Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento lavoro
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Disegno di legge 'collegato' alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013 in materia di lavoro - A.C. 1441-quater-D - Esame a seguito del rinvio alle Camere del Presidente della Repubblica ai sensi dell'art.74 Cost - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 1441-QUATER-D/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 321
Data: 09/04/2010
Descrittori:
CONTRATTI DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO   CONTROVERSIE DI LAVORO
LAVORO PESANTE   PUBBLICO IMPIEGO
Organi della Camera: XI-Lavoro pubblico e privato

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disegno di legge “collegato” alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013 in materia di lavoro

A.C. 1441-quater-D

 

Esame a seguito del rinvio alle Camere del Presidente della Repubblica ai sensi dell’art.74 Cost.

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 321

 

 

 

9 aprile 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Lavoro

( 066760-4974 / 066760-4884 – * st_lavoro@camera.it

Ha collaborato alla redazione de presente  dossier il dipartimento Giustizia

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

FileLA0300.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Premessa  5

Gli articoli del disegno di legge oggetto del messaggio presidenziale di rinvio alle Camere  7

§      Articolo 20 (Interpretazione autentica dell'articolo 2 della legge 12 febbraio 1955, n. 51).9

§      Articolo 30 (Clausole generali e certificazione del contratto di lavoro)11

§      Articolo 31 (Conciliazione e arbitrato).18

§      Articolo 32 (Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato).45

§      Art. 50 (Disposizioni in materia di collaborazioni coordinate e continuative)54

Allegati

Il messaggio presidenziale di rinvio alle camere  61

Dichiarazione comune dell’11 marzo 2010  105

Interrogazione in Assemblea On. Cazzola e Baldelli - 3/00989 (Testo e resoconto parlamentare)109

 

 

 

 


Schede di lettura

 


Premessa

Il disegno di legge AC 1441-quater-D è all’esame della Camera dei deputati a seguito del rinvio del Presidente della Repubblica, con messaggio motivato del 31 marzo 2010, ai sensi dell’articolo 74 della Costituzione, dell’AS 1167-B, approvato in via definitiva dal Senato il 3 marzo 2010.

 

L’articolo 74 della Costituzione prevede che il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata.

 

Il messaggio presidenziale si sofferma, in particolare, sull'articolo 31, che modifica le disposizioni del Codice di procedura civile in materia di conciliazione e arbitrato nelle controversie individuali di lavoro, e sull'articolo 20, relativo alle responsabilità per le infezioni da amianto subite dal personale che presta la sua opera sul naviglio di Stato.

Per quanto attiene all’articolo 31, pur ritenendo apprezzabile un indirizzo normativo teso all'introduzione di strumenti arbitrali volti a prevenire e accelerare la risoluzione delle controversie, si evidenzia la necessità di definire, in via legislativa,  meccanismi meglio idonei ad accertare l'effettiva volontà compromissoria delle parti e a tutelare il contraente debole (ossia il lavoratore), soprattutto nella fase di instaurazione del rapporto di lavoro. Inoltre, la possibilità di pervenire a una decisione arbitrale "secondo equità" non può in ogni caso compromettere diritti costituzionalmente garantiti, o comunque non negoziabili, di cui è titolare il lavoratore; nel settore del pubblico impiego tale possibilità va altresì coniugata con il rispetto dei principi costituzionali di buon andamento, trasparenza e imparzialità  dell'azione amministrativa.

Per quanto attiene all’articolo 20, si evidenzia la necessità di una riformulazione della norma volta ad assicurare, escludendo profili di rilevanza penale (in linea con gli adattamenti del resto previsti al riguardo dal testo unico in materia di sicurezza sul lavoro), l'effettiva sussistenza di un autonomo titolo di responsabilità sul quale fondare il diritto al risarcimento per i danni arrecati alla salute dei lavoratori impiegati sul naviglio di Stato.

 

L’articolo 71 del Regolamento della Camera prevede che il riesame a seguito del rinvio presidenziale inizia presso la Camera che in precedenza lo ha approvato per prima. La Commissione competente riferisce all’Assemblea, la quale può limitare la discussione alle parti che formano oggetto del messaggio.

 

Il provvedimento, risultante dallo stralcio (deliberato dall’Assemblea della Camera il 5 agosto 2008) di alcuni articoli del disegno di legge C. 1441, ha natura di provvedimento collegato alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013, secondo quanto previsto dal Documento di programmazione economico-finanziario 2009-2013 e dalla risoluzione con cui la Camera ha approvato il suddetto Documento.

 

L’esame del provvedimento (AC 1441-quater) ha avuto inizio alla Camera dei deputati, in prima lettura, il 17 settembre 2008. Il provvedimento, inizialmente composto di 9 articoli, è stato approvato dall’Assemblea della Camera dei deputati il 28 ottobre 2008, in un testo di 28 articoli.

 

Il Senato ha avviato l’esame del provvedimento (AS 1167), in seconda lettura, il 5 novembre 2008. Il provvedimento, inizialmente composto di 28 articoli, è stato approvato dall’Assemblea del Senato il 26 novembre 2009, in un testo composto di 52 articoli (di cui 7 nell’identico testo approvato dalla Camera).

 

La Camera ha avviato la terza lettura parlamentare (AC 1441-quater-B) il 9 dicembre 2009. A seguito delle ulteriori modifiche apportate, il testo, approvato dalla Camera il 28 gennaio 2010, è stato nuovamente trasmesso al Senato.

 

Il senato ha svolto la quarta lettura parlamentare (AS 1167-B) dal 2 febbraio al 3 marzo, approvando definitivamente il testo senza ulteriori modifiche.

 

 


Gli articoli del disegno di legge oggetto del messaggio presidenziale di rinvio alle Camere[1]

 


 

Articolo 20
(Interpretazione autentica dell'articolo 2 della legge 12 febbraio 1955, n. 51).

 

1. Ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni, l'articolo 2, lettera b), della legge 12 febbraio 1955, n. 51, si interpreta nel senso che l'esclusione dalla delega concerne anche il lavoro a bordo del naviglio di Stato, fatto salvo il diritto del lavoratore al risarcimento del danno eventualmente subìto.

 

 

L’articolo 20 reca disposizioni in materia di infortuni e di igiene del lavoro.

La disposizione, in particolare, attraverso l’interpretazione autentica dell’articolo 2, lettera b), della legge-delega 51/1955, è volta ad escluderne l’applicazione non soltanto, come da essa espressamente previsto, per il “lavoro a bordo delle navi mercantili e a bordo degli aeromobili”, ma anche per il lavoro a bordo del naviglio di Stato, fatto salvo il diritto del lavoratore al risarcimento del danno eventualmente subito.

 

La legge 12 febbraio 1955, n.51[2] ha disposto l’emanazione di norme generali e speciali per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e per l'igiene del lavoro. Restano esclusi da tale disciplina:

§       i servizi ed impianti gestiti dalle Ferrovie dello Stato; i servizi ed impianti gestiti dal Ministero delle poste e delle telecomunicazioni; l'esercizio dei trasporti terrestri pubblici; l'esercizio della navigazione marittima, aerea ed interna; l'esercizio delle miniere, cave e torbiere, per quanto attiene alla prevenzione contro gli infortuni (articolo 2, primo comma, lettera a));

§       il lavoro a bordo delle navi mercantili e a bordo degli aeromobili; l'esercizio di miniere, cave e torbiere, per quanto attiene alla materia di igiene del lavoro (articolo 2, primo comma, lettera b)).

 

Da ultimo, con il decreto legislativo n.81 del 2008 è stato approvato il testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

In particolare, l’articolo 3, comma 2, nel definire l’ambito applicativo della nuova disciplina, ha stabilito che “nei riguardi delle Forze armate e di Polizia, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, dei servizi di protezione civile, nonché nell'ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie, di quelle destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle università, degli istituti di istruzione universitaria, delle istituzioni dell'alta formazione artistica e coreutica, degli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, degli uffici all’estero di cui all’ articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, e dei mezzi di trasporto aerei e marittimi, le disposizioni del presente decreto legislativo sono applicate tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative ivi comprese quelle per la tutela della salute e sicurezza del personale nel corso di operazioni ed attività condotte dalle Forze armate, compresa l’Arma dei Carabinieri, nonché dalle altre Forze di polizia e dal Corpo dei Vigili del fuoco, nonché dal Dipartimento della protezione civile fuori dal territorio nazionale, individuate entro e non oltre ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo con decreti emanati, ai sensi dell’ articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, dai Ministri competenti di concerto con i Ministri del lavoro, della salute e delle politiche sociali e per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nonché, relativamente agli schemi di decreti di interesse delle Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri ed il Corpo della Guardia di finanza, gli organismi a livello nazionale rappresentativi del personale militare”

 

Inoltre, l’articolo 304 del decreto legislativo 81/2008 ha abrogato i decreti legislativi attuativi della delega di cui alla legge 51/1955[3] (la quale sembra pertanto aver esaurito i suoi effetti).

 

Si fa presente che i decreti attuativi previsti dall’articolo 3, comma 2, non sono stati fin qui emanati e che il termine per la loro adozione risulta scaduto.


 

Articolo 30
(Clausole generali e certificazione del contratto di lavoro)

 

1


. In tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai princìpi generali dell'ordinamento, all'ac­certamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organiz­zative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente.

2. Nella qualificazione del contratto di lavoro e nell'interpretazione delle relative clausole il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti, espresse in sede di certificazione dei contratti di lavoro di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, salvo il caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione.

3. Nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto, oltre che delle fondamentali regole del vivere civile e dell'oggettivo interesse dell'organizzazione, delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l'assistenza e la consulenza delle commis­sioni di certificazione di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni. Nel definire le conseguenze da riconnettere al licenziamento ai sensi dell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, il giudice tiene egualmente conto di elementi e di parametri fissati dai predetti contratti e comunque considera le dimensioni e le condizioni dell'attività esercitata dal datore di lavoro, la situazione del mercato del lavoro locale, l'anzianità e le condizioni del lavoratore, nonché il comportamento delle parti anche prima del licenziamento.

4. L'articolo 75 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

«Art. 75. - (Finalità). - 1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro, le parti possono ottenere la certificazione dei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita nel presente titolo».

5. All'articolo 76, comma 1, lettera c-ter), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e comunque unicamente nell'ambito di intese definite tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, con l'attribuzione a quest'ultimo delle funzioni di coordinamento e vigilanza per gli aspetti organizzativi».

6. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli adempimenti previsti dal presente articolo sono svolti nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

 

L’articolo 30 reca disposizioni relative al controllo giudiziale sul rispetto delle “clausole generali” contenute nella disciplina legislativa in materia di lavoro, alla certificazione dei contratti di lavoro nonché alle valutazioni da parte del giudice nei contenziosi concernenti i licenziamenti individuali.

 

In particolare, il comma 1 è volto a delimitare il potere di controllo giudiziale sulla ricorrenza dei presupposti previsti dalle cd. “clausole generali” contenute nelle disposizioni di legge relative ai rapporti di lavoro subordinato privato ed agli altri rapporti di lavoro (sostanzialmente di carattere “parasubordinato”) di cui all’articolo 409 c.p.c.[4], nonché ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, di cui all’articolo 63, comma 1, del D.Lgs. 165/2001.

 

Il comma in esame ricomprende tra le richiamate clausole anche le norme in materia di instaurazione del rapporto di lavoro e recesso dal medesimo rapporto, di esercizio dei poteri del datore di lavoro, nonché in caso di trasferimento di azienda.

Si ricorda che l’articolo 63, comma 1, del D.Lgs. 165/2001 ha attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni - ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico di cui all’articolo 3 del medesimo decreto legislativo[5] - incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, anche se vengano in questione atti amministrativi presupposti, i quali, se sono rilevanti ai fini della decisione, sono disapplicati dal giudice se illegittimi.

Si consideri, inoltre, che il comma 4 del medesimo articolo 63 ha disposto che restano devolute al giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per il reclutamento dei dipendenti pubblici, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai menzionati rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico, ivi comprese le controversie relative ai diritti patrimoniali connessi.

 

Con riferimento a tali clausole, il comma in esame dispone che il controllo giudiziale debba limitarsi esclusivamente all’accertamento del presupposto di legittimità e non possa estendersi al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive, le quali spettano al datore di lavoro o al committente.

 

Il comma 2 reca disposizioni volte a rafforzare il valore vincolante, nei confronti del giudice, dell’accertamento effettuato in sede di certificazione dei contratti di lavoro.

 

Si ricorda che il D.Lgs. 10 settembre 2003, concernente la riforma del mercato del lavoro, conseguentemente all’introduzione delle nuove tipologie di lavoro flessibile, ha previsto un’apposita procedura di certificazione volontaria  del contratto stipulato tra le parti, al fine di ridurre il contenzioso in materia di individuazione della tipologia di specifici contratti flessibili (articolo 75). Tale procedura, che sulla base delle modifiche apportate dal successivo D.Lgs. 6 ottobre 2004, n. 251, trova applicazione nei confronti di tutti i contratti e si attiva presso specifiche Commissioni di certificazione, sostanzialmente attribuisce piena forza legale al contratto, escludendo la possibilità di ricorso in giudizio se non in caso di erronea qualificazione del contratto, difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione o vizi del consenso e mantenendo la sua efficacia giuridica fino all’accoglimento di uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili.

Possono svolgere la procedura di certificazione, che è volontaria e consegue necessariamente a una istanza scritta comune delle parti del contratto di lavoro (articolo 78), le Commissioni di certificazione istituite presso (articolo 76):

§         gli enti bilaterali costituiti su iniziativa di associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentativi. Tali enti possono altresì certificare le rinunzie e le transazioni di cui all’articolo 2113 c.c. (articolo 82);

§         le Direzioni provinciali del lavoro, secondo quanto stabilito da apposito decreto del Ministro del lavoro;

§         le Università, pubbliche e private, esclusivamente nell’ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo, ai sensi dell’articolo 66 del D.P.R. 382/1980;

§         il Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, esclusivamente nei casi in cui il datore di lavoro abbia le proprie sedi di lavoro in almeno due province anche di regioni diverse, ovvero per quei datori di lavoro con unica sede di lavoro associati ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificati dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro, nell'ambito delle risorse umane e strumentali già operanti presso la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro. In questo caso le commissioni di certificazione istituite presso le DPL e le province limitano la loro funzione alla ratifica di quanto certificato dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero stesso;

§         i consigli provinciali dei consulenti del lavoro di cui alla L. 12/1979, esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell'ambito territoriale di riferimento. Tale norma è, tuttavia, oggetto di novella da parte del successivo comma 5 del dell’articolo in esame (cfr. infra).

Tali sedi di certificazione svolgono anche funzioni di consulenza ed assistenza effettiva alle parti del contratto di lavoro (articolo 81).

L’articolo 78 disciplina il procedimento di certificazione, che è volontario e richiede una istanza scritta delle parti del contratto di lavoro. In particolare le procedure di certificazione sono determinate all’atto della costituzione delle commissioni di certificazione dalle Direzioni provinciali del lavoro, dagli enti bilaterali e dalle Università (pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie). Tali procedure, inoltre, sono svolte nel rispetto dei codici di buone pratiche, nonché di specifici principi, quali:

§         l’obbligo di comunicazione di inizio procedimento alle Direzioni provinciali del lavoro, che provvedono ad inoltrare la comunicazione alle autorità pubbliche nei confronti delle quali l’atto di certificazione è destinato a produrre effetti. Tali autorità possono presentare osservazioni alle commissioni di certificazione;

§         il procedimento di certificazione deve essere concluso entro il termine di 30 giorni dal ricevimento dell’istanza;

§         la motivazione dell’atto di certificazione, il quale deve contenere anche il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere;

§         infine, l’atto di certificazione deve contenere un’esplicita menzione degli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione. I codici di buone pratiche, adottati con decreto del Ministro del lavoro, hanno il fine di individuare le clausole indisponibili in sede di certificazione dei rapporti di lavoro, con specifico riferimento ai diritti e ai trattamenti economici e normativi. I codici devono recepire, se esistenti, le indicazioni contenute negli accordi interconfederali stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

I moduli e i formulari per la certificazione del contratto o del relativo programma negoziale, definiti con apposito decreto del Ministro del lavoro, devono tenere conto, all’uopo, degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti in materia di qualificazione del contratto di lavoro, come autonomo o subordinato, in relazione alle diverse tipologie di lavoro.

 

Gli effetti della certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i terzi, fino al momento dell’accoglimento, con sentenza di merito, di uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili, fatti salvi i provvedimenti cautelari. Nei confronti dell’atto di certificazione le parti e i terzi interessati dagli effetti dello stesso possono proporre ricorso, presso il tribunale con funzioni del giudice del lavoro, per vizi del consenso, erronea qualificazione del contratto, oppure difformità tra il programma negoziale certificato e la sua attuazione. Tuttavia, chiunque intenda presentare ricorso giurisdizionale contro la certificazione, deve obbligatoriamente rivolgersi alla commissione di certificazione che ha adottato l’atto di certificazione per espletare un tentativo di obbligatorio di conciliazione, ai sensi dell’articolo 410 c.p.c. (articoli 79 e 80).

L’accertamento giurisdizionale per erroneità della qualificazione ha effetto dal momento della conclusione dell’accordo contrattuale, mentre l’accertamento per difformità ha effetto a decorrere dal momento in cui la sentenza accerta l’inizio della difformità.

Il giudice del lavoro, inoltre, terrà conto del comportamento complessivo tenuto dalle parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro e di definizione della controversia dinanzi alla commissione di certificazione, ai fini di quanto previsto dagli articoli. 9, 92 e 96 c.p.c.[6].

Inoltre, le parti possono presentare ricorso contro l'atto certificatorio, dinnanzi al tribunale amministrativo regionale nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto, per violazione del procedimento o per eccesso di potere.

Infine, la disciplina in questione prevede ulteriori ipotesi in cui si può far ricorso alle procedure di certificazione: rinunzie e transazioni del lavoratore (articolo 82), deposito del regolamento interno delle cooperative (articolo 83), stipulazione di appalto e attuazione del relativo programma negoziale anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto (articolo 84).

 

In sostanza, una volta effettuata validamente la procedura di certificazione, gli organi ispettivi sarebbero vincolati dalla stessa, dovendo necessariamente ricorrere al giudice per far accertare la difformità tra il contratto oggetto di certificazione e il concreto atteggiarsi del rapporto. Inoltre, l’organo amministrativo che voglia discostarsi dalla certificazione relativamente alla qualificazione del rapporto di lavoro, non potrà contare esclusivamente sui propri poteri amministrativi, ma dovrà necessariamente investire della questione il giudice al fine di ottenere una sentenza che dimostri che nel caso concreto è configurabile un rapporto di lavoro diverso da quello certificato.

 

Con la disposizione in esame, si prevede che il giudice, nella qualificazione del contratto di lavoro e nell’interpretazione delle clausole in esso contenute, non possa discostarsi dalle valutazioni delle parti espresse nell’ambito della certificazione dei contratti di lavoro, salvo nei casi di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra la previsione negoziale certificata e la sua attuazione.

 

Il successivo comma 3 reca disposizioni relative agli elementi presenti nei contratti collettivi e individuali di lavoro a cui il giudice deve far riferimento nei contenziosi relativi ai licenziamenti individuali.

In particolare, si dispone che il giudice, nel valutare le motivazioni poste alla base del licenziamento, debba tener conto - "oltre che delle fondamentali regole del vivere civile e dell'oggettivo interesse dell'organizzazione", anche delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo, presenti nei contratti collettivi di lavoro ovvero, se stipulati con l’assistenza delle richiamate commissioni di certificazione, nei contratti individuali di lavoro.

Analogamente, il giudice deve tener conto degli elementi e dei parametri appositamente individuati dai suddetti contratti, nello stabilire, ai sensi dell'art. 8 della L. 15 luglio 1966, n. 604, le conseguenze da riconnettere al licenziamento. A tal fine, inoltre, il giudice deve comunque tener conto di una serie di elementi, quali le dimensioni e le condizioni dell’attività del datore di lavoro; la situazione del mercato del lavoro locale; l’anzianità e le condizioni del lavoratore; il comportamento delle parti contrattuali anche nel periodo precedente al licenziamento.

Il richiamato articolo 8 della L. 604/1966 dispone che, ove non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento e limitatamente ai casi in quest'ultimo non rientri nell’ambito di applicazione della “tutela reale” di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970), il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti (cd. tutela obbligatoria). La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.

 

Il comma 4 sostituisce interamente l’articolo 75 del D.Lgs. 276/2003, che individua la finalità della procedura di certificazione (vedi supra).

Rispetto al testo vigente, la disposizione in esame amplia l’ambito oggettivo di intervento della procedura di certificazione, utilizzabile non solamente in relazione alla “qualificazione dei contratti di lavoro”, bensì, in senso più generale, al “contenzioso in materia di lavoro”. La certificazione opera, inoltre, su tutti i contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro.

 

 

Decreto legislativo n.276/2003

Articolo 75

(testo vigente)

Decreto legislativo n.276/2003

Articolo 75

(testo modificato)

 

 

1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro, le parti possono ottenere la certificazione del contratto secondo la procedura volontaria stabilita nel presente Titolo

1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro, le parti possono ottenere la certificazione dei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita dal presente titolo

 

 

Il comma 5, modificando la lettera c-ter) dell'art. 76, comma 1, del citato D.Lgs. 276/2003 (vedi supra), prevede che la costituzione delle commissioni di certificazione presso i consigli provinciali dei consulenti del lavoro, possibile esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell'ambito territoriale di riferimento, possa avvenire unicamente nell’ambito di intese definite tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, con l’attribuzione a quest’ultimo delle funzioni di coordinamento e vigilanza per gli aspetti organizzativi.

 

Il comma 6, infine, dispone che dall’attuazione dell’articolo in esame non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli adempimenti ivi previsti sono svolti nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 


 

Articolo 31
(Conciliazione e arbitrato).

 


1. L'articolo 410 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 410. - (Tentativo di conciliazione). - Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 può promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'articolo 413.

La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.

Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la Direzione provinciale del lavoro. La commissione è composta dal direttore dell'ufficio stesso o da un suo delegato o da un magistrato collocato a riposo, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale.

Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore della Direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal terzo comma. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e almeno un rappresentante dei lavoratori.

La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall'istante, è consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno a cura della stessa parte istante alla controparte.

La richiesta deve precisare:

1) nome, cognome e residenza dell'istante e del convenuto; se l'istante o il convenuto sono una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, l'istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;

2) il luogo dove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l'azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto;

3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura;

4) l'esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.

Se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione, deposita presso la commissione di conciliazione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale. Ove ciò non avvenga, ciascuna delle parti è libera di adire l'autorità giudiziaria. Entro i dieci giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta giorni. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi assistere anche da un'organizzazione cui aderisce o conferisce mandato.

La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, anche in sede giudiziale ai sensi dell'articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a responsabilità, salvi i casi di dolo e colpa grave».

 

2. Il tentativo di conciliazione di cui all'articolo 80, comma 4, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è obbligatorio.

 

3. L'articolo 411 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 411. - (Processo verbale di conciliazione). - Se la conciliazione esperita ai sensi dell'articolo 410 riesce, anche limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo con decreto.

Se non si raggiunge l'accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti. Delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione il giudice tiene conto in sede di giudizio.

Ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al ricorso depositato ai sensi dell'articolo 415 devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito. Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, ad esso non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 410. Il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso la Direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti o per il tramite di un'associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l'autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto».

 

4. All'articolo 420, primo comma, del codice di procedura civile, le parole: «e tenta la conciliazione della lite» sono sostituite dalle seguenti: «, tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva» e le parole: «senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione» sono sostituite dalle seguenti: «o il rifiuto della proposta transattiva del giudice, senza giustificato motivo, costituiscono comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio».

 

5. L'articolo 412 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 412. - (Risoluzione arbitrale della controversia). - In qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono indicare la soluzione, anche parziale, sulla quale concordano, ricono­scendo, quando è possibile, il credito che spetta al lavoratore, e possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.

Nel conferire il mandato per la risoluzione arbitrale della controversia, le parti devono indicare:

1) il termine per l'emanazione del lodo, che non può comunque superare i sessanta giorni dal conferimento del mandato, spirato il quale l'incarico deve intendersi revocato;

2) le norme invocate dalle parti a sostegno delle loro pretese e l'eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell'ordi­namento.

Il lodo emanato a conclusione dell'arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui all'articolo 1372 e all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile e ha efficacia di titolo esecutivo ai sensi dell'articolo 474 del presente codice a seguito del provvedimento del giudice su istanza della parte interessata ai sensi dell'articolo 825.

Il lodo è impugnabile ai sensi dell'articolo 808-ter, anche in deroga all'articolo 829, commi quarto e quinto, se ciò è stato previsto nel mandato per la risoluzione arbitrale della controversia».

 

6. L'articolo 412-ter del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 412-ter. - (Altre modalità di conciliazione e arbitrato previste dalla contrattazione collettiva). - La conciliazione e l'arbitrato, nelle materie di cui all'articolo 409, possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative».

 

7. L'articolo 412-quater del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 412-quater. - (Altre modalità di conciliazione e arbitrato). - Ferma restando la facoltà di ciascuna delle parti di adire l'autorità giudiziaria e di avvalersi delle procedure di conciliazione e di arbitrato previste dalla legge, le controversie di cui all'articolo 409 possono essere altresì proposte innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale costituito secondo quanto previsto dai commi seguenti.

Il collegio di conciliazione e arbitrato è composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione.

La parte che intenda ricorrere al collegio di conciliazione e arbitrato deve notificare all'altra parte un ricorso sottoscritto, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, personalmente o da un suo rappresentante al quale abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. Il ricorso deve contenere la nomina dell'arbitro di parte e indicare l'oggetto della domanda, le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda stessa, i mezzi di prova e il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda. Il ricorso deve contenere il riferimento alle norme invocate dal ricorrente a sostegno della sua pretesa e l'eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento.

Se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato nomina il proprio arbitro di parte, il quale entro trenta giorni dalla notifica del ricorso procede, ove possibile, concordemente con l'altro arbitro, alla scelta del presidente e della sede del collegio. Ove ciò non avvenga, la parte che ha presentato ricorso può chiedere che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato. Se la parti non hanno ancora determinato la sede, il ricorso è presentato al presidente del tribunale del luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro o ove si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto.

In caso di scelta concorde del terzo arbitro e della sede del collegio, la parte convenuta, entro trenta giorni da tale scelta, deve depositare presso la sede del collegio una memoria difensiva sottoscritta, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. La memoria deve contenere le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l'indicazione dei mezzi di prova.

Entro dieci giorni dal deposito della memoria difensiva il ricorrente può depositare presso la sede del collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del ricorso. Nei successivi dieci giorni il convenuto può depositare presso la sede del collegio una controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva.

Il collegio fissa il giorno dell'udienza, da tenere entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, dandone comunicazione alle parti, nel domicilio eletto, almeno dieci giorni prima.

All'udienza il collegio esperisce il tentativo di conciliazione. Se la conciliazione riesce, si applicano le disposizioni dell'articolo 411, commi primo e terzo.

Se la conciliazione non riesce, il collegio provvede, ove occorra, a interrogare le parti e ad ammettere e assu­mere le prove, altrimenti invita all'im­mediata discussione orale. Nel caso di ammissione delle prove, il collegio può rinviare ad altra udienza, a non più di dieci giorni di distanza, l'assunzione delle stesse e la discussione orale.

La controversia è decisa, entro venti giorni dall'udienza di discussione, median­te un lodo. Il lodo emanato a conclusione dell'arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui agli articoli 1372 e 2113, quarto comma, del codice civile e ha efficacia di titolo esecutivo ai sensi dell'articolo 474 del presente codice a seguito del provvedi­mento del giudice su istanza della parte interessata ai sensi dell'articolo 825. Il lodo è impugnabile ai sensi dell'articolo 808-ter, anche in deroga all'articolo 829, commi quarto e quinto, se ciò è stato previsto nel mandato per la risoluzione arbitrale della controversia.

Il compenso del presidente del collegio è fissato in misura pari al 2 per cento del valore della controversia dichiarato nel ricorso ed è versato dalle parti, per metà ciascuna, presso la sede del collegio mediante assegni circolari intestati al presidente almeno cinque giorni prima dell'udienza. Ciascuna parte provvede a compensare l'arbitro da essa nominato. Le spese legali e quelle per il compenso del presidente e dell'arbitro di parte, queste ultime nella misura dell'1 per cento del suddetto valore della controversia, sono liquidate nel lodo ai sensi degli articoli 91, primo comma, e 92.

I contratti collettivi nazionali di categoria possono istituire un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per il compenso del presidente del collegio e del proprio arbitro di parte».

 

8. Le disposizioni degli articoli 410, 412, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile si applicano anche alle controversie di cui all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Gli articoli 65 e 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono abrogati.

 

9. In relazione alle materie di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, le parti contrattuali possono pattuire clausole compromissorie di cui all'articolo 808 del codice di procedura civile che rinviano alle modalità di espletamento dell'arbitrato di cui agli articoli 412 e 412-quater del codice di procedura civile, solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La clausola compromis­soria, a pena di nullità, deve essere certificata in base alle disposizioni di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dagli organi di certificazione di cui all'articolo 76 del medesimo decreto legislativo, e successi­ve modificazioni. Le commissioni di certificazione accertano la effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie che dovessero insorgere in relazione al rapporto di lavoro. In assenza dei predetti accordi interconfederali o contratti collettivi, trascorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali definisce con proprio decreto, sentite le parti sociali, le modalità di attuazione e di piena operatività delle disposizioni di cui al presente comma.

 

10. Gli organi di certificazione di cui all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, possono istituire camere arbitrali per la definizione, ai sensi dell'articolo 808-ter del codice di procedura civile, delle controversie nelle materie di cui all'articolo 409 del medesimo codice e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Le commissioni di cui al citato articolo 76 del decreto legislativo n. 276 del 2003, e successive modificazioni, possono conclu­dere convenzioni con le quali prevedano la costituzione di camere arbitrali unitarie. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 412, commi terzo e quarto, del codice di procedura civile.

 

11. Presso le sedi di certificazione di cui all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, può altresì essere esperito il tentativo di conciliazione di cui all'articolo 410 del codice di procedura civile.

 

12. All'articolo 82 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, le parole: «di cui all'articolo 76, comma 1, lettera a),» sono sostituite dalle seguenti: «di cui all'articolo 76»;

b) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«1-bis. Si applicano, in quanto compatibili, le procedure previste dal capo I del presente titolo».

 

13. Il comma 2 dell'articolo 83 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è abrogato.

 

14. Gli articoli 410-bis e 412-bis del codice di procedura civile sono abrogati.

 

15. All'articolo 79 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Gli effetti dell'accertamento dell'orga­no preposto alla certificazione del contratto di lavoro, nel caso di contratti in corso di esecuzione, si producono dal momento di inizio del contratto, ove la commissione abbia appurato che l'attuazione del medesimo è stata, anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in tale sede. In caso di contratti non ancora sottoscritti dalle parti, gli effetti si producono soltanto ove e nel momento in cui queste ultime provvedano a sottoscriverli, con le eventuali integrazioni e modifiche suggerite dalla commissione adita».

 

16. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli adempimenti previsti dal presente articolo sono svolti nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

 

L'articolo 31 ridisegna la sezione del codice di procedura civile recante le disposizioni generali in materia di conciliazione e arbitrato nelle controversie individuali di lavoro (articoli da 409 a 412-quater).

In estrema sintesi, la disposizione trasforma il tentativo di conciliazione, attualmente obbligatorio, in una fase meramente eventuale, introduce una pluralità di mezzi di composizione delle controversie di lavoro alternativi al ricorso al giudice e rafforza le competenze delle commissioni di certificazione dei contratti di lavoro di cui all'art. 76 del decreto legislativo 276/2003 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30).

 

Si segnala che in attuazione della delega contenuta nella recente legge di riforma del processo civile (legge 69 del 2009) il Governo ha emanato il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 per la disciplina della mediazione e della conciliazione delle controversie civili e commerciali. L’ambito della mediazione, affidata ad appositi organismi di conciliazione, iscritti in un registro tenuto dal Ministero della Giustizia e non preclusiva dell’azione ordinaria viene circoscritto alle controversie civili e commerciali che abbiano ad oggetto diritti disponibili delle parti. Il provvedimento individua specifiche categorie di controversie per le quali il tentativo di mediazione riveste carattere obbligatorio, e costituisce quindi condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria.

 

Il comma 1 dell’art. 31 sostituisce integralmente l’art. 410 c.p.c. relativo al tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di lavoro.

Due sono le novità di maggior rilievo:

·         rispetto alla vigente obbligatorietà, è prevista la “facoltatività” del tentativo di conciliazione (si torna cosi alla previsione anteriore alla riforma del D.Lgs 80 del 1998);

·         è uniformato il sistema di conciliazione nelle controversie di lavoro, indipendentemente dal fatto che attengano al settore pubblico o a quello privato.

 

In conseguenza della natura facoltativa del tentativo di conciliazione, il comma 14 dell'articolo 31, per esigenze di coordinamento normativo, dispone l’abrogazione:

- dell'art. 412-bis c.p.c. che attualmente prevede l'improcedibilità della domanda in caso di mancato espletamento del tentativo di conciliazione;

- dell’art. 410-bis c.p.c. che stabilisce i termini per l'espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione.

Il comma 8 dell’articolo 31 estende espressamente l’applicazione della disciplina della conciliazione alle controversie individuali di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, Lo stesso comma conferma la facoltatività del tentativo di conciliazione anche per tali categorie di controversie, attraverso l’abrogazione delle corrispondenti norme sul tentativo obbligatorio di conciliazione nel settore pubblico, attualmente previsto come condizione di procedibilità (artt. 65 e 66 del D.Lgs n. 165 del 2001).

Il comma 2 dell’art. 31 conferma che il solo tentativo obbligatorio di conciliazione (a parte quello “giudiziale” di cui all’art. 420, primo comma) rimane quello di cui all’art. 80, comma, 4 del D.Lgs 276/2003, in caso di ricorso giurisdizionale avverso la certificazione.

 

L’art. 80, comma 4, stabilisce che chiunque presenti ricorso giurisdizionale contro la certificazione del contratto di lavoro deve previamente rivolgersi obbligatoriamente alla commissione di certificazione che ha adottato l'atto di certificazione per espletare un tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile.

 

Con riferimento al testo novellato dal comma 1 dell’articolo 410 c.p.c. (Tentativo di conciliazione), si interviene in primo luogo sulla composizione delle commissioni di conciliazione (istituite presso le direzioni provinciali del lavoro). La commissione è composta da 10 membri: un presidente (il direttore dell’ufficio provinciale del lavoro ovvero un suo delegato o un magistrato a riposo), più 4 rappresentanti dei datori di lavoro e 4 rappresentanti dei lavoratori (per entrambe le categorie è previsto pari numero di membri supplenti) designati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale (il testo vigente richiede la rappresentatività su base nazionale). La commissione può affidare il tentativo di conciliazione a sottocommissioni che ne rispecchino la composizione.

La nuova disciplina del tentativo di conciliazione appare ispirata alla ratio di far sì che il giorno della comparizione delle parti i soggetti coinvolti nella procedura abbiano a disposizione tutte le informazioni necessarie ad assumere le rispettive decisioni. La richiesta di conciliazione (da consegnare o spedire con raccomandata A/R alla commissione e alla controparte), questa deve prevedere, oltre ai dati dell’istante e del convenuto, il luogo ove è sorto il rapporto di lavoro o si trova l’azienda alla quale era addetto il lavoratore al momento della fine del rapporto; il luogo scelto per la ricezione delle comunicazioni inerenti alla procedura; l'esposizione dei fatti e delle ragioni poste a fondamento della pretesa).

Per quel che riguarda l’attività della controparte, il nuovo art. 410 prevede che, entro venti giorni dal ricevimento della richiesta di conciliazione, questa - ove intenda accettare la procedura di conciliazione -deposita presso la commissione di conciliazione una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto e le eventuali domande in via riconvenzionale. All’inutile spirare di tale termine entrambe le parti possano rivolgersi direttamente al giudice ordinario.

Nei dieci giorni successivi al deposito della memoria difensiva, la commissione di conciliazione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, da espletare nei successivi 30 giorni (art. 410, settimo comma).

Presso la commissione, il lavoratore può farsi assistere dall’organizzazione sindacale cui conferisce mandato.

L’ultimo comma dell'art. 410 c.p.c., prevede l’esclusione della responsabilità, salvi i casi di dolo o colpa grave, nel caso di conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la P.A. anche in sede giudiziale.

 

Il comma 3 dell’articolo 31 sostituisce integralmente l'art. 411 c.p.c. relativo al processo verbale di conciliazione.

Attualmente il codice di procedura civile dedica due articoli al verbale di conciliazione (l’art. 411, per il caso in cui l’accordo vada a buon fine, e l’art. 412 per il caso negativo) il cui contenuto è accorpato nel nuovo art. 411.

La nuova disposizione è formata da tre commi.

Il primo comma prevede che se la conciliazione riesce, anche limitatamente ad una parte della pretesa, è redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione che il giudice, su istanza della parte interessata, dichiara esecutivo con decreto (rispetto al testo attualmente in vigore, viene meno sia il riferimento all'accertamento della regolarità formale del verbale di conciliazione da parte del giudice in sede di dichiarazione di esecutività dello stesso, sia la previsione del potere-dovere del presidente della commissione di certificare l'autografia della sottoscrizione delle parti).

Il secondo comma prevede che se non si raggiunge l'accordo tra le parti, la commissione di conciliazione formula una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se tale proposta non è accettata, i relativi termini sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti; il giudice, a proposta non accettata, deve tener conto, in sede di giudizio, della carente motivazione del rifiuto a conciliare della parte.

Ai sensi del terzo comma, nel caso di tentativo di conciliazione ad istanza di parte (che, si ripete, non sarebbe più obbligatorio ma facoltativo), i verbali e le memorie ad esso relative devono essere allegati al ricorso al giudice del lavoro (non è prevista una sanzione per il caso di mancata allegazione). Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, ad esso non si applicano le disposizioni di cui all'art. 410. Il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso la direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti o per il tramite di una associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l'autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.

 

Il comma 4 dell’art. 31 novella la disciplina dell’ulteriore tentativo di conciliazione in sede giudiziale di cui all’art. 420 del codice di rito civile, proponendo una nuova formulazione del primo comma.

La nuova norma affida al giudice compiti più penetranti in sede di tentativo, prevedendo che debba formulare alle parti una proposta transattiva; il giudice dovrà poi valutare, ai fini del giudizio, non soltanto la mancata comparizione personale delle parti ma anche il rifiuto della transazione proposta “in assenza di giustificato motivo”

 

I commi ulteriori dell’art. 31 prevedono ulteriori mezzi di composizione delle controversie alternativi al ricorso al giudice

 

Il comma 5 dell’art. 31 disciplina l'arbitrato presso la commissione di conciliazione sostituendo integralmente l'art. 412 c.p.c. (il cui testo attuale, come detto, riguarda il verbale di mancata conciliazione).

 

Attualmente l'arbitrato irrituale è ammesso dall'art. 412-ter c.p.c, solo in quanto previsto dai contratti collettivi ed in caso di insuccesso del tentativo di conciliazione.

Si ricorda che l’art. 806 c.p.c. prevede che le controversie di lavoro possano essere decise da arbitri soltanto ove previsto dalla legge, dai contratti o da accordi collettivi di lavoro.

Il primo comma del nuovo art. 412 (Risoluzione arbitrale della controversia), prevede che, in qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, riconoscendo, quando è possibile, il credito che spetta al lavoratore, e possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla stessa commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.

Il secondo comma stabilisce che, nel conferire il mandato arbitrale, le parti devono indicare:

1) il termine per l’emanazione del lodo (massimo 60 giorni dal conferimento del mandato), spirato il quale l’incarico si intende revocato;

2) le norme invocate dalle parti a sostegno delle proprie pretese e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento.

 

Nella parte del messaggio del Presidente della Repubblica specificamente riferita alla pattuizione di clausole compromissorie ai sensi del comma 9 (cfr. infra), si osserva che “ulteriori motivi di perplessità discendono dalla circostanza che, ai sensi della nuova formulazione dell'articolo 412 del codice di procedura civile contenuta nel comma 5 dell'articolo 31 (disposizione espressamente richiamata dal comma 9 dello stesso articolo) la clausola compromissoria può ricomprendere anche la «richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento». Come è noto, nell'arbitrato di equità la controversia può essere risolta in deroga alle disposizioni di legge: si incide in tal modo sulla stessa disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, rendendola estremamente flessibile anche al livello del rapporto individuale. Né può costituire garanzia sufficiente il generico richiamo del rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento, che non appare come tale idoneo a ricomprendere tutte le ipotesi di diritti indisponibili, al di là di quelli costituzionalmente garantiti; e comunque un aspetto così delicato non può essere affidato a contrastanti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, suscettibili di alimentare contenziosi che la legge si propone invece di evitare. Perplessità ulteriori suscita la estensione della possibilità di ricorrere a tale tipo di arbitrato anche in materia di pubblico impiego: in tal caso è particolarmente evidente la necessità di chiarire se ed a quali norme si possa derogare senza ledere i princìpi di buon andamento, trasparenza ed imparzialità dell'azione amministrativa sanciti dall'articolo 97 della Costituzione. Del resto un arbitrato di equità può svolgere un ruolo apprezzabile ed utile solo a patto di muoversi all'interno di uno spazio significativo ma circoscritto in limiti certi e condivisi. In sostanza l'obiettivo che si intende perseguire è quello di una incisiva modifica della disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, che si è finora prevalentemente basata su normative inderogabili o comunque disponibili esclusivamente in sede di contrattazione collettiva. E in effetti l'esigenza di una maggiore flessibilità risponde a sollecitazioni da tempo provenienti dal mondo dell'imprenditoria, alle quali le organizzazioni sindacali hanno mostrato responsabile attenzione guardando anche alla competitività del sistema produttivo nel mercato globale. Si tratta pertanto di un intendimento riformatore certamente percorribile, ma che deve essere esplicitato e precisato, non potendo essere semplicemente presupposto o affidato in misura largamente prevalente a meccanismi di conciliazione e risoluzione equitativa delle controversie, assecondando una discutibile linea di intervento legislativo - basato sugli istituti processuali piuttosto e prima che su quelli sostanziali - di cui l'esperienza applicativa mostra tutti i limiti”.

 

Ai sensi del terzo comma del nuovo art. 412, il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri ed autenticato:

§         produce fra le parti gli effetti del contratto di cui agli artt. 1372 c.c. nonché quelli derogatori previsti dall’art. 2113, quarto comma, c.c.;

L'art. 1372 c.c. stabilisce che il contratto ha forza di legge tra le parti, che esso non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge e che il contratto non produce effetti nei confronti dei terzi che nei casi previsti dalla legge; l'art. 2113, quarto comma, c.c. sottrae la conciliazione avvenuta in sede di tentativo obbligatorio di conciliazione alla generale previsione di invalidità delle rinunzie e della transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 c.p.c..

§         ha efficacia di titolo esecutivo a seguito del relativo decreto del tribunale emanato su istanza della parte interessata ex art. 825 c.p.c.

In base al quarto comma il lodo è impugnabile per nullità ai sensi dell'art. 808-ter c.p.c., anche in deroga all'art. 829, commi quarto e quinto, se l’impugnabilità è stata prevista nel mandato arbitrale.

L'art. 808-ter c.p.c., dedicato all'arbitrato irrituale, stabilisce che le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a quanto disposto dall'art. 833-bis, la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale. Il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I:

1) se la convenzione dell'arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale; 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale; 3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'art. 812; 4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo; 5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Al lodo contrattuale non si applica l'art. 825.

L'art. 829, commi quarto e quinto, c.p.c., che può essere derogato in base al comma in esame, prevede che l'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è sempre ammessa: 1) nelle controversie previste dall'art. 409; 2) se la violazione delle regole di diritto concerne la soluzione di questione pregiudiziale su materia che non può essere oggetto di convenzione di arbitrato. Nelle controversie previste dall'art. 409, il lodo è soggetto ad impugnazione anche per violazione dei contratti e accordi collettivi.

 

I successivi commi 6 e 7 dell’art. 31 individuano ulteriori modalità di conciliazione e arbitrato aggiungendo - a quella già prevista in sede sindacale dall’art. 412-ter - una possibilità di accordo da raggiungere, ai sensi del nuovo art. 412-quater, davanti ad una speciale commissione di conciliazione e arbitrato irrituale.

 

Il comma 6 sostituisce integralmente l'art. 412-ter c.p.c. (che attualmente disciplina l’arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi) con una nuova disposizione rubricata: “Altre modalità di conciliazione e arbitrato previste dalla contrattazione collettiva”.

Il nuovo art. 412-ter prevede la cd. conciliazione e l'arbitrato sindacale di controversie di lavoro, ossia conciliazioni e arbitrati che possono essere svolti presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.

 

Il comma 7 dell’art. 31 sostituisce integralmente l'art. 412-quater c.p.c. (attualmente relativo all’impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale), prevedendo - rispetto alla disciplina codicistica vigente - un’ulteriore possibilità di conciliazione e arbitrato irrituale. Il tentativo di accordo potrà, infatti, avvenire davanti ad apposito collegio composto da tre membri: un rappresentante di ciascuna delle parti e un terzo membro (presidente) scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra professori universitari in materie giuridiche e avvocati patrocinanti in cassazione.

Per quanto riguarda la procedura, la parte che intenda ricorrere al Collegio notifica all’altra parte un ricorso che, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, deve essere sottoscritto:

-          personalmente;

-          o da un suo rappresentante al quale abbia dato mandato e presso cui deve eleggere domicilio.

Il ricorso al collegio di conciliazione e arbitratoha come contenuto necessario:

- la nomina dell’arbitro di parte;

- l'indicazione dell’oggetto della domanda;

- l'indicazione delle ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda;

- i mezzi di prova;

- il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda;

- il riferimento alle norme invocate a sostegno della pretesa e l’eventuale richiesta di decisione secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento.

Se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato nomina un proprio arbitro di parte, che entro 30 giorni dalla data della notifica del ricorso procede concordemente con l’altro arbitro (in quanto possibile) alla scelta del Presidente e della sede del collegio.

In base al quarto comma dell’art. 412-quater c.p.c., ove ciò non avvenga, la sola parte che ha presentato il ricorso può adire il giudice (individuato nel presidente del tribunale del circondario in cui ha sede l’arbitrato) ai fini della nomina del presidente del collegio.

Nell’ipotesi in cui non sia stata ancora individuata la sede, la disposizione prevede che il ricorso vada presentato al presidente del tribunale del luogo dove è sorto il rapporto di lavoro ovvero del luogo ove si trovi l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso il quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto.

I commi quinto, sesto e settimo dell’art. 412-quater prevedono, inoltre, che:

§         se il presidente del collegio e la sede dell’arbitrato sono frutto di scelta concorde, la parte convenuta entro 30 giorni da tale scelta deposita presso la sede del Collegio una memoria difensiva sottoscritta (salvo che si tratti di una P.A.), da un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio;

§         entro 10 giorni dalla data di deposito della memoria difensiva il ricorrente può depositare presso la sede del Collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del ricorso; nei successivi dieci giorni il convenuto può depositare presso la sede del Collegio una controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva;

§         il Collegio fissa il giorno dell’udienza, da tenere entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, dandone comunicazione alle parti nel domicilio eletto almeno 10 giorni prima.

In base all’ottavo comma, all’udienza il Collegio esperisce il tentativo di conciliazione. Se la conciliazione riesce, in virtù del rinvio all’applicazione delle disposizioni dell’art. 411, primo e terzo comma, c.p.c., viene redatto separato processo verbale firmato dalle parti e dai tre membri del collegio arbitrale; il verbale viene depositato presso la cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto e su istanza della parte interessata il tribunale lo dichiara esecutivo con decreto.

In base al nono comma dell’art. 412-quater, se la conciliazione non ha successo, all’udienza il Collegio arbitrale provvede, se necessario, ad interrogare le parti e ad assumere le prove, invitando - in caso contrario - alla immediata discussione orale; se l’escussione probatoria è ritenuta necessaria, rinvia ad altra udienza, a non più di 10 giorni dalla prima, per l’assunzione delle prove stesse e la discussione orale.

Il Collegio deve decidere sulla controversia oggetto dell’arbitrato, mediante un lodo, entro 20 giorni dall’udienza di discussione (decimo comma).

Gli effetti del lodo, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, sono gli stessi di quello emanato in sede di arbitrato davanti alla commissione di conciliazione ovvero esecutività del titolo ed effetti di cui agli artt. 1372 e 2113, quarto comma, c.c. (v. art. 412, comma 3). Il lodo è impugnabile ai sensi dell’art. 808-ter c.p.c., anche in deroga all'art. 829, commi quarto e quinto, se previsto nel mandato per la risoluzione arbitrale della controversia (v. art. 412, quarto comma).

Un’apposita disposizione dell’art. 412-quater è dedicata alla disciplina dei compensi in favore dei membri del Collegio di conciliazione e arbitrato (undicesimo comma).

Al Presidente del Collegio spetta il 2% del valore della controversia e la somma è versata dalle parti (per metà ciascuna) con assegni circolari intestati al Presidente stesso presso la sede del Collegio almeno cinque giorni prima dell’udienza. Gli altri due arbitri sono ricompensati, nella misura dell’1% del suddetto valore della controversia, dalla parte che li ha nominati. Le spese legali e quelle per il compenso del Presidente e dell’arbitro di parte sono liquidate nel lodo ai sensi degli artt. 91, primo comma, e 92 c.p.c..

L’art. 91, primo comma, c.p.c. (Condanna alle spese) prevede che il giudice, con la sentenza che chiude il processo, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa. Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92.

L’art. 92 c.p.c. (Condanna alle spese per singoli atti. Compensazione delle spese) stabilisce che nel pronunciare la condanna di cui all'art. 91, il giudice può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all'articolo 88, essa ha causato all'altra parte. Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti. Se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione.

L’ultimo comma del nuovo articolo 412-quater prevede la possibilità che i contratti collettivi nazionali di categoria istituiscano un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per i compensi al presidente del collegio e al proprio arbitro di parte.

 

Il comma 8 dell’art. 31 estende la disciplina del tentativo facoltativo di conciliazione (art. 410), della risoluzione arbitrale della controversia (art. 412), della conciliazione e dell’arbitrato sindacale (art. 412-ter) nonché della conciliazione e arbitrato innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale (art. 412-quater) alle controversie nel lavoro pubblico; per esigenze di coordinamento con le modifiche introdotte, sono abrogati gli artt. 65 e 66 del D.Lgs 165/2001 (cfr. sopra).

 

Il comma 9 riguarda i limiti alla pattuizione di clausole compromissorie nelle controversie individuali di lavoro di cui all’art. 409.

Attraverso tali clausole, le parti possono rinviare alle modalità di esecuzione dell’arbitrato di cui agli illustrati artt. 412 (presso la commissione di conciliazione) e 412-quater (presso il collegio di conciliazione e arbitrato irrituale) a condizione che:

 

-       ciò sia previsto da accordi interconfederali e contratti collettivi di lavoro stipulati dalle maggiori organizzazioni nazionali dei lavoratori e dei datori di lavoro; si precisa, tuttavia, che in assenza di tali accordi e contratti, decorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, le modalità di attuazione e di piena operatività relative alla disciplina della pattuizione di clausole compromissorie saranno definite da un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le parti sociali;

-       la clausola compromissoria sia stata certificata da una commissione di certificazione dei contratti di lavoro di cui all'art. 76 del già ricordato decreto legislativo n. 276 del 2003.

 

Si tratta delle commissioni di certificazione istituite presso (art. 76, comma 1):

a) gli enti bilaterali costituiti nell'ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell'ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale; b) le Direzioni provinciali del lavoro e le province, secondo quanto stabilito da apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali; c) le università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie, registrate nell'albo istituito presso il Ministero del lavoro, esclusivamente nell'ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo; c-bis) il Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, esclusivamente nei casi in cui il datore di lavoro abbia le proprie sedi di lavoro in almeno due province anche di regioni diverse ovvero per quei datori di lavoro con unica sede di lavoro associati ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificati dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell'ambito delle risorse umane e strumentali già operanti presso la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro; c-ter) i consigli provinciali dei consulenti del lavoro di cui alla legge 11 gennaio 1979, n. 12, esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell'ambito territoriale di riferimento senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

La disposizione prevede che le commissioni di certificazione debbano accertare “la effettiva volontà delle parti” di ricorrere agli arbitri in caso di insorgere di controversie nel rapporto di lavoro.

 

 

 

 

 

 

Il comma 9 dell’articolo 31 costituisce specificamente oggetto del messaggio del Presidente della Repubblica

In esso si richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale (ripresa e sviluppata anche dalla Corte di cassazione) che ha costantemente affermato i princìpi della volontarietà dell'arbitrato e della necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole.

Sulla base di tali indicazioni, si legge nel messaggio, “non può non destare serie perplessità la previsione del comma 9 dell'articolo 31, secondo cui la decisione di devolvere ad arbitri la definizione di eventuali controversie può essere assunta non solo in costanza di rapporto allorché insorga la controversia, ma anche nel momento della stipulazione del contratto, attraverso l'inserimento di apposita clausola compromissoria: la fase della costituzione del rapporto è infatti il momento nel quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione di lavoro. Del resto l'esigenza di verificare che la volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie sia «effettiva» risulta dalla stessa formulazione del comma 9, che affida tale accertamento agli organi di certificazione di cui all'articolo 76 del citato decreto legislativo n. 276 del 2003. Garanzia che peraltro non appare sufficiente, perché tali organi - anche a prescindere dalle incertezze sull'ambito dei relativi poteri, che scontano più generali difficoltà di «acclimatamento» dell'istituto - non potrebbero che prendere atto della volontà dichiarata dal lavoratore, una volta che sia stata confermata in una fase che è pur sempre costitutiva del rapporto e nella quale permane pertanto una ovvia condizione di debolezza”.

Nel messaggio quindi si evidenzia, quale ulteriore motivo di perplessità, il fatto che”, ai sensi della nuova formulazione dell'articolo 412 del codice di procedura civile contenuta nel comma 5 dell'articolo 31 (disposizione espressamente richiamata dal comma 9 dello stesso articolo) la clausola compromissoria può ricomprendere anche la «richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento»” (sul punto cfr. sopra) e più in generale si osserva che “il problema che si pone è dunque quello di definire - nelle sedi dovute e in primo luogo nel Parlamento - in modo puntuale modalità, tempi e limiti che rendano il ricorso all'arbitrato - nell'ambito del rapporto di lavoro - coerente con la necessità di garantire l'effettiva volontarietà della clausola compromissoria e una adeguata tutela dei diritti più rilevanti del lavoratore (da quelli costituzionalmente garantiti agli altri che si ritengano ugualmente non negoziabili). Si tratta cioè di procedere ad adeguamenti normativi che vanno al di là della questione, pur rilevante, delle garanzie apprestate nei confronti del licenziamento dall'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. A quest'ultimo proposito lo scorso 11 marzo la maggior parte delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle imprese si è impegnata a definire accordi interconfederali che escludano l'inserimento nella clausola compromissoria delle controversie relative alla risoluzione del rapporto di lavoro ed il Ministro del lavoro e delle politiche sociali si è a sua volta impegnato a conformarsi a tale orientamento negli atti di propria competenza. Ma pur apprezzando il significato e il valore di tali impegni, decisivo resta il tema di un attento equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale. Solo il legislatore può e deve stabilire le condizioni perché possa considerarsi «effettiva» la volontà delle parti di ricorrere all'arbitrato; e solo esso può e deve stabilire quali siano i diritti del lavoratore da tutelare con norme imperative di legge e quali normative invece demandare alla contrattazione collettiva. A quest'ultima, nei diversi livelli in cui si articola, può inoltre utilmente affidarsi la chiara individuazione di spazi di regolamentazione integrativa o in deroga per negoziazioni individuali adeguatamente assistite così come per la definizione equitativa delle controversie che insorgano in tali ambiti Si avvierebbe in tal modo un processo concertato, ed insieme ispirato ad un opportuno gradualismo, attraverso il quale ripristinare quella certezza del diritto che è condizione essenziale nella disciplina dei rapporti di lavoro per garantire una efficace tutela del contraente debole e una effettiva riduzione del contenzioso in un contesto generale di serena evoluzione delle relazioni sindacali”.

Il messaggio infine sottolinea che non sembra “coerente con i princìpi generali dell'ordinamento e con la stessa impostazione del comma 9 in esame, che consente di pattuire clausole compromissorie solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro, il prevedere un intervento suppletivo del Ministro - di cui tra l'altro non si stabilisce espressamente la natura regolamentare né si delimitano i contenuti - che dovrebbe consentire comunque, anche in assenza dei predetti accordi, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge tale possibilità, stabilendone le modalità di attuazione e di piena operatività: suscita infatti serie perplessità una così ampia delegificazione con modalità che non risultano in linea con le previsioni dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400”.

 

Il comma 10 dell’art. 31 estende ulteriormente le funzioni delle suddette commissioni di certificazione (di cui all’art. 76 del D.Lgs 276/2003), prevedendo che esse possano istituire camere arbitrali per la definizione delle controversie di lavoro mediante arbitrato irrituale. Le commissioni di certificazione possono concludere convenzioni con le quali prevedano la costituzione di camere arbitrali comuni. Il comma 10 rinvia poi, in quanto compatibile, all'art. 412, commi terzo e quarto, c.p.c. (relativo agli effetti del lodo arbitrale e al regime di impugnazione).

 

Il comma 11 dell’art. 31 prevede che le citate commissioni di certificazione possano essere anche sede di svolgimento del tentativo di conciliazione ai sensi dell'art. 410 c.p.c. (in alternativa quindi alla sede “ordinaria” costituita dalla commissione di conciliazione).

 

Il comma 12 apporta due modifiche all'art. 82 del D.Lgs. 276/2003.

Tale articolo attualmente stabilisce che le sedi di certificazione di cui all'art. 76, comma 1, lettera a), del medesimo decreto (ossia gli enti bilaterali costituiti nell'ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell'ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale) sono competenti altresì a certificare le rinunzie e transazioni di cui all'art. 2113 c.c. a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse. A sua volta, l'art. 2113 c.c. concerne le rinunce e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 c.p.c..

Una prima novella, volta a coordinare la disposizione con le previsioni precedenti, stabilisce l’idoneità di tutte le indicate sedi di certificazione di cui all’art. 76 del D.Lgs 276 del 2003 all’accertamento delle rinunzie e transazioni di cui all'art. 2113 c.c.

Inoltre, attraverso l'aggiunta di un nuovo comma 1-bis, si prevede che questa nuova competenza sia esercitata con le procedure che il Capo I del Titolo VIII del decreto legislativo 276/2003 stabilisce in generale per l'attività di certificazione dei contratti di lavoro, laddove compatibili.

 

Il comma 13 dell’art. 31, abroga il comma 2 dell'art. 83 del D.Lgs. 276/2003, che attualmente circoscrive alle specifiche commissioni di certificazione istituite nell'ambito delle Direzioni provinciali del lavoro e delle province la procedura di certificazione del regolamento interno delle cooperative riguardante la tipologia dei rapporti di lavoro attuati o che si intendono attuare, in forma alternativa, con i soci lavoratori, ai sensi dell'art. 6 della legge 142/2001.

Pertanto, tale tipologia di certificazione potrà essere effettuata in tutte le sedi di certificazione previste dall’art. 76, comma 1, del D.Lgs. 276.

 

Come in precedenza accennato, il comma 14, per ragioni di coordinamento con il nuovo testo dell’articolo 410, abroga gli artt. 410-bis e 412-bis c.p.c.

 

Il comma 15 dell’art. 31 aggiunge un comma all’articolo 79 del D.Lgs. n. 276 del 2003, in materia di efficacia giuridica della certificazione. Ai sensi della nuova disposizione, gli effetti dell'accertamento dell'organo preposto alla certificazione del contratto si producono: nel caso di contratti in corso di esecuzione, dal momento di inizio del contratto, ove la commissione abbia appurato che l'attuazione del medesimo è stata, anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in tale sede; in caso di contratti non ancora sottoscritti dalle parti, gli effetti si producono soltanto dal momento in cui queste ultime provvedano a sottoscriverli, con le eventuali integrazioni e modifiche suggerite dalla commissione adita.

 

Il comma 16 contiene, infine, la clausola di invarianza finanziaria.

 

Normativa vigente

 

 

Modifiche proposte

Codice di procedura civile

Art. 410
Tentativo obbligatorio di conciliazione

Art. 410
Tentativo di conciliazione

 

 

1. Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'articolo 413.

1. Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo 409 può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all’articolo 413.

2. La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.

Identico

3. La commissione, ricevuta la richiesta tenta la conciliazione della controversia, convocando le parti, per una riunione da tenersi non oltre dieci giorni dal ricevimento della richiesta.

[cfr. infra, comma 7, terzo periodo]

4. Con provvedimento del direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione è istituita in ogni provincia presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, una commissione provinciale di conciliazione composta dal direttore dell'ufficio stesso, o da un suo delegato, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale.

3. Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la Direzione provinciale del lavoro. La commissione è composta dal direttore dell’ufficio stesso o da un suo delegato o da un magistrato collocato a riposo, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale.

5. Commissioni di conciliazione pos­sono essere istituite, con le stesse modalità e con la medesima compo­sizione di cui al precedente comma, anche presso le sezioni zonali degli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione.

Soppresso.

6. Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione o da un suo delegato che rispecchino la composizione prevista dal precedente terzo comma.

7. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e di uno dei lavoratori.

4. Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore della Direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal terzo comma. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e almeno un rappresentante dei lavoratori.

8. Ove la riunione della commissione non sia possibile per la mancata presenza di almeno uno dei componenti di cui al precedente comma, il direttore dell'ufficio provinciale del lavoro certifi­ca l'impossibilità di procedere al tentativo di conciliazione.

Soppresso.

 

5. La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall’istante, è consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata o spedita con raccomanda­ta con ricevuta di ritorno a cura della stessa parte istante alla controparte.

 

6. La richiesta deve precisare:

1) nome, cognome e residenza dell’istante e del convenuto; se l’istante o il convenuto sono una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, l’istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;

2) il luogo dove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l’azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli presta­va la sua opera al momento della fine del rapporto;

3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura;

4) l’esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.

 

7. Se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione, deposita presso la commissione di conciliazione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale. Ove ciò non avvenga, ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria. Entro i dieci giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta giorni. Dinanzi alla commissione il lavoratore puo farsi assistere anche da un’organizzazione cui aderisce o conferisce mandato.

 

8. La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministra­zione, anche in sede giudiziale ai sensi dell’articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a responsabilità, salvi i casi di dolo e colpa grave».

 

 

 

Art. 410-bis
Termine per l'espletamento del tentativo di conciliazione

Art. 410-bis
Termine per l'espletamento del tentativo di conciliazione

 

 

1. Il tentativo di conciliazione, anche se nelle forme previste dai contratti e accordi collettivi, deve essere espletato entro sessanta giorni dalla presentazione della richiesta

Abrogato.

2. Trascorso inutilmente tale termine, il tentativo di conciliazione si considera comunque espletato ai fini dell'articolo 412-bis.

 

 

 

 

Art. 411 (commi 1 e 2)
Processo verbale di conciliazione

Art. 411
Processo verbale di conciliazione

 

 

1. Se la conciliazione riesce, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal presidente del collegio che ha esperito il tentativo, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere.

2. Il processo verbale è depositato a cura delle parti o dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato formato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo

1. Se la conciliazione esperita ai sensi dell’articolo 410 riesce, anche limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo con decreto.

 

 

Art. 412
Verbale di mancata conciliazione

 

 

 

1. Se la conciliazione non riesce, si forma processo verbale con l'indicazione delle ragioni del mancato accordo; in esso le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, precisando, quando è possibile, l'ammontare del credito che spetta al lavoratore. In quest'ultimo caso il processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo, osservate le disposizioni di cui all'articolo 411.

2. L'Ufficio provinciale del lavoro rilascia alla parte copia del verbale entro cinque giorni dalla richiesta.

3. Le disposizioni del primo comma si applicano anche al tentativo di conciliazione in sede sindacale

4. Delle risultanze del verbale di cui al primo comma il giudice tiene conto anche in sede di decisione sulle spese del successivo giudizio

2. Se non si raggiunge l’accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione il giudice tiene conto in sede di giudizio.

 

 

Art. 411 (comma 3)

 

 

 

 

 

 

3. Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione a cura di una delle parti o per il tramite di un'associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l'autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.

 

 

 

3. Ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al ricorso depositato ai sensi dell’articolo 415 devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito. Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, ad esso non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 410. Il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso la direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti o per il tramite di un’associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l’autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto».

 

 

 

Art. 412
Risoluzione arbitrale della controversia

 

 

 

(V. art. 412, primo comma)

In qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono indicare la soluzione, anche parziale, sulla quale concordano, riconoscendo, quando è possibile, il credito che spetta al lavoratore, e possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.

Nel conferire il mandato per la risoluzione arbitrale della controversia, le parti devono indicare:

1) il termine per l’emanazione del lodo, che non può comunque superare i sessanta giorni dal conferimento del mandato, spirato il quale l’incarico deve intendersi revocato;

2) le norme invocate dalle parti a sostegno delle loro pretese e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento.

 Il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui all’articolo 1372 e all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile e ha efficacia di titolo esecutivo ai sensi dell’articolo 474 del presente codice a seguito del provvedimento del giudice su istanza della parte interessata ai sensi dell’articolo 825.

Il lodo è impugnabile ai sensi dell’articolo 808-ter, anche in deroga all’articolo 829, commi quarto e quinto, se ciò è stato previsto nel mandato per la risoluzione arbitrale della controversia

 

 

 

 

 

 

Art. 412-bis
Procedibilità della domanda

Art. 412-bis
 Procedibilità della domanda

 

 

L'espletamento del tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità della domanda.

L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva di cui all'articolo 416 e può essere rilevata d'ufficio dal giudice non oltre l'udienza di cui all'articolo 420.

Il giudice ove rilevi che non è stato promosso il tentativo di conciliazione ovvero che la domanda giudiziale è stata presentata prima dei sessanta giorni dalla promozione del tentativo stesso, sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per promuovere il tentativo di conciliazione.

Trascorso il termine di cui al primo comma dell'articolo 410-bis, il processo può essere riassunto entro il termine perentorio di centottanta giorni.

Ove il processo non sia stato tempestivamente riassunto, il giudice dichiara d'ufficio l'estinzione del processo con decreto cui si applica la disposizione di cui all'articolo 308.

Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione non preclude la conces­sione dei provvedimenti speciali d'urgenza e di quelli cautelari previsti nel capo III del titolo I del libro IV.

Abrogato

 

 

Art. 412-ter
Arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi

Art. 412-ter
Altre modalità di conciliazione previste dalla contrattazione collettiva

 

 

1. Se il tentativo di conciliazione non riesce o comunque è decorso il termine previsto per l'espletamento, le parti possono concordare di deferire ad arbitri la risoluzione della controversia, anche tramite l'organizzazione sindacale alla quale aderiscono o abbiano conferito mandato, se i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro prevedono tale facoltà e stabiliscono:

a) le modalità della richiesta di devoluzione della controversia al collegio arbitrale e il termine entro il quale l'altra parte può aderirvi;

b) la composizione del collegio arbitrale e la procedura per la nomina del presidente e dei componenti;

c) le forme e i modi di espletamento dell'eventuale istruttoria;

d) il termine entro il quale il collegio deve emettere il lodo, dandone comunicazione alle parti interessate;

e) i criteri per la liquidazione dei compensi agli arbitri.

La conciliazione e l’arbitrato, nelle materie di cui all’articolo 409, possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentati­ve.

2. I contratti e accordi collettivi possono, altresì, prevedere l'istituzione di collegi o camere arbitrali stabili, composti e distribuiti sul territorio secondo criteri stabiliti in sede di contrattazione nazionale.

 

3. Nella pronuncia del lodo arbitrale si applica l'articolo 429, terzo comma, del codice di procedura civile.

 

4. Salva diversa previsione della contrattazione collettiva, per la liquidazione delle spese della procedura arbitrale si applicano altresì gli articoli 91, primo comma, e 92 del codice di procedura civile.

 

 

 

 

Art. 412-quater
Altre modalità di conciliazione e arbitrato

 

.

 

Ferma restando la facoltà di ciascuna delle parti di adire l’autorità giudiziaria e di avvalersi delle procedure di conciliazione e di arbitrato previste dalla legge, le controversie di cui all’articolo 409 possono essere altresì proposte innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale costituito secondo quanto previsto dai commi seguenti

Il collegio di conciliazione e arbitrato è composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione.

 

 La parte che intenda ricorrere al collegio di conciliazione e arbitrato deve notificare all’altra parte un ricorso sottoscritto, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, personal­mente o da un suo rappresentante al quale abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. Il ricorso deve contenere la nomina dell’arbitro di parte e indicare l’oggetto della domanda, le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda stessa, i mezzi di prova e il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda. Il ricorso deve contenere il riferimento alle norme invocate dal ricorrente a sostegno della sua pretesa e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento.

 

Se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato nomina il proprio arbitro di parte, il quale entro trenta giorni dalla notifica del ricorso procede, ove possibile, concordemente con l’altro arbitro, alla scelta del presidente e della sede del collegio. Ove ciò non avvenga, la parte che ha presentato ricorso può chiedere che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato. Se la parti non hanno ancora determinato la sede, il ricorso è presentato al presidente del tribunale del luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro o ove si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto.

 

 In caso di scelta concorde del terzo arbitro e della sede del collegio, la parte convenuta, entro trenta giorni da tale scelta, deve depositare presso la sede del collegio una memoria difensiva sottoscritta, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. La memoria deve contenere le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l’indicazione dei mezzi di prova.

 

Entro dieci giorni dal deposito della memoria difensiva il ricorrente può depositare presso la sede del collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del ricorso. Nei successivi dieci giorni il convenuto può depositare presso la sede del collegio una controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva.

 

Il collegio fissa il giorno dell’udienza, da tenere entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, dandone comunicazione alle parti, nel domicilio eletto, almeno dieci giorni prima.

 

All’udienza il collegio esperisce il tentativo di conciliazione. Se la conciliazione riesce, si applicano le disposizioni dell’articolo 411, commi primo e terzo.

 

 Se la conciliazione non riesce, il collegio provvede, ove occorra, a interrogare le parti e ad ammettere e assumere le prove, altrimenti invita all’immediata discussione orale. Nel caso di ammissione delle prove, il collegio può rinviare ad altra udienza, a non più di dieci giorni di distanza, l’assunzione delle stesse e la discussione orale.

Vedi Art. 412-quater

 

Impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale

 

Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale decide in un unico grado il Tribunale, in funzione del giudice del lavoro, della circoscrizione in cui è la sede dell'arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo.

2. Trascorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal Tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del Tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto.

La controversia è decisa, entro venti giorni dall’udienza di discussione, mediante un lodo. Il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui agli articoli 1372 e 2113, quarto comma, del codice civile e ha efficacia di titolo esecutivo ai sensi dell’articolo 474 del presente codice a seguito del provvedimento del giudice su istanza della parte interessata ai sensi dell’articolo 825. Il lodo è impugnabile ai sensi dell’articolo 808-ter, anche in deroga all’articolo 829, commi quarto e quinto, se ciò è stato previsto nel mandato per la risoluzione arbitrale della controversia.

 

 Il compenso del presidente del collegio è fissato in misura pari al 2 per cento del valore della controversia dichiarato nel ricorso ed è versato dalle parti, per metà ciascuna, presso la sede del collegio mediante assegni circolari intestati al presidente almeno cinque giorni prima dell’udienza. Ciascuna parte provvede a compensare l’arbitro da essa nominato. Le spese legali e quelle per il compenso del presidente e dell’arbitro di parte, queste ultime nella misura dell’1 per cento del suddetto valore della controversia, sono liquidate nel lodo ai sensi degli articoli 91, primo comma, e 92.

 

I contratti collettivi nazionali di categoria possono istituire un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per il compenso del presidente del collegio e del proprio arbitro di parte».

 

 

Art. 420
Udienza di discussione della causa

Art. 420
Udienza di discussione della causa

 

 

Nell'udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamente le parti presenti e tenta la conciliazione della lite. La mancata comparizione personale delle parti, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione. Le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate previa autorizzazione del giudice.

Nell'udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamente le parti presenti, tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva. La mancata comparizione personale delle parti o il rifiuto della proposta transattiva del giudice, senza giustificato motivo, costituiscono comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio.

 

 


 

Articolo 32
(Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato).

 

 


1. Il primo e il secondo comma dell'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, sono sostituiti dai seguenti:

«Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione, ovvero dalla comunicazio­ne dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso.

L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo».

 

2. Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità e di inefficacia del licenziamento.

 

3. Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano inoltre:

a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto;

b) al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile;

c) al trasferimento ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile, con termine decorrente dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento;

d) all'azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni, con termine decorrente dalla scadenza del medesimo.

 

4. Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche:

 

a) ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine;

b) ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposi­zioni di legge previgenti al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e già conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge;

c) alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile con termine decorrente dalla data del trasferimento;

d) in ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dall'articolo 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto.

 

5. Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604.

 

6. In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappre­sentative sul piano nazionale, che prevedano l'assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell'ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell'indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà.

 

7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l'eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell'articolo 421 del codice di procedura civile.


 

 

L’articolo 32 reca disposizioni relative alle modalità e ai termini per l’impugnazione dei licenziamenti individuali (commi 1-4)e sui criteri di determinazione della misura del risarcimento nei casiin cui è prevista la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato(commi 5-7).

 

La vigente disciplina dei licenziamenti individuali[7] è differenziata in ragione della “soglia dimensionale” del datore di lavoro, secondo una articolazione di ipotesi che, peraltro, rispetto ai testi originari delle leggi in materia (L. 15 luglio 1966, n. 604; articolo 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300), è stata semplificata dalla L. 11 maggio 1990, n. 108.

A parte le situazioni, ormai residuali, in cui permane il regime di libera recedibilità (c.d. recesso ad nutum), originariamente previsto per tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato dall'articolo 2118 del codice civile, la disciplina vigente, nel caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, distingue un'area nella quale si applica la c.d. "tutela reale" del lavoratore, prevista dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ed un'area nella quale si applica invece la c.d. "tutela obbligatoria", di cui all'articolo 8 della L. 604/1966. Nel primo caso, il datore di lavoro ha l'obbligo di reintegrare il lavoratore illegittimamente licenziato, salvo che questi non preferisca farsi liquidare una indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro; nel secondo, spetta al datore di lavoro la scelta tra la riassunzione del lavoratore e la corresponsione di una indennità pecuniaria.

L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come accennato, prevede la "tutela reale", che comporta la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato nel posto di lavoro. Tale forma di tutela si applica nei confronti dei datori di lavoro (imprenditori e non imprenditori) che occupino più di 15 dipendenti (ovvero 5 dipendenti per gli imprenditori agricoli) in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento.La medesima forma di tutela si applica altresì nei confronti dei datori di lavoro che nell'ambito dello stesso comune occupano più di 15 dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di 5 dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro che occupa alle sue dipendenze più di 60 lavoratori.

Si ricorda che la normativa vigente, a parte il caso del licenziamento illegittimo per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, prevede la “tutela reale” (e quindi la reintegrazione), indipendentemente dai limiti dimensionali del datore di lavoro, allorché il giudice abbia:

-        dichiarato inefficace il licenziamento per mancanza della forma scritta o della comunicazione, sempre per iscritto, dei motivi del licenziamento stesso (articolo 2 della legge n. 604/1966);

-        ovvero dichiarato la nullità del licenziamento discriminatorio, in quanto determinato (a prescindere dalla motivazione addotta) da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali, ovvero da ragioni di discriminazione razziale, di lingua o di sesso (articolo 4 della legge n. 604/1966 e articolo 15 della legge n. 300/1970).

Con la stessa sentenza con cui il giudice dispone la reintegrazione ai sensi dell’articolo 18, comma 1 (che, ai sensi dell'articolo 18, comma 6, è provvisoriamente esecutiva) il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per il medesimo periodo. Il risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 4).

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno quantificato come sopra, al prestatore di lavoro è riconosciuta la facoltà di chiedere, in luogo della reintegrazione, un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 5).

Al di fuori del campo di applicazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e quindi essenzialmente per le imprese fino a 15 dipendenti, si applica invece la “tutela obbligatoria” di cui all'articolo 8 della legge n. 604/1966. Tale articolo dispone che, ove non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, "il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro".

A prescindere dalle diverse opinioni prospettate in dottrina ed in giurisprudenza circa la configurazione, dal punto di vista teorico, del rapporto tra le due obbligazioni (riassunzione e risarcimento del danno)[8], è certo che la norma di cui sopra non consente al lavoratore di ottenere, senza il concorso della volontà del datore di lavoro, il ripristino della precedente posizione lavorativa. Per altro verso, il risarcimento previsto nel caso di mancata riassunzione (che deve intendersi comunque dovuto anche quando sia il lavoratore a non voler ripristinare il rapporto, per effetto della sentenza interpretativa di rigetto n. 194 del 28 dicembre 1970 della Corte costituzionale) è comunque inferiore a quello previsto dall'articolo 18 della legge n. 300/1970.

Sussistono poi opinioni diversificate anche in ordine alla questione se la riassunzione dia luogo ad un nuovo rapporto di lavoro (come sembra ritenere l'opinione prevalente), ovvero costituisca la prosecuzione o la rinnovata attuazione del precedente rapporto, questione la cui soluzione ha naturalmente conseguenze significative per vari profili (spettanza di ulteriori erogazioni per i periodi intermedi, anzianità aziendale, trattamento di fine rapporto).

 

Il comma 1 sostituisce i commi 1 e 2 dell’articolo 6, della L. 604/1966, prevedendo che l’impugnazione dellicenziamento con qualsiasi atto scritto (anche extragiudiziale, purché idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore, anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale) è inefficace se entro i successivi 180 giorni il ricorso non è depositato nella cancelleria del tribunale competente o non viene data comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Qualora la conciliazione o l’arbitrato non vadano a buon fine, il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dal rifiuto o mancato accordo[9].

 

Il comma 2 precisa che i termini previsti dal comma 1 per l’impugnazione del licenziamento si applicano anche ai casi di invalidità e inefficacia del licenziamento

 

I commi 3 e 4 precisano che i termini previsti dal comma 1 per l’impugnazione del licenziamento si applicano anche:

a)    ai licenziamenti che presuppongano la risoluzione di questioni attinenti alla qualificazione del rapporto lavorativo ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto;

b)    al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto;

La collaborazione coordinata e continuativa si configura come un rapporto di lavoro nel quale il collaboratore si impegna a compiere un’opera od un servizio, in via continuativa, a favore del committente, ed in coordinamento con il committente stesso, senza che però si crei un vero e proprio vincolo di subordinazione.

Il D.Lgs. 276/2003[10] ha introdotto una specifica disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative (lavoro a progetto), finalizzata a superare gli abusi che hanno condotto all’uso talvolta improprio di tale strumento contrattuale per eludere la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

A tal fine si stabilisce (articolo 61), creando in questo modo la nuova figura del lavoratore a progetto, l’obbligo di ricondurre i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Da tale previsione sono escluse le prestazioni meramente occasionali, cioè i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione sia superiore a 5 mila euro. Sono escluse dal campo di applicazione della disciplina del lavoro a progetto anche le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi.

Il contratto di lavoro a progetto deve essere redatto in forma scritta ad probationem, deve contenere, tra gli altri, l’indicazione della durata della prestazione lavorativa e del progetto, o programma, di lavoro o delle fasi di esso, nonché il corrispettivo e le relative modalità di pagamento e le forme di coordinamento del lavoratore, che in ogni caso non devono essere tali da pregiudicare l’autonomia del collaboratore stesso. Lo stesso contratto, infine, deve prevedere forme di tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto (articolo 62).

Si prevede che, nel caso in cui i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa siano instaurati senza individuare uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, vengono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dalla data di costituzione del rapporto (articolo 69, comma 1).

Si consideri, infine, che la disciplina del lavoro a progetto non si applica al settore pubblico, poiché l’art. 1 del D.Lgs. 276/2003 dispone espressamente che la disciplina introdotta dal medesimo decreto non si applica alle amministrazioni pubbliche e al relativo personale.

c)     al trasferimento del lavoratore subordinato da un’unità produttiva ad un’altra.

Si ricorda che l’articolo 2103 c.c. stabilisce che il lavoratore dipendente non può essere trasferito da una unità produttiva ad una altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e che ogni patto contrario è nullo.

d)    a tutte le tipologie di contratti di lavoro a tempo determinato.

e)    alla cessione del contratto di lavoro ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile;

L’articolo 2112 c.c. stabilisce che, in caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario, con il lavoratore che conserva tutti i diritti derivanti dall'anzianità di servizio raggiunta prima del trasferimento, nonché quelli previsti nel contratto individuale, con particolare riferimento ai diritti relativi all’inquadramento di categoria e retributivo. Le condizioni di lavoro determinate nel contratto collettivo applicato al momento della cessione vengono mantenute fino alla data della sua scadenza, a meno che il cessionario non applichi un altro contratto collettivo (che quindi prevale).

Il soggetto cedente è obbligato in solido con il cessionario per tutti i crediti che il dipendente vantava al momento del trasferimento; tuttavia il lavoratore può liberare il cedente da tali obbligazioni.

Nella norma del codice richiamata, il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, ferma restando la facoltà del datore di lavoro di recedere dal rapporto secondo quanto previsto dalla disciplina sul licenziamento.

Il trasferimento d’azienda – disciplinato dall’articolo 2112 c.c.[11] e dall’articolo 47 della legge 428/1990[12] come modificato dall’articolo 1 del D.Lgs. 18/2001[13] – consiste nel trasferimento di un'entità economica, vista come un insieme organizzato di mezzi per lo svolgimento di una determinata attività, che mantiene la sua identità, sia pubblica sia privata, indipendentemente dal fatto che venga perseguito o meno un fine di lucro.

Il trasferimento può anche riguardare un ramo d’azienda, a condizione che l’attività ceduta sia idonea ad essere collocata utilmente sul mercato, costituendo un’entità economica suscettibile di essere oggetto di un'attività autonoma di impresa da parte dell’acquirente, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.

 

f)      in ogni altro caso in cui, compresa la somministrazione irregolare (art. 27 del d.lgs. n. 276 del 2003), si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto.

L’articolo 27 del D.lgs. 276/2003 prevede che quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni stabilite dalla legge, il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione.

In tali casi, la norma prevede che tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, liberino il soggetto utilizzatore dal debito corrispondente nella misura della somma effettivamente pagata. Allo stesso modo, tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto utilizzatore.

Infine, la norma stabilisce che il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai princìpi generali dell'ordinamento, alla verifica delle ragioni che la giustificano e non può spingersi a sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano all'utilizzatore.

 

I commi 5, 6 e 7 dettano norme, valevoli anche per i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge, volte a disciplinare il risarcimento del lavoratore nel caso in cui, a seguito della violazione delle norme relative al contratto di lavoro a tempo determinato, sia prevista la sua trasformazione in contratto a tempo indeterminato.

In particolare, si prevede l’obbligo per il datore di lavoro di risarcire il lavoratore con una indennità onnicomprensiva da 2,5 a 12 mensilità, ridotta alla metà nel caso di contratti collettivi che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati a termine nell’ambito di specifiche graduatorie.

Merita preliminarmente ricordare che una norma di contenuto analogo era stata introdotta dall’articolo 21 del D.L. 112/2008[14]. Tale disposizione aveva inserito l’articolo 4-bis del D.lgs. n. 368/2001[15], prevedendo che, con riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della disposizione, e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, del D.lgs. n. 368/2001, il datore di lavoro fosse tenuto unicamente ad indennizzare il prestatore di lavoro con un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Tale disposizione è stata successivamente dichiarata incostituzionale con sentenza n. 214 del 2009, per violazione del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione. La Corte Costituzionale ha motivato la propria decisione sul fatto che “situazioni di fatto identiche (contratti di lavoro a tempo determinato stipulati nello stesso periodo, per la stessa durata, per le medesime ragioni ed affetti dai medesimi vizi) risultano destinatarie di discipline sostanziali diverse (da un lato, secondo il diritto vivente, conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato e risarcimento del danno; dall'altro, erogazione di una modesta indennità economica), per la mera e del tutto casuale circostanza della pendenza di un giudizio alla data (anch'essa sganciata da qualsiasi ragione giustificatrice) del 22 agosto 2008 (giorno di entrata in vigore dell'art. 4-bis del D.lgs. n. 368 del 2001, introdotto dall'art. 21, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112)”.

 

Il contratto di lavoro a tempo determinato è disciplinato dal decreto legislativo n.368 del 2001.

L’articolo 1 consente l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro. L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni.

L'articolo 2 vieta l’apposizione del termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che tale contratto sia concluso per provvedere a sostituzione di lavoratori assenti; presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine; da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.

L’articolo 4 prevede che il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni.

L’articolo 5 prevede che se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell'articolo 4, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al decimo giorno successivo, al quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore. Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi  ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell'articolo 1, entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. Quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.

Il comma 4-bis dell’articolo 5, introdotto dall’articolo 40 della legge n.247 del 2007), prevede poi che, ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato. In deroga a quanto disposto da dalla sopracitata disposizione, tuttavia, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato.

Il comma 4-quater dell’articolo 5 dispone che lavoratore il quale, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha (fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine.

 


Art. 50
(Disposizioni in materia di collaborazioni coordinate e continuative)

 

1. Fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di accertamento della natura subordinata di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche se riconducibili ad un progetto o programma di lavoro, il datore di lavoro che abbia offerto entro il 30 settembre 2008 la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato ai sensi dell'articolo 1, commi 1202 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro con un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità di retribuzione, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604.

 

 

L’articolo 50 reca due norme di carattere transitorio sui rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

In particolare si introducono specifici criteri di determinazione della misura del risarcimento, per i casi di accertamento della natura subordinata di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa laddove il datore di lavoro abbia offerto la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato.

 

Gli articoli 61-69 del decreto legislativo n. 276 del 2003 hanno introdotto una specifica disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative (lavoro a progetto), applicabile al solo settore lavorativo privato, finalizzata a superare gli abusi che hanno condotto all’uso talvolta improprio di tale strumento contrattuale, per eludere la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

Con la nuova fattispecie del lavoro a progetto è stato previsto l’obbligo (articolo 61) di ricondurre i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa.

I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.

Da tale previsione sono escluse le prestazioni meramente occasionali, cioè i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione sia superiore a 5.000 euro (articolo 61, comma 2). Pertanto vengono fissati due criteri alternativi, uno correlato alla durata della prestazione nei confronti dello stesso committente, l’altro correlato all’ammontare del corrispettivo, che servono a distinguere le prestazioni meramente occasionali dalle collaborazioni coordinate e continuative vere e proprie, che vengono disciplinate dalle disposizioni sul lavoro a progetto.

Sono altresì escluse dal campo di applicazione della disciplina del lavoro a progetto anche le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi .

Nel caso in cui i richiamati rapporti siano instaurati senza individuare uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, vengono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dalla data di costituzione del rapporto (articolo 69, comma 1).

La determinazione del progetto e di tutti gli elementi accessori è lasciata alla contrattazione. Il contratto, infatti, che deve essere redatto in forma scritta ad probationem, deve contenere, tra gli altri, l’indicazione della durata della prestazione lavorativa e del progetto, o programma di lavoro o delle fasi di esso, nonché il corrispettivo e le relative modalità di pagamento e le forme di coordinamento del lavoratore, che in ogni caso non devono essere tali da pregiudicare l’autonomia del collaboratore stesso. Lo stesso contratto, infine, deve prevedere forme di tutela e di sicurezza della salute del collaboratore di progetto (articolo 62).

I contratti si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o fase di esso che ne costituisce l’oggetto. E’ comunque prevista la possibilità, per le parti contraenti, di recedere prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero in seguito a quanto disposto nel contratto (articolo 67).

Il compenso è proporzionato (articolo 63) alla quantità e qualità del lavoro, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto.

E’ stata prevista la possibilità, per il collaboratore a progetto, di svolgere l’attività nei riguardi di più committenti, anche se lo stesso non può svolgere attività concorrenziale nei confronti dei committenti stessi né può venire meno all’obbligo di riservatezza (articolo 64).

Lo stesso D.Lgs. 276 ha individuato (articoli 65 e 66) alcuni diritti del collaboratore a progetto.

In particolare (articolo 65), il collaboratore ha il diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione eventualmente fatta nello svolgimento del rapporto. In ogni caso, i diritti e gli obblighi delle parti sono regolati da leggi speciali, comprese le disposizioni di cui all’articolo 12-bis della L. 633 del 1941.

Il successivo articolo 66 disciplina ulteriori diritti del collaboratore a progetto.

In particolare, si stabilisce che:

§         la gravidanza, malattia ed infortunio non comportano estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo. In caso di gravidanza, inoltre, la durata del rapporto è prorogata di 180 giorni, salvo previsione contrattuale più favorevole;

§         in caso di infortunio o malattia, salva diversa previsione contrattuale, la sospensione del rapporto non comporta una proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. Il contratto si intende comunque risolto se la sospensione si protrae per un periodo superiore ad un sesto della durata stabilita nel contratto, se determinata, ovvero superiore a 30 giorni per i contratti a durata determinabile;

§         infine, ai rapporti che rientrano nel campo di applicazione del capo in esame si applicano specifiche norme, tra le quali si ricordano quelle sul processo del lavoro , quelle sulla tutela della maternità per le lavoratrici iscritte alla gestione separata INPS, le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro, attualmente regolate dal recente D.Lgs. 81/2008 , nonché le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e le norme di cui all’articolo 51, comma 1, della L. 488/1999 (finanziaria 2002) .

 

L’articolo in esame determina la misura del risarcimento nei casi in cui sia stata accertata la natura subordinata di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.

Fatte salve le sentenze passate in giudicato, infatti, nei casi richiamati, il datore di lavoro, nel caso in cui abbia offerto entro il 30 settembre 2008, la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato ai sensi della disciplina transitoria sulla stabilizzazione dell'occupazione, di cui all'articolo 1, commi da 1202 a 1210, della L. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), è tenuto unicamente ad indennizzare il prestatore di lavoro con un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità di retribuzione, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della L. 15 luglio 1966, n. 604[16].

 

Il richiamato articolo 8 stabilisce che nel caso in cui si accerti che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro sia tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di 3 giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo a specifici parametri d’impresa. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai 10 anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai 20 anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di 15 prestatori di lavoro.

 

I richiamati commi 1202-1210 dell’articolo 1 della legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007) sono volti a promuovere la “trasformazione” dei rapporti di lavoro di collaborazione coordinata e continuativa (di seguito: co.co.co.), anche a progetto, in rapporti di lavoro subordinato e a favorire il corretto utilizzo dei medesimi rapporti di collaborazione.

Si evidenzia che i contratti di lavoro subordinato conclusi per avvalersi delle disposizioni in esame non devono necessariamente essere stipulati a tempo indeterminato. Ciò si desume, oltre che dall’ultimo periodo del comma 1203 - che prevede la spettanza dei benefici previsti dalla vigente normativa nel caso in cui i contratti di lavoro siano stipulati a tempo indeterminato – anche e soprattutto dal comma 1210, secondo cui i rapporti di lavoro subordinato instaurati a seguito della “trasformazione” del rapporto di lavoro dei collaboratori devono avere una durata non inferiore a 24 mesi.

Il comma 1202, ha disposto che i datori di lavoro che intendano procedere alla suddetta trasformazione dei rapporti di lavoro sono tenuti – anche per garantire un utilizzo corretto dei rapporti di co.co.co – a stipulare entro il 30 aprile 2007 appositi accordi aziendali o territoriali, se nelle aziende non siano presenti le rappresentanze sindacali o unitari, con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

Il successivo comma 1203 ha previsto che gli accordi sottoscritti promuovono la trasformazione dei rapporti di co.co.co. (anche a progetto) in rapporti di lavoro subordinato e che i lavoratori, a seguito dell’accordo, sottoscrivono appositi atti di conciliazione ai sensi degli articoli 410 e 411 c.c.. L’ultimo periodo del comma 1203, come accennato, precisa che i contratti di lavoro subordinato stipulati a tempo indeterminato godono dei benefici previsti dalla legislazione vigente[17].

Il comma 1204 ha stabilito che le parti sociali possano stabilire, anche mediante accordi interconfederali, misure volte a contribuire al corretto utilizzo del rapporto di co.co.co (anche a progetto) e a prevedere condizioni più favorevoli per i lavoratori che continuano ad essere utilizzati con i medesimi rapporti, ai sensi dell’articolo 61, comma 4, del D.Lgs. 276/2003.

Il comma 1205 ha subordinato la validità degli atti di conciliazione all’adempimento dell’obbligo da parte del datore di lavoro del versamento alla gestione separata INPS, a titolo di contributo straordinario finalizzato al miglioramento del trattamento previdenziale, di una somma pari alla metà della quota di contribuzione a carico dei committenti per i periodi pregressi di svolgimento del rapporto di co.co.co. (anche a progetto), per ciascun lavoratore interessato alla trasformazione del medesimo rapporto.

Il comma 1206 ha disposto che i datori di lavoro siano tenuti a depositare presso l’INPS gli atti di conciliazione insieme ai contratti stipulati con i lavoratori e all’attestazione del versamento di un terzo di quanto complessivamente dovuto a titolo di contributo straordinario integrativo alla gestione separata INPS. La parte rimanente del contributo deve essere versata in trentasei rate mensili. Qualora i datore di lavoro non dovessero procedere ai versamenti delle rate a titolo di contributo straordinario integrativo, si applicano le sanzioni previste in caso di omissione contributiva.

Il comma 1207 ha precisato gli effetti della stipula degli atti di conciliazione e dell’adempimento degli obblighi da parte del datore di lavoro. In particolare, gli atti di conciliazione producono gli effetti degli articoli 410 e 411 c.c. con riferimento ai diritti di natura retributiva, contributiva e risarcitoria relativi al periodo pregresso. Inoltre, è stato previsto che il regolare versamento del contributo straordinario integrativo (eventualmente in forma rateale ai sensi del comma 1206) determina l’estinzione dei reati previsti dalle leggi speciali in materia di versamenti di contributi previdenziali o premi assicurativi e di imposte sui redditi, nonché di obbligazioni per sanzioni amministrative e per ogni altro onere accessorio connesso alla denuncia e al versamento di contributi e premi. Inoltre la disposizione, per quanto riguarda le violazioni in materia contributiva ed assicurativa, sembrerebbe prevedere esclusivamente l’estinzione dei reati in materia di versamento di contributi e dei premi e delle sanzioni amministrative (nonché degli oneri accessori) connesse al versamento dei contributi e dei premi, alla denuncia contributiva mensile all’INPS nonché alla denuncia delle retribuzioni all’INAIL ai fini del pagamento dei premi assicurativi. Invece nulla sembrerebbe previsto per le omissioni o irregolarità relative alle registrazioni sui libri di cui è obbligatoria la tenuta, che integrano ipotesi di evasione e non di semplice omissione. Il comma 1207 ha disposto, inoltre, sempre al fine di incentivare la stabilizzazione dei lavoratori, che per effetto degli atti di conciliazione è precluso ogni accertamento di natura fiscale e contributiva per i pregressi periodi di lavoro prestato come co.co.co. dai lavoratori interessati dalla trasformazione del rapporto.

Il comma 1208, infine, ha consentito l’accesso alla procedura di trasformazione dei rapporti di lavoro anche ai datori di lavoro che siano stati destinatari di provvedimenti amministrativi e giurisdizionali non definitivi concernenti la qualificazione del rapporto di lavoro. Comunque, per accedere alla procedura di trasformazione dei rapporti di lavoro il datore di lavoro deve stabilizzare tutti i lavoratori per i quali sussistono le stesse condizioni dei lavoratori la cui posizione dia stata oggetto di accertamenti ispettivi.

 


 

 

Allegati

 


 

Il messaggio presidenziale di rinvio alle camere

 

 

 


 

Dichiarazione comune dell’11 marzo 2010

 

 


Interrogazione in Assemblea On. Cazzola e Baldelli - 3/00989
(Testo e resoconto parlamentare)

 

CAZZOLA e BALDELLI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

Per sapere - premesso che:

 

il 3 marzo 2010 il Senato della Repubblica ha approvato, in via definitiva, un testo di legge in discussione in Parlamento da quasi due anni, che contiene, tra l'altro, numerose norme in materia di riforma del mercato del lavoro, nonché di modernizzazione per quanto attiene al processo del lavoro, con particolare riferimento all'istituto dell'arbitrato, in coerenza con l'obiettivo del Governo di riformare il sistema processuale, considerato uno dei fattori di ritardo in tema di competitività rispetto agli altri Paesi europei;

vi sono quasi un milione e mezzo di cause di lavoro pendenti in Italia e oltre 400 mila sono i nuovi procedimenti in materia di lavoro e previdenza che, ogni anno, «intasano» le aule dei tribunali, contribuendo, inevitabilmente, all'inefficienza della giustizia ordinaria: si rendono necessari nuovi strumenti per dare certezza ai lavoratori e alle imprese. I tempi di attesa della sentenza gravano, infatti, anche sulle decisioni dei datori di lavoro. Il rischio di un contenzioso è un freno alle assunzioni;

solo in questi giorni a legge approvata, sorprendentemente, dopo quattro letture del provvedimento, sono stati sollevati vizi e profili di illegittimità costituzionale sin qui mai prospettati, cercando di fare leva su un supposto ma infondato attacco alle tutele del lavoro, richiamando anche, in maniera alquanto inappropriata, un presunto «aggiramento» dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che regola le conseguenze del licenziamento illegittimo;

benché la norma in questione preveda esplicitamente la piena libertà delle parti di adire il giudice ordinario, tutte le parti sociali, datoriali e sindacali, dotate di un'ampia capacità rappresentativa del mondo del lavoro, ad eccezione della Cgil, hanno sottoscritto - ad ulteriore garanzia - una dichiarazione comune l'11 marzo 2010 - così come previsto dalla legge stessa - volta a regolare ambiti e procedure dell'arbitrato e delle cosiddette «clausole compromissorie» sottoscritte al momento dell'assunzione, sgombrando il campo da possibili equivoci in materia di aggiramento delle tutele del prestatore di lavoro in caso di risoluzione del rapporto di lavoro;

la Corte costituzionale si è espressa più volte sul giudizio di equità, affermando che esso non è un giudizio extragiuridico, ma che deve trovare i precisi limiti in quel medesimo ordinamento - a partire dai precetti di rilievo costituzionale

 

- nel quale trovano il loro significato la nozione di diritto soggettivo e la relativa garanzia di tutela giurisdizionale;

il ricorso a procedure stragiudiziali di risoluzione delle controversie è previsto in tutti i moderni sistemi di relazioni industriali ed il potenziamento delle stesse è sempre stato raccomandato in tutte le occasioni in cui i Governi hanno avanzato proposte per l'ulteriore evoluzione di tali sistemi e per rendere finalmente più sollecita, e quindi più equa, la giustizia del lavoro;

le modalità di regolazione di questo istituto prevedono un avviso comune nei prossimi dodici mesi sulla base di un procedimento già utilizzato in altre materie e largamente diffuso a livello comunitario: avviso comune che dovrà indirizzare l'intervento del Ministro interrogato, fissandone i limiti -:

quali siano gli intendimenti del Governo in ordine al suddetto avviso comune sottoscritto dalle parti sociali.

(3-00989)

 


 

Seduta 31 marzo 2010: Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

 

(Intendimenti del Governo in ordine all'avviso comune delle parti sociali relativo all'istituto dell'arbitrato in materia di controversie di lavoro - n. 3-00989)

 

PRESIDENTE. L'onorevole Cazzola ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00989, concernente intendimenti del Governo in ordine all'avviso comune delle parti sociali relativo all'istituto dell'arbitrato in materia di controversie di lavoro (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

 

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, signor Ministro, noi abbiamo presentato un'interrogazione sul tema della conciliazione e dell'arbitrato di cui all'articolo 31 del collegato lavoro, interrogazione che ho depositato agli atti. L'avevamo fatto per chiedere al Governo quali fossero gli intendimenti dopo l'avvenuta sottoscrizione da parte delle organizzazioni imprenditoriali e sindacali di un avviso comune riguardante la materia della risoluzione del rapporto di lavoro alla luce delle nuove norme. La lettera del Capo dello Stato, testé letta dal Presidente della Camera, interviene anche su questo argomento e dunque a maggior ragione il tema risulta di particolare rilevanza, e credo anche di interesse dei colleghi, e assume nello stesso tempo anche maggiore importanza il quesito che abbiamo sottoposto alla sua cortese attenzione.

 

PRESIDENTE. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha facoltà di rispondere.

 

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Signor Presidente, il Governo nel prendere atto del rinvio al Parlamento del collegato lavoro alla legge finanziaria 2009 sottolinea che il Presidente della Repubblica ritiene (lo cito) che «l'introduzione nell'ordinamento di strumenti idonei a prevenire l'insorgere di controversie e a semplificare e ad accelerarne le modalità di definizione può risultare certamente apprezzabile e merita di essere valutata con spirito aperto». Cosa che certamente non è avvenuta da parte di quella sinistra politica e sindacale che ancora una volta, di fronte alle idee di Marco Biagi, ha usato un linguaggio pericoloso e inaccettabile.

Con riferimento ai rilievi di merito e opportunità sollevati dal Presidente della Repubblica a questo proposito ci pare che i punti di riflessione siano tre. Primo: una più precisa definizione dell'arbitrato di equità; secondo: i limiti entro cui ammettere la possibilità per le parti di concordare il rinvio agli arbitri di futuri contenziosi all'atto dell'assunzione e terzo: lo spazio di intervento sostitutivo del Ministro del lavoro in caso di mancato accordo tra le parti sociali. Il Governo auspica un rapido esame parlamentare circoscritto alle materie segnalate, anche al fine di consentire la tempestiva attuazione di importanti deleghe, come quella in materia di lavori usuranti.

Nel merito dei rilievi si osserva quanto segue. In primo luogo, l'arbitrato di equità si realizza nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento che per il Governo già includevano i principi regolatori della materia del lavoro come richiesto dal messaggio e come tali, quindi, questi possono essere esplicitati.

In secondo luogo, il Governo ribadisce la propria fiducia verso la contrattazione collettiva a cui la legge assegna il compito di far entrare in vigore l'arbitrato coniugando le ragioni dei lavoratori e delle imprese in modo che la scelta delle parti sia sempre libera e responsabile. In considerazione di ciò il Parlamento potrebbe recepire in legge i contenuti della dichiarazione comune dello scorso 11 marzo con cui tutte le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, tranne la CGIL - è di questi giorni l'adesione anche della Lega delle cooperative - hanno già chiaramente delimitato la clausola compromissoria all'atto dell'assunzione del lavoratore escludendola nel caso di licenziamento.

In terzo luogo, tanto il Governo esprime fiducia nei confronti di un sistema sussidiario libero e pluralistico di contrattazione collettiva, che esso potrebbe diventare anche formalmente la sede esclusiva di regolamentazione delle clausole compromissorie lasciando al Ministro del lavoro il compito di convocare le parti.

In questo vi è tutta la filosofia della regolazione del lavoro perseguita dal Governo e da quasi tutti gli attori sociali, come si è evidenziato negli accordi sul nuovo modello contrattuale e sulla partecipazione dei lavoratori. Come ha insegnato Marco Biagi, un moderno statuto dei lavori si compone di essenziali diritti, regolati dalla legge in termini generalizzati, e da una più ampia rete di tutele flessibilmente concordate tra le parti sociali nei diversi settori o territori tenendo conto delle effettive condizioni del lavoratore e dell'impresa.

 

PRESIDENTE. L'onorevole Cazzola ha facoltà di replicare.

 

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, a scanso di equivoci, per noi - credo di parlare a nome del mio gruppo - le forme di risoluzione stragiudiziale delle controversie di lavoro sono una cartina di tornasole dell'evoluzione di un sistema di relazioni industriali, come peraltro tutta la lettura delle esperienze internazionali sta a dimostrare anche al di fuori del nostro Paese. È quindi assolutamente meritevole e da incoraggiare l'intendimento del Governo di rafforzare tali procedure.

 

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 15,32)

 

GIULIANO CAZZOLA. Pertanto, noi insistiamo e incoraggiamo il Governo a proseguire su questa strada - ovviamente terremo conto delle autorevoli osservazioni che sono state svolte - anche per affrontare il problema di un contenzioso giudiziario il cui sovraccarico - questo è bene che lo si tenga nella dovuta considerazione - è il contrario del «fare giustizia», del rendere giustizia, prima di tutto ai lavoratori.

Quindi, siamo convinti che le intenzioni del Governo vadano nella direzione di offrire ai lavoratori un'opportunità in più e non delle tutele minori. Pertanto, nel dichiararmi soddisfatto della risposta del Ministro, credo che insieme saremo in condizione, Governo e Parlamento, di affrontare e risolvere i problemi emersi e lo faremo nell'esame parlamentare che mi auguro si possa svolgere tra breve (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

 

 


 



[1]     Le schede di lettura relative ai restanti articoli del disegno di legge (non oggetto del messaggio presidenziale) sono disponibili, su richiesta, presso il Servizio studi – Dipartimento lavoro – tel. 06/67604884 e 06/67602798.

[2]    “Delega al Potere esecutivo ad emanare norme generali e speciali in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro”.

[3]    Si tratta del D.P.R. 547/1955 e del D.P.R. 303/1956, ad eccezione dell’articolo 64. Inoltre lo stesso articolo 304 ha abrogato il D.P.R. 164/1956, il quale prevedeva una disciplina aggiuntiva a quella prevista dal D.P.R. 547 in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni.

[4]    L’articolo 409 c.p.c. prevede che si osservano le disposizioni del Capo II del Titolo IV nelle controversie relative a:

§          rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all'esercizio di una impresa;

§          rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie;

§          rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato;

§          rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica;

§          rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, sempreché non siano devoluti dalla legge ad altro giudice

[5]    Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 3 del D.Lgs. 165 del 2001, sono tuttora in regime di diritto pubblico e rimangono quindi disciplinati dai rispettivi ordinamenti in deroga alle norme generali sulla “privatizzazione” e “contrattualizzazione” dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (di cui all’articolo 2, commi 2 e 3 del medesimo decreto):

•     i magistrati ordinari, amministrativi e contabili;

•     gli avvocati e procuratori dello Stato;

•     il personale militare e le Forze di polizia di Stato;

•     il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia;

•     i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del D.Lgs. Capo provv. dello Stato 691/1947, dalla L. 281/1985 e dalla L. 287/1990, cioè sostanzialmente nelle materie della vigilanza sul mercato dei valori mobiliari, della tutela del risparmio e della tutela della concorrenza e del mercato (quali Banca d’Italia, Consob, Autorità garante della concorrenza e del mercato);

•     il personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, esclusi il personale volontario;

•     il personale della carriera dirigenziale penitenziaria;

•     i professori e i ricercatori universitari.

[6]    L’articolo 91 stabilisce che il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa.

Il successivo articolo 92, in merito alla condanna alle spese per singoli atti, prevede che il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all'articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili che, per trasgressione al dovere di cui al precedente articolo 88 che dispone che le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità, essa ha causato all'altra parte. L’articolo 96, infine, dispone che se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna oltre che alle spese, al risarcimento dei danni che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza.

[7]     Materia diversa è quella dei licenziamenti collettivi, disciplinati dalla L. 23 luglio 1991, n. 223 (articolo 24), che sono quelli effettuati dalle imprese con un numero di dipendenti superiore a 15 nei confronti di almeno 5 dipendenti nell'arco di 120 giorni, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, o per cessazione dell'attività.

[8]     Si è ipotizzata al riguardo l'applicabilità dello schema normativo delle obbligazioni alternative (articolo 1285 e ss. del codice civile), con scelta spettante al debitore, ovvero di quello della obbligazione facoltativa, identificando l'obbligazione principale in quella di riassunzione: le due ipotesi hanno conseguenze diverse nel caso di sopravvenuta impossibilità di una delle due forme di adempimento.

[9]     Si evidenzia che la formulazione della disposizione in esame sembrerebbe voler prevedere che il termine per l’impugnazione si intende rispettato se il ricorso viene depositato entro tale termine presso la cancelleria, non occorrendo altresì la notifica al datore di lavoro. Invece la dottrina e la giurisprudenza prevalenti interpretano la normativa vigente nel senso della necessità della notifica entro il termine, considerando l’impugnazione un atto recettizio. Cfr. A. Vallebona, Istituzioni di diritto di lavoro, II. Il rapporto di lavoro, 2002, pag. 370, che richiama, in tal senso, le seguenti pronunce del giudice di legittimità: Cass. 19 ottobre 1981, n. 5468; Cass. S.U. 18 ottobre 1982 n. 5395; Cass. 6 dicembre 1984 n. 6432; Cass. S.U. 2 marzo 1987 n. 2174; Cass. 21 settembre 2000 n. 12507. Lo stesso autore menziona invece, come pronuncia divergente da tale orientamento maggioritario, Cass. 11 ottobre 1978 n. 4550.

 

[10]    D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30.

[11] Su tale punto sono intervenute le modifiche recate dall’articolo 32 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febraio 2003, n. 30”.

[12]L. 29 dicembre 1990, n. 428, “Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee (legge comunitaria per il 1990)”.

[13]D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, “Attuazione della direttiva 98/50/CE relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti”.

[14]D.L. 25 giugno 2008, n. 112, “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, L. 6 agosto 2008, n. 133.

[15]D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, “Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES”.

[16]   “Norme sui licenziamenti individuali”.

[17]   La disposizione è volta a precisare che la trasformazione dei rapporti di co.co.co. (anche a progetto) in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato va assimilata alla instaurazione ex novo di un rapporto di lavoro del medesimo tipo, con la conseguenza della spettanza dei relativi benefici previsti dalla normativa vigente.