Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Missione in Egitto
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 327
Data: 06/03/2012
Descrittori:
EGITTO     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Missione in Egitto

 

(6-8 marzo 2012)

 

 

n. 327

 

 

 

 

 

 

6 marzo 2012

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4939 / 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi ed Uffici:

Servizio Rapporti Internazionali

( 066760-3948 – * 1

 

Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: Es1063.doc

 


INDICE

 

 

Programma

Documentazione tematica

Scheda politico-istituzionale  9

La vicenda egiziana postrivoluzionaria, tra nuove convulsioni e tentativi di assestamento  20

Scheda-paese a cura del Ministero degli Affari esteri 29

STRUTTURA ISTITUZIONALE E POPOLAZIONE  31

POLITICA INTERNA   34

SITUAZIONE ECONOMICA   41

§     Andamento congiunturale  41

§     Politiche Economiche  43

§     Privatizzazioni e rinazionalizzazioni 44

§     Settore energetico  45

§     Infrastrutture  46

§     Relazioni economiche e commerciali con i Paesi esteri 46

§     Investimenti diretti esteri (IDE) 47

§     Principali indicatori macroeconomici 48

POLITICA ESTERA   49

§     Relazioni con l’Unione Europea  49

§     Relazioni con gli Stati Uniti 51

§     Rapporti con organismi multilaterali 52

RAPPORTI BILATERALI 53

§     RELAZIONI POLITICHE  53

§     RELAZIONI ECONOMICHE, FINANZIARIE E COMMERCIALI 56

§     CONTENZIOSI COMMERCIALI 61

DATI STATISTICI BILATERALI 64

§     Relazioni culturali, scientifiche e tecnologiche  66

§     Cooperazione Italiana  67

I partiti politici in Egitto (a cura del Ministero degli affari esteri) 73

Relazioni parlamentari Italia-Egitto (a cura del Servizio Rapporti Internazionali) 76

Rapporti tra l’Unione europea e l’Egitto (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea) 85

§     Il contesto delle relazioni tra Unione europea ed Egitto  85

§     Le recenti evoluzioni delle relazioni 87

§     Assistenza finanziaria  89

Profili biografici (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

Mohamed KAMEL AMR Ministro degli Affari esteri della Repubblica araba d’Egitto  93

Mohamed Saad TAWFIK EL-KATATNY Presidente dell’Assemblea del Popolo d’Egitto  94

SCHEOUDA III Capo della chiesa ortodossa copta e Patriarca di Alessandria  95

Ahmed FAHMI Presidente della Shura  97

Nabil El Arabi Segretario Generale della Lega Araba  98

El-Sayyid EL-BADAWI Presidente del Partito Nuovo Wafd  100

Mohammed BADI' Guida generale dei Fratelli musulmani 101

Pubblicistica

§     ISPI ‘Egitto un anno dopo: rivoluzione continua - background’, gennaio 2012  105

§     C. De Martino ‘Hamas, i Fratelli Musulmani, e il dilemma israeliano’, in: Aspenia, dal sito http://www.aspeninstitute.it/aspenia-online, 9 gennaio 2012  111

§     E. Dacrema ‘Egitto: Per i progressisti la nuova era inizia in salita’, in: Equilibri, dal sito http://www.equilibri.net/nuovo, 18 gennaio 2012  115

§     A. Meringolo ‘Il quadro politico egiziano: un momento della verità per l’Islam politico’, in: Aspenia, dal sito http://www.aspeninstitute.it/aspenia-online, 18 gennaio 2012  121

§     A. Meringolo ‘Gattopardo o rivoluzione? L’Egitto un anno dopo’, in: Limes, 25 gennaio 2012  125

§     G. Mafodda ‘Il futuro economico dell’Egitto: più populismo e meno crescita’, in: Limes, 27 gennaio 2012  128

§     A. Meringolo ‘L’Egitto e gli aiuti internazionali: dove la politica incontra l’economia‘, in: Aspenia, dal sito http://www.aspeninstitute.it/aspenia-online, 23 febbraio 2012  131

§     C. Proietti Silvestri ‘Egitto e Israele alla battaglia del gas’ dal sito http://www.affarinternazionali.it, 29 febbraio 2012  135

§     L. Galeotti ‘Egitto: una panoramica sul prima e dopo Mubarak’, in: Equilibri, dal sito http://www.equilibri.net/nuovo, 13 febbraio 2012  139

§     E. Ardemagni ‘Marocco - Tunisia – Egitto: la transizione amara di chi ha fatto le rivolte’, in: Equilibri, dal sito http://www.equilibri.net/nuovo, 27 febbraio 2012  147

 

 

 

 


Programma

 


 

 

Visita al Cairo dell'On. Stefano Stefani

Presidente Commissione Affari Esteri

(6-8 marzo 2012)

 

PROGRAMMA

 

 

 

Martedì 6 marzo

Ore 17.50                                                        Arrivo all’Aeroporto Internazionale del Cairo.

A seguire                                                        Trasferimento all'Hotel Four Seasons (Nile Plaza, Garden City).

Ore 19.00                                                       Incontro con l'Ambasciatore d'Italia Claudio Pacifico e i funzionari dell'Ambasciata.

Al termine                                                       Pranzo offerto dal Capo dell'Ufficio Commerciale dell'Ambasciata, Consigliere Massimiliano Iacchini. Incontro con alcuni imprenditori italiani (Ristorante Le Pacha).

 


Mercoledì 7 marzo

Ore 09.45                                                       Trasferimento presso la sede dell'Assemblea del Popolo.

Ore 10.00                                                       Colloquio con il Vice Presidente della Commissione Affari Esteri, Dr. Gamal Heshmat (Partito Giustizia e Liberta'/Fratelli Musulmani) e con membri della Commissione: Emad Gad, (Social Democratic Party), Mohamed Emad (Partito Giustizia e Liberta'), Hazem Foruk (Segretario della Commissione, Partito Giustizia e Liberta'),

A seguire                                                        Colloquio con il Vice Presidente dell'Assemblea del Popolo, Mohamed Abdel Alim Daouad (Partito laico El Wafd).

A seguire                                                        Colloquio con il Presidente del Consiglio della Shura (Secondo ramo del Parlamento), Ahmed Fahmy (da confermare).

Ore 13.00                                                       Colazione offerta dall'Ambasciatore Claudio Pacifico.

Ore 15.30                                                       A seguire         Incontro con esponenti del Patriarcato Copto (Shubra El Kaina).

Al termine                                                       Visita del Museo Egizio.

Ore 19.00                                                       Colloquio con George Ishak, fondatore del movimento di opposizione Kefaya (Hotel Four Seasons).

Ore 20.30                                                       Pranzo di lavoro offerto dal Ministro Consigliere dell'Ambasciata, Andrea Orizio (Ristorante tipico El Kebabgy).

 

 

 

 

Giovedì 8 marzo

Ore 09.15                                                        Trasferimento alla sede della Lega Araba

Ore 09.30                                                        Incontro con il Segretario Generale della Lega Araba, Nabil Elaraby.

Ore 10.45                                                        Trasferimento al Ministero degli Affari Esteri.

Ore 11.00                                                        Colloqui con il Ministro degli Esteri, Mohamed Kamel Amr.

Ore 12.00                                                        Trasferimento ad Al Azhar (Dar El Ifta).

Ore 12.30                                                        Incontro con il Gran Mufti d'Egitto, Ali Gomaa.

Al termine                                                        Breve colazione.

Ore 15.00                                                        Trasferimento all'Aeroporto internazionale del Cairo.

Ore 17.15                                                        Partenza alla volta di Roma con volo Alitalia.

 

 

 


Documentazione tematica

 


Scheda politico-istituzionale

 


Il quadro istituzionale

A seguito delle dimissioni del presidente Mubarak, il Consiglio supremo delle forze armate ha assunto la guida del paese, sospeso la Costituzione, sciolto il Parlamento ed avviato un processo di transizione costituzionale. Nell’ambito di tale processo, il Consiglio ha affidato ad una Commissione presieduta dal giudice del Consiglio di Stato in pensione Tareq El Besri, il compito di redarre alcuni emendamenti alla costituzione egiziana. La Commissione ha concluso i suoi lavori il 26 febbraio 2011 presentando gli emendamenti proposti alla Costituzione, che sono stati approvati con referendum il 19 marzo.

Tra il novembre 2011 e il gennaio 2012 si sono svolte le elezioni parlamentari delle due camere del Parlamento egiziano, l’Assemblea del popolo e il Consiglio della Shura. In base agli emendamenti approvati alla Costituzione (cfr. infra box), le due Assemblee dovrebbero eleggere in una sessione congiunta i componenti di una Commissione incaricata di formulare una nuova Costituzione (una dichiarazione del Consiglio supremo delle forze armate dello scorso novembre prevedeva che le Camere eleggessero solo 25 dei 100 componenti della Commissione mentre lo stesso Consiglio avrebbe designato i rimanenti 75). Per il mese di maggio sono previste le elezioni presidenziali.

Di seguito verranno fornite informazioni di sintesi sul quadro istituzionale egiziano precedente alle dimissioni di Mubarak, mentre le modifiche alla Costituzione e alla legge elettorale verranno illustrate in un apposito box. Nell’assetto costituzionale al momento ancora vigente, ancorché la costituzione sia stata sospesa dal Consiglio supremo delle forze armate il 13 febbraio, il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale diretto ed è rieleggibile per un numero indefinito di mandati: fino al 2005 gli elettori erano chiamati a confermare con referendum il candidato designato dall’Assemblea del Popolo, mentre dal 2005 è stata introdotta la competizione tra più candidati nelle elezioni presidenziali. In base alla riforme del 2005 e del 2007, le candidature alla carica di presidente dovevano però essere approvate da un partito autorizzato che avesse almeno il 3 per cento dei seggi in entrambe le Camere, ovvero sostenute da 250 parlamentari o componenti degli organi elettivi locali; inoltre, in via transitoria per dieci anni potevano presentare candidati anche i partiti che avessero almeno un eletto in una delle due Camere (sulla regolazione, e le restrizioni, della vita dei partiti in Egitto cfr. infra in questo paragrafo). Il presidente nomina e revoca il primo ministro e i ministri. I singoli ministri, e, a seguito di una riforma costituzionale del 2007, anche il primo ministro possono essere sfiduciati dall’Assemblea del popolo. Il parlamento è bicamerale. A seguito della riforma del 2009, l’Assemblea del Popolo, risultava composta da 518 deputati; 10 componenti sono nominati dal presidente; i rimanenti deputati sono eletti a suffragio universale diretto ogni 5 anni, con la riforma del 2009 il numero dei deputati è stato elevato (dai precedenti 454) per consentire l’elezione di almeno 64 donne in speciali collegi. Il sistema elettorale risultava complesso e fondato su collegi in cui vengono eletti due deputati, con sistema maggioritario a doppio turno (per essere eletti al primo turno è necessario che due candidati ottengano la maggioranza assoluta dei voti) e con un eventuale terzo turno nel caso tra i due candidati che hanno ottenuto più voti non vi sia un “lavoratore o un contadino” (retaggio del panarabismo socialista nasseriano). L’altra Camera, il consiglio della Shura, che ha funzioni consultive, risultava composta di 176 membri, 88 nominati dal presidente ed i rimanenti eletti con un sistema uninominale maggioritario a doppio turno; i componenti rimangono in carica sei anni, la componente elettiva è rinnovata per metà ogni tre anni. L’assetto istituzionale egiziano è stato inoltre fin qui pesantemente condizionato dalla costante proroga (l’ultima nel giugno 2010) dello stato di emergenza proclamato al momento dell’omicidio del predecessore di Mubarak, Sadat nel 1981.

Lo stato di emergenza è stato revocato il 24 gennaio 2012 dal Consiglio supremo delle forze armate


 


Le modifiche alla Costituzione e la nuova legge elettorale

La Commissione composta da Tareq El Besri ha proposto emendamenti a diversi articoli della Costituzione:

Art. 75: tra i requisiti di eleggibilità del presidente viene inserito quello di non avere doppia cittadinanza e di non avere un coniuge non egiziano. La modifica ha suscitato perplessità in alcuni osservatori in quanto escluderebbe dalla partecipazione alle elezioni presidenziali personalità significative come Ahmed Zewail, premio nobel per la chimica naturalizzato statunitense e rientrato dagli USA per partecipare alle proteste anti-Mubarak, e forse anche Mohamed El Baradei, la cui moglie avrebbe una cittadinanza non egiziana

Art. 76: si propone che per presentare la candidatura alle elezioni presidenziali risultino necessari o il sostegno da parte di trenta parlamentari o la sottoscrizione da parte di trentamila elettori (in almeno 15 province, ed in ciascuna provincia devono essere raccolte almeno 1.000 firme) o, infine, la designazione da parte di un partito che abbia almeno un parlamentare (per i requisiti attuali cfr. supra).

Art. 77: si propone di ridurre il mandato presidenziale da sei anni a quattro anni e di porre un limite di due mandati consecutivi

Art. 88: si propone di affidare ad un comitato indipendente composto da magistrati e non più ad un’autorità “indipendente” (che in realtà risultava però controllata dal partito NPD di Mubarak) definita per legge la supervisione delle elezioni e dei referendum

Art. 93: viene affidata alla Corte costituzionale e non più al Parlamento il compito di verificare i titoli di ammissione e le cause di ineleggibilità e incompatibilità dei membri del Parlamento

Art. 139: si propone l’introduzione obbligatoria della figura del vice-presidente, che dovrebbe essere nominato dal presidente entro 60 giorni dalla sua elezione

Art. 148: si propone che la dichiarazione di stato di emergenza debba essere sottoposta al Parlamento entro una settimana e non possa essere prorogata oltre i sei mesi, salvo il caso in cui la proroga sia approvata da un referendum popolare

Art. 179: sopprime la previsione, introdotta nel 2007, che consentiva deroghe alle disposizioni in materia di protezione dei diritti umani in funzione anti-terrorismo

Art. 189: si propone che la richiesta di una nuova Costituzione possa essere presentata dal presidente con l’appoggio del governo ovvero dalla maggioranza dei membri di entrambe le Camere. In tal caso le Camere procederanno all’elezione di un’Assemblea costituente di 100 membri, con il compito di redigere una nuova costituzione entro sei mesi e di sottoporla ad un referendum popolare.

Merita rilevare come, se le modifiche costituzionali proposte incidono significativamente sui limiti di durata del mandato presidenziale e sulla disciplina dello stato di emergenza, non viene soppresso il divieto di costituzione di partiti su base religiosa di cui all’articolo 5 della costituzione.

Con riferimento alla legge elettorale, il consiglio supremo delle forze armate ha approvato alcuni emendamenti alle leggi elettorali vigenti volti a:

- individua il numero dei componenti elettivi dell’Assemblea del popolo in 498 e del Consiglio della Shura in 327

- prevede per entrambe le Camere un sistema elettorale per due terzi proporzionale sulla base di liste di partito e per un terzo maggioritario a doppio turno (si svolge il secondo turno se nessun candidato ottiene più del 50 per cento dei voti) in collegi ”binominali” (in ciascun collegio sono eletti due candidati, uno dei quali deve essere un lavoratore o un contadino, retaggio dell’impostazione socialista nasseriana, pena lo svolgimento di un “terzo turno”)

 

Con riferimento alle condizioni di esercizio delle libertà politiche e civili, “Freedom House” classifica l’Egitto come “Stato non libero”, mentre il Democracy Index 2011 dell’Economist Intelligence Unit lo definisce come “regime ibrido” (nel Democracy Index 2010 era indicato come “regime autoritario” cfr. infra “Indicatori internazionali sul paese”). Secondo Human Rights Watch (World Report 2012), nel corso del 2011 non si è registrato un significativo miglioramento nel grado di rispetto dei diritti umani in Egitto: in particolare, anche dopo le dimissioni di Mubarak, sono proseguiti le detenzioni ed i processi di fronte alle corti militare sulla base della legge di emergenza, nonché la repressione di manifestazioni. La stampa ha potuto godere di margini di libertà assai maggiori, tuttavia non sono mancati procedimenti penali a carico di giornalisti per denigrazione delle forze armate (come testimoniato dall’arresto lo scorso ottobre del blogger Alaa Abdel Fattah). Le procedure per la registrazione di partiti politici sono state semplificate e “liberalizzate” dal Consiglio supremo delle forze armate agli inizi di marzo, mentre permangono forti ingerenze governative in materia di costituzione di associazioni. Si sono inoltre ripetuti, nel corso del 2011, episodi di intimidazione nei confronti della minoranza copta.

Nel corso della transizione, molto dibattuta risulta la questione dei rapporti tra religione e politica. Al riguardo, merita segnalare il manifesto dell’università islamica di Al Azhar, centro principale per la definizione della giurisprudenza islamica dell’Islam sunnita reso noto lo scorso 19 giugno. Nel manifesto si sostiene “l’istituzione di uno Stato costituzionale democratico” e “l’adozione di un sistema democratico basato sul suffragio universale diretto, che rappresenta la formula moderna per realizzare il principio islamico della consultazione (shura) islamica e garantisce il pluralismo, l’alternanza pacifica al governo”. Al tempo stesso si pone come condizione alla libera gestione da parte del popolo della società il fatto che “i principi generali della sharia rimangano la fonte essenziale della legislazione e che i seguaci delle altre religioni monoteiste possano ricorrere alle loro leggi religiose per quanto concerne le questioni legate allo statuto personale”. Insieme però si ribadisce il “ruolo guida di Al Azhar nella definizione di un retto pensiero islamico mediano […] la sua importanza […] per illuminare la natura del rapporto  tra lo Stato e la religione e chiarire le basi di una corretta politica ispirata ai principi della Sharia che sia radicata […] sulla dimensione giurisprudenziale […] secondo i principi della comunità che coniuga ragione e tradizione”. Dall’università di Al Azhar è giunta inoltre la richiesta del ritorno all’elezione interna della guida, lo Sheick di Al Azhar, la cui nomina è in questo momento invece affidata al governo.

 

 

La situazione politica interna

A seguito delle dimissioni, l’11 febbraio 2011, del Presidente della Repubblica Hosni Mubarak (n. 1928), la direzione del paese è stata affidata al Consiglio supremo delle forze armate. In questo contesto, il consiglio supremo delle forze armate ha deciso, il 13 febbraio, di affidare i compiti di rappresentanza esterna del paese e quindi le funzioni di Capo dello Stato, al suo Presidente, il ministro della difesa Mohamed Hussein Tantawi (n. 1935).

Primo ministro dal novembre 2011 è Kamal al Ganzouri, già primo ministro nel corso degli anni Novanta.

 

Nella tabella sottostante sono riportati i risultati delle recenti elezioni legislative egiziane. Nel box è invece riportata una descrizione sintetica delle posizioni dei diversi movimenti politici egiziani.

Per il prossimo 23 maggio sono invece previste le elezioni presidenziali. Tra i candidati al momento dovrebbero figurare:

-  Amr Mussa, ex-segretario generale della Lega araba ed ex-ministro degli esteri di Mubarak;

-  Abd al Fatuh esponente riformatore della Fratellanza musulmana in dissenso con la direzione conservatrice del movimento;

-  Ahmed Shafiq primo ministro tra il gennaio e il marzo 2011

-  Selim Al-Awwa islamista moderato

-  Hazem Abu Ismail, esponente salafita

-  Bothaina Kamel, conduttrice televisiva ed attivista dei diritti umani.

La Fratellanza musulmana ha dichiarato che annuncerà quale candidato sosterrà solo al termine del processo di registrazione degli stessi, agli inizi di aprile

Il 25 gennaio 2012 ha invece annunciato il suo ritiro dalla corsa presidenziale Mohamed El Baradei¸ insoddisfatto per la gestione della transizione da parte delle forze armate egiziane.


 

Risultati elezioni Assemblea del popolo[1]

 

§  Partiti

Seggi

§  Alleanza democratica di cui

225

§  Partito libertà e giustizia

216

§  Al-Karama

6

§  Al-Hadara

2

§  Partito del lavoro

1

§  Alleanza islamista di cui

125

§  Al Nour

109

§  Partito Costruzione e sviluppo

§         13

§  Al Asala

§         3

§  Al Wafd

§         41

§  Blocco egiziano di cui

§         34

§  Al Tagammu

§         3

§  Partito socialdemocratico egiziano

§         16

§  Partito dei liberi egiziani

§         15

§  Partito Riforma e sviluppo

§         10

§  Partito al - Wasat

§         9

§  Alleanza per la prosecuzione della rivoluzione

§         8

§  Partito nazionale egiziano

§         5

§  Partito cittadini egiziani

§         4

§  Partito dell’Unione

§         3

§  Partito Libertà

§         3

§  Partito al - Adl

§         2

§  Partito Pace democratica

§         2

§  Partito Unione araba egiziana

§         1

§  Partito Nasserite

§         1

§  Indipendenti

§         25

§  TOTALE

§         498

 

 

Incarichi all’interno dell’Assemblea del popolo[2]

 

Incarichi

Nome

Partito

Presidente

Mohamed Saad Tawfik Al Katatni

Libertà e giustizia

Vicepresidente

Ashraf Thabit Saad Eddin Al-Sayed

al-Nour

Secondo Vicepresidente

Mohamed Abdel Aleem Dawoud

al-Wafd

Presidente Commissione Affari esteri

Essam al-Din Mohamed al-Erian

Libertà e giustizia

Presidente Commissione parlamentare legislativa

Mahmoud Reda Abdel Aziz al-Khudairi

Indipendenti

Presidente Comitato sicurezza nazionale

Abbas Mohamed Mohamed Mukhaimar

Libertà e giustizia

Presidente Commissione sanità

Akram Al-Mendoh Awad Al-Shaer

Libertà e giustizia

Presidente Commissione ricerca educativa e scientifica

Shaaban Ahmed Abdel-Alim

al – Nour

Presidente Commissione diritti umani

Mohamed Anwar Esmat Al-Sadat

Riforma e sviluppo

Presidente Commissione affari economici

Tarek Hassan al-Desouki,

al-Nour

Presidente Commissione lavoro

Saber Abu al-Fotouh Badawi al-Sayed

Libertà e giustizia

Presidente Commissione giovani

Osama Yassin Abdel Wahab Mohamed

Libertà e giustizia

Presidente affari arabi

Mohamed Saeed Ibrahim Idris

al-Karama

Presidente Commissione Comunicazione e cultura

Mohamed Abdel-Moneim Mahmoud Al-Sawy,

al-Hadara

 

 

 

 

Risultati elezioni Consiglio della Shura[3]

 

Partito

Totale Seggi

Libertà e giustizia

105

Al - Nour

45

Al - Wafd

14

Blocco egiziano

8

Libertà

2

Pace democratica

2

Indipendenti

4

 

 

Indicatori internazionali sul paese 1:

Libertà politiche e civili: Stato “non libero”, (Freedom House); regime autoritario 2010, 138 su 167; 2011: regime “ibrido”  115 su 167 (Economist)

Indice della libertà di stampa 2010: 127 su 178, 2011-12: 166 su 178

Libertà di Internet : assenza di evidenza di “filtraggio”

Libertà religiosa: limitazioni alla libertà religiosa ed episodi di violenza (ACS); Islam religione di stato e limitazioni alle libertà delle altre religioni  da parte del governo (USA)

Libertà economica: 100 su 179 (Heritage Foundation)

Corruzione percepita 2010: 98 su 178, 2011: 112 su 178

Variazione PIL 2010: + 5,1 per cento, 2011: 1,2 per cento

 

Fonti: The Statesman’s Yearbook 2011, Unione interparlamentare, Freedom House, Human Rights Watch, Arab Reform Bulletin –Carnegie endowment for international peace, Brookings Institution, Economist Intelligence Unit, agenzie di stampa.

 

Movimenti e coalizioni partecipanti alle elezioni egiziane

In vista delle elezioni i principali movimenti politici egiziani si sono aggregati in cinque coalizioni principali. Fino alla presentazione delle liste, comunque, la configurazione delle coalizioni è apparsa molto incerta e soggetta a significative variazioni per i numerosi contrasti interni; un numero significativo di partiti, come si vedrà nella descrizione delle singole coalizioni, ha preferito alla fine presentare liste autonome. Le coalizioni risultano essere:

- Alleanza democratica

Il principale partito della coalizione è il partito Libertà e Giustizia, nato a giugno, emanazione della dirigenza dei Fratelli musulmani egiziani e guidato da Mohammed Morsi. Tra i suoi punti programmatici: l’instaurazione dello Stato di diritto, di un sistema parlamentare con poteri solo di rappresentanza per il Presidente della Repubblica, di uno “Stato civile” né teocratico né militare con l’Islam religione di Stato e la Sharia come fonte di legislazione (come già previsto, comunque, dall’articolo 2 dell’attuale Costituzione egiziana); l’attribuzione ad una Corte costituzionale del potere di dichiarare illegittime leggi che contrastino con i principi islamici di giustizia; il sostegno ai principi islamici nell’azione di governo, con riconoscimento per i non musulmani del diritto al proprio status personale e alla libertà di culto; in politica estera previsione dell’obbligo di referendum per i trattati di pace ed il sostegno all’autodeterminazione palestinese, ivi compreso il diritto al ritorno dei profughi e la richiesta di Gerusalemme capitale.

Merita segnalare che la Fratellanza musulmana egiziana appare divisa. In particolare la dirigenza conservatrice del movimento da parte della Guida suprema Muhammed Badie è contestata dall’esponente riformatore della fratellanza Abd al Fatuh, secondo alcuni possibile candidato alle elezioni presidenziali, nonché dall’ala giovanile del movimento, che, a differenza della dirigenza, ha preso convintamente parte alle manifestazioni di piazza che hanno condotto alle dimissioni di Mubarak. In particolare, oggetto di discussione è la posizione della Fratellanza rispetto alla laicità dello Stato egiziano. Tale concetto continua ad essere respinto dalla dirigenza della Fratellanza; gli esponenti riformisti hanno dimostrato aperture verso il concetto di “Stato civile”, vale a dire fondato sui diritti di cittadinanza ma rispettoso nei confronti delle radici religiose egiziane, in coerenza anche con le posizioni recentemente assunte dall’Università Al Azhar. Ora il concetto di “Stato civile”, come si è visto, si ritrova anche nel programma del partito Libertà e giustizia, anche se, in questo caso, il concetto appare prefigurare comunque un’ampia penetrazione della religione nella vita politica. Il dibattito interno alla Fratellanza ha determinato la nascita, a fianco del partito “ufficiale” Libertà e Giustizia, anche di altri partiti come Al Wasat e Al Tayara Al Masry (cfr. infra).

Dell’Alleanza democratica fanno parte anche movimenti laici. Merita ricordare il partito Al Ghad (domani) fondato nel 2005 da Ayman Nour, sfidante nello stesso anno nelle elezioni presidenziali di Mubarak ed a lungo incarcerato dal regime. Aveva annunciato la sua adesione alla coalizione anche lo storico partito liberale egiziano Wafd guidato da Sayyed Al Badawi; tuttavia successivamente il partito ha annunciato la sua intenzione di presentare liste distinte da Libertà e giustizia;


- Blocco egiziano

Il Blocco egiziano è stato costituito a giugno da una serie di movimenti laici con lo scopo di perseguire gli ideali della “rivoluzione di piazza Tahrir” realizzando una “democrazia liberale” ed una “cittadinanza universale”. Sostenendo il concetto di “Stato civile”, piuttosto che quello di “Stato secolare”, il blocco intende comunque riconoscere il ruolo dell’Islam nella vita politica, condividendo l’impostazione del documento del giugno scorso sui rapporti tra religione e politica (cfr. infra) dell’Università di Al Azhar. Il blocco risultava inizialmente costituito dal partito dei liberi egiziani, fondato dall’imprenditore copto Naguib Sawiris, dal partito socialdemocratico, dal partito socialista Al Tagammu (già presente in Parlamento durante il regime di Mubarak), dall’associazione nazionale per il cambiamento (movimento fondato nel febbraio 2010 da Mohammed El Baradei), dal Fronte democratico (movimento fondato nel 2007 dall’ex-esponente del partito nazionale democratico di Mubarak Osama al Ghazali-Harb) e dal movimento di ispirazione sufi partito della liberazione egiziana. Disaccordi sulla composizione delle liste hanno indotto molti di questi partiti ad abbandonare il blocco che attualmente risulta composto solo dal partito dei liberi egiziani, dal partito socialdemocratico  e da Al Tagammu.

- Terza via

La coalizione della “Terza via” intende collocarsi in una posizione intermedia tra l’Alleanza democratica dominata dagli islamisti e il Blocco egiziano laico. La coalizione è attualmente composta dal partito della giustizia, fondato nel giugno 2011 da alcuni esponenti di movimenti di dissidenza giovanile come Kifaya e il movimento del 6 aprile, organizzatori delle proteste di piazza Tahrir. Alla coalizione aveva inizialmente guardato con interesse anche il partito Al Wasat, fondato nel marzo 2011 da esponenti riformisti dalla Fratellanza musulmana che assumono esplicitamente a modello l’Akp turco (e guidato da Abu El al-lla Mady). Tuttavia il Wasat  non è entrato a far parte della coalizione.

 

 

- Alleanza islamista

L’Alleanza islamista raccoglie alcuni movimenti di orientamento salafita e cioè collocati su posizioni maggiormente integraliste rispetto alla fratellanza musulmana come Hizb al-Nour (partito della luce); Bina ‘a wa Tanmia (partito della costruzione e dello sviluppo, braccio politico del movimento Jamaa al-Islamiya considerato dagli USA terrorista) e il partito al-Asala (autenticità, ispirato al pensiero del teorico dei fratelli musulmani Sayyd Qutb, ucciso dal regime di Nasser negli anni Sessanta): questi movimenti richiedono l’introduzione e l’applicazione letterale della legge islamica.

- Alleanza per la prosecuzione della rivoluzione

L’Alleanza per la prosecuzione della rivoluzione raccoglie una serie di movimenti liberali, socialisti e islamisti moderati, in precedenza per la maggioranza coinvolti nel blocco egiziano. Oltre che da partiti come il partito socialista popolare e il partito dell’Egitto libero, l’alleanza è sostenuta dalla maggior parte degli esponenti della coalizione giovanile, nata dall’esperienza delle proteste di piazza Tahrir. Fa parte dell’Alleanza anche il movimento Al Tayara Al Masry (l’Egitto attuale) guidato dal giovane esponente della Fratellanza musulmana Islam Lofti, uscito dall’organizzazione durante l’estate criticandone la struttura verticistica.

 


 

 

 

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[1]     Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); la condizione della libertà economica come riportata dalla fondazione Heritage la condizione della libertà di Internet come riportata da OpenNet Initiative; il tasso di crescita del PIL come riportato dal Fondo monetario internazionale; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alle note esplicative presenti nel dossier  dossier Analisi dei rischi globali. Indicatori internazionali e quadri previsionali (documentazione e ricerche 29 luglio 2011) e nella nota Le elezioni programmate nel periodo settembre-dicembre 2011 (9 settembre 2011).

 

 


La vicenda egiziana postrivoluzionaria, tra nuove convulsioni e tentativi di assestamento

 

In Egitto Il 26 giugno 2011 veniva resa nota la decisione del Consiglio supremo delle forze armate, presieduto dal maresciallo Hussein Tantawi, di procedere a un rinvio di tre mesi nelle elezioni parlamentari precedentemente fissate per il mese di settembre - senza peraltro nulla specificare sul calendario delle elezioni presidenziali, che erano previste al massimo un paio di mesi dopo quelle legislative. Il rinvio delle elezioni legislative è sembrato potersi interpretare come parziale accoglimento delle richieste venute dal movimento giovanile protagonista della rivoluzione che aveva condotto alla caduta di Mubarak, nonché da alcuni partiti dell'opposizione e da possibili candidati alle elezioni presidenziali come Amr Mussa e Mohammed el Baradei.

La richiesta di rinvio veniva giustificata con la necessità di dare più tempo alle forze politiche in via di formazione, per poter affrontare in modo efficace la campagna elettorale, che diversamente avrebbe visto in posizione di eccessivo vantaggio i Fratelli Musulmani o persino i residui del Partito Nazionale Democratico al potere nell'epoca di Mubarak. Il 29 giugno si verificavano comunque ripetuti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, sin dalla nottata, nella capitale egiziana, soprattutto in Piazza Tahrir e nei pressi del Ministero dell'interno, che avrebbero provocato circa 600 feriti: i manifestanti chiedevano soprattutto le dimissioni di Tantawi.

Nel mese di luglio la situazione in Egitto si è sviluppata poi intorno alla sempre più chiara  dialettica tra le autorità militari provvisorie di governo e il movimento di protesta, che per alcuni giorni ha avuto come proprio epicentro Suez: le autorità responsabili hanno dovuto assicurare che nessuna manifestazione avrebbe messo a rischio la sicurezza della navigazione nel Canale. Pure il rimpasto di governo finalmente attuato il 21 luglio con la sostituzione della metà dei ministri, è stato attaccato dal movimento giovanile di Piazza Tahrir, desideroso di un ancor maggiore ricambio della classe dirigente, che portasse alla fine completa di ogni funzione politica degli elementi compromessi con il passato regime. Il 29 luglio la contestazione di Piazza Tahrir è stata dominata per la prima volta dagli islamisti, dopo la rottura dell'unità che aveva portato a convocare una grande manifestazione, e il conseguente ritiro degli altri movimenti politici.

La prima metà di agosto è stata caratterizzata dall'apertura del processo contro Mubarak, i due figli Alaa e Gamal, l'ex ministro dell'interno el Adly e sei dei suoi collaboratori, tutti presenti in aula a partire dal 3 agosto - unico contumace l'uomo d'affari Hussein Salem, che si trovava in Spagna. Nella prima udienza l'ex rais, comparso alla sbarra in barella, ha rigettato le accuse di aver fatto sparare sui manifestanti nei primi giorni della sollevazione popolare. L'inizio del dibattimento è stato accompagnato al di fuori dell'aula da continui tafferugli tra sostenitori e avversari di Mubarak, con particolare virulenza il 15 agosto, quando si è aperta la seconda udienza, che veniva prontamente rinviata .

Subito dopo, l’Egitto si è trovato coinvolto in un’aspra polemica con Israele, in seguito alla reazione ebraica agli attentati del 18 agosto nel Neghev meridionale, che provocava indirettamente l’uccisione di cinque guardie di frontiera egiziane: già il 19 agosto si svolgevano dimostrazioni di centinaia di persone in piazza Tahrir e nei pressi dell'ambasciata israeliana al Cairo, che giungevano a chiedere la chiusura della rappresentanza diplomatica e l’espulsione dell'ambasciatore. Anche alcuni probabili candidati alle elezioni presidenziali egiziane, tra i quali el Baradei e Amr Mussa, si esprimevano con asprezza nei confronti di Israele. Di fronte ad alcune voci su un possibile richiamo al Cairo dell'ambasciatore egiziano in Israele, il Ministro della difesa di Tel Aviv Ehud Barak dichiarava il proprio rammarico per la morte dei militari egiziani, dando la disponibilità di Israele a un'inchiesta congiunta con l'Egitto per verificare le circostanze dell'incidente - che peraltro, secondo i vertici militari israeliani, poteva non essere stato causato da fuoco israeliano, quanto piuttosto da ordigni piazzati da terroristi o da loro raffiche.

D’altro canto, però, l'Egitto è sembrato adoperarsi attivamente per spegnere la tensione rinnovata tra Israele e la Striscia, tanto che nei giorni immediatamente successivi l'asprezza dello scontro è stata attenuata. Da rimarcare soprattutto l'accordo tra Egitto e Israele, che ha visto il consenso di Tel Aviv nel derogare almeno temporaneamente agli accordi di smilitarizzazione del Sinai fissati nel 1979, onde permettere il dispiegamento di forze egiziane nella regione per prevenire attacchi contro Israele. L'impegno egiziano ha altresì consentito l'importante risultato di far aderire anche la Jihad islamica palestinese alla sospensione degli attacchi contro Israele, in ciò seguendo quanto già deciso da Hamas. All'atteggiamento responsabile dell'Egitto, o meglio di chi in Egitto effettivamente in quel momento aveva la responsabilità di prendere decisioni, ossia essenzialmente i militari, sembrava tuttavia corrispondere un certo scollamento della popolazione e anche di importanti esponenti politici, come i già citati candidati alle presidenziali o il neo segretario della Lega Araba al-Arabi, che più volte sono sembrati cavalcare gli umori fortemente antisraeliani di larghe fasce della popolazione egiziana.

Tale schema è sembrato inverarsi il 9 settembre al Cairo, quando, dopo aver demolito il muro di protezione eretto solo da pochi giorni davanti all’edificio assai alto, uno dei cui piani è occupato dall'ambasciata israeliana, decine di manifestanti, violando l’extraterritorialità della sede diplomatica, si sono arrampicati fino ai locali della rappresentanza, costringendo l'ambasciatore, il personale diplomatico ed i loro familiari a una fuga precipitosa, mentre sei appartenenti alla sicurezza israeliani venivano messi in salvo solo per l'intervento di forze speciali egiziane. Al di fuori dell'ambasciata si sono poi verificati violenti scontri tra i manifestanti e le forze dell'ordine egiziane arrivate in massa a fronteggiare la gravissima circostanza. Le autorità del Cairo hanno poi prontamente reagito il giorno seguente con una riunione straordinaria del Consiglio supremo delle forze armate e del gabinetto di crisi del governo, respingendo anzitutto le dimissioni del premier Sharaf, e assicurando il rispetto di tutti trattati internazionali che vincolano l'Egitto, inclusi quelli relativi alla protezione delle sedi diplomatiche. Le autorità hanno inoltre ammonito sulla possibilità di ricorrere alla normativa sullo stato d'emergenza, tuttora in vigore.

Ciononostante, il clima antisraeliano in Egitto è stato poi rinfocolato dalla visita al Cairo del premier turco Erdogan, a sua volta già da tempo in rotta di collisione con Tel Aviv, che ha sollevato il tema dell'assoluta necessità del riconoscimento di uno Stato palestinese. Dopo pochi giorni, non a caso, il premier egiziano Sharaf, intervistato da una televisione turca, si è spinto a dichiarare che l'accordo di pace del 1979 con Israele non era più considerato come immutabile dall'Egitto, e avrebbe potuto essere rinegoziato.

Il 5 settembre era intanto ripreso il processo a Mubarak e agli altri imputati per le violenze contro i manifestanti nella prima fase della rivoluzione egiziana: si è trattato di un'udienza fiume, durante la quale venivano ascoltati quattro ufficiali della sicurezza centrale, proprio allo scopo di chiarire il ruolo delle autorità di governo nella repressione violenta. L'udienza è stata accompagnata dai consueti  tafferugli in prossimità del tribunale, ma le tensioni si sono trasferite anche nell'aula di giustizia, dalla quale sono stati allontanati esponenti di opposte idee.

All’inizio di ottobre la situazione egiziana ha visto un nuovo grave focolaio di tensione, quando, per protestare contro l'attacco perpetrato ad Assuan da giovani musulmani contro un edificio appartenente alla comunità copta, accusata di volerlo trasformare in una chiesa senza averne ricevuto l'autorizzazione, appartenenti alla consistente minoranza cristiano-copta del paese hanno inscenato una serie di manifestazioni, dapprima nella stessa località di Assuan, e successivamente nella capitale. Il 9 ottobre le proteste sono degenerate in gravi scontri, dapprima tra i copti e le forze di sicurezza, e successivamente anche tra copti e musulmani, con un bilancio di 26 morti e oltre trecento feriti. I copti avevano portato la protesta al Cairo per richiedere le dimissioni del governatore di Assuan – secondo il quale, peraltro, la costruenda nuova chiesa cristiana non rispondeva ai requisiti di legge. Sullo sfondo, tuttavia, si agitava non solo tra i copti il sospetto di un accordo sotterraneo tra l’elemento militare alla guida del paese e i Fratelli Musulmani – i soli già in possesso di una ramificata struttura organizzativa in vista delle elezioni legislative del 28 novembre -, volto a favorire proprio questo gruppo nei confronti delle forze motrici della rivoluzione di piazza Tahrir.
Nell’udienza generale del 12 ottobre lo stesso pontefice Benedetto XVI  denunciava il tentativo in Egitto di porre fine alla coesistenza pacifica tra cristiani e musulmani, colpendo una pacifica manifestazione di copti. Dal canto suo il patriarca di Alessandria d’Egitto Naguib ha rilevato come la Dichiarazione prodotta il 19 luglio dalla prestigiosa Università islamica di Al Azhar, ponendo la legge islamica quale principio ispiratore della Costituzione e delle leggi, contraddicesse i propositi, pure ivi espressi, di contribuire alla nascita di uno Stato moderno e a carattere democratico.
In ogni modo, il 10 ottobre il governo egiziano guidato da Sharaf aveva approvato, in una riunione straordinaria, un pacchetto di misure a favore della minoranza cristiano-copta, tra cui alcune modifiche al codice penale per colpire con pesanti sanzioni detentive e pecuniarie ogni discriminazione religiosa nei luoghi di lavoro e nelle pubbliche attività. L’esecutivo inoltre disponeva un’inchiesta sugli incidenti del giorno prima, come anche l’avvio di una discussione per la riforma della normativa concernente i luoghi di culto, favorendone intanto la costruzione con un progetto di legge per semplificare le relative procedure. Nonostante questa pronta reazione, l’11 ottobre il governo veniva attraversato da forti tensioni, con numerose richieste di dimissioni, di fronte alle quali il premier Sharaf si rimetteva alla volontà delle forze armate, che intanto, per mezzo della Procura militare, ordinavano il fermo di una trentina di persone sospettate di coinvolgimento nei gravi scontri del 9 ottobre.

Mentre si avvicinava l'importantissima scadenza delle elezioni legislative del 28 novembre, il dibattito politico si incentrava in Egitto sulle conseguenze del giro di vite sulla sicurezza messo in atto dai vertici militari, tuttora detentori sostanziali del potere, che avevano disposto l'applicazione della legge di emergenza dopo i gravi disordini del 9 ottobre. Proprio in relazione a questi avvenimenti veniva arrestato un noto attivista egiziano, Abdel Fattah, protagonista anche della mobilitazione su Internet: nei suoi confronti venivano elevate accuse di incitamento in relazione ai disordini del 9 ottobre, come anche di uso personale di armi e di avere tentato violenze contro un reparto militare. Il giovane attivista ha tuttavia abilmente saputo attirare l'attenzione sulla questione centrale collegata alla legge di emergenza - risalente all’assassinio di Sadat nel 1979, e della quale il movimento di Piazza Tahrir chiedeva da tempo l’abolizione -, ovvero la sottoposizione di civili al giudizio di tribunali militari, alle cui domande egli si è rifiutato di rispondere, ricevendo al proposito anche la solidarietà di due candidati alla Presidenza, ovvero el-Baradei e Sabahi. L'asprezza del dibattito è stata inoltre alimentata anche da iniziative di sciopero della fame e della sete nelle carceri da parte di manifestanti arrestati, come anche dalla morte di Essam Atta, un ventiquattrenne detenuto il cui decesso sarebbe stato provocato dalle torture susseguenti a un tentativo di attivare il suo cellulare dall'interno dell'istituto di pena. In questo contesto, il 1° novembre diverse organizzazioni egiziane per la difesa dei diritti umani hanno boicottato il programmato incontro con il vicepremier Ali al-Selmy, nel quale si sarebbero dovuti mettere a punto i criteri di massima per dar vita a un’Assemblea costituente egiziana.

Anche i copti, che l’11 novembre hanno manifestato nella capitale per commemorare i morti del 9 ottobre, hanno mostrato una forte diffidenza nei confronti delle forze armate, le quali, pur avendo imposto una stretta sulla sicurezza proprio dopo il massacro dei copti, da molti tra questi ne sono state ritenute dirette responsabili, e dunque scarsamente credibili nell'accertamento della verità.

Ormai nell’imminenza del primo turno delle elezioni legislative, esplodeva il contrasto tra le forze che hanno animato la rivoluzione contro Mubarak e i militari, temporanei custodi della sovranità del paese: inoltre destava forte opposizione un progetto di riforma costituzionale volto ad abolire i controlli del Parlamento sui bilanci e le attività delle forze armate egiziane, disposte a modificarlo solo parzialmente. Su questo sfondo il 19 novembre sono iniziati scontri in Piazza Tahrir, successivamente estesi anche ad altre località, come Suez, che proseguivano con alterne fasi, e il cui bilancio ammontava già il 21 novembre a una quarantina di vittime e diverse centinaia di feriti. Nella stessa giornata si avevano pertanto le dimissioni di Essam Sharaf, e il 24 novembre, dopo un'altra giornata di gravi disordini con nuove vittime, i militari hanno affidato all'ex primo ministro di Mubarak, Kemal al-Ganzuri, l’incarico di dare vita ad un nuovo governo. Cionondimeno la mobilitazione della Piazza Tahrir è proseguita, anche se le violenze si sono progressivamente attenuate in vista dell'appuntamento delle elezioni parlamentari per la Camera Bassa (Assemblea del Popolo) confermato per il 28 novembre, e al quale, come già accaduto in Tunisia, si è presentata una variegata galassia di ben 55 formazioni politiche.

Dopo un lungo scrutinio sono finalmente stati resi noti (4 dicembre) i risultati del primo dei tre turni delle elezioni legislative, concernente un terzo dei governatorati del paese: il successo è andato, anche oltre le aspettative, ai due partiti islamici maggiori, il partito Giustizia e Libertà, espressione politica dei Fratelli musulmani (oltre il 36% dei voti), e la coalizione fondamentalista islamica (salafita) al-Nour (più del 24% dei suffragi). Poco seguito hanno avuto le liste della principale coalizione liberale, il Blocco egiziano (13,5%), come anche quelle degli islamici progressisti del Wasat (4,2%).

Dopo la netta affermazione dei partiti islamici, i dati relativi ai ballottaggi nella quota uninominale sono sembrati attenuare la portata del successo dei salafiti, poiché questi avrebbero conquistato solo altri 5 seggi, a fronte dei 36 attribuiti ai Fratelli musulmani. Il dato complessivo del primo dei tre turni elettorali vedrebbe dunque, su 168 seggi in palio, 80 seggi ai Fratelli musulmani, 31 ai salafiti e 18 ai liberal-moderati del Blocco egiziano.

Il 7 dicembre ha visto la luce il governo di al-Ganzuri.

Il 16 dicembre si è completato lo svolgimento del secondo dei tre turni delle elezioni legislative, con un’affluenza di circa il 68% degli aventi diritto: secondo i due principali partiti islamici anche questo turno elettorale avrebbe marcato una loro netta affermazione. Frattanto però la violenza si è riaccesa nel centro del Cairo, con pesanti scontri tra forze di sicurezza e manifestanti in prossimità dei palazzi del Parlamento e del Governo: il bilancio, tra il 16 e il 17 dicembre, è stato di una decina di morti e ben oltre duecento feriti. Il nodo del potere reale tuttora nelle mani dell’esercito restava centrale nelle motivazioni dei manifestanti, e sembrava relativamente indipendente dallo svolgimento regolare del programma elettorale previsto.

Il 4 gennaio 2012 si è completato lo svolgimento dei tre turni delle elezioni legislative, con un’affluenza diminuita rispetto ai due turni precedenti. In attesa dei risultati elettorali complessivi è tornata in primo piano la questione della sorte dell’ex rais Hosni Mubarak, nel cui processo, in corso al Cairo, il 5 gennaio è stata chiesta dall’accusa la pena capitale, da comminare anche all’ex ministro dell’interno el-Adli e a sei suoi collaboratori: la condanna a morte è stata chiesta in relazione all’ordine di uccidere i manifestanti che sarebbe partito proprio da Mubarak nei primi giorni della contestazione di fine gennaio 2011. Nell’udienza del 22 febbraio è stato poi fissata la conclusione del processo per il 2 giugno.

Il 14 gennaio uno dei principali candidati alle elezioni presidenziali del 2012, l'ex capo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica e premio Nobel per la pace Mohammed el Baradei, liberale, ha annunciato il proprio ritiro dalla corsa presidenziale, poiché a suo dire l’Egitto non può essere definito un vero regime democratico, e anzi sembra ormai non vi sia stata alcuna rivoluzione, con la gestione politica in mano ai militari che si mostra, oltre che brutale, anche incapace di conseguire gli obiettivi fondamentali della rivoluzione del 2011. Al di là delle dichiarazioni di el Baradei, la sua decisione può essere stata influenzata anche dalla realistica constatazione dell'impossibilità di una sua designazione alla presidenza in un paese con una maggioranza tanto vasta a favore dei partiti islamisti.

Il 19 gennaio il Ministro degli Esteri Giulio Terzi, in visita al Cairo, ha recato il pieno sostegno del nostro paese alla transizione democratica in corso in Egitto, ribadendo l’importanza dei legami culturali ed economici tra i due paesi. Il ministro Terzi ha incontrato tutti i vertici politici e religiosi egiziani, e ha tenuto a caldeggiare con rinnovato vigore la necessità del rispetto del pluralismo e delle minoranze sul terreno religioso.

Pur se non del tutto completi, i dati della complessa tornata elettorale per la Camera bassa egiziana hanno confermato nella quota proporzionale (332 seggi) la grande vittoria dei partiti islamisti, che hanno totalizzato circa tre quarti dei seggi, ovvero 127 ai Fratelli musulmani, 96 ai salafiti del Nour e 10 al Wasat. Sui circa trenta partiti presentatisi alla consultazione sono stati quindi tredici quelli che hanno ottenuto seggi: tra questi, assai lontani dai partiti islamici, i moderati e i liberali del Wafd e del Blocco egiziano, rispettivamente con 36 e 33 seggi. Anche la galassia di piccole formazioni politiche riconducibili al disciolto Partito nazionale democratico di Mubarak ha portato in Parlamento una quindicina di rappresentanti.

Dopo la sorpresa dei vertici militari, che hanno proceduto a graziare circa duemila detenuti già giudicati della giustizia militare, tra i quali il blogger e attivista copto Nabil; il 23 gennaio vi è stata la seduta inaugurale del Parlamento, che con maggioranza schiacciante ha eletto come proprio presidente Mohammed el-Katatni, appartenente ai Fratelli musulmani. Il compito più importante che sta di fronte al nuovo Parlamento è la scelta dei cento componenti dell'Assemblea costituente incaricati di redigere una nuova Costituzione.

Mentre gli ambienti degli attivisti manifestavano un profondo scontento in vista dei festeggiamenti del 25 gennaio per l’anniversario della rivoluzione contro Mubarak, il 24 gennaio il capo del Consiglio militare, maresciallo Tantawi, ha dato soddisfazione a una delle principali richieste della piazza, annunciando la parziale revoca dello stato di emergenza in vigore dal 1981. Tantawi ha inoltre ribadito l’intenzione dei militari di abbandonare l’attuale ruolo politico non appena terminata la lunga fase della transizione istituzionale.

Tensione con gli Stati Uniti si è registrata intanto a seguito del fermo al Cairo di sei cittadini americani – tra i quali il figlio del segretario federale ai trasporti Ray Lahood – che avevano partecipato per conto di alcune organizzazioni non governative americane (l’International Republican Institute, la Freedom House e il National Democratic Institute) all’osservazione del processo elettorale in corso nel paese. Gli Stati Uniti hanno replicato minacciando di non erogare più all’Egitto il cospicuo contributo militare, che supera il miliardo di dollari. Cionondimeno, i cittadini americani interessati, nel frattempo divenuti diciannove, sono stati rinviati a giudizio il 5 febbraio, con l'accusa di aver creato e gestito senza autorizzazione proprie sedi in Egitto, dando vita inoltre a programmi di formazione politica rivolti ad alcuni partiti – accuse che comportano una pena intorno ai cinque anni di reclusione. Nell’udienza del 26 febbraio – ove peraltro solo i 14 imputati egiziani sono comparsi in aula – si è deciso, dopo che l’accusa ha ribadito le accuse di attività illecite e, in riferimento agli stranieri, di interferenze nella politica egiziana, di aggiornare il processo alla data del 26 aprile. In realtà il 29 febbraio, dopo le dimissioni in  blocco dei giudici interessati dal procedimento, è stato dato agli stranieri coinvolti nella vicenda il permesso di lasciare l’Egitto, con evidente volontà di chiudere soprattutto l’incidente con gli Stati Uniti. Tale sviluppo ha però scatenato aspre critiche interne all’Egitto, tanto da parte dell’opinione pubblica e dei media quanto da parte di importanti cariche istituzionali – come ad esempio il presidente dell’Assemblea del popolo Katatni -, con accuse al governo e ai militari di aver ceduto alle pressioni americane, interferendo indebitamente nel campo giudiziario, il che sarebbe provato anche dalle dimissioni dei giudici di merito. Il premier el Ganzouri e altri ministri interessati dalla vicenda sono stati convocati per l’11 marzo a riferire in Parlamento.

I segnali di miglioramento del clima politico egiziano, soprattutto in ordine al persistente ruolo di garanzia politica delle forze armate, sono stati subito smentiti il 1º febbraio quando lo stadio di Porto Said è stato teatro di un gravissimo episodio di violenza: i sostenitori della squadra locale, che pure aveva riportato un inatteso successo contro la squadra cairota della el Ahly, hanno invaso in massa il campo e scatenato una caccia all'uomo nei confronti dei tifosi ospiti, alla fine della quale si contavano 73 morti e circa 1000 feriti. Con il passare dei giorni la vicenda ha rivelato nuovi contorni, in quanto l'azione dei supporter di casa sarebbe stata favorita da una sostanziale inerzia delle forze dell'ordine, pure presenti allo stadio, che ha condotto i recenti vincitori delle elezioni legislative, i Fratelli Musulmani, a formulare accuse ai sostenitori del passato regime di aver consumato nello stadio di porto Said una vendetta pianificata. D'altra parte, va ricordato che gli ultras della el Ahly, seppure con motivazioni distanti da quelle politiche, avevano tuttavia partecipato sin dall'inizio ai moti di Piazza Tahrir, mettendo la propria forza organizzata al servizio dei manifestanti, soprattutto per una consolidata ostilità contro le forze di sicurezza del regime di Mubarak.

Il ruolo delle forze di sicurezza nella vicenda è divenuto presto il fulcro di una polemica politica che ha visto parzialmente ridisegnarsi gli equilibri di potere, con la messa in difficoltà del tacito patto tra il Consiglio militare i Fratelli Musulmani. D'altra parte, gli ambienti della contestazione di piazza hanno accusato le forze armate di aver architettato un piano di scatenamento di tensioni per terrorizzare il paese e, mediante la richiesta di una stretta sulla sicurezza, nuovamente legittimarsi alla direzione di esso. Nell'immediato, la federazione calcistica egiziana ha sospeso qualunque partita sine die, mentre il 2 febbraio si è riunito il Parlamento in seduta d'urgenza - e ciò non avveniva  da circa quaranta anni - mentre le strade e le piazze circostanti si riempivano progressivamente di manifestanti che urlavano slogan contro le forze armate.

Dopo le prime misure contro le autorità di Porto Said e i vertici della federazione calcistica egiziana, la seduta parlamentare ha visto convergere le forze politiche sulla richiesta di dimissioni del ministro dell'interno Ibrahim e sull'inizio di un’indagine parlamentare sui fatti. Divisioni sono tuttavia emerse in merito all'attribuzione delle responsabilità ai militari, rispetto ai quali sia il partito espressione dei Fratelli Musulmani che quello salafita hanno evitato ogni accenno, mentre sono stati apertamente attaccati dalle forze laiche e liberali, come anche dai pochi deputati espressi dal movimento di piazza.

La rapida evoluzione della situazione ha però fatto sì che il 3 febbraio, mentre progressivamente si addensavano intorno ai palazzi istituzionali scontri tra manifestanti e forze di sicurezza, con i primi morti, la Guida suprema dei Fratelli musulmani Mohamed Badie abbia attaccato in modo durissimo il potere militare, sostenendo che ufficiali conniventi con il vecchio regime hanno voluto punire il popolo e la sua rivoluzione. Badie ha proseguito richiedendo immediati provvedimenti di ristrutturazione del ministero dell'interno, come anche di dare soddisfazione alla piazza eliminando ogni privilegio nella detenzione degli esponenti del vecchio regime, e in particolare trasferendo Mubarak nell'ospedale del carcere.

Sulla scorta della maturazione di queste posizioni, il 6 febbraio la Commissione elettorale egiziana ha annunciato l'anticipo di un mese, rispetto a quanto previsto dal Consiglio militare, della data fissata per la presentazione delle candidature per le elezioni presidenziali, che ha aperto la strada ad un anticipo della stessa consultazione: infatti il 29 febbraio la Commissione elettorale presidenziale ha annunciato le date del 23 e 24 maggio per lo svolgimento delle presidenziali, con eventuale turno di ballottaggio il 16 e 17 giugno.

In ogni modo, l'11 febbraio ha visto un grave insuccesso della giornata di disobbedienza civile proclamata da movimenti e attivisti egiziani, con l’unica eccezione della massiccia adesione di studenti e università. Il fallimento dell'iniziativa è dipeso soprattutto dal boicottaggio di essa da parte dei movimenti islamisti, tanto quello dei Fratelli Musulmani quanto quello dei salafiti, ma neanche i copti hanno aderito all'appello alla disobbedienza civile.

 

 


Scheda-paese a cura del Ministero degli Affari esteri

 

 

 

 

 

 

Direzione Generale per gli Affari Politici e di Sicurezza

Ufficio VIII

 
SCHEDA PAESE

 

Repubblica Araba d’Egitto

 



CENNI STORICI

Nel 1922 i britannici concedono l’indipendenza all’Egitto riservandosi il controllo sul Canale di Suez e nel 1947 inizia il definitivo ritiro delle truppe inglesi dal Paese. L’anno seguente l’Egitto prende parte al Primo conflitto arabo-israeliano, conclusosi con una sostanziale vittoria israeliana e l’annessione della Striscia di Gaza da parte egiziana e della Cisgiordania da parte giordana.

Dopo la rivoluzione degli ufficiali del 1952, che costrinse Re Farouk all’esilio, il Generale Nasser assume la guida del Paese: la pianificazione economica e la nazionalizzazione delle banche commerciali e del Canale di Suez sono i caratteri della sua politica. In quegli anni l’Egitto assume la leadership del mondo arabo, rafforzato dal fallimento dell’operazione militare anglo-francese nella zona del Canale (1956). La successiva partecipazione al conflitto arabo-israeliano del 1967 segna, tuttavia, una pesante sconfitta per Nasser, che perde il controllo della Striscia di Gaza e del Sinai.

A Nasser succede il suo Vice-Presidente Sadat. Nonostante la sconfitta militare della guerra del Kippur nel 1973, l’Egitto recupera credibilità e prestigio internazionale e Sadat inaugura un periodo di liberalizzazione politica ed apertura all’economia di mercato globale. In politica estera, l’azione di Sadat è volta a normalizzare le relazioni con gli USA e, nonostante le critiche dei Paesi arabi, nel 1977 intraprende una storica visita in Israele per rivitalizzare il processo di pace. Con il summit di Camp David, nel settembre 1978, viene stipulato un trattato di pace tra Egitto ed Israele in base al quale Israele si impegna a restituire la penisola del Sinai all'Egitto, mentre quest'ultimo riconosce lo Stato di Israele.

L’assassinio del presidente Sadat (ottobre del 1981) da parte di un esponente del gruppo Al-Jihad, islamisti radicali contrari al processo di pace, apre le porte alla successione di Hosni Mubarak, appartenente all’oligarchia degli Ufficiali delle Forze Armate egiziane, come i suoi predecessori. Mubarak sposa da subito una linea di continuità con la politica di Sadat, ovvero di rinuncia al panarabismo nazionalista e socialista di Nasser, per condurre una politica filo-occidentale e vicina agli Stati Uniti. Con la nuova leadership, l’Egitto riacquista centralità nel mondo arabo, persa dopo Camp David. Il Paese è riammesso nella Lega Araba nel 1989 e l’anno successivo svolge un importante ruolo nella crisi del Golfo nella formazione della coalizione araba contro Saddam Hussein.

Negli anni ’90, attentati e violenze verso i turisti, come quello di Luxor del 1997, danneggiano economicamente il Paese.

Il 25 gennaio 2011 gli effetti della “primavera araba” travolgono anche l’Egitto costringendo Mubarak alle dimissioni. Il potere è stato ufficialmente assunto dal Consiglio Supremo delle Forze Armate, guidato dal Ministro della Difesa Tantawi.


STRUTTURA ISTITUZIONALE E POPOLAZIONE

Struttura istituzionale e dati di base

Superficie:

997.739 Kmq, di cui soltanto il 5% è abitata e coltivata

Capitale:

Il Cairo (18.440.076 abitanti)

Principali città:

Alessandria (4.123.869 ab.) – Porto Said (570.603 ab.) – Suez (512.135 ab.)

Nome Ufficiale:

Repubblica Araba d’Egitto

Forma di Governo:

Repubblica presidenziale

Capo dello Stato:

Generale Hussein Tantawi (da marzo 2011)

Capo del Governo:

Primo Ministro Kamal Ganzuri (dal 24 novembre 2011)

Vice Primo Ministro

Hazem El Beblawy

Aly El Selmy

Ministro degli Esteri:

Amb. Mohamed Kamal Amr

Sistema legislativo:

Bicamerale

Sistema legale:

Basato sulla Costituzione dell’11 settembre 1971

Suffragio:

Sistema elettorale a suffragio diretto

Partecipazione a Organizzazioni Internazionali:

ABEDA, ACC, ACCT, AfDB, AFESD, AL, AMF, BSEC (observer), CAEU, CCC, EBRD, ECA, ESCWA, FAO, G-15, G-19, G-24, G-77, IAEA, IBRD, ICAO, ICC, ICRM, IDA, IDB, IFAD, IFC, IFRCS, IHO, ILO, IMF, IMO, Interpol, IOC, IOM, ISO, ITU, MFO, MINURSO, MONUC, NAM, OAPEC, OAS (observer), OAU, OIC, OSCE (partner), PCA, UN, UNAMSIL, UNCTAD, UNESCO, UNIDO, UNITAR, UNMIBH, UNMIK, UNMOP, UNOMIG, UNRWA, UNTAET, UPU, WFTU, WHO, WIPO, WMO, WTO, WTrO

Popolazione ed indicatori sociali

Popolazione:

84.500.000 (Economist Intelligence Unit, dicembre  2011)

Tasso di crescita:

2%

Aspettativa di vita alla nascita:

popolazione complessiva: 71,5 anni

maschi: 69 anni

femmine: 74 anni

Gruppi etnici:

Egiziani, Beduini e Berberi (99%); Greci, Nubi, Armeni ed Europei (1%)

Religioni:

Musulmani (prev. Sunniti) 87%; Cristiani Copti e altri 13%

Lingue:

Arabo. Inglese e francese sono ampiamente conosciuti dai ceti più  istruiti

Partiti politici principali:

Freedom and Justice (Fratelli Musulmani), El Nour (“La Luce”, partito salafita), El Wafd, Free Egyptians, Partito Socialista Democratico, Tagammu, El Wasat, Partito del Fronte Democratico, Partito Egitto Libertà, Al Asala, Building and Development, El Ghad.


POLITICA INTERNA

La situazione in Egitto resta volatile. Il tentativo dello SCAF (Supreme Council of the Armed Forces) di stabilire principi base di riferimento per l’elaborazione della nuova Costituzione ha condotto a novembre, prima delle elezioni, a seri incidenti sfociati nella caduta del PM Sharaf e la nomina del governo Ganzouri. Ad esso è stato affiancato un Consiglio Consultivo, con la partecipazione di esponenti politici come Amr Moussa e di rappresentanti dei partiti politici (inclusi i Salafiti ma senza i Fratelli Musulmani, che osteggiano l’iniziativa), incaricato di assistere il governo e di sviluppare le modalità per la stesura della nuova Costituzione.

La conclusione del ciclo delle elezioni parlamentari, avviato con le consultazioni per l’Assemblea del Popolo del novembre 2011 e terminato con gli ultimi ballottaggi della Camera Alta il 22 febbraio scorso, consentirà al Parlamento di riunirsi in sessione congiunta per nominare i 100 membri della Commissione incaricata di redigere la nuova Costituzione, da sottoporre a referendum entro la fine dell’anno. Fino al 10 marzo è poi possibile presentare candidature alla presidenza della repubblica, con l’obiettivo di poter svolgere le elezioni presidenziali a giugno, in modo da poter avere un Presidente eletto entro la fine di quel mese e il passaggio dei poteri all’Amministrazione civile entro il 1 luglio. 

Seppur caratterizzate da bassa affluenza alle urne e scarsa attenzione dei media, le elezioni della Camera Alta – organo dotato di soli poteri consultivi – hanno confermato il successo elettorale di novembre dei partiti islamisti, quando  “Giustizia e Libertà” (espressione politica dei Fratelli Musulmani) ed il partito salafita “El Nour”, si sono assicurati insieme il controllo di circa il 74% dei seggi della ben più importante Assemblea del Popolo. Questa  ha inoltre eletto come suo Presidente una delle figure principali dei FM, Saad El Katany, mentre sono stati scelti come vice presidenti un rappresentante dei salafiti ed uno del partito Wafd.

Nonostante il pragmatismo di cui i FM cercano di dare prova, si teme che essi possano allearsi con i Salafiti sul tema della riforma costituzionale, profilando in questo modo un confronto con i militari, non tanto sul riferimento alla Sharia che nessuno contesta, quanto sulla predominanza o meno del Parlamento nel sistema di governo. Dal punto di vista tattico i FM hanno tuttavia accettato il principio che il governo provvisorio guiderà il Paese fino alle presidenziali.

Quanto ai movimenti di Piazza Tahrir, pur avendo ispirato la rivolta, essi sono stati incapaci di capitalizzarne il successo ed i risultati elettorali (che vedono proprio i movimenti rivoluzionari e giovanili come i grandi perdenti) hanno contribuito a rafforzare il sentimento di “rivoluzione incompiuta”, così come il mantenimento della legge di emergenza e la diffusa prassi di processare civili nei tribunali militari. Destano inoltre preoccupazioni le recenti perquisizioni effettuate dalle forze di sicurezza egiziane negli uffici di diverse ONG straniere ad inizio gennaio (comprese ONG statunitensi e tedesche).

Le ricorrenti manifestazioni (spesso infiltrate da provocatori) e proteste sindacali continuano ad ostacolare l’attività economica e hanno assunto toni nazionalistici e xenofobi, con impatti negativi sugli investimenti stranieri.

Le pesanti difficoltà economiche in cui versa il Paese, aggravate dalla drastica riduzione degli introiti legati al turismo e dall’ondata di rivendicazioni sindacali, alimentano la disoccupazione e l’insicurezza in un circolo vizioso preoccupante. Diventa in questo contesto sempre più urgente facilitare il rilancio dell’economia, sia a livello bilaterale che multilaterale, assicurando l’effettivo afflusso dei finanziamenti previsti dal Partenariato di Deauville (35 miliardi di USD per i 5 Paesi partner). Ciò anche alla luce delle difficoltà delle autorità egiziane a raggiungere un accordo con le IFI (scheda in seguito) e della limitatezza dei fondi provenienti dai Paesi del Golfo.

Desta infine particolare preoccupazione la situazione di sicurezza in Sinai, con un forte deterioramento del controllo sul territorio da parte delle autorità. Ciò comporta ripercussioni negative non solo sullo stesso Egitto, ma anche sulle condizioni di sicurezza di Israele, dove cresce l’incertezza circa l’impegno di un governo guidato da forze islamiste verso gli accordi di Camp David.

 

 

Principali partiti politici

Nonostante abbiano partecipato alle elezioni legislative oltre 40 partiti politici, il panorama attuale si suddivide ormai, principalmente, nelle seguenti formazioni.

 

1. Freedom and Justice. Il Partito dei Fratelli Musulmani è stato il grande vincitore delle elezioni parlamentari, diventando il primo partito politico del Paese (nonostante queste siano state le prime elezioni in cui è stata ufficialmente consentita la partecipazione dei Fratelli Musulmani, che partecipavano in precedenza come candidati indipendenti). Freedom and Justice ha conquistato il 48,5% dei seggi all’Assemblea del Popolo ed il 59% al Consiglio della Shura.

I leader del movimento, nato nel maggio del 2011, consapevoli dei timori che la natura islamista del partito suscita all’estero, hanno cercato di accreditare un’immagine più moderata presso l’opinione pubblica. Essi affermano di voler sostenere la laicità dello Stato in Egitto, nel senso che le istituzioni non debbano essere governate né da militari né da teocratici, fermo restando l’intoccabile principio (peraltro accettato anche dal resto del mondo politico egiziano, inclusi i partiti laici) che la Sharia sia fonte primaria del diritto. Il programma del partito prevede il riconoscimento e la tutela della libertà di culto, e Freedom and Justice – come il resto degli schieramenti politici – ha aderito alla carta dei diritti fondamentali promossa dall’Università di Al Azhar, che riprende questo imperativo.

Freedom and Justice vorrebbe abolire il sistema presidenziale e stabilire un sistema di Governo che preveda l’accentramento dei poteri di indirizzo politico nelle mani del Presidente del Consiglio e in cui il Presidente della Repubblica avrebbe funzioni prevalentemente simboliche.

 

2. Al Nour. Principale partito dei Salafiti, che persegue l’obiettivo della creazione di uno Stato che si basi sui principi della Sharia quale guida principale per la vita politica, economica e sociale dell’Egitto. La formazione politica ha riscosso un notevole consenso elettorale (26% all’Assemblea del Popolo, 25% al Consiglio della Shura), facendo emergere timori per le possibili conseguenze di un eventuale sodalizio con il partito dei Fratelli Musulmani.

 

3. Al WAFD. Il più antico fra i partici politici egiziani, ha svolto un ruolo fondamentale nella vita politica dell’Egitto per molti decenni, prima della rivoluzione del 1952. È un partito laico ma conservatore, che conta anche diversi ex membri del PND, partito di Mubarak sciolto a seguito della caduta del regime. Il partito si è assestato come terzo partito egiziano a seguito delle elezioni, in cui ha raccolto quasi l’8% dei consensi sia per l’Assemblea del Popolo che per il Consiglio della Shura.

Sebbene non vi siano alleanze formali di Al WAFD con il partito dei Fratelli Musulmani, sembra tuttavia essersi innescato un processo di positiva collaborazione, che consente ad Al WAFD di svolgere un’azione moderatrice sul primo schieramento egiziano.

 

4. Free Egyptians. Insieme al Social Democratic Party ed al partito Tagammu, Free Egyptians è una delle anime dell’Egyptian Block, che ha ottenuto circa il 7% all’Assemblea del Popolo e poco più del 4% al Consiglio della Shura. Si tratta di un partito liberale, laico, fondato da Naguib Sawiris nell’aprile scorso, cui fanno parte molte tra le principali figure imprenditoriali egiziane e che rappresenta il partito più orientato verso la difesa del capitalismo e del liberismo in Egitto.

 

5. Social Democratic Party. Il SDP è il partito che ha riunito le principali figure – laici e progressisti – protagoniste della Rivoluzione. Partito progressista che si propone l’instaurazione di principi di libero mercato, pur riconoscendo la necessità di maggiore giustizia sociale, esso sostiene la creazione di uno stato laico, moderno e democratico che riconosca i diritti umani dell’individuo e le libertà fondamentali, ispirandosi dichiaratamente al Partito Democratico statunitense ed al Labour britannico.

 

6. Tagammu. Uno dei partiti storici, fondato nel 1976, ha perseguito per anni l’instaurazione di una società socialista in Egitto ma ha poi moderato la sua posizione avvicinandosi al PND (partito dell’ex Presidente Mubarak). Sostegno per molto tempo da operai ed intellettuali, ha perso molto del suo seguito.

 

Processo Mubarak

È stata formalizzata il 5 gennaio la richiesta della pena capitale nei confronti dell’ex Presidente Mubarak per l’uccisione di 850 manifestanti in Piazza Tahrir fra gennaio e febbraio dello scorso anno. All’ex Presidente viene in particolare mossa l’accusa di aver dato l’ordine di sparare sui manifestanti, o – nella migliore delle ipotesi – di non essere intervenuto in aiuto alla sua gente pur essendo pienamente al corrente di tale ordine. La richiesta dell’accusa, che avviene in un momento di crescenti critiche di gran parte della popolazione nei confronti dei militari appare in gran parte legata all’obiettivo di stabilizzare la situazione interna, indicando che non vi è alcuna continuità fra l’attuale regime e quello di Mubarak. Le precarie condizioni di salute dell’ex Presidente rendono improbabile un’effettiva esecuzione di un’eventuale sentenza, soprattutto tenuto conto della possibilità di un appello alla decisione, la cui durata difficilmente sarebbe compatibile con le aspettative di vita – considerate ridotte – di Mubarak.

 

L’elemento religioso

I recenti, ripetuti attentati ai danni di minoranze religiose rappresentano il segnale di una tendenza che mette in pericolo i principi della libertà di religione e, talvolta, l’esistenza stessa di comunità religiose in alcuni paesi, spesso costrette all'emigrazione forzata. L'attentato avvenuto la notte di Capodanno 2010, contro la comunità cristiana copta vicino ad una chiesa di Alessandria che ha causato 21 vittime, ha rappresentato uno dei primi segnali di una preoccupante tendenza che mette in pericolo non solo i principi della libertà di religione ma la stessa esistenza delle comunità cristiane in alcuni paesi mediorientali. L’attentato di Alessandria era stato preceduto da altri episodi di violenza e intolleranza contro i copti nel corso del 2010 e purtroppo è seguito da nuovi episodi nel 2011. In particolare dopo i gravi incidenti dell’8 marzo 2011, in cui sono morti 12 Copti, e l'incendio del 7 maggio delle due chiese di Imbaba, con gli scontri tra Salafiti e Copti che hanno provocato 15 morti e centinaia feriti, i Copti hanno dato vita ad un lungo sit-in di protesta per chiedere il riconoscimento dei loro diritti e la garanzia della libertà di culto. Molti Copti ritengono che oggi la situazione sia peggiorata rispetto al passato regime di Mubarak. Sebbene la rivoluzione e i giorni di piazza Tharir abbiano segnato un momento di unione tra gli egiziani, la situazione è sensibilmente cambiata con il successivo rafforzamento di correnti radicali islamiche di tipo salafita.

Tra i dati positivi, che denotano comunque un interesse delle Autorità egiziane, va segnalata la istituzione di una Commissione d’inchiesta sugli ultimi attacchi contro la Comunità copta avvenuti ad ottobre dell’anno scorso. Inoltre, il Consiglio dei Ministri sta lavorando al testo di una legge (cd. “Unified House Workship Law”) sulla costruzione di luoghi di culto copti, considerata insufficiente ad attenuare la tensione interreligiosa.

Va, infine, segnalata l’azione della nostra Ambasciata al Cairo, che mantiene un contatto diretto e costante con lo stesso Capo della Chiesa copta, Papa Shenouda III, il quale ha manifestato apprezzamento per il ruolo dell’Italia in favore della comunità copta d’Egitto e per i programmi di cooperazione nel settore della formazione e dell’educazione. Allo stesso tempo, sono particolarmente cordiali i rapporti con il Gran Mufti d’Egitto, Ali Gomaa. Quest’ultimo si è recato in visita alla nostra Ambasciata, sottolineando l’importanza di evitare l’escalation della tensione e dell’odio interreligioso. Anche a al Gran Mufti è stata confermata la disponibilità italiana a rafforzare la cooperazione in settori quali la formazione e la specializzazione dei giovani egiziani.

Proprio a partire dall’attentato di Alessandria l'Italia ha ulteriormente intensificato la sua azione affinché la libertà religiosa sia fatta oggetto di una rinnovata attenzione sul piano internazionale e da parte di tutte le istanze che possono svolgere un ruolo a questo fine, a cominciare dall'Unione Europea.

La difesa della libertà religiosa e di culto e la tutela degli appartenenti a minoranze religiose costituiscono in effetti da tempo una delle principali priorità della politica estera italiana nel campo dei diritti umani. La discriminazione basata sulla religione (che non è limitata ad una specifica confessione né ad una specifica regione del mondo, ma che negli ultimi tempi sta colpendo soprattutto le minoranza cristiane) rappresenta una grave violazione dei diritti umani.

In ambito europeo, già alla fine del 2009, prendendo spunto dai numerosi attacchi sopra menzionati, l’Italia aveva promosso l’adozione da parte del Consiglio dell’Unione Europea di Conclusioni ad hoc sulla libertà di religione e, successivamente (giugno 2010) di un “Piano d'Azione”, elaborato a cura della ''Task Force sulla Libertà di religione'', che si riunisce periodicamente a Bruxelles per dare impulso a varie misure di tutela della libertà religiosa da parte dell’Unione Europea. Inoltre è stato elaborato un documento di lavoro intitolato "Key messages / line to take on freedom of religion or belief", che riassume, ad uso soprattutto delle Delegazioni UE nei paesi terzi, i punti essenziali caratterizzanti la posizione europea in materia di libertà di religione.

La forte azione esercitata dall'Italia in ambito Consiglio Affari Esteri, non priva di ostacoli e difficoltà, ha stimolato l'Unione Europea a rinnovare la sua condanna per il crescente numero di atti di intolleranza compiuti ai danni di cristiani ed altre comunità religiose, e dei loro luoghi di culto. L'Unione Europea, con l’attivo concorso del nostro Paese, ha quindi avviato un esercizio di monitoraggio finalizzato all’elaborazione periodica di un rapporto sullo stato della libertà religiosa nel mondo. Questo risultato contempera le posizioni di tutti i Ventisette su una questione, per noi di massima priorità, che richiede equilibrio tra diverse sensibilità, senza però attenuare la gravità né la natura dei fatti che hanno colpito diverse minoranze religiose nel mondo, in modo particolare quelle cristiane. Si tratta della base di partenza, e non certo di un punto d’arrivo, di un processo  - al cui sviluppo l’Italia sta continuando a lavorare - che dovrà portare l’UE ad un ancor più efficace coinvolgimento in materia di protezione dei diritti delle minoranze religiose nel mondo.

In ambito Nazioni Unite, abbiamo contribuito in modo sostanziale alla risoluzione contro ogni forma di intolleranza e discriminazione religiosa, promossa dall’UE ed adottata dall’Assemblea Generale nel dicembre 2011. Grazie all’azione dell’Italia, la risoluzione contiene elementi specifici che richiamano l’aumento degli episodi di violenza contro gli appartenenti a minoranze religiose e il dovere ogni Stato di esercitare la massima vigilanza per prevenirli e punirne i responsabili. Analoga iniziativa è stata adottata dal Consiglio Diritti Umani, a seguito del rapporto del Relatore Speciale ONU sulla libertà di religione.

I risultati elettorali in Egitto, con la netta affermazione dei partiti islamisti (abbinata allo scarso risultato ottenuto dall’Egyptian Block, coalizione di cui fa parte Naguib Sawiris, imprenditore di fede copta) costituiscono una fonte di forte preoccupazione per la comunità copta, che teme possibili restrizioni sull’esercizio delle proprie libertà religiose. A ciò si aggiunge il recente rinvio a giudizio di Naguib Sawiris per “vilipendio della religione”, dopo la pubblicazione di una vignetta satirica che sollevò indignazione non solo tra i salafiti ma anche tra molti musulmani, che concretizza il timore di vedere emergere in Egitto la pericolosa tendenza a fare dell’offesa alla religione il metro di giudizio per vari aspetti della vita quotidiana, a cominciare dalla libertà di espressione.  

 

Islam Politico

I mutamenti in corso nella regione MENA ed il processo di democratizzazione da essi innescati non potranno non tradursi in una maggiore influenza dei partiti islamici, come testimoniato dalle consultazioni elettorali in Tunisia, Marocco ed Egitto, sebbene gli islamisti non siano stati il motore principale delle rivolte democratiche in nessuno di questi Paesi.

In questo quadro, sono emersi in diversi Paesi una serie di partiti islamici “moderati” (nel senso di aver aderito ai principi della non-violenza, dello stato di diritto e della democrazia), che – anche in Egitto – avranno una notevole influenza sui rispettivi processi costituzionali, in considerazione dei successi elettorali che essi stanno conseguendo. Il panorama islamico resta ad ogni modo molto frastagliato, con profonde divergenze sul versante ideologico, storico ed organizzativo dei diversi movimenti, nonché differenze relative alle fonti di finanziamento ed alla concezione stessa dell’attività politica. A ciò si aggiunge un divario di carattere generazionale, illustrato dell’approccio più modernizzatore e pragmatico propugnato dai movimenti islamici giovanili.

L’Islam svolge un ruolo di primo piano nelle società di questi Paesi, in cui gran parte della popolazione ritiene fortemente interconnesse le questioni religiose, sociali, politiche e private. I partiti di orientamento religioso sono pertanto percepiti come un fenomeno naturale, piuttosto che come segnali di tendenze estremiste nella società. I partiti e movimenti affiliati ai Fratelli Musulmani o a visioni moderate dell’Islam godono infatti di forte rispetto da parte della popolazione, legato in particolare alle attività da essi svolte da tempo sul versante sociale e caritatevole. Hanno inoltre acquisito grande credibilità nella loro veste di oppositori ai regimi passati. Altri movimenti, come quelli dei Salafiti e Wahabiti, ricevono sostegno nella regione e possono contare su finanziamenti esterni.

I movimenti moderati, come i FM, hanno riconosciuto che le rivoluzioni arabe sono legate alla richiesta di diritti democratici, di libertà e di dignità. L’islamizzazione della società non viene pertanto presentata come una questione centrale, mentre viene generalmente accettato, anche in Egitto, che l’Islam costituirà il punto di riferimento essenziale per la costruzione delle società post-rivoluzionarie.

In generale, questi movimenti sottolineano la loro adesione ai principi democratici, dello stato di diritto e dei diritti umani. Resta da vedere come tali posizioni di principio si tradurranno in azioni politiche nel contesto democratico. Esistono peraltro forti divergenze di interpretazione (rispetto all’occidente) circa il ruolo della religione, la tutela delle minoranze ed i diritti delle donne.

La retorica anti-israeliana è diffusa anche fra i partiti islamici moderati, che sono propensi a sfruttare l’opinione pubblica a fini elettorali. Molti di essi hanno tuttavia adottato una posizione più defilata al riguardo, sottolineando pubblicamente l’importanza della stabilità regionale e del rispetto dei trattati internazionali.

In un simile contesto, un ruolo di grande importanza viene svolto dall’Università di Al Azhar, che promuove una visione moderata dell’Islam all’insegna del dialogo e della libertà di credo e di espressione. Fra le varie iniziative avviate in tal senso da Al Azhar (e dal suo Grande Imam, Ahmed el Tayeb), si segnala in particolare il lavoro svolto sulla stesura di principi costituzionali generalmente condivisi, che sono stati sottoscritti – in forma non vincolante – da tutti i partiti politici egiziani.

SITUAZIONE ECONOMICA

 

Andamento congiunturale

Prima della crisi innescata con la “primavera araba”, a partire del gennaio del 2011, l’economia egiziana aveva registrato un tasso di crescita del 5,1%. A tale risultato avevano contribuito il brillante andamento del settore turistico, i solidi flussi di rimesse dall'estero, il miglioramento del comparto delle costruzioni e la ripresa dell'attività del canale di Suez.

Il nuovo assetto politico ha interrotto tali dinamiche e l'attenzione è ora rivolta alla ripresa economica. La crescita del PIL continua ad essere praticamente ferma a zero, anche in ragione di flussi di investimento sostanzialmente congelati ed entrate del settore turistico ancora nettamente al di sotto dei livelli pre-rivoluzionari. L’inarrestabile emorragia delle riserve valutarie, nel solo mese di gennaio, ha raggiunto il limite dei 16,3 miliardi di dollari, (oltre 1,7 miliardi di dollari in meno rispetto al mese precedente), mostrando tuttavia un rallentamento del ritmo di contrazione rispetto a quello registrato negli ultimi mesi del 2011, mediamente superiore ai due miliardi di dollari.

Continua, dunque, una dinamica di marcato deflusso e mancato afflusso di capitali (molti operatori esteri hanno deciso di non rinnovare i titoli di Stato egiziani in scadenza che detenevano, preferendo rimpatriare i propri capitali) una tendenza cui le autorità egiziane stanno cercando di porre parzialmente rimedio anche rendendo più rigorosi i controlli amministrativi sui pagamenti di fatture verso l'estero (apparentemente utilizzate per trasferire fondi al di fuori del paese in maniera surrettizia), ed imponendo agli importatori adempimenti sempre più stringenti, che si traducono di fatto nell'imposizione di barriere non tariffarie.
Il temporaneo miglioramento del clima di fiducia, testimoniato anche dal rimbalzo delle quotazioni di Borsa (+28 per cento a gennaio), rischia di essere compromesso dai sanguinosi incidenti a Port Said e dagli ulteriori sviluppi negativi del contesto di sicurezza, con implicazioni depressive per il quadro macro-economico.

Sul versante delle finanze pubbliche, la situazione rimane fragile: in base ai dati resi noti dal Ministero delle Finanze egiziano, nel secondo semestre 2011, il disavanzo è aumentato di oltre il 20% in termini nominali rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente, mentre in rapporto al PIL, la sua incidenza è di oltre il 9,4% in termini annuali. In un contesto dove le entrate fiscali fanno sostanzialmente segnare il passo, il bilancio pubblico appare sempre più dipendente dalle entrate non tributarie, quale l'apporto di aiuti dall'estero (un miliardo di dollari è giunto, equamente diviso, da Qatar e Arabia Saudita).
Per quanto riguarda le spese, assumono invece speciale rilievo gli incrementi dei costi per retribuzioni, interessi e sussidi, in particolare quelli energetici che rappresentano quasi l'80% delle uscite complessive. Sul fronte dei prezzi non si registrano al momento specifiche tensioni, la domanda interna  rimane debole con la conseguente stagnazione dei consumi, soprattutto di beni durevoli.

Gli osservatori ritengono comunque che, nel medio termine, il risanamento della bilancia dei pagamenti possa avvenire soltanto attraverso il ritorno massiccio dei turisti e degli investitori esteri, ma tali condizioni potranno verificarsi solo con il ripristino delle condizioni di sicurezza nel paese. A tale proposito, va tenuto presente che le entrate valutarie complessive da turismo, rimesse e canale di Suez assommano a quasi il 13% del PIL. La loro importanza risiede soprattutto nel sostegno che forniscono alla domanda per consumi e all'occupazione (formale e non), in particolare al settore turistico che, incluso l'indotto, si stima impieghi quasi il 12% della forza lavoro egiziana.

Il grave deterioramento della bilancia dei pagamenti e le crescenti pressioni sulle finanze pubbliche hanno indotto al declassamento del paese (il quarto, dall'inizio dell'anno), portandolo a B2, nonché delle tre grandi banche pubbliche (National Bank of Egypt, Banque Misr e Banque du Caire) e dei due principali istituti di credito privati (Commercial International Bank e Bank of Alexandria).

Sul versante finanziario, la Banca Centrale continua la propria opera di sostegno al sistema bancario attraverso l'apporto di liquidità agli intermediari e il mantenimento dell'orientamento espansivo della politica monetaria. Tali manovre sono mirate principalmente a favorire l'assorbimento delle emissioni di titoli pubblici.

Per gli investimenti diretti esteri si stima invece una netta flessione, su base annuale, che dovrebbe aggirarsi intorno al 50%, mentre riguardo al Canale di Suez non sembrano profilarsi problemi: a conclusione dell’anno fiscale 2010/2011, gli introiti erano anzi aumentati dell’11% rispetto all’anno fiscale 2009/2010. Anche gli operatori più ottimisti ritengono che, nel 2011, le entrate del settore turistico si siano ridotte della metà rispetto allo scorso anno, e sembra che la contrazione degli introiti del dicembre 2011 abbia addirittura sfiorato il 90% rispetto al dicembre 2010.

L'incognita politica continua dunque a condizionare in maniera determinante i futuri sviluppi del quadro economico: alla sostanziale assenza di iniziative di rilievo dell'attuale governo di transizione e ai crescenti timori riguardo alla possibile inversione di rotta rispetto alle politiche di liberalizzazione economica e privatizzazione perseguite dal precedente esecutivo (come testimoniato dalla rinazionalizzazione di alcune imprese operanti nel paese), si aggiunge una forte e persistente diffidenza degli operatori economici. Su tali tematiche si è già concentrata l'attenzione degli Ambasciatori G8 ed UE, che anche su forte impulso italiano ha condotto il 26 dicembre 2011 ad una demarche congiunta a tutela degli investimenti stranieri nei confronti del Primo Ministro Ganzouri. 

Dalla fine di gennaio 2011, l’attività economica del Paese è inevitabilmente rallentata. Conseguentemente, anche per le imprese estere presenti nel Paese (tra cui quelle italiane) si segnala un calo delle attività industriali e finanziarie, soprattutto a causa degli scioperi dei lavoratori che rivendicano migliori condizioni economiche e sociali, assumendo talvolta toni xenofobi e nazionalistici.

 

Politiche Economiche

Le autorità egiziane hanno deciso di mantenere inalterati i tassi di interesse di riferimento (rispettivamente, al 9,25 per cento sui depositi e al 10,25 per cento sui finanziamenti). Rimane tuttavia da vedere se le pressioni verso il basso del tasso di cambio non provocheranno un nuovo rialzo dei tassi (dopo quello di fine novembre 2011) per cercare di sostenere il valore della lira egiziana e contrastare il processo di ''dollarizzazione'' dei depositi bancari, fenomeno che prosegue a cadenza graduale ma ininterrotta.

A breve termine, la sfida principale cui le autorità egiziane devono far fronte per stabilizzare la situazione economica è la conclusione dell'accordo sul finanziamento da parte del Fondo Monetario. In tal modo, sarebbero verrebbero resi disponibili 3,2 miliardi di dollari del prestito, ma anche consistenti risorse aggiuntive su base multilaterale (sarebbero allo stadio avanzato trattative per la concessione di prestiti per un miliardo di dollari dalla Banca Mondiale e 0,5 miliardi dalla Banca Africana di Sviluppo e bilaterale. Il Primo Ministro egiziano ha, del resto, chiaramente affermato che i donatori internazionali dei paesi occidentali e arabi ritengono la conclusione delle trattative con il Fondo propedeutica all'erogazione dei loro finanziamenti.

In tale contesto, il Ministro delle Finanze ha quantificato in 11 miliardi di dollari il fabbisogno finanziario per i piani di sviluppo economici dell'Egitto dei prossimi anni, ed ha prospettato l'elaborazione di un programma di riforme da sottoporre all'esame del Parlamento prima di essere presentato agli esperti del Fondo. Tale piano introdurrebbe misure volte al contenimento del disavanzo pubblico, da realizzarsi attraverso la riduzione delle spese (prevalentemente tagli ai sussidi energetici, mentre quelli alimentari non sarebbero toccati) e l'incremento delle entrate (tramite introduzione dell'imposta sul valore aggiunto in sostituzione dell'attuale tassa sulle vendite e la modifica della tassazione delle proprietà immobiliari - va rilevato che entrambe le misure sono in cantiere da anni). Inoltre, per reperire risorse aggiuntive in valuta, le autorità hanno deciso di far ricorso alla consistente diaspora egiziana, stimata in oltre 5 milioni di persone. Dovrebbe infatti essere offerta ai residenti all'estero la facoltà di sottoscrivere certificati di deposito denominati in dollari. Sarebbero inoltre allo studio un programma di emissioni di obbligazioni islamiche (sukuk) operazione che incontrerebbe il favore dei partiti islamisti che controllano il nuovo Parlamento e la vendita di terreni di proprietà pubblica, sempre da regolare in valuta straniera. Il Ministro ha aggiunto che il 25% delle risorse aggiuntive liberate sarà utilizzato per lo sviluppo delle aree più depresse del Paese (specie in Alto Egitto) ma anche per il rafforzamento delle iniziative volte a realizzare costruzioni di abitazioni a basso costo, progetti alimentari scolastici, estensione delle pensioni sociali.

 

In attesa che il governo che uscirà dalle prossime elezioni definisca gli orientamenti di politica economica del Paese, risultano tuttora in vigore le riforme approvate dalla precedente amministrazione. A sostegno degli investimenti stranieri è stata introdotta la normativa contro il riciclaggio dei capitali e il finanziamento al terrorismo, che hanno consentito il depennamento del Paese dalla “lista nera” dell’OCSE. Nuovi provvedimenti sugli investimenti prevedono l’apertura, in ogni Governatorato, di “Sportelli unici” per gli investitori, la semplificazione delle procedure per l’apertura di filiali e uffici di rappresentanza di imprese straniere e per l’avvio di progetti industriali, la riforma delle dogane che implica semplificazioni amministrative e l’introduzione di procedure informatizzate.

Da segnalare, inoltre, la creazione della “General Authority for Industrial Development” (GAID) che ha come obiettivo principale quello di realizzare le infrastrutture necessarie nelle cosiddette “zone industriali”, allo scopo di attrarre nuovi investimenti. La GAID collaborerà con la GAFI (General Authority for Investment and Free Zones), che è invece responsabile delle zone franche e delle QIZ (Qualifying Industrial Zones), nonché della gestione delle procedure burocratiche per l’avvio di imprese e joint venture. Si noti che, in questi anni, la buona gestione della GAFI ha contribuito all’insediamento di 16.000 nuove società straniere nel Paese.

Mancano, tuttavia, significativi progressi nella tutela della concorrenza e nella normativa contro le pratiche monopolistiche. Il mercato interno è infatti dominato dalla presenza di monopoli in alcuni settori chiave, tra cui quelli del ferro, del cemento, delle telecomunicazioni e dei generi alimentari di prima necessità.

 

Privatizzazioni e rinazionalizzazioni

Si registra in Egitto, dopo la rivoluzione una crescente contestazione delle privatizzazioni di imprese pubbliche, un processo cui Mubarak ed i Ministri di profilo tecnocratico del Governo Nazif avevano dato un forte impulso negli ultimi anni. Dal 2004 al 2008, il Ministero degli Investimenti egiziano aveva provveduto alla vendita di 53 società a partecipazione statale. In questo piano di privatizzazione, sono rientrate la vendita del 36% delle azioni di Bisco Misr (17 milioni di USD circa), la vendita della quota di azioni della banca NSGB controllate dalla National Bank of Egypt (93 milioni di USD circa) e la privatizzazione parziale dell’operatore telefonico nazionale Telecom Egypt. A seguito della vennndita della Bank of Alexandria, si è ridotto a tre il numero delle banche di proprietà pubblica: la National Bank of Egypt, la Banca Misr e la Banque du Caire.

La contestazione del processo di privatizzazione ha conosciuto nei mesi scorsi una preoccupante evoluzione, con accuse di scarsa trasparenza, di vendita di asset statali a prezzi stracciati, nonché di corruzione e favoritismi. Un tribunale del Cairo ha ordinato il ritorno in mani pubbliche di tre imprese, operanti nei settori tessile, energetico e della produzione di elettrodomestici, cedute a suo tempo a gruppi esteri. Oltre a costituire un segnale negativo di chiusura verso gli investimenti esteri, la decisione, se confermata nelle successive istanze, potrebbe stabilire un pericoloso precedente. La sentenza preoccupa anche perché continua a spostare indietro l'orizzonte temporale delle operazioni oggetto di contestazione (la cessione dell’impresa di elettrodomestici risale al 1994). Un provvedimento di nazionalizzazione ha coinvolto anche un'impresa di proprietà ellenica operante nel settore della produzione di cemento.

Si tratta di uno sviluppo preoccupante e che, ove confermato, rischierebbe di coinvolgere anche imprese di primissimo piano del Sistema Italia come Italcementi, Pirelli e Banca Intesa-San Paolo

 

Settore energetico

L’Egitto punta molto sull’espansione del settore degli idrocarburi e ha promosso l’accelerazione dello sviluppo dell’estrazione del gas naturale, la cui produzione si attesta, attualmente, intorno ai 60 miliardi di metri cubi all’anno. L’Egitto occupa il secondo posto (dopo l’Algeria) tra i Paesi africani produttori di gas naturale, e la sesta posizione tra i Paesi maggiori esportatori di gas naturale a livello mondiale. La maggior parte delle scoperte di giacimenti di gas naturale sono avvenute lungo la costa mediterranea in prossimità del delta del Nilo e nel Deserto Occidentale, a sud della città costiera di Marsa Matrouh. Le riserve sono stimate tra i 2 e i 3 mila miliardi di metri cubi.

Procede, inoltre, la seconda fase dei lavori per gli accordi finalizzati all’ampliamento dell’ “Arab Gas Pipeline” che collega l’Egitto (da Borsaed) alla Giordania e alla Siria. Il gasdotto si estende per 390 km da Aqaba (Giordania) fino a Homs (Siria) e da qui fino al Libano. Dalla Siria si svilupperà, in un secondo tempo, fino al confine con la Turchia, per estendersi, poi, verso l’Europa centrale.

Per il quinquennio 2007-2012, il piano di investimenti sulla rete energetica nazionale prevede la realizzazione di diverse centrali elettriche con capacità complessiva di 7.000 megawatt. Alle società private viene consentita anche la distribuzione dell’elettricità prodotta dalle centrali pubbliche.

A seguito della crisi politica del gennaio 2011, si è riproposta anche la questione relativa alla gestione delle risorse energetiche del Paese, che il Governo intenderebbe affrontare avviando una revisione degli accordi di fornitura di gas con i Paesi partner, al fine di riequilibrare la necessità del mercato domestico (ancora fortemente sussidiato) e la possibilità di generare introiti attraverso l’esportazione di tale risorsa energetica, principale voce dell’export egiziano. Rimane ancora insoluta la problematica relativa alla struttura dei sussidi sui prodotti petroliferi, per la quale sarà necessario riconsiderare l’adozione di una riforma mirata (sebbene impopolare), già annunciata dal precedente regime ma mai attuata anche nelle passate fasi economiche espansive.

Sono allo studio diversi progetti per la costruzione di centrali atomiche e solari per la produzione di energia pulita (eolico e solare). In particolare, per quanto riguarda il nucleare per uso civile, è prevista la costruzione di quattro centrali e la prima dovrebbe sorgere sulla costa mediterranea.  

 

Infrastrutture

Il Ministero dei Trasporti egiziano ha predisposto un piano di potenziamento del sistema di trasporti. Tra le infrastrutture previste è compresa la costruzione di tratti autostradali e ponti in diversi governatorati del paese, per un costo totale di circa 35 milioni di Euro.

Per i trasporti ferroviari è stato varato un piano di ristrutturazione e miglioramento dell’intera rete per il quale è previsto uno stanziamento di 860 milioni di dollari.

I porti di Alessandria, Porto Said e Damietta sono stati inseriti in un progetto dell’Unione Europea di modernizzazione delle linee di trasporto marittimo tra i Paesi del Mediterraneo. In particolare, è in corso l’ampliamento del porto di Alessandria che dovrebbe diventare un punto di riferimento per tutto il bacino del Mediterraneo.

Tramite il nuovo piano economico quinquennale per il periodo 2007-2012 che prevede lo stanziamento di circa 170 miliardi di Euro, il Governo intende dare piena attuazione ai progetti di investimento infrastrutturali, soprattutto nell’area dell’Alto Egitto, che riguardano principalmente il settore idrico, l’agricoltura e la costruzione di autostrade e il turismo (zona di Luxor).

Anche la Banca Mondiale ha contribuito con circa 1,4 miliardi di dollari al finanziamento di progetti nel campo dell’irrigazione, dell’ambiente, dell’elettricità, dell’istruzione, delle infrastrutture e per l’ammodernamento degli aeroporti del Cairo e di Sharm El Sheikh, e con circa 17,3 milioni di dollari in aiuti e assistenza tecnica.

 

Relazioni economiche e commerciali con i Paesi esteri

A  seguito  dell’entrata in  vigore  dell’Arab Free Trade Agreement (AFTA)  nel 2005, si sono intensificate le relazioni tra l’Egitto e i Paesi del Golfo, con un aumento dell’80% del volume dell’interscambio commerciale.

Nel gennaio 2007, a latere del Forum Mondiale dell’Economia, l’Egitto ha firmato un accordo di libero scambio con i Paesi membri dell’European Free Trade  Association (EFTA) riguardante principalmente le materie prime, gli autoveicoli e diverse tipologie di beni. L’accordo prevede la liberalizzazione commerciale di numerosi prodotti agricoli e industriali tramite la riduzione dei dazi doganali, e una maggiore tutela dei diritti d’autore.

Nel febbraio 2007, è stato promulgato il decreto presidenziale con il quale sono state ridotte del 25% le tariffe doganali su oltre 1.000 prodotti d’importazione, tra i quali sono compresi alcuni beni semilavorati, beni capitali, prodotti alimentari e medicine.

I dazi sulle importazioni di autoveicoli rimangono ancora molto elevati (circa il 40%) del valore), fatta eccezione per i veicoli ecologici per i quali è prevista una riduzione delle tariffe del 25%.

Ad agosto 2010, è stato firmato l’Accordo di Libero Scambio tra Egitto e Mercosur che prevede la progressiva eliminazione dei dazi doganali per diversi prodotti agricoli ed industriali.

 

Investimenti diretti esteri (IDE)

Provengono da oltre 35 Paesi, nonostante il flusso si sia notevolmente ridotto alla luce della transizione in corso. Le principali fonti sono: l’Unione Europea, gli Stati Uniti e gli investitori arabi (in particolare i Paesi del Golfo). In base a dati Eurostat, i principali Paesi investitori dell’U.E. in Egitto sono: il Regno Unito, la Spagna, la Germania, la Francia e l’Italia, con circa il 70% del totale dei flussi degli IDE provenienti dall’Unione Europea. Alla fine del 2008, gli investimenti europei nel Paese hanno raggiunto i 20,2 miliardi di dollari, con un aumento di circa il 40% rispetto all’anno precedente, rappresentando quasi il 50% del totale degli IDE dell’Unione Europea nelle aree del Maghreb e del Mashrek.

A causa della crisi internazionale, l’anno fiscale 2008/2009 ha invece evidenziato una riduzione rispetto al 2007/2008, registrando un totale di 8,1 miliardi di dollari.  Su un totale di 12 miliardi di dollari di investimenti esteri diretti indirizzati verso l’Egitto, nel corso del 2009, una quota tra il 30-40% è originata dai paesi del “blocco comunitario”.

 


Principali indicatori macroeconomici

 

 

            2010

              2011*

          2012**

PIL Nominale (mld US$)

214,5

230,9

254,5

PIL Nominale (mld E£)

1.207

1.372

1.540

Variazione reale PIL

5,1%

1,8%

2,3%

Composizione PIL

 

Agricoltura13,5%

Industria   37,9%

Servizi      48,6%

n.d.

n.d.

Popolazione (mln)

84,5

86,1

87,7

PIL  procapite (US$)

5.910*

6.009

6.182

Disoccupazione (media)

9,0%*

12,2%

11,5%

Debito nazionale (%PIL)

81,4%*

84,1%

85,8%

Inflazione (media)

11,1%

9,9%

8,5%

Tasso di cambio medio (E£:US$)

5,63

5,94

6,05

Tasso di cambio medio (E£:Euro)

7,47

8,29

7,76

Bilancia partite correnti (mln US$)

-4.435

-4.427

-7.030

Bilancia commerciale (mln US$)

-26.513

-24.592

-26.812

Esportazioni (mln US$)

25.024

28.705

31.770

Importazioni (mln US$)

-51.537

-53.297

-58.582

Principali esportazioni

 

Petrolio greggio, gas

naturale

Cotone

Prodotti tessili

n.d.

 

n.d.

 

Principali importazioni

 

Macchinari e

apparecchiature

Prodotti alimentari

 

Prodotti chimici

n.d.

 

n.d.

 

Principali Paesi fornitori

 

1. USA

2. Cina

3. Italia

4. Germania

 

 

 

12,2%

10,8%

6,7%

6,7%

 

 

 

n.d.

 

 

 

 

n.d.

 

 

Principali Paesi clienti

 

1. USA

2. Italia

3. Spagna

4. India

 

 

 

8,1%

7,8%

5,8%

5,6%

 

 

 

n.d.

 

 

 

n.d.

Debito estero (mln US$)

35.509*

36.209

40.875

Riserve internazionali (mln US$)

35.792

21.970

26.459

 

Fonte: Economist Intelligence Unit,, dicembre 2011; Central Intelligence Agency Factbook, dicembre 2011 - * Stime - **Previsioni –  n.d.: non disponibile

 

 

 

POLITICA ESTERA

Nonostante i timori nati dalla rivoluzione che i movimenti di piazza possano influire in profondità sui tradizionali orientamenti dell’Egitto sul versante della politica estera, tale scostamento non è avvenuto per il momento, sotto la guida della giunta militare. Le iniziali aperture verso l’Iran ed Hamas (con la fine della chiusura del valico di Rafah) sembrano essere rientrate, e l’Egitto è riuscito ad assumere un ruolo proattivo nel processo di riconciliazione palestinese, come testimoniato anche dall’ incontro al Cairo fra Abbas e Meshaal il 22 dicembre 2011. La collaborazione con l’occidente e gli USA (oltre che con l’Arabia Saudita) resta sui binari consolidati, così come la collaborazione (a livello di Difesa ed Esteri) con Israele. L’attenzione prioritaria rimane tuttavia rivolta, per il momento, ai dossier regionali meno controversi sotto il profilo interno, come quelli africani (Sudan, Nilo).

 

Relazioni con l’Unione Europea

La situazione interna del Paese, ancora fluida, non ha sinora consentito di giungere al rilancio delle relazioni auspicato da parte UE. Nei rapporti con la nuova dirigenza le Istituzioni comunitarie sono infatti tuttora impegnate a calibrare attentamente i confini fra dialogo e ingerenza, tenendo conto della tradizionale insofferenza egiziana rispetto ad atteggiamenti europei considerati troppo prescrittivi. In questo contesto non è stata ancora presa in considerazione la ripresa dei colloqui per un upgrading dei rapporti, avviati nell’aprile 2010 con il forte sostegno italiano e sospesi a seguito della crisi del regime di Moubarak. Il CAE Commercio del 14 dicembre scorso ha nondimeno conferito alla Commissione il mandato a negoziare anche con l’Egitto (oltre che con Tunisia, Giordania e Marocco) un’intesa di libero scambio ampia e approfondita, finalizzata a promuovere un salto di qualità nei rapporti economici attraverso una progressiva integrazione dell’economia egiziana nel mercato unico europeo. Il lancio formale dei negoziati interverrà a conclusione dell’esercizio di perimetraggio che verrà avviato dalla Commissione per valutare lo stato di preparazione del Paese e chiarirne priorità ed ambizioni negoziali. Proposto anche da parte UE l’avvio di un dialogo strutturato su mobilità, migrazione e sicurezza, in vista dell’istituzione di un Partenariato di mobilità, che non sembra tuttavia al momento rientrare fra le priorità egiziane.

Quanto all’assistenza finanziaria, a seguito della primavera araba non sono state accordate al Paese risorse aggiuntive rispetto allo stanziamento di circa 450 milioni di euro previsto per il periodo 2011-2013 nel quadro dello strumento per il Vicinato ENPI. La Commissione ha tuttavia deciso di tener conto del mutato quadro, riallocando una parte delle risorse stanziate per il 2011 (complessivamente pari a 122 milioni) in favore di programmi di sostegno allo sviluppo di PMI nel settore agricolo (per un valore di 22 milioni). Quanto ai fondi rimanenti, 60 milioni sono destinati al sostegno alle politiche nel settore energetico, 20 al potenziamento del mercato interno e del commercio e 20 alla riqualificazione delle aree urbane del Cairo.

 

Francia

La Francia ha rilanciato i rapporti con l’Egitto, anche per far fronte alle polemiche originate dall’approccio alla crisi tunisina ed egiziana da parte di Alliot-Marie, confermando la sua presenza nella regione rendendo pubblica l’intenzione di destinare fra i 150 e 250 milioni di euro a favore delle PMI nel Paese. Sempre in ambito finanziario, la Francia ha appoggiato l’avvio del Partenariato di Deauville, nonché le proposte di ampliamento geografico delle operazioni della BERS, nonché di revisione del plafond della BEI e di “riciclo” dei prestiti.

 

Gran Bretagna

La Gran Bretagna ritiene essenziale un netto impegno europeo per il sostegno alla fase di transizione in Egitto. Oltre all’avvio del Partenariato di Deauville, ha condiviso la azioni intraprese finora a livello europeo, rilevando tuttavia che l’eccezionale impegno nella contingenza non deve far perdere di vista gli obiettivi di riforma di lungo termine della Politica di vicinato; questa, nella prospettiva britannica, deve essere in grado sia di offrire prospettive ed incentivi ai Paesi coinvolti che di porre una più marcata condizionalità all’impegno europeo nei loro confronti (come fatto in passato con i Paesi dell’est europeo).

Sul versante politico, il ruolo esercitato dai militari rimane per Londra essenziale per garantire la cornice di sicurezza durante il lungo percorso elettorale e per continuare l’azione di contrasto al settarismo ed agli elementi estremisti. I britannici ritengono tuttavia che i vertici militari dovrebbero decretare immediatamente la fine dello stato di emergenza ed interrompere i procedimenti penali nei confronti di civili da parte dei tribunali militari, per contribuire al rasserenamento della situazione.

 

Relazioni con gli Stati Uniti

Il mantenimento dell’alleanza strategica con l’Egitto, la tenuta del quadro di sicurezza che ruota intorno agli accordi di pace con Israele e la prevenzione di un riorientamento della politica estera del Cairo in senso anti-occidentale costituiscono dei punti cardine per gli USA.

Gli USA forniscono all’Egitto assistenza militare per circa 1,3 miliardi di USD. Inoltre, Washington ha deciso l’allocazione di 250 milioni di USD (Economic Support Fund) a sostegno della crescita economica e democratica, dello sviluppo del sistema sanitario e scolastico, e di progetti di cooperazione scientifica e tecnologica. Per aiutare la popolazione egiziana nel periodo di transizione, gli USA hanno reso disponibili 165 milioni di dollari (Transition Assistance) di cui 100 sono per le esigenze di ripresa economica nel breve periodo e 65 per sostenere la transizione democratica. Il Congresso e il governo americano stanno lavorando alla creazione di un Enterprise Fund for Egypt per il sostegno alle piccole imprese (il finanziamento iniziale dovrebbe essere di 60 milioni di USD). Nel dicembre 2011 il Congresso ha approvato il piano di conversione del debito egiziano di 1 miliardo di dollari che dovrebbe essere realizzato in tre tranches nel corso di tre anni. Infine, l’OPIC (Overseas Private Investment Corporation) erogherà prestiti garantiti all’Egitto fino a un miliardo di USD. Si segnala che gli aiuti statunitensi restano condizionati al rispetto del Trattato di Pace con Israele, all’impegno dei militari a trasferire il potere ad un’autorità civile ed all’attuazione di politiche che promuovino i diritti umani e lo stato di diritto.

Gli USA hanno sostenuto iniziative volte ad assicurare stabilità finanziaria, a partire dal Partenariato di Deauville, auspicando inoltre una positiva conclusione degli accordi con le IFI (in particolare con il FMI, con cui sono in corso negoziati per un prestito di circa 3,2 miliardi di USD), vincolati all'adozione di specifiche misure economiche e alla supervisione tecnica. In aggiunta all’assistenza bilaterale, ONG americane hanno offerto 2,8 milioni a sostegno dello sviluppo democratico e della prosperità economica.

Washington ha commentato positivamente l’avvio del processo elettorale, anche alla luce delle testimonianze di ONG americane, dispiegate sul terreno. Gli osservatori americani hanno riportato alti livelli di partecipazione, senza finora rilevare incidenti o gravi irregolarità nello svolgimento del voto.

Gli Stati Uniti hanno caldeggiato l’adozione di principi costituzionali volti a garantire il rispetto delle regole fondamentali di un sistema democratico, pur astenendosi dal formulare valutazioni sulle proposte della giunta militare, e preso atto degli sforzi compiuti dai militari in risposta ad alcune richieste dei manifestanti, in particolare le assicurazioni sul trasferimento entro il 30 giugno 2012 dei poteri esecutivi a un Presidente eletto. Permangono le esortazioni americane per la revoca dello stato di emergenza (parzialmente abrogato il 25 gennaio) e la cessazione dei processi militari ai civili.

Riguardo ai FM, l’Amministrazione non ha posto finora preclusioni di principio verso alcun raggruppamento che rispetti i diritti fondamentali e i principi democratici (incluse la parità delle donne e delle minoranze) e riconosca gli obblighi internazionali derivanti dagli Accordi di Camp David. Alla luce dei risultati elettorali, gli Stati Uniti hanno impresso un deciso “upgrading” ai loro contatti con i vertici dei FM, che il numero due del dipartimento di Stato statunitense William Burns ha incontrato al Cairo l’11 gennaio (mentre non vi è stato nessun incontro con la leadership politica dei salafiti).

 

 

Rapporti con la Turchia

La visita del PM Erdogan al Cairo, lo scorso settembre, era ispirata dall’obiettivo di approfittare della nuova realtà creatasi nella regione in seguito alla Primavera araba, al fine di instaurare un nuovo partenariato strategico con il mondo arabo e il nuovo Egitto. Va tuttavia registrata la ritrosia della leadership egiziana ad imbarcarsi in crociate anti-israeliane, così come una non dichiarata resistenza, comune anche ad altri Paesi arabi, nei confronti del tentativo di stewardship turca nella regione. La visita di Erdogan ha cercato di promuovere il “modello politico turco”, ma soprattutto di aumentare la penetrazione economica e commerciale in Egitto, avviando intese per il rafforzamento della cooperazione nel settore dei trasporti, dell’energia, delle banche e del turismo.

Intenta ad esportare il “modello turco” nell’area, con l’instaurazione di un sistema secolare in Egitto, Ankara sta tuttavia suscitando forti contestazioni da parte dei Fratelli Musulmani, ciò che potrebbe avere conseguenze negative sui rapporti bilaterali nel caso della formazione di un Governo da essi controllato.

 

Rapporti con organismi multilaterali

Per ciò che concerne i rapporti intercorrenti tra Egitto e Nazioni Unite, è da evidenziare come la posizione egiziana in materia di riforma del CdS sia stata finora improntata al rifiuto di soluzioni parziali per l’allargamento del Consiglio, all’importanza del consensus allargato e, soprattutto, al fermo rispetto degli impegni assunti in ambito africano (cd. “Consensus di Ezulwini”).

 

Nel corso del Summit del G8 nel 2007 è stato avviato il “processo di Heiligendamm”, un dialogo con le grandi economie emergenti, come Cina, India, Brasile, Messico e Sudafrica. Dovrà servire per mettere a punto un impegno comune contro il protezionismo e su questioni quali i cambiamenti climatici, l'energia, la proprietà intellettuale e la correttezza degli investimenti, che non possono essere affrontate dagli Otto Paesi da soli. La Presidenza italiana nel 2009 ha inoltre promosso la partecipazione dell’Egitto in outreach alle attività del G8, confermata anche per il Vertice di Deauville del 2011.

 

 

RAPPORTI BILATERALI

RELAZIONI POLITICHE

La rivoluzione del 25 gennaio ha avuto un duro impatto sull’economia egiziana. Le IFI prevedono che il Pil del Paese diminuirà nel 2011 attorno al 3-4 per cento, a causa della paralisi delle attività produttive, della fuga di capitali, dei mancati introiti del turismo. La conseguente perdita di posti di lavoro è resa più acuta dal progressivo rientro del circa milione e mezzo di emigrati in Libia. La pressione sindacale si è tradotta in aumenti salariali che hanno aggravato la situazione delle finanze pubbliche con un netto peggioramento del deficit statale e del debito pubblico ed un concreto rischio di default.

In questa direzione, i contributi principali che l’Egitto si attende da noi sono a favore dell’aumento del flusso di capitali, del sostegno ai progetti infrastrutturali ed alle PMI, oltre che in direzione di una maggiore integrazione economica e commerciale con il mercato europeo. Occorre inoltre agire per consentire all’Egitto di riprendere in tempi ragionevoli la crescita, adoperandosi in particolare modo a favore della job creation.

L’Italia ha mantenuto immutati, anche nel corso della difficile fase di transizione democratica, i suoi rapporti bilaterali con le autorità egiziane, con una visita dell’allora Ministro Frattini al Cairo già il 22 febbraio, nonostante il rinvio del IV Vertice (in programma a Luxor per il 21 e 22 febbraio) a seguito della crisi politica. Oltre a consentire l’avvio di un primo contatto con le autorità rivoluzionarie (la missione è stata fra le primissime nel Paese dopo la caduta di Mubarak ed il Ministro ha incontrato il Maresciallo Tantawi, l’allora Primo Ministro Shafik e l’allora Ministro degli esteri Aboul Gheit), ciò ha rappresentato un messaggio di forte sostegno alla leadership egiziana, indicando come l’Italia si sarebbe adoperata per sollecitare il sostegno dell’UE verso l’Egitto (nel quadro di un Nuovo Patto per il Mediterraneo) e – bilateralmente – a favore del turismo e del rilancio economico. Il Ministro degli Esteri egiziano El Arabi è venuto in visita a Roma il 17 maggio, seguito dal Premier Sharaf il 2 giugno, in occasione della festa nazionale.

L’Italia ha deciso di venire incontro alle esigenze egiziane in primo luogo attraverso la firma, in occasione della visita a Roma dell’allora MAE egiziano El Arabi il 17 maggio 2011,di una Dichiarazione d’intenti sulla III tranche del programma di conversione del debito. Abbiamo inoltre sostenuto la ripresa del turismo (attraverso l’adeguamento dei Travel Warning per le località turistiche del Mar Rosso) ed il mantenimento della presenza economica italiana nel Paese. La firma di un accordo in materia di maggiore integrazione dei mercati del lavoro, insieme alla colazione organizzata con gli imprenditori in occasione della visita di El Arabi, rientra in questa strategia, così come la conclusione, a giugno del 2011, di un accordo sul turismo.

L’Italia ha inoltre avviato diverse iniziative a favore delle PMI, con la costituzione di un Mediterranean Partnership Fund (su cui abbiamo tenuto un Seminario a Palermo il 20 maggio) e di un Centro Euro-mediterraneo di assistenza tecnica alle PMI con sede a Milano. Abbiamo inoltre promosso l’allargamento dell’area di competenza della BERS alla regione.

Durante la sua visita al Cairo del 19 gennaio 2012, il Ministro Terzi ha annunciato la disponibilità dell’Italia ad avviare i negoziati per la III Tranche del programma di conversione del debito (del valore di 100 milioni di USD), mentre sono in fase di negoziazione alcune intese, fra cui un MoU tra i due Ministeri dei Trasporti e due Accordi doganali (un Accordo generale di assistenza in materia doganale e un Accordo tra le Autorità di Venezia e di Alessandria), che costituiscono il nucleo del Green Trade Corridor per favorire l’arrivo sui mercati europei della produzione agricola egiziana, oltre ad un Accordo tra Poste Italiane ed Egypt Post relativo all’emissione di carte prepagate co-branded. È inoltre in progetto l’istituzione di un’Università Italo-Egiziana (EIU), prevalentemente a indirizzo tecnologico, che – oltre ad arricchire i legami bilaterali e formare personale specializzato – potrà servire come polo per la diffusione della cultura, dei valori e del know-how italiani nel mondo arabo.

Sul versante della collaborazione trilaterale, sono in corso negoziati per esplorare la possibilità di avviare progetti comuni in Libia volti a promuovere l’utilizzazione della manodopera egiziana in progetti infrastrutturali.

Fra i diversi ambiti di cooperazione bilaterale, è stato concordato nel 2005, l’adozione di un Piano d’Azione Triennale che prevede collaborazioni in materia di centri tecnologici e di trasferimenti di tecnologia, incentivi finanziari (fondi SIMEST) per la creazione di joint-venture, collaborazioni fra i settori bancari, sviluppo congiunto di aree industriali e progetti di trasporto intermodale, collaborazione in campo euro-mediterraneo e assistenza agli investimenti italiani. Il Piano ha stabilito anche la creazione di un Consiglio Ministeriale (Ministerial Council) e l’impegno a tenere riunioni con cadenza regolare, sia a livello di ministri che di gruppo di lavoro misto, con la partecipazione dei rispettivi Ministeri degli Affari Esteri e delle Ambasciate. I Ministri hanno anche sottoscritto l’impegno per l’istituzione del Business Council Italo-egiziano (composto da esponenti di alto profilo dell’imprenditoria dei due paesi e che opera con il Consiglio Ministeriale).

Il Business Council è stato istituito formalmente a Milano nel gennaio 2006. Esso progetto gode dell’adesione sia dei principali imprenditori italiani operanti nel paese, sia dei principali esponenti politico-imprenditoriali egiziani.

Vengono inoltre organizzate periodiche “Missioni di Sistema” in Egitto, alle quali partecipano il Ministro dello Sviluppo Economico e  rappresentanti  del  settore economico-finanziario italiani.  In occasione del secondo Vertice bilaterale del maggio 2009, è stato firmato il nuovo Piano d’Azione per il triennio 2009-2012 che prevede ulteriori possibilità di collaborazione bilaterale soprattutto nei settori delle energie alternative, tecnologie pulite e delle telecomunicazioni, nonché iniziative per il coinvolgimento delle piccole e medie imprese dei due Paesi.

Si segnala, inoltre, la visita in Egitto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteoli, che ha avuto luogo nel luglio 2010 e nel corso della quale è stato firmato un Memorandum di Cooperazione nel settore dei trasporti ferroviari e marittimi, con il quale si conferma l’interesse reciproco a sviluppare i progetti già in corso o ad avviarne di nuovi. Preme sottolineare che i trasporti e le infrastrutture sono comparti che offrono ottime opportunità di investimento per il nostro Paese, grazie anche ai rapporti privilegiati che si sono instaurati a livello bilaterale e alla fiducia accordata alle imprese italiane dalle Autorità egiziane.

Tra le Per quanto riguarda le iniziative più recenti, si segnala la missione al Cairo, nel novembre 2011, di 35 enti ed operatori economici italiani di vari settori (tra cui quello turistico, della logistica, delle infrastrutture e dei servizi finanziari), organizzata dall’Associazione di Amicizia Italia-Egitto che si è articolata in incontri istituzionali e con imprese egiziane. Nel febbraio del 2012, nel corso di un incontro tenutosi a Roma tra il sottosegretario Braga e il sottosegretario al Commercio internazionale egiziano Alaa Kenawy, si è discusso della collaborazione in materia di sistemi informativi per l’agricoltura tra la Federazione delle Camere di Commercio egiziane e la Società SIN (partecipata da AGEA, che si occupa del sistema informativo agricolo nazionale).

 

Elemento fondamentale del sostegno italiano alla transizione democratica in corso in Egitto è il mantenimento della nostra presenza economica. L’obiettivo è di “rassicurare” l’Egitto circa la continuità del nostro impegno verso il Paese ed “esserne rassicurati” quanto alla tutela dei nostri investimenti. In tal senso, dopo l’incontro con le imprese effettuato dall’allora Ministro degli Esteri El Arabi a Roma a maggio del 2011, una seconda riunione è stata organizzata a febbraio del 2012 in occasione della visita in Italia del MAE Kemal Amr. Essa ha consentito un approfondito dialogo sulle prospettive di investimento nel Paese e sulle diverse questioni aperte che vedono coinvolte diverse nostre imprese in Egitto.

 

 

 

RELAZIONI ECONOMICHE, FINANZIARIE E COMMERCIALI

 

L’Italia è il primo partner commerciale dell’Egitto in Europa  ed il secondo a livello mondiale (dopo gli USA): per le esportazioni egiziane, con forte incidenza della componente petrolio, mentre per le esportazioni italiane con prevalenza della componente macchinari (in costante aumento dal 2004). Le importazioni italiane dall’Egitto hanno avuto un forte aumento della componente energetica e dei prodotti finiti. Da notare il raddoppio dell’interscambio, nel periodo 2005-2008, che è passato da 2.666 a 5.152 milioni di euro.

In base ai dati dell’ISTAT relativi al 2010, l’interscambio è ammontato a 4.823,5 milioni di euro (+19,2% rispetto al 2009), le esportazioni italiane verso l’Egitto si sono attestate a 2.935,5 milioni di euro (+12,8%), mentre le importazioni italiane dall’Egitto sono state di 1.888 milioni di euro (+30,9%). Il saldo, positivo per l’Italia, è stato pertanto di 1.047,5 milioni di euro. Tra le voci merceologiche delle esportazioni italiane verso l’Egitto che hanno registrato consistenti aumenti, si trovano i prodotti in metallo e i prodotti petroliferi raffinati. Hanno invece registrato una contrazione i prodotti della metallurgia. Per quanto riguarda i prodotti importati dall’Egitto, si segnala un aumento dei prodotti della metallurgia, delle apparecchiature elettriche e dei prodotti tessili. In base ai dati relativi al periodo gennaio-settembre 2011, l’interscambio è ammontato a 3.885,4 milioni di euro (+ 9,1% rispetto allo stesso periodo del 2010), le esportazioni italiane verso l’Egitto (principalmente del comparto della meccanica strumentale, delle materie plastiche e dei prodotti chimici) sono state di 1.985,7 milioni di euro (-7,5% rispetto allo stesso periodo del 2010), e le importazioni italiane dall’Egitto hanno totalizzato 1.899,7 milioni di euro (+34,5% rispetto allo stesso periodo del 2010). Il saldo, positivo per l’Italia, è stato pertanto di 86 milioni di euro.

 

INVESTIMENTI

Comparto d’eccellenza per gli italiani è da sempre quello dell’energia, in particolare petrolio e gas con ENI (presente nel Paese da oltre 50 anni) ed Edison. Nel giugno 2011, ENI ha annunciato un nuovo piano di investimenti per 3 miliardi di dollari per la perforazione di nuovi pozzi petroliferi e il rilancio delle attività di esplorazione, nel deserto occidentale, nel Mediterraneo e nel Sinai. Si segnalano da ultimo gli importanti accordi relativi all’impianto di liquefazione del gas a Damietta e l’intesa strategica con il Ministero del Petrolio egiziano firmata nel 2010 per operazioni congiunte nei Paesi terzi.

Edison ha rilevato nel 2008 (per 1.4 miliardi di dollari) i diritti di esplorazione, produzione e sviluppo della concessione off-shore di Aboukir.

ENEL ha concluso un’intesa con il Ministero del Petrolio egiziano che ha lo scopo di inserire l’azienda italiana (come partner) nei progetti di ampliamento degli attuali  impianti egiziani di liquefazione di gas naturale e di esplorazione. (un primo risultato è stato conseguito con la partecipazione al 10% in un consorzio a guida francese per l’esplorazione off-shore al largo di Alessandria).

E’ anche interessata all’avvio di progetti nel settore dell’energia rinnovabile, sul quale si stanno concentrando le attività di diversificazione delle fonti energetiche egiziane.

Dopo la rivoluzione, l’Italia è riuscita ad assicurarsi nuove importanti commesse (tra le poche assegnate), da Technimont (costruzione di un impianto di fertilizzanti ad Assuan, del valore di 520 milioni di dollari, in un settore tradizionalmente dominato da aziende tedesche) ad Ansaldo (contratto da 245 milioni di euro per la realizzazione di una nuova centrale elettrica). Inoltre, l’Ansaldo fornirà quattro turbine a vapore (per un valore di oltre 170 milioni) nell’ambito di progetti finanziati dalla Banca Mondiale e dall’Arab Fund (in tale contesto altre società italiane, STS  Trifone e Ansaldo caldaie hanno acquisito commesse per un valore complessivo di oltre 100 milioni di euro).

Techint/Cimimontubi, Socotherm, Termokimik e la Walter Tosto operano anche’esse in Egitto nel settore della costruzione di stabilimenti e delle forniture per la produzione e distribuzione di energia.

Italgen (società del Gruppo Italcementi) è interessata alla creazione di un parco eolico sulla costa del Mar Rosso, mentre ENEA ha mostrato interesse ad avviare progetti di collaborazione bilaterale nel settore delle energie rinnovabili, in particolare, per lo sviluppo della tecnologia del solare termodinamico.

FIAT IVECO e INTRACO sono impegnate nel progetto di riduzione dell’inquinamento urbano mediante l’impiego di veicoli per il trasporto pubblico alimentati a gas naturale.

 

Nei settori industriale, agroalimentare, servizi, impiantistica, meccanica, edilizia, turismo, tessile, gli investimenti italiani sono prevalentemente concentrati nelle zone franche. Nel campo dei servizi, la società AMA e la Jacorossi si sono aggiudicate gli appalti per la gestione dei rifiuti solidi rispettivamente nelle aree di Cairo Nord e di Giza, mentre la COM.INT si è aggiudicata la fornitura di attrezzature e veicoli nel settore della gestione dei rifiuti solidi nella zona sud del Sinai.

La società System, leader mondiale nel settore dei macchinari per l’industria della ceramica ha aperto una filiale egiziana (System Egypt) e la Pirelli, con sede ad Alessandria, sta procedendo all’ampliamento dei suoi stabilimenti (già i più grandi del Medio Oriente) per la produzione di pneumatici per camion.

La Danieli ha acquisito dall’azienda egiziana Suez Steel una commessa per la realizzazione di un’acciaieria e partecipa anche ad un investimento dell’azienda egiziana El Ezz Steel, per la costruzione di un nuovo stabilimento. Questi progetti subiscono oggi le conseguenze giuridiche delle sentenze emesse contro il Presidente del suddetto Gruppo egiziano, grande magnate vicino a Mubarak, con rischi di revoca delle licenze per la societa’ italiana. 

La BTicino (Gruppo Legrand) e la Imagro (subfornitrore della Bticino) sono presenti a Sadat City, con due stabilimenti per la produzione di apparecchiature elettriche e, per quanto riguarda BTicino si segnalano alcune problematiche dovute alle rivendicazioni salariali e contrattuali di una minoranza di lavoratori. Nel novembre 2010, la Rizzani de Eccher S.p.A. è stata ammessa alla fase finale della gara per la costruzione del nuovo Grande Museo Egizio del Cairo. Nel novembre 2011, la Tekno Equipment ha fornito i macchinari per la realizzazione del primo panificio meccanizzato egiziano, nel Governatorato del 6 ottobre (a 40 km dal Cairo).

 

Il Gruppo Italcementi ha acquisito il controllo di maggioranza della società egiziana Suez Cement (investimento di circa 1.5 milardi di euro), che con cinque cementifici è market leader in Egitto. Il gruppo è tuttavia stato oggetto di forti ostilità dopo la rivoluzione, sfociata nell’intervento dell’esercito, nonché di campagne stampa infamanti (l’On. Ministro ha richiamato l’attenzione della leadership egiziana sul caso durante la sua visita del 22 febbraio 2011). Problematica anche la situazione di Sinai White Cement (Cementir, gruppo Caltagirone), leader sul mercato del cemento bianco, che risente della situazione di sicurezza e delle continue interruzioni del gasdotto verso Israele.

 

In alcuni settori quali l’informatica, la formazione tecnica e manageriale ed alcuni settori del “non-oil”, si presentano maggiori e concrete opportunità di cooperazione con il sistema industriale italiano, sotto forma di joint-venture, trasferimenti di tecnologia e di expertise, anche come consulenze nell’ambito del programma ENPI.

 

Nel settore della difesa e delle alte tecnologie, la Rheinmetall (ex Oerlikon Contraves fornisce materiali per l’ammodernamento degli “Skyguard” (prodotti in Italia) del sistema di difesa egiziano “Amoun”, mentre Alenia Aeronautica (Gruppo Finmeccanica) sta partecipando ad una gara per la fornitura di 6 velivoli “C27J” per il trasporto tattico. Agusta Westland (Gruppo Finmeccanica) si è aggiudicata la fornitura di 2 elicotteri ad uso civile alla società egiziana Petroleum Air Services. Il Paese risulta difficilmente penetrabile nel mercato della difesa in quanto l’approvvigionamento di equipaggiamenti si attua prevalentemente attraverso fondi FMS statunitensi (Foreign Military Sales). In ogni caso, le principali opportunità si presentano nel settore aeronautico, avionico, nonché della sistemistica e componentistica navale e subacquea.

 

Per gli investimenti nel settore turistico si segnalano la società Marsa Alam e il gruppo Domina.

 

Trasporti - La società Sea Train è impegnata nella realizzazione di collegamenti ferroviari con relativi servizi tecnici di bordo e di terra.

Nel gennaio 2008, è stato firmato il Memorandum d’Intesa relativo all’Accordo operativo tra Italia ed Egitto per la ristrutturazione delle ferrovie egiziane. Il programma, che dovrebbe durare cinque anni, prevede l’assistenza tecnica da parte italiana e la formazione della classe dirigenziale delle ferrovie egiziane. Sempre in ambito ferroviario, nel maggio 2009, è stato firmato un Memorandum d’Intesa per  lo studio di prefattibilità da parte di Italferr (Gruppo FS) relativo alla linea ad alta velocità tra Il Cairo ed Alessandria d’Egitto. Italferr ha anche stipulato un contratto con Egyptian Railways per la progettazione e la direzione dei lavori per la segnaletica del corridoio ferroviario n. 4 (Banha/Zagazig/Ismailia/El Qantara/Port Said). Sono inoltre in corso alcune gare per la fornitura di sistemi di segnalamento in altre tratte, di servizi informatici e per la manutenzione del materiale rotabile che potrebbero offrire ulteriori opportunità alle imprese italiane. Sono stati avviati studi di fattibilità da parte di Grandi Stazioni (Gruppo FS) per la valorizzazione commerciale delle principali stazioni e si attende una decisione, da parte egiziana, circa la prosecuzione del progetto. E’ inoltre in programma il rinnovamento della rete tramviaria urbana di Alessandria. La società Salcef si è aggiudicata una commessa (finanziata dalla Banca Mondiale nell’ambito del progetto di ristrutturazione delle ferrovie egiziane) per il rinnovamento dei binari della tratta Il Cairo-Alessandria.

La Elsag Datamat (Gruppo Finmeccanica) si è aggiudicata un contratto per la fornitura di servizi di biglietteria e una commessa per l’installazione di un sistema di controllo della segnaletica ferroviaria.

La società Gemmo fornisce servizi presso l’aeroporto internazionale del Cairo.

Da segnalare anche la firma del Memorandum d’Intesa tra il Porto di Venezia e il Porto di Alessandria d’Egitto, nell’ottobre 2009, il cui scopo è quello di sviluppare la collaborazione in particolare per quanto concerne il traffico ortofrutticolo bilaterale, l’istituzione di una linea di navigazione veloce per merci e passeggeri (inaugurata dalla società Visemar il 20 maggio 2010, a latere del III Vertice bilaterale, ma successivamente sospesa nel luglio 2011 a causa del drastico calo del traffico dopo la Rivoluzione), nonché l’ammodernamento del nuovo terminal crocieristico di Alessandria.

Da segnalare anche la gestione da parte di Gemmo di tutti i servizi di facility management del terminal 3 dell’aeroporto internazionale del Cairo. Il contratto per tali servizi è in scadenza nell’aprile 2012 ed un’azione di sensibilizzazione delle autorità competenti per un pronto rinnovo è stata avviata da parte dell’Ambasciata.

Settore bancario-finanziarioIl Gruppo Intesa San Paolo detiene la maggioranza di controllo di Alexbank, una delle principali banche del Paese, essendosi aggiudicata la procedura di privatizzazione per circa 1.5 miliardi di euro. Sono stati successivamente effettuati ingenti investimenti, che hanno portato la banca a performare in maniera virtuosa. La rivoluzione ha tuttavia portato a violentissime contestazioni nei confronti del top management egiziano (oggi sostituito da management totalmente italiano) ed è in corso un procedimento giudiziario volto a contestarne la privatizzazione.

E’ inoltre presente un ufficio di rappresentanza del Monte dei Paschi di Siena.

 

La BIIS (Banca Infrastrutture, Innovazione e Sviluppo), ramo operativo del Gruppo Intesa San Paolo, è interessata al settore delle infrastrutture egiziano, in particolare al project financing per il Porto di Alessandria per il quale si prevede il coinvolgimento delle principali imprese di costruzione italiane.

 

E’ inoltre operativo un Memorandum di Intesa tra la Commissione Nazionale per le Società e per la Borsa (CONSOB) e la Capital Market Authority dell’Egitto, nel quale si prevedono obblighi di assistenza reciproca e scambio di informazioni per finalità di cooperazione internazionale.

La Società Italiana per l’Automazione (SIA) si è aggiudicata un progetto per la modernizzazione dei servizi bancari egiziani.

E’ stata avviata anche la collaborazione bilaterale nel settore postale con la firma di una Dichiarazione congiunta tra Poste Italiane e Egypt Post che prevede lo sviluppo e l’integrazione dei servizi telematici tra i due Paesi e, con una successiva intesa, per la definizione di un Master Plan per il settore della logistica. Nel settembre 2010, Poste Italiane ha inoltre concluso un Memorandum di collaborazione con il Ministero dei Trasporti egiziano, relativo a servizi di consulenza per la riforma della logistica dei trasporti intermodali che verranno forniti dalla società ‘Italia Logistica’ (partecipata da Poste e FS).

 

Abbigliamento/Tessile Paul & Shark e Benetton/Sisley sono presenti a Il Cairo con due importanti punti vendita. Il Gruppo Miro Radici, leader mondiale nel settore tessile e meccanotessile, che detiene la quota del 50% nella joint-venture con l’egiziana Oriental Weavers, ha costruito un impianto per la produzione di prodotti tessili per la casa, destinati all’esportazione. La società Cotonificio Albini, che già intrattiene rapporti commerciali consolidati con i maggiori produttori di filati egiziani, partecipa anche al progetto di sviluppo della nuova zona industriale specializzata nelle manifatture tessili di Bourg El Arab, ma a causa della crescente conflittualità tra una parte delle maestranze e la dirigenza dell’azienda (dovuta essenzialmente alla richiesta di aumenti salariali) è stata costretta ad interrompere le attività di produzione. 

Arredamento/Design – Sono presenti nel Paese, con punti vendita e sale di esposizioni, importanti marchi italiani del settore quali, Natuzzi, Moroso, B&B, Poltrona Frau, Kartell.

 

 

CONTENZIOSI COMMERCIALI

 

Il problema del mancato rispetto dei termini contrattuali che legano alcuni enti pubblici egiziani ad importanti imprese italiane riguarda, in particolare,il caso AMA-Arab (e, in maniera minore, la ditta IES, riconducibili entrambe al Gruppo Gesenu) attiva nella gestione dei rifiuti nei Governatorati del Cairo e di Giza, che nel periodo post-rivoluzionario ha subito l’interruzione del pagamento delle spettanze. Per questa ragione è stata trascinata sull’orlo del collasso operativo. Problemi analoghi di pesanti ritardi nei pagamenti vengono lamentati da altre grandi realtà imprenditoriali quali ENI e Technint. Il clima di diffidenza instauratosi dopo la rivoluzione ha indotto le nuove Autorità a procedere ad una ricognizione/revisione approfondita e dettagliata di tutte le operazioni condotte dal precedente regime con le società straniere e dei relativi contratti stipulati dalle Amministrazioni egiziane. In tale contesto anche il contratto di AMA, stipulato con il precedente Ministro delle Finanze, Boutros Ghali (nel frattempo condannato in contumacia a 30 anni per corruzione) è sottoposto al vaglio degli organi di controllo. Vi sono, inoltre, numerosi contenziosi nel settore immobiliare (specialmente nella zona del Mar Rosso) in cui gli investimenti di numerosi cittadini italiani sono a rischio. Tra questi le proprietà Coral Bay a Sharm el Sheikh colpite sia dalla normativa egiziana del 2005, che consente agli stranieri di esercitare sui terreni del Sinai non più un pieno diritto di proprietà, bensì un mero diritto di usufrutto per 99 anni (mentre gli investitori hanno acquisito un titolo di proprietà, anche se non registrato), sia da recenti accertamenti giudiziari che contestano all’imprenditore italiano Preatoni asserite irregolarità nei contratti relativi ad acquisizioni e cessioni dei terreni su cui sorge il complesso. A tale vicenda, si aggiungono le problematiche di investitori italiani nell’area di Hurghada e Marsa Alam che, pur avendo pagato somme ingenti per l’acquisto degli immobili, lamentano la mancata consegna delle abitazioni. Le vertenze in questione, che specialmente nell’ultimo caso potrebbero essere riconducibili ad episodi di truffa ai danni dei nostri investitori (questione che è al vaglio della magistratura egiziana ma anche di quella italiana e britannica), sono ulteriormente complicate da un clima di crescente sospetto nei confronti di tutte le cessioni di terreni, specialmente a stranieri, concluse sotto il precedente regime (su cui aleggiano accuse di corruzione nei confronti delle autorità egiziane coinvolte).

Anche a causa della mancanza di trasparenza dei progetti, le autorità egiziane avrebbero avviato delle indagini per verificare la correttezza delle procedure seguite per la concessione dei permessi di edificabilità (oltre che la congruità dei prezzi associati a tali concessioni).

Il contenzioso con Catas S.p.A. è invece scaturito da asserite irregolarità nelle modifiche dei termini contrattuali inizialmente pattuiti per la fornitura e l'attivazione dei macchinari presso il Centro Tecnologico del Mobile di Damietta, che ha portato all’escussione delle garanzie bancarie di Catas da parte degli organi di controllo egiziani, in via precauzionale.

Negli ultimi mesi del 2011, il Direttore Esecutivo del Centro arabo per l'integrità' e la trasparenza, Muhammad Shihata, ha presentato un ricorso contro la privatizzazione della Bank of Alexandria, detenuta in maggioranza dal gruppo Intesa. Un tribunale amministrativo del Cairo, nel mese di gennaio del 2012, ha imposto alla banca una moratoria cautelativa sulla vendita delle proprietà immobiliari delle sue filiali in attesa della sentenza.

 

 

COOPERAZIONE IN AMBITO SICUREZZA

               

Sul fronte delle cooperazione in ambito sicurezza, va registrata una collaborazione particolarmente intensa e positiva sia tra le rispettive Forze di Intelligence che tra i rispettivi Ministri dell’Interno. Il Capo dei Servizi Esterni, Gen. Mowafi, ha deciso di compiere proprio in Italia una delle sue prime missioni all’Estero e ha molto apprezzato la disponibilità del Ministro Terzi di incontrarlo, il 18 gennaio 2012, proprio alla vigilia della Sua visita al Cairo.

Quanto alla cooperazione tra i Ministeri dell’Interno, sono state avviate nuove iniziative per una più incisiva azione coordinata nel contrasto all’immigrazione clandestina, sullo sfondo di un accordo bilaterale di riammissione che consente ogni anno il rimpatrio in Egitto – anche grazie all’ottima collaborazione delle autorità egiziane – di moltissimi immigrati egiziani illegalmente giunti in Italia. Si tratta in particolare della fornitura da parte del nostro Ministero dell’Interno di veicoli ed apparecchiature informatiche ad elevato valore aggiunto (elicotteri, veicoli fuoristrada, strumentazioni per la raccolta di impronte digitali, computer, ma anche corsi di formazione per agenti di polizia egiziani) che dovrebbero auspicabilmente rafforzare le capacità operative di queste forze di sicurezza (gravemente indebolite dagli eventi dei mesi scorsi) ma anche offrire un segno tangibile del nostro interesse e della nostra viva aspettativa per una continua collaborazione con le Autorità egiziane nel settore della sicurezza e contrasto alle migrazioni illegali.

 

 

 


  DATI STATISTICI BILATERALI

 

PRINCIPALI ESPORTAZIONI E IMPORTAZIONI ITALIANE - Gen.- Dic. 2010

 (e % su totale)

ESPORTAZIONI

IMPORTAZIONI

1. Macchinari e apparecchiature meccaniche (37,2%)

1. Petrolio greggio (40,9%)

2. Prodotti chimici (11,7%)

2. Prodotti della metallurgia (15,1%)

3. Prodotti petroliferi raffinati (10,2%)

3. Prodotti petroliferi raffinati (13,9%)

4. Prodotti in metallo (5,9%)

4. Prodotti tessili (7%)

5. Apparecchiature elettriche (5,8%)

5. Prodotti chimici (6%)

Fonte: elaborazione ICE su dati ISTAT

 

INCIDENZA INTERSCAMBIO SUL COMMERCIO ESTERO ITALIANO 2010

Esportazioni verso l’Egitto sul totale delle esportazioni italiane

0,9%

Importazioni dall’Egitto sul totale delle importazioni italiane

0,5%

Fonte:ISTAT

 

 

 

QUOTE DI MERCATO 2010

PRINCIPALI FORNITORI

% su import

PRINCIPALI CLIENTI

% su export

1. USA

   12,2%

1. USA

     8,1%

2. Cina

   10,8%

2. Italia

      7,8%

3. Italia

     6,7%

3. Spagna

      5,8%

4. Germania

    6,7%

4. India

      5,6%

 

 

 

 

Fonte: Economist Intelligence Unit, dicembre 2011

 

ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEBITORIA

Ultimo Accordo bilaterale di conversione del debito

3 giugno 2007 ($USA 100 mln – Scadenze debitorie dal 2007 al 2012)

SACE

Categoria di rischio

5 su 7

 

Fonte: SACE

 

 

FLUSSI INVESTIMENTI ESTERI DIRETTI (2011)

(Euro)

 

in Egitto

in Italia

512.000.000

5.000.000

Fonte: Banca d’Italia, febbraio 2012

 

 

 

 

Relazioni culturali, scientifiche e tecnologiche

Le relazioni culturali italo-egiziane sono regolate dall’Accordo di Cooperazione Culturale dell’8 gennaio 1959, e dall’Accordo di Cooperazione Scientifica e Tecnologica del 29 aprile 1975.

Le collaborazioni culturali sono numerosissime ed interessano molteplici settori. La presenza culturale italiana in Egitto è tra le principali, non solo nel settore dell’insegnamento della lingua, ma anche in tema di mostre, eventi culturali, concerti, nonché per le attività e le collaborazioni più o meno istituzionali che avvengono regolarmente tra enti e centri dei due Paesi. Particolare attenzione viene dedicata al settore della valorizzazione e conservazione del patrimonio culturale e archeologico. Nel corso del  2009, sono state realizzate numerose iniziative congiunte per celebrare l’Anno Italo-Egiziano della Scienza e della Tecnologia. Tra i numerosi eventi organizzati spiccano quelli dedicati alle tematiche delle tecnologie applicate alla tutela dei beni culturali, fisica applicata e nucleare, energia ed ambiente (in particolare, l’Acqua), medicina, Information & Communication Technology, agricoltura, trasporti, astronomia. Oltre ad essere stata un’importante iniziativa in ambito culturale, l’Anno Italo-Egiziano della Scienza e della Tecnologia ha rappresentato anche una grande iniziativa promozionale, che, attraverso un filo di lettura tecnico-scientifico, ha valorizzato il Made in Italy, contribuendo concretamente a sostenere il nostro Sistema Paese. Accordi di Collaborazione con vari Centri di Ricerca (CNR, Centro Italiano Ricerche Aerospaziali, Centro di Ricerche in Agricoltura) e Università italiane sono stati firmati come follow-up dell’evento. Tra le numerose iniziative di grande interesse e di successo, si segnalano la Settimana della cultura italiana e la partecipazione italiana alla Fiera internazionale del libro a Il Cairo, che hanno luogo annualmente.

L’Istituto Italiano di Cultura ha la sede principale a Il Cairo e un ufficio ad Alessandria. Nel Paese è presente anche un comitato “Dante Alighieri”.

Una delle attività primarie dell’Istituto di Cultura, principale soggetto della programmazione culturale italiana in Egitto, è consistita nella valorizzazione degli interventi italiani sul patrimonio archeologico egiziano, che è ora di competenza del Centro Archeologico Italiano de Il Cairo. L’aggiornamento e il potenziamento informatico della biblioteca archeologica ad opera degli archeologi italiani ha inoltre comportato una visibilità ancora maggiore, come pure il contributo al progetto internazionale a favore della Biblioteca Alessandrina, gestito dalla Cooperazione allo Sviluppo italiana.

 

UNIVERSITÀ ITALO-EGIZIANA

Il progetto per l’istituzione dell’Università Italo-egiziana si propone di arricchire i legami storici e culturali tra i due Paesi, sviluppare ulteriormente la partnership bilaterale nei settori dell’istruzione e della ricerca e formare personale specializzato (con particolare attenzione ai bisogni delle aziende italiane operanti in Egitto e in Medio Oriente). L’Università sarà prevalentemente a indirizzo tecnologico (Ingegneria, Architettura ed Economia), cui si affiancheranno discipline umanistiche e rilascerà titoli accademici doppi o congiunti di I e II livello e Dottorati di Ricerca che saranno riconosciuti dall’Egitto e dalle università italiane coinvolte nel progetto. L’Ateneo si baserà sul modello economico del Partenariato Pubblico-Privato, come stabilito dalle norme egiziane per l’istituzione delle università private.

 

 

Cooperazione Italiana

QUADRO INFORMATIVO :

 

L’Italia è un importante Paese donatore per l’Egitto, con iniziative in corso del valore complessivo di 158 milioni di euro:

47 milioni di euro a dono per iniziative bilaterali di cooperazione allo sviluppo;

28 milioni di euro a credito d’aiuto;

100 milioni di dollari per il secondo Programma di Conversione del Debito (debt swap).

I recenti eventi che hanno interessato i paesi della sponda sud del Mediterraneo non hanno causato situazioni di grave crisi umanitaria in Egitto. La Cooperazione Italiana su specifica richiesta delle Autorità egiziane, ha potuto fornire il proprio supporto per favorire l’evacuazione dei cittadini egiziani fuggiti in Tunisia dalla Libia. In tale circostanza la DGCS, d’intesa con la Difesa, ha proceduto alla realizzazione di 3 voli da Djerba al Cairo che hanno consentito di rimpatriare 111 cittadini egiziani.

Gli sviluppi politici e sociali in Egitto hanno invece fatto emergere la forte insofferenza della fascia medio bassa della popolazione e della piccola borghesia per l'iniqua ripartizione interna di risorse e ricchezza. La società egiziana domanda con forza un concreto ruolo nella vita politica del Paese.

Di fronte a tali sviluppi, in linea con quanto emerso anche in ambito europeo, la Cooperazione italiana procederà lungo 2 direttrici principali: di breve/medio periodo per rispondere ai bisogni più urgenti della popolazione con gli strumenti attualmente già a disposizione (aiuti a dono in fase di erogazione e crediti d’aiuto attivi) ricalibrandoli coerentemente; di più lungo periodo, con una programmazione delle risorse che riesca a generare reddito diffuso a vantaggio della popolazione ed offrire realmente un contributo alle legittime aspirazioni della popolazione verso un maggior coinvolgimento nella vita politica del proprio Paese, attraverso il sostegno alla Governance democratica ed alla società civile.

DELIVERABLES:

 

Aiuti d’emergenza

A fronte di un’esplicita richiesta da parte egiziana, volta a calmierare i prezzi dei principali generi alimentari (farina, tè, zucchero, olio e riso) in alcune aree del Paese, l’Italia ha approvato e finanziato l’acquisto di aiuti alimentari per 2 milioni di euro, da distribuire alle fasce più vulnerabili della popolazione del Governatorato di Beni Suef.

 

Doni

 8 milioni di euro disponibili per il triennio 2011-2013, di cui:

 

 

Crediti d’aiuto:

·        13 milioni di euro immediatamente disponibili a favore delle microimprese egiziane (Social Development Fund). Questa linea di credito entrerà in funzione non appena saranno approvate da parte egiziana le modifiche di semplificazione mutualmente concordate.

 


 

Principali Programmi in corso

 

L’ultimo Rapporto sullo Sviluppo Umano elaborato delle Nazioni Unite colloca l’Egitto al 101° posto su un totale di 169 Paesi, con un PIL pro capite pari a circa $5.889 l’anno. Il 36,1% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, il tasso di occupazione si attesta al 43,2% ed il 33,6% della popolazione è analfabeta. Il tasso di mortalità materna è pari all’1,3% .

 

1.     PROTOCOLLO DI COOPERAZIONE BILATERALE 2011-2013 (firmato in occasione del Vertice di maggio 2010)

 

 

Una volta che la situazione sarà stabilizzata, fatta salva verifica con il Governo egiziano circa le nuove priorità d’azione, potranno anche essere finalizzati i seguenti progetti:

 

 

 

 

 

2.     COMMODITY AID. 31 milioni di euro più circa 5 milioni di interessi attivi, di cui residuo di cassa di 17,8 milioni.

Il programma, avviato nel 1994, dispone ancora di un residuo di cassa di 17,8 milioni di euro, che sarà esaurito qualora i bandi e le gare in preparazione e in corso di svolgimento andassero a buon fine.

 

 

 

3.     CREDITI D’AIUTO.

a.          Linee di credito Piccole e Medie Imprese (PMI) – 15 milioni di euro, di cui 5 residui.

Da parte della DGCS, l’erogazione delle somme concordate è stata completata con l’accredito, nel 2009, della terza ed ultima rata di 5 milioni di euro. Si auspica il rapido esaurimento di tale tranche, che potrà costituire una concreta base di riferimento per fissare i termini per l’avvio della annunciata nuova linea di 45 milioni di euro.

 

b.          Linea di credito Social Fund Development (SFD) – 12,9 milioni di euro
Raggiunta l’intesa di procedere ad un emendamento all’Accordo vigente con il quale si prevede una modalità di erogazione dei finanziamenti più agevole, tale variante sarà presentata al prossimo Comitato Direzionale utile per approvazione.

 

 

4.     CONVERSIONE DEL DEBITO. 100 milioni di dollari.

La prima fase del programma, da 149 milioni di dollari, è stata avviata nel 2001 e si è conclusa nel 2008, mentre la seconda, da 100 milioni di dollari (di cui 75 milioni non ancora spesi), è stata avviata nel 2007. Il programma prevede che il debito dovuto dall’Egitto all’Italia nel periodo 2007-2012 non sia restituito ma sia convertito in valuta locale e trasferito su un Fondo di contropartita per finanziare progetti di sviluppo in Egitto. Il termine previsto dall’Accordo in vigore per l’esecuzione dei progetti è il 2014 ma, a partire dal giugno 2012, in assenza di un nuovo Accordo di Conversione, l’Egitto dovrebbe ricominciare a restituire le rate di debito dovute. L’Italia ha intanto aderito alla richiesta egiziana di estendere di dodici mesi la durata della seconda fase (fino al 2015), al fine di consentire la realizzazione dei progetti già approvati e, in occasione della visita del Ministro Terzi al Cairo del gennaio 2012, è stata annunciata la disponibilità da parte italiana ad avviare il negoziato per la terza fase del programma e, successivamente, è stata concordata una bozza condivisa del nuovo Accordo che, tra le novità principali, prevede che la cancellazione del debito riguardi le somme effettivamente trasferite dal fondo del programma (Fondo di contropartita in valuta locale) ai conti ufficiali dei Ministeri competenti, su base annuale.

  

5.     UNIVERSITÀ ITALO-EGIZIANA. La DGCS ha prontamente assicurato il proprio sostegno per istituzione dell'Università Italo-egiziana attraverso un'intesa con il Gruppo di lavoro congiunto per l'Università Italo-Egiziana, in modo da assicurare la disponibilità finanziaria a sostenere i costi iniziali di quanto previsto, per parte italiana, con l'Accordo intergovernativo del 12 maggio 2009 (mobilità e stipendi personale docente italiano e contributo per la creazione di programmi). Inoltre, la DGCS ha già rappresentato alle controparti la disponibilità ad attingere alle risorse del programma di Conversione del Debito o dai fondi del Commodity Aid. Il Ministero dell’Istruzione Superiore egiziano sta completando le procedure per l’acquisizione del terreno e, nel gennaio 2012, ha convocato un primo incontro con investitori ed esponenti di imprese italiane ed egiziane in previsione del bando di gara per il coinvolgimento del settore privato.

 

 

6.     ALTRE INIZIATIVE

 

 


Visite istituzionali

 

Þ              Visita del Presidente della Repubblica Araba d’Egitto Hosni Mubarak (Roma, 9-11 febbraio 2009)

Þ              Visita del  Presidente del Consiglio On. Silvio Berlusconi (Egitto, 12 maggio 2009)

Þ              Visita del Ministro degli Affari Esteri On. Franco Frattini (Egitto, 12 maggio 2009)

Þ              Visita del Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali On. Luca Zaia (Egitto, 30 settembre 2009)

Þ              Visita del Presidente della Repubblica Araba d’Egitto, Hosni Mubarak (Roma, 17-18 ottobre 2009)

Þ              Visita del Ministro degli Affari Esteri On. Franco Frattini (Egitto,15-16 gennaio 2010)

Þ              Visita del Segretario Generale Giampiero Massolo (Egitto, 13-14 aprile 2010)

Þ              Visita del Ministro dell’Interno, Roberto Maroni (Egitto, 5 maggio 2010)

Þ              Vertice bilaterale Italia-Egitto (Roma, 19 maggio 2010) a cui hanno partecipato: il Presidente della Repubblica Araba d’Egitto Hosni Mubarak, il Ministro degli Esteri Ahmed Aboul Gheit, il Ministro per la Cooperazione Internazionale Fayza Aboulnaga, il Ministro dell’Agricoltura Amin Abaza, il Ministro del Commercio e dell’Industria Rachid Muhammad Rachid.

Þ              Visita del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli (Egitto, 20-21 luglio 2010)

Þ              Visita del Sottosegretario agli Esteri, On. Stefania Craxi (Egitto, 19-21 ottobre 2010)

Þ              Incontro del Ministro degli Affari Esteri On. Franco Frattini con il Ministro del Commercio e dell’Industria Rashid Mohamed Rashid (Roma, 26 gennaio 2011)

Þ              Visita del Ministro degli Affari Esteri On. Franco Frattini (Egitto, 22 febbraio 2011)

Þ              Visita del Ministro degli Affari Esteri Nabil El Araby (Roma, 17 maggio 2011)

Þ              Visita del Ministro dell’Ambiente egiziano George Maged (Roma, 2 giugno 2011)

Þ              Visita del Segretario Generale Giampiero Massolo (Egitto, 2-4 ottobre 2011)

Þ              Visita del Ministro degli Affari Esteri Amb. Giulio Terzi di Sant’Agata (Egitto, 19 gennaio 2012)

 


DIREZIONE GENERALE PER GLI AFFARI POLITICI E DÌ SICUREZZA

Ufficio VIII

I partiti politici in Egitto
(a cura del Ministero degli affari esteri)

Visita in Egitto del Presidente della Commissione Affari esteri della Camera dei Deputati, On. Stefano Stefani

(6-8 marzo)

 

Egitto. Partiti politici.

 

Nonostante abbiano partecipato alle elezioni legislative oltre 40 partiti politici, il panorama attuale si suddivide ormai, principalmente, nelle seguenti formazioni.

 

1. Freedom and Justice. Il Partito dei Fratelli Musulmani è stato il grande vincitore delle elezioni parlamentari, diventando il primo partito politico del Paese (nonostante queste siano state le prime elezioni in cui è stata ufficialmente consentita la partecipazione dei Fratelli Musulmani, che partecipavano in precedenza come candidati indipendenti). Freedom and Justice ha conquistato il 48,5% dei seggi all’Assemblea del Popolo ed il 59% al Consiglio della Shura.

I leader del movimento (nato nel maggio del 2011), consapevoli dei timori che la natura islamista del partito suscita all’estero, hanno cercato di accreditare un’immagine più moderata presso l’opinione pubblica. Essi affermano di voler sostenere la laicità dello Stato in Egitto, nel senso che le istituzioni non debbano essere governate né da militari né da teocratici, fermo restando l’intoccabile principio (peraltro accettato anche dal resto del mondo politico egiziano, inclusi i partiti laici) che la Sharia sia fonte primaria del diritto. Il programma del partito prevede il riconoscimento e la tutela della libertà di culto, e Freedom and Justice – come il resto degli schieramenti politici – ha aderito alla carta dei diritti fondamentali promossa dall’Università di Al Azhar, che riprende questo imperativo.

Freedom and Justice vorrebbe abolire il sistema presidenziale e stabilire un sistema di Governo che preveda l’accentramento dei poteri di indirizzo politico nelle mani del Presidente del Consiglio e in cui il Presidente della Repubblica avrebbe funzioni prevalentemente simboliche.

 

2. Al Nour. Principale partito dei Salafiti, che persegue l’obiettivo della creazione di uno Stato che si basi sui principi della Sharia quale guida principale per la vita politica, economica e sociale dell’Egitto. La formazione politica ha riscosso un notevole consenso elettorale (26% all’Assemblea del Popolo, 25% al Consiglio della Shura), facendo emergere timori per le possibili conseguenze di un eventuale sodalizio con il partito dei Fratelli Musulmani.

 

3. Al WAFD. Il più antico fra i partici politici egiziani, ha svolto un ruolo fondamentale nella vita politica dell’Egitto per molti decenni, prima della rivoluzione del 1952. È un partito laico ma conservatore, che conta anche diversi ex membri del PND, partito di Mubarak sciolto a seguito della caduta del regime. Il partito si è assestato come terzo partito egiziano a seguito delle elezioni, in cui ha raccolto quasi l’8% dei consensi sia per l’Assemblea del Popolo che per il Consiglio della Shura.

Sebbene non vi siano alleanze formali di Al WAFD con il partito dei Fratelli Musulmani, sembra tuttavia essersi innescato un processo di positiva collaborazione, che consente ad Al WAFD di svolgere un’azione moderatrice sul primo schieramento egiziano.

 

4. Free Egyptians. Insieme al Social Democratic Party ed al partito Tagammu, Free Egyptians è una delle anime dell’Egyptian Block, che ha ottenuto circa il 7% all’Assemblea del Popolo e poco più del 4% al Consiglio della Shura. Si tratta di un partito liberale, laico, fondato da Naguib Sawiris nell’aprile scorso, cui fanno parte molte tra le principali figure imprenditoriali egiziane e che rappresenta il partito più orientato verso la difesa del capitalismo e del liberismo in Egitto.

 

5. Social Democratic Party. Il SDP è il partito che ha riunito le principali figure – laici e progressisti – protagoniste della Rivoluzione. Partito progressista che si propone l’instaurazione di principi di libero mercato, pur riconoscendo la necessità di maggiore giustizia sociale, esso sostiene la creazione di uno stato laico, moderno e democratico che riconosca i diritti umani dell’individuo e le libertà fondamentali, ispirandosi dichiaratamente al Partito Democratico statunitense ed al Labour britannico.

 

6. Tagammu. Uno dei partiti storici, fondato nel 1976, ha perseguito per anni l’instaurazione di una società socialista in Egitto ma ha poi moderato la sua posizione avvicinandosi al PND (partito dell’ex Presidente Mubarak). Sostegno per molto tempo da operai ed intellettuali, ha perso molto del suo seguito.

 

 

 


Relazioni parlamentari
Italia-Egitto
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

 

§     Rappresentanze diplomatiche

 

Ambasciatore dell’Egitto a Roma: Mohamed Farid Mohamed Monib (dal 25/05/2011)

Ambasciatore d’Italia al Cairo: CLAUDIO PACIFICO (dal 1° settembre 2007)

 

Si segnala che l’on. Gennaro Malgieri, Presidente della Parte italiana del Gruppo di collaborazione parlamentare Italia-Egitto (su cui si veda infra), è stato incaricato dal Presidente della Camera di coordinare i rapporti tra la Camera ed i Parlamenti dei Paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo.

 

§     Incontri del Presidente

 

Il 13 aprile 2010, Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha ricevuto la visita dell’allora Presidente dell’Assemblea del Popolo d’Egitto, Ahmed Fathi Sorour. All’incontro, cui ha partecipato l’on. Gennaro Malgieri, era presente anche Mohamed Aboul Enein, allora Presidente della Commissione per l’Industria e l’Energia dell’Assemblea del Popolo.

Il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, si è recato in visita ufficiale in Egitto il 22 e 23 febbraio 2009.

Il Presidente Fini, la cui presenza nella riunione plenaria dell’Assemblea del Popolo è stata salutata calorosamente dai parlamentari egiziani, ha avuto colloqui con i massimi livelli istituzionali egiziani.

In occasione dell’incontro con l’allora Presidente dell’Assemblea del Popolo egiziano, Ahmed Fathi Sorour, è stato firmato dai due Presidenti un Memorandum aggiuntivo al Protocollo di collaborazione parlamentare (vedi infra) con l’obiettivo di intensificare le relazioni bilaterali e approfondire il reciproco coordinamento nelle sedi multilaterali

Il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha incontrato a Roma, il 16 dicembre 2008, l’Ambasciatore italiano al Cairo, Claudio Pacifico.

 

Il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha incontrato a Roma, il 26 novembre 2008, allora Presidente dell’Assemblea del Popolo della Repubblica Araba d’Egitto, Ahmed Fathy Sorour, accompagnato dall’allora Presidente della Commissione per l’Industria e l’Energia dell’Assemblea del Popolo, Mohamed Aboul Enein, che era altresì Presidente della parte egiziana del Gruppo di cooperazione Italo-egiziano (cfr. infra).  All’incontro ha partecipato anche l’on. Gennaro Malgieri Presidente della parte italiana del Gruppo di cooperazione Italo-egiziano (cfr. infra)..

 

Il Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, ha incontrato a Roma, il 5 giugno  2008, l’allora Presidente della Repubblica Araba d’Egitto, Hosni Mubarak. 

 

 

§         Incontri delle Commissioni

 

Il 21 ottobre 2011, l’on. Gennaro Malgieri, che ha l’incarico di coordinare in via generale i rapporti tra la Camera e i Paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo, ha incontrato presso l’Ambasciata della Repubblica Araba d’Egitto a Roma, l’Ambasciatore Mohamed Farid Mohamed Monib. Al centro del colloquio i nuovi assetti dell’Egitto, la situazione dei cristiani copti e i possibili sviluppi della primavera araba.

Il 23 gennaio 2009, l’on. Malgieri ha invitato gli ambasciatori dei Paesi arabi presso lo Stato italiano ad una colazione di lavoro. All’evento ha partecipato l’allora ambasciatore d’Egitto, Ashraf Rashed, che precedentemente, il 23 dicembre 2008, era stato ricevuto dall’on. Malgieri. In tale occasione si era proceduto ad uno scambio di idee sui temi al centro della prossima riunione del Gruppo di collaborazione parlamentare Italia-Egitto.

Il 19 ottobre 2010 il Presidente della Commissione Esteri, on. Stefano Stefani ha incontrato l’Ambasciatore Wafaa Bassim, Capo di Gabinetto del Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Araba d’Egitto.

Il Presidente della Commissione Esteri, on. Stefano Stefani, ha incontrato a Roma, il 25 settembre 2008, l’allora ambasciatore egiziano Ashraf Rashed.

 

§     Il Protocollo di cooperazione parlamentare e il Memorandum d’intesa

 

La Camera dei deputati e l’Assemblea del Popolo egiziano hanno firmato un Protocollo di collaborazione il 10 marzo 1999. Tale protocollo, che ricalca nello schema in parte quelli firmati con l’Assemblea del popolo algerina ed il Parlamento tunisino e che costituisce lo strumento più importante cui la Camera dei deputati italiana ricorre per sancire una cooperazione bilaterale rafforzata, prevede un dialogo politico più intenso a livello di Commissioni, lo scambio periodico di visite di studio da parte di funzionari parlamentari, dedicate a temi specifici di comune interesse e correlate ad iniziative culturali.

Il Protocollo prevede altresì la costituzione di un Gruppo di cooperazione parlamentare tra le due Assemblee. Nella XVI legislatura, il Gruppo è presieduto dall’on. Gennaro Malgieri (che ricopre anche l’incarico di Coordinatore delle attività di cooperazione parlamentare con i Paesi arabi del Mediterraneo), e dagli onorevoli Nicolò Cristaldi, Sergio D’Antoni, Eugenio Mazzarella, Giuseppe Naro, Souad Sbai, Guido Dussin.

La parte egiziana era presieduta dall’on. Mohamed Aboul Enein, allora Presidente del Comitato industria ed energia dell’Assemblea del Popolo egiziana. Gli altri componenti della parte egiziana del Gruppo di collaborazione erano i deputati: Mohamed Aboul Abaza, Mostafa Ahmed Korashy, Hani Mamdouh Sorour, Amin Abdel Hamid Radi, Hisham Mostafa Khalil, Ahmed Abdel Aziz Shoubeir, Iskandar Gulrguis Ghattas, Khaled Ahmed Khairy e Siada Elham Greis.

La V riunione del Gruppo di cooperazione parlamentare si sarebbe dovuta tenere a Roma, l’11 maggio 2010 ma è stata annullata il giorno prima dalla delegazione egiziana per sopravvenuti impegni istituzionali.

Si ricorda che la riunione era stata posticipata in due occasioni, nel maggio e nel novembre 2009, su richiesta della parte egiziana per sopraggiunti impegni istituzionali.

L’ultima riunione del Gruppo di cooperazione si è svolta, durante la XV legislatura, al Cairo dal 3 al 5 giugno 2007 (cfr. infra).

In occasione della visita ufficiale in Egitto del Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, il 23 febbraio 2009 (su cui cfr. supra), è stato firmato un nuovo Memorandum d’intesa che rilancia gli strumenti di dialogo e di coordinamento e stabilisce che il Gruppo di cooperazione parlamentare, istituito ai sensi del Protocollo del 1999, si costituisce in Alto Comitato Congiunto di Coordinamento per lo svolgimento periodico della Giornata parlamentare prevista dal medesimo Protocollo.

L'Alto Comitato si adopererà per aumentare il livello delle attività interparlamentari e consultarsi in merito alle questioni regionali ed internazionali di comune interesse. Sarà compito dell’Alto Comitato monitorare i progressi realizzati nel contesto della cooperazione bilaterale, soprattutto nel settore economico e culturale, ed esaminare le possibilità di consolidare il quadro generale di cooperazione esistente. Il documento prevede, inoltre, che le Parti si consultino in merito alle questioni in agenda dell’AP-UpM e prevedano di incrementare le occasioni di incontro, in particolare, a livello di commissioni omologhe.

 

Nella XV legislatura, il Gruppo di cooperazione parlamentare è stato presieduto, per la parte italiana, dal Presidente della Commissione Affari esteri, on. Umberto Ranieri.

Gli altri componenti della parte italiana del Gruppo di collaborazione, per la XV legislatura, erano i deputati Tana de Zulueta, Presidente di turno della Commissione Cultura dell’APEM, Khalil detto Alì Rashid, Alessandro Forlani, Leoluca Orlando, Patrizia Paoletti Tangheroni, Giacomo Stucchi, Nicola Tranfaglia e Adolfo Urso.

La IV riunione del Gruppo si è tenuta al Cairo dal 3 al 5 giugno 2007 ed ha riguardato i seguenti temi:

·        iniziative per il rafforzamento dell’interscambio e della cooperazione in campo economico tra Italia ed Egitto, con particolare riferimento ai settori delle infrastrutture, dei trasporti, degli investimenti commerciali, del turismo e dell’energia;

·        cooperazione nel settore dell’istruzione scolastica ed universitaria: esperienze a confronto e prospettive di interscambio. La proposta di istituire una Università italo-egiziana;

·        le sfide del Mediterraneo ed il ruolo della diplomazia parlamentare, con particolare riguardo alla situazione dell’area medio-orientale, al Libano ed al Darfur, alle iniziative per la lotta al terrorismo internazionale e per il contrasto alla proliferazione di armi nucleari;

·         la cooperazione parlamentare tra Italia ed Egitto, anche alla luce della comune partecipazione in fori internazionali quale l’Assemblea parlamentare euro-mediterranea, ed il ruolo delle donne nei processi decisionali.

 

Nella XIV legislatura, il Presidente della Camera aveva designato quale Presidente del Gruppo il Presidente della Commissione Difesa, on. Luigi Ramponi (AN), dato il particolare rilievo che le tematiche della sicurezza nel Mediterraneo rivestono in tale Gruppo di collaborazione. Erano stati inoltre chiamati a farne parte gli Onorevoli Giovanna Bianchi Clerici, Laura Cima, Alessandro De Franciscis, Rodolfo De Laurentiis, Giovanna Grignaffini, Angela Napoli, Manlio Collavini, Giuseppe Cossiga, Patrizia Paoletti Tangheroni, Adriano Paroli  e Umberto Ranieri.

La parte egiziana era presieduta dall’on. Amal Osman, allora vice Presidente dell’Assemblea del Popolo egiziana.

 

La prima riunione del Gruppo si è tenuta a Roma, il 24 e 25 giugno 2002, ed è stata dedicata a due tematiche:

Il Gruppo è tornato a riunirsi al Cairo, il 10 e 11 giugno 2003 ed ha dedicato i lavori alle seguenti tematiche:

Il 26 e 27 maggio 2004, si è tenuta a Roma la III riunione del Gruppo che si è articolata in due sessioni dedicate rispettivamente a:

 

§  Cooperazione multilaterale

 

Dall’11 al 13 settembre 2009 si è tenuta presso la Camera l’ottava riunione dei Presidenti delle Camere G8.

Alla riunione hanno preso parte i Presidenti delle Camere basse di Canada, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti d'America, nonché il Presidente del Parlamento europeo.

Nell’ambito dei lavori, una sessione si è svolta, per la prima volta, allargando la partecipazione ai Presidenti delle omologhe Assemblee di alcuni Paesi emergenti (Brasile, Cina, Egitto, India e Sud Africa[4]). Per l’Egitto ha partecipato l’allora Presidente dell’Assemblea del Popolo, Ahmed Fathi Sorour. L'incontro, svoltosi nel pomeriggio del 13 settembre, ha avuto per oggetto il contributo dei Parlamenti nella lotta al traffico della droga e al crimine organizzato. Sull'argomento ha riferito il Sottosegretario generale delle Nazioni Unite, nonché Direttore esecutivo dell'Ufficio ONU contro la droga e il crimine, Antonio Costa.

L’Egitto prende parte alla cooperazione parlamentare nell’ambito del Partenariato euro mediterraneo e all’Assemblea Parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo (AP-UpM), la cui presidenza di turno è stata esercitata, per il periodo marzo 2010-marzo 2011, dal Parlamento italiano. Attualmente la Presidenza è passata al Presidente della Camera dei Rappresentanti del Regno del Marocco. Mohammad Abdul Enein era Presidente della Commissione economica e finanziaria.

In tale veste, Enein aveva ospitato una riunione della Commissione economica il 19 novembre 2009, cui ha partecipato l’on. Sergio D’Antoni. Il giorno successivo, il 20 novembre 2009, l’Assemblea del popolo d’Egitto ha ospitato la riunione dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea.

Si ricorda altresì che l’allora Presidente Sorour aveva esercitato la Presidenza di turno dell’Assemblea Parlamentare Euro-Mediterranea (che ha modificato il nome in AP-UpM a marzo 2010, in occasione della Plenaria di Amman) per il periodo marzo 2004-marzo 2005 ed aveva ospitato al Cairo le prime due riunioni dell’Ufficio di Presidenza dell’APEM, rispettivamente il 30 giugno 2004 e il 24 novembre 2004, e la Sessione plenaria dal 12 al 15 marzo 2005.

L’allora Presidente della Commissione Economica e finanziaria dell’AP-UpM, Abul Enein, aveva partecipato al Bureau allargato dell’AP-UpM, organizzato dalla Presidenza italiana il 12 novembre 2010 e il 21 gennaio 2011 a Roma.

All’ultima Sessione plenaria dell’Assemblea, svoltasi a Roma il 3-4 marzo 2011, la delegazione egiziana non ha partecipato.

 

L’Egitto partecipa altresì all’Assemblea Parlamentare Mediterranea[5], la cui Sessione inaugurale si è svolta ad Amman il 10 e 11 settembre 2006 sotto l’egida dell’Unione interparlamentare. Nell’ambito della sessione Plenaria del 28-20 ottobre 2010 svoltasi in Marocco era stato eletto a Presiedere l’Assemblea l’on. Mohammad Abul Enein, successivamente sostituito da Abdelwahed Radi (allora Presidente della Camera dei Rappresentanti del Regno del Marocco e attuale Presidente dell’Unione Interparlamentare), e poi dal giordano Fayez al-Tarawneh.

L'Italia ha ospitato a Palermo, nell’ottobre 2011, la sessione plenaria dell'Assemblea.

L'Assemblea del Popolo della Repubblica Araba d'Egitto ha ospitato inoltre ad Alessandria, del maggio 2000, la Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euromediterranei. Insieme ai Presidenti delle Camere basse di Spagna, Tunisia e Italia, l’Assemblea d’Egitto fa parte del Gruppo di collegamento, ovvero, un nucleo di coordinamento interno alla Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti, la cui ultima riunione è stata ospitata dal Congresso spagnolo a Madrid il 27 giugno 2005 in vista della V Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti euromediterranei che si è tenuta a Barcellona il 25 e 26 novembre 2005.

L’Assemblea egiziana faceva altresì parte del Comitato di coordinamento del Forum euromediterraneo delle donne parlamentari, insieme a Tunisia, Italia, Marocco, Spagna, Regno Unito, Parlamento europeo. La quarta riunione del Forum si è tenuta in Giordania nell’ottobre 2003. Successivamente, a seguito della creazione della Commissione per i diritti della donna nel Mediterraneo, nell’ambito dell’APEM, il Forum non è tornato a riunirsi (si ricorda, a tale riguardo che la Presidente di turno del Forum, la senatrice francese Gauthier, ha partecipato alla riunione inaugurale dell’allora Commissione ad hoc per i diritti della donna ed è stata invitata a quelle successive).

Il 14 e 15 dicembre 2009, si è tenuta al Cairo la Conferenza mediterranea organizzata dall’OSCE, cui ha partecipato l'on. Riccardo Migliori, Presidente della Delegazione, e l'on. Matteo Mecacci.

 

 

§     Cooperazione amministrativa

 

L’allora Presidente dell’Assemblea del Popolo dell’Egitto, Fathy Sorour, il Presidente dell'Assemblea Nazionale del Libano, Nabih Berry, ed il Presidente del Consiglio dei rappresentanti del Parlamento iracheno, Ayad Al Samara’i, avevano inviato – rispettivamente in data 9 febbraio, 10 febbraio e 19 febbraio 2010 - una lettera con la quale manifestano al Presidente Fini l’interesse delle rispettive Assemblee parlamentari ad intensificare ulteriormente i rapporti in materia di strumenti tecnici ed amministrativi a sostegno dell’attività parlamentare. Nella lettera si fa riferimento alla promozione di iniziative di formazione  e di scambio di esperienze tra funzionari ed anche tra parlamentari dei rispettivi Paesi, nell’ambito del progetto predisposto dall' IPALMO (Istituto per le relazioni tra l'Italia ed i paesi dell'Africa, dell'America Latina e del Medioriente) e dall’IDLO (International Development Law Organization) a favore dei Parlamenti di Egitto, Iraq e Libano, in materia di “Rafforzamento del ruolo del Parlamento nella gestione dei costi sociali delle riforme economiche e per la promozione dell’e-Parliament”.

In tale contesto si segnalano le seguenti iniziative:

-         dal 7 all’8 giugno 2011 a Beirut si è svolto il Workshop sul tema, al quale hanno partecipato, per la Camera dei deputati italiana, l’on. Antonino Foti per la Commissione Lavoro, e l’on. Lino Duilio per la Commissione Bilancio.

-         dall’11 al 13 luglio 2011 la Camera dei deputati ha ospitato una visita di studio per delegazioni provenienti dalle istituzioni di Egitto, Giordania, Iraq e Libano, nell'ambito del citato programma. Nel corso della visita si sono svolti un Seminario ed incontri con le Commissioni e con gli uffici. All'evento hanno partecipato: il Presidente della Commissione Bilancio, Giancarlo Giorgetti, il Presidente della Commissione Lavoro, Silvano Moffa, la Commissione Affari esteri e il suo Presidente, Stefano Stefani, gli onorevoli Donato Bruno e Roberto Zaccaria, rispettivamente Presidente e Vice Presidente della Commissione Affari Costituzionali, nonché i deputati Sergio D'Antoni, Antonino Foti e Lino Duilio.

 

 

§     Unione Interparlamentare

All’interno dell’Unione interparlamentare opera una sezione bilaterale di amicizia Italia-Egitto, presieduta dall’on. Marilena Samperi e composta dagli onn. Emerenzio BARBIERI, Claudio D’AMICO, Donatella FERRANTI,  Angela NAPOLI,  Osvaldo NAPOLI, Antonio RAZZI e dal senatore Gianpiero D’ALIA.


Rapporti tra l’Unione europea e l’Egitto
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

Il contesto delle relazioni tra Unione europea ed Egitto

Le relazioni tra l’Unione europea e la Repubblica araba di Egitto sono disciplinate dall’Accordo euromediterraneo di associazione firmato il 25 giugno 2011 ed entrato in vigore il 1° giugno 2004. L’Accordo è stato firmato nel quadro del Partenariato euromediterraneo, poi evolutosi nell'Unione per il Mediterraneo (approvata dal Consiglio europeo del marzo 2008), con l’obiettivo di rilanciare e rendere più visibili le relazioni dell'UE con i partner della regione mediterranea[6].

Come gli altri accordi dello stesso tipo[7], l’Accordo euromediterraneo stabilisce un’associazione tra UE, Stati membri ed Egitto con l’obiettivo di rafforzare i legami esistenti, instaurando su basi equilibrate relazioni fondate sulla reciprocità, la compartecipazione e il co-sviluppo nel rispetto dei principi democratici e dei diritti umani.

L’Accordo prevede importanti concessioni in materia commerciale, con l’obiettivo di una reciproca e progressiva liberalizzazione degli scambi di beni agricoli e industriali[8], nonché previsioni su libertà di stabilimento, liberalizzazione dei servizi, libera circolazione dei capitali e concorrenza.

L’Accordo copre anche aree diverse da quelle economiche e commerciali, prevedendo l’istituzionalizzazione di un dialogo politico intensificato e la cooperazione scientifica, tecnologica e culturale nonché in materia di giustizia e affari interni. A questo proposito un importante capitolo è riferito al tema della migrazione, includendo aree quali migrazione legale, integrazione dei cittadini egiziani che vivono legalmente nell’Unione, ricongiungimento familiare e armonizzazione dei sistemi di sicurezza sociale.

Il dialogo politico regolare tra UE e Egitto si svolge nell’ambito del consiglio di associazione, costituito da un lato da membri del Consiglio e della Commissione e dall’altro da membri del Governo egiziano[9]. E’ previsto inoltre un comitato d’associazione, che si riunisce a livello di funzionari, con il compito di seguire l’applicazione dell’accordo e preparare le riunioni del consiglio di associazione.

Si segnala che l’Egitto ospita la sede della “Fondazione euromediterranea Anna Lindh per il dialogo fra le culture” istituita per promuovere il dialogo tra civiltà e culture dalla VI Conferenza ministeriale euromediterranea di Napoli del 2 e 3 dicembre 2003.

A partire dal 2003 le relazioni tra Unione europea ed Egitto si svolgono anche nel contesto della politica europea di vicinato[10] inaugurata dalla Commissione con l’obiettivo di prevenire l’emergere di nuove linee di divisione tra l’Unione europea allargata e i suoi vicini, condividendo con questi ultimi i benefici dell’allargamento e consentendo loro di partecipare alle diverse attività dell’UE, attraverso una cooperazione politica, economica e culturale rafforzata.

Nell’ambito della PEV, il 6 marzo 2007, in occasione del Consiglio di associazione UE-Egitto è stato approvato il piano d’azione per l’Egitto[11], della durata di 5 anni, che individua gli obiettivi strategici della cooperazione politica ed economica bilaterale e mira al contempo a favorire l’applicazione dell’Accordo di associazione. Nelle intenzioni della Commissione l’attuazione del piano di azione dovrebbe contribuire in maniera significativa al ravvicinamento della legislazione, delle norme e degli standard del paese a quelli dell’UE.

Il piano d’azione prevede, in particolare, il rafforzamento della democrazia, della legalità e dei diritti umani, l’attuazione di riforme socio-economiche, il miglioramento dell’ambiente economico e la riduzione della povertà, la risoluzione pacifica dei conflitti; gli aspetti inerenti alla giustizia ed alla sicurezza, compresa la gestione delle frontiere; la cooperazione regionale ed il ravvicinamento della legislazione in molti settori, inclusi energia e trasporti.

Le recenti evoluzioni delle relazioni

Dall’inizio della crisi, l’UE ha difeso i diritti degli egiziani di dimostrare pacificamente e condannato l’uso della forza da parte delle autorità. Immediatamente dopo la partenza dell’ex Presidente Mubarak e in risposta alle aspirazioni del popolo egiziano al rispetto dei diritti civili, politici e socio-economici, l’UE ha istituito un pacchetto di 20 milioni per la società civile. Inoltre, alla luce delle nuove circostanze, l’assistenza prevista nell’ambito dello strumento europeo di vicinato e partenariato (ENPI - vedi infra) per il periodo 2011-2013 è stato rivisto: per il 2011 sono stati approvati programmi per un valore di 132 milioni di euro e per il 2012 sono già in avvio iniziative per 95 milioni di euro. I programmi 2011 hanno sostenuto il miglioramento delle condizioni di vita nelle aree povere del Cairo, gli scambi e la crescita economica (e la conseguente creazione di posti di lavoro), le piccole e medie imprese, la riforma dei settori dell’energia e dell’acqua.

L’UE ha anche offerto missioni di osservazione elettorale in occasione delle elezioni parlamentari e presidenziali, che le autorità egiziane hanno rifiutato, accettando invece il sostegno di 2 milioni di euro offerti dall’UE nell’ambito dello strumento di stabilità per assistere l’Alta commissione elettorale nel suo lavoro. L’UE ha anche inaugurato dialoghi preparatori al Cairo per un partenariato della mobilità; per integrare progressivamente l’economia egiziana nel mercato unico europeo e migliorare l’accesso dei prodotti egiziani al mercato europeo si sta preparando inoltre l’avvio dei negoziati su un’area di libero scambio non appena il paese sarà pronto[12]. In tutti e due i casi, come dichiarato dalle autorità egiziane, gli impegni potranno essere assunti soltanto quando sarà in carica un nuovo governo eletto dai cittadini. A tale proposito, il Consiglio affari esteri del 27 febbraio 2012 ha espresso la propria soddisfazione per la conduzione delle elezioni parlamentari, congratulandosi con i candidati e con quanti hanno preso parte al processo democratico. Nell’occasione, profonda preoccupazione è stata espressa per quanto riguarda le recenti violenze e le restrizioni imposte alle organizzazioni della società civile nonché per il deterioramento della situazione economica nel paese.

Oltre che con il sostegno ai singoli paesi, l’Unione europea ha risposto agli eventi della primavera araba con una serie di iniziative di carattere generale, messe in atto già a partire dall’inizio del 2011, riconoscendo - insieme all’importanza delle sfide poste dalla transizione politica ed economica della regione - anche la necessità di un nuovo approccio nelle relazioni con i suoi vicini meridionali.

A tal fine, l'Alto Rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza (AR), Catherine Ashton, ha istituito una task force volta a riunire il Servizio europeo di azione esterna e gli esperti della Commissione per adattare gli strumenti già a disposizione dell’UE al fine di aiutare i Paesi del Nord Africa. L'obiettivo è quello di fornire un pacchetto completo di misure adeguate alle esigenze specifiche di ciascun Paese.

La risposta strategica dell’UE è arrivata già durante il Consiglio europeo dell’11 marzo 2011, quando l’Alto rappresentante e la Commissione hanno presentato un documento orientativo, volto a proporre un nuovo partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa con il Mediterraneo meridionale. Tale partenariato dovrebbe essere fondato su una maggiore integrazione economica, un accesso al mercato più ampio e la cooperazione politica. La comunicazione sottolinea la necessità di sostenere la domanda di partecipazione politica, dignità, libertà e opportunità di occupazione proveniente dai popoli della regione e di delineare un approccio basato sul rispetto dei valori universali e su interessi condivisi. Si propone inoltre il principio del “more for more” in base al quale maggiore assistenza finanziaria, mobilità incrementata e accesso al mercato unico dell’UE saranno resi disponibili ai paesi partner più avanzati sulla strada delle riforme.

Tale approccio è stato ulteriormente elaborato nella comunicazione “Una nuova risposta ad un vicinato in mutamento” (COM (2011) 313)[13] che l’Alto rappresentante e la Commissione hanno presentato il 25 maggio 2011 nell’ambito dell’annuale pacchetto sulla politica di vicinato. Secondo quanto indicato nella comunicazione, i risultati di un’ampia consultazione con le parti interessate avviata già nell’estate 2010 nonché i recenti avvenimenti nei paesi del bacino meridionale del Mediterraneo hanno mostrato che il sostegno dell’UE alle riforme politiche nei paesi vicini ha ottenuto risultati limitati; è emersa dunque la necessità di una maggiore flessibilità e di risposte più adeguate, in linea con la rapida evoluzione della situazione nei partner. Su tali basi, l’UE è impegnata nel breve e lungo periodo ad aiutare i suoi partenr in due importanti sfide:

·     in primo luogo, costruire una democrazia solida, non soltanto scrivendo costituzioni democratiche e conducendo libere elezioni, ma anche creando e sostenendo sistema giudiziario indipendente, libera stampa, società civile dinamica e tutte le altre caratteristiche di una democrazia matura;

·     in secondo luogo, assicurare una crescita economica inclusiva e sostenibile, senza la quale la democrazia non può attecchire. Una particolare sfida è rappresentata dalla creazione di nuovi e solidi posti di lavoro.

Su tali basi, il Consiglio europeo dell’1 e 2 marzo 2012 ha chiesto alla Commissione e all’AR di presentare entro la fine dell'anno una tabella di marcia intesa a definire e orientare l'attuazione della politica dell'UE nei confronti dei partner del Mediterraneo meridionale, che elenchi gli obiettivi, gli strumenti e le azioni, concentrandosi sulle sinergie con l'Unione per il Mediterraneo e altre iniziative regionali. Il Consiglio europeo ha inoltre ribadito la volontà dell’UE di far corrispondere l’entità del sostegno economico al livello delle riforme democratiche, “offrendo maggiori aiuti ai partner che compiono maggiori progressi verso sistemi democratici inclusivi, riconsiderando il sostegno ai governi in casi di oppressione o di gravi o sistematiche violazioni dei diritti umani''.

Assistenza finanziaria

Dal 1996 al 2006 l’Egitto ha beneficiato dei finanziamenti del Programma MEDA, finalizzato a fornire assistenza tecnica ai paesi partner del processo euromediterraneo, con una dotazione finanziaria globale di 5.350 milioni di euro per il periodo 2000-2006. Tra i paesi dell'area mediterranea l'Egitto è stato il maggiore beneficiario della cooperazione finanziaria, ricevendo il 31% totale dei fondi MEDA disponibili per l'intera regione.

A partire dal 2007, nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013, l’assistenza all’Egitto, come agli altri paesi del partenariato euromediterraneo, viene fornita attraverso lo strumento europeo di vicinato e partenariato (anche detto ENPI) destinato alla frontiera esterna dell’UE allargata[14]. Tale strumento ha sostituito i programmi geografici e tematici esistenti, compreso il programma MEDA.

Nel quadro dell’ENPI, per l’intero periodo sono stati destinati all’Egitto oltre 1.000 milioni di euro concentrati nelle aree seguenti:

·        competitività e produttività dell’economia;

·        sviluppo sostenibile e gestione delle risorse umane e naturali, attraverso il sostegno alle riforme nei settori dell’istruzione e della sanità, che sono cruciali per lo sviluppo del paese;

·        democrazia, diritti umani e giustizia, attraverso il sostegno all’agenda politica del governo egiziano.

 

 


Profili biografici
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

 


Mohamed KAMEL AMR
Ministro degli Affari esteri della Repubblica araba d’Egitto

Ministro degli Affari Esteri, Mohamed Kamel Amr

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mohamed Kamel Amr nasce il 1 dicembre 1942.

Laureatosi nel 1965 in Economia e Scienze Politiche all’Università di Alessandria, Kamel Amr intraprende la sua carriera diplomatica come Consigliere alla Missione Egiziana presso le Nazioni Unite (1982) ed in seguito come rappresentante egiziano al Consiglio di Sicurezza (1983-1984).

Gli anni dal 1984 al 1997 lo vedono impegnato in un’intensa attività diplomatica: presta servizio in varie ambasciate egiziane all’estero, fra cui Addis Abeba, Londra, Pechino e Canberra. Rientrato al Cairo nel 1987, è responsabile per le Organizzazioni Multilaterali del Gabinetto del Vice Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri egiziano, prima di trasferirsi all’Ambasciata egiziana a Washington dal 1989 al 1993. Rientrato al Cairo nel 1993, diventa assistente del Ministro degli Esteri egiziano presso le Organizzazioni Africane (1993-1995). Dal 1995 al 1997, è ambasciatore d’Egitto in Arabia Saudita.

Nel 1997, si trasferisce alla Banca Mondiale, dove è Direttore Esecutivo Supplente e Rappresentate dell’Egitto e dei 13 Paesi arabi.

Il 18 giugno del 2011, sostituisce El Oraby come Ministro degli Affari Esteri del Governo Sharaf, in virtù della sua decennale esperienza diplomatica e della sua profonda conoscenza delle questioni di materia economica.

 


 

Mohamed Saad TAWFIK EL-KATATNY
Presidente dell’Assemblea del Popolo d’Egitto

 

 

 

El-Katatny è nato il 3 aprile 1952. Laureato in Botanica presso l’Università di Assiut, specializzato in microbiologia. Professore ordinario presso l’Università di Minia.

Dal 2005 al 2010, El Katatny è stato capogruppo del Partito politico dei fratelli musulmani; successivamente ha guidato l’Ufficio di Presidenza del Partito.

Quando dal raggruppamento dei Fratelli Musulmani si è formato il Partito Libertà e Giustizia, il 30 aprile 2011, El Katatny è stato eletto Segretario generale.

Il 22 gennaio 2012 si è dimesso da tale incarico in vista della sua elezione alla Presidenza dell’Assemblea del Popolo d’Egitto, avvenuta il giorno successivo con 399 su 503.

 


SCHEOUDA III
Capo della chiesa ortodossa copta e Patriarca di Alessandria

 

 

 

Schenuda III (il cui vero nome è  Nazīr Jayyid Rūfāīl) è nato a Salam, nell’Alto Egitto, il 3 agosto 1923. All'età di 16 anni divenne attivo nel movimento per le scuole domenicali copte e insegnò catechismo, prima nella chiesa di Sant'Antonio a Shubra e poi nella chiesa di Santa Maria a Mahmasha.

Dopo la laurea in storia all'università del Cairo lavorò come insegnante di scuola superiore di lingua inglese e scienze sociali e frequentò di sera corsi al Seminario teologico copto. Dopo il diploma del seminario nel 1949 insegnò studi neotestamentari.

Il 18 giugno 1954 il giovane Gayed si ritirò a vita monastica nel monastero di al-Suryan nel deserto occidentale dell'Egitto; assunse il nome di padre Antonyos al-Suryānī. Per sei anni, dal 1956 al 1962, visse in solitudine in una grotta a circa sette miglia dal monastero, dedicandosi alla preghiera, alla meditazione e all'ascesi.

In seguito divenne ieromonaco al monastero della Theotokos Vergine Maria dei Siriani, col nome di padre Antonio. Durante un periodo in cui padre Antonio visse in eremitaggio, papa Cirillo VI di Alessandria lo scelse come vescovo per l'educazione cristiana e decano dell'università teologica copta ortodossa, e Antonio scelse il nome di Shenuda. Durante la gestione di Shenuda, il numero degli studenti triplicò.

 

Shenuda ebbe la consacrazione papale col nome di Shenuda III, 117º papa di Alessandria e patriarca della sede di San Marco il 14 novembre 1971.

Il 3 settembre 1981 il presidente egiziano Anwar al-Sadat mandò papa Shenuda in esilio nel monastero di San Bishoi. Altri 8 vescovi, 24 preti e numerosi esponenti di spicco della comunità copta furono arrestati. Sadat rimpiazzò la gerarchia copta con una commissione di 5 vescovi e considerò Shenuda come "ex papa". Il 2 gennaio 1985, più di tre anni dopo l'omicidio di Sadat del 1981, il presidente Hosni Mubarak liberò papa Shenuda dall'esilio. Rientrato al Cairo, celebrò la messa di Natale il 7 gennaio davanti a più di 10.000 partecipanti.

Il papato di Shenuda ha coinciso con l'espansione mondiale della Chiesa copta. Nel 1971 le chiese copte erano solo 4 in tutto il Nord America mentre ora sono più di 100 con due vescovi. In Europa più di 50 chiese e 10 vescovi. In Australia vi sono due vescovi e numerose parrocchie, in Africa 2 vescovi missionari in 9 paesi africani (Egitto escluso). Vi sono chiese copte anche nei Caraibi e in Sud America.

Quando l'Eritrea divenne politicamente indipendente dall'Etiopia, il presidente Isaias Afwerki impose che la Chiesa locale si rendesse indipendente dalla Chiesa ortodossa d'Etiopia, che dipendeva da Alessandria. Papa Shenuda III ordinò il primo patriarca d'Eritrea col nome di "sua santità patriarca Filippo I" (Abuna Philipos di Eritrea). Questa fu la seconda ordinazione di un patriarca da un papa di Alessandria nel XX secolo, poiché la prima fu quella di papa Cirillo III con il primo catholichos di Etiopia negli anni sessanta.

Nel 1973 papa Shenuda fu il primo papa copto a incontrarsi con il papa di Roma (all'epoca Paolo VI) dopo più di 1500 anni. Durante la visita i due papi firmarono una dichiarazione comune sulla cristologia e si accordarono per ulteriori colloqui in materia di ecumenismo. Ci furono anche dialoghi con diverse chiese protestanti. L'impegno ecumenico del papa si è concretizzato nell'ingresso della Chiesa copta in diversi organismi ecumenici e nella visita a chiese sorelle della tradizione ortodossa, come Costantinopoli, Mosca, Antiochia.


Ahmed FAHMI
Presidente della Shura

 

Ahmed Fahmi

 

 

Ahmed Fahmy, laureato in Farmacia, specializzato presso l’Università di Tubinga, in Germania, è professore ordinario presso la Facoltà di Farmacia dell’Università di Zagazig ed è membro del Consiglio Specializzato Nazionale dell’Unione Generale dei Farmacisti.

Nel 2004 è stato nominato “uomo dell’anno” dall’istituto di scienze biologiche statunitense per i significativi contributi nella ricerca scientifica.

Nel 1978 ha aderito al movimento dei Fratelli musulmani.

Successivamente membro del Partito Giustizia e libertà è stato eletto alla Presidenza della Shura nella seduta inaugurale, avvenuta il 28 febbraio 2012, con 175 voti su 180.

Ahmed Fahmy è sposato, ha tre figli e quattro nipoti.


Nabil El Arabi
Segretario Generale della Lega Araba

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nabil El Araby nasce al Cairo (Egitto) il 15 marzo 1935.

Nel 1955 si laurea in Giurisprudenza presso l’Università del Cairo. Negli anni successivi compie ulteriori studi nel campo delle scienze giuridiche, conseguendo nel 1969 un Master in Diritto Internazionale e nel 1971 un Dottorato in Scienze Giuridiche presso la New York University Law School. 

Nel 1976 comincia la sua lunga ed intensa carriera diplomatica.

Dopo aver ricoperto, nel 1978, il ruolo di Consigliere Legale per la delegazione egiziana durante la Conferenza di Ginevra sul Processo di Pace in Medio Oriente e sugli accordi di Camp David, tra il 1982 e il 1992, arbitra una controversia internazionale relativa al Canale di Suez presso la Camera di Commercio Internazionale.

Nel corso della sua carriera ricopre numerosi incarichi in qualità di Consigliere e Direttore giuridico del Dipartimento dei Trattati e degli Affari Giuridici del Ministero degli Esteri (1976-1978 e 1983-1987).

Gli anni compresi tra il 1978 e il 1999 lo vedono impegnato in ruoli di grande responsabilità, tra cui quelli di Vice Rappresentante Permanente presso le Nazioni Unite a New York (1978-1981), Ambasciatore in India (1981-1983), Rappresentante Permanente presso le Nazioni Unite a Ginevra (1987- 1991), Rappresentante Permanente presso le Nazioni Unite a New York (1991-1999).

Dal 1990 è impegnato in qualità di giudice presso il Tribunale Giudiziario dell’OPEC.

Dal 2000 è membro del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto di Ricerca per la Pace Internazionale di Stoccolma.

Dal 2000 al 2006 ha ricoperto l’incarico di Giudice internazionale presso la Corte di Giustizia e, dal 2005 è membro della Corte Permanente di Arbitrato dell’Aja.

Il 6 marzo 2011 è stato designato Ministro degli Affari Esteri, incarico che lascia il 1 luglio del 2011 per assumere le sue funzioni come Segretario Generale della Lega Araba.

Nell’arco della sua carriera è stato insignito di importanti onorificenze ed è autore di numerose pubblicazioni.

 


El-Sayyid EL-BADAWI
Presidente del Partito Nuovo Wafd

 

 

[Al-Sayed Al-Badawi. Image from bp.blogspot.com]

 

 

 

El-Sayyid el-Badawi Shehata, nato nel 1950, è un uomo d’affari egiziano. Laureato in Farmacia presso l’Università di Alessandria, è proprietario e Capo del Consiglio di amministrazione della televisione egiziana satellitare Al-Hayah. Ha fondato ed è Presidente della casa farmaceutica Sigma.

Ha aderito al Partito Wafd in età giovanile, divenendo nel 1983 segretario del partito nella provincia di Al-Gharbeya. Nel 1989, fu promosso al Consiglio Supremo, diventando il più giovane membro ai vertici del partito e, successivamente, Segretario.

Nel 2010 è stato eletto Presidente del Partito.


Mohammed BADI'
Guida generale dei Fratelli musulmani

 

 

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Mohammed Badi’ è nato a  El-Mahalla El-Kubra, il 7 agosto 1943.

Laureato in medicina veterinaria al Cairo nel 1965, nello stesso anno venne arrestato per la prima volta a causa della sua attività politica nella Fratellanza Musulmana, durante un rastrellamento a livello nazionale di attivisti. Condannato a 15 anni di carcere da un tribunale militare, venne liberato sulla parola insieme a quasi tutti gli altri prigionieri nel 1974 dal nuovo presidente egiziano, Anwar al-Sadat.

Badi’ ha quindi concluso gli studi e ha iniziato una carriera di insegnamento presso varie università egiziane. Attualmente continua a lavorare a tempo parziale come professore di patologia alla scuola veterinaria dell'Università di Beni Suef.

In una recente intervista, all’indomani delle elezioni legislative, Badi’ ha affermato che “la Sharia è un riferimento costituzionale, non è lo strumento di una dittatura. Coloro che hanno votato le liste della Fratellanza, i suoi candidati, lo hanno fatto sapendo perfettamente quale era il programma, l’identità culturale e l’Islam. La Fratellanza è parte fondamentale della società egiziana e il voto ne è la conferma. Crediamo nelle riforme graduali che avvengono in modo pacifico e nel rispetto delle istituzioni. Rigettiamo la violenza e la denunciamo in tutte le sue manifestazioni”.


Gran Muftì della Repubblica Araba d’Egitto, Prof. Ali Gomaa Mohamed Abd El Wahab,

فضيلة الشيخ الدكتور علي جمعة

 

 

 

 

 

 

 

Ali Gomaa Mohamed Abd El Wahab nasce il 03.03.1952 a Beni Suef.

Professore di Diritto Canonico Musulmano presso la Facoltà degli Studi islamici e Lingua araba dell’Università di Al Azhar, è dal 2003 Gran Muftì della Repubblica Araba d’Egitto.

Laureatosi in Diritto Islamico nel 1979, egli ottiene, rispettivamente nel 1985 e nel 1988, un Master ed un Dottorato in Diritto Canonico Musulmano presso la Facoltà di Shariia e Diritto dell’Università Al Azhar.

Membro dal 1995 al 1997 del Comitato del Fatwa di Al Azhar, egli ricopre dal 2000 l’incarico di Ispettore generale della Moschea di Al Azhar.  Nel 2004 diventa membro del Concilio delle Ricerche islamiche di Al Azhar, nonché del Consiglio del Fiqh dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (Gedda) e della Conferenza del Fiqh in India.

Il Gran Muftì è autore di numerose pubblicazioni e svolge un’intensa attività scientifica e accademica. Esperto all’Accademia di Lingua Araba, ha supervisionato la redazione di molte enciclopedie, insegna nei circoli dell’Azhar, fa lettura dei libri del Patrimonio religioso e tiene presso la Moschea del Sultan Hassan il Sermone del Venerdì. È co-fondatore e membro costituente della facoltà della Sharia nel Sultanato di Oman. Ha insegnato presso l’Università Islamica Internazionale in Malesia ed è supervisore di numerosi progetti (economia islamica, relazioni internazionali, rivalutazione istituzioni bancarie islamiche) presso l’Istituto superiore del pensiero islamico al Cairo.

Ali Gomaa è sposato, ed ha tre figlie.

 


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ISPI dossier       gennaio 2012

 

Egitto un anno dopo: rivoluzione continua  -  Background

POLITICA INTERNA

·                  Una transizione difficile. A un anno dall’esplosione della rivolta popolare contro il trentennale governo di Hosni Mubarak, l’ Egitto sta ancora affrontando una difficile transizione politica dall’esito incerto (l’evoluzione verso un sistema di tipo democratico non è affatto scontata). All’indomani delle dimissioni del rais, l’11 febbraio 2011, il Consiglio supremo delle forze armate (Csfa) si è assunto la responsabilità di guidare il -paese per garantire la continuità del funzionamento dell’apparato statale e di programmare tempi e fasi della processo elettorale. Nonostante l’ampio consenso popolare sul quale, in una prima fase, potevano contare tanto il Csfa quanto il nuovo -governo guidato da Essam Sharaf, la mancanza di un programma di transizione trasparente, i tentativi di salvaguardare interessi particolari (su tutti il mantenimento dell’autonomia finanziaria delle forze armate) e il ricorso sempre più frequente a metodi autoritari (mantenimento della trentennale legge di emergenza e processi sommari) ha alimentato un diffuso malcontento unito a un crescente senso di frustrazione, culminato con l’occupazione di Piazza Tahrir lo scorso novembre.

·                  Le divisioni interne. In generale, le difficoltà emerse nel corso degli ultimi mesi sono state acuite dalla frammentazione della base sociale all’indomani della caduta del regime. Per un verso, infatti, si è sollecitato il repentino trasferimento del potere a un’autorità civile democraticamente eletta; per altro verso le forze liberali e i movimenti giovanili hanno accusato i militari di aver favorito le forze politiche islamiste rifiutando di posticipare le elezioni per consentire ai neonati partiti di organizzarsi adeguatamente in vista delle prime tornate elettorali. Infine, l’emersione di tensioni settarie, cui ha in parte contribuito la crescente diffusione del salafismo, ha costituito un’ulteriore elemento di instabilità.

·                  Le elezioni parlamentari. Nonostante la vigilia del voto per l’elezione dell’Assemblea del Popolo (la camera bassa) sia stata segnata da forti tensioni tanto tra movimenti laici e forze d’ispirazione religiosa quanto tra movimenti politici e Csfa, le elezioni hanno fatto registrare un’affluenza alle urne relativamente alta (62% al primo turno; * al secondo turno, 54% al terzo turno). La nuova Assemblea, riunitasi per la prima volta il 23 gennaio, è dominata dal partito islamista dei Fratelli Musulmani ”Libertà e Giustizia” che ha ottenuto il 47% dei seggi; il secondo partito del Paese, con il 28% dei seggi, è l’ultra-ortodosso movimento salafita al-Nour (Partito della Luce). Il restante quarto della camera è diviso tra movimenti liberali, laici e membri indipendenti. Il risultato elettorale dovrebbe essere confermato anche nell’imminente elezione dei membri del Consiglio consultivo (la camera alta) che si svolgerà in tre turni: il 29 gennaio, il 14 febbraio e il 4 marzo.

·                  Le coalizioni. L’apertura del sistema politico e il vuoto lasciato dallo scioglimento del Partito democratico nazionale (Pdn) hanno prodotto un panorama politico molto frazionato con più di cinquanta partiti che hanno proposto liste in tutto il paese o solo in alcuni distretti. La coalizione principale è l’Alleanza democratica (Ad); nata a luglio dall’intesa di numerosi partiti di sinistra, liberali e islamico-moderati, essa conta al suo interno tre attori principali (oltre ad otto movimenti minori): Partito libertà e giustizia (Plg), al-Ghad al-Jedid (“partito del domani”), nato da una costala del partito Wafd, laico e liberale, e al-Karama (“dignità”), d’ispirazione nazionalista. La seconda formazione per importanza è il Blocco egiziano, costituito da: Partito degli egiziani liberi (Pel), Fronte democratico (Fd) e al-Tagammu. Essi sono a favore del rispetto dei diritti civili e politici, inclusa la libertà di culto, di uno stato laico basato su una solida separazione e bilanciamento dei poteri ma differiscono in materia economica. Molti partiti islamici conservatori che avevano inizialmente valutato la possibilità di seguire il Plg nell’Ad, hanno invece dato vita a una coalizione separata, l’Alleanza islamica a causa di un profondo disaccordo sul ruolo della religione. Questa alleanza, che riunisce partiti salafiti con un programma politico marcatamente tradizionalista basato sulla sharia come fondamento giuridico dello stato, è guidato da al-Nour (che sostiene la necessità di creare uno status legale separato per i non-musulmani) e Al-Banna’ wa al-Tanmiyya (“Ricostruzione e sviluppo”) che propone addirittura la reintroduzione delle punizioni corporali tradizionali. Dalla parte opposta dello spettro politico si trova l’Alleanza per il completamento della rivoluzione, che riunisce partiti e movimenti più “radicali”: socialdemocratici, esponenti dei movimenti giovanili che hanno guidato le manifestazione di piazza e i partiti islamici moderati come il Partito per la liberazione dell’Egitto, d’ispirazione sufista ma che conta tra i suoi membri minoranze etniche e religiose, in particolare copti e armeni. Tra i partiti appartenenti a coalizioni minori o che si presentano autonomamente spiccano il nazionalista liberale al-Wafd (“Delegazione”) e al-Wasat (”Centro”), islamista moderato ispirato alla scuola di pensiero liberale wasatiyya.

A cura di Sally Khalifa Isaac (Cairo University)

A cura di Sally Khalifa Isaac (Cairo University)

SITUAZIONE SOCIALE ED ECONOMICA

·                  Povertà. Una delle principali cause alla base dell’esplosione delle proteste in Egitto è da rintracciare nelle contraddizioni e nelle deficienze del modello di sviluppo economico e sociale portato avanti dal regime di Mubarak. Lo sviluppo economico non è stato accompagnato da riforme mirate all’ottimizzazione della qualità della governance che avrebbero contribuito a implementare un’efficace ed equa redistribuzione delle risorse del paese. Come risultato, il tasso di povertà, che nel corso degli anni Novanta era progressivamente diminuito (dal 24,18% della popolazione nel 1990 al 16,74% nel 2000), durante l’ultima decade ha fatto registrare un continuo aumento sino a superare, nel corso del 2009, i livelli del 1994/95.

·                  Disoccupazione e tagli alla spesa pubblica. Le classi medio-basse sono state colpite dalle politiche fiscali fortemente restrittive praticate dal governo al fine di ridurre il deficit e il debito pubblico. I radicali tagli della spesa pubblica – in particolare, nei settori della sanità, dell’educazione e degli ammortizzatori sociali – hanno determinato un drastico abbassamento della qualità della vita di larghe fasce della popolazione. Inoltre, la natura neo-patrimoniale del regime ha impedito che le liberalizzazioni alimentassero la crescita economica, con effetti negativi sull’occupazione (all’11,5% nel 2011, contro il 10,4% del 2010, secondo i dati ufficiali, mentre stime non ufficiali danno percentuali più elevate). Il dato è ancora più significativo poiché interessa i giovani: un quinto della popolazione complessiva ha un’età compresa tra 15 e 24 anni e, secondo le stime ufficiali, un quarto di essi è disoccupato.

·                  La crescita economica aveva già conosciuto un forte rallentamento tra il 2008 e il 2009, passando rispettivamente dal 7,2% al 4,7%, principalmente come conseguenza delle difficoltà economico-finanziarie dei paesi europei, principali partner commerciali dell’Egitto. La ripresa della crescita economica, che nel 2010 è stata del 5,1%, ha subito una battuta d’arresto nel 2011 come conseguenza della crisi politica: secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale essa si attesterà all’1,2%, quattro punti percentuali in meno rispetto all’anno precedente. Una ripresa dovrebbe verificarsi a partire dal 2012 (1,8%). I settori maggiormente colpiti dalle difficoltà economiche sono: il manifatturiero e, soprattutto, il turismo. Quest’ultimo nel 2010 aveva raggiunto un valore complessivo di 12 miliardi di dollari (il 5% circa del Pil). Secondo le ultime stime, nel corso del 2011 il settore avrebbe subito una contrazione  di circa il 6% rispetto all’anno precedente.

·                  La finanza pubblica. Le attuali difficoltà economiche stanno avendo ripercussioni negative anche sul bilancio dello stato. Alla riduzione delle entrate causata dalla contrazione economica si è aggiunto un aumento della spesa pubblica. Il -governo di transizione, nel tentativo di guadagnare consenso popolare, ha aumentato i salari dei dipendenti pubblici del 20%. Gli analisti stimano che nel corso dello scorso anno il deficit sia aumentato di quasi due punti percentuali: dal 8,1% del 2010 al 9,9% del 2011, per un valore complessivo di circa 24 miliardi di dollari.

·                  Il finanziamento del Fmi. Per uscire dalla situazione di empasse, il governo egiziano tratta da mesi con il Fmi la concessione di un finanziamento di 3,2 miliardi di dollari. La proposta è arrivata direttamente dall’organismo internazionale già lo scorso giugno e adesso si attende una decisione in merito da parte dei neoeletti rappresentanti politici.


Egitto un anno dopo: rivoluzione continua  -  Scenario

A un anno dalla caduta di Mubarak il futuro politico ed economico dell’Egitto rimane incerto. L’ampia vittoria del -partito  Libertà e Giustizia (Fratelli Musulmani) nelle elezioni per l’Assemblea nazionale del Popolo e il successo dei salafiti di Al-Nour costituiscono un primo punto d’analisi nella definizione di alcuni scenari sull’Egitto di domani.

Scenario 1 – Tra militari e Islam: la lunga instabilità.

Le recenti elezioni parlamentari lasciano pochi dubbi sul fatto che la guida del paese spetterà ai Fratelli Musulmani. Tuttavia rimangono alquanto incerte le alleanze degli stessi – non hanno ottenuto la maggioranza dei voti – e come questi si relazioneranno con i militari, riluttanti a cedere potere e privilegi acquisiti in decenni. Allo stesso modo restano un’incognita i futuri indirizzi politici ed economici del paese. L’economia e la questione sociale non sembrano giocare a favore di un ritorno alla stabilità del paese. Ma l’incertezza maggiore è probabilmente relativa a come i Fratelli Musulmani gestiranno i rapporti con le forze salafite (radicali), che hanno ottenuto ampi, e per certi versi inaspettati, consensi in questa prima fase elettorale. Una possibile alleanza tra Fratelli Musulmani e forze liberali (Partito Wafd) potrebbe offrire alle forze più radicali di ottenere consenso se il paese non avrà la capacità economica di riprendersi. Non è quindi possibile escludere il rischio di forti tensioni tra le forze politiche, di nuove proteste popolari e del perdurare della situazione di instabilità che il paese vive oggi, con conseguenze sulle già gravi condizioni dell’economia del paese. L’atteggiamento dei militari, inoltre, rimane essenziale per comprendere il futuro del paese. A questo proposito, gravi tensioni sociali potrebbero scaturire dal possibile tentativo (come dimostra l’episodio del c.d. Selmy Document) del Csfa di preservare la propria competenza esclusiva in materia di budget della difesa e di mantenere il ruolo di garante ultimo dell’interesse nazionale egiziano, al di sopra di qualunque possibilità di supervisione da parte degli organi politici. E ancora, gravi motivi di contrapposizione tra Csfa e formazioni politiche islamiste (vincitrici delle elezioni) derivano dalla preoccupazione dei vertici militari che il risultato delle urne possa incrinare il rapporto strategico con gli Stati Uniti portandoli a sospendere o a ridurre sensibilmente l’assistenza militare fino ad oggi garantita (il cui valore è di circa 1,3 miliardi di dollari l’anno). Se a possibili nuove proteste e sommovimenti sociali i militari rispondessero con una nuova fase di repressione, si potrebbero innescare nuove spirali di violenza e verrebbe screditata l’istituzione dell’esercito che, in qualche misura, ha cercato di avere un ruolo di garante dello stato nella fase di transizione che ha preso avvio un anno fa. Il risultato, tutt’altro che improbabile, sarebbe il procrastinarsi di una situazione di instabilità che, teoricamente, potrebbe portare al collasso economico del paese. Il perdurare di questa incertezza in Egitto avrebbe ripercussioni non solo a livello interno ma anche sui fragili equilibri regionali e sulle relazioni con i paesi limitrofi.

Scenario 2 – Un Egitto moderato

Nonostante le incertezze precedentemente esposte, altre motivazioni fanno presupporre che una linea moderata in Egitto possa prevalere nel breve termine, rafforzando gli elementi di stabilità del paese, anziché indebolirli, a lungo termine. Nonostante l’impronta del wahabismo saudita nel salafismo egiziano, la grande autorità morale e religiosa che ancora esercita il Grande Imam di Al Azhar, Ahmed Al Tayeb, potrebbe avere influenze positive sulla stabilità sociale. L’Imam sembra infatti aver optato per un atteggiamento misurato e improntato all’affermazione piena della libertà religiosa e di espressione quali capisaldi del diritto di cittadinanza. La linea di moderazione tenuta dal partito della fratellanza (Libertà e Giustizia ) e la futura alleanza con i liberali (penalizzati dai risultati elettorali) che si profila sembra poter garantire che la via intrapresa da queste forze sia quella di un moderno partito islamico, non troppo dissimile dal partito turco del premier Erdoğan.

·                  Inoltre, il frazionismo all’interno del movimento sunnita é già una ragione di peso che dovrebbe indurre, almeno nel breve-medio periodo, a non nutrire eccessivi timori per i possibili effetti della vittoria islamista, visto che il partito Libertà e Giustizia ha escluso «puor cause» di associarsi con Al-Nour, il partito salafita. Non saranno quindi gli islamisti a dominare in concreto le scelte fondamentali del futuro governo egiziano, che saranno piuttosto il risultato di un compromesso della verosimile coalizione di islamisti e partiti laici, tra cui spicca il partito Wafd. Se, inoltre, alle prossime elezioni parlamentari, prevalesse un candidato laico legato all’esercito, la linea di moderazione del paese potrebbe uscirne rafforzata. Il nuovo Presidente della Repubblica che sarà eletto nel mese di luglio tra candidati che non apparterranno ai Fratelli Musulmani, come ha anticipato Mohamed Badie, leader del movimento, assumerebbe di fatto il ruolo di grande mediatore. A ciò si aggiunga che le forze politiche diffidenti nei confronti degli islamisti – il Blocco egiziano, capeggiato dal tycoon della telefonia Sawiris, e Rivoluzione continua che raggruppa i giovani di Piazza Tahrir – al momento non sembrano avere i numeri e la capacità di influenza necessaria a sfidare i nuovi partiti di governo. Infine, occorre considerare che i vertici del partito Libertà e Giustizia , nel corso degli ultimi mesi, hanno dato prova tangibile del proprio impegno per l’attuazione di una linea politica realmente moderata aprendo subito un dialogo con gli Stati Uniti, incontrando gli emissari del Fondo monetario internazionale (con cui è in corso una trattativa per ottenere aiuti finanziari pari a circa 3,2 miliardi di dollari) e chiedendo aiuto ai principali partner commerciali occidentali per far fronte alla spaventosa crisi economica che in un anno e mezzo ha dimezzato le riserve di valuta (da 36 a 18 miliardi di dollari) e ridotto il turismo del 90%.


 

 

 

 

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Hamas, i Fratelli Musulmani, e il dilemma israeliano

Claudia De Martino - Mideast Flashpoints - 9/1/2012

Il governo israeliano ha annunciato che intende intensificare i rapporti diplomatici con i Fratelli Musulmani in Egitto, come anche con le altre forze islamiste uscite vincenti dalle recenti elezioni parlamentari nel paese. Il nuovo ambasciatore israeliano al Cairo, Jacob Amity, sarebbe stato incaricato di avviare contatti perfino con i partiti salatiti – tra cui il partito al Nour, oggi la seconda forza politica egiziana dopo il partito Libertà e Giustizia (appunto, i Fratelli Musulmani). Per ufficializzare “il nuovo corso” delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi si dovrà attendere l’esito della lunga maratona elettorale egiziana (fino alle elezioni presidenziali in estate) ma è già chiaro che il governo Nethanyau sembra ispirarsi a una buona dose di pragmatismo. Questa scelta pone tuttavia un problema specifico per Israele e il rapporto con il mondo palestinese: il boicotaggio di Hamas, in vigore dal 2007. Come potrà il governo israeliano continuare a spiegare alla sua stessa opinione pubblica il mantenimento di un double standard rispetto ai Fratelli Musulmani egiziani (e addirittura i gruppi salafiti) da un lato, e Hamas dall’altro? I due partiti sono per molti versi espressione della stessa ideologia politica.

Il quesito è particolarmente urgente dato che Khaled Maashal, leader della fazione armata del partito, ha annunciato in occasione del recente secondo round di negoziati Hamas-Fatah (il cosiddetto Interim Leadership Forum) appena tenutosi al Cairo, una potenziale svolta storica per l’organizzazione: Hamas sarebbe disposto a stringere una tregua con Israele, passando dalla lotta armata a quella “popolare”, e sarebbe pronto a riconoscere e sostenere l’istituzione di uno stato palestinese entro i confini del ’67 (pur senza rinunciare al diritto al ritorno dei profughi palestinesi). Non vi è stata alcuna menzione ufficiale al riconoscimento di Israele, ma è indubbio che nessun leader del movimento si era mai spinto tanto avanti sulla via delle concessioni in vista della possibile riunificazione nazionale.

Hamas ha molte e buone ragioni concrete per compiere questo passo: la sua base strategica di appoggio in Siria è stata minata dalla repressione che Assad conduce ai danni del suo popolo: la credibilità del regime di Damasco è ormai pregiudicata nell’intero mondo arabo. Non a caso, sono circolate voci secondo cui il braccio armato di Hamas starebbe cercando riparo in Giordania – cioè il paese dal quale esso è stato espulso nel 2000, come del resto era accaduto all’OLP nel 1970. Un portavoce del governo giordano si è preoccupato immediatamente di smentire le indiscrezioni, ma resta il dato oggettivo di un momento assai delicato per l’organizzazione che controlla la Striscia di Gaza.

E’ chiaro che Hamas sta cercando una nuova collocazione alla luce delle transizioni arabe in atto, sia per evitare di finire come un “danno collaterale” dell’isolamento internazionale della Siria, sia per sfruttare in qualche modo la rinnovata popolarità dei Fratelli Musulmani. Per far ciò, ha però bisogno di accreditarsi nuovamente come una grande forza politica popolare, piuttosto che come un gruppo di resistenza armata: una forza che, in continuità con i risultati del 2006, chiede che si tengano nuove elezioni in Palestina – con la prospettiva di conquistare il potere anche in Cisgiordania, alla luce del successo politico ottenuto con il rilascio di oltre un migliaio di prigionieri palestinesi nello scambio con il Caporale israeliano Shalit. Stiamo dunque assistendo a passi importanti verso la possibile trasformazione di Hamas in un partito politico moderato, che naturalmente modifica il quadro palestinese e pone una grande sfida per Fatah.

Su questo sfondo, i legami con i Fratelli Musulmani egiziani sono cruciali, anche per la continua valenza politica della questione palestinese in chiave regionale: in occasione della visita di Haniyeh al quartier generale dei Fratelli Musulmani al Cairo, lo scorso novembre, il suo omologo egiziano Mohammed Badie dichiarò che la Palestina era sempre al centro delle preoccupazioni e dell’impegno della Fratellanza. Il viaggio in Egitto, per Haniyeh, é stato del resto solo la prima tappa di un tour che ha toccato molti dei centri vitali della umma islamica, ovvero Sudan, Qatar, Bahrein, Tunisia e Turchia: nella selezione delle mete si è voluto lanciare il messaggio che Hamas appoggia le rivolte popolari e le rivoluzioni in corso, e guarda ai Paesi caratterizzati da un islamismo moderato.

L’operazione tentata da Hamas non è facile, ma si tratta comunque di una sfida nuova per Israele, oltre che per il mondo palestinese. Una sfida che nasconde un’opportunità, visto che le forze islamiste guidano oggi Paesi importanti tuttora alla ricerca di un modello di democrazia che coniughi valori islamici e rispetto dell’espressione della volontà popolare. Il governo Netanyahu ha per una volta la possibilità di anticipare, piuttosto che subire, i cambiamenti in atto nella regione, con scelte che andrebbero a beneficio di tutti.


 

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Egitto: Per i progressisti la nuova era inizia in salita

Eugenio Dacrema

Creata il 01/18/2012 - 11:50

A pochi giorni dalla conclusione del terzo ed ultimo turno di consultazioni in Egitto, è possibile iniziare a tirare le somme di quella che per i liberali e la sinistra egiziana è stata certamente una sonora sconfitta. Le forze islamiste, guidate dal partito dei Fratelli Musulmani  “Libertà e Giustizia” che ha ottenuto quasi il 50% dei suffragi, si aggiudicherebbero più dei due terzi dei seggi parlamentari.

Un risultato parzialmente annunciato

Nonostante le dimensioni di questa sconfitta siano certamente sorprendenti, fin dall’inizio nessuno nel campo laico si aspettava realisticamente di poter puntare ad una vittoria elettorale. Sin dal referendum costituzionale del 19 Marzo 2011 (che chiedeva agli egiziani di scegliere, tra le altre cose, se tenere le elezioni entro l’anno, opzione benvoluta dai partiti islamisti, o posticiparle per permettere alle nuove forze politiche di organizzasi e consolidarsi, come chiedevano i movimenti più laici e progressisti), appariva infatti chiaro il peso schiacciante che la consolidata presenza sul territorio dei movimenti islamisti avrebbe avuto sugli sviluppi politici successivi.

Secondo molti esponenti politici laici, che in questo momento sono impegnati nel dibattito sull’analisi della sconfitta, a pesare più di tutti gli altri fattori sul risultato elettorale è stata la grande differenza tra gli schieramenti in termini di presenza stabile e radicata sul territorio. Non è un segreto, infatti, che nonostante i decenni di repressione da parte dei diversi governi dittatoriali che da Nasser a Mubarak si sono avvicendati in Egitto, i Fratelli Musulmani siano stati in grado negli anni di sviluppare una fitta rete di attività religiose, servizi sociali, sanitari, educativi, nonché una forte presenza nelle organizzazioni professionali. Il fatto che questa tentacolare organizzazione sia stata trasferita in blocco al servizio del nuovo partito fondato dalla fratellanza in seguito alla caduta di Mubarak (a nessun membro dei Fratelli Musulmani è stato permesso di iscriversi e fare propaganda per partiti diversi da Libertà e Giustizia, pena l’espulsione senza appello dalla fratellanza) ne ha certamente amplificato enormemente le potenzialità elettorali.

Un discorso leggermente diverso va fatto invece per quanto riguarda il grande successo (circa il 24% dei suffragi) ottenuto dall’ala più oltranzista dello schieramento, ovvero quella rappresentata principalmente dal partito di ispirazione salafita al-Nur. Se da una parte, infatti, anche per i movimenti salafiti come al-Dawaa (il movimento di cui al-Nur è emanazione) è corretto affermare che godano di una tradizionale e consolidata presenza sul territorio ( o almeno in alcuni centri come Alessandria), bisogna anche dire che questa non è neanche lontanamente comparabile alla presenza territoriale dei Fratelli Musulmani, e che con ogni probabilità le ragioni del loro successo vanno ricercate anche in altri fattori. A questo proposito gli esponenti politici laici hanno in questi mesi avanzato ripetutamente forti sospetti riguardo l’inspiegabile improvvisa capacità finanziaria dimostrata dai movimenti salafiti, che sono stati in grado di articolare una campagna elettorale efficace e molto costosa, pur avendo le proprie tradizionali roccaforti di consenso in aree molto povere.

I sospetti si concentrano sulla probabile, ma fin’ora non provata, presenza di grossi aiuti economici provenienti dall’estero, e soprattutto dalle monarchie del Golfo (Qatar e Arabia Saudita sono i principali sospettati), che vedrebbero in al-Nur un possibile avamposto wahhabita (l’islam radicale applicato dalla monarchia saudita) in Egitto. Una possibile forte influenza saudita all’ombra delle piramidi non sarebbe malvista nemmeno da Washington, che infatti non si è espressa in maniera particolarmente allarmata riguardo al notevolissimo espluà elettorale delle forze islamiste più radicali.

Contrapposte narrative della Rivoluzione

Questi fattori più “concreti” non sono però gli unici da tenere in considerazione. Non sono mancate infatti in questi mesi le battaglie propagandistiche incentrate sul simbolismo della rivoluzione. Mentre infatti all’estero è passata soprattutto la narrativa promossa dalle forze laiche e progressiste che pone al centro del cambiamento rivoluzionario in primo luogo i giovani liberali e la sinistra, protagonisti della “Rivoluzione di Internet” e veri motori del movimento di Piazza Tahrir, la narrativa che ha prevalso all’interno dell’Egitto è risultata piuttosto differente.

I movimenti progressisti hanno infatti da un lato scontato la loro natura intellettuale-elitaria (gran parte degli aderenti a movimenti come il 6 Aprile proviene infatti da famiglie agiate) per quanto riguarda soprattutto l’attivismo telematico, mentre dall’altra non hanno potuto sfruttare a pieno il movimento sindacale di cui sono stati protagonisti all’interno delle aziende private e pubbliche in un paese ancora privo, a parte alcune eccezioni, di una base operaia e una cultura sindacale solide e radicate.

Tutto questo ha dato la possibilità alle le forze islamiste, la maggioranza delle quali inizialmente aveva rifiutato di aderire alle manifestazioni di Piazza Tahrir, di far valere il peso degli anni di opposizione al regime che  soprattutto i Fratelli Musulmani  possono vantare. Per l’egiziano medio, infatti, è risultato molto più semplice associare la fratellanza al merito della caduta di Mubarak, piuttosto che associarla ad una delle nuove numerosissime sigle di partiti e di movimenti laici quasi completamente sconosciuti alla maggior parte della popolazione.

Frammentazione e polarizzazione

Non risulta però sufficiente esaurire le spiegazioni per questa grave sconfitta attribuendola solamente ad un contesto sociale e politico assai sfavorevole. Non sono mancati, infatti, gli errori strategici, anche gravi, che le forze laiche hanno commesso durante i mesi di preparazione alla campagna elettorale.  In primis, basta dare un’occhiata alla tabella dei risultati delle elezioni che proponiamo di seguito per capire quanto frammentato fosse lo schieramento laico.

Mentre infatti in cima alla lista possiamo facilmente riconoscere le liste di Libertà e Giustizia e di al-Nour, per rintracciare lo schieramento laico dobbiamo raggruppare tre liste diverse, al-Wafd (storico partito liberale egiziano presente già nelle elezioni dell’era Mubarak), il Blocco Egiziano (una coalizione che comprende sia forze liberali che forze socialiste, accomunate sostanzialmente soltanto dalla contrapposizione ai movimenti islamisti) e Rivoluzione Continua (coalizione formata da molti nuovi partiti progressisti fondati soprattutto dai movimenti giovanili che hanno animato i giorni di Piazza Tahrir).

A loro volta il Bloco Egiziano e Rivoluzione Continua sono espressione di numerosi partiti di medie e piccole dimensioni che durante la campagna elettorale sono entrati spesso in contrasto. Questo clima di frammentazione e spesso di litigiosità non ha certamente giovato alla capacità comunicativa dello schieramento laico, che ha faticato non poco a far comprendere soprattutto agli strati più popolari della società  il proprio messaggio politico e le differenze, spesso sottilissime, fra i vari partiti che lo compongono. Ciò ha portato, al contrario, ad una fallimentare eccessiva semplificazione del quadro politico, e spesso ridotto il dibattito alla semplice polarizzazione tra laici e islamisti, identificati come migliori rappresentanti della società tradizionale. Ne sono risultati trascurati quindi temi di fondamentale importanza come quelli economici, riguardo ai quali le forze progressiste non sono riuscite a far valere di fronte agli strati più poveri i loro programmi assai più orientati all’equità delle retribuzione e alla salvaguardia dei servizi sociali fondamentali.

Conlusioni - Scenari e incognite del prossimo futuro

In un contesto di elezioni democratiche normali, una sconfitta, seppur cocente, non è mai una situazione irrecuperabile. Non sarebbe infatti la prima volta che un partito, o una coalizione, pesantemente sconfitti in un confronto elettorale risultino poi in grado di vincere quello successivo. E’ però assai ottimistico pensare che il periodo post rivoluzionario egiziano possa già essere descritto come un normale contesto democratico. Questo per due fattori principali, che costituiscono gli elementi maggiori di incognita per il prossimo futuro.

Il primo, e il più evidente al momento, è costituito dal clima di scontro tra gli attivisti della sinistra politica e la giunta militare che si è nuovamente esacerbato a partire da fine Novembre, con sanguinosi scontri soprattutto al Cairo. Non è infatti da trascurare il fatto che al momento il potere in Egitto, in quasi tutte le sue forme,  sia ancora detenuto dai militari. Quest’ultimi,  forti della travolgente vittoria dei partiti islamisti, con cui da mesi hanno sottoscritto una tacita ma piuttosto evidente alleanza di mutuo rispetto e non belligeranza, potrebbero ora  decidere di indurire il proprio atteggiamento verso la sinistra progressista procedendo ad una massiccia campagna di arresti e repressioni.

Questo è certamente una scenario probabile, anche se non nella sua forma più estrema. Non mancano, infatti, soprattutto all’interno dell’ala giovanile dei Fratelli Musulmani, esponenti di rilievo che non vedono affatto benevolmente l’operato della giunta militare e che sono molto sensibili ad alcuni ai temi economici e sociali portati avanti dagli attivisti di sinistra. E’ pertanto improbabile che ai militari venga data carta bianca per procedere ad una repressione veramente feroce, anche se certamente lo spazio di manovra della giunta in questo senso si è certamente allargato.

Il secondo fattore, forse ancor più importante, riguarda lo scottante tema della nuova costituzione. Il parlamento eletto a questa tornata elettorale sarà chiamato infatti a redigere la nuova carta costituzionale del paese, stabilendo i principi e le regole fondamentali anche per la libertà di culto, di espressione e soprattutto le modalità in cui i prossimi confronti elettorali verranno attuati.

In passato la leadership di Libertà e Giustizia ha affermato che , qualunque fosse stato l’esito del voto, avrebbe comunque optato per una alleanza con le forze laiche per la nomina dell’assemblea costituente. Questo al fine di garantire una nuova costituzione che fosse espressione  di tutte le realtà politiche e religiose del paese. Nonostante tale promessa, non sono però pochi coloro che temono che soprattutto l’ala più conservatrice dei Fratelli Musulmani sia tentata di spingere il movimento ad una comoda alleanza con le frange più estremiste come i salafiti di al-Nur. Tale alleanza infatti avrebbe tutti i numeri per poter garantire l’approvazione di una carta costituzionale estremamente influenzata dalle dottrine islamiche e meno garantista rispetto ai principi fondamentali come la libertà di culto e di espressione, nonché di rappresentanza politica.

Questo è certamente il pericolo maggiore che incombe sul futuro prossimo dei progressisti egiziani, che sono ben consapevoli di non avere la forza parlamentare per opporsi democraticamente ad uno scenario del genere. La conseguenza potrebbe perciò essere il riaccendersi degli scontri di piazza, questa volta non più contro la sola giunta militare, ma anche contro gli avversari politici islamisti, portando il paese nuovamente in un caos pericoloso, simile a quello immediatamente seguente la caduta di Hosni Mubarak.  Di tutto ciò sono pienamente consapevoli anche le leadership dei partiti islamisti, dalle cui prossime decisioni, in ultima analisi, dipendono in questo momento gli sviluppi politici dell’Egitto.


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Il quadro politico egiziano: un momento della verità per l’Islam politico

Azzurra Meringolo - Mideast Flashpoints - 18/1/2012

Dopo la Tunisia, anche in Egitto sembra essere arrivato il momento dell’ascesa dell’Islam politico. Per sapere l’esatta composizione del Maglis al-Shaab, la camera bassa del primo parlamento dell’era post Mubarak, mancano solo i risultati dell’ultimo ballottaggio tenutosi il 10 e 11 gennaio. A questi dovranno inoltre sommarsi quelli di alcuni seggi che, in seguito alla decisione della Commissione Elettorale, ripeteranno le operazioni di voto per garantirne la legalità.

Anche senza questi dati, comunque, il verdetto elettorale è già nitido. Le urne hanno infatti  consegnato la vittoria a Libertà e Giustizia, il partito islamista della Fratellanza Musulmana che, dopo decenni di forzata clandestinità, si appresta ora a governare il paese.

A Libertà e Giustizia andranno circa il 45% dei seggi. Al secondo posto, con il 25% delle preferenze, si posizioneranno i salafiti del partito Al-Nour (la Luce), un movimento islamista di emanazione wahabita su posizioni più radicali. Anche se a prima vista l’alleanza tra questi due partiti sembra scontata, i rapporti fra queste due formazioni dell’Islam politico sono sempre stati altalenanti. Avendo radici comuni, momenti di vicinanza si sono alternati ad altri di litigiosità e addirittura inimicizia. A confermarlo è stato quanto accaduto lo scorso autunno, quando nel corso delle alleanze pre-elettorali queste divisioni sono tornate a galla costringendo il blocco islamista a correre in due coalizioni separate. Da una parte Al-Tahaluf al-Dimuqrati (l’Alleanza Democratica) dominata dalla Fratellanza Musulmana), e dall’altra  Al-Tahaluf al-Islam, (l’Alleanza Islamista) guidata dal Nour.

La Fratellanza, che si è detta pronta ad includere nel suo governo tutte le istanze politiche che vorranno cooperare, potrebbe infatti decidere di allearsi con lo storico partito nazionalista Wafd (Delegazione), che ha ottenuto circa il 9 % dei voti. In alternativa gli Ikhwan - i Fratelli -   potrebbero optare per il Blocco Egiziano, l’alleanza su posizioni più liberali, guidata dal tycoon copto Naguid Sawiris che ha ottenuto poco più del 7%.

Oltre alla questione delle alleanze, la dirigenza del partito e quella del movimento islamista stanno ora discutendo sulla nomina dello speaker nel primo parlamento dell’era post Mubarak. Tra i nomi dei candidati, i più probabili sono quello di Saad El-Katatni, segretario generale di Libertà e Giustizia e già in passato capo del blocco parlamentare della Fratellanza, e quello di Essam El-Erian, vice presidente del partito.

Intanto Mohammed Mursi, presidente di Libertà e Giustizia, ha annunciato quali saranno le sfide alle quali il suo partito intende dare una risposta immediata – lo ha fatto dalle colonne di Al-Sharq al-Wasat, un  quotidiano panarabo di proprietà saudita. Il partito della Fratellanza si propone in primis di garantire a tutti i cittadini il principio di libertà e uguaglianza e al contempo di ripristinare la sicurezza nazionale per rimettere in moto il paese. Da un punta di vista economico, oltre allo sviluppo del turismo, Libertà e Giustizia intende concentrarsi sul problema della disoccupazione e sostenere i giovani nella creazione di piccole imprese. Per garantire maggiore giustizia sociale e migliorare la qualità della vita dei cittadini, la Fratellanza punta a una redistribuzione della ricchezza attraverso gli stipendi, a una più efficiente assistenza medica, a combattere l’analfabetismo e destinare più risorse alla ricerca scientifica.  Si promettono anche interventi sul sistema dei trasporti e sull’inquinamento ambientale.

Meno chiara invece la politica estera che il movimento intende perseguire. Secondo le dichiarazioni programmatiche di Mursi, Libertà e Giustizia cercherà di incrementare l’integrazione con gli altri paesi arabi, ribadendo intanto il diritto del popolo palestinese di liberare la sua terra e quello dei profughi di ritornare in patria.

Secondo quanto riportato dal quotidiano panarabo Al-Hayat il 1° gennaio, affrontando anche la questione relativa alla relazione con lo stato ebraico, Rashad Bayoumi, un membro della Fratellanza, sostiene che il suo movimento non ha alcun obbligo a riconoscere il trattato di pace di Camp David firmato tra Egitto e Israele nel 1979. Una posizione ribadita anche Ibrahim Mounir, membro dell’esecutivo del movimento.

A contraddirli è stata il 4 gennaio Victoria Nuland, portavoce del Dipartimento di Stato americano, seconda la quale l’amministrazione americana avrebbero ricevuto garanzie circa il rispetto di questo trattato direttamente da membri della Fratellanza.

Oltre a evidenziare l’indecisione degli islamisti sul futuro del trattato di pace con Israele, questo dibattito suggerisce anche che può esistere un certo scarto tra la dirigenza del movimento e quella del partito di Libertà e Giustizia, che sono entrati in contraddizione anche su altre questioni.

Pochi dubbi sembrano invece esserci sull’atteggiamento assunto dalla Casa Bianca, che ha ufficialmente confermato di voler riconoscere i risultati delle elezioni, tendendo la mano alla Fratellanza per istaurare rapporti diplomatici fattivi. L’11 gennaio si è tenuto un incontro tra i leader di Libertà e Giustizia e William Burns, numero due del Dipartimento di Stato; un passo ufficiale la cui importanza è stata chiaramente percepita in Egitto. Questa è comunque una novità solo parziale: per anni  alcuni esponenti della Fratellanza hanno avuto contatti con rappresentati del governo americano, ma questo sono stati riservati o sono avvenuti tramite quei membri del movimento presenti in parlamento che venivano ufficialemnte trattati come rappresentanti di questa istituzione. Ora è il momento di un test più impegnativo per tutti.


 

 

 

Limes - rivista italiana di geopolitica

 

(25/01/2012)

Gattopardo o rivoluzione? L’Egitto un anno dopo

di Azzurra Meringolo

Il 25 gennaio 2011 iniziava la rivolta che avrebbe portato alle dimissioni di Mubarak. Oggi c'è un parlamento eletto, ma il vero potere è in mano ai militari dello Scaf. I Fratelli musulmani di fronte a un bivio. Le richieste di piazza Tahrir non sono ancora state ascoltate.


A poche ore dall’inizio delle manifestazioni con le quali si celebrerà, il 25 gennaio, la prima ricorrenza dello scoppio della rivoluzione di piazza Tahrir, quelli che molti accusano essere il vero gattopardo del vecchio regime sembra essersi trasformato nel buon pastore.

 

 

“Ho preso la decisione di porre fine allo stato di emergenza” ha detto ieri sera in un comunicato televisivo il generale Hussein Tantawi, riservandosi comunque il diritto di farvi ricorso per i casi di teppismo. Dichiarando la fine di questo stato in vigore dal giorno in cui, nel 1981, il presidente Hosni Mubarak succedette ad Anwar Sadat (assassinato), Tantawi sembra voler lanciare un messaggio di distensione a quanti continuano ad accusare i militari di essere dei controrivoluzionari. Ciononostante, pochi credono alle sue parole.

 

“È il solito discorso che sentiamo da trent’anni” racconta un giovane. “Quando Tantawi ha sostituito Mubarak alla guida del paese ha addirittura deciso di espandere il campo di applicazione dello stato d’emergenza. Dallo scorso febbraio bastava uno sciopero, un’interruzione del traffico o la diffusione di notizie ritenute false dai militari per giustificarne il ricorso” aggiunge un altro. “Tantawi non ha neanche definito cose intende con il termine teppismo” conclude un terzo piuttosto titubante.

 

La dichiarazione del capo del Consiglio supremo delle Forze armate (Scaf) arriva esattamente due giorni dopo che lo stesso ha annunciato di concedere la grazia a 1959 detenuti la cui sorte era appesa a sentenze militari. Tra i nomi dei rilasciati compare anche quello di Maikel Nabil Sanad, il primo blogger dell’era post-Mubarak a finire dietro le sbarre con l’accusa di aver insultato lo Scaf. Negando l’unità di intenti tra popolazione ed Esercito, Nabil aveva scritto che i militari e i cittadini egiziani non erano più una mano sola e per dimostrarlo aveva riempito il suo diario virtuale di immagini e racconti che mettevano a nudo la violenza dei militari giunti al potere dopo la caduta di Mubarak.

 

Neanche questa mossa sembra aver convinto gli attivisti della rivoluzione; questi ultimi lunedì hanno partecipato a quattro manifestazioni che cercavano di arrivare davanti al parlamento, dove si stava tenendo la prima riunione del neoeletto Maglis al-Shaab, la camera bassa. “Vogliamo solo far sapere ai nuovi deputati che devono fare il possibile per realizzare le richieste rivoluzionare, e spingere i militari nelle caserme” ha spiegato un manifestante costretto a tornare a casa senza aver raggiunto la meta stabilita. Insieme ai militari, a difendere il parlamento sono stati sostenitori di Libertà e Giustizia e di Al-Nour ("la luce"), i due partiti islamisti che si sono spartiti più del 70% dei seggi.

 

Al primo, emanazione della Fratellanza Musulmana, sono andati 235 seggi, il 46% del totale; Al-Nour, partito salafita su posizioni più conservatrici, se ne è aggiudicati 124, il 26%. Sul terzo gradino del podio si trova Al-Wafd, lo storico partito nazionalista che ha ottenuto il 7% delle preferenze, seguito a ruota dal Blocco egiziano, l’alleanza su posizioni più laiche alla quale spetta il 6% dei seggi. Non avendo una maggioranza assoluta, la Fratellanza si trova ora davanti a un bivio. Potrebbe scegliere di allearsi con le forze liberali, mandando un chiaro segno di cambiamento e innovazione all’intera regione in rivolta; oppure potrebbe puntare sui meno pragmatici “cugini salafiti” , volgendo lo sguardo al passato piuttosto che al futuro.

 

Mentre i vertici di Libertà e Giustizia si interrogano sul da farsi, i sostenitori degli Ikhwan (i Fratelli musulmani) si preparano a festeggiare oggi l’inizio di quella rivolta che ha spianato loro la strada verso questo successo. “Non sono stati loro i protagonisti della manifestazione del 25 gennaio 2011” spiega una giovane che si appresta a partecipare a una delle manifestazioni alternative alle celebrazioni ufficiali indette dai militari. “Il 25 gennaio non scenderemo in strada per festeggiare, ma per lottare cercando di raggiungere quegli obbiettivi che non abbiamo ancora realizzato dopo la caduta del vecchio raìs” spiegava a inizio settimana un attivista del Movimento del 6 Aprile, uno dei gruppi protagonisti della rivoluzione che ha organizzato per oggi manifestazioni contro i militari.

 

Quanti sono insoddisfatti della condotta dell’Esercito chiedono infatti di accelerare il processo di transizione, accorciando i tempi che portano alle elezioni presidenziali previste a giugno. “La grande sfida di fronte alla quale si trova l’Egitto", scrive sul quotidiano liberale Al-Masry al-Youm Roger Owen, docente ad Harvard, “consiste nel trasformare il fervore rivoluzionario in qualcosa di simile a un nuovo ordine costituzionale come quello creatosi dopo il 1919 [anno della prima rivolta egiziana contro la Corona inglese, ndr], diverso da quello autoritario comparso dopo il 1952 [anno della rivolta dei Liberi ufficiali di Nasser, ndr]. Solo allora il precedente spirito di liberazione dagli inglesi potrà evolversi verso quella libertà di vivere la propria vita per la quale il popolo di Tahrir ha lottato così coraggiosamente nel 2011”.

 

Islam e Costituzione: l’Egitto sotto il segno della moderazione, Antonio Badini, 24 gennaio 2012

 

Egitto: “Libertà e giustizia”, correnti di partito e alleanze di governo, Giuseppe Acconcia, 26 gennaio 2012

 

Egitto, parola d'ordine: evitare default alla greca  Ugo Tramballi, 24 gennaio 2012

 

Where is Egypt Heading? Reasons Why No One Really Knows ( new ) Sally Khalifa Isaac


Limes - rivista italiana di geopolitica

(27/01/2012)

Il futuro economico dell’Egitto: più populismo e meno crescita

di Giovanni Mafodda

A un anno dall'esplosione della rivolta che ha destituito Mubarak, l'economia egiziana continua a rimanere bloccata. Il ruolo dell'Fmi e l'impotenza del governo. L'unica soluzione è un nuovo contratto sociale che riduca l'entità dei sussidi.

Con l’insediamento del nuovo parlamento, che le prime elezioni libere hanno dato per due terzi in mano a partiti d’ispirazione islamica, prende il via una nuova fase politica in Egitto. Gli accordi da raggiungere per la composizione della prevista Assemblea costituente evidenzieranno le reali capacità di dialogo dell’attore politico con il Consiglio superiore delle Forze armate - cui la piazza continua, inutilmente, a chiedere un passo indietro.

 

Successivo e ultimo passaggio per la formazione del nuovo Egitto saranno poi le elezioni presidenziali. Molti osservatori scommettono che i tempi si dilateranno ben oltre il prossimo luglio. Intanto, a un anno dall’esplosione della rivolta che ha portato alla destituzione di Hosni Mubarak, la crescita economica continua ad essere bloccata.

 

Le riserve monetarie internazionali sono ridotte a non più di 10 miliardi di dollari e secondo alcune stime dovrebbero esaurirsi entro marzo. La disoccupazione giovanile è al 25%, cifra che mette spavento in un paese dove solo tre cittadini su dieci hanno più di 30 anni. Declino del turismo, blocco degli investimenti, inflazione crescente, forte indebitamento e deficit statale alto completano il quadro.

 

La recente richiesta di intervento del Fondo monetario internazionale (Fmi), che il governo ha fatto partire alla volta di Washington e che segue di qualche mese l’altezzoso rifiuto delle somme stanziate per supportare l’Egitto, è il segno più chiaro ed allarmante della sconfortante impotenza del governo del Cairo.

 

Sono in ballo 3,2 miliardi di dollari di possible intervento, pochi a fronte della gravità della situazione, secondo alcuni osservatori. I rappresentanti del Fondo sostengono che non è loro intenzione vincolare la concessione dei prestiti a condizioni che l’Egitto non sarà in grado di rispettare, ma pochi ci credono. Fmi da queste parti è sinonimo di eccessivo condizionamento politico e di riforme troppo market-friendly: un sigillo a stelle e strisce quasi sempre a tutto vantaggio della “cricca dei compari” di Mubarak.

 

Sia Giustizia e libertà, braccio politico della Fratellanza musulmana e ora primo partito politico in Egitto, sia al-Nour, guidato dai più radicali salafiti, seconda forza e vera sorpresa elettorale, seppure con gradazioni molto diverse, hanno promesso che proporranno riforme ispirate agli insegnamenti islamici. Ma non è detto che la coalizione di governo che guiderà il paese alla fine della fase transitoria sarà ad esclusiva composizione islamica.

 

Gli stessi poteri del parlamento potrebbero essere annacquati da un intervento correttivo dettato dai militari all’Assemblea costituente. Sono in molti a ricordare che c’è più acrimonia tra la Fratellanza e i salafiti di quanta ve ne sia tra i primi e il partito Wafd, che pur nella nuova composizione è sempre espressione della borghesia liberal-secolare. Nel caso di un’intesa con i salafiti, sarebbe probabile l’applicazione in campo economico di principi che facciano diretto riferimento alla Sharia.

 

Gli esempi del Pakisan, dell’Iran e di altri Stati, tuttavia, dimostrano che l’inserimento nella vita economica di principi quali lo Zakat (contributo forzoso del 2% a favore dei piu’ bisognosi) e il bando del pagamento di interessi sulle somme prestate - quest’ultimo per lo più gestito soltanto come “formalmente conforme” - non ha provocato fondamentali mutazioni al funzionamento dell’economia rispetto ai paesi che si ispirano a concezioni più occidentali.

 

Piuttosto, è da attendersi un sistema governato con strumenti di crescente ispirazione populista; ma a ben guardare, in un paese in cui il 40% della popolazione vive al di sotto o in prossimità della soglia di povertà il “grado di laicità” dei prossimi governanti incide presumibilmente poco, quantomeno nel breve periodo, sulle prime decisioni che potranno essere prese in economia.

 

In considerazione dell’esplosione del livello di disoccupuazione, infatti, sarebbe difficile implementare politiche che si preoccupino di spezzare le storture dei sussidi a pioggia, dell’aumento dei posti di lavoro nel settore pubblico (per quanto i salari stenteranno a stare dietro ai tassi di inflazione) e delle mille altre forme di trasferimenti non produttivi che sono da tempo parte del vissuto economico dell’Egitto.

 

Un passaggio quasi obbligato, insomma. Prima che, come ha recentemente evidenziato Mohsin Kahan del Peterson institute of international economy, “teste più sensibili non prevalgano e tornino indietro dicendo che il solo modo per creare sviluppo è seguire modelli quali la Turchia, la Malesia e l’Indonesia”.

 

Dalle colonne del Financial Times, Ahmed Heikal si è appellato agli imprenditori egiziani sostenendo che lo svilupppo e la crescita economica non sono solo affare della politica, e che mediante lo stabilimento di un “nuovo contratto sociale” è possibile e virtuoso rinunciare tout court ai costosissimi sussidi che, soprattutto nel settore dell’energia, vanno a favore dei più abbienti.

 

Questo consentirebbe di liberare risorse per ben 58 miliardi di dollari da reimpiegare, per una parte, nel welfare per quelli che ne hanno realmente bisogno e per l’altra, più cospicua, in programmi di assistenza sanitaria, educativi e a favore della creazione di posti di lavoro nell’economia reale.


 

Published on Aspenia online (http://www.aspeninstitute.it/aspenia-online)

 

L’Egitto e gli aiuti internazionali: dove la politica incontra l’economia

Azzurra Meringolo - Mideast Flashpoints - 23/2/2012

È sfociata in una crisi diplomatica tra Egitto e Stati Uniti la campagna condotta dalle autorità egiziane contro le ONG internazionali. Una crisi che, sotto il profilo economico, rischia di aggravare l'instabilità dell'Egitto in questa delicata fase di transizione e che potrebbe avere conseguenze anche sul piano politico. Mentre i rapporti tra il Cairo e Washington si facevano più tesi nel corso del mese di febbraio, Giustizia e Libertà, il partito islamista ispirato alla Fratellanza Musulmana e vincitore delle ultime elezioni parlamentari, ha chiamato in causa anche Tel Aviv, riportando al centro del dibattito politico il trattato di pace tra Egitto e Israele firmato a Camp David nel 1979.

All'origine della crisi c’è l'iniziativa del Ministro della cooperazione internazionale egiziano, Fayza Abul Naga, che la scorsa primavera aveva avviato un’indagine sulle attività e sui fondi delle Ong internazionali che operano nel paese. Alla fine dello scorso dicembre, le autorità cairote hanno fatto irruzione nelle sedi di diverse organizzazioni accusate di ricevere fondi da paesi stranieri e di “voler dirottare la rivoluzione nell’interesse di Stati Uniti e Israele, seminare il caos e minare la democrazia egiziana”. Tra le ONG che hanno subito la confisca di documenti e apparecchiature compaiono i nomi di diverse organizzazioni statunitensi. Proprio per questo, ribadendo l’importanza giocata dalla società civile nel processo di transizione politica in corso, la Casa Bianca ha minacciato di sospendere l’invio dei 3,1 miliardi di dollari che assegna annualmente al Cairo. A complicare ulteriormente il quadro, è poi intervenuta una corte egiziana che ha iniziato un procedimento contro quarantatrè funzionari di Ong accusati di aver elargito illegalmente finanziamenti a organizzazioni locali. Tra gli imputati, compaiono diciannove statunitensi. Tra questi un nome illustre come quello di Tom Daschle, vice presidente del National Democratic Institute ed ex leader democratico della maggioranza al Senato statunitense, ma anche Sam LaHood, figlio del Segretario ai trasporti degli Stati Uniti (e direttore del programma egiziano dell’International Republican Institute - una Ong affiliata al partito repubblicano).

A metà febbraio, il Senatore democratico John Kerry e il suo collega repubblicano Rand Paul hanno presentato due proposte di legge che chiedono la sospensione dei sussidi egiziani, già inseriti nella proposta di budget per l'anno fiscale 2013 presentata dal presidente Obama al Congresso lo scorso 13 febbraio.

L'iniziativa dei due senatori ha provocato una dura reazione da parte di Mohammed Mursi, leader di Giustizia e Libertà. Mursi è giunto a dichiarare che un'eventuale sospensione dei sussidi potrebbe perfino far "traballare il trattato di Camp David”. Essam El-Erian, vice presidente del partito, ha ricordato che "gli aiuti americani erano uno degli impegni sottoscritti dalle parti al momento della firma del trattato. Se un contraente viola una clausola, gli altri hanno diritto di chiedere una revisione dell’accordo”. Nonostante le dichiarazioni dei vertici di Giustizia e Libertà, pochi credono che l’Egitto abbia realmente intenzione di riaprire il fronte diplomatico-militare con lo stato ebraico. La situazione economica del paese è particolarmente critica e la risoluzione delle questioni interne appare senza dubbio prioritaria rispetto all'ipotesi di una politica di tensione e confronto diretto con Israele.

Il declino del settore turistico, il blocco degli investimenti e la crescente inflazione contribuiscono, infatti, ad aumentare il deficit di un paese in cui il tasso di disoccupazione giovanile potrebbe superare la soglia del 25%. Secondo il Wall Street Journal le riserve valutarie sono precipitate dai 36,2 miliardi di dollari del 2010 ai 18,1 del 2011, e potrebbero esaurirsi nel mese di marzo. Il debito estero ha superato i 35 miliardi di dollari, con un incremento del 3,6 % rispetto all’anno passato. Anche il presidente Obama ha invitato le autorità egiziane a riflettere sulla gravità della crisi economica, lo scorso 20 gennaio, durante una conversazione telefonica con il capo del Consiglio Supremo delle Forze Armate, il generale Hussein Tantawi. Il presidente americano ha colto l’occasione per ricordare il ruolo decisivo svolto dalle Ong e dai sussidi statunitensi per il buon esito della transizione egiziana.

Pur condannando pubblicamente l'ingerenza straniera nei suoi affari interni, il Cairo continua a beneficiare di cospicui contributi finanziari internazionali. La scorsa estate, dopo aver rifiutato gli aiuti della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, l'Egitto è tornato sui suoi passi accettando un prestito di 3,2 miliardi di dollari da parte dell’Fmi e un contributo biennale di un miliardo di dollari dalla Banca Mondiale (oltre a 500 milioni per l’assistenza immediata). Altri 650 milioni sono stati promessi al Cairo dall’Unione Europea, anche se alcuni analisti temono che l’impegno sia a rischio a causa della crisi dell’euro.

Anche le monarchie del Golfo si sono dimostrate generose nei confronti del Cairo. Il regno saudita ha promesso prestiti a lunga scadenza pari a 4 miliardi di dollari e il Qatar ha annunciato di volerne investire altri 10. Certamente, i rapporti con questi paesi dipendono anche dall’atteggiamento che i Fratelli Musulmani adotteranno nei loro confronti. In un articolo pubblicato sul quotidiano egiziano al-Masry al-Youm, l'editorialista Sultan al-Qassemi, originario degli Emirati Arabi Uniti, ha spiegato che i nuovi protagonisti della scena politica egiziana dovrebbero cercare di costruire relazioni con l’Arabia Saudita e gli Emirati visto che queste sono le economie più forti della regione. “I Fratelli Musulmani – spiega al-Qassemi – dovranno presto chiedersi come fare per attrarre vitali investimenti da quei ricchi regimi che nutrono sospetti nei confronti della loro agenda (...) I prossimi giorni sveleranno se il pragmatismo della Fratellanza porterà l’Egitto a bussare alle porte degli stati del Golfo.”

In ultima analisi, l’Egitto si trova oggi in una situazione di forte dipendenza dal flusso di aiuti – in varie forme – proveniente dall’estero. Ciò condizionerà in qualche misura le sue scelte politiche e diplomatiche, pur non garantendo in ogni caso una rapida ripresa e un miglioramento netto delle condizioni di vita: l'ammontare degli aiuti internazionali finora promessi non sarebbe comunque sufficiente a tenere a galla l'Egitto che, secondo l'opinione dei suoi stessi economisti, avrebbe bisogno di 10 o 12 miliardi di dollari per rimettere in sesto la sua economia.


 

 

Sicurezza energetica


Egitto e Israele alla battaglia del gas


Chiara Proietti Silvestri

 
29/02/2012

 

Il clima di incertezza e instabilità politica che caratterizza l’Egitto sta avendo implicazioni di sicurezza energetica particolarmente controverse. La vulnerabilità delle infrastrutture energetiche emerge chiaramente nei ripetuti attacchi all’Arab Gas Pipeline, il gasdotto che, attraverso il Sinai, trasporta(va) il gas a diversi paesi dell’area mediorientale. L’infrastruttura permette all’Egitto di esportare circa cinque miliardi di metri cubi di gas all’anno, in particolare verso Israele e Giordania. L’ennesimo attacco all’infrastruttura avvenuto a inizio febbraio, ha nuovamente interrotto le forniture rendendo ancora più urgente la ricerca di alternative più sicure e affidabili.

 

Fonte: Arab Fund for Economic & Social Development.

Alta tensione Al 2010, le riserve provate di gas dell’Egitto ammontavano a 2,2 migliaia di miliardi di metri cubi (mld mc); i mercati di destinazione delle esportazioni egiziane erano Israele (2,10 mld mc), Giordania (2,52), Siria (0,69) e Libano (0,15). Tuttavia, l'offerta di gas è stata interrotta ben dieci volte nel corso del 2011, a causa dei numerosi sabotaggi che hanno reso il gasdotto inutilizzabile per più di 200 giorni. I più colpiti dal blocco delle forniture sono stati Israele, che importa dall’Egitto il 40 per cento del consumo nazionale di gas, e la Giordania la cui dipendenza raggiunge l’80 per cento.

Ad esacerbare ulteriormente il quadro ha contribuito la decisione del governo egiziano di rivedere al rialzo i prezzi del gas. Mentre la Giordania ha accettato la rinegoziazione dei contratti, che ha determinato un sostanziale aumento da due a oltre sei dollari per mille piedi cubi, Israele ha rifiutato di riconsiderare i prezzi e, ad oggi, non ha in atto alcuna trattativa in tal senso.

La situazione, tuttavia, non sembrerebbe essere particolarmente critica per Israele, che può avvalersi delle scoperte di nuovi giacimenti ricchi di gas al largo delle sue coste. Nonostante l’importanza di questi giacimenti, i danni conseguenti all’interruzione del flusso di gas nel breve periodo sono inevitabili; secondo fonti governative, il costo del sabotaggio potrebbe raggiungere i quattro miliardi di dollari se le forniture non saranno totalmente ripristinate entro l’entrata in produzione del primo campo.

Fonte: Globes.

Il giacimento Tamar dovrebbe diventare operativo a metà 2013 e fornire alla compagnia statale Israel electric corporation (Iec) circa 3 miliardi di metri cubi all’anno per almeno quindici anni. Considerate le riserve provate del sito, che ammontano a circa 255 miliardi di metri cubi, sono in via di definizione anche opzioni per esportare il gas, ma si dovrà attendere ancora un mese per conoscere quanto deciso dall’apposito comitato governativo. In ogni caso, tra le proposte papabili sembrano esserci il trasporto del gas nel porto di Eilat (Mar Rosso) per esportarlo come Gnl, la costruzione di un terminal di liquefazione nel Mediterraneo o il trasporto in Europa tramite la Grecia, ipotesi che per il momento sembra però poco praticabile .

Una possibilità, invece, più volte declamata è stata quella di esportare il gas, nell’ordine di 2-3 mld mc/anno, in Giordania, ma in tal senso non è stato ancora aperto alcun negoziato. L’altro grande giacimento è Leviathan, che pur avendo riserve provate di gas pari a 453 mld. mc, non sarà in funzione prima del 2017 e non potrà perciò competere alla messa in sicurezza delle forniture, se non nel medio periodo. Crisi giordana

Un recente rapporto della Commissione per la regolazione elettrica giordana sottolinea che il paese si trova in una grave crisi energetica; la continua inaffidabilità delle forniture di gas dall’Egitto e la necessaria compensazione con materiali più costosi, come il diesel o l’olio combustibile, determinerà un costo addizionale per le casse statali di circa 2,4 mld. di dollari nel 2012. A questo si deve aggiungere il salatissimo conto energetico dell’anno passato, che il calo dell’offerta di gas (dai 6,2 mln. mc al giorno nel 2010 ai 2,2 mln. mc al giorno nel 2011) ha fatto schizzare a 5,6 mld. di dollari.

Il paese stia pagando l’assenza di una politica di diversificazione che l’ha reso del tutto dipendente dalle forniture egiziane. La strategia del governo, incentrata sulla ricerca di vie alternative, non è tuttavia spendibile nel breve periodo a causa della mancanza di infrastrutture.

Nonostante la disponibilità di Israele a fornire il proprio gas dalla metà del 2013, la soluzione più veloce sembra essere l’importazione di Gnl dal Qatar; il governo ha recentemente costituito un comitato tecnico congiunto per valutare la costruzione di un terminale di rigassificazione nel porto di Aqaba (Mar Morto) che, in ogni caso, richiederà vari mesi prima di diventare operativo.

Intanto, il paese ha iniziato a muoversi su progetti che riguardano la produzione di shale oil, di cui la Giordania possiede riserve stimate intorno ai 500 mld. di barili di petrolio equivalente (bpe), con l’obiettivo di raggiungere la quota del 14% entro la fine del decennio. La Giordania, va ricordato, possiede anche notevoli riserve di uranio, per oltre 140 mila tonnellate, e intende costruire il primo impianto nucleare da mille MW entro la fine del decennio, con l’obiettivo di produrre il 30 per cento dell’elettricità da energia nucleare entro il 2030-2040.

Dipendenza e opportunità

Nonostante le opportunità di investimento e le nuove vie di diversificazione, nel brevissimo periodo permane l’emergenza e, nel caso della Giordania, una vera e propria crisi. Al di là dell’uso di più costosi combustibili alternativi, i due paesi mantengono una forte dipendenza dal gas egiziano. I progetti in ballo fanno ben sperare per il futuro energetico giordano ma, come ha ricordato il responsabile gas del governo, Marwan al-Bakain, “per i prossimi due anni la Giordania non ha altra scelta che il gas egiziano”.sraele ha il potenziale per divenire, nei prossimi anni, un importante esportatore di gas, ma resta la difficoltà nel trovare, almeno fino all’entrata in produzione di Tamar, un’alternativa affidabile ed economicamente sostenibile.

A complicare il quadro si aggiunge lo stallo nelle relazioni tra il governo egiziano e i beduini del Sinai, considerati i responsabili degli attacchi ai gasdotti. Il 13 gennaio, durante un incontro tra le parti, i beduini hanno dichiarato di non riconoscere un parlamento senza una loro rappresentanza e hanno minacciato il ricorso alle armi contro il Consiglio supremo delle forze armate egiziano.

Il governo non sembra tuttavia disposto a scendere a patti con questa riottosa minoranza, lasciando il campo aperto a nuove rivendicazioni e attentati. Prospettiva certamente non auspicabile per Israele e Giordania, ma poco confortante anche per l’Egitto che, senza gli introiti delle esportazioni di gas e in vista della revisione al rialzo dei prezzi, perde una fondamentale fonte di guadagno per il rilancio di un'economia instabile, con un alto debito pubblico e un’industria turistica che fatica a riprendere quota.

Chiara Proietti Silvestri è analista di Relazioni internazionali. Collabora con il Rie di Bologna.


 

 

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Egitto: una panoramica sul prima e dopo Mubarak

Da admin

Creata il 02/13/2012 - 10:52

L’attuale transizione egiziana guidata dai militari non riverbera segni positivi e, l’insurrezione che ha abbattuto il trentennale regime di Hosni Mubarak, continua a debilitare la gestione amministrativa dell’intera società.

Il clima d’incertezza politica accresce le titubanze dei consumatori, i mercati sono paralizzati, il tasso di disoccupazione sfiora il 25% e i costi delle derrate subiscono continui rincari. Le vicende politiche, cadenzate da gravi recrudescenze per la sicurezza interna e, per le riottose agitazioni sociali, hanno cagionato un congelamento dei programmi d’investimento.

La Banca Mondiale stima che il 40% della popolazione locale vive al di sotto della soglia della povertà, con un tasso di sopravvivenza che dipende esclusivamente dalle sovvenzioni governative. In tutto questo si aggiunge il paradosso energetico che coinvolge il Paese, ovvero, un Egitto costretto a ricomprare il gas prodotto dalle compagnie straniere, a sovvenzionarlo e  poi rivenderlo sul mercato interno.  Se con il nuovo regime dei colonnelli sembra che a cambiare siano solo le etichette, si ripresenta “l’epitome di Mubarak”. Come in molti hanno già detto: si ripresenta un Egitto senza né Panem né Circenses.

Economia, prima e dopo Mubarak

L’Egitto di Mubarak ha sostenuto un programma di riforme economiche a lungo termine con l’obiettivo di migliorare il tenore di vita dei cittadini. Se da un lato, l’aumento del livello di crescita ha permesso d’attutire gli effetti negativi della globalizzazione, dall’altro, la distribuzione dei giovamenti si è rivelata sempre più discrepante con forti sperequazioni nella distribuzione della ricchezza. Inoltre, la crescente instabilità finanziaria mondiale ha colpito con più intensità i ceti bassi, provocando le già note tensioni socio-politiche che hanno portato ai cambiamenti istituzionali in auge.

Agli inizi degli anni Novanta, sull'onda dello slogan “Top Economic Reformer” e, sotto l’insistenza di organizzazioni come la World Bank e il FMI, lo Stato aveva deciso di realizzare la privatizzazione di oltre 300 aziende pubbliche. Ma, dal 1991 ad oggi ne sono state vendute  solo 164. Se nel 1990 il Paese cresceva del 2%, nel 1996 il PIL arrivò al 5%. Nei primi anni del millennio l’inflazione è aumentata vertiginosamente, passando dal 4% nel 2000, al 18,3% nel 2009, al 11,9% nel 2010 e al  12,8% nel 2011. Dal 2000 a 2008, la povertà sia urbana e rurale è passata dal 21% al 30%. E, nello stesso periodo si contano quasi 2000 scioperi. E’ chiaro che “La tigre del Nilo” già prima delle sommosse, era in preda a un vortice endemico dagli effetti smisurati.

L’impatto che l’Arab Awakening ha avuto sull’economia mostra effetti in negativo. Nell’anno in corso il PIL ha registrato una contrazione del 4%, il tasso di crescita è sceso dal 7% al 2%, gli investimenti esteri sono calati del 26% e il debito pubblico è cresciuto fino al 30%. Le riserve di valuta straniera sono in caduta libera, la bilancia dei pagamenti registra un saldo sfavorevole che supera i 9,8 miliardi di dollari. Nel climax della rivolta, l’economia egiziana perdeva almeno 310 milioni di dollari al giorno. I settori maggiormente colpiti sono stati il turismo, con un calo del 33%, seguono l'industria e le costruzioni. Sono invece positivi gli andamenti del Canale di Suez e il settore agricolo.

Entro la fine del 2011 gli esperti prevedono una diminuzione degli investimenti diretti dall'estero (IDE) del 92%. I 6,4 miliardi di dollari che le aziende straniere hanno vincolato nel mercato egiziano nel 2010, sono scesi drammaticamente. Per attenersi al suo debito, da un miliardo di dollari, il Cairo dovrebbe iniziare a massimizzare ogni entrata. Cosa alquanto difficile, se si prendono in  considerazione i miliardi destinati alla difesa e, al fatto che quasi il 40% dell’economia è controllato dagli uomini in divisa che non pagano le tasse e usano i soldati come forza lavoro. Anche nella nota di accompagnamento alla decisione di Standard&Poor’s di abbassare il rating del deficit sovrano egiziano, si sottolinea il “rischio endemico rappresentato dalle sfide istituzionali e i possibili ulteriori conflitti sociali”.

La fine del regime di Mubarak ha dato alle forze armate l'autorità di implementare direttive incentrate più sul pubblico che sul privato. Recentemente, il Ministro delle Finanze Hazem El-Beblawi ha affermato che la società egiziana non si oppone al libero mercato ma, non tollererà più la corruzione e la mancanza di trasparenza. La maggior parte degli analisti concordano , invece,  col fatto che siano principalmente i militari a  dimostrarsi recalcitranti verso  il processo di liberalizzazione, in quanto, vedono nel libero mercato una minaccia alla loro posizione privilegiata. Lo scorso febbraio Francia, Germania e Gran Bretagna hanno annunciato che l’Egitto ha chiesto loro di cristallizzare i beni degli ex alti responsabili egiziani. Parigi ha anche precisato che la domanda non includeva Mubarak.

Le risorse energetiche

L’Egitto ha iniziato a essere un produttore di gas grazie all’Italia: è stata proprio l’AGIP che, alla fine degli anni ‘80 l’ha scoperto. Ma, il Paese non riesce a produrre tutto il gas necessario al consumo interno. Il fabbisogno di elettricità diventa sempre più vorace, a seguito di un aumento demografico annuo, pari all’8%, e non postula diminuzioni. All’Egitto non può essere dato l’epiteto di produttore di rilievo. Nel 2010 è diventato importatore di greggio, anche se continua a venderlo in modeste quantità all’Europa e a lavorare combustibili altrui trasformandoli in prodotti petroliferi. A seguito delle scoperte nel Deserto occidentale e nell’offshore del Delta, le sue aspettative sono in estensione, ma a oggi il Paese continua ad importare combustibili, usando i proventi che derivano dalla rendita gasifera.

Il commercio internazionale vede un Egitto costretto a ricomprare il gas prodotto dalle compagnie straniere situate in loco e, ha iniettare sovvenzioni per rivenderlo sul mercato interno. Oltretutto l’Egitto paga il gas in valuta straniera alle compagnie e ciò crea una vera e propria fallacia, in quanto, porta il Cairo a indebitarsi sul mercato internazionale. L’amministrazione è arrivata a chiedere un prestito alle grandi banche d’investimento per riuscire pagare il debito alle società straniere che estraggono il gas egiziano.

L’Egitto ha cominciato a esportare gas naturale, in particolare liquefatto (GNL) dopo il 2000 con la produzione dei giacimenti del Delta del Nilo e del Golfo di Suez, venduti all’estero in gran parte attraverso i terminali di Idku e Damietta (complessivamente, circa 15 miliardi di metri cubi l’anno, di cui quasi 10 attraverso tecnologia GNL). Ma, già nel 2008 i fabbisogni interni imponevano di ridurre i ritmi di esportazione di gas liquido. Mubarak ha chiesto alle grandi produttrici di limitare lo sfruttamento dei giacimenti per ridurre la produzione a discapito del mercato estero e dedicare invece una parte degli investimenti  allo sviluppo del mercato locale, proponendo prezzi inferiori.  Come era facile dedurre, poche società,  come l’americana Apache e l’emiratina Dana Gas hanno in parte accettato. L’Egitto, ha così dovuto continuare a coprire con lauti sussidi i prezzi al consumo, per poi annunciare una temporanea moratoria ai nuovi contratti d’esportazione.

È chiaro che il Paese può diventare un importante protagonista nella regione mediterranea, tenuto conto non solo delle riserve provate ma, soprattutto delle grandi risorse dell’offshore del Delta del Nilo. Secondo le grandi compagnie, nei bacini egiziani si celano circa 6.300 miliardi di metri cubi di gas. Gli analisti pensano che insieme alla Libia, l’Egitto potrebbe diventare un vero e proprio hub nel Nord Africa. Creare un centro di energia in questa zona sarebbe fondamentale, poiché è prevista un’impennata di domanda di energia elettrica, ed è paradossale sapere che questi paesi capaci di produrre siano costretti a subire continui black out.


Il gas

Tutti i Paesi rivieraschi hanno problemi di approvvigionamento energetico, a causa dei loro crescenti bisogni interni.  Inoltre, non va dimenticato che le ambizioni di dotarsi di una rendita petrolifera per sopperire alle difficoltà economiche, sono nelle prime note dell’agenda politica di ogni amministrazione araba. Il bacino marittimo del levante, che si estende dalla costa del Sinai fino alla costa siriana, ritorna ad essere al centro dell’attenzione dei geologi grazie alle nuove tecniche di sviluppo. Nel marzo 2010 il rapporto del US  Geological Survey sul bacino del Mashreq  ha stimato la sua potenzialità  in 1,7 miliardi di barili di petrolio e circa 3.000 miliardi di metri cubi di gas naturale.

Per l’Egitto, agli inizi del 2009, le proiezioni puntavano ad aprire nuovi giacimenti con gli accordi di production sharing, della BP e della RWE tedesca. Ma queste hanno rifiutato di impegnarsi con investimenti capaci di implementare il mercato locale. Era noto a tutti che il Cairo non aveva la disponibilità monetaria per coprire la sua quota d’investimenti nei progetti di sviluppo dell’offshore. Mubarak  ha così prorogato la moratoria sui progetti di esportazione. L’anno successivo, la soluzione contrattuale proposta da BP e RWE, porta le due companies ad auto-spianarsi la strada approfittando della debolezza finanziaria del Paese. Si sono assicurate il 100% di concessioni ventennali nei bacini dell’offshore del Delta del Nilo e del Mediterraneo Occidentale.  Se all’Egitto si riconoscono le royalties, le società si assicurano, dal 2014, il diretto monopolio del gas.

Un’altra difficile questione riguarda la fornitura di gas a Israele, negoziata fin dal 2005 e intrapresa nel 2008. La condotta, che prevedeva rifornimenti a un circuito integrato tra Israele e la Palestina, è stata depennata e sostituita da una pipeline da al-Arish ad Ashkelon che porta 1,7 miliardi di metri cubi annui, pari al 40% dei fabbisogni israeliani, per un periodo di 15 anni. L’operazione in causa ha acceso non pochi dibattiti, non solo perché defalca gas al Paese in crisi, ma, perché legittima l’emissione di un prezzo troppo basso. A fine dicembre 2010 è stata presentata una revisione del contratto dove i prezzi erano comunque al di sotto del 40% rispetto  al mercato internazionale. L’approvvigionamento è stato interrotto con il sabotaggio del 5 febbraio alla stazione di Al Arish e, con la primavera araba, la commedia di Mubarak, che prometteva gas a basso prezzo, ha avuto fine.

Ma la questione del gas lascia apre molti altri interrogativi:

- L’“espansionismo” israeliano lascia che la texana Noble Energy punti tutte le sue risorse  sull’offshore  situato tra Cipro e la costa israeliana. Secondo le stime, nel giacimento del Leviathan, ci sarebbero quasi 450 miliardi di metri cubi di gas, mentre il capitale complessivo del bacino del Mediterraneo Orientale ne conterebbe più di 3.000 miliardi di metri cubi.  La convenzione del mare prevede accordi tripartiti tra Israele Libano ed Egitto, ma, ciò non sembra preoccupare Israele il quale è intenzionato a spartirsi le risorse del sottosuolo in esclusiva con Cipro.

- Ankara, invece, non riconosce le frontiere marittime che Cipro e Israele hanno siglato e cerca di aprire una crisi che coinvolge tutti i Paesi rivieraschi. Erdogan, che vuole mettere Israele in secondo piano, sta rafforzando la cooperazione economica con l’Egitto proprio per creare un’opposizione alla collaborazione Israele-Cipro.

L’Egitto può sostituire Israele nei commerci turchi e diventare il primo fornitore di gas di Ankara. La Turchia a sua volta, nella collaborazione con l’Egitto potrebbe ricavare  profitti strategici  e, con l’obiettivo di disturbare i piani di Israele, potrebbe aprire collegamenti con il Libano, la Siria e l’offshore di Gaza.

Turismo

L’industria del turismo è un asset portante dell’economia egiziana, crea posti di lavoro e sostiene circa il 10% della popolazione.  È una delle principali voci del bilancio nazionale e fornisce un’occupazione diretta o indiretta a circa un lavoratore su sette. Importante notare che attorno al settore turistico si muovono anche quello dei trasporti e quello alberghiero.

Secondo i dati forniti dal ministro del turismo egiziano, da quando l’Egitto è passato da celebre meta turistica a teatro di rivolte, i ricavi sono calati del 30% raggiungendo i 9 miliardi di dollari del 2011 contro i 12,5 miliardi del 2010. I dati ufficiali mostrano chiaramente la gravità del problema. Nel 2010 il Paese ha ospitato 14,2 milioni di visitatori stranieri per un giro d'affari di circa 13 miliardi di dollari, mentre nell’anno appena trascorso si contano 10,2 milioni di turisti. I ricavi di luglio evidenziano una perdita degli arrivi pari al 28% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Quindi quasi 4 miliardi di dollari in meno a causa dei movimenti rivoluzionati che hanno portato al rovesciamento di Mubarak.

Il crollo è stato verticale, con un calo del 60% nelle località del Mar Rosso. Secondo le stime del United Nations World Tourism Organization, nell’estate del 2011  il mercato ha ripreso punti ma oscillando sempre in una contrazione negativa del 42-43% rispetto al trend del anno precedente. Il ministero del turismo egiziano ha comunicato che la diminuzione di turisti più consistente riguarda gli emiratini (-58%), kuwaitiani (-52%) e sauditi (-48%). A trarre i migliori profitti da questa situazione è, sicuramente, la Turchia indicata come meta alternativa da gran parte dei tour operator.

È indubbio che il turismo sia il settore più colpito dalle Primavere arabe.  C’è stata una rivoluzione, il dittatore è stato cacciato e ora, l’amministrazione deve pensare al futuro. Ora che sembra arrivata la quiete, il governo tecnico ha l’obbligo di rilanciare il settore e rassicurare i turisti in arrivo.

Conclusioni

Le questioni fin qui sciorinate inducono a riflettere sulle complessità delle dinamiche che interessano il futuro dell’Egitto. Il modello governativo proposto dai militari in carica sembra avere le sembianze di una conduzione acefala. Si ripropone la triste cantilena di un paese che, non regge alle sperequazioni sociali e, non riesce a soffocare il confronto (imposto) con un’incommensurabile numero di indigenti costretti a  tener vive le proteste per non insabbiare di nuovo la realtà. È indubbio che l’Egitto resta al centro dell’attenzione di grande e medie potenze che cercano di contendersi il controllo del Mediterraneo.

L’instabilità politica dello stato diventa elemento funzionale agli obiettivi delle companies, poiché permette loro di inserirsi nei bacini e accaparrarsi le risorse del sottosuolo, mettendo il Cairo in una posizione di sudditanza. Il nuovo processo di ridefinizione politica e istituzionale deve puntare su progetto democratico che collimi con il consolidamento del potere centrale e con la formazione di un governo pienamente rappresentativo, al cui interno vi siano elementi moderati delle diverse identità.


 

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Marocco – Tunisia - Egitto: la transizione amara di chi ha fatto le rivolte

Eleonora Ardemagni

Creata il 02/27/2012 - 09:03

Liberali, progressisti, riformatori, modernisti, laici: queste sono solo alcune delle tante etichette attribuite ai movimenti che hanno innescato le rivolte nelle piazze arabe di Tunisi, Il Cairo, Rabat. In un mondo ormai post-ideologico, sorprende che la questione definitoria si riveli un’ineludibile priorità d’analisi. E invece essa diviene essenziale, paradossalmente, per provare a comprendere le cause che hanno portato questi movimenti e partiti a raccogliere così pochi voti nelle recenti consultazioni elettorali. E interrogarsi su quale ruolo gli animatori delle piazze nordafricane possano giocare ora, nella decisiva fase di ricostruzione socio-politica dei loro paesi, resa ancora più ardua ma necessaria da una crisi economico-occupazionale fortissima. In una scena pubblica “saturata” dagli islamisti, dai militari (nel caso egiziano), dalla monarchia (è l’esempio marocchino), l’effettiva trasformazione delle rivolte in rivoluzioni sistemiche -o in genuini processi di autoriforma- potrebbe dipendere soprattutto da una variabile. La capacità di coping –gestione attiva della crisi- ovvero dall’abilità di chi ha alimentato le sollevazioni di produrre e incanalare risorse politiche in un processo di transizione ancora in salita.

 

 

Dentro la sconfitta: decostruire e ricomporre

In Tunisia e in Egitto, il carattere popolare, fluido, dinamico e non-strutturato delle proteste è riuscito a far implodere sistemi politici indeboliti perché disfunzionali e corrotti; in Marocco, le manifestazioni hanno indotto il re Mohammed VI a pianificare d’urgenza un percorso di revisione costituzionale, nonché ad anticipare di un anno le elezioni legislative. Tuttavia, i suddetti punti di forza dei movimenti, così efficaci nella fase di scardinamento dell’esistente, si sono trasformati in punti di debolezza nel successivo periodo di competizione per la costruzione. Infatti, la mancanza di una forma-partito definita e il conseguente deficit di radicamento territoriale hanno indebolito la forza propulsiva di questi gruppi, impedendo loro di proporsi come forze di governo identificabili e solide, soprattutto se paragonati alle formazioni islamiste già abituate al gioco politico, nonostante operassero in condizioni di illegalità durante i regimi (come Ennahda in Tunisia e i Fratelli Musulmani in Egitto). In più i non-islamisti, bloccati da liti e particolarismi, non sono riusciti a dar vita a coalizioni compatte e rappresentative, disperdendosi in numerosissime liste dal bacino elettorale davvero ridotto. La frammentazione ha dunque prevalso sull’individuazione di una piattaforma d’azione comune, forse incoraggiata anche da leggi elettorali di tipo proporzionale. E dalla tendenza, rintracciabile in tutti i sistemi che tornano ad aprirsi dopo lunghe esperienze autoritarie, alla moltiplicazione degli attori partitici.

D’altra parte, occorre riflettere sul fatto che sono intercorsi solo pochi mesi fra l’inizio delle proteste e gli appuntamenti elettorali: ciò ha senza dubbio ostacolato il processo di organizzazione dei movimenti e di consolidamento dei partiti, nonché il fisiologico approfondimento delle dinamiche di negoziazione politica fra le parti. Inoltre, i finanziamenti per la campagna elettorale hanno contribuito a divaricare ancora di più il peso delle forze in campo a favore degli islamisti, a causa del probabile supporto economico ricevuto da soggetti esterni, soprattutto in Egitto (probabilmente da parte dell’Arabia Saudita e delle monarchie del Golfo). Forse, la chiave di volta del ragionamento va però cercata nel contenuto dei messaggi politici lanciati dalle parti durante la competizione elettorale. Ed è su questo terreno, che avrebbe dovuto vederli in netto vantaggio, che coloro che hanno innescato e condotto le rivolte non hanno saputo giocare le loro carte, lasciando slogan, temi programmatici e spazio mediatico ai più scaltri islamisti. I quali, paradossalmente, sono riusciti a farsi percepire come gli attori del cambiamento, ri-definendosi e ricalibrando la propria retorica sugli umori e le richieste popolari.

Mentre all’inizio delle proteste (è il caso dei Fratelli Musulmani e dei salafiti di al-Nour in Egitto) non esitarono a definire i manifestanti “anti-islamici”. Così in Marocco, gli islamisti del Parti de la Justice et du Développement (PJD) si propongono di mitigare il tratto autoritario della monarchia facendosi portatori del concetto di responsabilità democratica all’interno delle istituzioni: proprio una delle espressioni più scandite durante le manifestazioni organizzate nel Paese da attivisti di sinistra ed esponenti sindacali, non solo in questi mesi ma, con crescente vigore, già dal 2007. In Egitto, il braccio politico dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani, Freedom and Justice Party (FJP) presenta un programma elettorale incentrato su contenuti molto simili a quelli delle forze considerate più riformiste: sui temi economici, l’attenzione alla giustizia sociale, da garantire mediante l’intervento statale, è addirittura più marcata nelle proposte di questi ultimi, piuttosto che nell’idea di “liberalismo competitivo” sostenuta dagli islamisti. È il “gioco delle parti” fra chi, come i movimenti ritenuti più progressisti, tenta di disegnare un progetto maturo di società perché inclusivo e chi, come i Fratelli, cerca di mostrare un volto moderno pur nella tradizione, rassicurante e al tempo stesso attrattivo per gli investitori occidentali. In questo senso vanno lette pure le ricorrenti lodi nei confronti dell’AKP di Erdogan, erto a fonte d’ispirazione soprattutto dopo il viaggio del premier turco a Tunisi e Il Cairo, nel settembre scorso. Senza però sottovalutare i distinguo in merito alla questione della laicità dello stato, profondamente kemalista e dunque inscritta nella storia politica di Ankara.

Al di là delle tattiche elettorali, il principale handicap dei gruppi che per primi si sono ribellati allo status quo va forse ricercato nella storia culturale dei rispettivi Paesi e risiede nella loro natura elitaria. Infatti questi movimenti, da sempre affascinati dal confronto con il pensiero liberale occidentale e impegnati a rielaborarlo in chiave islamica, sono espressione della parte più aperta e colta della società, quella numericamente più esigua. Potremmo dunque essere di fronte al rinnovarsi dell’antica borghesia elitaria: essa si riaffaccia nel discorso pubblico arabo-musulmano ogni volta che i sistemi politici si dibattono fra opportunità di riforma e tendenze all’irrigidimento. Citare le esperienze dei nazionalisti del Destur in Tunisia (anni Venti) e il periodo del Wafd liberale (dal 1922 a 1952) in Egitto può essere utile per comprendere l’orizzonte storico e insieme il ricorrere temporale dei medesimi problemi di percezione politica dei gruppi elitari; ma l’analogia non deve esaurire lo spazio dell’analisi né distogliere dalle possibili novità della contemporaneità. È vero che molti dei giovani manifestanti delle piazze arabe proviene proprio da famiglie più benestanti della media (come il Movimento egiziano 6 aprile), con un livello d’istruzione maggiormente elevato rispetto al resto dei cittadini. Ma non può sfuggire che le formazioni dell’Islam politico hanno negli anni attirato a sé l’attenzione e il consenso di segmenti di classe media e mondo delle professioni, capitalizzando in percentuali di voto le ricadute sociali dell’odierna crisi economica. Il rischio, già tramutatosi in realtà, è che i messaggi politici più innovativi e meno radicati, come quelli improntati a una riforma liberale dello Stato, risultino ostici e persino preoccupanti per una larga parte di cittadini, anche perché propagandati con un linguaggio troppo complicato e oscuro. E contribuiscano invece ad alimentare i consensi degli islamisti, portatori di  una visione tradizionale e comprensibile della società perché incentrata sull’Islam, “din wa dawla”, ovvero religione e Stato, quindi di per sé garante di giustizia sociale.

A questo proposito, l’esempio del Polo democratico modernista in Tunisia (e del partito Ettajdid al suo interno) pare sintomatico. La coalizione del Pôle Démocratique moderniste (PDM) ha conquistato solo 5 seggi alle recenti elezioni per l’Assemblea costituente tunisina (rispetto ai 90 del primo partito Ennahda): il rassemblement della sinistra laica, nove formazioni organizzate intorno all’Ettajdid, plasmatosi alla scuola francese e più incline all’uso di quest’ultimo invece che all’arabo, paga una campagna elettorale fondata proprio sul tema della laicità dello stato. Dall’altro lato, il concetto di giustizia sociale, architrave dei programmi degli islamisti, è in grado di intercettare un alto e diffuso consenso popolare, in particolare in una fase di esplosione delle diseguaglianze sociali come questa. In più, i partiti islamisti dispongono di una rete fitta e capillare di organizzazioni caritatevoli, sul modello dei Fratelli musulmani, capace di supplire in molte aree all’assenza del welfare statale: così, la quotidiana assistenza locale produce affiliazione partitica, radicando l’Islam politico sia da un punto di vista territoriale che culturale. Ciò spiega la fatica dei movimenti più liberali e laici di raccogliere voti al di fuori dei centri urbani, specie nelle campagne più isolate, meno raggiunte dagli echi mediatici delle rivolte. E questa “componente assistenziale” della strategia riduce lo spazio della competizione, costringendo gli altri gruppi a un continuo “gioco di rimessa”.

Dopo la sconfitta: la costruzione dell’identità politica

C’è chi, come Olivier Roy, ha definito le rivolte nordafricane “post-islamiste”: alle manifestazioni, prive di connotazione religiosa, hanno invece fatto seguito vittorie elettorali nette dei partiti islamisti, che tuttavia non possono governare da soli perché privi della maggioranza assoluta dei seggi parlamentari. Alcune componenti d’ispirazione liberale e laica, non a caso già presenti da tempo sulla scena pubblica nazionale, partecipano così a governi di coalizione. In Tunisia, l’esecutivo chiamato a traghettare il paese fino all’approvazione della nuova Costituzione è guidato da Ennahda (che ha ottenuto il 41% dei voti) insieme a due partiti del centro-sinistra liberale, Congrès pour la République (CPR 14%) e Ettakatol (FDLL 10%). In Marocco, il PJD (107 seggi) governa con i nazionalisti dell’Istiqlal (60 seggi) e due formazioni minori, i berberi del Movimento popolare (32 seggi) e il Partito del progresso e del socialismo (18 seggi). Gli equilibri politici egiziani sono ancora in divenire: Giustizia e Libertà, il partito dei Fratelli musulmani che ha vinto le elezioni con il 47% dei suffragi, sembra orientarsi verso un’alleanza con i liberali storici di al-Wafd (8% dei voti), rinunciando a un accordo con al-Nour, il partito salafita arrivato secondo con il 24% dei consensi. D’altronde, il fronte islamista egiziano presenta al suo interno divergenze non trascurabili: il pragmatismo astuto degli Ikhwan (i Fratelli) si scontra con la rigidità ideologica dei salafiti, protesi a un’azione di riforma morale, prima che politica, della società, ponendo così in contrasto le due formazioni proprio sul piano degli obiettivi strategici. La situazione resta però molto incerta, anche perché il ruolo del potente Consiglio Supremo delle Forze Armate si fa di ora in ora più ingombrante.

Nella costruzione dell’identità politica, i movimenti che hanno dato vita alle rivolte di Tunisia, Egitto, Marocco non sono stati finora capaci di darsi un profilo culturale e politico definito nonché riconoscibile, ma si sono soprattutto presentati come forze di opposizione (all’autoritarismo esistente) e forze in opposizione (agli islamisti e al loro progetto di società). Mentre in maniera speculare, le formazioni che afferiscono all’Islam politico sono chiamate ad affrontare il problema di un’immagine di sé stereotipata e carica di pregiudizio, proprio in virtù delle loro radici ideologiche, in primo luogo agli occhi della comunità internazionale. Pertanto, il compito primo e necessario dei gruppi politici che hanno accelerato la “decomposizione” degli equilibri interni ai loro Paesi è affrontare con determinazione la questione identitaria. Un processo interno essenziale perché mirato a individuare la propria essenza, magari trascendendo dall’uso aprioristico di etichette occidentali, con l’obiettivo di rendere efficace la comunicazione politica anche in termini elettorali e quindi l’incisività della stessa azione pubblica. Costruendosi una definizione “in positivo”, che non sia più elaborata “per negazione e per sottrazione” delle altre. A riguardo, lo scrittore Faraj Fuda (1945-1992), una delle voci più originali del liberalismo egiziano, osservava che “[…] pazienza e tempo sono richiesti non solo nella competizione contro gli islamisti, ma anche per raggiungere una piena democrazia”.

Conclusioni

Da un punto di vista comparato e nel medio periodo, il ruolo dei non-islamisti nella transizione politica appare potenzialmente più incisivo in Tunisia, poiché essa è chiamata a riformare la Costituzione ora, a consultazioni già avvenute e dunque con la partecipazione certa di alcune, seppur poche, componenti liberali. A un primo sguardo, l’Egitto dovrebbe essere destinato allo stesso percorso. Invece, oltre all’incognita dei militari, nel marzo 2011 sono stati approvati via referendaria dei “principi sopracostituzionali”, tra i quali ve n’è uno che disciplina i criteri di composizione dell’Assemblea costituente: il Parlamento può dunque nominare solo venti dei cento membri dell’organismo, poiché i restanti ottanta vengono scelti dal Consiglio Supremo delle Forze Armate tra i rappresentanti della società civile egiziana. In Marocco, il processo di riforma interna è stato gestito con prontezza, ma somiglia troppo a una concessione del makhzen –il cuore del potere della Corte- al popolo. Il Re ha delegato la stesura degli emendamenti -approvati poi tramite referendum nel giugno 2011- alla Commissione consultiva per la revisione della Costituzione, presieduta da un suo consigliere. Quindi, non vi è stato né coinvolgimento delle opposizioni e dei gruppi che hanno organizzato le rivolte, né il nuovo Parlamento (eletto solo nel novembre successivo) ha potuto esprimere la commissione.

Fino a questo momento, gli islamisti hanno dimostrato una capacità camaleontica di riposizionarsi sulla scena pubblica, dando luogo a una vera operazione di rebranding politico, anche se non vanno trascurate le differenze ideologiche all’interno del fronte, tutt’altro che granitico, dell’Islam politico. All’opposto, i gruppi animatori delle rivolte hanno difettato di pragmatismo, in certi casi fino a boicottare l’appuntamento elettorale -come la Coalizione marocchina del 20 febbraio- rimanendo quindi intrappolati nella difesa intransigente di principi e metodi dell’azione politica. La prova del governo e quella dell’opposizione potrebbe perciò aiutare la maturazione di entrambe le parti; mettendo gli islamisti a confronto con l’esercizio quotidiano del potere e le scelte che ne derivano 
 -per ora abbottonatissimi nelle dichiarazioni sul tema “caldo” della politica estera e dei rapporti con Israele- e convincendo i gruppi nati con le rivolte che “sporcarsi le mani” dentro le istituzioni è l’unico modo per tentare di modellare il sistema politico del futuro, agendo mediante nuove e migliori pratiche pubbliche.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1]     Fonte: Carnegie Endowment for International Peace, Guide to Egypt’s Transition

[2]     Ibidem

[3]     ibidem

[4]     Il Presidente della Camera del Messico non ha potuto partecipare a causa degli impegni connessi con l'avvio della nuova legislatura.

[5]     Sono attualmente membri della PAM i seguenti Paesi: Albania, Algeria, Bosnia Erzegovina, Croazia, Cipro, Egitto, Francia, Grecia, Israele, Italia, Giordania, Libano, Libia, Malta, Monaco, Montenegro, Marocco, Palestina, Portogallo, Serbia, Slovenia, Siria, Ex repubblica iugoslava di Macedonia, Tunisia e Turchia. Membri associati e Organizzazioni con status di osservatori sono: Romania, San Marino, l’Unione del Maghreb arabo e l’Assemblea della UEO.

[6] Oltre all’Egitto, Algeria, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e Autorità palestinese. Dal 6 novembre 2007 partecipano a pieno titolo al Processo di Barcellona anche Albania e Mauritania.

[7] Allo stato attuale sono in vigore gli accordi con Tunisia (1° marzo 1998), Marocco (1° marzo 2000), Israele (1° giugno 2000), Giordania (1° maggio 2002), Egitto (1° giugno 2004), Algeria (1° settembre 2005), Libano (1° aprile 2006)  e l’accordo interinale d’associazione sugli scambi e la cooperazione con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina a vantaggio dell’Autorità palestinese (1° luglio 1997). Con la Turchia è in vigore dal 1964 un accordo di associazione, cosiddetto di prima generazione, superato dallo status di paese candidato della Turchia. Il negoziato con la Siria è stato concluso il 19 ottobre 2004; il 17 dicembre 2004 la Commissione ha presentato una proposta di decisione del Consiglio relativa alla firma dell’accordo (COM (2004) 808) che è ancora in attesa di esame.

[8]     In tale contesto, il 4 luglio 2008 i negoziatori di UE ed Egitto hanno raggiunto un accordo preliminare per liberalizzare ulteriormente il commercio di prodotti agricoli freschi e trasformati e di prodotti della pesca, che dovrebbe garantire all'Unione europea accesso libero e immediato al mercato egiziano per il 90% circa delle esportazioni nel settore.

[9]     Il sesto Consiglio di associazione si è tenuto a Lussemburgo il 27 aprile 2010.

[10]   La “politica europea di vicinato” (PEV) si rivolge ai nuovi Stati indipendenti (Bielorussia, Moldova, Ucraina), ai paesi del Mediterraneo meridionale (Algeria, Autorità palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia) e a quelli del Caucaso (Armenia, Azerbaigian e Georgia).

[11]   La componente principale della PEV è rappresentata dai piani d’azione che l’UE concorda con ciascuno dei paesi interessati. Tali piani d’azione, differenziati, per riflettere lo stato delle relazioni con ciascun paese, le sue necessità e capacità, nonché gli interessi comuni, definiscono il percorso da seguire per un periodo di 3-5 anni.

[12]   Il Consiglio del 14 dicembre 2011 ha autorizzato la Commissione ad avviare negoziati bilaterali con Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia al fine di istituire zone di libero scambio "globali e approfondite", nell'ambito degli accordi di associazione euromediterranei esistenti con tali paesi.

[13]   Si veda il Bollettino a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea, “Una nuova risposta ad un vicinato in mutamento” (COM (2011) 313), XVI legislatura-Documentazione per le Commissioni-Esami di atti e documenti dell’UE, n. 95, 8 luglio 2011.

[14]   Regolamento CE 1638/2006 del 24 ottobre 2006. Lo strumento dispone di una dotazione finanziaria di 11 miliardi di euro per l’intero periodo.