Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento finanze
Titolo: Temi del federalismo fiscale - Coordinamento della finanza pubblica, patto di stabilità interno e armonizzazione dei bilanci pubblici
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 20    Progressivo: 2
Data: 16/10/2008
Descrittori:
BILANCI PUBBLICI   FEDERALISMO
FINANZA PUBBLICA   ORGANIZZAZIONE FISCALE
Organi della Camera: VI-Finanze


Il processo di decentramento in atto, che attribuisce ai livelli locali di governo funzioni di spesa e dotazioni di risorse proprie adeguate al finanziamento delle funzioni stesse, accresce considerevolmente l’esigenza generale di un coordinamento fra l’azione dei diversi attori che concorrono congiuntamente a determinare la politica economica del Paese.

Dopo l’attribuzione al livello comunitario della direzione della politica monetaria, avvenuta con l’adozione della moneta comune, occorre far sì che l’assegnazione ai governi locali di quote crescenti di autonomia finanziaria sia compatibile con le esigenze di mantenimento del controllo pubblico della politica fiscale.

Emerge pertanto l’esigenza di individuare sedi, procedure e strumenti di coordinamento che assicurino la convergenza delle diverse politiche, attuate a livello centrale e locale, verso obiettivi condivisi, salvaguardando al tempo stesso l’autonomia di ciascun comparto.

Un settore in cui l’esigenza di tale coordinamento assume particolare evidenza attiene all’azione di controllo degli andamenti di finanza pubblica. Nella presente scheda tale esigenza di coordinamento verrà sinteticamente analizzata con riferimento agli aspetti concernenti:

§       le modalità di coinvolgimento responsabile delle ammini­strazioni locali nell’obiettivo comune dell’adempimento degli impegni di finanza pubblica assunti a livello europeo (patto di stabilità e crescita) mediante lo strumento del Patto di stabilità interno;

§       le forme di armonizzazione delle procedure contabili delle diverse pubbliche amministrazioni, centrali e locali, necessarie a produrre contabilità comparabili, funzionali alla gestione, al monitoraggio e alla verifica degli obiettivi di politica economica e finanziaria comuni.

1. Il Patto di stabilità interno

Il coinvolgimento responsabile delle amministrazioni locali nel rispetto dei vincoli europei determina l’esigenza di definire regole stabili e condivise che determinino entità e modalità del concorso delle amministrazioni locali al miglioramento dei saldi di finanza pubblica. A decorrere dalla legge finanziaria per il 1999 (legge n. 448 del 1998), tali regole sono state codificate nel cd. Patto di stabilità interno che vincola le regioni e le autonomie locali a concorrere alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica.

Le leggi finanziarie, a partire dal 2002, hanno chiarito che le regole del Patto di stabilità interno costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione. Poiché la materia, analogamente all’armonizzazione dei bilanci pubblici, rientra tra quelle di competenza concorrente, spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali e alle regioni la definizione della restante disciplina legislativa.

La normativa vigente relativa al Patto di stabilità interno per il triennio 2009-2011, è contenuta negli articoli 77, 77-bis e 77-ter del D.L. n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008.

Per le regioni a statuto ordinario la normativa vigente conferma sostanzialmente l’assetto complessivo della disciplina dettata per il triennio 2007-2009,pur modificandone alcuni aspetti. La disciplina continua ad essere transitoria, in attesa della conclusione della sperimentazione che dovrà ridefinire le regole al fine di assumere come base di riferimento il saldo finanziario anziché il controllo della spesa, anche eventualmente per una sola regione. Come nella precedente disciplina, le spese finali rilevanti ai fini del patto sono determinate, sia in termini di competenza che di cassa, al netto delle spese per la sanità e delle spese per la concessione dei crediti. Gli obiettivi sono:

§       per il 2009: riduzione dello 0,6 % delle spese finali determinate sulla base dell’obiettivo 2008 (obiettivo 2007 aumentato del 2,5 %);

§       per i due anni successivi: non superamento delle spese finali 2009 (come da obiettivo) aumentate di un punto percentuale nel 2010 e dello 0,9 per cento nel 2011.

Viene introdotta per la prima volta la possibilità per le regionidi “adattare” le regole per gli enti locali compresi nel proprio territorio, fermo restando l’obiettivo determinato complessivamente dalle regole del patto di stabilità per gli enti locali.

Per quanto riguarda le sanzioni, innovando rispetto alla disciplina previgente, si prevede che, nell’anno successivo a quello dell’inadempienza la regione non può impegnare spese correnti – sempre al netto delle spese sanitarie - in misura superiore all’importo minimo del triennio precedente e non può contrarre debiti per gli investimenti. Mutui e prestiti obbligazionari dovranno essere corredati da una certificazione di attestazione dell’osservanza del Patto per l’anno precedente.

Per le regioni a statuto speciale e le province autonome, analogamente a quanto disposto per gli esercizi precedenti, si prevede l’obbligo di partecipare alla riduzione della spesa pubblica mediante definizione di un’intesa sulla misura e sulle modalità di tale concorso, in ossequio alle potestà e prerogative stabilite dai rispettivi statuti speciali e dalle loro norme di attuazione. Qualora – per qualsiasi causa – l’intesa non sia raggiunta entro il termine definito (31 dicembre dell’anno precedente) è prevista l’applicazione della disciplina stabilita per le regioni a statuto ordinario e per gli enti locali della restante parte del territorio nazionale.

Per gli enti locali viene confermata in larga parte la disciplina dettata per l’anno precedente, sia per quanto concerne l’ambito soggettivo di applicazione del Patto, riferito a province e comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, sia per quanto concerne il vincolo, riferito alla crescita del saldo finanziario tendenziale del triennio 2009-2011. Gli obiettivi programmatici imposti dal Patto a ciascun ente locale consistono nel raggiungimento, per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011, di un saldo finanziario in termini di competenza mista (competenza giuridica per la spesa corrente e cassa per la spesa in conto capitale) almeno pari a quello del 2007, migliorato per gli enti in disavanzo, ovvero peggiorato per gli enti in avanzo, dell’importo risultante dall’applicazione al saldo 2007 di specifici coefficienti, differenziati per i comuni e le province e a seconda che l’ente locale: abbia o meno rispettato il patto di stabilità per l’anno 2007; presenti un saldo (differenza tra entrate e spese finali) positivo o negativo nel 2007.

Le risorse derivanti dalla cessione di azioni o quote di società operanti nel settore dei servizi pubblici locali, e le risorse derivanti dalla vendita del patrimonio immobiliarequalora siano destinate alla riduzione del debito, non sono conteggiate nei saldi rilevanti ai fini del patto di stabilità interno. Al fine di evitare eccessive penalizzazioni a carico di singoli enti, per il 2009 viene previsto un limite massimo al concorso alla manovra per i comuni. Sono inoltre previste misure di contenimento della dinamica dello stock di debito del comparto degli enti locali.

Il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, è autorizzato ad adottare misure di contenimento dei tiraggi degli enti locali sui contidella tesoreria statale, qualora si registrino prelevamenti non coerenti con gli obiettivi in materia di debito assunti con l'Unione europea. Le misure di carattere sanzionatorio applicabili agli enti locali che non abbiano rispettato gli obiettivi del Patto sono, in particolare, le seguenti:

§       riduzione del 5% dei trasferimenti erariali;

§       divieto di impegnare spese di parte corrente in misura superiore all’importo annuale minimo dei corrispondenti impegni effettuati nell’ultimo triennio;

§       divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare gli investimenti;

§       divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo.

E introdotto un meccanismo di premialità in favore degli enti locali c.d. “virtuosi”. Qualora l’obiettivo programmatico di comparto sia stato raggiunto, il meccanismo consente alle province e ai comuni di peggiorare, nell’anno successivo a quello di riferimento, il loro saldo valido ai fini della verifica del rispetto del Patto, di un importo, calcolato per ciascun ente in funzione del proprio “grado di virtuosità”, pari, a livello complessivo, al 70% della differenza registrata tra il saldo conseguito dagli enti inadempienti e l’obiettivo programmatico ad essi assegnato. Per le Province, l’indicatore per misurare il grado di autonomia finanziaria non si applica fino all’attuazione del federalismo fiscale.

Si ribadisce la sospensione - già disposta dall’articolo 1, comma 5 del D.L. n. 93/2008 - per il triennio 2009-2011 ovvero fino all’attuazione del federalismo fiscale, del potere degli enti locali di deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali e delle aliquote, fatta eccezione per gli aumenti relativi alla tassa sui rifiuti solidi urbani (TARSU).

L’articolo 77 del citato DL 112/2008 quantifica il contributo della finanza territoriale al miglioramento del deficit tendenziale complessivo della PA (indebitamento netto) nella misura seguente:

 

 

La relazione tecnica riferita agli articoli 77-bis e 77-ter mostra che l’attuazione del Patto determina, specie per il comparto dei comuni, l’esposizione di avanzi di bilancio complessivi di importo consistente e crescente nel tempo (mezzo miliardo di euro nel 2010 e di oltre due miliardi di euro nel 2011).

2. Profili problematici del Patto e nuove esigenze poste dal federalismo fiscale

Dell’attuale struttura del Patto di stabilità interno sono stati evidenziati alcuni profili problematici alla luce delle accresciute esigenze di autonomia finanziaria dei diversi livelli di governo

Con riferimento alle regioni, il mantenimento della formulazione del vincolo solo sul lato della spesa, oltre ad apparire difficilmente conciliabile con il principio di autonomia di bilancio, potrebbe avere effetti distorsivi rispetto all’obiettivo dell’ottimale allocazione delle risorse. Le regioni che dispongono di mezzi finanziari eccedenti i limiti di spesa imposti dal Patto si trovano, infatti, impossibilitate a disporre in merito al relativo utilizzo e quindi, in taluni casi, il raggiungimento dell’obiettivo di comparto comporta un immobilizzo di risorse. Al riguardo si osserva che può risultare difficile assicurare l’efficacia del vincolo in questione nel lungo periodo: le risorse congelate rimangono nella disponibilità delle regioni che potrebbero esercitare pressioni sull’Amministrazione centrale al fine di ottenerne lo sblocco. Peraltro, il vincolo in questione riguarda un segmento assai contenuto della spesa delle regioni, essendo esclusa, tra le altre voci, quella relativa alla spesa sanitaria. In proposito andrà considerato se, in un’ottica di accresciuta autonomia di bilancio delle regioni, sia o meno opportuno mantenere vincoli differenziati - comprensibili nel quadro attuale per le peculiari modalità di finanziamento della spesa sanitaria - sui diversi comparti di spesa che fanno capo alla responsabilità del medesimo ente amministrativo, anche alla luce dell’assenza di vincoli di destinazione delle risorse finanziarie a disposizione delle regioni.

Con riferimento agli enti locali, aspetti problematici vengono evidenziati in relazione alla formulazione dei vincoli sui saldi di bilancio  in termini differenziali rispetto a risultati ottenuti in esercizi pregressi. A riguardo sono ipotizzabili effetti distorsivi di diverso genere: in primo luogo, in termini generali, tale formulazione tende a penalizzare le amministrazioni più efficienti che, avendo ottenuto in passato buoni risultati di bilancio, si vedono vincolate a conseguire risultati comparativamente migliori rispetto ad amministrazioni meno efficienti, il cui obiettivo finanziario risente di una base di partenza meno virtuosa. In secondo luogo, si pone l’esigenza di sterilizzare eventuali situazioni straordinarie verificatesi negli anni pregressi, che vengono invece “cristallizzate” nella misura in cui tali esercizi sono presi come base di riferimento per la costruzione dell’obiettivo di bilancio. In terzo luogo, l’esigenza di migliorare progressivamente risultati precedentemente raggiunti conduce inevitabilmente a determinare, nel tempo, l’esposizione di posizioni di avanzo di dimensioni crescenti. Andrebbe approfondita l’opportunità di richiedere a enti con autonomia finanziaria di esporre obbligatoriamente avanzi di bilancio, sia perché ciò potrebbe dar luogo a risparmi solo transitori (si veda il già accennato rischio di pressioni perché si consenta di utilizzare gli avanzi), sia perché tale soluzione implica un’allocazione inefficiente di risorse tra amministrazione centrale, in deficit, e amministrazioni locali, con avanzi immobilizzati.

La funzione dell’avanzo primario, ovvero dell’eccedenza delle entrate rispetto alle spese al netto di quella per interessi, è quella di reperire risorse da destinare al pagamento della spesa per interessi. In linea generale, può affermarsi che, se l’avanzo finanziario è prodotto da amministrazioni diverse da quelle che sostengono la spesa per interessi, la funzione dell’avanzo primario non si realizza effettivamente, ma solo contabilmente, con una compensazione tra il deficit dell’amministrazione centrale, che sostiene la quota maggiore della spesa per interessi, e l’avanzo dell’amministrazione locale, che resta titolare delle risorse non utilizzate. Diverso sarebbe ovviamente prevedere, poiché non è attualmente previsto ilconcorso delle amministrazioni territoriali al finanziamento della spesa per interessi sostenuta dall’amministrazione centrale. Con riferimento ai profili di cassa, va inoltre segnalato che, mentre in vigenza di un sistema di tesoreria unica l’eccedenza di risorse delle amministrazioni locali può concorre al finanziamento della spesa per interessi, riducendo l’esigenza di ricorso al mercato, il superamento della tesoreria unica non consentirebbe tale tipo di compensazione, accrescendo l’aspetto distorsivo della compresenza di posizioni di avanzo e disavanzo nei diversi comparti amministrativi.

Fra gli altri aspetti problematici, connessi a profili di incoerenza tra gli attuali vincoli e le esigenze derivanti dal futuro assetto federale della finanza territoriale, sono stati, in particolare, segnalati:

§       l’esigenza di superare il divieto all’utilizzo della leva fiscale locale, la cui manovrabilità costituisce un aspetto centrale dell’autonomia finanziaria. L’eventuale rinuncia all’utilizzo di tale leva non può che basarsi sulla condivisione di obiettivi comuni ritenuti prioritari e definiti mediante intese nelle sedi preposte al coordinamento delle politiche fiscali;

§       l’opportunità di affiancare, agli obiettivi di contenimento del deficit, la definizione di obiettivi di riqualificazione della spesa, al fine di evitare che il perseguimento dei necessari equilibri finanziari da parte delle amministrazioni locali si traduca in un’eccessiva compressione della spesa in conto capitale;

§       l’opportunità di includere tra gli enti partecipanti al Patto i comuni con popolazione inferiore ai 5 mila abitanti, che rappresentano circa il 15 per cento della spesa complessiva;

§       l’esigenza di estendere il controllo pubblico alle dinamiche finanziarie di soggetti privati, esclusi dal comparto della PA, ma facenti sostanzialmente capo, per proprietà societaria o per rapporti contrattuali, ad amministrazioni locali, al fine di evitare forme di esternalizzazione ad elevato rischio di ricaduta sulla finanza pubblica;

§       l’opportunità di introdurre regole atte ad incentivare forme di valorizzazione del patrimonio delle ammini­strazioni pubbliche e ad impedirne il depauperamento per finanziare iniziative di natura corrente o per conseguire i previsti obiettivi di saldo in alternativa ad altre politiche di bilancio di carattere più strutturale.

3. L’armonizzazione dei bilanci pubblici

Il tema dell’armonizzazione dei bilanci, dei principi e dei criteri contabili assume uno specifico rilievo in vista dell’attuazione di un modello organizzativo della P.A. articolato su livelli di governo decentrati caratterizzati da un’estesa autonomia finanziaria. Appare infatti essenziale un maggior grado di omogeneità, trasparenza e confrontabilità nella rappresentazione dei dati e dei  flussi finanziari, anche al fine di monitorare, misurare e valutare l’impatto delle scelte programmatorie e gestionali effettuate dalle autonomie territoriali. Tale esigenza si fa ancor più sentita in ragione dei vincoli finanziari derivanti dal “Patto di stabilità e crescita” europeo: essendo i principali parametri europei (indebitamento netto e debito) riferiti alla Pubblica Amministrazione nel suo complesso, al conseguimento degli obiettivi di bilancio devono concorrere anche gli enti e gli organismi a finanza derivata, i cui sistemi contabili dovrebbero pertanto consentire un più agevole monitoraggio dei conti, Il sistema di regole contabili europee SEC 95 si ispira infatti ai principi della contabilità economica, mentre le regole interne fanno riferimento alla contabilità finanziaria, sicché l’armonizzazione dei bilanci renderebbe tra l’altro più agevole l’opera di consolidamento dei conti pubblici e i necessari raccordi tra i due sistemi di rilevazione contabile.

La mancata standardizzazione degli schemi di rappresentazione contabile dei bilanci consuntivi di regioni e province autonome,oltre a rendere assai difficoltosi i confronti tra le singole regioni, costituisce un fattore di debolezza ai fini della costruzione dei conti economici secondo le regole europee del SEC 95, facendo gravare sull’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) un notevole onere di riclassificazione delle poste contabili della maggior parte degli enti. Tali criticità non si limitano al piano della classificazione economica, ma attengono anche alla classificazione funzionale della spesa, per la quale la mancanza di criteri omogenei riconducibili alla classificazione europea COFOG (classificazione funzionale prevista dal SEC 95), oltre a rendere più complessa l’aggregazione dei dati a livello nazionale, ne compromette l’utilizzo ai fini della valutazione delle politiche di spesa regionali relative alla distribuzione delle risorse nei diversi settori di intervento.

Diversa appare la situazione per gli enti locali, nei quali, con l’entrata in vigore del D.P.R. 194/06 e del successivo decreto di attuazione del 24/11/08, sono stati adottati schemi di consuntivo omogenei (certificati di consuntivo oggetto di rilevazione da parte del Ministero dell’interno) tali da consentire una rappresentazione di entrate e spese per competenza e per cassa secondo schemi standard. Anche in tal caso, tuttavia, si presenta l’inconveniente di un disallineamento tra la classificazione economica prevista dallo schema di certificato consuntivo e quella del SEC 95. A ciò si aggiunga come il proliferare di esternalizzazioni attraverso la costituzione di aziende partecipate dagli enti territoriali, ponga il problema della costruzione di un bilancio consolidato per gli enti territoriali che rappresenti la situazione contabile delle società e aziende partecipate degli enti locali, stante la rilevanza delle spese di queste ultime, anche al fine di appurare la qualificazione giuridica di tali aziende con riferimento ai principi contabili comunitari di discriminazione tra aziende pubbliche market e non market (queste ultime da ricomprendere nel perimetro della P.A. a prescindere dalla loro veste giuridica privatistica).

In un’ottica più ampia, il tema dell’armonizzazione contabile appare strettamente connesso con quello della trasparenza nella produzione e nella  conoscibilità dei dati di finanza pubblica e della loro tempestiva disponibilità. L’attuazione del federalismo fiscale richiede infatti un circuito informativo e una base di dati contabili condivisa relativa agli andamenti della finanza territoriale che costituisca un riferimento comune per tutti gli attori. L’analisi della spesa storica, l’individuazione dei fabbisogni sulla base di costi standard così come, ad esempio, l’individuazione di adeguati meccanismi di perequazione delle risorse, postula un’armonizzazione dei bilanci pubblici tale da consentire una piena confrontabilità e aggregabilità delle poste di bilancio dei diversi enti.

 

4. Il decreto legislativo n. 170/2006 sull’armonizzazione dei bilanci pubblici

In materia di armonizzazione dei bilanci pubblici è intervenuto, da ultimo, il decreto legislativo n. 170 del 2006 - adottato in attuazione della delega conferita dalla legge n. 131 del 2003 (art. 1, comma 4. della cd. “legge La Loggia") – il quale ha ribadito, in osservanza del carattere meramente ricognitivo attribuitogli dalla citata delega, i principi fondamentali desunti dalle leggivigenti per l’armonizzazione dei bilanci pubblici delle regioni a statuto ordinario e degli enti locali. Il legislatore ha espressamente chiarito di volere in tal modo orientare l’iniziativa legislativa dello Stato e delle Regioni fino all’entrata in vigore delle leggi per la definizione dei nuovi principi fondamentali. I principi individuati sono volti alla progressiva armonizzazione dei criteri di redazione dei bilanci dei diversi livelli di governo, allo scopo di definire una migliore conoscenza e confrontabilità dei dati contabili, nonché di incrementare la trasparenza delle decisioni e la responsabilizzazione delle diverse amministrazioni, anche nel quadro del perseguimento degli obiettivi stabiliti dal Patto di stabilità e crescita.

La norma di delega è stata peraltro oggetto della sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2004, nella quale la Consulta si è pronunciata nel senso di una “lettura minimale” della delega stessa. Le considerazioni della Corte evidenziano come si tratti soltanto di “un quadro di primo orientamento destinato ad agevolare – contribuendo al superamento di possibili dubbi interpretativi – il legislatore regionale nella fase di predisposizione delle proprie iniziative legislative, senza peraltro avere carattere vincolante e senza comunque costituire di per sé un parametro di validità delle leggi regionali”.

Il decreto legislativo n. 170 individua, tra gli altri, il principio dell’omogeneità dei bilanci e dei sistemi di rilevazione contabile delle regioni e degli enti locali rispetto al bilancio dello Stato quale criterio base per l’armonizzazione dei bilanci pubblici. Conseguono coerentemente a tale principio procedure di consolidamento dei conti pubblici, ai fini di garanzia degli equilibri di finanza pubblica e del rispetto del patto di stabilità e crescita. Vengono inoltre ribaditi i principi del concorso con la finanza statale e della corrispondente responsabilità, da parte degli enti territoriali, alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica conseguenti all’adesione al patto di stabilità e crescita.

5. Il Sistema informativo delle operazioni degli enti pubblici (SIOPE)

Con riferimento all’armonizzazione dei bilanci, appare utile un breve esame dell’evoluzione del Sistema informativo delle operazioni degli enti pubblici (SIOPE), che consente la rilevazione e il monitoraggio telematico degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri delle amministrazioni pubbliche, istituito ai sensi dell’articolo 28 della legge n.289 del 2002 (legge finanziaria per il 2003).

Il SIOPE si avvale di un archivio informatico volto a rilevare in tempo reale i flussi di cassa delle amministrazioni pubbliche mediante una codifica delle operazioni gestionali che garantisce un livello di omogeneità dei dati anche al fine del rispetto dei vincoli previsti dall’ordinamento comunitario (Patto di stabilità e crescita e procedura su disavanzi eccessivi).

La realizzazione del SIOPE è volta a:

§       migliorare, rispetto alla rilevazione trimestrale dei flussi di cassa, la conoscenza dell’andamento dei conti pubblici, sia sotto il profilo della quantità delle informazioni disponibili, sia sotto il profilo della tempestività;

§       superare, attraverso codici uniformi, le differenze tra i sistemi contabili attualmente adottati dai vari comparti delle amministrazioni pubbliche;

L’attribuzione di un codice gestionale alle reversali di incasso e ai mandati di pagamento, connesso alle classificazioni di contabilità nazionali previsto dal sistema SEC95, permette di introdurre una classificazione omogenea, senza incidere sulla struttura dei bilanci degli enti in questione.

§       rendere possibile il superamento della tesoreria unica, con riferimento alle modalità di gestione della finanza pubblica;

§       agevolare l’impostazione delle politiche di bilancio ed il monitoraggio della gestione da parte degli stessi enti coinvolti nelle rilevazioni.

Avviato nel 2003 con riferimento ai soli pagamenti del Bilancio dello Stato, nel 2006 il Sistema è entrato a regime per le regioni, le province, i comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti e le Università; successivamente è stato esteso ai comuni con popolazione inferiore a 20.000 abitanti, alle comunità montane, alle unioni di comuni, ai consorzi di enti locali (dal 1° gennaio 2007), nonché agli enti di ricerca (dal 1° luglio 2007). Dal 1° gennaio 2008 partecipano alla rilevazione SIOPE anche le strutture sanitarie (aziende sanitarie, aziende ospedaliere, policlinici universitari, Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e gli Istituti zooprofilattici sperimentali). Gradualmente, il sistema è destinato ad essere esteso a tutte le amministrazioni pubbliche individuate nell'elenco annualmente pubblicato dall'ISTAT. Il compito di gestire e sviluppare il sistema informativo del SIOPE è stato affidato, mediante convenzione,dal Ministero dell’economia e finanze alla Banca d’Italia nel marzo 2003, con l’obiettivo di coinvolgere tutto il complesso delle amministrazioni pubbliche. In prospettiva, come già previsto nel citato articolo 28, la rilevazione dovrà estendersi anche ai dati di competenza economica.


 

 

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La presente scheda, realizzata dai Servizi studi e bilancio della Camera, fa parte di una serie di prodotti in materia di federalismo fiscale frutto della collaborazione tra i Servizi studi e bilancio dello Stato dei due rami del Parlamento.