Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
| |||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Autore: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||||||
Titolo: | Sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE. Proposta di direttiva (COM(2007)249) | ||||||
Riferimenti: |
| ||||||
Serie: | Proposte di atti normativi dell'Unione europea Numero: 3 | ||||||
Data: | 23/09/2008 | ||||||
Descrittori: |
|
![]() |
Camera dei deputati
XVI LEGISLATURA
Proposte di atti normativi dell'Unione europea
Sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini
di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE
Proposta di direttiva (COM(2007)249)
n. 3
23 settembre 2008
Segreteria generale - Ufficio rapporti con l’Unione europea
SIWEB
Il dossier è stato redatto in collaborazione con il Dipartimento Istituzioni del Servizio Studi
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
I N D I C E
1.1Origine e obiettivi della proposta
1.2.1 L’approccio globale alle migrazioni: recenti iniziative
1.2.2 Il Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo
1.2.3 Verso una politica comune dell’immigrazione
1.3Contenuti della proposta della Commissione
1.4L’esame della proposta da parte delle istituzioni UE
1.5 La motivazione della proposta di direttiva sotto i profili di sussidiarietà e proporzionalità
2. Quadro normativo italiano (a cura del Servizio Studi)
2.3 Permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale
Commissione europea
Proposta di direttiva che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE (COM(2007)249) 29
Parlamento europeo
Progetto di relazione sulla proposta di direttiva COM(2007)249 (4 luglio 2007) 49
Preannunciata nella comunicazione della Commissione europea sulle priorità politiche nella lotta contro l’immigrazione clandestina[1], la proposta di direttiva relativa alle sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi in posizione irregolare (COM(2007)249)[2] si inserisce nell'ambito degli sforzi messi in atto dall'Unione europea per elaborare una politica globale d'immigrazione. La proposta, che mira ad introdurre un deterrente all’utilizzo di manodopera irregolare, intende ridurre le discrepanze fra le misure preventive, le sanzioni e le modalità di applicazione già esistenti nei vari Stati membri[3].
In particolare, la proposta di direttiva prevede sanzioni per i datori di lavoro (persone fisiche o giuridiche, ma anche privati cittadini quando agiscono in qualità di datori di lavoro) che impieghino cittadini di paesi terzi in posizione irregolare, senza aver svolto le necessarie verifiche. In base alla proposta, infatti, e come misura preventiva, i datori di lavoro, prima dell’assunzione sono tenuti a verificare che i cittadini di paesi terzi siano in possesso di permesso di soggiorno o di altra autorizzazione analoga. Oltre a multe ed altre sanzioni amministrative, la Commissione propone, per i casi più gravi anche sanzioni penali.
La proposta prevede che gli Stati membri predispongano un meccanismo che consenta ai cittadini di paesi terzi interessati di presentare denunce, sia direttamente che tramite terzi, come sindacati o associazioni. Gli Stati membri dovrebbero inoltre rilasciare permessi di soggiorno per un periodo limitato – a seconda della durata dei procedimenti nazionali – ai cittadini dei paesi terzi vittime di sfruttamento e che cooperino ad azioni penali contro i datori di lavoro. La proposta prevede infine che gli Stati membri effettuino un numero minimo di ispezioni nelle imprese stabilite nei loro territori, sulla base di un’analisi dei rischi per settore economico.
La Commissione ricorda che la proposta di fonda sulla raccomandazione del Consiglio del 22 dicembre 1995 sull'armonizzazione dei mezzi di lotta contro l'immigrazione clandestina e il lavoro illegale, nella quale il Consiglio proponeva di incitare i datori di lavoro intenzionati ad assumere persone straniere a verificarne la posizione in materia di soggiorno o di lavoro, e di rendere passibili di sanzioni i datori di lavoro di cittadini stranieri sprovvisti di permesso, e sulla raccomandazione del Consiglio del 27 settembre 1996, relativa alla lotta contro il lavoro illegale di cittadini di Stati terzi, nella quale si proponeva in particolare di vietare l'assunzione di cittadini di paesi terzi sprovvisti del necessario permesso di lavoro, e di irrogare, in caso di violazione, sanzioni di carattere penale e/o amministrativo.
Le più recenti iniziative delle istituzioni UE in materia di immigrazione sono volte a completare il quadro di armonizzazione delle legislazioni nazionali sul versante del sostegno all’immigrazione legale e del contrasto all’immigrazione clandestina e ad estendere la cooperazione con i paesi terzi, al fine ultimo di realizzare una vera e propria politica comune europea dell’immigrazione che valorizzi le potenzialità di sviluppo socioeconomico insite nel fenomeno. Tali sono, infatti, le indicazioni in materia contenute nei programmi di Tampere e dell’Aia e nelle conclusioni del Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005 e del 14-15 dicembre 2006 (vedi infra). Particolare rilievo viene inoltre attribuito alle iniziative volte alla progressiva instaurazione di un sistema europeo di controllo delle frontiere e di una politica comune in materia di visti, nonché di una procedura comune e di uno status uniforme per i cittadini di paesi terzi che hanno ottenuto l'asilo o una protezione sussidiaria, entro il 2010.
ll programma dell’Aia, adottato dal Consiglio europeo il 5 novembre 2004, contiene la strategia politica per il rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea per il periodo 2005-2010. Il programma dell’Aia fa seguito al precedente programma di Tampere, approvato dal Consiglio europeo nel 1999, con il quale si è data attuazione alle disposizioni del trattato di Amsterdam relative alla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione europea[4].
Sulla base delle indicazioni dei programmi di Tampere e dell’Aia, gli orientamenti della politica europea in materia di immigrazione sono stati ulteriormente definiti nelle conclusioni del Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005 e del 14-15 dicembre 2006.
In particolare, il Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005 ha adottato il documento “Approccio globale in materia di migrazione: azioni prioritarie incentrate sull'Africa e il Mediterraneo”. L’approccio globale mira a formulare politiche coerenti ed integrate che abbraccino tutte le fasi del fenomeno (cause di fondo, politiche in materia di ingresso e ammissione, politiche in materia di integrazione e rimpatrio) facendo convergere le attività di differenti settori (sviluppo, affari sociali e impiego, relazioni esterne, giustizia e affari interni) e promuovendo una stretta collaborazione con i paesi d’origine e di transito, ispirata ai principi di solidarietà e condivisione delle responsabilità . Rispondendo all’invito del Consiglio europeo a riferire sui progressi compiuti entro la fine del 2006, il 30 novembre 2006 la Commissione ha presentato la comunicazione dal titolo “L'approccio globale in materia di migrazione un anno dopo: una politica generale dell'Europa sulla migrazione” (COM(2006)735). La validità della politica di approccio globale alla migrazione è stata ribadita nella conclusioni del Consiglio europeo del 14-15 dicembre 2006.
Nell’ambito del consolidamento e dello sviluppo dell’Approccio globale alla gestione delle migrazioni il16 maggio 2007, la Commissione ha presentato un pacchetto di iniziative comprendente, oltre alla proposta di direttiva in esame:
· la comunicazione “Applicazione dell’approccio globale in materia di migrazione alle aree orientali e sudorientali vicine all’Unione europea” (COM(2007)247), che intende ribadire l’importanza di rafforzare il dialogo e la cooperazione in materia di immigrazione sulla base delle iniziative già esistenti e si rivolge principalmente alle aree sud-orientali e orientali vicine all’UE;
La comunicazione interessa pertanto principalmente: Turchia, Balcani occidentali (Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Montenegro e Serbia, incluso il Kosovo); i paesi partner della politica europea di vicinato (ENP) in Europa orientale (Ucraina, Moldavia e Bielorussia) e Caucaso meridionale (Armenia, Azerbadjan e Georgia) e la Federazione russa. Per ogni singola area geografica viene ricordato l’attuale quadro di dialogo politico ed economico con l’UE e le relazioni di cooperazione (che investono di solito anche l’immigrazione) e vengono formulate raccomandazioni al fine di rafforzare la cooperazione in materia di immigrazione sulla base delle iniziative già esistenti.
· la comunicazione “Migrazione circolare e partenariati di mobilità tra UE e paesi terzi” (COM(2007)248), volta a promuovere l’immigrazione legale e ad incoraggiare il flusso proveniente da paesi con cui l’UE concluderà accordi di cooperazione;
A tal fine essa esamina la natura giuridica, la forma e i contenuti dei “partenariati per la mobilità” che l’Unione europea potrà concludere con i paesi terzi, che si sono impegnati a cooperare attivamente nella gestione dei flussi migratori, anche combattendo contro la migrazione illegale, e che desiderano assicurare ai loro cittadini un migliore accesso al territorio dell’Unione. I partenariati saranno concepiti in funzione della specificità di ogni paese terzo interessato.
ln tema di migrazione circolare e dei partenariati di mobilità, si segnala che il 5 giugno 2008, a margine del Consiglio giustizia e affari interni, sono stati lanciati, come progetti pilota, partenariati di mobilità con la Repubblica di Moldavia e con Capo Verde, attraverso la firma di dichiarazioni comuni con ciascuno dei due paesi. Tali dichiarazioni contengono in allegato l’elenco delle iniziative concrete proposte dai firmatari[5]. Ai partenariati partecipano anche Frontex e la Fondazione europea per la formazione, in qualità di agenzie comunitarie.
Il Consiglio affari generali e relazioni esterne del 16 giugno 2008 ha da ultimo adottato conclusioni sul rafforzamento dell’approccio globale in materia di migrazione.
In particolare il Consiglio ha accolto con favore i progressi compiuti nei confronti dei paesi dell’Africa e del Mediterraneo, sottolineando inoltre la necessità di attuare il partenariato sulla migrazione, la mobilità e l’impiego nel quadro del primo piano d’azione della Strategia UE-Africa. Il Consiglio ha inoltre accolto con favore i progressi compiuti nello sviluppo di un concetto di piattaforme di cooperazione e nella creazione di una prima piattaforma di cooperazione in loco con l’Etiopia[6]. Per quanto riguarda l’estensione dell’approccio globale alle regioni orientali e sudorientali vicine all’Unione europea, il Consiglio sottolinea la necessità di azioni prioritarie orientate a: rafforzare la gestione delle frontiere tramite anche il coinvolgimento dell’Agenzia per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne dell’UE (Frontex); sostenere i legami tra migrazione e sviluppo, facilitando la partecipazione dei migranti allo sviluppo dei paesi di origine (in particolare attraverso misure che riducano i costi delle rimesse, la cooperazione con il settore bancario, l’esame delle opportunità fornite dal micro credito e dal sostegno alle PMI); sostenere il dialogo e la cooperazione nel settore dell’immigrazione legale. Il Consiglio ha inoltre espresso il suo sostegno all’iniziativa relativa alla creazione di una piattaforma di cooperazione nella regione del Mar Nero. Il Consiglio ha infine accolto favorevolmente il lancio dei partenariati pilota di mobilità con Moldavia e Capo verde, sottolineando che essi costituiscono una nuova cornice politica di dialogo in grado di riunire in uno sforzo coordinato e reciproco le iniziative nazionali, della Comunità e dei paesi terzi. In questo quadro il Consiglio invita la Commissione, insieme agli Stati membri e alla Presidenza, a condurre colloqui esplorativi con la Georgia e il Senegal al fine di lanciare ulteriori partenariati pilota.
In linea con le indicazioni del Consiglio europeo del 14 dicembre 2007 sulla necessità di un impegno politico rinnovato nel campo delle migrazioni, il programma della presidenza francese prevede tra le sue priorità, l’adozione di un Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo.
Il Consiglio giustizia e affari interni del 24 luglio 2008 ha preso atto dello stato dei lavori di elaborazione del Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, una cui versione provvisoria è stata oggetto di discussione nel corso della riunione informale del Consiglio giustizia e affari interni, svoltasi a Cannes il 7-8 luglio scorsi.
Il Consiglio, ribadendo che il Patto rappresenta una delle priorità della presidenza francese, ha sottolineato che esso è volto a costruire una base solida per una vera politica europea comune dell’immigrazione e dell’asilo che faccia fronte alle sfide future e alla necessità di solidarietà e cooperazione nella gestione dei flussi migratori.
Ricordando che, nel corso della riunione di Cannes, la presidenza francese ha rilevato un largo accordo delle delegazioni sul progetto di testo, il Consiglio ha ribadito che esso si fonda su cinque impegni politici principali:
La presidenza francese ha proposto che l’adozione del Patto avvenga in occasione del Consiglio europeo di ottobre, affinché i principi comuni e gli orientamenti strategici destinati a guidare le politiche migratorie degli Stati membri e dell’Unione europea “siano espressi al più alto livello politico”.
In linea con i programmi di Tampere e dell’Aja, il 5 dicembre 2007 la Commissioneha presentato una comunicazione sul tema “Verso una politica comune dell’immigrazione” (COM(2007)780).
Analizzando gli interventi di armonizzazione compiuti in materia di immigrazione legale, ampliamento dell’area Schengen e gestione delle frontiere, contrasto all’immigrazione clandestina, sviluppo della dimensione esterna della politica UE, la Commissione sottolinea che nell’ultimo decennio sono state gettate progressivamente le basi per una politica comune di immigrazione che permetta di andare al di là delle 27 politiche d’immigrazione nazionali. Nella considerazione che l’immigrazione possa fornire un grande apporto alla prosperità dell’Unione, la Commissione indica le misure da intraprendere al fine di rinnovare l’impegno a favore di una politica comune volta a realizzare un quadro europeo, all’interno del quale il livello nazionale e quello dell’Unione possano completarsi a vicenda.
Il Consiglio europeo del 14 dicembre 2007, accogliendo con favore la comunicazione della Commissione, ha ribadito che l’ulteriore sviluppo di una politica migratoria globale europea, a integrazione delle politiche degli Stati membri, rimane una priorità fondamentale per rispondere alle sfide e trarre vantaggio dalle opportunità che la migrazione comporta in una nuova era di globalizzazione.
In questo quadro, il 17 giugno 2008 la Commissione europea ha presentato la comunicazione "Una politica d'immigrazione comune per l'Europa: principi, azioni e strumenti" (COM(2008)359)[8] nella quale individua dieci principi comuni, fondati sui capisaldi dei programmi di Tampere e dell'Aia e sull'Approccio globale in materia di migrazione varato nel 2005, indicando per ognuno un elenco non esaustivo di azioni da attuare a livello di Stati membri o di Unione europea.
I principi sono raggruppati attorno a tre assi:
- Prosperità e immigrazione: 1 – Regole chiare e condizioni di parità. 2 – Incontro tra qualifiche ed esigenze. 3 – Integrazione: la chiave di un'immigrazione riuscita.
- Solidarietà e immigrazione: 4 – Trasparenza, fiducia e cooperazione. 5 – Uso efficace e coerente dei mezzi disponibili. 6 – Partenariati con i paesi terzi.
- Sicurezza e immigrazione: 7 - Una politica dei visti al servizio degli interessi dell’Europa. 8 – Gestione integrata delle frontiere. 9 – Intensificare la lotta all'immigrazione illegale e tolleranza zero contro la tratta di persone. 10 – Politiche di rimpatrio sostenibili ed efficaci.
Il 19 luglio 2006 la Commissione ha presentato la comunicazione (COM(2006)402), sulle priorità politiche nella lotta contro l’immigrazione clandestina[9] di cittadini di paesi terzi. La comunicazione, in linea con le indicazioni del programma dell’Aia, sottolinea che all’approccio complessivo dell’UE per la lotta contro l’immigrazione clandestina presiedono vari principi di base, il cui scopo è conciliare l’esigenza di solidarietà all’interno dell’Unione, i diritti fondamentali, le aspettative dei paesi terzi e la percezione da parte dei cittadini negli Stati membri. Di conseguenza, la Commissione ritiene che una politica efficace in materia d’immigrazione clandestina debba rispondere a vari tipi di problemi e assicurare al tempo stesso il pieno rispetto degli obblighi internazionali inerenti ai diritti fondamentali, incluso il diritto di chiedere asilo. La comunicazione afferma inoltre che una componente essenziale della gestione UE della migrazione è il partenariato con i paesi terzi, allo scopo di assicurare la coerenza tra l’azione interna ed esterna: oltre alla cooperazione avente lo scopo immediato di ridurre e prevenire l’immigrazione clandestina, vi sono inclusi anche provvedimenti volti ad aiutare i paesi d’origine ad affrontare le cause basilari ed i fattori motivanti dei flussi migratori irregolari. In tale quadro la comunicazione esamina la situazione attuale e presenta le prospettive per l’azione e le attività in nove diversi settori prioritari:
· cooperazione con i paesi terzi;
· gestione integrata delle frontiere esterne;
· lotta contro la tratta degli esseri umani;
· sicurezza dei viaggi e dei documenti d’identità;
· regolarizzazioni;
· contrasto al lavoro clandestino;
· politica in materia di rimpatrio;
· scambio d’informazioni mediante gli attuali strumenti;
· responsabilità dei vettori.
In questo quadro la comunicazione esamina, in particolare, come rendere più sicure le frontiere esterne, ipotizzando l’introduzione di una gestione elettronica delle frontiere e di un sistema d’ingresso e di uscita automatizzato[10]. Vi si trattano, inoltre, i problemi della regolarizzazione (dai primi anni Ottanta sono state regolarizzate, in cinque Stati dell’UE, 3.752.565 persone) e la necessità di affrontare il problema dell’occupazione dei cittadini di paesi terzi in situazione irregolare.
La comunicazione è stata esaminata dal Consiglio il 24 luglio 2006.
Il 26 settembre 2007 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulle priorità politiche nella lotta contro l'immigrazione clandestina di cittadini di paesi terzi.
Il Consiglio europeo del 19-20 giugno 2008 ha sottolineato l'esigenza di un rinnovato impegno politico al fine di sviluppare una politica migratoria europea globale e ha invitato il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione ad adoperarsi per la rapida adozione, entro la fine dell’anno o comunque prima della fine dell’attuale legislatura, delle importanti proposte legislative ancora in sospeso in questo settore e, in particolare le proposte sull'ammissione di cittadini di paesi terzi che intendono svolgere lavori altamente qualificati[11], su sanzioni dissuasive per la lotta al lavoro non dichiarato nonché su una procedura unica di domanda e un insieme comune di diritti per i cittadini di paesi terzi[12].
Si ricorda infine che il 1° settembre 2005 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva[13], che stabilisce norme comuni in materia di rimpatrio di cittadini di Paesi terzi in condizioni di soggiorno irregolare.
La proposta di direttiva introduce norme comuni agli Stati membri riguardanti il rimpatrio, l'allontanamento, l'uso di misure coercitive, la custodia temporanea e il reingresso di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente. La proposta è volta a stabilire un corpus di norme applicabile a qualsiasi cittadino di un paese terzo soggiornante illegalmente e prevede una procedura diretta a porre fine ad un soggiorno irregolare. Nei confronti del cittadino di un paese terzo soggiornante illegalmente deve essere presa una decisione di rimpatrio. Va data priorità al rimpatrio volontario e, solo se il cittadino in questione non intende rimpatriare volontariamente, gli Stati membri fanno rispettare l’obbligo di rimpatrio con un provvedimento di allontanamento. La proposta attribuisce una dimensione europea agli effetti delle misure di rimpatrio adottate a livello nazionale, ponendo in essere un divieto al rientro sul territorio, valido per l’insieme dell’Unione europea.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è stata discussa in numerose riunioni del Consiglio. In esito ad un lungo processo di negoziazione tra i rappresentanti della Commissione, del Parlamento europeo e la Presidenza, il 23 aprile 2008 è stato raggiunto un compromesso, sottoposto all’esame del Consiglio e del Parlamento europeo.
In particolare, il 18 giugno 2008 il Parlamento europeo ha approvato (369 voti favorevoli, 197 contrari e 106 astensioni) la relazione di Manfred Weber che accoglie il compromesso negoziato con il Consiglio e la Commissione[14].
La proposta di direttiva, nel testo di compromesso, approvato dal Parlamento europeo in prima lettura, è in attesa di decisione finale da parte del Consiglio.
L’oggetto e il campo di applicazione della proposta sono specificati all’articolo 1, nelquale si indica che essa, al fine di contrastare l’immigrazione illegale, è volta a stabilire sanzioni e provvedimenti comuni applicabili negli Stati membri nei confronti dei datori di lavoro, che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente sul territorio dell’UE.
La proposta, come sottolineato nella relazione introduttiva, non riguarda pertanto i cittadini dell’UE, neanche quelli il cui diritto al lavoro in un dato Stato membro sia limitato da disposizioni transitorie.
In base all’articolo 2, ai fini della proposta di direttiva, si applicano le seguenti definizioni:
· “cittadino di un paese terzo”: chi non è cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1 del trattato.
In base all’articolo 17, paragrafo 1, è cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. L’articolo stabilisce inoltre che la cittadinanza dell'Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest'ultima;
· "lavoro": l’esercizio di attività retribuite per conto e sotto la direzione di un’altra persona;
· "soggiornante illegalmente": cittadino di un paese terzo, presente sul territorio di uno Stato membro, che non soddisfa, o non soddisfa più, le condizioni di soggiorno o di residenza in tale Stato membro;
· "lavoro illegale": impiego di un cittadino di un paese terzo soggiornante illegalmente sul territorio di uno Stato membro;
· "datore di lavoro": la persona, anche giuridica, per il cui conto e sotto la cui direzione un cittadino di un paese terzo esercita un’attività retribuita;
· "subappaltatore": persona fisica o giuridica cui è affidata l’esecuzione di una parte o dell’insieme degli obblighi di un contratto già stipulato.
La relazione introduttiva alla proposta sottolinea peraltro che nella definizione di “datore di lavoro” rientrano non solo le persone fisiche e giuridiche che ne impiegano altre nell’esercizio delle loro attività, ma anche singoli cittadini che agiscono in qualità di datori di lavoro (ad esempio, che assumono collaboratori domestici).
L’articolo 3 stabilisce che gli Stati membri vietino l’impiego di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente e che alla violazione di tale divieto si applichino le sanzioni e i provvedimenti previsti dalla proposta stessa.
Gli obblighi per i datori di lavoro sono previsti all’articolo 4. In particolare, i datori di lavoro saranno tenuti a:
· chiedere ai cittadini di paesi terzi di presentare il permesso di soggiorno o altra autorizzazione di soggiorno valida per la durata del lavoro;
· copiare o registrare il contenuto del permesso di soggiorno o altra autorizzazione di soggiorno prima dell’inizio del periodo di lavoro;
· tenere tali copie o registri a disposizione delle autorità competenti degli Stati membri, a fini d’ispezione, almeno per la durata del periodo di lavoro.
L’articolo stabilisce inoltre che i datori di lavoro operanti nel quadro di attività economiche o che sono persone giuridiche dovranno informare, entro il termine di una settimana, le autorità competenti designate dagli Stati membri dell’inizio e della fine dell’impiego di un cittadino di un paese terzo.
L’ultimo paragrafo dell’articolo 4 specifica che i datori di lavoro saranno tenuti responsabili solo nel caso in cui i documenti presentati dal cittadino di paese terzo siano manifestamente falsi.
Nella relazione introduttiva alla proposta, la Commissione informa di aver ritenuto irragionevole imporre ai datori di lavoro l’individuazione dei documenti falsificati. A tale proposito la Commissione ricorda peraltro di aver raccomandato, nella comunicazione del luglio 2006, l'elaborazione di orientamenti comuni relativi alle norme minime di sicurezza, in particolare per quanto riguarda le procedure di rilascio, di documenti come i permessi di soggiorno. Pertanto la proposta prevede che i datori di lavoro siano considerati responsabili solo nel caso in cui i documenti siano manifestamente falsi ad esempio perché recano una foto che non è quella dell'interessato, oppure sono chiaramente falsificati.
In base all’articolo 5, i datori di lavoro che possano mostrare di avere adempiuto agli obblighi previsti all’articolo 4 non sono passibili di sanzioni.
L’articolo 6 della proposta di direttiva individua le sanzioni finanziare che gli ordinamenti nazionali sono tenuti a prevedere nei confronti del datore di lavoro in caso di violazione del divieto di impiego di cittadino di paese terzo in posizione irregolare. In particolare le sanzioni, che devono essere effettive, proporzionate e dissuasive, includono:
· sanzioni finanziarie per ogni cittadino di un paese terzo impiegato illegalmente;
· pagamento dei costi di rimpatrio di ogni cittadino di un paese terzo impiegato illegalmente, nei casi in cui siano effettuate procedure di rimpatrio.
La relazione introduttiva alla proposta sottolinea che essa non prevede sanzioni nei confronti dei cittadini di paesi terzi interessati, ricordando tuttavia che la proposta di direttiva sul rimpatrio (su cui si veda supra, paragrafo 1.2.4), come regola generale, impone agli Stati membri di emanare una decisione di rimpatrio per ogni cittadino di un paese terzo soggiornante illegalmente.
L’articolo 7 della proposta stabilisce che i datori di lavoro siano tenuti a versare ai cittadini di paesi terzi in posizione irregolare tutte le retribuzioni arretrate, nonché le tasse e contributi pensionistici arretrati. A tale proposito gli Stati membri dovranno provvedere affinchè:
· si predispongano meccanismi automatici per garantire che tali cittadini ricevano ogni remunerazione maturata, anche se hanno lasciato il territorio dell’UE, per rimpatrio volontario o forzato, senza dover presentare domanda;
· si presupponga l’esistenza di un rapporto di lavoro di almeno 6 mesi, salvo prova contraria fornita dal datore di lavoro.
Inoltre, qualora la violazione commessa dal datore di lavoro costituisca reato (ai sensi dell’articolo 10 della proposta stessa) gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie per garantire che l’esecuzione del provvedimento di rimpatrio sia differita fino a quando l'interessato non abbia ricevuto il pagamento di tutte le retribuzioni arretrate dovute.
Relativamente ai datori di lavoro operanti nel quadro di attività economiche, l’articolo 8 prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché essi siano soggetti anche ai provvedimenti seguenti:
· esclusione dal beneficio di prestazioni, sovvenzioni o aiuti pubblici per un periodo fino a cinque anni;
· esclusione dalla partecipazione ad appalti pubblici per un periodo fino a cinque anni;
· rimborso delle prestazioni, sovvenzioni o aiuti pubblici - inclusi fondi UE gestiti dagli Stati membri – ottenuti nei 12 mesi precedenti la constatazione del lavoro illegale;
· chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti in cui ha avuto luogo la violazione.
Nel caso in cui il datore di lavoro sia un subappaltatore, l’articolo 9 stabilisce che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché l'appaltante principale e tutti i subappaltatori intermedi siano responsabili del pagamento delle sanzioni e degli arretrati dovuti. L'appaltante principale e tutti i subappaltatori intermedi saranno responsabili in solido, ferme restando le disposizioni legislative nazionali riguardanti i diritti di contributo o di regresso.
L’articolo 10 è dedicato alle fattispecie di reato. In particolare gli ordinamenti nazionali dovranno prevedere che la violazione del divieto di impiego di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente, se intenzionale, costituisca reato qualora:
a) la violazione prosegue, oppure è reiterata, dopo che le autorità o i giudici nazionali competenti, in un periodo di due anni, hanno accertato che il datore di lavoro l'ha già commessa due volte;
b) la violazione riguarda un numero significativo di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare: il datore di lavoro ne impiega cioè illegalmente almeno quattro;
c) la violazione è accompagnata da situazioni di particolare sfruttamento, ad esempio da condizioni lavorative sensibilmente diverse da quelle di cui godono i lavoratori assunti legalmente, oppure
d) il datore di lavoro ricorre al lavoro o ai servizi di una persona nella consapevolezza che tale persona è vittima della tratta di esseri umani.
Dovranno inoltre essere considerati reato la partecipazione e l'istigazione agli atti sopra citati.
L’articolo 11 stabilisce che gli Stati membri prevedano, per i reati su indicati, sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive. Le sanzioni penali potranno essere accompagnate da altre sanzioni o misure (in particolare quelle previste agli articoli 6, 7 e 8) e dalla pubblicazione della decisione giudiziaria relativa alla condanna o alle sanzioni o misure applicate.
La responsabilità delle persone giuridiche è trattata all’articolo 12 della proposta, nel quale si prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere considerate responsabili dei reati di cui all'articolo 10, commessi a loro vantaggio da chiunque, agendo a titolo individuale o in quanto membro di un loro organo, occupi al loro interno una posizione direttiva, avvalendosi:
· del potere di rappresentare la persona giuridica, oppure
· dell'autorità di prendere decisioni a nome della persona giuridica, oppure
· dell'esercizio di poteri di controllo in seno a tale persona giuridica.
Gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere ritenute responsabili qualora la mancata sorveglianza o il mancato controllo del soggetto su indicato abbia reso possibile la commissione dei reati, di cui all'articolo 10, da parte di una persona soggetta all’autorità della persona giuridica, che ne ha tratto vantaggio.
La responsabilità della persona giuridica non esclude azioni penali contro le persone fisiche che commettano uno dei reati di cui all'articolo 10, istighino qualcuno a commetterli o vi concorrano.
Per quanto riguarda le sanzioni comminabili alle persone giuridiche, l’articolo 13 stabilisce che esse includano sanzioni pecuniarie, di carattere penale o meno e che possano comprendere:
· l'esclusione dal beneficio di prestazioni o sovvenzioni pubbliche;
· l'esclusione dalla partecipazione ad appalti pubblici per un periodo fino a cinque anni;
· l'interdizione temporanea o permanente dall'esercizio di attività agricole, industriali o commerciali;
· l'assoggettamento a controllo giudiziario;
· provvedimenti giudiziari di liquidazione.
La relazione introduttiva alla proposta sottolinea che, non essendo specificato nella proposta di direttiva se la responsabilità delle persone giuridiche debba essere penale o meno, gli Stati membri che non riconoscono la responsabilità penale delle persone giuridiche non saranno obbligati a modificare i loro sistemi.
L’articolo 14 (Agevolazione delle denunce) prevede che gli Stati membri predispongano meccanismi efficaci per consentire ai cittadini di paesi terzi impiegati illegalmente di presentare denuncia contro i loro datori di lavoro, sia direttamente che attraverso parti terze designate. Tali parti terze devono essere protette contro eventuali sanzioni ai sensi delle norme che vietano il favoreggiamento dell'ingresso e del soggiorno illegali.
Nel caso in cui la violazione sia accompagnata da situazioni di particolare sfruttamento, gli Stati membri rilasciano ai cittadini di paesi terzi, che sono o sono stati oggetto di sfruttamento e che cooperano nei procedimenti contro i datori di lavoro, permessi di soggiorno di durata limitata, commisurata a quella delle relative procedure nazionali, alle condizioni di cui agli articoli da 4 a 15 della direttiva 2004/81/CE[15].
In base all’articolo 15, dedicato alle Ispezioni, gli Stati membri sono tenuti a garantire che ogni anno almeno il 10% delle imprese stabilite sul loro territorio siano oggetto di ispezioni ai fini del controllo dell'impiego di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare. La selezione delle imprese oggetto delle ispezioni sarà basata su un'analisi di rischio svolta dalle autorità competenti degli Stati membri tenendo conto di fattori quali il settore in cui operano le imprese ed eventuali precedenti violazioni.
La proposta, presentata dalla Commissione il 16 maggio 2007, segue la procedura di codecisione.
La procedura di codecisione è stata istituita dal Trattato di Maastricht e successivamente semplificata ed estesa a nuove basi giuridiche con i trattati di Amsterdam e Nizza. In base a tale procedura un atto può essere adottato soltanto in presenza di un accordo su uno stesso testo tra Parlamento europeo e Consiglio, in prima o seconda lettura. In caso di disaccordo è previsto il ricorso ad una procedura di conciliazione tra le due istituzioni in un comitato apposito. In ogni caso il Parlamento europeo può rigettare la proposta legislativa in ultima istanza. Il Consiglio delibera normalmente a maggioranza qualificata, salvo i casi in cui il Trattato prevede espressamente l’unanimità. Il Trattato di Lisbona prevede un’estensione di tale procedura, che diviene procedura legislativa ordinaria[16].
La base giuridica della proposta è l'articolo 63, paragrafo 3, lettera b), del Trattato CE, nel quale è stabilito che il Consiglio, entro un periodo di cinque anni dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam adotti misure in materia di politica dell'immigrazione nel settore “immigrazione e soggiorno irregolari, compreso il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare”.
Nella relazione illustrativa della proposta, la Commissione osserva che questa base giuridica non copre le misure relative ai cittadini di paesi terzi in soggiorno regolare nell'UE ma che lavorano in violazione del loro status, ad esempio studenti di paesi terzi che lavorano più del numero di ore autorizzato e che pertanto tali situazioni – benché anch'esse importanti per ridurre il fattore di richiamo rappresentato dal lavoro – non sono oggetto della proposta.
La proposta è iscritta all’ordine del giorno della riunione del Consiglio giustizia e affari interni del 25 settembre 2008.
Il Consiglio Giustizia e affari internidel 24 luglio 2008[17] ha tenuto un dibattito orientativo su due questioni chiave di tale proposta:
· l'inclusione di norme minime in materia di sanzioni penali contro i datori di lavoro;
· le ispezioni da effettuare nei settori di attività più esposti.
Nel corso del dibattito pubblico la maggior parte delle delegazioni ha considerato che per lottare efficacemente contro l'impiego di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente la direttiva dovrà prevedere sanzioni effettive. La maggior parte delle delegazioni si è detta favorevole ad effettuare ispezioni di qualità mirate nei settori di attività più esposti, individuati da ciascuno Stato membro.
L’esame in seno agli organi del Consiglio sta prendendo in considerazione alcune modifiche al testo della Commissione, sulla scorta delle proposte di compromesso presentate dalla Presidenza (su cui si veda scheda allegata).
Il Parlamento europeo ha assegnato la proposta alla commissione per le Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE) per l’esame di merito, e alle commissioni Occupazione e affari sociali (EMPL), Industria ricerca e sviluppo (ITRI), agricoltura (AGRI), diritti delle donne e uguaglianza di genere (FEMM), per il parere.
L’esame da parte del Parlamento europeo in seduta plenaria dovrebbe svolgersi il 19 novembre 2008.
E’ attualmente in corso presso la commissione LIBE l’esame del progetto di risoluzione legislativa, presentato il 4 luglio 2007 dal relatore Claudio FAVA (Gruppo Socialista al Parlamento europeo – PSE).
In particolare, il relatore, pur accogliendo con grande favore la proposta della Commissione, esprime tuttavia rammarico per il fatto che, in quanto basata sull’articolo 63, paragrafo 3, lettera b), del Trattato CE, essa non preveda misure relative ai cittadini di paesi terzi in soggiorno regolare nell'UE ma che potrebbero essere vittime di sfruttamento sul lavoro.
Nella proposta di risoluzione, il relatore propone inoltre alcuni emendamenti al testo della proposta. In particolare, relativamente all’articolo 2 (definizioni), il relatore ritiene che al fine di garantire una maggiore protezione contro lo sfruttamento, le definizioni di termini quali "datore di lavoro", "subappaltatore", "retribuzione" dovrebbero avere un carattere quanto più onnicomprensivo possibile: ad esempio, il termine "datore di lavoro" dovrebbe includere anche le agenzie di lavoro interinale e altri intermediari; la retribuzione dovrebbe comprendere anche le tariffe orarie per il lavoro straordinario, aspetto importante qualora il datore di lavoro debba pagare eventuali retribuzioni arretrate ai cittadini di paesi terzi impiegati illegalmente.
Per quanto riguarda l’articolo 4 della proposta (obblighi del datore di lavoro), il relatore, pur accogliendo favorevolmente le misure preventive previste, ritiene altresì che gli Stati membri debbano adottare misure volte a fornire ai datori di lavoro direttive chiare e assistenza continua per quanto riguarda la verifica dei permessi di soggiorno o di altra autorizzazione equivalente. Il relatore suggerisce inoltre l’istituzione, a livello comunitario, di un sistema di condivisione delle prassi migliori tra gli Stati membri; ai fini di una maggiore flessibilità, gli Stati membri dovrebbero inoltre avere la possibilità di concedere ai datori di lavoro un lasso di tempo ragionevole per regolarizzare la posizione dei cittadini di paesi terzi impiegati, conformemente alle leggi nazionali.
In materia di sanzioni finanziarie (articolo 6) il relatore propone che esse possano essere ridotte nel caso in cui il datore di lavoro sia una persona fisica che impiega illegalmente cittadini di paesi terzi nell'ambito di una collaborazione domestica e di servizi alla persona.
Per quanto riguarda l’articolo 7 (pagamento degli arretrati da parte dei datori di lavoro), il relatore ritiene che la disposizione andrebbe estesa ad ogni altro diritto finanziario legato all'impiego e a tutti i costi derivanti dal trasferimento della retribuzione e dei diritti all'estero, nel caso di cittadini terzi che abbiano fatto ritorno al proprio paese d'origine; nel caso in cui non possa essere stabilita la retribuzione concordata, questa dovrebbe essere determinata facendo riferimento alle leggi vigenti in materia di retribuzione minima, ai contratti collettivi o alle prassi, ovvero al livello di reddito minimo al di sotto del quale i cittadini dello Stato membro interessato hanno diritto all'assistenza sociale. In considerazione della particolare vulnerabilità dei cittadini di paesi terzi impiegati illegalmente, il relatore ritiene giustificato che gli Stati membri debbano dotarsi di meccanismi par assicurare che i cittadini di paesi terzi ricevano automaticamente i pagamenti arretrati, senza presentare richiesta e anche nei casi in cui la persona interessata abbia fatto ritorno nel proprio paese d'origine. Il relatore concorda inoltre con la proposta della Commissione laddove prevede che si presupponga l’esistenza di un rapporto di lavoro di almeno 6 mesi, salvo prova contraria fornita dal datore di lavoro o, suggerisce il relatore, dal cittadino di un paese terzo impiegato illegalmente.
Relativamente alle diposizioni dell’articolo 8 della proposta (Altre misure), il relatore considera importante che esse siano estese anche ai finanziamenti e agli appalti comunitari.
Per quanto riguarda il subappalto, (articolo 9), il relatore, ritenendo difficile attribuire responsabilità all'appaltante principale, dato che quest'ultimo non è nella posizione di verificare a livello pratico il rispetto delle norme, riconosce opportuno limitare la responsabilità dei subappaltatori intermedi[18].
Relativamente all’articolo 10, il relatore, tra le altre cose, propone di aggiungere alle fattispecie di reato individuate dalla Commissione, il caso in cui la violazione riguardi l’impiego di un minore.
In riferimento all’articolo 15 (ispezioni) il relatore, osservando con favore che la percentuale di ispezioni proposta dalla Commissione (10%) supera notevolmente l'attuale percentuale media nazionale (2%), si dichiara tuttavia consapevole degli ulteriori oneri amministrativi che tale previsione comporterebbe per gli Stati membri, in termini di significativo aumento delle risorse umane e finanziarie e propone pertanto che la percentuale venga ridotta dal 10 % al 5%.
Nella sezione della relazione illustrativa relativa al rispetto del principio di sussidiarietà, la Commissione osserva che il principio di sussidiarietà è applicabile alla proposta, poiché la materia trattata non rientra tra le competenze esclusive della Comunità. In particolare, la Commissione ritiene che gli obiettivi della proposta non possano essere raggiunti sufficientemente dai soli Stati membri, in quanto agendo a livello nazionale si correrebbe il rischio di avere gradi molto diversi di sanzioni e di applicazione delle norme da un paese all'altro, provocando distorsioni della concorrenza nel mercato unico e movimenti secondari di clandestini verso gli Stati membri in cui tali livelli sono meno rigorosi.
Considerando che in uno spazio senza frontiere interne, le azioni contro l'immigrazione illegale devono essere intraprese su una base comune e che questo principio vale non solo per le misure prese alle frontiere comuni, ma anche per i provvedimenti volti a ridurre i fattori di richiamo, la Commissione ritiene un'azione comunitaria la soluzione più efficace ai fini della realizzazione degli obiettivi della proposta. Un livello minimo comune di sanzioni contro i datori di lavoro, secondo la Commissione, farà si che: (1) tutti gli Stati membri dispongano sanzioni sufficientemente severe per avere un effetto deterrente; (2) le sanzioni non differiscano al punto da dar luogo a movimenti secondari di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare; (3) le condizioni per le imprese siano uniformi in tutta l'UE.
La Commissione rileva inoltre che la conformità al principio di sussidiarietà è garantita dal fatto che la proposta prevede solo un livello minimo di armonizzazione.
La relazione illustrativa sottolinea che la proposta rispetta il principio di proporzionalità per i motivi seguenti:
· lo strumento scelto è la direttiva, che dà agli Stati membri un ampio grado di flessibilità in termini di attuazione. Ai sensi dell'articolo 63, penultimo comma, del Trattato CE, gli Stati membri sono liberi di mantenere o introdurre misure diverse da quelle definite nella direttiva purché siano compatibili con il trattato e con gli accordi internazionali;
· ai fini dell'attuazione della direttiva, i governi nazionali e regionali degli Stati membri potrebbero dover sostenere oneri finanziari e amministrativi in più per sviluppare la strategia d'applicazione necessaria e per effettuare il numero minimo di ispezioni richieste; il potenziale aumento di procedimenti amministrativi e penali potrebbe poi comportare un ulteriore carico supplementare. La Commissione ritiene tuttavia che questi accresciuti oneri siano limitati a quanto necessario per garantire l'efficacia della proposta;
· gli oneri imposti agli operatori economici sono limitati alle verifiche da compiere prima di assumere un cittadino di un paese terzo, all'obbligo di informazione delle autorità competenti e all'obbligo di tenere registri.
Per quanto riguarda l’attività istruttoria svolta preliminarmente alla formulazione della proposta di direttiva, di cui viene dato conto dettagliatamente nella relazione relativa alla valutazione d’impatto[19](SEC(2007)604), la Commissione informa di aver esaminato diverse opzioni:
· Opzione 1: status quo. La Commissione ha rilevato che nonostante la maggior parte degli Stati membri abbia già introdotto sanzioni contro i datori di lavoro e misure preventive, esse tuttavia non si sono dimostrate efficaci. Di conseguenza, la Commissione ritiene che l'opzione 1 non creerebbe condizioni uniformi e la situazione rischierebbe addirittura di peggiorare poiché le differenze fra gli Stati membri potrebbero aumentare; il livello delle sanzioni esistenti potrebbe essere così basso da non controbilanciare il vantaggio economico del lavoro illegale. i datori di lavoro, i paesi terzi e i loro cittadini non riceverebbero nessun messaggio forte sulle minori possibilità di sfuggire alle sanzioni.
· Opzione 2: armonizzazione delle sanzioni contro i datori di lavoro dell'UE che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente, con obbligo di applicazione per gli Stati membri (obbligo di effettuare un certo numero di ispezioni sui posti di lavoro). Secondo la Commissione, questa opzione ridurrebbe le discrepanze nelle legislazioni e nella loro applicazione e favorirebbe la creazione di condizioni uniformi; il livello minimo delle sanzioni contro i datori di lavoro aumenterebbe in diversi Stati membri e ciò avrebbe un maggiore effetto deterrente; l'accresciuto livello di applicazione dovrebbe permettere di arginare il lavoro illegale.
· Opzione 3: armonizzazione delle misure preventive: obbligo comune per i datori di lavoro dell'UE di fare una copia della documentazione rilevante (permesso di soggiorno) e di informare gli organi nazionali competenti. La Commissione osserva che questa opzione ridurrebbe il lavoro illegale poiché i datori di lavoro potrebbero determinare subito se il potenziale dipendente è autorizzato o meno a lavorare; i datori di lavoro avrebbero questo minimo onere supplementare, e del resto diversi Stati membri già prevedono che effettuino una verifica dei documenti. La Commissione rileva tuttavia il rischio di un aumento delle frodi sull'identità e le falsificazioni di documenti e che in ogni caso andrà garantita la tutela dei dati.
· Opzione 4: armonizzazione delle sanzioni contro i datori di lavoro e delle misure preventive (combinazione delle opzioni 2 e 3). La Commissione sottolinea che in tal modo si rafforzerebbero vicendevolmente gli effetti positivi delle opzioni 2 e 3, e ne scaturirebbe un chiaro messaggio sull'impegno dell'UE nella lotta al lavoro illegale.
· Opzione 5: campagna di sensibilizzazione nell'UE sulle conseguenze dell'impiego di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare. L'attuazione di questa opzione richiederebbe, secondo la Commissione poche risorse e potrebbe avere comunque un effetto positivo, benché lieve e temporaneo, sull'osservanza delle norme. La Commissione ritiene che tale opzione non porterebbe tuttavia ad alcuna riduzione a medio o lungo termine del lavoro illegale, dato che i datori di lavoro sono già consapevoli delle sue conseguenze negative.
· Opzione 6: individuazione e scambio di buone prassi fra gli Stati membri sull'applicazione delle sanzioni contro i datori di lavoro. La Commissione rileva che tutte le parti interessate considerano necessaria una migliore applicazione delle norme e che questa soluzione rafforzerebbe la capacità e l'efficacia degli organi di contrasto. Tuttavia la Commissione osserva che le risorse da mobilitare per le ispezioni dipenderebbero sempre dagli Stati membri e che, inoltre, quanto a creare condizioni uniformi, l'apporto sarebbe limitato poiché le discrepanze nelle sanzioni e nelle misure preventive continuerebbero ad esistere e potrebbero anche aumentare.
Da un raffronto fra le varie alternative e il loro impatto, e alla luce del parere degli Stati membri e delle parti interessate, la Commissione ha ritenuto che l'opzione privilegiata sia costituita da una combinazione della 4 e della 6.
Le procedure di assunzione di cittadini stranieri extracomunitari sono differenziate a seconda se si tratti di prima assunzione di un soggetto residente all’estero ovvero di un nuovo contratto di uno straniero già regolarmente presente nel territorio nazionale.
La normativa di riferimento è contenuta principalmente nel testo unico sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998[20]) e nel relativo regolamento di attuazione (D.P.R. 394/1999[21]).
La richiesta di prima assunzione deve essere presentata da parte del datore di lavoro italiano – o anche straniero, purché regolarmente soggiornante in Italia – allo sportello unico per l’immigrazione presente in ogni provincia.
Il datore di lavoro può fare richiesta nominativa, se ha conoscenza diretta dello straniero, oppure richiedere un certo numero di lavoratori iscritti in apposite liste di collocamento all’estero.
Alla richiesta deve essere allegata idonea documentazione relativa all’alloggiamento dei lavoratori ed una proposta di contratto di soggiorno (art. 22, co. 2 e 3, TU).
Il compito principale degli sportelli unici è di ricevere la richiesta di nulla osta al lavoro da parte del datore di lavoro e di rilasciarlo previo esame e, soprattutto, dopo verifica dell’indisponibilità per quel posto di lavoro di un lavoratore italiano o comunitario. Il nulla osta è poi consegnato al datore di lavoro o, su sua richiesta, inviato direttamente all’autorità diplomatica del Paese del lavoratore ai fini del rilascio del visto di ingresso.
Successivamente, sempre presso lo sportello deve essere firmato – dal datore di lavoro e dal lavoratore – il citato contratto di soggiorno per lavoro (art. 5, co. 3-bis, TU) che costituisce titolo per il rilascio del permesso di soggiorno.
Allo sportello unico, inoltre, devono essere comunicate tutte le variazioni intervenute del rapporto di lavoro.
In particolare, il datore di lavoro deve comunicare entro cinque giorni il licenziamento del lavoratore ai fini della sua iscrizione nelle liste di mobilità o nell’elenco anagrafico finalizzato al collocamento (art. 37 del regolamento).
Nel caso di un nuovo rapporto di lavoro, sia che si aggiunga al precedente, sia successivo ad un licenziamento, il datore di lavoro deve comunicare la data di assunzione entro cinque giorni e deve procedere alla sottoscrizione di un nuovo contratto di soggiorno, anche ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno (art. 36-bis regolamento).
Il contratto di soggiorno di un nuovo rapporto di lavoro non deve essere sottoscritto presso lo sportello unico, come nel caso di primo impiego, ma è concluso direttamente ed autonomamente, per mezzo della compilazione di un apposito modulo messo a disposizione dall’amministrazione.
Con l’invio, entro cinque giorni, allo sportello unico del modulo recante il contratto di soggiorno compilato e sottoscritto dalle parti, il datore di lavoro adempie all’obbligo di comunicazione dell’avvenuta nuova assunzione[22].
Nell’ordinamento italiano il datore di lavoro che impiega uno o più lavoratori stranieri privi di regolare permesso di soggiorno è penalmente sanzionato.
La normativa di riferimento è contenuta nell’art. 22, co. 12, del TU sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998).
Nella versione originaria, la disposizione qualificava la condotta del datore di lavoro come contravvenzione, per la quale era prevista la sanzione dell’arresto da tre mesi ad un anno, e l’ammenda di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato. Tale impostazione è stata però recentemente mutata con l’approvazione dell’art. 5 del D.L. 92/2008[23] (facente parte del c.d. “pacchetto sicurezza”), che ha novellato il co. 12 dell’art. 22 inasprendo la sanzione per il datore di lavoro e, soprattutto, qualificando la sua condotta come delitto.
Analiticamente, la disposizione vigente sanziona, infatti, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, ovvero il cui permesso sia scaduto (e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo), revocato o annullato.
Con riferimento alla mutata qualificazione dell’illecito (da contravvenzione a delitto), si sottolinea come questa non sia priva di conseguenze per quanto riguarda l’elemento soggettivo del reato; si ricorda, infatti, che, in base alla disciplina del codice penale (art. 42), coloro che commettono dei delitti sono punibili, salvo diversa previsione, se la condotta è posta in essere con dolo; per le contravvenzioni è invece sufficiente, di norma, la colpa.
In attesa che la giurisprudenza delinei i contorni dell’elemento soggettivo nella nuova fattispecie delittuosa, per il momento è utile ricordare che la Corte di cassazione ha chiarito che, ai fini del reato in commento, “il datore di lavoro non è soltanto l’imprenditore o colui che gestisce professionalmente un’attività di lavoro organizzata, ma anche il semplice cittadino che assume alle proprie dipendenze una o più persone per svolgere attività lavorativa subordinata di qualsiasi natura, a tempo determinato o indeterminato, come nel caso di collaboratrici domestiche o badanti”[24].
La giurisprudenza ha poi specificato che l’occupazione di stranieri privi del permesso di soggiorno integra il reato anche se ricorra il “patto di prova” previsto dall’art. 2096 del codice civile, in quanto la norma non distingue tra rapporti di lavoro stabili o soggetti a condizione[25].
La Suprema Corte ha sottolineato la differenza – che permane – fra l’assunzione di cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno e il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cui all’art. 12, co. 5, del TU.
Tale disposizione punisce, in particolare, con la reclusione fino a 4 anni e con la multa fino a 15.493 euro chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero favorisca la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del TU. La pena è aumentata da un terzo alla metà quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone.
La Cassazione ha, infatti, affermato che il favoreggiamento non è configurabile per il solo fatto dell’assunzione al lavoro di immigrati clandestini, occorrendo anche la finalità di ingiusto profitto, “riconoscibile soltanto quando si esuli dall’ambito del normale svolgimento del rapporto sinallagmatico di prestazione d’opera come, ad esempio, nel caso di impiego dei clandestini in attività illecite o in quello dell’imposizione a loro carico di condizioni gravose o discriminatorie di orario e di retribuzione”; condizioni, queste, in assenza delle quali può soltanto configurarsi il reato di cui all’art. 22, co. 12, del TU[26].
Il reato di favoreggiamento non è configurabile neanche per il sol fatto che un datore di lavoro, oltre ad occupare alle proprie dipendenze stranieri extracomunitari privi di permesso di soggiorno (e con ciò commettendo il reato di cui all’art. 22, co. 12), fornisca loro anche un alloggio, quando non risulti che la disponibilità dell’alloggio sia stata offerta a condizioni disumane, ovvero ad un prezzo esorbitante o sotto forma di comodato senza termine in luogo di un regolare contratto di locazione[27].
Il TU in materia di immigrazione reca norme volte alla protezione degli stranieri vittime di sfruttamento, ma limitatamente a situazioni in cui ricorra la commissione di reati di particolare gravità.
Le disposizioni in oggetto sono contenute nell’art. 18 del TU; ulteriori norme in materia si rinvengono nel regolamento di attuazione (artt. 24-27 del D.P.R. 394/1999).
Anche se le disposizioni del TU si applicano, in generale, esclusivamente agli stranieri provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione europea e agli apolidi (cfr. art. 1, co. 1), per effetto di una specifica disposizione recata dal co. 6-bis dell’art. 18 quest’ultimo si applica anche “ai cittadini di Stati membri dell'Unione europea che si trovano in una situazione di gravità ed attualità di pericolo”.
I benefici previsti dall’art. 18 si applicano in caso di accertamento di situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero, con concreto pericolo per la sua incolumitàanche per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di organizzazioni criminali.
L’accertamento di tali situazioni può avvenire:
§ nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento penale relativi ai delitti connessi allo sfruttamento della prostituzione (art. 3, L. 75/1958) oppure per gravi delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza, quali associazione criminale, riduzione in schiavitù, etc. (art. 380 c.p.p.);
§ nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali.
L’art. 18 prevede due misure a favore degli stranieri vittime di violenza e grave sfruttamento:
§ un permesso di soggiorno speciale rilasciato per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell'organizzazione criminale;
§ un programma di assistenza ed integrazione sociale destinate alle vittime.
I presupposti per l’adozione di tali misure sono accertati da un organo pubblico (forze dell'ordine, autorità giudiziaria, servizi sociali degli enti locali)[28].
Il questore rilascia il permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e di prendere parte a un programma di assistenza e integrazione sociale. Il permesso ha durata determinata (sei mesi, rinnovabile per un anno o per il maggior periodo occorrente per motivi di giustizia), ma può trasformarsi in permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di studio. Esso è revocabile se ne vengono meno i requisiti e, in particolare, in caso di condotta incompatibile.
La disposizione coinvolge ulteriori soggetti istituzionali: il pubblico ministero (propone il rilascio del permesso o esprime parere) e il sindaco (per ciò che attiene all'esecuzione del programma di assistenza e integrazione sociale).
I programmi di assistenza sono realizzati a cura degli enti locali o da soggetti privati convenzionati. Una Commissione interministeriale, istituita ad hoc presso il Dipartimento delle pari opportunità, valuta i programmi di assistenza e ne verifica lo stato di attuazione e l’efficacia.
31
[1] COM(2006)402, presentata il 19 luglio 2006. Si veda il paragrafo seguente.
[2] La proposta di direttiva è stata presentata dalla Commissione europea il 16 maggio 2007 come parte di un pacchetto di misure di sostegno all’immigrazione legale e contrasto all’immigrazione clandestina comprendente anche la comunicazione le comunicazioni “Applicazione dell’approccio globale in materia di migrazione alle aree orientali e sudorientali vicine all’Unione europea” (COM(2007)247) e la “Migrazione circolare e partenariati di mobilità tra UE e paesi terzi” (COM(2007)248). (Si veda paragrafo 1.2.1).
[3] Nel documento di lavoro che accompagna la proposta (SEC(2007)604), la Commissione riferisce che sui 27 Stati membri dell'UE, almeno 26 già prevedono sanzioni e misure preventive nei confronti dei datori di lavoro. La legislazione di 19 Stati membri prevede sanzioni penali. La Commissione sottolinea tuttavia che il divario è grande non solo in termini di contenuti, ma anche di combinazione dei provvedimenti attuati. In molti Stati membri, inoltre, il numero di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare che lavorano è alto nonostante le sanzioni. A questo proposito si segnala che il 24 ottobre 2007 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2007)628) sul rafforzamento della lotta contro il lavoro non dichiarato.
[4] Le linee direttrici della politica europea comune in materia di asilo e immigrazione fino al 2010 sono state delineate nei programmi di Tampere e dell’Aia.
Esse possono essere sintetizzate come segue:
- partenariato con i paesi di origine, nel quadro di un approccio globale che affronti gli aspetti politici, i diritti dell'uomo e i problemi dello sviluppo nei paesi e nelle regioni di origine e di transito;
- regime comune europeo in materia di asilo, fondato, a termine, su una procedura d'asilo comune e uno status unico;
- equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri;
- gestione dei flussi migratori, basata, segnatamente, su una politica comune attiva in materia di visti e di documenti falsi, sulla lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento economico dei migranti e sulla regolamentazione dell’entrata e del diritto di soggiorno, del permesso di lavoro e delle questioni relative al ricongiungimento familiare.
[5] La dichiarazione comune con la repubblica di Moldavia è stata firmata dal commissario europeo alle relazioni esterne, dalla presidenza del Consiglio GAI; dal ministro degli interni della repubblica di Moldavia e dai ministri degli interni degli Stati membri interessati (Germania, Bulgaria, Cipro, Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Lituania, Polonia, Portogallo, Romania, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia e Svezia). La dichiarazione comune con Capo Verde dal commissario europeo allo sviluppo, dalla presidenza del Consiglio GAI, dal Ministro degli interni di Capo verde e dagli Stati membri interessati (Spagna, Francia, Lussemburgo e Portogallo). E’ prevista l’apertura di un centro comune per i visti a Praia.
[6] La creazione di piattaforme di cooperazione per l’immigrazione è stata prevista dal Consiglio europeo del 14-15 dicembre 2006, allo scopo di riunire in una gestione coerenze delle migrazioni il paese partner interessato, gli Stati membri dell’UE e la Commissione nonché le appropriate organizzazioni internazionali.
[7] In particolare, in base al progetto di testo, gli Stati membri dovranno evitare le regolarizzazioni generali ed incondizionate e limitarsi, in futuro, a regolarizzazioni caso per caso, per motivi umanitari o economici. Gli Stati membri dovranno inoltre concludere accordi di riammissione, sia a livello comunitario, sia a titolo bilaterale. L'efficacia di tali accordi sarà valutata ed i mandati di negoziati non che si sono realizzati saranno rivisti. L’Unione europea e gli Stati membri si impegneranno a sviluppare la cooperazione ricorrendo a dispositivi comuni di allontanamento dei clandestini (ad es. identificazione biometrica dei clandestini, voli congiunti). Gli Stati membri dovranno rafforzare la cooperazione con i paesi d'origine e di transito per lottare contro l'immigrazione irregolare. Essi sono inoltre invitati a dotarsi di dispositivi nazionali di aiuto per il sostegno al ritorno volontario e a scambiarsi reciprocamente informazioni sull'argomento, nell’intento di prevenire i ritorni abusivi nell'UE delle persone che hanno beneficiato di tali aiuti. Gli Stati membri sono infine invitati a lottare con la più grande fermezza contro lo sfruttamento degli stranieri in situazione irregolare.
[8] Contestualmente, la Commissione europea ha inoltre presentato la comunicazione"Piano strategico sull'asilo – Un approccio integrato in materia di protezione nell'Unione europea".(si veda paragrafo Asilo e protezione internazionale)
[9] Si utilizza l’espressione “immigrazione clandestina” per descrivere vari fenomeni, tra cui l’ingresso clandestino di cittadini di paesi terzi nel territorio di uno Stato membro per via terrestre, marittima o aerea, incluse le zone di transito negli aeroporti. L’ingresso avviene spesso mediante documenti falsi o contraffatti o con l’aiuto di reti criminali organizzate di contrabbando e di tratta di esseri umani. Inoltre, un numero considerevole di persone entrano legalmente, con un visto valido o nell’ambito di un regime di esenzione dal visto, ma prolungano illegalmente il loro soggiorno o ne modificano lo scopo senza l’autorizzazione delle autorità. Infine, vi sono richiedenti asilo che, pur non avendolo ottenuto, non abbandonano il paese dopo la decisione negativa definitiva.
[10] In questo quadro, il 13 febbraio 2008 la Commissione ha presentato le seguenti tre comunicazioni, relative alla gestione delle frontiere:
Relazione sulla valutazione e sullo sviluppo futuro dell’Agenzia per la gestione delle frontiere esterne dell’Unione europea (Frontex) (COM(2008)67);La creazione di un Sistema europeo di controllo delle frontiere (EUROSUR) (COM(2008)68);Le evoluzioni future della gestione delle frontiere nell’Unione europea (COM(2008)69).
La comunicazione propone misure volte a rafforzare le procedure in materia di controllo dei cittadini dei paesi terzi lungo le frontiere, facilitando nel contempo le procedure di ingresso e di uscita dall’Unione europea per i cittadini UE e per i viaggiatori in buona fede, provenienti dai paesi terzi.
[11] COM(2007)637.
[12] COM(2007)638.
[13] COM(2005)391.
[14] Con 114 voti favorevoli, 538 contrari e 11 astensioni, peraltro, il Parlamento non ha accolto la proposta di Verdi e GUE/NGL di respingere in toto la proposta di direttiva.
[15] Direttiva 2004/81/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti. In particolare l’articolo 4 stabilisce che la direttiva non preclude agli Stati membri la facoltà di adottare o mantenere disposizioni più favorevoli . L’articolo 15 prevede che la direttiva si applichi senza pregiudizio delle disposizioni nazionali relative alla protezione delle vittime e dei testimoni.
[16] Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 dai Capi di Stato e di Governo, è sottoposto a procedura di ratifica da parte di tutti gli Stati membri dell’Unione europea. L’art. 6 del Trattato di Lisbona prevede che il Trattato entri in vigore il 1° gennaio 2009, se tutti gli Stati membri hanno depositato gli strumenti di ratifica, altrimenti, il primo giorno del mese successivo all’avvenuto deposito dello strumento di ratifica da parte dello Stato membro che avrà proceduto per ultimo. Al 19 settembre 2008, 22 Stati membri hanno completato la procedura di ratifica, e in altri 2 Stati membri il Parlamento ha approvato il progetto di legge di ratifica, non ancora firmato dal Capo dello Stato. Hanno ratificato: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Regno Unito, Slovacchia, Slovenia, Spagna ed Ungheria. Il Parlamento tedesco ha completato la procedura di ratifica, tuttavia il Presidente della Repubblica, Horst Köhler, ha sospeso la firma della legge di ratifica in attesa della pronuncia della Corte costituzionale. Anche il Parlamento polacco ha approvato la ratifica, ma manca la firma del Presidente della Repubblica, Lech Kaczynski, che ha comunicato che firmerà la legge di ratifica quando vi sarà la certezza che il Trattato di Lisbona entrerà in vigore. Gli Stati membri che devono ancora completare la procedura parlamentare di ratifica sono: Repubblica ceca e Svezia. In Irlanda si è svolto il 12 giugno 2008 un referendum sull’approvazione del Trattato, che ha avuto esito negativo.
[17] Si segnala che un primo scambio di opinioni sulla proposta si è tenuto nel corso del Consiglio giustizia e affari interni del 12 giugno 2007, che ha sottolineato l’importanza dell’iniziativa, nel quadro dell’elaborazione di una politica globale d'immigrazione.
Si segnala inoltre che In margine al Consiglio occupazione e affari sociali del 5 dicembre 2007, i Ministri dell'occupazione degli Stati membri UE hanno incontrato i Ministri della giustizia e degli affari interni per tenere un dibattito orientativo su migrazione, occupazione e strategia di Lisbona. La discussione si è incentrata su due temi principali:
- migrazione della manodopera, integrazione nel mercato del lavoro e collegamento con la strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione, e
- lavoro sommerso e lavoro illegale quale fattore di attrazione per l'immigrazione clandestina.
I Ministri, tra le altre cose, hanno ribadito l’importanza della lotta contro l’occupazione illegale dei cittadini di paesi terzi e contro il lavoro sommerso e l’utilità, a tale scopo, di sanzioni dissuasive e di una loro un'applicazione efficace. I Ministri hanno pertanto espresso l’auspicio di un rapido progresso dei lavori sulla proposta di direttiva in esame e sul follow-up della comunicazione della Commissione sul lavoro sommerso (COM(2007)628).
[18] In particolare, gli emendamenti all’articolo 9, contenuti nella proposta di risoluzione prevedono che, qualora il datore di lavoro sia un subappaltatore, gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché l’appaltante di cui il datore di lavoro è subappaltatore diretto sia responsabile del pagamento; gli Stati membri dovrebbero inoltre essere tenuti a garantire che l’appaltante principale e tutti i subappaltatori intermedi, qualora sapessero o avessero dovuto sapere che il subappaltatore datore di lavoro impiegava cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente, siano responsabili dei pagamenti, in luogo del subappaltatore datore di lavoro o dell’appaltatore di cui il datore di lavoro è un subappaltatore diretto.
[19] A partire dal 2002 la Commissione ha deciso di sottoporre tutte le proposte legislative ad una valutazione di impatto preliminare e le proposte di maggiore importanza ad una valutazione “estesa” dell’impatto economico, sociale ed ambientale. La Commissione ha definito al riguardo delle guidelines per assicurare la completezza ed uniformità dei criteri utlizzati per tali valutazioni dai servizi della Commissione. Il 15 giugno 2005 la Commissione ha adottato delle nuove guidelines per tenere conto in misura maggiore dei profili relativi all’economia e alla competitività e per valutare la compatibilità delle proposte con la Carta dei diritti fondamentali.
[20] D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
[21] D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'art. 1, comma 6, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
[22] Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Circolare 8 marzo 2005, n. 9.
[23] D.L. 23 maggio 2008, n. 92, Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 24 luglio 2008, n. 125. La novella dall’art. 22, co. 12, del TU è frutto delle modifiche apportate al decreto-legge in sede di conversione.
[24] cfr. Sez. I, sent. n. 25665 del 12 giugno 2003, Iovino.
[25] Cass., Sez. I, sent. n. 8661 dell’8 febbraio 2005.
[26] Cfr. Cass. Sez. I, sent. n. 4700 del 25 ottobre 2000, Mao.
[27] Cass. Sez. I, sent. n. 40398 del 29 novembre 2006.
[28] Cass. Sez. I civile, sent. n. 11209 del 28 agosto 2000.