Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
| |
---|---|
Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri |
Titolo: | Paesi Bassi |
Serie: | Schede Paese politico-parlamentare Numero: 62 |
Data: | 28/11/2012 |
Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari |
n.
62 – 28 novembre 2012
Paesi Bassi
Il quadro istituzionale
I Paesi Bassi sono una monarchia parlamentare dal 1848. Il monarca ha
il ruolo di Capo dello Stato ed esercita funzioni essenzialmente di tipo
cerimoniale, rappresentando, allo stesso tempo, una figura di arbitro super partes tra le fazioni politiche. Oggi,
sul trono del Regno dei Paesi Bassi (che include anche le isole delle Antille
Olandesi Curaçao, Sint Marteen e Aruba), siede
Il potere esecutivo è detenuto dal governo, rappresentato dal Consiglio dei Ministri. Solitamente il Consiglio è formato da un numero di ministri che varia fra tredici e sedici e un numero minore di State Secretaries, figura corrispondente grossomodo al Sottosegretario nel nostro ordinamento istituzionale. Il governo attuale è composto da tredici ministri e sette State Secretaries. Il Capo del governo è il Primo Ministro (attualmente a ricoprire tale carica è il liberale Mark Rutte).
Il governo è politicamente responsabile nei confronti del Parlamento, organo legislativo di tipo bicamerale, formato da una camera bassa ed una alta. La prima, House of Representatives, è composta da 150 membri, eletti per suffragio universale diretto (in base ad una legge elettorale di tipo proporzionale), che restano in carica per quattro anni. La seconda, Senate, è invece più ristretta e con meno poteri legislativi. È infatti composta da 75 membri e una delle poche facoltà di cui dispone è quella di respingere i progetti di legge provenienti dalla Camera bassa, senza diritto di emendamento o di proposta.
Data la natura estremamente frammentata della società olandese, sia in senso confessionale (calvinisti e cattolici) che in senso politico (socialisti e liberali), il sistema politico – istituzionale è stato necessariamente strutturato per garantire la maggior rappresentatività possibile anche a livello centrale. Il sistema elettorale di tipo proporzionale (basato sul metodo D’Hont, con uno sbarramento dello 0,67% che opera a livello di circoscrizione) genera dunque dei governi di coalizione, che si basano sul principio della democrazia consociativa.
La situazione politica interna
Come detto, la politica olandese si basa sulla coalizione di più parti politiche e sul raggiungimento di un largo consenso nei confronti delle misure da adottare di volta in volta. Il fatto di dover garantire un’adeguata rappresentatività politica rende tuttavia spesso difficile la governabilità. Una “stabile instabilità” è infatti ciò che, ormai da qualche tempo, caratterizza i governi olandesi. Nell’aprile 2012 si è consumata la quinta crisi di governo da dieci anni a questa parte, quando l’esecutivo (di coalizione) guidato dal premier liberale Mark Rutte ha perso l’appoggio esterno del partito di estrema destra PVV di Geert Wilders. Il PVV, che alle elezioni del 2010 aveva ottenuto il 15,5% delle preferenze, attestandosi come terza forza politica del paese, ha dato la spallata fatale al governo con la netta opposizione al piano di tagli della spesa pubblica (quantificato in 15 miliardi di euro), volto a riportare l’indebitamento del paese sotto la soglia del 3%, come imposto da Bruxelles. Nei piani di Wilders, questo avrebbe dovuto rilanciare il suo partito agli occhi dell’elettorato olandese in vista di una futura tornata elettorale. Una campagna elettorale caratterizzata da toni populisti e da critiche alle misure di austerità imposte dall’Unione europea (oltre ai tradizionali capisaldi del partito, come l’opposizione all’immigrazione, soprattutto di matrice islamica), avrebbe dovuto giovare molto di più (in prospettiva elettorale) in confronto all’appoggio delle impopolari misure economiche proposte dal governo.
Si è così approdati alle elezioni del settembre 2012
(le quarte elezioni anticipate consecutive). I risultati delle consultazioni
hanno delineato una scenario politico molto interessante. La principale linea
di frattura non è stata quella destra/sinistra o quella di tipo confessionale,
bensì ha visto il confronto tra elettori filo europeisti e “eurofobi”. Ed hanno
vinto i primi. Il Partito Popolare per la democrazia e la libertà (VVD) del
Premier uscente Mark Rutte ha ottenuto il 26,6% dei voti e 41 seggi (su 150)
nella Camera bassa; al secondo posto si è attestato il Partito Laburista
guidato da Diederik Samsom, con il 24,8% e 38 seggi. I partiti collocati ai due
estremi dello spettro politico olandese hanno invece subito un duro colpo. A
sinistra, il Partito Socialista (SP) è arrivato al 9,6% ottenendo 15 seggi (i
sondaggi pre elettorali parlavano di un consenso molto più ampio), mentre a
destra il Partito per
Dunque la tattica di dissociazione dalle misure di austerità proposte dal governo e di critica agli effetti dell’integrazione europea è stata fatale per il partito nazionalista di estrema destra. La diga europeista olandese si è rivelata molto più solida del previsto. C’era anche da aspettarselo, da un paese che, storicamente, è stato sempre legato a doppio filo al processo europeo di integrazione (vedi il Trattato di Maastricht o di Amsterdam) e la cui economia esporta, per il 70%, proprio verso paesi membri dell’UE.
In seguito a quest’ultima tornata elettorale, anche i
democristiani di Appello Cristiano Democratico (CDA), saliti al governo in
coalizione con i liberali dopo le elezioni del 2010, hanno perso molto terreno,
riducendo i seggi da
Dopo 47 giorni di negoziati tra i due partiti usciti vincitori (si tratta di una sorta di record, considerando i tempi di formazione dei governi olandesi) è stato raggiunto l’accordo che ha permesso la nascita del nuovo esecutivo. Il neo Consiglio dei Ministri, guidato da Mark Rutte, ha prestato giuramento davanti alla Regina Beatrice d’Olanda il 5 novembre scorso.
Diversamente dalle precedenti coalizioni olandesi, questa ha la caratteristica di basarsi sull’alleanza di due soli partiti, cosa che, almeno in teoria, dovrebbe renderla più solida. Ma già si parla di disaccordi striscianti tra le due parti che reggono l’esecutivo, in particolare sulla ricetta economica da somministrare al paese. Nonostante la sostanziale identità di vedute tra i due partiti in ambito economico (confermata anche dai tempi abbastanza ristretti entro cui si è formato il nuovo governo), la campagna elettorale laburista si era incentrata su un allentamento dell’austerity ed un aumento della spesa pubblica quale stimoli per l’economia, mentre i liberali avevano lasciato intendere di essere più orientati verso i tagli alle spese dello Stato.
Indicatori internazionali sul paese[i]:
Libertà politiche e civili: “Stato libero” (Freedom House); “democrazia piena” (2011: 10 su 167 - Economist)
Indice della libertà di stampa: 4 su 179 (Reporters sans Frontières)
Libertà religiosa: assenza di eventi significativi (ACS); situazione di rispetto in concreto (USA)
Corruzione percepita: 7 su 183 (Transparency International)
Variazione PIL: +0,39% (2013)
Libertà economica: “Stato prevalentemente libero” (15 su 179)
Gap nelle differenze di genere: 11 su 135 (World Economic Forum)
[i] Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); la condizione della libertà economica come riportata dalla fondazione Heritage; la condizione della libertà di Internet come riportata da OpenNet Initiative; il tasso di crescita del PIL come riportato dal Fondo monetario internazionale; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS); la misura delle differenze di genere second il “Global Gender Gap Index” pubblicato dal World Economic Forum (la posizione più alta nell’indice indica una situazione di maggiore uguaglianza tra i sessi).
Per
ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alle note
esplicative presenti nel dossier dossier
Analisi dei rischi globali. Indicatori
internazionali e quadri previsionali (documentazione e ricerche
Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri |
( 06 6760-4939 – *st_affari_esteri@camera.it |
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera
sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi
parlamentari e dei parlamentari. |
File: ES1282paese.doc