Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||
Titolo: | Proposta di direttiva recante applicazione del principio di parità di trattamento (COM(2008)426) | ||
Serie: | Proposte di atti normativi dell'Unione europea Numero: 1 | ||
Data: | 22/07/2008 | ||
Descrittori: |
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Camera dei deputati
XVI LEGISLATURA
Ufficio Rapporti con l’Unione europea |
Servizio Studi |
Proposte di atti normativi dell'Unione europea
APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO
DI PARITÀ DI TRATTAMENTO
Proposta di direttiva - COM(2008)426
n. 1
22 luglio 2008
Segreteria generale - Ufficio rapporti con l’Unione europea
SIWEB
Per il Servizio Studi il dossier è stato coordinato da Federica Sindici e Antonella Degano
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
I N D I C E
1. La proposta di direttiva recante applicazione del principio di parità di trattamento
1.1.1 Disposizioni vigenti nel settore della proposta
1.1.3 Valutazione dell’impatto
1.1.4 Non discriminazione e pari opportunità: un impegno rinnovato
2. Valutazione della proposta sotto i profili di sussidiarietà e proporzionalità
2.3 La motivazione della proposta di regolamento sotto i profili di sussidiarietà e proporzionalità
3. Il quadro normativo comunitario
3.1 La giurisprudenza comunitaria
4. Il recepimento della normativa comunitaria in Italia
4.1 Il recepimento della direttiva 2000/43/CE
4.2 Il recepimento della direttiva 2000/78/CE
4.3 Il recepimento della direttiva 2004/113/CE
Proposta di Direttiva del Consiglio recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendente-mente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale (COM(2008)246) 39
Documento di lavoro dei servizi della Commissione - Sintesi della valutazione d'impatto (SEC(2008)2181) 63
Titolo |
Proposta di direttiva recante applicazione del principio di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale - COM(2008)426 |
Settori di intervento |
Lotta alla discriminazione; pari opportunità |
Finalità |
Stabilire un quadro generale per la lotta alla discriminazione, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio di parità di trattamento anche in campi diversi dall’occupazione. |
Base giuridica |
Articolo 13, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea. |
Procedura |
Consultazione |
Date: - proposta iniziale della Commissione europea
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2 luglio 2008
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La presente proposta è volta ad attuare il principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale al di fuori del mercato del lavoro. Essa intende istituire un quadro normativo per il divieto della discriminazione fondata su questi motivi e stabilire un livello minimo uniforme di tutela all’interno dell’Unione europea per le persone vittime di discriminazione.
Con tale proposta la Commissione intende completare l’attuale normativa europea, applicabile alla sfera lavorativa e alla formazione professionale[1], che vieta la discriminazione per motivi di religione o convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale. La Commissione rileva, infatti, come la discriminazione persista in molti settori, ad esempio negli ambiti dell’accesso a beni e servizi e alla loro fornitura, alloggi, servizi sociali e assistenza sanitaria.
Il diritto alla parità di trattamento è sancito – a livello comunitario – sia dai Trattati sia dal diritto derivato. In particolare, l’articolo 13 del Trattato CE consente specificamente le azioni volte a combattere la discriminazione per motivi di sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale. Tale principio è riconosciuto anche dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
In base al citato articolo 13, l’UE ha adottato numerosi provvedimenti normativi che attuano il principio di parità di trattamento in vari settori dell’ordinamento (per una ricostruzione della normativa UE vigente, si veda il capitolo 3).
Nel suo programma di lavoro legislativo per il 2008[2], la Commissione ha annunciato la presentazione di nuove iniziative per il completamento del quadro normativo UE contro la discriminazione. La proposta in esame è presentata come parte della comunicazione “Agenda sociale rinnovata: opportunità, accesso e solidarietà nell’Europa del XXI secolo”[3] e accompagna la comunicazione “Non discriminazione e pari opportunità: un impegno rinnovato”[4] (su cui si veda il paragrafo 1.1.4).
E’ in corso di elaborazione da parte della Commissione una proposta di decisione del Consiglio sulla ratifica della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, firmata il 30 marzo 2007 dagli Stati membri e dalla Comunità europea[5]. Essa auspica l’adozione di norme comuni per rendere oggettivi nella legislazione nazionale i diritti riconosciuti nella Convenzione.
La presente proposta riprende e sviluppa quanto previsto dalle direttive 2000/43/CE, 2000/78/CE e 2004/113/CE[6], che vietano la discriminazione fondata su sesso, razza o origine etnica, età, disabilità, orientamento sessuale, religione o convinzioni personali nella sfera lavorativa e della formazione professionale, estendendo il divieto di discriminazione anche al di fuori di tali ambiti.
Nella preparazione di questa iniziativa la Commissione ha avviato una consultazione, volta a coinvolgere le parti interessate: l’anno europeo per le pari opportunità (2007) ha fornito il contesto adatto per evidenziare le questioni e incoraggiare la partecipazione al dibattito.
Le risposte alla consultazione pubblica e delle ONG[7], in particolare, hanno evidenziato una chiara richiesta di ulteriore legislazione a livello UE per aumentare il livello di tutela contro la discriminazione, sebbene alcuni abbiano richiesto direttive specifiche riguardanti le disabilità e il sesso. Inoltre, dalla consultazione risulta che le imprese ritengono utile che vi sia lo stesso livello di tutela dalla discriminazione in tutta l’UE, anche se le parti sociali che rappresentano le imprese si sono espresse generalmente contro una nuova normativa, che secondo loro comporterebbe ulteriore aumento della burocrazia e dei costi. I sindacati si sono espressi a favore del divieto di discriminazione al di fuori del mercato del lavoro per motivi di età, disabilità, religione od orientamento sessuale e hanno sottolineato che la discriminazione all’esterno della sfera lavorativa si ripercuote sulla capacità di lavoro dei loro iscritti.
La Commissione ha inoltre fatto ricorso al parere di esperti, anche per tener conto della natura e del livello della discriminazione al di fuori del mondo del lavoro nell’UE, alle relazioni[8] della rete europea di esperti indipendenti nel settore della non discriminazione ed ha tenuto conto dei risultati di una speciale indagine[9] e di un sondaggio flash del febbraio 2008[10] dell’Eurobarometro.
La sintesi della valutazione d’impatto che accompagna la proposta di direttiva sottolinea che gli obiettivi di qualsiasi azione sarebbero di aumentare la protezione degli individui dalla discriminazione, raggiungere una maggiore coesione sociale e una piena partecipazione di tutti i gruppi alla vita sociale e all’economia e fornire un quadro normativo chiaro in tutti gli Stati membri che possa stimolare il commercio transfrontaliero e la libera circolazione.
La relazione sulla valutazione d’impatto giunge alla conclusione che una misura giuridicamente vincolante a livello comunitario, che estenda il campo di applicazione contro la discriminazione per motivi di età, disabilità, orientamento sessuale, religione o convinzioni personali, è lo strumento più adatto a raggiungere gli obiettivi definiti.
La nuova direttiva, pertanto:
- si baserebbe sull'approccio e sui concetti delle direttive esistenti basate sull'articolo 13 del trattato CE (2000/43/CE e 2000/78/CE), ad esempio le definizioni di discriminazione e molestie, l'obbligo di fornire soluzioni ragionevoli, nonché le regole procedurali;
- vieterebbe la discriminazione solo nei settori di competenza CE, quindi non si ripercuoterebbe sull'organizzazione o sui contenuti dell'istruzione (ad es., l'educazione speciale), sulle questioni dello stato coniugale (ad es. unioni/matrimoni tra persone dello stesso) o sul diritto di famiglia (ad es. l'adozione) o sulle norma nazionali riguardanti la laicità dello stato e delle sue istituzioni;
- istituirebbe prescrizioni minime in modo che gli Stati membri siano liberi di adottare o mantenere disposizioni che offrono una maggiore protezione e alcuni Stati membri potrebbero, su propria iniziativa, aumentare il livello di protezione offerto a livello nazionale;
- non si ripercuoterebbe sulle disposizioni costituzionali a livello nazionale che prescrivono la parità di trattamento o vietano la discriminazione.
La sintesi della valutazione dell’impatto che accompagna la proposta di direttiva, inoltre, evidenzia che la nuova legislazione potrebbe essere accompagnata da un dialogo con gli istituti finanziari, in modo da esaminare le discriminazioni percepite nei settori delle assicurazioni e delle banche e chiarire le regole per l'industria e per i consumatori. Inoltre continuerebbe la promozione delle misure non giuridiche per combattere la discriminazione, come la sensibilizzazione alla discriminazione, la formazione e lo scambio di buone pratiche.
Contestualmente alla proposta di direttiva, la Commissione ha presentato la comunicazione “Non discriminazione e pari opportunità: un impegno rinnovato”. La comunicazione si basa sul successo della strategia quadro del 2005 per la non discriminazione e dell’Anno europeo della parità delle opportunità per tutti nel 2007, nonché sui contributi delle istituzioni europee, della società civile e delle parti sociali ed espone un insieme di azioni destinate a rafforzare la lotta contro la discriminazione e a promuovere l’uguaglianza delle opportunità.
La Commissione ritiene che la lotta contro la discriminazione non possa essere vinta facendo ricorso alla sola legislazione, ma che sia necessario un cambiamento degli atteggiamenti e dei comportamenti; si dichiara determinata a fare in modo che il contesto giuridico esistente sia rispettato ma ritiene opportuno adottare una nuova legislazione al fine di ampliare la portata della protezione giuridica contro tutte le forme di discriminazione in tutti i settori della vita.
La Commissione invita il Consiglio e il Parlamento a dare in via prioritaria un impulso alle discussioni sulla proposta di direttiva e sottolinea che una protezione giuridica efficace dei diritti individuali deve essere accompagnata dalla promozione attiva della non discriminazione e dell’uguaglianza delle opportunità. Intende realizzare nuovi progressi a livello comunitario e nazionale in settori quali la sensibilizzazione, l’integrazione della non discriminazione, l’azione positiva e la raccolta dei dati. Ritiene che una gestione più rigorosa della politica di non discriminazione dovrebbe facilitare lo scambio di buone prassi, l’apprendimento tra pari e il confronto dei modelli di riferimento tra gli Stati membri, incoraggiando l’elaborazione di nuovi approcci, in particolare per affrontare il problema della discriminazione multipla.
La Commissione intende garantire, in collaborazione con la società civile e le parti sociali, il seguito dell’attuazione delle iniziative ricordate nella comunicazione, nonché valutare i progressi compiuti e l’impatto delle azioni specifiche.
La proposta, presentata dalla Commissione il 2 luglio 2008, segue la procedura di consultazione.
Nella procedura di consultazione, la proposta della Commissione viene trasmessa dal Consiglio al Parlamento europeo, che esprime un parere e può formulare emendamenti; la Commissione riesamina la proposta e può modificarla sulla base del parere del Parlamento; il Consiglio adotta quindi l’atto in linea generale all’unanimità.
La base giuridica della proposta è costituita dall’articolo 13, paragrafo 1, del Trattato CE.
L’articolo 13, paragrafo 1, TCE stabilisce che, fatte salve le altre disposizioni TCE e nell'ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali.
Il Parlamento europeo ha assegnato la proposta alla commissione Libertà, giustizia e affari interni per l’esame di merito, e alle commissioni Occupazione e affari sociali, Mercato interno, Cultura ed istruzione, Diritti della donna e uguaglianza di genere, per il parere.
La proposta di direttiva si articola in 3 Capi:
· Capo I (artt.1-6): Disposizioni generali;
· Capo II (artt.7-12): Mezzi di ricorso e applicazione;
· Capo III ( artt. 13-18) Disposizioni finali.
Lo scopo dell’intervento normativo è indicato all’articolo 1, secondo il quale la proposta di direttiva è volta astabilire un quadro generale per la lotta alla discriminazione per motivi di religione o convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio di parità di trattamento anche in campi diversi dall'occupazione.
Il concetto di discriminazione è definito dall’articolo 2 della proposta, che opera una distinzione tra discriminazione diretta e indiretta, sulla base delle precedenti direttive adottate in virtù dell’articolo 13 TUE[11].
In particolare l’articolo precisa che:
- sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all'articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra persona in una situazione analoga;
- sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutre possono mettere persone di una determinata religione o convinzione, età, orientamento sessuale o con una disabilità, in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, criterio o prassi sia oggettivamente giustificata da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
Sono inoltre considerati atti discriminatori le molestie nonché il rifiuto di fornire una soluzione ragionevole, secondo quanto già previsto dalla Convenzione ONU sui diritti della persone disabili e dalla direttiva 2000/78/CE.
L’articolo precisa che gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell'età non costituiscano discriminazione qualoranell'ambito del diritto nazionale esse siano giustificate da una finalità legittima e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari. In particolare, la proposta di direttiva non preclude la possibilità di fissare un'età specifica per l'accesso alle prestazioni sociali, all'istruzione o a taluni beni o servizi. La proposta di direttiva prevede inoltre che, nell'ambito dell'offerta dei servizi finanziari, gli Stati membri possono consentire differenze proporzionate di trattamento qualora, per il prodotto in questione, i fattori età e disabilità siano determinanti nella valutazione dei rischi, in base a dati attuariali o statistici pertinenti e accurati. L’ultimo paragrafo dell’articolo 2 stabilisce infine che le disposizioni della proposta di direttiva lasciano impregiudicate le misure generali previste dalla legislazione nazionale che, “in una società democratica, sono necessarie alla sicurezza pubblica, alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione dei reati e alla tutela della salute e dei diritti e delle libertà altrui”.
Per quanto riguarda il campo di applicazione, a cui è dedicato l’articolo 3, la proposta di direttiva stabilisce che, nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, il divieto di discriminazione si applica a tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:
(a) alla protezione sociale, comprese la sicurezza sociale e l'assistenza sanitaria;
(b) alle prestazioni sociali;
(c) all'istruzione;
(d) all'accesso a beni e servizi disponibili al pubblico e alla loro fornitura, inclusi gli alloggi.
La proposta specifica che ciò non pregiudica:
· le responsabilità degli Stati membri per i contenuti dell'insegnamento, le attività e l'organizzazione dei propri sistemi d'istruzione, inclusa la messa a disposizione dell'insegnamento speciale. Gli Stati membri possono prevedere differenze di trattamento nell'accesso ad istituiti scolastici basate su una religione o convinzione;
· la legislazione nazionale che garantisce la laicità dello Stato, delle istituzioni o degli organismi statali, dell'istruzione o riguardanti lo status e le attività delle organizzazioni fondate su una religione o convinzione[12];
· la legislazione nazionale a favore della parità dei sessi.
ll testo esplicita che le questioni inerenti allo stato coniugale o di famiglia, inclusa l'adozione, non rientrano nel campo d'applicazione della direttiva. Ciò include i diritti alla riproduzione[13].
L’articolo 4 della proposta di direttiva è in particolare dedicato alla parità di trattamento delle persone con disabilità. A questo proposito la proposta prevede che:
· siano adottate preventivamente, anche mediante modifiche o adeguamenti appropriati, le misure necessarie per consentire alle persone con disabilità l'accesso effettivo e non discriminatorio alla protezione sociale, alle prestazioni sociali, all'assistenza sanitaria, all'istruzione e ai beni e servizi disponibili al pubblico, inclusi gli alloggi e i trasporti. Tali misure non devono costituire un onere sproporzionato o richiedere la modifica sostanziale della protezione sociale, delle prestazioni sociali, dell'assistenza sanitaria, dell'istruzione o dei beni o servizi in questione o la messa a disposizione di beni o servizi alternativi;
· fatto salvo l'obbligo di garantire l'accesso effettivo e non discriminatorio, siano messe a disposizione all’occorrenza, anche in casi particolari, soluzioni ragionevoli[14]a condizione che esse non costituiscano un onere sproporzionato.
Al fine di valutare se le misure necessarie costituiscono un onere sproporzionato, la proposta di direttiva stabilisce che si tenga conto, in particolare, della dimensione, delle risorse dell'organizzazione, della sua natura, del costo previsto, del ciclo di vita dei beni e servizi, nonché dei possibili benefici del migliore accesso per le persone con disabilità. La soluzione sarà considerata non sproporzionata allorché l'onere sia compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica di parità di trattamento dello Stato membro.
In considerazione del fatto che in molti casi l’uguaglianza formale non comporta, nella prassi, l’effettiva e completa parità, l’articolo 5, relativo all’azione positiva, prevede che il principio di parità di trattamento non impedisca a uno Stato membro di mantenere o adottare misure specifiche dirette a evitare o compensare svantaggi connessi alla religione o alle convinzioni personali, alla disabilità, all'età o all'orientamento sessuale.
Per quanto riguarda la tutela dei diritti (articolo 7), la proposta di direttiva prevede che le persone che si ritengono vittime di discriminazione possano ricorrere a procedimenti amministrativi o giudiziari, anche dopo la fine del rapporto in cui la presunta discriminazione sarebbe intervenuta.[15] La proposta stabilisce inoltre che gli Stati membri sono tenuti a riconoscere alle associazioni, organizzazioni e altre persone giuridiche che abbiano interesse legittimo a garantire il rispetto delle disposizioni anti discriminatorie contenute nella proposta, il diritto di ricorrere per conto o a sostegno della persona che si ritiene lesa e con il suo consenso.
Relativamente all’onere della prova la proposta impone agli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, di adottare i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio di parità di trattamento, nel caso in cui chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, o altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che non ci sia stata violazione del divieto di discriminazione.
La proposta di direttiva, all’articolo 12, prevede inoltre l’istituzione di organismi di parità. In particolare essa dispone che gli Stati membri istituiscano uno o più organismi di parità di tutte le persone indipendentemente dalla loro religione o convinzioni personali, disabilità, età o dal loro orientamento sessuale. Tali organismi possono far parte di organi incaricati di difendere, a livello nazionale, i diritti umani o di tutelare i diritti degli individui, inclusi i diritti tutelati dagli atti comunitari, tra cui le direttive 2000/43/CE e 2004/113/CE[16].
Gli Stati membri devono inoltre assicurare che nella competenza di tali organismi rientrino:
- la messa a disposizione delle vittime di discriminazione di un'assistenza indipendente per avviare una procedura per discriminazione;
- lo svolgimento di inchieste indipendenti in materia di discriminazione;
- la pubblicazione di relazioni indipendenti e la formulazione di raccomandazioni su tutte le questioni connesse a tale discriminazione.
In base alla proposta (articolo 14), gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione della presente direttiva e prendono tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione. Le sanzioni possono prevedere un risarcimento dei danni, non possono essere limitate dalla previa fissazione di una soglia massima e devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.
L’articolo 5 del Trattato sull’Unione europea, come modificato dal Trattato di Lisbona - firmato dai Capi di Stato e di governo a Lisbona il 13 dicembre 2007 e in corso di ratifica da parte degli stati membri[17] -, fissa i princìpi fondamentali in materia di competenze dell’Unione e prevede che i Parlamenti nazionali vigilino sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la procedura prevista dal Protocollo sui principi di sussidiarietà e proporzionalità.
Il Trattato di Lisbona riprende, con alcune modifiche, le disposizioni sul ruolo dei Parlamenti nazionali già contenute del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa.
Il ruolo dei Parlamenti nazionali è disciplinato essenzialmente nei due Protocolli - allegati al Trattato di Lisbona -sul ruolo dei Parlamenti nazionali e sui princìpi di sussidiarietà e proporzionalità; ulteriori disposizioni sono contenute nel Trattato.
I due protocolli prevedono:
· la trasmissione diretta ai Parlamenti nazionali:
- dei documenti di consultazione della Commissione;
- di tutte le proposte legislative, nonché delle loro modifiche nel corso del procedimento[18];
- del programma legislativo annuale, della strategia politica annuale e degli altri strumenti di programmazione della Commissione;
- della relazione annuale della Commissione sull’applicazione dei princìpi fondamentali in tema di delimitazione delle competenze;
- della relazione annuale della Corte dei conti.
· Il vincolo di far intercorrere un periodo di otto settimane (tale termine è stato allungato rispetto a quello di sei settimane previsto dal Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa) tra la data in cui si mette a disposizione dei parlamenti nazionali, nelle lingue ufficiali dell'Unione, un progetto di atto legislativo e la data in cui questo è iscritto all'ordine del giorno provvisorio del Consiglio ai fini della sua adozione o dell'adozione di una posizione nel quadro di una procedura legislativa. Nel corso di queste otto settimane non può essere constatato alcun accordo riguardante il progetto di atto legislativo e tra l'iscrizione di un progetto di atto legislativo all'ordine del giorno provvisorio del Consiglio e l'adozione di una posizione devono trascorrere dieci giorni. Sono ammesse eccezioni nei casi urgenti debitamente motivati (tale disposizione era prevista anche nel Trattato costituzionale);
· la comunicazione diretta ai Parlamenti nazionali degli ordini del giorno e dei risultatidei lavori del Consiglio –compresi i processi verbali delle sessioni nelle quali il Consiglio delibera su progetti di atti legislativi europei - nello stesso momento in cui sono comunicati ai Governi degli Stati membri (tale disposizione era prevista anche nel Trattato costituzionale);
· la possibilità per ciascun Parlamento nazionale (o Camera) di sollevare obiezioni, entro un termine di otto settimane (tale termine è stato allungato rispetto a quello di sei settimane previsto dal Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa) dalla data di trasmissione di un progetto, sulla corretta applicazione del principio di sussidiarietà (cosiddetto early warning o allerta precoce) in relazione alle proposte legislative.
L’obiezione assume la forma di un parere motivato da inviare ai Presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione nel quale sono esposte le ragioni per le quali si ritiene che la proposta in causa non sia conforme al principio di sussidiarietà.
Il Trattato di Lisbona riprende la procedura prevista dal Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, e prevede che qualora i pareri motivati rappresentino almeno un terzo dell’insieme dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali il progetto deve essere riesaminato (cosiddetto “cartellino giallo”). A tal fine ciascun Parlamento nazionale dispone di due voti, ripartiti in funzione del sistema parlamentare nazionale; in un sistema parlamentare nazionale bicamerale ciascuna delle due Camere dispone di un voto. Ciascun Parlamento nazionale o ciascuna Camera può consultare all’occorrenza i Parlamenti regionali con poteri legislativi.
La soglia per l’obbligo di riesame è abbassata a un quarto, nel caso di proposte della Commissione o di una iniziativa di un gruppo di Stati membri che si riferiscono allo spazio di libertà sicurezza e giustizia; Al termine del riesame il progetto in questione può essere – con una decisione motivata - mantenuto, modificato o ritirato.
A tale procedura di riesame, il Trattato di Lisbona affianca - come espressamente previsto dal mandato definito dal Consiglio europeo del 21 -23 giugno 2007 per la CIG - una nuova procedura, non prevista dal Trattato costituzionale, che attribuisce ai Palamenti nazionali un potere di attivare una procedura di intervento sul procedimento legislativo (cosiddetto “cartellino arancione”). In base a tale nuova procedura qualora i pareri motivati sul mancato rispetto del principio di sussidiarietà da parte di una proposta di atto legislativo rappresentino almeno la maggioranza semplice dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali la proposta è riesaminata. Al termine di tale riesame, la Commissione può decidere di mantenere la proposta, di modificarla o di ritirarla. Qualora scelga di mantenerla, la Commissione spiega, in un parere motivato, perché ritiene la proposta conforme al principio di sussidiarietà. Il parere motivato della Commissione e i pareri motivati dei parlamenti nazionali sono sottoposti al legislatore dell'Unione affinché ne tenga conto nella procedura:
a) prima della conclusione della prima lettura, il legislatore (Consiglio e Parlamento europeo) esamina la compatibilità della proposta legislativa con il principio di sussidiarietà, tenendo particolarmente conto delle ragioni espresse e condivise dalla maggioranza dei parlamenti nazionali, nonché del parere motivato della Commissione;
b) se, a maggioranza del 55% dei membri del Consiglio o a maggioranza dei voti espressi in sede di Parlamento europeo, il legislatore ritiene che la proposta non sia compatibile con il principio di sussidiarietà, la proposta legislativa non forma oggetto di ulteriore esame.
· la facoltà per ciascun Parlamentonazionale (oCamera) di presentare – attraverso la trasmissione effettuata dai relativi Stati membri - un ricorso alla Corte di giustizia per violazione del principio di sussidiarietà (tale disposizione era prevista anche nel Trattato costituzionale);
· l’organizzazione di una efficace e regolare cooperazione interparlamentare definita congiuntamente da Parlamento europeo e Parlamenti nazionali (tale disposizione era prevista anche nel Trattato costituzionale);
· la possibilità per la Conferenza degli organismi specializzati negli affari comunitari ed europei (COSAC) di sottoporre all'attenzione delle istituzioni europee i contributi che ritiene utili[19]; la Conferenza promuove inoltre lo scambio di informazioni e buone prassi tra i Parlamenti degli Stati membri e il Parlamento europeo, nonché tra le loro commissioni specializzate, e può altresì organizzare conferenze interparlamentari su temi specifici che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune e nella politica di sicurezza e di difesa comune (tale disposizione era prevista anche nel Trattato costituzionale).
Si segnala che, in attesa dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, già dal settembre 2006 la Commissione europea trasmette direttamente ai Parlamenti nazionali tutte le nuove proposte legislative e i documenti di consultazione, chiedendo loro di esprimere osservazioni e pareri al fine di migliorare il processo di elaborazione delle politiche europee.
La trasmissione è stata avviata per iniziativa della Commissione e sostenuta dal Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006, che ha invitato la Commissione a prendere in debita considerazione le osservazioni dei Parlamenti nazionali, in particolare per quanto riguarda i principi di sussidiarietà e di proporzionalità, e gli stessi Parlamenti nazionali a rafforzare la cooperazione nel quadro della Conferenza delle commissioni per gli affari europei (COSAC) all'atto del monitoraggio della sussidiarietà.
Tale iniziativa è nota come “dialogo politico” o “iniziativa Barroso”; da più parti si sostiene l’opportunità di mantenere tale forma di cooperazione più generale e più libera anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
La Conferenza specializzata negli affari europei e comunitari (COSAC) ha avviato, a partire dalla riunione dell’Aia nel novembre 2004, specifici esercizi in materia di controllo di sussidiarietà e proporzionalità da parte dei Parlamenti nazionali.
In una prima fase, questi esercizi sono stati svolti quali anticipazioni a titolo sperimentale del meccanismo di controllo di sussidiarietà (c d. early warning) previsto dal Protocollo sui principi di sussidiarietà e proporzionalità (allegato al Trattato costituzionale prima ed al Trattato di Lisbona poi) e si sono pertanto svolti sostanzialmente secondo le regole da esso previste (in particolare, con la fissazione di un termine di sei settimane per la conclusione dell’esame). Successivamente, anche in seguito alle vicende del processo di ratifica del Trattato costituzionale, le modalità di svolgimento di tali esercizi da parte dei Parlamenti nazionali nell’ambito della COSAC hanno seguito una procedura ad hoc, solo parzialmente ricalcata su quella prevista dal suddetto Protocollo.
Le COSAC di Berlino, nel maggio 2007, ha definito una procedura che è stata da allora in poi seguita:
- i Parlamenti nazionali che desiderino partecipare, procedono all’esame del programma legislativo della Commissione europea per l’anno successivo (che viene presentato in autunno);
- i Parlamenti nazionali, sulla base dell’esame del programma legislativo della Commissione, informano la Presidenza della COSAC delle proposte da sottoporre al controllo di sussidiarietà e proporzionalità (di norma entro novembre);
- la Troika Presidenziale, a margine della riunione dei Presidenti della COSAC, che precede la riunione ordinaria COSAC del primo semestre, individua le due proposte maggiormente citate dai Parlamenti nazionali e ne propone l’esamealla riunione dei Presidenti della COSAC (di norma a febbraio/marzo);
- l’esame da parte dei Parlamenti nazionali si svolge cercando di rispettare il termine delle otto settimane dalla data di messa a disposizione delle proposte legislative su cui verte il controllo di sussidiarietà in tutte le lingue dell’UE (termine ricalcato su quello previsto dal protocollo sulla sussidiarietà allegato al Trattato di Lisbona);
- i risultati dei controlli di sussidiarietà sono esaminati dalla riunione della successiva COSAC di primavera (di norma aprile/maggio);
- i Parlamenti nazionali siano incoraggiati a scambiare informazioni tra loro, nel corso dell’esercizio, attraverso l’utilizzo del sito web IPEX[20].
La COSAC di Estoril (14-16 ottobre 2007), sulla base di quanto convenuto dalla riunione dei Presidenti della COSAC, ferme restando le modalità di selezione delle proposte sopra indicate, ha invitato i Parlamenti nazionali a partecipare agli esercizi di sussidiarietà e proporzionalità secondo le disposizioni contenute nel protocollo sulla sussidiarietà allegato al Trattato di Lisbona, ed in particolare a rispettare il termine di 8 settimane a partire dalla messa a disposizione della proposta in tutte le lingue dell’UE.
L’ultima COSAC che si è svolta a Brdo il 7 e 8 maggio 2008, ha preso atto della decisione assunta nella riunione dei Presidenti della COSAC, che si è svolta a Lubiana il 18 febbraio 2008, di organizzare nel corso del 2008 due controlli di sussidiarietà, rispettivamente su:
La COSAC ha invitato i Parlamenti nazionali ad effettuare tale controllo entro il termine di otto settimane dalla messa a disposizione delle proposte.
La proposta in materia di applicazione del principio di parità di trattamento è stata adottata dalla Commissione europea il 2 luglio 2008. La riunione dei Presidenti della COSAC del 6 e 7 luglio 2008 ha deciso l’avvio del controllo di sussidiarietà da parte dei Parlamenti nazionali su tale proposta. Il 9 luglio 2008 il segretariato COSAC ha informato i Parlamenti nazionali della messa a disposizione della proposta in tutte le lingue dell’Unione europea. Da quel momento decorre il termine di otto settimane entro quale condurre il controllo di sussidiarietà, che dovrà pertanto concludersi entro il 4 settembre 2008.
La proposta relativa a testamenti e successioni deve ancora essere adottata dalla Commissione europea.
Il primo esercizio di sussidiarietà e proporzionalità da parte dei Parlamenti nazionali fu deciso, sotto forma di progetto pilota, dalla COSAC dell’Aja (23 novembre 2004). Il progetto pilota era volto valutare il funzionamento della procedura di “allerta precoce” in materia di sussidiarietà, già prevista dal Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa.
Il progetto pilota, lanciato il 1° marzo 2005 e concluso il 12 aprile 2005, ha avuto ad oggetto le proposte della Commissione europea relative al terzo pacchetto ferroviario. Hanno partecipato al progetto pilota 31 camere sulle 37 che compongono i Parlamenti nazionali (la Camera dei deputati non ha partecipato); 14 Parlamenti nazionali hanno affermato che una o più delle proposte contenute nel pacchetto violerebbe il principio di sussidiarietà, altri 3 hanno espresso generici dubbi.
La COSAC di Londra (10 e 11 ottobre 2005) - al fine di non assumere iniziative che potessero configurarsi come una anticipazione delle disposizioni contenute nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (ed attualmente riprese dal Trattato di Lisbona) - ha deciso di condurre non un secondo progetto pilota sulla sussidiarietà, ma un esercizio denominato di “subsidiarity and proportionality check”, sulla base delle disposizioni vigenti contenute negliattuali protocolli sul ruolo dei Parlamenti nazionali e sull’applicazione del principio di sussidiarietà. Tali esercizi, secondo quanto poi deciso, sulla base della proposte dei Parlamenti nazionali dai Presidenti COSAC nella riunione del 20 febbraio 2006, hanno riguardato:
· la proposta di regolamento sulla legge applicabile e sulla giurisdizione in materia di divorzio[22];
La Camera dei deputati ha partecipato all’esame della proposta, ai sensi dell’articolo 127, comma 1, del regolamento della Camera, con l’adozione di un parere da parte della Commissione XIV Politiche dell’Unione europea, il 24 ottobre 2006, e di un documento finale da parte della Commissione Giustizia il 16 novembre 2006.
· la proposta direttiva relativa al completamento del mercato interno per i servizi postali[23].
La Camera dei deputati ha partecipato all’esame della proposta, ai sensi dell’art. 127, comma 1 del regolamento della Camera, con l’adozione di un parere favorevole con condizioni da parte della Commissione XIV Politiche dell’Unione europea, l’8 febbraio, e di un documento finale da parte della Commissione IX Trasporti, poste e telecomunicazione l’8 febbraio 2007.
La riunione dei Presidenti della COSAC che si è svolta a Lisbona il 12 luglio 2007 ha deciso di condurre un controllo di sussidiarietà sulla proposta di decisione quadro del Consiglio relativa alla lotta contro il terrorismo.
L’esercizio di sussidiarietà sulla proposta di decisione quadro si è svolto nel periodo delle 8 settimane, dal 26 novembre 2007 al 21 gennaio 2009 e ad esso hanno partecipato 24 Assemblee, in rappresentanza di 19 Stati membri. La Camera dei deputati non ha partecipato all’esercizio.
Nella sezione della relazione illustrativa relativa al rispetto del principio di sussidiarietà, la Commissione osserva che il principio di sussidiarietà è applicabile alla proposta, poiché la materia trattata non rientra tra le competenze esclusive della Comunità. In particolare, la Commissione ritiene che gli obiettivi della proposta non possano essere raggiunti sufficientemente dai soli Stati membri, per le seguenti ragioni:
· solo una misura comunitaria può garantire uno standard minimo di protezione contro la discriminazione per motivi di religione, convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale in tutti gli Stati membri;
· un atto giuridico comunitario è in grado di fornire la certezza giuridica dei diritti e degli obblighi degli operatori economici e dei cittadini, anche in caso di spostamento tra uno Stato membro e l’altro.
A conferma di tale impostazione, la Commissione ricorda che le direttive precedenti, adottate a norma dell'articolo 13, paragrafo 1 del trattato CE[24], hanno avuto, come dimostrato dall’esperienza, un effetto positivo nel realizzare una migliore protezione contro la discriminazione.
La relazione osserva, inoltre, che la proposta di direttiva non va al di là di quanto necessario per realizzare gli obiettivi stabiliti e rispetta, pertanto, il principio di proporzionalità.
La relazione analizza alcuni effetti della normativa proposta sulle legislazioni nazionali. In particolare, la Commissione rileva che le differenze tra le tradizioni e gli approcci nazionali in settori quali sanità, protezione sociale e istruzione tendono ad essere più marcate rispetto a quanto si osserva nei settori connessi all'occupazione. Ribadendo che la diversità delle società europee rappresenta uno dei punti forti dell'Europa e che, in quanto tale, deve essere rispettata in linea con il principio di sussidiarietà e riconoscendo che questioni come l'organizzazione e il contenuto dell'istruzione, il riconoscimento della famiglia o del matrimonio, l'adozione, i diritti alla riproduzione e altre questioni simili devono essere decise a livello nazionale, la Commissione sottolinea che la proposta di direttiva non richiede agli Stati membri di modificare le attuali leggi e prassi in relazione a tali questioni è che essa è priva di impatto sulle norme nazionali che disciplinano le attività delle Chiese e di altre organizzazioni religiose o il loro rapporto con lo Stato. A titolo di esempio la Commissione osserva pertanto che rimane agli Stati membri la facoltà di decidere se consentire l'ammissione selettiva alle scuole, se vietare o consentire di esibire o indossare simboli religiosi nelle scuole, se riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso e la natura di qualsiasi rapporto tra una religione organizzata e lo Stato.
Le osservazioni contenute nella relazione introduttiva sono sinteticamente ribadite nel trentesimo considerando del preambolo della proposta in esame, in cui si afferma che, in base ai principi di sussidiarietà e proporzionalità enunciati all'articolo 5 del trattato CE, lo scopo della presente direttiva, volta a garantire un livello comune di protezione contro la discriminazione in tutti gli Stati membri, non può essere realizzato in misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque, a causa delle dimensioni e dell'impatto dell'azione proposta, essere meglio realizzato a livello comunitario. Il considerando osserva inoltre che la proposta non va al di là di quanto è necessario per il raggiungimento di tale obiettivo.
Per quanto riguarda l’attività istruttoria svolta preliminarmente alla formulazione della proposta di direttiva, di cui viene dato conto dettagliatamente nella relazione relativa alla valutazione d’impatto[25](SEC(2008)2180), la Commissione informa di aver esaminato sei diverse opzioni regolative per la soluzione del problema del rafforzamento della tutela nei confronti della discriminazione al di fuori del mondo del lavoro:
· nessuna azione nuova a livello UE;
· l'autoregolamentazione per i servizi assicurativi e/o bancari;
· una raccomandazione che tratta specificamente le competenze degli organismi che promuovono la parità di trattamento, nonché la multidiscriminazione;
· una raccomandazione generale;
· direttive che trattano un unico fattore di discriminazione;
· una direttiva che tratta diversi fattori di discriminazione.
La Commissione ha esaminato gli impatti economici e sociali, nonché l'impatto ambientale delle varie opzioni, fornendo dati quantitativi, al fine di illustrare i costi e i benefici per gli individui, i fornitori di beni e servizi e la società in generale.
In particolare, la Commissione ha rilevato che l'opzione di non prendere alcun provvedimento, non affrontando i problemi identificati, lascerebbe invariati i costi della discriminazione in termini economici e sociali e accrescerebbe il rischio di un maggior divario nella protezione giuridica.
Le opzioni non legislative prese in considerazione sono risultate alla Commissione poco adatte a garantire un miglioramento chiaro del livello di protezione contro la discriminazione, poiché sarebbe impossibile prevedere in quale misura gli Stati membri recepirebbero e applicherebbero efficacemente tali opzioni. Tuttavia la Commissione ha valutato che un dialogo con le industrie assicurative e bancarie potrebbe essere considerato un modo potenzialmente efficace per affrontare le accuse di discriminazioni in quel contesto.
Si è inoltre ritenuto che un’azione a livello di singoli Stati membri, basata sui quadri costituzionali e giuridici nazionali, avrebbe rischiato non solo di lasciare intatte le differenze nei livelli di protezione esistenti, ma anche di peggiorare la situazione.
La Commissione ha pertanto concluso che l'unico modo sicuro per progredire verso gli obiettivi individuati fosse l’introduzione di una misura giuridicamente vincolante a livello UE, anche in considerazione del fatto già richiamato che l'esperienza delle direttive esistenti è stata positiva e la loro applicazione nel diritto nazionale ha prodotto un livello di tutela contro la discriminazione molto più alto in molti Stati membri rispetto alla situazione precedente o rispetto a quello che avrebbe potuto essere raggiunto senza lo stimolo dell'azione UE.
La valutazione di impatto osserva infine che una direttiva che vieti la discriminazione per motivi di disabilità, nonché altri motivi, può essere un modo efficace e coerente per gli Stati membri di applicare parti della Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità[26], dando, ad esempio, maggiore forza al principio di "soluzione ragionevole" e ai mezzi di ricorso a disposizione delle vittime di discriminazione.
In linea generale, gli obiettivi dell’Unione europea in materia di parità di genere consistono, da un lato, nel garantire la parità di opportunità e di trattamento fra donne e uomini e, dall’altro, nella lotta contro qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. L’integrazione delle pari opportunità fra uomini e donne nelle politiche ed azioni comunitarie viene chiamata gender mainstreaming.
La promozione della parità fra uomini e donne è considerata uno dei compiti essenziali della Comunità ed è stata formalmente inserita nell’ambito del Trattato istitutivo della Comunità europea (TCE), attraverso le modifiche ad esso apportate dal Trattato di Amsterdam, che ha sostanzialmente recepito l’evoluzione della giurisprudenza e della prassi applicativa in materia. In precedenza, il principio figurava solo in riferimento al limitato profilo della parità nel settore lavorativo (ex art. 119 TCE), mentre attualmente esso assume una portata generale, investendo tutti i possibili comportamenti in grado di determinare discriminazioni basate sul sesso.
Il TCE stabilisce, infatti, nella parte relativa ai principi, che l’azione della Comunità deve tendere ad eliminare le disuguaglianze (articolo 2) e a promuovere la parità fra uomini e donne (articolo 3, paragrafo 2), mentre l'articolo 13 prevede che, su proposta della Commissione, il Consiglio all'unanimità possa decidere di adottare misure intese a combattere tutte le discriminazioni, comprese quelle basate sul sesso.
Il principio della parità fra uomini e donne è affermato anche nelle disposizioni sociali del trattato CE, per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro e il trattamento sul lavoro (articolo 137). Inoltre, l’articolo 141 prevede che gli Stati membri assicurino l’applicazione del principio di parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore (paragrafo 1). Il paragrafo 4 consente, poi, agli Stati membri di adottare o mantenere in vigore misure di azione positiva a favore del sesso eventualmente sottorappresentato sul piano della carriera.
Si ricorda, inoltre, che il paragrafo 3 di detto articolo stabilisce anche che il Consiglio, seguendo la procedura di codecisione, adotti misure intese a garantire l'applicazione del principio della parità di opportunità e di trattamento in materia di impiego e occupazione.
Inoltre, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea - proclamata solennemente in occasione del suo inserimento nel Trattato di Lisbonanella seduta plenaria del Parlamento europeo del 12 dicembre 2007 dai Presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione europea e poi pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea[27] - riafferma il divieto di qualsiasi forma di discriminazione, in particolare quella fondata sul sesso o sulle tendenze sessuali (articolo 21), e il dovere di garantire la parità fra uomini e donne in tutti i campi (articolo 23).
Un forte sostegno alla problematica sulla parità dei diritti è, inoltre, venuto dal Parlamento europeo, soprattutto dopo la creazione nel 1984 di una Commissione Pari opportunità per le donne e gli uomini nell’Unione europea.
Si ricorda, infine, che per quanto riguarda l’elezione del Parlamento europeo, ogni Stato membro stabilisce autonomamente le modalità dello scrutinio, applicando tuttavia regole democratiche identiche, tra cui il rispetto del principio di parità tra uomini e donne.
A quest’ultimo proposito, si segnala che si è assistito a un continuo aumento della rappresentanza femminile in seno al PE: circa un terzo dei deputati sono, infatti, donne.
Principio ripetutamente affermato dalla Corte di Giustizia è quello secondo cui “il diritto di non essere discriminati in ragione del proprio sesso costituisce uno dei diritti fondamentali della persona umana, di cui la Corte deve garantire l’osservanza” (ex plurimis: sent. 10 febbraio 2000, in C-270/97 e C-271/97).
Oltre a tali enunciazioni di carattere generale, il giudice comunitario ha sviluppato una giurisprudenza in riferimento ad aspetti più specifici della questione, quali ad esempio la legittimità di azioni positive, ovvero l’effettiva portata della parità salariale, enunciata dall’articolo 141 TCE.
In riferimento al primo aspetto, la Corte ha evidenziato come le azioni positive rappresentino una deroga al principio di parità di trattamento e come tali vadano interpretate restrittivamente e rispettando il principio di proporzionalità (sent. 15 maggio 1986, in C-222/84). Pertanto, tali azioni devono servire a migliorare la capacità delle donne di entrare nel mondo del lavoro e di effettuare una carriera su un piano di parità con gli uomini, ma non possono assicurare loro il raggiungimento di un certo risultato in modo automatico e senza condizioni (sent. 17 ottobre 1995, in C-450/93). In quest’ottica sono state ritenute incompatibili con il diritto comunitario le legislazioni recanti un sistema rigido di quote riservate alle donne, cui viene assegnata automaticamente la precedenza, pur in presenza di concorrenti di sesso maschile, ugualmente qualificati. È, quindi, necessario che la normativa contente le azioni positive, sia tale da garantire, in ogni singolo caso, un esame obiettivo delle candidature, che tenga conto della situazione di ciascun concorrente, e venga applicata in modo da non comportare una discriminazione per le donne (sentt. 11 novembre 1997, in C-409/95, 28 marzo 2000, in C-158/97).
Per quanto riguarda, invece, la parità salariale, la giurisprudenza comunitaria ha immediatamente affermato che il principio contenuto all’art. 141, par. 1, TCE è fornito di efficacia diretta e non necessita, quindi, di disposizioni attuative, né a livello comunitario, né nazionale (sent. 8 aprile 1976, in C-43/75). Ciò significa che il singolo può chiedere ai giudici nazionali la disapplicazione della normativa interna contrastante con tale principio. La Corte evidenzia, altresì, come il rispetto dell’art. 141, par. 1, TCE non si imponga solo alle pubbliche autorità, ma riguardi anche i contratti collettivi di lavoro o i contratti tra privati (sent. 7 febbraio 1991, in C-184/89). L’efficacia diretta del principio di parità retributiva si applica, inoltre, sia in relazione alle discriminazioni dirette e palesi, sia in riferimento a quelle indirette o dissimulate: queste ultime possono peraltro sfuggire al rispetto del principio in questione, qualora il datore di lavoro dimostri che la prassi salariale è dovuta a fattori obiettivamente giustificati ed estranei a qualunque discriminazione basata sul sesso (ex plurimis: sentt. 31 marzo 1981, in C-96/80, 17 ottobre 1989, in C-109/88, 10 febbraio 2000, in C-50/96).
Già prima del Trattato di Amsterdam, la Comunità europea aveva approvato numerose misure in materia di parità tra uomo e donna, anche se di fatto non esisteva alcuna base giuridica che permettesse di condurre azioni di più ampia portata contro tutte le possibili forme di discriminazione tra le persone del suo territorio.
Nel 1975, infatti, è stata adottata la direttiva 75/117/CEE, emanata in base all’art. 119 del TCE, che aveva stabilito il principio della parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile per un lavoro di pari valore.
Tale direttiva è esplicitamente finalizzata a facilitare l’applicazione del principio di parità salariale, già sancito con efficacia diretta dall’art. 141, par. 1, TCE (ex art. 119), e non rappresenta quindi una condizione per la sua applicazione (cfr. par. precedente).
Un punto di riferimento essenziale, ai fini dell’individuazione del ruolo che gli Stati membri devono svolgere nell’applicazione del principio di parità di trattamento in ambito lavorativo, è costituito poi dalla direttiva 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda l'accesso al lavoro, la formazione e la promozione professionali e le condizioni di lavoro. Tale direttiva rappresenta il primo esempio di atto normativo comunitario che disciplina le azioni positive.
Le due direttive furono attuate dall’Italia con la legge 9 dicembre 1977, n. 903[28], la 86/613 con la legge 29 dicembre 1987, n. 546[29].
Al fine di adeguare la direttiva 76/207/CEE alla giurisprudenza comunitaria e alle nuove disposizioni del TCE, è stata successivamente approvata la direttiva 2002/73/CE, recepita nell’ordinamento italiano con il D. lgs. n. 145/2005[30].
Successivamente sono state adottate:
- la direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra le donne e gli uomini in materia di sicurezza sociale;
- la direttiva 86/378/CEE del Consiglio, del 24 luglio 1986, come modificata dalla direttiva 96/97/CE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra le donne e gli uomini nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale;
- la direttiva 86/613/CEE del Consiglio, dell'11 dicembre 1986, sull'applicazione del principio della parità di trattamento fra donne e uomini che esercitano un'attività indipendente, compresa quella agricola, nonché sulla tutela della maternità.
Inoltre, il Consiglio ha adottato una direttiva sull'onere della prova, in caso di discriminazione basata sul sesso (direttiva 97/80/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, modificata dalla direttiva 98/52/CE): ai sensi di tale normativa spetta alla parte convenuta, citata in giustizia per discriminazione sul lavoro, provare che non vi è stata violazione del principio di parità di trattamento.
Recentemente, con l’intento di riunire in un unico testo le precedenti direttive comunitarie, con le modifiche di seguito intervenute, concernenti l'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne, e di recepire gli orientamenti giurisprudenziali della Corte di giustizia delle Comunità europee sul medesimo tema, iI Parlamento europeo e il Consiglio hanno di recente adottato la direttiva 2006/54/CE[31], del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione).
Per contrastare qualsiasi discriminazione fondata sull'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali, sono stati adottati ulteriori specifici provvedimenti.
Il primo (direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000) proibisce la discriminazione fondata sull'origine razziale o etnica in settori più vasti (occupazione, istruzione, accesso ai beni e ai servizi, protezione e sicurezza sociale, cultura, ecc.) e garantisce la tutela giuridica alle vittime di discriminazione e propone la definizione comune di discriminazione illecita e fornisce un livello minimo di ricorso.
Il D. lgs. n. 215/2003[32], recependo tale normativa comunitaria, ha introdotto nel nostro ordinamento disposizioni relative alla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, prevedendo le misure necessarie ad evitare che le differenze di razza o etnia siano causa di discriminazione, diretta e indiretta, anche in considerazione del differente impatto che le medesime forme di discriminazione possano avere su donne e uomini e sull’esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso (vedi infra, paragrafo 4.1).
Il secondo (direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000) vieta qualsiasi forma di discriminazione in materia d'occupazione. I settori interessati sono: l'accesso ad un'occupazione o una professione, la promozione, la formazione professionale, le condizioni d'occupazione e di lavoro nonché l'affiliazione ad alcuni organismi.
La direttiva è stata trasposta nell’ordinamento italiano dal D. lgs. n. 216/2003[33](vedi infra, paragrafo 4.2).
Al fine di rendere sempre più effettivo il principio di parità di trattamento tra uomini e donne, nel 2004 è stata adottata la direttiva 2004/113/CE del Consiglio, che applica il principio della parità di trattamento tra donne e uomini nell’accesso ai beni e servizi e nella fornitura di beni e servizi, stabilendo – tra l’altro – il divieto di discriminazione diretta o indiretta nei confronti di beni e servizi, forniti a fronte di una remunerazione, proposti al pubblico sia nel settore pubblico, sia nel settore privato. In particolare, riguardo al settore delle assicurazioni, la direttiva vieta in linea di principio il riferimento al sesso come criterio di calcolo dei premi e delle prestazioni per fini assicurativi e per altri servizi finanziari in tutti i nuovi contratti stipulati dopo il 27 dicembre 2007.
La direttiva è stata recepita nell’ordinamento italian del D.lgs n. 196/2007[34] (vedi infra, paragrafo 4.3).
In considerazione del fatto che l'applicazione delle leggi non può da sola risultare sufficiente per la promozione della parità di opportunità nei fatti, la Commissione si è impegnata, attraverso programmi di azione pluriennali successivi ideati e attuati in partnership con gli Stati membri, al fine di promuovere azioni concrete volte a migliorare la promozione della parità fra uomini e donne. Si ricordano in particolare:
· il programma d’azione comunitario per combattere le discriminazioni, adottato con la decisione 2000/750/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, che ha permesso di istituire per sei anni (2001-2006) un programma al fine di agevolare gli Stati membri nell'elaborazione di politiche contro la discriminazione, grazie ad uno scambio di informazioni e di buone pratiche in materia legislativa e non legislativa.
Tali misure completano altre azioni comunitarie già esistenti di lotta contro la discriminazione, come gli orientamenti annuali per l'occupazione (in cui la pari opportunità costituisce uno dei quattro pilastri), ed i PAN (Piani d'azione nazionali per l'occupazione), che costituiscono il quadro regolamentare per gli aiuti finanziari della Comunità. Anche l'iniziativa comunitaria EQUAL rientra in questa strategia integrata di lotta contro le discriminazioni a complemento delle azioni finanziarie del Fondo sociale europeo;
· il programma comunitario d’azione per le pari opportunità (2001-2005)[35], istituito dal Consiglio il 20 dicembre 2000 con la decisione 2001/51/CE, contestualmente ad una strategia quadro per la parità tra uomini e donne;
· il programma comunitario per l’occupazione e la solidarietà sociale – PROGRESS, istituito con la decisione n. 1672/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e proseguimento del programma precedente.
In particolare, quest’ultimo programma, relativo al periodo 2007-2013, intende sostenere la realizzazione degli obiettivi dell’Unione europea nel campo dell’occupazione e degli affari sociali, contribuendo in tal modo alla realizzazione della strategia di Lisbona in tali settori.
Il programma si articola in cinque sezioni corrispondenti a cinque grandi settori di attività:
• occupazione
• protezione sociale e inclusione
• condizioni di lavoro
• lotta contro la discriminazione e la diversità
• pari opportunità.
La sezione relativa alle pari opportunità sostiene l’applicazione efficace del principio della parità fra uomini e donne e promuove l’integrazione della dimensione di genere in tutte le politiche comunitarie:
• migliorando la comprensione della situazione relativa alle questioni di genere e all’integrazione della dimensione di genere;
• sostenendo l’applicazione della legislazione comunitaria in tema di parità fra uomini e donne mediante un monitoraggio efficace, l’organizzazione di seminari e lo sviluppo di reti fra organismi specializzati nelle questioni relative alla parità;
• sensibilizzando, diffondendo informazioni e promuovendo il dibattito sulle principali sfide e questioni politiche relative alla parità e all’integrazione di genere;
• sviluppando la capacità delle principali reti di livello europeo di sostenere e sviluppare ulteriormente gli obiettivi politici comunitari e le strategie in materia di parità fra donne e uomini.
La dotazione finanziaria prevista per la realizzazione delle attività comunitarie contemplate dal programma PROGRESS per il periodo dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2013 ammonta a 657.590.000 euro: il 12% di questo importo è stato assegnato al finanziamento delle attività comunitarie per la promozione della parità fra uomini e donne.
Con la Decisione n. 771/2006 è stato invece istituito l’Anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007) – Verso una società giusta, mentre il 1° marzo 2006, la Commissione ha adottato la tabella di marcia per la parità tra donne e uomini (COM(2006)92), che individua sei ambiti prioritari dell’azione dell’UE in tema di parità tra i generi per il periodo 2006-2010:
· una pari indipendenza economica per le donne e gli uomini;
· l’equilibrio tra attività professionale e vita privata;
· la pari rappresentanza nel processo decisionale;
· l’eradicazione di tutte le forme di violenza fondate sul genere;
· l’eliminazione di stereotipi sessisti;
· la promozione della parità tra i generi nelle politiche esterne e di sviluppo.
Per ciascun settore vengono indicati gli obiettivi e gli interventi prioritari.
La tabella di marcia si basa sull’esperienza della strategia quadro in tema di parità tra donne e uomini relativa al periodo 2001-2005 e combina l’avvio di nuovi interventi con il potenziamento delle attività che hanno avuto risultati positivi. Essa sarà seguita da una relazione intermedia nel 2008 e da una valutazione accompagnata da una proposta di sviluppo nel 2010.
Considerando la tabella di marcia, quindi, il Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2006 ha adottato un patto europeo per la parità di genere, al fine di incoraggiare l’azione a livello di Stati membri e di Unione europei nei seguenti settori:
· misure per colmare i divari di genere e combattere gli stereotipi di genere nel mercato del lavoro
- promuovere l’occupazione delle donne in tutte le fasce d’età e ridurre i divari di genere nell’occupazione, anche tramite la lotta a tutte le forme di discriminazione;
- parità di retribuzione per pari lavoro;
- combattere gli stereotipi di genere, in particolare quelli relativi alla segregazione in base al genere nel mercato del lavoro e nell’istruzione;
- considerare come rendere i regimi previdenziali più favorevoli all’occupazione delle donne;
- promuovere l’emancipazione delle donne nella vita politica ed economica e l’imprenditorialità femminile;
- incoraggiare le parti sociali e le imprese a sviluppare iniziative a favore della parità di genere e promuovere piani per la parità di genere sul luogo di lavoro;
- integrare la prospettiva di genere in tutte le attività pubbliche.
· misure per promuovere un migliore equilibrio tra vita professionale e familiare per tutti
- raggiungere gli obiettivi stabiliti al Consiglio europeo di Barcellona del marzo 2002[36] sulla disponibilità delle strutture per la custodia dei bambini;
- migliorare la disponibilità delle strutture di assistenza per altre persone non autosufficienti;
- promuovere il congedo parentale sia per le donne che per gli uomini;
· misure per rafforzare la governance tramite l’integrazione di genere e un migliore monitoraggio
- assicurare che gli effetti della parità di genere siano tenuti in considerazione nelle valutazioni d’impatto delle nuove politiche dell’UE;
- sviluppare ulteriormente le statistiche e gli indicatori disaggregati per sesso;
- utilizzare pienamente le opportunità fornite dalla creazione dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere[37].
Il 13 marzo 2007 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla “tabella di marcia”.
Nel dicembre 2006 è stato adottato il Regolamento 1922/2006, che ha creato l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, centro di eccellenza per le questioni di uguaglianza tra i sessi, con il compito di sostenere e rafforzare la promozione dell’uguaglianza di genere in tutte le politiche comunitarie e nazionali che ne derivano, fornendo assistenza tecnica alle istituzioni della Comunità, in particolare la Commissione, ed alle autorità degli Stati membri.
Si ricorda infine che, con la Decisione del 16 giugno 2008, la Commissione ha provveduto alla codifica delle norme riguardanti il Comitato consultivo per le pari opportunità tra donne e uomini, istituito con la decisione 82/43/CEE più volte modificata nel corso degli anni. Il Comitato ha il compito di assistere la Commissione nell’elaborazione e nell’attuazione delle azioni della Comunità intese a promuovere le pari opportunità e di favorire lo scambio permanente di esperienze, politiche e prassi pertinenti in materia tra gli Stati membri e tra i vari attori interessati.
Per conseguire tali obiettivi il Comitato:
a) assiste la Commissione nell’elaborazione di strumenti di controllo, di valutazione e di diffusione dei risultati delle misure adottate a livello comunitario per promuovere le pari opportunità;
b) contribuisce all’attuazione dei programmi di azione comunitaria in materia, segnatamente procedendo all’esame dei loro risultati e proponendo miglioramenti delle misure adottate;
c) contribuisce all’elaborazione della relazione annuale della Commissione sui progressi realizzati in materia di pari opportunità;
d) stimola lo scambio di informazioni sulle misure adottate a tutti i livelli per promuovere le pari opportunità e presenta proposte sul seguito che potrebbe essere dato a dette misure;
e) emette pareri o invia relazioni alla Commissione, sia su richiesta di quest’ultima, sia di propria iniziativa, su tutti i problemi pertinenti riguardanti la promozione delle pari opportunità.
La disciplina in materia di non discriminazione è contenuta in diversi provvedimenti normativi, quali, in primo luogo, il testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 267/1998) e la Convenzione di New York contro il razzismo (ratificata con la L. 654/1975).
A queste norme si è aggiunto il complesso organico di disposizioni in materia di non discriminazione contenuto nei decreti legislativi 215/2003 e 216/2003, entrambi di attuazione comunitaria – recepiscono rispettivamente la direttiva 2000/43/CE e la direttiva 2000/78/CE – volti a tutelare la parità di trattamento tra le persone, il primo in via generale, il secondo per quanto riguarda specificatamente le condizioni di lavoro.
Più di recente, il decreto legislativo 196/2007 ha recepito la direttiva 2004/113/CE, in materia di parità di trattamento tra donne e uomini per l’accesso ai beni e servizi.
Il D.Lgs. 215/2003[38], di attuazione della direttiva 2000/43/CE, reca disposizioni relative della parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica. Il provvedimento dispone a tal fine le misure necessarie per evitare che le differenze di razza e di origine etnica siano causa di discriminazione, diretta e indiretta, anche in considerazione del differente impatto che le medesime forme di discriminazione possano avere:
§ su donne e uomini;
§ sull’esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso.
Nella nozione di discriminazione indiretta si fa riferimento, quali possibili fonti di discriminazione, oltre che ad una disposizione, a un criterio e una prassi anche a “un atto, un patto o un comportamento”.
Il provvedimento, all’articolo 3, specifica che il principio di parità di trattamento senza distinzioni di razza ed origine etnica si applica a tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato, con particolare riferimento alle seguenti aree:
§ accesso all’occupazione e al lavoro, sia autonomo sia dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione;
§ occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni di licenziamento;
§ accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;
§ attività nell’ambito di organizzazioni dei lavoratori o dei datori di lavoro e accesso alle prestazioni erogate da tali organizzazioni;
§ protezione sociale, inclusa la sicurezza sociale;
§ assistenza sanitaria;
§ prestazioni sociali;
§ istruzione;
§ accesso a beni e servizi e alla loro fornitura, incluso l’alloggio.
Il decreto disciplina anche la tutela giurisdizionale dei diritti, rinviando alla procedura di azione civile fissata dall’art. 44 del testo unico in materia di immigrazione, integrandola con alcuni strumenti correlati, quali la possibilità di esperire il tentativo di conciliazione previsto dal codice civile e dal D.Lgs. 165/2001, il regime probatorio di cui all’articolo 2729 del codice civile, la possibilità per il giudice (oltre che di risarcire il danno anche non patrimoniale e di impartire le opportune disposizioni per la cessazione del comportamento discriminatorio) di ordinare l’adozione di un piano di rimozione, di tenere conto, ai fini della liquidazione del danno, che l’atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale finalizzata ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento e di ordinare la pubblicazione della sentenza.
Da rilevare il riconoscimento della legittimazione ad agire da parte delle associazioni e agli enti inseriti in un apposito registro approvato con decreto del ministro del lavoro e delle politiche sociali e del ministro per le pari opportunità[39].
Viene inoltre istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari opportunità l’Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica[40].
Sulla stessa linea il Governo ha promosso la costituzione di un Comitato interministeriale contro la discriminazione e l’antisemitismo, che opera presso il Ministero dell’interno ed è presieduto dal direttore del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione[41]. Il Comitato ha il compito di vigilare sui pericoli di regressione verso forme di intolleranza, razzismo, xenofobia e antisemitismo e di individuare tutte le misure necessarie per contrastare ogni comportamento ispirato da odio religioso o razziale.
Il D.Lgs. 216/2003[42], di attuazione della direttiva 2000/78/CE, stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, contro ogni forma di discriminazione legata a religione, convinzioni personali, handicap, età, orientamento sessuale.
Per principio di parità di trattamento si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell’età o dell’orientamento sessuale. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta (art. 2). In particolare si ha discriminazione:
§ quando una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga (discriminazione diretta);
§ quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone (discriminazione indiretta);
§ quando vengono perpetrate molestie o comportamenti indesiderati che hanno lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo;
Dopo aver stabilito l’ambito di applicazione del principio di parità di trattamento ed aver enucleato una serie di ipotesi che non costituiscono discriminazione (art. 3), il decreto legislativo disciplina la tutela giurisdizionale dei suddetti diritti, riconoscendo anche il ruolo delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative ad agire in giudizio in nome e per conto di chi abbia subito discriminazioni (artt. 4 e 5).
Il D.Lgs. 196/2007[43], in attuazione della direttiva 2004/113/CE, reca una disciplina specifica relativa alla parità di trattamento tra donne e uomini per quanto riguarda l’accesso ai beni e servizi e alla loro fornitura, sia per il settore pubblico sia per quello privato.
Il decreto ha novellato il Codice delle pari opportunità (D.Lgs. 198/2006[44]) introducendo, nell’ambito del Libro III, il nuovo Titolo III Parità di trattamento tra uomini e donne nell’accesso a beni e servizi e loro fornitura, recante nove articoli (da 55-bis a 55-decies).
Il decreto vieta ogni forma di discriminazione – diretta o indiretta - che si fondi sul sesso.
Tale divieto si estende a tutti i soggetti pubblici e privati che:
§ forniscono beni e servizi che sono a disposizione del pubblico;
§ offrono dette utilità al di fuori della sfera privata e familiare e delle operazioni in quest’ambito effettuate.
Sono escluse dall’applicazione di questa disciplina restrittiva tre aree:
§ impiego e occupazione, con riferimento anche al lavoro autonomo se non vi è una diversa disciplina applicabile;
§ il contenuto dei mezzi di comunicazione e della pubblicità;
§ l’istruzione sia pubblica che privata.
Una particolare ed importante applicazione del principio contenuto nel provvedimento riguarda il settore delle assicurazioni: il riferimento al sesso come criterio nel calcolo dei premi e delle prestazioni per fini assicurativi e per altri servizi finanziari è vietato; differenze proporzionate nei premi o nelle prestazioni individuali sono consentite soltanto ove il fattore sesso sia determinante nella valutazione dei rischi, in base a dati attuariali e statistici pertinenti e accurati. In ogni caso i costi inerenti alla gravidanza e alla maternità non possono determinare differenze nei premi o nelle prestazioni individuali.
Il decreto prevede altresì una specifica procedura giurisdizionale a tutela di queste forme di discriminazione, nonché l’attribuzione al Dipartimento per i diritti e le pari opportunità di funzioni di assistenza alle vittime e di promozione della parità di trattamento negli ambiti presi in considerazione.
[1] Direttiva 2000/43/CE, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica; direttiva 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
[2] COM(2007) 640
[3] COM(2008) 412. In tale comunicazione la Commissione rinnova il suo impegno a favore dell’uguaglianza delle opportunità per tutti, affinché ciascuno possa realizzare il suo potenziale.
[4] COM(2008) 420
[5] Decisione del Consiglio del 27 marzo 2007, che autorizza la firma da parte della Comunità europea di una convenzione internazionale sui diritti delle persone disabili.
[6] Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica.
Direttiva 2000/78/CE, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
Direttiva 2004/113/CE, del 13 dicembre 2004, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura.
Su tali direttive si vedano inoltre i capitoli 3 e 4.
[7] Sono state effettuate, in particolare, una consultazione pubblica on line, un’indagine del settore commerciale, una consultazione scritta e riunioni con le parti sociali e le ONG europee attive nella promozione della non discriminazione.
[8] In particolare la relazione “Developing Anti-Discrimination Law in Europe”, nonché lo studio “Tackling Multiple Discrimination – Practices, policies and laws”.
[9] Speciale indagine dell’Eurobarometro 296 sulla discriminazione nell’UE.
[10] Eurobarometro Flash 232.
[11] Vedi nota n.5.
[12] A questo proposito la relazione introduttiva osserva che gli Stati membri possono quindi consentire o proibire di indossare simboli religiosi nelle scuole. Inoltre non sono coperte le differenze di trattamento basate sulla nazionalità.
[13] La relazione introduttiva alla proposta sottolinea pertanto che gli Stati membri rimangono liberi di decidere se riconoscere o istituire le unioni civili legalmente registrate, ma che nel caso in cui il diritto nazionale riconosca la comparabilità delle unioni civili al matrimonio, è applicabile il principio di parità di trattamento.
[14] La relazione introduttiva alla proposta osserva che il concetto di soluzione ragionevole esiste già nel mondo del lavoro a norma della direttiva 2000/78/CE.
[15] La relazione introduttiva alla proposta osserva che tale disposizione è conforme alla giurisdizione della Corte europea di giustizia ( Causa C-185/97).
[16] Vedi nota n.5
[17] Al 18 luglio 2008, 21 Stati membri hanno completato la procedura di ratifica e in altri 2 Stati membri il Parlamento ha approvato il progetto di legge di ratifica, non ancora firmato dal Capo dello Stato. Hanno ratificato: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Regno Unito, Slovacchia, Slovenia, Spagna ed Ungheria. Il Parlamento tedesco ha completato la procedura di ratifica, tuttavia il Presidente della Repubblica, Horst Köhler, ha sospeso la firma della legge di ratifica in attesa della pronuncia della Corte costituzionale. Anche il Parlamento polacco ha approvato la ratifica, ma manca la firma del Presidente della Repubblica, Lech Kaczynski, che al momento si rifiuta di procedere in tal senso. Gli Stati membri che devono ancora completare la procedura parlamentare di ratifica sono: Italia, Repubblica ceca e Svezia. In Irlanda si è svolto il 12 giugno 2008 un referendum sull’approvazione del Trattato, che ha avuto esito negativo; il 53,4% dei cittadini (862.415 voti) ha votato “no” al referendum, mentre i “si” sono stati il 46,6% (752.451 voti). La partecipazione al voto è stata di circa il 53% degli aventi diritto.
Il Consiglio europeo del 20 e 21 giugno 2008, dopo aver preso nota dell’esito del referendum sul Trattato di Lisbona svoltosi in Irlanda, ha fatto il punto sulla situazione in base ad una valutazione fornita dal Primo Ministro irlandese, Brian Cowen. Il Consiglio europeo ha quindi convenuto che occorre più tempo per analizzare la situazione e ha preso atto che il Governo irlandese procederà a consultazioni, sia a livello interno sia con gli altri Stati membri, al fine di proporre una via comune da seguire. A tal fine il Consiglio europeo ha approvato la proposta dell’Irlanda di riesaminare la questione in occasione del Consiglio europeo del 15 ottobre 2008. Dopo aver ricordato l’importanza del Trattato di Lisbona per consentire all’UE allargata di agire in modo più efficace e democratico, il Consiglio europeo ha preso atto del fatto che il Trattato è stato ratificato da molti Stati membri e che il processo di ratifica continua negli altri Paesi.
[18] Per “progetto di atto legislativo europeo” si intende la proposta della Commissione, l’iniziativa di un gruppo di Stati membri, l’iniziativa del Parlamento europeo, la richiesta della Corte di giustizia, la raccomandazione della Banca centrale europea, la richiesta della Banca europea per gli investimenti, intese all’adozione di un atto legislativo europeo. I progetti presentati dalla Commissione sono trasmessi dalla Commissione; i progetti presentati dal Parlamento europeo sono trasmessi dal Parlamento europeo; tutti gli altri progetti sono trasmessi ai Parlamenti nazionali dal Consiglio.
[19] I contributi della Conferenza non vincolano i Parlamenti nazionali e non pregiudicano la loro posizione.
[20] L’IPEX è un progetto inteso a sostenere la cooperazione interparlamentare nell’UE fornendo una piattaforma per lo scambio elettronico di informazioni in materia europea tra tutti i Parlamenti dell’UE (Parlamenti nazionali e Parlamento europeo). Il lancio ufficiale del sito è stato effettuato in occasione della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’UE di Copenhagen (29 giugno - 2 luglio 2006).
[21] La proposta ha cambiato nome in “proposta di direttiva del Consiglio sull’applicazione del principio di parità di trattamento delle persone indipendentemente da credo e religione, disabilità, età ed orientamento sessuale”.
[22] Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n° 2201/2003 relativamente alla competenza ed a regole comuni in materia della legge applicabile in materia matrimoniale (COM (2006) 399).
[23] Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 97/67/CE relativa al pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari (COM (2006) 594).
[24] Vedi nota n.10
[25] A partire dal 2002 la Commissione ha deciso di sottoporre tutte le proposte legislative ad una valutazione di impatto preliminare e le proposte di maggiore importanza ad una valutazione “estesa” dell’impatto economico, sociale ed ambientale. La Commissione ha definito al riguardo delle guidelines per assicurare la completezza ed uniformità dei criteri utlizzati per tali valutazioni dai servizi della Commissione. Il 15 giugno 2005 la Commissione ha adottato delle nuove guidelines per tenere conto in misura maggiore dei profili relativi all’economia e alla competitività e per valutare la compatibilità delle proposte con la Carta dei diritti fondamentali.
[26] La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, adottata il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008, è stata firmata dagli Stati membri e dalla Comunità europea. Essa si basa sui principi di non discriminazione, partecipazione e inclusione nella società, pari opportunità e accessibilità.
[27] La Carta dei diritti fondamentali dell’UE era stata originariamente proclamata il 7 dicembre 2000. Successivamente la Carta era stata modificata nel corso dei lavori della Convezione che ha redatto il testo del Trattato costituzionale. Il testo proclamato il 12 dicembre 2007 è quindi identico a quello originariamente inserito nella parte II del Trattato costituzionale.
[28] Legge 9 dicembre 1977 n. 903, Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. La legge è stata successivamente abrogata e le sue disposizioni sono confluite, parte, nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D.Lgs. 198/2006) e, parte, nel Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (D.Lgs. 151/2001).
[29] Legge 29 dicembre 1987 n. 546, Indennità di maternità per le lavoratrici autonome. Anche tale legge è stata abrogata; le sue disposizioni sono state trasfuse nel Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (D.Lgs. 151/2001).
[30] Decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 145, Attuazione della direttiva 2002/73/CE in materia di parità di trattamento tra gli uomini e le donne, per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro.
[31] Il termine di recepimento della direttiva è fissato al 15 agosto 2008.
[32] Decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.
[33] Decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro.
[34] Decreto legislativo 6 novembre 2007, n.196, Attuazione della direttiva 2004/113/CE che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura.
[35] Con decisione 1554/2005 il quinto programma d’azione – istituito con decisione 2001/51/CE – è stato prolungato al 31 dicembre 2006.
[36] Secondo le conclusioni del Consiglio europeo di Barcellona, del marzo 2002, gli Stati membri dovrebbero rimuovere i disincentivi alla partecipazione femminile alla forza lavoro e sforzarsi, tenuto conto della domanda di strutture per la custodia dei bambini e conformemente ai modelli nazionali di offerta di cure, per fornire, entro il 2010 servizi di custodia dei bambini per almeno il 90% dei minori di età compresa fra i tre anni e l’età dell’obbligo scolastico, nonché per almeno il 33% dei bambini di età inferiore ai tre anni.
[37] A dicembre 2006 è stato adottato il regolamento 1922/2006 concernente l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, centro di eccellenza per le questioni di uguaglianza tra i sessi.
[38] D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.
[39] Si veda Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari opportunità, Decreto 16 dicembre 2005, Istituzione dell’elenco delle associazioni ed enti legittimati ad agire in giudizio in nome, per conto o a sostegno del soggetto passivo di discriminazione basata su motivi razziali o etnici di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215.
[40] D.P.C.M., 11 dicembre 2003, Costituzione e organizzazione interna dell’ufficio per promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni, di cui all’art. 29 della legge comunitaria 1° marzo 2002, n. 39.
[41] Decreto del ministro dell’interno 30 gennaio 2004, Istituzione del Comitato contro la discriminazione e l’antisemitismo.
[42] D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
[43] Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 196, Attuazione della direttiva 2004/113/CE che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura.
[44] D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246.