioni di Petersberg furono incorporate nel corpo del trattato all’art. 17, nel 1999 al vertice Nato di Washington i capi di Stato e di Governo decisero di estendere le decisioni di Berlino anche alle operazioni condotte dall’Unione Europea.

Vennero allora preparati alcuni accordi preliminari tra le due Organizzazioni in cui si prevedeva l’accesso dell’Ue alla pianificazione operativa della Nato, l’uso da parte Ue delle capacità e risorse comuni della Nato, l’attribuzione di opzioni di comando Nato per le operazioni a guida Ue e l’adattamento del sistema di pianificazione della difesa della Nato per includervi la disponibilità di forze per operazioni a guida Ue.

L’opposizione della Turchia, che chiedeva di partecipare a pieno titolo alla pianificazione delle operazioni a guida UE, specialmente nel caso in cui riguardassero interessi di sicurezza turchi ed aree vicine alla Turchia, bloccò fino al 2002 la formalizzazione di tali accordi. Nel 2002, infatti, la prospettiva dell’avvio dei negoziati di adesione della Turchia all’Unione europea (poi effettivamente avviati nel 2005) sbloccò il negoziato e si giunse alla stipula degli accordi. Essi sono volti a permettere un supporto della NATO alle operazioni UE, disponendo principalmente l’accesso garantito alle capacità di pianificazione operativa e di comando del Quartiere generale NATO (Shape); L’istituzione di una cellula di collegamento UE presso Shape e la presunzione di disponibilità di assetti e capacità collettive NATO per le operazioni UE (vedi grafico sotto).

Gli accordi Berlin Plus sono stati attivati fino ad oggi in due occasioni: l’operazione Concordia nell’ex repubblica jugoslava di Macedonia del 2003 e l’operazione Eufor Althea nel 2004.


 

ACCORDI BERLIN PLUS

 

Organigramma

Le innovazioni del Trattato di Lisbona

Con l’entrata in vigore il 1° dicembre 2009 del Trattato di Lisbona sono stati introdotti importanti cambiamenti nelle disposizioni riguardanti la PESC e la PESD. Alcune nuove norme prevedono un ruolo preminente degli Stati membri nella definizione ed attuazione della Politica estera e di sicurezza comune pregiudicando una sua possibile evoluzione in senso sopranazionale.

Anche la PESD, denominata come accennato Politica comune di sicurezza e difesa, registra alcuni progressi rispetto alle disposizioni dei precedenti Trattati in tema di clausole di mutua difesa collettiva, nuove formule per l’integrazione flessibile e l’istituzione dell’Agenzia di sicurezza europea.

Di fondamentale importanza è l’introduzione di una clausola di difesa reciproca tra tutti i paesi Ue: “Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite.”

Viene inoltre introdotto un riferimento ai paesi neutrali e ai paesi Nato: “ ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri e che gli impegni e la cooperazione in questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell’ambito dell’organizzazione del Trattato Nato che resta, per gli Stati che ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva.”

Il Trattato include anche una clausola di solidarietà contro il terrorismo e catastrofi che prevede la mobilitazione da parte dell’Ue di tutti gli strumenti a sua disposizione per reagire ad un attacco terroristico avvenuto sul territorio comunitario.

Infine per quanto riguarda le missioni, il Trattato amplia le cosiddette missioni di Petersberg includendo le missioni condotte a sostegno dei paesi terzi per contrastare il terrorismo.

La posizione delle istituzioni dell'UE

Il 19 febbraio 2009 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sul ruolo della NATO nell’architettura di sicurezza dell’UE in cui sottolinea che l'UE e la NATO potrebbero rafforzarsi vicendevolmente «evitando gli antagonismi e sviluppando una cooperazione più solida nelle operazioni di gestione delle crisi, basata su una divisione pragmatica delle attività», per conseguire l'obiettivo comune di lungo termine della costruzione di un mondo più sicuro. Un partenariato ancor più stretto e un rafforzamento del potenziale di base dell'UE e della NATO sono quindi necessari, nel giudizio del Parlamento europeo, per affrontare i rischi legati alla sicurezza nel mondo moderno, quali il terrorismo internazionale, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, il collasso di Stati, la criminalità organizzata, le minacce cibernetiche, il degrado ambientale e i connessi rischi di sicurezza.

Per permettere alle due organizzazioni di intervenire ed apportare un aiuto efficace nell'ambito delle attuali crisi, che richiedono una risposta civile e militare su molteplici fronti, il Parlamento europeo ritiene indispensabile approfondire ulteriormente i rapporti tra la NATO e l'UE, «creando strutture di cooperazione a carattere permanente, senza tuttavia pregiudicare la natura indipendente e autonoma di entrambe le organizzazioni e senza escludere la partecipazione di tutti i membri della NATO e di tutti gli Stati membri dell'UE che desiderino associarvisi». Riconosce inoltre l'importanza vitale di un miglioramento delle sinergie fra i servizi di intelligence degli alleati NATO e dei partner dell'UE.

Il Parlamento europeo sostiene in particolare l'istituzione di un quartiere generale operativo permanente dell'UE sotto l'autorità dell’Alto rappresentante, che includa nel suo mandato la pianificazione e la condotta delle operazioni militari PESD. Inoltre, propone che, d'intesa con la NATO, ogni Stato membro dell'UE che è contemporaneamente membro dell'Alleanza tenga separate le forze impiegabili per le sole operazioni UE, «per evitare che il loro dislocamento possa essere bloccato dai membri della NATO che non sono Stati membri dell'UE».

Esortando l'UE e la NATO a evitare la duplicazione delle operazioni e promuovere la coerenza, il PE invita gli Stati membri a mettere in comune, condividere e sviluppare congiuntamente le capacità militari, «per evitare sprechi, realizzare economie di scala e rafforzare la base industriale e tecnologica nel settore della difesa». Ritiene inoltre che, insieme all'esigenza di utilizzare molto più efficacemente le risorse militari, un migliore e più efficiente coordinamento degli investimenti nella difesa da parte degli Stati membri dell'UE dettato da esigenze di sinergia «sia essenziale per gli interessi della sicurezza europea». In tale contesto, chiede anche un forte incremento della quota di costi comuni in ogni operazione militare NATO e UE, ma invita gli USA a mostrare maggiore disponibilità a consultare gli alleati europei su questioni attinenti alla pace e alla sicurezza.

L’argomento è stato ripreso recentemente nelle tre risoluzioni che il Parlamento europeo ha approvato l’11 maggio 2011, rispettivamente sullo sviluppo della politica di sicurezza e di difesa comune dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona; sulla relazione annuale del Consiglio al Parlamento europeo sui principali aspetti e le scelte basilari della politica estera e di sicurezza comune (PESC) nel 2009; sul ruolo dell’UE nelle organizzazioni multilaterali.

Il Parlamento europeo:

·       invita l'UE e la NATO a valutare le implicazioni dell'introduzione dello status di osservatore reciproco a livello del Comitato politico e di sicurezza e del Consiglio Nord Atlantico, al fine di migliorare gli accordi di cooperazione nello spirito del trattato di Lisbona;

·       nel sottolineare il limitato utilizzo degli accordi Berlin Plus, che finora hanno riguardato solo il rilevamento di missioni NATO preesistenti, ritiene che gli accordi che consentono all'UE di ricorrere alle risorse e alle capacità della NATO debbano essere rafforzati; sottolinea la necessità per le due organizzazioni di sviluppare un approccio globale alla gestione delle crisi, che spesso richiedono una risposta civile e militare su più fronti; ribadisce la sua convinzione che tale approccio sia compatibile con la costruzione di un'Europa della difesa autonoma attraverso una cooperazione permanente strutturata e l'Agenzia europea per la difesa (AED);

·       invita l'UE a esercitare la sua influenza affinché si giunga a una positiva conclusione del processo in atto volto a trovare una soluzione complessiva alla questione cipriota per appianare tutte le controversie tra Cipro e la Turchia, che stanno ostacolando lo sviluppo di una più stretta cooperazione tra l'UE e la NATO;

·       chiede una strategia coerente di non proliferazione e disarmo in campo nucleare nel quadro della cooperazione UE-NATO, conformemente al piano d'azione contenuto nella dichiarazione della Conferenza di revisione del trattato di non proliferazione del 2010;

·       ricorda che la clausola di assistenza reciproca costituisce un obbligo giuridico di effettiva solidarietà in caso di attacco esterno contro un qualunque Stato membro, senza contrastare con il ruolo della NATO nell'ambito dell'architettura della sicurezza europea e al tempo stesso rispettando la neutralità di alcuni Stati membri; raccomanda pertanto una seria riflessione sul reale impatto della clausola di assistenza reciproca in caso di aggressione armata nel territorio di uno Stato membro, affrontando i nodi irrisolti delle disposizioni di attuazione che furono ritirate dal progetto di trattato sul funzionamento dell'Unione europea;

·       accoglie favorevolmente l'accordo sul nuovo concetto strategico NATO relativo all'ulteriore rafforzamento del partenariato strategico UE-NATO; ribadisce che la maggior parte delle minacce individuate nel nuovo concetto strategico sono condivise dall'UE e sottolinea l'importanza che riveste l'approfondimento della cooperazione UE-NATO nella gestione delle crisi, in uno spirito di rafforzamento reciproco e nel rispetto della loro autonomia decisionale; richiama l'attenzione sulla necessità di evitare inutili duplicazioni di sforzi e risorse nella gestione delle crisi, e invita l'UE e la NATO ad approfondire la loro cooperazione, attraverso i mezzi rispettivi, nel contesto di un approccio globale alle crisi in cui entrambe sono coinvolte; in particolare invita la NATO ad astenersi dal creare una capacità di gestione delle crisi civili, poiché sarebbe una duplicazione delle strutture e capacità dell'UE.

In più occasioni il Consiglio ha ricordato nelle sue conclusioni l'obiettivo di rafforzare il partenariato strategico UE-NATO per la gestione delle crisi. Il Consiglio ha inoltre accolto con favore gli sforzi dell'Alto rappresentante e del Segretario generale della NATO per progredire maggiormente in questo settore e in tale contesto ha incoraggiato gli sforzi volti a promuovere la trasparenza, la coerenza e l'inclusione tra l'UE e la NATO laddove opportuno.

Sull’argomento si è espresso il Consiglio europeo del 16 settembre 2010 che ha invitato l'Alto rappresentante a sviluppare idee su come rafforzare ulteriormente la cooperazione UE-NATO nella gestione delle crisi, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e alle pertinenti relazioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ciò dovrebbe essere effettuato in uno spirito di reciproco rafforzamento e nel rispetto dell'autonomia decisionale, facendo seguito alle raccomandazioni di misure concrete trasmesse dall'UE alla NATO nel febbraio 2010.

Nel dicembre 2009 l'UE ha messo a punto un insieme di proposte concrete per il rafforzamento delle relazioni UE-NATO che sono state trasmesse dall'Alto rappresentate al Segretario generale della NATO; in particolare si sottolinea la necessita di accordi solidi per agevolare l'interazione sul campo quando operazioni/missioni di gestione delle crisi condotte nell'ambito della PSDC e della NATO sono presenti nello stesso teatro, come nel caso del Kosovo e dell'Afghanistan.

 



I rapporti tra la NATO e l’Unione europea[2]

 

Il nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza atlantica, varato a Lisbona nel novembre 2010, ha fatto del rilancio dei rapporti tra la NATO e l’Unione europea un pilastro dell’azione dell’Alleanza per il prossimo decennio.

Il Nuovo Concetto Strategico stabilisce chiaramente che un’Unione europea attiva ed efficace contribuisce alla sicurezza globale dell’area euro-atlantica. Pertanto l’UE è per la NATO un partner unico ed essenziale. Le due organizzazioni condividono infatti la maggioranza dei membri[3], 21, e i membri di entrambe le organizzazioni condividono valori comuni.

L’obiettivo di una più stretta cooperazione tra le due organizzazioni va perseguito attraverso:

·      il rafforzamento della partnership strategica tra la NATO e l’UE, nello spirito di una piena reciproca apertura, trasparenza, complementarietà e rispetto per l’autonomia e integrità istituzionale di entrambe;

·      il miglioramento della cooperazione pratica nelle operazioni attraverso tutto lo spettro delle crisi, da una pianificazione coordinata a un supporto reciproco sul campo;

·      un’estensione delle consultazioni politiche tale da includere tutte le questioni di comune interesse in modo da condividere decisioni e prospettive;

·      una più completa cooperazione nello sviluppo delle capacità, per minimizzare le duplicazioni e massimizzare l’efficienza dei costi.

Una più stretta cooperazione tra le due istituzioni è un importante elemento nello sviluppo di un “approccio comprensivo” internazionale alla gestione delle crisi e alle operazioni, che richiede l’impiego efficace di mezzi sia militari che civili.

Le previsioni del nuovo Concetto strategico NATO rappresentano la tappa più recente dell’istituzionalizzazione delle relazioni tra la NATO e l’UE, che ha avuto inizio nel 2001, attraverso uno scambio di lettere tra il Segretario Generale della NATO e la Presidenza UE. Il 16 dicembre 2002, i principi politici sottesi alla relazione tra le due organizzazioni sono stati formalizzati nella Dichiarazione NATO – UE sulla PESD.

La Dichiarazione è stata affiancata dal Framework for cooperation adottato il 17 marzo 2003. A margine di tale documento, i c.d. accordi Berlin Plus costituiscono la base per la cooperazione pratica NATO - UE nella gestione delle crisi, consentendo all’Unione europea di avere accesso agli assetti collettivi NATO per operazioni a guida UE, compresi gli accordi di comando e l’assistenza nella pianificazione operativa. In concreto, essi permettono all’Alleanza di sostenere le operazioni a guida UE nelle quali la NATO come tale non è coinvolta.

NATO e Unione europea si riuniscono regolarmente per discutere questioni di comune interesse. Le riunioni si svolgono a diversi livelli: Ministri degli Affari esteri, ambasciatori, rappresentanti militari e consiglieri per la difesa. Ci sono anche contatti regolari a tutti i livelli tra il personale internazionale e il personale militare internazionale della NATO e i rispettivi interlocutori in ambito UE . Sono inoltre stati istituiti dei contatti militari permanenti per facilitare la cooperazione a livello operativo. Un Gruppo di contatto permanente della NATO è operativo dal novembre 2005 nell’ambito del Personale militare UE e nel marzo 2006 una Cellula UE è stata insediata a SHAPE, il comando strategico per le operazioni NATO, che ha sede a Mons, Belgio.

 

A seguito dell’allargamento della NATO e dell’Unione europea nel 2004 e dell’adesione di Bulgaria e Romania all’Unione europea nel 2007, le due organizzazioni hanno 21 paesi membri in comune.

Canada, Islanda, Norvegia, Turchia e Stati Uniti, che sono membri della NATO ma non dell’Unione europea, partecipano alle riunioni NATO-UE. Altrettanto dicasi per Austria, Finlandia, Irlanda e Svezia, e dal 2008, Malta, che sono membri dell’UE ed aderiscono al Programma di partenariato per la pace (PfP).

Cipro, che non è un membro del PfP e non ha un accordo di sicurezza con la NATO sullo scambio di documenti classificati, non può partecipare alle riunioni ufficiali NATO-UE. Si tratta di una conseguenza delle decisioni adottate dalla NATO e dall’UE nel dicembre 2002, prima dell’ampliamento del 2004, quando la NATO aveva 19 membri e l’UE 15. Occasionalmente si svolgono riunioni informali a diversi livelli (Ministri degli Affari esteri, ambasciatori e delegati militari) con la partecipazione di Cipro.

 

Il cammino tracciato dal nuovo Concetto strategico è ostacolato dal dossier turco-cipriota. Cipro, membro dell’UE ma non della NATO, con la quale non ha nemmeno un accordo di sicurezza per lo scambio di documenti classificati, non può partecipare alle riunioni ufficiali NATO-UE a causa del veto turco.

Nonostante i contatti regolari tra il Segretario generale Rasmussen e l’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea, Catherine Ashton, nessun significativo avanzamento si è per esempio sinora registrato sia per l’intesa di sicurezza tra la Turchia e l’Agenzia Europea di Difesa (EDA), sia sul fronte di una piena partecipazione di Cipro al Dialogo strategico NATO-UE. Un nuovo tentativo di far progredire un possibile dialogo NATO-UE si è registrato, ad inizio maggio, con la lettera congiunta di alcuni Ministri degli Affari esteri europei all’Alto Rappresentante Ashton e al Segretario generale della NATO Rasmussen,sul tema del rilancio delle relazioni tra le due organizzazioni. Lo schema “Berlin Plus” resta dunque tuttora l’unico (ed ormai datato) strumento di possibile raccordo

Una riflessione più generale si impone in merito al rapporto tra le “risorse” e le “capacità” delle due Organizzazioni e alle possibilità di “divisione del lavoro” che si aprono non solo in teatri dove UE e NATO sono già presenti e dove l’Alleanza ha  avviato piani di progressivo ritiro di risorse (drawdown in Afghanistan, e riduzione di KFOR nei Balcani Occidentali), ma anche e soprattutto in scenari dove questa cooperazione è allo stato embrionale o del tutto potenziale (Libia e “arco del cambiamento” della Primavera Araba), scenari che paiono sollecitare sempre più, con rinnovato vigore, la questione di un rafforzato quadro di cooperazione da parte della comunità euro-atlantica.

 

Cooperazione sul campo

I Balcani

Nel luglio 2003, l’Unione europea e la NATO hanno elaborato congiuntamente l’“Approccio concertato per i Balcani occidentali”, espressione della comune determinazione di entrambe le organizzazioni di portare stabilità nella regione.

Ex repubblica Iugoslava di Macedonia

Il 31 marzo 2003 l’Operazione Concordia, a guida UE, ha sostituito la missione NATO Allied Harmony. Terminata nel dicembre 2003, questa missione è stata la prima operazione “Berlin Plus” in cui gli assetti NATO sono stati resi disponibili per l’Unione europea.

Bosnia Erzegovina

Grazie ai risultati dell’operazione Concordia e a seguito della conclusione della SFOR (Stabilisation Force) a guida NATO, l’Unione europea ha dispiegato, il 2 dicembre 2004, una nuova missione denominata Operazione Althea[4]. L’EUFOR opera sotto gli auspici degli Accordi “Berlin-Plus”,utilizzando le capacità di pianificazione NATO e altri assetti e capacità dell’Alleanza. Il Vice Comandante supremo alleato in Europa comanda l’Operazione Althea. Il Quartier generale UE per quest’operazione ha sede a SHAPE.

 

Kosovo

La NATO ha guidato le forze di mantenimento della pace in Kosovo (KFOR) a partire dal 1999. L’Unione europea ha fornito per diversi anni gli assetti civili alla missione delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK) e ha convenuto di assumersi la responsabilità della componente di polizia della Missione ONU. La Missione UE “EULEX Kosovo” (European Union Rule of Law Mission in Kosovo), che è stata dispiegata nel dicembre 2008, è la più ampia missione civile mai lanciata sotto gli auspici della Politica europea di difesa e sicurezza (PESD). L’obiettivo principale è di assistere e supportare le autorità del Kosovo, per lo sviluppo di un sistema multi-etnico e indipendente di Giustizia e per la realizzazione dei comparti di Polizia e Dogana in linea con gli standard internazionali. EULEX e KFOR lavorano a stretto contatto.

 

Cooperazione in altre regioni

Afghanistan

NATO e Unione europea svolgono un ruolo chiave nel portare pace e stabilità in Afghanistan. La missione ISAF a guida NATO aiuta a creare un contesto stabile e sicuro in cui il governo afgano e gli altri attori internazionali possano creare istituzioni democratiche, estendere lo stato di diritto e ricostruire il paese. La NATO ha accolto con favore l’avvio da parte dell’UE della Missione EUPOL (European Union Police Mission in Afghanistan) nel giugno 2007. L’Unione europea ha anche avviato un programma per la riforma della giustizia e sta collaborando al finanziamento di progetti civili nelle PRT NATO (Provincial Reconstruction Teams), guidate da paesi membri UE.

Darfur

Sia la NATO che l’Unione europea sostengono la missione dell’Unione africana in Darfur, Sudan, con particolare riferimento alla turnazione dei ponti aerei.

Pirateria

Dal settembre 2008, le forze navali di NATO e UE sono dispiegate l’una a fianco dell’altra (rispettivamente Ocean Shield e EUNAVFOR[5] Atalanta), con altri attori, lungo le coste della Somalia per missioni anti pirateria.

Altre forme di cooperazione

Insieme alla conduzione di operazioni, lo sviluppo delle capacità è un’area in cui la cooperazione è essenziale e dove vi è un alto potenziale di crescita. Il gruppo UE-NATO sulle capacità è stato istituito nel maggio 2003 per assicurare coerenza e reciproco rafforzamento degli sforzi di sviluppo delle capacità messi in campo dalle due organizzazioni. Negli ultimi anni la NATO e l’UE hanno infatti lanciato ambiziosi programmi di sviluppo di nuove capacità[6], in termini sia di forze sia di equipaggiamento militare, per adattarsi ad un contesto internazionale mutevole e ad impegni in aree di crisi spesso lontane dal teatro euro-atlantico. Sia la NATO sia l’UE si sono concentrate in particolare sulla creazione di forze di spedizione di rapido impiego, in grado di affrontare un ampio ventaglio di compiti, nonché sullo sviluppo delle dotazioni necessarie a proteggersi dalle nuove minacce (come per es. la difesa da attacchi terroristici nucleari, biologici, chimici o radiologici) e a garantire il funzionamento delle forze di spedizione (tramite, per esempio, il trasporto aereo).

A tale proposito si ricordano in particolare i Battle groups dell’UE, sviluppati nell’ambito dell’Obiettivo primario per il 2010, e la NATO Response Force nonché gli sforzi di entrambe le organizzazioni per migliorare la disponibilità di elicotteri per le operazioni.

NATO e UE sono inoltre impegnate a combattere il terrorismo e la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Si scambiano informazioni sulle loro attività nel campo della protezione della popolazione civile contro attacchi chimici, biologici e radiologici. Le due organizzazioni cooperano nel settore dell’emergenza civile, pianificando scambi di informazioni sulle misure assunte in quest’area.



Smart defence

 

Generalità

L’iniziativa NATO “Smart Defence”, lanciata dal Segretario Generale della NATO nel febbraio 2011 in occasione della Conferenza di Monaco sulla sicurezza, si propone di stimolare la cooperazione tra i Paesi attraverso progetti multinazionali ed altre forme innovative di sviluppo capacitivo secondo forme di prioritarizzazione degli sforzi congiunti secondo obiettivi condivisi a 28, la specializzazione delle forze secondo i vantaggi comparati, e la ricerca di economie di scala attraverso il ricorso congiunto a progetti di acquisizione, logistica, training e forze multi-nazionali.

Per facilitare l’individuazione di proposte concrete su cui avviare la cooperazione tra i Paesi è stata creata una Task Force (TF) guidata dall’Allied Command for Transformation (ACT), che ha individuato un basket di 46 iniziative aperte alle considerazioni dei Paesi. Dopo una serie di incontri e workshops è stato consolidato un primo livello di coinvolgimento dei Paesi nel primo Final Report di ACT.

Al termine delle attività della Task Force, ACT ha stilato un rapporto finale, in cui le proposte di iniziative multinazionali sono state ripartite in tre categorie:

·      -  Tier 1 (progetti): comprende 15 progetti strutturati (obiettivo, motivazioni e benefici identificati) per i quali esistono almeno due Paesi disposti a portarli avanti e una Nazione leader; 

·      -  Tier 2 (proposte potenziali): 30 proposte che necessitano di ulteriori approfondimenti, di sostegno politico o militare e/o di avere designata una nazione leader;

·      -  Tier 3: circa 142 “idee”, molte delle quali identificate dai Centri di eccellenza, da entità NATO o dalle nazioni e mai presentate ai Paesi. Tali ipotesi di collaborazione necessitano di essere approfondite ed esaminate nell’ambito delle strutture NATO e nazionali più opportune, al fine di dare vita a progetti, nel lungo termine.

I risultati di questo lavoro di ricognizione e coordinamento sono stati presentati alla Ministeriale Difesa di febbraio 2012, assieme alle raccomandazioni per il prosieguo delle attività che passeranno sotto la responsabilità delle Nazioni leader e/o degli “appropriati” organismi NATO nel caso in cui non si riuscisse ad individuare un Paese leader o qualora occorressero ulteriori approfondimenti. Tali raccomandazioni riguardano, fra l’altro, l’impegno a promuovere l’implementazione dei progetti nel c.d. Tier 1 (a cura delle nazioni leader) ed a stimolare la trasformazione del maggior numero di proposte nel Tier 2 e 3 in concreti progetti (Tier 1).

Stante l’elevato valore dell’iniziativa, il Segretario Generale della NATO ha designato il Deputy Secretary General ed il Supreme Allied Commander for Transformation quali Inviati Speciali con l’incarico di visitare le Capitali dell’Alleanza per appositi colloqui con i vertici politici e militari.

Situazione attuale

Il tema della Smart Defence sarà centrale per il Summit di Chicago del maggio 2012 e riguarda tre linee di sviluppo:

·      -  Definizione delle priorità sugli investimenti, sulla base di quanto deciso a Lisbona;

·      -  Cooperazione nell’acquisizione, pooling, sharing e maintaining in comune delle capacità che non possono essere realizzate da singole Nazioni;

·      -  Specializzazione in particolari aree capacitive, attraverso un processo di consultazione e cercando di mantenere a livello NATO la più ampia gamma di capacità possibile.

L’iniziativa Smart Defence, essendo un processo articolato e complesso, è stata organizzata su più fasi. La fase più delicata, ovvero la transizione delle competenze dalla Task Force in seno ad ACT alle Nazioni leader o ai vari Comitati ha presentato talune “sbavature”, probabilmente riconducibili alle molteplici interazioni/aggiornamenti intercorsi con i differenti attori, tra cui le Capitali.

La risposta nazionale alla Smart Defence risulta abbastanza articolata, poiché coinvolge l’intera Difesa (componente tecnico-operativa e tecnico-amministrativa) oltre all’industria nazionale.

In sintesi, l’attuale coinvolgimento nazionale riguarda un totale di 17  iniziative (tabelle in All.”A”), così ripartite:

a.    Tier 1:

·      1 progetto in cui già si è assunta la leadership (1.10 Remote Controlled Vehicles for  Route Clearance Operations);

·      1 progetto in cui si è assunta la co-leadership unitamente alla FRA (1.15 Pooling & Sharing Multinational Medical Treatment Facilities Role 2)

·      2 progetti da seguire attivamente (1.6 Computer and Information Systems e-Learning Training Centres Network, 1.7 Individual Training and Education Programme);

·      1 progetto da seguire come osservatore (1.9 Pooling Maritime Patrol Aircraft).

 

b.    Tier 2:

-    1 proposta accettata per l’assunzione della leadership del progetto (2.4 Pooling of Deployable Air Activation Modules), già stata comunicata ad ACT e presentata alla recente riunione del comitato “Air Traffic Management Committee” (29  feb. ’12);

-    10 proposte nelle quali partecipare attivamente (2.2/2.3, 2.10, 2.16, 2.18, 2.25, 2.28, 2.29, 2.30, 2.32, 2.33 come da All.”A”), per due delle quali si sta valutando la eventuale sostenibilità della leadership (2.2/2.3 Pooling CBRN capabilities, 2.33 Maritime Situational Awareness Multinational Maritime Information Services);

-    1 proposta da seguire come osservatore (2.35).

Per quanto attiene alla specifica proposta (2.4), l’assunzione della leadership è ispirata alla ricerca di sinergie e economie di scala tra quanto sarà offerto (in termini di moduli DAAM) dalle altre Nazioni partecipanti. Questa strategia, qualora il quadro economico-finanziario imponesse in ambito nazionale profonde revisioni, consentirebbe un maggiore margine di manovra, rendendo possibile ri-orientare taluni obiettivi capacitivi presenti nel piano di sviluppo inerente il 3° Stormo, verso obiettivi NATO ovvero condividendo con i Paesi partner i relativi oneri.

Per quel che riguarda lo specifico progetto (1.15) relativo all’implementazione di un Multinational Medical Treatment Facilities, avendo Italia e Francia avanzato entrambe la propria candidatura, si è convenuto sull’opportunità di esercitare una co-leadership ITA-FRA dell’iniziativa in ambito NATO. Ciò al fine di valorizzare la già esistente leadership nazionale di analoga iniziativa in ambito EDA e al fine di garantire piena sinergia tra le due attività.

Lo scorso 20 gen. ’12, ha avuto luogo, a Roma, un incontro tra il Capo SMD ed il Gen. Abrial, al quale è stato presentato l’approccio nazionale adottato e i progetti ai quali l’Italia è interessata. Dall’incontro è emersa un’ampia condivisione sull’iniziativa e sulle potenzialità offerte in termini di opportunità di sviluppo capacitivo in seno all’Alleanza, anche in complementarietà/sinergia con l’analoga iniziativa UE di Pooling and Sharing.  

Nel corso della riunione ministeriale del 2-3 ott.’12,  è stato presentato il documento PO(2012)0026 “Smart Defence – Progress Report”.  Il documento è composto da tre parti:

-    una relazione sui risultati delle visite effettuate nelle Capitali da parte dei due Special Envoys (DSG e SACT);

-    un “food for thought paper” che costituisce la parte concettuale sulla Smart Defence;

-    una descrizione di possibili iniziative, denominate “flagship initiatives”, nelle aree dell’Intelligence, Surveillance and Reconnaissance, della Difesa Missilistica e dell’Air Policing.

Il rapporto degli Inviati Speciali pone ancora l’accento sul carattere politico del concetto di Smart Defence ed elenca i progetti secondo una nuova classificazione in  sei clusters (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance;  Sustainment;  Training and Preparation of Forces;  Force Protection;  Effective Engagement; Ballistic Missile Defence). Gli Inviati Speciali anticipano che al Vertice di Chicago potrebbero essere presentati, quale risultato iniziale,  circa 30 progetti da sviluppare dalle Lead Nations identificate e dalle Nazioni partecipanti e che possano essere indicate le cd. flagship initiatives quale specifico impegno politico per una cooperazione efficace, elemento nuovo che merita ampliamento. Già si può ritenere che le citate flagship initiatives solleveranno probematiche di ampio spessore politico in quanto influenzano attività già in evoluzione (es. AGS).

Il food for thought paper, peraltro allegato alla lettera d’invito ai Ministri della Difesa da parte del Segretario Generale della NATO, costituisce la struttura concettuale necessaria quale approccio strategico di lungo termine  alla Smart Defence, da approvare al Vertice di Chicago.

In esso, viene ribadito che la Smart Defence rappresenta la strategia della NATO per assicurare lo sviluppo continuo delle capacità necessarie per far fronte alle sfide alla sicurezza globale in un momento di scarsezza di risorse in aderenza al Concetto Strategico. In altre parole, essa rappresenta la strategia per l’acquisizione delle capacità necessarie per mantenere il livello di ambizione da realizzare attraverso le citate tre componenti interdipendenti: la “prioritizzazione”, la cooperazione cioè l’approccio multinazionale allo sviluppo di progetti e, ove possibile, la specializzazione. L’Alleanza garantirà la supervisione politica e militare, la ricerca della convergenza delle pianificazioni nazionali ed il ruolo di facilitare la cooperazione utilizzando il NATO Defence Planning Process (NDPP).

La NATO quindi dovrà presentarsi al Vertice di Chicago con un chiaro messaggio verso l’esterno che non lasci alcun dubbio sulla solidità dell’Alleanza e sulla chiara volontà di mantenere il proprio livello di ambizione attraverso l’impegno politico per lo sviluppo delle capacità necessarie. Da qui scaturisce l’importanza di presentare un primo elenco di progetti multinazionali e le flagship initiatives.

Da parte italiana, il sostegno nell’iniziativa è testimoniato dai numerosi progetti ai quali partecipiamo, anche come Lead Nation.   Infine, di rilievo, la posizione di alcune Nazioni che percepiscono la Smart Defence come possibile limitazione della propria sovranità nazionale o scusa per ridurre gli investimenti nel settore della difesa.

Il SG NATO integra poi il concetto di Smart Defence, quale strategia di lungo termine (quindi oltre Chicago), con la nuova idea della “Connected Force Initiative”, nella quale compare, tra gli altri, un nuovo elemento dell ‘”Interoperabilità”. Quindi la Smart Defence evolve dall’iniziale elenco di progetti semplici, ai quali invero le Nazioni si sono accostate con una certa tiepidità, ad una vera propria strategia o meglio ad un cambio di mentalità (la NATO ha sempre perseguito la cooperazione multinazionale e l’interoperabilità) per la NATO Force 2020 con progetti ambiziosi ed importanti nei quali impegnarsi per l’acquisizione delle capacità necessarie per mantenere il Level of Ambition in un contesto di perdurante crisi finanziaria.

Rapporti tra l’Unione europea e l’Afghanistan

L'UE persegue in Afghanistan un approccio globale, utilizzando una combinazione di strumenti politici, civili, militari e di sviluppo: in particolare, l'UE concentra il suo impegno sul rafforzamento sia dello stato di diritto, soprattutto tramite la missione EUPOL Afghanistan (vedi infra), sia della capacità statale e delle istituzioni per promuovere il buon governo, i diritti umani e una pubblica amministrazione efficiente. L’UE sostiene inoltre la crescita economica, soprattutto tramite lo sviluppo rurale e il progresso sociale. Le azioni dell'UE offrono sostegno alla strategia di transizione concordata in occasione della Conferenza internazionale sull'Afghanistan, svoltasi a Londra il 28 gennaio 2010, e al passaggio dalla fase transizione alla fase di trasformazione, prevista nella successiva Conferenza internazionale sull’Afghanistan, tenutasi a Bonn il 5 dicembre 2011 (vedi infra).

Le basi della cooperazione tra UE e Afghanistan sono state fissate il 16 novembre 2005 con la firma di una dichiarazione congiunta sul partenariato euro-afgano, che traccia le linee di una cooperazione rafforzata in molte aree, tra le quali: governance politica ed economica, riforma del sistema giudiziario e di sicurezza, lotta alle droghe, sviluppo, diritti umani, società civile e ritorno dei rifugiati, istruzione e cultura.

Viene anche formalizzato un dialogo politico regolare, con incontri annuali a livello ministeriale per discutere i temi di interesse comune.

Piano d’azione per Afghanistan e Pakistan

Nella delicata situazione venutasi a determinare dopo le elezioni presidenziali dell’agosto 2009, l’UE ha deciso di rafforzare il proprio impegno verso il paese e verso la regione,adottando il 27 ottobre 2009, nel corso della riunione del Consiglio affari esteri, un Piano d’azione per l’Afghanistan e il Pakistan che, sulla base di una revisione delle esigenze, è inteso a razionalizzare l’approccio europeo e a identificare le politiche prioritarie, d’intesa con i governi locali.

In particolare, per quanto riguarda l’Afghanistan l'UE si prefigge di:

-        rafforzare le istituzioni afgane. L’UE metterà a disposizione la sua esperienza per rafforzare le deboli strutture di governo locale e le capacità della pubblica amministrazione e per consolidare e le istituzioni democratiche;

-        rafforzare lo Stato di diritto, aiutando il governo afgano a migliorare i quadri giuridico ed istituzionale e sostenendo le iniziative di sensibilizzazione promosse dalla società civile e dai media in materia di lotta alla corruzione. L’UE appoggerà gli sforzi spiegati dall’Afghanistan per ridurre la coltivazione e produzione illegali di sostanze stupefacenti, attraverso programmi in materia di applicazione della legge, sanità pubblica e sviluppo rurale. La priorità accordata dalla missione EUPOL (vedi infra) alle attività di polizia civile è ritenuta di estrema importanza nel contesto afghano. L’UE e gli Stati membri accorderanno inoltre un sostegno vigoroso allo sviluppo delle capacità della società civile afgana affinché essa possa avere un approccio più strategico e coordinato, incentrato sull'interazione con il Parlamento, ed essere maggiormente in grado di fare pressione sul governo afgano in materia di democrazia e diritti umani;

-        promuovere la crescita mediante lo sviluppo agricolo e rurale;

-        rafforzare l'efficacia della presenza e delle attività dell'UE in Afghanistan. Per allineare e coordinare maggiormente gli sforzi della Comunità e degli Stati membri, l'UE manifestava l'intenzione di avere un'unica rappresentanza a Kabul, che riunisca i ruoli del Rappresentante speciale dell’UE e del capo della delegazione della Commissione europea (vedi infra).

-        proseguire l’assistenza umanitaria. L'UE continuerà a fornire assistenza umanitaria ai rimpatriati, agli sfollati interni, alle comunità che vivono in condizioni di insicurezza e agli altri gruppi vulnerabili, compresi quelli colpiti da calamità naturali. L'UE sottolinea la necessità di garantire il pieno rispetto del diritto internazionale umanitario in una situazione in cui lo spazio umanitario si sta sempre più restringendo.

L’impegno dell’Unione europea in Afghanistan

Il Consiglio europeo del dicembre 2009, nelle sue conclusioni, ha sottolineato l'esigenza di un coordinamento stretto e strategico degli sforzi internazionali sotto la guida dell'UNAMA (la missione dell’ONU di assistenza all’Afghanistan), mentre il Consiglio del 22 marzo 2010, ha discusso in ordine agli sviluppi della situazione in Afghanistan e agli sforzi profusi dall'Unione europea nella regione in base al Piano d'azione, per un maggiore impegno dell'UE in Afghanistan e in Pakistan. Con particolare riferimento agli impegni assunti presso la Conferenza di Londra del 28 gennaio 2010, il Consiglio ha sottolineato il proprio sostegno anche per quanto riguarda l'annunciata istituzione del Fondo fiduciario per la pace e il reinserimento per finanziare il programma di pace e reinserimento a guida afgana.

L’impegno dell’UE nei confronti dell’Afghanistan è stato ribadito il 20 luglio 2010, in occasione della Conferenza di Kabul, dall’Alto rappresentante, che ha sottolineato l’importanza attribuita al miglioramento della governance a livello provinciale e distrettuale, determinante per la realizzazione di progressi nei settori politico, economico e sociale. Nell’occasione l’AR ha espresso la propria soddisfazione per la firma dell’accordo di scambio tra Afghanistan e Pakistan - avvenuta il 18 luglio -, sostenendo che ciò avrebbe favorito la cooperazione regionale tra l’Afghanistan e i suoi vicini e offereto opportunità di crescita economica.

Nelle conclusioni del 18 luglio 2011, il Consiglio ha accolto con favore l'avvio del processo di transizione in Afghanistan, che durerà fino alla fine del 2014, dichiarandosi pronto a sostenere tale processo, pur sottolineando l'importanza di uno stretto coordinamento tra tutte le parti coinvolte. In questo contesto, ha riconosciuto gli sforzi dell’Alto Consiglio per la Pace per creare un ampio consenso nazionale a sostegno della pace e della riconciliazione[7].

Il Consiglio ha ribadito la necessità di rendere disponibili risorse adeguate per finanziare l'azione futura dell'UE in Afghanistan, anche per l'attuazione coordinata del Piano d'azione sia da parte degli Stati membri che dall'Unione europea. Sarà, quindi, necessario implementare i meccanismi di coordinamento con tutti gli attori internazionali, tra cui la NATO, sotto la leadership afgana, per raggiungere obiettivi comuni, come la riforma del sistema elettorale e il rafforzamento delle istituzioni indipendenti elettorali[8], favorendo, in questo contesto, una maggiore cooperazione tra le istituzioni dell'UE, il Parlamento afgano e la società civile afgana.

Il Consiglio del 14 novembre 2011

L'impegno internazionale in Afghanistan sta evolvendo dalla focalizzazione su sicurezza e stabilizzazione verso la cooperazione politica ed economica. Dopo il 2014, un Afghanistan pienamente sovrano sarà totalmente responsabile della propria sicurezza e si adopererà per trasformarsi in un membro stabile e responsabile della comunità internazionale. Per assicurare la conclusione positiva di tali processi, la comunità internazionale dovrà continuare a sostenere l'Afghanistan nel suo passaggio dalla “transizione” alla “trasformazione”. Il Consiglio ribadisce, pertanto, la ferma determinazione dell'UE a continuare il suo impegno quale partner forte e affidabile per il governo e il popolo afgani anche a transizione completata.

Il Consiglio si aspetta che la Conferenza di Bonn (vedi infra) ponga l'accentosull'ulteriore rafforzamento delle istituzioni di governance afgane. Ritiene che, affinché le strutture democratiche che l'UE ha contribuito a costruire si sviluppino ed operino in modo sostenibile, è necessario che l'Afghanistan mostri risultati tangibili nell'attuazione degli impegni assunti nella Conferenza di Kabul, in particolare, nei settori della governance e del rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto, nonché per quanto riguarda la gestione responsabile dei fondi pubblici.

Pertanto, nel corso nel processo di transizione in vista del 2014, facendo seguito alle conclusioni del 18 luglio 2011 e al Piano d'azione dell'ottobre 2009, l'UE ribadisce la sua disponibilità a sostenere l'Afghanistan, coordinandosi e cooperando con l'ONU, la NATO e gli altri organismi internazionali competenti.

Il Consiglio ha adottato una decisione che autorizza la Commissione europea e l'Alto rappresentante a negoziare un accordo di cooperazione sul partenariato e sullo sviluppo con l'Afghanistan. Il mandato fa esplicito riferimento alla cooperazione nei settori comprendenti, tra gli altri, lo sviluppo, l'antiterrorismo, la lotta al narcotraffico, la lotta contro la criminalità internazionale, la migrazione, il commercio, l'ambiente, inclusi i cambiamenti climatici, e la cooperazione economica e culturale. Per la prima volta, l'accordo creerà un quadro globale coerente e giuridicamente vincolante per le relazioni dell'UE con l'Afghanistan in cui saranno enunciati valori comuni nonché diritti e obblighi reciproci, dando vita ad un impegno a lungo termine alla cooperazione con l'Afghanistan fino al 2014, e oltre.

L'UE ribadisce, infine, il proprio sostegno alla riconciliazione e al reinserimento a guida afgana, conformemente alle condizioni fissate nelle conclusioni del Consiglio del 18 luglio 2011. Si compiace delle misure concordate durante la “Conferenza di Istanbul per l’Afghanistan: sicurezza e cooperazione nel cuore dell’Asia”, del 2 novembre 2011, comprese le misure per rafforzare la fiducia in quella sede proposte e le riunioni tecniche in preparazione della riunione ministeriale che si terrà a Kabul nel 2012.

La Conferenza internazionale di Bonn del 5 dicembre 2011

Nell’ambito della Conferenza di Bonn, a cui hanno partecipato i rappresentanti di 85 Paesi più 17 organismi internazionali, la comunità internazionale ha fatto il punto sul processo di transizione, ponendo le basi per un impegno internazionale a lungo termine. È stato ribadito l’impegno a sostenere l’Afghanistan anche dopo il 2014, a condizione che, dopo il decennio della "transizione", si apra il decennio della "trasformazione" (2015-2024), durante il quale si affermi un nuovo modello di relazioni tra Afghanistan e comunità internazionale, attraverso il consolidamento della sovranità dell’Afghanistan e del suo ruolo nel processo di pace e di stabilizzazione della regione. I settori considerati sono cinque: governance, sicurezza, processo di pace, economia e sviluppo sociale e cooperazione regionale.

Con riferimento alla governance, si afferma la necessità che l’Afghanistan promuova le libertà fondamentali e i diritti umani, compresi i diritti delle donne e dei bambini, così come lo sviluppo di una libera società civile, soprattutto attraverso la partecipazione dei giovani al processo democratico. Si sottolinea l’importanza della corrispondenza tra la riforma del sistema della giustizia e la trasparenza delle istituzioni, così come del rafforzamento dello Stato di diritto e della lotta alla corruzione, che restano obiettivi prioritari per lo sviluppo futuro del paese. Nell’ambito del sostegno a questo processo, giocano un ruolo fondamentale gli attori internazionali e le Nazioni Unite, in particolare attraverso l’UNAMA, il cui mandato è in via di revisione in seguito al rafforzamento delle capacità del governo afgano di guidare il processo di transizione. 

Con riferimento alla sicurezza, la Conferenza considera positivamente l’avvio del processo di transizione, che si concluderà nel 2014, e la determinazione dell’Afghanistan nel combattere il terrorismo e l’estremismo. Parallelamente, la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (ISAF) ha iniziato un graduale ritiro, mentre il supporto internazionale alla Forza di sicurezza nazionale afgana (ANSF) proseguirà oltre il 2014, con l’obiettivo di dare sostegno al processo di pace e di sicurezza regionale e globale.

Per quanto riguarda il processo di pace, si evidenzia la necessità di una soluzione politica al fine di assicurare una stabilità duratura, unita alla capacità dell’Afghanistan di difendersi in modo autonomo: negoziati e pacificazione sono elementi chiave di tale soluzione. In questo quadro, la comunità internazionale sostiene l’azione dell’Alto consiglio di pace e del Programma di pace e reinserimento afgano, che deve essere guidato dall’Afghanistan nell’interesse della sua popolazione e che si basa sui seguenti principi: affermazione della sovranità nazionale, rinuncia alla violenza, lotta al terrorismo internazionale, rispetto per la Costituzione afgana, difesa dei diritti umani e dei diritti delle donne.

Con riferimento all’economia e allo sviluppo sociale, la comunità internazionale accoglie la strategia economica di transizione del governo afgano indicata nel documento “Towards a self-sustaining Afghanistan”. La strategia passa dalla stabilizzazione allo sviluppo della cooperazione a lungo termine, e, pertanto, la comunità internazionale continua a sostenere il paese nei seguenti settori: educazione, salute, agricoltura, energia, sviluppo delle infrastrutture e creazione di posti di lavoro, in linea con quanto stabilito dal Programma strategico nazionale. Si concorda sulla necessità di sviluppare un’economia di mercato sostenibile e in linea con i bisogni della popolazione. In questo quadro, la transizione porterà ad una riduzione della presenza e dell’assistenza internazionale.

La crescita di lungo periodo dell’Afghanistan dipenderà dallo sviluppo dei maggiori settori produttivi (principalmente, agricoltura e settore minerario), dalla riduzione della povertà, dalla creazione di posti di lavoro, da un sistema finanziario stabile e dallo sviluppo del commercio.

Con quanto concerne la cooperazione regionale, l’obiettivo è di creare forti relazioni sostenibili bilaterali e multilaterali, rafforzare i rapporti di buon vicinato e di integrazione dell’economia afgana nella regione. La cooperazione regionale, infatti, è essenziale sia nel campo della sicurezza che dello sviluppo economico. Si prende atto della possibilità di una maggiore integrazione regionale, attraverso il commercio regionale e le reti di transito. Si approvano le conclusioni di Istanbul, con particolare riferimento allo sviluppo di lungo periodo dell’Afghanistan come collegamento con l’Asia del sud, l’Asia centrale, l’Eurasia e il Medioriente.

Presenza dell’UE in Afghanistan

A partire dal dicembre 2001, ha operato nel paese il Rappresentante speciale dell’UE per l’Afghanistan, trasformato per un breve periodo - dal giugno 2009 al 31 marzo 2010 - in Rappresentante speciale dell’Unione europea per l’Afghanistan e il Pakistan.

A partire dal 1° aprile 2010, al fine di facilitare il coordinamento civile dell’azione dell’UE e per effetto del trattato di Lisbona, l'UE dispone di un'unica rappresentanza in Afghanistan, a seguito dell'integrazione della delegazione della Commissione europea a Kabul nell'ufficio del Rappresentante speciale dell’UE per l'Afghanistan. L’incarico è ricoperto dall'ex ministro lituano degli affari esteri, Vygaudas Usackas. Il Rappresentante speciale ha il mandato di: promuovere la posizione dell'Unione sul processo politico e sugli sviluppi in Afghanistan; mantenere uno stretto contatto con le istituzioni afghane pertinenti, in particolare il governo e il parlamento, sostenendone lo sviluppo, nonché con i soggetti interessati a livello regionale e internazionale; informare in merito ai progressi compiuti nell’attuazione della dichiarazione congiunta UE-Afghanistan e del piano d’azione dell’UE per l’Afghanistan e il Pakistan; partecipare attivamente ai consessi locali di coordinamento.

L’Unione europea è inoltre presente nel paese a partire dal giugno 2007 con la missione civile PESD EUPOL istituita con l’azione comune 2007/369/PESC per la durata di tre anni. Il 18 maggio 2010, in vista della scadenza, la missione è stata prorogata di ulteriori tre anni, fino al 31 maggio 2013. La missione intende contribuire alla formazione, in Afghanistan, di un servizio di polizia efficiente, che operi nel rispetto del diritto e in accordo con gli standard internazionali e che sia in grado di rispondere al bisogno di sicurezza dei cittadini. A tal fine essa coinvolge oltre 400 persone, per la maggior parte esperti nei settori del diritto, dell’attività di polizia e della giustizia, con compiti di formazione e consulenza, dislocati a livello centrale, regionale e provinciale. La missione attualmente impiega 16 unità italiane (di cui 12 provenienti dall’Arma dei carabinieri e 4 dalla Guardia di finanza).

Assistenza finanziaria

L’Unione europea è uno dei principali donatori del paese. Tra il 2002 e il 2010 ha messo a disposizione dell’Afghanistan più di 2 miliardi di euro, raggiungendo un importo superiore rispetto agli impegni assunti in occasione della Conferenza internazionale per l’assistenza alla ricostruzione dell’Afghanistan tenutasi a Tokyo nel gennaio 2002. Tali risorse - inclusi 345,2 milioni di euro destinati agli aiuti umanitari  - sono state destinate al sostegno alla riforma della pubblica amministrazione e allo sviluppo rurale.

Per quanto riguarda il periodo 2007-2013, allo scopo di massimizzare i benefici dell’assistenza fornita dall’UE, il documento strategico predisposto dalla Commissione in accordo con il governo afgano stabilisce di concentrare le risorse (1.050 milioni di euro per l’intero periodo) in sei aree, di cui tre prioritarie, cui va quasi il 90 per cento delle risorse (sviluppo rurale, salute e governance) e tre non prioritarie (protezione sociale, sminamento e cooperazione regionale).

In occasione della presentazione del Rapporto sulla strategia europea in Afghanistan al Parlamento europeo, il 15 dicembre 2010, l’Alto rappresentante, Catherine Ashton, ha dichiarato che la base del programma di assistenza per l’Afghanistan verrà aumentata da 150 a 200 milioni di euro all’anno. Pertanto, per il periodo 2011-2013, la Commissione si accinge ad impiegare 600 milioni di euro, con un incremento del 30 per cento rispetto al periodo 2007-2010. I 600 milioni di euro destinati all’assistenza allo sviluppo sono così ripartiti in percentuale tra i settori:

·         Sviluppo rurale: 35-40%;

·         Governance e Stato di diritto: 35-40%;

·         Salute e protezione sociale: 18-21%;

·         Supporto per la cooperazione regionale: 2-4%.

Il 21 novembre 2011, la Commissione ha previsto un nuovo finanziamento di 1,5 milioni di euro per fornire assistenza alimentare alle 72.000 vittime della siccità nel nord dell’Afghanistan, portando l’importo della risposta a questa crisi, nell’ambito della politica di assistenza alimentare, a 4,5 milioni di euro.    

Diritti umani

Della situazione dei diritti umani in Afghanistan si è occupata la relazione sull’azione dell’UE in materia di democrazia e diritti umani nel mondo, presentata Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza l’11 maggio 2010. Secondo la relazione, malgrado alcuni progressi significativi dalla caduta dei Talebani in poi, l'Afghanistan continua a soffrire di alcuni problemi: il processo di giustizia per le violazioni dei diritti umani commesse prima della caduta dei Talebani, la tutela dei diritti delle donne e dei bambini, un sistema giudiziario inaffidabile, la pena di morte, le detenzioni arbitrarie, le limitazioni alla libertà di espressione.

Conformemente agli orientamenti dell'UE sulle violenze contro le donne e la lotta contro tutte le forme di discriminazione nei loro confronti, l'UE ha continuato ad incoraggiare il governo afgano a rispettare i suoi impegni internazionali in materia di diritti umani. Lo scopo è garantire il rispetto dei diritti umani di tutti i cittadini afgani, donne e bambini compresi. L'UE ha inoltre incoraggiato la definizione di un piano d'azione per l'attuazione delle raccomandazioni contenute nelle risoluzioni 1325 e 1820 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulle donne, la sicurezza e la pace.

L'UE è rimasta uno dei principali donatori per quanto riguarda i diritti umani in Afghanistan: l'importo totale dell'assistenza dell'UE e degli Stati membri al paese ammonta a circa un miliardo di euro all'anno. L'UE sostiene il rispetto dei diritti umani mediante lo Strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR). I progetti finanziati dal 2007 a titolo del programma di sostegno con sede nel paese relativo all'Afghanistan vanno dalla promozione della trasparenza e responsabilizzazione del governo alla formazione in diritti umani attraverso la relativa sensibilizzazione.


Recenti sviluppi del quadro afghano

 

 

Gli assalti coordinati condotti dai talebani il 16 aprile nel cuore politico-diplomatico della capitale Kabul ed in altre province nel paese, si sono conclusi, dopo 17 ore di battaglia, con un bilancio di 36 talebani, 8 soldati nazionali e 3 civili afgani uccisi, oltre a numerosi feriti.

Il portavoce degli studenti coranici, Zabihullah Mujahid, nel rivendicare gli attentati, ha affermato non solo che si è trattato di un’operazione pianificata da mesi e destinata a ripetersi in quanto “inizio dell’offensiva di primavera” ma, soprattutto, ha definito l’azione una vendetta per la sequenza di gravi episodi ai danni della parte afgana commessi da militari americani.

Il riferimento è alle copie del Corano bruciate, il 21 febbraio 2012, nella base Usa di Bagram (i responsabili non risultano al momento ancora individuati) che, nonostante le scuse formulate dal generale John Allen, capo della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (ISAF) “al nobile popolo afgano” aveva dato origine ad una violenta ondata di proteste. La vendetta dei talebani è rivolta anche al video, sul quale è in corso un’inchiesta per ora senza risultati pubblici, che mostrerebbe alcuni marines urinare su un talebano morto nonché, ultima in ordine di tempo, alla strage di civili compiuta a Kandahar (12 marzo) da un sergente americano che per questo - come affermato dal Segretario di Stato alla difesa Usa, Leon Panetta nel corso della sua visita di poco successiva all’evento in Afghanistan - rischia la pena di morte. Tale ultimo episodio (del fatto si è scusato lo stesso presidente Obama), per il quale il parlamento afgano ha protestato interrompendo i lavori per un giorno, non pare aver compromesso - a giudizio degli osservatori - i rapporti Usa-Afghanistan; in particolare, come ha assicurato lo stesso esecutivo afgano, prosegue il negoziato bilaterale con gli USA finalizzato a regolare la presenza americana nel paese dopo il 2014, data del ritiro quasi totale dei soldati occidentali dall’Afghanistan.

 

Le modalità del ritiro delle truppe internazionali dal paese sud asiatico saranno al centro del vertice dei Capi di Stato e di Governo dei paesi membri della NATO in calendario il 20-21 maggio 2012 Chicago. In preparazione a tale evento si svolge a Bruxelles il 18 aprile un summit appunto incentrato sulla strategia e sui costi per un riuscito e corretto ritiro delle truppe occidentali dall'Afghanistan, vale a dire sulle condizioni in cui sarà organizzata la cosiddetta "transizione" che porterà al ritiro dei 130mila soldati stranieri ancora presenti sul territorio afgano.

 

Taluni analisti ritengono che proprio al summit NATO di Chicago potrebbe essere presentata la posizione ufficiale Usa su un’accelerazione del ritiro, ipotesialla quale, come sottolineato da alcuni osservatori, è favorevole il Presidente Usa. Secondo tale lettura, il presidente statunitense si presenterà al vertice nella sua città, Chicago, in una posizione più forte sia grazie ai dati di una exit strategy che inizia a dare i suoi frutti (al riguardo si rimanda alla parte successiva della presente Nota), sia proprio grazie alla scelta, accelerata dalla vicenda di Kandahar, di procedere a un ritiro più rapido dei militari dal teatro; gli stessi osservatori, tuttavia, non omettono di rammentare che, in pubblico, Obama, per non scontentare settori del Pentagono e i parlamentari più critici, si dice favorevole ad un’uscita senza troppa fretta. Riprendendo dati pubblicati dal New York Times, essi aggiungono alle 22mila unità circa che è già stabilito saranno ritirate entro settembre 2012 ulteriori 20mila soldati da riportare in patria entro metà 2013. Tale “manovra” ridurrebbe il contingente, e le relative spese, della metà rispetto al 2011 (quando in teatro erano presenti circa 100mila soldati americani), ben prima della scadenza per il ritiro quasi totale fissata al 2014 dalla Conferenza di Bonn (dicembre 2011).

Tale accelerazione, viene sottolineato dagli osservatori, deve tener conto delle recenti osservazioni dell’amministrazione Usa in merito alla necessità di valutare con attenzione l’evoluzione delle condizioni di sicurezza nel settore orientale afgano destinato ad essere la sede dei più intensi sforzi anti-insurrezione nell’anno in corso e ritenuto particolarmente problematico in termini di  stabilizzazione per l’elevata permeabilità agli insurgents.

 

Il vertice NATO di Chicago, al quale potrebbe partecipare il Pakistan, grande assente della Conferenza di Bonn del dicembre 2011 per protesta per il raid NATO che aveva provocato la morte di oltre 20 soldati pakistani,  potrebbe quindi di risolversi in un successo per il Presidente - a suo tempo accusato di debolezza, sul fronte politico interno, per le scuse profuse dopo gli attentati - e per la sua linea, favorevole sia all’accelerazione dell’uscita dei soldati pur mantenendo un piede in Afghanistan, sia alla conclusione di una guerra sempre meno accetta dall’opinione pubblica americana.

 

Anche il Presidente afgano Hamid Karzai – sempre debole sul piano politico interno – sembra trarre vantaggio dagli ultimi sviluppi.

Karzai, indispettito nei mesi scorsi dalla gestione del negoziato coi talebani condotto da Berlino e Washington senza consultarlo, ha avuto un primo successo nella trattativa sulla permanenza in Afghanistan dopo il 2014 di formatori dell’esercito americano (per tale presenza, peraltro, non è stato fissato alcun limite di tempo), avendo ottenuto il passaggio sotto la giurisdizione nazionale dei detenuti afgani presenti nella base Usa di Bagram (Afghanistan orientale), un’ala della quale è adibita a prigione di guerra, questione ritenuta dirimente, sulla quale gli USA hanno ceduto.

E dalla strage di civili a Kandahar da parte di un sergente statunitense è derivato un ulteriore punto a favore di Karzai su un tema reiteratamente posto sul tavolo della discussione con le forze internazionali: l’8 aprile è stato concluso un  accordo tra governo afgano e Nato sui raid notturni, in base al quale la decisione finale circa la loro effettuazione, nonché la loro guida, è stata assegnata a Kabul, mentre le forze non afgane opereranno in ruolo di sostegno. Gli osservatori USA hanno sottolineato che l’accordo, indubitabilmente accelerato dall’insistenza afgana, è tuttavia sintomatico dei progressi compiuti nella trasmissione di responsabilità alle forze nazionali e in tal senso costituisce un’interessante novità da considerare, in un momento in cui il dibattito pubblico statunitense sulla guerra in Afghanistan è orientato totalmente in negativo, per resistere a fatalistiche tentazioni di prematuro ritiro dal paese.

Viene osservato che tali successi potrebbero indurre il Presidente afgano a rivendicare come effetto della propria azione l’accelerazione dell'uscita di scena di gran parte dei soldati NATO e USA, per servirsene sia nella trattativa coi talebani, sia nei confronti delle forze parlamentari che, per quanto riottose nei  suoi confronti, non appaiono in grado di organizzare un’opposizione coordinata.

 

Quanto alla situazione sul fronte talebano, in un recente articolo a firma di due senior fellows di Brookings Institution apparso sul Wall Street Journal (A Stable Afghanistan Is Still Possible, 11 aprile 2012)si afferma che i problemi dei talebani, che oltre ad aver perso la guerra sul campo sarebbero estremamente impopolare tra la popolazione, fanno impallidire quelli, non certo risolti, della coalizione internazionale.

Ognuno degli assi portanti della rappresentazione della realtà di parte talebana, ossia che il governo del presidente Karzai è un fantoccio corrotto destinato a cadere dopo la partenza delle truppe NATO; che i paesi NATO sono in cerca di un pretesto per ritirarsi da una guerra che sanno di non poter vincere; che il massacro dei civili afgani (cui si è fatto cenno) da parte del sergente USA Robert Bales a marzo è la prova che gli occidentali non si preoccupano del popolo afgano; che i talebani sono i protagonisti della scena, come dimostrato dagli attacchi spettacolari effettuati nella capitale Kabul e altrove negli ultimi due anni; ognuno di tali assi portanti è qualificato nell’articolo del WSJ come qualcosa che sta tra l’esagerazione e la menzogna.

Nella realtà - riporta il quotidiano Usa - Kabul è una città abbastanza sicura proprio grazie all’azione delle forze afgane; giacché meno dell'1% di tutti gli attacchi nemici si verificano lì, statisticamente la capitale è molto meno pericolosa della corrispondente irachena Baghdad o pakistana Karachi. Eppure il racconto quotidiano dei media talebani sottolinea esclusivamente gli attacchi spettacolari ignorando del tutto i trend non conformi a tale lettura. Quanto al controllo del territorio, l’articolo registra la diminuzione della violenza nel settore meridionale del paese, dove la NATO afferma di aver scoperto la maggior parte se non tutti i nascondigli di armi, e il generale miglioramento del controllo governativo sulle province di Kandahar e Helmand (rispettivamente a sud e sud ovest del paese); quanto ai settori nord e ovest del territorio afgano, se qui si registrano condizioni peggiori rispetto al quinquennio 2002-2007, il quadro appare tuttavia migliorato rispetto al biennio 2009-2010, con tendenza a non deteriorarsi ulteriormente. Le Forze di sicurezza afgane, per parte loro, conducono il 40% delle operazioni a livello nazionale e, come affermato dal comandante delle forze Usa, generale John Allen, sono costituite da soldati "migliori di quanto pensassimo"

 

Va sottolineato che tali dati, assai simili a quelli forniti dal Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica in conferenza stampa a Bruxelles il 2 aprile, confortano, è stato sottolineato, l’ipotesi di una transizione raggiungibile e sostenibile.

Anders Fogh Rasmussen ha affermato che gli attacchi imputabili agli insurgents nei primi due mesi del 2012 sono diminuiti del 22% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e che da maggio 2011 si è registrata una costante tendenza alla diminuzione degli attacchi. Quanto alle capacità delle forze di sicurezza nazionali Rasmussen ha affermato che esse guidano il 28% delle operazioni speciali, il 42% delle operazioni convenzionali e l’85% delle attività di addestramento.

 

Quanto a Karzai, l’articolo del WSJ definisce il Presidente afgano una sfida (challenge) e la gestione, da parte statunitense, della vicenda della sua non democratica rielezione nel 2009 è definita il più grande errore di Obama nella guerra; l’articolo propugna il rafforzamento del sistema politico dell’Afghanistan attraverso il sostegno ai partiti politici ed ai candidati di opposizione “to create the ingredients for a good 2014 election to replace him”.

 

Nonostante il tono spavaldo del loro eloquio - prosegue l’articolo - talebani non sarebbero affatto in posizione di forza; se è vero che l’ISI (Inter-Services Intelligence) ancora ne protegge i leader, è vero, altresì, che la cattura di centinaia di capi talebani nel corso degli anni ne ha decimato lo schieramento, lasciando sul campo comandanti per lo più molto giovani.

Lo stesso interesse mostrato dai talebani per i colloqui di pace, che hanno peraltro interrotto, sarebbe sintomatico del loro senso di vulnerabilità.

 

In uno scenario ancora problematico e con un’insurrezione destinata probabilmente a persistere dopo il 2014 - conclude l’articolo del WSJ - l’obiettivo da perseguire con convinzione, nella consapevolezza che l’exit strategy è in fase di piena attuazione, è quello di mettere le forze afgane in grado di combattere da sole, pur col sostegno, dopo il ritiro delle truppe, di 10-20mila unità di forze straniere e con supporto aereo, di intelligence, di addestramento e per le operazioni speciali. Pertanto va evitata ogni accelerazione verso tale obiettivo, sia perché lascerebbe l’area orientale dell’Afghanistan troppo infiltrata dagli insurgents sia perché l’accelerazione non consentirebbe il completamento della formazione delle truppe afgane, che può aversi solo in ambito di formazioni di combattimento NATO e non col mero ausilio di consulenti.

 

Con riferimento alla data ed alle modalità di svolgimento delle elezioni presidenziali 2014, che coincidono con la conclusione della transizione delle truppe internazionali, va segnalato che si tratta di uno dei temi centrali nelle recenti polemiche politiche afgane che vedono ancora una volta contrapposti a Karzai il leader tagiko Muhammad Yunus Qanani, ex presidente della Camera bassa del Parlamento (Wolesi Jirga) e sfidante di Karzai alle presidenziali del 2004 e l’ex ministro degli esteri, Abdullah Abdullah, sconfitto da Karzai alle presidenziali 2009: entrambi gli esponenti politici hanno di recente accusato il Karzai di non farsi carico dei problemi del paese perseguendo politiche che potrebbero bruciare i progressi e le conquiste dell’ultimo decennio, fino al punto di riaprire la strada al ritorno dei talebani al potere (Qanani).

 

 


 

 

 


Condivisione e messa in comune delle capacità nel settore della difesa dell’UE

Lo sviluppo delle capacità militari dell’Unione europea è un processo avviato a partire dalle conclusioni del Consiglio europeo di Coloniadel giugno 1999 secondo cui “l'Unione deve avere la capacità di condurre azioni in modo autonomo, potendo contare su forze militari credibili, sui mezzi per decidere di farle intervenire e sulla disponibilità a farlo, al fine di rispondere alle crisi internazionali lasciando impregiudicate le azioni della NATO",

Su tali basi, il Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999 ha fissato l'obiettivo primario dal punto di vista operativo (cosiddetto “Helsinky Headline Goal”), da raggiungere entro il 2003: gli Stati membri si sarebbero dovuti dotare, grazie ad una cooperazione volontaria alle operazioni dirette dall'UE, della capacità di schierare nell'arco di 60 giorni e mantenere per almeno un anno forze militari complessive fino a un massimo di 50.000-60.000 uomini, da impiegare in missioni umanitarie e di mantenimento e ristabilimento della pace (cioè le c.d. Missioni di Petersberg).

Nel 2004 è stato fissato il nuovo obiettivo globale di capacità militari (Headline Goal 2010), mirante a coprire l’intero spettro delle possibili missioni di gestione di crisi UE, nella prospettiva “ampliata” dalla Strategia Europea di Sicurezza del 2003. Tale progetto è basato su di un approccio a tappe, fra le quali l’avvenuta creazione dell’Agenzia Europea per la difesa; la già compiuta realizzazione dei Battle Groups (forze di reazione rapida da 1500 uomini schierabili in 5/10 giorni per almeno 60 giorni, con l’obiettivo di fare fronte a contingenze contenute nel tempo o a servire quale “entry force” per operazioni più ampie); la progressiva integrazione degli assetti di trasporto aereo strategico; lo sviluppo di nuove capacità di trasporto marittimo; lo sviluppo di un sistema di comunicazioni integrato; l’incremento quantitativo e qualitativo delle forze armate nazionali e lo sviluppo di adeguate sinergie tra le forze armate nazionali.

Il livello di ambizione civile-militare globale per i prossimi anni è stato fissato nel 2008 con ladichiarazione sul rafforzamento delle capacità del Consiglio europeo dell’11 e 12 dicembre 2008.

Nello specifico, l'UE dovrebbe essere effettivamente in grado nei prossimi anni, nell'ambito dell’obiettivo già stabilito, ossia il dispiegamento di 60.000 uomini in 60 giorni per un'operazione importante, di pianificare e condurre simultaneamente:

-     due importanti operazioni di stabilizzazione e ricostruzione, con un'adeguata componente civile sostenuta da un massimo di 10.000 uomini per almeno due anni;

-     due operazioni di reazione rapida di durata limitata utilizzando segnatamente i gruppi tattici dell'UE;

-    un'operazione di evacuazione d'emergenza di cittadini europei (in meno di 10 giorni), tenendo conto del ruolo primario di ciascuno Stato membro nei confronti dei suoi cittadini e ricorrendo al concetto di Stato guida consolare;

-    una missione di sorveglianza/interdizione marittima o aerea;

-    un'operazione civile-militare di assistenza umanitaria della durata massima di 90 giorni;

-    una dozzina di missioni civili PESD (segnatamente, missioni di polizia, di Stato di diritto, di amministrazione civile, di protezione civile, di riforma del settore della sicurezza o di vigilanza) in forme diverse, incluso in situazione di reazione rapida, tra cui una missione importante (eventualmente fino a 3000 esperti) che potrebbe durare vari anni.

In tale contesto, le attuali esigenze di miglioramento della capacità di reazione e di maggiore coerenza nell’azione esterna dell’UE, con particolare attenzione anche al rapporto costi-efficacia,  hanno reso necessaria la realizzazione del c.d. “comprehensive approach” nella gestione delle crisi, incentrato su una più stretta interazione tra componenti civili e militari, nonché iniziative di “pooling and sharing” in campo militare.

Pooling & sharing

Il cosiddetto “Pooling & Sharing” identifical’insieme delle misure volte alla razionalizzazione dellecapacità militari europee attraverso l’accorpamento e la condivisionedelle stesse in una prospettiva di economia generale, anche al fine di affrontare la difficilesituazione economico-finanziaria dei Paesi membri.

Come indicato nel documento di riflessione tedesco-svedese relativo all’intensificazione della cooperazione militare del novembre 2010, l’obiettivo è quello di preservare e incrementare le capacità operative nazionali, puntando a migliorare l'efficacia operativa, l'efficienza economica e la sostenibilità.

I bilanci della difesa europea – in costante e rapida diminuzione già nel corso dell’ultima decade – hanno infatti subito ulteriori tagli[9] con la recente crisi finanziaria. L’utilizzazione del pooling and sharing come mezzo per affrontare l’impatto della crisi finanziaria sulla capacità di difesa europea è dunque diventato un tema importante nell’agenda dell’UE.

L’impulso politico alle iniziative di pooling and sharing è venuto nel settembre 2010 dai ministri della difesa riuniti a Gand in modo informale e successivamente nella riunione del Consiglio del 9 dicembre 2010.

In quell’occasione, i ministri della difesa hanno sollecitato gli Stati membri a cogliere tutte le opportunità di cooperare nel campo dello sviluppo delle capacità, sottolineando in particolare la necessità di mettere a punto opzioni di messa in comune e condivisione sulla base di esempi multilaterali positivi come il comando europeo di trasporto aereo, avviato nel settembre 2010. Gli Stati membri sono stati incoraggiati ad esaminare sistematicamente le loro capacita militari nazionali e le loro strutture di supporto, tenendo conto di criteri quali l'efficacia operativa, l'efficienza economica e la sostenibilità.

Su tali basi, il Consiglio ha concordato di realizzare un inventario dei progetti in cui sia possibile condividere e mettere in comune capacità militari per evitare duplicazioni e tagliare i costi, chiedendo all'Agenzia europea per la difesa di facilitare l'individuazione dei settori per la messa in comune e la condivisione, tenendo conto della diversità delle esperienze nei vari Stati membri, e a sostenere gli Stati membri negli sforzi volontari volti ad attuare le iniziative di messa in comune e condivisione.

Sulla base del lavoro e delle proposte elaborate dall’Agenzia della difesa, successivamente i ministri della difesa hanno identificato le seguenti iniziative Pooling & Sharing, nel cui ambito gli Stati membri stanno già collaborando, con l’intermediazione dell’Agenzia europea per la difesa: rifornimento di carburante aria-aria; munizioni "intelligenti"; formazione degli equipaggi aerei; addestramento e logistica navale; poli di trasporto europei; intelligence, sorveglianza e ricognizione, compresa la sorveglianza dell'ambiente spaziale; supporto medico; comunicazioni satellitari militari; sorveglianza marittima; addestramento al volo in elicottero; comunicazione satellitare.

Il Consiglio di marzo 2012

Il 22 marzo 2012 i ministri della difesa hanno adottato conclusioni in materia, in cui esprimono soddisfazione per  i sostanziali progressi fatti nella messa in comune e condivisione delle capacità militari attraverso progetti concreti facilitati dall’Agenzia europea per la difesa, quali il rifornimento aria-aria, l’istituzione di una unità multinazionale di supporto medico; la formazione degli elicotteristi e la sorveglianza marittima.

Il Consiglio ha ricordato tuttavia l'esigenza di sviluppare la cooperazione in materia di capacità militari su una base di lungo termine e più sistematica, il che richiederà un cambiamento di mentalità e impegni politici continui, e incoraggiato gli Stati membri ad esplorare sistematicamente la possibilità di soluzioni di pooling and sharing già nelle fasi iniziali dei processi nazionali.

Nel contesto di ulteriori sviluppi, il Consiglio ha manifestato apprezzamento per il lavoro condotto dall’Agenzia per favorire la cooperazione multinazionale: richieste di condivisione, procedure armonizzate e messa in comune di equipaggiamenti in surplus sosterranno i progressi in termini di capacità e ridurranno i costi.

Riconoscendo le implicazioni del settore della difesa per l’innovazione e la crescita, il Consiglio ha notato con preoccupazione la riduzione generale degli investimenti nei settori ricerca e tecnologia collegati alla difesa e le conseguenze sulla possibilità dell’Europa di sviluppare ulteriori capacità. Il Consiglio ha dunque incoraggiato l’Agenzia e la Commissione a favorire la sinergia con le altre politiche europee e con il settore della ricerca, ivi incluso il nuovo programma europeo su ricerca e tecnologia Horizon 2020.

Il Consiglio ha infine espresso soddisfazione per la cooperazione tra UE e NATO per lo sviluppo di capacità militari nelle situazioni di crisi, con particolare riguardo alle iniziative Pooling and Sharing dell’UE e Smart Defence della NATO, e ha incoraggiato fortemente a proseguire in maniera trasparente i produttivi contatti tra gli staff delle due organizzazioni.

L’Agenzia europea di difesa

L’Agenzia europea di difesa (AED)è stata istituita con l’azione comune 2004/551/PESC del Consiglio del 12 luglio 2004, al fine di sostenere gli Stati membri ed il Consiglio nell’impegno di promuovere le capacità di difesa europee nel settore della gestione delle crisi, nonché per supportare la politica europea di sicurezza e difesa.

Il Trattato sull’Unione europea (TUE) ha istituzionalizzato l’Agenzia, ponendola sotto l’autorità del Consiglio e incaricandola di: individuare le esigenze operative; contribuire a individuare e, se del caso, mettere in atto qualsiasi misura utile a rafforzare la base industriale e tecnologica del settore della difesa; partecipare alla definizione di una politica europea delle capacità e degli armamenti; assistere il Consiglio nella valutazione del miglioramento delle capacità militari (articolo 42 del TUE).

Come stabilito dall’articolo 45 del TUE, l'Agenzia europea per la difesa è aperta a tutti gli Stati membri che desiderano parteciparvi. Nell'ambito dell'Agenzia sono costituiti gruppi specifici che riuniscono gli Stati membri impegnati in progetti congiunti. L'Agenzia svolge i suoi compiti in collegamento con la Commissione, se necessario.

Come anticipato, nel contesto delle iniziative di pooling and sharing l’Agenzia fornisce il quadro generale e mette a disposizione degli Stati membri competenze e pareri su aspetti finanziari, legali e contrattuali. L’Agenzia inoltre esamina e propone modi per ottimizzare l’uso delle capacità esistenti in Europa, sviluppando modelli generici di cooperazione disegnati sulle migliori pratiche. Esamina anche modi per migliorare gli strumenti attualmente in uso per favorire il pooring and sharing, vale a dire il Capability Development Plan e il database collaborativo.

Il primo è uno strumento strategico, che prefigura le necessità in termini di capacità militari nel breve, medio e lungo periodo nei settori della ricerca e della tecnologia, degli armamenti e dell’industria della difesa, tenendo conto dell’impatto delle future sfide per la sicurezza, dello sviluppo tecnologico e di altri cambiamenti. Il Capability Development Plan assiste inoltre gli Stati membri nella pianificazione dei programmi nazionali di difesa.

Un importante strumento del Capability Development Plan è il database collaborativo, che consente agli Stati membri di pubblicare progetti in corso e opportunità di cooperazione nell’intero ciclo di acquisizione: nel più lungo periodo, quando sarà pienamente operativo, il database non sarà elusivamente uno strumento per trovare opportunità di collaborazione ma fornirà una completa rassegna delle attività nel settore della difesa, in materia di ricerca e tecnologia, formazione, approvvigionamento.

Il Parlamento europeo

Il 14 dicembre 2011 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che, analizzando l'impatto della crisi finanziaria sulla difesa, propone come unica soluzione la convergenza delle capacità a livello europeo e un'attenzione maggiore alla ricerca e allo sviluppo.

In particolare secondo il PE la condivisione delle capacità non deve essere considerata come la soluzione di breve periodo al momento di crisi, ma come una regola da seguire d'ora in avanti per edificare una risposta europea efficiente e coesa.

Secondo il PE la messa in comune delle risorse deve andare di pari passo con una crescente specializzazione, in base alla quale gli Stati membri che rinunciano a determinate capacità possono essere certi che saranno messe a disposizione da altri. A tal fine, riconosce che sarà necessario un serio impegno politico da parte dei governi nazionali.

Inoltre il PE:

·       invita gli Stati membri a fare un uso creativo dei vari modelli di messa in comune e condivisione che è possibile individuare, come (1) la messa in comune attraverso la proprietà congiunta, (2) la messa in comune dei beni di proprietà nazionale, (3) la messa in comune dell'acquisizione di beni, o (4) la condivisione dei ruoli e dei compiti, nonché delle loro combinazioni a seconda dei casi, e chiede progressi rapidi soprattutto nei settori sopra indicati;

·       per quanto riguarda la «proprietà congiunta», invita gli Stati membri ad esaminare la possibilità che talune attrezzature vengano acquistate congiuntamente da consorzi di Paesi o dalla stessa Unione europea, ispirandosi ad iniziative come la capacità di trasporto aereo strategico della NATO o Galileo dell'Unione europea, oppure a cercare possibilità di finanziamento o cofinanziamento da parte dell'UE di attrezzature acquistate da consorzi di Stati membri; sottolinea il potenziale della proprietà congiunta per le attrezzature più costose, nonché per le capacità spaziali o i velivoli da trasporto strategico;

·       per quanto riguarda la «messa in comune dei beni di proprietà nazionale», considera l'iniziativa sul Comando europeo del trasporto aereo, avviata da quattro Stati membri, come un esempio particolarmente utile, in cui viene ottimizzato l'uso delle capacità esistenti attraverso il trasferimento di alcune competenze ad una struttura comune, pur mantenendo la piena proprietà nazionale dei beni;

·       mette in evidenza per quanto riguarda la «messa in comune dell'acquisizione di beni», i potenziali benefici che deriverebbero dall'acquisizione congiunta dei beni in termini di economie di scala, costruzione di una valida base industriale, interoperabilità e successive possibilità di messa in comune e condivisione in materia di assistenza in servizio, manutenzione e formazione;

·       per quanto riguarda «la condivisione dei ruoli e dei compiti», ritiene che esempi positivi siano rappresentati da iniziative quali la cooperazione franco-belga nel campo della formazione per piloti di aerei da caccia, l'accordo franco-britannico sulla condivisione dei vettori aerei, l'iniziativa franco-tedesca in materia di formazione per piloti da elicottero o la cooperazione marina belgo-olandese, nell'ambito della quale una serie di strutture nazionali di supporto viene condivisa tra i partner.

Il Parlamento europeo sottolinea inoltre il ruolo importante svolto dall'AED nel proporre progetti multilaterali, coordinare i programmi degli Stati membri e gestire i programmi di cooperazione in materia di ricerca e tecnologia ed esorta gli Stati membri ad utilizzare il potenziale offerto dall'Agenzia in termini di supporto amministrativo e legale e ad affidarle la gestione delle loro iniziative di cooperazione e sottolinea che l'AED ha bisogno di ricevere i mezzi necessari per far fronte a un aumento delle sue responsabilità.

Il PE ritiene che permangano significativi divari strutturali che devono essere affrontati in modo coordinato a livello di Unione e che, pertanto, a un certo punto gli accordi bilaterali o regionali debbano essere integrati nella più ampia prospettiva europea, provvedendo affinché garantiscano allo sviluppo della Politica di sicurezza e difesa comune (PSDC). In tale contesto, secondo il PE all'Agenzia europea per la difesa dovrebbe essere conferito un ruolo nel garantire la coerenza globale degli sforzi profusi nel quadro della PSDC.

Il PE ritiene che un Quartier generale civile-militare operativo dell'Unione europea, più volte richiesto, non solo migliorerebbe notevolmente la capacità dell'Unione di sostenere la pace e la sicurezza internazionale, ma nel lungo periodo darebbe origine a un risparmio per i bilanci nazionali nella logica della messa in comune e della condivisione.

Il PE giudica favorevolmente l'iniziativa «Smart Defence» in seno alla NATO e ribadisce l'importanza di un coordinamento continuo e di una prevenzione della conflittualità tra l'UE e la NATO a tutti i livelli, al fine di evitare inutili duplicazioni; sottolinea che l'intensificazione della cooperazione pratica UE-NATO, soprattutto per quanto riguarda le risposte alle sfide poste dalla crisi finanziaria, rappresenta un imperativo; invita in particolare l'AED e il Comando alleato della NATO per la trasformazione a collaborare strettamente per garantire che i progetti di messa in comune e condivisione di entrambe le organizzazioni siano complementari e attuati sempre nel quadro previsto con il massimo valore aggiunto.

 

 

 



[1]   Le missioni di Petersberg assumono nel linguaggio corrente tale denominazione dal nome della cittadina tedesca presso Bonn, in cui il 19 giugno 1992 il Consiglio ministeriale della UEO approvò una Dichiarazione che inidividuava la conduzione di questo tipo di missioni tra i compiti spettanti alla stessa UEO. Si tratta delle missioni umanitarie o di evacuazione, delle missioni intese al mantenimento della pace, nonché delle missioni costituite da forze di combattimento per la gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino della pace. Con il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1º maggio 1999, la responsabilità di tali missioni è stata trasferita all’Unione europea.

[2] Fonti: scheda del Ministero degli Affari esteri, settembre 2011; scheda tratta dal sito della NATO, marzo 2012.

[3] 28 Paesi membri della NATO: Albania, Belgio, Bulgaria, Canada, Croazia, Repubblica ceca, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Turchia, Regno Unito, Stati Uniti.

27 Paesi membri dell’UE: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Regno Unito.

[4] La risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 2019 (2011) ha esteso il mandato di EUFOR ALTHEA fino a novembre 2012. La partecipazione dell’Italia è terminata il 21 dicembre 2010.

[5]European Union Naval Force Somalia - Operation Atalanta

 

[6] Il Prague Capabilities Commitment (Pcc) della Nato e lo European Capability Action Plan (Ecap) dell’UE.

[7] Dopo la morte di Osama bin Laden e la creazione di un nuovo regime di sanzioni nei confronti dell’insurrezione afgana, coloro che hanno partecipato alla rivolta hanno l'opportunità di partecipare al processo politico, le cui linee-guida sono state previste dal governo afgano e sostenute dalla comunità internazionale: rinuncia alla violenza, taglio dei legami con Al Qaeda e rispetto della Costituzione afgana, comprese le disposizioni in materia di diritti umani.

[8] Si ricorda che l’Unione europea ha assistito il paese nel corso del processo elettorale del 2009 attraverso un contributo di 35 milioni di euro al Fondo di sostegno elettorale ONU (ELECT) e una missione di osservazione elettorale, con il compito di condurre una valutazione complessiva del processo elettorale e di valutarne la compatibilità con gli standard internazionali e la normativa locale. Il 16 dicembre 2009, in occasione della presentazione del rapporto finale della missione di osservazione elettorale, la Presidenza ha rilasciato una dichiarazione a nome dell'Unione europea in cui sollecita i necessari miglioramenti al sistema elettorale prima dello svolgimento delle elezioni politiche e dei consigli distrettuali. Secondo l’UE questi sforzi dovevano essere avviati senza indugio, avere ampia portata ed essere trasparenti.

[9] Sulla base dei dati forniti dall’Agenzia europea per la difesa, tra il 2008 e il 2010 le spese complessive per la difesa sostenute dagli Stati membri  sono diminuite del 4%.