Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||||||
Titolo: | Disposizioni in materia di sicurezza pubblica - A.C. 2180 - Schede di lettura | ||||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 128 | ||||||
Data: | 09/03/2009 | ||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
II-Giustizia | ||||||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Disposizioni in materia di sicurezza pubblica A.C. 2180 |
Schede di lettura |
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n. 128 |
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9 marzo 2009 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimenti Istituzioni e Giustizia ( 066760-9559 / 066760-9148 – * st_giustizia@camera.it ( 066760-9475 / 066760-3855 – * st_istituzioni@camera.it |
Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici: |
Servizio Studi – Dipartimenti Finanze, Ambiente e Trasporti Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 – * cdrue@camera.it |
§ La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi. § Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea. . |
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Per l’esame congiunto presso le Commissioni I (Affari costituzionali) e II (Giustizia) dell’A.C. 2180 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, sono stati predisposti i seguenti dossier: § n. 128 (Schede di lettura) § n. 128/0 (Elementi per l’istruttoria legislativa) § n. 128/1 (Riferimenti normativi) § n. 128/2, parte I e II (Iter al Senato) |
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. |
File: GI0101.doc |
INDICE
§ Articolo 2 (Modifiche agli articoli 117 e 371-bis del codice di procedura penale)
§ Articolo 3 (Modifica alla legge 5 febbraio 1992, n. 104)
§ Articolo 4 (Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91)
§ Articolo 5 (Modifiche al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25)
§ Articolo 6 (Modifica all’articolo 116 del codice civile)
§ Articolo 7 (Disposizioni concernenti il reato di danneggiamento)
§ Articolo 9 (Decoro delle pubbliche vie)
§ Articolo 11 (Responsabilità delle persone maggiorenni nei delitti commessi dai minori)
§ Articolo 12 (Disposizioni in tema di occupazione di suolo pubblico)
§ Articolo 13 (Contrasto all’impiego dei minori nell’accattonaggio)
§ Articolo 14 (Ulteriori modifiche al codice penale)
§ Articolo 16 (Modifiche agli articoli 625 e 628 del codice penale)
§ Articolo 17 (Modifica all'articolo 640 del codice penale)
§ Articolo 19 (Modifiche alla legge 2 ottobre 1967, n. 895, e alla legge 18 aprile 1975, n. 110)
§ Articolo 21 (Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato)
§ Articolo 22 (Modifiche al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274)
§ Articolo 23 (Poteri di accesso e accertamento del prefetto)
§ Articolo 25 (Modifiche all'articolo 1 e al titolo della legge 31 maggio 1965, n. 575)
§ Articolo 27 (Modifiche alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423)
§ Articolo 28 (Modifiche alla legge 31 maggio 1965 n. 575)
§ Articolo 30 (Modifiche all'articolo 34 della legge 19 marzo 1990, n. 55)
§ Articolo 32 (Conservazione e amministrazione dei beni sequestrati)
§ Articolo 33 (Custodia di beni mobili registrati)
§ Articolo 35 (Assegnazione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali mafiose)
§ Articolo 37 (Modifiche alla legge 22 dicembre 1999, n. 512)
§ Articolo 38 (Sospensione cautelativa e scioglimento)
§ Articolo 39 (Modifiche all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354)
§ Articolo 40 (Introduzione dell'articolo 391-bis del codice penale)
§ Articolo 43 (Attività di trasferimento di fondi «money transfer»)
§ Articolo 44 (Modifiche al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231)
§ Articolo 45 (Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286)
§ Articolo 46 (Utilizzo dei sistemi di videosorveglianza da parte dei comuni)
§ Articolo 47 (Accordo di integrazione per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno)
§ Articolo 49 (Modifica dell'articolo 407 del codice di procedura penale)
§ Articolo 50 (Modifiche all'articolo 2 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228)
§ Articolo 52 (Concorso delle associazioni volontarie al presidio del territorio)
§ Articolo 53 (Rimpatrio assistito di minore cittadino dell’Unione europea)
§ Articolo 54 (Modifiche al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285)
§ Articolo 56 (Ulteriori modifiche al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285)
§ Art. 57. (Fondo contro l'incidentalità notturna).
§ Articolo 58 (Modifiche al codice penale in materia di circostanze attenuanti)
§ Articolo 64 (Modifica all'articolo 585 del codice penale)
§ Articolo 65 (Disposizioni in materia di pene pecuniarie)
§ Articolo 66 (Copertura finanziaria)
Articolo 1
(Modifiche
al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del
codice di procedura penale)
1. All'articolo 61 del codice penale, il numero 5) è sostituito dal seguente:
«5) l'avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età avanzata, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;».
2.La disposizione di cui all'articolo 61, numero 11-bis), del codice penale si intende riferita ai cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea e agli apolidi.
3. All'articolo 235 del codice penale, il secondo comma è abrogato.
4. All'articolo 312 del codice penale, il secondo comma è abrogato.
5. All'articolo 342 del codice penale è premesso il seguente:
«Art. 341-bis. - (Oltraggio a pubblico ufficiale). - Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l'onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni.
La pena è aumentata se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata o se per esso l'ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l'attribuzione del fatto medesimo, l'autore dell'offesa non è punibile».
6. All'articolo 376, primo comma, del codice penale, dopo le parole: «e 373» sono inserite le seguenti: «, nonché dall'articolo 378, limitatamente ai casi in cui la condotta si riferisce al delitto di cui all'articolo 629».
7. All'articolo 416, sesto comma, del codice penale, le parole: «600, 601 e 602» sono sostituite dalle seguenti: «600, 601 e 602, nonché all'articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,».
8. All'articolo 576, primo comma, del codice penale, il numero 5) è sostituito dal seguente:
«5) in occasione della commissione di taluno dei delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies;».
9. All'articolo 4 del decreto legislativo luogotenenziale 14 settembre 1944, n. 288, la parola: «341» è sostituita dalla seguente: «341-bis».
10. Dopo l'articolo 183 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, sono inseriti i seguenti:
«Art. 183-bis. - (Esecuzione della misura di sicurezza dell'espulsione del cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea e dell'apolide). - 1. L'espulsione del cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea e dell'apolide dal territorio dello Stato è eseguita dal questore secondo le modalità di cui all'articolo 13, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
Art. 183-ter. - (Esecuzione della misura di sicurezza dell'allontanamento del cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea). - 1. L'allontanamento del cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea è disposto in conformità ai criteri e con le modalità fissati dall'articolo 20 del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30».
L’articolo 1 del disegno di legge, modificato durante l’esame al Senato, è composto da 10 commi che apportano modifiche al codice penale ed alle norme di attuazione del codice di procedura penale.
Il comma 1 interviene sull'art. 61 del codice penale, in tema di circostanze aggravanti comuni (che è oggetto di ulteriori modifiche ad opera dell’art. 14 del d.d.l.).
Si ricorda che l'art. 61 c.p. - modificato da ultimo dal D.L. 92/2008[1] - elenca le circostanze aggravanti comuni, ossia le circostanze la cui presenza comporta un aumento di pena, previste dalla parte generale del codice penale in quanto potenzialmente applicabili ad un insieme non predeterminabile di reati (sono invece definite speciali quelle circostanze che sono previste soltanto in rapporto a specifiche figure di reato). Le aggravanti comuni comportano un aumento fino ad un terzo della pena che si sarebbe altrimenti inflitta per il reato-base[2].
In particolare, la disposizione in commento novella la circostanza aggravante comune prevista al n. 5, definita della c.d. minorata difesa, con la finalità di ampliare gli strumenti di tutela per gli anziani. In particolare, viene precisato che l’ipotesi di "minorata difesa" può configurarsi anche nel caso in cui l’autore del reato abbia profittato dell’età avanzata della persona che ha subito il danno.
La disposizione codifica quanto già riconosciuto in giurisprudenza, secondo la quale «La debolezza fisica dovuta all'età senile costituisce una minorazione delle capacità difensive del soggetto che impedisce il tentativo di reazione possibile a una persona giovane e di ordinaria prestanza fisica, particolarmente quando la violenza non venga esercitata con uso di arma o altro mezzo intimidatorio, ma solo con mezzo fisico manuale, e quando risulti che la vittima del reato è stata scelta dall'agente in considerazione dell'avanzata età» (Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 1790 del 1° marzo 1984).
Il comma 2, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca una norma interpretativa del comma 1, n. 11-bis dello stesso art. 61.
Detto comma, introdotto dall’art. 1 del DL 92/2008 ha previsto la cd. aggravante di clandestinità ovvero la circostanza che il colpevole abbia commesso il reato mentre si trovava illegalmente sul territorio nazionale.
Il comma 2 in esame chiarisce che tale aggravante è applicabile ai soli extracomunitari e agli apolidi.
Il commi 3 e 4 dell’art. 1, introdotti durante l’esame al Senato abrogano il secondo comma dell’art. 235 e l’analoga disposizione dell’art. 312 del codice penale, relativi all’espulsione dello straniero dallo Stato a titolo di misura di sicurezza. Entrambe le disposizioni sono state modificate dal decreto-legge n. 92 del 2008.
Mentre l’art. 235 riguarda l’espulsione dello straniero o l’allontanamento del cittadino UE condannati a pena restrittiva della libertà personale superiore a 2 anni, l’art. 312 è relativo all’analoga espulsione nei confronti degli stessi soggetti ove condannati a pena restrittiva (di qualunque entità) della libertà personale per delitto contro la personalità dello Stato.
Entrambe le norme soppresse prevedono attualmente che l’espulsione (o l’allontanamento) - da parte del prefetto - dello straniero (o del cittadino UE) condannato, in presenza dei rispettivi presupposti, venga eseguita dal questore mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4, TU 286/1998 e art. 20, comma 11, D.Lgs 30/2007).
Tali abrogazioni vanno lette in relazione al contenuto del successivo comma 10 che inserisce nelle disposizioni di attuazione del codice processuale penale due nuove norme che confermano tale modalità di esecuzione delle misure di sicurezza: l’art. 183-bis, che riguarda l’espulsione dello straniero exracomunitario e dell’apolide; l’art. 183-ter, inerente l’allontanamento dall’Italia del cittadino di Paese membro dell’Unione europea.
Il comma 5 dell’art. 1, introdotto nel corso dell’esame presso l’altro ramo del Parlamento, reintroduce, con talune modifiche rispetto al testo previgente, il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, già abrogato dall’art. 18 della legge 205 del 1990.
L’art. 341 c.p. puniva chiunque offendeva l'onore o il prestigio di un pubblico ufficiale, in presenza di lui e a causa o nell'esercizio delle sue funzioni, con la reclusione da sei mesi a due anni. La stessa penasi applicava a chi commetteva il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritto o disegno, diretti al pubblico ufficiale, e a causa delle sue funzioni. La pena era della reclusione da uno a tre anni, se l'offesa consisteva nell'attribuzione di un fatto determinato. Infine, l'ultimo comma prevedeva un aumento di pena nel caso di fatto commesso con violenza o minaccia o quando l'offesa fosse stata recata in presenza di una o più persone. La Corte costituzionale aveva peraltro dichiarato l’illegittimità costituzionale delll’art. 341, primo comma, nella parte in cui prevedeva come minimo edittale la reclusione per mesi sei (sentenza n. 341 del 1994). All’abrogazione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale non consegue automaticamente la non punibilità delle offese nei riguardi di quest’ultimo, bensì l’applicazione dell’art. 594 c.p. che punisce il delitto di ingiuria (norma di carattere generale rispetto a quella abrogata). Di conseguenza la condotta che prima costituiva oltraggio a pubblico ufficiale continua ad avere rilevanza penale, integrando il delitto di ingiuria aggravata (ex art. 61, comma 1, n. 10 ) dalla speciale qualifica del destinatario. In tal senso, v. Cassazione penale, sez. V, sentenza n. 43466 del 3 dicembre 2001.
In base al nuovo art. 341-bis si prevede la punibilità con la reclusione fino a 3 anni per chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l'onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni. Un aumento di pena consegue all’offesa consistente nell'attribuzione di un fatto determinato; è, tuttavia, prevista la non punibilità dell’autore dell’illecito se la verità del fatto attribuito è provata o se per tale fatto il pubblico ufficiale è condannato.
Il comma 6, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, novella il primo comma dell’art. 376 c.p, in materia di ritrattazione.
La norma prevede attualmente che la ritrattazione del falso (e la manifestazione del vero) in relazione ai reati di false informazioni al PM, false dichiarazioni al difensore, falsa testimonianza e falsa perizia o interpretazione esclude la punibilità del colpevole quando avvenga entro la chiusura del dibattimento.
Il comma 6 integra il citato catalogo dei reati comprendendovi anche il favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) limitatamente alle ipotesi di estorsione (art. 629 c.p.).
La norma mira evidentemente ad escludere la responsabilità penale delle vittime delle estorsioni in caso di ripensamento entro detto limite processuale.
Il comma 7 della disposizione in commento, introdotto nel corso dell’esame presso l’altro ramo del Parlamento, interviene sulla disciplina del reato di associazione per delinquere di cui all’art. 416 del codice penale, per novellare l’ipotesi aggravata prevista dal sesto comma (in base alla quale la pena è della reclusione da cinque a quindici anni per i promotori dell’associazione; da quattro a nove anni per i meri partecipanti).
La novella inserisce nel commacitato il richiamo al delitto di cui all’art. 12, comma 3-bis, del testo unico sull’immigrazione (D.lgs. n. 286 del 1998).
Tale ultima disposizione viene novellata dall’articolo 48 del disegno di legge in esame. Il nuovo comma 3-bis dell’articolo 12, in particolare prevede le aggravanti per il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina compiuto con particolari modalità di cui al precedente comma 3.
Il testo novellato del comma 3 sanziona con la reclusione da 5 a 15 anni e con la multa di 15.000 euro il compimento di atti diretti a procurare illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato od in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, nonché la condotta di chiunque promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni recate dal medesimo testo unico dell’immigrazione, in presenza di determinate modalità. Tali modalità ricorrono se:
a) il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone;
b) per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale la persona è stata esposta a pericolo per la sua vita o la sua incolumità;
c) per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale la persona è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante;
d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti;
e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.
In base al testo novellato del comma 3-bis, la pena è aumentata laddove il delitto sia commesso ricorrendo due o più delle ipotesi elencate nelle lettere da a) ad e).
Si ricorda che l’attuale formulazione del comma 3-bis prevede invece che i reati di favoreggiamento (vigente comma 1) e sfruttamento dell’immigrazione clandestina (comma 3) siano aggravati nelle seguenti ipotesi (comma 3-bis):
• reati commessi in riferimento a cinque o più clandestini (lett. a);
• reati commessi esposta a pericolo di vita o minacciando l’incolumità del clandestino (lett. b);
• reati commessi sottoponendo a trattamento inumano o degradante il clandestino (lett. c);
• reati commessi da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o comunque illegalmente ottenuti (lett. c-bis).
Il comma 8, introdotto dall’altro ramo del Parlamento, novella l’art. 576 c.p., in tema di circostanze aggravanti dell’omicidio, al fine di prevedere esplicitamente la pena dell’ergastolo per l’omicidio commesso in occasione della commissione dei delitti di violenza sessuale (art. 609-bis), di atti sessuali con minorenne (art. 609-quater) e di violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies).
La disposizione è identica al già vigente articolo 1, comma 1, lett. a), del decreto-legge n. 11 del 2009 (attualmente in corso di conversione).
Si segnala, inoltre, che la lettera b) dell’art. 1, comma 1, del richiamato decreto-legge aggiunge il n. 5.1) al primo comma dell’art. 576, prevede analoga aggravante dell’omicidio se il fatto è commesso dall'autore del delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p. (introdotto dall’art. 7 del medesimo decreto-legge).
Il comma 9 dell’art. 1 ha funzione di coordinamento normativo con la reintroduzione nel codice penale del reato di oltraggio a pubblico ufficiale (v. comma 5). Infatti, la norma - novellando l’art. 4 del decreto legislativo luogotenenziale n. 288 del 1944[3] - aggiunge tale illecito (ivi già compreso prima dell’abrogazione del 1990) tra quelli commessi dai privati contro la pubblica amministrazione per i quali è esclusa l’applicazione della disciplina del codice penale quando il pubblico ufficiale (o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato) abbia dato causa al fatto previsto come reato, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni.
Infine, il comma 10 dell’art. 1 del d.d.l. inserisce nel D.Lgs 271 del 1989 (Norme di attuazione, coordinamento e transitorie del c.p.p.) due nuove disposizioni (artt. 183-bis e ter) relative alle modalità di espulsione degli stranieri dall’Italia a titolo di misura di sicurezza.
Il comma 10 appare coordinato con l’intervenuta abrogazione, ad opera dei commi 3 e 4 dell’art. 1, del secondo comma sia dell’art. 235 che dell’art. 312 del codice penale (v. supra)
Il nuovo art. 183-bis disp. att è relativo all’esecuzione dell’espulsione degli extracomunitari e degli apolidi; l’art. 183-ter riguarda l’analoga esecuzione dell’allontanamento di cittadini di Paesi membri della U.E. Per entrambe le categorie di soggetti è confermata la modalità esecutiva dell’esecuzione ad opera del questore mediante accompagnamento alla frontiera.
Il 10 dicembre 2008 la Commissione europea ha presentato una relazione sul recepimento della direttiva 2004/38/CE che disciplina il diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (COM(2008)840).
E’ attualmente all’esame della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo una proposta di risoluzione (Relatrice Adina-Ioana Valean - Gruppo dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa (ALDE), Romania) sull’applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa alla libera circolazione dei cittadini UE e dei loro familiari. L’esame in plenaria è previsto per il 26 marzo 2009.
Sulla base della comunicazione della Commissione europea prima citata la proposta di risoluzione, tra le altre cose :
§ invita la Commissione a verificare attentamente che leggi e prassi in vigore presso i singoli Stati membri non violino i diritti conferiti ai cittadini dell’Unione dal trattato CE e dalla direttiva, segnatamente in relazione ai concetti di “risorse sufficienti”, “onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante” e “motivi gravi/imperativi di ordine pubblico o pubblica sicurezza”; invita inoltre la Commissione ad accertare l’esistenza e il funzionamento di garanzie concrete e procedurali, nonché di meccanismi di tutela giuridica e della possibilità di ricorrere in giudizio contro i provvedimenti di allontanamento;
§ chiede agli Stati membri di non introdurre atti legislativi che impongano sanzioni sproporzionate o discriminatorie nei confronti di cittadini dell’Unione, quali, ad esempio, la detenzione in caso di allontanamento dal territorio dello Stato membro ospitante, il riconoscimento di una circostanza aggravante nel fatto che un cittadino dell’Unione che abbia commesso un reato abbia in precedenza soggiornato irregolarmente in un altro Stato membro, o l’allontanamento automatico di un cittadino dell’Unione in conseguenza di una condanna penale a suo carico;
Si segnala infine che nel febbraio 2009, il Parlamento europeo ha pubblicato uno studio sugli ostacoli all’attuazione della direttiva 2004/38/CE, realizzato dal CEPS, Centre for European Policy Studies, nel quale vengono affrontati aspetti giudicati problematici relativi a: familiari di cittadini dell’UE originari di paesi terzi e unioni registrate; obbligo di registrazione in entrata; restrizioni all’accesso alla previdenza sociale; uso e abuso del potere di allontanamento.
Articolo 2
(Modifiche agli articoli 117 e 371-bis del codice di procedura penale)
1. All'articolo 117, comma 2-bis, del codice di procedura penale, dopo le parole:
«notizie di reato» sono inserite le seguenti: «, ai registri di cui all'articolo 34 della legge 19 marzo 1990, n. 55,».
2. All'articolo 371-bis, comma 1, primo periodo, del codice di procedura penale, dopo le parole: «e in relazione ai procedimenti di prevenzione antimafia» sono aggiunte le seguenti: «avviati a seguito della proposta avanzata dai procuratori distrettuali».
L'articolo 2, introdotto dal Senato, apporta modifiche ad alcune disposizioni del codice di procedura penale.
Il comma 1 interviene sull’art. 117 c.p.p., in tema di richiesta di copie di atti da parte del pubblico ministero.
L’art. 117 consente al P.M., ai soli fini investigativi, di estrarre copia di atti, anche coperti dal segreto, relativi ad altri procedimenti. Se gli atti concernono un’indagine collegata, il P.M. può fare ricorso allo scambio di informazioni ed atti, disciplinata dall’art. 371 c.p.p. (comma 1). L’autorità giudiziaria adita dal P.M. può rigettare la richiesta con decreto motivato (comma 2). Il comma 2-bis consente, infine, al procuratore nazionale antimafia di accedere al registro delle notizie di reato e alle banche dati istituite appositamente presso le direzioni distrettuali antimafia realizzando, se del caso, collegamenti reciproci.
In particolare, la disposizione novella il comma 2-bis per aggiungere la possibilità per il procuratore nazionale antimafia di accedere ai registri per le annotazioni relative ai procedimenti di prevenzione, istituiti presso le segreterie delle procure della Repubblica e presso le cancellerie dei tribunali, ai sensi dell'art. 34 della legge 19 marzo 1990, n. 55[4].
Si ricorda che anche l’art. 34 della legge n. 55 del 1990 è oggetto di modifica da parte del presente disegno di legge (v. infra, art. 30).
Il comma 2 novella l’art. 371-bis c.p.p., relativo alle attività di coordinamento del procuratore nazionale antimafia, sul quale è recentemente intervenuto anche il decreto-legge n. 92 del 2008[5] .
In particolare, il primo comma dell’art. 371-bis prevede che il procuratore nazionale antimafia eserciti le sue funzioni di coordinamento oltre che in relazione ai delitti di criminalità organizzata indicati nell'articolo 51, comma 3-bis, c.p.p., anche in relazione ai procedimenti di prevenzione antimafia. A tal fine dispone della direzione investigativa antimafia e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia e impartisce direttive intese a regolarne l'impiego a fini investigativi.
Il disegno di legge sembra avere una portata restrittiva, allorché specifica che la competenza del procuratore nazionale antimafia in relazione ai procedimenti di prevenzione antimafia riguarda esclusivamente i procedimenti avviati a seguito della proposta avanzata dai procuratori distrettuali (e dunque non tutti i procedimenti antimafia, escludendo ad esempio quelli in cui la proposta di adozione della misura di prevenzione sia venuta dal questore o dal direttore della Direzione investigativa antimafia ai sensi dell’art. 2 della legge n. 575 del 1965).
1. All'articolo 36 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Quando i reati di cui all'articolo 527 del codice penale, i delitti non colposi di cui ai titoli XII e XIII del libro II del codice penale, nonché i reati di cui alla legge 20 febbraio 1958, n. 75, sono commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale, la pena è aumentata da un terzo alla metà».
L'articolo 3 del disegno di legge mira ad ampliare la tutela penale prevista dall'ordinamento a favore dei disabili, intervenendo sulla circostanza aggravante prevista dall’art. 36, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104[6] .
L’articolo 36, comma 1, attualmente prevede che, in relazione ad alcuni specifici reati, qualora l'offeso dal reato sia una persona handicappata, la pena sia aumentata da un terzo alla metà; la disposizione si applica in riferimento ai seguenti reati:
- atti osceni ex art. 527 c.p.;
- rapina ex art. 628 c.p.;
- delitti non colposi contro la persona, di cui al Titolo XII del Libro II c.p. (tale Titolo racchiude i delitti contro la vita e l'incolumità individuale, i delitti contro l'onore, nonché i delitti contro la libertà individuale);
- reati di cui alla legge 20 febbraio 1958, n. 75, recante "Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui".
Per completezza, si ricorda che, ai sensi del comma 2 dell'art. 36, per i procedimenti penali per i reati di cui al comma 1 è ammessa la costituzione di parte civile del difensore civico, nonché dell'associazione alla quale risulti iscritta la persona handicappata o un suo familiare.
La disposizione in commento:
- estende l'ambito di applicazione dell'aggravante in esame anche a tutti gli altri delitti non colposi di cui al Titolo XIII del Libro II c.p., ossia a tutti i delitti contro il patrimonio;
- conseguentemente, elimina il riferimento specifico al reato di cui all'art. 628 c.p. (in quanto tale articolo è appunto inserito nell'ambito del suddetto Titolo XIII);
- sostituisce il riferimento alla "persona handicappata" con "persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale".
Si ricorda che la definizione di persona handicappata è fornita dall'art. 3, comma 1, della legge 104/1992, che fa riferimento a “colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione".
Occorre valutare l’opportunità della sostituzione del riferimento alla "persona handicappata" con quello alla "persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale" (che non coincide con la definizione di persona handicappata recata dall’art. 3 della legge n. 104 del 1992), tenuto conto della collocazione della disposizione nell’ambito della medesima legge n. 104 del 1992 e del fatto che il successivo comma 2 dell’articolo 36, non novellato dalla disposizione in esame, mantiene il riferimento alla “persona handicappata”.
1. L’articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:
«Art. 5. - 1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano può acquistare la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all’estero, qualora, al momento dell’adozione del decreto di cui all’articolo 7, comma 1, non sia intervenuto lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi.
2. I termini di cui al comma 1 sono ridotti della metà in presenza di figli nati dai coniugi.
3. Le istanze o dichiarazioni di elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della cittadinanza di cui all’articolo 9 sono soggette al pagamento di una tassa di importo pari ad euro 200.
4. Il gettito derivante dalla tassa di cui al comma 3 è attribuito allo stato di previsione del Ministero dell’interno che lo destina per la metà al finanziamento di progetti del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione diretti alla collaborazione internazionale e alla cooperazione ed assistenza ai Paesi terzi in materia di immigrazione anche attraverso la partecipazione a programmi finanziati dall’Unione europea».
2. Dopo l’articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è inserito il seguente:
«Art. 9-bis. - 1. Ai fini dell’elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della cittadinanza, all’istanza o dichiarazione dell’interessato deve essere comunque allegata la certificazione comprovante il possesso dei requisiti richiesti per legge».
L’articolo 4 modifica in alcune parti la L. 91/1992[7] in materia di cittadinanza, introducendo nuovi requisiti – più stringenti – per l’ottenimento della cittadinanza italiana per matrimonio e per concessione.
Il comma 1 riscrive l’articolo 5 della citata L. 91/1992 relativa all’ottenimento della cittadinanza italiana a seguito di matrimonio con cittadino italiano (cosiddetto acquisto jure matrimonii).
Segue il testo a fronte fra la normativa vigente e l’articolo in esame.
L. 91/1992, art. 5 |
L. 91/1992, art. 5 |
1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana quando risiede legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale. |
1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano può acquistare la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all’estero, qualora, al momento dell’adozione del decreto di cui all’articolo 7, comma 1, non sia intervenuto lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi. |
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2. I termini di cui al comma 1 sono ridotti della metà in presenza di figli nati dai coniugi. |
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3. Le istanze o dichiarazioni di elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della cittadinanza di cui all’articolo 9 sono soggette al pagamento di una tassa di importo pari ad euro 200. |
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4. Il gettito derivante dalla tassa di cui al comma 3 è attribuito allo stato di previsione del Ministero dell’interno che lo destina per la metà al finanziamento di progetti del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione diretti alla collaborazione internazionale e alla cooperazione ed assistenza ai Paesi terzi in materia di immigrazione anche attraverso la partecipazione a programmi finanziati dall’Unione europea». |
Si osserva, preliminarmente, che i nuovi commi 3 e 4 dell’articolo 5, introdotti dal comma in esame, si riferiscono all’istituto dell’acquisto della cittadinanza per concessione disciplinato dall’art. 9 della legge 91 e, pertanto, troverebbero corretta collocazione in quella sede.
In base al nuovo testo dell’articolo 5, comma 1, l’acquisto della cittadinanza a seguito di matrimonio con cittadino italiano può avvenire, alternativamente:
§ quando, dopo il matrimonio, il coniuge straniero o apolide risieda legalmente per almeno due anni nel territorio della Repubblica;
§ dopo tre anni dalla data del matrimonio, se il coniuge straniero o apolide sia residente all’estero.
I tratti innovativi della nuova disciplina sono appresso evidenziati.
In ogni caso è necessario che, al tempo dell’adozione del decreto del Ministro dell’interno di concessione della cittadinanza, non sia intervenuto lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi.
Si ricorda che la separazione può essere disposta dal giudice o consensuale (art. 150 c.c.). La separazione consensuale, peraltro, “non ha effetto senza l’omologazione del giudice” (art. 158 c.c.).
Anche il testo vigente prevede in realtà la condizione suddetta (ossia la costanza del regime matrimoniale) senza tuttavia precisare che essa debba ricorrere al tempo dell’adozione del provvedimento.
Quanto all’acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero o apolide residente in Italia, la disciplina proposta è più rigorosa sotto due profili: la residenza nel territorio della Repubblica deve essere biennale, e non semestrale, come nel testo vigente; si chiarisce che detta residenza biennale deve essere successiva al matrimonio, mentre nel testo vigente tale aspetto appare rimesso alla sede interpretativa.
Rispetto poi all’acquisto della cittadinanza nel termine di tre anni successivi al matrimonio, il testo proposto precisa che detto termine triennale vale per il coniuge straniero o apolide “se residente all’estero”; tale precisazione, nel testo vigente, non compare.
Il nuovo testo dell’articolo 5, al comma 2, stabilisce che i termini innanzi illustrati sono dimezzati in presenza di figli nati “dai coniugi”.
Il comma sembra doversi interpretare nel senso che la presenza di figli, indipendentemente dal tempo della nascita, determini il dimezzamento dei termini.
Riepilogando, in base alla novella la durata minima della residenza necessaria all’acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero residente in Italia raddoppia in caso di matrimonio con prole (da sei mesi ad un anno) e quadruplica in caso di matrimonio senza prole (da sei mesi a due anni); mentre la durata minima del matrimonio necessaria all’acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero residente all’estero rimane immutata in caso di matrimonio senza prole (3 anni) e subisce un dimezzamento in caso di matrimonio con prole (da 3 anni a 18 mesi).
Quanto all’impatto reale della nuova disciplina sul numero delle cittadinanze jure matrimonii, la relazione tecnica del disegno di legge originario del Governo (A.S. 733) afferma che i casi di acquisto della cittadinanza si ridurrebbero dai 31.600 riscontrati a legislazione vigente ai 19.275 ipotizzabili annualmente in forza del sopravvenire della nuova disciplina, con conseguente riduzione di oneri per la finanza pubblica.
Come si è detto, contestualmente alla modifica dell’acquisizione della cittadinanza per matrimonio, la disposizione in esame interviene anche nella concessione della cittadinanza allo straniero, prevedendo il pagamento di una tassa di 200 euro per le istanze o dichiarazioni di elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della cittadinanza di cui all’art. 9 della L. 91/1992 (nuovo comma 3 dell’articolo 5).
Attualmente, la domanda di cittadinanza (sia per matrimonio, sia per concessione) da presentarsi alla Prefettura del luogo di residenza, va compilata sull’apposito modello, su cui va apposta una marca da bollo da 14,62 euro.
Il gettito derivante dalla tassa è attribuito al Ministero dell’interno con un vincolo di destinazione, della metà dell’importo, finalizzato al finanziamento dei progetti del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero stesso in materia di collaborazione internazionale e di cooperazione ed assistenza ai Paesi terzi in materia di immigrazione anche attraverso la partecipazione a programmi finanziati dall’Unione europea (nuovo comma 4 dell’articolo 5).
Il comma 2 aggiunge una articolo 9-bis alla L. 91/1992, prevedendo che per l’elezione, l’acquisto, il riacquisto, la rinuncia o la concessione della cittadinanza, le istanze o le dichiarazione dell’interessato devono essere comunque corredate dalla certificazione comprovante il possesso dei requisiti richiesti per legge.
Si ricorda che è attualmente in corso, presso la I Commissione della Camera in sede referente, l’esame congiunto di dieci proposte di legge di iniziativa parlamentare, recanti modifiche alla vigente disciplina della cittadinanza (A.C. 103 ed abb).
Nella Quinta relazione sulla cittadinanza dell’Unione presentata il 15 febbraio 2008 (COM(2008)85), la Commissione europea ricorda la dichiarazione n. 2 allegata al Trattato UE, in base alla quale la nazionalità di uno Stato membro va definita soltanto in riferimento al diritto nazionale dello Stato membro interessato, e le pronunce della Corte di giustizia delle Comunità europee secondo cui è competenza di ciascuno Stato membro determinare i modi di acquisto e di perdita della cittadinanza.Senza pregiudicare la competenza esclusiva degli Stati membri a legiferare in materia di cittadinanza, la Commissione sottolinea tuttavia che il Consiglio europeo di Tampere del 1999 ha approvato "l'obiettivo di offrire ai cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente in maniera prolungata l'opportunità di ottenere la cittadinanza dello Stato membro in cui risiedono". Tale obiettivo è stato successivamente precisato nei documenti delle Istituzioni europee dedicati al temi dell’integrazione, tra cui i “Principi fondamentali comuni della politica di integrazione”, adottati dal Consiglio nel 2004 e la comunicazione "Un'agenda comune per l’integrazione", presentata dalla Commissione europea nel 2005.
Per quanto riguarda la questione dei matrimoni fittizi con cittadini di paesi terzi, il Consiglio giustizia e affari interni del 27 novembre 2008 ha adottato conclusioni sugli abusi e gli sviamenti indebiti del diritto alla libera circolazione delle persone.
Le conclusioni prendono le mosse da un dibattito svoltosi nella sessione del 25 settembre 2008 in merito al seguito da riservare alla sentenza della Corte di giustizia nella causa Metock (C-127/08) e alla questione relativa al soggiorno dei cittadini di paesi terzi coniugati con cittadini dell'UE nel contesto della lotta all'immigrazione irregolare.
Il Consiglio prende nota, al riguardo, delle pertinenti disposizioni della direttiva 2004/38/CE, in particolare quelle contenute nel capo VI sulle limitazioni del diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini comunitari e dei loro familiari segnatamente per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza e quelle dell'articolo 35 sugli abusi di diritto e le frodi, quali ad esempio i matrimoni fittizi e la presentazione di documenti falsificati.
In tale quadro, il Consiglio ritiene che, nel rispetto del diritto alla libera circolazione, si debbano compiere tutti gli sforzi per prevenire e combattere gli abusi con misure severe e proporzionate.
Articolo 5
(Modifiche al decreto legislativo 28
gennaio 2008, n. 25)
1. All'articolo 35 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 5 è sostituito dal seguente:
«5. Entro cinque giorni dal deposito del ricorso, il tribunale, con decreto apposto in calce allo stesso, fissa l'udienza in camera di consiglio. Il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza sono notificati all'interessato e al Ministero dell'interno, presso la Commissione nazionale ovvero presso la competente Commissione territoriale, e sono comunicati al pubblico ministero»;
b) i commi 9, 10 e 11 sono sostituiti dai seguenti:
«9. Il Ministero dell'interno, limitatamente al giudizio di primo grado, può stare in giudizio avvalendosi direttamente di un rappresentante designato dalla Commissione nazionale o territoriale che ha adottato l'atto impugnato. La Commissione interessata può in ogni caso depositare alla prima udienza utile tutti gli atti e la documentazione che ritiene necessari ai fini dell'istruttoria. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 417-bis, secondo comma, del codice di procedura civile.
10. Il tribunale, sentite le parti e assunti tutti i mezzi di prova necessari, entro tre mesi dalla presentazione del ricorso decide con sentenza con cui rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria; la sentenza è notificata al ricorrente e al Ministero dell'interno, presso la Commissione nazionale ovvero presso la competente Commissione territoriale, ed è comunicata al pubblico ministero.
11. Avverso la sentenza pronunciata ai sensi del comma 10 il ricorrente, il Ministero dell'interno e il pubblico ministero possono proporre reclamo alla corte d'appello, con ricorso da depositare presso la cancelleria della corte d'appello, a pena di decadenza, entro dieci giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza»;
c) il comma 14 è sostituito dal seguente:
«14. Avverso la sentenza pronunciata dalla corte d'appello può essere proposto ricorso per cassazione. Il ricorso deve essere proposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza. Esso è notificato alle parti assieme al decreto di fissazione dell'udienza in camera di consiglio, a cura della cancelleria. La Corte di cassazione si pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375 del codice di procedura civile».
L’articolo 5interviene sulla disciplina del riconoscimento dello status di rifugiato, modificando le procedure per il ricorso giurisdizionale avverso le decisioni relative alle domande di riconoscimento (art. 35, D.Lgs. 25/2008[8]). Le modifiche sono principalmente finalizzate ad assicurare alcune prerogative al Ministero dell’interno nell’ambito di tale procedura: in particolare, alcune delle competenze attualmente attribuite alla Commissione nazionale per il diritto di asilo sono trasferite al Ministero dell’interno che le svolge attraverso la Commissione medesima.
In dettaglio le modifiche principali sono le seguenti:
§ la notifica del ricorso e della data dell’udienza sono oggi comunicati dal tribunale alle commissioni territoriale o nazionale (a seconda del tipo di ricorso); la modifica dispone che siano notificati al Ministero dell’interno presso le commissioni territoriali o nazionali;
§ si prevede la partecipazione al giudizio, solo in primo grado, del Ministero dell'interno, attraverso un rappresentante designato dalla Commissione nazionale o territoriale che ha adottato l'atto impugnato. In questo caso si applica, in quanto compatibile, l'articolo 417-bis, secondo comma, del codice di procedura civile[9];
§ anche la sentenza è notificata al Ministero dell’interno tramite le commissioni;
§ il Ministero dell’interno può presentare ricorso avverso la sentenza (ora tale facoltà è riservata solamente al ricorrente e al pubblico ministero).
Le modifiche sono illustrate nel testo a fronte che segue.
Testo vigente art. 35 D.Lgs.25/2008 |
modifiche proposte A.C. 2180 |
Art. 35 |
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Procedure di impugnazione |
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1. Avverso la decisione della Commissione territoriale è ammesso ricorso dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d'appello in cui ha sede la Commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento. Il ricorso è ammesso anche nel caso in cui l'interessato abbia richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e la Commissione territoriale lo abbia ammesso esclusivamente alla protezione sussidiaria. Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, nei trenta giorni successivi alla comunicazione del provvedimento; allo stesso è allegata copia del provvedimento impugnato. Nei casi di accoglienza o trattenimento disposti ai sensi degli articoli 20 e 21, il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, nei quindici giorni successivi alla comunicazione del provvedimento dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d'appello in cui ha sede il centro. |
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2. Avverso la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria, è ammesso ricorso dinanzi al tribunale competente in relazione alla Commissione territoriale che ha emesso il provvedimento che ha riconosciuto lo status di cui è stata dichiarata la revoca o la cessazione. |
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3. Tutte le comunicazioni e notificazioni si eseguono presso l'avvocato del ricorrente mediante avviso di deposto in cancelleria. |
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4. Il procedimento si svolge dinanzi al tribunale in composizione monocratica con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio. |
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5. Entro cinque giorni dal deposito del ricorso, il tribunale, con decreto apposto in calce allo stesso, fissa l'udienza in camera di consiglio. Il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza sono notificati all'interessato e comunicati al pubblico ministero e alla Commissione nazionale ovvero alla competente Commissione territoriale. |
5. Entro cinque giorni dal deposito del ricorso, il tribunale, con decreto apposto in calce allo stesso, fissa l'udienza in camera di consiglio. Il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza sono notificati all'interessato e al Ministero dell'interno, presso la Commissione nazionale ovvero presso la competente Commissione territoriale, e sono comunicati al pubblico ministero |
6. La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che rigetta la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria ai sensi dei commi 1 e 2 sospende l'efficacia del provvedimento impugnato. |
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7. La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria ovvero avverso la decisione adottata dalla Commissione territoriale ai sensi dell'articolo 22, comma 2, e dell'articolo 32, comma 1, lettera b-bis), non sospende l'efficacia del provvedimento impugnato. Il ricorrente può tuttavia chiedere al tribunale, contestualmente al deposito del ricorso, la sospensione del provvedimento quando ricorrano gravi e fondati motivi. In tale caso il tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito, decide con ordinanza non impugnabile, anche apposta in calce al decreto di fissazione dell'udienza. Nel caso di sospensione del provvedimento impugnato al richiedente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo ed è disposta l'accoglienza nei centri di cui all'articolo 20. |
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8. La procedura di cui al comma 7 si applica, in ogni caso, al ricorso presentato dal richiedente di cui agli articoli 20, comma 2, lettere b) e c), e 21. Il richiedente ospitato nei centri di accoglienza ai sensi dell'articolo 20, comma 2, lettere b) e c), o trattenuto ai sensi dell'articolo 21 permane nel centro in cui si trova fino alla adozione dell'ordinanza di cui al comma 7. |
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9. All'udienza può intervenire un rappresentante designato dalla Commissione nazionale o territoriale che ha adottato l'atto impugnato. La Commissione interessata può in ogni caso depositare alla prima udienza utile tutti gli atti e la documentazione che ritiene necessari ai fini dell'istruttoria. |
9. Il Ministero dell'interno, limitatamente al giudizio di primo grado, può stare in giudizio avvalendosi direttamente di un rappresentante designato dalla Commissione nazionale o territoriale che ha adottato l'atto impugnato. La Commissione interessata può in ogni caso depositare alla prima udienza utile tutti gli atti e la documentazione che ritiene necessari ai fini dell'istruttoria. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 417-bis, secondo comma, del codice di procedura civile. |
10. Il tribunale, sentite le parti e assunti tutti i mezzi di prova necessari, decide con sentenza entro tre mesi dalla presentazione del ricorso, con cui rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria; la sentenza viene notificata al ricorrente e comunicata al pubblico ministero e alla Commissione interessata. |
10. Il tribunale, sentite le parti e assunti tutti i mezzi di prova necessari, entro tre mesi dalla presentazione del ricorso decide con sentenza con cui rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria; la sentenza è notificata al ricorrente e al Ministero dell'interno, presso la Commissione nazionale ovvero presso la competente Commissione territoriale, ed è comunicata al pubblico ministero. |
11. Avverso la sentenza pronunciata ai sensi del comma 10 il ricorrente ed il pubblico ministero possono proporre reclamo alla corte d'appello, con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d'appello, a pena di decadenza, entro dieci giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza. |
11. Avverso la sentenza pronunciata ai sensi del comma 10 il ricorrente, il Ministero dell'interno e il pubblico ministero possono proporre reclamo alla corte d'appello, con ricorso da depositare presso la cancelleria della corte d'appello, a pena di decadenza, entro dieci giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza. |
12. Il reclamo non sospende gli effetti della sentenza impugnata; tuttavia la corte d'appello, su istanza del ricorrente, può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa quando ricorrano gravi e fondati motivi. |
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13. Nel procedimento dinanzi alla corte d'appello, che si svolge in camera di consiglio, si applicano i commi 5, 9 e 10. |
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14. Avverso la sentenza pronunciata dalla corte d'appello può essere proposto ricorso per cassazione. Il ricorso deve essere proposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza. Esso viene notificato ai soggetti di cui al comma 5, assieme al decreto di fissazione dell'udienza in camera di consiglio, a cura della cancelleria. La Corte di cassazione si pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375 c.p.c. |
14. Avverso la sentenza pronunciata dalla corte d'appello può essere proposto ricorso per cassazione. Il ricorso deve essere proposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza. Esso è notificato alle parti assieme al decreto di fissazione dell'udienza in camera di consiglio, a cura della cancelleria. La Corte di cassazione si pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375 del codice di procedura civile. |
Il diritto di asilo ha recentemente avuto una regolamentazione dettagliata ad opera di due decreti legislativi, il n. 251/2007[10] e il n. 25/2008[11], entrambi di recepimento della normativa comunitaria (il primo della direttiva 2004/83/CE la cosiddetta direttiva “qualifiche”, il secondo della direttiva 2005/85/CE, cosiddetta direttiva “procedure”) che, insieme, al D.L. 416/1989[12] - la cosiddetta “legge Martelli” - costituiscono la base normativa della materia.
Il Capo V del D.Lgs. 25/2008 attua l’articolo 39 della direttiva che riconosce al richiedente asilo il diritto a ricorrere davanti al giudice nei confronti delle decisioni relative alla sua domanda.
L’articolo 35 del D.Lgs. 25 prevede infatti la possibilità di impugnare:
§ la decisione della commissione territoriale relativa all’accoglimento o il rigetto della domanda;
§ la decisione di accordare la protezione sussidiaria in luogo dello status di rifugiato;
§ la decisione sulla revoca o cessazione della protezione internazionale;
§ il provvedimento di inammissibilità della domanda.
Il ricorso è presentato dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d’appello dove ha sede la commissione territoriale che ha preso la decisione. La sentenza del tribunale può essere impugnata in secondo grado davanti alla Corte d’appello contro la cui decisione si può ricorrere in Cassazione.
Si ricorda che il D.Lgs. 25/2008 è già stato oggetto di modifiche nella legislatura in corso ad opera del D.Lgs. 159/2008.
In materia si segnala la comunicazione “Piano strategico sull'asilo – Un approccio integrato in materia di protezione nell'Unione europea” (COM(2008)360) presentata dalla Commissione europea il 17 giugno 2008.
Al fini di completare la realizzazione del sistema comune europeo di asilo entro il 2010, il piano strategico propone di migliorare la definizione, a livello UE, degli standard di protezione, modificando gli strumenti giuridici esistenti. Il piano strategico prevede strumenti per promuovere la solidarietà nei confronti di quegli Stati membri il cui sistema d'asilo sia sottoposto a un onere eccessivo e misure per sostenere i paesi terzi che ospitano un gran numero di rifugiati.
In tale quadro il 3 dicembre 2008 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure comprendente:
§ una proposta di direttiva che modifica la direttiva 2003/9/CE sulle norme relative all’accoglienza dei richiedenti asilo;
La proposta prevede, tra le altre cose, l’applicazione del trattenimento solo in circostanze eccezionali e con opportune garanzie giuridiche, e mai nei confronti di minori a meno che ciò non sia nel loro interesse;meccanismi atti ad individuare tempestivamente i richiedenti asilo con esigenze particolari per offrire loro un trattamento appropriato; agevolazioni per l’accesso al mercato del lavoro.
§ una proposta di regolamento che modifica il regolamento CE n. 343/2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo;
La proposta, tra le altre cose, facilita il ricongiungimento familiare, in particolare per quanto riguarda il ricongiungimento di un richiedente con parenti con i quali esiste un legame di dipendenza e con beneficiari di protezione sussidiaria.
§ una proposta di regolamento che modifica il regolamento (CE) n. 2725/2000, concernente l’istituzione del sistema “EURODAC” per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione della convenzione di Dublino[13].
In attuazione del Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, il 18 febbraio 2009 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento (COM(2009)66) relativa alla creazione di un Ufficio europeo in materia d'asilo. L'Ufficio, che dovrebbe assumere la forma di un'agenzia comunitaria, svolgerà tre compiti principali: l'appoggio alla cooperazione pratica in materia d'asilo, l'appoggio agli Stati membri sottoposti a pressioni particolari ed il miglioramento dell'applicazione da parte degli Stati membri delle norme comunitarie relative all'asilo.
1. All'articolo 116, primo comma, del codice civile, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano».
L’articolo 6 del disegno di legge, introdotto preso l’altro ramo del Parlamento, novella l’articolo 116 del codice civile al fine di prevedere che lo straniero che vuole contrarre matrimonio in Italia debba esibire - oltre al nulla osta dell’autorità competente nel proprio paese - un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano.
L’articolo 116 del codice civile regola il matrimonio dello straniero in Italia e dispone che:
§ lo straniero che vuole contrarre matrimonio nel nostro paese debba presentare all'ufficiale dello stato civile una dichiarazione dell'autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che nulla osta al matrimonio (primo comma);
§ il matrimonio non potrà essere celebrato in violazione delle seguenti disposizioni, che contengono specifici divieti di contrarre matrimonio (secondo comma):
- art. 85 (in caso di interdizione per infermità di mente);
- art. 86 (relativo alla libertà di stato);
- art. 87 (relativamente ad alcuni gradi di parentela e affinità);
- art. 88 (in caso di condanna per alcuni specifici delitti);
- art. 89 (divieto temporaneo di nuove nozze).
§ lo straniero che ha domicilio o residenza in Italia deve inoltre rispettare le disposizioni italiane in tema di pubblicazioni (terzo comma).
Articolo 7
(Disposizioni concernenti il reato di
danneggiamento)
1. All'articolo 635 del codice penale, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al secondo comma, dopo il numero 3) è inserito il seguente:
«3-bis) su immobili sottoposti a risanamento edilizio o ambientale»;
b) dopo il secondo comma è aggiunto il seguente:
«Per i reati di cui al secondo comma, la sospensione condizionale della pena è sempre subordinata all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna».
Gli articoli da 7 a 10 del disegno di legge introducono disposizioni contro la cd. illegalità diffusa, ovvero contro fattispecie che, pur considerate minori, secondo la relazione del Governo al d.d.l. “incidono notevolmente non tanto sulla vivibilità dei centri urbani, quanto su quelle condizioni minime di cura del territorio dalle quali partire per reimpostare politiche attive di risanamento e di promozione della legalità”.
In particolare, gli articoli 7 e 8 mirano alla repressione del fenomeno dei cd. writers o graffitariovvero gli autori di murales e scritte su muri di edifici pubblici e privati, su autobus, treni ed, in generale, su beni mobili ed immobili altrui.
Anche se nel nostro sistema penale non esiste un reato specifico in materia, l’illecito è attualmente punibile a titolo di danneggiamento oppure di deturpamento e imbrattamento di cose altrui.
L’articolo 7[14]introduce due modifiche all’art. 635 c.p., relativamente al reato di danneggiamento aggravato.
Il vigente art. 635 c.p. punisce colui che distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui. Il reato è punito, a querela della persona offesa - come danneggiamento semplice - con l’ammenda da 258 a 2.582 euro o la permanenza domiciliare da 6 a 30 giorni o il lavoro di pubblica utilità da 10 giorni a 3 mesi[15](primo comma).
Tra le diverse ipotesi aggravatepreviste dal secondo comma[16] dell’articolo 635 vi è quella del reato commesso su edifici pubblici o destinati a uso pubblico o all’esercizio di un culto o su cose di interesse storico o artistico ovunque siano ubicate o su immobili compresi nel perimetro dei centri storici, o su altre delle cose indicate nel numero 7 dell’articolo 625 c.p. (ovvero commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza). Il reato, in tal caso perseguibile d’ufficio, è sanzionato con la reclusione da 6 mesi a 3 anni
Ai sensi dell’art. 4, comma 1, del citato D.Lgs 274/2000, nel solo caso di danneggiamento semplice, la competenza appartiene al giudice di pace e come accennato la procedibilità è a querela della persona offesa (il diritto di querela spetta anche al titolare di un diritto di godimento sul bene danneggiato come, ad esempio, il conduttore dell’immobile). Sul danneggiamento aggravato, procedibile d’ufficio è, invece, competente il tribunale in composizione monocratica.
Il bene - interesse giuridico tutelato nella fattispecie penale in oggetto - è l’inviolabilità del patrimonio, mobiliare e immobiliare, con particolare riferimento al diritto all’integrità della “cosa” nella sua struttura, o comunque nella sua utilizzabilità e fruibilità.
Il fatto materiale del reato di cui all’art. 635 consiste nel deteriorare ovvero modificare, con la propria condotta illecita, una cosa altrui in modo da ridurne in modo apprezzabile il valore. Tale elemento consiste, quindi, in una modificazione funzionale o strutturale della cosa, che quando il danno prodotto è talmente esiguo da risultare irrilevante, esclude la sussistenza del reato (Cass., Sez. II, sent. n. 36302 del 22 settembre 2003).
E’ assolutamente indifferente che la cosa sia mobile o immobile, deve però essere di proprietà o in godimento ad un’altra persona rispetto al soggetto attivo del reato.
L’elemento psicologico del reato di cui all’art. 635 c.p., è rappresentato dal dolo generico, che deve essere inteso come la coscienza e la volontà di porre in essere e di realizzare un’aggressione nei confronti di un bene mobile o immobile, ma con la consapevolezza che la cosa appartiene ad altri. Il dolo quindi non è qualificato dal fine specifico di nuocere, tanto che per la sua esistenza è sufficiente la volontà e la coscienza di danneggiare (Cass. penale, Sez. II, sentenza 13 aprile 2007, n. 15102).
La lettera a) inserisce al secondo comma un nuovo numero 3-bis, volto ad estendere l'aggravante del reato al caso in cui siano danneggiati "immobili sottoposti a risanamento edilizio o ambientale".
Occorre valutare se l'espressione "immobili sottoposti a risanamento edilizio o ambientale" consente una sufficiente individuazione della fattispecie penale, ai fini dell'applicazione dell’aggravante. Si segnala, infatti, che a tale espressione non corrisponde uno specifico riferimento normativo. Con il termine risanamento ambientale, molto ricorrente nella normativa vigente, si fa riferimento ad interventi di bonifica che possono interessare il territorio o anche l'ambito urbano rispetto a determinati fattori inquinanti di varia natura (dai rifiuti, al materiale radioattivo, al rumore); il risanamento edilizio attiene invece a quegli interventi volti a contrastare il fenomeno dell'abusivismo. Si segnala, peraltro che, sia per il risanamento ambientale che per quello edilizio vi è una vasta normativa di livello regionale e locale e che, conseguentemente la "sottoposizione" a tali vincoli deve essere valutata anche con riferimento ad essa.
La lettera b) – sempre con riferimento ai casi di danneggiamento aggravato - interviene sull'istituto della concessione della sospensione condizionale della pena, introducendo un comma aggiuntivo all’art. 635 c.p.. In base alla nuova disposizione la concessione della sospensione condizionale della pena è subordinata all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna.
Si ricorda che alla prima delle indicate condotte riparatorie – se messa in atto prima dell’udienza di comparizione davanti al giudice di pace (quindi nel solo procedimento per danneggiamento semplice di cui all’art. 635, primo comma) – consegue l’estinzione del reato commesso (art. 35 del D.Lgs 274/2000).
Articolo 8
(Disposizioni concernenti il reato di
deturpamento e imbrattamento di cose altrui. Ulteriori sanzioni amministrative)
1. All'articolo 639 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma, le parole: «o immobili» sono soppresse;
b) il secondo comma è sostituito dal seguente:
«Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. Se il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico, si applica la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 1.000 a 3.000 euro»;
c) dopo il secondo comma sono aggiunti i seguenti:
«Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma si applica la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000 euro.
Nei casi previsti dal secondo comma si procede d'ufficio».
2. Chiunque vende bombolette spray contenenti vernici non biodegradabili ai minori di diciotto anni è punito con la sanzione amministrativa fino a 1.000 euro.
3. All'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, dopo la parola: «639» sono inserite le seguenti: «, primo comma,».
L’articolo 8[17]. – integralmente modificato nel corso dell'esame al Senato –introduce significative modifiche al reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui di cui all'art. 639 c.p. prevedendo, inoltre, ulteriori sanzioni amministrative.
L’art. 639 c.p. punisce colui che, fuori dei casi di danneggiamento, deturpa o imbratta cose mobili o immobili altrui; il reato, sempre di competenza del giudice di pace(art. 4, comma 1, del D.Lgs 274/2000), è punito - a querela della persona offesa - con la multa fino a 103 euro (primo comma).
La legge 352 del 1997 ha aggiunto un comma all’art. 639, contemplando, quale ipotesi aggravata e perseguibile d’ufficio, il fatto commesso su cose di interesse storico o artistico ovunque siano ubicate o su immobili compresi nel perimetro dei centri storici. La sanzione, in tal caso, è più grave ed identica a quella prevista per il danneggiamento semplice, ovvero la pena della multa da 258 a 2582 euro o della permanenza domiciliare da 6 a 30 giorni o, ancora, il lavoro di pubblica utilità per un periodo da 10 giorni a 3 mesi (secondo comma).
Il comma 1 interviene sull’art. 639 c.p. graduando l’entità della pena in relazione all’oggetto del deturpamento-imbrattamento (beni mobili, immobili o o mezzi di trasporto, cose d’interesse storico-artistico):
- al primo comma, tramite la soppressione del riferimento ai beni immobili, conserva la sola sanzione pecuniaria (multa fino a 103 euro) quando l’illecito è commesso sui beni mobili (con esclusione dei mezzi di trasporto, v. secondo comma);
- al secondo comma, integra le aggravanti ed incrementa le pene edittali. L’aggravante - punita dalla nuova norma più severamente con la reclusione da 1 a 6 mesi e la multa da 300 a 1.000 euro, anziché con le sanzioni stabilite per il danneggiamento semplice - è applicata per il deturpamento o imbrattamento di (tutti i) beni immobili pubblici e privati (non solo, come attualmente, per quelli compresi nel perimetro dei centri storici) nonché su mezzi di trasporto pubblici o privati (auto, bus, treni,ecc.). Per la già prevista fattispecie aggravata consistente nell’illecito commesso su cose di interesse storico o artistico, ovunque ubicate (al momento punito a titolo di danneggiamento semplice) la sanzione è aumentata prevedendo la reclusione da 3 mesi ad un anno congiunta con la multa da 1.000 a 3.000 euro.
L’art. 8 in esame, inoltre, aggiunge due ulteriori commi all’art. 639 c.p. con i quali:
- nelle ipotesi di reiterazione del reato nelle forme aggravate previste dal secondo comma, la pena applicabile è la reclusione da 3 mesi a 2 anni e la multa fino a 10.000 euro;
- nelle stesse ipotesi aggravate è prevista la procedibilità d’ufficio.
Il comma 3 dell’art. 8 del disegno di legge novella l’art. 4 del D.Lgs 274 del 2000[18] precisando che la competenza del giudice di pace sul reato di imbrattamento e deturpamento di cui all’art. 639 c.p. sussiste nelle sole ipotesi “semplici” di cui al primo comma. Nelle ipotesi aggravate, la competenza appartiene, quindi, al tribunale.
Il comma 2 dell’art. 8 introduce un nuovo illecito amministrativo consistente nella vendita a minori di bombolette spray contenenti vernici non biodegradabili punito con sanzione amministrativa fino a 1.000 euro.
Si richiama brevemente la recente giurisprudenza in merito al titolo di reato applicabile alla condotta dei cd. writers ovvero la non sempre pacifica distinzione tra i reatidi danneggiamento e quello di deturpamento e imbrattamento di cose altrui. Tendenzialmente, la giurisprudenza ha ritenuto applicabile il reato di “deturpamento o imbrattamento di cose altrui”, in relazione ai casi di scritte vergate con vernice spray sul muro di un’immobile e quindi di un’alterazione temporanea e superficiale della cosa il cui aspetto possa quindi tornare, indipendentemente dalla spesa che occorrerà affrontare per la riparazione del bene, allo stato precedente al fatto illecito.
La Cassazione penale, VI sezione, con la sentenza 16 novembre 2000, n. 11756,ha ritenuto che lo scrivere a vernice sui muri di una abitazione sia inquadrabile nella fattispecie di minor gravità prevista dall'art. 639 c.p. e non in quella di cui all'art. 635 c.p.. (danneggiamento), mancando un'immanenza, almeno relativa, degli effetti dannosi sul bene deteriorato, sempre che possa comunque ripristinarsi, senza particolari difficoltà, l'aspetto e il valore originario del bene medesimo. (Nella fattispecie la Corte, pur riconoscendo che la ripulitura dei muri dalle scritte aveva richiesto una ritinteggiatura completa, ha ritenuto tuttavia l'alterazione del bene solo temporanea e superficiale, per quanto costoso sia risultato l'intervento di restauro). Analoga posizione è espressa da Cass., Sez. II, sentenza dell’11 dicembre 2002 n. 12973.
La Cassazione penale, II sezione, sentenza 7 giugno 2002, n. 22370 (conf., Sez. II, sentenza 16 giugno 2005 n. 28793) ha ritenuto che il reato di danneggiamento di cui all'art. 635 cod. pen. si distingue, sotto il profilo del "deterioramento", da quello di deturpamento o imbrattamento previsto dall'art. 639 c.p. perché, mentre il primo produce una modificazione della cosa altrui che ne diminuisce in modo apprezzabile il valore o ne impedisce anche parzialmente l'uso, così dando luogo alla necessità di un intervento ripristinatorio dell'essenza e della funzionalità della cosa stessa, il secondo produce solo un'alterazione temporanea e superficiale della "res" il cui aspetto originario, quindi, quale che sia la spesa da affrontare, è comunque facilmente reintegrabile. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che fosse qualificabile come danneggiamento lo sfregio, mediante uso di una chiave, della carrozzeria di un'autovettura, siccome costituente non una semplice alterazione estetica, facilmente rimuovibile con una ripulitura, ma una lesione non temporanea o superficiale dell'integrità del veicolo, in quanto idonea a diminuire immediatamente la protezione del medesimo dai fenomeni atmosferici e di ossidazione).
In un caso particolare, la giurisprudenza di merito ha ritenuto inesistenti anche gli elementi del reato di cui all’art. 639. Il Tribunale dei Minorenni di Cagliari, nella sentenza del 27 novembre 2000 ha ritenuto infatti che tracciare un disegno con alcuni gessi su un monumento ai caduti di proprietà comunale non configura alcun reato; ciò, in quanto l’eliminazione delle relative raffigurazioni non richiedeva un intervento di rifacimento sull’intero monumento, potendo, invece, ritenersi sufficiente la cancellatura delle medesime, facilmente realizzabile data la natura del materiale utilizzato. Secondo i magistrati minorili, in relazione all’ipotesi di reato di cui all’articolo 639 c.p., la rilevanza del pregiudizio arrecato alla cosa deve essere tale da provocare nei terzi un notevole senso di ripugnanza e ribrezzo.
1. Le sanzioni amministrative previste dai regolamenti ed ordinanze comunali per chiunque insozzi le pubbliche vie non possono essere inferiori all'importo di euro 500.
L’articolo 9, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca una disposizione di particolare rilevanza a tutela del decoro delle pubbliche vie.
La norma prevede, infatti, che le sanzioni amministrative pecuniarie dettate da regolamenti ed ordinanze comunali per chiunque insozzi le pubbliche vie non possano essere inferiori a 500 euro.
Con riferimento alla scelta del legislatore di determinare l’entità delle sanzioni, la Corte costituzionale ritiene che uno scrutinio che direttamente investa il merito delle scelte sanzionatorie del legislatore sia possibile solo ove l'opzione normativa contrasti in modo manifesto con il canone della “ragionevolezza” vale a dire si manifesti, in concreto, come espressione di un uso distorto della discrezionalità (Corte costituzionale sentt. n. 144 del 2001, n. 58 del 1999, n. 297 del 1998, n. 313 del 1995, ord. 246 del 2007, sent. n. 345 del 2007). Secondo la Corte costituzionale, la valutazione va fatta investendo, innanzitutto, la sua “ragionevolezza intrinseca” e dunque la coerenza tra il contenuto della norma e la finalità perseguita attraverso la sua previsione.
Con riferimento all’uso della locuzione “pubbliche vie”, che sembrerebbe limitare l’ambito applicativo della nuova norma, occorre valutare se utilizzare l’espressione “luogo pubblico”, che ha una portata più ampia, identificando per definizione un luogo accessibile a tutti senza particolari limitazioni (e che può consistere in vie, piazze, giardini pubblici, spiagge demaniali, ecc.)
Si ricorda inoltre che la normativa penale ambientale (D.Lgs 152/2006, cd. codice ambientale, art. 255) prevede come pena per l’abbandono o il deposito abusivo di determinate categorie di rifiuti “a rischio” la sanzione amministrativa pecuniaria da 105 a 620 euro. Se l'abbandono di rifiuti sul suolo riguarda, invece, rifiuti non pericolosi e non ingombranti (ad esempio, un sacchetto per immondizia di uso domestico) si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 25 a 145 euro[19]. Si richiama, inoltre, l’articolo 15 del codice della strada (D.Lgs. n. 285 del 1992), che vieta di gettare o depositare rifiuti o materie di qualsiasi specie, insudiciare e imbrattare comunque la strada e le sue pertinenze (lett. f), nonché di gettare dai veicoli in movimento qualsiasi cosa (lett. i) e punisce tali comportamenti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 23 a euro 92.
Occorre valutare l’opportunità di un coordinamento dell’articolo in esame con le disposizioni sopra richiamate.
Articolo 10
(Introduzione
dell'articolo 34-bis nel nuovo codice
della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285)
1. Nel titolo II, capo I, del nuovo codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, di seguito denominato: «decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285», dopo l'articolo 34 è inserito il seguente:
«Art. 34-bis. - (Decoro delle strade). - 1. Chiunque insozza le pubbliche strade gettando rifiuti od oggetti dai veicoli in movimento o in sosta è punito con la sanzione amministrativa da euro 500 a euro 1.000».
L’articolo 10 del disegno di legge, anch’essointrodotto dal Senato, completa l’intervento del precedente articolo 8 relativo al decoro delle pubbliche vie.
La disposizione aggiunge una disposizione (art. 34-bis “Decoro delle strade”) al Codice della strada (D.Lgs 285/1992) che introduce un nuovo illecito amministrativo consistente nello “insozzare” le strade pubbliche gettando rifiuti od altri oggetti dai veicoli sia in sosta che in movimento. L’illecito è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 1.000 euro.
Con riferimento alla descrizione della fattispecie, nonché all’opportunità di un coordinamento normativo, si rinvia alla scheda relativa all’articolo 9.
Articolo 11
(Responsabilità delle persone maggiorenni
nei delitti commessi
dai minori)
1. All'articolo 112 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma, numero 4), dopo le parole: «avvalso degli stessi» sono inserite le seguenti: «o con gli stessi ha partecipato»;
b) al secondo comma, dopo le parole: «si è avvalso di persona non imputabile o non punibile, a cagione di una condizione o qualità personale,» sono inserite le seguenti: «o con la stessa ha partecipato»;
c) al terzo comma, dopo le parole: «Se chi ha determinato altri a commettere il reato o si è avvalso di altri» sono inserite le seguenti: «o con questi ha partecipato».
L'articolo 11 del disegno di legge modifica il regime delle circostanze aggravanti applicabili nel caso di concorso nel reato, con l'intento di aggravare la pena applicabile al correo maggiorenne[20] .
Attualmente, l'art. 112 c.p. prevede quattro categorie di circostanze aggravanti per l'ipotesi di concorso di persone nel reato (primo comma):
1. quando il reato è stato commesso da 5 o più persone;
2. in un reato commesso da più persone, aver promosso od organizzato la cooperazione o diretto l'esecuzione del reato;
3. nell'esercizio della propria autorità, direzione o vigilanza, aver convinto dei subalterni a commettere un reato. Non è rilevante che tra chi esercita autorità, direzione o vigilanza e i suoi subordinati esista un rapporto di diritto pubblico, essendo sufficiente un rapporto di subordinazione a qualunque livello, anche un semplice rapporto familiare;
4. avere indotto a commettere il reato un minorenne, o una persona in stato di infermità o deficienza psichica, fuori dei casi previsti dal numero precedente. Se chi ha indotto a commettere il reato è il genitore esercente la potestà, la pena è aumentata fino alla metà (terzo comma).
L’art. 112, secondo comma, prevede che la pena sia aumentata della metà se, per commettere il reato per il quale è previsto l’arresto in flagranza, ci si avvale di persona non imputabile o non punibile a causa di una condizione o qualità personale. L'aumento della pena è pari ai due terzi se è il genitore a indurre il figlio al reato (terzo comma).
Il disegno di legge – riprendendo l’art. 2 del disegno di legge A.C. 3278, presentato nella scorsa legislatura[21] - modifica l'art. 112 c.p., prevedendo l'applicabilità delle aggravanti ivi previste anche nei confronti delle persone maggiorenni che concorrono nel reato con un minore di anni 18 o con una persona in stato di infermità o di deficienza psichica (e dunque non solo nei confronti di chi li determini a commettere il reato o se ne sia avvalso, come è attualmente previsto)[22] .
Analiticamente, tale risultato viene perseguito attraverso le seguenti novelle:
Codice penale |
A.C. 2180 |
Art. 112 Circostanze aggravanti |
|
La pena da infliggere per il reato commesso è aumentata: |
Identico: |
1. se il numero delle persone, che sono concorse nel reato, è di cinque o più salvo che la legge disponga altrimenti; |
1. identico; |
2. per chi, anche fuori dei casi preveduti dai due numeri seguenti, ha promosso od organizzato la cooperazione nel reato, ovvero diretto l'attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo; |
2. identico; |
3. per chi nell'esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza ha determinato a commettere il reato persone ad esso soggette; |
3. identico; |
4. per chi, fuori del caso preveduto dall'articolo 111, ha determinato a commettere il reato un minore di anni 18 o una persona in stato di infermità o di deficienza psichica, ovvero si è comunque avvalso degli stessi nella commissione di un delitto per il quale è previsto l'arresto in flagranza. |
4. per chi, fuori del caso preveduto dall'articolo 111, ha determinato a commettere il reato un minore di anni 18 o una persona in stato di infermità o di deficienza psichica, ovvero si è comunque avvalso degli stessi o con gli stessi ha partecipato nella commissione di un delitto per il quale è previsto l'arresto in flagranza. |
La pena è aumentata fino alla metà per chi si è avvalso di persona non imputabile o non punibile, a cagione di una condizione o qualità personale, nella commissione di un delitto per il quale è previsto l'arresto in flagranza. |
La pena è aumentata fino alla metà per chi si è avvalso di persona non imputabile o non punibile, a cagione di una condizione o qualità personale, o con la stessa ha partecipato nella commissione di un delitto per il quale è previsto l'arresto in flagranza. |
Se chi ha determinato altri a commettere il reato o si è avvalso di altri nella commissione del delitto ne è il genitore esercente la potestà, nel caso previsto dal numero 4 del primo comma la pena è aumentata fino alla metà e in quello previsto dal secondo comma la pena è aumentata fino a due terzi. |
Se chi ha determinato altri a commettere il reato o si è avvalso di altri o con questi ha partecipato nella commissione del delitto ne è il genitore esercente la potestà, nel caso previsto dal numero 4 del primo comma la pena è aumentata fino alla metà e in quello previsto dal secondo comma la pena è aumentata fino a due terzi. |
Gli aggravamenti di pena stabiliti nei numeri 1, 2 e 3 di questo articolo si applicano anche se taluno dei partecipi al fatto non è imputabile o non è punibile. |
Identico. |
Nella risoluzione “Verso una strategia dell’Unione europea sui diritti dei minori”, adottata il 16 gennaio 2008, il Parlamento europeo, tra le altre:
§ propone che l'UE definisca come "bambini a rischio" tutti i bambini vittime di una situazione sociale che metta a repentaglio la loro integrità mentale e fisica o li esponga ai rischi della delinquenza, sia come protagonisti che come vittime;
§ invita la Commissione e gli Stati membri ad adottare iniziative (campagne di informazione, scambio di migliori prassi, ecc.) per evitare che i bambini diventino a rischio, compresa la prevenzione della delinquenza giovanile;
§ invita tutti gli Stati membri a far sì che i minori siano rappresentati in modo efficace e indipendente in qualsiasi procedimento giurisdizionale o quasi giurisdizionale che li riguardi e abbiano un tutore legalmente designato qualora nessun membro della famiglia responsabile, competente e idoneo sia in grado di assumersi tali responsabilità.
Nella risoluzione sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione europea (2004-2009), adottata il 14 gennaio 2009, il Parlamento europeo, tra le altre cose, osserva che non tutti i paesi membri fissano la stessa età per la responsabilità penale e manifesta preoccupazione per il fatto che, in alcuni di essi, i minori siano regolarmente deferiti ad autorità giudiziarie competenti per gli adulti e che in altri paesi i tribunali minorili vengano chiusi; chiede agli Stati membri di allineare i loro sistemi giudiziari affinché nessun minore venga giudicato in base alle stesse modalità applicate per un adulto.
Articolo 12
(Disposizioni in tema di occupazione di
suolo pubblico)
1. Fatti salvi i provvedimenti dell'autorità per motivi di ordine pubblico, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico previsti dall'articolo 633 del codice penale e dall'articolo 20 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, il sindaco, per le strade urbane, e il prefetto, per quelle extraurbane o, quando ricorrono motivi di sicurezza pubblica, per ogni luogo, possono ordinare l'immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione a fine di commercio, la chiusura dell'esercizio fino al pieno adempimento dell'ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche nel caso in cui l'esercente ometta di adempiere agli obblighi inerenti alla pulizia e al decoro degli spazi pubblici antistanti l'esercizio.
3. Se si tratta di occupazione a fine di commercio, copia del relativo verbale di accertamento è trasmessa, a cura dell'ufficio accertatore, al comando della Guardia di finanza competente per territorio, ai sensi dell'articolo 36, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
L’articolo 12 prevede nuovi poteri dei sindaci e dei prefetti in materia di occupazione abusiva del suolo pubblico.
Tali poteri sono esercitabili, ai sensi del comma 1, in presenza delle seguenti tipologie di occupazione illecita:
§ occupazione che integri il reato di Invasione di terreni o edifici, di cui all’art. 633 c.p.;
§ occupazione che integri l’illecito amministrativo di Occupazione della sede stradale, di cui all’art. 20 del D.Lgs. 285/1992 (Nuovo codice della strada).
Commette il reato di cui all’articolo 633 c.p. chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto.
La disciplina limitativa dettata dall’art. 20 del Codice della strada riguarda l’occupazione delle strade, delle fasce di rispetto, dei marciapiedi con veicoli, baracche, tende e simili ovvero con chioschi, edicole od altre installazioni. Le infrazioni a tale disciplina sono soggette a sanzione amministrativa pecuniaria nonché all’obbligo per l'autore di rimuovere le opere abusive a proprie spese.
Ai sensi dell’articolo in commento il sindaco, per le strade urbane, e il prefetto, per quelle extraurbane – o, quando ricorrono motivi di sicurezza pubblica, per ogni luogo – possono ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti.
Se si tratta di occupazione a fine di commercio, poi, alle prescrizione di cui sopra si accompagna la chiusura dell’esercizio fino al pieno ripristino dei luoghi e al pagamento delle spese o alla prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni.
Sono fatti espressamente salvi i diversi provvedimenti adottabili dall’autorità per motivi di ordine pubblico.
Un potere prefettizio di emanare ordinanze d’urgenza per la tutela dell'ordine pubblico è previsto, ad esempio, dall’art. 2 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. 773/1931).
Il comma 2 prevede che i nuovi poteri di ripristino autoritativo siano utilizzabili anche nel caso in cui l’esercente ometta di adempiere agli obblighi inerenti alla pulizia e al decoro degli spazi pubblici antistanti l’esercizio.
Obblighi come quelli cui fa riferimento il comma in esame sono previsti solitamente nei regolamenti comunali di polizia urbana.
Nell’impossibilità di offrire un quadro esaustivo, un esempio di imposizione di siffatti obblighi può essere dato dall’art. 10 del regolamento di polizia urbana della città di Venezia, che così dispone: “È proibito agli esercenti di negozi, pubblici esercizi, chioschi, botteghe, laboratori e simili, ai venditori ambulanti e a quant'altri occupino a qualsiasi titolo aree pubbliche o di pubblico passaggio o aree antistanti le stesse, di gettare, lasciar cadere o dar causa che cada o abbandonare, alcun residuo o rifiuto che possa danneggiare o sporcare il suolo. I suddetti esercenti sono tenuti a mantenere pulite le aree circostanti, i loro locali o impianti, e può essere fatto loro obbligo di mettere a disposizione del pubblico anche all'esterno del locale un conveniente numero di idonei porta-rifiuti, sempre che esista la possibilità ai fini della viabilità”.
Il comma 3 prevede, qualora si tratti di occupazione abusiva a fine di commercio, la trasmissione del relativo verbale di accertamento, da parte dell’ufficio accertatore, al comando della Guardia di finanza competente per territorio; ciò al fine di assicurare l’applicazione della disposizione di cui all’art. 36 del D.P.R. 600/1973[23], concernente la comunicazione di fatti che possono configurarsi come violazioni tributarie.
Ai sensi della disposizione citata “I soggetti pubblici incaricati istituzionalmente di svolgere attività ispettive o di vigilanza nonché gli organi giurisdizionali, requirenti e giudicanti, penali, civili e amministrativi e, previa autorizzazione, gli organi di polizia giudiziaria che, a causa o nell'esercizio delle loro funzioni, vengono a conoscenza di fatti che possono configurarsi come violazioni tributarie devono comunicarli direttamente ovvero, ove previste, secondo le modalità stabilite da leggi o norme regolamentari per l'inoltro della denuncia penale, al comando della Guardia di finanza competente in relazione al luogo di rilevazione degli stessi, fornendo l'eventuale documentazione atta a comprovarli”.
Si ricorda che disposizioni sostanzialmente identiche a quelle illustrate erano recate dal disegno di legge Disposizioni in materia di sicurezza urbana, presentato alla Camera dal Governo pro tempore nella XV legislatura (A.C. 3278, art. 6).
Articolo 13
(Contrasto all’impiego dei minori
nell’accattonaggio)
1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo l'articolo 600-septies è inserito il seguente:
«Art. 600-octies. - (Impiego di minori nell'accattonaggio). - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque si avvale per mendicare di una persona minore degli anni quattordici o, comunque, non imputabile, ovvero permette che tale persona, ove sottoposta alla sua autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza, mendichi, o che altri se ne avvalga per mendicare, è punito con la reclusione fino a tre anni»;
b) dopo l'articolo 602 è inserito il seguente:
«Art. 602-bis. - (Pene accessorie). - La condanna per i reati di cui agli articoli 600, 601 e 602 comporta, qualora i fatti previsti dai citati articoli siano commessi dal genitore o dal tutore, rispettivamente:
1) la decadenza dall'esercizio della potestà del genitore;
2) l'interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente all'amministrazione di sostegno, alla tutela e alla cura»;
c) all'articolo 609-decies, primo comma, dopo la parola: «600-quinquies,» è inserita la seguente: «600-octies,»;
d) l'articolo 671 è abrogato.
L’articolo 13 del disegno di legge – riproponendo sostanzialmente il contenuto dell’art. 1 dell’A.C. 3278 della scorsa legislatura[24] – introduce nell’ordinamento il delitto di Impiego di minori nell’accattonaggio (art. 600-octies c.p.)
Si ricorda che attualmente vige nel nostro ordinamento una omonima contravvenzione, prevista dall'art. 671 c.p., in forza del quale è sanzionato con l'arresto da 3 mesi a un anno chiunque si vale, per mendicare, di una persona minore degli anni quattordici o, comunque, non imputabile, la quale sia sottoposta alla sua autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza, ovvero permette che tale persona mendichi, o che altri se ne valga per mendicare (primo comma ). Se il fatto è commesso dal genitore o dal tutore, la condanna importa la sospensione dall'esercizio della potestà parentale o dall'ufficio di tutore (secondo comma).
Peraltro, nell’applicazione di questa disposizione si evidenziano posizioni diverse in giurisprudenza. Da una parte, infatti, vi sono pronunce nelle quali la Cassazione penale ha configurato nell’impiego del minore per accattonaggio gli estremi del maltrattamento[25]; dall’altra pronunce nelle quali ha ravvisato gli estremi della contravvenzione, nel presupposto che il minore fosse in grado di recepire l’attività alla quale era volto[26] ed ha invece escluso la rilevanza penale del fatto in assenza di tale consapevolezza[27].
In base al nuovo art. 600-octies c.p., introdotto dall’articolo 13, comma 1, lettera a), sanziona con la reclusione fino a tre anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi:
§ si avvale per mendicare di una persona minore degli anni quattordici o, comunque, non imputabile, ovvero
§ permette che tale persona, ove sottoposta alla sua autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza, mendichi, ovvero
§ permette che altri se ne avvalga per mendicare.
Il delitto sembrerebbe avere un ambito di applicazione più ampio dell’attuale contravvenzione, in quanto la prima delle condotte che lo integrano - l'avvalersi per mendicare di una persona minore degli anni quattordici o, comunque, non imputabile - prescinderebbe dal fatto che tale persona sia sottoposta all'autorità del soggetto attivo o affidata alla sua custodia o vigilanza. Tale elemento permane invece con riferimento alle altre due condotte (il permettere che tale persona mendichi ovvero che altri se ne avvalga per mendicare).
A differenza del vigente art. 671 c.p., il nuovo art. 600-octies non contempla esplicitamente le pene accessorie applicabili nel caso di fatto applicabile dal genitore o dal tutore. Rispetto al nuovo delitto possono trovare comunque applicazione le norme di carattere generale contenute nell’articolo 34, secondo comma c.p. (sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori per delitti commessi con abuso della medesima) e 31 c.p. (interdizione temporanea dall’ufficio di tutore o di curatore e di ogni altro ufficio attinente alla cura o alla tutela).
Più nel dettaglio, l’articolo 34 c.p. prevede che la condanna per delitti commessi con abuso della potestà dei genitori importa la sospensione dall'esercizio di essa per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta. In base al quarto comma la sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori importa anche l'incapacità di esercitare, durante la sospensione, qualsiasi diritto che al genitore spetti sui beni del figlio in base alle norme del titolo IX del libro I del codice civile.
L’articolo 31 c.p. dispone che ogni condanna per delitti commessi con l'abuso dei poteri, o con la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, o ad un pubblico servizio, o a taluno degli uffici indicati nel n. 3 dell'articolo 28 (ufficio di tutore o di curatore, anche provvisorio, e ogni altro ufficio attinente alla cura o alla tutela), ovvero con l'abuso di una professione, arte, industria, o di un commercio o mestiere, o con la violazione dei doveri a essi inerenti, importa l'interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione, arte, industria o dal commercio o mestiere.
La lettera b) introduce nel codice penale l’art. 602-bis, che dispone l'applicazione di una pena accessoria (rispettivamente, perdita della potestà del genitore o interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente all'amministrazione di sostegno, alla tutela e alla cura) nel caso in cui i reati di cui agli artt. 600 c.p. (Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù), 601 c.p. (Tratta di persone) e 602 c.p. (Acquisto e alienazione di schiavi) siano commessi dal genitore o dal tutore.
La lettera c), facendo seguito all’introduzione del delitto di Impiego di minori nell’accattonaggio abroga la contravvenzione prevista dall’art. 671 c.p.
La lettera d), infine, novella l’art. 609-decies c.p., inserendo la nuova fattispecie di impiego di minori nell’accattonaggio (art. 600-octies) fra i delitti per i quali il procuratore della Repubblica deve dare comunicazione al tribunale per i minorenni.
Dall’applicazione di questa norma consegue che, in ogni stato e grado di procedimento, dovrà essere assicurata al minorenne assistenza affettiva e psicologica, attraverso la presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne e ammesse dall'autorità giudiziaria che procede (art. 609-decies, comma secondo); il minorenne dovrà inoltre essere assicurata l'assistenza dei servizi minorili dell'Amministrazione della giustizia e dei servizi istituiti dagli enti locali (comma terzo), dei quali si avvarrà anche l'autorità giudiziaria (comma quarto).
Nella risoluzione “Verso una strategia dell’Unione europea sui diritti dei minori”, adottata il 16 gennaio 2008, il Parlamento europeo, tra le altre invita tutte le istituzioni dell’UE e tutti gli Stati membri a partecipare attivamente alla lotta contro il traffico di minori, qualunque sia la forma di sfruttamento (accattonaggio, lavoro minorile, lavoro forzato, servitù domestica, schiavitù, lavoro in regime di servitù) e chiede agli Stati membri di attuare misure adeguate per proibire tali fenomeni.
Nella risoluzione del 31 gennaio 2008 su una Strategia europea per i rom il Parlamento europeo, tra le altre cose, invita gli Stati membri e la Commissione a combattere lo sfruttamento dei bambini rom, l'accattonaggio che sono costretti a praticare e il loro assenteismo scolastico.
1. All'articolo 61 del codice penale, dopo il numero 11-bis) è aggiunto il seguente:
«11-ter) l'aver commesso il fatto ai danni di soggetti minori all'interno o nelle immediate vicinanze di scuole per l'infanzia e istituti di istruzione e formazione di ogni ordine e grado».
2. All'articolo 527 del codice penale, dopo il primo comma è inserito il seguente:
«La pena è aumentata da un terzo alla metà se il fatto è commesso all'interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano».
3. All'articolo 609-ter, primo comma, del codice penale, dopo il numero 5) è aggiunto il seguente:
«5-bis) all'interno o nelle immediate vicinanze di istituto d'istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa».
L’articolo 14, introdotto nel corso dell’esame presso l’altro ramo del Parlamento, mira ad offrire una maggiore tutela ai minori attraverso la previsione di specifiche aggravanti laddove alcuni reati vengano commessi nelle vicinanze di luoghi dagli stessi abitualmente frequentati.
In particolare, il comma 1, interviene sull’art. 61 del codice penale in tema di circostanze aggravanti comuni (si ricorda che ulteriori modifiche al medesimo articolo sono previste dall’art. 1 del d.d.l.).
L'art. 61 c.p. elenca le circostanze aggravanti comuni, ossia le circostanze aggravatrici di pena che sono previste dalla parte generale del codice penale, in quanto potenzialmente applicabili ad un insieme non predeterminabile di reati (sono invece definite speciali quelle circostanze che sono previste soltanto in rapporto a specifiche figure di reato). Le aggravanti comuni comportano un aumento fino ad un terzo della pena che si sarebbe altrimenti inflitta per il reato-base.
Il disegno di legge inserisce un ulteriore numero (n. 11-ter) in forza del quale è previsto un aumento della pena fino a un terzo se il fatto è stato commesso in danno di minori all’interno o nelle immediate vicinanze di scuole.
Il comma 2 novella invece l’art. 527 del codice penale, relativo al delitto di atti osceni.
Il codice penale sanziona con la reclusione da 3 mesi a 3 anni chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni (primo comma). Se il fatto avviene per colpa, si tratta solo di illecito amministrativo, per il quale è prevista la sanzione da 51 a 309 euro (secondo comma). Si ricorda che, ai sensi dell’art. 529, comma 1, c.p., agli effetti della legge penale si considerano osceni gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore.
Il disegno di legge dispone che la pena sia aumentata da un terzo alla metà se il fatto è commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di un luogo abitualmente frequentato da minori, laddove ciò comporti il pericolo che essi vi assistano.
Questa aggravante intende tutelare il minore, inasprendo la sanzione per chi compie atti osceni in luoghi ove la presenza di minori è molto probabile. Si ricorda inoltre che il codice prevede anche un’apposita fattispecie delittuosa (art. 609-quinquies, c.p., Corruzione di minorenne), a carico di chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere (reclusione da 6 mesi a 3 anni).
Il comma 3, infine, modifica l’art. 609-ter del codice penale, intervenendo sulla disciplina delle aggravanti previste per il delitto di violenza sessuale.
Ai sensi dell’art. 609-ter sono considerate circostanze aggravanti (e determinano l'applicabilità di una pena da 6 a 12 anni) l'aver commesso il fatto su minore di 14 anni, o con l'uso di armi o di narcotici, o a opera di persona travisata o che finga di essere un pubblico ufficiale, o, ancora, su persona sottoposta a limitazioni della libertà personale o che non abbia ancora compiuto i 16 anni se il colpevole ne è l’ascendente, il genitore o il tutore. Se il fatto è commesso nei confronti di persona che non ha compiuto 10 anni la pena è la reclusione da 7 a 14 anni.
Il disegno di legge introduce un’ulteriore aggravante (n. 5-bis) per l’ipotesi in cui la violenza sessuale sia commessa all’interno o nelle immediate vicinanze della scuola (istituto d’istruzione o di formazione) frequentata dalla vittima.
Si osserva che, così come formulata, la circostanza aggravante sembra poter trovare applicazione a prescindere dalla minore età della persona offesa.
Il 3 febbraio 2009 il Parlamento europeo ha adottato una raccomandazione al Consiglio sulla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile.
In particolare, nel quadro della prossima revisione della decisione quadro 2004/68/GAI relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile, il Parlamento europeo raccomanda, tra le altre cose:
- la classificazione dello sfruttamento di una posizione dominante da parte di chi commette un reato (in un contesto familiare, educativo, professionale) come circostanza aggravante.
- la penalizzazione della partecipazione ad attività sessuali con una persona di età inferiore a 18 anni, anche se superiore all'età del consenso, nel caso in cui sia fatto uso di coercizione, forza o minaccia, o si abusi di una posizione riconosciuta di fiducia, autorità o influenza, anche all'interno della famiglia, o di una situazione particolarmente vulnerabile del minore, in particolare a causa di una disabilità mentale o fisica o una situazione di dipendenza, o dove si dia in pagamento denaro o si ricorra ad altre forme di remunerazione o compenso in cambio del coinvolgimento del bambino in attività sessuali;
- la penalizzazione della partecipazione intenzionale a esibizioni di carattere pornografico che coinvolgano bambini e li costringano intenzionalmente ad assistere ad abusi o attività sessuali;
- l'adozione di misure volte a incoraggiare le vittime di abusi sessuali a sporgere denuncia presso i tribunali nazionali affinché siano avviate azioni civili e penali contro gli autori di reati a sfondo sessuale;
- la revisione delle disposizioni della decisione quadro che prevede soltanto una base minima per impedire ai condannati per reati a sfondo sessuale di avere accesso a bambini attraverso un lavoro o attività di volontariato che comportino un contatto regolare con i bambini, tra l'altro esaminando l'eventualità di istituire un obbligo per gli Stati membri di garantire che i candidati a determinate attività professionali attinenti alla cura dei bambini siano soggetti a controlli del casellario giudiziario, compresa la creazione di regole chiare od orientamenti per i datori di lavoro quanto ai loro obblighi in tal senso.
Articolo 15
(Modifiche all'articolo 614 del codice
penale e agli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale)
1. All'articolo 614, primo comma, del codice penale, le parole: «fino a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «da sei mesi a tre anni».
2. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 380, comma 2, la lettera e) è sostituita dalla seguente:
«e) delitto di furto quando ricorre la circostanza aggravante prevista dall'articolo 4 della legge 8 agosto 1977, n. 533, o taluna delle circostanze aggravanti previste dall'articolo 625, primo comma, numeri 2), prima ipotesi, 3) e 5), del codice penale, salvo che ricorra, in questi ultimi casi, la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, primo comma, numero 4), del codice penale»;
b) all'articolo 381, comma 2, dopo la lettera f) è inserita la seguente:
«f-bis) violazione di domicilio prevista dall'articolo 614, primo e secondo comma, del codice penale».
L'articolo 15 è stato inserito nel corso dell'esame al Senato.
Il comma 1 introduce il minimo edittale di sei mesi per la pena della reclusione in caso di delitto di violazione di domicilio di cui all'art. 614 c.p. (attualmente è prevista solo la pena massima di 3 anni).
L’articolo 614 c.p. prevede che chiunque si introduce nell'abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s'introduce clandestinamente o con inganno, è punito con la reclusione fino a tre anni. Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l'espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno. Il delitto è punibile a querela della persona offesa. La pena è da uno a cinque anni, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato.
Il comma 2, alla lettera a), aggiunge nuove ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza per furto aggravato a quelle già previste dal testo attuale dell’articolo 380, comma 2, lett. e), c.p.p. Tali ipotesi riguardano le circostanze aggravanti di cui all'art. 625, primo comma, numero 3) (ovvero il caso in cui il colpevole porti indosso armi o narcotici, senza farne uso), e numero 5) c.p. (ossia se il fatto è commesso da tre o più persone, ovvero anche da una sola, che sia travisata o simuli la qualità di pubblico ufficiale o d'incaricato di un pubblico servizio).
L’articolo 380 c.p.p. prevede tra i delitti per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza il delitto di furto (lettera e), quando ricorre la circostanza aggravante prevista dall'articolo 4 della legge 8 agosto 1977, n. 533 (ossia se il furto è commesso su armi, munizioni od esplosivi nelle armerie ovvero in depositi o in altri locali adibiti alla custodia di armi), nonché quando ricorre quella prevista dall'articolo 625, primo comma, numero 2), prima ipotesi, del codice penale (ossia se il colpevole usa violenza sulle cose) salvo che, in quest'ultimo caso, ricorra la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, primo comma, numero 4), del codice penale (danno patrimoniale di speciale tenuità, lucro di speciale tenuità ed evento dannoso di speciale tenuità).
La successiva lettera b) del medesimo comma introduce, tra le ipotesi di arresto facoltativo in flagranza, di cui all’articolo 381 c.p.p., il delitto di violazione di domicilio di cui all’articolo 614 c.p.
Articolo 16
(Modifiche agli articoli 625 e 628 del
codice penale)
1. All'articolo 625, primo comma, del codice penale, dopo il numero 8) sono aggiunti i seguenti:
«8-bis) se il fatto è commesso all'interno di mezzi di pubblico trasporto;
8-ter) se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell'atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro».
2. All'articolo 628, terzo comma, del codice penale, dopo il numero 3) sono aggiunti i seguenti:
«3-bis) se il fatto è commesso nei luoghi di cui all'articolo 624-bis;
3-ter) se il fatto è commesso all'interno di mezzi di pubblico trasporto;
3-quater) se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell'atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro».
L'articolo 16, inserito nel corso dell'esame in Senato, apporta ulteriori modifiche al codice penale.
Il comma 1 introduce all'art. 625 c.p., due nuove circostanze aggravanti del delitto di furto, se il fatto è commesso:
§ all'interno di mezzi di pubblico trasporto;
§ nei confronti di persona che si trovi nell'atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti a prelievo di denaro.
La disciplina delle circostanze aggravanti per il delitto di furto è contenuta all’articolo 625 c.p., il quale prevede che la pena prevista per il furto è della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 103 a euro 1.032 (in luogo della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da euro 154 a euro 516):
§ se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento;
§ se il colpevole porta in dosso armi o narcotici, senza farne uso;
§ se il fatto è commesso con destrezza;
§ se il fatto è commesso da tre o più persone, ovvero anche da una sola, che sia travisata o simuli la qualità di pubblico ufficiale o d'incaricato di un pubblico servizio;
§ se il fatto è commesso sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi ove si somministrano cibi o bevande;
§ se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza;
§ se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria.
Se concorrono due o più delle circostanze precedenti, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'articolo 61 (circostanze aggravanti comuni), la pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da euro 206 a euro 1.549.
Il comma 2, introduce all'art. 628 c.p. tre nuove circostanze aggravanti del delitto di rapina, se il fatto è commesso:
§ nei luoghi di cui all'art. 624-bis c.p. (ossia edifici o altri luoghi destinati in tutto o in parte a privata dimora o pertinenze di essa);
§ all'interno di mezzi di pubblico trasporto;
§ nei confronti di persona che si trovi nell'atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro.
Il delitto di rapina è disciplinato dall’articolo 628 c.p. che prevede che chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da euro 516 a euro 2.065. Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità.
Per quanto riguarda le aggravanti, la pena è della reclusione da quattro anni e sei mesi a venti anni e della multa da euro 1.032 a euro 3.098 :
1) se la violenza o minaccia è commessa con armi o da persona travisata, o da più persone riunite
2) se la violenza consiste nel porre taluno in stato di incapacità di volere o di agire;
3) se la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di cui all'articolo 416-bis.
1. All'articolo 640, secondo comma, del codice penale, dopo il numero 2) è aggiunto il seguente:
«2-bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all'articolo 61, numero 5)».
L'articolo 17, inserito nel corso dell'esame in Senato, introduce una nuova circostanza aggravante del delitto di truffa, di cui all’art. 640 c.p., se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all'art. 61, primo comma, n. 5) Si tratta della circostanza aggravante comune della c.d. minorata difesa, ossia “l'avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”. Come sopra illustrato l'art. 1 del disegno di legge in esame prevede una riformulazione di tale circostanza, che fa riferimento anche al caso in cui l’autore del reato abbia profittato dell’età avanzata della persona che ha subito il danno (vedi supra).
L’articolo 640 c.p. disciplina il delitto di truffa, prevedendo che chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032.
Per quanto attiene alle aggravanti di tali delitto, il medesimo art. 640 prevede che la pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549:
1. se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
2. se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'autorità.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un'altra circostanza aggravante.
Articolo 18
(Modifiche al codice penale in materia di
sequestro di persona
e sottrazione di persone incapaci)
1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 605, dopo il secondo comma sono aggiunti i seguenti:
«Se il fatto di cui al primo comma è commesso in danno di un minore, si applica la pena della reclusione da tre a dodici anni. Se il fatto è commesso in presenza di taluna delle circostanze di cui al secondo comma, ovvero in danno di minore di anni quattordici o se il minore sequestrato è condotto o trattenuto all'estero, si applica la pena della reclusione da tre a quindici anni.
Le pene previste dal terzo comma sono altresì diminuite fino alla metà nei confronti dell'imputato che si adopera concretamente:
1) affinché il minore riacquisti la propria libertà;
2) per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l'individuazione o la cattura di uno o più autori di reati;
3) per evitare la commissione di ulteriori fatti di sequestro di minore»;
b) nel libro II, titolo XI, capo IV, dopo l'articolo 574 è inserito il seguente:
«Art. 574-bis. - (Sottrazione e trattenimento di minore all'estero). - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque sottrae un minore al genitore esercente la potestà dei genitori o al tutore, conducendolo o trattenendolo all'estero contro la volontà del medesimo genitore o tutore, impedendo in tutto o in parte allo stesso l'esercizio della potestà genitoriale, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
Se il fatto di cui al primo comma è commesso nei confronti di un minore che abbia compiuto gli anni quattordici e con il suo consenso, si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni.
Se i fatti di cui al primo e secondo comma sono commessi da un genitore in danno del figlio minore, la condanna comporta la sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori».
L'articolo 18 è stato inserito nel corso dell'esame in Senato.
Il comma 1, lettera a) novella l'art. 605 c.p. in materia di sequestro di persona. In primo luogo, esso dispone un significativo inasprimento della pena se il fatto è commesso in danno di un minore, prevedendo in particolare la reclusione da tre a dodici anni (in luogo della reclusione da sei mesi a otto anni prevista per la fattispecie ordinaria). La pena è ulteriormente aumentata (reclusione da tre a quindici anni) se:
§ ricorre una delle circostanze aggravanti già previste dall’art. 605, secondo comma, c.p. (fatto commesso in danno di un ascendente, discendente o coniuge ovvero da pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti le sue funzioni) ;
§ si tratta di minore di quattordici anni;
§ il minore sequestrato è condotto o trattenuto all’estero.
Nei casi descritti riguardanti il sequestro di minore è prevista una diminuzione di pena fino alla metà qualora l’imputato si adoperi concretamente per la liberazione del minore; aiutando nelle indagini per la ricostruzione dei fatti o individuazione degli autori del fatto; per evitare la commissione di ulteriori fatti di sequestro di minore.
Il comma 1, lettera b) introduce nel libro II, titolo XI (Delitti contro la famiglia), capo IV (Delitti contro l’assistenza familiare), una nuova fattispecie di reato, rubricata “Sottrazione e trattenimento di minore all’estero”. Il nuovo art. 574-bis, inserito dopo l’art. 574 (Sottrazione di persone incapaci) prevede che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, per chi sottrae un minore al genitore esercente la potestà dei genitori o al tutore, conducendolo o trattenendolo all'estero contro la volontà del medesimo genitore o tutore, impedendo in tutto o in parte allo stesso l'esercizio della potestà genitoriale, la reclusione da uno a quattro anni (da sei mesi a tre anni se il minore ha compiuto quattordici anni). Se i fatti suddetti sono commessi da un genitore in danno del figlio minore, la condanna comporta la sospensione dell'esercizio della potestà dei genitori.
Si ricorda che l’art. 574 c.p., che disciplina il delitto di Sottrazione di persone incapaci, prevede che chiunque sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la patria potestà, al tutore, o al curatore, o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la patria potestà, del tutore o del curatore, con la reclusione da uno a tre anni.
Alla stessa pena soggiace, a querela delle stesse persone, chi sottrae o ritiene un minore che abbia compiuto gli anni quattordici, senza il consenso di esso per fine diverso da quello di libidine o di matrimonio
Il Consiglio giustizia e affari interni del 27-28 novembre 2008 ha raccomandato l’istituzione da parte degli Stati membri di un sistema di allerta precoce in caso di rapimento criminale di bambini. Sulla cooperazione d’urgenza per la ricerca di bambini scomparsi il Parlamento europeo ha adottato una dichiarazione il 2 settembre 2008.
Si ricorda inoltre che nella risoluzione “Verso una strategia dell’Unione europea sui diritti dei minori”, adottata il 16 gennaio 2008, il Parlamento europeo, tra le altre cose:
- chiede che venga affrontato il problema della sottrazione internazionale dei minori, contesi spesso tra i genitori in seguito a separazioni o divorzi, tenendo sempre nella massima considerazione l'interesse superiore del bambino;
- chiede di introdurre misure adeguate e tempestive per la ricerca ed il ritrovamento dei bambini scomparsi e sequestrati, incluso il ricorso al Sistema di Informazione Schengen per impedire che attraversino le frontiere.
Si ricorda che dal 1987 è stata istituita la carica di Mediatore del Parlamento europeo per i casi di sottrazione internazionale di minori, nell'intento di contribuire alla soluzione delle situazioni di conflitto che sorgono quando, in seguito alla separazione di una coppia mista di genitori, un figlio viene sottratto da uno di essi.
Il ruolo del Mediatore consiste nel favorire il raggiungimento, attraverso una procedura di mediazione, di un accordo volontario tra il genitore che ha sottratto il figlio e l'altro genitore, tenendo presente principalmente l'interesse del minore. Una volta raggiunto, accettato e firmato dalle parti, l'accordo può essere comunicato al tribunale, che ne ufficializza i termini con un'ordinanza riconosciuta e applicabile in altri paesi. Per garantire l'efficacia e la professionalità dell'intervento di mediazione, il Mediatore del PE sovrintende alla designazione, per ciascun caso, di un appropriato comitato di mediatori, composto, per quanto possibile, secondo il seguente criterio: una donna e un uomo, un giurista e un non giurista, che parlino entrambi le due lingue delle parti in causa.
Articolo 19
(Modifiche alla legge 2 ottobre 1967, n.
895, e alla legge
18 aprile 1975, n. 110)
1. All'articolo 4 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, il secondo comma è sostituito dal seguente:
«Salvo che il porto d'arma costituisca elemento costitutivo o circostanza aggravante specifica per il reato commesso, la pena prevista dal primo comma è aumentata da un terzo alla metà:
a) quando il fatto è commesso da persone travisate o da più persone riunite;
b) quando il fatto è commesso nei luoghi di cui all'articolo 61, numero 11-ter), del codice penale;
c) quando il fatto è commesso di notte in luogo abitato, nelle immediate vicinanze di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro, parchi e giardini pubblici o aperti al pubblico, stazioni ferroviarie, anche metropolitane, e luoghi destinati alla sosta o alla fermata di mezzi di pubblico trasporto».
2. All'articolo 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110, il sesto comma è sostituito dal seguente:
«La pena prevista dal terzo comma è raddoppiata quando ricorre una delle circostanze previste dall'articolo 4, secondo comma, della legge 2 ottobre 1967, n. 895, salvo che l'uso costituisca elemento costitutivo o circostanza aggravante specifica per il reato commesso».
L'articolo 19, inserito nel corso dell'esame in Senato, al comma 1, sostituisce integralmente l’articolo 4, comma secondo, della legge 2 ottobre 1967, n. 895 (Disposizioni per il controllo delle armi), modificando in particolare la disciplina delle circostanze aggravanti per il reato di porto illegale di armi o parti di esse, munizioni, esplosivi, aggressivi chimici e congegni micidiali (di cui all'art. 1 della medesima legge).
In particolare si prevede che, salvo che il porto d’arma costituisca elemento costitutivo o circostanza aggravante specifica per il reato commesso, la pena sia aumentata da un terzo alla metà quando il fatto è commesso:
§ da persone travisate o da più persone riunite;
§ nei luoghi di cui all'art. 61, numero 11-ter, c.p.; attualmente l'art. 61 c.p. non prevede un numero 11-ter, che viene invece introdotto dall'art. 14, comma 1, del provvedimento in esame. I luoghi in questione sono l'interno o le immediate vicinanze di scuole per l'infanzia e istituti di istruzione e formazione di ogni ordine e grado;
§ di notte in luogo abitato, nelle immediate vicinanze di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro, parchi e giardini pubblici o aperti al pubblico, stazioni ferroviarie, anche metropolitane, e luoghi destinati alla sosta o alla fermata di mezzi di pubblico trasporto.
L’articolo 4, primo comma, della legge 2 ottobre 1967, n. 895, prevede che chiunque illegalmente porta in luogo pubblico o aperto al pubblico le armi o parti di esse, le munizioni, gli esplosivi, gli aggressivi chimici e i congegni indicati nell'articolo 1, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da lire 400.000 a lire 4.000.000.
Il secondo comma, oggetto della modifica in commento, prevede che la pena è aumentata se il fatto è commesso da due o più persone o in luogo in cui sia concorso o adunanza di persone o di notte in luogo abitato.
Il comma 2 novella l’articolo 4, sesto comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (recante Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi, in materia di porto di armi od oggetti atti ad offendere), prevedendo le medesime circostanze aggravanti, introdotte dal precedente comma 1 nell’articolo 4, secondo comma, della legge n. 895 del 1967, anche per il reato di porto di armi o di altri oggetti atti ad offendere di cui all’articolo 4, commi primo e secondo, della legge n. 110. La disposizione in commento prevede in tal caso il raddoppio della pena, salvo che l’uso costituisca elemento costitutivo o circostanza aggravante specifica per il reato commesso. Si segnala che, nella formulazione attuale, il sesto comma dell’articolo 4 prevede circostanze aggravanti applicabili anche alle ipotesi specifiche di porto d’armi (pure da parte di persone munite di licenza) e di strumenti atti ad offendere nelle riunioni pubbliche di cui ai precedenti quarto e quinto comma.
L’articolo 4, primo comma, della legge n. 110 vieta di portare, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, armi, mazze ferrate o bastoni ferrati, sfollagente, noccoliere, facendo nel contempo salve le autorizzazioni previste dal terzo comma dell'articolo 42 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza n. 773 del 1931. Il secondo comma vieta di portare, senza giustificato motivo, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche, nonché qualsiasi altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l'offesa alla persona. Il terzo comma prevede l'arresto da un mese ad un anno e l'ammenda da lire 100.000 a lire 400.000 e, per i casi di lieve entità, riferibili al porto dei soli oggetti atti ad offendere, prevede che possa essere irrogata la sola pena dell'ammenda. La medesima disposizione dispone l’aumento della pena se il fatto avviene nel corso o in occasione di manifestazioni sportive.
Il quarto comma vieta il porto d’armi nelle riunioni pubbliche anche alle persone munite di licenza, punendo il trasgressore con l'arresto da quattro a diciotto mesi e con l'ammenda da lire 200.000 a lire 800.000 e prevedendo la pena dell'arresto da uno a tre anni e dell'ammenda da lire 400.000 a lire 800.000 quando il fatto è commesso da persona non munita di licenza.
Il quinto comma vieta di portare in una riunione pubblica uno strumento ricompreso tra quelli indicati nel primo o nel secondo comma, punendo il trasgressore con l'arresto da due a diciotto mesi e con l'ammenda da lire 200.000 a lire 800.000.
Il sesto comma prevede la circostanza aggravante dell’uso delle armi o degli altri oggetti al fine di compiere reati, escludendo tuttavia il raddoppio di pena quando l'uso stesso costituisce un'aggravante specifica per il reato commesso.
I commi ulteriori disciplinano la confisca delle armi e degli altri oggetti atti ad offendere, l’abrogazione di alcune disposizioni del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza n. 773 del 1931 e l’esclusione di taluni strumenti specificamente indicati dalla nozione di arma.
Articolo 20
(Norme di attuazione dell’articolo 2 della
legge 18 aprile 1975, n. 110, in materia di controllo delle armi, delle
munizioni e degli esplosivi)
1. Il Ministro dell’interno, con regolamento da emanare nel termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, definisce le caratteristiche tecniche degli strumenti di autodifesa, di cui all’articolo 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, che nebulizzano un principio attivo naturale a base di oleoresin capsicum, e che non abbiano l’attitudine a recare offesa alla persona.
L’articolo 20, introdotto nel corso dell’esame al Senato, attribuisce al Ministro dell’interno il compito di definire le caratteristiche tecniche degli strumenti di autodifesa che nebulizzano un principio attivo naturale a base di oleoresin capsicum (olio di peperoncino), che siano inquadrabili tra quelli di cui all’art. 2, co. 3°, della L. 110/1975[28] ma che non abbiano l’attitudine a recare offesa alla persona.
La disciplina in oggetto è rimessa a un regolamento che il Ministero dell’interno è autorizzato ad emanare, di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
L’art. 2, co. 3°, della L. 110/1975[29], menzionato dall’articolo in esame, assoggetta alla disciplina delle armi comuni da sparo, tra le altre, le armi “ad emissione di gas”, ad esclusione di quelle per le quali la commissione consultiva centrale delle armi, istituita presso il Ministero dell’interno, “escluda, in relazione alle rispettive caratteristiche, l’attitudine a recare offesa alla persona”.
Come può ricavarsi anche dal dibattito parlamentare[30], l’articolo 20 in commento ha lo scopo di chiarire la disciplina sulla vendita e l’uso degli “spray al peperoncino” destinati a finalità di autodifesa, superando le incertezze nascenti, tra l’altro, dalla possibile confusione tra i prodotti in oggetto e gli spray contenenti aggressivi chimici con effetti lacrimogeni, comunemente conosciuti come “CS”, la cui libera vendita non è consentita in Italia essendo tali prodotti chimici inclusi tra le armi da guerra di cui all’art. 1 della citata L. 110/1975.
Ad oggi sono tre i prodotti spray per la difesa personale a base di estratto di frutti di capsicum di cui è consentita la libera vendita, in quanto la Commissione consultiva centrale per il controllo delle armi ha espresso il parere, condiviso dal Ministero dell’Interno, che essi, in ragione del modesto contenuto di sostanza attiva, non abbiano attitudine a recare offesa alla persona[31].
Articolo 21
(Ingresso e soggiorno illegale nel
territorio dello Stato)
1. Al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo l'articolo 10 è inserito il seguente:
«Art. 10-bis. - (Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato). - 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all'articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Al reato di cui al presente comma non si applica l'articolo 162 del codice penale.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano allo straniero destinatario del provvedimento di respingimento ai sensi dell'articolo 10, comma 1.
3. Al procedimento penale per il reato di cui al comma 1 si applicano le disposizioni di cui agli articoli 20-bis, 20-ter e 32-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274.
4. Ai fini dell'esecuzione dell'espulsione dello straniero denunciato ai sensi del comma 1 non è richiesto il rilascio del nulla osta di cui all'articolo 13, comma 3, da parte dell'autorità giudiziaria competente all'accertamento del medesimo reato. Il questore comunica l'avvenuta esecuzione dell'espulsione ovvero del respingimento di cui all'articolo 10, comma 2, all'autorità giudiziaria competente all'accertamento del reato.
5. Il giudice, acquisita la notizia dell'esecuzione dell'espulsione o del respingimento ai sensi dell'articolo 10, comma 2, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Se lo straniero rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall'articolo 13, comma 14, si applica l'articolo 345 del codice di procedura penale.
6. Nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il procedimento è sospeso. Acquisita la comunicazione del riconoscimento della protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero del rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all'articolo 5, comma 6, del presente testo unico, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere»;
b)all'articolo 16, comma 1, le parole: «né le cause ostative» sono sostituite dalle seguenti: «ovvero nel pronunciare sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 10-bis, qualora non ricorrano le cause ostative».
L’articolo 21, comma 1, lettera a), introduce nel Testo unico dell’immigrazione l’articolo 10-bis recante una nuova disposizione incriminatrice, relativa all’ingresso e al soggiorno illegale nel territorio dello Stato.
Nella sua formulazione originaria, la disposizione (art. 9 del disegno di legge del Governo) introduceva il reato di “Ingresso illegale nel territorio dello Stato”, qualificato come delitto e punibile con la reclusione da sei mesi a 4 anni e prevedeva l'arresto obbligatorio dell'autore del fatto e il giudizio direttissimo, nonché l'espulsione dello straniero, ordinata dal giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna. La disposizione è stata integralmente sostituita a seguito dell'approvazione di un emendamento del Governo nel corso dell’esame in sede referente e successivamente modificata in Assemblea.
Il comma 1 del nuovo art. 10-bis qualifica la nuova fattispecie di reato come contravvenzione e prevede l'ammenda da euro 5.000 a euro 10.000. La condotta tipica è costituita dal "fare ingresso" ovvero dal "trattenersi" nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del medesimo Testo unico nonché di quelle di cui all'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68 (recante la disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio).
Per comprendere quali specifici comportamenti ricadano nella sfera applicativa della norma incriminatrice occorre richiamare la disciplina degli ingressi degli stranieri, quale delineata dal testo unico sull’immigrazione. L’ingresso nel territorio italiano – che deve avvenire esclusivamente attraverso i valichi di frontiera, salvi casi di forza maggiore – è consentito ai cittadini dei Paesi non appartenenti all’Unione europea in possesso di: 1. passaporto valido (o documento equipollente); 2. visto d’ingresso (salvi i casi di esclusione). Il Ministero degli affari esteri definisce le diverse tipologie dei visti d’ingresso e le modalità di concessione. Non sempre è necessario il visto d’ingresso: spetta al Ministero degli affari esteri redigere l’elenco dei Paesi i cui cittadini sono soggetti ad obbligo di visto, anche in attuazione di specifici accordi internazionali (art. 4, comma 6, T.U.). Nella competenza del Ministero degli esteri rientra anche la procedura di concessione dei visti: le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane localizzate nello Stato di origine o di residenza sono competenti alla ricezione delle richieste, al rilascio o al diniego del visto d’ingresso. Il rilascio del visto di ingresso è subordinato alla presenza di una serie di condizioni: lo straniero deve avere prove idonee a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata di soggiorno. L’entità di tali mezzi sono determinati dal Ministro dell’interno (art. 4, comma 3, T.U.). La documentazione attestante il possesso di tali requisiti può essere richiesta nuovamente al momento dell’ingresso in Italia, anche se in possesso del visto. Per quanto riguarda l’immigrazione per lavoro, l’ingresso degli stranieri è limitato e determinato secondo quote annuali; pertanto, le autorità diplomatiche rilasciano i visti di ingresso entro tali quote (art. 3, comma 4, T.U.) e secondo le modalità definite dal testo unico (artt. 21 e seguenti). Il testo unico prevede anche la possibilità di rilasciare visti per soggiorni di breve durata validi per non più di novanta giorni (art. 4, co. 4). Sempre per soggiorni non superiore ai tre mesi i visti rilasciati dalle autorità diplomatiche e consolari di altri Stati, emessi in virtù di specifici accordi, sono equiparati a quelli rilasciati dalle autorità italiane (art. 4, co. 2, T.U.). Inoltre, il testo unico individua alcune condizioni ostative al rilascio del visto: oltre coloro che non sono in possesso dei requisiti di cui sopra (mezzi di sussistenza e documenti che confermano lo scopo del soggiorno), non sono ammessi gli stranieri che sono considerati una minaccia per l’ordine pubblico sia da parte dell’Italia, sia di uno degli Paesi dell’area Schengen (art. 4, comma 3, T.U.). Non possono altresì fare ingresso in Italia (art. 4, commi 3 e 6, T.U.):
§ gli stranieri espulsi (a meno che non abbiano ottenuto la speciale autorizzazione o che sia trascorso il periodo di divieto di ingresso, pari di norma a dieci anni);
§ gli stranieri da espellere;
§ gli stranieri segnalati ai fini della non ammissione per gravi motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale e di tutela delle relazioni internazionali;
§ gli stranieri condannati per reati legati all’immigrazione clandestina e per altri gravi reati.
In base a quanto precede, rientrano tra le condotte incriminate: 1. entrare senza passaporto o documento equivalente; 2. entrare senza visto, nei casi in cui sia richiesto; 3. entrare senza passare per i valichi di frontiera (salvi casi di forza maggiore).
Per quanto attiene aicomportamenti che integrano un “soggiorno irregolare” sul territorio nazionale, i documenti che, in base al testo unico, legittimano la permanenza dello straniero nel territorio italiano sono il permesso di soggiorno rilasciato per un periodo variabile a seconda dei motivi del soggiorno (art. 5, T.U.) e la carta di soggiorno a tempo indeterminato per gli stranieri stabilizzati (art. 9, T.U.). Una volta fatto ingresso nel territorio nazionale, ogni straniero deve fare richiesta del permesso di soggiorno entro otto giorni al questore della provincia in cui si trova ed esso è rilasciato per le attività previste dal visto di ingresso (art. 5, comma 2). Si ricorda che la legge 30 luglio 2002, n. 189, ha apportato modifiche di rilievo alla disciplina del permesso di soggiorno, principalmente volte a collegare in modo stretto il permesso di soggiorno per motivi di lavoro alla stipula del relativo contratto di lavoro tra il datore di lavoro e il lavoratore immigrato. Tra l’altro, è stato introdotto l’obbligo per gli stranieri che fanno richiesta del permesso di soggiorno (o ne richiedono il rinnovo) di sottoporsi alla rilevazione dei dati fotodattiloscopici (art. 5, comma 2-bis e 4-bis). Tale obbligo non sussiste per particolari tipologie di permesso di soggiorno.
Nel corso della XV legislatura è stata approvata una disciplina legislativa specifica, posta al di fuori del testo unico, relativa ai soggiorni di breve durata (legge 28 maggio 2007, n. 68).
In base a tale nuova disciplina, per l’«ingresso» in Italia non è richiesto il permesso di soggiorno quando ricorrono particolari condizioni relative alla durata e ai motivi del soggiorno. In particolare, ai fini dell’esonero dal permesso, il soggiorno non deve essere superiore a tre mesi e deve essere richiesto per uno dei seguenti motivi: visite; affari; turismo; studio. La nuova disciplina prevede inoltre che per i soggiorni di breve durata, la durata per cui è consentito il soggiorno sia quella indicata nel visto di ingresso, se richiesto. In sostituzione della richiesta di permesso di soggiorno, la legge n. 68 del 2007 prevede una dichiarazione di presenza sottoscritta dallo straniero non comunitario, quale titolo sufficiente alla permanenza in Italia per brevi periodi. Per la dichiarazione sono previste due differenti modalità: nel caso di ingresso da una frontiera esterna all’area Schengen la dichiarazione è resa all’autorità di frontiera; nel caso di provenienza da Paesi dell’area Schengen, la dichiarazione va presentata entro otto giorni al questore della provincia in cui ci si trova.
Alla contravvenzione non si applica l’articolo 162 del codice penale (Oblazione nelle contravvenzioni), ossia la facoltà di estinguere il reato da parte del contravventore tramite il pagamento di una somma di denaro.
L’articolo 162 c.p. stabilisce che nelle contravvenzioni, per le quali la legge stabilisce la sola pena dell'ammenda, il contravventore è ammesso a pagare, prima dell'apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di condanna, una somma corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento. Il pagamento estingue il reato.
Per quanto riguarda la disciplina del procedimento penale per il nuovo reato, il comma 3 dell’art. 10-bis prevede l’applicazione degli articoli 20-bis, 20-ter e 32-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, introdotti dal successivo articolo 22 (su cui infra). Tali disposizioni disciplinano la presentazione immediata dell’imputato a giudizio innanzi al giudice di pace (con l’autorizzazione del P.M. e limitatamente ai reati procedibili d'ufficio e in caso di flagranza di reato ovvero quando la prova è evidente) e lo svolgimento del relativo giudizio.
Il comma 2 del nuovo art. 10-bis del T.U., specifica che la fattispecie contravvenzionale dell’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato non si applica allo straniero che sia stato respinto al valico di frontiera perché privo dei requisiti richiesti per l'ingresso nel territorio dello Stato, ai sensi dell’articolo 10, comma 1.
L’articolo 10 del T.U. detta la disciplina del respingimento al valico di frontiera, disponendo che la polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai suddetti valichi senza avere i requisiti richiesti dal testo unico per l'ingresso nel territorio dello Stato.
L’articolo 345, primo comma, c.p.p. prevede che il provvedimento di archiviazione e la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, anche se non più soggetta a impugnazione, con i quali è stata dichiarata la mancanza della querela, della istanza, della richiesta o dell'autorizzazione a procedere (o, in base al secondo comma, è stata accertata la mancanza di una condizione di procedibilità diversa), non impediscono l'esercizio dell'azione penale per il medesimo fatto e contro la medesima persona se è in seguito proposta la querela, l'istanza, la richiesta o è concessa l'autorizzazione ovvero se è venuta meno la condizione personale che rendeva necessaria l'autorizzazione.
In base al comma 4 della nuova disposizione, ai fini dell'esecuzione dell'espulsione dello straniero denunciato per il reato in esame non è richiesto il rilascio del nulla osta da parte dell'autorità giudiziaria competente all'accertamento del medesimo reato (nulla osta che deve normalmente essere richiesto dal questore quando lo straniero è sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, ai sensi dell'art. 13, comma 3, del Testo unico). Il questore comunica all'autorità giudiziaria competente all'accertamento del reato l'avvenuta esecuzione dell'espulsione ovvero del respingimento con accompagnamento alla frontiera ai sensi dell’articolo 10, comma 2, del Testo unico.
Il richiamato articolo 10, comma 2, prevede che il questore dispone il respingimento con accompagnamento alla frontiera nei confronti degli stranieri:
a) che entrando nel territorio dello Stato sottraendoli ai controlli di frontiera, sono fermati all'ingresso o subito dopo;
b) che, nelle circostanze di cui al comma 1, sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso.
Sulla base del comma 5, in tali casi di esecuzione del respingimento o dell’espulsione, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere.
Se tuttavia lo straniero rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima che sia decorso il termine previsto dall’articolo 13, comma 14, trova applicazione l’articolo 345 c.p.p., relativo alla riproponibilità dell’azione penale per il medesimo fatto e nei confronti della medesima persona pur in presenza di una sentenza di non luogo a procedere, anche se non più soggetta ad impugnazione, pronunciata per mancanza di una condizione di procedibilità.
Il richiamato articolo 13, comma 14, prevede l’operatività del divieto per lo straniero espulso di rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno (di cui al precedente comma 13) per un periodo di dieci anni. La medesima disposizione prevede che nel decreto di espulsione possa essere previsto un termine più breve, in ogni caso non inferiore a cinque anni, tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall'interessato nel periodo di permanenza in Italia
In base al comma 6, nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale di cui al decreto legislativo n. 251 del 2007, il procedimento è sospeso. Viene invece pronunciata sentenza di non luogo a procedere, una volta acquisita la comunicazione del riconoscimento della protezione internazionale ovvero del rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all'articolo 5, comma 6, del medesimo Testo unico.
Il decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, è volto all’attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta. La richiesta di protezione internazionale viene presentata dai cittadini stranieri vittime di persecuzione nel proprio Paese di origine e, se accolta, può portare alla concessione dello status di rifugiato o di quella protezione sussidiaria.
Il richiamato art. 5, comma 6, del T.U. prevede il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.
La lettera b) del comma 1 dell’articolo 21 in esame novella invece l’articolo 16, comma 1, del Testo unico dell’immigrazione, estendendo al caso in cui il giudice pronunci sentenza di condanna per il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato di cui all’articolo 10-bis (salvo che non ricorrano le cause ostative indicate nell'articolo 14, comma 1) la facoltà di sostituire la pena con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni. Un’altra novella alla medesima disposizione è contenuta nell’articolo 45, comma 1, lett. m), che esplicita che le cause ostative indicate nell’articolo 14, comma 1, sono quelle che impediscono l'esecuzione immediata dell'espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
In base al testo vigente dell’articolo 16, comma 1, il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo o nell'applicare la pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 c.p.p. nei confronti dello straniero che si trovi in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2 (relativo ai casi di espulsione disposta dal prefetto), quando ritiene di dovere irrogare la pena detentiva entro il limite di due anni e non ricorrono le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena ai sensi dell'articolo 163 c.p. né le cause ostative indicate nell'articolo 14, comma 1, Testo unico.
L’articolo 14, comma 1, disciplina il caso in cui non sia possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all'acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l'indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo. In tale circostanza, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione e di espulsione più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri per la solidarietà sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
Per quanto riguarda le iniziative dell’Unione europea in materia di contrasto all’immigrazione clandestina si segnala la proposta di direttiva (COM(2007)249), relativa a sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi residenti illegalmente nel territorio dell’UE, in attesa di adozione finale da parte del Consiglio.
La proposta di direttiva, nel testo di compromesso risultante da lunghi negoziati tra le istituzioni UE e approvato dal Parlamento europeo il 19 febbraio 2009,vieta l'impiego di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente al fine di contrastare l’immigrazione illegale. A tal fine essa stabilisce norme minime comuni relative a sanzioni e provvedimenti applicabili negli Stati membri nei confronti dei datori di lavoro (persone fisiche o giuridiche, ma anche privati cittadini quando agiscono in qualità di datori di lavoro) che violano tale divieto.
La proposta in questione è stata esaminata dalla Camera dei deputati ai sensi dell’articolo 127 del regolamento. La Commissione Politiche dell’Unione europea ha adottato un parere favorevole con osservazioni il 25 novembre 2008. Le Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia hanno approvato un documento finale nella seduta del 26 novembre 2008.
Si ricorda infine la definitiva adozione, il 16 dicembre 2008, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.
Allo scopo di delineare le possibili prospettive di sviluppo della cooperazione nella gestione delle frontiere UE, fino al 2012, la Commissione ha presentato, nel febbraio 2008, le seguenti comunicazioni:
· Relazione sulla valutazione e sullo sviluppo futuro della Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea – Frontex (COM(2008)67)
La relazione intende fornire la base per esaminare la fattibilità di un eventuale “sistema europeo di guardie di frontiera”, rafforzando strumenti già esistenti quali il Registro centralizzato delle attrezzature tecniche disponibili (CRATE), fornite su base volontaria degli Stati membri ad uno Stato membro che ne faccia richiesta per operazioni di controllo e sorveglianza delle frontiere e le squadre di intervento rapido (RABIT), di recente istituzione.
· La creazione di un Sistema europeo di controllo delle frontiere (EUROSUR) (COM(2008)68);
La Commissione propone la creazione di un “sistema europeo di controllo delle frontiere” (denominato Eurosur), finalizzato soprattutto a ridurre il numero di immigrati illegali che entrano clandestinamente nell’UE; ridurre il tasso di mortalità degli immigrati illegali, salvando un maggior numero di vite in mare; aumentare la sicurezza interna in tutta l’UE contribuendo a prevenire la criminalità transfrontaliera.
· Le evoluzioni future della gestione delle frontiere nell’Unione europea (COM(2008)69).
La comunicazione propone misure volte a rafforzare le procedure in materia di controllo dei cittadini dei paesi terzi lungo le frontiere, facilitando nel contempo le procedure di ingresso e di uscita dall’Unione europea per i cittadini UE e per i viaggiatori in buona fede, provenienti dai paesi terzi.
Il Consiglio giustizia e affari interni del 26-27 febbraio 2008 ha accolto favorevolmente un documento trasmesso dai Ministri dell’Interno di Cipro, Grecia, Italia e Malta, nel quale, ispirandosi al Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo adottato dal Consiglio europeo nell’ottobre 2008, si richiama l’esigenza e si ribadisce l’impegno a rafforzare le misure pratiche di cooperazione al fine di un migliore controllo dei flussi migratori nella regione mediterranea, che assicuri al contempo la protezione della vita dei migranti. Le misure pratiche comprendono tre l’altro il rafforzamento di Frontex e il proseguimento delle operazioni congiunte nel Mediterraneo.
Articolo 22
(Modifiche al decreto legislativo 28
agosto 2000, n. 274)
1. Al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 4, comma 2, dopo la lettera s) è aggiunta la seguente:
«s-bis) articolo 10-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286»;
b) dopo l'articolo 20 sono inseriti i seguenti:
«Art. 20-bis. - (Presentazione immediata a giudizio dell'imputato in casi particolari). - 1. Per i reati procedibili d'ufficio, in caso di flagranza di reato ovvero quando la prova è evidente, la polizia giudiziaria chiede al pubblico ministero l'autorizzazione a presentare immediatamente l'imputato a giudizio dinanzi al giudice di pace.
2. La richiesta di cui al comma 1, depositata presso la segreteria del pubblico ministero, contiene:
a) le generalità dell'imputato e del suo difensore, ove nominato;
b) l'indicazione delle persone offese dal reato;
c) la descrizione, in forma chiara e precisa, del fatto che si addebita all'imputato, con l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati;
d) l'indicazione delle fonti di prova a sostegno della richiesta, nonché le generalità dei testimoni e dei consulenti tecnici, con espressa indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame;
e) la richiesta di fissazione dell'udienza per procedere nei confronti delle persone citate a giudizio.
3. Salvo che ritenga di richiedere l'archiviazione, il pubblico ministero autorizza la presentazione immediata nei quindici giorni successivi, indicando la data e l'ora del giudizio dinanzi al giudice di pace e nominando un difensore d'ufficio all'imputato che ne è privo. Se non ritiene sussistere i presupposti per la presentazione immediata o se ritiene la richiesta manifestamente infondata ovvero presentata dinanzi ad un giudice di pace incompetente per territorio, il pubblico ministero provvede ai sensi dell'articolo 25, comma 2.
4. L'ufficiale giudiziario notifica senza ritardo all'imputato e al suo difensore copia della richiesta di cui al comma 2 e dell'autorizzazione del pubblico ministero.
Art. 20-ter. - (Citazione contestuale dell'imputato in udienza in casi particolari). - 1. Nei casi previsti dall'articolo 20-bis, comma 1, quando ricorrono gravi e comprovate ragioni di urgenza che non consentono di attendere la fissazione dell'udienza ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, ovvero se l'imputato si trova a qualsiasi titolo sottoposto a misure di limitazione o privazione della libertà personale, la polizia giudiziaria formula altresì richiesta di citazione contestuale per l'udienza.
2. Se ritiene sussistere i presupposti di cui al comma 1, il pubblico ministero rinvia l'imputato direttamente dinanzi al giudice di pace con citazione per l'udienza contestuale all'autorizzazione di cui all'articolo 20-bis, comma 3, primo periodo; altrimenti provvede ai sensi del comma 3, secondo periodo, del medesimo articolo.
3. Quando il pubblico ministero dispone la citazione ai sensi del comma 2, la polizia giudiziaria conduce l'imputato che si trova a qualsiasi titolo sottoposto a misure di limitazione o privazione della libertà personale direttamente dinanzi al giudice di pace per la trattazione del procedimento, salvo che egli espressamente rinunzi a partecipare all'udienza. Se l'imputato non si trova sottoposto a misure di limitazione o privazione della libertà personale, la polizia giudiziaria notifica immediatamente allo stesso la richiesta di cui al comma 1 e il provvedimento del pubblico ministero. Copia della richiesta e del provvedimento del pubblico ministero sono altresì comunicati immediatamente al difensore»;
c) dopo l'articolo 32 è inserito il seguente:
«Art. 32-bis. - (Svolgimento del giudizio a presentazione immediata). - 1. Nel corso del giudizio a presentazione immediata di cui agli articoli 20-bis e 20-ter si osservano le disposizioni dell'articolo 32.
2. La persona offesa e i testimoni possono essere citati anche oralmente dall'ufficiale giudiziario nel corso del giudizio a presentazione immediata di cui all'articolo 20-bis. Nel corso del giudizio a citazione contestuale di cui all'articolo 20-ter la persona offesa e i testimoni possono essere citati anche oralmente dall'ufficiale giudiziario ovvero dalla polizia giudiziaria.
3. Il pubblico ministero, l'imputato e la parte civile presentano direttamente a dibattimento i propri testimoni e consulenti tecnici.
4. Il pubblico ministero contesta l'imputazione all'imputato presente.
5. L'imputato è avvisato della facoltà di chiedere un termine a difesa non superiore a sette giorni. Quando l'imputato si avvale di tale facoltà, il dibattimento è sospeso fino all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine. Nel caso previsto dall'articolo 20-ter, il termine non può essere superiore a quarantotto ore»;
d) nel titolo II, dopo l'articolo 62 è inserito il seguente:
«Art. 62-bis. - (Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva). - 1. Nei casi stabiliti dalla legge, il giudice di pace applica la misura sostitutiva di cui all'articolo 16 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».
L’articolo 22 introduce una serie di modifiche al decreto legislativo 274 del 2000 relativo alla competenza penale del giudice di pace, in particolare coordinandone il testo con l’avvenuta introduzione dell’art. 10-bis nel TU immigrazione (v. art. 21 del d.d.l.):
§ la prima novità riguarda l’art. 4 del decreto legislativo (competenza per materia) cui è aggiunta, al comma 2, la lett. s-bis) con la quale il giudice di pace attrae alla sua competenza i procedimenti relativi all’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, ovvero il nuovo reato contravvenzionale introdotto nel D.Lgs 286 del 1998 dal citato art. 10-bis;
§ la seconda novità consiste nell’introduzione di un nuovo modello di procedimento davanti al medesimo giudice di pace (in due versioni: ordinaria e abbreviata) regolato dai nuovi artt. 20-bis, 20-ter e 32-bis del D.Lgs 274 del 2000;
§ l’art. 20-bis (rubricato Presentazione immediata dell’imputato a giudizio in casi particolari) prevede che la polizia giudiziaria possa chiedere al PM l’autorizzazione a presentare immediatamente davanti al giudice di pace l’imputato in presenza delle seguenti condizioni:
- a) vi sia flagranza di reato (o una sua prova evidente) e
- b) il reato sia perseguibile d’ufficio.
La norma indica i contenuti della domanda depositata dalla polizia alla segreteria del PM (generalità dell’imputato, del difensore e della vittima, descrizione del fatto, fonti di prova, richiesta di fissazione dell’udienza).
Il pubblico ministero ha tre alternative: a) richiedere l’archiviazione; b) autorizzare, entro 15 giorni, la presentazione immediata dell’imputato davanti al giudice di pace nominando, se necessario, un difensore d’ufficio; c) esprimere parere contrario (ai sensi dell’articolo 25, comma 2, del medesimo decreto legislativo) alla richiesta di giudizio immediato nel caso di richiesta manifestamente infondata, carente nei presupposti o presentata davanti a giudice non competente per territorio.
Il richiamato articolo 25, comma 2, del d.lgs. n. 274 del 2000 prevede che, nei casi in cui ritenga il ricorso inammissibile o manifestamente infondato, ovvero presentato dinanzi ad un giudice di pace incompetente per territorio, il P.M. esprime parere contrario alla citazione altrimenti formula l'imputazione confermando o modificando l'addebito contenuto nel ricorso.
L’ufficiale giudiziario notifica all’imputato e al suo difensore copia della richiesta di giudizio immediato e della relativa autorizzazione del PM.
§ l’art. 20-ter (Citazione contestuale dell’imputato in udienza in casi particolari) disciplina le ipotesi in cui la polizia giudiziaria formula richiesta di citazione contestuale per l’udienza, saltando così l’istruzione sulla richiesta da parte del PM: ciò potrà avvenire nei casi di comprovata urgenza ovvero quando l’imputato di trovi sottoposto a misure coercitive personali. Se non esprime parere contrario, il PM, valutata la presenza dei presupposti, autorizza alla presentazione immediata dell’imputato davanti al giudice di pace per la trattazione del procedimento.
§ L’art. 32-bis relativo allo svolgimento del giudizio a presentazione immediata di cui agli artt. 20-bis e 20-ter. fa rinvio alla disciplina dibattimentale davanti al giudice di pace di cui all’art. 32 del D.lgs 274, caratterizzata da particolare celerità sia nella fase testimoniale e di assunzione di ulteriori mezzi di prova che in quella di redazione del verbale d’udienza e della sentenza, rispettivamente, previsti in forma riassuntiva ed abbreviata (nella motivazione). Le ulteriori regole dibattimentali specificamente dettate dall’art. 32-bis confermano la sinteticità ed immediatezza dei due riti, in materia di citazione orale della persona offesa e dei testimoni da parte dell’ufficiale giudiziario (e della polizia giudiziaria, nell’ipotesi di citazione contestuale dell’imputato) che di presentazione diretta in dibattimento di testimoni e consulenti da parte del PM, dell’imputato e della parte civile. È prevista, inoltre, la concessione all’imputato di un termine a difesa non superiore a 7 giorni nel rito di cui all’art. 20-bis; non superiore a 48 ore in quello di cui all’art. 20-ter.
In materia di sanzioni applicabili dal giudice di pace, la lettera d) della disposizione aggiunge al D.Lgs 274/2000 un art. 62-bis che prevede che il giudice di pace, nelle ipotesi previste dalla legge, applichi a titolo di sanzione sostitutiva la misura dell’espulsione di cui all’articolo 16 del T.U. sull’immigrazione. La norma va letta in relazione alle novelle introdotte dall’art. 21, comma 1, lett. b), e dall’articolo 45, comma 1, lett. m) del disegno di legge in esame al richiamato articolo 16. In base al testo novellato, viene estesa alla sentenza di condanna per il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato (di cui al nuovo articolo 10-bis del T.U.) la facoltà di sostituire la pena con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni, qualora non ricorrano le cause ostative indicate nell'articolo 14, comma 1, del medesimo testo unico che impediscono l’esecuzione immediata dell’espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
1. Al decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490, recante disposizioni attuative della legge 17 gennaio 1994, n. 47, in materia di comunicazioni e certificazioni previste dalla normativa antimafia, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) nel titolo sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché disposizioni concernenti i poteri del prefetto in materia di contrasto alla criminalità organizzata»;
b) dopo l’articolo 5 è inserito il seguente:
«Art. 5-bis. - (Poteri di accesso e accertamento del prefetto). - 1. Per l’espletamento delle funzioni volte a prevenire infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti, il prefetto può disporre accessi ed accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici, avvalendosi, a tal fine, dei gruppi interforze di cui all’articolo 5, comma 3, del decreto del Ministro dell’interno 14 marzo 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 54 del 5 marzo 2004.
2. Con regolamento da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro dell’interno, il Ministro della giustizia ed il Ministro dello sviluppo economico, sono definite, nel quadro delle norme previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1998, n. 252, le modalità di rilascio delle comunicazioni e delle informazioni riguardanti gli accessi e gli accertamenti effettuati presso i cantieri di cui al comma 1».
L’articolo 23, inserito nel corso dell’esame al Senato, modifica il D.Lgs. 490/1994[32], recante disposizioni volte a prevenire infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti.
In particolare, il comma 1, lettera b), dell’articolo aggiunge al D.Lgs. 490/1994 un nuovo articolo 5-bis, ai sensi del quale, nell’esercizio delle funzioni di sua competenza volte a prevenire infiltrazioni mafiose, il prefetto può disporre accessi ed accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici.
Il prefetto si avvale a tal fine dei gruppi interforze di cui all’art. 5, co. 3, del D.M. 14 marzo 2003.
Si fa notare che la norma in esame sembra finalizzata a formalizzare nell’ordinamento una prassi che spesso si riscontra a livello locale sulla base di cd. protocolli di legalità che prevedono, appunto, l’ispezione dei cantieri da parte dei citati gruppi interforze[33].
L’attuale sistema normativo per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose nei contratti pubblici prevede, in estrema sintesi, che per la stipulazione di contratti di lavori pubblici, forniture di beni e servizi, nonché per l’erogazione di contributi e finanziamenti ed iscrizioni ad albi di fornitori venga richiesta apposita certificazione antimafia. Per contratti e contributi al di sotto della soglia di € 154.937,07 (al netto d’IVA) non va richiesto alcun adempimento, in caso contrario la certificazione può essere di due tipi:
§ comunicazione (art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 252/1998); in tal caso il certificato è rilasciato dalla Camera di Commercio (C.C.I.A.A.) con la dicitura antimafia. Quando il certificato della C.C.I.A.A. non è munito della dicitura antimafia o quando il privato non ha l'iscrizione alla C.C.I.A.A (p.es. associazioni e persone fisiche) allora al rilascio provvede la prefettura;
§ informazione (art. 10 del D.P.R. n. 252/1998); In tal caso occorre fare richiesta alla Prefettura dove ha la sede legale la ditta con allegato il certificato rilasciato dalla C.C.I.A.A. per la comunicazione ovvero dichiarazione sostitutiva. Sarà cura dell'Ufficio Antimafia inviare direttamente la risposta, dopo aver effettuato gli opportuni accertamenti, all'Ente richiedente.
La normativa prescrive l’uno o l’altro tipo di certificazione in base all’oggetto del contratto e all’entità dell’importo.
Per quanto riguarda il D.M. 14 marzo 2003[34], si ricorda che esso è stato emanato in attuazione dell’art. 15, co. 5, del D.Lgs. 190/2002[35] (attuativo della c.d. legge obiettivo”), che rimetteva a un decreto del ministro dell’interno, di concerto con i ministri della giustizia e delle infrastrutture e dei trasporti, l’individuazione delle procedure per il monitoraggio delle infrastrutture ed insediamenti industriali per la prevenzione e repressione di tentativi di infiltrazione mafiosa.
L’art. 5 del D.M., oltre a prevedere che le attività di monitoraggio di competenza del Ministero dell’interno siano attribuite, a livello centrale, alla Direzione investigativa antimafia operante in raccordo con la Direzione centrale della polizia criminale, al co. 3 dispone l’istituzione, presso gli uffici territoriali del Governo delle province interessate, di gruppi Interforze coordinati da un funzionario dello stesso Ufficio e composti da:
§ un funzionario della Polizia di Stato;
§ un ufficiale dell’Arma dei carabinieri;
§ un ufficiale della Guardia di finanza;
§ un rappresentante del provveditorato alle opere pubbliche;
§ un rappresentante dell’Ispettorato del lavoro;
§ un funzionario delle articolazioni periferiche della Direzione investigativa antimafia.
I predetti Gruppi operano in collegamento con la Direzione investigativa antimafia, la quale nel caso di opere che interessano il territorio di più province assicura il raccordo dell’attività dei Gruppi istituiti presso gli uffici territoriali del Governo, nonché con il Servizio per l’alta sorveglianza delle grandi opere istituito dallo stesso D.M. 14 marzo 2003.
Il comma 2 rimette a un futuro regolamento di delegificazione la disciplina del rilascio delle comunicazioni ed informazioni riguardanti gli accessi e gli accertamenti effettuati ai sensi del precedente comma 1.
Il regolamento dovrà essere emanato (ex art. 17, co. 2, della L. 400/1988) entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, su proposta del Presidente del Consiglio e del ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con i ministri dell’interno, della giustizia e dello sviluppo economico.
L’emanando regolamento dovrà disciplinare il suo oggetto nel quadro delle norme previste dal regolamento di cui al D.P.R. 252/1998[36], che ha introdotto norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia.
1. Al quarto comma dell'articolo 1 del decreto-legge 6 giugno 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, le parole: «banche, istituti di credito pubblici e privati, società fiduciarie e presso ogni altro istituto o società che esercita la raccolta del risparmio o l'intermediazione finanziaria» sono sostituite dalle seguenti: «e i soggetti di cui al capo III del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231».
L'articolo 24, inserito nel corso dell'esame al Senato, modifica il decreto-legge 6 giugno 1982, n. 629[37], provvedimento che prevede misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa e la possibile nomina di un Alto Commissario antimafia.
La norma in esame integra - alla luce degli sviluppi della normativa antiriciclaggio - l'elenco dei soggetti presso i quali possono essere svolti da parte dell’Alto commissario accessi e accertamenti al fine di verificare se ricorrano pericoli di infiltrazione da parte della delinquenza di tipo mafioso.
L’art. 1, comma 4, del DL 629/1982 prevede attualmente che qualora sulla base di elementi comunque acquisiti vi sia necessità di verificare se ricorrano pericoli di infiltrazione da parte della delinquenza di tipo mafioso, all'Alto commissario sono attribuiti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, poteri di accesso e di accertamento presso pubbliche amministrazioni, enti pubblici anche economici, banche, istituti di credito pubblici e privati, società fiduciarie e presso ogni altro istituto o società che esercita la raccolta del risparmio o l'intermediazione finanziaria, con la possibilità di avvalersi degli organi di polizia tributaria.
L’art. 24 prevede infatti che i controlli possano essere svolti presso i numerosi soggetti individuati dal decreto cd. antiriciclaggio n. 231 del 2007[38]
Ai fini del coordinamento della disposizione in esame con il d.lgs. n. 231 del 2007, il riferimento ai soggetti “di cui al capo III” andrebbe sostituito con quello ai soggetti “di cui al capo III del titolo I” di tale ultimo provvedimento.
Tali soggetti sono gli intermediari finanziari e gli altri soggetti esercenti attività finanziaria (art. 11), i professionisti (art. 12), i revisori contabili (art. 13), gli operatori che svolgono attività di recupero crediti conto terzi, custodia e trasporto denaro e titoli, i gestori di case da gioco, offerta, su internet e altre reti telematiche o di telecomunicazione, di giochi, scommesse o concorsi pronostici con vincite in denaro, le agenzie di mediazione immobiliare (art. 14) nonché gli altri soggetti specificamente individuati dall’art. 10 del medesimo decreto legislativo n. 231 del 2007 (uffici della P.A.; case d’asta e gallerie d’arte; commercio di cose antiche; società di gestione accentrata di strumenti finanziari; società di gestione dei mercati regolamentati di strumenti finanziari e soggetti che gestiscono strutture per la negoziazione di strumenti finanziari e di fondi interbancari; società di gestione dei servizi di liquidazione delle operazioni su strumenti finanziari; società di gestione dei sistemi di compensazione e garanzia delle operazioni in strumenti finanziari; attività di commercio, comprese l'esportazione e l'importazione, di oro per finalità industriali o di investimento; società di fabbricazione, mediazione e commercio, comprese l'esportazione e l'importazione di oggetti preziosi, fabbricazione di oggetti preziosi da parte di imprese artigiane).
Articolo 25
(Modifiche all'articolo 1 e al titolo
della legge 31 maggio 1965, n. 575)
1. All'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «ovvero del delitto di cui all'articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356».
2. Il titolo della legge 31 maggio 1965, n. 575, è sostituito dal seguente: «Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere».
L’articolo 25 novella l’art. 1 della legge 575/1965[39] (Disposizioni contro la mafia) estendendone l'ambito di applicazione.
Il citato articolo 1 prevede attualmente l’applicazione della legge 575, in materia di misure di prevenzione, agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso nonché - dopo l’intervento del recente citato D.L. 92/2008 - ai soggetti indiziati di uno dei gravi reati associativi previsti dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale.
Il riferimento ai delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis c.p.p è ai delitti di grave allarme sociale previsti dagli articoli 416, sesto comma (associazione per delinquere finalizzata alla tratta o alla riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù o all’acquisto e vendita di schiavi), 600 (riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù), 601 (tratta di persone), 602 (acquisto e vendita di schiavi), 416-bis (associazione mafiosa) e 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione) del codice penale; ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni d’intimidazione previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni mafiose, nonché dei delitti previsti dall'articolo 74 del D.P.R. 309/1990 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) e dall'articolo 291-quater del D.P.R. 43/1973 (TU doganale) (associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri).
Tale ambito di applicazione è esteso dall’art. 25 in esame anche ai soggetti indiziati di trasferimento fraudolento di valori,reatodi cui all'art. 12-quinquies, comma 1, del D.L. 306 del 1992[40].
Il citato art. 12-quinquies prevede la reclusione da 2 a 6 anni per chiunque attribuisca fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli artt. 648 (Ricettazione), 648-bis (Riciclaggio) e 648-ter c.p. (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita).
Il comma 2 dell’art. 25 in esame sostituisce il titolo della citata legge n. 575 del 1965 (Disposizioni contro la mafia), con il seguente: Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere.
La novella assume, probabilmente, valore di coordinamento con quella che ha interessato la rubrica dell’art. 416-bis del codice penale ad opera dall’art. 1 del recente decreto-sicurezza n. 92 del 2008); a seguito dell’indicata modifica la rubrica dell’art. 416-bis ha, infatti, assunto la seguente denominazione: “Associazioni di tipo mafioso anche straniere”.
Si segnala che novelle ulteriori alla legge n. 575 del 1965 sono contenute negli articoli 28, 32, 33 e 35 del disegno di legge.
Articolo 26
(Modifica alle disposizioni del codice di
procedura penale in tema di misure cautelari personali)
1. All'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, le parole: «all'articolo 416-bis del codice penale o ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo» sono sostituite dalle seguenti: «all'articolo 51, commi 3-bis, 3-quater e 3-quinquies, limitatamente alle fattispecie previste dagli articoli 600-bis, 600-ter e 600-quinquies del codice penale, nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 609-bis, escluso il caso previsto dal terzo comma, 609-quater, secondo comma, e 609-octies del codice penale,».
L'articolo 26, inserito nel corso dell'esame al Senato,interviene sull’art. 275 c.p.p. novellandone il terzo comma e, così, ampliando il catalogo dei reati per i quali si deroga al principio generale per cui la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata.
In proposito si segnala che sulla disposizione è intervenuto l’articolo 2, comma 1, lett. a) del decreto-legge n. 11 del 2009, vigente e in corso di conversione.
Tale disposizione ha esteso la presunzione dell’esistenza di esigenze cautelari (salvo prova contraria) e quindi l’obbligo di applicazione della custodia cautelare in carcere in presenza di gravi indizi di colpevolezza a tutti i delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, nonché a specifici ulteriori delitti ritenuti di particolare gravità e allarme sociale.
Il riferimento ai delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis c.p.p – oltre che ai delitti di associazione mafiosa e reati collegati - è a quelli previsti dagli articoli 416, sesto comma (associazione per delinquere finalizzata alla tratta o alla riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù o al commercio di schiavi), 600 (riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù), 601 (tratta di persone), 602 (acquisto e vendita di schiavi), 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione) del codice penale; ai delitti previsti dall'articolo 74 del D.P.R. 309/1990 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) e 291-quater del D.P.R. 43/1973 (TU doganale) (associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri).
Il riferimento al successivo comma 3-quater è ai delitti aventi finalità di terrorismo.
Il previgente terzo comma dell’art. 275 c.p.p. prevedeva l’applicazione della custodia cautelare in carcere in presenza di gravi indizi di colpevolezza esclusivamente in ordine ai delitti di associazione mafiosa e reati connessi, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.
Gli ulteriori delitti ritenuti meritevoli di essere inseriti nella disciplina del doppio binario cautelare (ovvero per i quali le esigenze cautelari sono presunte) sono l’omicidio (art. 575 c.p.) ed una serie di reati di natura sessuale ovvero:
§ l’induzione e sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-bis, primo comma, c.p.);
§ la pornografia minorile (art. 600-ter c.p.) esclusa l’ipotesi di cui al quarto comma, ovvero l’offerta o la cessione, anche gratuita, di materiale pornografico minorile;
§ il turismo sessuale (art. 600-quinquies c.p.);
§ la violenza sessuale (art. 609-bis, c.p.), esclusi i casi di minore gravità (terzo comma);
§ gli atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.),
§ la violenza sessuale di gruppo(art. 609-octies c.p.).
Rispetto alla disposizione del decreto-legge, l’articolo in commento:
§ non contempla l’omicidio (art. 575 c.p.);
§ limita le fattispecie di atti sessuali con minorenne agli atti sessuali con minore di 16 anni quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest'ultimo, una relazione di convivenza) (art. 609-quater, secondo comma)
§ facendo riferimento all’intero articolo 600-bis (e non solo al primo comma), contempla anche il delitto di compimento di atti sessuali con minorenni in cambio di denaro o di alta utilità economica);
§ non contenendo l’esclusione dell’articolo 600-ter, quarto comma, contempla anche l’offerta o la cessione, anche gratuita, di materiale pornografico minorile(art. 600-ter, quarto comma).
Si osserva che ove si intendesse modificare il catalogo di reati di cui all’articolo 275, terzo comma, c.p, la formulazione dell’articolo in commento dovrebbe tenere conto della novella, già vigente, apportata a tale disposizione dal decreto-legge n. 11 del 2009.
Articolo 27
(Modifiche alla legge 27 dicembre 1956,
n. 1423)
1. All'articolo 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, al quarto comma, dopo le parole: «sottrarsi ai controlli di polizia,» sono inserite le seguenti: «armi a modesta capacità offensiva, riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi, altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone, prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, nonché sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare lo sprigionarsi delle fiamme,».
L'articolo 27 del disegno di legge, inserito nel corso dell'esame al Senato, modifica l'art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, in materia di misure di prevenzione personali.
La nuova norma integra i divieti di possesso ed utilizzo di determinati beni previsto dall’art. 4, comma 4, della legge 1423 nei confronti di persone condannate per reati non colposi e che hanno ricevuto il cd. avviso orale del questore (ovvero verso coloro nei cui confronti sia potenzialmente avviabile un procedimento applicativo delle misure di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza o del divieto di soggiorno).
L’art. 4, comma 4, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità) prevede che con l'avviso orale il questore possa imporre alle persone che risultino definitivamente condannate per delitti non colposi il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni, giubbotti antiproiettile, mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, nonché programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi. Il divieto del questore è opponibile davanti al giudice monocratico.
L’art. 27 prevede in particolare che il questore possa inibire a tali soggetti anche il possesso di armi a modesta capacità offensiva, riproduzioni di armi - comprese le armi-giocattolo - spray urticanti non idonei ad arrecare offesa alle persone, prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, nonché sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare lo sprigionarsi delle fiamme.
Il D.M. 9 agosto 2001 n. 362[41] definisce armi a modesta capacità offensiva, non assimilate alle comuni armi da sparo, le armi ad aria o a gas compressi, sia lunghe che corte, i cui proiettili sono dotati di un'energia cinetica, misurata all'origine, non superiore a 7,5 joule.
1. Alla legge 31 maggio 1965, n. 575, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 2, comma 2, le parole: «con la notificazione della proposta» sono soppresse;
b) all'articolo 2-bis:
1) al comma 1, dopo le parole: «Il procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «di cui all'articolo 2, comma 1»;
2) al comma 4, dopo le parole: «il procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, il direttore della Direzione investigativa antimafia»;
3) al comma 6, dopo le parole: «Il procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «, il direttore della Direzione investigativa antimafia»;
c) all'articolo 2-ter, commi secondo, sesto e settimo, dopo le parole: «del procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «di cui all'articolo 2, comma 1»;
d) all'articolo 3-bis, settimo comma, dopo le parole: «su richiesta del procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «di cui all'articolo 2, comma 1»;
e) all'articolo 10-quater, secondo comma, dopo le parole: «su richiesta del procuratore della Repubblica» sono inserite le seguenti: «di cui all'articolo 2, comma 1».
L’articolo 28, aggiunto nel corso dell'esame al Senato, apporta alcune modifiche alla sopra richiamata legge n. 575 del 1965 sulle misure di prevenzione antimafia, proseguendo un percorso intrapreso dal citato decreto sicurezza n. 92 del 2008, volto al rafforzamento delle competenze delle procure distrettuali e della Direzione investigativa antimafia.
Con una prima modifica all’art. 2, comma 2, della legge 575 si consente al questore di applicare il divieto di possedere gli oggetti di cui all'art. 4 della legge n. 1423 del 1956 (modificato dal precedente art. 27, su cui supra, che ha integrato il catalogo dei beni di cui può essere vietato il possesso o l’utilizzo) indipendentemente dalla notificazione della proposta di applicazione della misura di prevenzione personale (lett. a).
Una seconda novella (lett. b), n. 1) precisa che la competenza all’avvio delle indagini patrimoniali nei confronti della persona nei cui confronti può essere proposta la misura di prevenzione – oltre che al questore ed al direttore della Direzione investigativa antimafia - spetta al procuratore della Repubblica presso il tribunale distrettuale.
Altre modifiche contenute nella medesima lettera b) estendono alcune competenze in materia di procedimenti di prevenzione al direttore della Direzione investigativa antimafia:
- si tratta del potere di richiedere al presidente del tribunale competente per l'applicazione della misura di prevenzione di disporre anticipatamente il sequestro dei beni prima della fissazione dell'udienza quando vi sia concreto pericolo che i beni da confiscare possano essere dispersi, sottratti od alienati, (n. 2);
- di richiedere ad ogni ufficio della pubblica amministrazione, ad ogni ente creditizio nonché alle imprese, società ed enti di ogni tipo informazioni e copia della documentazione ritenuta utile ai fini delle indagini nei confronti dei soggetti indiziati di appartenenza alle associazioni criminali (n. 3).
Le lettere c), d) ed e) chiariscono che una serie di poteri d’impulso (di cui agli artt, 2-ter, secondo, sesto e settimo comma, 3-bis, settimo comma e 10-quater, secondo comma, della legge 575/1965) nell'ambito dei procedimenti di prevenzione antimafia, spettano al procuratore della Repubblica di cui all’art. 2, comma 1 (ovvero al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove dimora la persona).
Si tratta dei seguenti:
- richiesta, nei casi di urgenza, al presidente del tribunale di procedere al sequestro dei beni dei quali la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento di prevenzione risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego (art. 2-ter, secondo comma);
- richiesta al presidente del tribunale di adottare provvedimenti di sequestro e confisca, quando ne ricorrano le condizioni, anche dopo l'applicazione della misura di prevenzione, ma prima della sua cessazione (art. 2-ter, sesto comma);
- proposta di avvio o proseguimento del procedimento di prevenzione anche in caso di assenza, residenza o dimora all'estero della persona interessata alla misura, ai soli fini dell'applicazione dei provvedimenti di sequestro e confisca dei beni che si ha motivo di ritenere essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego (art. 2-ter, settimo comma);.
- richiesta al tribunale di rinnovo della cauzione (anche per somma superiore a quella originaria) - dopo una sua prima confisca o l’avvio del procedimento esecutivo - per violazione degli obblighi o dei divieti derivanti dall'applicazione della misura di prevenzione (art. 3-bis, settimo comma);
- richiesta al tribunale, anche dopo l’applicazione della misura di prevenzione, dei provvedimenti di cui all’articolo 10, comma 4 (decadenza da licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni ad albi o registri, abilitazioni ed erogazioni pubbliche del convivente della persona cui è applicata una misura di prevenzione nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi) (art. 10-quater, secondo comma).
Il 20 novembre 2008 la Commissione europea ha presentato la comunicazione ”Proventi della criminalità organizzata – Garantire che “il crimine non paghi” (COM(2008)766). La comunicazione si concentra sull’istituto della confisca e del recupero dei proventi di reato nell’ambito dell’Unione europea e analizza le differenti procedure giuridiche esistenti negli Stati membri, individuando misure strategiche, legislative e non, per migliorare la cooperazione a livello UE. In particolare la comunicazione osserva che gli Stati membri dovrebbero completare l'opera di recepimento dell'attuale quadro normativo e applicare la decisione del Consiglio 2007/845/GAI, designando o istituendo gli uffici di recupero di beni, i quali devono essere in grado di scambiarsi rapidamente informazioni, avere sufficienti poteri e agire secondo le migliori pratiche, con il coordinamento di Europol.
Articolo 29
(Modifica all'articolo 12-sexies, comma 2-ter, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356)
1. All'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 2-ter è sostituito dal seguente:
«2-ter. Nel caso previsto dal comma 2, quando non è possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui al comma 1, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona»;
b)al comma 4-bis, le parole: «dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni» sono sostituite dalle seguenti: «dagli articoli 2-quater, 2-sexies, 2-septies, 2-octies, 2-nonies, 2-decies, 2-undecies e 2-duodecies della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni».
L’articolo 29 del disegno di legge, inserito nel corso dell'esame al Senato,introduce modifiche all’art. 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992 (L: n. 356 del 1992), relativo alla cd. confisca di valori ingiustificati.
L’art. 12-sexies prevede che al condannato (o a chi ha patteggiato la pena) per una serie di specifici, gravi reati (associazione mafiosa e finalizzata al traffico di droga, terrorismo, numerosi reati contro la P.A., tratta, sequestro di persona a scopo di estorsione, riciclaggio, ecc.) sia sempre confiscato il denaro, i beni o delle altre utilità di cui non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato o alla propria attività economica (comma 1).
Detta confisca obbligatoria di valori ingiustificati si applica anche ai condannati per un delitto di mafia (commesso avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni mafiose) nonché a chi è stato condannato per contrabbando aggravato (comma 2).
In caso di confisca di beni per una specifica serie di delitti contro la pubblica amministrazione (nonché per i delitti contro il patrimonio e gli altri reati indicati al comma 2-quater) si applicano le disposizioni degli articoli 2-novies, 2-decies e 2-undecies della legge n. 575 del 1965 che dettano le disposizioni sul procedimento di devoluzione allo Stato dei beni oggetto di confisca antimafia (comma 2-bis).
Nel caso previsto dal comma 2, quando non è possibile procedere alla confisca in applicazione delle disposizioni ivi richiamate, il giudice ordina la confisca delle somme di denaro, dei beni e delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato (art. 2-ter).
La prima modifica riguarda la riformulazione del sopra richiamato comma 2-ter. Con riferimento alle ipotesi di cui al comma 2 (confisca applicabile ai condannati per un delitto di mafia o per contrabbando aggravato), nel caso di confisca “per equivalente”, la novella elimina il riferimento al “prodotto, profitto o prezzo del reato” nella determinazione del valore delle somme, dei beni e delle altre utilità da confiscare. La disposizione sembra quindi avere portata estensiva rispetto al testo vigente.
L'articolo 29 modifica, poi, il comma 4-bis dell’art. 12-sexies che attualmente prevede che anche ai casi di confisca di valori ingiustificati si applichino le disposizioni in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati o confiscati previste dalla legge 575 del 1965.
La novella sostituisce il generico rinvio alla legge 575/1965 con la specifica elencazione delle disposizioni da applicare (art. 2-quater e artt. da 2-sexies a 2-duodecies).
Articolo 30
(Modifiche all'articolo 34 della legge 19
marzo 1990, n. 55)
1. Al comma 1 dell'articolo 34 della legge 19 marzo 1990, n. 55, nel primo periodo, dopo le parole: «appositi registri» sono inserite le seguenti: «, anche informatici,» e dopo il primo periodo sono inseriti i seguenti: «Nei registri viene curata l'immediata annotazione nominativa delle persone fisiche e giuridiche nei cui confronti sono disposti gli accertamenti personali o patrimoniali da parte dei soggetti titolari del potere di proposta. Il questore territorialmente competente e il direttore della Direzione investigativa antimafia provvedono a dare immediata comunicazione alla procura della Repubblica competente per territorio della proposta di misura personale e patrimoniale da presentare al tribunale competente».
L'articolo 30, aggiunto dal Senato, modifica la disciplina dei registri dei procedimenti di prevenzione previsti dall'art. 34 della legge n. 55 del 1990[42]
La disposizione in particolare novella il comma 1 del citato art. 34 esplicitando che tali registri, istituiti presso le procure della Repubblica e le cancellerie dei tribunali, possono essere anche informatici.
Essa, inoltre, integra il contenuto della disposizione prevedendo:
- che nei registri debba essere effettuata l'immediata annotazione nominativa delle persone (fisiche e giuridiche) nei cui confronti sono disposti gli accertamenti personali o patrimoniali:
- che il questore e il direttore della D.I.A. debbano dare immediata comunicazione alla competente procura della Repubblica della proposta di misura personale e patrimoniaIe da presentare al Tribunale competente.
Si ricorda, inoltre, che il secondo periodo della medesima disposizione demanda ad un D.M. giustizia (che avrebbe dovuto essere emanato entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione della legge, ma non risulta essere stato mai emanato) la definizione delle modalità di tenuta, delle tipologie dei registri e le annotazioni che vi devono essere operate.
1. Alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, sono apportate le seguenti modificazioni:
a)l'articolo 104 è sostituito dal seguente:
«Art. 104. - (Esecuzione del sequestro preventivo). - 1. Il sequestro preventivo è eseguito:
a) sui mobili e sui crediti, secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili;
b) sugli immobili o mobili registrati, con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici;
c) sui beni aziendali organizzati per l'esercizio di un'impresa, oltre che con le modalità previste per i singoli beni sequestrati, con l'immissione in possesso dell'amministratore, con l'iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese presso il quale è iscritta l'impresa;
d) sulle azioni e sulle quote sociali, con l'annotazione nei libri sociali e con l'iscrizione nel registro delle imprese;
e) sugli strumenti finanziari dematerializzati, ivi compresi i titoli del debito pubblico, con la registrazione nell'apposito conto tenuto dall'intermediario ai sensi dell'articolo 34 del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213. Si applica l'articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 170.
2. Si applica altresì la disposizione dell'articolo 92»;
b) nel capo VII, dopo l'articolo 104 è inserito il seguente:
«Art. 104-bis. - (Amministrazione dei beni sottoposti a sequestro preventivo). - 1. Nel caso in cui il sequestro preventivo abbia per oggetto aziende, società ovvero beni di cui sia necessario assicurare l'amministrazione, esclusi quelli destinati ad affluire nel Fondo unico giustizia, di cui all'articolo 61, comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, l'autorità giudiziaria nomina un amministratore giudiziario scelto nell'Albo di cui all'articolo 2-sexies, comma 3, della legge 31 maggio 1965, n. 575. Con decreto motivato dell'autorità giudiziaria la custodia dei beni suddetti può tuttavia essere affidata a soggetti diversi da quelli indicati al periodo precedente».
L’articolo 31 detta una nuova e molto più dettagliata formulazione dell’art. 104 delle Norme di attuazione del codice di procedura penale (D.Lgs n. 271 del 1989) relativo al sequestro preventivo (lett. a) e introduce nelle stesse norme un nuovo art. 104-bis (lett. b).
Il sequestro preventivo è una misura cautelare adottata con decreto motivato - su richiesta del PM - dal giudice del merito o dal GIP (prima dell’esercizio dell’azione penale) con cui è disposto il sequestro di un bene di una cosa pertinente al reato la cui libera disponibilità possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati (art. 321 c.p.).
Attualmente, il citato art. 104 fa rinvio alla disciplina del sequestro probatorio (ovvero del corpo del reato e delle cose ad esso pertinenti necessarie all’accertamento dei fatti, art. 253 c.p.p.) contenuta nel capo VI delle stesse norme di attuazione.
Fermo restando l’obbligo di trasmissione del provvedimento che dispone la misura sia all’organo che deve provvedere all’esecuzione sia (se si è nella fase delle indagini preliminari) al PM richiedente (art. 92, disp. att. c.p.p.), il riformulato art. 104 (ora rubricato “Esecuzione del sequestro preventivo”) stabilisce specifiche differenti modalità di esecuzione del sequestro preventivo in relazione alla natura del bene stesso.
In particolare, la misura si esegue:
a) sui mobili e sui crediti, secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo, in quanto applicabili;
b) sugli immobili o mobili registrati, con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici;
c) sui beni aziendali organizzati per l'esercizio di un'impresa, oltre che con le modalità previste per i singoli beni sequestrati, con l'immissione in possesso dell'amministratore, con l’iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese presso il quale è iscritta l'impresa;
d) sulle azioni e sulle quote sociali, con l’annotazione nei libri sociali e con l’iscrizione nel registro delle imprese;
e) sugli strumenti finanziari dematerializzati, ivi compresi i titoli del debito pubblico, con la registrazione nell’apposito conto tenuto dall’intermediario.
Ciò in applicazione dell’art. 34 del D.Lgs 213/1998[43] che prevede che la costituzione di vincoli di ogni genere sugli strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione sui mercati regolamentati, ivi compresi quelli previsti dalla normativa speciale sui titoli di debito pubblico, avvenga unicamente con le registrazioni sul conto tenuto dagli intermediari autorizzati (a norma del TU delle disposizioni sui mercati finanziari, di cui al D.Lgs 24 febbraio 1998, n. 58).
Dal rinvio fatto dall’art. 104 all’applicazione all’art. 10, comma 3, del D.Lgs 170/2004 deriva che qualora detto conto sia situato in Italia e gli strumenti finanziari non siano immessi in un sistema italiano in regime di dematerializzazione, le modalità di costituzione del sequestro siano regolate dalle disposizioni del titolo V del citato decreto legislativo n. 213/1998, in quanto applicabili.
Il nuovo art. 104-bis prevede che - nel caso in cui il sequestro preventivo abbia per oggetto aziende, società ovvero beni di cui sia necessario assicurare l'amministrazione - l'autorità giudiziaria nomini un amministratore giudiziario scelto nel relativo Albo nazionaledi cui all’art. 2-sexies della legge 575/1965 (la cui istituzione è prevista dal successivo art. 32 deld.d.l. in esame).
Con decreto motivato del giudice, la custodia dei beni sequestrati può, comunque, essere affidata a soggetto diverso dall’amministratore giudiziario
L’art. 104-bis precisa, inoltre, l’esclusione dal suo ambito applicativo dei beni che affluiscono al neonato “Fondo unico giustizia” di cui all’articolo 61, comma 23 del decreto-legge n. 112 del 2008.
Il D.L. 112/2008, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito, con modificazioni, dalla L. 133/2008, ha previsto l’afflusso ad un unico Fondo delle somme di denaro sequestrate e confiscate nell’ambito di procedimenti penali o per l’applicazione di misure di prevenzione antimafia o di irrogazione di sanzioni amministrative (art. 61, co. 23).
Con l’obiettivo di razionalizzazione della gestione delle somme amministrate dal sistema giustizia, il legislatore con il successivo D.L. 143/2008, convertito dalla legge 181/2008, recante “Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario”, ha denominato il citato Fondo come “Fondo unico giustizia” recandone una particolare disciplina (art. 2). Alla gestione del Fondo è stata chiamata Equitalia Giustizia s.p.a. ed è stata ampliata la tipologia delle risorse che affluiscono al Fondo, prevedendo che siano vincolate a tale destinazione, unitamente ai relativi interessi, anche:
§ le somme di denaro sequestrate e non confiscate, già devolute allo Stato di cui, trascorsi 5 anni dalla sentenza definitiva, nessuno ha chiesto la restituzione;
§ le somme e i proventi relativi a titoli al portatore, a quelli emessi o garantiti dallo Stato anche se non al portatore, ai valori di bollo, ai crediti pecuniari, ai conti correnti, ai conti di deposito titoli, ai libretti di deposito e ad ogni altra attività finanziaria a contenuto monetario o patrimoniale oggetto di provvedimenti di sequestro nell'ambito di procedimenti penali o per l'applicazione di misure di prevenzione antimafia o di irrogazione di sanzioni amministrative, inclusi quelli di cui al decreto legislativo 231/2001;
§ le somme depositate presso Poste Italiane S.p.a., banche e altri operatori finanziari, in relazione a procedimenti civili di cognizione, esecutivi o speciali, non riscossi o non reclamati dagli aventi diritto entro 5 anni dalla data in cui il procedimento si è estinto o è stato comunque definito o è divenuta definitiva l'ordinanza di assegnazione, di distribuzione o di approvazione del progetto di distribuzione ovvero, in caso di opposizione, dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia;
§ le somme devolute allo Stato, in quanto derivanti dal riparto del fallimento e non riscosse entro 5 anni dal deposito.
Articolo 32
(Conservazione e amministrazione dei beni
sequestrati)
1. All'articolo 2-septies della legge 31 maggio 1965, n. 575, dopo il comma 4 sono aggiunti i seguenti:
«4-bis. Le procedure esecutive, gli atti di pignoramento e i provvedimenti cautelari in corso da parte di Equitalia S.p.A. o di altri concessionari di riscossione pubblica sono sospesi nelle ipotesi di sequestro di aziende o società disposto ai sensi della presente legge con nomina di un amministratore giudiziario. È conseguentemente sospesa la decorrenza dei relativi termini di prescrizione.
4-ter. Nelle ipotesi di confisca dei beni, aziende o società sequestrati i crediti erariali si estinguono per confusione ai sensi dell'articolo 1253 del codice civile».
2. All'articolo 2-sexies, comma 3, della legge 31 maggio 1965, n. 575, le parole: «negli albi degli avvocati, dei procuratori legali, dei dottori commercialisti e dei ragionieri del distretto nonché tra persone che, pur non munite delle suddette qualifiche professionali, abbiano comprovata competenza nell'amministrazione di beni del genere di quelli sequestrati» sono sostituite dalle seguenti: «nell'Albo nazionale degli amministratori giudiziari».
3. L'Albo di cui all'articolo 2-sexies, comma 3, della legge 31 maggio 1965, n. 575, come modificato dal comma 2 del presente articolo, tenuto presso il Ministero della giustizia, è istituito, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, con decreto legislativo da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri dell'interno, dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico. Con il decreto legislativo sono definiti:
a) i titoli che costituiscono requisiti necessari per l'iscrizione all'Albo;
b) l'ambito delle attività oggetto della professione;
c) le norme transitorie che disciplinano l'inserimento nell'Albo degli attuali iscritti nell'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e nell'albo degli avvocati, ovvero di coloro che, pur non muniti delle suddette qualifiche professionali, abbiano comprovata competenza nell'amministrazione di beni del genere di quelli sequestrati;
d) i criteri di liquidazione dei compensi professionali degli amministratori giudiziari, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, tenuto conto anche della natura dei beni, del valore commerciale del patrimonio da amministrare, dell'impegno richiesto per la gestione dell'attività, delle tariffe professionali o locali e degli usi.
4. Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 3 è trasmesso alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che sono resi entro trenta giorni dalla data di trasmissione del medesimo schema di decreto. Decorso il termine senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza il decreto legislativo può essere comunque adottato.
5. Con decreto del Ministro della giustizia, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 3, sono stabilite le modalità di tenuta e pubblicazione dell'Albo nazionale degli amministratori giudiziari, nonché i rapporti con le autorità giudiziarie che procedono alla nomina.
6. All'articolo 2-octies, comma 1, della legge 31 maggio 1965, n. 575, dopo le parole: «a qualunque titolo» sono aggiunte le seguenti: «ovvero sequestrate o comunque nella disponibilità del procedimento».
7. Al comma 1 dell'articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La presente disposizione non si applica alle aziende o società per le quali sia stato disposto il sequestro o la confisca ai sensi dell'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, ovvero della legge 31 maggio 1965, n. 575».
L’articolo 32, inserito nel corso dell'esame presso il Senato, novella gli artt. 2-sexies, 2-septies e 2-octies della legge n. 575 del 1965 nonché l’art. 48-bis del cd. T.U.I.R. (DPR 602 del 1973), Testo unico imposte sul reddito.
Il comma 1 dell’art. 32 aggiunge due commi al citato art. 2-septies (commi 4-bis e 4-ter).
§ il nuovo comma 4-bis sottrae, anzitutto, all'azione esecutiva esattoriale eventualmente intrapresa o proseguita da Equitalia o da altri concessionari di riscossione - per tutta la durata della misura di prevenzione o del processo penale - i beni sequestrati o confiscati ai sensi della stessa legge 575 per i quali sia stato nominato un amministratore giudiziario; è,quindi, sospesa la decorrenza dei termini di prescrizione dell’azione.
§ Il nuovo comma 4-quater stabilisce, in caso di confisca di beni, aziende e società sequestrate, l’estinzione “per confusione” dei crediti erariali venendo meno la diversità dei soggetti del rapporto obbligatorio.
L’art. 1253 c.c. (Effetti della confusione) stabilisce che quando le qualità di creditore e di debitore si riuniscono nella stessa persona, l'obbligazione si estingue e i terzi che hanno prestato garanzia per il debitore sono liberati.
Il comma 2 dell’art. 32 del d.d.l. novella, invece, l’art. 2-sexies della legge 575/1965 prevedendo che la nomina dell’amministratore dei beni sequestrati e confiscati da parte del tribunale debba avvenire unicamente nell’ambito dei professionisti iscritti all’Albo degli amministratori giudiziari, la cui istituzione è prevista dal successivo comma 3 dell’articolo in esame
Il testo vigente dell’art. 2-sexies prevede che – con lo stesso provvedimento che dispone il sequestro di prevenzione - il tribunale debba nominare sia un giudice delegato alla procedura (di gestione e destinazione dei beni sequestrati) sia un amministratore. L'amministratore ha il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione e all'amministrazione dei beni sequestrati anche nel corso degli eventuali giudizi di impugnazione, sotto la direzione del giudice delegato, anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni. L'amministratore è scelto tra gli iscritti negli albi degli avvocati, dei dottori commercialisti e dei ragionieri del distretto nonché tra persone che, pur non munite delle suddette qualifiche professionali, abbiano comprovata competenza nell'amministrazione di beni del genere di quelli sequestrati. Quando oggetto del sequestro sono beni costituiti in azienda, l'amministratore può essere scelto anche tra soggetti che hanno svolto o svolgono funzioni di commissario per l'amministrazione delle grandi imprese in crisi ai sensi del DL 30 gennaio 1979, n. 26, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 aprile 1979, n. 95. Non possono essere nominate amministratore le persone nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, il coniuge, i parenti, gli affini e le persone con esse conviventi, né le persone condannate ad una pena che importi l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o coloro cui sia stata irrogata una misura di prevenzione.
Il comma 3 dell’art. 32 in esame prevede, come accennato, che - con decreto legislativo da emanarsi entro 180 gg. dall’entrata in vigore del provvedimento in esame – sia istituito l'Albo nazionale degli amministratori giudiziari, tenuto dal Ministero della giustizia.
La nuova norma stabilisce i contenuti necessari del suddetto decreto legislativo (la cui procedura di adozione è indicata dal successivo comma 4, che prevede in particolare la trasmissione alle Camere ai fini dell’espressione del parere) ovvero: i titoli necessari all’iscrizione; l’ambito dell’attività professionale; la disciplina transitoria per l’iscrizione al nuovo Albo dei professionisti attualmente abilitati alla carica di amministratore ex art. 2-sexies; i criteri di liquidazione dei compensi degli amministratori.
Si osserva che il comma 3, che reca una norma di delega al Governo per l’istituzione dell’Albo nazionale degli amministratori giudiziari, definisce, alle lettere a)-d), l’oggetto della delega determinando i princìpi e criteri direttivi limitatamente ai criteri di liquidazione dei compensi professionali, di cui alla lettera d).
La tenuta e pubblicazione dell’Albo degli amministratori giudiziari nonché i rapporti con le autorità giudiziarie che procedono alla nomina è disciplinata da un decreto del Ministro della giustizia, da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 3 (comma 5).
Il comma 6 dell’articolo 32 integra la formulazione del comma 1 dell’art. 2-octies della legge 575 che, attualmente, prevede che le spese per la conservazione e l'amministrazione dei beni siano sostenute dall'amministratore prelevando quanto necessario dalle somme da lui riscosse a qualunque titolo.
La novella introdotta precisa che detto prelievo può essere fatto anche dalle somme sequestrate o comunque disponibili del procedimento di gestione dei beni.
L’ultima disposizione dell’articolo in esame (comma 7) integra la formulazione del comma 1 dell’art. 48-bis del DPR 602 del 1973 (Testo unico imposte sul reddito).
L’articolo 48-bis T.U.I.R. prevede che le pubbliche amministrazioni e le società a prevalente partecipazione pubblica, prima di effettuare, a qualunque titolo, il pagamento di un importo superiore a 10.000 euro, verificano, anche in via telematica, se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo e, in caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all’agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo.
La vigenza di tale previsione, introdotta dall’art. 2, comma 9, del D.L. 3 ottobre 2006 n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria) decorre dalla data di entrata in vigore del regolamento attuativo, ora emanato con il DM 18 gennaio 2008, n. 40[44].
Il periodo aggiunto al comma 7 esonera dall’applicazione di tale disposizione le pubbliche amministrazioni quando beneficiarie del pagamento siano le aziende o le società sequestrate o confiscate ai sensi dell’art. 12-sexies (cd. confisca di valori ingiustificati, sulla quale v. art. 29 del d.d.l.) del D.L. 306/1992 (L. 356/1992) ovvero della legge 575/1965.
1. All'articolo 2-undecies della legge 31 maggio 1965, n. 575, dopo il comma 3 è inserito il seguente:
«3-bis. I beni mobili iscritti in pubblici registri, le navi, le imbarcazioni, i natanti e gli aeromobili sequestrati sono affidati dall'autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi di polizia, anche per le esigenze di polizia giudiziaria, i quali ne facciano richiesta per l'impiego in attività di polizia, ovvero possono essere affidati ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici non economici, per finalità di giustizia, di protezione civile o di tutela ambientale. Se è stato nominato l'amministratore giudiziario di cui all'articolo 2-sexies, l'affidamento non può essere disposto senza il previo parere favorevole di quest'ultimo».
L’articolo 33 del d.d.l. – introdotto nel corso dell’esame al Senato – modifica la disciplina della legge n. 575 del 1965 concernente la custodia dei beni mobili registrati sequestrati nel corso dei procedimenti di prevenzione antimafia.
Viene aggiunto, a tal fine, all’art. 2-undecies della legge n. 575 un nuovo comma 3-bis che prevede, in caso di esplicita richiesta e previo parere favorevole dell’amministratore giudiziario (se nominato), che l’autorità giudiziaria affidi in custodia giudiziale agli organi di polizia - che possono usarli anche per esigenze di polizia giudiziaria - i beni mobili registrati, le imbarcazioni, i natanti e gli aeromobili sequestrati alle organizzazioni criminali.
Gli stessi beni possono essere affidati anche ad altri organi dello Stato o enti pubblici non economici che li usino per finalità di giustizia, protezione civile o tutela dell’ambiente.
La disposizione è ricalcata su quella inserita nel T.U. immigrazione (D.Lgs 286 del 1998, art. 12, comma 8) dal D.Lgs 113 del 1999[45] che ha previsto che i beni sequestrati nel corso di operazioni di polizia finalizzate alla prevenzione e repressione dei reati di immigrazione clandestina siano affidati in custodia giudiziale, salvo che vi ostino esigenze processuali, agli organi di polizia che ne facciano richiesta per l'impiego in attività di polizia ovvero ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici per finalità di giustizia, di protezione civile o di tutela ambientale; competente all’affidamento è l'autorità giudiziaria procedente. La stessa norma sancisce l’inalienabilità dei mezzi di trasporto e richiama l’eventuale applicazione dell'articolo 100, commi 2 e 3, del DPR 309/1990, cd. TU stupefacenti, (sull’eventuale restituzione a terzi di buona fede e sulle spese di gestione dei beni) che già aveva previsto analogo utilizzo per le stesse tipologie di beni sequestrati nel corso di operazioni antidroga (utilizzo, tuttavia, possibile non per tutte le operazioni anticrimine bensì per le sole attività di polizia antidroga).
Dalla formulazione della norma, l’affidamento in custodia giudiziale alla polizia sembra avere – in presenza dei requisiti – natura obbligatoria; al contrario, in quello ad altri organi statali ed a enti assume rilievo la valutazione discrezionale del giudice.
Attualmente, spetta all’amministratore nominato dal tribunale[46] (con lo stesso decreto di sequestro con cui nomina il giudice delegato alla procedura) il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione e all'amministrazione dei beni mobili (e immobili) sequestrati, anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni (art. 2-sexies, L: 575).
Posto che il nuovo comma 3-bis individua genericamente nell’«autorità giudiziaria» il soggetto competente ad affidare in custodia giudiziale i beni mobili registrati sequestrati nel corso dei procedimenti di prevenzione antimafia, può essere utile a fini di chiarezza esplicitare qual è l’autorità giudiziaria competente.
Articolo 34
(Modifiche all'articolo 38 del codice di
cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163)
1. All'articolo 38 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, dopo la lettera m-bis) è aggiunta la seguente:
«m-ter) di cui alla precedente lettera b) che, anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l'applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste, pur essendo stati vittime dei reati previsti e puniti dagli articoli 317 e 629 del codice penale aggravati ai sensi dell'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, non risultino aver denunciato i fatti alla autorità giudiziaria. Tale circostanza deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell'imputato nei tre anni antecedenti alla pubblicazione del bando e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente alla Autorità di cui all'articolo 6, la quale cura la pubblicazione della comunicazione sul sito dell'Osservatorio»;
b) dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. I casi di esclusione previsti dal presente articolo non si applicano alle aziende o società sottoposte a sequestro o confisca ai sensi dell'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, o della legge 31 maggio 1965, n. 575, ed affidate ad un custode o amministratore giudiziario o finanziario».
L'articolo 34 del d.d.l., anch’esso inserito durante l’esame al Senato, modifica l'art. 38 del cd. Codice dei contratti pubblici (D.Lgs 163 del 2006).
In particolare, il comma 1, lett. a) amplia la platea dei soggetti che, a causa della mancanza di determinati requisiti di ordine morale, sono esclusi dalla partecipazione a gare di appalto, forniture e servizi, da affidamento di concessioni, da subappalti e dalla possibilità di stipula dei relativi contratti.
In base al testo vigente dell’art. 38, si tratta di coloro: a) che sono in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni; b) nei cui confronti è pendente un procedimento di prevenzione o nei cui confronti la misura di prevenzione sia stata applicata con provvedimento definitivo; l’esclusione e il divieto operano se la pendenza del procedimento riguarda il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; il socio o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico, se si tratta di altro tipo di società; c) coloro che sono stati definitivamente condannati (o hanno patteggiato la sentenza) per reati gravi in danno dello Stato o della U.E. che incidono sulla moralità professionale, per associazione a delinquere, corruzione, frode o riciclaggio; d) che hanno violato il divieto di intestazione fiduciaria (art. 17, L. 55 del 1990); e) che hanno commesso gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro, risultanti dai dati in possesso dell'Osservatorio dei contratti pubblici; f) che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante; g) che hanno commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse; h) che nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara hanno reso false dichiarazioni in merito ai requisiti e alle condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara e per l'affidamento dei subappalti, risultanti dai dati in possesso dell'Osservatorio; i) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali; l) che non presentino la certificazione che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili (art. 17 della legge 68 del 1999; m) nei cui confronti è stata applicata la sanzione interdittiva del divieto di contrattare con la P.A. (art. 9, comma 2, lettera c), del D.Lgs 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche o altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con P.A).; m-bis) nei cui confronti sia stata applicata la sospensione o la decadenza dell'attestazione S.O.A. (Società organismi di attestazione)[47] per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci, risultanti dal casellario informatico.
Aggiungendo la lett. m-ter al comma 1 dell’art 38 del Codice degli appalti,l’art. 34 del d.d.l. introduce, infatti, un’ulteriore categoria di esclusi dalle citate gare d’appalto: i soggetti di cui alla lettera b) (titolare o direttore tecnico, per imprese individuali; socio o direttore tecnico per le società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico per le società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico, per gli altri tipo di società), pure in assenza di un procedimento di prevenzione pendente nei loro confronti o di un provvedimento definitivo che abbia loro applicato una misura di prevenzione, qualora tali soggetti, essendo stati vittime di concussione o estorsione aggravate (dall’appartenenza ad associazioni mafiose, ex art. 7 del D.L. 152/1991), non abbiano denunciato i fatti all'autorità giudiziaria.
La norma precisa che tale circostanza deve emergere dagli indizi alla base della richiesta del PM di rinvio a giudizio dell’imputato (concussore o estorsore) formulata nei tre anni anteriori alla pubblicazione del bando di gara e deve essere comunicata dal PM procedente all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, insieme alle generalità del soggetto che ha omesso la denuncia. L’Autorità di vigilanza deve curare la pubblicazione della comunicazione sul sito Internet dell’Osservatorio dei contratti pubblici.
Il comma 1, lettera b), dell’art. 34 aggiunge poi allo stesso art. 38 del Codice degli appalti un comma 1-bis che esclude dall’applicazione del descritto art. 38 del Codice degli appalti le aziende o società oggetto di sequestro e confisca antimafia ex art. 12-sexies DL 306/1992 (novellato dall’articolo 29 del disegno di legge, su cui cfr. supra) ovvero ai sensi della legge n. 575 del 1965 ed affidate ad un custode o amministratore giudiziario o finanziario.
Detta esclusione riguarda, quindi, le utilità oggetto di sequestro e confisca di cui il condannato (per una serie di gravi reati, tra i quali i delitti di mafia) non può giustificare la provenienza e di cui risulta essere titolare (anche tramite prestanomi) o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito.
Articolo 35
(Assegnazione dei beni confiscati alle organizzazioni
criminali mafiose)
1. L'articolo 2-decies della legge 31 maggio 1965, n. 575, è sostituito dal seguente:
«Art. 2-decies. - 1. Ferma la competenza dell'Agenzia del demanio per la gestione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali di cui agli articoli 2-nonies e 2-undecies della presente legge e 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, la destinazione dei beni immobili e dei beni aziendali è effettuata con provvedimento del prefetto dell'ufficio territoriale di Governo ove si trovano i beni o ha sede l'azienda, su proposta non vincolante del dirigente regionale dell'Agenzia del demanio, sulla base della stima del valore risultante dagli atti giudiziari, salvo che sia ritenuta necessaria dal prefetto una nuova stima, sentite le amministrazioni di cui all'articolo 2-undecies della presente legge interessate, eventualmente in sede di conferenza di servizi, nonché i soggetti di cui è devoluta la gestione dei beni.
2. Il prefetto procede d'iniziativa se la proposta di cui al comma 1 non è formulata dall'Agenzia del demanio entro novanta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1 dell'articolo 2-nonies.
3. Il provvedimento del prefetto è emanato entro novanta giorni dalla proposta di cui al comma 1 o dal decorso del termine di cui al comma 2, prorogabili di ulteriori novanta giorni in caso di operazioni particolarmente complesse. Anche prima dell'emanazione del provvedimento di destinazione, per la tutela dei beni confiscati si applica il secondo comma dell'articolo 823 del codice civile».
L’articolo 35, aggiunto dal Senato, modifica la disciplina del procedimento di destinazione dei beni immobili e dei beni aziendali confiscati alle organizzazioni criminali mafiose, riformulando l’art. 2-decies della legge 575/1965.
La più volte citata legge 575 del 1965, come da ultimo modificata dalla Legge Finanziaria 2007[48], prevede che i beni confiscati alla mafia possano essere mantenuti al patrimonio indisponibile dello Stato per finalità di ordine pubblico, giustizia e protezione civile e anche per altri usi governativi o pubblici connessi allo svolgimento delle attività istituzionali di Amministrazioni pubbliche (art. 2-undecies). Il testo vigente dell’art. 2-decies prevede un procedimento per la destinazione dei beni immobili e aziendali confiscati che si articola nei seguenti passaggi:
a) la cancelleria del tribunale comunica all’ufficio provinciale del territorio il provvedimento definitivo di confisca;
b) l’ufficio fa una stima del valore dei beni;
c) il dirigente dell’ufficio provinciale del territorio (entro 90 gg. dal ricevimento della citata comunicazione da parte del tribunale) avanza una proposta di destinazione (non vincolante) alla direzione centrale del demanio;
d) rilascio del parere da parte del prefetto e del sindaco del comune interessato (è “sentito” anche l'amministratore giudiziario);
e) entro 30 gg dalla comunicazione della proposta, il direttore centrale del demanio emana il provvedimento di destinazione del bene confiscato.
Il nuovo art. 2-decies, confermando la competenza dell’Agenzia del demanio per la gestione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie, prevede all’interno del procedimento di destinazione le seguenti novità:
a) sia la stima del valore del bene immobile o aziendale che la proposta di destinazione (sempre non vincolante) è avanzata dal dirigente regionale dell’Agenzia del demanio (anziché dal dirigente dell’ufficio provinciale del territorio);
b) la stima è fatta sulla base del valore risultante dagli atti giudiziari (anziché essere effettuata dal competente ufficio del territorio);
c) la destinazione del bene confiscato è decisa dal prefetto della provincia di ubicazione del bene (anziché dal direttore generale del demanio); attualmente il prefetto – con il sindaco competente - ha solo poteri consultivi
d) possibilità, da parte del prefetto, in caso di necessità, di richiedere una nuova stima del valore del bene prima di decidere sulla destinazione,
e) obbligo, da parte del prefetto, di sentire – prima delle decisione - sia le amministrazioni interessate (eventualmente, in sede di conferenza di servizi) che i soggetti cui i beni sarebbero destinati in gestione (quindi, comuni, province e regioni interessate, Università Statali, Agenzie Fiscali, Amministrazioni dello Stato e Istituzioni culturali di rilevante interesse nazionale), è, invece, eliminato l’attuale obbligo di sentire sulla proposta di destinazione gli amministratori giudiziari dei beni confiscati;
f) se il dirigente regionale dell’Agenzia del demanio non formula la proposta di destinazione entro i 90 gg dalla comunicazione del tribunale del provvedimento definitivo di confisca, il Prefetto procede d’ufficio. Il termine per l’adozione del provvedimento di destinazione del bene è aumentato a 90 giorni (oggi si prevedono 30 giorni) dalla proposta di destinazione ovvero (in mancanza) dal decorso del termine assegnato all'Agenzia del demanio per la formulazione della proposta stessa.
Articolo 36
(Modifica al decreto-legge 2 ottobre 2008
n. 151 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 2008 n. 186)
1. All'articolo 2-quinquies, comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 2008, n. 186, le parole: «affine o convivente» sono sostituite dalle seguenti: «convivente, parente o affine entro il quarto grado».
L’articolo 36, introdotto presso l’altro del Parlamento, novella l’articolo 2-quinquies del decreto-legge n. 151 del 2008[49], che pone limiti alla concessione dei benefici di legge ai superstiti delle vittime della criminalità organizzata.
L’articolo 2-quinquies si pone in diretta correlazione con le innovazioni introdotte agli articoli 2-ter e 2-quater del decreto-legge ed è teso ad escludere che i benefici previsti per i superstiti delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata possano essere attribuiti a soggetti comunque legati alla criminalità organizzata o ad ambienti delinquenziali.
In particolare, il comma 1 introduce due ulteriori requisiti – che si affiancano a quello di parentela o convivenza richiesto dall’art. 4 della L. 302/1990 – per il riconoscimento dei benefici ai superstiti delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (in base al tenore letterale della disposizione, essa dovrebbe riferirsi a tutti i benefici previsti per i superstiti anche al di fuori della L. 302/1990). Si tratta, in particolare, del requisito:
§ dell’assenza di rapporti di coniugio, affinità o convivenza con persone nei confronti delle quali sia in corso un procedimento per l’applicazione o siano applicate misure di prevenzione ai sensi della L. 575/1965 ovvero per i quali sia in corso un procedimento per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p.. Si segnala che la norma non specifica il grado di affinità richiesto, né richiede una particolare qualificazione o durata della convivenza. Ai fini della disposizione in esame non rilevano inoltre i legami di parentela (lett. a);
§ della totale estraneità del beneficiario ad ambienti e rapporti delinquenziali ovvero della sua dissociazione, al tempo dell’evento, dagli ambienti e dai rapporti delinquenziali cui partecipava (lett. b).
Il disegno di legge interviene sulla lettera a) dell’art. 2-quinquies per specificare che i superstiti delle vittime della criminalità possono accedere ai benefici pubblici solo se non hanno rapporti di coniugio, né rapporti di convivenza, né rapporti di parentela o affinità entro il quarto grado con soggetti cui siano state applicate misure di prevenzione o indagate per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis del codice di rito.
Si ricorda che, in base agli articoli 74 e seguenti del codice civile, la parentela è il vincolo che lega le persone che discendono da uno stesso stipite: sono parenti in linea retta le persone che discendono una dall'altra e parenti in linea collaterale quelle che, pur avendo uno stipite comune, non discendono l'una dall'altra. Nella linea retta si computano altrettanti gradi quante sono le generazioni, escluso lo stipite; nella linea collaterale i gradi si computano dalle generazioni salendo da uno dei parenti fino allo stipite comune e da questo discendendo all'altro parente, sempre restando escluso lo stipite. La legge riconosce il vincolo di parentela solo fino al sesto grado.
In base agli articoli 78 e seguenti del codice civile, invece, l’affinità è il vincolo che sorge tra un coniuge e i parenti dell'altro coniuge, quale effetto legale del matrimonio (ad es. sono affini fra loro genero e suocera, nuora e suocero). L'affinità persiste anche dopo la morte del coniuge dal quale deriva ma cessa in caso di matrimonio dichiarato nullo. La linea e il grado di affinità dipendono dalla linea e dal grado di parentela con il coniuge da cui deriva l'affinità: ad es. i cugini di secondo grado del marito diventano affini di secondo grado della moglie. Gli affini di un coniuge e quelli dell'altro non sono affini tra loro.
Occorre valutare se modificare la formulazione della disposizione, al fine di chiarire se il limite del quarto grado riguardi solo i rapporti di affinità o anche quelli di parentela.
1. Al comma 1, alinea, dell'articolo 4 della legge 22 dicembre 1999, n. 512, le parole: «e gli enti» sono soppresse e la parola: «costituiti» è sostituita dalla seguente: «costituite». Dopo il medesimo comma 1, è inserito il seguente:
«1-bis. Gli enti costituiti parte civile nelle forme previste dal codice di procedura penale hanno diritto di accesso al Fondo, entro i limiti delle disponibilità finanziarie annuali dello stesso, limitatamente al rimborso delle spese processuali».
2. Al comma 2 dell'articolo 4 della legge 22 dicembre 1999, n. 512, le parole: «e gli enti» sono soppresse e la parola: «costituiti» è sostituita dalla seguente: «costituite». Dopo il medesimo comma 2, è inserito il seguente:
«2-bis. Gli enti costituiti in un giudizio civile, nelle forme previste dal codice di procedura civile, hanno diritto di accesso al Fondo, entro i limiti delle disponibilità finanziarie annuali dello stesso, limitatamente al rimborso delle spese processuali».
L’articolo 37, introdotto dal Senato, apporta modifiche all’art. 4 della legge n. 512 del 1999[50], istitutiva del fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime della mafia.
Il Fondo di rotazione istituito con la legge n. 512/99, ha lo scopo di indennizzare le vittime dei reati di tipo mafioso che si siano costituite parti civili nei relativi procedimenti penali. La disciplina attuativa del Fondo è contenuta nel D.P.R n. 284/2001[51].
Ai sensi dell’articolo 4, ai benefici possono accedere - entro i limiti delle disponibilità finanziarie annuali del Fondo - le persone fisiche, o i loro eredi, e gli enti costituiti[52] purché:
§ abbiano subito danni in conseguenza di reati di tipo mafioso;
§ abbiano ottenuto in proprio favore, nel relativo giudizio penale o civile, successivamente al 30 settembre 1982, una sentenza (definitiva o non definitiva) che ha riconosciuto i danni subiti;
§ non versino in situazioni soggettive ostative, e cioè non abbiano subito una sentenza definitiva di condanna per uno dei reati di cui all'art. 407, comma 2 lett. a) del codice di procedura penale o una misura di prevenzione applicata ai sensi della legge n. 575/1965, né i relativi procedimenti in corso.
L'organo essenziale del Fondo è il Comitato di Solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafiosoche siede presso il Ministero dell'Interno, presieduto dal “Commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso”. Il Comitato delibera, alle condizioni previste dalla legge, i benefici economici alle vittime pari al danno quantificato in sede penale nel giudizio contro l'autore del reato nonché alle spese ed onorari di costituzione e difesa posti a carico degli imputati.
La delibera del Comitato viene quindi trasmessa alla Consap[53] che, in forza di atto concessorio con il Ministero dell'Interno, provvede alla gestione del Fondo stesso ed alla materiale erogazione del beneficio deliberato con accredito bancario.
La disposizione in commento interviene sull’articolo 4 per escludere gli enti dalle categorie di soggetti che possono ottenere indennizzi dal fondo (modifiche ai commi 1 e 2); per tali soggetti sarà possibile soltanto ottenere, a carico del fondo, un rimborso delle spese processuali (nuovi commi 1-bis e 2-bis).
1. Quando si procede per un delitto consumato o tentato con finalità di terrorismo anche internazionale ovvero per un reato aggravato ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15, e successive modificazioni, e sussistono concreti e specifici elementi che consentano di ritenere che l'attività di organizzazioni, di associazioni, movimenti o gruppi favorisca la commissione dei medesimi reati, può essere disposta cautelativamente, ai sensi dell'articolo 3 della legge 25 gennaio 1982, n. 17, la sospensione di ogni attività associativa. La richiesta è presentata al giudice competente per il giudizio in ordine ai predetti reati, il quale decide entro dieci giorni. Avverso il provvedimento è ammesso ricorso ai sensi del quinto comma del medesimo articolo 3 della legge n. 17 del 1982. Il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento impugnato.
2. Il provvedimento di cui al comma 1 è revocato in ogni momento quando vengano meno i presupposti indicati nel medesimo comma.
3. Quando con sentenza irrevocabile sia accertato che l'attività di organizzazioni, di associazioni, movimenti o gruppi abbia favorito la commissione di taluno dei reati di cui al comma 1, il Ministro dell'interno ordina con decreto lo scioglimento dell'organizzazione, associazione, movimento o gruppo e dispone la confisca dei beni, ove non sia già disposta in sentenza.
L’articolo 38 del provvedimento prevede la possibile sospensione cautelativa dell’attività nonché lo scioglimento di associazioni, organizzazioni, movimenti o gruppi comunque denominati, la cui azione si ritiene possa favorire la commissioni di reati di terrorismo, anche internazionale.
La norma ricalca, richiamandola espressamente, la disciplina speciale in materia di associazioni segrete di cui alla legge n. 17 del 1982[54] (di scioglimento della cd. Loggia P2)
Il comma 1 prevede che la richiesta di sospensione cautelativa dell’attività di tali associazioni vada presentata al giudice competente per il procedimento per il reato di terrorismo.
La sospensione è concessa dal giudice entro 10 giorni dalla richiesta, in quanto risulti suffragata da “concreti e specifici elementi ”.
L’art. 3 della citata legge n. 17/1982 prevede che, una volta accertata con sentenza definitiva la costituzione di un’associazione segreta, con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sia disposto lo scioglimento dell’associazione e la confisca dei suoi beni. In qualunque stato e grado del procedimento - qualora vi sia pericolo nel ritardo - il procuratore della Repubblica presso il giudice competente per il giudizio, anche su istanza del Governo, può richiedere che sia cautelativamente disposta la sospensione di ogni attività associativa.
Nonostante la norma non indichi espressamente l’autorità che chiede la sospensione, si ritiene (anche in virtù del rinvio al citato art. 3) che si faccia riferimento al PM che procede alle indagini per il reato con finalità di terrorismo.
Contro la sospensione è ammesso ricorso (privo di effetti sospensivi), anche per motivi di merito, alla Corte di cassazione, che decide, in camera di consiglio e in contraddittorio delle parti, entro 10 giorni dalla presentazione dei motivi del ricorso stesso. Il venir meno dei presupposti della sospensione (ovvero dei “concreti e specifici elementi” di prova sopraindicati) determina la revoca del provvedimento cautelare.
L’art. 38 in esame, stabilisce, poi, che – una volta formatosi il giudicato sulla sentenza che ha accertato l’effettiva attività di favoreggiamento dei reati di terrorismo - il Ministro dell’interno dispone con decreto lo scioglimento delle associazioni; se i beni dell’associazione non sono stati confiscati con la sentenza di condanna (ai sensi dell’art. 240 c.p.), tale misura può essere assunta con lo stesso decreto di scioglimento.
In linea con le indicazioni del programma dell’Aja per il rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell’Unione europea per il periodo 2005.-2009, adottato dal Consiglio europeo nel novembre 2004., il Consiglio europeo del 15-16 dicembre 2005 ha adottato la Strategia antiterrorismo, che fornisce le linee guida per l’intervento dell’UE in questo settore. Il Piano d’azione di lotta al terrorismo riveduto, da ultimo, nel marzo 2007 dà attuazione alle indicazioni programmatiche della Strategia, ordinando gli interventi previsti nei quattro campi: prevenzione, protezione, perseguimento e risposta.
La relazione sull’attuazione del piano d’azione (relativa la semestre giugno-novembre 2008) è stata presentata dal Coordinatore dell’Unione europea per al lotta al terrorismo in occasione del Consiglio giustizia e affari interni del 27-28 novembre 2008,insieme ad un documento di riflessione sulla strategia dell’UE per la lotta al terrorismo.
Nella riunione dell’8 luglio 2008 il Consiglio ha adottato conclusioni sul rafforzamento della cooperazione nel contrasto alla radicalizzazione e al reclutamento terroristici.
Tra le altre cose, il Consiglio ha invitato gli Stati membri e la Commissione a: intraprendere passi concreti per lo scambio delle migliori prassi; discutere sulla possibilità di elaborare metodologie che consentano la valutazione dell’efficacia delle misure di contrasto alla radicalizzazione e al reclutamento, tenendo conto delle diverse esperienze nazionali in questo settore; fornire adeguati mezzi finanziari per una più vasta attuazione del Piano d’azione contro la radicalizzazione e il reclutamento.
Si segnala inoltre che il 27gennaio 2009 il Consiglio ha provveduto alla revisione della lista di persone, gruppi ed entità cui si applicano misure restrittive per combattere il terrorismo, aggiornando l’elenco allegato alla posizione comune 2001/931/PESC e alla revisione della lista prevista dal regolamento (CE)n. 2580/2001 nella quale vengono indicate le persone, gruppi ed entità soggetti a misure restrittive specifiche (congelamento di capitali, altre attività finanziarie e risorse economiche).
Si ricorda infine che per quanto riguarda le risorse finanziarie messe a disposizione delle iniziative in materia, nell’ambito del programma quadro “Sicurezza e tutela delle libertà” per il periodo 2007-2013, l’Unione europea ha adottato il programma specifico “Prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze in materia di terrorismo” (decisione 2007/124/GAI), con dotazione pari a 139,4 milioni di euro.
Articolo 39
(Modifiche all'articolo 41-bis della
legge 26 luglio 1975, n. 354)
1. All'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: «il Ministro di grazia e giustizia» sono sostituite dalle seguenti: «il Ministro della giustizia»;
b) al comma 2, primo periodo, dopo la parola: «4-bis» sono inserite le seguenti: «o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione di tipo mafioso»;
c) al comma 2, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In caso di unificazione di pene concorrenti o di concorrenza di più titoli di custodia cautelare, la sospensione può essere disposta anche quando sia stata espiata la parte di pena o di misura cautelare relativa ai delitti indicati nell'articolo 4-bis»;
d) il comma 2-bis è sostituito dal seguente:
«2-bis. Il provvedimento emesso ai sensi del comma 2 è adottato con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell'interno, sentito l'ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell'ambito delle rispettive competenze. Il provvedimento medesimo ha durata pari a quattro anni ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni. La proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l'associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all'associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l'associazione o dimostrare il venir meno dell'operatività della stessa»;
e) il comma 2-ter è abrogato;
f) al comma 2-quater:
1) nell'alinea, al primo periodo è premesso il seguente: «I detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all'interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all'interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell'istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria» e nel primo periodo le parole: «può comportare» sono sostituite dalla seguente: «prevede»;
2) nella lettera b):
2.1) nel primo periodo, le parole: «in un numero non inferiore a uno e non superiore a due» sono sostituite dalle seguenti: «nel numero di uno»;
2.2) nel terzo periodo, le parole: «I colloqui possono essere» sono sostituite dalle seguenti: «I colloqui vengono» e alle parole: «può essere autorizzato» sono premesse le seguenti: «solo per coloro che non effettuano colloqui»;
2.3) dopo il terzo periodo è inserito il seguente: «I colloqui sono comunque videoregistrati»;
2.4) nell'ultimo periodo, dopo le parole: «non si applicano ai colloqui con i difensori» sono aggiunte le seguenti: «con i quali potrà effettuarsi, fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari»;
3) nella lettera f), le parole: «cinque persone» sono sostituite dalle seguenti: «quattro persone», le parole: «quattro ore» sono sostituite dalle seguenti: «due ore» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Saranno inoltre adottate tutte le necessarie misure di sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti e cuocere cibi»;
g) il comma 2-quinquies è sostituito dal seguente:
«2-quinquies. Il detenuto o l'internato nei confronti del quale è stata disposta o prorogata l'applicazione del regime di cui al comma 2, ovvero il difensore, possono proporre reclamo avverso il procedimento applicativo. Il reclamo è presentato nel termine di venti giorni dalla comunicazione del provvedimento e su di esso è competente a decidere il tribunale di sorveglianza di Roma. Il reclamo non sospende l'esecuzione del provvedimento»;
h) il comma 2-sexies è sostituito dal seguente:
«2-sexies. Il tribunale, entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo di cui al comma 2-quinquies, decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale, sulla sussistenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento. All'udienza le funzioni di pubblico ministero possono essere altresì svolte da un rappresentante dell'ufficio del procuratore della Repubblica di cui al comma 2-bis o del procuratore nazionale antimafia. Il procuratore nazionale antimafia, il procuratore di cui al comma 2-bis, il procuratore generale presso la corte d'appello, il detenuto, l'internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni dalla sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del tribunale per violazione di legge. Il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento ed è trasmesso senza ritardo alla Corte di cassazione. Se il reclamo viene accolto, il Ministro della giustizia, ove intenda disporre un nuovo provvedimento ai sensi del comma 2, deve, tenendo conto della decisione del tribunale di sorveglianza, evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo»;
i) dopo il comma 2-sexies è aggiunto il seguente:
«2-septies. Per la partecipazione del detenuto o dell'internato all'udienza si applicano le disposizioni di cui all'articolo 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271».
L'articolo 39, inserito nel corso dell'esame al Senato, modifica l'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario, che disciplina il regime carcerario speciale per soggetti detenuti per reati di particolare allarme sociale.
L’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, di seguito denominata «ordinamento penitenziario») reca la disciplina del regime di massima sicurezza applicabile ai detenuti e agli internati per i reati di particolare gravità, indicati dall’articolo 4-bis della stessa legge. La disposizione, che riprendeva l’abrogato articolo 90 dell’ordinamento penitenziario è stata introdotta, in via temporanea, dall’articolo 19 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356. La caratteristica precipua del regime di detenzione previsto dall’originaria formulazione dell’articolo 41-bis era quella della temporaneità: la sua vigenza, infatti, è stata assicurata per quasi dieci anni da ripetuti provvedimenti legislativi di proroga.
Con la legge 23 dicembre 2002, n. 279, il Parlamento ha approvato la riforma della normativa concernente il trattamento penitenziario differenziato, i cui principi essenziali sono i seguenti:
1) stabilizzazione della previsione dell’istituto del regime di massima sicurezza in modo da evitare la temporaneità della disposizione, ritenuta non funzionale alla sua efficacia intimidatoria;
2) più adeguata e garantita disciplina dell’istituto, con la specificazione per legge delle regole e dei contenuti del regime detentivo differenziato;
3) estensione del termine di validità del decreto con cui tale regime viene disposto e delle relative proroghe e definizione dei presupposti per la prima applicazione e per le proroghe;
4) compiuta regolamentazione del controllo giurisdizionale, sia con riferimento alla legittimazione al reclamo, estesa al difensore, sia con riguardo all’autorità giudiziaria competente;
5) ridefinizione dei presupposti applicativi del regime speciale relativamente ai soggetti destinatari, con l’estensione della sua applicabilità ad altre categorie di delitti particolarmente gravi.
In particolare le novelle all’articolo 41-bis attengono ai seguenti profili:
§ lettera a): l’adeguamento, con una modifica di carattere formale, della denominazione presente nel comma 1 dell’articolo del Ministro di grazia e giustizia a quella attuale di Ministro della giustizia
§ lettere b) e c): i presupposti di applicazione (comma 2 dell’art. 41-bis).
Il comma 2 è in primo luogo modificato nel senso che il regime carcerario speciale può essere applicato oltre che a coloro che sono detenuti o internati per taluno dei delitti di cui all'art. 4-bis, primo comma, primo periodo, dell'ordinamento penitenziario, anche a coloro che sono detenuti o internati comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione di tipo mafioso.
Il comma 2 dell'art. 41-bis prevede che per i detenuti per i delitti di cui all’articolo 4-bis, primo comma, primo periodo, del medesimo ordinamento penitenziario, il Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell'interno, possa sospendere per gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica. l'applicazione delle ordinarie regole di trattamento carcerario. I presupposti applicativi dell'art. 41-bis, comma 2, sono quindi di natura soggettiva (si fa riferimento al titolo del reato commesso dal detenuto) e oggettiva (la sussistenza di gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica).
I delitti di cui all’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, richiamati al comma 2 dell’articolo 41-bis, sono quelli commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale (associazione di tipo mafioso), i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, i delitti di cui agli articoli 600 (riduzione in schiavitù), 601 (tratta di persone), 602 (acquisto e alienazione di schiavi) e 630 (sequestro di persona a scopo estorsivo) del codice penale, all'articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri), e all'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope).
Per quanto riguarda i delitti commessi con metodo mafioso o per agevolare un’associazione di tipo mafioso, queste due endiadi formano il contenuto della circostanza aggravante contemplante dall’articolo 7 del decreto legislativo n. 152 del maggio 1991, ossia l’aggravante di mafia. Tale aggravante, tuttavia, non è applicabile nel caso di delitto punito con l’ergastolo. Da ciò derivava che, in talune imputazioni, pur riscontrandosi il metodo o la finalità indicati non venisse menzionata nel corpo dell’imputazione l’aggravante dell’articolo 7; pertanto, alcuni tribunali di sorveglianza in questo caso revocavano il regime detentivo speciale. Lo stesso avveniva, pur in presenza di un omicidio aggravato e quindi punibile con l’ergastolo, ma chiaramente mafioso; poiché non ricorreva l’aggravante, si riteneva che per l’omicidio non era previsto il regime detentivo speciale, che quindi si revocava.
Sulla materia è intervenuta una decisione della Corte di Cassazione del 21 novembre 2003, la quale ha stabilito che, poiché si parla di delitti (commessi per agevolare un’associazione di tipo mafioso o con metodo mafioso), una categoria, cioè, che nella sua lata estensione comprende, oltre a quello associativo, i delitti comuni purché specificamente qualificati dal contesto o dalla finalità, non è necessario che sia menzionata questa particolare circostanza aggravante quando il delitto comune (ad esempio, l’omicidio, ma anche un altro delitto), per il contesto in cui avviene, sia da ritenere mafioso perchè commesso con metodo mafioso o per agevolare un’associazione mafiosa.
Una causa di annullamento del regime speciale ricorrente nella giurisprudenza dei Tribunali ha poi riguardato la valutazione del titolo del reato presupposto. A tal riguardo si osserva che, accanto all’indicazione tassativa di una serie di figure delittuose che consentono l’applicazione del 41-bis, il citato articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario indica i delitti commessi «avvalendosi delle condizioni» previste dall’articolo 416-bis, «ovvero al fine di agevolare le attività delle associazioni in esso previste».
La previsione di legge, come sopra osservato, riproduce i contenuti dell’aggravante di cui all’articolo 7 del citato decreto-legge n. 152 del 1991, anche se la circostanza non è espressamente indicata dall’articolo 41-bis e, tanto meno, la legge richiede la contestazione formale di essa. Nonostante sia chiaro il riferimento della legge alle caratteristiche «mafiose» del reato e non all’effettiva contestazione dell’aggravante, diversi tribunali hanno annullato (in diciassette casi) l’applicazione del regime perché nel titolo di detenzione mancava l’espressa indicazione dell’aggravante e ciò anche nei casi in cui dalla motivazione e dalle altre informazioni risultava che i reati erano caratterizzati esplicitamente dalla «modalità» o dalla «finalità» mafiosa. A tale orientamento si sono mosse diverse osservazioni di ordine tecnico-giuridico (la legge non richiede la contestazione formale dell’aggravante; restano ingiustificabilmente esclusi – attesa la finalità preventiva del 41-bis – i fatti «mafiosi» commessi prima del decreto-legge n. 152 del 1991).
Sempre al comma 2 si specifica che in caso di unificazione di pene concorrenti o di concorrenza di più titoli di custodia cautelare, il regime carcerario speciale può essere disposto anche quando sia stata espiata la parte di pena o di misura cautelare relativa ai delitti indicati nel suddetto art. 4-bis (lettera c);
Si segnala che nelle ipotesi di condanna per più reati, taluni Tribunali hanno ritenuto che il regime detentivo speciale debba permanere solo fino a quando il detenuto non abbia scontato la quantità di pena relativa ai delitti che costituiscono il presupposto per l’applicazione dell’articolo 41-bis. Per dare esecuzione a questo principio hanno proceduto allo scioglimento del cumulo delle pene, allo scopo di individuare quelle relative ai delitti indicati dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, annullando il regime per la parte di pena relativa ad altri reati (ad esempio omicidio) che non rientrano nella categoria dei delitti «mafiosi» o per i quali non sia stata formalmente contestato il metodo o la finalità mafiosa.
Questa impostazione ha trovato la sua giustificazione nell’interpretazione estensiva data ad una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 30 giugno 1999 (Ronga), pronunciata nel vigore della precedente disciplina dell’istituto in esame. In tale sentenza, si affermava che nel corso della esecuzione il cumulo giuridico delle pene irrogate per il reato continuato è scindibile, ai fini della fruizione dei benefici penitenziari, in ordine ai reati che non ne impediscono la concessione e sempre che al condannato non sia stata irrogata una pena relativa a delitti ostativi.
§ lettera d): il provvedimento di applicazione (comma 2-bis dell’articolo 41-bis).
Le principali novità attengono:
- al potere riconosciuto al Ministro dell'interno di richiedere al Ministro della giustizia l'emissione del provvedimento che dispone il regime carcerario speciale;
- alla durata del provvedimento che viene innalzata a 4 anni (attualmente la durata è non inferiore ad 1 anno e non superiore a 2);
- alla proroga e alle modalità con cui essa è disposta. La proroga può essere biennale (oggi è annuale) e può essere disposta solo quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l'associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo criminale e dalla posizione rivestita dal soggetto in seno all'associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto (attualmente, il provvedimento è prorogabile purché non risulti che la capacità del detenuto di mantenere contatti sia venuta meno). In ogni caso, la disposizione precisa che il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l'associazione o dimostrare il venir meno dell'operatività della stessa;
Il testo vigente del comma 2-bis dell’articolo 41-bis dispone che i provvedimenti con cui è disposto il regime carcerario speciale sono adottati con decreto motivato del Ministro della giustizia, sentito l'ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice che procede ed acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia e gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell'ambito delle rispettive competenze. I provvedimenti medesimi hanno durata non inferiore ad un anno e non superiore a due e sono prorogabili nelle stesse forme per periodi successivi, ciascuno pari ad un anno, purché non risulti che la capacità del detenuto o dell'internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno.
§ lettera e): l’abrogazione del comma 2-ter.
La norma che si intende abrogare dispone che il decreto deve essere revocato, anche d'ufficio, dal Ministro della giustizia ove, prima della scadenza, vengano meno le condizioni che hanno determinato l'adozione o la proroga. Il comma 2-ter specifica inoltre che la revoca può essere chiesta dall'interessato o dal suo difensore; in tal caso, decorsi trenta giorni dall'istanza, essa si intende non accolta; il provvedimento che non accoglie l'istanza è impugnabile davanti al tribunale di sorveglianza (comma 2-quinquies) ed, eventualmente, in Cassazione (comma 2-sexies).
La possibilità sopra descritta, per il detenuto o il difensore, di attivare il procedimento di revoca anticipata della misura direttamente dinnanzi al Ministro della Giustizia è stata introdotta dalla sopra richiamata legge n. 279 del 2002.
§ lettera f): il contenuto delle restrizioni (comma 2-quater dell’articolo 41-bis)
In particolare:
- si prevede che i detenuti sottoposti al regime carcerario speciale debbano essere ristretti all'interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all'interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell'istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria;
- viene eliminata ogni discrezionalità nell'applicazione delle condizioni detentive speciali di cui al comma 2-quater (che dovranno dunque sempre essere tutte applicate);
- i colloqui sono ridotti a uno al mese (oggi ne sono possibili due) e devono essere sempre sottoposti a controllo auditivo, a registrazione e a videoregistrazione;
- il colloquio telefonico mensile può essere autorizzato solo nei confronti di coloro che non effettuano colloqui;
- con i difensori potrà effettuarsi, fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari;
- la permanenza all'aperto non potrà svolgersi in gruppi superiori a 4 persone (attualmente sono possibili gruppi fino a 5 persone) e non potrà protrarsi per più di 2 ore al giorno (contro le attuali 4); si precisa inoltre che devono essere adottate tutte le necessarie misure di sicurezza anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti e cuocere cibi.
La sospensione delle regole di trattamento di cui al vigente testo del comma 2-quater ricalca in larga parte i contenuti dei decreti di applicazione utilizzati dal Ministro già prima dell'entrata in vigore della legge n. 279 del 2002; il legislatore tuttavia è intervenuto con tale ultimo provvedimento soprattutto a seguito della sentenza n. 376/97 della Corte Costituzionale cui, si era adeguata la stessa amministrazione penitenziaria con la circolare del 20 febbraio 1998.
La determinazione dei colloqui (comma 2-quater, lettera b) viene fissata in un numero non inferiore ad uno e non superiore a due al mese, deve svolgersi ad intervalli di tempo regolari ed in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti. Sono vietati i colloqui con persone diverse dai familiari e conviventi "salvo casi particolari stabiliti di volta in volta dal direttore dell'istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall'autorità giudiziaria competente ai sensi del medesimo secondo comma dell'art. 11". I colloqui possono essere sottoposti a controllo auditivo ed a registrazione, previa motivata autorizzazione dell'autorità giudiziaria competente ai sensi del medesimo secondo comma dell'art. 11 o.p.
Solo dopo i primi sei mesi di applicazione può essere autorizzato un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci minuti, sottoposto comunque a registrazione. Tale autorizzazione può essere concessa dal direttore dell'istituto con provvedimento motivato ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall'autorità competente ai sensi dell'art. 11 comma 2, o.p. Le disposizioni contenute nella lettera b) dell'art. 41-bis comma 2-quater, tuttavia, non si applicano ai colloqui con i difensori.
La permanenza all'aria aperta (comma 2-quater lettera f) è limitata a una durata non superiore alle quattro ore giornaliere "fermo restando il limite minimo di cui al primo comma dell'art. 10" o.p., e non può svolgersi in gruppi superiori a cinque persone.
Altre restrizioni riguardano la limitazione alle somme di peculio, ai beni e agli oggetti che possono essere ricevuti dall'esterno (comma 2-quater lettera c), (la nuova legge non ha invece posto limiti o divieti per l'invio degli stessi da parte dei detenuti).
È prevista, ancora, l'esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati (comma 2-quater lettera d) e la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia. La decisione circa tale questione spetta all'autorità giudiziaria competente ai sensi dell'art. 18 o.p., non potendo l'esecutivo autonomamente disporre in tal senso in forza della duplice riserva di legge posta dall'art. 15 Cost. e ribadita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 349/93.
In base, infine, alla lettera a) del comma 2-quater, che non viene novellata dal provvedimento in esame, la sospensione delle regole di trattamento e degli istituti di cui al comma 2 può comportare "l'adozione di misure di elevata sicurezza interna ed esterna, con riguardo principalmente alla necessità di prevenire contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, contrastanti con elementi di organizzazioni contrapposte, interazione con altri detenuti o internati appartenenti alla medesima organizzazione ovvero ad altre ed alleate". In questo caso, evidentemente, il legislatore ha voluto mantenere la possibilità per l'amministrazione penitenziaria di apportare di caso in caso altre restrizioni non contemplate a livello normativo.
§ lettere g) ed h): la procedura di impugnazione dei decreti ministeriali.
I commi 2-quinquies e 2-sexies dell’articolo 41-bis sono integralmente sostituiti.
Per quanto riguarda le modifiche alla prima delle disposizioni richiamate, la competenza a decidere i reclami avverso il provvedimento è concentrata nel tribunale di sorveglianza di Roma per evitare orientamenti giurisprudenziali eterogenei da parte dei diversi tribunali (attualmente è competente a decidere il tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sull'istituto al quale il detenuto o l'internato è assegnato) e il termine entro il quale presentare il reclamo viene aumentato dagli attuali dieci a venti giorni;
In base al nuovo comma 2-sexies, poiché il provvedimento assume un contenuto predeterminato per legge, il vaglio del tribunale in sede di reclamo dovrà concentrarsi sulla sussistenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento (mentre ora è prevista anche una valutazione della congruità del contenuto del provvedimento rispetto alle esigenze di cui al comma 2); All'udienza, le funzioni di pubblico ministero possono essere altresì svolte da un rappresentante dell'ufficio del procuratore della Repubblica di cui al comma 2-bis o del Procuratore Nazionale Antimafia;
Il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del tribunale per violazione di legge, può essere proposto - oltre che dal procuratore generale presso la corte d'appello, dal detenuto, dall'internato o dal difensore - dal Procuratore Nazionale Antimafia e dal procuratore di cui al comma 2-bis;
Il testo vigente dell'art. 41-bis, comma 2-quinquies, prevede che il detenuto, l'internato, o il suo difensore, possano proporre reclamo nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento. Il reclamo è presentato al Tribunale di Sorveglianza che ha giurisdizione sull'istituto al quale il detenuto o l'internato è stato assegnato, e come già affermato in passato, tale competenza territoriale non muta a seguito del trasferimento del detenuto o internato in altro istituto penitenziario. La proposizione del reclamo non sospende l'esecuzione del provvedimento (comma 2-quinquies).
Ai sensi dell'art. 41-bis, comma 2-sexies, è previsto che il Tribunale decida entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo. Si tratta, tuttavia, di un obbligo cui non è correlata una sanzione o un rimedio in caso di inosservanza. Le modalità di svolgimento del controllo in tema di regime differenziato concernono, secondo quanto stabilito al comma 2-sexies, una procedura camerale da svolgersi nelle forme previste dagli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale. Tale controllo attiene alla sussistenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento e alla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di congruità di cui al comma 2. Secondo alcuni autori, il procedimento previsto dal nuovo comma 2-sexies si concretizza, in realtà, in un contraddittorio solo apparente. La legge, infatti, non prevede che il Ministro depositi le informative degli organi di polizia su cui il decreto applicativo si basa, risultando impossibile per il reclamante effettuare un vaglio di tale documentazione.
Fermo restando che l'apprezzamento dei motivi di ordine e di sicurezza che richiedano l'applicazione della norma è rimessa all'autorità amministrativa (così come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 376/97), il Tribunale di Sorveglianza deve valutare la completezza delle informazioni allegate dall'amministrazione per supportare le valutazioni di fatto che hanno condotto all'adozione del decreto di sospensione del regime carcerario ordinario.
Il comma 2-sexies, inoltre, stabilisce che in caso di accoglimento del reclamo da parte del Tribunale di Sorveglianza, la decisione del giudice ha un effetto vincolante per il Ministro della Giustizia. Infatti, qualora questo intenda disporre un nuovo provvedimento, deve tener conto della decisione del Tribunale di Sorveglianza, ed "evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo. Con le medesime modalità il Ministro deve procedere, ove il reclamo sia stato accolto parzialmente, per la parte accolta".
A seguito dell'esaurimento del grado di giudizio dinnanzi al Tribunale di Sorveglianza, inoltre, "il procuratore della Repubblica presso la Corte d'Appello, il detenuto, l'internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni dalla sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale per violazione di legge. Il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento e va trasmesso senza ritardo alla Corte di Cassazione".
§ lettera i): attraverso l’introduzione di un nuovo comma 2-septies, si prevede che per la partecipazione del detenuto o dell'internato all'udienza si applicano le disposizioni di cui all'art. 146-bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale in materia di partecipazione al dibattimento a distanza.
Si ricorda che con la legge 7 gennaio 1998, n. 11(Disciplina della partecipazione al procedimento penale a distanza e dell'esame in dibattimento dei collaboratori di giustizia, nonché modifica della competenza sui reclami in tema di articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario), sono state ampliate le ipotesi di partecipazione al processo mediante l'utilizzo del collegamento telematico, essendo queste limitate in origine al solo esame dei collaboratori di giustizia. In particolare, la legge n. 11 del 1998 ha inserito nelle disposizioni di attuazione al c.p.p. gli artt. 45-bis (partecipazione al procedimento in camera di consiglio a distanza), e l'art 146-bis (partecipazione al dibattimento a distanza), che hanno allargato l'utilizzo della videoconferenza anche ai casi di partecipazione in udienza - o di partecipazione alle udienze camerali per i soggetti già condannati- dell'imputato che si trovi in stato di detenzione "a qualsiasi titolo" per uno dei delitti indicati nell'art. 51 comma 3-bis c.p.p., e cioè per i delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso o assimilato, di competenza della procura distrettuale.
In base all'art. 146-bis comma 1 disp. att. c.p.p. (cui l'art. 45 disp. att. c.p.p. espressamente rinvia), la necessità di ricorrere allo strumento del collegamento telematico può essere valutata ope iudicis in due casi:
§ qualora sussistano gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico
§ qualora il dibattimento sia di particolare complessità e la partecipazione a distanza risulti necessaria ad evitare ritardi nel suo svolgimento. L'esigenza di evitare ritardi nello svolgimento del dibattimento è valutata anche in relazione al fatto che nei confronti dello stesso imputato siano contemporaneamente in corso distinti processi presso diverse sedi giudiziarie.
Articolo 40
(Introduzione dell'articolo 391-bis del codice penale)
1. Nel libro II, titolo III, capo II, del codice penale, dopo l'articolo 391 è inserito il seguente:
«Art. 391-bis. - (Agevolazione ai detenuti e internati sottoposti a particolari restrizioni delle regole di trattamento e degli istituti previsti dall'ordinamento penitenziario). - Chiunque consente a un detenuto, sottoposto alle restrizioni di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, di comunicare con altri in elusione delle prescrizioni all'uopo imposte è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense si applica la pena della reclusione da due a cinque anni».
L'articolo 40, inserito nel corso dell'esame in Senato, introduce nel codice penale la nuova fattispecie delittuosa di Agevolazione ai detenuti e internati sottoposti a particolari restrizioni delle regole di trattamento e degli istituti previsti dall’ordinamento penitenziario di cui al nuovo articolo 391-bis c.p. collocato nel Libro II, Titolo III (Delitti contro l’amministrazione della giustizia), Capo II (Delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie) del codice penale.
La nuova fattispecie punisce con la reclusione da 1 a 4 anni chi consente a un detenuto sottoposto al regime carcerario speciale di cui all’articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975 (modificato dal precedente articolo 39) di comunicare con altri in elusione delle prescrizioni all'uopo imposte.
Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense si applica la pena della reclusione da 2 a 5 anni.
Si ricorda che la nuova fattispecie delittuosa è collocata tra i delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie (Capo II del Titolo III del codice penale), subito dopo l’art. 391 che contempla il delitto di Procurata inosservanza di misure di sicurezza detentive. Chiunque procura o agevola l'evasione di una persona sottoposta a misura di sicurezza detentiva, ovvero nasconde l'evaso o comunque lo favorisce nel sottrarsi alle ricerche dell'autorità, è punito con la reclusione fino a due anni. Se l'evasione avviene per colpa di chi, per ragione del suo ufficio, ha la custodia, anche temporanea, della persona sottoposta a misura di sicurezza, il colpevole è punito con la multa fino a euro 1.032.
Articolo 41
(Modifiche al testo unico di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. Ulteriori modifiche al
codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354)
1. All'articolo 76 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, dopo il comma 4-bis è aggiunto il seguente:
«4-ter. La persona offesa dai reati di cui agli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto».
2. Agli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 1 si provvede con gli ordinari stanziamenti di bilancio.
3. All'articolo 380, comma 2, del codice di procedura penale, dopo la lettera d) è inserita la seguente:
«d-bis) delitto di violenza sessuale previsto dall'articolo 609-bis, escluso il caso previsto dal terzo comma, e delitto di violenza sessuale di gruppo previsto dall'articolo 609-octies del codice penale».
4. Al comma 1 dell'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo periodo, dopo la parola: «600,» sono inserite le seguenti: «600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma,» e dopo la parola: «602» sono inserite le seguenti: «, 609-bis, escluso il caso previsto dal terzo comma, 609-ter, 609-quater, primo comma, 609-octies»;
b) al quarto periodo, le parole: «600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-octies» sono sostituite dalle seguenti: «600-bis, secondo e terzo comma, 600-ter, terzo comma, 600-quinquies, 609-bis, terzo comma, 609-quater, secondo comma».
L’articolo 41 riproduce disposizioni contenute nel decreto-legge n. 11 del 2009, vigente ed in corso di conversione, che intervengono in relazione a delitti di violenza sessuale.
In particolare:
§ il comma 1 (la cui copertura finanziaria è contenuta nel comma 2), volto a consentire alla persona offesa dai reati l’accesso al gratuito patrocinio (anche in deroga ai limiti di reddito ordinariamente previsti), è identico all’articolo 4 del decreto-legge;
§ il comma 3, volto a prevedere per il presunto autore di tali delitti l’arresto obbligatorio in flagranza, è identico all’articolo 2, comma 1, lett. b) del decreto-legge;
§ il comma 4, finalizzato ad escludere per il colpevole l’accesso ai benefici penitenziari, riproduce l’articolo 3 del decreto-legge, salvo che per il mantenimento nel quarto periodo dell’articolo 4-bis, comma 1, dell’ordinamento penitenziario del delitto di violenza sessuale di minore gravità (art. 609-bis, terzo comma).
Tale periodo limita per un ulteriore catalogo di reati la possibile concessione dei benefici penitenziari al presupposto dell’inesistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.
Per quanto riguarda il commento alle sopra richiamate disposizioni del decreto-legge, si rinvia al dossier sul provvedimento.
Posto che il decreto-legge n. 11 del 2009, vigente, ha introdotto disposizioni corrispondenti a quelle contenute nell’articolo 41, quest’ultimo andrebbe soppresso. Con riferimento tuttavia al comma 4, in considerazione della non totale coincidenza delle disposizioni del disegno di legge e del decreto-legge concernenti la concessione di benefici penitenziari, qualora si intendesse mantenere la formulazione del disegno di legge, l’articolo 41 andrebbe modificato al fine di tener conto della vigenza dell’articolo 4 del decreto-legge.
Articolo 42
(Modifiche alla legge 24 dicembre 1954,
n. 1228, e al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286)
1. All'articolo 1 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, dopo il primo comma è inserito il seguente:
«L'iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica sono subordinate alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni igienico-sanitarie dell'immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza, ai sensi delle vigenti norme sanitarie. Se la verifica delle condizioni igienico-sanitarie non è compiuta nel termine di trenta giorni dalla richiesta di iscrizione, quest'ultima è effettuata con riserva di verifica, fatta salva la facoltà di successiva cancellazione in caso di verifica con esito negativo».
2. All'articolo 29, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, la lettera a) è sostituita dalla seguente:
«a) di un alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità abitativa, accertati dai competenti uffici comunali. Nel caso di un figlio di età inferiore agli anni quattordici al seguito di uno dei genitori, è sufficiente il consenso del titolare dell'alloggio nel quale il minore effettivamente dimorerà».
L’articolo 42, comma 1, subordina l’iscrizione anagrafica e le relative richieste di variazione alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni igienico-sanitarie dell'immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza.
In particolare, la disposizione introduce un nuovo comma nell’articolo 1 l’articolo 2 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, recante Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente, che prevede che in ogni Comune deve essere tenuta l'anagrafe della popolazione residente, in cui sono registrate le posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze, che hanno fissato nel comune la residenza, nonché le posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel comune il proprio domicilio.
Il nuovo comma prevede che l'iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica sono subordinate alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni igienico-sanitarie dell'immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza, ai sensi delle vigenti norme sanitarie. Se tale verifica non è compiuta entro trenta giorni dalla richiesta di iscrizione, quest'ultima è effettuata con riserva di verifica, fatta salva la facoltà di successiva cancellazione in caso di verifica con esito negativo.
Ai sensi dell’articolo 24 del testo unico in materia edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo la normativa vigente. Esso è rilasciato dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale con riferimento ai seguenti interventi: a) nuove costruzioni; b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali; c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di sicurezza, igiene e salubrità.
Si ricorda altresì che, sulla base dell’articolo 222 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (testo unico delle leggi sanitarie), il sindaco può dichiarare inabitabile una casa o parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero.
Sembra opportuno un approfondimento in ordine al coordinamento fra la disposizione in esame e l’obbligo generale di iscrizione all’anagrafe previsto dall’articolo 2 della legge n. 1228 del 1954. All’iscrizione all’anagrafe è correlato infatti l’esercizio di diritti civili e politici; si ricorda, a titolo esemplificativo, che essa è un presupposto per l’iscrizione nelle liste elettorali (art 4, D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223).
Si osserva altresì che la disposizione non sembra potersi applicare alle persone senza fissa dimora, la cui disciplina dell’iscrizione all’anagrafe è modificata dall’articolo 50 del disegno di legge in esame.
Con riferimento alla formulazione letterale, si osserva che la nuova disciplina troverebbe più opportuna collocazione in un articolo della legge sull’ordinamento delle anagrafi diverso dall’articolo 1, che detta una disciplina di carattere generale, quale l’articolo 2, relativo all’obbligo di iscrizione all’anagrafe, o l’articolo 4, relativo agli accertamenti effettuati dall’ufficiale di anagrafe.
Il comma 2 modifica le caratteristiche dell’alloggio di cui deve dimostrare la disponibilità lo straniero che richiede il ricongiungimento familiare.
In particolare la disposizione modifica l’articolo 29, comma 3, del testo unico in materia di immigrazione (d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286), che prevede i requisiti che deve possedere lo straniero (ad eccezione del rifugiato) che richiede il ricongiungimento familiare, con particolare riferimento alle caratteristiche dell’alloggio (lettera a)).
La disciplina vigente prevede che l’alloggio deve rientrare nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero deve essere fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall'Azienda unità sanitaria locale.
La disciplina introdotta dalla disposizione in esame prevede invece che l’alloggio deve essere conforme ai requisiti igienico-sanitari e di idoneità abitativa, accertati dai competenti uffici comunali.
Viene inoltre confermata la previsione secondo cui nel caso di un figlio di età inferiore agli anni quattordici al seguito di uno dei genitori, è sufficiente il consenso del titolare dell'alloggio nel quale il minore effettivamente dimorerà.
Con riferimento al coordinamento formale del testo, si osserva che la legge sull’ordinamento delle anagrafi è modificata anche dall’articolo 50 e che il testo unico in materia di immigrazione è modificato anche da diversi altri articoli del disegno di legge in esame.
L’8 ottobre 2008 la Commissione europea ha presentato una relazione sulla applicazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare (COM(2008)610). Per quanto riguarda la trasposizione dell’articolo 7 della direttiva, la Commissione rileva che la maggior parte degli Stati membri ha introdotto e/o mantenuto in essere condizioni che richiedono la disponibilità di un alloggio, eccezion fatta per Finlandia, Olanda, Slovenia e Svezia. Le soluzioni adottate nel concreto variano. Alcuni fanno semplicemente riferimento a un alloggio di tipo "normale"; altri adottano un approccio più circostanziato specificando i metri quadri necessari per ogni persona aggiuntiva. La Commissione ritiene che la pratica (Austria, Belgio) che consiste nell'esigere che il soggiornante soddisfi tali requisiti prima dell'ingresso del familiare sia opinabile, poiché la durata della procedura di ricongiungimento può porre a suo carico un onere finanziario considerevole.
L’articolo 7, paragrafo 1 della direttiva stabilisce che al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare, lo Stato membro interessato può chiedere alla persona che ha presentato la richiesta di dimostrare che il soggiornante dispone:
a) di un alloggio considerato normale per una famiglia analoga nella stessa regione e che corrisponda alle norme generali di sicurezza e di salubrità in vigore nello Stato membro interessato;
b) di un'assicurazione contro le malattie che copra tutti i rischi di norma coperti per i cittadini dello Stato membro interessato, per se stesso e per i suoi familiari;
c) di risorse stabili e regolari sufficienti per mantenere se stesso e i suoi familiari senza ricorrere al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato. Gli Stati membri valutano queste risorse rispetto alla loro natura e regolarità e possono tener conto della soglia minima delle retribuzioni e delle pensioni nazionali, nonché del numero di familiari.
Nel febbraio 2008 il Parlamento europeo ha pubblicato uno studio comparativo della legislazione degli Stati membri dell’UE in materia di immigrazione legale contenente una valutazione delle condizioni e delle formalità di entrata imposte da ciascuno Stato membro ai cittadini di paesi terzi.
Lo studio rileva, tra le altre cose, che circa un terzo degli ordinamenti nazionali subordina il rilascio del permesso di soggiorno, (indipendentemente dal tipo e dalla categoria), alla disponibilità da parte del richiedente di un alloggio sul territorio nazionale. Nella maggior parte dei casi l’alloggio considerato deve soddisfare alcune condizioni relative a dimensioni e condizioni igieniche.
Articolo 43
(Attività di trasferimento di fondi «money
transfer»)
1. Fermo restando quanto previsto dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, gli agenti in attività finanziaria che prestano servizi di pagamento nella forma dell'incasso e trasferimento di fondi (money transfer) acquisiscono e conservano per dieci anni copia del titolo di soggiorno se il soggetto che ordina l'operazione è un cittadino extracomunitario. Il documento è conservato con le modalità previste con decreto del Ministro dell'interno emanato ai sensi dell'articolo 7, comma 4, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155. In mancanza del titolo gli agenti effettuano, entro dodici ore, apposita segnalazione all'autorità locale di pubblica sicurezza, trasmettendo i dati identificativi del soggetto. Il mancato rispetto di tale disposizione è sanzionato con la cancellazione dall'elenco degli agenti in attività finanziaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 hanno efficacia decorsi trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
L’articolo 43 reca disposizioni in tema di attività di trasferimento di fondi secondo le modalità “money transfer”.
Con il termine “money transfer” si intende il trasferimento di fondi, anche all’estero, senza dover essere titolari di un conto bancario o postale, né possedere una carta di credito. E' sufficiente presentare un documento d'identità, consegnare in contanti la somma da trasferire e indicare i dati identificativi del soggetto destinatario. A tale soggetto dovrà essere comunicato dal mittente il codice di controllo (Money Transfer Control Number). Il beneficiario potrà recarsi nelle apposite agenzie per riscuotere in valuta locale il corrispettivo, presentando un documento di identificazione e dichiarando il relativo codice di controllo.
L’articolo 43 obbliga gli agenti in attività finanziaria che prestano servizi di pagamento nella forma dell'incasso e trasferimento di fondi (money transfer) ad acquisire e conservare per 10 anni copia del titolo di soggiorno se il soggetto che ordina l'operazione è un cittadino extracomunitario.
Si ricorda che il D.Lgs. n. 231 del 2007, recante “Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione”, dispone, all’articolo 15 e successivi, in merito agli obblighi di adeguata verifica della clientela da parte degli intermediari finanziari e degli altri soggetti esercenti attività finanziaria, in particolare nel caso di operazioni occasionali, disposte dai clienti che comportino la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che siano effettuate con una operazione unica o con più operazioni che appaiono collegate o frazionate, o per importi inferiori a 15.000 euro nel caso di gli agenti in attività finanziaria iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 3 del D.Lgs. n. 374/1999. In particolare gli obblighi di adeguata verifica della clientela consistono nelle seguenti attività:
a) identificare il cliente e verificarne l'identità sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente;
b) identificare l'eventuale titolare effettivo e verificarne l'identità;
c) ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto continuativo o della prestazione professionale;
d) svolgere un controllo costante nel corso del rapporto continuativo o della prestazione professionale.
In merito alle modalità di conservazione del documento (titolo di soggiorno) la disposizione rinvia all’articolo 7, comma 4, del decreto del Ministro dell’interno del 16 agosto 2005 circa le “Misure di preventiva acquisizione di dati anagrafici dei soggetti che utilizzano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni telematiche ovvero punti di accesso ad Internet utilizzando tecnologia senza fili, ai sensi dell'articolo 7, comma 4, del D.L. n. 144/2005, recante “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”, convertito, con modificazione, dalla legge n. 155/2005.
La disposizione richiamata prevede che i dati acquisiti siano raccolti e conservati con modalità informatiche. Per gli esercizi o i circoli aventi non più di tre apparecchi terminali a disposizione del pubblico, i predetti dati possono essere registrati su di un apposito registro cartaceo con le pagine preventivamente numerate e vidimate dalla autorità locale di pubblica sicurezza ove viene registrato anche l'identificativo della apparecchiatura assegnata all'utente e l'orario di inizio e fine della fruizione dell'apparato.
L’articolo 43 stabilisce che, in mancanza del titolo, gli agenti effettuano (entro 12 ore) una apposita segnalazione all'autorità locale di pubblica sicurezza, trasmettendo i dati identificativi del soggetto. Il mancato rispetto di tale disposizione è sanzionato con la cancellazione dall'elenco degli agenti in attività finanziaria.
Il comma 2 prevede che la suddetta disciplina acquisti efficacia decorsi 30 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.
In materia di tracciabilità dei trasferimenti di fondi si segnala che il 9 ottobre 2008la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva[55]riguardante l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, che comporta, tra le altre cose, modifiche alla direttiva 2005/60/CE relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo
In particolare la proposta eleva l’importo dei pagamenti al disotto del quale – ai sensi della vigente direttiva 2005/60/CE - gli enti che si occupano di pagamenti possano essere esonerati dall’obbligo di verifica della clientela. La proposta prevede infatti che la verifica possa non essere applicata qualora, relativamente alla moneta elettronica, l'importo massimo memorizzato sul dispositivo non ecceda:
· 500 euro (contro i 150 EUR attuali) nel caso di dispositivi ricaricabili
· 3000 euro (contro i 2 500 attuali) se il dispositivo non è ricaricabile.
La proposta di direttiva che segue la procedura di codecisione, dovrebbe essere esaminata in prima lettura dal Parlamento europeo in plenaria il 12 marzo 2009.
Articolo 44
(Modifiche al decreto legislativo 21
novembre 2007, n. 231)
1. Al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 6 è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«7-bis. Alla UIF e al personale addetto si applica l'articolo 24, comma 6-bis, della legge 28 dicembre 2005, n. 262»;
b) all'articolo 48, il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. L'avvenuta archiviazione della segnalazione è comunicata dalla UIF al segnalante direttamente, ovvero tramite gli ordini professionali di cui all'articolo 43, comma 2»;
c) all'articolo 56, comma 1, dopo le parole: «ai sensi degli articoli 7, comma 2,» sono inserite le seguenti: «37, commi 7 e 8,»;
d) all'articolo 56, il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. L'autorità di vigilanza di settore dei soggetti indicati dall'articolo 11, commi 1, lettera m), e 3, lettere c) e d), attiva i procedimenti di cancellazione dai relativi elenchi per gravi violazioni degli obblighi imposti dal presente decreto».
L'articolo 44 modifica alcune disposizioni del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, recante "Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione".
La lettera a) aggiunge all’articolo 6 - relativo alla Unità di informazione finanziaria per l'Italia (UIF), istituita presso la Banca d'Italia[56] - il comma 7-bis, disponendo l’estensione alla Unità di informazione finanziaria e al personale addetto della limitazione di responsabilità prevista dall'articolo 24, comma 6-bis, della legge 262/2005 a favore di Banca d'Italia, CONSOB, ISVAP, COVIP, Autorità garante della concorrenza e del mercato e dei loro dipendenti. Pertanto, nell'esercizio delle proprie funzioni anche UIF e il personale addetto risponderanno solo dei danni cagionati da atti o comportamenti posti in essere con dolo o colpa grave.
La lettera b) modifica l'articolo 48 del D.Lgs. n. 231/2007, eliminando l'obbligo per la UIF di comunicare al segnalante, qualora ciò non rechi pregiudizio per l'esito delle indagini, l'inoltro della segnalazione agli organi investigativi (DIA e il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza). Pertanto permane soltanto l'obbligo da parte dell’UIF di comunicare l'avvenuta archiviazione direttamente al segnalante o tramite gli ordini professionali.
La lettera c) modifica l'articolo 56, comma 1, del D.Lgs. n. 231/2007, estendendo la sanzione amministrativa pecuniaria (da 10.000 euro a 200.000 euro) prevista dal comma 1 anche alle violazioni delle disposizioni richiamate o adottate ai sensi dell'articolo 37, commi 7 e 8, del medesimo decreto legislativo (in materia, rispettivamente, di tenuta dell'archivio unico informatico e di modalità di registrazione di alcune categorie di intermediari finanziari).
La lettera d) sostituisce il comma 2 dell'articolo 56, del D.Lgs. 231/2007, in materia di contrasto al riciclaggio, prevedendo che la cancellazione degli intermediari finanziari (di cui all'art. 11, comma 1, lettera m)[57], del decreto legislativo) e degli altri soggetti esercenti attività finanziaria (di cui all'art. 11, comma 3, lettere c) e d)[58]) per gravi violazioni degli obblighi imposti dal decreto legislativo medesimo opererà quale che sia l'elenco in cui essi sono iscritti (attualmente l'articolo 56 fa riferimento al solo elenco di cui all'articolo 106 del TUB).
Nella riunione del 24 luglio 2008 il Consiglio giustizia e affari interni ha adottato il documento Strategia riveduta per la lotta al finanziamento del terrorismo.
Partendo dalla considerazione che l’Unione europea dispone ormai di una normativa adeguata per la lotta al finanziamento del terrorismo, la strategia pone l’accento sulla necessità di intraprendere azioni non legislative di più ampia portata (volte specialmente ad aumentare la trasparenza), al fine di assicurare che gli Stati membri siano dotati degli strumenti più adatti per contrastare il fenomeno in questione. La strategia, articolata in 10 raccomandazioni (tra cui il potenziamento della sorveglianza e l’analisi della minaccia, la verifica dei nuovi metodi di pagamento, la cooperazione con il settore privato, la cooperazione tra unità di informazione finanziaria a livello UE e con i paesi terzi il miglioramento della lotta al riciclaggio).
In particolare la Strategia raccomanda di accrescere gli sforzi per agevolare lo scambio di informazioni con e tra le UIF nazionali e altri organismi competent, in modo da consentire alle UIF e alle altre autorità competenti di fornire alle istituzioni finanziarie un maggiore riscontro sugli obiettivi appropriati delle comunicazioni relative a operazioni sospette o inedite. A questo proposito il documento richiama l’importanza della valutazione attualmente in corso a livello dell'UE circa le strutture di feedback delle UIF, i cui risultati dovrebbero essere discussi dagli esperti degli Stati membri per giungere all'identificazione delle migliori pratiche. La Strategia raccomanda inoltre di esplorare le modalità per consentire alle UIF e alle altre autorità competenti, comprese le dogane, di accedere ai dati pertinenti (finanziari, riguardanti l'applicazione della legge e l'intelligence) tenuto conto dei pertinenti aspetti della protezione dei dati e di altri interessi vitali, come ad esempio la sicurezza dello Stato.
Articolo 45
(Modifiche al testo unico di cui al
decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286)
1. Al citato testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 4, comma 3:
1) nel terzo periodo, dopo le parole: «o che risulti condannato, anche» sono inserite le seguenti: «con sentenza non definitiva, compresa quella adottata»;
2) dopo il terzo periodo è inserito il seguente: «Impedisce l'ingresso dello straniero in Italia anche la condanna, con sentenza irrevocabile, per uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale»;
b) all'articolo 5, dopo il comma 2-bis è inserito il seguente:
«2-ter. La richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposta al versamento di un contributo, il cui importo è fissato fra un minimo di 80 e un massimo di 200 euro con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, che stabilisce altresì le modalità del versamento nonché le modalità di attuazione della disposizione di cui all'articolo 14-bis, comma 2. Non è richiesto il versamento del contributo per il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno per asilo, per richiesta di asilo, per protezione sussidiaria, per motivi umanitari»;
c) all'articolo 5, comma 5-bis, le parole: «per i reati previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale,» sono sostituite dalle seguenti: «per i reati previsti dagli articoli 380, commi 1 e 2, e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale,»;
d) all'articolo 5, dopo il comma 5-bis è inserito il seguente:
«5-ter. Il permesso di soggiorno è rifiutato o revocato quando si accerti la violazione del divieto di cui all'articolo 29, comma 1-ter»;
e) all'articolo 5, comma 8-bis, dopo le parole: «ovvero contraffà o altera documenti al fine di determinare il rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno» sono inserite le seguenti: «oppure utilizza uno di tali documenti contraffatti o alterati»;
f) all'articolo 6, comma 2, le parole: «e per quelli inerenti agli atti di stato civile o all'accesso a pubblici servizi» sono sostituite dalle seguenti: «e per quelli inerenti all'accesso alle prestazioni sanitarie di cui all'articolo 35»;
g) all'articolo 6, il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non ottempera, senza giustificato motivo, all'ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato è punito con l'arresto fino ad un anno e con l'ammenda fino ad euro 2.000»;
h) all'articolo 9, dopo il comma 2 è inserito il seguente:
«2-bis. Il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo è subordinato al superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana, le cui modalità di svolgimento sono determinate con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca»;
i) all'articolo 14, i commi 5-bis, 5-ter, 5-quater e 5-quinquies sono sostituiti dai seguenti:
«5-bis. Quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di identificazione ed espulsione, ovvero la permanenza in tale struttura non abbia consentito l'esecuzione con l'accompagnamento alla frontiera dell'espulsione o del respingimento, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni. L'ordine è dato con provvedimento scritto, recante l'indicazione delle conseguenze sanzionatorie della permanenza illegale, anche reiterata, nel territorio dello Stato. L'ordine del questore può essere accompagnato dalla consegna all'interessato della documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo Paese in Italia, anche se onoraria, nonché per rientrare nello Stato di appartenenza ovvero, quando ciò non sia possibile, nello Stato di provenienza.
5-ter. Lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, è punito con la reclusione da uno a quattro anni se l'espulsione o il respingimento sono stati disposti per ingresso illegale nel territorio nazionale ai sensi dell'articolo 13, comma 2, lettere a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato. Si applica la pena della reclusione da sei mesi ad un anno se l'espulsione è stata disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, ovvero se la richiesta del titolo di soggiorno è stata rifiutata, ovvero se lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato in violazione dell'articolo 1, comma 3, della legge 28 maggio 2007, n. 68. In ogni caso, salvo che lo straniero si trovi in stato di detenzione in carcere, si procede all'adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica per violazione all'ordine di allontanamento adottato dal questore ai sensi del comma 5-bis. Qualora non sia possibile procedere all'accompagnamento alla frontiera, si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 5-bis del presente articolo nonché, ricorrendone i presupposti, quelle di cui all'articolo 13, comma 3.
5-quater. Lo straniero destinatario del provvedimento di espulsione di cui al comma 5-ter e di un nuovo ordine di allontanamento di cui al comma 5-bis, che continua a permanere illegalmente nel territorio dello Stato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Si applicano, in ogni caso, le disposizioni di cui al comma 5-ter, terzo e ultimo periodo.
5-quinquies. Per i reati previsti ai commi 5-ter, primo periodo, e 5-quater si procede con rito direttissimo ed è obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto»;
l) dopo l'articolo 14 è inserito il seguente:
«Art. 14-bis. - (Fondo rimpatri). - 1. È istituito, presso il Ministero dell'interno, un Fondo rimpatri finalizzato a finanziare le spese per il rimpatrio degli stranieri verso i Paesi di origine ovvero di provenienza.
2. Nel Fondo di cui al comma 1 confluiscono la metà del gettito conseguito attraverso la riscossione del contributo di cui all'articolo 5, comma 2-ter, nonché i contributi eventualmente disposti dall'Unione europea per le finalità del Fondo medesimo. La quota residua del gettito del contributo di cui all'articolo 5, comma 2-ter, è assegnata allo stato di previsione del Ministero dell'interno, per gli oneri connessi alle attività istruttorie inerenti al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno»;
m) all'articolo 16, comma 1, dopo le parole: «né le cause ostative indicate nell'articolo 14, comma 1, del presente testo unico,» sono inserite le seguenti: «che impediscono l'esecuzione immediata dell'espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica,»;
n) all'articolo 22, dopo il comma 11 è inserito il seguente:
«11-bis. Lo straniero che ha conseguito in Italia il dottorato o il master universitario di secondo livello, alla scadenza del permesso di soggiorno per motivi di studio, può essere iscritto nell'elenco anagrafico previsto dall'articolo 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442, per un periodo non superiore a dodici mesi, ovvero, in presenza dei requisiti previsti dal presente testo unico, può chiedere la conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro»;
o) all'articolo 27, dopo il comma 1-bis sono inseriti i seguenti:
«1-ter. Il nulla osta al lavoro per gli stranieri indicati al comma 1, lettere a), c) e g), è sostituito da una comunicazione da parte del datore di lavoro della proposta di contratto di soggiorno per lavoro subordinato, previsto dall'articolo 5-bis. La comunicazione è presentata con modalità informatiche allo sportello unico per l'immigrazione della prefettura-ufficio territoriale del Governo. Lo sportello unico trasmette la comunicazione al questore per la verifica della insussistenza di motivi ostativi all'ingresso dello straniero ai sensi dell'articolo 31, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e, ove nulla osti da parte del questore, la invia, con le medesime modalità informatiche, alla rappresentanza diplomatica o consolare per il rilascio del visto di ingresso. Entro otto giorni dall'ingresso in Italia lo straniero si reca presso lo sportello unico per l'immigrazione, unitamente al datore di lavoro, per la sottoscrizione del contratto di soggiorno e per la richiesta del permesso di soggiorno.
1-quater. Le disposizioni di cui al comma 1-ter si applicano ai datori di lavoro che hanno sottoscritto con il Ministero dell'interno, sentito il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, un apposito protocollo di intesa, con cui i medesimi datori di lavoro garantiscono la capacità economica richiesta e l'osservanza delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro di categoria»;
p) all'articolo 29, dopo il comma 1-bis è inserito il seguente:
«1-ter. Non è consentito il ricongiungimento dei familiari di cui alle lettere a) e d) del comma 1, quando il familiare di cui si chiede il ricongiungimento è coniugato con un cittadino straniero regolarmente soggiornante con altro coniuge nel territorio nazionale»;
q) all'articolo 29, il comma 5 è sostituito dal seguente:
«5. Salvo quanto disposto dall'articolo 4, comma 6, è consentito l'ingresso per ricongiungimento al figlio minore, già regolarmente soggiornante in Italia con l'altro genitore, del genitore naturale che dimostri il possesso dei requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito di cui al comma 3. Ai fini della sussistenza di tali requisiti si tiene conto del possesso di tali requisiti da parte dell'altro genitore»;
r) all'articolo 29, il comma 8 è sostituito dal seguente:
«8. Il nulla osta al ricongiungimento familiare è rilasciato entro centottanta giorni dalla richiesta»;
s) all'articolo 32:
1) al comma 1, le parole: «e ai minori comunque affidati» sono sostituite dalle seguenti: «e, fermo restando quanto previsto dal comma 1-bis, ai minori che sono stati affidati»;
2) al comma 1-bis, dopo le parole: «ai minori stranieri non accompagnati» sono inserite le seguenti: «, affidati ai sensi dell'articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ovvero sottoposti a tutela,»;
t) all'articolo 35, il comma 5 è abrogato.
2. Dall'attuazione delle disposizioni di cui alla lettera o) del comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. Le amministrazioni interessate provvedono alle attività ivi previste con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
L’articolo 45 reca numerose modifiche al testo unico in materia di immigrazione (decreto legislativo 286/1998[59]) di cui vengono novellati 11 dei complessivi 54 articoli e ne viene aggiunto uno.
Le modifiche riguardano diversi aspetti delle politiche migratorie, concernenti sia il diritto dell’immigrazione (ossia l’insieme delle regole e delle procedure relative alla gestione complessiva dei flussi migratori e le sanzioni alle violazioni di tali regole), sia il diritto all’integrazione (consistente l’estensione, per quanto possibile, ai migranti dei diritti propri dei cittadini).
La maggior parte degli interventi ha l’obiettivo di potenziare gli strumenti di contrasto all’immigrazione clandestina e ai reati ad essa connessi.
Le modifiche apportate dall’art. 45 non esauriscono gli interventi sul testo unico recati dal provvedimento in esame. Si segnalano: l’articolo 21 che introduce l’art. 10-bis TU (reato di ingresso e soggiorno illegale) e che, inoltre, modifica l’art. 16 TU; l’art. 42 che modifica l’art. 29 (ricongiungimento familiare); l’art. 47 che introduce l’art. 4-bis TU (accordo di integrazione); l’articolo 48 che modifica l’art. 12 TU, relativo al favoreggiamento all’immigrazione clandestina.
Inoltre, nel testo in commento si registrano altri interventi che, pur non incidendo direttamente sul testo unico, riguardano la materia dell’immigrazione.
La lettera a) modificando l'art. 4, comma 3, rende più restrittive le condizioni per l’ingresso dello straniero in Italia, aggiungendo altre due condizioni ostative:
§ la condanna non definitiva per uno dei gravi reati ivi elencati (v. ultra);
§ la condanna definitiva per specifiche violazioni della disciplina del diritto d’autore - relativi prevalentemente alla duplicazione e commercializzazione abusiva di opere dell’ingegno (Titolo III, Capo III, Sezione II, artt. 171 e ss., legge 633/1941) - e degli articoli 473 e 474 c.p. (relativi, rispettivamente, alla contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno o di prodotti industriali e all'introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi).
L’ingresso nel territorio italiano dei cittadini dei Paesi non appartenenti all’Unione europea è disciplinato dall’art. 4 del testo unico; esso prevede che l’ingresso deve avvenire esclusivamente attraverso i valichi di frontiera, salvi i casi di forza maggiore ed è consentito alle persone in possesso di:
§ passaporto valido (o documento equipollente);
§ visto d’ingresso (salvi i Paesi non soggetti ad obbligo di visto).
Il rilascio del visto di ingressoè subordinato alla presenza di una serie di condizioni: lo straniero deve avere prove idonee a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata di soggiorno. Per quanto riguarda l’immigrazione per lavoro, l’ingresso degli stranieri è limitato e determinato secondo quote annuali; pertanto, le autorità diplomatiche rilasciano i visti di ingresso entro tali quote (art. 3, comma 4, T.U.) e secondo le modalità definite dal testo unico (artt. 21 e seguenti).
Inoltre, il testo unico individua alcune condizioni ostative al rilascio del visto: oltre coloro che non sono in possesso dei requisiti di cui sopra (mezzi di sussistenza e documenti che confermano lo scopo del soggiorno), non sono ammessi (art. 4, comma 3, T.U.):
§ gli stranieri considerati una minaccia per l’ordine pubblico sia da parte dell’Italia, sia di uno degli Paesi dell’area Schengen;
§ gli stranieri condannati – anche a seguito di patteggiamento – ad una serie di gravi reati per i quali la legge prevede l’arresto obbligatorio in flagranza (ai sensi dell’art. 380, commi 1 e 2 del codice di procedura penale), ovvero per quelli riconducibili direttamente o indirettamente al fenomeno migratorio (si tratta dei reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento delle migrazioni clandestine, lo sfruttamento della prostituzione e lo sfruttamento dei minori).
Non possono altresì fare ingresso in Italia (art. 4, comma 6, T.U.) gli stranieri espulsi (a meno che non abbiano ottenuto la speciale autorizzazione o che sia trascorso il perizio di divieto di ingresso, di norma di dieci anni); gli stranieri da espellere; gli stranieri segnalati da altri Paesi, ai fini della non ammissione per gravi motivi di ordine pubblico.
La non concessione del visto di ingresso è adottata con un provvedimento di diniego che deve essere comunicato all’interessato limitatamente alle cause più frequenti di richiesta di visto di ingresso: lavoro, studio e ricongiungimento familiare.
Il testo unico non dà indicazioni sul procedimento di tutela giurisdizionale avverso il provvedimento di diniego. La questione è stata risolta dalla giurisprudenza in base al rapporto tra il regime del permesso di soggiorno e quello del visto di ingresso: è impugnabile davanti al giudice amministrativo il diniego di concessione del visto d’ingresso, in quanto, essendo il visto d’ingresso subordinato, al pari del permesso di soggiorno, alla valutazione della sussistenza di requisiti soggettivi o di condizioni internazionali, la pubblica amministrazione dispiega, nella sua emanazione, una specifica ed ampia discrezionalità, il che esclude la configurabilità, in capo allo straniero, di una posizione di diritto soggettivo al relativo ottenimento[60].
Si ricorda, in proposito, che l’art. 17 del testo unico stabilisce il diritto dello straniero sottoposto a procedimento penale ed espulso a rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario per l’esercizio del diritto di difesa. Tale disposizione sembra doversi applicare anche alla fattispecie in esame, non potendosi negare il visto di ingresso dello straniero già condannato in via non definitiva, allo scopo di esercitare il diritto alla difesa in un procedimento in corso.
Il testo unico per l’immigrazione contiene diverse disposizioni che prevedono forme di limitazione della libertà di circolazione dello straniero a prescindere dal definitivo accertamento della sua colpevolezza. Ad esempio, l’espulsione amministrativa può essere disposta nei confronti dei delinquenti abituali, oppure nei confronti di soggetti indiziati di appartenere ad associazioni criminali di tipo mafioso (art. 13, co. 2, TU). La possibilità di espellere una persona non condannata in via definitiva è espressamente prevista, dal momento che, nel caso di procedimento penale in corso, l’esecuzione dell’espulsione è subordinata alla concessione del nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria, che può essere negato per inderogabili esigenze processuali.
Parimenti, l’espulsione disposta dal giudice quale sanzione sostitutiva alla detenzione è eseguita “anche se la sentenza non è irrevocabile” (art. 16, co. 2, TU), così come l’espulsione quale misura di sicurezza (art. 15 TU).
La Corte costituzionale ha dichiarato illegittime le disposizioni che sanzionavano gravemente gli stranieri colpiti da mera denuncia (sen. 466/2005), mentre pronunciandosi sull’istituto dell’espulsione disposta dal giudice a seguito di condanna ne ha riconosciuto la natura di misura amministrativa e non di sanzione criminale (ord. 368/1999 e 226/2004), fermo restando l’accertamento da parte del giudice della pericolosità sociale del condannato (sen. 58/1995).
Oltre alla citata condanna non definitiva, la disposizione in esame introduce una ulteriore causa ostativa al rilascio del visto di ingresso: si tratta della sentenza, questa volta però irrevocabile, per uno dei reati in materia di tutela del diritto di autore (previsti dagli articoli 171 e seguenti della legge 633/1941) quali ad esempio la riproduzione o la vendita di un'opera altrui; e dei reati di contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno o di prodotti industriali e all'introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (previsti rispettivamente dagli articoli 473 e 474 codice penale).
Si osserva come tale previsione appaia coordinata con quanto già stabilito dall’art. 26, co. 7-bis, del testo unico, ovvero che la condanna definitiva dello straniero per i citati reati contro il diritto d’autore di cui alla legge 633/1941 nonché per quelli di cui agli artt. 473 e 474 c.p. comporta la revoca del permesso di soggiorno e la conseguente espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
La lettera b) sottopone la richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno al versamento di un contributo da fissarsi con decreto del Ministro dell’economia, di concerto con il Ministro dell’interno, tra un minimo di 80 e un massimo di 200 euro.
Si tratta di un onere ulteriore a carico dello straniero per il rilascio del permesso di soggiorno, cui si aggiunge anche l’obbligo di stipula di un “accordo di integrazione” ai sensi dell’articolo 47 (vedi infra).
Il contributo è destinato a finanziare il Fondo rimpatri e a contribuire agli oneri connessi alle attività istruttorie per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno (vedi oltre lett. l).
Il contributo non è dovuto per tutte le tipologie di permesso di soggiorno: ne sono esclusi espressamente i permessi relativi allo status di rifugiato e segnatamente quelli rilasciati per:
§ asilo;
§ richiesta di asilo;
§ protezione sussidiaria;
§ motivi umanitari.
Il testo unico prevede una pluralità di permessi di soggiorno, oltre a quelli sopra citati:
§ per lavoro subordinato (a tempo determinato, indeterminato e stagionale);
§ per lavoro autonomo;
§ per ricongiungimento familiare;
§ per cure mediche;
§ per motivi di studio e formazione;
§ per motivi familiari (rilasciato per esempio al compimento del 14° anno di età ai minori iscritti nel permesso di soggiorno dei genitori ai sensi dell’art. 31).
Per tutte queste tipologie sarà dovuto il contributo di cui sopra, compresi i soggiorni per visita, affari, turismo e studio, per i quali, se superiori a tre mesi di durata, è richiesto il permesso di soggiorno.
Presumibilmente, è da escludersi il contributo per il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, rilasciato alle vittime della tratta o di grave sfruttamento ai sensi dell’art. 18 TU come misura incentivante alla denuncia degli sfruttatori. Infatti, tale permesso è rilasciato con la sola dicitura “per motivi umanitari” (tipologia espressamente esclusa dal provvedimento in esame) per motivi di riservatezza e la differenziazione dagli altri tipi di permesso è assicurata con modalità che ne consentono il riconoscimento solo agli uffici competenti (si veda l’art. 27 del regolamento di attuazione del testo unico – D.P.R. 394/1999[61]).
Parimenti, sembrerebbe escluso dal versamento del contributo anche il permesso di soggiorno a fini investigativi, in favore degli stranieri che prestino la loro collaborazione all’autorità giudiziaria o agli organi di polizia in relazione a delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico (introdotto dall’art. 2 del D.L. 144/2005[62])
Più dubbia la questione dell’assoggettamento o meno dell’obbligo del contributo al rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (art. 9 TU). Tal documento, infatti, pur definito permesso di soggiorno ha origine e finalità affatto diversa ed, infatti, il suo rilascio è espressamente sottratto dall’obbligo dell’accordo di integrazione di cui al citato articolo 47 (vedi infra).
Si segnala, l’’opportunità di chiarire espressamente l’eventuale esclusione dall’obbligo del contributo anche per le tre tipologie di permesso di soggiorno sopra citate.
Si ricorda che attualmente il costo del rilascio del permesso di soggiorno è di circa 72 euro, composto dalle seguenti voci:
§ 27,50 (IVA compresa) per il costo del permesso di soggiorno elettronico, obbligatorio se superiore a 90 giorni[63];
§ 14,62 euro per la marca da bollo;
§ 30 euro da versare all’operatore dell’Ufficio Postale alla consegna della domanda compilata[64].
La metà del gettito assicurato dal contributo introdotto dalla disposizione in esame è destinata alla copertura degli oneri per le attività istruttorie inerenti al rilascio stesso dei permessi di soggiorno (come disposto dalla successiva lett. l).
Si osserva che andrebbe chiarito se il contributo è aggiuntivo o sostitutivo dei costi che già gravano sul richiedente.
La lettera c) modifica l'art. 5, comma 5-bis, che dispone in materia di permesso di soggiorno per motivi familiari, inserendo, tra gli elementi da considerare ai fini della revoca o del diniego di rinnovo di questo tipo di permesso di soggiorno, il riferimento alle condanne per reati rispetto ai quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza (art. 380, co. 1 e 2, c.p.p.).
La presenza di condanne per tali reati è considerata rilevante ai fini del rilascio del visto di ingresso (art. 4, co. 3 TU, modificata dalla lett. a) del comma in esame nel senso di ricomprendervi anche le condanne non definitive). Inoltre, le condanne (definitive in questo caso) costituiscono uno degli elementi che concorrono a valutare l’effettiva pericolosità degli stranieri ai fini una del rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno), ai sensi dell’art. 9 TU.
Inoltre, una condanna per i reati di cui sopra può costituire motivo di espulsione disposto dal giudice a titolo di misura di sicurezza (art. 15 TU).
Si ricorda che il permesso di soggiorno per motivi familiari viene rilasciato a coloro che fanno ingresso in Italia per motivo di ricongiungimento familiare con un cittadino straniero regolarmente soggiornante. Viene, altresì, rilasciato al coniuge, al genitore e agli altri familiari stranieri del cittadino italiano (art. 30 TU) nonché ai minori, già iscritti nel permesso di soggiorno dei genitori, al compimento del quattordicesimo anno di età (art. 31 TU).
Mentre le condizione per il rifiuto del rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari sono le stesse per gli altri tipi di soggiorno (art. 5, co. 5 TU): ossia la mancanza dei requisiti per l’ingresso nel territorio dello Stato (visto, documento di identità, mezzi di sussistenza ecc.) per la revoca, o il rifiuto del rinnovo, è necessario valutare anche la pericolosità dello straniero per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato (art. 5, co. 5-bis. Tra gli elementi da considerare ai fini della valutazione la legge comprende:
§ eventuali condanne per gravi reati, quali strage, omicidio, associazione mafiosa, droga ecc. (art. 407, co. 2, lett. a), codice di procedura penale;
§ eventuali condanne per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (art. 12, co. 1 e 3 del TU).
La lettera d) prevede che il permesso di soggiorno sia rifiutato o revocato quando si accerti la violazione del divieto di cui all'art. 29, comma 1-ter. Tale disposizione, introdotta dall’articolo in esame ed in particolare dalla lettera o), vieta il ricongiungimento familiare nel caso in cui la persona di cui si chiede il ricongiungimento è coniugata con un cittadino straniero, regolarmente soggiornante in Italia, ma già coniugato.
Si osserva che la formulazione della norma potrebbe essere interpretata nel senso di escludere dal suo campo di applicazione il permesso di soggiorno per motivi familiari, per i quali come si è detto (vedi lett. e)), vale la disciplina speciale di cui all’art. 5, co. 5-bis TU, che prevede che il rifiuto del rinnovo e la revoca non sono automatici ma sottoposti a valutazione discrezionale della pericolosità dell’interessato.
La lettera e) modifica l'art. 5, comma 8-bis, che punisce con la reclusione da 1 a 6 anni la contraffazione o alterazione dei documenti che costituiscono titolo per la presenza del cittadino straniero nel territorio nazionale (visto di ingresso, permesso di soggiorno, contratto di soggiorno ecc.), prevedendo la medesima pena anche per il mero utilizzatore di tali documenti contraffatti o alterati.
Attualmente, il testo unico punisce esclusivamente l’autore materiale della falsificazione dei documenti e non anche il titolare di tali documenti (a meno che, ovviamente, non sia l’autore della contraffazione): l'art. 5, comma 8-bis, infatti, punisce con la reclusione da 1 a 6 anni chi contraffà o altera un visto di ingresso o reingresso, un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una permesso di soggiorno CE di lungo periodo, ovvero contraffà o altera i documenti necessari per il loro rilascio. Al detentore di documenti falsi, una volta accertata la mancanza di idoneo titolo di soggiorno, si applica la misura dell’espulsione amministrativa, ai sensi dell’art. 13 TU.
La lettera f)modifica l'art. 6, comma 2, il quale prevede che, fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo e per quelli inerenti agli atti di stato civile o all'accesso a pubblici servizi, la carta ed il permesso di soggiorno devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati. La lettera in esame elimina dalle eccezioni all'obbligo di esibizione gli atti di stato civile o relativi all'accesso a pubblici servizi. Per quanto riguarda questi ultimi, rimangono però esclusi dall’obbligo di esibizione dei documenti i provvedimenti inerenti l'accesso alle prestazioni sanitarie per gli stranieri non iscritti al servizio sanitario nazionale (di cui all’art. 35 TU).
Con la definizione di atti di stato civile sono ricompresi diversi tipi di documenti, quali gli atti di acquisto della cittadinanza (L. 91/1992), gli atti di nascita, filiazione e adozione, gli atti di matrimonio, di morte (DPR 396/2000).
Per servizi pubblici si intendono tutti i servizi svolti nei confronti della collettività volti a soddisfarne i bisogni fondamentali, in particolare tra i pubblici servizi ad accesso individuale si possono indicare i servizi sociali, sanitari, scolastici e i servizi pubblici locali (trasporto pubblico locale, erogazione di energia elettrica, gas, acqua, ecc.).
La lettera g), novellando l’art. 6, comma 3, TU,aumenta la pena per la mancata ottemperanza all'ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato (arresto fino ad un anno e ammenda sino ad 2.000 euro invece che arresto fino a sei mesi e ammenda fino a lire ottocentomila).
Il testo unico (art. 6) disciplina le facoltà e gli obblighi dei titolari del permesso di soggiorno.
In particolare, qui rileva il comma 3 che pone allo straniero l’obbligo di esibire, dietro richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, il passaporto o altro documento di identificazione, oppure il permesso o la carta di soggiorno. La mancata esibizione, senza un giustificato motivo, comporta la pena dell’arresto fino a sei mesi e l’ammenda fino a lire 800 mila.
Nell’applicazione di questa disposizione si sono registrate posizioni diverse: un filone interpretativo ha ritenuto applicabile il reato di mancata esibizione dei documenti a tutti gli stranieri, e quindi anche ai clandestini. Di contro, una diversa impostazione ha invece escluso l’applicabilità al clandestino in considerazione del fatto che l’ingresso illegale si configurerebbe quale “giustificato motivo” per la mancata esibizione.
La questione è stata risolta dalle Cassazione (Sezioni Unite, sent. 45801/2003) secondo la quale lo straniero clandestino può essere punito del reato di cui all’art. 6, comma 3, unicamente nel caso di mancata esibizione, senza giustificato motivo, del passaporto o di altro documento di identità, mentre non integra né questa, né altra ipotesi di reato, l’omessa esibizione da parte del clandestino del permesso o della carta di soggiorno, in quanto il possesso di questi documenti è inconciliabile con la condizione stessa di straniero clandestino e, conseguentemente, non ne è esigibile l’esibizione.
La lettera h) aggiunge un nuovo comma 2-bis all'art. 9 TU, ai sensi del quale il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo è subordinato al superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana, le cui modalità di svolgimento sono determinate con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'istruzione, università e ricerca.
La disciplina del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo è stata di recente novellata ad opera del D.Lgs. 3/2007, di attuazione della direttiva 2003/109/CE.
L’art. 9 del testo unico, nella nuova formulazione, prevede come requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno CE per i soggiornanti di lungo periodo (co. 1):
§ il possesso da almeno cinque anni di un permesso di soggiorno in corso di validità (per il rilascio della carta di soggiorno era prima previsto il regolare soggiorno nel territorio dello Stato da almeno sei anni e la titolarità di un permesso di soggiorno per un motivo che consente un numero indeterminato di rinnovi);
§ un reddito minimo non inferiore all’assegno sociale annuo.
Il comma 4 esclude il rilascio del permesso di soggiorno di lungo periodo agli stranieri pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. A tale riguardo si fa riferimento all’appartenenza dello straniero alle categorie di persone che la legge ritiene pericolose per la sicurezza e la moralità pubblica[65] oppure all’affiliazione ad associazioni di tipo mafioso[66], nonché all’irrogazione di condanne, anche non definitive, per delitti per i quali la legge prevede l’arresto obbligatorio in flagranza (art. 380 c.p.c.) ovvero per delitti non colposi per i quali si prevede l’arresto facoltativo in flagranza (art. 381 c.p.c.). Il diniego è comunque subordinato alla valutazione di ulteriori elementi, quali la durata del soggiorno e l’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero.
Il legislatore italiano nell’attuare la citata direttiva 2003/109/CE ne ha recepito le condizioni ivi previste per il rilascio del permesso (permanenza regolare per almeno 5 anni, reddito minimo, assenza di pericolo per l’ordine pubblico); la quarta condizione prevista dalla direttiva, ossia l’obbligo di assicurazione sanitaria, era già prevista dal testo unico (art. 34 TU). La direttiva, dunque, non contempla tra le condizioni per il rilascio del permesso, il superamento di test di lingua o di cittadinanza. Tuttavia, viene concesso agli Stati membri la facoltà di “esigere che i cittadini di paesi terzi soddisfino le condizioni di integrazione, conformemente alla legislazione nazionale” ai fini dell’acquisizione dello status di soggiornante di lungo periodo (art. 5, co. 2, dir. 2003/109/CE); senza però operare nessuna discriminazione, comprese quelle fondate sulla lingua (punto 5 del preambolo alla direttiva).
La lettera i) reca una complessiva riformulazione dei reati legati all’inottemperanza all’ordine di lasciare il territorio dello Stato, attraverso una serie di novelle all'art. 14 del testo unico dell'immigrazione.
La prima modifica riguarda l’esecuzione dell’espulsione tramite intimazione a lasciare il territorio nazionale. Il vigente comma 5-bis dell’art. 14 TU prevede questa forma di esecuzione dell’espulsione qualora sia impossibile trattenere lo straniero presso un centro di identificazione ed espulsione (CIE, ex CPT), oppure nel caso in cui il trattenimento è stato sì effettuato, ma una volta decorso il periodo massimo di permanenza, non è stato possibile eseguire l’espulsione o il respingimento.
In questo secondo caso, il nuovo comma 5-bis chiarisce che solamente nell’ipotesi in cui la permanenza nel centro non abbia consentito l’esecuzione dell’espulsione con accompagnamento coatto alla frontiera, si può adottare la procedura di rimpatrio volontario. In questo modo, si fa più stringente il rispetto del principio generale, contenuto nell’art. 13, co. 4, per cui l’espulsione deve essere eseguita di norma con l’accompagnamento forzato alla frontiera e solamente in casi ben precisi con il foglio di via, ossia permesso di soggiorno scaduto e non rinnovato (art. 13, co. 5) ed, appunto, impossibilità di trattenimento nei centri, o spirare dei termini massimi di permanenza.
Con la seconda modifica, operata anche questa con novella all’art. 14, co. 5-bis TU, viene specificato che l’ordine di rimpatrio volontario oltre a recare l’indicazione delle conseguenze penali della sua trasgressione può essere accompagnato dalla documentazione necessaria a raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del Paese dello straniero in Italia e a rientrare in patria.
La terza modifica riguarda l’inadempienza all’ordine di allontanamento disposto dal questore ai sensi dell’art. 14, co. 5-bis di cui sopra.
La legge vigente prevede due distinte fattispecie, la prima di delitto e la seconda contravvenzionale (art. 14, co. 5-ter e co. 5-quater, TU):
§ se la violazione è compiuta da coloro che erano stati espulsi in quanto clandestini, delinquenti abituali o indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, la pena è fissata nella reclusione da 1 a 4 anni. In caso di recidiva la pena massima è aumentata a 5 anni;
§ se, invece, lo straniero (irregolare) era stato espulso semplicemente per la scadenza, da più di 60 giorni, del permesso di soggiorno è prevista la pena dell’arresto da 6 mesi ad un anno. Se recidivo, la pena è da 1 a 4 anni.
Le due fattispecie sono integrate da ulteriori ipotesi.
In primo luogo, si applica la pena più grave (da 1 a 4 anni) anche nel caso di mancata dichiarazione di “presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto”.
Il testo unico contempla due dichiarazioni di presenza dello straniero all’autorità italiana:
§ la dichiarazione di presenza che gli stranieri muniti di permesso di soggiorno rilasciato dall'autorità di uno Stato appartenente all'Unione europea sono tenuti a rendere al questore. La dichiarazione deve essere resa entro 60 giorni dall'ingresso nel territorio dello Stato e in sua assenza può essere disposta l'espulsione amministrativa (art. 5, co. 7, TU);
§ la dichiarazione in sostituzione del nulla osta al lavoro nel caso di lavoratori stranieri non comunitari dipendenti da datori di lavoro aventi sede nell’Unione europea (art. 27, co. 1-bis).
Sembra opportuno chiarire a quale forma di dichiarazione di presenza si applica la disposizione in esame.
In secondo luogo, l’applicazione della sanzione più lieve (da 6 mesi ad un anno) è estesa anche nel caso di:
§ rifiuto della richiesta del titolo di soggiorno;
§ mancata dichiarazione di presenza per gli stranieri non comunitari che intendono soggiornare in Italia per brevi periodi (al massimo tre mesi) per motivi di studio, affari, turismo e studio; ovvero prolungamento della permanenza oltre i tre mesi.
Fino al 2007 anche per i soggiornanti di breve durata era obbligatoria la richiesta del permesso di soggiorno, richiesta sostituita con una semplice dichiarazione con l’approvazione della L. 68/2007 (che non modifica il testo unico). Tale provvedimento prevede anche l’applicazione della sanzione dell’espulsione in caso di inottemperanza, senza però specificare le conseguenze dell’inadempienza all’ordine di allontanamento.
In entrambi i casi sopra descritti si procede all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione, questa volta da eseguire nella forma coercitiva dell’accompagnamento alla frontiera. Anche questa disposizione è integrata dall’articolo in esame, prevedendo che, se non è possibile l’espulsione coattiva, si procede al trattenimento dello straniero ed eventualmente ad una nuova espulsione mediante intimazione.
Si rammenta, che la Corte costituzionale – chiamata ad esprimersi sulla legittimità costituzionale della pena prevista per il reato di trattenimento, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanamento impartito dal questore – ha messo in rilievo alcuni squilibri e disarmonie dell’apparato sanzionatorio relativo all’ingresso e alla permanenza degli stranieri “tali da rendere problematica la verifica della compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa”. La Corte ha, inoltre, rilevato l’opportunità dell’intervento del legislatore volto ad eliminare tali squilibri (sent. 22/2007).
La quarta modifica riguarda la recidiva al reato di trattenimento illegale (art. 14, co. 5-quater): mentre attualmente, come si è visto, la pena per chi già espulso la seconda volta viene nuovamente rintracciato nel territorio nazionale è graduata a seconda delle motivazioni alla base della prima decisione di espulsione, la disposizione in esame fissa la durata della pena in ogni caso nella misura massima (reclusione da 1 a 5 anni). Inoltre, viene specificato che anche in questo caso se non è possibile procedere all’espulsione con accompagnamento coatto, viene impartito l’ordine di allontanamento.
Infine, l’ultima modifica, concernente la procedura processuale, esclude dal rito direttissimo il reato di cui al secondo periodo delcomma 5-ter, ossia la permanenza illegale in violazione dell’ordine di allontanamento da parte degli stranieri irregolari (per i quali è scaduto il permesso di soggiorno oppure non hanno dichiarato la propria presenza). Il rito direttissimo permane solamente per i clandestini.
La lettera l) introduce il nuovo art. 14-bis TU che istituisce, presso il Ministero dell’interno, un Fondo rimpatri per finanziare le spese di rimpatrio degli stranieri verso i Paesi di origine o di provenienza. Ai sensi del comma 2 del nuovo articolo al Fondo è assegnato la metà del gettito del contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno di cui alla lett. b) (vedi sopra), nonché i contributi eventualmente disposti in sede comunitaria per le medesime finalità.
L’altra metà del gettito del contributo per il permesso di soggiorno sarà utilizzata per le spese relative alle attività istruttorie di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno.
Si osserva che quest’ultima disposizione troverebbe migliore collocazione inserita nella lett. b) del comma in esame, recante la disciplina del contributo di soggiorno.
Si osserva, inoltre, che il riferimento al “rimpatrio” degli stranieri non trova riscontro univoco nel testo unico. Infatti, anche se la legge utilizza in alcune occasioni la definizione di rimpatrio in senso generico, ad esso corrispondono ben determinati istituti diversi tra loro: il rimpatrio assistito dei minori stranieri, finalizzato al ricongiungimento del minore con la famiglia nel suo Paese di origine, il rimpatrio per rifugiati e vittime della tratta, l’espulsione (con accompagnamento alla frontiera o con intimazione a lasciare il territorio nazionale), il respingimento alla frontiera. Sembrerebbe, pertanto, opportuno integrare la disposizione con l’indicazione dettagliata delle forme di rimpatrio cui sono destinate le risorse del Fondo.
Con la decisione n. 575/2007 del Parlamento europeo e Consiglio, del 23 maggio 2007, è stato istituito il Fondo europeo per i rimpatri per il periodo 2008-2013 nell'ambito del programma generale "Solidarietà e gestione dei flussi migratori", con una dotazione finanziaria di 676 milioni di euro per il periodo tra il 1° gennaio 2008 ed il 31 dicembre 2013 (art. 13 della decisione).
Il Fondo è ripartito tra gli Stati membri in parte in misura uguale (con una maggiorazione della quota spettante ai Paesi che hanno aderito all’Unione a partire dal 2004 e a quelli che aderiranno in futuro) e in parte in misura proporzionale al numero dei cittadini extracomunitari clandestini o irregolari che nel corso dei tre anni precedenti sono stati oggetto di una decisione di rimpatrio e a quello degli stranieri che hanno effettivamente lasciato il territorio dello Stato membro nel corso dei tre anni precedenti, su base volontaria o coattivamente, in ottemperanza ad un ordine di allontanamento amministrativo o giudiziario (art. 14). Il Fondo è destinato, in particolare, a finanziare – nel rispetto dei principi di complementarietà e sussidiarietà – programmi volti a:
§ introdurre una gestione integrata dei rimpatri e migliorarne l'organizzazione e l'attuazione da parte degli Stati membri;
§ rafforzare la cooperazione tra gli Stati membri nel quadro della gestione integrata dei rimpatri;
§ promuovere un'applicazione efficace ed uniforme delle norme comuni concernenti il rimpatrio in conformità all'evoluzione della politica nel settore (art. 3, paragrafo 1).
In questo quadro, si prevede tra l’altro che possano beneficiare dell’azione del Fondo progetti volti ad agevolare i rimpatri volontari di cittadini di paesi terzi, in particolare mediante programmi di rimpatrio volontario assistito, al fine di assicurare l'efficacia e il carattere duraturo dei rimpatri (art. 4, paragrafo 1, lettera c)). La decisione, infatti, evidenzia che gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati a dare la preferenza al rimpatrio volontario, in quanto tale forma di rimpatrio corrisponde tanto all'interesse dei rimpatriati, ai quali assicura condizioni di rimpatrio degne, quanto a quello delle autorità nazionali, in relazione al rapporto costi-efficacia (considerando n. 22).
La lettera m)modifica l'art. 16, comma 1 TU, precisando le condizioni per l'irrogazione da parte del giudice dell'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva della detenzione. In particolare, viene esplicitato che le cause ostative (all’espulsione sostitutiva) di cui l’art. 14, co. 1 TU, consistono negli impedimenti all’esecuzione immediata dell’espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
Si osserva che l’art. 16, comma 1, oggetto della novella in esame, viene modificato nello stesso punto anche dall’art. 21, co. 1, lett. b) e, pertanto, le due disposizioni andrebbero coordinate tra loro.
Quanto all’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva delle detenzione, l’art. 16 del testo unico sull’immigrazione dispone che il giudice, al momento della sentenza di condanna per reato non colposo, quando ritiene di dover irrogare una pena detentiva contenuta entro i due anni, può decidere di sostituire la pena medesima con l’espulsione per un periodo di almeno cinque anni. La sanzione può essere applicata anche in caso di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (il cosiddetto “patteggiamento”)[67].
L’ambito di applicazione dalla misura sostitutiva non comprende gli stranieri extracomunitari legittimamente presenti sul territorio dello Stato, bensì unicamente quelli che si trovano in una delle situazioni passibili di espulsione amministrativa da parte del prefetto ai sensi dell’art. 13, co. 2: irregolari, clandestini e delinquenti abituali.
Non può, inoltre, essere applicata qualora non ricorrano le condizioni per la concessione della sospensione condizionale della pena (ai sensi dell’art. 163 c.p.) o nel caso sia impossibile eseguire immediatamente l’espulsione per le stesse cause (di cui all’art. 14, co. 1) che obbligano il trattenimento nei centri di permanenza (mancanza di documenti, indisponibilità di mezzi di trasporto ecc.).
La L. 189/2002 ha aggiunto due nuove cause ostative all’adozione della misura sostitutiva che ne restringono ulteriormente la possibilità di applicazione, si tratta di:
§ condanna di delitti particolarmente gravi (di cui all’art. 407, co. 2, lett. b) c.p.p.);
§ condanna per uno dei delitti previsti dal testo unico.
La sanzione sostitutiva è revocata nel caso di reingresso illegale prima del termine di 10 anni previsto in linea generale dall’art. 13, co. 14.
La lettera n)modifica l'art. 22 TU in materia di lavoro subordinato estendendo agli studenti stranieri che hanno conseguito in Italia il dottorato o il master universitario la possibilità di iscriversi, per 12 mesi, all’elenco anagrafico delle persone in cerca di lavoro (previsto dal DPR 442/2000, art. 4) per al massimo 12 mesi, oppure può chiedere la conversione del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Ai sensi dell’art. 6, co. 1, TU, il permesso di soggiorno rilasciato per motivi di studio e formazione può essere convertito, prima della sua scadenza, in permesso di soggiorno per motivi di lavoro nell'ambito delle quote di lavoratori non comunitari ammessi stabilite annualmente con il “decreto flussi”. In caso di lavoro subordinato la conversione è subordinata alla stipula del contratto di soggiorno per lavoro; nel caso di lavoro autonomo la conversione è consentita alle stesse condizioni previste per il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro autonomo di cui all’art. 26 TU (risorse adeguate, possesso dei requisiti specifici prescritti per il tipo di attività che intende esercitate, iscrizione in albi o registri ove prescritto ecc.).
Ulteriori prescrizioni sono contenute nell’art. 14 del regolamento di attuazione del testo unico (DPR 394/1999).
La lettera o)attraverso una integrazione all’articolo 27 TU, in materia di assunzione di lavoratori “fuori quota”, ossia ulteriori rispetto al contingente stabilite con il decreto flussi annuale, sostituisce la richiesta di nullaosta al lavoro con una semplice comunicazione da parte del datore di lavoro per alcune categorie di lavoratori.
Si tratta in particolare, di:
§ dirigenti o personale altamente specializzato (art. 27, co. 1, lett. a);
§ professori universitari destinati a svolgere in Italia un incarico accademico (art. 27, co. 1, lett. c);
§ lavoratori alle dipendenze di soggetti operanti nel territorio italiano, che siano stati ammessi temporaneamente a domanda del datore di lavoro, per adempiere funzioni o compiti specifici (art. 27, co. 1, lett. g).
Attualmente, nell’ambito della categoria dei lavoratori fuori quota, il testo unico prevede l’esenzione dalla richiesta di nulla osta per i lavoratori extracomunitari dipendenti da datori di lavoro residenti o aventi sede un altro Stato membro nell’Unione europea. Per costoro il nulla osta è sostituito da una semplice dichiarazione ai fini del rilascio del permesso di soggiorno (art. 27, co. 1-bis TU introdotto dal decreto legge 10/2007, art. 5)[68].
Tale esenzione è ora estesa anche alle tre categorie di cui sopra, per le quali, però, a differenza dei lavoratori già esentati, viene prescritta la verifica da parte del questore dell’assenza di denuncia per gravi reati pendenti in capo ai datori di lavoro. La nuova procedura contenuta nella lettere in esame non deve comunque comportare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, come specificato nel comma 2 dell’articolo 45 in commento.
Si rileva, che il regolamento di attuazione del testo unico esclude dall’obbligo di richiesta di nulla osta, altre categorie di lavoratori fuori quota, quali gli atleti, i giornalisti accreditati e coloro che svolgono attività di tirocinio (si veda art. 40 del regolamento attuativo).
L’art. 27 del testo unico e l’art. 40 del regolamento di attuazione (DPR 394/1999) regolano i cosiddetti ingressi fuori quota, che riguardano lavoratori appartenenti a specifiche categorie (dirigenti, personale altamente specializzato, sportivi ecc.), in possesso di determinati requisiti, i quali possono entrare in Italia indipendentemente dalle quote stabilite ogni anno dai decreti sui flussi, a condizione che ci sia un datore di lavoro che intenda assumerli.
Le domande per il rilascio del nulla osta al lavoro possono essere presentate in qualsiasi periodo dell’anno presso lo sportello unico per l’immigrazione, secondo le modalità previste in via generale per coloro che intendano assumere lavoratori stranieri dall’art. 30-bis, commi 2 e 3, del regolamento di attuazione.
Per i procedimenti in questione, non è richiesto l’adempimento della preventiva verifica della sussistenza di eventuali richieste presentate da parte di un lavoratore nazionale o comunitario per il medesimo impiego (ad esclusione degli interpreti e degli infermieri).
Per gli ingressi al di fuori delle quote, il nulla osta al lavoro non può essere concesso per un periodo superiore a quello del rapporto di lavoro a tempo determinato e, comunque, a due anni; la proroga oltre il limite biennale, se prevista, non può superare lo stesso termine di due anni. La validità del nullaosta deve essere espressamente indicata nel provvedimento.
Le lettere p), q) ed r), modificano l’articolo 29 del testo unico, in materia di ricongiungimento familiare, nel senso di renderne più restrittivo l’esercizio da parte dei cittadini stranieri soggiornanti. Una ulteriore modifica all’articolo 29 è operata all’art. 42, co. 2 del provvedimento in esame cui si rinvia.
Si ricorda che la disciplina del ricongiungimento familiare è stata già oggetto di modifica nella legislatura in corso ad opera del D.Lgs. 160/2008.
La lettera p)aggiunge un nuovo comma (1-ter) all'art. 29, recante il divieto di ricongiungimento quando il familiare di cui si chiede il ricongiungimento è coniugato con un cittadino straniero regolarmente soggiornante nel territorio nazionale che abbia altro coniuge già presente nel territorio nazionale.
La norma è evidentemente finalizzata a evitare che l’istituto del ricongiungimento familiare venga utilizzato per ricomporre in Italia famiglie straniere con più di due coniugi, a esempio provenienti da culture, come quella islamica, che consentono la poligamia[69]. Essa avrebbe peraltro anche l’effetto di limitare l’esercizio del diritto all’unità familiare da parte di soggetti esterni allo stretto rapporto coniugale (si pensi ad esempio al cittadino straniero che intenda chiedere il ricongiungimento della propria madre già coniugata con un cittadino straniero regolarmente soggiornante in Italia con altro coniuge).
Si ricorda che la legge italiana punisce il reato di bigamia (art. 556 c.p.) nel solo caso di matrimoni con effetti civili.
Si rammenta che il comma in esame (lett. d) prevede quale sanzione alla violazione del divieto di cui sopra, il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno.
La lettera q)modifica l'art. 29, comma 5, in materia di ricongiungimento del genitore naturale al figlio minore soggiornante in Italia, stabilendo che quest’ultimo deve essere regolarmente soggiornante in Italia con l'altro genitore. La norma attualmente richiede semplicemente che il minore debba essere regolarmente soggiornante, senza ulteriori specificazioni.
Viene inoltre eliminato il riferimento al fatto che la dimostrazione del possesso, da parte del genitore, dei requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito possa essere assolta entro un anno dall'ingresso in Italia e, quindi, debba presumibilmente essere assolta prima del ricongiungimento.
Si osserva, in proposito, che, stante la sua formulazione letterale, la norma avrebbe l’effetto di impedire il ricongiungimento del genitore naturale, da parte del minore, nel caso l’altro genitore sia deceduto o sconosciuto.
La lettera r) modifica l'art. 29, comma 8, prevedendo che il nulla osta al ricongiungimento familiare debba essere rilasciato dalla prefettura entro 180 giorni dalla richiesta ed eliminando la possibilità che, trascorsi centottanta giorni dalla richiesta, l'interessato possa ottenere il visto di ingresso direttamente dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, dietro esibizione della copia degli atti contrassegnata dallo sportello unico per l'immigrazione, da cui risulti la data di presentazione della domanda e della relativa documentazione.
La lettera s)modifica l'art. 32, co. 1-bis TU, recante disposizioni concernenti il rilascio del permesso di soggiorno ai minori non accompagnati al compimento della maggiore età, prevedendo che questi per avere diritto al permesso di soggiorno debbano risultare affidati ad una famiglia (ai sensi dell’art. 2, della legge 184/1983), ovvero sottoposti a tutela. Si ricorda, in proposito che l’ordinamento prevede l’istituto della tutela dei minori con la nomina di un giudice tutelare (art. 343 e seguenti del codice civile).
Si tratta di una ulteriore condizione necessaria per accedere al permesso di soggiorno che si aggiunge a quella già prevista dalla legge, ossia l’ammissione del minore per almeno due anni ad un progetto di integrazione sociale e civile presso un’associazione che svolge attività a favore degli immigrati.
La lettera t) modifica l’art. 35 TU in materia di assistenza sanitaria agli stranieri non iscritti al Servizio sanitario nazionale, abrogando la disposizione (comma 5) secondo la quale l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero irregolare non può comportare la sua segnalazione all’autorità.
La soppressione di tale previsione non sembrerebbe comportare di per sé un obbligo di segnalazione, determinando semplicemente il venir meno del divieto posto al personale sanitario.
Sembra tuttavia opportuno, ai fini della definizione della portata normativa della disposizione, un approfondimento in ordine all’eventuale rilevanza di altre disposizioni generali in materia, e in particolare degli artt. 361, 362 e 365 c.p..
L’art. 361 c.p. punisce il pubblico ufficiale il quale omette o ritarda di denunciare all'autorità giudiziaria, o ad un'altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni. Analoga disposizione reca l’art. 362 c.p. con riferimento all’incaricato di un pubblico servizio.
L’art. 365 c.p. disciplina l’obbligo di referto: coloro che, nell’esercizio di una professione sanitaria, hanno prestato la propria assistenza in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d'ufficio, devono riferirne senza ritardo all'autorità competente. Tale obbligo è, tuttavia, escluso quando il referto esponga la persona assistita a procedimento penale (art. 365 c.p. Omissione di referto). A tale proposito si ricorda che l’art. 10-bis del testo unico, introdotto dal provvedimento in esame, prevede il reato di ingresso e soggiorno illegale dello straniero.
Ai sensi dell’articolo 35 co. 3, TU e dell’art. 43 del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, il Servizio sanitario nazionale garantisce ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio ed i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva. Come conferma la giurisprudenza (cfr. Cass. civ. Sez. I, sent. n. 20561 del 22 settembre 2006), lo straniero presente, anche irregolarmente, nel territorio dello Stato italiano ha infatti diritto di fruire di tutte le prestazioni sanitarie indifferibili ed urgenti, trattandosi di diritto fondamentale della persona che deve essere tutelato ai sensi dell'art. 2 dello stesso TU.
Il comma 2 specifica che non devono derivare nuovi oneri a carico del bilancio dello Stato in attuazione di quanto previsto dalla lettera o) del comma 1 (cui si rinvia) che ha sostituito la richiesta di nullaosta al lavoro con una semplice comunicazione da parte del datore di lavoro per alcune categorie di lavoratori (dirigenti, professori , lavoratori specializzati).
Il 23 ottobre 2007, la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva (COM(2007)638), che istituisce una procedura unica per la richiesta di permesso unico di residenza e lavoro e stabilisce un insieme comune di diritti per i lavoratori dei paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro.
In base alla proposta di direttiva:
- ogni domanda di autorizzazione a soggiornare e a lavorare sul territorio dello Stato membro è introdotta nel quadro di una procedura di domanda unica;
- la decisione relativa al rilascio, modifica o rinnovo del permesso unico prende la forma di un titolo combinato che autorizza contestualmente a soggiornare e a lavorare nel quadro di un atto amministrativo unico.
Gli Stati membri possono imporre ai richiedenti il pagamento di diritti per il trattamento delle domande. L'importo dei diritti deve essere proporzionato e può basarsi sul principio del servizio effettivamente prestato
La proposta, che segue la procedura di consultazione,è stata esaminata dal Parlamento europeo in plenaria il 20 settembre 2008 ed è in attesa di decisione finale da parte del Consiglio
Nella stessa data la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva (COM(2007)637) relativa all’ammissione nell’Unione di migranti per posti di lavoro altamente qualificati.
La proposta, che segue la procedura di consultazione,è stata esaminata dal Parlamento europeo in plenaria il 20 settembre 2008 ed è in attesa di decisione finale da parte del Consiglio
Relativamente alle disposizioni di cui alla lettera b), si segnala che nel febbraio 2008 il Parlamento europeo ha pubblicato uno studio comparativo della legislazione degli Stati membri dell’UE in materia di immigrazione legale contenente una valutazione delle condizioni e delle formalità di entrata imposte da ciascuno Stato membro ai cittadini di paesi terzi. Lo studio, realizzato da esperti dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM), dà conto, tra le altre cose, dell’ammontare dei contributi richiesti in ciascuno Stato membro, per il trattamento delle domande, a seconda del tipo di titolo di soggiorno.
In particolare, secondo i dati riportati nello Studio, tutti gli Stati membri prevedrebbero il pagamento di diritti, di entità variabile fino ad oltre 1000 euro. ( ad es., nel caso del Regno Unito da 424 a 1078 euro, a seconda della categoria).
Con riguardo alla lettera p), si ricorda che l’8 ottobre 2008 la Commissione europea ha presentato una relazione sulla applicazione della direttiva 2003/86/CE relativa al ricongiungimento familiare (COM(2008)610).
Tra le altre cose, la relazione rileva che in tutti gli Stati membri, fuorché Italia e Portogallo, i richiedenti devono pagare dei diritti. La Commissione osserva inoltre che non è sempre chiaro se i diritti servano per il visto o la domanda in sé e che l'ammontare complessivo varia da un importo simbolico per spese amministrative in Belgio e Spagna o un diritto di 35 euro nella repubblica Ceca e in Estonia a 1 368 euro in Olanda (la relazione specifica in proposito che in Olanda una domanda di visto per ricongiungimento familiare costa 830 euro, l'esame di integrazione 350 euro, il rilascio di un permesso di soggiorno per una permanenza temporanea 188 euro). In media, i diritti variano da 50 a 150 euro.
Per quanto riguarda la durata della procedura, la Commissione rileva che i termini fissati corrispondono in media a tre mesi. In alternativa si applicano norme generali, i cui termini rientrano nei nove mesi. Quattordici Stati membri si avvalgono dell'opzione prevista dalla direttiva per prorogare il termine in circostanze eccezionali legate alla complessità dell'esame della domanda.
Per quanto riguarda le condizioni di integrazione si rinvia alla scheda relativa all’articolo 47.
Si ricorda inoltre che la proposta di direttiva (COM(2007)249), relativa a sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi residenti illegalmente nel territorio dell’UE, n attesa di adozione finale da parte del Consiglio impone ai datori di lavoro:
- di chiedere che un cittadino di un paese terzo, prima di assumere l'impiego, possieda e presenti loro il permesso di soggiorno o altra autorizzazione di soggiorno;
- di tenere, almeno per la durata dell'impiego, una copia o registrazione del permesso di soggiorno o altra autorizzazione di soggiorno a disposizione delle autorità competenti degli Stati membri, a fini di un'eventuale ispezione;
- di informare, entro un termine fissato da ciascuno Stato membro, le autorità competenti designate dagli Stati membri dell’inizio dell’impiego di un cittadino di un paese terzo.
Relativamente agli strumenti finanziari UE per il sostegno alle politiche migratorie si segnala che nell’ambito delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013, il programma quadro “Solidarietà e gestione dei flussi migratori” (COM(2005)123-1) ha inteso rispondere al problema della ripartizione equa delle responsabilità tra gli Stati membri, per quanto riguarda l’onere finanziario conseguente all’introduzione di una gestione integrata delle frontiere esterne e all’attuazione di politiche comuni in materia di asilo e immigrazione. Il programma quadro si sostanzia nei seguenti strumenti finanziari specifici:
- “Fondo europeo per le frontiere esterne“, con una dotazione di 1820 milioni di euro per il periodo 2007-2013 (decisione 574/2007/CE del 7 maggio 2007);
- “Fondo europeo per i rifugiati”, con una dotazione di 628 milioni di euro per il periodo 2008-2013 (decisione 573/2007/CE del 7 maggio 2007);
- “Fondo europeo per il rimpatrio”, con una dotazione di 676 milioni di euro per il periodo 2008-2013 (decisione 575/2007/CE del 7 maggio 2007);
- “Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi”, con dotazione pari a 825 milioni di euro per il periodo 2007-2013 (decisione 2007/435/CE del 25 giugno 2007).
Il 6 maggio 2008, la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura d’infrazione n. 2006/2075) per mancato rispetto del regolamento (CE) 1030/2002, che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi.
Non rilasciando ancora permessi di soggiorno conformi al modello uniforme, lo Stato italiano violerebbe l’articolo 9 del regolamento citato, in base al quale gli Stati membri rilasciano tali permessi al più tardi entro un anno a decorrere dall’adozione degli elementi e dei requisiti di sicurezza complementari. Tali elementi e requisiti sono stati effettivamente definiti con la decisione della Commissione C/2002/3069 del 14 agosto 2002, il cui articolo 2 impone agli Stati membri di fornire alla Commissione un fac-simile del permesso di soggiorno, non appena disponibile.
Il 27 novembre 2008 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato (procedura d’infrazione n. 2006/2126), ai sensi dell’articolo 226 del Trattato CE, in relazione alla non conformità con il diritto comunitario di alcune disposizioni del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione delle straniero (Decreto legislativo n. 286/1998).
In particolare, la Commissione ritiene che l’articolo 7 del D.Lgs n.286/1998,imponendo a chi ospita uno straniero o apolide l’obbligo di dichiararne entro 48 ore la presenza all’autorità locale di pubblica sicurezza, configuri una violazione degli obblighi cui l’Italia è tenuta dalla convenzione d’applicazione dell’articolo 22 dell’accordo di Schengen. La Commissione osserva a questo proposito che in base all’articolo 22 dell’accordo Schengen l’obbligo di dichiarare la propria presenza a norma della legislazione nazionale grava sul cittadino di paesi terzi che si rechi in uno Stato membro: Tale dichiarazione può peraltro essere sottoscritta sia all'ingresso, sia entro tre giorni lavorativi a decorrere dall'ingresso.
Articolo 46
(Utilizzo dei sistemi di
videosorveglianza da parte dei comuni)
1. Per la tutela della sicurezza urbana, i comuni possono utilizzare sistemi di videosorveglianza in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
2. La conservazione dei dati, delle informazioni e delle immagini raccolte mediante l'uso di sistemi di videosorveglianza è limitata ai sette giorni successivi alla rilevazione, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione.
3. In presenza di una specifica richiesta dell'autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria e in relazione ad una attività investigativa in corso, è ammesso un tempo più ampio di conservazione dei dati, che non può comunque superare i quattordici giorni.
L’articolo 46, inserito nel corso dell’esame al Senato, autorizza i comuni, ai fini della tutela della sicurezza urbana, ad impiegare sistemi di videosorveglianza nei luoghi pubblici o aperti al pubblico[70] (comma 1).
I dati raccolti mediante tali sistemi possono essere conservati sino al settimo giorno successivo alla loro rilevazione, salvo particolari esigenze di ulteriore conservazione (comma 2).
Tale periodo può essere esteso sino a un massimo di 14 giorni quando l'autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria ne faccia specifica richiesta in relazione ad attività investigative in corso (comma 3).
Si segnala che le disposizioni di cui ai primi due commi dell’articolo in esame sono state integralmente riprodotte nei co. 7 e 8 dell’art. 6 del D.L. 11/2009, in corso di conversione, e sono pertanto attualmente in vigore.
Il comma 3 dell’articolo, sopra illustrato, non è stato invece riproposto nel decreto-legge.
Per un esame delle disposizioni di cui all’art. 6, co. 7 e 8, del D.L. 11/209, si rinvia al dossier Progetti di legge n. 124 (24 febbraio 2009).
Articolo 47
(Accordo di integrazione per il rilascio
e rinnovo del permesso
di soggiorno)
1. Dopo l’articolo 4 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è inserito il seguente:
«Art. 4-bis. - (Accordo di integrazione). - 1. Ai fini di cui al presente testo unico, si intende con integrazione quel processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, con il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società.
2. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente articolo, con regolamento, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, sono stabiliti i criteri e le modalità per la sottoscrizione, da parte dello straniero, contestualmente alla presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 5, di un Accordo di integrazione, articolato per crediti, con l’impegno a sottoscrivere specifici obiettivi di integrazione, da conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno. La stipula dell’Accordo di integrazione rappresenta condizione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno. La perdita integrale dei crediti determina la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, eseguita dal questore secondo le modalità di cui all’articolo 13, comma 4, ad eccezione dello straniero titolare di permesso di soggiorno per asilo, per richiesta di asilo, per protezione sussidiaria, per motivi umanitari, per motivi familiari, di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, di carta di soggiorno per familiare straniero di cittadino dell’Unione europea, nonché dello straniero titolare di altro permesso di soggiorno che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare».
L’articolo 47, che novella il Testo unico sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998) inserendovi l’articolo 4-bis, introduce nell’ordinamento una definizione del concetto di “integrazione”, quale processo finalizzato a promuovere la convivenza fra stranieri e cittadini italiani, nel rispetto comune dei valori sanciti dalla Costituzione, e con impegno reciproco ai fini della partecipazione alla vita economica, sociale e culturale della società.
Contestualmente, l’articolo istituisce e disciplina la nuova figura dell’“accordo di integrazione”.
Tale accordo deve essere obbligatoriamente sottoscritto dal cittadino straniero ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, ed è articolato su crediti, conseguibili per tutto l’arco temporale di validità del titolo di soggiorno richiesto.
In particolare, i criteri e le modalità necessarie a definire la procedura di sottoscrizione dell’Accordo e la sua articolazione su crediti, sono stabiliticon un regolamento governativo entro 180 giorni dall’entrata in vigore della disposizione, su proposta del Presidente del Consiglio e del ministro dell’interno, di concerto con il ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e il ministro della salute e delle politiche sociali.
La disposizione rinvia espressamente ai regolamenti adottati ai sensi dell’art. 17, co. 1, della L. 400/1988[71]. Tali regolamenti debbono essere adottati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta, e possono essere emanati per disciplinare l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, nonché dei regolamenti comunitari; l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale; le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge nonché l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge.
La norma dunque dispone che, contestualmente all’atto della presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno, lo straniero debba sottoscrivere un accordo di integrazione, articolato per crediti, impegnandosi in tal modo a condividere specifici obiettivi di integrazione, conseguibili nel periodo di validità del permesso di soggiorno di cui all’art. 5 del testo unico.
I documenti che legittimano la permanenza dello straniero nel territorio italiano sono di diversa natura e durata (al proposito v. supra la scheda dedicata alla lettera b) dell’articolo 45 del provvedimento in esame), comunque la richiesta di permesso di soggiorno è obbligatoria per tutti gli stranieri che intendano soggiornare nel nostro territorio per un periodo superiore ai tre mesi; la disciplina in commento sembra dunque applicabile anche ai titolari dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato, concessi al di fuori delle quote previste dai decreti flussi e disciplinati dall’art. 27 del T.U. (Ingresso per lavoro per casi particolari)[72], per le tipologie previste dall’art. 27-bis T.U. (Ingresso e soggiorno per volontariato) nonché per l’ingresso degli stranieri disciplinato dall’art. 27-ter (Ingresso e soggiorno per ricerca scientifica).
La perdita integrale dei crediti comporta la revoca del titolo di soggiorno e l’espulsione amministrativa dello straniero eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4 T.U.).
Dando luogo all’espulsione, la disciplina dei crediti sembra incidere sulle condizioni di permanenza dello straniero. Poiché il testo dell’articolo non fornisce indicazioni specifiche sui criteri e le modalità di concessione e di perdita dei crediti né sul tipo di controllo e sull’esercizio dello stesso, le condizioni di permanenza non appaiono più interamente definite per legge, ma risultano almeno in parte rimesse all’emanando regolamento.
Non sono soggetti alla revoca del titolo di soggiorno e all’espulsione amministrativa lo straniero titolare di permesso di soggiorno per asilo (D.Lgs. 251/2007[73], D.Lgs. 25/2008[74]), per richiesta di asilo, per protezione sussidiaria[75] (D.Lgs. 251/2007, D.Lgs. 25/2008), per motivi umanitari (art. 18 T.U.), per motivi familiari (artt. 30, 31,co. 2, del T.U.), di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (artt. 9, 9-bis del T.U.), di carta di soggiorno per familiare straniero di cittadino dell’Unione europea (art. 10 del D.Lgs. 30/2007[76]), nonché dello straniero titolare di altro permessodi soggiorno che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare (art. 29 T.U.).
Dalla formulazione dell’articolo in esame appare pertanto che le tipologie sopra elencate restano soggette alla stipula dell’Accordo, benché non risultino sanzionabili in quanto fatte salve dalla revoca del titolo di soggiorno e dall’espulsione.
Nella relazione sulla applicazione della direttiva 2003/86/CE relativa al ricongiungimento familiare (COM(2008)610), presentata l’8 ottobre 2008 la Commissione europea rileva che, relativamente alle misure di integrazione previste facoltativamente dalla direttiva, tre Stati membri (Olanda, Germania, Francia) usano la misura di integrazione come prerequisito per l'ammissione nel territorio. La Germania esige, eccezion fatta per alcune nazionalità, che il coniuge abbia una conoscenza di base del tedesco prima dell'ingresso, da dimostrarsi presso un consolato. In Francia , il rilascio del visto è subordinato alla valutazione della conoscenza del francese e, nei casi in cui tale conoscenza è insufficiente, alla frequenza di corsi di lingua. Una volta che il familiare è stato ammesso a soggiornare in Francia, deve firmare un contratto di "accoglienza e integrazione" che lo obbliga a seguire corsi di educazione civica e, ove del caso, corsi di lingua. L’Olanda impone che i familiari superino un primo esame di integrazione riguardante la lingua e la conoscenza della società olandese al quale si possono sottoporre unicamente nel paese di origine. Dopo il loro arrivo in Olanda i familiari sono soggetti anch'essi ai requisiti di integrazione per i soggiornanti. Sono esenti alcune nazionalità, alcuni gruppi e gli immigranti altamente specializzati. Se un candidato non supera la prova, la decisione non è impugnabile, ma è possibile sottoporvisi nuovamente senza aggravio di spese. Altri Stati membri (Austria, Cipro, Grecia) richiedono che i familiari partecipino a corsi di integrazione (essenzialmente corsi di lingua) o superino esami di lingua dopo l'ammissione. Per alcuni è indispensabile che il soggiorno sia stabile (Lituania), altri prevedono la possibilità di revocare i benefici (Germania) in caso di mancato rispetto.
Nel già citato studio comparativo della legislazione degli Stati membri dell’UE in materia di immigrazione legale contenente una valutazione delle condizioni e delle formalità di entrata imposte da ciascuno Stato membro ai cittadini di paesi terzi, realizzato da esperti dello IOM e pubblicato dal Parlamento europeo nel febbraio 2008, viene dato conto delle misure di integrazione richieste dai vari ordinamenti nazionali per il rilascio di un titolo di soggiorno. Lo studio sottolinea che la gamma di condizioni richieste comprende la conoscenza della lingua, della storia, dell’ordinamento giuridico e del sistema sociale del paese di accoglienza. In base ai dati forniti dallo studio, solamente Olanda, Francia e Austria impongono condizioni di integrazione per il rilascio di soggiorni temporanei, mentre diffusa risulta la previsione di tali condizioni per l’ottenimento dello statuto di residenti permanenti. Contratti di integrazione sono espressamente previsti dalla legislazione francese e austriaca e danese.
Si ricorda infine che nell’ambito degli strumenti a sostegno alle politiche di immigrazione, l’Unione europea ha istituito il “Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi”, con dotazione pari a 825 milioni di euro per il periodo 2007-2013 (decisione 2007/435/CE del 25 giugno 2007). (Si veda anche la scheda relativa all’articolo 45).
Articolo 48
(Modifiche all'articolo 12 del testo
unico di cui al decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286)
1. All'articolo 12 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona»;
b) il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui:
a) il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone;
b) la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale;
c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale;
d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti;
e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti»;
c) il comma 3-bis è sostituito dal seguente:
«3-bis. Se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata»;
d) il comma 3-ter è sostituito dal seguente:
«3-ter. La pena detentiva è aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di 25.000 euro per ogni persona se i fatti di cui ai commi 1 e 3:
a) sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento;
b) sono commessi al fine di trarne profitto, anche indiretto»;
e) il comma 4 è sostituito dal seguente:
«4. Nei casi previsti dai commi 1 e 3 è obbligatorio l'arresto in flagranza»;
f) dopo il comma 4 sono inseriti i seguenti:
«4-bis. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati previsti dal comma 3, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.
4-ter. Nei casi previsti dai commi 1 e 3 è sempre disposta la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato, anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti».
L'articolo 48 - inserito nel corso dell'esame in Senato[77] - interviene sulla disciplina del favoreggiamento dell'immigrazione clandestina di cui all'art. 12 del Testo unico dell'immigrazione, in particolare ridefinendo le condotte che ne integrano la fattispecie. Rispetto al testo vigente, tali condotte vengono a differenziarsi essenzialmente per le modalità con cui vengono effettuate, a prescindere dall'esistenza dello scopo di lucro, che è invece trasformata in autonoma aggravante.
Analiticamente, la lettera a) sostituisce il comma 1 dell’art. 12 ridefinendo il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina attraverso una più analitica specificazione della condotta.
L’articolo 12, comma 1, del D.Lgs 25 luglio 1998, n. 286, Disposizioni contro le immigrazioni clandestine, prevede il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, destinato a colpire coloro che compiano atti diretti a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato di uno straniero, ovvero diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente. La sanzione è la reclusione da uno a cinque anni e la multa fino a 15.000 euro per ogni persona.
La formulazione della fattispecie è generica, delineando una tipica ipotesi di reato a forma libera: realizza la condotta costitutiva del delitto chiunque ponga in essere un’attività lato sensu riconducibile al concetto di aiuto. La Corte di cassazione ha quindi affermato che per «attività dirette a favorire l'ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione della legge» non devono intendersi soltanto quelle condotte specificamente mirate a consentire l'arrivo e lo sbarco degli stranieri, ma anche quelle, immediatamente successive a tale ingresso, intese a garantire la buona riuscita dell'operazione, la sottrazione ai controlli della Polizia e l'avvio dei clandestini verso località lontane dallo sbarco e, in genere, tutte quelle attività di fiancheggiamento e di cooperazione con le attività direttamente e in senso stretto collegabili all'ingresso dei clandestini (Sez. I, sent. n. 7045 del 14 giugno 2000, Carrozzo; Sez. I, sent. n. 14406 del 27 marzo 2003, Sinani; Sez. III, sent. n. 20257 del 07 maggio 2003, Jovanovic). La Corte ha poi sostenuto che il reato non richiede, per il suo perfezionamento (trattandosi di reato a condotta libera ed a consumazione anticipata), che l'ingresso illegale sia effettivamente avvenuto. (Sez. I, sent. n. 4586 del 25 ottobre 2000, Habibi). Inoltre, trattandosi di un reato di pericolo, è sufficiente ad integrarlo la condotta diretta a procurare l'ingresso illecito dello straniero dall'Italia nel territorio di uno Stato confinante, del quale egli non sia cittadino o non abbia titolo di residenza permanente, a nulla rilevando né la durata di tale ingresso, né la destinazione finale del trasferimento (Sez. I, sent. n. 492 del 9 gennaio 2004).
Il comma 2 esclude che, al di là dello stato di necessità disciplinato dall’art. 54 c.p., costituiscano reato la attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti di stranieri in condizioni di bisogno presenti sul territorio dello Stato.
Per quanto riguarda la fattispecie di reato, rispetto al testo vigente l’articolo 48, oltre al compimento di «atti diretti a procurare illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato od in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente», contempla la condotta di chiunque promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni recate dal medesimo testo unico dell’immigrazione.
Per quanto riguarda la pena, da un lato è confermata la reclusione da 1 a 5 anni; dall’altro la pena pecuniaria viene fissata in 15.000 euro per ogni clandestino di cui si sia favorita l’immigrazione. Rispetto al testo vigente dell’articolo 12, comma 1, che prevede una multa fino a 15.000 euro a persona, viene quindi eliminata ogni valutazione discrezionale da parte del giudice.
La lettera b) sostituisce integralmente il comma 3 del predetto articolo 12.
Il testo attuale di tale ultima disposizione prevede il reato di sfruttamento dell’immigrazione clandestina, destinato a colpire coloro che al fine di trarre profitto, anche indiretto, compiano atti diretti a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato di uno straniero, ovvero diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente. La sanzione è la reclusione da quattro a quindici anni e la multa di 15.000 euro per ogni persona.
Il testo proposto sanziona, come autonoma figura di reato (punita con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona), le medesime condotte previste al comma 1,poste in essere in presenza di determinate modalità, in larga parte riprese dal vigente testo del comma 3-bis. Tali modalità ricorrono se:
a) il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone;
b) per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale la persona è stata esposta a pericolo per la sua vita o la sua incolumità;
c) per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale la persona è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante;
d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti;
e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.
Le prime quattro ipotesi (lett. a-d) corrispondono alle aggravanti dei delitti di favoreggiamento e sfruttamento dell’immigrazione clandestina attualmente previste dalle lettere da a) a c-bis) dell’articolo 12, comma 3-bis; il testo vigente di tale disposizione, invece, non contempla l’ipotesi della disponibilità di armi o materie esplodenti.
La lettera c) dell’articolo 48 sostituisce il successivo comma 3-bis, prevedendovi delle aggravanti per il delitto di cui al comma precedente (favoreggiamento dell’immigrazione clandestina compiuto con particolari modalità).
La sanzione della reclusione da cinque a quindici anni e della multa di 15 mila euro per ogni persona dovrà essere aumentata laddove il delitto sia commesso ricorrendo due o più delle ipotesi elencate nelle lettere da a) ad e).
L’attuale formulazione del comma 3-bis prevede che i reati di favoreggiamento (vigente comma 1) e sfruttamento dell’immigrazione clandestina (comma 3) siano aggravati nelle seguenti ipotesi (comma 3-bis):
• reati commessi in riferimento a cinque o più clandestini (lett. a);
• reati commessi esposta a pericolo di vita o minacciando l’incolumità del clandestino (lett. b);
• reati commessi sottoponendo a trattamento inumano o degradante il clandestino (lett. c);
• reati commessi da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o comunque illegalmente ottenuti (lett. c-bis).
Ulteriori circostanze aggravanti – questa volta ad effetto speciale – sono previste dal nuovo comma 3-ter, inserito dalla lettera d). La pena della reclusione da cinque a quindici anni dovrà essere aumentata da un terzo alla metà e la multa fissata in 25 mila euro a persona se i fatti di cui al comma 1 e al comma 3:
- sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale ovvero all’impiego di minori in attività illecite per favorirne lo sfruttamento (tale previsione è già contenuta nell’attuale comma 3-ter);
- sono commessi al fine di trarne profitto, anche indiretto. Tale finalità, quindi, che nel vigente comma 3 è elemento costitutivo del reato, diviene un’autonoma aggravante.
Il vigente comma 3-ter prevede che il reato di sfruttamento dell’immigrazione clandestina di cui al comma 3 (e non dunque la fattispecie di cui al comma 1) sia aggravato, con conseguente aumento della pena detentiva da un terzo alla metà e fissazione della multa in 25.000 euro per ogni persona, quando la condotta sia finalizzata al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale ovvero all’impiego di minori in attività illecite per favorirne lo sfruttamento.
L’articolo 42 in esame non modifica i commi 3-quater, 3-quinquies e 3-sexies. In base alla prima di tali disposizioni, le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter possono essere bilanciate solo dalle attenuanti della minore età (art. 98 c.p.), della c.d. minima partecipazione e della minorazione psichica (art. 114 c.p.); ogni diversa attenuante consentirà diminuzioni di pena da calcolarsi sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti; il comma 3-quinquies prevede la diminuzione della pene fino alla metà nei confronti dell'imputato che si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori; il comma 3-sexies inserisce i delitti di cui all’articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, tra quelli contemplati dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) per i quali i benefici penitenziari possono essere concessi solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata.
La lettera e) sostituisce il comma 4 dell’articolo 12, prevedendo che per i delitti di cui ai commi 1 e 3 sia obbligatorio l’arresto in flagranza.
Il vigente comma 4 dell’articolo 12 prevede per i delitti di cui ai commi 1 e 3, l’arresto in flagranza, la confisca del mezzo di trasporto, e il giudizio direttissimo laddove non si rendano necessarie speciali indagini. In relazione alla vigente formulazione del comma 4, si osserva che mentre la confisca è, nella nuova disciplina, regolata dal successivo comma 4-ter (v. infra), viceversa, viene meno la previsione di obbligatorietà del giudizio direttissimo.
Il giudizio direttissimo è uno dei procedimenti speciali, o riti semplificati, che accelerano il corso del processo, abbreviandone la durata, per effetto della drastica riduzione della fase delle indagini preliminari. In via generale – e dunque quando il giudizio direttissimo non sia previsto ex lege - essenziale presupposto per accedere a questo rito è la c.d. evidenza della prova a carico dell'imputato, che ne dimostra, sin dal momento in cui è stato commesso il reato, o da un momento successivo e prossimo, la colpevolezza. La prova evidente della colpevolezza, contemporanea al verificarsi del reato, si ha anzitutto quando la persona è stata arrestata in flagranza (art. 449 c.p.p.); inoltre è sottoposta a giudizio direttissimo la persona che, sin dai primi giorni della custodia cautelare, ovvero da un momento successivo e assai prossimo alla avvenuta comunicazione della notizia di reato al pubblico ministero, ha ammesso di essere responsabile del reato per il quale si procede, rendendo confessione.
Si rileva peraltro che già la previsione dell’arresto obbligatorio in flagranza di reato dovrebbe consentire, attraverso le vie ordinarie previste dal codice (art. 449 e ss.), di procedere con il rito speciale.
Il nuovo comma 4-bis, inserito insieme al successivo comma 4-ter dalla lettera f), prevede che laddove in relazione ai reati previsti dal comma 3 (v. supra) sussistano gravi indizi di colpevolezza, sia applicata la custodia cautelare in carcere, a meno che non siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.
Il disegno di legge prevede quindi anche per i delitti connessi all’immigrazione clandestina una norma analoga a quella già contemplata dal codice di procedura penale (art. 275, co. 3) in relazione ai delitti di criminalità organizzata.
L'art. 275, co. 3 configura, al sussistere di gravi indizi di colpevolezza in relazione a determinati reati di particolare gravità (art. 416-bis c.p.), la misura cautelare della custodia in carcere come l'unico strumento di tutela idoneo a soddisfare le esigenze cautelari previste dall'art. 274: a) pericolo di inquinamento delle prove; b) pericolo di fuga; c) pericolo di compimento di nuovi delitti.
In tal modo è venuta delineandosi una sorta di presunzione di adeguatezza che, limitatamente ad alcune ipotesi delittuose, ha sostituito l'originaria configurazione della custodia in carcere come extrema ratio da disporre esclusivamente nelle ipotesi di inadeguatezza delle altre forme di intervento a fini cautelari.
In presenza, quindi, di determinate fattispecie di reato il legislatore ritiene che l'unica misura cautelare adeguata sia la restrizione in carcere, ferma restando, ovviamente, la sussistenza del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai medesimi reati e sempre che non siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.
Con riferimento all’art. 275, co. 3, c.p.p., la Cassazione ha più volte sostenuto che in sede di impugnazione del provvedimento de libertate avente ad oggetto uno dei reati di cui all'art. 416-bis, si impone al competente tribunale di motivare specificamente per dare contezza, ai fini del controllo in sede di legittimità, delle ragioni che lo hanno indotto a respingere la prospettazione della difesa (cfr. Sez. II, 21 ottobre 1997, Primerano). In tutte le ipotesi in cui l'interessato prospetti dati di fatto ed elementi integranti la prova dell'insussistenza delle esigenze cautelari, il giudice deve vagliare questi dati e decidere all'esito di un "approfondito esame degli stessi" non potendosi ammettere l'utilizzo di mere formule di stile (Sez. VI, 30 luglio 1992, Sciortino; Sez. I, 17 dicembre 1992, Crudele).
Si ricorda, comunque, che la Corte costituzionale ha affermato che, se da un lato, possono essere previste delle ipotesi dove la scelta della misura da applicare viene effettuata «in termini generali dal legislatore, nel rispetto del limite della ragionevolezza e del corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti», sottraendo al giudice la valutazione in ordine al "quomodo della cautela", dall'altro lato, «la sussistenza in concreto di una o più delle esigenze cautelari prefigurate dalla legge (l'an della cautela) comporta, per definizione, l'accertamento, di volta in volta, della loro effettiva ricorrenza» (cfr. C. cost., ord. n. 130/2003; sent. n. 40/2002).
Il comma 4-ter – riprendendo quanto attualmente previsto dal comma 4 – dispone che in relazione ai delitti di cui ai commi 1 e 3 sia sempre disposta la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato, anche in caso di patteggiamento (art. 444 c.p.p.).
Nel documento di lavoro Valutazione e monitoraggio dell’attuazione del piano UE sulle migliori pratiche, le norme e le procedure per contrastare e prevenire la tratta di esseri umani del 17 ottobre 2008 (COM(2008) 657) la Commissione, partendo dalla considerazione che gli emigranti costituiscono un gruppo particolarmente vulnerabile, ritiene che vada migliorata la cooperazione Europol/Frontex in modo da realizzare un più diretto collegamento tra le attività di contrasto all’immigrazione clandestina e la lotta alla tratta degli esseri umani.
Si ricorda infine che nella risoluzione sulle priorità politiche nella lotta contro l'immigrazione clandestina di cittadini di paesi terzi, adottata nel settembre 2007, il Parlamento europeo tra le altre cose:
- sottolinea che la responsabilità dei trasportatori e delle autorità dei paesi d'origine nonché il rafforzamento del quadro giuridico penale per la lotta contro le reti di trafficanti, la lotta contro il lavoro clandestino e la tratta di esseri umani e l'individuazione della corruzione amministrativa sono parte essenziale della lotta contro l'immigrazione clandestina, che deve altresì poggiare su un livello elevato di cooperazione di polizia e giudiziaria;
- ricorda che l'immigrazione clandestina comporta il trasferimento di enormi quantità di denaro nelle mani delle mafie che controllano le reti della tratta di esseri umani e fomenta la corruzione, la frode e lo sfruttamento dei lavoratori immigrati, il che, a sua volta, rappresenta un ostacolo nella lotta contro l'immigrazione clandestina;
- invita le istituzioni, gli Stati membri ed Europol a mobilitarsi per attuare il programma d'azione a medio termine di lotta contro la tratta di esseri umani, avendo per obiettivo i trafficanti, i passatori e le mafie.
Articolo 49
(Modifica dell'articolo 407 del codice di
procedura penale)
1. All'articolo 407, comma 2, lettera a), numero 7-bis), del codice di procedura penale, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché dei delitti previsti dall'articolo 12, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni».
L'articolo 49, inserito nel corso dell'esame in Senato[78], inserisce il riferimento alle fattispecie di reato in tema di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in presenza di determinate modalità, previste dal comma 3 dell’articolo 12 del testo unico dell’immigrazione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998 (come riformulato dall’articolo 48 del provvedimento in esame, su cui cfr. supra) all’interno dell’art. 407, comma 2, lett. a), n. 7-bis) del codice di rito, relativo ai termini di durata massima delle indagini preliminari.
Si ricorda che, sebbene il termine ordinario di durata massima delle indagini sia fissato in diciotto mesi, il secondo comma dell'art. 407 c.p.p. prevede una serie di casi in cui tale limite sale a due anni. Ciò si verifica nel caso in cui:
- si procede per i delitti di particolare allarme sociale indicati dalla lettera a);
- si tratta di indagini particolarmente complesse;
- si tratta di indagini che richiedono il compimento di atti all'estero;
- il procedimento rientra tra quelli per cui è indispensabile mantenere il collegamento tra più uffici del pubblico ministero a norma dell'art. 371 c.p.p..
In conseguenza di tale novella, le indagini preliminari per i delitti di cui al comma 3 dell’articolo 12 del testo unico dell’immigrazione, possono durare fino a due anni. Inoltre, in virtù del rinvio contenuto nell’articolo 303 c.p.p., in tema di durata massima della custodia cautelare, all’art. 407, co. 2, lett. a), dal combinato disposto delle due disposizioni deriva anche un prolungamento della durata massima della custodia cautelare.
In base all'art. 303, co. 1, lett. a), n. 2 e 3, la durata massima della custodia nella fase delle indagini preliminari è aumentata da sei mesi ad un anno per i delitti consumati di cui all'art. 407, comma 2, lett. a).
Articolo 50
(Modifiche all'articolo 2 della legge 24
dicembre 1954, n. 1228)
1. Il terzo comma dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, è sostituito dal seguente:
«Ai fini dell'obbligo di cui al primo comma, la persona che non ha fissa dimora si considera residente nel comune dove ha stabilito il proprio domicilio. La persona stessa, al momento della richiesta di iscrizione, è tenuta a fornire all'ufficio di anagrafe gli elementi necessari allo svolgimento degli accertamenti atti a stabilire l'effettiva sussistenza del domicilio.
In mancanza del domicilio, si considera residente nel comune di nascita».
2. Dopo il terzo comma dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, è inserito il seguente:
«È comunque istituito, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, presso il Ministero dell'interno un apposito registro nazionale delle persone che non hanno fissa dimora. Con decreto del Ministro dell'interno, da adottare nel termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono stabilite le modalità di funzionamento del registro attraverso l'utilizzo del sistema INA-SAIA».
L’articolo 50, comma 1, introduce l’obbligo per le persone senza fissa dimora, che chiedono l’iscrizione nel comune ove hanno stabilito il proprio domicilio, di fornire all’ufficio di anagrafe gli elementi necessari ai fini dell’accertamento dell’effettiva sussistenza del domicilio.
In particolare, la disposizione in esame modifica l’articolo 2 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, recante Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente, che prevede l’obbligo di chiedere per sé e per le persone sulle quali si esercita la patria potestà o la tutela, la iscrizione nell'anagrafe del comune di dimora abituale e di dichiarare alla stessa i fatti determinanti mutazione di posizioni anagrafiche.
La modifica interviene sul terzo comma che dispone, ai fini del predetto obbligo di iscrizione, che la persona che non ha fissa dimora si considera residente nel comune ove ha il domicilio, e in mancanza di questo, nel comune di nascita.
Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 43, primo comma, del codice civile, il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi.
La disposizione in esame non muta nella sostanza la predetta disciplina, ma specifica che la persona senza fissa dimora, al momento della richiesta di iscrizione, deve fornire all’ufficio di anagrafe gli elementi necessari per lo svolgimento degli accertamenti sulla effettiva sussistenza del domicilio.
Ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 1228/54, l'ufficiale d'anagrafe ordina gli accertamenti necessari ad appurare la verità dei fatti denunciati dagli interessati, relativi alle loro posizioni anagrafiche, e dispone indagini per accertare le contravvenzioni alle disposizioni della legge e del regolamento di esecuzione.
Alle persone senza fissa dimora che non provvedono a curare la propria iscrizione all’anagrafe si applica la sanzione amministrativa da lire 100.000 a lire 500.000 (art. 11, secondo comma, l. n. 1228/54).
Si segnala altresì che l’articolo 2, quarto comma, della legge n. 1228/54 prevede che per i nati all'estero si considera comune di residenza quello di nascita del padre o, in mancanza, quello della madre. Per tutti gli altri, soggetti all'obbligo della residenza, ai quali non possano applicarsi i criteri sopra indicati, è istituito apposito registro presso il Ministero dell'interno.
Ai sensi dell’articolo 7, comma 4, articolo del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 (Nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente, il registro è tenuto dal Ministero dell'interno presso la prefettura di Roma. Il funzionario incaricato della tenuta di tale registro ha i poteri e i doveri dell'ufficiale di anagrafe.
L’articolo 50, comma 2, istituisce presso il Ministero dell’interno il registro nazionale delle persone senza fissa dimora.
In particolare, la disposizione aggiunge un comma al citato articolo 2 della legge n. 1228/54, che dispone, senza oneri a carico del bilancio dello Stato, l’istituzione di un registro nazionale delle persone che non hanno fissa dimora, le cui modalità di funzionamento sono rimesse ad un decreto del Ministro dell’interno, da adottare entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del disegno di in esame.
Il registro deve inserirsi nell’ambito del sistema INA-SAIA.
Il Sistema di accesso e di interscambio anagrafico (SAIA) prevede l’integrazione ed il collegamento delle anagrafi di tutti i comuni italiani, utilizzando i servizi della rete unitaria della pubblica amministrazione, e la realizzazione di un centro nazionale di coordinamento, con l’obiettivo di agevolare l’interazione delle anagrafi con le principali banche dati della pubblica amministrazione in tema di popolazione (gestite dai Ministeri delle finanze, della sanità, dall’INPS, INAIL, etc.). Non si tratta di un'anagrafe centralizzata, in quanto ciascun comune resta proprietario e gestore dei propri dati, ma di un'unica anagrafe virtuale realizzata attraverso il collegamento telematico delle singole anagrafi comunali.
Il fulcro del SAIA è costituito dall'Indice nazionale delle anagrafi (INA) - istituito dall’articolo 2-quater del D.L. 27 gennaio 2000, n. 392, Disposizioni urgenti in materia di enti locali (conv. con L. 28 febbraio 2001, n. 26) - alimentato e costantemente aggiornato, tramite collegamento informatico, da tutti i comuni. L'INA promuove la circolarità delle informazioni anagrafiche essenziali al fine di consentire alle amministrazioni pubbliche centrali e locali collegate la disponibilità, in tempo reale, dei dati relativi alle generalità delle persone residenti in Italia, certificati dai comuni e, limitatamente al codice fiscale, dall'Agenzia delle entrate
Con riferimento al coordinamento formale del testo, si osserva che legge sull’ordinamento delle anagrafi è modificata anche dall’articolo 42 del disegno di legge in esame.
Articolo 51
(Modifica all'articolo 11 del regolamento
di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223)
1. All'articolo 11, comma 1, lettera c), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, le parole: « trascorso un anno dalla scadenza del permesso di soggiorno» sono sostituite dalle seguenti: «trascorsi sei mesi dalla scadenza del permesso di soggiorno».
L’articolo in esame modifica il Regolamento anagrafico della popolazione residente (D.P.R. 223/1989[79]) ed in particolare il disposto dell’art. 11, co. 1, lett. c) in materia di cancellazione anagrafica dello straniero, prevedendo che per i cittadini stranieri la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente avvenga per irreperibilità accertata, ovvero per effetto del mancato rinnovo della dichiarazione di dimora abituale nel comune, trascorsi sei mesi – e non più un anno – dalla scadenza del permesso di soggiorno o della carta di soggiorno.
Articolo 52
(Concorso delle associazioni volontarie
al presidio del territorio)
1. Gli enti locali, previo parere del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, sono legittimati ad avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare agli organi di polizia locale, ovvero alle Forze di polizia dello Stato, eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale. Dalla presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L’articolo 52 prevede che gli enti locali, previo parere del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica[80], possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare agli organi di polizia eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale.
Si segnala che in materia è intervenuto l’articolo 6, commi 3-6, del decreto-legge n. 11/2009[81], attualmente all’esame della Commissione giustizia della Camera. Tale disposizione riconosce la facoltà di avvalersi del concorso di associazioni volontarie di cittadini non armati nel presidio del territorio, per le medesima finalità indicate dall’articolo 52 in esame, al sindaco, previa intesa con il prefetto (comma 3). Le associazioni sono iscritte in apposito elenco tenuto a cura del prefetto (comma 4). I sindaci si avvalgono, in via prioritaria, delle associazioni costituite tra gli appartenenti, in congedo, alle forze dell'ordine, alle forze armate e agli altri corpi dello Stato. Le associazioni diverse sono iscritte negli elenchi solo se non siano destinatarie, a nessun titolo, di risorse economiche a carico della finanza pubblica (comma 5). Gli ambiti operativi delle predette disposizioni, i requisiti per l’iscrizione e le modalità di tenuta dell’elenco, sono rimessi ad un decreto del Ministro dell’interno (comma 6).
Si segnala in proposito l’esistenza di esperienze locali diversamente articolate, alcune delle quali citate anche dal Ministro dell’interno nel corso di una recente interrogazione alla Camera dei deputati[82].
Fra queste, gli assistenti civici presenti in molti comuni, anche di piccole dimensioni dell’Italia del nord, utilizzati fin dal 2001 a Bologna, dove il loro impiego è stato poi normato dalla legge regionale 23/2003[83]. Le associazioni di volontari che hanno aderito al progetto coordinato dal comune, hanno sottoscritto una convenzione che contempla un codice deontologico, in grado di garantire la trasparenza sull'operato degli associati, sulla loro efficienza, comportamento, tempi e modi di intervento. Nel 2006 è stato modificato il rapporto tra le associazioni di volontariato e l’amministrazione comunale, passando da un sistema di semplici convenzioni all’erogazione dei contributi previsti per le libere forme associative iscritte all’elenco ufficiale del comune di Bologna. Oggi gli assistenti civici sono utilizzati in diverse realtà locali (fra le altre Brescia, Forlì e Viterbo), sono formati dai comuni tramite corsi organizzati dalle polizie municipali e sono resi riconoscibili da pettorine su cui è visibile lo stemma del Comune. Dotati di cellulare per le comunicazioni di servizio e di tesserino di riconoscimento con fotografia e codice identificativo, la loro presenza si concretizza in un azione di sollecitazione verso il rispetto delle norme che regolano la serena fruizione degli spazi pubblici e nella segnalazione di presunti illeciti al Corpo di Polizia Municipale.
Recentemente sono state costituite associazioni di cittadini finalizzate al controllo del territorio, fra le quali si ricorda l’associazione Veneto sicuro attiva nell’area intorno a Venezia.
Esistono poi associazioni di volontariato, che come i City Angels[84] si definiscono “volontari di strada d'emergenza che aiutano i cittadini e lottano contro la criminalità”, con finalità di prevenzione ma anche di sostegno delle fasce socialmente più deboli. L’associazione fondata nel 1994 è presente in undici città italiane, i volontari sono formati a cura dell’associazione e prima di accedere al corso devono superare un esame psico-attitudinale.
Relativamente alle attività di segnalazione svolte da coloro che costituiranno le associazioni di cittadini non armati per il presidio del territorio, si ricorda che l’articolo 383 del codice di procedura penale nelle ipotesi di flagranza di reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio da parte degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria[85], e limitatamente ai casi in cui il delitto sia perseguibile d’ufficio, stabilisce che “ogni persona è autorizzata a procedere all’arresto in flagranza”, con l’obbligo consequenziale di “senza ritardo consegnare l’arrestato e gli oggetti costituenti il corpo del reato alla polizia giudiziaria”[86].
Articolo 53
(Rimpatrio assistito di minore cittadino
dell’Unione europea)
1. Nei limiti delle risorse annualmente assegnate al Fondo nazionale per le politiche migratorie, le disposizioni relative al rimpatrio assistito di cui all’articolo 33, comma 2-bis, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applicano ai minori cittadini dell’Unione europea non accompagnati presenti nel territorio dello Stato che esercitano la prostituzione, quando sia necessario nell’interesse del minore stesso, secondo quanto previsto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176.
L’articolo 53 dispone che le disposizioni relative al rimpatrio assistito possono essere estese anche ai minori cittadini dell’Unione europea non accompagnati che esercitano la prostituzione. Tale procedura deve essere applicata nell’interesse del minore e in ogni caso secondo quanto previsto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo[87].
Nell’ambito del diritto dell’immigrazione l’espressione rimpatrio volontario o assistito si riferisce generalmente a tipologie non coercitive di allontanamento dello straniero che presuppongono una qualche forma di adesione dell’interessato alla procedura di ritorno nel Paese di origine.
La legge italiana prevede misure specifiche di rimpatrio assistito solamente per alcune categorie particolari di stranieri più “vulnerabili”: minori non accompagnati, rifugiati, richiedenti asilo, vittime della tratta. Sono esclusi da tali misure gli immigrati irregolarmente soggiornanti per i quali si applicano le sanzioni previste dal testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998)[88].
Anche se la legge utilizza in alcune occasioni la definizione di “rimpatrio” in senso generico, ad esso corrispondono due determinati istituti, ossia il rimpatrio assistito dei minori stranieri, finalizzato al ricongiungimento del minore con la famiglia nel suo Paese di origine e il rimpatrio per rifugiati e vittime della tratta.
Finora, gli istituti sopra brevemente descritti riguardano esclusivamente gli stranieri non comunitari. Ai cittadini degli Paesi dell’Unione europea, in virtù del principio della libera circolazione delle persone nello spazio dell’Unione, si applicano regole diverse che ne definiscono uno status giuridico più simile a quello dei cittadini italiani.
Per gli stranieri comunitari esiste, tuttavia, la possibilità di imporre, per gravi motivi, l’interruzione della loro presenza nel nostro Paese. L’art. 20 del D.Lgs. 30/2007[89] stabilisce infatti che gli stranieri comunitari possono essere soggetti all’allontanamento solo per motivi di sicurezza dello Stato, per motivi imperativi di pubblica sicurezza e per altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. I provvedimenti di allontanamento devono essere adottati nel rispetto del principio di proporzionalità e non possono essere motivati né da ragioni di ordine economico, né da ragioni estranee ai comportamenti individuali dell’interessato. Nemmeno la mera presenza di condanne penali può portare automaticamente all’adozione di tali provvedimenti. In ogni caso, nell’adottare un provvedimento di allontanamento, devono essere valutati una serie di fattori, quali la durata del soggiorno in Italia, l’età, la situazione familiare e economica, lo stato di salute, l’integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale e l’importanza dei legami con il Paese di origine[90].
All’interno della normativa vigente, ai sensi dell’art. 19, comma 2, lettera a) del citato testo unico sull’immigrazione, non è consentita l’espulsione, salvo che per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, nei confronti dei cittadini stranieri non comunitari, minori di anni 18, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi. Il successivo art. 33 del medesimo testo unico, prevede tuttavia la possibilità di adottare, nei confronti del minore straniero non accompagnato, un provvedimento di rimpatrio. Tale provvedimento è adottato dal Comitato per i minori stranieri, composto da rappresentanti dei Ministeri degli affari esteri, dell’interno e della giustizia, del Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché da due rappresentanti dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), da un rappresentante dell’Unione province d’Italia (UPI) e da due rappresentanti di organizzazioni maggiormente rappresentative operanti nel settore dei problemi della famiglia.
I compiti del Comitato sono regolati dal D.P.C.M. 9 dicembre 1999, n. 535, che dispone che l’organismo:
§ accerti lo status del minore non accompagnato;
§ svolga compiti di impulso e di ricerca al fine di promuovere l’individuazione dei familiari dei minori presenti non accompagnati, anche nei loro Paesi di origine o in Paesi terzi;
§ possa adottare, in base alle informazioni ottenute e ai fini di protezione e di garanzia del diritto all’unità familiare, il provvedimento di rimpatrio assistito dei minori presenti non accompagnati.
Il D.P.C.M. stabilisce altresì (art. 1, comma 2) che per “minore straniero non accompagnato presente nel territorio dello Stato” s’intende il minorenne non avente cittadinanza italiana o di altri Stati dell’Unione europea il quale, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano. Ugualmente (art. 1, comma 4), per “rimpatrio assistito” si intende l’insieme delle misure adottate allo scopo di garantire al minore interessato l’assistenza necessaria fino al ricongiungimento coi propri familiari o al riaffidamento alle autorità responsabili del Paese d’origine, in conformità alle convenzioni internazionali, alla legge, alle disposizioni dell’autorità giudiziaria ed al D.P.C.M. Il rimpatrio assistito deve essere finalizzato a garantire il diritto all’unità familiare del minore e ad adottare le conseguenti misure di protezione.
Infine, l’art. 7 del D.P.C.M. afferma che il rimpatrio deve svolgersi in condizioni tali da assicurare costantemente il rispetto dei diritti garantiti al minore dalle convenzioni internazionali, dalla legge e dai provvedimenti dell’autorità giudiziaria, e tali da assicurare il rispetto e l’integrità delle condizioni psicologiche del minore, fino al riaffidamento alla famiglia o alle autorità responsabili.
I minori stranieri non accompagnati presenti in Italia e segnalati al Comitato Minori Stranieri dal mese di gennaio a quello di dicembre 2008 sono in totale 7.797: in tale dato non sono compresi i minori richiedenti asilo, quelli vittime di tratta e i minori cittadini comunitari, oltre naturalmente a quelli mai entrati in contatto con il sistema istituzionale di accoglienza. Fino al 2006, il numero di minori stranieri non accompagnati di nazionalità rumena costituiva la maggioranza del totale di quelli segnalati ed aveva registrato un considerevole e progressivo aumento nell’arco temporale 2001-2006 (dal 6% del totale nel 2000 al 22% nel 2006). Pertanto, a seguito dell’ingresso nell’Unione Europea di nuovi Paesi e, da ultimo di Bulgaria e Romania, è nata l’esigenza di tutelare i minori comunitari non accompagnati, e a tal fine nell’ottobre del 2008 è stato costituito l’Organismo centrale di raccordo (OCR) per la protezione dei minori comunitari[91], presso il Ministero dell’interno - Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, un punto di coordinamento con funzioni di raccordo fra tutti gli enti interessati alla gestione della presenza dei minori comunitari non accompagnati sul territorio nazionale e responsabile, per parte italiana, dell’attuazione dell’Accordo bilaterale in materia fra Romania e Italia[92]. Il 20 gennaio 2009 è stata infine emanata la direttiva che definisce nel dettaglio l’attuazione dell’Accordo ovvero le procedure operative necessarie per la gestione dei programmi di identificazione e rientro in patria studiati per ciascun minore[93], ed avvia lo sviluppo dell’applicazione informatica a supporto del processo stesso. Scopo della direttiva è, dunque, garantire la tutela dei minori ed agevolare il loro rapido rientro in patria. Al documento sono allegati due modelli di scheda informativa, uno dei quali specificamente riferito al minore romeno non accompagnato o in difficoltà sottoposto a procedimento penale. Le procedure in cui si articola tutto il processo di gestione sono state attivate in modalità transitoria, fino al definitivo rilascio dell’applicativo informatico, previsto per l’aprile 2009.
Si ricorda che il d.d.l. del Governo Misure contro la prostituzione(A.S. 1079), attualmente all’esame della I e II Commissione del Senato, stabilisce una procedura accelerata, da definirsi con un successivo regolamento, per il rimpatrio assistito dei minori stranieri non accompagnati che esercitano la prostituzione nel nostro Paese, al fine di consentire il ricongiungimento del minore con la famiglia di origine.
La norma in esame dispone altresì che le procedure di rimpatrio siano disposte nei limiti delle risorse assegnate annualmente al Fondo nazionale per le politiche migratorie di cui all’art. 45 del Testo unico sull’immigrazione.
Il Fondo nazionale per le politiche migratorie previsto da Testo unico è destinato a finanziare una pluralità di iniziative e interventi; tra di essi si segnalano quelli relativi alle misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali, all’istruzione degli stranieri e all’educazione interculturale, ai centri di accoglienza, e alle misure di integrazione sociale. I programmi, adottati secondo i criteri e le modalità indicati dal DPR 394/1999[94] recante il regolamento di attuazione del Testo unico, indicano le iniziative pubbliche e private prioritarie per il finanziamento da parte del Fondo, compresa l’erogazione di contributi agli enti locali per l’attuazione del programma.
Il ruolo centrale delle regioni e degli enti locali nelle politiche di integrazione è evidente anche nell’attribuzione ad esse di ben l’80% del fondo, contro il 20% attribuito allo Stato (art. 58, DPR 394/1999).
Nel 2002 il Fondo è confluito nel Fondo nazionale per le politiche sociali, ripartito annualmente tra lo Stato e le Regioni. A partire dal 2003, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, questa ripartizione avviene senza vincolo di destinazione.
Articolo 54
(Modifiche al decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285)
1. All'articolo 128 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:
«1-bis. È sempre disposta la revisione della patente di cui al comma 1 quando il conducente sia stato coinvolto in un incidente stradale e a suo carico sia stata contestata la violazione di una delle disposizioni del presente codice da cui consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida.
1-ter. È sempre disposta la revisione della patente di cui al comma 1 quando il conducente minore degli anni diciotto sia autore materiale di una violazione delle norme del presente codice da cui è previsto che consegua l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida ovvero la decurtazione di almeno 5 punti dalla patente di guida»;
b) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Nei confronti del titolare di patente di guida che non si sottoponga, nei termini prescritti, agli accertamenti di cui ai commi 1, 1-bis ed 1-ter è sempre disposta la sospensione della patente di guida fino al superamento con esito favorevole degli accertamenti stessi. La sospensione decorre dal giorno successivo allo scadere del termine indicato nell'invito a sottoporsi a revisione senza necessità di emissione di un ulteriore provvedimento da parte degli uffici provinciali o del prefetto. Chiunque circola durante il periodo di sospensione della patente di guida a tempo indeterminato è soggetto alle sanzioni amministrative di cui all'articolo 218. Le stesse disposizioni si applicano anche a chiunque sia stato dichiarato, a seguito di un accertamento sanitario effettuato ai sensi dei commi 1, 1-bis o 1-ter, temporaneamente inidoneo alla guida»;
c) il comma 3 è abrogato.
2. All'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, dopo il secondo periodo è inserito il seguente: «Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente è raddoppiata».
3. All'articolo 187, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, l'ultimo periodo è sostituito dal seguente: «Si applicano le disposizioni dell'articolo 186, comma 2, lettera c), terzo, sesto e settimo periodo, nonché quelle di cui al comma 2-quinquies del medesimo articolo 186».
4. Dopo il comma 4 dell'articolo 193 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, è aggiunto il seguente:
«4-bis. Salvo che debba essere disposta confisca ai sensi dell'articolo 240 del codice penale, è sempre disposta la confisca amministrativa del veicolo intestato al conducente sprovvisto di copertura assicurativa quando sia fatto circolare con documenti assicurativi falsi o contraffatti. Si applicano le disposizioni dell'articolo 213 del presente codice».
5. All'articolo 208 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 2, dopo la lettera c) sono aggiunte le seguenti:
«c-bis) al Ministero dell'interno, missione "ordine pubblico e sicurezza", nella misura del 7,5 per cento del totale annuo, per l'acquisto di automezzi, mezzi ed attrezzature delle Forze di polizia di cui all'articolo 12, comma 1, lettere a), b) e c), destinati al potenziamento dei servizi di controllo finalizzati alla sicurezza della circolazione stradale; c-ter) al Ministero dell'interno, nella misura del 2,5 per cento del totale annuo, per le spese relative agli accertamenti di cui agli articoli 186 e 187, sostenute da soggetti pubblici su richiesta degli organi di polizia»;
b) al comma 4, gli ultimi due periodi sono sostituiti dal seguente: «Le determinazioni della giunta e la relazione annuale sull'impiego dei proventi predisposta dalla stessa giunta sono comunicate al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e al Ministro dell'interno»;
c) al comma 4-bis, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, ovvero al finanziamento di progetti di potenziamento dei servizi di controllo finalizzati alla sicurezza urbana e alla sicurezza stradale, nonché a progetti di potenziamento dei servizi notturni e di prevenzione delle violazioni di cui agli articoli 186 e 187 ed all'acquisto di automezzi, mezzi ed attrezzature dei Corpi e dei servizi di polizia provinciale e di polizia municipale di cui all'articolo 12, comma 1, lettere d-bis) ed e), destinati al potenziamento dei servizi di controllo finalizzati alla sicurezza della circolazione stradale e alla sicurezza urbana».
6. Dopo l'articolo 208 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, è inserito il seguente:
«Art. 208-bis. - (Destinazione dei veicoli sequestrati o confiscati). - 1. I veicoli sequestrati ai sensi dell'articolo 186, commi 2, lettera c), 2-bis e 7, e dell'articolo 187, commi 1 e 1-bis, sono affidati dall'autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi di polizia, anche per le esigenze delle sezioni di polizia giudiziaria, che ne facciano richiesta per l'impiego in attività di polizia, prioritariamente per la prevenzione al fine di garantire la sicurezza della circolazione stradale, ovvero possono essere affidati ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici non economici, per finalità di giustizia, di protezione civile o di tutela ambientale.
2. I veicoli di cui al comma 1, acquisiti dallo Stato a seguito di provvedimento definitivo di confisca, sono assegnati, a richiesta, agli organi o enti che ne hanno avuto l'uso. Qualora tali enti od organi non presentino richiesta di assegnazione, i beni sono posti in vendita. Se la procedura di vendita è antieconomica, con provvedimento del dirigente del competente ufficio del territorio del Ministero dell'economia e delle finanze è disposta la cessione gratuita o la distruzione del bene.
3. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 301-bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all'articolo 2-undecies della legge 31 maggio 1965, n. 575, concernenti la gestione, la vendita o la distruzione dei beni mobili registrati».
7. All'articolo 219, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Quando la revoca della patente accede alla violazione degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187, non è possibile conseguire una nuova patente di guida prima di cinque anni, decorrenti dall'epoca di accertamento del reato».
8. Nel titolo VI, capo I, sezione II, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, dopo l'articolo 219 è inserito il seguente:
«Art. 219-bis. - (Ritiro, sospensione o revoca del certificato di idoneità alla guida). - 1. Nell'ipotesi in cui, ai sensi del presente codice, è disposta la sanzione amministrativa accessoria del ritiro, della sospensione o della revoca della patente di guida e la violazione da cui discende è commessa da un conducente munito di certificato di idoneità alla guida di cui all'articolo 116, commi 1-bis e 1-ter, le sanzioni amministrative accessorie si applicano al certificato di idoneità alla guida secondo le procedure degli articoli 216, 218 e 219. In caso di circolazione durante il periodo di applicazione delle sanzioni accessorie si applicano le sanzioni amministrative di cui agli stessi articoli. Si applicano, altresì, le disposizioni dell'articolo 126-bis.
2. Se il conducente è persona munita di patente di guida, nell'ipotesi in cui, ai sensi del presente codice, sono stabilite le sanzioni amministrative accessorie del ritiro, della sospensione o della revoca della patente di guida, le stesse sanzioni amministrative accessorie si applicano anche quando le violazioni sono commesse alla guida di un veicolo per il quale non è richiesta la patente di guida. In tali casi si applicano, altresì, le disposizioni dell'articolo 126-bis.
3. Quando il conducente è minorenne si applicano le disposizioni dell'articolo 128, commi 1-ter e 2».
9. Nel titolo VI, capo II, sezione II, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, dopo l'articolo 224-bis è inserito il seguente:
«Art. 224-ter. - (Procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative accessorie della confisca amministrativa e del fermo amministrativo in conseguenza di ipotesi di reato). - 1. Nelle ipotesi di reato per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, l'agente od organo accertatore della violazione procede al sequestro secondo le disposizioni dell'articolo 213, in quanto compatibili. Copia del verbale di sequestro è trasmessa, unitamente al rapporto, entro dieci giorni, tramite il proprio comando o ufficio, alla prefettura-ufficio territoriale del Governo del luogo della commessa violazione.
2. Nei casi previsti dal comma 1, il cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza o il decreto divenuti irrevocabili ai sensi dell'articolo 648 del codice di procedura penale, nel termine di quindici giorni, ne trasmette copia autentica al prefetto affinché disponga la confisca amministrativa secondo le disposizioni dell'articolo 213 del presente codice, in quanto compatibili.
3. Nelle ipotesi di reato per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo, l'agente od organo accertatore della violazione dispone il fermo amministrativo provvisorio del veicolo per trenta giorni, secondo la procedura di cui all'articolo 214, in quanto compatibile.
4. Quando la sentenza penale o il decreto di accertamento del reato e di condanna sono irrevocabili, anche se è stata applicata la sospensione della pena, il cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza o il decreto, nel termine di quindici giorni, ne trasmette copia autentica all'organo di polizia competente affinché disponga il fermo amministrativo del veicolo secondo le disposizioni dell'articolo 214, in quanto compatibili.
5. La declaratoria di estinzione del reato per morte dell'imputato importa l'estinzione della sanzione amministrativa accessoria. Nel caso di estinzione del reato per altra causa, il prefetto, ovvero, in caso di fermo, l'ufficio o il comando da cui dipende l'agente accertatore della violazione, accerta la sussistenza o meno delle condizioni di legge per l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria e procede ai sensi degli articoli 213 e 214, in quanto compatibili. L'estinzione della pena successiva alla sentenza irrevocabile di condanna non ha effetto sull'applicazione della sanzione amministrativa accessoria.
6. Nel caso di sentenza irrevocabile di proscioglimento, il prefetto, ovvero, nei casi di cui al comma 3, l'ufficio o il comando da cui dipende l'agente accertatore della violazione, ricevuta la comunicazione della cancelleria, ordina la restituzione del veicolo all'intestatario. Fino a tale ordine, sono fatti salvi gli effetti del fermo amministrativo provvisorio disposto ai sensi del medesimo comma 3».
L’articolo 54 reca modifiche all’articolo 128 del codice della strada, in materia di revisione della patente di guida. Tale articolo prevede, al comma 1, che, qualora sorgano dubbi sulla persistenza dei requisiti fisici e psichici prescritti o dell'idoneità tecnica, il Dipartimento dei trasporti terrestri – o il prefetto nel caso di cui all’articolo 187 – dispone la visita medica presso la commissione medica locale, al fine di accertare la presenza dei suddetti requisiti. Per chi non si sottoponga agli accertamenti, il comma 2 dispone la sanzione del pagamento di una somma da euro 78 a euro 311, nonchè la sanzione accessoria del ritiro della patente.
L’articolo 54, comma 1, lettera a), introduce due nuovi commi, 1-bis e 1-ter:
- il comma 1-bisprevede che la revisione della patente è sempre disposta per il conducente coinvolto in un incidente stradale, cui sia stata contestata una violazione alla quale il codice ricollega la sanzione accessoria della sospensione della patente;
- il comma 1-terprevede che la revisione della patente è sempre disposta per il conducente minore di 18 anni che sia autore materiale di una violazione da cui consegue la sospensione della patente ovvero la decurtazione di 5 punti dalla patente.
La lettera b) sostituisce il comma 2 dell’articolo 128, recante le sanzioni. Il nuovo testo del comma 2 prevede che, per chi non si sottoponga agli accertamenti previsti dai commi 1, 1 bis, e 1 ter, venga sempre disposta la sospensione della patente fino al superamento degli accertamenti stessi. Per chi circola durante il periodo di sospensione, si applicano le sanzioni di cui all’articolo 218 del codice.
Tale articolo prevede, al comma 6, che chi circola durante il periodo di sospensione della patente è punito: con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.842 a euro 7.369, con le sanzioni accessorie della revoca della patente e del fermo amministrativo del veicolo per un periodo di tre mesi, e, in caso di reiterazione delle violazioni, con la confisca amministrativa del veicolo.
Le stesse sanzioni di applicano anche a chi sia stato dichiarato inidoneo alla guida, a seguito degli accertamenti di cui ai commi 1, 1-bis e 1-ter.
La lettera c) abroga il comma 3 dell’articolo 128. Tale comma dispone la sanzione amministrativa accessoria del ritiro della patente per la violazione delle disposizioni recate dai commi 1 e 2.
Il comma 2 dell’articolo 54 in esame interviene sull’articolo 186 del codice, riguardante la disciplina della guida sotto l’influenza dell’alcool. In particolare, viene modificato il comma 2, lettera c), che prevede le sanzioni per i conducenti il cui tasso alcolemico sia risultato superiore a a 1,5 grammi per litro. Oltre all’arresto - da tre mesi a un anno - e all’ammenda - da euro 1.500 a euro 6.000 – il comma prevede la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. Il comma 2 in esame inserisce un raddoppio della durata di tale sospensione della patente nel caso in cui il veicolo con il quale è stata commesso il reato appartenga a persona estranea al reato stesso.
Il comma 3 modifica l’articolo 187, comma 1, in materia di guida in stato di alterazione per uso di sostanze stupefacenti, al fine di estendere anche a tale fattispecie l’applicazione del raddoppio della durata della sospensione della patente, disposto dal comma precedente.
Il comma 4 interviene sull’articolo 193 del codice della strada per stabilire che se un veicolo circola con documenti assicurativi falsi o contraffatti intestati al conducente, ed è dunque sprovvisto di copertura assicurativa, deve essere sempre disposta la confisca amministrativa del mezzo, ai sensi dell’articolo 213 del codice della strada.
L’articolo 213 delinea il procedimento per il sequestro e l’applicazione della sanzione accessoria della confisca amministrativa. In primo luogo stabilisce che l'organo di polizia che accerta la violazione provvede al sequestro del veicolo o delle altre cose oggetto della violazione facendone menzione nel verbale di contestazione. Il conducente è quindi nominato custode del veicolo con l'obbligo di depositarlo in un luogo di cui abbia la disponibilità o di custodirlo, a proprie spese, in un luogo non sottoposto a pubblico passaggio, provvedendo al trasporto in condizioni di sicurezza per la circolazione stradale. Il documento di circolazione è trattenuto presso l'ufficio di appartenenza dell'organo di polizia che ha accertato la violazione. Entro i trenta giorni successivi alla data in cui è divenuto definitivo il provvedimento di confisca, il custode del veicolo trasferisce il mezzo, a proprie spese, presso il luogo individuato dal prefetto. Con la confisca viene trasferita allo Stato la proprietà del veicolo.
La disposizione si applica a meno che per lo stesso veicolo non si debba procedere a confisca penale ai sensi dell'art. 240 c.p.
La confisca disciplinata dall’art. 240 del codice penale è una misura di sicurezza – obbligatoria o facoltativa - disposta dal giudice e consistente nel ritiro di oggetti pertinenti al reato. È facoltativa la confisca riguardante:
§ le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato;
§ le cose che rappresentano il prodotto del reato;
§ le cose che rappresentano il profitto del reato.
È obbligatoria la confisca riguardante:
§ le cose che costituiscono il prezzo del reato, cioè ciò che l'agente ha ricevuto per commetterlo;
§ le cose delle quali la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione costituiscono reato, anche se non è stata pronunciata condanna.
La confisca non si applica qualora l'oggetto appartenga a persona estranea al reato, e la fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione possano essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa.
Il comma 5 dell’articolo 54, ripartito in tre lettere, novella l’art. 208 del codice della strada[95], introducendo nuove destinazioni per le somme derivanti dall’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni previste dal codice.
L'art. 208 del codice, al comma 1, stabilisce la ripartizione dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie, che sono assegnati allo Stato, quando le violazioni sono accertate da funzionari e agenti dello Stato e delle ferrovie, oppure alle regioni, province e comuni, nel caso in cui esse siano rilevate da funzionari e agenti dei rispettivi enti territoriali.
Il comma 2 dell’art. 208 specifica in quale percentuale i proventi spettanti allo Stato sono assegnati ai ministeri e per quali finalità. In particolare:
§ il 15 per cento delle risorse[96] è attribuito al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed è destinato, nella misura dell'80 per cento del totale annuo, alle iniziative sulla sicurezza stradale, a quelle di educazione stradale, all'assistenza e previdenza del personale della Polizia di Stato, dei Carabinieri e della Guardia di finanza, a iniziative sulla sicurezza della circolazione; il restante 20 per cento è finalizzato alle attività di studio e propaganda sulla sicurezza dei veicoli;
§ il 7,5 per cento del totale annuo è devoluto al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per l'insegnamento dell'educazione stradale e per l'organizzazione dei corsi per l’ottenimento del certificato di idoneità alla guida dei ciclomotori (c.d. patentino).
Le risorse in questione sono ripartite annualmente con decreto del Ministro delle infrastrutture, di concerto con i Ministri dell'economia e dell'istruzione (comma 3).
La lettera a)del comma in esame, attraverso una novella al comma 2 dell’art. 208, destina a ulteriori finalità partedei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie devoluti allo Stato, assegnandone al Ministero dell’’interno:
§ una quota del 7,5 per cento del totale annuo per l’acquisto di mezzi della Polizia stradale, della Polizia di Stato e dei Carabinieri impiegati nei servizi di polizia stradale, con l’obiettivo di potenziare i controlli sulla sicurezza della circolazione stradale;
§ una quota del 2,5 per cento per la copertura delle spese relative agli accertamenti, volti a verificare se il conducente di un veicolo si trovi alla guida in stato di ebbrezza (art. 186 del codice della strada) o in stato di alterazione per uso di stupefacenti (art. 187), eseguiti da soggetti pubblici su richiesta della polizia.
La lettera b)del comma 5 interviene sul comma 4 dell’art. 208, sostituendo con un unico periodo gli ultimi due periodi.
A seguito della novella, si prevede che le delibere delle giunte degli enti territoriali relative alla ripartizione dei proventi loro spettanti siano trasmesse, insieme ad una relazione sull’impiego delle risorse, anche al Ministero dell’interno, oltre che a quello delle infrastrutture e dei trasporti come attualmente previsto; sono inoltre assoggettati a tali obblighi anche i comuni con meno di 10.000 abitanti, al momento esclusi.
Il comma 4 dell’art. 208 precisa gli scopi cui le regioni, province e comuni devono destinare il 50 per cento dei proventi loro spettanti e, in particolare:
§ alle finalità indicate al comma 2 (vedi supra) per lo svolgimento nelle scuole di corsi di educazione stradale;
§ al miglioramento della circolazione e della segnaletica stradale;
§ alla redazione dei piani urbani del traffico e dei piani per la viabilità extraurbana;
§ all’acquisto di mezzi per i servizi di polizia stradale;
§ ad interventi per la mobilità ciclistica;
§ per almeno il 10 per cento della quota totale, ad interventi per la sicurezza stradale a tutela degli utenti “deboli” (bambini, anziani, disabili, pedoni e ciclisti).
La ripartizione delle quote da destinare a ciascuna finalità è decisa ogni anno dalle giunte degli enti interessati, le quali trasmettono al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti le relative delibere. Sono esentati dall’obbligo di comunicazione i comuni con meno di 10.000 abitanti.
Un’ulteriore finalizzazione è inoltre prevista dal comma 4-bis dell’art. 208 (vedi infra).
La lettera c)del comma 5, novellando il comma 4-bis dell’art. 208, introduce nuove destinazioni dei proventi delle sanzioni devoluti alle regioni, province e comuni che le rispettive giunte abbiano riservato al miglioramento della circolazione sulle strade: tali risorse possono essere utilizzate anche per potenziare i servizi di controllo della sicurezza urbana e stradale, i servizi notturni e di prevenzione delle violazioni per guida in stato di ebbrezza e di alterazione per uso di stupefacenti, per l’acquisto di mezzi dei corpi di polizia provinciale e municipale.
Attualmente, il comma 4-bisdà facoltà alle regioni, province e comuni di finalizzare ad assunzioni stagionali a progetto nelle forme di contratti a tempo determinato e a forme flessibili di lavoro la parte della quota dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie ad essi devoluta, che le rispettive giunte abbiano destinato al miglioramento della circolazione sulle strade.
Si segnala che sul medesimo articolo 208 del codice della strada incidono, con ulteriori novelle, anche le disposizioni del disegno di legge in esame di cui all’art. 57, comma 2, lettera d), (assegnazione degli incrementi delle sanzioni amministrative pecuniarie al Fondo contro l’incidentalità notturna) e all’art. 63 (destinazione di una quota parte dei proventi delle medesime sanzioni all'assistenza e previdenza del personale della Polizia penitenziaria e del Corpo forestale dello Stato).
Il comma 6 introduce nel codice della strada un nuovo art. 208-bis, relativo alla destinazione dei veicoli sequestrati o confiscati.
I veicoli sequestrati sono affidati dall'autorità giudiziaria in custodia giudiziale ai seguenti soggetti (comma 1):
- agli organi di polizia che ne facciano richiesta: tali organi potranno impiegare i veicoli, oltre che per esigenze di polizia giudiziaria, anche per attività di polizia volte, prioritariamente, a garantire la sicurezza della circolazione stradale;
- ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici non economici, per finalità di giustizia, di protezione civile o di tutela ambientale.
Se di tali veicoli viene disposta la confisca (comma 2), gli stessi saranno assegnati – previa richiesta - agli organi o agli enti che ne hanno avuto l'uso. In mancanza della richiesta, i veicoli saranno posti in vendita ovvero, se la vendita dovesse apparire antieconomica, saranno ceduti a titolo gratuito o distrutti (con provvedimento del dirigente del competente ufficio del territorio del Ministero delle finanze).
A tale procedimento dovranno essere applicate, in quanto compatibili (comma 3), le disposizioni previste per la destinazione di beni sequestrati o confiscati a seguito di operazioni anticontrabbando dal TU dogane (D.P.R. n. 43 del 1973[97], art. 301-bis), e le disposizioni sulla destinazione dei beni confiscati alla mafia (L. n. 575 del 1965[98], art. 2-undecies).
Si ricorda che sull’art. 2-undecies della l. n. 575 del 1965 interviene l’articolo 33 del disegno di legge, aggiungendo in particolare un nuovo comma 3-bis che prevede, in caso di esplicita richiesta e previo parere favorevole dell’amministratore giudiziario (se nominato), che l’autorità giudiziaria affidi in custodia giudiziale agli organi di polizia - che possono usarli anche per esigenze di polizia giudiziaria - i beni mobili registrati, le imbarcazioni, i natanti e gli aeromobili sequestrati alle organizzazioni criminali. Gli stessi beni possono essere affidati anche ad altri organi dello Stato o enti pubblici non economici che li usino per finalità di giustizia, protezione civile o tutela dell’ambiente.
Si richiama inoltre la disposizione contenuta nel comma 1 del medesimo art. 2-undecies, comma 1, lett. b), L. 575/1965, che prevede che le somme recuperate dalla vendita dei veicoli devono essere versate all’ufficio del registro.. Peraltro, la stessa disposizione, al comma 5, prevede che le somme ricavate debbano essere versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate «in egual misura al finanziamento degli interventi per l'edilizia scolastica e per l'informatizzazione del processo».
Il comma 7 integra il comma 3-bis dell’art. 219 del Codice della Strada, disponendo che, qualora la patente venga revocata per guida in stato di ebbrezza o alterazione in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche o sostanze stupefacenti, non sia possibile ottenere una patente nuova prima che siano trascorsi cinque anni dall’accertamento del fatto.
Ai sensi del citato art. 219, comma 3-bis (Revoca della patente), l'interessato non può conseguire una nuova patente dopo la revoca se non dopo che sia trascorso almeno un anno dal momento in cui è divenuta definitiva l'ordinanza di revoca e consegna immediata della patente alla prefettura.
Recentemente l’art. 4 del D.L. 92/2008 ha, dunque, modificato l’art. 186 C.d.S. prevedendo un aumento delle pene per i casi più gravi di guida in stato di ebbrezza alcolica e la trasformazione in reato dell’illecito amministrativo di rifiuto di sottoporsi ai controlli alcolemici. In particolare, l’art. 186, al co. 2, lett. c), come appunto modificato dal D.L. 92/2008, prevede che chiunque guidi in stato di ebbrezza è punito, ove il fatto non costituisca più grave reato, con l'ammenda da euro 1.500 a euro 6.000, l'arresto da tre mesi ad un anno, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l); all'accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. La patente di guida è sempre revocata, ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI, quando il reato è commesso dal conducente di un autobus o di un veicolo di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5t. o di complessi di veicoli, ovvero in caso di recidiva nel biennio. Ai fini del ritiro della patente si applicano le disposizioni dell'articolo 223. Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell'articolo 240, secondo comma, del codice penale, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato. Il veicolo sottoposto a sequestro può essere affidato in custodia al trasgressore, salvo che risulti che abbia commesso in precedenza altre violazioni della disposizione di cui alla presente lettera.
Anche l’art. 187 C.d.S., è stato oggetto di un intervento correttivo tendente ad inasprire le sanzioni per chi conduce un veicolo in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope.
Il comma 8 introduce, nel corpo del Codice della Strada, un nuovo articolo 219-bis al fine di disciplinare ritiro, sospensione o revoca del certificato di idoneità alla guida.
Preliminarmente si ricorda che, ai sensi dell’art. 116 del C.d.S., per guidare un ciclomotore, il minore di età che abbia compiuto 14 anni deve conseguire il certificato di idoneità alla guida, rilasciato dal competente ufficio del Dipartimento per i trasporti terrestri, a seguito di specifico corso con prova finale. A decorrere dal 1° ottobre 2005 l'obbligo di conseguire il certificato di idoneità alla guida di ciclomotori è esteso anche a coloro che compiano la maggiore età a partire dalla medesima data e che non siano titolari di patente di guida; invece i patentati che hanno avuto la patente sospesa per l'infrazione di cui all'articolo 142, comma 9, mantengono il diritto alla guida del ciclomotore; ad ogni modo, quelli che al 30 settembre 2005 abbiano compiuto la maggiore età conseguono il certificato di idoneità alla guida di ciclomotori, previa presentazione di domanda al competente ufficio del Dipartimento per i trasporti terrestri, corredata da certificazione medica che attesti il possesso dei requisiti fisici e psichici e dall'attestazione di frequenza ad un corso di formazione presso un'autoscuola.
Di conseguenza, non possono conseguire il certificato di idoneità alla guida di ciclomotori i conducenti già muniti di patente di guida mentre i titolari del certificato di idoneità sono tenuti a restituirlo ad uno dei competenti uffici del Dipartimento per i trasporti terrestri all'atto del conseguimento di una patente.
Il modello di certificato di idoneità alla guida dei ciclomotori è stato approvato con D.M. 21 agosto 2003 (Gazz. Uff. 17 settembre 2003, n. 216).
Al comma 1, il nuovo art. 219-bis, stabilisce che, qualora venga disposta la sanzione amministrativa accessoria del ritiro, sospensione o revoca della patente di guida per violazione commessa da un conducente munito di certificato di idoneità alla guida, le sanzioni amministrative accessorie si applichino sul certificato di idoneità alla guida secondo le procedure degli artt. 216, 218 e 219 e che, in caso di circolazione durante il periodo di applicazione delle sanzioni, si applichino le sanzioni amministrative di cui ai medesimi articoli. Trovano, altresì, applicazione le disposizioni di cui all'articolo 126-bis.
L’art. 216 del Codice disciplina la sanzione accessoria del ritiro dei documenti di circolazione, della targa, della patente di guida o della carta di qualificazione del conducente; l’art. 218 reca, invece, le norme in ordine alla sospensione della patente mentre l’art. 219, com’è noto, la revoca della patente.
Si ricorda, altresì, che l’art. 126-bis contiene le norme concernenti la patente a punti che, pertanto, trovano applicazione, secondo le intenzioni della novella, anche nel caso di violazioni commesse da conducente munito di certificato di idoneità alla guida.
Il comma 2 prevede che, nell'ipotesi in cui sono stabilite le sanzioni accessorie del ritiro, sospensione o revoca della patente di guida, se il conducente sia munito di patente le medesime sanzioni si applicano anche quando le violazioni sono commesse alla guida di un veicolo per il quale non sia richiesta la patente di guida. Anche in tali casi si applicano le norme sulla patente a punti ex art. 126-bis.
Ai sensi del comma 3, infine, si prevede l’applicazione dell'articolo 128, commi 1-ter (v. sopra)e 2 qualora il conducente sia minorenne.
L’art. 128 del Codice della Strada, recante norme in merito alla revisione della patente di guida, prevede che i competenti uffici del Dipartimento per i trasporti terrestri, nonché il prefetto nei casi previsti dall'art. 187, possono disporre che siano sottoposti a visita medica presso la commissione medica locale, o ad esame di idoneità, i titolari di patente di guida qualora sorgano dubbi sulla persistenza nei medesimi dei requisiti fisici e psichici prescritti o dell'idoneità tecnica. L'esito della visita medica o dell'esame di idoneità sono comunicati ai suddetti uffici per gli eventuali provvedimenti di sospensione o revoca della patente (comma 1).
Al comma 2 si dispone che chiunque circoli senza essersi sottoposto agli accertamenti o esami previsti dal comma 1 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 78 a euro 311. Alla stessa sanzione soggiace chiunque circoli nonostante sia stato dichiarato, a seguito dell'accertamento sanitario effettuato ai sensi del comma 1, temporaneamente inidoneo alla guida.
Il comma 9 introduce nel codice della strada un nuovo art. 224-ter, che delinea il procedimento di applicazione della sanzione accessorie della confisca amministrativa e del fermo del veicolo in presenza di un illecito penale.
Analiticamente,
§ per gli illeciti penali che prevedono come sanzione accessoria la confisca del veicolo, colui che accerta la violazione procede al sequestro dello stesso nelle forme disciplinate dall’art. 213 del codice della strada (v. sopra). Copia del verbale è trasmessa entro 10 giorni alla prefettura competente (individuata in relazione al luogo della commessa violazione);
§ per gli illeciti penali che prevedono come sanzione accessoria il fermo amministrativo, colui che accerta la violazione dispone anche il fermo provvisorio per 30 giorni, nelle forma disciplinate dall’art. 214 del codice della strada.
L’articolo 214 stabilisce che quando ad una violazione del codice consegue il fermo del veicolo, il proprietario dello stesso o il conducente (sempre che non sia evidente che la circolazione è avvenuta contro la volontà del proprietario), nominato custode, fa cessare la circolazione del mezzo e lo custodisce in un luogo non sottoposto a pubblico passaggio. Sul veicolo è posto un sigillo per tutta la durata del fermo e il documento di circolazione è trattenuto presso l'ufficio di appartenenza dell'organo di polizia che ha accertato la violazione. Chiunque circola con un veicolo sottoposto al fermo amministrativo, salva l'applicazione delle sanzioni penali per la violazione degli obblighi posti in capo al custode, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 714 a euro 2.859 ed è inoltre disposta la confisca del veicolo.
§ in caso di condanna divenuta irrevocabile, il cancelliere trasmette entro 15 giorni copia della sentenza o del decreto penale al prefetto, affinché proceda alla confisca amministrativa del veicolo già sequestrato; nello stesso termine il cancelliere trasmette una copia all’organo di polizia competente affinché disponga il fermo del veicolo;
§ la sanzione accessoria del fermo del veicolo si applica anche se il giudice penale ha sospeso la pena (lo stesso non vale per la confisca); la morte dell’imputato comporta il venir meno delle sanzioni accessorie. In tutti gli altri casi di estinzione del reato, dovrà essere il prefetto o l’organo di polizia a verificare i presupposti per l’applicazione della sanzione accessoria. L’estinzione della sola pena non influisce sull’esecuzione della sanzione accessoria;
§ in caso di proscioglimento dell’imputato il veicolo è restituito al proprietario.
Tra le proposte che la Commissione considera più rilevanti al fine di perseguire l’obiettivo di dimezzare, entro il 2010, il numero delle vittime degli incidenti stradali, definito nel programma di azione sulla sicurezza stradale per il periodo 2003-2010 (COM(2003)311). figura una proposta di direttiva del 19 marzo 2008intesa ad agevolare l’applicazione transfrontaliera della normativa in materia di sicurezza stradale (COM(2008)151), in particolare per quanto riguarda l’applicazione di sanzioni ai conducenti che commettono un’infrazione in uno Stato membro diverso da quello in cui risiedono. La proposta individua nel perseguimento delle infrazioni stradali e nella corretta applicazione delle sanzioni uno degli strumenti più importanti per ridurre il numero delle vittime della strada.
Le infrazioni che rientrano nel campo di applicazione della direttiva sono l'eccesso di velocità, la guida in stato di ebbrezza, il mancato uso della cintura di sicurezza e il transito con semaforo rosso. La Commissione, tuttavia, si riserva, in funzione degli sviluppi futuri, di valutare la possibilità di estendere il campo di applicazione della direttiva ad altre infrazioni al codice della strada considerate gravi sotto il profilo della sicurezza stradale quali la guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, l'uso del telefono cellulare durante la guida e la guida senza copertura assicurativa.
La proposta, che segue la procedura di codecisione, è in attesa di esame in prima lettura da parte del Parlamento europeo.
Articolo 55
(Modifiche agli articoli 75 e 75-bis del
testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,
n. 309)
1. All'articolo 75, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) nell'alinea, dopo le parole: «non superiore a un anno,» sono inserite le seguenti: «salvo quanto previsto dalla lettera a),»;
b) la lettera a) è sostituita dalla seguente:
«a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;».
2. All'articolo 75-bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, alinea, le parole: «, per la durata massima di due anni,» sono soppresse;
b) dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. La durata massima delle misure di cui al comma 1 è fissata in due anni per quelle indicate nelle lettere a), b), c), d) ed e) e in quattro anni per quella indicata nella lettera f)».
L’articolo 55, introdotto presso l’altro ramo del Parlamento, interviene sul testo unico stupefacenti (D.P.R. n. 309 del 1990[99]) per:
- prolungare fino a tre anni (in luogo dell’attuale anno) il termine di possibile sospensione della patente di guida o di ogni altro titolo di abilitazione alla guida in caso di illecita detenzione di stupefacenti (comma 1);
- prolungare fino a quattro anni (in luogo degli attuali due) la durata massima della misura di sicurezza del divieto di guidare veicoli a motore in caso di illecita detenzione di stupefacenti ritenuta pericolosa per la sicurezza pubblica (comma 2).
Il comma 1 novella l’art. 75, comma 1, del TU stupefacenti, che individua le sanzioni amministrative per l’illecita detenzione di stupefacenti.
In particolare, l’art. 75, comma 1, prevede che chiunque illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope è sottoposto, per un periodo non inferiore a un mese e non superiore a un anno, ad alcune sanzioni amministrative (dalla sospensione della patente o divieto di conseguire la patente, alla sospensione del porto d’armi, alla sospensione del passaporto o del permesso di soggiorno).
La disposizione in commento:
§ riscrive la lettera a) del comma 1 dell’art. 75 del TU per prevedere che:
- oltre alla sanzione amministrativa della sospensione della patente, debba essere disposta anche la sospensione del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori;
- la suddetta sospensione, nonché il divieto di conseguire tali titoli, ha una durata fino a 3 anni (in luogo dell’attuale un anno);
§ conseguentemente, novella l’alinea del comma 1 dell’art. 75 per coordinarlo con la nuova formulazione della lettera a).
Normativa vigente |
A.C. 2180 |
D.P.R. n.
309 del 1990 |
|
1. Chiunque illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope fuori dalle ipotesi di cui all'articolo 73, comma 1-bis, o medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezioni B e C, fuori delle condizioni di cui all'articolo 72, comma 2, è sottoposto, per un periodo non inferiore a un mese e non superiore a un anno, a una o più delle seguenti sanzioni amministrative: |
1. Chiunque illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope fuori dalle ipotesi di cui all'articolo 73, comma 1-bis, o medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezioni B e C, fuori delle condizioni di cui all'articolo 72, comma 2, è sottoposto, per un periodo non inferiore a un mese e non superiore a un anno, salvo quanto previsto dalla lettera a), a una o più delle seguenti sanzioni amministrative: |
a) sospensione della patente di guida o divieto di conseguirla; |
a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni; |
b) sospensione della licenza di porto d'armi o divieto di conseguirla; |
b) identica; |
c) sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli; |
c) identica; |
d) sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario. |
d) identica. |
Il comma 2 dell’articolo 55 interviene invece sull’art. 75-bis, comma 1, del TU che, in relazione all’illecita detenzione di stupefacenti (di cui all’art. 75, comma 1) prevede in circostanze particolari l’applicazione di misure di sicurezza.
L’art. 75-bis, comma 1, prevede che una misura di sicurezza possa essere applicata in presenza delle seguenti condizioni (comma 1):
- elemento soggettivo: soggetto già condannato, anche non definitivamente, per reati contro la persona, contro il patrimonio o previsti dal TU stupefacenti o dal codice della strada, oppure sanzionato per violazione delle norme del TU stupefacenti o destinatario di misura di prevenzione o di sicurezza;
- elemento oggettivo: modalità o circostanze della condotta di importazione, esportazione, acquisto o comunque detenzione di stupefacenti dalle quali deriva pericolo per la sicurezza pubblica.
La misura, che potrà avere una durata massima di 2 anni, può consistere:
a) nell’obbligo di presentarsi almeno due volte a settimana presso il locale ufficio della Polizia di Stato o presso il comando dei Carabinieri;
b) nell’obbligo di rientrare nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, entro una determinata ora e di non uscirne prima di altra ora prefissata;
c) nel divieto di frequentare determinati locali pubblici;
d) nel divieto di allontanarsi dal comune di residenza;
e) nell’obbligo di comparire in un ufficio o comando di polizia specificamente indicato, negli orari di entrata ed uscita dagli istituti scolastici;
f) nel divieto di condurre qualsiasi veicolo a motore.
L’articolo 55 apporta le seguenti modifiche alla disciplina vigente:
§ elimina dal comma 1 il riferimento al termine di durata massima della misura (attualmente fissato in due anni);
§ inserisce il comma 1-bis con il quale delinea la durata massima delle misure delineate dal comma precedente. In particolare, per il divieto di condurre qualsiasi veicolo a motore (lett. f) è prevista una durata massima di 4 anni mentre per tutte le altre misure è confermata da durata massima di 2 anni.
Articolo 56
(Ulteriori modifiche al decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285)
1. Al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l'articolo 120 è sostituito dal seguente:
«Art. 120. - (Requisiti morali per ottenere il rilascio dei titoli abilitativi di cui all'articolo 116). - 1. Non possono conseguire la patente di guida, il certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e il certificato di idoneità alla guida di ciclomotori i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ad eccezione di quella di cui all'articolo 2, e dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi, nonché i soggetti destinatari del divieto di cui all'articolo 75, comma 1, lettera a), del medesimo testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990.
2. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 75, comma 1, lettera a), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, se le condizioni soggettive indicate al comma 1 del presente articolo intervengono in data successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori. La revoca non può essere disposta se sono trascorsi più di tre anni dalla data di applicazione delle misure di prevenzione, o di quella del passaggio in giudicato della sentenza di condanna per i reati indicati dal medesimo comma 1.
3. La persona destinataria del provvedimento di revoca di cui al comma 2 non può conseguire una nuova patente di guida prima che siano trascorsi almeno tre anni.
4. Avverso i provvedimenti di diniego di cui al comma 1 e i provvedimenti di cui al comma 2 è ammesso il ricorso al Ministro dell'interno il quale decide, entro sessanta giorni, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
5. Con decreto del Ministro dell'interno e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sono stabilite le modalità necessarie per l'adeguamento del collegamento telematico tra il sistema informativo del Dipartimento per i trasporti terrestri e il trasporto intermodale e quello del Dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie, in modo da consentire la trasmissione delle informazioni necessarie ad impedire il rilascio dei titoli abilitativi di cui al comma l e l'acquisizione dei dati relativi alla revoca dei suddetti titoli intervenuta ai sensi del comma 2.
6. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque, in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 3, provvede al rilascio dei titoli abilitativi di cui all'articolo 116 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.000 a euro 3.000»;
b) al comma 2-bis dell'articolo 117, è aggiunto il seguente periodo: «Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 120 del presente codice, alle persone destinatarie del divieto di cui all'articolo 75, comma 1, lettera a), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, il divieto di cui al presente comma ha effetto per i primi tre anni dal rilascio della patente di guida».
2. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 5 dell'articolo 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, come sostituito dal comma 1, lettera a), del presente articolo, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, continuano ad applicarsi le modalità di interscambio informativo previste dal comma 2 dell'articolo 120 del medesimo decreto legislativo, nel testo vigente anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge.
L’articolo 56 apporta modifiche alla disciplina relativa ai requisiti morali per il rilascio e la revoca dei titoli abilitativi alla guida.
Il comma 1, lettera a), sostituisce integralmente l’articolo 120 del D.Lgs. 285/1992 (Codice della Strada), che contiene l’indicazione dei requisiti morali necessari per ottenere il rilascio della patente. Le innovazioni riguardano principalmente:
§ l’estensione dell’applicazione dell’articolo 120 ai titoli abilitativi alla guida diversi dalla patente;
§ la disciplina del divieto di conseguire i titoli abilitativi, oltre che della loro revoca;
§ l’introduzione del divieto di conseguire una nuova patente di guida prima che siano trascorsi tre anni dalla revoca;
§ la previsione di una sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione dell’articolo 120.
Si ricorda che l’attuale articolo 120 prevede che la patente venga revocata dal prefetto ai seguenti soggetti (comma 1):
§ delinquenti abituali, professionali o per tendenza;
§ persone che sono o sono state sottoposte a misure di sicurezza personali;
§ persone che sono o sono state sottoposte alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, recante “Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità”, come sostituita dalla legge 3 agosto 1988, n. 327, recante “Norme in materia di misure di prevenzione personali”;[100]
§ persone che sono o sono state sottoposte alle misure di prevenzione previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, recante “Disposizioni contro la mafia”;
§ persone condannate a pena detentiva, non inferiore a tre anni, quando l'utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura.[101]
Sono fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi.
Per rendere possibile la revoca è previsto che gli uffici del Dipartimento per i trasporti terrestri diano immediata comunicazione al prefetto del rilascio delle patenti di guida tramite il collegamento informatico integrato esistente tra i sistemi informativi del Dipartimento per i trasporti terrestri e della Direzione generale dell'amministrazione generale e per gli affari del personale del Ministero dell'interno (comma 2).
Il comma 3 ammette il ricorso al Ministero dell’interno contro i provvedimenti di revoca. Il Ministero dell'interno decide, entro sessanta giorni, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
Il nuovo articolo 120 estende il proprio ambito di applicazione, oltre che alle patenti di guida, anche al certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e al certificato di idoneità alla guida di ciclomotori, e a tal fine è novellata anche la rubrica dell’articolo.
Il comma 1 del nuovo articolo 120 impedisce il conseguimento dei sopra indicati titoli, ai seguenti soggetti:
§ delinquenti abituali, professionali o per tendenza;
§ persone che sono o sono state sottoposte a misure di sicurezza personali;
§ persone che sono o sono state sottoposte alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, recante “Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità”, ad eccezione di quella di cui all'articolo 2, ovvero l’allontanamento da un comune con foglio di via obbligatorio;
§ persone che sono o sono state sottoposte alle misure di prevenzione previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, recante “Disposizioni contro la mafia”;
§ persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 (produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope) e 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) del D.P.R. 309/1990, recante “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”;
§ soggetti destinatari del divieto di conseguire la patente, per un periodo compreso tra un mese e un anno, previsto dall’articolo 75, comma 1, lettera a), del D.P.R. 309/1990, come sanzione amministrativa per gli illeciti disciplinati dal citato D.P.R..
Sono fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi.
Il comma 2 stabilisce che l’intervento, in data successiva al conseguimento dei titoli abilitativi alla guida, delle condizioni soggettive di cui al comma 1, comporta la revoca di tali titoli da parte del prefetto. La revoca non può essere disposta decorsi più di tre anni dalla data di applicazione delle misure di prevenzione o dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna per i reati indicati nel comma 1.
E’ fatta salva la specifica disciplina della sospensione o del divieto di conseguire la patente, recata dal citato articolo 75, comma 1, lettera a), del D.P.R. 390/1990.
La citata disposizione prevede la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida o del divieto di conseguirla per un periodo non inferiore a un mese e non superiore a un anno. Tale sanzione si applica a coloro che illecitamente importano, esportano, acquistano, ricevono o detengono sostanze stupefacenti o psicotrope destinate ad uso esclusivamente personale o medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope non destinati ad uso terapeutico. Il citato articolo 75 disciplina il procedimento per l’irrogazione della menzionata sanzione amministrativa e le modalità per l’eventuale opposizione da parte dell’interessato.
Il soggetto al quale è stata revocata la patente non può conseguirne una nuova prima che siano trascorsi tre anni dal provvedimento di revoca (comma 3).
Attualmente il Codice della strada non disciplina il procedimento per il conseguimento di una nuova patente da parte dei soggetti che hanno subito la revoca per carenza dei requisiti morali. E’ invece disciplinato il procedimento per il conseguimento della patente da parte di coloro che hanno subito la revoca per carenza dei requisiti fisici e psichici: alla cessazione dei motivi che hanno determinato la revoca, l’interessato può direttamente conseguire, previo esame e con i requisiti fisici e psichici prescritti, una patente di guida di categoria non superiore a quella revocata (articolo 130, comma 2, Codice della strada).
Il comma 4 del nuovo articolo 120, analogamente a quanto previsto dal comma 3 del testo vigente, consente la presentazione di ricorso al Ministro dell’interno contro i provvedimenti di diniego e di revoca dei titoli abilitativi alla guida. Il Ministro dell’interno decide entro sessanta giorni, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
Il comma 5 demanda a un decreto dei Ministri dell’interno e delle infrastrutture e dei trasporti la fissazione delle modalità necessarie per l’adeguamento del collegamento telematico tra il sistema del Dipartimento per i trasporti terrestri e il trasporto intermodale[102] e quello del Dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie. Tale collegamento dovrà consentire la trasmissione delle informazioni necessarie per impedire il rilascio o effettuare la revoca dei titoli abilitativi alla guida, come previsto dai commi 1 e 2.
Il comma 6, salvo che il fatto costituisca reato, punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 3.000 euro chiunque rilascia titoli abilitativi alla guida a soggetti che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1 o prima che sia trascorso il termine di tre anni da un provvedimento di revoca, come previsto dal comma 3.
Il comma 1, lettera b), dell’artico 56 in esame novella l’articolo 117, comma 2-bis, del Codice della strada, relativo alle limitazioni alla guida di autoveicoli con potenza specifica, riferita alla tara, superiore a 50 kw/t.
Il vigente comma 2-bis stabilisce che la guida di questi autoveicoli non è consentita ai titolari di patente di guida di categoria B, per il primo anno dal rilascio della patente[103] (primo periodo). Il divieto non si applica ai veicoli adibiti al servizio di persone invalide, purché la persona invalida sia presente sul veicolo (secondo periodo).
La lettera b) del comma 1 aggiunge un periodo al comma 2-bis, con il quale si dispone che il divieto di guidare i sopra indicati autoveicoli ha una durata di tre anni dal rilascio della patente di guida nei confronti delle persone che sono state sottoposte alla sanzione amministrativa, di cui al già citato articolo 75, comma 1, lettera a), del D.P.R. n. 309 del 1990, consistente nel divieto di conseguire la patente per un periodo compreso tra un mese e un anno.
Sarebbe opportuno specificare in quale punto del comma 2-bis vada inserito il periodo di nuova introduzione, anche al fine di chiarire se la possibilità di guidare i veicoli adibiti al servizio di persone invalide sia consentita anche in questa nuova fattispecie.
Il comma 2 dell’articolo 56 reca una disposizione transitoria che prevede che il decreto interministeriale per l’adeguamento del collegamento telematico tra i Ministeri dell’interno e delle infrastrutture e dei trasporti, di cui al comma 5 del nuovo articolo 120 del Codice della Strada, deve essere emanato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame e che fino alla data della sua entrata in vigore continuano ad applicarsi le modalità di interscambio informativo previste dall’articolo 120, comma 2, nel testo attualmente vigente.
1. All'articolo 6-bis del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 2 è abrogato;
b) il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Le risorse del Fondo di cui al comma 1 sono utilizzate per l'acquisto di materiali, attrezzature e mezzi per le attività di contrasto dell'incidentalità notturna svolte dalle Forze di polizia di cui all'articolo 12, comma 1, lettere a), b), c), d) e f-bis), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, per campagne di sensibilizzazione e di formazione degli utenti della strada e per il finanziamento di analisi cliniche, di ricerca e sperimentazione nel settore di contrasto della guida in stato di ebbrezza o dopo aver assunto sostanze stupefacenti»;
c) il comma 4 è abrogato.
2. Al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 186:
1) dopo il comma 2-quinquies sono inseriti i seguenti:
«2-sexies. L'ammenda prevista dal comma 2 è aumentata da un terzo alla metà quando il reato è commesso dopo le ore 22 e prima delle ore 7.
2-septies. Le circostanze attenuanti concorrenti con l'aggravante di cui al comma 2-sexies non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa. Le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante.
2-octies. Una quota pari al venti per cento dell'ammenda irrogata con la sentenza di condanna che ha ritenuto sussistente l'aggravante di cui al comma 2-sexies è destinata ad alimentare il Fondo contro l'incidentalità notturna di cui all'articolo 6-bis del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, e successive modificazioni»;
2) al comma 5, le parole: «I fondi necessari per l'espletamento degli accertamenti di cui al presente comma sono reperiti nell'ambito dei fondi destinati al piano nazionale della sicurezza stradale di cui all'articolo 32 della legge 17 maggio 1999, n. 144» sono soppresse;
b) all'articolo 187:
1) dopo il comma 1-ter è inserito il seguente:
«1-quater. L'ammenda prevista dal comma 1 è aumentata da un terzo alla metà quando il reato è commesso dopo le ore 22 e prima delle ore 7. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 186, commi 2-septies e 2-octies»;
2) al comma 5, le parole: «I fondi necessari per l'espletamento degli accertamenti conseguenti ad incidenti stradali sono reperiti nell'ambito dei fondi destinati al piano nazionale della sicurezza stradale di cui all'articolo 32 della legge 17 maggio 1999, n. 144» sono soppresse;
c) all'articolo 195, dopo il comma 2 è inserito il seguente:
«2-bis. Le sanzioni amministrative pecuniarie previste dagli articoli 141, 142, 145, 146, 149, 154, 174, 176, commi 19 e 20, e 178 sono aumentate di un terzo quando la violazione è commessa dopo le ore 22 e prima delle ore 7; tale incremento della sanzione quando la violazione è accertata da uno dei soggetti di cui all'articolo 208, comma 1, primo periodo, è destinato ad alimentare il Fondo di cui all'articolo 6-bis del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, e successive modificazioni»;
d) all'articolo 208, dopo il comma 2 è inserito il seguente:
«2-bis. Gli incrementi delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all'articolo 195, comma 2-bis, sono versati in un apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato, di nuova istituzione, per essere riassegnati al Fondo contro l'incidentalità notturna di cui all'articolo 6-bis del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, con provvedimento del Ministero dell'economia e delle finanze adottato sulla base delle rilevazioni trimestrali del Ministero dell'interno. Tali rilevazioni sono effettuate con le modalità fissate con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con i Ministeri dell'economia e delle finanze, della giustizia e delle infrastrutture e dei trasporti. Con lo stesso decreto sono stabilite le modalità di trasferimento della percentuale di ammenda di cui agli articoli 186, comma 2-octies, e 187, comma 1-quater, destinata al Fondo».
Il comma 1 intende modificare in maniera sostanziale le norme disciplinanti il Fondo contro l’incidentalità notturna di cui all’art.6-bis del D.L. 117/2007 il quale prevede l'applicabilità di una sanzione aggiuntiva di 200 euro nel caso in cui vengano violate le norme di cui agli artt.141-142 C.d.S. nella fascia oraria notturna, ovvero dalle ore 20 alle ore 7 del giorno dopo.
In prima istanza, la novella abroga il comma 2 dell’articolo in questione.
Più specificamente si ricorda che l’art. 6-bis del D.L. n. 117/07[104], aggiunto in sede di conversione, ha istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Fondo contro l'incidentalità notturna. Ai sensi del comma 2, oggetto del’intento abrogativo, chiunque, dopo le ore 20 e prima delle ore 7, viola gli artt. 141 (Velocità), 142, commi 8 e 9 (Limiti di velocità), 186 (Guida sotto l’influenza dell’acool) e 187 (Guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti) del Codice delle Strada (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285), è punito con la sanzione amministrativa aggiuntiva di euro 200, che vengono destinati al Fondo contro l'incidentalità notturna.
Di conseguenza, viene modificato il comma 3 dell’art.6-bis specificando puntualmente la destinazione delle risorse ascritte al Fondo con particolare riferimento all'acquisto di materiali, attrezzature e mezzi per le attività di contrasto dell'incidentalità notturna svolte da Polizia Stradale, Polizia di Stato; Arma dei carabinieri; Guardia di finanza, Polizia penitenziaria e Corpo forestale dello Stato (art.12, co1,C.d.S.), attraverso campagne di sensibilizzazione e formazione degli utenti della strada nonché per il finanziamento di analisi cliniche, ricerca e sperimentazione nel settore di contrasto della guida in stato di ebbrezza o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti.
Il comma 3 dell’art.6-bis, nel testo oggi vigente, si limita a disporre, con formula generica, che le risorse del Fondo debbono essere utilizzate per le attività di contrasto dell'incidentalità notturna.
Infine, la norma in esame dispone l’abrogazione del comma 4 dell’art.6-bis sollevando il Ministero dell’economia e delle finanze dal compito di definire le regole di gestione di detto fondo.
Il suddetto comma 4 richiede infatti che, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto n.117/2007, il Ministro dell'economia e delle finanze, con decreto adottato di concerto con il Ministro dell'interno e con il Ministro dei trasporti, emani il regolamento per l'attuazione del presente articolo.
Il comma 2 reca novelle a diversi articoli del codice della strada.
In particolare, la lettera a) novella l’art. 186 del codice relativo alla guida sotto l’influenza di alcool. Aggiungendo alcuni commi alla disposizione (commi da 2-sexies a 2-octies) il disegno di legge:
- prevede una circostanza aggravante del reato (aumento dell’ammenda da 1/3 alla metà) quando la guida in stato di ebbrezza è commessa di notte, dopo le 22 e prima delle 7 del mattino;
- dispone che in caso di concorso di circostanze, prima debba essere applicata la suddetta aggravante e, sulla pena risultante, possano poi essere calcolate eventuali attenuanti;
- in caso di applicazione della suddetta circostanza aggravante, il disegno di legge prevede che il 20% dell’ammenda riscossa dallo Stato vada ad alimentare il Fondo contro l’incidentalità notturna.
Inoltre, intervenendo sul comma 5 dell’art. 186, la disposizione in commento sopprime il riferimento all’uso delle risorse dei fondi del piano nazionale della sicurezza stradale per le attività di accertamento del tasso alcoolemico. La novella pare avere finalità di coordinamento con quanto disposto dal comma 1 dell’articolo in commento in ordine alla finalità delle risorse del fondo contro l’incidentalità notturna (in particolare, finanziamento di analisi cliniche di ricerca e sperimentazione nel settore di contrasto alla guida in stato di ebbrezza o dopo avere assunto sostanze stupefacenti).
La lettera b) apporta modifiche analoghe alle precedenti all’art. 187 del codice della strada, in tema di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. La disposizione inserisce anche in questo caso l’aggravante per la guida notturna e richiama le disposizioni sul concorso di circostanze e l’alimentazione del Fondo di cui all’art. 186. Anche in questo caso dall’art. 187, comma 5, viene eliminato il richiamo ai fondi del piano nazionale di sicurezza stradale.
La lettera c) interviene sull’art. 195 del codice della strada relativo all’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, inserendovi il comma 2-bis. Tale disposizione prevede che laddove una serie di illeciti siano commessi nelle ore notturne (dalle 22 di sera alle 7 del mattino), la sanzione amministrativa pecuniaria debba essere maggiorata di 1/3.
Sono richiamate le seguenti violazioni:
§ eccesso di velocità (artt. 141 e 142, c.d.s.);
§ violazione del diritto di precedenza (art. 145, c.d.s.);
§ violazione della segnaletica stradale (art. 146, c.d.s.);
§ mancato rispetto delle distanze di sicurezza (art. 149, c.d.s.);
§ violazione delle disposizioni sul cambiamento di direzione e sull’inversione del senso di marcia (art. 154, c.d.s.);
§ violazione delle disposizioni sulla durata della guida degli autoveicoli adibiti al trasporto di persone o cose (art. 174, c.d.s.);
§ inversione del senso di marcia o transito contromano sulle carreggiate, sulle rampe o sugli svincoli di strade extraurbane (art. 176, comma 19);
§ effettuare la retromarcia (tranne che per parcheggiare nelle aree di sosta), circolare sulle corsie di emergenza o sulle corsie di variazione di velocità (se non per entrare o uscire dalla carreggiata), protrarre la sosta d’emergenza oltre il dovuto (e comunque tre ore), sostare nelle ore notturne senza disposizioni di segnalazione del veicolo nelle strade extraurbane (art. 176, comma 20).
§ violazione degli obblighi inerenti alla conservazione ed esibizione dei documenti di viaggio per trasporti professionali, nonché all’osservanza di periodi di riposo (art. 178)
Se la violazione è accertata da un funzionario, ufficiale o agente dello Stato, l’incremento della sanzione amministrativa è destinato ad alimentare il fondo contro l’incidentalità notturna.
La lettera d) interviene sull’art. 208 del codice della strada.
Si segnala che sulla medesima disposizione intervengono anche l’art. 54, comma 5 (v. sopra) e l’art. 63 (v. infra) del disegno di legge.
Inserendo un comma 2-bis, il disegno di legge prevede che gli incrementi delle sanzioni amministrative pecuniarie previsti dall’art. 195 (v. supra) per l’ipotesi di violazione notturna di alcune disposizioni sulla circolazione stradale, siano versati in un apposito capitolo dell’entrata per essere riassegnati al Fondo contro l’incidentalità notturna con provvedimento del Ministero dell’economia, in base alle rilevazioni del ministero dell’Interno.
Quest’ultimo provvederà alle rilevazioni nel rispetto di modalità individuate con proprio decreto, emanato di concerto con i Ministeri dell'economia e delle finanze, della giustizia e delle infrastrutture e dei trasporti. Lo stesso provvedimento dovrà stabilire le modalità di trasferimento della percentuale di ammenda destinata al Fondo in base agli articoli 186 e 187 del codice della strada (v. supra).
Si segnala che occorre modificare la rubrica dell’articolo 57, posto che il medesimo ha un contenuto più ampio rispetto alle modifiche alla disciplina del Fondo contro l’incidentalità notturna.
Articolo 58
(Modifiche al codice penale in materia di
circostanze attenuanti)
1. All'articolo 600-sexies del codice penale, dopo il quarto comma è inserito il seguente:
«Nei casi previsti dagli articoli 600, 601, 602 e 416, sesto comma, le pene sono diminuite fino alla metà nei confronti dell'imputato che si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l'individuazione e la cattura di uno o più autori dei reati ovvero per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti».
L’articolo 58 novella l’articolo 600-sexies del codice penale, in tema di circostanze aggravanti e attenuanti dei reati pedopornografici, di riduzione in schiavitù e legati alla tratta di persone, al fine di inserirvi una nuova circostanza attenuante.
Attualmente, l'art. 600-sexies c.p., prevede le seguenti circostanze aggravanti:
§ aumento della pena da un terzo alla metà se il fatto (prostituzione minorile; pornografia minorile; turismo sessuale; riduzione in schiavitù; tratta di persone) è commesso in danno di minore degli anni quattordici (primo comma);
§ aumento della pena dalla metà ai due terzi se il fatto (prostituzione minorile; pornografia minorile; riduzione in schiavitù; tratta di persone) è commesso in danno di minore da un ascendente, dal genitore adottivo, o dal loro coniuge o convivente, dal coniuge o da affini entro il secondo grado, da parenti fino al quarto grado collaterale, dal tutore o da persona a cui il minore è stato affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza, custodia, lavoro, ovvero da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio nell'esercizio delle loro funzioni (secondo comma);
§ aumento della pena dalla metà ai due terzi se il fatto (prostituzione minorile; pornografia minorile; riduzione in schiavitù; tratta di persone) è commesso in danno di minore in stato di infermità o minoranza psichica, naturale o provocata (secondo comma);
§ aumento della pena se il fatto (prostituzione minorile; pornografia minorile) è commesso con violenza o minaccia (terzo comma).
La stessa disposizione prevede la seguente circostanza attenuante:
§ riduzione della pena da un terzo alla metà per i delitti di prostituzione minorile, pornografia minorile, riduzione in schiavitù, tratta di persone, se il colpevole si adopera concretamente in modo che il minore riacquisti la propria autonomia e libertà (quarto comma).
Inoltre, il quinto comma dell’art. 600-sexies chiarisce che in caso di concorso fra circostanze le circostanze aggravanti del primo e del secondo comma con circostanze attenuanti, queste ultime non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti.
In particolare, attraverso l’inserimento di un ulteriore comma, dopo il quarto, il disegno di legge stabilisce che per i seguenti delitti:
- art. 600: riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù;
- art. 601: tratta di persone;
- art. 602: acquisto e alienazione di schiavi;
- art. 416, sesto comma: associazione per delinquere finalizzata a commettere uno dei predetti delitti,
le pene sono diminuite fino alla metà per colui che si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente le autorità nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l'individuazione e la cattura di uno o più autori dei reati ovvero per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti.
Si ricorda che, in base all’ultimo comma dell’art. 600-sexies, anche questa attenuante non può prevalere sulle eventuali aggravanti previste dai commi primo e secondo; conseguentemente, la diminuzione di pena dovrà essere calcolata sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti.
Articolo 59
(Modifiche al decreto legislativo 8
giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità degli enti per delitti di
criminalità organizzata)
1. Dopo l'articolo 24-bis del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, è inserito il seguente:
«Art. 24-ter. - (Delitti di criminalità organizzata) - 1. In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 416, sesto comma, 416-bis, 416-ter e 630 del codice penale, ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché ai delitti previsti dall'articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, si applica la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.
2. In relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui all'articolo 416 del codice penale, ad esclusione del sesto comma, ovvero di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), numero 5), del codice di procedura penale, si applica la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote.
3. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nei commi 1 e 2, si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.
4. Se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nei commi 1 e 2, si applica la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi dell'articolo 16, comma 3».
L'articolo 59 inserisce nel decreto legislativo n. 231 del 2001, in materia di responsabilità amministrativa degli enti, un nuovo art. 24-ter, che prevede sanzioni pecuniarie e interdittive a carico dell’ente in relazione alla commissione di delitti di criminalità organizzata.
Si ricorda che il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato (art. 1) e prevede che, per una serie di reati espressamente individuati (artt. 24 e ss), possano essere applicate alla persona giuridica - mediante accertamento giudiziale - sanzioni pecuniarie, sanzioni interdittive, possa essere disposta la confisca e la pubblicazione della sentenza (art. 9).
Il presupposto per l’irrogazione della sanzione è ovviamente la responsabilità dell’ente che, ai sensi dell’art. 5, sussiste in riferimento ai reati commessi nell’interesse dell’ente stesso o a suo vantaggio, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione, di direzione dell'ente o da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso.
In particolare, il disegno di legge inserisce l’art. 24-ter, rubricato “Delitti di criminalità organizzata”.
Tale disposizione prevede, al comma 1, che in relazione ad una serie di delitti specificamente indicati il giudice debba applicare all’ente la sanzione pecuniaria da 400 a 1.000 quote.
Ai sensi dell’art. 10 del decreto legislativo n. 231 del 2001, la sanzione pecuniaria è applicate per quote, in un numero non inferiore a cento né superiore a mille. L'importo di una quota varia da un minimo di 258 euro ad un massimo di 1.549 euro.
Nella commisurazione della sanzione pecuniaria (art. 11) il giudice determina il numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell'ente, nonché dell'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. L'importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione.
Si tratta delle seguenti fattispecie:
§ art. 416, sesto comma, c.p.: associazione a delinquere finalizzata alla riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 c.p.), alla tratta di persone (art. 601 c.p.) o all’acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p.);
§ art. 416-bis c.p.: associazioni di tipo mafioso anche straniere e delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal medesimo articolo ovvero per agevolare tali associazioni;
§ art. 416-ter c.p.: scambio elettorale politico-mafioso;
§ art. 630 c.p.: sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;
§ art. 74, TU stupefacenti[105]: associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Il comma 2 prevede una sanzione meno pesante – da 300 a 800 quote – qualora l’ente sia ritenuto responsabile di uno dei seguenti delitti:
§ delitto di associazione a delinquere di cui all’art. 416 c.p., diverso dall’associazione finalizzata alla riduzione in schiavitù, alla tratta di persone o all’acquisto e alienazione di schiavi (di cui all’art. 416, sesto comma, c.p.);
§ delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo (di cui all’art. 407, co. 2, lett. a), n. 5 c.p.p.).
Il comma 3 aggiunge che, in caso di condanna dell’ente ai sensi dei commi precedenti, dovranno inoltre essere comminate sanzioni interdittive per almeno un anno.
Ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001, le sanzioni interdittive sono le seguenti (artt. 9, 13-18, 23):
- l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
- la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;
- il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
- l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 231/2001, le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni:
a) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;
b) l'ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
c) l'ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.
Il comma 4, infine, dispone che se l’ente (o una sua unità organizzativa) viene stabilmente utilizzato allo scopo, unico o prevalente, di consentire o agevolare la commissione dei delitti richiamati dai commi 1 e 2, l’interdizione dall’esercizio dell’attività dovrà essere definitiva, ai sensi dell’articolo 16, comma 3.
Si segnala che tale ultima disposizione già prevede, in termini generali, che «se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità è sempre disposta l'interdizione definitiva» e non si applica la disposizione dell’art. 17 (v. supra).
Articolo 60
(Repressione di attività di apologia o
incitamento di associazioni criminose o di attività illecite compiuta a mezzo
internet)
1. Quando si procede per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da altre disposizioni penali, e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia detta attività di apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet, il Ministro dell'interno, in seguito a comunicazione dell'autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l'interruzione della attività indicata, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine.
2. Il Ministro dell'interno si avvale, per gli accertamenti finalizzati all'adozione del decreto di cui al comma 1, della polizia postale e delle comunicazioni. Avverso il provvedimento di interruzione è ammesso ricorso all'autorità giudiziaria. Il provvedimento di cui al comma 1 è revocato in ogni momento quando vengano meno i presupposti indicati nel medesimo comma.
3. Entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione della presente legge il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, di concerto con i Ministri dell'interno e per la pubblica amministrazione e l'innovazione, individua e definisce, ai fini dell'attuazione del presente articolo, i requisiti tecnici degli strumenti di filtraggio di cui al comma 1, con le relative soluzioni tecnologiche.
4. I fornitori dei servizi di connettività alla rete internet, per l'effetto del decreto di cui al comma 1, devono provvedere ad eseguire l'attività di filtraggio imposta entro il termine di 24 ore. La violazione di tale obbligo comporta una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000, alla cui irrogazione provvede il Ministero dello sviluppo economico.
5. Al quarto comma dell'articolo 266 del codice penale, il numero 1) è sostituito dal seguente:
«1) col mezzo della stampa, in via telematica sulla rete internet, o con altro mezzo di propaganda».
L’articolo 60 concerne il delicatoproblema del controllo dei contenuti immessi sulla rete Internet.
La disposizione, ai commi 1-4, mira alla repressione delle diverse forme di istigazione a delinquere o di apologia di reato in via telematica mediante l’uso della rete internet.
La norma introduce in capo al Ministro dell’Interno il potere di emettere un decreto che,allo scopo di interrompere l’attività illecita, impone agli Internet access Providers (ovvero i fornitori di connettività alla rete Internet) l’obbligo di utilizzare appositi strumenti di filtraggio (le cui caratteristiche tecniche debbano essere definite da un decreto interministeriale da adottare entro 60 giorni dall’entrata in vigore del disegno di legge).
Dalla formulazione della norma sembra che l’intervento dei Providers non sia richiesto preventivamente (questi ultimi non sembrano, cioè, obbligati a filtrare in anticipo i contenuti web cui forniscono accesso agli utenti) bensì solo a posteriori, ovvero dopo l’emissione del decreto ministeriale e presuppone che, successivamente alla segnalazione, il gestore del sito, del blog, ecc. non intervenga spontaneamente per rimuovere il contenuto illecito (ad es. la pagina web, un video postato su una piattaforma di sharing come youtube, ecc.).
Va ricordato che l’art. 17 del D. Lgs 9 aprile 2003, n. 70[106]prevede esplicitamente che in capo al prestatore dei servizi di rete (tra cui l’Access Provider ovvero il fornitore di connettività ad Internet) non sussiste un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite. Il prestatore è tuttavia tenuto: a) ad informare senza indugio l'autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio della società dell'informazione; b) a fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l'identificazione del destinatario dei suoi servizi con cui ha accordi di memorizzazione dei dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite. Il provider è civilmente responsabile del contenuto di tali servizi nel caso in cui, richiesto dall'autorità giudiziaria o amministrativa avente funzioni di vigilanza, non ha agito prontamente per impedire l'accesso a detto contenuto, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura l'accesso, non ha provveduto ad informarne l'autorità competente.
Si segnala, tuttavia, che obblighi di oscuramento di siti pedofili mediante appositi strumenti di filtraggio sono stati posti in capo ai Providers dalla legge 6 febbraio 2006, n. 38, in materia di pedopornografia a mezzo Internet (art. 19, che ha novellato la legge 3 agosto 1998, n. 269, inserendovi l’art. 14-quater). In attuazione di tale disposizione è stato adottato il D.M. 8 gennaio 2007, che, all’articolo 5, ha individuato i requisiti tecnici degli strumenti di filtraggio. In base a tale ultima disposizione, in particolare, la funzione di inibizione del sistema di filtraggio (che si basa sul blocco delle richieste di accesso) deve avere le seguenti caratteristiche: a) garantire l'impossibilità di accedere e di apportare modifiche non autorizzate all'elenco dei siti inibiti; b) permettere l'inibizione dei siti segnalati indipendentemente dalla codifica dei caratteri utilizzata; c) escludere che i fornitori di connettività alla rete Internet siano autorizzati al trattamento dei dati relativi agli accessi effettuati dai singoli utenti.
Analoghi obblighi sono stati imposti ai providers per impedire l’accesso ai cd. casinò on line ed ai siti di scommesse non autorizzati in territorio italiano, dapprima dall’art. 1, co. 535-538, della legge finanziaria 2006 e dal Decreto direttoriale 15 marzo 2006 della Direzione Generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS); successivamente, dall’art. 1, co. 50, della legge finanziaria 2007 (L. 296/2006) e dal D.Dirett. 29 maggio 2007.
Il decreto può essere emanato a condizione che:
§ si proceda per il reato di istigazione a delinquere (art. 414 c.p.) o a disobbedire alla leggi (art. 415 c.p.) o per apologia di reato (art, 414 c.p.);
§ sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia detta attività di apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet.
L’art. 414 c.p. punisce chiunque pubblicamente istiga commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell'istigazione:
- con la reclusione da 1 a 5 anni, per l’istigazione a commettere delitti; per l’istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni nonché per l'apologia di uno o più delitti;
- con la reclusione fino ad un anno o la multa fino a 206 euro, per l’istigazione a commettere contravvenzioni.
Fuori dei casi di cui all'articolo 302 c.p. (Istigazione a commettere delitti contro la personalità interna e internazionale dello Stato), se l'istigazione o l'apologia riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l'umanità la pena è aumentata della metà.
L’art. 415 c.p. punisce con la reclusione da 6 mesi a 5 anni chiunque pubblicamente istiga alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico attuata, ovvero istiga, in modo pericoloso per la pubblica tranquillità (cfr C.cost, sent. 108/1974), all'odio fra le classi sociali.
Dal punto di vista della sequenza procedimentale:
§ spetta all’autorità giudiziaria che indaga comunicare al Ministero dell’interno i contenuti ritenuti illeciti;
§ la polizia postale, su richiesta del Ministro, procede agli accertamenti sul web finalizzati alla verifica della segnalazione;
§ in caso di verifica positiva (sussistenza dei “concreti elementi” di illiceità) il Ministro dell’interno emana il decreto, ricorribile davanti all’autorità giudiziaria e sempre revocabile per il venir meno dei presupposti;
§ una volta emesso il decreto, l’obbligo di filtraggio dei contenuti da parte dei Providers va assolto entro 24 ore (nel silenzio della norma, presumibilmente, decorrente dalla notifica del decreto stesso); il mancato adempimento dell’obbligo costituisce illecito amministrativo ed è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 50.000 a 250.000 euro irrogata dal Ministero dello sviluppo economico.
Infine, il comma 5 della disposizione in esame novella il n. 1) del quarto comma dell’art. 266 c.p. sostanzialmente precisando che il delitto di ”istigazione di militari a disobbedire alle leggi” è considerato commesso “pubblicamente”[107] anche quando - oltre che a mezzo della stampa o altro mezzo di propaganda - sia commesso “in via telematica sulla rete Internet”.
Il 5 maggio 2007 la Commissione europea ha presentato la comunicazione “Verso una politica generale di lotta contro la cibercriminalità” (COM(2007) 267)
La comunicazione intende affrontare il tema dello sviluppo di sistemi investigativi relativi alla "cibercriminalità" intendendo con tale termine "gli atti criminali commessi contro reti di comunicazioni elettroniche e sistemi di informazione o avvalendosi di tali reti e sistemi". Il documento specifica pertanto che il termine "cibercriminalità" indica tre categorie di attività criminali che hanno il denominatore comune di poter essere commessi su larga scala producendo effetti a grande distanza e di richiedere analoghi metodi e tecniche di indagine:
- i reati tradizionali commessi servendosi di reti di comunicazioni elettroniche e sistemi di informazione;
- la pubblicazione sul web di contenuti illegali (materiale pedopornografico o incitamento all'odio razziale);
- i reati propri alle reti elettroniche,ossia gli attacchi contro i sistemi di informazione, il denial of service e la pirateria
Per quanto riguarda i contenuti illegali la comunicazione lamentando l’aumento in Europa del numero di siti Internet che diffondono materiale pedopornografico, incitano ad atti terroristici ed esaltano la violenza, il terrorismo, il razzismo e la xenofobia, osserva che la lotta contro tale fenomeno è estremamente difficile, poiché spesso i proprietari e i gestori dei siti si trovano in paesi diversi da quello considerato, in molti casi al di fuori dell'Unione europea; inoltre, i siti possono essere spostati molto velocemente, anche all'esterno dell'UE, e la definizione di illegalità varia notevolmente da uno Stato all'altro.
Al fine di una efficace attività di contrasto la Commissione intende pertanto, tra le altre cose:
- avviare e promuovere il dialogo tra gli Stati membri e con i paesi terzi sulle tecniche di lotta contro i contenuti illegali e sulle procedure per chiudere siti Internet illegali, anche in vista dell'eventuale conclusione di accordi formali con altri paesi.
- invitare gli Stati membri a stanziare risorse finanziarie sufficienti per rafforzare il lavoro degli organi di contrasto;.
- avviare e sostenere azioni di lotta contro i contenuti illegali che possono incitare i minori ad adottare comportamenti violenti o gravemente illegali;
- concludere accordi volontari e convenzioni a livello dell'UE tra autorità pubbliche e operatori privati, in particolare ISP, sulle procedure per bloccare e chiudere i siti Internet illegali.
Il Consiglio giustizia e affari interni del 24 ottobre 2008 ha adottato conclusioni in materia di cibercriminalità nelle quali, tra le altre cose, invita Europol ad istituire ed ospitare una piattaforma europea di lotta alla criminalità in rete che costituisca il punto di convergenza delle varie piattaforme nazionali , al fine di un più efficace scambio di informazioni in materia.
Si ricorda che Europol gestisce attualmente il programma dell’Unione europea Check the Web, proposto dalla presidenza tedesca dell’UE nel 2007, che ha previsto la realizzazionedi un portale di informazione per gli Stati membri, al fine di sostenere la cooperazione nel contrasto all’utilizzo di Internet da parte di organizzazioni terroristiche, nel quadro della prevenzione dei fenomeni di radicalizzazione e reclutamento. Sono attualmente in corso lavori volti a potenziare il portale con nuove finalità che permettano aEuropol non solo di pubblicare informazioni su Internet ma anche di presentare relazioni e valutazioni.
Il Consiglio giustizia e affari interni del 27 novembre 2008 ha concordato una strategia di lavoro per la lotta alla cibercriminalità nella quale individua le misure a breve e medio termine che la Commissione europea e gli Stati membri dovranno adottare in materia, con il coinvolgimento del settore privato.
Il 17 febbraio 2009 la Commissione libertà civili giustizia e affari interni del Parlamento europeo ha approvato una proposta di raccomandazione del Parlamento europeo al Consiglio sul rafforzamento della sicurezza e delle libertà fondamentali su Internet, (relatore Stavros Lambrinidis- PSE, Grecia) in vista dell’esame in plenaria previsto per il 24 marzo 2009. Scopo del documento è sollecitare la ricerca di un equilibrio tra la lotta alla cibercriminalità e i diritti dei fruitori di Internet: libertà di associazione ed espressione, non discriminazione.
Per quanto riguarda il tema della lotta alla cibercriminalità, il documento, partendo dalla considerazione che Internet, grazie alla libertà che offre, è stato anche utilizzato come piattaforma per lanciare messaggi violenti e antidemocratici, incitando ad esempio a compiere attacchi terroristici, e che più in generale le minacce della cibercriminalità sono aumentate a livello mondiale e mettono in pericolo gli individui (bambini compresi) e le reti, sottolinea la necessità che tali crimini siano combattuti con efficacia e determinazione, senza alterare la natura fondamentalmente libera ed aperta di Internet. A tal fine il documento ritiene opportuno:
§ invitare la Presidenza del Consiglio e la Commissione a riflettere su una strategia globale di lotta contro la cibercriminalità, compresi i modi di affrontare la questione del “furto di identità” a livello UE;
§ incoraggiare la riflessione sulla cooperazione necessaria fra gli esponenti del settore pubblico e privato in proposito e sul rafforzamento della cooperazione ai fini dell'applicazione della legge;
§ proseguire i lavori intrapresi nell’ambito del progetto “Check the web” e promuovere azioni volte a migliorare la circolazione delle informazioni sulla cibercriminalità, come le recenti iniziative per la creazione di piattaforme nazionali di allarme e di una piattaforma di allarme europea per segnalare i reati commessi su Internet, purché sussistano le garanzie necessarie;
§ procedere all’adozione della direttiva sulle misure penali finalizzate al rispetto dei diritti di proprietà intellettuale
§ garantire che l’espressione di convinzioni politiche controverse attraverso Internet, anche in relazione al terrorismo, non siano soggette a procedimento penale.
Articolo 61
(Programmi integrati di cui all'articolo
18 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni,
dalla legge 12 luglio 1991, n. 203)
1. Le disposizioni introdotte dall'articolo 21-bis del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, si applicano a decorrere dal 1o gennaio 2010.
2. È riaperto, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge fino al 31 dicembre 2009, il termine previsto dall'articolo 4, comma 150, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, per la ratifica degli accordi di programma, di cui all'articolo 34 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
3. Sono riaperti, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge fino al 31 dicembre 2009, i termini previsti dalla legge 30 aprile 1999, n. 136, rispettivamente per la ratifica degli accordi di programma di cui all'articolo 11, comma 2, e per la sottoscrizione delle convenzioni urbanistiche di cui all'articolo 12, comma 2, della medesima legge n. 136 del 1999.
4. Le disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 11 della legge 30 aprile 1999, n. 136, continuano ad applicarsi fino al 31 dicembre 2009 a tutti i procedimenti pendenti dinanzi al giudice amministrativo alla data di entrata in vigore della presente legge.
Ai fini di una maggiore chiarezza del contenuto delle disposizioni recate dall’articolo in esame sembrerebbe opportuno modificare l’attuale rubrica eventualmente esplicitando il riferimento alla riapertura di alcuni termini relativi ai Contratti di quartiere II e al programma di edilizia residenziale destinato a dipendenti delle amministrazioni dello Stato impegnati nella lotta alla criminalità organizzata.
Il comma 1 dispone, pertanto, che il rifinanziamento del programma innovativo in ambito urbano denominato "Contratti di quartiere II", previsto dall’art. 21-bis del decreto legge n. 159/2007[108], con le risorse originariamente previste da alcuni programmi straordinari di edilizia residenziale a favore dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, si applichi a decorrere dal 1° gennaio 2010.
Si ricorda che con l’art. 21-bis del decreto legge n. 159/2007 si è provveduto al rifinanziamento dei "Contratti di quartiere II"[109] con le risorse originariamente previste da alcuni programmi straordinari di edilizia residenziale a favore dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato impegnati nella lotta alla criminalità organizzata ma non assegnate a seguito di mancata ratifica dei previsti accordi di programma. L’art. 21-bis, come successivamente modificato dall’art. 2, comma 444, della legge finanziaria 2008, ha infatti previsto il rifinanziamento dei “Contratti di quartiere II”, disponendo che alla scadenza del termine del 31 dicembre 2007 per la realizzazione di alcuni programmi straordinari di edilizia residenziale a favore dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato impegnati nella lotta alla criminalità organizzata (previsti dall’art. 4, comma 150, della legge n. 350/2003 e dall’art. 13, comma 2, deI decreto-legge n. 273/2005) le risorse originariamente destinate ai programmi costruttivi rivolti alla stessa platea di beneficiari (avviati con l'art. 18 del decreto-legge n. 152/1991[110]) e non assegnate a seguito di mancata ratifica degli accordi di programma, fossero destinate al finanziamento delle proposte già ritenute idonee e non ammesse al precedente finanziamento tra quelle presentate ai sensi dei decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 27 dicembre 2001, 30 dicembre 2002 e 21 novembre 2003 concernenti il programma innovativo in ambito urbano denominato "Contratti di quartiere II"[111].
Le ulteriori disposizioni dell’art. 21-bis prevedono l’emanazione di un apposito decreto da parte del Ministro delle infrastrutture per la definizione delle modalità di ripartizione delle risorse previste, nonché della quota di cofinanziamento regionale e delle modalità di individuazione delle proposte da ammettere a finanziamento, nonché la possibilità per quelle regioni che hanno già finanziato con propri fondi tutte le proposte di “Contratti di quartiere II” già ritenute idonee (in attuazione dei richiamati decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti) ad utilizzare le risorse per il finanziamento di nuovi programmi aventi caratteristiche analoghe a quelle dei “Contratti di quartiere II” che saranno individuati con il decreto ministeriale citato[112].
Si ricorda, da ultimo, che per l’attuazione degli interventi previsti dal cd. Piano casa, introdotto dall’art. 11 del D.L. n. 112/2008[113], è stato costituito un apposito Fondo nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alimentato con le risorse finanziarie derivanti da alcuni provvedimenti adottati nella precedente legislatura, tra cui anche quelledell’art. 21-bis del decreto-legge n. 159/2007, ad eccezione di quelle già iscritte nei bilanci degli enti destinatari e, quindi, già impegnate.
Il comma 2 dispone la riapertura - a decorrere dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame e fino al 31 dicembre 2009 - del termine previsto dall’art. 4, comma 150, della legge n. 350/2003 (finanziaria 2004) per la ratifica degli accordi di programma (di cui dall’art. 34 del testo unico di cui decreto legislativo n. 267/2000) per la rilocalizzazione in altra regione del programma di edilizia residenziale destinata a dipendenti delle amministrazioni dello Stato impegnati nella lotta alla criminalità organizzata.
Si ricorda che il citato art. 4, comma 150, della legge finanziaria 2004 ha, infatti, previsto, qualora la regione interessata non provveda all’attivazione degli accordi di programma per la localizzazione degli interventi di cui all'art. 18 del decreto legge n. 152/1991, la rilocalizzazione del programma in altra regione, entro trenta giorni dalla richiesta del soggetto proponente. A tal fine, il presidente della giunta regionale ed il sindaco del comune interessati alla nuova localizzazione, sottoscrivono un accordo di programma ai sensi dell'art. 34[114] del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267/2000 da ratificare entro il 31 dicembre 2007[115]. Sempre ai sensi del citato comma 150, il finanziamento dei programmi rimane comunque subordinato alla sussistenza delle necessarie disponibilità a valere sullo stanziamento destinato alla realizzazione dei programmi di cui all’articolo 18 del decreto-legge n. 152/1991.
Con l’art. 1, comma 110, della legge n. 311/2004 (finanziaria 2005) è stato, inoltre, disposto l’aumento del limite numerico degli alloggi da realizzare nell'ambito di programmi straordinari di edilizia residenziale pubblica di cui al comma 150 dell'art. 4 della legge n. 350/2003, da concedere in locazione o in godimento ai medesimi dipendenti, prevedendo, altresì, che tale modifica lasci invariato il limite volumetrico complessivo degli interventi oggetto dei programmi stessi.
Numerosi interventi sono stati adottati a favore dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, attraverso in particolare la modifica della legislazione vigente relativa agli interventi di edilizia residenziale pubblica finalizzati alla realizzazione del programma straordinario di edilizia residenziale di cui all’art. 18 del decreto legge n. 152/1991. L'art. 18 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152 ha, infatti, dato avvio e assegnava un primo finanziamento[116] ad un programma straordinario di edilizia residenziale da concedere in locazione o in godimento ai dipendenti delle amministrazioni dello Stato “quando è strettamente necessario alla lotta alla criminalità organizzata, con priorità per coloro che vengano trasferiti per esigenze di servizio”. La realizzazione degli interventi (tanto di recupero che di nuova costruzione) veniva affidata ai comuni, agli IACP, ad imprese di costruzione e loro consorzi e a cooperative e loro consorzi. Esso ha disposto, inoltre, l’assegnazione di un finanziamento attraverso un limite di impegno di 50 miliardi di lire per l'edilizia agevolata, e un finanziamento di 900 miliardi di lire per l'edilizia sovvenzionata.
Con la delibera CIPE 20 dicembre 1991 (GU 20.1.1992, n. 15) si fissavano i limiti di costo per l’attuazione del programma straordinario. Con il DM Lavori pubblici 17 gennaio 1992 si disciplinava il confronto pubblico concorrenziale per la realizzazione del programma stesso di cui al punto 3 della suddetta delibera CIPE.
Sulla disciplina del programma straordinario di edilizia residenziale per i dipendenti delle amministrazioni dello stato impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, di cui all’art. 18 del decreto legge n. 152/1991, è intervenuta la legge n. 166/2002 (art. 2, commi 5-8), che ha disciplinato i limiti di costo applicabili alle gare di appalto e il prezzo al quale gli alloggi realizzati con il finanziamento privato possono essere ceduti agli enti locali, agli istituti autonomi case popolari o enti assimilati. Infine ha individuato le finalità dei fondi previsti dall’art. 22, comma 3, della legge n. 67/1988, confluiti nel finanziamento del programma di cui all’art. 18 del citato decreto legge n. 152, stabilendo altresì che i finanziamenti sono attivati comunque subordinatamente alle disponibilità esistenti - alla data di ratifica da parte del comune dell’accordo di programma – sullo stanziamento destinato alla realizzazione del programma stesso.
Infine, si ricorda che l’art. 5 della legge n. 2/2001 ha disposto in merito all’attuazione del programma straordinario di cui all'art. 18 del decreto-legge n. 152/1991, prevedendo, tra l’altro, che con decreto del Ministro dei lavori pubblici vengano stabiliti i limiti di reddito, i criteri per l'assegnazione e la determinazione dei canoni di locazione nonché i requisiti degli assegnatari degli alloggi di edilizia sovvenzionata ed agevolata realizzati con i finanziamenti del programma straordinario di edilizia residenziale finalizzato a favorire la mobilità dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato.
Il comma 3 prevede la riapertura - a decorrere dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame fino al 31 dicembre 2009 - dei termini previsti dall’art. 11, comma 2 per la ratifica degli accordi di programma e dall’art. 12, comma 2 per la sottoscrizione delle convenzioni urbanistiche dalla legge n. 136/1999 per la realizzazione del programma straordinario di edilizia residenziale per i dipendenti delle amministrazioni dello Stato impegnati nella lotta alla criminalità organizzata.
Si ricorda che tali due termini - attualmente fissati al 31 dicembre 2007 - sono il risultato di una lunga serie di successive proroghe, l’ultima delle quali recata dall’art. 13, comma 2, del decreto legge n. 273/2005[117].
Si rammenta, altresì, che l’art. 11, comma 1, della legge 136/1999 ha stabilito che, al fine dell’utilizzazione dei finanziamenti previsti per la realizzazione del programma straordinario di edilizia residenziale per i dipendenti delle amministrazioni dello Stato impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, il Ministro dei lavori pubblici - in qualità di segretario generale del CER - doveva comunicare ai presidenti delle giunte regionali interessate, entro i trenta giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge n. 136:
§ l’elenco delle proposte di attuazione dei programmi straordinari di edilizia residenziale per la mobilità dei dipendenti pubblici, cui si riferiscono i procedimenti ancora pendenti;
§ i soggetti attuatori o proponenti di tali proposte.
Secondo tale disposizione, nell’ambito delle disponibilità delle somme accantonate, il presidente della giunta regionale propone al sindaco del comune territorialmente competente ed al soggetto attuatore o proponente la sottoscrizione di un accordo di programma. La ratifica di tale accordo da parte del consiglio comunale determina direttamente la immediata ammissione del programma al finanziamento. Il presidente della giunta regionale ha altresì la facoltà, di concerto con il soggetto attuatore o proponente e con il sindaco del comune territorialmente competente, di provvedere alla rilocalizzazione del programma in ambito regionale. La sottoscrizione dell'accordo di programma da parte del soggetto attuatore o proponente costituisce formale rinuncia all'azione ed agli atti pendenti dinanzi alla giurisdizione amministrativa. La ratifica dell'accordo di programma da parte del consiglio comunale, anche se avvenuta in data precedente alla comunicazione del Segretario generale del CER di cui al presente comma, determina direttamente la immediata ammissione del programma al finanziamento.
Il comma 2 dell’art. 11 dispone però l’esclusione dal finanziamento per gli accordi di programma non ratificati entro il 31 dicembre 2007[118].
L’art. 12, comma 1, ha inoltre previsto la possibilità di introdurre varianti ai programmi sulla mobilità dei dipendenti pubblici, impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, qualora questi siano già stati ammessi al finanziamento, siano stati approvati dal consiglio comunale e qualora dalla variante non derivino variazioni nel finanziamento pubblico o nel numero degli alloggi.
Il comma 2 dell’art. 12 prevede l’esclusione dal finanziamento qualora la convenzione urbanistica con il comune per la realizzazione dei programmi non sia conclusa entro il 31 dicembre 2007[119].
Il comma 4 reca una norma di carattere transitorio prevedendo che ledisposizioni di cui all’art. 11, comma 1, della legge n. 136/1999, continuano ad applicarsi fino al 31 dicembre 2009 a tutti i procedimenti pendenti dinanzi al giudice amministrativo alla data di entrata in vigore della presente legge.
Articolo 62
(Modifica dell'articolo 143 del testo
unico di cui al decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267)
1. L'articolo 143 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è sostituito dal seguente:
«Art. 143. - (Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare. Responsabilità dei dirigenti e dipendenti). - 1. Fuori dai casi previsti dall'articolo 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell'articolo 59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.
2. Al fine di verificare la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti ed ai dipendenti dell'ente locale, il prefetto competente per territorio dispone ogni opportuno accertamento, di norma promuovendo l'accesso presso l'ente interessato. In tal caso, il prefetto nomina una commissione d'indagine, composta da tre funzionari della pubblica amministrazione, attraverso la quale esercita i poteri di accesso e di accertamento di cui è titolare per delega del Ministro dell'interno ai sensi dell'articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410. Entro tre mesi dalla data di accesso, rinnovabili una volta per un ulteriore periodo massimo di tre mesi, la commissione termina gli accertamenti e rassegna al prefetto le proprie conclusioni.
3. Entro il termine di quarantacinque giorni dal deposito delle conclusioni della commissione d'indagine, ovvero quando abbia comunque diversamente acquisito gli elementi di cui al comma 1 ovvero in ordine alla sussistenza di forme di condizionamento degli organi amministrativi ed elettivi, il prefetto, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica competente per territorio, invia al Ministro dell'interno una relazione nella quale si dà conto della eventuale sussistenza degli elementi di cui al comma 1 anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti e ai dipendenti dell'ente locale. Nella relazione sono, altresì, indicati gli appalti, i contratti e i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica. Nei casi in cui per i fatti oggetto degli accertamenti di cui al presente articolo o per eventi connessi sia pendente procedimento penale, il prefetto può richiedere preventivamente informazioni al procuratore della Repubblica competente, il quale, in deroga all'articolo 329 del codice di procedura penale, comunica tutte le informazioni che non ritiene debbano rimanere segrete per le esigenze del procedimento.
4. Lo scioglimento di cui al comma 1 è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione di cui al comma 3, ed è immediatamente trasmesso alle Camere. Nella proposta di scioglimento sono indicati in modo analitico le anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l'interesse pubblico; la proposta indica, altresì, gli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento. Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia, di componente delle rispettive giunte e di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti.
5. Anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell'ente locale, con decreto del Ministro dell'interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell'ente, ivi inclusa la sospensione dall'impiego del dipendente, ovvero la sua destinazione ad altro ufficio o altra mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte dell'autorità competente.
6. A decorrere dalla data di pubblicazione del decreto di scioglimento sono risolti di diritto gli incarichi di cui all'articolo 110, nonché gli incarichi di revisore dei conti e i rapporti di consulenza e di collaborazione coordinata e continuativa che non siano stati rinnovati dalla commissione straordinaria di cui all'articolo 144 entro quarantacinque giorni dal suo insediamento.
7. Nel caso in cui non sussistano i presupposti per lo scioglimento o l'adozione di altri provvedimenti di cui al comma 5, il Ministro dell'interno, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione di cui al comma 3, emana comunque un decreto di conclusione del procedimento in cui dà conto degli esiti dell'attività di accertamento. Le modalità di pubblicazione dei provvedimenti emessi in caso di insussistenza dei presupposti per la proposta di scioglimento sono disciplinate dal Ministro dell'interno con proprio decreto.
8. Se dalla relazione prefettizia emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti tra singoli amministratori e la criminalità organizzata di tipo mafioso, il Ministro dell'interno trasmette la relazione di cui al comma 3 all'autorità giudiziaria competente per territorio, ai fini dell'applicazione delle misure di prevenzione previste nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575.
9. Il decreto di scioglimento è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Al decreto sono allegate la proposta del Ministro dell'interno e la relazione del prefetto, salvo che il Consiglio dei ministri disponga di mantenere la riservatezza su parti della proposta o della relazione nei casi in cui lo ritenga strettamente necessario.
10. Il decreto di scioglimento conserva i suoi effetti per un periodo da dodici mesi a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali, dandone comunicazione alle Commissioni parlamentari competenti, al fine di assicurare il regolare funzionamento dei servizi affidati alle amministrazioni, nel rispetto dei princìpi di imparzialità e di buon andamento dell'azione amministrativa. Le elezioni dei consigli sciolti ai sensi del presente articolo si svolgono nella prima giornata domenicale successiva alla scadenza della durata dello scioglimento. La data delle elezioni è fissata dal prefetto con proprio decreto, d'intesa con il presidente della corte d'appello. Qualora la giornata domenicale coincida con la festività della Pasqua o cada in periodi compresi fra il 1o agosto e il 15 settembre e tra il 15 dicembre e il 15 gennaio, il prefetto fissa la data delle elezioni nella prima giornata domenicale successiva alla predetta festività o ai predetti periodi. L'eventuale provvedimento di proroga della durata dello scioglimento è adottato non oltre il cinquantesimo giorno antecedente alla data di scadenza della durata dello scioglimento stesso, osservando le procedure e le modalità stabilite nel comma 4.
11. Fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l'ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo. Ai fini della dichiarazione d'incandidabilità il Ministro dell'interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente per territorio, che valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa. Si applicano, in quanto compatibili, le procedure di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura civile.
12. Quando ricorrono motivi di urgente necessità, il prefetto, in attesa del decreto di scioglimento, sospende gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni altro incarico ad essa connesso, assicurando la provvisoria amministrazione dell'ente mediante invio di commissari. La sospensione non può eccedere la durata di sessanta giorni e il termine del decreto di cui al comma 10 decorre dalla data del provvedimento di sospensione.
13. Si fa luogo comunque allo scioglimento degli organi, a norma del presente articolo, quando sussistono le condizioni indicate nel comma 1, ancorché ricorrano le situazioni previste dall'articolo 141».
L'articolo 62, sostituendo integralmente l’art. 143 del Testo unico sugli enti locali (D.Lgs. 267/2000[120], di seguito: t.u.e.l.), modifica la normativa in materia di scioglimento dei consigli comunali e provinciali in conseguenza di fenomeni di infiltrazioni e di condizionamenti di tipo mafioso o similare attualmente vigente (illustrata nel paragrafo successivo, al quale fa seguito un raffronto tra il testo in vigore dell’art. 143 e quello risultante dalle modifiche proposte).
Nella XV legislatura la Commissione Affari costituzionali della Camera ha esaminato alcune proposte di legge in materia di scioglimento degli enti locali per infiltrazioni mafiose (A.C. 1134 e abb.), elaborando un testo recante una complessiva riforma della disciplina vigente in materia, dettata dagli articoli 143-146 del t.u.e.l.; l’iter non è giunto a conclusione.
L’art. 62 in esame riprende sostanzialmente il testo dell’art. 143 del t.u.e.l. nella formulazione proposta dalla Commissione Affari costituzionali nella scorsa legislatura.
Il comma 1 del nuovo testo dell’art. 143 precisa che gli elementi da cui emergono i collegamenti o i condizionamenti di tipo mafioso, che determinano lo scioglimento dei consigli degli enti locali, devono essere “concreti, univoci e rilevanti” e introduce una maggiore specificazione della fattispecie del condizionamento attraverso la distinzione della fattispecie della alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi, da quella della compromissione del buon andamento o dell'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali.
Sotto quest’ultimo profilo il testo riprende sostanzialmente il contenuto della circolare del Ministero dell’interno n. 7102/M/6 del 25 giugno 1991, relativa alla applicazione delle disposizioni in materia di scioglimento attualmente vigenti, che fu richiamata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 103 del 1993 quale parametro interpretativo rilevante a garantire obiettività e coerenza nell'esercizio del potere straordinario di scioglimento degli organi elettivi conferito all'autorità amministrativa. Al riguardo, la circolare evidenzia come il condizionamento debba tradursi in uno “stato di fatto nel quale il processo di formazione della volontà degli amministrazioni subisca alterazioni per effetto dell’interferenza di fattori, esterni al quadro degli interessi locali, riconducibili alla criminalità organizzata”.
Il comma 1, nell’indicare i presupposti per lo scioglimento dei consigli, prevede anche l’inserimento, dopo le parole “collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso”, delle parole “o similare”, impiegando la stessa terminologia usata nelle più recenti leggi istitutive della Commissione parlamentare antimafia, con lo scopo di ricomprendere anche le organizzazioni criminali che non sono connotate dai requisiti previsti dall’art. 416-bis del codice penale, ma che hanno caratteristiche simili, come quelle straniere o transnazionali.
La stessa disposizione individua i soggetti interessati dalla disciplina in esame attraverso il rinvio all’art. 77, comma 2, del t.u.e.l..
Secondo l’art. 77, comma 2, del t.u.e.l. sono amministratori i sindaci, anche metropolitani, i presidenti delle province, i consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province, i componenti delle giunte comunali, metropolitane e provinciali, i presidenti dei consigli comunali, metropolitani e provinciali, i presidenti, i consiglieri e gli assessori delle comunità montane, i componenti degli organi delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, i componenti degli organi di decentramento.
L’estensione della disciplina sullo scioglimento degli enti locali per infiltrazioni mafiose a tutti gli amministratori locali è già prevista, con più ampia portata, dall’art. 146, comma 1, del t.u.e.l., ai sensi del quale essa si applica a: comuni; province; città metropolitane; comunità montane; comunità isolane; unioni di comuni; consorzi di comuni e province; aziende sanitarie locali ed ospedaliere; aziende speciali dei comuni e delle province; consigli circoscrizionali.
La nuova formulazione dell’art. 143 del t.u.e.l. introduce in primo luogo una disciplina di rango legislativo del procedimento di accertamento dei presupposti richiesti dalla legge per lo scioglimento dei consigli degli enti locali, procedimento che non è attualmente oggetto delle disposizioni del t.u.e.l.
Al riguardo, il comma 2 dell’art. 143 nel nuovo testo dispone che il prefetto debba procedere alla verifica della sussistenza degli elementi richiesti per lo scioglimento di norma attraverso l'accesso presso l'ente interessato in virtù dei poteri di accesso e di accertamento di cui è titolare per delega del Ministro dell'interno in materia di contrasto alla criminalità organizzata. In tale ipotesi, che è prevista dalla legislazione vigente[121], ma non è indicata quale passaggio ordinario per procedere allo scioglimento del consiglio dell’ente locale, il prefetto nomina una commissione di indagine, composta di tre membri scelti tra funzionari delle pubbliche amministrazioni (la c.d. commissione di accesso), la quale dovrà svolgere i propri accertamenti entro tre mesi (prorogabili per una sola volta per un periodo massimo di ulteriori tre mesi) e consegnare le proprie conclusioni al prefetto.
Il comma 3 dell’art. 143 disciplina in modo più puntuale rispetto alla normativa vigente anche la fase del procedimento di scioglimento di competenza del prefetto¸ individuando in modo analitico:
§ i termini per la conclusione della fase del procedimento (il prefetto, decorsi 45 giorni dal momento in cui la commissione di accesso ha rassegnato le proprie conclusioni, ovvero quando abbia altrimenti acquisito “gli elementi di cui al comma 1 ovvero in ordine alle infiltrazioni o ai condizionamenti mafiosi”, deve trasmettere al Ministro dell’interno una relazione in ordine alla sussistenza degli elementi richiesti per lo scioglimento);
Si segnala che l’inserimento del termine “ovvero” potrebbe essere dovuto ad errore materiale.
§ la fase dell’istruttoria della relazione in ordine alla sussistenza degli elementi richiesti per lo scioglimento (in particolare, si prevede che la relazione sia inviata dopo aver sentito il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica competente per territorio);
§ il contenuto della relazione formulata dal prefetto (essa deve in particolare indicare gli elementi che sono alla base della proposta, eventualmente precisando se essi si riferiscono anche ai dirigenti e ai dipendenti dell’ente locale, e gli appalti, i contratti o servizi interessati da condizionamenti, infiltrazioni o condotte antigiuridiche).
Il comma 3 inoltre, dà facoltà al prefetto, in pendenza di un procedimento penale per i medesimi fatti oggetto degli accertamenti per la verifica della sussistenza degli elementi richiesti per lo scioglimento, di richiedere in via preventiva informazioni al procuratore della Repubblica, il quale è tenuto a trasmetterle, anche in deroga alle disposizioni del codice di procedura penale sull’obbligo del segreto, eccetto nei casi in cui non reputi necessario che rimangano segrete per le esigenze del procedimento.
Ulteriori specificazioni sono stabilite riguardo alla disciplina del decreto di scioglimento dei consigli comunali e provinciali: il comma 4 fissa i termini procedimentali (il decreto deve intervenire entro tre mesi dalla trasmissione della relazione prefettizia) e indica in modo analitico il contenuto della proposta di scioglimento formulata dal Ministro dell’interno, nella quale devono essere specificate le irregolarità rilevate, i provvedimenti ritenuti necessari per eliminare sollecitamente gli effetti negativi per l’interesse pubblico, gli amministratori reputati responsabili dei comportamenti che hanno determinato lo scioglimento.
Viene inoltre regolata in modo specifico l’eventualità che non sussistano i presupposti per la proposta di scioglimento. In tal caso si prevede (art. 143, comma 7, del t.u.e.l. nella nuova formulazione) che il procedimento debba comunque concludersi, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione prefettizia, con un provvedimento espresso, di competenza del Ministro dell’interno, che dia conto degli esiti dell’attività di accertamento.
Innovazioni sono introdotte anche con riferimento alla pubblicità degli atti endoprocedimentali, prevedendosi (art. 143, comma 9, del t.u.e.l. nella nuova formulazione) che nella Gazzetta Ufficiale sia pubblicato non solo il decreto di scioglimento, ma anche la proposta del ministro dell’interno e la relazione prefettizia, salva diversa decisione del Consiglio dei ministri, che può mantenere la riservatezza integrale o parziale di detti documenti nei casi strettamente necessari. Forme di pubblicità da stabilire con decreto del Ministero dell’interno sono previste anche per i provvedimenti emessi in caso di insussistenza dei presupposti per la proposta di scioglimento (art. 143, comma 7, del t.u.e.l. nella nuova formulazione).
Il comma 10 del nuovo testo dell’art. 143del t.u.e.l., non innova circa il periodo di efficacia del decreto di scioglimento, che – in base alla legislazione vigente – può variare da 12 a 18 mesi ed è prorogabile fino a 24 mesi. Tuttavia, il medesimo comma detta una disciplina speciale per lo svolgimento delle elezioni per il rinnovo dei consigli degli enti locali al termine del periodo di commissariamento, al fine di garantire che esse si tengano immediatamente dopo la scadenza del periodo di durata dello scioglimento, evitando che la gestione commissariale possa di fatto prolungarsi oltre i termini previsti dal decreto di scioglimento.
La data delle elezioni è fissata con decreto del prefetto, di intesa con il Presidente della Corte di Appello, nella prima domenica successiva alla cessazione dell’efficacia del decreto di scioglimento, salvo un rinvio alla prima domenica utile qualora la data risultasse coincidere con il giorno di Pasqua o rientrasse nei periodi compresi tra il 1° agosto e il 15 settembre o tra il 15 dicembre ed il 15 gennaio.
Attualmente, invece, per effetto di quanto disposto dall’art. 2 della L. 182/1991[122] , se la data di scadenza della gestione commissariale si verifica entro il 24 febbraio, le elezioni dei consigli comunali e provinciali sciolti si svolgono nel turno annuale ordinario dello stesso anno, che si tiene in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno, mentre in caso contrario esse slittano al turno ordinario dell’anno successivo.
Il comma 10 nella nuova formulazione prevede inoltre che la durata dello scioglimento possa essere prorogata con provvedimento adottato non oltre il 50° giorno dalla scadenza dello scioglimento (attualmente la proroga può essere disposta non più tardi del 50° giorno antecedente la data delle elezioni per il rinnovo del consiglio sciolto).
Il comma 8 del nuovo testodell’art. 143 è volto ad integrare l’attuale disciplina legislativa in materia di scioglimento dei consigli degli enti locali nella parte in cui essa non prevede adeguate misure sanzionatorie nei casi in cui si riscontrino collegamenti tra la criminalità organizzata e singoli consiglieri comunali o provinciali, senza che emergano elementi tali da far ritenere sia stata condizionata l'attività dell'organo rappresentativo.
A tale scopo la disposizione in esame stabilisce che, qualora dalla relazione prefettizia in ordine alla sussistenza degli elementi richiesti per lo scioglimento del consiglio dell’ente emergano elementi concreti, univoci e rilevanti su collegamenti tra singoli amministratori e la criminalità organizzata di tipo mafioso, il Ministro dell’interno trasmetta la relazione all’autorità giudiziaria ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione previste nei confronti dei soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso.
L’eventuale applicazione della misura di prevenzione avrebbe effetti particolarmente rilevanti sui diritti di elettorato passivo del destinatario della misura stessa, tenuto conto che il t.u.e.l. (artt. 58 e 59) prevede:
§ l’incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali, l’impossibilità di ricoprire cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente di aziende speciali e istituzioni, presidente e componente degli organi delle comunità montane, nonché la decadenza dalla carica per coloro nei confronti dei quali il tribunale ha applicato, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione in relazione alla partecipazione ad associazioni di carattere mafioso;
§ la sospensione di diritto dalle medesime cariche per coloro nei confronti dei quali il tribunale ha applicato, con provvedimento non definitivo, una misura di prevenzione in relazione alla partecipazione ad associazioni di carattere mafioso.
Il comma 11 del nuovo testo dell’art. 143 introduce una importante misura preventiva nei confronti degli amministratori locali che con le loro condotte abbiano determinato lo scioglimento del consiglio dell’ente locale: l'incandidabilità temporanea, limitata dal punto di vista sia temporale (al turno di elezione immediatamente successivo allo scioglimento), sia territoriale.
Tali soggetti non possono essere candidati nel primo turno elettorale successivo allo scioglimento nelle elezioni per il rinnovo dei consigli regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali che si svolgono nella regione in cui si trova l’ente il cui consiglio sia stato sciolto.
L’incandidabilità deve essere dichiarata con un provvedimento definitivo di carattere giurisdizionale. Ai fini di tale dichiarazione, il Ministro dell’interno trasmette la proposta di scioglimento al Tribunale competente, che decide relativamente agli amministratori in essa indicati, applicando – in quanto compatibili – le norme previste per i procedimenti in camera di consiglio in sede civile (articolo 737 e seguenti del codice di procedura civile).
Un rilevante elemento di novità introdotto dall’articolo in esame è rappresentato dall’estensione dei rimedi contro i collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso e contro i suoi condizionamenti anche a carico di segretari comunali e provinciali, direttori generali, dirigenti e dipendenti dell’ente locale, allo scopo di fronteggiare i fenomeni di infiltrazione e condizionamento che si possonoporre in atto attraverso i responsabili della gestione burocratico-amministrativa dell’ente.
Come è stato evidenziato nella precedente legislatura nel corso dell’esame delle proposte di legge di revisione della disciplina dello scioglimento degli enti locali per infiltrazioni di tipo mafioso, sono ipotizzabili forme di condizionamento da parte della criminalità mafiosa che si indirizzino non tanto agli organi consiliari o alle giunte degli enti locali quanto piuttosto ai dirigenti degli enti stessi, ai quali la legge attribuisce un’ampia sfera di autonomia decisionale. Di qui l’esigenza, più volte emersa nel corso dell’iter, di introdurre misure specificamente destinate a far fronte al manifestarsi di fenomeni di infiltrazione e di condizionamento riferite ai vertici amministrativi e, più in generale, ai dipendenti degli enti locali.
In questa ottica il comma 2 dell’art. 143 del t.u.e.l., come riformulato dall’articolo in esame, prevede in primo luogo che gli accertamenti effettuati dal prefetto in ordine alla sussistenza degli elementi circa collegamenti e condizionamenti da parte della criminalità mafiosa debba essere effettuato anche con riferimento a segretari comunali e provinciali, direttori generali, dirigenti e dipendenti dell’ente locale.
Qualora, anche in esito ai controlli effettuati, la relazione prefettizia evidenzi la sussistenza di elementi concreti, univoci e rilevanti circa collegamenti e condizionamenti nei confronti di dette categorie di soggetti, il Ministro dell’interno, con decreto adottato su proposta del Prefetto, prende ogni provvedimento utile a far cessare la situazione in atto, nonché a ripristinare la normale vita amministrativa dell’ente, ivi incluse la sospensione dall’impiego, la sua destinazione ad altro ufficio o ad altra mansione, con obbligo di attivazione del procedimento disciplinare (comma 5, del nuovo testo dell’art. 143 del t.u.e.l.).
Il comma 6 del nuovo testo dell’art. 143 del t.u.e.l. dispone invece la risoluzione di diritto, dopo lo scioglimento, degli incarichi di alcuni collaboratori esterni dell’ente locale, ove non rinnovati dalla commissione straordinaria per la gestione dell’ente disciolto nei 45 giorni successivi al suo insediamento: si tratta in particolare degli incarichi per qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione affidati mediante contratto a tempo determinato, degli incarichi di revisore dei conti e dei rapporti di consulenza e di collaborazione coordinata e continuativa.
Nell’ambito dei controlli statali sugli enti locali, disciplinati dal titolo VI della parte prima del T.U.E.L., una disciplina particolare (contenuta negli articoli da 143 a 146) è prevista per contrastare le infiltrazioni e i condizionamenti di tipo mafioso.
L’art. 143 del D.Lgs. 267/2000 disciplina lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso.
Tale misura viene adottata qualora emergano elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento nei riguardi degli amministratori stessi, che compromettano la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni, nonché il regolare funzionamento dei servizi, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. Lo scioglimento del consiglio comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco e di componente di giunta e di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte (comma 1).
Lo scioglimento del consiglio è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell’interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, che viene trasmessa alle Camere (comma 2). La responsabilità dell’avvio del procedimento è del prefetto della provincia interessata con la predisposizione di una relazione. La relazione tiene conto anche degli elementi acquisiti da prefetto con i poteri a lui delegati dal ministro dell’interno ai sensi dell’art. 2, comma 2-quater, del D.L. 345/1991[123].
Se il prefetto, nel corso dell’attività istruttoria, dispone accertamenti su fatti oggetto di procedimento penale, può chiedere informazioni al procuratore della Repubblica competente. Quest’ultimo, a meno che non ritenga che le informazioni debbano rimanere segrete per esigenze del procedimento, le comunica al prefetto in deroga all’obbligo di tenere segreti gli atti d’indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari (segreto investigativo o di indagine: art. 329 del codice di procedura penale).
Il decreto di scioglimento esplica i suoi effetti per un periodo da dodici a diciotto mesi, prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali, al fine di assicurare il buon andamento delle amministrazioni e il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati (comma 3).
La proroga non può essere disposta nei 50 giorni che precedono le elezioni dei consigli interessati (comma 4).
Nelle more dell’emanazione del provvedimento di scioglimento, il prefetto, qualora ravvisi motivi di urgenza, dispone la sospensione degli organi. L’attività corrente è assicurata da un commissario nominato dal prefetto stesso (comma 5). La sospensione non può avere durata superiore a 60 giorni.
Nel caso in cui in una medesima realtà siano presenti sia fenomeni di infiltrazione mafiosa, sia elementi perturbativi del regolare funzionamento degli organi di tipo diverso (indicati dall’art. 141 del testo unico), il procedimento di scioglimento per mafia prevale e si applica anche in queste situazioni (comma 6).
Con il decreto di scioglimento è nominata una commissione straordinaria per la gestione dell’ente, che rimane in carica fino allo svolgimento del primo turno elettorale utile. Un comitato istituito presso il Ministero dell’interno ha il compito di sostenere e monitorare l’attività delle commissioni straordinarie (art. 144).
L’art. 145 disciplina la gestione straordinaria degli enti colpiti dal provvedimento di scioglimento prevedendo, tra l’altro, l’adozione da parte della commissione straordinaria di un piano di priorità degli interventi per servizi e opere pubbliche indifferibili e l’eventuale revoca, da parte della commissione degli appalti di lavori pubblici e di pubbliche forniture e degli affidamenti delle concessioni di servizi pubblici locali
L’art. 145-bis definisce una procedura speciale per la gestione e il risanamento finanziario dei comuni con popolazione inferiore a 20.000 abitanti sciolti per infiltrazioni mafiose.
L’art. 146 delimita l’ambito di applicazione delle disposizioni illustrate a:
§ i comuni;
§ le province;
§ le città metropolitane;
§ le comunità montane;
§ le comunità isolane;
§ le unioni di comuni;
§ i consorzi di comuni e province;
§ le aziende sanitarie locali ed ospedaliere;
§ le aziende speciali dei comuni e delle province;
§ i consigli circoscrizionali.
È qui di seguito posto a confronto il testo vigente dell’art. 143 del t.u.e.l. con quello risultante dalle modifiche previste dall’articolo 62 in esame:
D.Lgs. 267/2000 |
D.Lgs. 267/2000 |
Articolo
143 |
Articolo
143 |
1. Fuori dei casi previsti dall'articolo 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell'articolo 59, comma 7, emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.
Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia e di componente delle rispettive giunte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti, nonché di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte. |
1. Fuori dai casi previsti dall'articolo 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell'articolo 59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.
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2. Al fine di verificare la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti ed ai dipendenti dell'ente locale, il prefetto competente per territorio dispone ogni opportuno accertamento, di norma promuovendo l'accesso presso l'ente interessato. In tal caso, il prefetto nomina una commissione d'indagine, composta da tre funzionari della pubblica amministrazione, attraverso la quale esercita i poteri di accesso e di accertamento di cui è titolare per delega del Ministro dell'interno ai sensi dell'articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410. Entro tre mesi dalla data di accesso, rinnovabili una volta per un ulteriore periodo massimo di tre mesi, la commissione termina gli accertamenti e rassegna al prefetto le proprie conclusioni. |
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3. Entro il termine di quarantacinque giorni dal deposito delle conclusioni della commissione d'indagine, ovvero quando abbia comunque diversamente acquisito gli elementi di cui al comma 1 ovvero in ordine alla sussistenza di forme di condizionamento degli organi amministrativi ed elettivi, il prefetto, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica competente per territorio, invia al Ministro dell'interno una relazione nella quale si dà conto della eventuale sussistenza degli elementi di cui al comma 1 anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti e ai dipendenti dell'ente locale. Nella relazione sono, altresì, indicati gli appalti, i contratti e i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica. Nei casi in cui per i fatti oggetto degli accertamenti di cui al presente articolo o per eventi connessi sia pendente procedimento penale, il prefetto può richiedere preventivamente informazioni al procuratore della Repubblica competente, il quale, in deroga all'articolo 329 del codice di procedura penale, comunica tutte le informazioni che non ritiene debbano rimanere segrete per le esigenze del procedimento. |
2. Lo scioglimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il provvedimento di scioglimento deliberato dal Consiglio dei Ministri è trasmesso al Presidente della Repubblica per l'emanazione del decreto ed è contestualmente trasmesso alle Camere. Il procedimento è avviato dal prefetto della provincia con una relazione che tiene anche conto di elementi eventualmente acquisiti con i poteri delegati dal Ministro dell'interno ai sensi dell'articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, e successive modificazioni ed integrazioni. Nei casi in cui per i fatti oggetto degli accertamenti di cui al comma 1 o per eventi connessi sia pendente procedimento penale, il prefetto può richiedere preventivamente informazioni al procuratore della Repubblica competente, il quale, in deroga all'articolo 329 del codice di procedura penale, comunica tutte le informazioni che non ritiene debbano rimanere segrete per le esigenze del procedimento. |
4. Lo scioglimento di cui al comma 1 è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione di cui al comma 3, ed è immediatamente trasmesso alle Camere. Nella proposta di scioglimento sono indicati in modo analitico le anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l'interesse pubblico; la proposta indica, altresì, gli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento. Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia, di componente delle rispettive giunte e di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti. |
|
5. Anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell'ente locale, con decreto del Ministro dell'interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell'ente, ivi inclusa la sospensione dall'impiego del dipendente, ovvero la sua destinazione ad altro ufficio o altra mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte dell'autorità competente. |
|
6. A decorrere dalla data di pubblicazione del decreto di scioglimento sono risolti di diritto gli incarichi di cui all'articolo 110, nonché gli incarichi di revisore dei conti e i rapporti di consulenza e di collaborazione coordinata e continuativa che non siano stati rinnovati dalla commissione straordinaria di cui all'articolo 144 entro quarantacinque giorni dal suo insediamento. |
|
7. Nel caso in cui non sussistano i presupposti per lo scioglimento o l'adozione di altri provvedimenti di cui al comma 5, il Ministro dell'interno, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione di cui al comma 3, emana comunque un decreto di conclusione del procedimento in cui dà conto degli esiti dell'attività di accertamento. Le modalità di pubblicazione dei provvedimenti emessi in caso di insussistenza dei presupposti per la proposta di scioglimento sono disciplinate dal Ministro dell'interno con proprio decreto. |
|
8. Se dalla relazione prefettizia emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti tra singoli amministratori e la criminalità organizzata di tipo mafioso, il Ministro dell'interno trasmette la relazione di cui al comma 3 all'autorità giudiziaria competente per territorio, ai fini dell'applicazione delle misure di prevenzione previste nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575. |
vedi il successivo comma 3, ultimo periodo |
9. Il decreto di scioglimento è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Al decreto sono allegate la proposta del Ministro dell'interno e la relazione del prefetto, salvo che il Consiglio dei ministri disponga di mantenere la riservatezza su parti della proposta o della relazione nei casi in cui lo ritenga strettamente necessario. |
3. Il decreto di scioglimento conserva i suoi
effetti per un periodo da dodici a diciotto mesi prorogabili fino ad un
massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali, dandone comunicazione alle
commissioni parlamentari competenti, al fine di assicurare il buon andamento
delle amministrazioni e il regolare funzionamento dei servizi ad esse
affidati. Il decreto di scioglimento, con allegata la relazione del Ministro,
è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. |
10. Il decreto di scioglimento conserva i suoi effetti per un periodo da dodici mesi a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali, dandone comunicazione alle Commissioni parlamentari competenti, al fine di assicurare il regolare funzionamento dei servizi affidati alle amministrazioni, nel rispetto dei princìpi di imparzialità e di buon andamento dell'azione amministrativa. Le elezioni dei consigli sciolti ai sensi del presente articolo si svolgono nella prima giornata domenicale successiva alla scadenza della durata dello scioglimento. La data delle elezioni è fissata dal prefetto con proprio decreto, d'intesa con il presidente della corte d'appello. Qualora la giornata domenicale coincida con la festività della Pasqua o cada in periodi compresi fra il 1o agosto e il 15 settembre e tra il 15 dicembre e il 15 gennaio, il prefetto fissa la data delle elezioni nella prima giornata domenicale successiva alla predetta festività o ai predetti periodi. L'eventuale provvedimento di proroga della durata dello scioglimento è adottato non oltre il cinquantesimo giorno antecedente alla data di scadenza della durata dello scioglimento stesso, osservando le procedure e le modalità stabilite nel comma 4. |
4. Il provvedimento con il quale si dispone l'eventuale proroga della durata dello scioglimento a norma del comma 3 è adottato non oltre il cinquantesimo giorno antecedente la data fissata per lo svolgimento delle elezioni relative al rinnovo degli organi. Si osservano le procedure e le modalità stabilite dal comma 2 del presente articolo. |
vedi l’ultimo periodo del comma 10 |
|
11. Fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l'ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo. Ai fini della dichiarazione d'incandidabilità il Ministro dell'interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente per territorio, che valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa. Si applicano, in quanto compatibili, le procedure di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura civile. |
5. Quando ricorrono motivi di urgente necessità, il prefetto, in attesa del decreto di scioglimento, sospende gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni altro incarico ad essa connesso, assicurando la provvisoria amministrazione dell'ente mediante invio di commissari. La sospensione non può eccedere la durata di 60 giorni e il termine del decreto di cui al comma 3 decorre dalla data del provvedimento di sospensione. |
12. Quando ricorrono motivi di urgente necessità, il prefetto, in attesa del decreto di scioglimento, sospende gli organi dalla carica ricoperta, nonché da ogni altro incarico ad essa connesso, assicurando la provvisoria amministrazione dell'ente mediante invio di commissari. La sospensione non può eccedere la durata di sessanta giorni e il termine del decreto di cui al comma 10 decorre dalla data del provvedimento di sospensione. |
6. Si fa luogo comunque allo scioglimento degli organi a norma del presente articolo quando sussistono le condizioni indicate nel comma 1, ancorché ricorrano le situazioni previste dall'articolo 141. |
13. identico |
Articolo 63
(Modifiche al decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285, e al relativo regolamento di attuazione, in materia di
destinazione dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie)
1. Al comma 2, lettera a), dell'articolo 208 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, le parole: «e della Guardia di finanza» sono sostituite dalle seguenti: «, della Guardia di finanza, della Polizia penitenziaria e del Corpo forestale dello Stato».
2. Al comma 3 dell'articolo 393 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, le parole: «e della Guardia di Finanza» sono sostituite dalle seguenti: «, della Guardia di finanza, della Polizia penitenziaria e del Corpo forestale dello Stato».
L'articolo 63 destina parte dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni previste dal codice della strada all'assistenza e previdenza del personale della Polizia penitenziaria e del Corpo forestale dello Stato, proporzionalmente all'entità dell'ammontare delle violazioni accertate da tali Corpi.
In particolare, il comma 1 novella l’articolo 208 del D.Lgs. n. 285 del 1992 relativo ai proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate per violazioni del codice della strada.
Tale disposizione prevede che i proventi siano devoluti (comma 1):
§ allo Stato, quando le violazioni sono accertate da funzionari, ufficiali ed agenti dello Stato, nonché da funzionari ed agenti delle Ferrovie dello Stato o delle ferrovie e tranvie in concessione. Il comma 2 specifica in che percentuale tali risorse dovranno essere destinate ai ministeri e per quali finalità. Fra queste, in particolare, la disposizione attualmente prevede l'assistenza e previdenza del personale della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza;
§ alle regioni, alle province e ai comuni, quando le violazioni sono accertate da funzionari, ufficiali ed agenti, rispettivamente, delle regioni, delle province e dei comuni. I commi 4 e 4-bis specificano le finalità che Regioni ed Enti locali dovranno perseguire con le risorse acquisite e in che percentuale.
Il disegno di legge aggiunge la Polizia penitenziaria e il Corpo forestale dello Stato alle categorie attualmente previste dall’art. 208 del codice della strada: conseguentemente, parte dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie dovranno essere destinati a finalità di assistenza e previdenza di tali Corpi.
Si segnala che ulteriori novelle all’articolo 208 del codice della strada sono contenute nell’art. 54, comma 5, e 7, comma 2, del disegno di legge in commento.
Con la medesima finalità, e al fine di sare attuazione alle modifiche apportate all’art. 208 del codice della strada, il comma 2 interviene sul regolamento di attuazione del medesimo codice (D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495) per inserire nell’articolo 393 il riferimento alla Polizia penitenziaria e al Corpo forestale dello Stato.
L’articolo 393 detta disposizioni di attuazione dell’art. 208 Cod. Str., in tema di proventi delle violazioni spettanti agli enti locali ed alle Forze dell'Ordine.
In particolare, il comma 1 prescrive agli enti locali di iscrivere nel proprio bilancio annuale un apposito capitolo di entrata e di uscita dei proventi ad essi spettanti. Gli stessi enti dovranno poi fornire al Ministero dei lavori pubblici il rendiconto finale delle entrate e delle spese (comma 2).
Il comma 3, per quanto riguarda le quote dei proventi da destinarsi a finalità di assistenza e previdenza del personale della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, stabilisce che la ripartizione dei fondi è determinata annualmente con decreto del Ministro dell'interno, proporzionalmente all'entità dell'ammontare delle violazioni accertate da ciascun Corpo.
Si segnala che il comma 2 interviene su una norma contenuta in una fonte di rango subordinato alla legge (il regolamento attuativo del codice della strada). Occorre valutare tale disposizione alla luce del punto 3, lettera e), della circolare dei Presidenti di Camera e Senato e del Presidente del Consiglio del 20 aprile 2001, (recante le regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi), in base al quale “non si ricorre all'atto legislativo per apportare modifiche frammentarie ad atti non aventi forza di legge, al fine di evitare che questi ultimi presentino un diverso grado di "resistenza" ad interventi modificativi successivi”.
1. Il primo comma dell'articolo 585 del codice penale è sostituito dal seguente:
«Nei casi previsti dagli articoli 582, 583, 583-bis e 584, la pena è aumentata da un terzo alla metà, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall'articolo 576, ed è aumentata fino a un terzo, se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall'articolo 577, ovvero se il fatto è commesso con armi o con sostanze corrosive, ovvero da persona travisata o da più persone riunite».
L'articolo 64, interviene sulla disciplina delle aggravanti contenuta nell’art. 585 c.p.
L’art. 585 c.p. introduce le aggravanti per i seguenti reati:
- lesioni personale (art. 582);
- lesioni personali gravi e gravissime (art. 583);
- omicidio preterintenzionale (art. 584).
In particolare, la disposizione, rinviando all’articolo 576 c.p., prevede un aumento di pena, da un terzo alla metà, se il fatto è commesso:
§ per eseguire o occultare un altro reato, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato;
§ contro l'ascendente o il discendente per motivi abietti o futili o adoperando sevizie, o agendo con crudeltà verso le persone ovvero quando è adoperato un veleno o un altro mezzo insidioso, ovvero quando vi è premeditazione;
§ dal latitante per sottrarsi all'arresto, alla cattura o alla carcerazione ovvero per procurarsi i mezzi di sussistenza durante la latitanza;
§ dall'associato per delinquere, per sottrarsi all'arresto, alla cattura o alla carcerazione;
§ a seguito della novella contenuta nell’articolo 1 del d.l. n. 11 del 2009, in corso di conversione, in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo e dall’autore del delitto di atti persecutori (delitto introdotto nel c.p. dal medesimo decreto-legge);
§ contro un ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ovvero un ufficiale o agente di pubblica sicurezza, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio.
La pena è invece aumentata fino a un terzo se il fatto è commesso:
§ contro l'ascendente o il discendente;
§ col mezzo del veleno o con altro mezzo insidioso;
§ con premeditazione;
§ per motivi abietti o futili o adoperando sevizie, o agendo con crudeltà verso le persone;
§ con armi o con sostanze corrosive.
Il disegno di legge novella l’articolo 585 c.p. sotto due diversi aspetti:
- in primo luogo, stabilisce che le aggravanti ivi previste devono essere applicate anche al delitto di mutilazioni genitali femminili, di cui all’art. 583-bis del codice penale;
- in secondo luogo, inserisce un’ulteriore aggravante - che comporta un aumento di pena dalla metà ai due terzi - se il fatto è commesso da persona travisata o da più persone riunite.
Si ricorda che l’aggravante del reato in caso di fatto commesso da persona travisata è già prevista dai seguenti articoli:
- art. 339 c.p., in relazione ai delitti di violenza, minaccia, resistenza a pubblico ufficiale nonché violenza o minaccia a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario;
- art. 609-ter, in relazione alla violenza sessuale;
- art. 625 in relazione al furto;
- art. 628 in relazione alla rapina.
L’aggravante per fatto commesso da più persone riunite ricorre invece nei seguenti articoli:
- art. 339 c.p. (v. sopra);
- art. 385 in relazione al reato di evasione;
- art. 628 in relazione alla rapina.
Si ricorda infine che, chiamata a pronunciarsi sull’espressione “più persone riunite”, contenuta nell’art. 609-octies in relazione al delitto di violenza sessuale di gruppo, la giurisprudenza ha affermato che l'espressione «comprende anche l'ipotesi che gli autori del fatto siano soltanto due» (Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 11541 del 11 ottobre 1999). Pur in riferimento a quel particolare delitto, la Cassazione ha chiarito che «è necessario che più persone riunite partecipino alla commissione del fatto; non è tuttavia richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale alla commissione del reato, né è necessario che i componenti del gruppo assistano al compimento degli atti di violenza sessuale, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e nel momento in cui detti atti vengono compiuti, anche da uno solo dei compartecipi, atteso che la determinazione di quest'ultimo viene rafforzata dalla consapevolezza della presenza del gruppo» (Sez. III, sent. n. 6464 del 1 giugno 2000).
1. All'articolo 24 del codice penale: al primo comma, le parole: «non inferiore a euro 5» sono sostituite dalle seguenti: «non inferiore a euro 50» e le parole: «né superiore a euro 5.164» sono sostituite dalle seguenti: «né superiore a euro 50.000»; al secondo comma, le parole: «da euro 5 a euro 2.065» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 50 a euro 25.000».
2. All'articolo 26 del codice penale, le parole: «non inferiore a euro 2» sono sostituite dalle seguenti: «non inferiore a euro 20» e le parole: «né superiore a euro 1.032» sono sostituite dalle seguenti: «né superiore a euro 10.000».
3. All'articolo 135 del codice penale, le parole: «calcolando euro 38, o frazione di euro 38» sono sostituite dalle seguenti: «calcolando euro 250, o frazione di euro 250».
4. All'articolo 10, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, le parole: «non inferiore a lire dodicimila» sono sostituite dalle seguenti: «non inferiore a euro 10» e le parole: «non superiore a lire venti milioni» sono sostituite dalle seguenti: «non superiore a euro 15.000».
5. All'articolo 114, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, le parole: «a lire quattromila» e «a lire diecimila» sono sostituite dalle seguenti: «a euro 20» e «a euro 50».
6. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi diretti a rivalutare l'ammontare delle multe, delle ammende e delle sanzioni amministrative originariamente previste come sanzioni penali, attualmente vigenti. Fermi restando i limiti minimi e massimi delle multe e delle ammende previsti dal codice penale, nonché quelli previsti per le sanzioni amministrative dall'articolo 10 della legge 24 novembre 1981, n. 689, la rivalutazione delle sanzioni pecuniarie è stabilita nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) le pene pecuniarie, il cui attuale ammontare sia stato stabilito con una disposizione entrata in vigore anteriormente al 24 novembre 1981, sono moltiplicate, tenuto conto della serie storica degli indici di aumento dei prezzi al consumo, per un coefficiente non inferiore a 6 e non superiore a 10;
b) le pene pecuniarie, il cui attuale ammontare sia stato stabilito con una disposizione entrata in vigore successivamente al 24 novembre 1981 e prima del 31 dicembre 1986, ad eccezione delle leggi in materia di imposte dirette e di tasse ed imposte indirette sugli affari, sono moltiplicate, tenuto conto della serie storica degli indici di aumento dei prezzi al consumo, per un coefficiente non inferiore a 3 e non superiore a 6;
c) le pene pecuniarie, il cui attuale ammontare sia stato stabilito con una disposizione entrata in vigore successivamente al 31 dicembre 1986 e prima del 31 dicembre 1991, ad eccezione delle leggi in materia di imposte dirette e di tasse ed imposte indirette sugli affari, sono moltiplicate, tenuto conto della serie storica degli indici di aumento dei prezzi al consumo, per un coefficiente non inferiore a 2 e non superiore a 3;
d) le pene pecuniarie, il cui attuale ammontare sia stato stabilito con una disposizione entrata in vigore successivamente al 31 dicembre 1991 e prima del 31 dicembre 1996, ad eccezione delle leggi in materia di imposte dirette e di tasse ed imposte indirette sugli affari, sono moltiplicate, tenuto conto della serie storica degli indici di aumento dei prezzi al consumo, per un coefficiente non inferiore a 1,50 e non superiore a 2;
e) le pene pecuniarie, il cui attuale ammontare sia stato stabilito con una disposizione entrata in vigore successivamente al 31 dicembre 1996 e prima del 31 dicembre 2001, ad eccezione delle leggi in materia di imposte dirette e di tasse ed imposte indirette sugli affari, sono moltiplicate, tenuto conto della serie storica degli indici di aumento dei prezzi al consumo, per un coefficiente non inferiore a 1,30 e non superiore a 1,50.
7. Il Governo predispone gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 6 entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e li trasmette alle competenti Commissioni parlamentari che esprimono il loro parere entro i sessanta giorni successivi.
L’articolo 65 del disegno di legge opera una rivalutazione dell’entità delle pene pecuniarie previste dal codice penale e dalla legge n. 689 del 1981, sul sistema sanzionatorio amministrativo. Conferisce inoltre una delega al governo per l’adeguamento complessivo di tutte le multe, ammende e sanzioni amministrative.
In particolare, i commi da 1 a 3 della disposizione in commento, novellano gli articoli 24, 26 e 135 del codice penale, rispettivamente in tema di multe, ammende e ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria, per innalzare (sostanzialmente decuplicare) le somme ivi previste.
Normativa vigente |
AC 2180 |
Codice penale |
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Art. 24 |
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La pena della multa consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a euro 5, né superiore a euro 5.164. |
La pena della multa consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a euro 50, né superiore a euro 50.000. |
Per i delitti determinati da motivi di lucro, se la legge stabilisce soltanto la pena della reclusione, il giudice può aggiungere la multa da euro 5 a euro 2.065. |
Per i delitti determinati da motivi di lucro, se la legge stabilisce soltanto la pena della reclusione, il giudice può aggiungere la multa da euro 50 a euro 25.000. |
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Art. 26 |
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La pena dell'ammenda consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a euro 2 né superiore a euro 1.032. |
La pena dell'ammenda consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a euro 20 né superiore a euro 10.000. |
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Art. 135 |
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Quando, per qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando euro 38, o frazione di euro 38, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva. |
Quando, per qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando euro 250, o frazione di euro 250, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva. |
Analogamente, i commi 4 e 5 dell’articolo 65, intervenendo sulla legge n. 689 del 1981[124], aumentano – anche sostituendo il riferimento alla lira con quello all’euro – i limiti edittali della sanzione amministrativa (previsti dall’articolo 10 della legge) ed i relativi possibili aumenti (articolo 114).
Normativa vigente |
AC 2180 |
Legge n. 689 del 1981 |
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Art. 10 |
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La sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma non inferiore a lire dodicimila e non superiore a lire venti milioni. Le sanzioni proporzionali non hanno limite massimo. |
La sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma non inferiore a euro 10 e non superiore a euro 15.000. Le sanzioni proporzionali non hanno limite massimo. |
Fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, il limite massimo della sanzione amministrativa pecuniaria non può, per ciascuna violazione superare il decuplo del minimo. |
Identico. |
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Art.
114 |
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Le disposizioni dell'articolo precedente si applicano a tutte le sanzioni amministrative pecuniarie originariamente previste come sanzioni penali. |
Identico. |
Le altre sanzioni amministrative pecuniarie inferiori nel minimo a lire quattromila o nel massimo a lire diecimila sono elevate, rispettivamente, a lire quattromila e a lire diecimila. |
Le altre sanzioni amministrative pecuniarie inferiori nel minimo a euro 20 o nel massimo a euro 50 sono elevate, rispettivamente, a euro 20 e a euro 50. |
Le disposizioni dei precedenti commi si applicano anche alle violazioni finanziarie. |
Identico. |
I commi 6 e 7 dell’articolo 65 contengono una delega al Governo per la rivalutazione – nel rispetto dei minimi e massimi individuati dai commi precedenti - dell’ammontare delle sanzioni penali pecuniarie (multa e ammenda) e delle sanzioni amministrative pecuniarie frutto di depenalizzazioni.
Tale rivalutazione dovrà essere operata entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge in esame e nel rispetto dei principi e criteri direttivi indicati dal comma 6. Tali principi e criteri direttivi dividono le pene pecuniarie in categorie basate sulla data di entrata in vigore della disposizione che le prevede; per ciascuna categoria, il legislatore stabilisce che la rivalutazione debba essere effettuata moltiplicando tali cifre originarie per un coefficiente da sceglier entro un minimo e un massimo dato, anche tenendo conto degli indici ISTAT di aumento dei prezzi al consumo.
Analiticamente,
art. 65, co. 6 |
Pene pecuniarie |
Coefficiente di moltiplicazione |
Lett. a) |
prima del 24/11/1981 |
da 6 a 10 |
Lett. b) |
dopo il
24/111981 ma prima del 31/12/1986 |
da 3 a 6 |
Lett. c) |
dopo il
31/12/1986 ma prima del 31/12/1991 |