Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari esteri | ||||
Titolo: | Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo - A.C. 5484 - Schede di lettura | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 716 | ||||
Data: | 02/11/2012 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | III-Affari esteri e comunitari |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la prevenzione del terrorismo A.C. 5484 |
Schede di lettura |
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n. 716 |
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2 novembre 2012 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri Servizio Studi – Dipartimento Giustizia |
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I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. |
File: es1232.doc |
INDICE
Schede di lettura
Dati identificativi 3
Contenuto dell’Accordo 5
Contenuto della proposta di legge di ratifica 12
Altri strumenti per la lotta al terrorismo internazionale elaborati nell’ambito del Consiglio d’Europa 17
Accordi internazionali per la lotta al terrorismo adottati nell’ambito delle Nazioni Unite 19
Il Trattato di Prüm 28
Numero del progetto di legge |
5484 |
Titolo |
Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatta a Varsavia, il 16 maggio 2005, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno |
Iniziativa |
Parlamentare |
Iter al Senato |
Sì |
Numero di articoli |
7 |
Date |
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§ trasmissione alla Camera |
27 settembre 2012 |
§ assegnazione |
3 ottobre 2012 |
Commissione competente |
II (Giustizia) e III (Esteri) |
Sede |
Referente |
Pareri previsti |
I (Aff. costit.), V (Bilancio), VI (Finanze) |
La Convenzione del Consigliod'Europa sullaprevenzione del terrorismo è stata aperta alla firma il 16 maggio 2005, ed è in vigore internazionale dal 1° giugno 2007. L’Italia ha firmato la Convenzione l’8 giugno 2005, e già nella XV Legislatura il Governo presentò al Senato un disegno di legge per l’autorizzazione alla ratifica, che non andò tuttavia oltre l’assegnazione alla Commissione Esteri.
Il Consiglio d'Europa ha adottato questa nuova Convenzione per accrescere l'efficacia degli strumenti internazionali esistenti in materia di lotta contro il terrorismo: essa mira a favorire gli sforzi degli Stati membri nella prevenzione del terrorismo e prevede due modi per raggiungere questo obiettivo: anzitutto, definendo come reati certi atti che possono portare alla commissione di reati di terrorismo, quali la pubblica istigazione, il reclutamento e l’addestramento; e in secondo luogo rafforzando la cooperazione in materia di prevenzione sia a livello interno (politiche nazionali di prevenzione) che internazionale (modifica degli accordi esistenti in materia di estradizione e mutua assistenza giudiziaria, e predisposizione di strumenti supplementari).
La Convenzione contiene inoltre una disposizione relativa alla protezione e al risarcimento delle vittime del terrorismo. E’ anche previsto un processo di consultazione per garantire l'efficace attuazione della Convenzione.
Il testo della Convenzione comprende un preambolo, 32 articoli e un allegato.
Già nel preambolo si annuncia lo scopo precipuo della Convenzione nel contrasto, in particolare, all'istigazione alla commissione di reati di terrorismo, nonché alle forme di reclutamento e addestramento per le medesime finalità. È poi espresso con chiarezza il concetto che i reati di terrorismo non vanno in nessun modo giustificati con considerazioni politiche, filosofiche, ideologiche, razziali, etniche, religiose. Viene altresì ribadito che tutte le misure prese per la prevenzione e repressione del terrorismo dovranno rispettare lo stato di diritto, i valori democratici, i diritti umani e le libertà fondamentali, il diritto internazionale umanitario, senza pregiudizio della libertà di espressione e di associazione.
L'articolo 1 stabilisce che ai fini della Convenzione in esame è reato di terrorismo uno qualsiasi dei reati definiti nei 10 Trattati universali delle Nazioni Unite contro il terrorismo elencati nell'allegato alla Convenzione medesima. Tuttavia una Parte, nel depositare il proprio strumento di ratifica, accettazione o adesione alla Convenzione, può dichiarare che nell'applicazione di essa non terrà conto di uno o più Trattati elencati nell'allegato, se di questi non sia ancora divenuta Parte. Va tuttavia tenuto presente che il successivo articolo 16 stabilisce l'applicabilità della Convenzione ai soli reati di natura transnazionale, con esclusione dei casi di interesse esclusivo di un singolo Stato, ai quali, tuttavia, vi sarà la facoltà di applicare le disposizioni di cooperazione giudiziaria dei successivi articoli 17, 20 e 22 della Convenzione.
L'articolo 2 fissa lo scopo della Convenzione nel miglioramento degli sforzi per la prevenzione del terrorismo e degli effetti negativi che ha sul pieno godimento dei diritti umani, in particolare il diritto alla vita, con provvedimenti di natura sia interna che internazionale, e considerando il quadro pattizio bilaterale e multilaterale già esistente e applicabile tra le Parti della Convenzione.
L'articolo 3 è dedicato alle politiche nazionali di prevenzione del terrorismo, e prevede che ciascuna delle Parti adotti provvedimenti idonei tanto nella formazione delle autorità repressive, quanto nei settori dell'istruzione, dell'informazione, della sensibilizzazione del pubblico, pur nel rispetto degli obblighi fondamentali sanciti dai principali trattati in materia di diritti umani. Da rimarcare la previsione del comma 3, per il quale ciascuna delle Parti promuove il dialogo interreligioso e interculturale, con il coinvolgimento ove possibile di attori della società civile, per disinnescare le tensioni che potrebbero alimentare le spinte verso il terrorismo.
L'articolo 4 prevede la possibilità, per le Parti, di impegnarsi nella reciproca assistenza e sostegno nella lotta ai reati di terrorismo, per prevenirli maggiormente attraverso lo scambio di informazioni, l'addestramento e altre iniziative congiunte.
Gli articoli da 5 a 7 sono in un certo senso il nucleo della Convenzione, poiché individuano con esattezza i contorni di nuove figure di reato collegate alla commissione di atti di terrorismo.
L'articolo 5 riguarda la pubblica provocazione (istigazione) alla commissione di un reato terroristico, che viene perpetrata con la diffusione al pubblico di un messaggio in tal senso, qualora ciò effettivamente dia luogo al rischio della commissione di un reato terroristico.
L'articolo 6 riguarda il reclutamento per il terrorismo, che si articola nella sollecitazione a un'altra persona ad essere implicata in un reato di terrorismo, ovvero ad aderire ad un gruppo per contribuirvi.
L'articolo 7 riguarda l’addestramento ad attività terroristiche, che si concreta nella fornitura di istruzioni per la fabbricazione e l'uso di esplosivi, armi da fuoco, sostanze nocive e pericolose, come anche di metodologie specifiche volte alla commissione di atti terroristici, nella consapevolezza che tale formazione preluda effettivamente alla realizzazione di questo obiettivo.
Comune agli articoli 5-7 è la previsione per cui ciascuna delle Parti fa in modo di penalizzare nel diritto interno le tre figure di reato, se commesse illecitamente e intenzionalmente.
Va notato come la penalizzazione dei comportamenti di cui agli articoli 5-7 sia subordinata all'effettivo giudizio di pericolosità di essi, sì da evitare il perseguimento di parole o atti non finalizzati ad alcuna condotta criminosa. Tale prudenza è controbilanciata tuttavia da quanto previsto dal successivo articolo 8, per il quale un atto costituisce reato ai sensi dei precedenti articoli 5-7 anche se non sia stato effettivamente commesso.
L'articolo 9 è dedicato ai reati accessori, e prevede che ciascuna delle Parti provveda nel proprio ordinamento alla penalizzazione anche della complicità, ovvero dell'organizzazione o direzione, in relazione ai reati previsti dai precedenti articoli 5-7. Anche in questo caso la penalizzazione ha il presupposto della consapevolezza del reo dell'intenzione di mettere effettivamente in atto uno dei reati di cui ai precedenti articoli 5-7. Infine, ciascuna delle Parti si impegna a penalizzare nel proprio diritto interno anche il semplice tentativo di commissione di uno dei reati di cui in precedenza, ad eccezione di quello di istigazione.
In base all'articolo 10 ciascuna delle Parti adotta misure che prevedano la responsabilità degli enti giuridici (quali comitati di sostegno o associazioni varie) che partecipino quale copertura degli autori dei reati previsti dagli articoli 5, 6, 7 e 9 della Convenzione in oggetto. Tale responsabilità, a seconda dell'ordinamento di ciascuna delle Parti, potrà essere penale, civile o amministrativa, e naturalmente non esclude la responsabilità penale degli effettivi autori dei reati terroristici.
Carattere interlocutorio è quello degli articoli 11 e 12, nei quali sostanzialmente viene sancita la necessità che le incriminazioni per i reati di cui agli articoli 5, 6, 7 e 9 della Convenzione siano soggette a un principio di proporzionalità, tenendo conto della legittimità del perseguimento di alcuni principi in una società democratica, e avvengano nel rispetto della libertà di espressione, di associazione e di religione, come sancite dai principali strumenti internazionali per la salvaguardia dei diritti umani.
L'articolo 13 - rispetto al quale la relazione introduttiva della proposta di legge in esame afferma esistere nell'ordinamento nazionale italiano una serie di misure già atte a soddisfare l'impegno convenzionale - prevede che ciascuna delle Parti metta in atto misure di protezione e sostegno alle vittime di atti terroristici commessi sul proprio territorio, inclusi l'assistenza economica e il risarcimento alle vittime e ai parenti più stretti.
Assai rilevante è quanto previsto dall'articolo 14 in materia di giurisdizione. Il comma 1 prevede che ciascuna Parte adotti senz'altro le misure necessarie per stabilire la propria giurisdizione sui reati previsti dalla presente Convenzione in tre specifici casi, ovvero quando il reato è commesso sul suo territorio, quando il reato è commesso a bordo di una nave battente bandiera della Parte interessata o a bordo di un aeromobile immatricolato nei registri della Parte medesima, quando il reato è commesso da un proprio cittadino.
Il comma 2 prevede poi alcuni casi in cui facoltativamente ciascuna delle Parti può stabilire la propria giurisdizione: si tratta qui dei reati di terrorismo come definiti dall'articolo 1 della presente Convenzione, e dai quali sia risultato un attentato sul territorio della Parte o un danno per un suo cittadino; un attentato contro un'installazione pubblica della Parte situata all'estero (come un’ambascita o un consolato); una costrizione per la Parte a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto. Rientrano nella giurisdizione facoltativa anche i casi in cui il reato sia stato commesso da apolide con residenza abituale sul territorio della Parte, ovvero sia stato commesso a bordo di un aeromobile nella disponibilità del Governo della Parte stessa.
Ciascuna delle Parti si impegna inoltre a stabilire la sua giurisdizione sui reati previsti dalla Convenzione in oggetto nei confronti di persona che si trovi sul suo territorio e non venga estradata – rileva qui il principio aut dedere, aut judicare (comma 3).
In base al comma 4, la Convenzione in esame non esclude altre giurisdizioni penali esercitate conformemente alla legislazione nazionale.
Il comma 5, infine, prevede una concertazione tra più Parti eventualmente interessate alla giurisdizione su una figura di reato previsto dalla presente Convenzione, per determinare quale tra le Parti sia più idonea al perseguimento del reato stesso.
L'articolo 15 sancisce per ciascuna delle Parti l'obbligo di indagine nei casi in cui venga informata che l'autore o presunto autore do un reato di cui alla presente Convenzione potrebbe trovarsi sul suo territorio: se lo ritenga opportuno, la Parte nel cui territorio si trova l'autore o presunto autore del reato provvede alle misure necessarie nei confronti di tale persona al fine di renderla disponibile per l’azione penale o l'estradizione. Resta inteso che qualsiasi persona interessata dalle misure del presente articolo, anche in base alle previsioni della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, ha il diritto di comunicare prontamente con il più prossimo rappresentante dello Stato di cui è cittadino, nonché di ricevere la visita di tale rappresentante.
Per i reati previsti dalla Convenzione in esame, l’articolo 17 prevede l’impegno delle Parti alla reciproca assistenza in ordine a indagini, procedimenti penali o estradizione, nel quadro degli obblighi internazionali condivisi, in carenza dei quali si agirà nell’ambito delle rispettive legislazioni nazionali.
Gli articoli 18-21 riguardano l’applicazione del principio aut dedere, aut judicare, anche in rapporto al meccanismo per l’apposizione di riserve.
Più in dettaglio, l’articolo 18, comma 1 sancisce l’obbligo di giudicare una persona che una Parte non abbia estradato – purché la Parte stessa abbia giurisdizione ai sensi del precedente articolo 14.
L'articolo 19 è invece dedicato alla fattispecie dell'estradizione in relazione ai reati di terrorismo: si prevede anzitutto che i reati previsti dagli articoli 5-7, nonché dall'articolo 9 della Convenzione in esame, sono di diritto considerati tra quelli passibili di estradizione in qualsiasi trattato concluso fra le Parti anche prima dell'entrata in vigore della Convenzione - le Parti si impegnano del resto a inserire tali fattispecie di reato fra quelle passibili di estradizione anche in tutti trattati di estradizione che stipuleranno in futuro tra di loro (comma 1). Una Parte, facoltativamente, potrà anche considerare i reati di cui agli articoli 5-7 e 9 della Convenzione in esame quale base giuridica per concedere un'estradizione a un'altra Parte della Convenzione con la quale tuttavia non ha un trattato bilaterale di estradizione (comma 2). Di ancora maggiore importanza appare la disposizione del comma 5, per la quale tutte le disposizioni dei trattati eventualmente vigenti in materia di estradizione tra le Parti alla Convenzione, in relazione ai reati di cui agli articoli 5-7 nonché 9 della medesima, saranno considerate modificate tra le Parti della Convenzione nella misura in cui siano incompatibili con il dettato di essa.
L’articolo 20 esclude la clausola di eccezione politica, vale a dire che in relazione ai reati di cui agli articoli 5-7 nonché 9 della Convenzione non si potrà eccepire il carattere politico di essi, e di conseguenza non si potrà con tale argomentazione rifiutare di concedere l’estradizione (comma 1).
Tuttavia uno Stato membro dell'Unione europea, al momento della firma o del deposito del suo strumento vincolante in via definitiva alla Convenzione, può dichiarare che si riserva il diritto di non applicare il comma 1 precedente: in relazione a tale riserva le Parti si impegnano ad applicarla caso per caso con decisione debitamente motivata (comma 2). La riserva così apposta è valida per tre anni dall'entrata in vigore della Convenzione, e può essere rinnovata per periodi della stessa durata (comma 5). In ogni caso, la decisione di rifiutare l'estradizione avvalendosi della riserva è comunicata immediatamente alla Parte che ha richiesto l'estradizione, la quale, se entro un termine ragionevole non è adottata dalla Parte che ha rifiutato l'estradizione una decisione giudiziaria nel merito, può informare il Segretario generale del Consiglio d'Europa, che sottoporrà la questione alla Consultazione delle Parti quale prevista dal successivo articolo 30 della Convenzione in esame. La Consultazione sottopone al Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa un parere sulla conformità del rifiuto all'estradizione, e il Comitato dei Ministri, in composizione strettamente limitata agli Stati Parte del C.d’E., adotta una dichiarazione al riguardo (comma 8).
L’articolo 21 consente di non ottemperare alle previsioni della Convenzione in ordine all’estradizione, qualora si ritenga che dopo l’estradizione la persona interessata potrebbe patire in relazione allo specifico reato torture o altri trattamenti inumani e degradanti; se esistano fondati motivi per ritenere che la domanda di estradizione sia avanzata con finalità persecutorie per motivi di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche; e, infine, se la persona di cui si richiede l'estradizione rischia la pena di morte nel territorio della Parte richiedente, ovvero anche solo l'ergastolo se la condanna a vita risulti esclusa nell'ordinamento della Parte richiesta. Il rifiuto all'estradizione potrà in quest'ultimo caso essere tuttavia superato nel caso in cui la Parte richiedente assicuri la non irrogazione della pena di morte, ovvero la sua non esecuzione, oppure la non inflizione dell'ergastolo senza possibilità di liberazione condizionale.
L'articolo 22 riguarda la possibilità che le autorità competenti di una Parte, senza preventiva richiesta, possano trasmettere alle omologhe autorità di un'altra Parte contraente della Convenzione informazioni ottenute nell'ambito di loro indagini, qualora ritengano ciò utile per iniziative investigative o giudiziarie dell'altra Parte - alla quale peraltro si possono sottoporre condizioni nell'uso delle informazioni ricevute.
Ai sensi degli articoli 23 e 24, poi, la Convenzione in esame è aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa, dell’Unione europea degli Stati non membri del C.d’E. che hanno partecipato alla sua elaborazione. Depositario della Convenzione è naturalmente il Segretario generale del Consiglio d'Europa. Dopo l'entrata in vigore della Convenzione, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, previo unanime consenso delle Parti alla Convenzione, può invitare qualsiasi Stato non membro del C.d’E. e che non abbia neppure partecipato all'elaborazione della Convenzione ad accedere alla medesima.
Grande importanza riveste l'articolo 26, dedicato agli effetti giuridici della Convenzione: in base al comma 1, la Convenzione integra i trattati e gli accordi multilaterali o bilaterali applicabili esistenti fra le Parti, incluse alcune Convenzioni del Consiglio d'Europa appositamente elencate, che sono: la Convenzione europea di estradizione del 1957; la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 1959, con i due Protocolli addizionali del 1978 e del 2001; la Convenzione europea per la repressione del terrorismo del 1977, con il Protocollo di emendamento del 2003.
In base al comma 2, se due o più Parti della Convenzione ritengono di regolare i loro rapporti nelle materie oggetto della Convenzione medesima diversamente da come in essa disciplinati, in base ad accordi già stipulati o da stipulare tra loro, dovranno fare ciò in modo che l'applicazione non risulti incompatibile con gli obiettivi e i principi di fondo della Convenzione.
Per quanto riguarda le Parti che sono anche Stati membri dell'Unione europea, nelle loro relazioni reciproche esse applicheranno il diritto comunitario eventualmente esistente che disciplina le materie della Convenzione in esame, salvaguardandone tuttavia l'oggetto e lo scopo (comma 3).
In base al comma 4, nessuna disposizione della Convenzione in esame pregiudica altri diritti, obbligazioni e responsabilità di una Parte o di un individuo in base al diritto internazionale, incluso il diritto internazionale umanitario; il successivo comma 5 specifica che la Convenzione non si applica alle attività delle forze armate durante i conflitti armati, che devono rispondere al diritto internazionale umanitario e ad altre regole del diritto internazionale appositamente stabilite.
Completano la Convenzione gli articoli da 27 a 32: in base all'articolo 27, in particolare, emendamenti alla Convenzione potranno essere proposti da una delle Parti, dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa o dalla Consultazione delle Parti di cui al successivo articolo 30: viene di seguito specificata la procedura per l'entrata in vigore di ciascun emendamento alla Convenzione in esame, elementi essenziali della quale sono l'approvazione dell'emendamento da parte del Comitato dei Ministri, e successivamente l'accettazione delle Parti alla Convenzione. Per quanto concerne l'elenco dei trattati universali dell'ONU contro il terrorismo di cui all'allegato alla Convenzione in esame, detto elenco potrà essere aggiornato con emendamento proveniente esclusivamente da una delle Parti o dal Comitato dei Ministri (articolo 28). La soluzione delle controversie eventualmente insorte sull'interpretazione o l'applicazione della Convenzione (articolo 29) è demandata a negoziati tra le Parti in conflitto, le quali potranno spingersi fino a sottoporre la controversia a un tribunale arbitrale, che adotterà decisioni vincolanti, ovvero alla Corte internazionale di giustizia. L'articolo 30 tratta della già più volte ricordata Consultazione delle parti, ovvero una periodica concertazione mirante tra l'altro a formulare un parere sulla conformità di un rifiuto di estradizione ad essa sottoposto ai sensi dell'articolo 20, comma 8; a formulare proposte di emendamento alla Convenzione, ovvero pareri su proposte di emendamento proveniente da una delle Parti o dal Comitato dei Ministri. Infine, l'articolo 31 prevede che ciascuna delle Parti può denunciare in ogni momento la Convenzione mediante notifica indirizzata al depositario, ovvero al Segretario generale del Consiglio d'Europa: tale denuncia avrà efficacia dal primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dalla data di ricezione di tale notifica.
Il progetto di legge in esame, composto di 7 articoli,è stato approvato dal Senato il 25 settembre scorso. I primi due articoli recano, rispettivamente, l’autorizzazione alla ratifica e l’ordine di esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione del terrorismo del 2005.
L’articolo 3 novella alcune disposizioni del codice penale in tema di terrorismo, anche internazionale.
In particolare, le lettere a) e b) intervengono sugli articoli 270-quater e 270-quinquies del codice, inserendo in entrambi un richiamo alle condotte di cui al successivo art. 270-sexies.
Normativa vigente
Le fattispecie novellate dal disegno di legge sono state introdotte nel codice dal decreto-legge n. 144 del 2005[1] che ha inteso affiancare alla fattispecie associativa, prevista dall’art. 270-bis c.p. (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico), una serie di delitti monosoggettivi, così da colpire condotte di arruolamento o addestramento che non rientrano necessariamente in un contesto associazionistico, muovendo dal presupposto che gli attentati terroristici dei primi anni del Duemila avevano avuto come comune denominatore l'esser stati compiuti, a seguito di specifica preparazione, da persone generalmente addestrate all'atto terroristico.
In particolare, l’articolo 270-quater (Arruolamento con finalità di terrorismo) punisce con la reclusione da 7 a 15 anni chiunque arruoli una o più persone per il compimento di atti di violenza, ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale.
L’articolo 270-quinquies (Addestramento ad attività con finalità di terrorismo, anche internazionale), invece, sanziona con la reclusione da 5 a 10 anni sia chi addestri (o comunque fornisca istruzioni) sia chi sia addestrato alla preparazione o all’uso di esplosivi, armi, sostanze chimiche o batteriologice e all’utilizzo di altre tecniche o metodi per il compimento di atti di violenza, ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo. Anche in tal caso la pena si applica quando obiettivo dei suddetti atti sia, oltre che l’Italia, uno Stato estero, ovvero un’istituzione o un organismo internazionale.
Entrambe le fattispecie presentano carattere di sussidiarietà rispetto a quella associativa di cui all'art. 270-bis, potendo essere integrate solo quando le condotte descritte non siano idonee a giustificare la contestazione di una delle diverse modalità attraverso cui può materializzarsi la condotta associativa: così, ove i soggetti coinvolti nell'arruolamento siano più di due e l'attività sia qualificata dall'esistenza di una struttura associativa organizzata ed autonoma troverà esclusiva applicazione l'art. 270-bis.
L’articolo 270-sexies (Condotte con finalità di terrorismo)individua le condotte con finalità di terrorismo in quelle che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad una organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di:
§ intimidire la popolazione;
§ costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto;
§ destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale .
Debbono, inoltre, considerarsi terroristiche o commesse con finalità di terrorismo tutte le condotte così definite da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia.
La Corte di Cassazione ha riconosciuto all’art. 270-sexies un diretto contenuto sanzionatorio, recando una norma definitoria direttamente incidente sulla portata della norma incriminatrice di cui all'art. 270-bis - e quindi sulla sfera di operatività della sanzione penale - atta da un lato ad estenderne l'ambito, attraverso l'assimilazione della finalità eversiva a quella terroristica, e dall'altro ad introdurre delimitazioni normative, per il fatto che la nozione di cui all'art. 270-sexies non include le attività terroristiche compiute nel contesto di conflitti armati e prevede quale destinataria di atti di violenza solo la popolazione e non anche i militari non attivamente impegnati nelle ostilità (Cass. Sez. I, 11 ottobre 2006).
Il disegno di legge integra le fattispecie penali di cui agli articoli 270-quater (arruolamento con finalità di terrorismo) e 270-quinquies (addestramento ad attività con finalità di terrorismo) prevedendo la loro applicazione anche quando l’arruolamento o l’addestramento siano finalizzati a compiere altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo, ai sensi dell’art. 270-sexies.
La finalità perseguita sarebbe quella di superare l’attuale formulazione, che colpisce soltanto il disvalore rappresentato dall’arruolamento o dall’addestramento per il compimento di atti di violenza ovvero il sabotaggio di servizi pubblici essenziali. Tale formulazione presenterebbe pertanto alcuni limiti applicativi ai fini della punibilità di tutte le condotte di arruolamento ed addestramento con finalità terroristiche.
A seguito delle modifiche introdotte al codice penale, ciò che la giurisprudenza ha affermato in relazione al rapporto tra art. 270-bis e 270-sexies, viene espressamente esteso dal legislatore alle fattispecie di cui agli articoli 270-quater e 270-quinquies.
Inoltre, accanto al riferimento alle finalità di terrorismo è introdotto il richiamo all’arruolamento e all’addestramento con riguardo a condotte “definite terroristiche”.
La lettera c) introduce nel codice penale l’articolo 270-septies, volto ad attribuire un’autonoma rilevanza penale alla condotta monosoggettiva di colui che finanzia un’attività terroristica o sovversiva.
Si ricorda che attualmente l’art. 270-bis punisce con la reclusione da 7 a 15 anni chiunque «finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico». Il disegno di legge intende dunque affiancare alla repressione del finanziamento dell’associazione terroristica il finanziamento dell’attività terroristica.
L’art. 270-bis è stato riscritto dal decreto-legge n. 374 del 2001 (conv. con modificazioni dalla legge n. 438/2001), in adempimento di precisi obblighi internazionali assunti dallo Stato italiano, nel clima di emergenza creato dagli attacchi dell'11 settembre 2001 e alla luce di un fenomeno terroristico che si presentava con caratteri nuovi: la finalità e i mezzi propriamente terroristici, la dotazione di una rete operativa pressoché globale, un programma violento destinato all'attuazione in Paesi talora diversi da quelli di appartenenza degli affiliati. Il testo dell'art. 270-bis è stato conseguentemente riscritto, tra l’altro prevedendo la penale rilevanza delle condotte di finanziamento, in aggiunta a quelle di promozione, costituzione, organizzazione, direzione e partecipazione.
In riferimento agli atti internazionali vincolanti l’Italia, si ricorda la convenzione c.d. financing (Convenzione internazionale per la soppressione del finanziamento del terrorismo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni unite il 9 dicembre 1999), la cui ratifica è stata autorizzata per l’Italia con la legge 14 gennaio 2003, n. 7. La legge, novellando il decreto legislativo n. 231 del 2001, sulla responsabilità amministrativa degli enti, prevede a carico di persone giuridiche, di società e associazioni, sanzioni pecuniarie e interdittive connesse alla condanna degli amministratori per delitti di terrorismo.
In particolare, l’articolo 270-septies, che il disegno di legge intende inserire nel codice penale, punisce con la reclusione da 7 a 15 anni chiunque «finanzia, in modo diretto o indiretto, una o più condotte definite terroristiche o con finalità di terrorismo, ai sensi dell'articolo 270-sexies» (primo comma).
Il secondo comma definisce il finanziamento come qualsiasi attività diretta, con qualsiasi mezzo, alla «raccolta, provvista, intermediazione, deposito, custodia, erogazione o messa a disposizione» di risorse economiche destinate ad essere utilizzate al fine di agevolare il compimento di una condotta terroristica o con finalità terroristica ai sensi del primo comma, e ciò indipendentemente dall'effettivo utilizzo dei fondi per la commissione dei reati. Il finanziamento è dunque un reato di pericolo presunto, per il quale non è necessario accertare l'effettiva commissione dei reati-fine.
Si osserva che l’art. 270-septies non prevede la clausola di specialità “al di fuori dei casi di cui all’art. 270-bis”, presente invece nella formulazione dei delitti di arruolamento e di addestramento ad attività terroristiche. La nuova fattispecie penale non si presenta dunque come sussidiaria rispetto alla fattispecie associativa di cu all’art. 270-bis, che – come detto – punisce il finanziamento dell’associazione terroristica.
Il disegno di legge non individua dunque alcun collegamento tra le due fattispecie; peraltro, anche la definizione di finanziamento fornita dal secondo comma dell’art. 270-septies è espressamente circoscritta all’applicazione del primo comma ed è dunque escluso che possa applicarsi anche al delitto di finanziamento dell’associazione di cui all’art. 270-bis.
L’articolo 4 interviene sul decreto legislativo n. 231 del 2001, relativo alla responsabilità amministrativa degli enti, per abrogare il comma 4 dell’art. 25-quater.
Si ricorda che il D.Lgs. n. 231/2001 disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato (art. 1) e prevede che, per una serie di reati espressamente individuati (artt. 24 e ss) , possano essere applicate alla persona giuridica - mediante accertamento giudiziale - sanzioni pecuniarie, sanzioni interdittive, confisca, pubblicazione della sentenza (art. 9).
Il presupposto per l’irrogazione della sanzione è ovviamente la responsabilità dell’ente che, ai sensi dell’art. 5, sussiste in riferimento ai reati commessi nell’interesse dell’ente stesso o a suo vantaggio, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione, di direzione dell'ente o da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso.
Le sanzioni interdittive sono le seguenti (artt. 9, 13-18, 23):
- l'interdizione dall'esercizio dell'attività;
- la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito;
- il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
- l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi.
La sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 10, è applicate per quote, in un numero non inferiore a cento né superiore a mille. L'importo di una quota varia da un minimo di 258 euro ad un massimo di 1.549 euro.
Nella commisurazione della sanzione pecuniaria (art. 11) il giudice determina il numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell'ente, nonché dell'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. L'importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione.
Infine, il decreto legislativo prevede che la responsabilità per fatti antecedenti permanga anche in caso di successiva trasformazione, fusione o scissione dell’ente; la competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell’ente è dello stesso giudice penale competente per i reati dai quali essi dipendono.
In particolare, l’art. 25-quater – introdotto dalla legge n. 7 del 2003 – individua le sanzioni pecuniarie da applicare all’ente in relazione alla commissione di delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico. La disposizione prevede, al comma 1, le sanzioni da applicare per la commissione dei delitti di questa specie previsti dal codice penale e dalla leggi speciali (le sanzioni pecuniarie sono commisurate alla durata della reclusione prevista dal codice). Il comma 4 precisa che tanto le sanzioni pecuniarie quanto le interdittive si applicano anche in relazione alla commissione di delitti non previsti dal codice penale, che siano «comunque stati posti in essere in violazione di quanto previsto dall'articolo 2 della Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo fatta a New York il 9 dicembre 1999».
Il disegno di legge, prevedendo l’inserimento nel codice di una ulteriore fattispecie volta a sanzionare il finanziamento di attività terroristiche (art. 270-septies), abroga con finalità di coordinamento il comma 4 dell’art. 25-quater, in quanto non residuano delitti di finanziamento del terrorismo esterni al codice penale e dunque non ricompresi nel campo d’applicazione del comma 1.
L’articolo 5 condiziona la procedibilità del delitto di istigazione a compiere atti di terrorismo o crimini contro l’umanità (fattispecie aggravata del delitto di istigazione a delinquere) ad una richiesta del Ministro della giustizia quando ricorrono tutte le seguenti ipotesi:
- il delitto è commesso in Stato estero;
- il delitto è commesso da uno straniero;
- il delitto è commesso in danno dello Stato italiano.
Si ricorda che il decreto-legge n. 144 del 2005 ha introdotto, nell’ambito dell’articolo 414 c.p. (Istigazione a delinquere), un quarto comma, in cui si prevede una specifica aggravante – aumento della pena della metà - relativa ai casi di istigazione (e di apologia) a compiere delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità.
L’articolo 6 prevede la clausola di invarianza finanziaria e l’articolo 7 dispone in ordine all’entrata in vigore della legge di ratifica, senza attendere la vacatio legis, il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Convenzione europea per la repressione del terrorismo
Ratificata dall’Italia con la legge 26 novembre 1985, n. 719, la Convenzione ha lo scopo di facilitare l'estradizione di persone che hanno commesso atti di terrorismo. A tal fine, elenca i reati che le Parti si impegnano a “depoliticizzare” - cioè a non considerare come reati politici o come reati connessi con reati politici ovvero reati ispirati da motivazioni politiche - atti di particolare gravità, quali il dirottamento di aerei, il sequestro e la presa di ostaggi, l'uso di bombe, granate, razzi, lettere o pacchi bomba, se il loro uso costituisce pericolo per le persone. Inoltre, la Convenzione autorizza le Parti a non considerare come reato politico qualsiasi atto di violenza contro la vita, l'integrità fisica o la libertà di una persona.
E’ d’altronde espressamente previsto che nulla nella Convenzione deve essere interpretato come obbligo per una Parte di estradare una persona che potrebbe essere perseguita o punita per la sua razza, religione, nazionalità od opinioni politiche.
Protocollo di emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo
Il Protocollo di emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo – che entrerà in vigore a livello internazionale solo previa ratifica di tutte le Parti della Convenzione, e che l’Italia ha finora solo firmato, il 15 maggio 2003[2] - è stato elaborato per consentire un aggiornamento della Convenzione alla luce della reazione della Comunità internazionale ai fatti dell’11 settembre 2001, avendo riguardo anche ai profili di applicabilità della medesima in relazione ad altri strumenti internazionali sulla lotta al terrorismo.
A tale scopo, l'elenco dei reati da "depoliticizzare" è stato notevolmente ampliato, fino a ricomprendere tutti i reati descritti nei pertinenti strumenti delle Nazioni Unite contro il terrorismo; allo stesso modo, le disposizioni in materia di reati accessori sono state aggiornate tenendo conto degli ultimi sviluppi in seno alle Nazioni Unite.
E’ inoltre prevista l'introduzione di una procedura di revisione semplificata, che permetterà di aggiungere nuovi reati all’elenco, come anche una procedura generale di revisione, in modo che le future revisioni non debbano necessariamente assumere la forma di un Protocollo di emendamento. Con il Protocollo in oggetto, la Convenzione è stata aperta all’adesione di Paesi con lo status di osservatori presso il Consiglio d'Europa. Il Comitato dei Ministri del C.d’E. può altresì decidere, caso per caso, di invitare altri Stati ad aderire alla Convenzione.
Mentre la Convenzione in quanto tale non tratta direttamente i problemi generali connessi all’estradizione - a parte la natura politica del reato quale fondamento per il rifiuto - la clausola di discriminazione classica (che è un corollario necessario della depoliticizzazione) è stata ampliata per includervi il rifiuto di estradare in un paese in cui esiste un rischio di applicazione di una condanna a morte, o il rischio di essere sottoposti a tortura o all’ergastolo. Vi sono poi una serie di previsioni che riguardano il delicato meccanismo delle riserve che uno Stato può apporre all’applicazione integrale della Convenzione al fine di non accettare alcune delle figure di reato in essa “depoliticizzate”.
Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo
Il Consiglio d'Europa ha deciso di aggiornare e ampliare la sua Convenzione del 1990 per tener conto del fatto che il finanziamento del terrorismo può avvenire non solo attraverso il riciclaggio di fondi provenienti da attività criminali, ma anche attraverso attività lecite.
Questa nuova Convenzione – in vigore internazionale dal 1° maggio 2008 e che l’Italia ha finora solo sottoscritto[3] (l’8 giugno 2005) - è il primo trattato internazionale che copre sia la prevenzione e il controllo del riciclaggio di denaro che il finanziamento del terrorismo. Il testo affronta il fatto che l'accesso rapido alle informazioni finanziarie o alle informazioni sulle attività finanziarie detenute da organizzazioni criminali, compresi i gruppi terroristici, è la chiave per il successo delle misure preventive e repressive. La Convenzione comprende un meccanismo per garantire la corretta applicazione delle disposizioni di essa.
La Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo
Con la legge 14 gennaio 2003, n. 7 è stata autorizzata la ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, fatta a New York il 9 dicembre 1999, oltre a dettare norme di adeguamento dell'ordinamento interno.
Con la Dichiarazione sulle misure volte ad eliminare il terrorismo internazionale, contenuta nella Risoluzione n. 49/60 approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 9 dicembre 1994, gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno espresso una condanna categorica di tutti gli atti e metodi terroristici, in particolare di quelli che danneggiano le relazioni internazionali e che minacciano l’integrità territoriale e la sicurezza degli Stati.
Con la successiva Risoluzione n. 51/210 del 17 dicembre 1996, l’Assemblea Generale ha sollecitato gli Stati a prendere adeguati provvedimenti per prevenire e impedire il finanziamento di singoli terroristi o di organizzazioni terroristiche. In seguito, al Comitato speciale istituito da questa stessa Risoluzione è stato affidato l’incarico di elaborare un progetto di convenzione internazionale sul tema specifico della repressione del finanziamento del terrorismo, allo scopo di completare il quadro di accordi multilaterali già esistenti nell’ambito della stessa materia.
Nell’intento quindi di rafforzare la cooperazione internazionale tra Stati, mezzo necessario per svolgere una efficace azione di prevenzione e repressione del terrorismo, l’Assemblea Generale ha adottato il 9 dicembre 1999[4] il testo definitivo della Convenzione in esame, che è rimasta aperta alla firma, nella sede dell’ONU a New York, dal 10 gennaio 2000 al 31 dicembre 2001. La Convenzione è entrata in vigore internazionale il 10 aprile 2002, mentre per l’Italia è in vigore dal 26 aprile 2003.
Oltre al preambolo, che ricostruisce cronologicamente e dettagliatamente le fasi che, a livello ONU, hanno portato all’adozione di questo strumento internazionale di lotta al terrorismo, la Convenzione in esame si compone di 28 articoli e un allegato.
L’ambito di applicazione della Convenzione è definito dai primi tre articoli. In particolare, l’articolo 1 reca la definizione di alcuni termini fondamentali utilizzati nel testo, come quella relativa ai “fondi” e ai “proventi” di reati che rientrano nelle fattispecie indicate nel successivo articolo 2. Le disposizioni della Convenzione sono violate allorquando un soggetto, servendosi di un qualsiasi mezzo, raccoglie fondi destinati ad essere utilizzati per commettere atti terroristici, cioè atti considerati reati ai sensi delle altre Convenzioni elencate nell’allegato, oppure azioni miranti ad uccidere o ferire gravemente civili che non partecipano direttamente alle ostilità in caso di conflitto armato.
Viene inoltre specificato che, affinché si ravvisi la fattispecie di reato, non è necessario che tali fondi vengano effettivamente utilizzati a fini terroristici. Parimenti commette reato anche chiunque tenti di commettere un atto di terrorismo, oppure vi partecipi in quanto complice, organizzi e contribuisca alla commissione del reato.
Nel delimitare il campo di applicazione della Convenzione, l’articolo 3 stabilisce che questa non viene applicata quando l’atto terroristico è compiuto nel territorio di un solo Stato e il presunto autore si trova nel territorio dello Stato di cui è cittadino, a meno che un altro Stato non rivendichi la propria giurisdizione nei casi in cui siano responsabili o risultino vittime dell’azione terroristica propri cittadini, sedi o interessi.
Ai sensi dell’articolo 4 ogni Stato Parte si impegna ad adottare le eventuali e necessarie misure per adeguare il proprio ordinamento penale ai fini dell’attuazione della Convenzione.
L’articolo 5 impegna le Parti a prevedere forme di responsabilità penale, civile o amministrativa in capo a persone giuridiche che compiano, tramite i propri amministratori, azioni in violazione della Convenzione. Dovranno essere inoltre predisposte efficaci sanzioni penali, civili e amministrative, anche di natura pecuniaria, che risultino proporzionate e dissuasive.
L’articolo 6 prevede che le Parti adottino, se necessario, misure di carattere legislativo, affinché i reati contemplati dalla Convenzione non trovino alcuna giustificazione di natura politica, filosofica, ideologica, razziale, etnica, religiosa o in considerazione di qualsiasi altro analogo motivo.
L’articolo 7 definisce i casi in cui, in merito alle violazioni della Convenzione, uno Stato Parte può stabilire la propria competenza giurisdizionale, in particolare ciò avviene quando l’atto criminale è stato commesso sul suo territorio (o a bordo di una nave o di un velivolo sottoposti alla sua sovranità) oppure se è compiuto da un suo cittadino. Qualora siano più di uno gli Stati che si dichiarano competenti, questi si impegnano a coordinare in modo opportuno la loro azione, fissando le modalità di una reciproca assistenza giudiziaria.
Nell’articolo 8 sono contemplate specifiche misure per l’individuazione, la rilevazione, il blocco o il sequestro di fondi destinati ad essere utilizzati in attività di sostegno al terrorismo. I fondi confiscati potranno essere condivisi con altri Stati Parte sulla base di appositi accordi, oppure potranno essere utilizzati per risarcire le vittime di atti terroristici.
Ai fini di un’eventuale incriminazione o estradizione, le persone che si presumono responsabili di violazioni ai sensi della Convenzione saranno oggetto, secondo le previsioni dell’articolo 9, di opportune indagini di ricostruzione dei fatti. Alla persona indagata vengono comunque garantiti alcuni diritti fondamentali, come quello di comunicare con un rappresentante qualificato dello Stato di appartenenza e di riceverne la visita. Nel caso in cui lo Stato decida di sottoporre a detenzione la persona inquisita, deve darne immediata comunicazione, direttamente o tramite il Segretario Generale delle Nazioni Unite, agli Stati contraenti che hanno dichiarato la propria competenza giurisdizionale e, se opportuno, a tutti gli altri Stati interessati.
Nell’ipotesi in cui uno Stato non conceda l’estradizione nei confronti di un altro Stato che ne avanzi la richiesta legittimamente, questi è tenuto, ai sensi dell’articolo 10, a far sì che l’autorità giudiziaria competente intenti un’azione penale secondo le procedure previste dalla legislazione interna.
L’articolo 11 stabilisce espressamente che i reati rientranti nell’ambito di applicazione della Convenzione in esame sono considerati a pieno titolo come casi di estradizione in tutti i trattati di estradizione che le Parti abbiano già concluso tra loro o che stipuleranno in futuro.
L’articolo 12 riguarda l’assistenza giudiziaria che gli Stati contraenti si impegnano a concedersi reciprocamente e nella forma più ampia possibile, ai fini di inchieste, procedure penali o di estradizione conseguenti alla commissione di reati cui si applica la Convenzione. È esplicitamente stabilito che le Parti non possano invocare il segreto bancario per rifiutare la collaborazione giudiziaria.
Allo stesso modo, secondo quanto prevede l’articolo 13, le violazioni della Convenzione non possono essere considerate come reati fiscali, né come reati politici (articolo 14) e, come tali, essere invocati per rifiutare una richiesta di estradizione o di assistenza giudiziaria.
Nessuna disposizione contenuta nella Convenzione può tuttavia essere interpretata, in base all’articolo 15, come un obbligo di estradizione o di mutua assistenza giudiziaria, se uno Stato abbia motivi validi per ritenere che queste richieste abbiano il solo scopo di perseguire giudizialmente o di punire una persona per ragioni inerenti alla razza, alla religione, alla nazionalità, all’etnia o alle sue opinioni politiche.
L’articolo 16 concerne il trasferimento in un altro Stato Parte di persone detenute, in stato di giudizio o per scontare una pena, al fine di testimoniare o contribuire all’accertamento dei fatti nell’ambito di inchieste o azioni giudiziarie relative ai reati disciplinati dalla Convenzione. Perché avvenga il trasferimento è necessario il consenso libero e consapevole della persona detenuta e quello delle autorità competenti dei due Stati interessati. Lo Stato che richiede il trasferimento ha il potere e l’obbligo di trattenere in detenzione la persona trasferita, salvo richiesta o autorizzazione contraria dello Stato da cui ha avuto origine il trasferimento.
L’articolo 17 riconosce a ciascuna persona detenuta o oggetto di procedimenti intentati ai sensi della Convenzione un trattamento equo; in particolare, le sono garantiti tutti i diritti e i benefici previsti dalla legislazione dello Stato in cui si trova, nonché dalle norme vigenti di diritto internazionale, ivi comprese quelle relative ai diritti umani.
Ai fini della prevenzione degli atti terroristici sanzionati dalla Convenzione, in base al dettato dell’articolo 18, gli Stati contraenti attuano forme di cooperazione adottando ogni misura possibile per impedire e contrastare la preparazione o la commissione di tali reati all’interno o all’esterno dei loro rispettivi territori. Si tratta, in particolare, di misure volte a vietare le attività illegali di persone e organizzazioni impegnate ad incoraggiare, fomentare e predisporre atti di terrorismo, oppure di provvedimenti che obbligano le istituzioni e gli operatori finanziari ad utilizzare i mezzi più efficaci per identificare i clienti abituali e occasionali (persone fisiche e giuridiche), i titolari e beneficiari dei conti correnti, e per segnalare operazioni insolite o sospette.
Altre misure dovranno essere previste per vietare l’apertura di conti di cui non siano identificati o identificabili i beneficiari e per imporre agli enti finanziari l’obbligo di segnalare le operazioni complesse, non ordinarie e di una certa entità, sprovviste di una apparente causa economica o lecita. Le istituzioni finanziarie sono inoltre tenute a conservare, per almeno cinque anni, tutta la documentazione relativa ad operazioni interne e internazionali. Sempre nell’ambito della cooperazione tra le Parti a scopo di prevenzione dei reati rientrano le misure di supervisione degli organismi che trasferiscono moneta e le forme di controllo transfrontaliero sul trasporto fisico di contanti ed effetti negoziabili al portatore.
Per lo svolgimento di tutte le attività regolamentate dall’articolo in esame, le Parti si impegnano a scambiarsi informazioni, anche tramite l’Interpool; a istituire e mantenere canali di comunicazione fra i rispettivi servizi competenti; a coordinare le misure amministrative adottate, nonché a collaborare per lo svolgimento di indagini e di investigazioni.
L’articolo 19 impone a ciascuno Stato Parte di comunicare al Segretario Generale delle Nazioni Unite il risultato definitivo di un’azione penale intentata nei confronti di una persona ritenuta responsabile di violazioni ai sensi della Convenzione.
Per quanto concerne l’adempimento degli obblighi che discendono dall’attuazione della Convenzione, gli articoli 20 e 21 sanciscono il rispetto dei fondamentali principi di diritto internazionale, come l’uguaglianza sovrana e l’integrità territoriale degli Stati, e i principi della Carta delle Nazioni Unite. Inoltre, ai sensi dell’articolo 22, nessuna disposizione della Convenzione abilita uno Stato ad esercitare sul territorio di un altro Stato competenze o funzioni riservate a quest’ultimo dalla sua legislazione interna.
Secondo le previsioni dell’articolo 23 l’allegato alla Convenzione, che contiene un elenco di strumenti internazionali aventi ad oggetto questioni relative al fenomeno del terrorismo, può essere modificato con l’aggiunta di altri trattati pertinenti.
Le controversie relative all’interpretazione o all’applicazione della Convenzione, che non si risolvono per via negoziale entro un periodo di tempo ragionevole, sono sottoposte ad arbitrato o, in ultima istanza, all’esame della Corte internazionale di giustizia (articolo 24).
Gli articoli dal 25 al 28 recano le clausole di rito finali relative all’apertura alla firma della Convenzione, alla sua entrata in vigore (trenta giorni dopo il deposito del ventiduesimo strumento di ratifica), alla possibilità di denunciarla con notifica scritta al Segretario Generale dell’ONU, cui competono le funzioni di depositario della Convenzione.
La Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di esplosivo
Con la legge 14 febbraio 2003, n. 34 è stata autorizzata la ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di esplosivo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 15 dicembre 1997, oltre a dettare norme di adeguamento dell'ordinamento interno.
Il testo definitivo della Convenzione è stato adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la Risoluzione n. 52/164 del 15 dicembre 1997; la Convenzione è poi stata aperta alla firma, presso la sede dell’ONU a New York, dal 12 gennaio 1998 al 31 dicembre 1999[5]. Essendo stato raggiunto il numero minimo di ratifiche previsto dall'articolo 22 della Convenzione, questa è entrata in vigore internazionale il 23 maggio 2001. Per il nostro Paese la Convenzione è in vigore dal 16 maggio 2003.
Anche nel Preambolo a questa Convenzione sono citate due fondamentali Risoluzioni dell’Assemblea Generale in materia di lotta al terrorismo. Con la Dichiarazione sulle misure volte ad eliminare il terrorismo internazionale, contenuta nella Risoluzione n. 49/53 il 9 dicembre 1994, gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno espresso una condanna categorica di tutti gli atti e metodi terroristici, in particolare di quelli che danneggiano le relazioni internazionali e che minacciano l’integrità territoriale e la sicurezza degli Stati.
Con la successiva Risoluzione n. 51/210 del 17 dicembre 1996, l’Assemblea Generale ha sollecitato gli Stati a prendere adeguati provvedimenti per prevenire e impedire il dilagare di atti di terrorismo e ha istituito, nel contempo, un apposito Comitato speciale.
Partendo dalla considerazione della sempre maggiore frequenza di attentati terroristici compiuti con mezzi esplosivi e della mancanza di una strumento internazionale avente per oggetto questo tipo specifico di attentati, le Nazioni Unite hanno elaborato il testo della Convenzione in esame, allo scopo di rafforzare e sviluppare la cooperazione multilaterale quale mezzo maggiormente efficace per prevenire e reprimere il terrorismo.
Oltre al preambolo, la Convenzione in esame si compone di 24 articoli, riproducendo disposizioni in parte simili a quelle contenute nella sopra illustrata Convenzione relativa alla repressione del finanziamento del terrorismo.
L’articolo 1 reca la definizione di alcuni termini fondamentali utilizzati nel testo, come ad esempio quella che si riferisce a “dispositivo esplosivo o altro dispositivo”.
All’articolo 2 sono descritte in modo dettagliato una serie di condotte finalizzate al compimento di atti terroristici o eversivi mediante utilizzo di esplosivi, con l’intenzione di provocare la morte o gravi danni fisici, oppure distruzioni massicce all’interno o contro un luogo pubblico, un impianto governativo, un sistema di trasporto pubblico o un’infrastruttura. Dal momento che il reato tentato è equiparato a quello consumato, la disposizione in esame indica anche le varie forme di concorso di persone nel commettere violazioni della Convenzione.
Nel delimitare il campo di applicazione della Convenzione, l’articolo 3 stabilisce che questa non viene applicata quando l’atto terroristico è compiuto nel territorio di un solo Stato e il presunto autore si trova nel territorio dello Stato di cui è cittadino, a meno che un altro Stato non abbia ragione di stabilire la propria competenza giurisdizionale.
Ai sensi dell’articolo 4 ogni Stato Parte si impegna ad adottare le eventuali e necessarie misure per adeguare il proprio ordinamento penale ai fini dell’attuazione della Convenzione, tenendo conto dell’intrinseca gravità delle infrazioni commesse.
L’articolo 5 prevede che le Parti adottino, se necessario, misure di carattere legislativo, affinché i reati contemplati dalla Convenzione, in particolare quelli concepiti per provocare il terrore tra la popolazione, non trovino alcuna giustificazione di natura politica, filosofica, ideologica, razziale, etnica, religiosa o in considerazione di qualsiasi altro analogo motivo.
L’articolo 6 individua i criteri in base ai quali uno Stato Parte può stabilire la propria competenza giurisdizionale per punire i responsabili degli attentati terroristici; tale disposizione si riferisce, in particolare, ai casi in cui il reato è stato commesso sul suo territorio (o a bordo di una nave o di un velivolo sottoposti alla sua sovranità) oppure se è compiuto da un suo cittadino.
Ai fini di un’eventuale incriminazione o estradizione, le persone che si presumono responsabili di violazioni ai sensi della Convenzione saranno oggetto, secondo le previsioni dell’articolo 7, di opportune indagini di ricostruzione dei fatti. Alla persona indagata vengono comunque garantiti alcuni diritti fondamentali, come quello di comunicare con un rappresentante qualificato dello Stato di appartenenza e di riceverne la visita. Nel caso in cui lo Stato decida di sottoporre a detenzione la persona inquisita, deve darne immediata comunicazione, direttamente o tramite il Segretario Generale delle Nazioni Unite, agli Stati contraenti che hanno dichiarato la propria competenza giurisdizionale e, se opportuno, a tutti gli altri Stati interessati.
Nell’ipotesi in cui uno Stato non conceda l’estradizione nei confronti di un altro Stato che ne avanzi la legittima richiesta, questi è tenuto, ai sensi dell’articolo 8, ad affidare il responsabile del reato all’autorità giudiziaria competente, perché provveda a giudicarlo in base alle norme previste dall’ordinamento interno.
L’articolo 9 stabilisce espressamente che i reati rientranti nell’ambito di applicazione della Convenzione in esame sono considerati a pieno titolo come casi di estradizione in tutti i trattati di estradizione che le Parti abbiano già concluso tra loro o che stipuleranno in futuro.
L’articolo 10 riguarda l’assistenza giudiziaria che gli Stati contraenti si impegnano a concedersi reciprocamente e nella forma più ampia possibile, ai fini di inchieste, procedure penali o di estradizione conseguenti alla commissione di reati cui si applica la Convenzione.
Allo stesso modo, secondo quanto prevede l’articolo 11, gli attentati terroristici con esplosivi non possono essere qualificati come reati politici e, quindi, essere invocati per rifiutare una richiesta di estradizione o di assistenza giudiziaria.
Nessuna disposizione contenuta nella Convenzione può tuttavia essere interpretata, in base all’articolo 12, come un obbligo di estradizione o di mutua assistenza giudiziaria, se uno Stato abbia motivi validi per ritenere che queste richieste abbiano il solo scopo di perseguire giudizialmente o di punire una persona per ragioni inerenti alla razza, alla religione, alla nazionalità, all’etnia o alle sue opinioni politiche.
L’articolo 13 concerne il trasferimento di persone detenute, in stato di giudizio o per scontare una pena, in un altro Stato Parte, al fine di testimoniare o contribuire all’accertamento dei fatti nell’ambito di inchieste o azioni giudiziarie relative ai reati disciplinati dalla Convenzione. Perché avvenga il trasferimento è necessario il consenso libero e consapevole della persona detenuta e quello delle autorità competenti dei due Stati interessati. Lo Stato che richiede il trasferimento ha il potere e l’obbligo di trattenere in detenzione la persona trasferita, salvo richiesta o autorizzazione contraria dello Stato da cui ha avuto origine il trasferimento.
L’articolo 14 riconosce a ciascuna persona detenuta o oggetto di procedimenti intentati ai sensi della Convenzione un trattamento equo; in particolare le sono garantiti tutti i diritti e i benefici previsti dalla legislazione dello Stato in cui si trova, nonché dalle norme vigenti di diritto internazionale, ivi comprese quelle relative ai diritti umani.
Ai fini della prevenzione degli atti terroristici sanzionati dalla Convenzione, in base al dettato dell’articolo 15, gli Stati contraenti attuano forme di cooperazione adottando ogni misura possibile per impedire e contrastare la preparazione o la commissione di tali reati all’interno o all’esterno dei loro rispettivi territori. Le Parti si impegnano inoltre a scambiarsi informazioni, a coordinare misure preventive di carattere amministrativo, a sviluppare metodi per la rilevazione di esplosivi e di sostanze pericolose e a consultarsi per definire norme finalizzate alla marcatura degli esplosivi.
L’articolo 16 impone a ciascuno Stato Parte di comunicare al Segretario Generale delle Nazioni Unite il risultato definitivo di un’azione penale intentata nei confronti di una persona ritenuta responsabile di violazioni ai sensi della Convenzione.
Per quanto concerne l’adempimento degli obblighi che discendono dall’attuazione della Convenzione, l’articolo 17 sancisce il rispetto dei fondamentali principi di diritto internazionale, come l’uguaglianza sovrana e l’integrità territoriale degli Stati e la non ingerenza negli affari interni di altri Stati.
Ai sensi dell’articolo 18, nessuna disposizione della Convenzione abilita uno Stato ad esercitare sul territorio di un altro Stato competenze o funzioni riservate a quest’ultimo dal suo ordinamento interno.
Riconosciuta la piena efficacia dei principi della Carta delle Nazioni Unite e di diritto internazionale umanitario, l’articolo 19 esclude l’applicabilità delle disposizioni della Convenzione alle attività delle forze armate in periodo di conflitto armato e nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.
Le controversie relative all’interpretazione o all’applicazione della Convenzione, che non si risolvono per via negoziale entro un periodo di tempo ragionevole, sono sottoposte ad arbitrato o, in ultima istanza, all’esame della Corte internazionale di giustizia (articolo 20).
Gli articoli dal 21 al 24 recano le clausole di rito finali relative all’apertura alla firma della Convenzione, alla sua entrata in vigore (trenta giorni dopo il deposito del ventiduesimo strumento di ratifica), alla possibilità di denunciarla con notifica scritta al Segretario Generale dell’ONU, cui competono le funzioni di depositario della Convenzione.
Si segnala infine la Convenzione internazionale contro gli atti di terrorismo nucleare, aperta alla firma il 13 aprile 2005 in sede Nazioni Unite - 'Italia ha firmato il 14 settembre 2005 - ed entrata in vigore a livello internazionale il 7 luglio 2007: la Convenzione giunge all'esame della Commissione Affari esteri della Camera parallelamente alla Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo che costituisce l’oggetto del presente dossier (si rinvia, per la documentazione sulla Convenzione internazionale contro il terrorismo nucleare, all'apposito dossier del Servizio Studi).
La legge 30 giugno 2009, n. 85 reca l’adesione della Repubblica italiana al Trattato concluso il 27 maggio 2005 tra il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, il Granducato di Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica d'Austria, relativo all'approfondimento della cooperazione transfrontaliera, in particolare allo scopo di contrastare il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e l’immigrazione illegale (Trattato di Prüm); nonché l’istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, la delega al Governo per l'istituzione dei ruoli tecnici del Corpo di polizia penitenziaria e modifiche al codice di procedura penale in materia di accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale.
Il Trattato in esame è stato firmato tra Belgio, Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Austria il 27 maggio 2005 a Prüm (Germania). Altri Stati dell’area Schengen, tra cui l’Italia, hanno successivamente aderito.
L’accordo, volto a rafforzare la cooperazione di polizia in materia di lotta al terrorismo, alla criminalità transfrontaliera ed all’immigrazione clandestina, si compone di un Preambolo e di 52 articoli raggruppati in otto capitoli.
Il Capitolo 1 è formato dal solo articolo 1 che delinea le finalità del Trattato e i principi generali della cooperazione in esso disciplinata. L’articolo prevede fra l’altro che la cooperazione non interferisca con il diritto dell’Unione europea e che, anzi, a tre anni dall’entrata in vigore del Trattato, sarà presentata una valutazione sull’esperienza acquisita nell’applicazione di esso, ai fini della sua integrazione nell’acquis comunitario. Per la stessa ragione, l’articolo 1 prevede che il Trattato è aperto alla firma di tutti gli Stati membri dell’Unione.
Il Capitolo 2 (artt. 2 – 15) disciplina l’impegno fra le Parti contraenti a creare schedari nazionali di analisi del DNA e a scambiare le informazioni contenute in tali schedari al fine di prevenire e perseguire i crimini legati al terrorismo, alla immigrazione clandestina e alle attività criminali transfrontaliere. Le Parti si impegnano inoltre a scambiare le informazioni sui dati dattiloscopici (le impronte digitali) e consentono ai Punti di contatto nazionale designati dai singoli Stati contraenti l’accesso ai dati inseriti negli archivi informatizzati dei registri di immatricolazione dei veicoli.
Più in dettaglio, gli articoli da 2 a 7 sono volti alla creazione di banche dati nazionali di analisi del DNA al fine di perseguire le violazioni penali e di garantire la disponibilità dei dati indicizzati (che, nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali non devono consentire l’identificazione diretta della persona interessata) alle altre Parti. L’accesso alle informazioni avviene attraverso la consultazione automatizzata dei data base da parte dei punti di contatto nazionali designati da ciascuna parte contraente, competenti anche riguardo la comparazione dei profili DNA. Qualora il punto di contatto di una Parte registri corrispondenza tra profili DNA trasmessi e quelli contenuti nel proprio schedario, deve comunicare al punto di contatto dell’altra Parte i dati indicizzati per i quali è stata riscontrata la concordanza. In caso di concordanza, la trasmissione di altri dati a carattere personale avviene sulla base del diritto nazionale della Parte richiesta.
Gli articoli da 8 a 11 consentono analoghe forme di cooperazione e di scambio di informazioni circa il contenuto delle banche dati delle impronte digitali, sempre per il tramite dei punti di contatto nazionali.
L’articolo 12 consente inoltre la consultazione automatizzata dei dati contenuti nei registri di immatricolazione dei veicoli, al fine di prevenire e perseguire comportamenti penalmente punibili e per contribuire al mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico.
L’articolo 13 consente la trasmissione di dati a carattere non personale utili a prevenire violazioni dell’ordine pubblico in caso di grandi manifestazioni a carattere transfrontaliero mentre, nello stesso caso, l’articolo 14 consente la trasmissione di dati personali in presenza di condanne definitive o di altri fatti che facciano temere reati da parte delle persone di cui vengono trasmessi i dati.
Il Capitolo 3 (artt. 16 - 19) contiene misure volte a prevenire i reati terroristici.
Con l’articolo 16 le Parti hanno la facoltà, anche se non richieste, di trasmettere dati personali quando ritengano che le persone interessate possano commettere reati quali quelli previsti agli articoli 1, 2 e 3 della decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio dell’UE.
La decisione quadro del Consiglio 475 del 13 giugno 2002 elenca agli articoli da 1 a 3 una lunga serie di reati terroristici, o riconducibili ad un’organizzazione terroristica o connessi ad attività terroristiche, chiedendo a ciascuno Stato membro di adottare le misure necessarie affinché siano considerati tali nei rispettivi ordinamenti nazionali. Il testo degli articoli in questione è consultabile nella sezione dei riferimenti normativi del presente dossier.
Gli articoli da 17 a 19 disciplinano la presenza di guardie armate a bordo di aeromobili (air marshals) con funzioni di prevenzione di atti terroristici e di mantenimento della sicurezza del volo.
Il Capitolo 4 (artt. 20 - 23) contiene misure relative alla lotta contro la migrazione illegale.
Gli articoli 20 e 21 riguardano l’invio di consulenti sui documenti falsi nei Paesi di origine o di transito di migranti illegali. Tra i compiti dei consulenti, la formazione delle istituzioni del Paese ospite competente per i controlli di polizia alle frontiere.
Anche in questo caso le Parti contraenti designano punti nazionali di contatto, responsabili della concertazione sull’invio dei consulenti sui documenti falsi (art. 22).
L’articolo 23 prevede il reciproco sostegno tra le Parti nel corso dell’organizzazione di voli congiunti per l’allontanamento di migranti illegali.
Il Capitolo 5 (artt. 24 - 27) stabilisce ulteriori forme di cooperazione.
In particolare, l’articolo 24 prevede forme di pattugliamento congiunto nell’ambito della cooperazione di polizia, che si sostanziano nella partecipazione di funzionari designati dalle singole Parti contraenti ad interventi che si svolgano nel territorio di un’altra Parte contraente. In base all’articolo 25, è previsto lo sconfinamento – senza preventiva autorizzazione - di funzionari di una Parte sul territorio di una Parte confinante, qualora vi sia l’urgenza di adottare misure provvisorie per scongiurare pericoli imminenti riguardanti la vita o l’integrità fisica di persone.
L’articolo 26 riguarda la reciproca assistenza durante manifestazioni di massa, grandi eventi e catastrofi, mentre l’articolo 27 prevede l’assistenza reciproca su richiesta in base all’articolo 39, par. 1, 1 frase, della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen[6].
Il Capitolo 6 (artt. 28 - 32) contiene norme riguardanti la presenza di funzionari di una Parte sul territorio di un’altra Parte nell’ambito di un intervento comune.
Il Capitolo 7 (artt. 33 - 41) reca disposizioni generali relative alla protezione dei dati.
L’articolo 33 contiene la definizione di alcuni termini utilizzati nel Trattato e il suo ambito di applicazione. Il livello di protezione dei dati (articolo 34) non può essere inferiore a quello che risulta dalla Convenzione europea del 1981 relativa alla protezione delle persone nei confronti del trattamento informatizzato dei dati[7]. L’articolo 35 definisce le finalità di utilizzo dei dati personali, specificando che questi sono trattabili dalla Parte destinataria per i soli scopi esplicitati nel Trattato, salvo che non vi sia l’autorizzazione della Parte che gestisce i dati ad effettuare un utilizzo diverso. Gli articoli 37 e 38 contengono norme circa l’esattezza e l’aggiornamento dei dati, nonché le misure per garantire la protezione dei dati. L’articolo 40 sancisce il diritto delle persone interessate ad essere informate dall’autorità competente sui dati trattati che le riguardano e sulle finalità del trattamento.
Il Capitolo 8 (artt. 42 – 52) contiene le disposizioni applicative e conclusive.
L’articolo 42 stabilisce che al momento del deposito dello strumento di ratifica ogni Parte consegni una dichiarazione che indica le autorità competenti per l’applicazione del Trattato (ossia, tra gli altri, i punti di contatto per l’analisi del DNA, per i dati dattiloscopici, per i dati del registro di immatricolazione dei veicoli, per lo scambio di informazioni durante i grandi eventi). Le autorità competenti potranno in seguito concludere accordi riguardanti l’attuazione del Trattato stesso (articolo 44).
L’articolo 43 istituisce un Comitato dei Ministri delle Parti, coadiuvato da un gruppo di lavoro comune, che adotta le decisioni necessarie all’applicazione del Trattato.
L’articolo 47 stabilisce la prevalenza del diritto dell’Unione europea sulle disposizioni del Trattato se, in futuro, dovessero rivelarsi incompatibili.
Il Trattato entra in vigore tra le Parti che lo hanno ratificato 90 giorni dopo il deposito del secondo strumento di ratifica, e 90 giorni dopo il deposito dello strumento di ratifica per le altre Parti. Il depositario è il governo della Repubblica di Germania (articoli 49 e 50).
Il Trattato ha durata illimitata e può essere denunciato per via diplomatica (articolo 52).
Si segnala infine la Convenzione internazionale contro gli atti di terrorismo nucleare, aperta alla firma il 13 aprile 2005 in sede Nazioni Unite - 'Italia ha firmato il 14 settembre 2005 - ed entrata in vigore a livello internazionale il 7 luglio 2007: la Convenzione giunge all'esame della Commissione Affari esteri della Camera parallelamente alla Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo che costituisce l’oggetto del presente dossier (si rinvia, per la documentazione sulla Convenzione internazionale contro il terrorismo nucleare, all'apposito dossier del Servizio Studi).
[1] D.L. 27 luglio 2005, n. 144, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale.
[2] Che è anche la data di apertura alla firma del Protocollo, per la cui ratifica peraltro non risulta ad oggi presentato alle Camere alcun progetto di legge.
[3] Si segnala che già nella XV Legislatura era stata presentata alla Camera, per iniziativa dell’On. Maurizio Turco, una proposta di legge per l’autorizzazione alla ratifica della Convenzione, che tuttavia non era andata oltre l’assegnazione alla III Commissione. Nella corrente Legislatura il 22 maggio 2008 risulta assegnata alla III Commissione una proposta di legge dell’On. Matteo Mecacci di analoga finalità.
[4] La Convenzione è stata adottata con la Risoluzione n. 54/109.
[5] L’Italia ha firmato la Convenzione il 4 marzo 1998.
[6] L’art. 39, par. 1, 1 frase, della Convenzione di Schengen, così recita: “Le Parti contraenti si impegnano a far sì che i rispettivi servizi di polizia si assistano, nel rispetto della legislazione nazionale ed entro i limiti delle loro competenze, ai fini della prevenzione e della ricerca di fatti punibili, sempreché la legislazione nazionale non riservi la domanda alle autorità giudiziarie e la domanda o la sua esecuzione non implichi l'applicazione di misure coercitive da parte della Parte contraente richiesta”.
[7] Si tratta della “Convenzione sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati a carattere personale” adottata in seno al Consiglio d’Europa nel 1981, ratificata dall’Italia nel 1997.