Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||
Titolo: | Riunione interparlamentare "I Balcani occidentali - Verso un'Europa più integrata" - Bruxelles, 13-14 aprile 2011 | ||
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari Numero: 73 | ||
Data: | 11/04/2011 | ||
Descrittori: |
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Documentazione per le Commissioni
riunioni interparlamentari
Riunione interparlamentare
"I Balcani occidentali - Verso un'Europa più integrata"
Bruxelles, 13–14 aprile 2011
n. 73
11 aprile 2011
Il dossier è stato
curato dall’Ufficio rapporti con
l’Unione europea
(' 066760.2145
* cdrue@camera.it)
Il capitolo “La cooperazione giudiziaria in materia penale e la cooperazione di polizia (il contesto dei Trattati)” è stato curato dal Servizio studi, Dipartimento Giustizia (' 066760.9148)
Il capitolo “Le politiche in materia di immigrazione (normativa italiana)” è stato curato dal Servizio studi, Dipartimento Istituzioni (' 066760.3855)
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INDICE
L’Unione europea e i Balcani occidentali
· Il Processo di stabilizzazione ed associazione
· Il pacchetto allargamento e le relazioni periodiche
· La comunicazione “Balcani occidentali: rafforzare la prospettiva europea”
La cooperazione regionale nel settore culturale e la prospettiva europea dei Balcani occidentali
· Il contesto socio-culturale dei Balcani occidentali nella strategia di allargamento
· La cooperazione giudiziaria in materia penale
Spazio di libertà, sicurezza e giustizia (le più recenti iniziative dell’Unione europea)
Le politiche in materia di immigrazione (normativa italiana)
· Le dimensioni del fenomeno migratorio
· La programmazione dei flussi migratori
· Il contrasto all’immigrazione clandestina
· L’integrazione degli stranieri regolari
· Interventi recenti e prospettive future in materia di immigrazione
· Comunicazione della Commissione “Strategia di allargamento e sfide principali per il periodo 2010-2011” - COM(2010)660
· Comunicazione della Commissione “Rafforzare la prospettiva eueropea dei Balcani occidentali” - COM(2008)127
Come ribadito in più occasioni dalle istituzioni europee, la prossima fase del processo di allargamento dovrebbe riguardare i paesi dei Balcani occidentali[1] che, già in occasione del Consiglio europeo tenutosi a Feira il 19 e 20 giugno 2000, sono stati definiti “candidati potenziali all’adesione all’Unione europea”.
Il Montenegro, l’Albania e la Serbia hanno presentato domanda di adesione all’UE rispettivamente il 15 dicembre 2008, il 28 aprile 2009 e il 22 dicembre 2009; la Croazia e l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia sono già paesi candidati.
L’Unione europea ha inoltre manifestato il proprio sostegno ai paesi della regione anche in occasione della recente crisi economica e finanziaria internazionale, inserendoli nel Piano europeo di ripresa economica presentato dalla Commissione il 26 novembre 2008[2] e approvato dal Consiglio europeo di dicembre 2008. A tal fine, nell’ambito dello strumento finanziario di preadesione (IPA), la Commissione ha creato uno specifico “pacchetto di risposta alla crisi”, con uno stanziamento di 120 milioni di euro (che dovrebbero raggiungere i 500 milioni di euro in forma di prestiti da parte delle istituzioni finanziarie internazionali). Si ricorda che i paesi dei Balcani occidentali beneficiano a partire dal 27 febbraio 2009 dell’iniziativa avviata da BERS, BEI e Banca mondiale che hanno deciso di mettere a disposizione della regione 24,5 miliardi di euro con l’obiettivo di sostenere il settore bancario e imprenditoriale – con particolare riguardo alle piccole e medie imprese - colpito dalla crisi finanziaria globale.
Attualmente le relazioni tra l’Unione europea e i paesi dei Balcani occidentali si svolgono prevalentemente nel quadro del Processo di stabilizzazione ed associazione (PSA), istituito nel 1999. Il processo è la cornice entro cui diversi strumenti sostengono gli sforzi compiuti da questi paesi nella fase di transizione verso democrazie ed economie di mercato stabili; come già anticipato, nel lungo periodo la prospettiva è quella della piena integrazione nell’Unione europea, sulla base delle previsioni del Trattato sull’Unione europea e dei criteri di Copenaghen.
I principali elementi dell’impegno di lungo termine nella regione sono stati proposti in una comunicazione della Commissione del 26 maggio 1999[3] ed approvati dal Consiglio il 21 giugno dello stesso anno. Successivamente, il Vertice di Zagabria del 24 novembre 2000 ha suggellato il PSA, ottenendo il consenso della regione su un insieme definito di obiettivi e condizioni. Gli strumenti che compongono il processo di stabilizzazione ed associazione, formalizzati in quell’occasione, sono stati successivamente arricchiti da elementi ispirati al processo di allargamento nel giugno 2003, con l’approvazione da parte del Consiglio europeo della cosiddetta “Agenda di Salonicco”. Elaborata sulla base di una comunicazione della Commissione di maggio 2003[4], l’Agenda propone una serie di iniziative per sostenere e migliorare il processo di integrazione europeo, tra le quali in particolare: promozione della cooperazione parlamentare, anche con la creazione di commissioni parlamentari congiunte con tutti i paesi aderenti al PSA; istituzione dei partenariati europei, ispirati ai partenariati per l’adesione relativi ai paesi candidati; rafforzamento delle istituzioni, attraverso l’utilizzo dello strumento del gemellaggio[5] e la fornitura di un’assistenza tecnica ulteriore; promozione del dialogo politico e della cooperazione nel settore della politica estera e di sicurezza comune; partecipazione dei paesi della regione alle agenzie e ai programmi comunitari; cooperazione nella lotta al crimine organizzato.
Lo stato di avanzamento del processo viene costantemente seguito dalla Commissione che, attraverso la pubblicazione di una relazione annuale, fornisce indicazioni sui progressi realizzati dai paesi dei Balcani occidentali rispetto alla situazione dell’anno precedente. Tale relazione rappresenta l’indicatore principale per valutare se ciascun paese sia pronto per una relazione più stretta con l’UE.
Le componenti principali del PSA sono quattro: accordi di stabilizzazione ed associazione, elevato livello di assistenza finanziaria, misure commerciali e dimensione regionale.
a) Accordi di stabilizzazione ed associazione
Lo strumento operativo del PSA è costituito dalla stipula, con ciascun paese della regione, di un accordo di stabilizzazione ed associazione (ASA), basato sul rispetto dei principi democratici e degli elementi fondanti del mercato unico europeo.
Per ciascun paese, la Commissione è chiamata a valutare l’opportunità di avviare i negoziati per un accordo di stabilizzazione ed associazione sulla base di diversi criteri: il grado di compatibilità con le condizioni poste dal PSA; il funzionamento generale del paese; l’esistenza di una politica commerciale unitaria; i progressi nelle riforme settoriali.
Accordi di stabilizzazione ed associazione sono già in vigore con la Croazia[6], con la ex Repubblica iugoslava di Macedonia[7], con l’Albania[8] e – dal 1° maggio 2010 - con il Montenegro (15 ottobre 2007). L’accordo è stato firmato con la Bosnia Erzegovina (16 giugno 2008)[9]. Il 29 aprile 2008 – a margine della riunione del Consiglio affari generali e relazioni esterne - UE e Serbia hanno firmato l’accordo di stabilizzazione ed associazione che, come deciso dal Consiglio, verrà sottoposto ai parlamenti di tutti gli Stati membri per la ratifica[10]. Inoltre, il Consiglio ha ribadito che la piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia "è un elemento essenziale" dell'ASA. Contestualmente è stato firmato un accordo interinale, che di norma consente l’applicazione immediata di alcune disposizioni prima dell’entrata in vigore dell’accordo vero e proprio. Nel caso della Serbia, invece, l’attuazione dell’accordo interinale è stata subordinata alla piena cooperazione con il tribunale dell’Aja. Soltanto il 1° febbraio 2010, a seguito della valutazione positiva del procuratore generale del Tribunale penale per la ex Iugoslavia, è stata data attuazione all’accordo interinale.
La situazione del Kosovo non consente al momento di negoziare alcun accordo.
b) Assistenza finanziaria
Per il periodo 2000-2006 l’UE ha stanziato in favore dei Balcani occidentali circa cinque miliardi di euro[11]. L’assistenza comunitaria, originariamente destinata agli interventi relativi alle infrastrutture ed alle misure di stabilizzazione democratica (ivi compresi gli aiuti ai profughi), ha gradualmente spostato l’accento sul potenziamento istituzionale e sulle iniziative in materia di giustizia e affari interni.
A partire dal 1° gennaio 2007 l’assistenza finanziaria ai paesi dei Balcani occidentali viene fornita attraverso il nuovo strumento di preadesione, denominato IPA, che sostituisce i precedenti programmi.
Come risulta dal quadro finanziario multiannuale predisposto dalla Commissione per il periodo dal 2007 al 2012, i paesi dei Balcani occidentali beneficeranno di assistenza per un totale di circa 5,17 miliardi di euro, di cui: 1.183,6 milioni di euro alla Serbia; 167 al Montenegro; 465,1 al Kosovo; 550,3 alla Bosnia Erzegovina e 498 all’Albania[12]. Saranno considerati particolarmente prioritari la costruzione dello Stato, lo Stato di diritto, la riconciliazione, la riforma amministrativa e giudiziaria, la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata e le riforme economiche.
c) Misure commerciali
Nel marzo 2000, il Consiglio europeo ha dichiarato che la conclusione di accordi di stabilizzazione e di associazione con i paesi dei Balcani occidentali doveva essere preceduta da una liberalizzazione asimmetrica degli scambi. Conformemente a questa dichiarazione, il regolamento del Consiglio n. 2007/2000 del 18 settembre 2000 prevede misure commerciali eccezionali, stabilendo che i prodotti originari dei paesi della regione possono essere importati nella Comunità senza restrizioni quantitative e in esenzione dai dazi doganali o da altre imposte di effetto equivalente.
Il 22 febbraio 2010, in vista della scadenza di tale regime preferenziale - fissata al 31 dicembre 2010 - la Commissione ha presentato una proposta di regolamento volta a prolungare il sistema fino al 2015. La proposta, che segue la procedura di codecisione, dovrà essere approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio.
d) Dimensione regionale
Il PSA non è semplicemente un processo bilaterale tra l’UE e ciascun paese della regione. Già in occasione del Vertice UE-Balcani di Zagabria del 2000, le Parti hanno posto una grande enfasi sulla centralità della cooperazione regionale nell’ambito del processo.
In materia di cooperazione regionale, i principali obiettivi della politica dell’UE sono:
· incoraggiare i paesi della regione a sviluppare relazioni reciproche comparabili a quelle esistenti tra gli Stati membri;
· creare una rete di accordi bilaterali di libero scambio, eliminando qualsiasi barriera alla circolazione dei beni nella regione;
· integrare gradualmente i Balcani occidentali nelle reti infrastrutturali della vicina Europa in materia di trasporti, energia, gestione delle frontiere;
· promuovere la collaborazione tra i paesi della regione in materia di crimine organizzato, immigrazione e altre forme di traffico illegale.
Il 9 novembre 2010 la Commissione ha presentato l’annuale pacchetto allargamento, composto dalla comunicazione Strategia dell’allargamento 2010-2011 (COM (2010) 660), e dalle relazioni sui progressi compiuti dai singoli paesi, candidati e potenziali candidati nel periodo di riferimento (1° ottobre 2009-30 settembre 2010).
Per quanto riguarda la regione dei Balcani, la Commissione ricorda che in occasione della riunione ministeriale UE-Balcani occidentali tenutasi a Sarajevo il 2 giugno 2010, l’UE ha ribadito il proprio impegno inequivocabile nei confronti della prospettiva europea di questi paesi. Il futuro dei Balcani occidentali è legato all’Unione europea.
Secondo la Commissione, nel corso dell’ultimo anno i paesi dei Balcani occidentali si sono avvicinati all'adesione all’UE grazie ai progressi conseguiti, sebbene non uniformemente, nell'attuazione delle riforme e nel rispetto dei criteri e delle condizioni stabiliti. La Commissione rileva che i progressi della Croazia confermano la validità del processo di stabilizzazione e associazione per i Balcani occidentali come strategia finalizzata all'adesione; i progressi degli altri paesi dei Balcani occidentali verso l'adesione all'UE dipendono ugualmente dal ritmo delle loro riforme politiche ed economiche. Secondo la Commissione la cooperazione regionale è un elemento essenziale del processo di stabilizzazione e di associazione: i Balcani occidentali hanno fatto notevoli progressi in termini di cooperazione regionale, che non devono essere sminuiti dalle divergenze in merito al Kosovo.
Si osservano inoltre progressi considerevoli verso la liberalizzazione del visto. La Commissione ricorda che alla fine del 2009, l'UE ha abolito l'obbligo del visto per la Serbia, il Montenegro e l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia, che si sono dimostrati in grado di conformarsi ai parametri fissati in settori come la sicurezza dei documenti di viaggio, la gestione delle frontiere, la migrazione e l’asilo, l’ordine pubblico e la sicurezza nonché il rispetto dei diritti umani. Posteriormente alla pubblicazione del pacchetto allargamento, l’obbligo del visto è stato abolito anche per la Bosnia-Erzegovina e l’Albania. Quanto al Kosovo, è stata adottata una legge sulla riammissione e sono stati intensificati gli sforzi per la reintegrazione dei rimpatriati, spianando la via al dialogo sulla liberalizzazione del visto.
Secondo la Commissione, le questioni bilaterali – chenon devono bloccare il processo di adesione - devono essere risolte dalle parti interessate in uno spirito di buon vicinato e tenendo conto degli interessi globali dell'UE. L’UE è pronta a facilitare la ricerca di soluzioni e a sostenere le iniziative connesse, ma la regione deve liberarsi dal retaggio dei passati conflitti, sfruttando i recenti sviluppi positivi in termini di riconciliazione. Le relazioni di buon vicinato rimangono infatti di fondamentale importanza.
Per quanto riguarda i singoli paesi, la Commissione ricorda che la Croazia ha fatto buoni progressi verso la conformità con i criteri di adesione e i negoziati di adesione sono entrati nella fase finale. La piena collaborazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia rimane una condizione indispensabile perché la Croazia progredisca verso l’adesione, in linea con il quadro negoziale. La Commissione ritiene che i negoziati debbano essere conclusi solo quando la Croazia avrà soddisfatto gli ultimi parametri fissati per la chiusura, in particolare per quanto riguarda il sistema giudiziario e i diritti fondamentali, compresa la lotta alla corruzione, di modo che l'UE non debba prendere in considerazione il ricorso a un meccanismo di cooperazione e verifica dopo l’adesione. La Commissione seguirà attentamente i progressi della Croazia relativamente al sistema giudiziario e ai diritti fondamentali e valuterà la situazione nella prima parte del 2011.
Secondo la Commissione, l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia continua a soddisfare in misura sufficiente i criteri politici. Il paese ha compiuto ulteriori progressi, anche se a ritmo irregolare, nei principali settori di riforma, ma dovrà adoperarsi con impegno per quanto riguarda, in particolare, la riforma della giustizia e della pubblica amministrazione. La Commissione ribadisce la propria raccomandazione di avviare negoziati per l’adesione all’Unione europea con l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia. È di fondamentale importanza che si mantengano relazioni di buon vicinato raggiungendo fra l’altro, sotto l’egida dell’ONU, una soluzione alla questione del nome che possa essere accettata da entrambi i paesi.
La Serbia ha chiesto di aderire all'UE nel dicembre 2009, e nell’ottobre 2010 il Consiglio ha invitato la Commissione a presentare il suo parere in merito. La Serbia ha continuato ad attuare il suo programma di riforme politiche e a costituire un track record di attuazione dell’accordo interinale. Il paese si trova in una posizione favorevole per soddisfare i requisiti dell’ASA. Secondo la Commissione, la Serbia ha fatto passi importanti verso la riconciliazione nella regione. Il paese deve adoperarsi con ulteriore impegno per quanto riguarda la riforma della giustizia e della pubblica amministrazione e la lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione. La Serbia ha continuato a collaborare con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia, ma gli ultimi due ricercati sono ancora latitanti. La piena collaborazione con il Tribunale rimane una condizione essenziale per l’adesione all’UE, come stabilito nelle conclusioni del Consiglio del 25 ottobre 2010. La Serbia deve assumere un atteggiamento più costruttivo riguardo alla partecipazione del Kosovo al commercio e alla cooperazione regionali. Occorre rafforzare la collaborazione con la missione EULEX per lo Stato di diritto relativamente al Kosovo settentrionale.
In seguito alla risoluzione dell’Assemblea generale ONU, l’UE faciliterà un processo di dialogo tra Belgrado e Pristina per promuovere la cooperazione, progredire verso l’UE e migliorare le condizioni di vita della popolazione.
Il processo di decentramento in Kosovo è progredito in misura considerevole, la collaborazione con EULEX è migliorata e il governo è maggiormente in grado di attuare l'agenda europea e la politica di riforma del Kosovo. Sussistono tuttavia serie difficoltà per quanto riguarda lo Stato di diritto, ivi compresi la pubblica amministrazione e il settore giudiziario, nonché la lotta alla corruzione, alla criminalità organizzata e al riciclaggio del denaro. Sussistono preoccupazioni circa il dialogo e la riconciliazione tra le comunità e la protezione/integrazione delle minoranze, in particolare i serbi kosovari. Le autorità devono assumere un atteggiamento costruttivo nei confronti della partecipazione del Kosovo ai consessi di cooperazione regionale per tenere il passo con gli sviluppi regionali.
La Commissione sostiene le iniziative indicate nella sua comunicazione sul Kosovo dell’ottobre 2009, in linea con le conclusioni del Consiglio del dicembre 2009. La Commissione si compiace dei recenti progressi compiuti dal Kosovo con l’adozione della normativa sulla riammissione e l’elaborazione di un piano d'azione sul reinserimento dei rimpatriati, per il quale sono state stanziate le risorse necessarie. Se l’attuazione del piano d'azione proseguirà senza interruzioni, la Commissione si impegna ad avviare tra breve un dialogo sulla liberalizzazione del visto. La Commissione sta aiutando il Kosovo a creare le condizioni necessarie per un eventuale accordo commerciale con l’UE. Quando il Kosovo si sarà conformato ai pertinenti requisiti, la Commissione proporrà direttive di negoziato per un accordo commerciale. La Commissione proporrà di aprire al Kosovo la partecipazione a programmi pertinenti dell’Unione come il programma “L’Europa per i cittadini” e il programma “Cultura”. La Commissione proporrà direttive di negoziato per un accordo quadro a tal fine.
Quanto alla Bosnia-Erzegovina, deve formare un governo che si impegni a favorire il “futuro europeo” del paese e ad accelerare le riforme necessarie a tal fine. Inoltre secondo la Commissione, la Bosnia-Erzegovina deve prendere con urgenza i primi provvedimenti necessari per allineare la costituzione con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e migliorare l’efficienza delle istituzioni. Il paese deve essere in grado di adottare, attuare e applicare le leggi e le norme dell'UE. Per quanto riguarda gli obblighi internazionali, il paese deve assolutamente progredire verso il conseguimento degli obiettivi e il rispetto delle condizioni fissati per la chiusura dell'ufficio dell'Alto rappresentante (OHR). L’UE rafforzerà la propria presenza in loco per aiutare la Bosnia-Erzegovina a realizzare gli obiettivi del programma UE.
Nell’ambito del pacchetto allargamento la Commissione ha anche adottato i pareri sulle richieste di adesione presentate da Montenegro e Albania. A tale proposito, la Commissione raccomanda di avviare negoziati di adesione con il Montenegro e l'Albania quando questi paesi avranno raggiunto il necessario grado di conformità con i criteri di adesione stabiliti dal Consiglio europeo di Copenaghen del 1993. In particolare, il Montenegro e l’Albania devono realizzare le priorità fondamentali specifiche indicate in ciascun parere. Mentre raccomanda al Consiglio di concedere al Montenegro lo status di paese candidato[13], la Commissione esorta l’Albania a compiere maggiori sforzi per consolidare i progressi fatti finora. La relazione della Commissione su entrambi i paesi contenuta nel pacchetto allargamento del 2011 verterà in particolare sulla realizzazione delle priorità fondamentali in vista dell'apertura dei negoziati di adesione.
Nel quadro del Processo di stabilizzazione ed associazione, il 5 marzo 2008 la Commissione ha presentato la comunicazione “Balcani occidentali: rafforzare la prospettiva europea”[14], con cui ha proposto nuove iniziative e ha potenziato quelle esistenti per sostenere lo sviluppo politico ed economico dei paesi della regione. Successivamente, il 3 febbraio 2010 in un documento di lavoro ha dato conto dei progressi compiuti fino a quel momento. Una delle iniziative proposte riguarda l’eliminazione dei visti per i cittadini dei Balcani occidentali che viaggiano in Europa, che – come ricordato in precedenza – si è concluso dal momento che tutti i cittadini dei paesi dei Balcani occidentali possono viaggiare senza visto nell’area Schengen. Tra le altre iniziative proposte si segnalano:
· maggiore sostegno allo sviluppo della società civile e al dialogo. La Commissione ha deciso di istituire un nuovo fondo nell’ambito dello strumento finanziario IPA che abbraccia i seguenti settori: diritti umani, uguaglianza di genere, inclusione sociale, salute, ambiente, cultura e protezione dei consumatori. Il fondo finanzia tre tipi di attività: sostegno alle iniziative locali di capacity building; promozione dei contatti fra gruppi di giornalisti, giovani politici, leader dei sindacati, insegnanti e le istituzioni dell’UE; sostegno ai partenariati e alle reti fra organizzazioni della società civile, sindacati, partner sociali e organizzazioni professionali nei paesi beneficiari e loro controparti nell’UE. Una conferenza della società civile di inaugurazione del nuovo fondo si è tenuta a Bruxelles il 17 e 18 aprile 2008;
· rafforzamento della cooperazione regionale. La Commissione continuerà a sostenere i diversi quadri di cooperazione, tra i quali l’Accordo di libero scambio dell’Europa centrale (CEFTA)[15]; il Trattato sull’energia[16], lo spazio aereo comune[17]. Sulla base della proposta della Commissione e dopo l’approvazione da parte del Consiglio del mandato negoziale, sono stati avviati nel giugno 2008 i negoziati per un trattato sulla comunità dei trasporti. Obiettivo del trattato è quello di istituire un mercato delle infrastrutture e dei trasporti terrestri e marittimi e di allineare la legislazione dei paesi della regione all’acquis comunitario in materia;
· azioni transfrontaliere coordinate per fronteggiare eventuali disastri nella regione, come evidenziato dai vasti incendi verificatisi nell’estate del 2007;
· ulteriore apertura di programmi e agenzie europei alla partecipazione dei paesi dei Balcani occidentali, per favorire contatti e cooperazione tra istituzioni scientifiche ed educative, in materia di scienza e ricerca, istruzione, cultura, giovani, occupazione e temi sociali, protezione dell’ambiente, giustizia;
· incremento del numero delle borse di studio per gli studenti dei Balcani occidentali che vengono a studiare in Europa;
· sostegno alla stabilizzazione e alle riforme economiche nella regione. A tale proposito la Commissione segnala in particolare che i paesi candidati hanno elaborato programmi economici di preadesione che contengono le loro proposte di riforma; da dicembre 2006, inoltre, i paesi candidati potenziali preparano programmi economici e finanziari annuali che vengono valutati dalla Commissione; la Commissione intrattiene un dialogo economico bilaterale regolare con i paesi in questione;
· cooperazione con le istituzioni finanziarie internazionali. La Commissione si è impegnata a migliorare il coordinamento con la Banca europea per gli investimenti (BEI), la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) e le altre istituzioni finanziarie internazionali (IFI) che sostengono la modernizzazione e lo sviluppo nei Balcani occidentali. A novembre 2007, la Commissione ha inoltre deciso, di concerto con la BEI, la BERS e la Banca per lo sviluppo del Consiglio d'Europa, di creare una linea di credito per i progetti infrastrutturali nei Balcani occidentali. La linea di credito - partita con una dotazione di 16 milioni di euro - contribuisce alla preparazione di progetti d'investimento per i trasporti, l'energia, l'ambiente e le infrastrutture sociali, da finanziare mediante sovvenzioni e prestiti. Il 21 ottobre 2009, la Commissione, la BEI, la BERS e la Banca per lo sviluppo del Consiglio d'Europa, insieme alle altre IFI e agli altri donatori, hanno raggiunto un accordo sull’istituzione di un quadro per gli investimenti nei Balcani occidentali, onde rafforzare l'armonizzazione e la cooperazione per gli investimenti a favore dello sviluppo socioeconomico della regione[18];
· il sostegno alle piccole e medie imprese. Dal 2006 la Commissione partecipa al Fondo europeo per l’Europa sudorientale (EFSE)[19]che fornisce strumenti di credito alle banche commerciali e alle istituzioni finanziarie non bancarie per sostenere lo sviluppo delle microimprese e venire in aiuto alle famiglie[20]. Sono state inoltre organizzate diverse attività, tra cui valutazioni strategiche e riunioni regionali, nell'ambito della Carta europea delle piccole imprese[21], che è stata prorogata fino al 2009 per i Balcani occidentali. Si stanno integrando i paesi della regione nella Enterprise Europe Network, la nuova rete dell'UE che fornisce servizi di supporto alle PMI. La Commissione sta infine valutando la fattibilità di iniziative future a sostegno delle piccole imprese nella regione;
· il sostegno alla politica dell'occupazione e alle questioni sociali. Negli ultimi anni sono state attuate, con l'aiuto della Commissione, diverse iniziative regionali in materia di politica dell'occupazione, questioni sociali e dialogo sociale.In primo luogo, nell'ambito del "processo di Bucarest"[22] sono proseguiti i riesami delle politiche occupazionali di ciascun paese e si è iniziato a occuparsi della salute e della sicurezza sul lavoro nonché della creazione di reti fra i servizi di collocamento pubblici. Sono state inoltre organizzate diverse riunioni e conferenze regionali in materia di occupazione, dialogo sociale e protezione sociale: ad ottobre 2007, i ministri dei Balcani occidentali competenti in materia di occupazione, lavoro e affari sociali hanno concordato priorità strategiche comuni ("conclusioni di Budva"). I ministri degli affari sociali hanno inoltre firmato una dichiarazione sul coordinamento dei regimi previdenziali ("dichiarazione di Tirana");
· energia.La Commissione rileva come l'approvvigionamento energetico sia di fondamentale importanza per lo sviluppo economico dell'Europa sudorientale. A tal fine ricorda la rilevanza del citato trattato sulla Comunità dell’energia, entrato in vigore a luglio 2006, con l’obiettivo di creare un quadro normativo e di mercato stabile, in grado di attrarre gli investimenti destinati alla generazione di elettricità e alle reti di trasmissione e di distribuzione. Nel 2007 è stata istituita, in collaborazione con le IFI e nel quadro dello strumento IPA, una nuova linea di credito per l'efficienza energetica, che la Commissione intende potenziare.
Il 5 marzo 2008 la Commissione ha presentato la comunicazione “Rafforzare la prospettiva europea dei Balcani occidentali” (COM(2008)127) nella quale ribadisce il proprio impegno a sostenere la cooperazione regionale e il processo di riforma nei paesi dei Balcani occidentali verso una loro sempre maggiore integrazione nel contesto europeo. Tale sostegno viene attualmente fornito mediante sovvenzioni dello strumento di preadesione (IPA) e prestiti della Banca europea per gli investimenti e di altre istituzioni finanziarie internazionali, di cui l'IPA facilita l’ottenimento. Per ciò che riguarda il settore culturale sono numerosi i settori d’intervento UE volti a favorire il processo d’integrazione europea della regione.
La Commissione ritiene che le attività intraprese nei Balcani occidentali in materia di istruzione e cultura contribuiscano allo sviluppo delle risorse umane e al processo di riconciliazione.
Il Consiglio europeo del dicembre 2006 ha sottolineato l'importanza dei contatti interpersonali, e ha invitato la Commissione a prendere iniziative per favorirli, segnatamente in materia di visti e borse di studio. Sulla base delle indicazioni del Consiglio del 28 gennaio 2008, la Commissione ha deciso di aumentare ulteriormente il numero delle borse di studio concesse agli studenti dei Balcani occidentali per frequentare corsi nell'UE. Nell'ambito del programma Erasmus Mundus, negli ultimi anni si è registrato un significativo incremento: nell'anno accademico 2007/2008 sono state concesse borse a 100 laureati per frequentare un master ("finestra per i Balcani occidentali") e nell'anno accademico 2008/2009 sono state concesse fino a 500 borse per gli studenti di qualsiasi livello e per il personale accademico (nell'ambito della "finestra per la cooperazione esterna"). A queste attività è stato destinato annualmente un contributo comunitario che va fino a 10 milioni di euro. Inoltre, la Commissione ha invitato gli Stati membri ad aumentare il numero delle borse di studio destinate agli studenti dei Balcani occidentali nell'ambito dei loro programmi bilateralipertinenti.
Fra le iniziative nel settore dell’istruzione e cultura vanno segnalati l'avvio nel 2007 di un'iniziativa per la riforma didattica nell'Europa sudorientale e il lavoro della Fondazione europea per la formazione nella regione. È in atto, nell'ambito del programma Tempus, una vasta cooperazione tra istituzioni accademiche dei Balcani e degli Stati membri dell'UE nel settore dell'istruzione superiore. Il sostegno comunitario fornito ai Balcani occidentali nell'ambito di questo programma ammonta a circa 20 milioni di euro all'anno.
La Commissione collabora strettamente con i paesi della regione per individuare i programmi comunitari idonei sotto il profilo dell'interesse e della capacità e per preparare, all'occorrenza, la partecipazione degli interessati.
La maggior parte dei paesi dei Balcani occidentali è associata dal 2007 al Settimo programma quadro di ricerca con un crescente coinvolgimento: il numero delle proposte di progetti provenienti dalla regione, infatti, è notevolmente aumentato ed è stato istituito un nuovo strumento di cooperazione per i Balcani occidentali (Inco.net). I paesi dei Balcani occidentali stanno definendo, con l'aiuto della Commissione, una strategia di ricerca integrata, in linea con lo Spazio europeo della ricerca. Le attività del Centro comune di ricerca sono state aperte agli scienziati dei Balcani occidentali. A giugno 2006 è stata lanciata una "piattaforma orientativa sulla ricerca per i Balcani occidentali".
Alcuni paesi partecipano anche ai programmi “Cultura”, “Progresso”, "Competitività e innovazione", "Dogane" e "Fiscalis". La Commissione sta attuando insieme al Consiglio d'Europa un programma regionale a difesa del patrimonio culturale nell'Europa sudorientale, di cui finora hanno usufruito 177 edifici e siti. La partecipazione e il sostegno della Commissione si estendono anche a iniziative di riforma dei media. A giugno 2008 si terrà a Istanbul una conferenza sull'emittenza radiotelevisiva. Una "finestra" speciale del programma "Gioventù in azione" sostiene, dal 2007, le attività per i giovani nei Balcani occidentali (scambi di giovani, progetti del Servizio volontario europeo per i giovani, formazione e creazione di reti).
La Commissione ritiene che la società civile sia un elemento essenziale della vita pubblica democratica. La sua attiva partecipazione al processo di riforma politica, sociale ed economica nei Balcani occidentali promuove la democrazia e la riconciliazione. Nonostante alcune azioni positive, le organizzazioni della società civile sono tuttora deboli e devono essere formate per potersi adeguare alle circostanze attuali. Secondo la Commissione, è pertanto fondamentale creare condizioni che favoriscano l'ulteriore espansione delle loro attività.
Nel documento di strategia di novembre 2007, la Commissione annunciava la creazione di un nuovo strumento per promuovere il dialogo e lo sviluppo della società civile che comprende le seguenti attività:
· sostegno per sviluppare le iniziative e le capacità della società civile locale, in modo da rafforzarne il ruolo;
· programmi volti a favorire i contatti di giornalisti, giovani esponenti politici, leader sindacali, insegnanti ecc. con le istituzioni dell'UE;
· sostegno per la costituzione di partenariati e lo sviluppo di reti fra organizzazioni della società civile, imprese, sindacati e altre parti sociali e organizzazioni professionali dei paesi beneficiari e le rispettive controparti nell'UE onde promuovere il trasferimento delle conoscenze e delle esperienze.
Nella comunicazione relativa allaStrategia di allargamento per il periodo 2010-2011 (COM(2010)660), presentata dalla Commissione nel novembre 2010, la Commissione ritiene che il processo di allargamento contribuisca a realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020. A tale proposito, sottolinea come nel settore dell’istruzione, occorra valutare le possibilità di includere tutti i paesi dell’allargamento nel quadro "Istruzione e formazione 2020" e di coinvolgerli in attività di apprendimento tra pari[23].
La Commissione rileva come la crisi economica abbia avuto un’incidenza negativa sui sistemi di assistenza sociale dei paesi dell’allargamento, con ripercussioni particolarmente pesanti per i gruppi vulnerabili come le minoranze, le comunità svantaggiate e i disabili. La Commissione si è impegnata ad aiutare i paesi dell’allargamento a migliorare le condizioni dei gruppi vulnerabili, anche mediante l’inclusione socioeconomica dei rom. Attraverso lo strumento IPA, la Commissione fornisce un notevole sostegno alle categorie vulnerabili mediante l'istruzione e il potenziamento dei servizi sociali e occupazionali, onde integrare le persone svantaggiate nel mercato del lavoro. La Commissione finanzia anche il potenziamento delle infrastrutture nei campi rom. Questo sostegno verrà rafforzato nell'intento di migliorare le condizioni di vita nei paesi maggiormente interessati, aiutandoli a definire un approccio globale ai problemi dell'inclusione sociale. Il memorandum congiunto sull’inclusione che è già stato concluso con la Croazia costituisce un quadro strategico in questo settore. La Commissione invita i paesi dell’allargamento ad adoperarsi con impegno per ridurre la povertà e l'esclusione sociale, in linea con le priorità di Europa 2020, e a sfruttare meglio le opportunità offerte dal Decennio di integrazione dei rom.
La Commissione ritiene che la cooperazione regionale contribuisca alla riconciliazione, alle relazioni di buon vicinato e a un clima favorevole alla soluzione delle questioni bilaterali pendenti. In tale contesto, la Commissione continuerà a sostenere il ripristino del patrimonio culturale nell’ambito del processo di Lubiana. Il Consiglio di cooperazione regionale (CCR), che svolge un ruolo determinante nell'orientare e nel monitorare la cooperazione regionale, costituirà una task force “cultura e società”, coadiuvata da un segretariato permanente beneficiario dell'assistenza finanziaria preadesione dell'UE, il cui compito consisterà nel gestire il processo di Lubiana in collaborazione con il Consiglio d’Europa e con la Commissione.
La Commissione si è impegnata a migliorare il flusso di informazioni obiettive sul processo di allargamento, presentate in forma facilmente accessibile, attraverso i vari mezzi di comunicazione disponibili attualmente, convinta che un forte sostegno da parte dei cittadini, in particolare dei giovani, è indispensabile per il successo della politica di allargamento. L'esperienza acquisita nel corso del quinto allargamento dimostra che una comunicazione carente lascia libero il campo ad informazioni fuorvianti. Occorre quindi colmare questo vuoto mediante informazioni esatte e facilmente accessibili, affinché i cittadini siano pienamente consapevoli della posta in gioco.
Secondo la Commissione sono altresì importanti le attività della società civile, sia per conseguire una democrazia matura sia per il rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto. La partecipazione delle organizzazioni della società civile al processo di preadesione, secondo la Commissione, migliora la qualità delle riforme connesse all’adesione e garantisce loro maggiore sostegno da parte dei cittadini.
Altrettanto importante, ad avviso della Commissione, è una cultura che accetti e riconosca il ruolo svolto dalla società civile per consentire alle organizzazioni della società civile di avviare un dialogo strategico efficace. Le consultazioni pubbliche sulle iniziative strategiche e sui disegni di legge, pertanto, devono diventare la norma. L’accesso della società civile alle sovvenzioni statali è spesso ostacolato dalla scarsa trasparenza e dalla definizione carente dei criteri di allocazione. Lo strumento per la società civile, che finanzia iniziative a livello locale, reti regionali e visite di breve durata nell’UE, contribuisce a rafforzare le capacità e la professionalità delle organizzazioni della società civile, consentendo loro di avviare un dialogo efficace con soggetti pubblici e privati e di monitorare gli sviluppi in settori quali lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti fondamentali. La Commissione ha riesaminato lo strumento perché risulti più accessibile alle organizzazioni locali a base comunitaria, tenendo conto delle osservazioni formulate dalle organizzazioni della società civile. La Commissione interverrà in modo più mirato, in funzione delle esigenze di ciascun paese, ed erogherà finanziamenti di avviamento a più lungo termine alle ONG.
(Il contesto dei Trattati)
Nel quadro dello spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, la cooperazione giudiziaria penale e di polizia è volta a garantire un livello di protezione elevato dei cittadini dell'Unione europea attraverso misure di coordinamento e cooperazione tra forze di polizia e autorità giudiziarie, nonché tramite il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie penali e, se necessario, il ravvicinamento delle legislazioni penali (articolo 67, par. 3, della versione consolidata del trattato sull'Unione europea).
La cooperazione giudiziaria penale e di polizia costituiva originariamente oggetto del titolo VI del Trattato UE (c.d. terzo pilastro), prevista con la finalità di prevenire e lottare contro il razzismo e la xenofobia da un lato e, dall'altro, la criminalità organizzata, in particolare il terrorismo, la tratta degli esseri umani, i crimini contro i bambini e il traffico di droga e di armi, la corruzione o la frode.
Il Trattato di Amsterdam ha poi comunitarizzato, spostandoli nel Trattato CE (nuovo titolo IV), alcuni dei settori originariamente rientranti nel terzo pilastro (in particolare le materie dell'immigrazione, dell'asilo, del controllo delle frontiere e la cooperazione giudiziaria in materia civile), che ha così perso la denominazione GAI (giustizia e affari interni) per diventare “cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale”.
Oggi, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la cooperazione in materia di giustizia e affari interni è entrata stabilmente nel sistema dell’Unione.
Il Titolo V della versione consolidata del trattato sull’Unione europea, rubricato “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia” si articola nei seguenti capi:
I. Disposizioni generali;
II. Politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione;
III. Cooperazione giudiziaria in materia civile;
IV. Cooperazione giudiziaria in materia penale;
V. Cooperazione di polizia.
Con il Trattato di Lisbona è stata inoltre generalizzata a tutte le materie del nuovo titolo, tranne alcune specifiche eccezioni, la procedura legislativa ordinaria, basata sulla codecisione da parte del Consiglio e del Parlamento europeo e la maggioranza qualificata in seno al Consiglio.
Il superamento della struttura a pilastri ha inoltre determinato l’estensione a tutte le materie dello spazio di libertà, giustizia e sicurezza della competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.
Un’ulteriore novità del Trattato di Lisbona è costituita dal rafforzamento del coinvolgimento dei Parlamenti nazionali. Si prevede, in particolare, che i Parlamenti nazionali:
§ siano informati dalle autorità degli Stati membri, del tenore e dei risultati delle politiche dell’Unione europea in materia di spazio di libertà, sicurezza e giustizia e partecipino ai meccanismi di valutazione sull’attuazione delle politiche dell’UE nel settore, essendo associati inoltre al controllo politico di Europol e alla valutazione della attività di Eurojust (art. 12 TUE);
§ svolgano un ruolo di vigilanza sotto il profilo di sussidiarietà nelle materie relative alla cooperazione giudiziaria penale e di polizia (art. 69 TFUE);
§ siano tenuti informati dei risultati delle valutazione condotta dagli Stati membri in collaborazione con la Commissione, circa l’attuazione delle politiche UE a livello nazionale (art. 70 TFUE);
§ siano tenuti informati dei lavori del comitato permanente incaricato di favorire il coordinamento tra le autorità degli Stati membri in materia di sicurezza interna (art. 71 TFUE);
§ abbiano un diritto di opposizione in materia di aspetti del diritto di famiglia che abbiano incidenza transfrontaliera (art. 81 TFUE).
La cooperazione giudiziaria in materia penale (Capo IV, artt. 82-86 Trattato) è fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie da parte degli Stati membri e include il ravvicinamento delle disposizioni legislative nazionali nonché l’applicazione di norme minime comuni (art. 82). Le norme minime riguardano principalmente l’ammissibilità delle prove, i diritti delle vittime della criminalità e i diritti della persona nella procedura penale.
Limitando l’analisi all’attuale legislatura, si ricorda che il legislatore nazionale ha utilizzato la legge comunitaria per delegare al Governo l’attuazione delle decisioni quadro approvate in sede europea nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. Alla delega conferita dal Parlamento molto raramente ha corrisposto una sua tempestiva attuazione da parte del Governo.
Di seguito si dà conto, per le parti di interesse, del contenuto delle più recenti leggi comunitarie.
La legge comunitaria 2007 (legge 25 febbraio 2008 n. 34) conteneva deleghe al Governo per l’attuazione delle seguenti decisioni quadro:
§ decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato;
§ decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio;
§ decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato;
§ decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie.
Tali deleghe – conferite dal Parlamento nella XV legislatura - sono scadute senza che nella attuale XVI legislatura il Governo abbia provveduto.
La legge comunitaria 2008 (legge 7 luglio 2009, n. 88) ha delegato il Governo ad attuare:
§ la decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio, del 6 ottobre 2006, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca;
§ la decisione quadro 2006/960/GAI del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell’Unione europea incaricate dell’applicazione della legge;
§ la decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea.
Solo quest’ultima decisione è stata attuata con l’emanazione del decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161.
Tutte le altre deleghe risultano, invece, già scadute.
Anche la legge comunitaria 2009 (legge 4 giugno 2010, n. 96) contiene deleghe per l’attuazione delle seguenti decisioni quadro:
§ decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale;
§ decisione quadro 2001/413/GAI del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti;
§ decisione quadro 2002/946/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2002, relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali;
§ decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio, del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti.
Al momento le deleghe non sono state esercitate, ma il governo ha tempo fino alla prossima estate.
Il Trattato prevede inoltre che Parlamento europeo e Consiglio possano approvare direttive volte a stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave, che presentino una dimensione transnazionale. È il caso del terrorismo, della tratta di esseri umani, dello sfruttamento sessuale di donne e minori, dei traffici di armi, stupefacenti, del riciclaggio, della corruzione e della criminalità informatica e organizzata (art. 83 del trattato).
Peraltro, la lotta contro la criminalità implica un rafforzamento del dialogo e dell'azione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri in materia penale e a tal fine l'Unione europea ha istituito organi specifici per facilitare la collaborazione: in particolare, Eurojust e la rete giudiziaria europea sostengono la collaborazione fra le autorità giudiziarie.
In attuazione delle disposizioni del Trattato sull'Unione Europea, al fine di rafforzare la lotta contro la criminalità, dal 2002 è operativa Eurojust (decisione 2002/187/GAI del Consiglio, del 28 febbraio 2002).
Tale istituzione ha in generale il compito di assicurare il coordinamento delle attività di indagine svolte dalle autorità nazionali competenti in materia penale. L’Italia ha ratificato l’istituzione di Eurojust con la legge 14 marzo 2005, n. 41.
L’istituzione di Eurojust è stata decisa dal Consiglio europeo di Tampere del 1999 come unità di cooperazione giudiziaria permanente per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità organizzata transnazionale e di assicurare il coordinamento delle attività svolte dalle autorità nazionali competenti in materia penale. Successivamente, nel corso della Conferenza intergovernativa di Nizza del dicembre 2000, i Capi di Stato e di governo hanno deciso di modificare l'articolo 31 del Trattato UE inserendovi la menzione e la descrizione delle attività di Eurojust. Proprio a seguito della Conferenza di Nizza il consiglio dei Ministri della Giustizia e degli Affari interni dell'Unione europea ha adottato una decisione (14 dicembre 2000) con la quale ha dato vita all’unità provvisoria di cooperazione giudiziaria, c.d. Pro-Eurojust, destinata ad operare fino alla definitiva istituzione di Eurojust. Ciò è avvenuto il 28 febbraio 2002, quando il Consiglio GAI ha adottato la Decisione che istituisce Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità (Dec. 28.2.2002, n. 2002/187/GAI).
L'EUROJUST, una delle tre agenzie[24] della UE per la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, è dotata di personalità giuridica ed è composta da 27 membri nazionali (aventi il titolo di magistrato del pubblico ministero, giudice o funzionario di polizia con pari prerogative) distaccati da ciascuno Stato membro in conformità del proprio ordinamento giuridico. I membri lavorano in condizioni di parità nell'ambito di una "tavola rotonda". Il membro nazionale può essere assistito anche da più persone, una delle quali può sostituirlo.
Quale unità di cooperazione giudiziaria permanente, Eurojust si propone di rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità, in particolare di criminalità organizzata, che trascendendo la dimensione nazionale investono più di uno Stato Membro.
Più in particolare, gli obiettivi di Eurojust sono quelli di:
§ stimolare e migliorare il coordinamento delle indagini e delle azioni penali tra le competenti autorità nazionali degli Stati membri;
§ migliorare la cooperazione tra le stesse, agevolando la prestazione dell'assistenza giudiziaria e l'esecuzione delle domande di estradizione;
§ prestare assistenza alle autorità competenti degli Stati membri, al fine di migliorare l'efficacia delle indagini e delle azioni penali.
L'ambito di competenza generale di EUROJUST è particolarmente ampio e riguarda:
Ø i reati per i quali è competente l'Europol a norma dell'art. 2 della Convenzione del 26 luglio 1995 (ossia, traffico di stupefacenti; reati di terrorismo; tratta di esseri umani; organizzazioni clandestine di immigrazione; traffico di autoveicoli rubati, ecc.);
Ø specifiche forme di criminalità (riciclaggio, frodi comunitarie, corruzione, criminalità informatica ed ambientale, partecipazione ad un'organizzazione criminale);
Ø altri reati connessi o collegati a quelli di cui ai punti 1. e 2.
L'Eurojust può esercitare le sue funzioni sia tramite il collegio, sia attraverso i suoi membri nazionali; il collegio, in particolare, interviene quando uno o più membri nazionali interessati al caso ne facciano richiesta, ovvero quando il caso riguardi indagini ed azioni penali che abbiano un'incidenza sul piano dell'Unione europea.
L'Eurojust, con un atto motivato, può chiedere, tra l'altro, alle competenti autorità nazionali di valutare se:
§ avviare un'indagine penale;
§ porre in essere un'attività di coordinamento;
§ istituire una squadra investigativa comune;
§ comunicare le informazioni necessarie per svolgere le sue funzioni.
Inoltre, l'Eurojust, deve mantenere una stretta cooperazione con l'Europol, collaborare e consultarsi con la Rete giudiziaria europea. Sono previsti rapporti di stretta cooperazione anche con l'OLAF (Unità antifrode istituita presso la Commissione), che può contribuire all'attività di coordinamento delle indagini e delle azioni penali concernenti la tutela degli interessi finanziari della Comunità europea svolta dall'EUROJUST.
E' prevista la possibilità di concludere accordi di collaborazione con Paesi terzi ed organismi internazionali.
Sono previste, infine, norme particolarmente rigorose in materia di protezione dei dati personali, che debbono essere trattati in modo corretto ed osservando l'obbligo della riservatezza. Un'apposita Autorità di controllo dovrà vigilare sulle attività di EUROJUST in materia di trattamento dei dati personali.
I poteri giudiziari dei membri nazionali, la durata del loro mandato e le forme e modalità dei loro rapporti con le altre autorità giudiziarie nazionali e straniere debbono essere disciplinati dai relativi ordinamenti interni degli Stati membri.
La sede di EUROJUST e' L'Aja.
La Rete (European Judicial Network) ha lo scopo di migliorare gli standards qualitativi della cooperazione giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, attraverso l'istituzione di uno o più punti di contatto a livello nazionale che forniscono informazioni di natura giuridica o pratica alle proprie autorità giudiziarie o a quelle degli altri Paesi membri. Alla Rete possono essere associati anche i citati magistrati di collegamento.
In particolare la Rete si prefigge di migliorare la cooperazione in ambito giudiziario tra gli Stati membri dell’Unione soprattutto per quanto riguarda la lotta alle forme di più grave criminalità:
§ facilitando e accelerando la cooperazione in ambito giudiziario;
§ fornendo informazioni di natura giuridica e pratica alle autorità locali;
§ garantendo supporto nel caso siano presentate richieste di assistenza.
La rete nasce con l’approvazione dell’azione comune 98/428/GAI (adottata dal Consiglio sulla base dell'articolo K3 del trattato sull'Unione europea) sull'istituzione di una Rete giudiziaria europea. Oggi, tale azione comune è stata superata dalla Decisione 2008/976/GAI del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa alla Rete giudiziaria europea.
La Rete è composta dalle autorità centrali e da altre autorità responsabili della cooperazione giudiziaria internazionale degli Stati membri. Per ciascuno Stato membro vengono istituiti uno o più punti di contatto, fra i quali viene designato un corrispondente nazionale per la Rete giudiziaria europea. Anche i magistrati di collegamento nazionali con funzioni analoghe a quelle attribuite ai punti di contatto sono associati alla Rete. La Commissione designa un punto di contatto per i settori di sua competenza.
Per l'Italia i punti di contatto si individuano a livello di ciascuna Procura generale presso la Corte d'Appello, oltre che presso l'Ufficio II della Direzione generale degli affari penali del Ministero.
I punti di contatto sono intermediari attivi che hanno il compito di agevolare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, soprattutto nelle azioni contro le forme di criminalità grave: devono consentire di stabilire contatti diretti fra le autorità giudiziarie locali e altre autorità competenti nonché fra altri punti di contatto in tutta l’Unione europea (UE). A tale scopo, i punti di contatto devono scambiarsi e fornire alle autorità competenti le informazioni giuridiche e pratiche necessarie. I punti di contatto, inoltre, partecipano a e promuovono l’organizzazione di sessioni di formazione, se del caso in cooperazione con la Rete europea di formazione giudiziaria.
Il compito principale della Rete è agevolare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri in materia penale, migliorando la comunicazione fra i punti di contatto, organizzando riunioni periodiche tra i rappresentanti degli Stati membri e fornendo le informazioni di base necessarie.
La Rete giudiziaria europea e l’Eurojust intrattengono rapporti privilegiati tra di loro basati sulla concertazione e sulla complementarietà. Il bilancio dell'Eurojust copre le attività del segretariato della Rete giudiziaria europea.
Con la legge n. 85 del 2009, l’Italia ha ratificato il Trattato di Prüm (detto anche “Schengen 2”) sottoscritto il 27 maggio 2005 da alcuni Paesi dell’Unione Europea e che approfondisce la cooperazione transfrontaliera ai fini del contrasto del terrorismo, della criminalità transfrontaliera e dell’immigrazione illegale.
Il trattato è aperto all’adesione degli altri Stati membri dell’Unione europea, che ha adottato la Decisione 2008/615/GAI del Consiglio del 23 giugno 2008 allo scopo di incorporare la sostanza delle disposizioni del trattato di Prüm nel quadro giuridico dell’Unione.
Il Trattato, in particolare, prevede - per indagini sui reati indicati - la costituzione di banche dati nazionali del DNA, con la possibilità per ciascun Paese contraente di scambiarsi le informazioni, accedere alla ricerca automatica ed alla comparazione dei dati sul DNA e sulle impronte digitali contenuti nelle banche dati degli altri Stati contraenti.
L'Accordo prevede, inoltre, il possibile utilizzo di Sky Marshalls a bordo degli aerei da parte dei Paesi che intendano avvalersi di tale strumento, sulla falsificazione di documenti, sui rimpatri congiunti e i pattugliamenti congiunti di frontiera. Per quanto attiene alla lotta all'immigrazione clandestina è previsto anche l'invio di Ufficiali di collegamento esperti in falsi documentali nei Paesi di origine dei flussi migratori irregolari.
In occasione di manifestazioni di massa, catastrofi ed altre gravi calamità, l'Accordo prevede anche la possibilità di costituire squadre miste per forme di intervento comune nel territorio di uno degli Stati contraenti e la mutua assistenza.
La cooperazione di polizia (Capo V, artt. 87-89 della versione consolidata del Trattato) mira ad associare tutte le autorità competenti degli Stati membri per quanto riguarda i servizi di polizia e delle dogane, al fine della prevenzione e dell’individuazione dei reati e delle relative indagini (art. 87).
In particolare, la collaborazione tra i servizi di polizia si basa su organi come Europol e l'Accademia europea di polizia (CEPOL).
Il Trattato di Maastricht (art. K 1.9) ha previsto la creazione di un ulteriore organismo comunitario (oggi, agenzia della UE), l’Ufficio europeo di polizia (Europol), nato per occuparsi di intelligence a livello europeo in ambito criminale. Tale ufficio - la cui istituzione si inserisce nel più ampio contesto della collaborazione nei settori della giustizia e degli affari interni - è competente per la cooperazione tra le polizie degli Stati membri in materia di lotta al terrorismo, alla droga e ad altre forme di criminalità organizzata internazionale, purché lesiva degli interessi di due o più Stati membri.
In attuazione dell'articolo K 3 del Trattato è stata firmata a Bruxelles il 26 luglio 1995 la Convenzione Europol che formalmente stabilisce l'istituzione di un Ufficio europeo di polizia, disciplinandone dettagliatamente l'organizzazione e le competenze. La Convenzione nasce allo scopo di migliorare “l’efficacia dei servizi competenti degli Stati membri e la loro cooperazione, al fine di prevenire e combattere il terrorismo, il traffico illecito di stupefacenti ed altre forme di criminalità organizzata”.
La Convenzione è stata ratificata dall'Italia con la legge 23 marzo 1998, n. 93[25]; è entrata in vigore il 1° ottobre 1998 ed Europol ha cominciato a svolgere la propria attività dal 1° luglio 1999, divenendo, così, uno strumento di intelligence a supporto degli Stati membri che dialoga con le forze di polizia di ciascun Paese attraverso le Unità Nazionali. Con la successiva legge 7 giugno 1999, n. 182 è stato ratificato il protocollo relativo ai privilegi ed alle immunità del personale dell’Ufficio.
Nel 1998 le aree del mandato di Europol sono state ampliate. In particolare, la competenza sul terrorismo è stata attribuita dal 1° gennaio 1999 (con decisione del Consiglio GAI del 3 dicembre 1998).
In base all’ultimo Protocollo di modifica della Convenzione, ratificato dall’Italia con la legge 20 febbraio 2006, n. 94, l'obiettivo dell'Europol è quello di migliorare, nel quadro della cooperazione di polizia tra gli Stati membri ai sensi del trattato sull'Unione europea e mediante le misure menzionate nella presente convenzione, l'efficacia dei servizi competenti degli Stati membri e la loro cooperazione, al fine di prevenire e combattere le forme gravi di criminalità internazionale, qualora vi siano indicazioni concrete o ragionevoli motivi di ritenere che sia coinvolta una struttura criminale organizzata e che due o più Stati membri siano lesi in modo tale da richiedere, considerate l'ampiezza, la gravità e le conseguenze dei reati, un'azione comune degli Stati membri.
Ai sensi della convenzione sono considerati forme gravi di criminalità internazionale oltre i tipi di reato elencati nell'allegato o forme specifiche di essi, i seguenti reati:
§ reati commessi o che possono essere commessi nell'ambito di attività terroristiche che si configurano in reati contro la vita; l'incolumità fisica, la libertà delle persone e il beni;
§ traffico illecito di droga;
§ attività illecite di riciclaggio di denaro;
§ traffico illecito di materie nucleari e radioattive;
§ organizzazione clandestina di immigrazione;
§ tratta di esseri umani;
§ criminalità connessa con il traffico di veicoli rubati.
In relazione al riciclaggio, la Convenzione istitutiva disponeva che, oltre alle competenze attualmente definite e limitate a determinati fenomeni criminali, Europol fosse, altresì, competente per i reati di riciclaggio di denaro ad essi collegati, nonché per i reati connessi. Nella Convenzione, quindi, il riciclaggio di denaro non assumeva una autonoma valenza, essendo previsto solo quale fenomeno criminale collegato ai reati per i quali Europol è competente.
Con la legge 29 luglio 2004, n. 221 è stato ratificato uno specifico Protocollo che, invece, attribuisce ad Europol una competenza diretta circa il reato di riciclaggio.
L'Europol offre, inoltre, sostegno agli Stati membri:
§ facilitando lo scambio d’informazioni tra gli Stati membri dell’Unione europea;
§ fornendo analisi operative e sostenendo le operazioni degli Stati membri;
§ offrendo le proprie competenze e sostegno tecnico per le indagini e le operazioni svolte all’interno dell’Unione europea, sotto il controllo e la responsabilità giuridica degli Stati membri;
§ preparando relazioni strategiche (per es. valutazioni della minaccia) e analisi criminali sulla base di informazioni ed intelligence fornite dagli Stati membri o da altre fonti.
Uno dei compiti dell’Europol è inoltre quello di istituire e gestire un sistema informatizzato per l'inserimento, l'accesso e l'analisi di dati utili. Un'autorità di controllo comune, composta da due esperti in materia di protezione dei dati per ciascun paese dell'UE, garantisce l'impiego corretto di tutti i dati personali conservati dall'Europol.
Dal punto di vista organizzativo, il sistema Europol si articola in una struttura centrale, con sede a L'Aja, attorno alla quale si dirama una struttura costituita dalle Unità nazionali operanti negli Stati membri, chedialogano con Europol tramite ufficiali di collegamento.
Per consentirle di operare in un quadro normativo più flessibile, anche Europol – come Eurojust - è stata trasformata in un’Agenzia della UE. Il quadro finanziario 2007-2013 ha previsto il finanziamento del bilancio di Europol da parte della UE a partire dal 2010 (82 milioni di euro per il primo anno).
Gli organi di Europol sono:
§ il consiglio di amministrazione, composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro. La presidenza del consiglio di amministrazione è assunta dal rappresentante dello Stato membro che esercita la presidenza del Consiglio;
§ il direttore, nominato dal consiglio di amministrazione per un periodo di quattro anni, rinnovabile una volta;
§ il controllore finanziario, nominato all'unanimità dal consiglio di amministrazione e responsabile dinanzi ad esso;
§ il comitato finanziario, composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro.
La decisione 2005/681/GAI del Consiglio, del 20 settembre 2005 ha istituito, sotto forma di agenzia dell’Unione europea, l’Accademia europea di polizia (CEPOL), che riunisce alti funzionari delle forze di polizia di tutta Europa per incoraggiare la cooperazione transfrontaliera in materia di lotta alla criminalità e di mantenimento della sicurezza e dell'ordine pubblico.
Le attività, che interessano numerose e molteplici tematiche (in particolare, la CEPOL organizza circa 80-100 corsi, seminari e conferenze all’anno), si svolgono presso le accademie nazionali di formazione delle forze di polizia degli Stati membri.
Il segretariato della CEPOL ha sede a Bramshill (Regno Unito).
La necessità di dar vita a squadre investigative comuni sopranazionali che consentano – soprattutto nel contrasto alla criminalità organizzata, al terrorismo internazionale e ai cosiddetti cross-border crimes (es. traffico di stupefacenti, tratta di esseri umani) – di superare i tradizionali limiti della cooperazione interstatuale, investigativa e giudiziaria, è stata messa in evidenza già dal Consiglio Europeo di Tampere dell’ottobre 1999.
Limitatamente ai rapporti tra gli Stati membri dell’Unione europea, detta collaborazione può coinvolgere non soltanto autorità giudiziarie e di polizia, ma anche autorità non statali, come gli ufficiali in servizio presso l’ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), presso l’Ufficio europeo di polizia (Europol) o presso l’Unità europea di cooperazione giudiziaria (Eurojust).
L’Unione Europea ha disciplinato tali squadre prima con la Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000 (art. 13), relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale, e quindi con la decisione quadro n. 2002/465/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002 (il cui termine di attuazione è scaduto il 1° gennaio 2003). Peraltro, con la raccomandazione del Consiglio dell’8 maggio 2003 è stato adottato anche il modello formale di accordo per la costituzione della squadra di indagine comune, che integra e completa le disposizioni contenute sia nell’articolo 13 della Convenzione, sia nella decisione quadro del Consiglio.
Si segnala come il 6 aprile u.s. il Senato abbia approvato in prima lettura un testo unificato (AASS 804 e 841) volto a dare attuazione alla suddetta decisione quadro in tema di squadre investigative comuni sopranazionali. In particolare, il provvedimento prevede che il PM possa richiedere per il tramite del Ministro della giustizia la costituzione di una squadra quando procede – in relazione a particolari delitti - ad indagini collegate con quelle condotte in altri Stati. L’atto costitutivo della squadra investigativa indica il titolo di reato ed i fatti oggetto dell’indagine, i motivi che giustificano l’indagine sopranazionale, il capo della squadra ed i membri nazionali e distaccati da altri Stati membri, la durata dell’indagine stessa.
(le più recenti iniziative dell’Unione europea)
Nella comunicazione “Strategia di allargamento e sfide principali per il periodo 2010-2011” del 9 novembre 2011, la Commissione ha ribadito come l'applicazione dello Stato di diritto, in particolare attraverso la riforma giudiziaria e la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, abbia un carattere prioritario nell’ambito delle condizioni che gli Stati interessati dalla politica di allargamento devono soddisfare ai fini dell’adesione all’Unione europea. In questo quadro, la comunicazione analizza la situazione attuale nei paesi dei Balcani occidentali, suggerendo linee di azione per il prossimo futuro.
La comunicazione ricorda, in particolare, come l’intensificazione delle verifiche inter pares e delle altre missioni abbia permesso a giudici, pubblici ministeri e altri esperti degli Stati membri competenti in materia di applicazione della legge, gestione delle frontiere e migrazioni di avere contatti diretti con i loro omologhi. Una più intensa cooperazione giudiziaria e di polizia nella regione, con gli Stati membri dell’UE e con Europol, Eurojust e Frontex ha fornito strumenti importanti per lottare contro la criminalità transnazionale nel periodo preadesione.
La Commissione valuta positivamente i recenti sviluppi in materia di cooperazione giudiziaria in diversi paesi dei Balcani occidentali: sono stati conclusi nuovi accordi bilaterali, in particolare tra Serbia e Albania, riguardanti la cooperazione di polizia, l'assistenza giudiziaria reciproca e l’applicazione reciproca delle sentenze nei casi penali; la Croazia e la Serbia hanno firmato un accordo di estradizione reciproca ai fini di azioni penali o dell’applicazione di sentenze di reclusione in casi di criminalità organizzata e corruzione. La Commissione ritiene peraltro che la cooperazione giudiziaria risulterebbe molto più proficua se si estendessero le possibilità di estradizione a tutti i casi di reati gravi, compresi i crimini di guerra.
Particolare attenzione è riservata dalla Commissione europea agli aspetti relativi alla libertà di espressione e dei media, quale parte integrante di qualsiasi regime democratico. La comunicazione rileva in proposito che in molti paesi dei Balcani occidentali proseguono le minacce e le aggressioni fisiche a danno di giornalisti: in alcuni paesi, la diffamazione sarebbe tuttora considerata un reato o darebbe luogo ad ammende eccessivamente elevate; in molti paesi l'indipendenza dei media, comprese le emittenti pubbliche, sarebbe soggetta a ingerenze politiche e l’indipendenza della stampa subirebbe indebite pressioni politiche ed economiche. La Commissione si è peraltro impegnata a monitorare attentamente i progressi compiuti, concentrandosi in particolare su aspetti come il quadro legislativo e la sua conformità con gli standard europei, soprattutto per quanto riguarda la diffamazione, il dovere delle autorità di reprimere debitamente tutti gli attacchi a danno di giornalisti, la creazione di organismi autonomi e il loro contributo ad una maggiore professionalità, il ruolo delle emittenti radiotelevisive pubbliche nelle democrazie pluralistiche e lo sviluppo di reti transfrontaliere per potenziare l’elaborazione di relazioni nell’intera regione, così da migliorare la comprensione reciproca.
La comunicazione si sofferma infine sulle prospettive future nei singoli paesi.
In particolare per quanto riguarda la Croazia, la Commissione ritiene che essa debba ancora soddisfare i parametri fissati per la chiusura del capitolo sistema giudiziario e diritti fondamentali, costituendo in particolare il necessario track record per quanto riguarda l'indipendenza e l'efficienza del sistema giudiziario, la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, il rispetto e la tutela delle minoranze, ivi compreso il rientro dei profughi, i processi per crimini di guerra e la piena collaborazione con il Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia, risolvendo anche la questione dell'accesso ai documenti da parte del Tribunale.
Relativamente alla Ex Repubblica iugoslava di Macedonia, la Commissione sottolinea che,dopo le ampie riforme del 2009, sarebbero stati compiuti ulteriori progressi, anche se a ritmo irregolare, per quanto riguarda la riforma del Parlamento, della polizia, della giustizia e della pubblica amministrazione nonché il rispetto e la tutela delle minoranze. Ulteriori progressi, secondo la Commissione, risulterebbero necessari per quanto riguarda il dialogo fra esponenti politici, la riforma della giustizia e della pubblica amministrazione, la lotta contro la corruzione, la libertà di espressione e il miglioramento del clima imprenditoriale.
Con riferimento alla Bosnia-Erzegovina, la comunicazione della Commissione rileva che le incompatibilità fra la Costituzione nazionale e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo non sarebbero state abolite, malgrado una sentenza in materia della Corte europea dei diritti dell'uomo. Il rispetto dei diritti democratici e del diritto alla parità di trattamento senza discriminazioni, sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, costituisce un elemento essenziale dell’accordo interinale.
Per quanto riguarda la Serbia, la Commissione europea valuta positivamente l’attuazione del programma di riforme in materia di lotta contro la criminalità organizzata nonché i passi compiuti verso la riconciliazione nella regione, in particolare, con la Croazia e la Bosnia-Erzegovina e l’attiva collaborazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia. La Commissione ritiene peraltro che il paese debba adoperarsi con ulteriore impegno per quanto riguarda la riforma della giustizia e della pubblica amministrazione e la lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione.
Relativamente al Kosovo, la Commissione sottolinea la necessità di intensificare la lotta contro la corruzione, la criminalità organizzata e il riciclaggio del denaro. Sussisterebbero inoltre preoccupazioni circa il dialogo e la riconciliazione tra le comunità e la protezione/integrazione delle minoranze, in particolare i serbi kosovari. La Commissione ritiene che le autorità dovrebbero assumere un atteggiamento costruttivo nei confronti della partecipazione del Kosovo ai consessi di cooperazione regionale per tenere il passo con gli sviluppi regionali.
Un ulteriore approfondimento dei temi connessi alla cooperazione nell’area di giustizia libertà e sicurezza è contenuto nella comunicazione “Rafforzare la prospettiva europea dei Balcani occidentali” del marzo 2008 e nel documento di lavoro “Le attività a livello regionale nei Balcani occidentali” del 3 febbraio 2009 (SEC(2009)128).
La comunicazione, in particolare, sottolinea che la cooperazione e le riforme in materia di giustizia, libertà e sicurezza (soprattutto per quanto riguarda la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione, la riforma della magistratura e della polizia e il rafforzamento della gestione delle frontiere) rivestono particolare importanza per i Balcani occidentali, figurando tra le priorità della loro agenda europea e assicura che a questo settore continuerà ad essere destinata una quota rilevante dell'assistenza comunitaria per la regione.
Il documento di lavoro ribadisce che i Balcani occidentali costituiscono un'area prioritaria per Europol e, a tale proposito, segnala che:
- Dal 2007 sono in vigore accordi strategici tra Europol e rispettivamente Albania e Bosnia-Erzegovina; l’accordo tra Europol e l'ex Repubblica jugoslava di Macedonia è in vigore dal marzo 2008;
- accordi analoghi sono stati firmati nel settembre 2008 con il Montenegro e la Serbia;
- dal 2006 è in vigore un accordo operativo di maggiore portata tra Europol e la Croazia. La Croazia ha inoltre concluso un accordo di cooperazione con Eurojust a novembre 2007.
Ricordando che l'UE sostiene una stretta cooperazione tra Europol e il Centro regionale per la lotta alla criminalità transfrontaliera della SECI[26], con sede a Bucarest, la Commissione ha suggerito la conclusione di un accordo di cooperazione tra le due organizzazioni, una volta che sarà stata adottata una nuova convenzione SECI in corso di negoziazione, contenente norme sulla protezione dei dati personali[27].
Durante la Presidenza slovena dell’UE è stata avviata l’elaborazione da parte dei paesi dei Balcani occidentali, con l’aiuto del centro SECI e di Europol, di valutazioni della minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata nell'Europa sudorientale (SEE-OCTASouth East Europe Organised Crime Threat Assessments), i cui primi risultati sono stati esposti al Consiglio giustizia e affari interni di giugno 2008. Successivamente il SECI ha predisposto un piano di azione, anche sulla base dei questionari inviati ai paesi interessati, con l’identificazione delle priorità comuni, approvato a Brdo nell’ottobre 2008. Il centro SECI ha inoltre coordinato numerose operazioni transfrontaliere contro il traffico di droga.
L’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (FRONTEX) sta potenziando la cooperazione con numerosi paesi della regione sulla base di intese operative (con Albania, Serbia e Fyrom da febbraio 2009, Montenegro, da giugno 2009).
(normativa italiana)
Gli stranieri regolari (tra comunitari ed extracomunitari) presenti nel nostro Paese hanno ormai superato la soglia di quattro milioni e mezzo.
Secondo le stime dell’Istituto nazionale di statistica, sono 4 milioni 563 mila gli stranieri residenti nel nostro Paese al 1° gennaio 2011 e sono in costante aumento[28]. Rispetto all’anno precedente si registra un incremento di 328 mila unità.
I dati dell’ISTAT si riferiscono agli stranieri iscritti all’anagrafe della popolazione residente e che presentano, quindi, caratteristiche insediative stabili. A questi devono aggiungersi gli stranieri regolarmente presenti ma che non hanno fatto richiesta o che non sono stati ancora registrati all’anagrafe.
Se si tiene conto anche dei soggiornanti non residenti o non ancora registrati, il numero di stranieri regolari avrebbe, già nel corso del 2009, sfiorato i 5 milioni, attestandosi a 4 milioni 919 mila[29]. Secondo altre stime sarebbe stata superata anche la cifra di 5 milioni[30].
Secondo i dati ISTAT l’incidenza dei cittadini stranieri sulla popolazione complessiva è del 7,5%[31], che consente ormai di annoverare l’Italia tra i grandi Paesi europei di immigrazione accanto a Germania, Spagna, Francia e Regno Unito.
Accanto alla presenza regolare degli stranieri, è diffuso il fenomeno dell’immigrazione irregolare. Ovviamente, non ci sono stime ufficiali sul numero totale dei clandestini. Come accennato, un recente studio ipotizza una presenza irregolare in Italia di 544 mila persone all’inizio del 2010[32].
Una analisi effettuata a partire dal 2000 permette di individuare le modalità di ingresso degli stranieri in posizione irregolare: il 10% è costituito dagli sbarchi via mare e il 15% riguarda gli ingressi effettuati in maniera fraudolenta via terra. Quindi, solamente il 25% è costituito dai clandestini in senso stretto, la grande maggioranza (75%) è costituita dagli overstayer, ossia da persone che attraversano legalmente il confine con un visto valido (prevalentemente di tipo turistico) e poi si trattengono nel nostro Paese[33].
Per quanto concerne gli sbarchi di clandestini sulle coste italiane, dopo una fase di sostanziale azzeramento dei flussi provenienti dall’Albania e dalla Turchia, diretti in Puglia e in Calabria, si registra una ripresa degli sbarchi nelle coste ioniche delle due regioni. Da segnalare che a partire dal 2005 anche la Sardegna è diventata meta di sbarchi.
Gli sbarchi in Sicilia, dopo una tendenza alla diminuzione negli ultimi due anni, hanno avuto una forte ripresa nei primi mesi del 2011, con 14.918 clandestini sbarcati dal 1° gennaio al 21 marzo 2011. Il massiccio afflusso è collegato alla situazione di instabilità dei Paesi nordafricani[34]. Successivamente all’intervento militare in Libia, ed in previsione di un ulteriore afflusso di profughi, il Governo, le regioni e gli enti locali hanno sancito un accordo che prevede un piano di accoglienza straordinario, con il concorso delle regioni e gli enti locali, per distribuire fino a 50.000 profughi nel territorio italiano. Questi saranno equamente distribuiti nel territorio nazionale in ciascuna regione, escluso l’Abruzzo. La definizione di tale flusso territoriale è stata demandata a una cabina di regia nazionale, coordinata dal Governo, con le regioni e gli enti locali ed articolata nelle diverse realtà regionali, coinvolgendo le Prefetture. Per quanto riguarda il problema dei minori stranieri non accompagnati, il Governo si è impegnato ad individuare risorse stabili e pluriennali al sostegno della collocazione nelle case famiglia attraverso i comuni[35]. Il 5 aprile 2011 è stata sottoscritta a Tunisi una intesa tra Italia e Tunisia che impegna le autorità del Paese nordafricano a rafforzare i controlli per evitare nuove partenze e ad accettare il rimpatrio diretto per i nuovi arrivi in Italia[36]. |
Dal 1° gennaio al 30 settembre del 2010, si sono registrati 114 sbarchi, per un totale di 2.868 clandestini. Nello stesso periodo dell'anno precedente gli sbarchi erano stati 148, per un totale di 8.292 clandestini. Nel periodo 1° agosto 2008-31 luglio 2009, il totale degli sbarchi in Italia è stato di 29.076 unità; nell'anno successivo, 1° agosto 2009-31 luglio 2010, di 3.499 complessivamente, con una riduzione dell'88 per cento[37].
In tutto il 2009 sono sbarcati illegalmente sul territorio nazionale 9.573 stranieri. Si registra una sensibile diminuzione rispetto all'anno 2008, quando sono sbarcati sulle coste italiane 36.951 cittadini extracomunitari; la diminuzione è molto accentuata a partire dall’applicazione dell’accordo sottoscritto nel 2008 tra lo Stato italiano e la Libia. Nel 2009 sono stati 885 gli stranieri intercettati a bordo di imbarcazioni in acque internazionali e restituiti alle autorità libiche (834) e algerine (51), in occasione di 11 operazioni effettuate congiuntamente alla Libia (9) e all’Algeria (2). Dal maggio 2009 (data di inizio delle operazioni congiunte) al dicembre 2009 sono stati intercettati 3.185 clandestini sbarcati in Italia, contro 31.281 dello stesso periodo del 2008[38].
Per quanto riguarda le operazioni di rimpatrio degli stranieri, dal 1° gennaio 2005 al 31 dicembre 2009 risultano effettivamente rimpatriati 169.129 clandestini, di cui 42,595 nel biennio 2008-2009[39].
Le linee generali delle politiche pubbliche in materia di immigrazione in Italia, fissate dalla legge 40/1998[40] (cosiddetta “legge Turco – Napolitano”), sono state successivamente consolidate nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero.
Successivamente, è intervenuta la legge 189/2002[41](la cosiddetta “legge Bossi-Fini”) che ha modificato il testo unico del 1998, pur non alterandone l’impianto complessivo.
In tempi più recenti, ulteriori integrazioni al testo unico sono state apportate dalla legge sulla sicurezza n. 94 del 2009[42].
Norme regolamentari, di attuazione del testo unico, sono contenute nel D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, come modificato dal D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334, emanato in attuazione della legge 189/2002.
Il testo unico interviene in entrambi gli ambiti principali del diritto dell’immigrazione: il diritto dell’immigrazionein senso stretto, concernente la gestione nel suo complesso del fenomeno migratorio: la definizione di regole di ingresso, di soggiorno, di controllo, di stabilizzazione dei migranti ed anche la repressione delle violazioni a tali regole; e il diritto dell’integrazione, che riguarda l’estensione, in misura più o meno ampia, ai migranti dei diritti propri dei cittadini (diritti civili, sociali, politici).
I princìpi fondamentali che sono alla base del testo unico sono essenzialmente tre: la programmazione dei flussi migratori e il contrasto all’immigrazione clandestina (per quanto riguarda il diritto dell’immigrazione); la concessione di una ampia serie di diritti volti all’integrazione degli stranieri regolari (diritto dell’integrazione).
Il testo unico non interviene in materia di diritto di asilo la cui disciplina, in passato contenuta nel decreto-legge 416/1989[43] (la cosiddetta “legge Martelli”), ha avuto di recente una regolamentazione dettagliata ad opera del decreto legislativo 251/2007 e successivamente del decreto legislativo 25/2008, entrambi di recepimento della normativa comunitaria: il primo della direttiva 2004/83/CE (la cosiddetta direttiva “qualifiche”), il secondo della direttiva 2005/85/CE (cosiddetta direttiva “procedure”).
Anche la condizione giuridica degli stranieri cittadini di stati membri dell’Unione europea è stata di recente ridisciplinata con il decreto legislativo 30/2007 sempre di derivazione comunitaria (dir. 2004/38/CE).
In Italia l’immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea è regolata secondo il principio della programmazione dei flussi. Ogni anno il Governo, sulla base della necessità di manodopera interna, stabilisce il numero di stranieri che possono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro.
In particolare, la gestione dei flussi di immigrazione è realizzata attraverso una serie di strumenti, quali il documento programmatico triennale, il decreto annuale sui flussi, il decreto sull’ingresso degli studenti universitari.
Il documento programmatico sulla politica dell’immigrazione viene elaborato dal Governo ogni tre anni ed è sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari. Esso contiene un’analisi del fenomeno migratorio e uno studio degli scenari futuri; gli interventi che lo Stato italiano intende attuare in materia di immigrazione; le linee generali per la definizione dei flussi d’ingresso; le misure di carattere economico e sociale per favorire l’integrazione degli stranieri regolari[44].
Il decreto sui flussi è lo strumento attuativo del documento programmatico, con cui il Governo stabilisce ogni anno, sulla base delle indicazioni contenute nel documento programmatico triennale e dei dati sull’effettiva richiesta di lavoro da parte delle realtà locali, elaborati da un’anagrafe informatizzata tenuta dal Ministero del lavoro, le quotemassime di stranieri da ammettere in Italia per motivi di lavoro. In esso sono previste quote riservate per i cittadini provenienti da Paesi a forte pressione migratoria con i quali l’Italia ha sottoscritto accordi specifici di cooperazione in materia di immigrazione. Il decreto è adottato entro il 30 novembre di ciascun anno, previo parere delle competenti commissioni parlamentari.
Una norma di salvaguardia prevede che qualora non sia possibile emanare il decreto (per esempio in assenza del documento programmatico triennale) il Presidente del Consiglio può adottare un decreto transitorio con una procedura più veloce e senza il parere delle Camere. Tale decreto, però, non può superare le quote stabilite nell’ultimo decreto (ordinario o transitorio) emanato (art. 3 del testo unico del 1998).
Il secondo principio su cui si fonda la disciplina dell’immigrazione è quello del contrasto all’immigrazione clandestina.
Gli stranieri entrati in Italia senza regolare visto di ingresso sono considerati “clandestini”, mentre sono ritenuti “irregolari” gli stranieri che hanno perduto i requisiti per la permanenza sul territorio nazionale. Secondo le norme vigenti, tali immigrati devono essere respinti alla frontiera o espulsi.
L’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio nazionale è considerato un reato punibile con una ammenda o con l’espulsione.
Gli strumenti che l’ordinamento predispone per il contrasto all’immigrazione clandestina sono numerosi e vanno dalla repressione del reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, al respingimento alla frontiera, dall’espulsione come misura di sicurezza per stranieri condannati per gravi reati, all’espulsione come sanzione sostitutiva.
Il principale di essi può tuttavia considerarsi l’espulsione amministrativa. Dopo la legge Bossi-Fini essa deve essere eseguita in via ordinaria con l’accompagnamento alla frontiera da parte delle forze dell’ordine, disposto dal prefetto; solamente in determinati casi si concreta in una intimazione a lasciare entro 15 giorni il territorio dello Stato. Il provvedimento di espulsione è valido per 10 anni e il mancato rispetto di quanto in esso disposto dà luogo a sanzione penale.
Particolarmente severe sono le disposizioni volte a reprimere il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, punito con la reclusione fino a a quindici anni. Le pene sono poi aumentate in presenza di circostanze aggravanti, quali l’avviamento alla prostituzione[45]. Va inoltre ricordata, in proposito, la ridefinizione dei reati di riduzione in schiavitù e di tratta di persone operata dalla legge 228/2003[46].
Una menzione spetta anche al permesso di soggiorno a fini investigativi, rilasciato in favore degli stranieri che prestino la loro collaborazione all’autorità giudiziaria o agli organi di polizia in relazione a delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico. Si tratta di un nuovo strumento introdotto dal decreto-legge 144/2005[47], e che si inserisce nel solco della legislazione premiale in materia di immigrazione inaugurata dal permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, che può essere rilasciato a immigrati clandestini che siano vittime di situazioni di violenza o di grave sfruttamento[48].
Quando l’espulsione non può essere immediata, gli stranieri devono essere trattenuti presso appositi centri di identificazione ed espulsione (CIE) (nuova denominazione dei centri di permanenza temporanea ed assistenza – CPTA) per il tempo strettamente necessario alla loro identificazione ed espulsione.
I CIE, ex CPTA,sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione (i motivi di possibile trattenimento sono i seguenti: perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero a giudizio di convalida, ovvero per l’indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo)[49]. In tali strutture lo straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità (art. 14, co. 2, D.Lgs. 286/1998). Il trattenimento è disposto con provvedimento del questore per un periodo di 30 giorni, prorogabile fino ad un massimo di 6 mesi.
Il decreto-legge 151/2008[50] autorizza uno stanziamento pluriennale per l’ammodernamento e l’ampliamento dei CIE e per la costruzione di nuovi. Le nuove strutture dovrebbero essere localizzate nelle regioni nelle quali attualmente non esistono CIE. Sono in corso le attività di scelta e di valutazione alle quali partecipano anche le regioni e gli enti locali interessati[51].
Uno degli strumenti che hanno reso possibile una efficace azione di contrasto all’immigrazione clandestina è stato la stipulazione, da parte del Governo italiano, di una serie di accordi bilaterali in materia di immigrazione (l’ultimo con la Libia).
Si tratta, innanzitutto, degli accordi di riammissione degli stranieri irregolari, previsti dal testo unico sull’immigrazione, volti ad ottenere la collaborazione delle autorità del Paese straniero nelle operazioni di rimpatrio dei migranti non regolari, espulsi dall’Italia o respinti al momento dell’attraversamento della frontiera.
Con alcuni Paesi, e specificamente con quelli a più alta pressione migratoria, sono stati perfezionati pacchetti di intese di portata più ampia che prevedono non soltanto accordi di riammissione, ma anche intese di cooperazione di polizia, nonché accordi in materia di lavoro. Nei decreti annuali sui flussi di ingresso del lavoratori extracomunitari sono previste quote riservate per gli stranieri provenienti da Paesi che hanno stretto tali accordi globali di cooperazione.
Per quanto riguarda il terzo dei tre princìpi ispiratori della legislazione vigente, l’integrazione degli stranieri regolari, il nostro ordinamento garantisce una ampia tutela dei diritti degli stranieri e promuove l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati.
Innanzitutto, agli stranieri sono garantiti, alla stregua dei cittadini italiani, i diritti fondamentali di libertà ed eguaglianza fissati dalla prima parte della nostra Costituzione. Tra questi, espressamente destinato agli stranieri, il diritto di asilo (art. 10 della Cost.).
Inoltre, una serie di disposizioni contenute in leggi ordinarie provvedono a fissare contenuti e limiti della possibilità degli stranieri di godere dei diritti propri dei cittadini e dall’altro a promuovere l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati.
In primo luogo, la legge prevede, in presenza di determinate condizioni, la concessione agli stranieri della cittadinanza (per naturalizzazione, per nascita o per matrimonio), quale massimo strumento di integrazione e di possibilità di godimento dei diritti garantiti dall’ordinamento. L’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione presuppone la permanenza regolare e continuativa nel territorio nazionali per dieci anni ed è subordinata alla decisione, in larga parte discrezionale, dell’amministrazione pubblica.
Per quanto riguarda i diritti civili, agli stranieri è garantito il diritto alla difesa in giudizio (art. 17 testo unico).
Inoltre, è prevista una serie di strumenti volti al contrasto della discriminazione razziale: a partire dalla legge 654/1975 di ratifica della Convenzione di New York del 1966 contro il razzismo[52], fino al testo unico che da una definizione puntuale degli atti di discriminazione (art. 43) e disciplina l’azione di sede civile contro tali atti (art. 44).
In questo settore alcuni importanti interventi sono stati realizzati principalmente in attuazione della disciplina comunitaria: il D.Lgs. 215/2003 e il D.Lgs. 216/2003 contengono disposizioni per garantire la non discriminazione a causa delle proprie origini, il primo in generale, il secondo in materia di lavoro[53].
Sono previste, inoltre, alcune disposizioni relative alla tutela dei diritti sociali.
Specifiche disposizioni del testo unico (artt. 28-33) prendono in esame le forme di garanzia del diritto all’unità familiare e al ricongiungimento familiare, riconosciuto agli stranieri regolarmente soggiornanti, e di tutela dei minori, il cui prioritario interesse deve sorreggere tutti i provvedimenti amministrativi e giurisdizionali in materia di diritto all’unità familiare.
Per quanto riguarda il diritto alla salute, viene garantita una ampia assistenza sanitaria a tutti gli stranieri, compresi coloro che non sono in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno (artt. 34-36).
Anche il diritto allo studio è garantito dal testo unico (art. 38, 39 e 39-bis).
Le disposizioni del testo unico in materia di servizi abitativi e di assistenza sociale per stranieri (artt. 40-41) prevedono che le regioni, in collaborazione con gli enti locali e con le associazioni di volontariato, predispongano centri di accoglienza destinati ad ospitare stranieri regolarmente soggiornanti e impossibilitati, temporaneamente, a provvedere autonomamente alle proprie esigenze abitative e di sussistenza.
L’art. 41 del testo unico estende a favore degli stranieri in possesso del permesso di soggiorno (di durata non inferiore a un anno) o del permesso di soggiorno di lungo periodo anche l’accesso ai servizi socio-assistenzialiorganizzati sul territorio.
Quanto ai diritti politici, va segnalata la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale fatta a Strasburgo nel 1992 tra i Paesi membri del Consiglio d’Europa (ratificata dall’Italia con legge 203/1994) con la quale vengono garantiti agli stranieri residenti nei Paesi aderenti una serie di diritti. In particolare il capitolo A della Convenzione prevede il riconoscimento agli stranieri, alle stesse condizioni previste per i cittadini, delle libertà di espressione, di riunione e di associazione, ivi compresa quella di costituire sindacati e affiliarsi ad essi, ferme restando le eventuali limitazioni per ragioni attinenti alla sicurezza dello Stato, alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Con il capitolo B si riconosce il diritto alle collettività locali che hanno nei loro rispettivi territori un numero significativo di residenti stranieri, di creare organi consultivi volti a rappresentare i residenti stranieri a livello locale, ai quali deve essere data la possibilità di discutere sui problemi di loro interesse per il tramite di rappresentanti eletti o nominati da gruppi associati.
Non si è data, invece, applicazione al capitolo C della Convenzione che impegna le parti a concedere agli stranieri residenti il diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni locali che, pertanto, non è attribuibile agli stranieri non comunitari.
Le questioni relative all’immigrazione, ed in particolare il contrasto all’immigrazione clandestina e ai reati connessi, sono argomento di dibattito politico fin dall’inizio della legislatura.
Nell’illustrare alle Camere il programma del nuovo Governo, il Presidente del Consiglio ha sottolineato “le difficoltà e i rischi dell'immigrazione selvaggia e non regolata” ed ha indicato la necessità di “assorbire e integrare con ordine e saggezza le immigrazioni” interne ed esterne all’Unione europea[54].
Il 21 maggio 2008, nel primo Consiglio dei Ministri dopo il voto di fiducia, il Governo ha approvato una serie di misure legislative in materia di sicurezza (il cosiddetto pacchetto sicurezza) dove ampio spazio è dedicato alle disposizioni volte a contrastare l’immigrazione clandestina e a fare fronte a questioni di ordine e sicurezza pubblica connesse con il fenomeno migratorio.
S tratta, in particolare, di:
§ un decreto-legge recante misure urgenti in materia di sicurezza (decreto-legge 92/2008);
§ due disegni di legge, entrambi approvati, uno contenente anch’esso disposizioni in materia di sicurezza e l’altro di ratifica al Trattato di Prüm (cooperazione transfrontaliera a fini di contrasto del terrorismo, alla criminalità e alla migrazione illegale);
§ tre schemi di decreto legislativo che intervengono rispettivamente in materia di ricongiungimento familiare, di diritto di asilo e di libera circolazione di cittadini comunitari, i primi due dei quali poi emanati;
§ dichiarazione di stato di emergenza volta a fare fronte alla situazione di criticità in Campania, in Lombardia e nel Lazio per la presenza di numerosi cittadini extracomunitari irregolari e nomadi stabilmente insediati (lo stato di emergenza è stato poi esteso anche a Piemonte e Veneto).
Il decreto-legge 92/2008[55] contiene diverse misure in materia di immigrazione alcune delle quali riguardano anche gli stranieri comunitari.
Un primo gruppo di disposizioni modificano il codice penale, in particolare:
§ viene ridotto da 10 a 2 anni il periodo minimo di condanna alla reclusione che comporta l’espulsione per ordine del giudice (mod. art. 235 c.p.);.
§ viene previsto la nuova fattispecie di allontanamento dello straniero comunitario per motivi di sicurezza (analoga all’espulsione dello straniero extracomunitario) ordinato dal giudice in caso di condanna penale di due anni (art. 235 c.p. come modificato dal decreto legge) o di condanna per delitti contro la personalità dello Stato (art. 312 c.p.);
§ la trasgressione all’ordine di espulsione o di allontanamento viene punita con la reclusione da 1 a 4 anni con l’arresto obbligatorio, anche al di fuori dei casi di flagranza, e si procede con rito direttissimo;
§ aumento delle pene per chi dichiara falsa identità (da 1 a 6 anni di reclusione);
§ punizione con la reclusione da 1 a 6 anni per chi altera parti del proprio o dell’altrui corpo per impedire la propria o l’altrui identificazione.
Inoltre, il decreto introduceva una nuova circostanza aggravante comune, che comportava l’aumento della pena fino ad un terzo, se il reato fosse stato commesso da soggetto che si trovasse illegalmente sul territorio nazionale (mod. art. 61 c.p.); la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità di tale disposizione in quanto il rigoroso rispetto dei diritti inviolabili implica – secondo la Corte - l’illegittimità di trattamenti penali più severi fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente compimento di atti del tutto estranei al fatto-reato (Sen. 5 – 9 luglio 2010, n. 249).
Anche la procedura penale viene modificata dal decreto sicurezza: i procedimenti relativi ai delitti commessi in violazione delle norme in materia di immigrazione vengono inclusi tra quelli per i quali è assicurata priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza.
Un terzo gruppo di disposizioni interviene direttamente a modificare il testo unico del 1998:
§ si prevede una nuova fattispecie connessa al reato di favoreggiamento della permanenza di immigrati clandestini a scopo di lucro: quando il fatto è commesso da 2 o più persone, ovvero riguarda la permanenza di 5 o più persone la pena è aumentata da un terzo alla metà;
§ viene introdotto il reato di cessione di immobile ad uno straniero irregolare, punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la confisca dell’immobile;
§ è abbreviato da 15 a 7 giorni il termine entro il quale l’autorità giudiziaria deve concedere o negare il nullaosta dello straniero sottoposto a procedimento penale che deve essere espulso (si ricorda che in caso l’autorità giudiziaria non provveda nei termini il nulla osta si considera concesso);
§ viene elevata la pena per il datore di lavoro che impiega immigrati clandestini (l’arresto da tre mesi a un anno è aumentato a 6 mesi e 3 anni);
§ i centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA) vengono ridenominati centri di identificazione ed espulsione.
Infine, viene conferito ai sindaci il compito di segnalare alle competenti autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza la condizione irregolare dello straniero o del cittadino comunitario per l’eventuale adozione di provvedimenti di espulsione o di allontanamento.
Il decreto-legge 92/2008, sopra brevemente descritto, ha anticipato alcune delle disposizioni del pacchetto sicurezza ritenute dal Governo più urgenti. Un altro nutrito gruppo di interventi è contenuto nella legge n. 94, il cui disegno di legge è stato presentato insieme al decreto legge e poi approvato definitivamente nel luglio 2009.
Per quanto riguarda l’immigrazione, tra le novità principali si segnala l’introduzione di una disposizione volta a sanzionare l’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio dello Stato. Si tratta di una contravvenzione punibile con l’ammenda da 5 mila a 10 mila euro[56].
La legge 94 apporta numerose altre modifiche al testo unico sull’immigrazione tra le quali:
§ diniego dell’ammissione all’ingresso in Italia anche per condanna non definitiva per gravi reati;
§ inserimento del riferimento alle condanne per reati che prevedono l’arresto obbligatorio in flagranza tra gli elementi da considerare ai fini della revoca o del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari;
§ previsione che la richiesta di iscrizione anagrafica dello straniero può dar luogo alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile;
§ introduzione di una contributo sul permesso di soggiorno tra gli 80 e i 200 euro[57];
§ previsione di un test di conoscenza della lingua italiana per il rilascio del permesso di soggiorno di lungo periodo[58];
§ istituzione di un accordo di integrazione, da sottoscrivere al momento della richiesta del permesso di soggiorno;
§ obbligo di esibizione del permesso di soggiorno agli uffici della pubblica amministrazione anche ai fini del rilascio degli atti di stato civile o per l’accesso a pubblici servizi (ad eccezione delle prestazioni scolastiche obbligatorie e sanitarie);
§ estensione da due a sei mesi del tempo massimo di permanenza nei Centri di identificazione ed espulsione.
La legge n. 94 (modificando l’articolo 14 del testo unico) prevedeva anche un inasprimento della pena per lo straniero rintracciato nel territorio nazionale dopo essere già stato espulso per non aver ottemperato a una precedente intimazione di allontanamento, su tale disposizione è intervenuta la Corte costituzionale dichiarandone la parziale incostituzionalità (sen. 13-17 dicembre 2010, n. 359).
L'art. 1, co. 22, lett. m), della legge 94/2009 (c.d. “legge sulla sicurezza”) ha modificato l’art. 14, co. 5-quater, del testo unico immigrazione (D.Lgs. 286/1998). Nella formulazione antecedente, la disposizione prevedeva una sanzione penale per coloro che facevano reingresso nel territorio dello Stato dopo essere stati espulsi una prima volta tramite ingiunzione del questore a lasciare il territorio dello Stato (ai sensi del co. 5-bis) e, essendosi trattenuti “senza giustificato motivo”, essere stati espulsi una seconda volta attraverso l’accompagnamento coattivo alla frontiera (ai sensi del co. 5-ter). La legge sulla sicurezza ha modificato tale disposizione prevedendo che la seconda espulsione (quella ai sensi del co. 5-ter) possa avvenire anche con l’ordine del questore, qualora non sia possibile procedere all’accompagnamento alla frontiera. Veniva, inoltre, modificato il co. 5-quater, sanzionando con la stessa pena della reclusione da 1 a 5 anni sia il reingresso dello straniero dopo l’espulsione coattiva, sia l’omissione all’ordine del questore di abbandonare lo Stato, senza tuttavia prevedere, come nel primo caso, la possibilità che la permanenza sia dovuta ad un giustificato motivo (ad esempio l’indisponibilità da parte dell’espulso dei mezzi per il rimpatrio). La Corte costituzionale ha dichiarato la incostituzionalità di quest’ultima norma proprio nella parte in cui non dispone che l’inottemperanza all’ordine di allontanamento, secondo quanto previsto dal co. 5-ter, sia punita nel solo caso che abbia luogo “senza giustificato motivo”.
Da rilevare, inoltre, che negli stessi giorni della pronuncia della Corte costituzionale (precisamente il 24 dicembre 2010) è scaduto il termine di recepimento della direttiva comunitaria 2008/115/CE recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (la cosiddetta direttiva “rimpatri”). La direttiva prevede una procedura in materia di espulsione parzialmente difforme da quella vigente ai sensi del testo unico. Un primo orientamento della giurisprudenza di merito è indirizzato a disapplicare la normativa nazionale in quanto contrastante con quella comunitaria, e di applicare quest’ultima, più favorevole allo straniero[59].
La “direttiva rimpatri” si applica ai cittadini non comunitari soggiornanti in posizione irregolare in uno dei Paesi membri. Essa introduce norme comuni riguardanti il rimpatrio, l’allontanamento, l’uso di misure coercitive, la custodia temporanea e il reingresso di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente. Inoltre, sono disciplinate alcune procedure e modalità relative alla permanenza nei centri di trattenimento, tra cui la determinazione della durata massima della permanenza in detti centri che viene fissata in 18 mesi.
La direttiva attribuisce una dimensione europea agli effetti delle misure di rimpatrio adottate a livello nazionali, ponendo in essere un divieto al rientro sul territorio, valido per l’insieme dell’Unione europea.
In particolare, la direttiva riconosce la legittimità delle procedure di rimpatrio dei cittadini dei Paesi terzi in posizione irregolare, fermo restando il principio del non respingimento dei richiedenti asilo (non-refoulement). Il rimpatrio volontario deve essere preferito alle forme di allontanamento forzato, se vi sono fondati motivi per ritenere che ciò non comprometta l’effettività del ritorno in patria dell’interessato.
In assenza di tali motivi, oppure trascorsi i termini fissati per il rimpatrio volontario, è possibile procedere all’espulsione forzata.
Dal punto di vista procedurale la direttiva precisa che il provvedimento di rimpatrio volontario deve fissare un congruo periodo di preavviso (tra 7 e 30 giorni prorogabili in presenza di specifiche circostanze), lasciando ai Paesi membri la facoltà di concedere tale periodo solo su richiesta dell’interessato, previa adeguata informazione. Inoltre, possono essere imposti obblighi diretti ad evitare il rischio di fuga (obbligo di dimora, consegna dei documenti ecc.).
La direttiva elenca tassativamente i casi in cui non si ha luogo al rimpatrio volontario che sono i seguenti:
- pericolo di fuga;
- respingimento di domanda di soggiorno in quanto manifestamente infondata o fraudolente;
- pericolo per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale.
Tra le altre misure di interesse introdotte dalla legge sulla sicurezza (n. 94/2009), si ricordano anche:
§ l’introduzione del delitto di impiego di minori nell’accattonaggio;
§ l’obbligo dei gestori degli esercizi di trasferimento di denaro (i c.d. Money Transfer) di acquisire copia del titolo di soggiorno del richiedente il servizio (se cittadino non comunitario);
§ la previsione di nuovi requisiti per l’acquisto della cittadinanza italiana per matrimonio.
Il secondo disegno di legge del pacchetto sicurezza ha una portata più circoscritta, riguardando, come anticipato, la ratifica al Trattato di Prüm (legge 85/2009) relativo all’approfondimento della cooperazione transfrontaliera a fini di contrasto del terrorismo, alla criminalità transfrontaliera e alla migrazione illegale. Esso prevede tra l’altro l’istituzione di una banca dati del DNA volta a facilitare l'identificazione degli autori dei delitti.
Riferibili interamente alle questioni dell’immigrazione sono i tre schemi di decreto legislativo (due dei quali poi emanati) facenti parte integrante del pacchetto sicurezza.
In estrema sintesi i tre provvedimenti intervengono sulle seguenti questioni:
§ cittadini comunitari: diverse modifiche vengono apportate alla disciplina della condizione giuridica dei cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea, regolata dal D.Lgs. 30/2007, di attuazione della normativa comunitaria (non approvato in via definitiva);
§ ricongiungimenti familiari: vengono introdotte alcune restrizioni all’esercizio del diritto al ricongiungimento nei confronti del coniuge, dei figli maggiorenni e dei genitori, tra queste la possibilità di ricorrere all’esame del DNA per l’accertamento del rapporto di parentela, in assenza della documentazione relativa o qualora vi siano dubbi sulla sua autenticità (D.Lgs. 160/2008);
§ rifugiati: il procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato viene modificato in più punti. Tra le modifiche principali l’eliminazione dell’effetto sospensivo del ricorso giurisdizionale avverso la decisione di rigetto della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e l’introduzione della possibilità da parte del prefetto di stabilire un luogo di residenza ove il richiedente asilo possa circolare (D.Lgs. 159/2008).
Gli schemi dei tre decreti legislativi sono stati presentati dal Governo alle Camere e le Commissioni parlamentarti competenti hanno reso i prescritti pareri. Il Consiglio dei ministri nella seduta del 1° agosto 2008, ha recepito in gran parte le proposte e le osservazioni delle Commissioni, ma non ha deliberato in via definitiva sugli schemi decidendo, con una formula definita “irrituale” di inviare i testi per un parere informale alla Commissione europea[60].
Proprio al fine di consentire il confronto con la Commissione europea, è stata disposta una proroga alle autorizzazioni di delega, ormai prossime alla scadenza, di cui i tre schemi costituiscono attuazione[61].
Il 23 settembre 2008 il Consiglio dei Ministri ha approvato due dei tre decreti (asilo e ricongiungimento) che “hanno superato positivamente la verifica di compatibilità con l’ordinamento comunitario”[62].
Riguardo al terzo decreto (quello relativo ai cittadini comunitari) la Commissione si è espressa in senso contrario in quanto è stata ritenuta eccessiva l'espulsione e sufficiente l'invito ad allontanarsi dal nostro paese[63]. Nel corso dell’audizione svolta il 15 ottobre 2008 dinanzi al Comitato parlamentare Schengen, il ministro dell’interno Maroni ha segnalato che, a seguito di rilievi formulati dalla Commissione europea, il Governo ha ritenuto per il momento di accantonare l’adozione del provvedimento di modifica della disciplina relativa alla libertà di circolazione dei cittadini comunitari.
Completa il pacchetto la dichiarazione di stato di emergenza volta di fare fronte alla situazione di criticità in Campania, in Lombardia e nel Lazio per la presenza di numerosi cittadini extracomunitari irregolari e nomadi stabilmente insediati in talune aree[64]. Lo stato di emergenza, la cui scadenza era inizialmente fissata al 31 maggio 2009, è stato poi prorogato fino al dicembre 2011 ed esteso anche a Piemonte e Veneto[65].
Il secondo pacchetto sicurezza
A due anni dall’approvazione del primo pacchetto sicurezza, il Governo è intervenuto nuovamente con altri interventi in materia.
Si tratta del decreto legge 12 novembre 2010, n. 187, convertito dalla legge 17 dicembre 2010, n. 217, che non contiene disposizioni direttamente attribuibili al contrasto dell’immigrazione clandestina, e un disegno di legge, attualmente all’esame del Senato (A.S. 2494). Tale ultimo provvedimento reca diversi interventi in materia di immigrazione, tra cui una nuova disciplina relativa all’allontanamento di cittadini stranieri comunitari per motivi di ordine pubblico. Altre disposizioni del disegno di legge, hanno una portata più generale; tra questi si segnalano:
§ l’abrogazione del documento di programmazione triennale in materia di immigrazione;
§ la delega al Governo per il trasferimento agli enti locali delle competenze in materia di rinnovo del permesso di soggiorno
Immigrazione clandestina
Al pacchetto sicurezza si sono affiancati nel corso della legislatura altri interventi in materia di immigrazione, alcuni dei quali in attuazione delle disposizioni del pacchetto.
In primo luogo, la dichiarazione dello stato di emergenza sopra citata in Campania, in Lombardia e nel Lazio ha consentito di nominare i prefetti di Napoli, Milano e Roma (e poi anche di Torino e Venezia) commissari delegati per la realizzazione di tutti gli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza. Tra questi il monitoraggio dei campi autorizzati in cui sono presenti comunità nomadi; l’individuazione e sgombero degli insediamenti abusivi; l’identificazione e censimento delle persone, anche minori di età, e dei nuclei familiari presenti nei campi nomadi attraverso rilievi segnaletici.
Nella stessa ottica emergenziale si colloca la proroga del luglio 2008 dello stato di emergenza fino al 31 dicembre 2011 per fronteggiare il massiccio afflusso di cittadini extracomunitari[66]. Una nuova dichiarazione di emergenza su tutto il territorio nazionale (sempre fino al 31 dicembre 2011) è stata dichiarata nel febbraio 2011 in relazione all’eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa[67]. La dichiarazione dello stato di emergenza ha consentito l’adozione di numerose ordinanze di protezione civile recanti disposizioni urgenti in materia.
Unitamente agli schemi dei tre decreti legislativi del primo pacchetto sicurezza, il Governo ha inviato alla Commissione europea anche un rapporto sulle modalità con cui si sono stati condotti i censimenti nei campi nomadi presenti in Lombardia, Lazio e Campania.
Il rapporto è corredato dai rapporti inviati dai prefetti nominati commissari straordinari per l'emergenza rom nelle tre Regioni, dalle linee guida diramate agli stessi prefetti, da una lettera della Croce Rossa e una nota dell'Unicef e dalla lettera con cui il Garante per la protezione dei dati personali approva le linee guida[68].
La Commissione ha comunicato i risultati dell’analisi dei documenti inviati giudicando le misure adottate dall'Italia per fare fronte all'emergenza dei campi nomadi illegali non discriminatorie e quindi in linea con il diritto comunitario[69].
Il piano per il censimento dei campi nomadi avviato dal Governo nel 2008 ha portato all'individuazione di 361 campi abusivi abitati da 16.355 persone, per 2.657 delle quali, prive dei requisiti di permanenza in Italia, sono stati adottati provvedimenti di allontanamento[70].
Nel settembre 2008 il Governo ha approvato un altro decreto legge in materia di sicurezza (decreto-legge 151/2008)[71] che, tra l’altro, reca gli stanziamenti necessari per la costruzione di nuovi centri di identificazione ed espulsione (ex CPT ora CIE) e per l'ampliamento di quelli già esistenti.
Il provvedimento è motivato dall’eccezionale afflusso di immigrati: 14.200 tra gennaio e settembre del 2007, 23.600 nello stesso periodo del 2008, che ha posto il problema dell’ampliamento della ricettività dei centri[72]. Come risulta da dati forniti dal Ministro dell’interno in sede di sindacato ispettivo presso la Camera dei deputati, dal 2008 sono stati rimpatriati oltre 52.000 cittadini extracomunitari irregolari e i CIE, considerati strutture adeguate per procedere al rimpatrio, sono attualmente 13, dislocati in 11 regioni italiane per un totale di 1.811 posti; il piano di implementazione dei CIE ne prevede la realizzazione anche in Veneto, Toscana, Marche e Campania[73]. L’obiettivo della prima fase del piano straordinario di potenziamento di queste strutture, come chiarito in sede di sindacato ispettivo, è quello della realizzazione in quattro regioni (Veneto, Toscana, Marche e Campania, valutando i siti idonei con il metodo di consultazione con i presidenti delle regioni.
Misure che riguardano l’immigrazione sono contenute anche nel disegno di legge del Governo in materia di prostituzione che stabilisce una procedura accelerata, da definirsi con un successivo regolamento, per il rimpatrio assistito dei minori stranieri non accompagnati che esercitano la prostituzione nel nostro Paese, al fine di consentire il ricongiungimento del minore con la famiglia di origine (art. 2, comma 2, dell’A.S. 1079 all’esame della I e II Commissione del Senato)[74].
Nell’agosto del 2008 il Governo ha sottoscritto un trattato di amicizia e cooperazione con la Libia, che rappresenta la principale via di transito per i migranti africani che tentano di raggiungere clandestinamente l'Italia attraverso il Mediterraneo. L’accordo siglato nell’agosto 2008 e ratificato con la legge 7/2009, prevede anche forme di collaborazione in materia di contrasto all’immigrazione clandestina.
In particolare, qui rileva l’articolo 19 del trattato che prevede il rafforzamento della collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità e alla immigrazione clandestina, attraverso la creazione di un sistema di controllo delle frontiere terresti libiche e l’attuazione del Protocollo di cooperazione del dicembre 2007 che prevede il pattugliamento congiunto in mare con equipaggi misti e mezzi messi a disposizione dall’Italia.
Da segnalare, infine, la ratifica della Convenzione di Varsavia del 2005 del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani (L. 2 luglio 2010, n. 108).
Integrazione e cittadinanza
Il decreto-legge 112/2008[75] recante la manovra economica per il 2009, ha inserito gli immigrati a basso reddito tra i soggetti destinatari delle abitazioni del Piano casa, a condizione che siano residenti da almeno 10 anni nel territorio nazionale ovvero da 5 anni nella medesima regione (art. 11) e prevede che l’assegno sociale è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno 10 anni nel territorio nazionale (art. 20, co. 10)
Il decreto-legge 93/2008[76] ha ridotto alcune delle autorizzazioni di spesa tra cui gli stanziamenti per il Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati[77].
Si segnala, inoltre, la proposta di legge di iniziativa parlamentare volta a mutare le competenze del Comitato bicamerale di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen che verrebbe trasformato in un comitato parlamentare in materia di immigrazione. La proposta è stata approvata dalla Camera (A.C. 1446) ed è ora all’esame del Senato (A.S. 1700).
Sempre di iniziativa parlamentare, la proposta di legge A.C. 1052 per l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulla condizione delle donne e dei minori nelle comunità rom presenti in Italia.
Di particolare rilievo alcune proposte di legge esaminate alla Camera che modificano la disciplina della cittadinanza al fine di adeguarla alle crescenti dimensioni del fenomeno migratorio. Alcune di queste ampliano le possibilità di acquisizione della cittadinanza per i cittadini stranieri nati in Italia. La I Commissione della Camera ha approvato un testo unificato delle proposte di legge (A.C. 103-A).
Tra le innovazioni previste da tale testo si segnalano: la subordinazione del diritto all'acquisto della cittadinanza da parte dello straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto senza interruzioni fino alla maggiore età, alla frequenza con profitto di scuole riconosciute sino all'assolvimento delle diritto-dovere all'istruzione e alla formazione; la subordinazione del diritto all'acquisto della cittadinanza da parte dello straniero alla stabile residenza decennale e ad un percorso di cittadinanza, caratterizzato dal possesso del permesso CE per soggiornanti di lungo periodo e mantenimento dei requisiti di reddito, alloggio e assenza di carichi pendenti per esso necessari, dalla frequenza di un corso di un anno sulla storia e la cultura italiana e la Costituzione, dall’effettiva integrazione sociale e rispetto delle leggi e della Costituzione e dal rispetto degli obblighi fiscali; l’estensione della disciplina del giuramento a tutti i casi di acquisto della cittadinanza.
Il 12 gennaio 2010 l’Assemblea ha tuttavia deciso di rinviare il testo in commissione per un approfondimento dell’esame.
La Camera ha affrontato la questione dell’immigrazione anche sul versante dell’attività di indirizzo e controllo.
Si segnala a proposito la discussione su di una serie di mozioni sull’accesso alla scuola dell’obbligo degli studenti stranieri[78].
Il testo approvatoimpegna il Governo:
§ a rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado, autorizzando il loro ingresso previo superamento di test e specifiche prove di valutazione;
§ a istituire classi ponte, che consentano agli studenti stranieri che non superano le prove e i test sopra menzionati di frequentare corsi di apprendimento della lingua italiana, propedeutiche all'ingresso degli studenti stranieri nelle classi permanenti;
§ a non consentire in ogni caso ingressi nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre di ciascun anno, al fine di un razionale ed agevole inserimento degli studenti stranieri nelle nostre scuole e a prevedere, altresì, una distribuzione degli stessi proporzionata al numero complessivo degli alunni per classe, per favorirne la piena integrazione e scongiurare il rischio della formazione di classi di soli alunni stranieri;
§ a favorire, all'interno delle predette classi ponte, l'attuazione di percorsi monodisciplinari e interdisciplinari, attraverso l'elaborazione di un curricolo formativo essenziale, che tenga conto di progetti interculturali, nonché dell'educazione alla legalità e alla cittadinanza: a) comprensione dei diritti e doveri (rispetto per gli altri, tolleranza, lealtà, rispetto della legge del paese accogliente); b) sostegno alla vita democratica; c) interdipendenza mondiale; d) rispetto di tradizioni territoriali e regionali del Paese accogliente, senza etnocentrismi; e) rispetto per la diversità morale e cultura religiosa del paese accogliente;
§ a prevedere l'eventuale maggiore fabbisogno di personale docente da assegnare a tali classi, inserendolo nel prossimo programma triennale delle assunzioni di personale docente disciplinato dal decreto-legge 97/2004, convertito con modificazioni, dalla legge 143/2004, alla cui copertura finanziaria si provvede mediante finanziamenti da iscrivere annualmente nella legge finanziaria.
Anche la VII Commissione cultura della Camera è intervenuta approvando una risoluzione che, al fine di favorire il processo di integrazione dei bambini stranieri con quelli italiani, chiede l’introduzione di un tetto che preveda la presenza nelle classi di non più del 30 per cento di bambini stranieri (Risoluzione 7/140 approvata nella seduta del 6 maggio 2009). Il principio del limite massimo di studenti stranieri è stato recepito dal Governo con la circolare 8 gennaio 2010 dove si stabilisce che il numero degli alunni con cittadinanza non italiana presenti in ciascuna classe non potrà superare di norma il 30 per cento del totale degli iscritti.
Successivamente la VII Commissione ha svolto una indagine conoscitiva sulle problematiche connesse all'accoglienza degli alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano che si è conclusa con l’approvazione di un documento finale pubblicato nel Bollettino delle Giunte e Commissioni parlamentari del 12 gennaio 2011.
Particolarmente attiva la Commissione bicamerale infanzia, che ha approvato una risoluzione che impegna il Governo a adottare tutte le opportune iniziative per rafforzare gli strumenti di tutela dei minori stranieri non accompagnati (Doc. XXIV-bis, n. 1, approvato il 21 aprile 2009). Inoltre, la Commissione sta svolgendo da alcuni mesi una indagine conoscitiva volta ad approfondire la condizione dei minori stranieri presenti in Italia in assenza dei genitori.
Sempre sui minori stranieri non accompagnati, si segnala la discussione e approvazione di una mozione alla Camera che impegna il Governo a adoperarsi per una effettiva tutela dei minori stranieri rintracciati nel territorio nazionale (Mozione 1-549, approvata il 20 ottobre 2010).
Tra gli argomenti trattati: la situazione nei centri di accoglienza; l’accertamento dell’età del minore; il diritto di asilo; il rimpatrio; la tratta; la questione della concessione del permesso di soggiorno ai minori al compimento della maggiore età anche alla luce delle modifiche normative intervenute con l’approvazione della legge sulla sicurezza (L. 94/2009).
Lavoro
Le Commissioni riunite I e II della Camera hanno esaminato una proposta di direttiva comunitaria che punisce i datori di lavoro che impiegano clandestini valutandola positivamente e impegnando il Governo a sostenere, in sede di Consiglio dell'Unione europea alcune modifiche e integrazioni al testo della proposta[79].
Sempre alla Camera, nell’aprile 2010 sono state discusse alcune mozioni incentrate sulle politiche migratorie e di integrazione, e per il contrasto al lavoro irregolare. Tutte le mozioni sono accomunate dalla richiesta di moltiplicare gli sforzi per combattere lo sfruttamento dei lavoratori stranieri[80].
La I Commissione Affari costituzionali della Camera ha esaminato una proposta di direttiva europea sui lavoratori stranieri stagionali. Nel documento finale, approvato nella seduta del 25 novembre 2010, la Commissione ha espresso la necessità di:
§ elevare i termini massimi di validità del permesso di soggiorno per lavoro stagionale (che nella proposta di direttiva e pari a 6 mesi e nella legislazione nazionale a 9 mesi) in considerazione delle specificità del comparto agricolo italiano;
§ dettagliare più puntualmente la disciplina sanzionatoria nei confronti dei datori di lavoro inadempienti;
§ inserire tra i motivi del rifiuto o revoca del permesso di soggiorno anche la minaccia alla sicurezza dello Stato.
La proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per motivi di lavoro stagionale (COM(2010)379) è stata presentata dalla Commissione europea il 13 luglio 2010. Il termine per l’espressione del parere sulla conformità della proposta al principio di sussidiarietà da parte dei Parlamenti nazionali è scaduto il 15 ottobre 2010.
Scopo della proposta è introdurre una procedura speciale per l'ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi che chiedono di essere ammessi nell'UE per svolgervi un lavoro stagionale, nonché definire i diritti dei lavoratori stagionali. L’iniziativa era già stata annunciata nel "Piano d’azione sull’immigrazione legale" (COM(2005) 669), presentato dalla Commissione europea nel dicembre 2005, la cui validità è stata da ultimo ribadita nel Programma di Stoccolma, per lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia 2010-2014, adottato dal Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009.
Riguardo all’attività amministrativa, si segnala che il Governo ha prorogato fino al 31 dicembre 2010 il regime transitorio, consentito in sede comunitaria, per l'accesso al mercato del lavoro dei cittadini rumeni e bulgari, confermando le disposizioni degli anni precedenti che pongono alcune limitazioni in materia di accesso al lavoro subordinato[81].
Inoltre, il Governo ha proceduto alla definizione delle quote di ingresso dei lavoratori stranieri per il 2008 (il cosiddetto decreto flussi) nella misura di 150.000 persone, utilizzando le graduatorie delle domande eccedenti presentate nel 2007[82], mentre per il 2009 le quote autorizzate sono destinate esclusivamente ai lavoratori stagionali solitamente impiegati in agricoltura e nel settore turistico (80.000 persone)[83].
Per il 2010, inizialmente, è stato autorizzato l’ingresso di 80.000 lavoratori stagionali con il DPCM 1° aprile 2010. Con il medesimo provvedimento è stata anticipata una quota di lavoratori non stagionali pari a 6.000 persone di cui 4.000 lavoratori autonomi, imprenditori, artisti ecc. e 2.000 cittadini stranieri che hanno completato programmi di formazione nel Paese di origine[84]. La definizione dei flussi per il 2010 è stata completata nel novembre 2010 con l’autorizzazione all’ingresso di 98.080 lavoratori non stagionali[85].
Ammonta a 60.000 persone la quota di lavoratori stagionali ammessi per il 2011[86].
Nel 2009, per i lavoratori occupati irregolarmente nelle sole attività di assistenza personale o del lavoro domestico, è stata prevista la possibilità di regolarizzare la loro posizione lavorativa (decreto-legge 78/2009, art. 1-ter)[87]. L’intervento ha riguardato sia i lavoratori stranieri (con o senza permesso di soggiorno), sia i lavoratori italiani. Dal 1° al 30 settembre 2009 i datori di lavoro hanno potuto presentare una dichiarazione di emersione, previo pagamento di un contributo forfetario di 500 euro per ciascun lavoratore. Secondo i dati diffusi dal Ministero dell'interno sono state presentate quasi 300.000 domande[88].
[1] Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, ex Repubblica iugoslava di Macedonia, Montenegro, Serbia e Kosovo
[2] COM (2008) 800
[3] Comunicazione sul processo di stabilizzazione e di associazione per i paesi dell'Europa sud-orientale (Bosnia-Erzegovina, Croazia, Repubblica federale di Iugoslavia, ex Repubblica iugoslava di Macedonia e Albania) (COM (1999)235).
[4] COM (2003) 285, I Balcani e l’integrazione europea, del 25 maggio 2003.
[5] Creato per i paesi candidati, lo strumento del gemellaggio prevede il distaccamento di funzionari degli Stati membri presso le autorità omologhe dei paesi interessati.
[6] Il 29 ottobre 2001 la Croazia e l’UE hanno concluso l’Accordo di stabilizzazione ed associazione, che è entrato in vigore il 1° febbraio 2005.
[7] Il 23 febbraio 2004, UE ed ex Repubblica iugoslava di Macedonia hanno firmato l’Accordo di stabilizzazione ed associazione, che è entrato in vigore il 1° aprile 2004.
[8] L’ASA tra UE e Albania è stato firmato il 19 novembre 2008.
[9] L’accordo – che è stato ratificato da tutti gli Stati membri - deve essere ancora ratificato dall’UE. L’Italia ha ratificato l’accordo con la legge 97/10 dell’8 giugno 2010.
[10] L’accordo è stato ratificato, oltre che dalla Serbia, da Austria (13 gennaio 2011), Bulgaria (12 agosto 2010), Danimarca (4 marzo 2011), Estonia (19 agosto 2010), Grecia (10 marzo 2011), Italia (13 agosto 2010), Lussemburgo (21 gennaio 2011), Malta (6 luglio 2010), Portogallo (4 marzo 2011), Repubblica ceca (28 gennaio 2011), Repubblica di Cipro (26 novembre 2010), Repubblica slovacca (11 novembre 2010), Slovenia (7 dicembre 2010) e Spagna (21 giugno 2010) e Ungheria (16 novembre 2010).
[11] La cifra indica l’ammontare complessivo dell’assistenza finanziaria fornita dall’UE sia ai singoli paesi sia a livello regionale.
[12] I restanti 2,3 miliardi di euro sono distribuiti tra la Croazia, la ex Repubblica iugoslava di Macedonia e i programmi regionali multi beneficiari.
[13] Lo status di paese candidato è stato concesso al paese dal Consiglio europeo del 16 e 17 dicembre 2010.
[14] COM (2008) 127.
[15] Il CEFTA, creato nel 1992 da Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria, è stato successivamente esteso a Slovenia, Romania, Bulgaria, Croazia ed ex Repubblica iugoslava di Macedonia. Dopo l’adesione all’Unione europea della maggior parte dei suoi membri, il 19 dicembre 2006 il CEFTA è stato esteso a Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Albania e Moldavia.
[16] Il Trattato sull’energia, firmato nell’ottobre 2005, istituisce una comunità energetica tra l’UE e i paesi dell’Europa sud-orientale. Modulato sulla base della Comunità del carbone e dell’acciaio, il trattato è inteso a creare un mercato integrato dell’elettricità e del gas in una serie di paesi dell’Europa sud-orientale che non fanno parte dell’Unione europea attraverso un assetto normativo e commerciale stabile.
[17] Nel dicembre 2005 la Commissione Europea e i paesi dell’Europa sud orientale hanno raggiunto un accordo relativo a regole e standard comuni sulla sicurezza e sulla completa liberalizzazione del traffico aereo.
[18] Sull’argomento specifico del quadro per gli investimenti nei Balcani occidentali sono state adottate conclusioni dal Consiglio Ecofin del 14 maggio 2008, in cui vengono segnalate le misure considerate prioritarie.
[19] Si tratta di un fondo internazionale, istituito nel 2005 da un gruppo di donatori bilaterali e multilaterali.
[20] Negli ultimi due anni, l'EFSE ha erogato microcrediti a più di 65 000 piccole imprese della regione.
[21] La Carta europea per le piccole imprese è stata adottata dal Consiglio europeo di Santa Maria da Feira del 19 e 20 giugno 2000. La Carta raccomanda che i governi indirizzino i rispettivi sforzi strategici su dieci linee di azione che rivestono un'importanza fondamentale per l'ambiente nel quale operano le piccole imprese.
[22] Nell’ottobre 2003 si è tenuta a Bucarest la Conferenza Ministeriale sull’Occupazione dell’Europa Sud-orientale. A conclusione della conferenza i Ministri del Lavoro dei paesi del Patto di stabilità hanno adottato una dichiarazione in cui si impegnano a collaborare a livello regionale per affrontare le sfide dell’occupazione.
[23] La Croazia, la Turchia e l’Islanda partecipano già al quadro "Istruzione e formazione 2020".
[24] Un'agenzia comunitaria è un organismo di diritto pubblico europeo, distinto dalle istituzioni comunitarie (Consiglio, Parlamento europeo, Commissione, ecc.) e dotato di personalità giuridica. È istituita con atto di diritto derivato e svolge compiti molto specifici di natura tecnica o scientifica, ovvero di gestione, nell’ambito del cosiddetto “primo pilastro” dell’Unione europea.
Oltre ad Eurojust, le altre due agenzie UE per la cooperazione in materia penale sono Europol e Cepol (Accademia europea di polizia).
[25] L'articolo 6 della legge 23 marzo 1998, n. 93, che ratifica e dà esecuzione alla Convenzione di Bruxelles del 26 luglio 1995 istitutiva di EUROPOL ed al Protocollo di Bruxelles del 24 luglio 1996, concernente l'interpretazione in via pregiudiziale della medesima Convenzione da parte della Corte di Giustizia delle Comunità europee, attribuisce al Comitato di controllo sull'attuazione e sul funzionamento della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen anche funzioni di vigilanza sull'attività dell'Unità nazionale EUROPOL. Ai sensi della stessa norma il Governo è tenuto a presentare annualmente al Comitato una relazione sull'attuazione della Convenzione EUROPOL.
[26] SECI – Iniziativa di cooperazione nell'Europa sudorientale. Si tratta di una organizzazione per la cooperazione operativa regionale che collega le autorità di polizia e di dogana di dodici Stati dell’Europa sud-orientale (Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Grecia, Ungheria, Ex-repubblica jugoslava di Macedonia, Moldova, Romania, Serbia, Slovenia, Turchia). Il progetto è stato lanciato a Vienna nel 1995 nell’ambito della cooperazione Euro-Atlantica e l’organizzazione è divenuta operativa dal 1° novembre 2000. Numerosi sono i paesi, tra cui l’Italia, che partecipano alle riunioni e all’attività dell’organizzazione in qualità di osservatori permanenti.
[27]E’ attualmente attivo un gruppo di esperti per la modifica dell’accordo che costituisce la base giuridica del SECI. La nuova organizzazione dovrebbe denominarsi SELEC – Centro per l'applicazione della legge nell'Europa sudorientale.
[28] ISTAT, Indicatori demografici. Anno 2010, 24 gennaio 2011, p. 7.
[29] Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2010, ottobre 2010, pag. 11. Nel 2009 la stima dei soggiornanti era di 4,33 (Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2009, ottobre 2009, p. 11).
[30] L’ultimo rapporto dell’ISMU valuta in 5,3 milioni il numero degli stranieri comprendendovi però anche gli irregolari (544 mila): ISMU, Sedicesimo rapporto sulle migrazioni 2010, Milano 2010, p. 7-8.
[31] Se si considera il totale dei lavoratori dipendenti l’incidenza degli stranieri arriva al 10% (Dossier Caritas 2010, p. 12).
[32] ISMU, Sedicesimo rapporto sulle migrazioni 2010, p. 8.
[33] Audizione di Alessandro Pansa, direttore centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell’interno, Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, gestione comune delle frontiere e contrasto all’immigrazione clandestina in Europa, Atti parlamentari, XIV legislatura, Indagini conoscitive e documentazioni legislative n. 19, 2005, p. 235.
[34] Conferenza stampa del Ministro dell'interno al termine del Consiglio dei ministri, 21 marzo 2011 (www.interno.it). Si veda anche la risposta del Ministro all’interpellanza n. 3-1465 alla Camera (16 febbraio 2011).
[35] Seduta straordinaria della Conferenza unificata del 30 marzo 2011.
[37] Audizione del Ministro dell'interno, Roberto Maroni. Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, Indagine conoscitiva sulle nuove politiche europee in materia di immigrazione, 12 ottobre 2010.
[38] Si veda l’intervento del Ministro dell’interno in riposta all’interrogazione 3-870 (Camera dei deputati, seduta del 27 gennaio 2010) e il rapporto del Ministero dell’interno, Iniziative dell’Italia. Sicurezza, immigrazione e asilo, del 14 aprile 2010, p. 27-28 (www.interno.it).
[39] Ministero dell’interno, Immigrazione clandestina. Risultati del governo Berlusconi, 31 dicembre 2009 (www.interno.it).
[40] Legge 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[41] Legge 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo.
[42]Legge 15 luglio 2009, n. 94, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica.
[43] D.L. 30 dicembre 1989, n. 416, Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato, convertito, con modificazioni, con legge 28 febbraio 1990, n. 39.
[44]L’ultimo documento triennale è del 2005: D.P.R. 13 maggio 2005, Approvazione del documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, per il triennio 2004-2006.
[45] Art. 12 del testo unico in materia di immigrazione.
[46] L. 11 agosto 2003, n. 228, Misure contro la tratta di persone. Si veda anche il regolamento di attuazione adottato con il D.P.R. 19 settembre 2005, n. 237, Regolamento di attuazione dell’articolo 13 della legge 11 agosto 2003, n. 228, recante misure contro la tratta di persone.
[47] D.L. 27 luglio 2005, n. 144 (conv. in legge 31 luglio 2005, n. 155), Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, art. 2.
[48] Art. 18 del testo unico in materia di immigrazione.
[49] Art. 14, D.Lgs. 286/1998.
[50] L. 2 ottobre 2008, n. 151 (conv. L. 186/2008), Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina.
[51] Camera dei deputati, Interrogazioni a risposta immediata (Orientamenti del Governo circa l'istituzione in ogni regione di centri di accoglienza per immigrati extracomunitari, con particolare riferimento alla regione Toscana - n. 3-00873), interventi del Ministro dell’interno, Seduta del 28 gennaio 2010.
[52] L. 13 ottobre 1975, n. 654, Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966.
[53] D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica e D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
[54] Camera dei deputati, seduta del 13 maggio 2008.
[55] D.L. 23 maggio 2008, n. 92, Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica (convertito dalla Legge 24 luglio 2008, n. 125).
[56] La disposizione originaria, modificata nel corso dell’esame in sede referente al Senato, prevedeva l’introduzione del reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e comportante l’arresto obbligatorio, il procedimento con rito direttissimo e, in caso di condanna, l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato.
[57] L’importo sarà definito con un decreto del Ministero dell’economia, ancora da emanare. La quantificazione dell’importo dovrà tener conto della normativa comunitaria che vieta il pagamento di contributi per il permesso di soggiorno dei cittadini dei Paesi associati, in misura superiore a quelli per i cittadini dei Paesi membri (Corte di giustizia delle comunità europee, sen. 17 settembre 2009, C-242-06 Sahin)
[58] Le modalità di svolgimento del test sono state definite con il decreto del Ministro dell’interno 4 giugno 2010.
[59] Si veda in proposito Tribunale di Torino, 5 gennaio 2011.
[60] Si veda il comunicato del Ministero dell’interno del 1° agosto 2008.
[61] La proroga è stata inserita nel disegno di legge di conversione del decreto-legge 112/2008 (legge 133/2008).
[62] Comunicato della Presidenza del Consiglio dei ministri, 23 settembre 2008.
[63] Comunicato del Ministero dell’interno, 15 ottobre 2008.
[64] D.P.C.M. 21 maggio 2008, Dichiarazione dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia.
[65] D.P.C.M. 28 maggio 2009, Proroga dello stato di emergenza per la prosecuzione delle iniziative inerenti agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia ed estensione della predetta situazione di emergenza anche al territorio delle regioni Piemonte e Veneto
[66] Lo stato di emergenza era stato dichiarato con DPCM del 20 marzo 2002 più volte prorogato. Il DPCM 25 luglio 2008 ha esteso a tutto il territorio nazionale lo stato di emergenza disposto (limitatamente ai territori delle regioni Sicilia, Calabria e Puglia) con DPCM 14 febbraio 2008 prorogandolo al 31 dicembre 2008. Successivamente, lo stato di emergenza è stato ulteriormente prorogato dal DPCM 18 dicembre 2008 (fino al 31 dicembre 2009), dal DPCM 12 novembre 2009 (fino al 31 dicembre 2010)e dal DPCM 17 dicembre 2010 (fino al 31 dicembre 2011).
[67] DPCM 12 febbraio 2011.
[68] Si veda ancora il comunicato del Ministero dell’interno del 1° agosto 2008.
[69] Comunicato del Ministero dell’interno del 4 settembre 2008.
[70] Camera dei deputati, Interrogazioni a risposta immediata (Risultati conseguiti dal Governo in ordine alla questione dei campi nomadi abusivi ed iniziative in ambito comunitario per la revisione della disciplina della libera circolazione - n. 3-01239), intervento del Ministro dell’interno, Seduta del 22 settembre 2010.
[71] D.L. 2 ottobre 2008, n. 151 (conv. legge 186/2008), Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina.
[72] Comunicato del Ministero dell’interno del 23 settembre 2008.
[73] Camera dei deputati, Interrogazioni a risposta immediata (Orientamenti in merito alla localizzazione di un centro di identificazione ed espulsione di immigrati clandestini in località Zelo, nel comune di Ceneselli (Rovigo) - n. 3-01238), intervento del Ministro dell’interno, Seduta del 22 settembre 2010.
[74] Di tale disposizione si propone l’estensione anche ai minori comunitari nel citato disegno di legge in materia di sicurezza: l’art. 47, inserito nel corso dell’esame in Commissione (em. 18.0.100), introduce la possibilità di rimpatriare i minori non accompagnati che siano cittadini comunitari (attualmente la procedura di rimpatrio assistito è circoscritta ai minori non comunitari) che esercitano la prostituzione, quando sia necessario nell’interesse del minore stesso, secondo quanto previsto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo.
[75] D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (conv. L. 133/2008), Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.
[76] D.L. 27 maggio 2008, n. 93 (conv. L.126/2008), Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie.
[77] In particolare, riduce da 50 a 5,1 milioni lo stanziamento per l’anno 2007 e sopprime quello di 50 milioni per il 2008, disposti dalla legge istitutiva del fondo, legge 296/2006, art. 1, co. 1267 (art. 5, co. 11, decreto-legge 93/2008) e sopprime l’integrazione di ulteriori 50 milioni per il 2008 disposta dalla legge 244/2007, art. 2, co. 536 (elenco 1, decreto-legge 93/2008).
[78] Mozioni Cota ed altri n. 1-00033, Capitanio Santolini ed altri n. 1-00049, De Torre ed altri n. 1-00050 e Evangelisti e Donadi n. 1-00051 concernenti iniziative in materia di accesso degli studenti stranieri alla scuola dell'obbligo, seduta del 14 ottobre 2008.
[79] Seduta del 26 novembre 2008, esame della Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE. COM(2007)249 def. La proposta è stata approvata il 18 giugno 2009 (dir. 2009/52/CE). Il disegno di legge comunitaria 2010, attualmente al’esame del Parlamento (A.S. 2322- A.C. 4059) prevede l’autorizzazione al recepimento della direttiva.
[80] Camera dei deputati, seduta dell’8 aprile 2010. Sono state approvate le mozioni Pezzotta ed altri n. 1-00354, Pisicchio ed altri n. 1-00355 e Santelli, Caparini ed altri n. 1-00356, nei rispettivi testi riformulati, respinta la mozione Livia Turco ed altri n. 1-00326 e votata per parti separate la mozione Donadi ed altri n. 1-00353.
[81] Si veda Ministero dell’interno, Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Circolare n. 2 del 20 gennaio 2010.
[82] D.P.C.M. 3 dicembre 2008, Programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari nel territorio dello Stato per l'anno 2008
[83] D.P.C.M. 20 marzo 2009, Programmazione transitoria dei flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali, nel territorio dello Stato, per l'anno 2009.
[84] D.P.C.M. 1° aprile 2010, Programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali e di altre categorie nel territorio dello Stato per l’anno 2010.
[85] D.P.C.M. 30 novembre 2010, Programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori extracomunitari non stagionali nel territorio dello Stato, per l’anno 2010
[86] D.P.C.M. 17 febbraio 2011, Programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali nel territorio dello Stato, per l’anno 2011
[87] D.L. 1 luglio 2009, n. 78 (convertito L. 102/2009), Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali